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L’attentato di Sarajevo
PRIMA DELLA TRAGEDIA
L’arciduca e sua moglie lasciano il municipio di Sarajevo; sarebbero stati assassinati poco dopo a bordo dell’auto su cui stanno per salire, come ricostruito sulla prima pagina di La Domenica del Corriere d’inizio luglio.
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1914
ATTENTATO A SARAJEVO
L’OMICIDIO CHE CAMBIÒ LA STORIA
La mattina del 28 giugno 1914 un gruppo di giovani bosniaci assassinò a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede della Corona d’Austria-Ungheria, e sua moglie Sophie Chotek. L’evento segnò l’inizio della Prima guerra mondiale
STEFANO BIANCHETTI / GETTY IMAGES
SARAJEVO IN UNA FOTO SCATTATA INTORNO AL 1914.
Lungofiume Appel
Municipio
SARAJEVO, LA CAPITALE DELLA BOSNIA
a quando nel 1878 la Bosnia era passa-
Dta sotto il controllo austro-ungarico, gli Asburgo avevano trasformato Sarajevo in una vetrina dell’efficienza della loro amministrazione: non scomparvero né i bazar né le moschee, ma fu costruita una nuova città con tribunali, scuole, un altro municipio e un tram elettrico prima della stessa Vienna. La Miljacka fu incanalata e dotata di un ampio viale sulla sua riva nord, il lungofiume Appel, costeggiato da nuovi edifici. Qui sarebbe avvenuto l’attentato.
ALAMY / ACI
IL PONTE LATINO DI SARAJEVO E, SULLA DESTRA, L’ANGOLO DOVE PRINCIP SPARÒ ALL’ARCIDUCA.
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Nella soleggiata mattina di domenica 28 giugno 1914 i destini di due uomini s’incrociarono tragicamente a Sarajevo, la capitale della montagnosa provincia balcanica della Bosnia-Erzegovina. Niente avrebbe potuto far presagire che le loro strade un giorno si sarebbero incontrate. Uno, l’arciduca Francesco Ferdinando,
era l’erede cinquantenne dell’impero austro-ungarico e possedeva un’immensa fortuna; l’altro, il diciannovenne Gavrilo Princip, era figlio di un postino e proveniva da un’umile famiglia di contadini della regione. Non aveva risorse economiche ed era determinato a sferrare un colpo alla monarchia austro-ungarica, che sei anni prima aveva annesso la Bosnia-Erzegovina, per scuoterne le fondamenta e risvegliare la coscienza degli slavi, fossero essi serbi, croati o bosgnacchi (bosniaci musulmani), incitandoli alla rivolta contro gli occupanti. Quel colpo fu l’omicidio dell’arciduca.
Le ragioni di un attentato
Francesco Ferdinando non era inizialmente destinato al trono, e nemmeno a vivere a lungo: per un certo periodo si temette che potesse morire di tubercolosi. Invece sopravvisse alla malattia, al figlio dell’anziano imperatore Francesco Giuseppe – suo cugino Rodolfo, erede al trono, si suicidò per amore – e al suo stesso padre, fratello dell’imperatore, che era l’erede diretto in linea di successione e morì di febbre tifoide nel 1896. L’arciduca divenne così inaspettatamente il successore di Francesco Giuseppe in un momento in cui l’impero cominciava ad affrontare una crisi esistenziale. Il sovrano governava uno stato diviso tra Austria e Ungheria, territori che, a parte il monarca, avevano in comune solo i ministeri della guerra, degli affari esteri e delle finanze. Questa fragile unità, basata sul dominio politico di austriaci e magiari sugli altri popoli che abitavano l’impero, era minacciata dall’ascesa del nazionalismo slavo, in particolare della Boemia a nord e della Serbia a sud. Quest’ultima aveva trasformato la Bosnia-Erzegovina in una polveriera.
Per capire le radici di questa situazione bisogna tornare indietro di quasi quarant’anni, quando la vittoria dell’impero russo su quello ottomano, unita a una grande rivolta dei popoli balcanici sottomessi ai turchi – a cui parteciparono anche il nonno e il padre di Princip – permise a Bulgaria, Romania, Montenegro e Serbia di ottenere l’indipendenza. I leader serbi coltivavano il sogno di una grande Serbia che includesse nei suoi confini tutti gli slavi dei Balcani sotto la sua egemonia. Questo ideale aveva però subito un duro colpo nel 1908, quando l’AustriaUngheria aveva annesso la Bosnia-Erzegovina,
CRONOLOGIA
IL COLPO CHE SCOSSE L’EUROPA
Marzo
Gavrilo Princip concepisce l’idea di assassinare l’erede alla Corona austroungarica.
Maggio-giugno
La Mano Nera, un’organizzazione ultranazionalista serba, offre il suo appoggio a Princip.
28 giugno
A Sarajevo Princip uccide l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie.
Ottobre
Si celebra il processo per l’attentato. Princip è condannato all’ergastolo.
FRANCESCO GIUSEPPE I
In 25 anni l’imperatore assistette al suicidio del figlio Rodolfo, all’omicidio della moglie Sissi e a quello del nuovo erede, Francesco Ferdinando.
AUSTRIA
UNGHERIA
Bosnia-Erzegovina
SERBIA ROMANIA
IL PROGETTO POLITICO DELL’ARCIDUCA
rancesco Ferdinando progettava di mo-F dificare il dualismo della monarchia austro-ungarica inglobando gli slavi su un piano di parità con gli austriaci e i magiari per evitare che l’esplosione del nazionalismo slavo distruggesse l’impero. Questo schema, noto come trialismo, era osteggiato da gran parte delle élite austriache; dagli ungheresi, che avrebbero visto diminuire il loro peso nei processi decisionali dell’impero; e dalla Serbia, che aspirava a unificare tutti gli slavi dei Balcani sotto la sua egida.
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LA MONARCHIA DEL DANUBIO
La mappa qui sopra, stampata nel 1902, mostra l’impero austriaco e il regno d’Ungheria; la Bosnia non è ancora stata annessa.
L’AQUILA IMPERIALE
Emblema della monarchia dualista, l’aquila bicipite stringe negli artigli lo scettro, la spada e il globo, simboli del potere.
formalmente ancora ottomana, ma che degli accordi internazionali avevano posto sotto la tutela dell’impero dal 1878. Su quel territorio, la cui popolazione era composta da bosgnacchi, croati e circa il 43 per cento di serbi – come la famiglia di Princip – si proiettavano le ambizioni della Serbia, che aveva considerato l’annessione un affronto. La furiosa reazione nazionalista suscitata dall’evento portò, nel 1911, alla fondazione dell’organizzazione Unificazione o Morte, meglio conosciuta come Crna Ruka – Mano Nera – e guidata dall’ufficiale Dragutin Dimitrijevic´, nome in codice Apis, un uomo che aveva una profonda influenza sull’esercito. Lo scopo della Mano Nera era l’unificazione di tutti i serbi con ogni mezzo necessario.
D’altra parte l’annessione aveva suscitato grande riprovazione anche nella stessa Bosnia-Erzegovina. Princip, che nel 1907, a tredici anni di età, aveva lasciato il suo villaggio natale per andare a studiare a Sarajevo, capitale della provincia, provò un’indignazione che si sarebbe trasformata in rabbia a causa delle precarie condizioni di vita della popolazione contadina, alla quale lui stesso apparteneva (sei dei suoi fratelli erano morti da bambini), e della mancanza di diritti politici. Come lui, centinaia di giovani si opponevano al dominio coloniale austro-ungarico e aspiravano a passare all’azione. Molti facevano parte della Giovane Bosnia, una costellazione di gruppi che promuoveva la resistenza contro le autorità asburgiche.
L’azione diretta
Per molti membri della Giovane Bosnia la violenza costituiva uno strumento legittimo con cui rispondere all’oppressione, e fu proprio l’atto violento di uno di loro che avrebbe segnato la strada poi seguita da Princip. Il 15 giugno 1910 il ventiquattrenne Bogdan Žerajic´ sparò cinque colpi al governatore della Bosnia-Erzegovina sul Kaiser-Brücke (ponte dell’Imperatore), sul fiume Miljacka, nel centro di Sarajevo. Non riuscì però a ucciderlo e con l’ultimo proiettile si suicidò. Žerajic´ divenne per Princip un esempio della devozione alla causa della liberazione della Bosnia.
ALAMY / ACI MEMBRI DELLA RESISTENZA SERBOBOSNIACA TRA CUI ŽERAJIC ´ .
BOGDAN ŽERAJIC ´ , IL MARTIRE
DOPO AVER FALLITO l’attentato contro il governatore Varesanin ed essersi suicidato nel 1910, Žerajic´, membro della Giovane Bosnia, fu sepolto in una tomba senza nome a Sarajevo. Ma il luogo della sepoltura divenne ben presto una meta di pellegrinaggio per i giovani ribelli bosniaci: sia Gavrilo Princip sia Nedeljko C ˇ abrinovic´ lo visitarono la notte prima dell’attentato.
A Sarajevo Princip divorava letteratura rivoluzionaria (socialista, anarchica, nazionalista) e partecipava alle manifestazioni studentesche contro il dominio straniero, pur mantenendo sempre un carattere chiuso e solitario. Man mano che il suo interesse per la politica cresceva i suoi voti calavano, mentre i professori, consapevoli delle sue inclinazioni politiche, lo maltrattavano. Nel 1912 fu espulso e decise di andare a completare la sua formazione a Belgrado: fu proprio lì che il giovane ribelle divenne un assassino. La Serbia era ormai il centro del panslavismo balcanico e il rifugio di tutti i perseguitati in Bosnia; Belgrado era una calamita capace di attirare a sé decine di giovani che vi si trasferivano per studiare e per poter esprimere liberamente le proprie aspirazioni politiche. Molti di loro
UN TRIONFO SERBO
Questa medaglia d’oro commemora la vittoria della Serbia sugli ottomani nella Prima guerra balcanica (1912).
DRAGAN ILIC / ALAMY / ACI
MAPPA DELLA CITTÀ DI SARAJEVO PUBBLICATA IN GERMANIA NEL 1906.
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IL VIALE DEGLI ASSASSINI
a comitiva dell’arciduca doveva tran-
Lsitare necessariamente per il lungofiume Appel, il viale dove si erano appostati Princip e i suoi compagni. La visita iniziò con una breve sosta alla caserma militare della città 1, per poi proseguire lungo la Miljacka fino al municipio 2. Gli arciduchi subirono il primo attentato 3 accanto al ponte della Cumurija; poi, dopo aver lasciato il municipio, sarebbero caduti davanti al ponte Latino 4, vittime dei proiettili di Princip.
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IL VEICOLO DEGLI ARCIDUCHI GIRA VERSO IL LUOGO DOVE PRINCIP LI STA ASPETTANDO.
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si arruolarono come combattenti irregolari nelle Guerre balcaniche del 1912 (contro gli ottomani) e del 1913 (contro la Bulgaria), dalle quali la Serbia uscì con il doppio di popolazione e di territorio.
Princip, che aveva provato ad arruolarsi nel 1912 ma era stato respinto a causa della sua debole costituzione, andò a vivere a Belgrado con molti altri studenti ed ex combattenti bosniaci delle due guerre precedenti. Fu allora che gli si presentò l’occasione di dimostrare chi era veramente, al di là dell’immagine di «un tipo completamente rovinato dallo studio smodato della letteratura» che gli altri avevano di lui. Come avrebbe detto agli investigatori dopo l’attentato: «Fingevo di essere una persona debole, anche se non lo ero».
Il complotto
A metà marzo del 1914 Princip era seduto in uno dei caffè dove si riunivano studenti ed ex combattenti di origine bosniaca, in compagnia del suo amico Nedeljko C ˇ abrinovic´, che gli mostrò un ritaglio di giornale appena ricevuto. L’articolo annunciava che l’erede alla Corona asburgica avrebbe visitato Sarajevo il 28 giugno, dopo aver supervisionato le manovre militari che lì avrebbero avuto luogo quello stesso mese. Princip concepì immediatamente il piano di attentare alla vita del futuro imperatore.
Per riuscirci aveva bisogno di complici, armi, denaro e della copertura necessaria per entrare clandestinamente in Bosnia dalla Serbia. Scelse quindi due compagni serbo-bosniaci residenti a Belgrado: lo studente Trifko Grabež e lo stesso C ˇ abrinovic´, che lavorava come tipografo. A tutto il resto avrebbe provveduto la Mano Nera. Non fu però l’organizzazione a pianificare l’attentato, come spesso si afferma: essa si limitò a dare appoggio a un complotto caratterizzato dal dilettantismo, di cui la cosa più sorprendente è che sia andato a buon fine.
A fornire le armi a Princip fu Milan Ciganovic´, un ex combattente serbo-bosniaco legato alla Mano Nera che, per effettuare la consegna, poté contare sull’acquiescenza del comandante serbo Vojislav Tankosic´, uno
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DRAGUTIN DIMITRIJEVIC ´
IN UNA FOTO SCATTATA INTORNO AL 1900.
L’OMBRA OSCURA DI APIS
NEL 1914 Dragutin Dimitrijevic´ aveva ancora in corpo i tre proiettili che lo avevano colpito nel 1903, quando lui e altri militari avevano assassinato e mutilato l’impopolare re Alessandro I e sua moglie per mettere sul trono Pietro I Karad¯ord¯evi´c.
Da allora i cospiratori erano diventati un potere de facto all’interno dello stato serbo, ancor più dopo aver fondato nel 1911 la Mano
Nera, il cui primo obiettivo dopo le Guerre balcaniche era la liberazione (o, in altre parole, l’annessione alla Serbia) della Bosnia-Erzegovina. Qui l’organizzazione incoraggiava l’attività di guerriglia contro gli austro-ungarici.
dei capi dell’organizzazione. Apis avrebbe in seguito affermato che tutta la congiura era opera della Mano Nera, di cui anche Princip avrebbe fatto parte. Ma gli obiettivi politici della società (l’unificazione degli slavi del sud sotto l’egemonia serba) erano molto diversi da quelli di Princip, che credeva in uno stato in grado di accogliere serbi, bosgnacchi e croati su un piano di parità.
Ciganovic´ procurò ai rivoltosi sei bombe e quattro pistole, insegnò loro a sparare in un bosco e mise a disposizione i soldi per coprire le spese del viaggio fino a Sarajevo. Princip, Grabež e C ˇ abrinovic´ lasciarono Belgrado il 28 maggio. Grazie all’appoggio della Mano Nera poterono contare sulla complicità dei doganieri serbi per attraversare la Drina, il fiume che costituiva il confine
L’ARMA DI PRINCIP
La Browning FN Modèle 1910 semiautomatica, prodotta in Belgio, era in dotazione agli ufficiali serbi; oggi quest’arma è conservata presso il museo di storia militare di Vienna.
LA CITTÀ DOVE TUTTO È COMINCIATO
Sarajevo è stata vittima di un terribile assedio tra il 1992 e il 1996, durante la Guerra di Bosnia. Il vecchio municipio visitato dagli arciduchi è stato distrutto dalle bombe e ricostruito al termine del conflitto.
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OMICIDIO A BRUCIAPELO
uando l’auto degli arciduchi si fermò da-
Qvanti a Princip, questi era circondato dalla folla e decise quindi di non gettare la bomba che aveva alla cintura. Estrasse invece la pistola e sparò due volte quasi a bruciapelo. Il primo proiettile colpì l’arciduca alla giugulare. Il secondo attraversò la portiera dell’auto e penetrò nell’addome dell’arciduchessa, recidendole l’arteria gastrica. L’arciduca riuscì ancora a sussurrare alla moglie: «Sophie, Sophie! Non morire! Vivi per i nostri figli!».
L’ATTENTATO
RAFFIGURATO DAL PITTORE FELIX SCHWORMSTÄDT.
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con la Bosnia; sull’altra sponda dei contadini serbo-bosniaci li aiutarono a raggiungere Tuzla attraverso i campi. Lì presero un treno con cui arrivarono in città il 4 giugno. In precedenza Princip aveva scritto al suo vecchio amico Danilo Ilic´, che viveva nella capitale bosniaca ed era un membro della Giovane Bosnia, chiedendogli di trovare altri complici per garantire il buon esito dell’attentato. A maggio Ilic´ reclutò altre tre persone: un falegname bosniaco musulmano di circa ventisei anni, Muhamed Mehmedbašic´, che era già stato coinvolto in un complotto della Mano Nera per uccidere il generale Potiorek, allora governatore della Bosnia-Erzegovina, e due studenti: Cvjetko Popovic´, di diciotto anni circa, e Vaso C ˇ ubrilovic´, di diciassette. Il 14 giugno Ilic´ andò a ritirare le armi che Princip aveva affidato a un uomo d’affari di Tuzla. Con il passare del tempo però stava iniziando ad avere dei dubbi in merito all’attentato: temeva che avrebbe causato grandi sofferenze ai serbi sottoposti al dominio austro-ungarico, e che l’azione politica fosse più efficace del terrorismo. Ne discusse con Princip, ma alla fine decise di andare avanti con il piano per non lasciare da solo l’amico. Domenica 28 giugno il sole splendeva a Sarajevo. Francesco Ferdinando e sua moglie, la contessa Sophie Chotek, incinta del quarto figlio, avrebbero partecipato a un ricevimento in municipio e poi visitato il museo locale. Sarebbero arrivati a Sarajevo da Ilidza, una vicina località termale. Il programma prevedeva che il corteo che li accompagnava percorresse due volte il lungofiume Appel, un ampio viale parallelo alla Miljacka, il corso d’acqua che divide in due Sarajevo: prima per andare dalla stazione al municipio e poi da lì al museo. I sei uomini armati – Mehmedbašic´, C ˇ ubrilovic´, C ˇ abrinovic´, Popoviic´, Princip e Grabež – si misero in agguato lungo il viale, mescolandosi alla folla che acclamava gli arciduchi. Per mostrare la vicinanza della Corona al popolo bosniaco, il percorso non era stato transennato dall’esercito e le autorità locali avevano mobilitato solo 150 poliziotti. La possibilità di un attentato era nell’aria e aveva spinto la contessa ad accompagnare il mari-
BPK / SCALA, FIRENZE I CURIOSI SI ACCALCANO DAVANTI AL BUCO DELLA BOMBA DI C ˇ ABRINOVIC ´ .
CON L’AIUTO DELLA FORTUNA
IL SUCCESSO DEI CONGIURATI non fu dovuto alla loro esperienza nell’utilizzo delle armi. Princip, C ˇ abrinovic´, Mehmedbašic´ e Grabež avevano ricevuto solamente un addestramento di base nell’uso delle pistole. Danilo Ilic´ aveva insegnato a Popovic´ e C ˇ ubrilovic´ a sparare all’interno di un tunnel e gli aveva fornito altre due pistole la notte prima del crimine. Nessuno dei sei aveva dimestichezza con le bombe.
to in Bosnia. Quando il corteo di sei veicoli passò davanti a Mehmedbašic´, il primo dei congiurati, questi pensò di avere un poliziotto dietro di sé e non estrasse la sua bomba. Lo fece invece C ˇ abrinovic´, che la lanciò contro lo stulphut, il copricapo con le piume verdi dell’arciduca che era nella terza macchina. L’ordigno colpì la capote arrotolata della
UNA GRÄF & STIFT DECAPPOTTABILE
Il veicolo su cui viaggiavano gli arciduchi apparteneva al conte Harrach, che era con loro. Oggi è conservato presso l’Heeresgeschichtliches Museum di Vienna.
IAN G. DAGNALL / ALAMY / ACI
IN CARCERE
Princip e C ˇ abrinovic´, insieme ad altre persone coinvolte, vengono portati nell’aula del tribunale dove quattro mesi dopo si sarebbe svolto il processo per l’attentato.
vettura e cadde a terra, esplodendo al passaggio dell’auto successiva e ferendo diverse persone. Erano le 10:10 del mattino. Le macchine accelerarono e gli altri congiurati non fecero in tempo a estrarre le armi. C ˇ abrinovic´ cercò di fuggire attraverso la Miljacka (in estate, il fiume era quasi a secco), dove però fu arrestato. Tentò d’ingoiare la capsula di cianuro che tutti loro avevano con sé per suicidarsi in caso di arresto, ma riuscì solo a provocarsi delle bruciature alla bocca e alla gola.
Nonostante il fallito attentato, l’arciduca non volle mostrarsi spaventato e partecipò al ricevimento in municipio con la moglie. Si decise però di modificare l’appuntamento successivo: alle 10:45 , invece di entrare in città per andare al museo, la coppia imperiale percorse il lungofiume Appel fino all’ospedale per visitare i feriti dell’attentato. Ma nessuno informò del cambio di programma il conducente dell’auto in testa al corteo, che quindi lasciò il lungofiume come inizialmente previsto. E lì, all’angolo con Appel, accanto al muro del Café Moritz Schiller, c’era Princip che aspettava pazientemente il passaggio delle macchine, secondo quanto pubblicamente annunciato.
Potiorek gridò all’autista di fare retromarcia, una manovra di una certa complessità che richiedeva d’invertire le cinghie di trasmissione dell’auto. Princip non esitò e sparò due proiettili: uno all’arciduca e uno diretto a Potiorek, che però colpì all’addome l’arciduchessa. Gli arciduchi risultarono feriti mortalmente: Francesco Ferdinando era stato colpito alla giugulare, anche se chi gli stava intorno non se ne rese conto perché il sangue gli scorreva sotto l’uniforme; e Sophie aveva una lesione all’addome. Morirono nel giro di pochi minuti. Princip ingoiò il cianuro, ma anche nel suo caso gli provocò solo bruciature. Si puntò allora la pistola alla testa, ma gli venne strappata di mano dalla folla.
Tutti i partecipanti all’attentato e coloro che li avevano aiutati in Bosnia – tranne Mehmedbašic´, che riuscì a fuggire e si rifugiò in Montenegro – sarebbero stati arrestati. Ma la legge impediva di applicare la pena capitale ai minori di vent’anni. Gli unici a superare quell’età erano il fuggiasco Mehmed-
SEAN GALLUP / GETTY IMAGES
UNA CAPPELLA ALLA MEMORIA
I RESTI DI PRINCIP, morto in una prigione austro-ungarica, furono portati a Sarajevo nel 1920 per essere sepolti ufficialmente in una tomba. Nel 1939 vennero trasferiti nella cappella dove riposano ancora oggi insieme a quelli di Trifko Grabež, Nedeljko C ˇ abrinovic´, Danilo Ilic´ e altre sei persone che li aiutarono a raggiungere Sarajevo. Si trovano qui anche i resti dell’uomo che li aveva ispirati, Bogdan Žerajic´.
bašic´ e Ilic´, che fu impiccato. C ˇ abrinovic´ e Princip morirono in prigione di tubercolosi.
Non si può affermare che l’attentato fu la causa della Prima guerra mondiale. A precipitare il conflitto fu la decisione dell’Austria-Ungheria di usare l’omicidio come pretesto per attaccare la Serbia, nel tentativo di porre fine al suo ruolo di agitatrice tra gli slavi del sud. Ciò mise in moto il sistema di alleanze delle potenze europee, il cui automatismo trascinò l’Europa nel più terribile conflitto conosciuto fino a quel momento.
JOSEP MARIA CASALS STORICO
Per saperne di più
SAGGI
I sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande guerra Christopher Clark. Laterza, Roma-Bari, 2013. Una mattina a Sarajevo. 28 giugno 1914 David J. Smith. LEG Edizioni, Gorizia, 2014.
IL RIPOSO DEFINITIVO
La cappella che ospita i resti di Princip e di altri congiurati si trova nel cimitero di San Marco, a Sarajevo.
UNA RETE D’INTRIGHI E COMPLOTTI
All’indomani dell’attentato sorse la questione di quanto sapesse il governo serbo del complotto. Sembra certo che il primo ministro Nikola Pašic´ fosse a conoscenza del piano e, tra l’altro, cercò di avvertire l’Austria-Ungheria tramite Jovan Jovanovic, l’ambasciatore serbo a Vienna, che il 21 giugno incontrò Leon Bilinski, il ministro delle finanze austro-ungarico. Ma il suo avvertimento fu molto ambiguo: disse che forse qualche coscritto bosniaco delle truppe imperiali avrebbe potuto «caricare una pallottola nel fucile o nella pistola invece di una cartuccia a salve». Bilinski non diede alcuna importanza all’osservazione e si limitò a dire: «Speriamo che non succeda niente».
NIKOLA PAŠIC´ , PRIMO MINISTRO SERBO, NEL 1904 CIRCA.
ALAMY / ACI
2IL GOVERNO SERBO A giugno, l’esecutivo guidato da Nikola Pašic´ (sopra), già allertato del complotto, ordinò alle guardie di frontiera in Bosnia di fermare qualsiasi traffico di armi ed esplosivi, ma era troppo tardi: Princip, Grabež e C ˇ abrinovic´ erano già in Bosnia.
4LE INDAGINI Le indagini austro-ungariche non dimostrarono che il governo serbo fosse coinvolto nell’omicidio o in che misura fosse a conoscenza del piano, né chiarirono il ruolo della Mano Nera nella vicenda. Misero però in luce l’intervento rilevante di Ciganovic´ e Tankosic´.
Gavrilo Princip
ROGER VIOLLET / AURIMAGES
1A BELGRADO Nella foto si possono vedere Princip (a destra) e Trifko Grabež (a sinistra) con l’ex combattente delle guerre balcaniche Djuro Sarac a Belgrado. Sarac, un ex studente serbo-bosniaco, era una guardia del corpo del comandante Voja Tankosic´, leader della Mano Nera.
L’EMBLEMA DELLA MANO NERA ERA IL TESCHIO CON LE TIBIE INCROCIATE.
SZ PHOTO / BRIDGEMAN / ACI
3LA MANO NERA L’organizzazione probabilmente non pianificò il complotto, ma si limitò a fornire appoggio per realizzarlo. Si era infiltrata così profondamente nell’esercito e nella polizia serba da vanificare i tentativi del governo Pašic´ d’impedire il transito di armi e terroristi in Bosnia.
FOTO DEL PROCESSO PER L’OMICIDIO DEGLI ARCIDUCHI. INIZIÒ IL 12 OTTOBRE, DURÒ 11 GIORNI E VIDE 25 IMPUTATI, TRA ESECUTORI E COMPLICI.