Molti cammini

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MOLTI CAMMINI

IMMAGINI CONTEMPORANEE DEL CAMMINO DI SANTIAGO dal 2 ottobre al 26 novembre 2017


MOLTI CAMMINI

IMMAGINI CONTEMPORANEE DEL CAMMINO DI SANTIAGO


MOLTI CAMMINI

IMMAGINI CONTEMPORANEE DEL CAMMINO DI SANTIAGO

Il Cammino è molti cammini, non soltanto perché il suo tracciato materialmente si ramifica in molteplici vie che hanno variato la loro conformazione e ospitato un maggiore o minore flusso umano nel tempo, ma perché l’esperienza in sé è molteplice, quanto lo sono le motivazioni e le soggettività delle persone che l’hanno percorso, dalle loro origini medievali legate all’espansione del cristianesimo fino a oggi. Questa molteplicità di cammini e di forme di intendere il camminare ha generato storicamente una peregrinazione dalla quale sono sorte rotte che hanno modificato il paesaggio, paesi e città con strade e costruzioni legate al Cammino, funzioni, contatti artistici e culturali, modi di esercitare l’ospitalità e conformazioni visive che si sono succedute fino a oggi. L’esposizione Molti cammini cerca di comunicare lo stato del Cammino e del suo significato nell’attualità attraverso un insieme di rappresentazioni e immagini realizzate da 31 artisti contemporanei. Il progetto Molti cammini. Immagini contemporanee del Cammino di Santiago si basa sulla realtà paesaggistica, antropologica, culturale, storica, spirituale e/o religiosa del Cammino di Santiago e la peregrinazione che lo motiva, ma soprattutto sulla realtà esperienziale che deriva da tutto ciò e che si plasma in alcune opere d’arte contemporanea, legate direttamente alla peregrinazione e al Cammino, correlate al paesaggio, la mistica, la storia delle religioni, l’arte, gli avvenimenti storici o l’attuale criticità delle zone rurali attraversate dal cammino di Santiago. Gran parte degli artisti sono spagnoli contemporanei, altri sono stranieri, alcuni selezionati perché le loro opere provengono da centri d’arte e musei situati in comunità attraversate dal Cammino, altri perché hanno lavorato su alcune questioni direttamente correlate a esso. Il cammino si ramifica in tutta Europa (di fatto, il Cammino comincia nel luogo in cui si lascia il proprio focolare) e nelle sue principali città è possibile trovare strade centrali, istituti, chiese e torri legati a Giacomo; ma nonostante questa innegabile realtà internazionale palpabile in tutta Europa, la mostra Molti cammini. Immagini contemporanee del Cammino di Santiago si incentra su opere del contesto spagnolo direttamente legate alle vie che partono da Saint-Jean-Pied-de-Port (Francia) a Roncisvalle (Spagna) e continuano fino a Santiago e Finisterre. Il Cammino, come via di comunicazione e conoscenza, è stato ed è un detonatore per l’esperienza, la ricerca e la diffusione. Nel corso dei secoli e dei molti chilometri che percorre, oltre alle esperienze spirituali, religiose e culturali (alle quali oggi vanno aggiunte l’ozio e lo sport), il Cammino ha “visto” anche realtà come guerre e invasioni e città che sono fiorite e sono decadute, i disastri della Guerra Civile negli anni Trenta e la repressione franchista che la seguì negli anni Quaranta, l’esodo dalla campagna alla città degli anni Sessanta, lo spopolamento, il tipico abbandono di molti luoghi dell’entroterra della Spagna dagli anni Ottanta e le inefficaci politiche rurali intraprese negli anni Novanta. Con l’inizio di questo millennio, il Cammino è testimone del progressivo invecchiamento della popolazione nonché della crisi dell’ambiente rurale, dei problemi ambientali derivati dal cambiamento climatico, gli incendi o la siccità, e della turisticizzazione di un itinerario che a volte può rasentare la saturazione. Sugli avatar storici e gli attuali problemi, anch’essi presenti nella mostra, nei secoli non ha mai smesso di fluire una costante marea umana che cammina fino a quel luogo fisico denominato Santiago, quel luogo mitico del tramonto del sole che conosciamo come Finisterre atlantico o quell’altro “luogo” che non appartiene alla geografia ma al desiderio dell’uomo di andare oltre nella conoscenza del mondo e di se stesso.


ITINERARIO DELLA CONOSCENZA: ANDARE OLTRE Questa brama di andare oltre ciò che è conosciuto e quest’ansia di conoscenza si sono riversate nella realtà storica della peregrinazione da molti luoghi d’Europa e del mondo fino a Santiago e Finisterre; hanno generato una miriade di manifestazioni esperienziali e culturali che spiegano, tra molti altri fenomeni artistici, la diffusione dell’arte romanica e gotica, la costruzioni di rifugi, ospedali, chiese o cattedrali e molte altre manifestazioni culturali meno materiali, come i contatti tra lingue, letterature, musiche, folclore, e un lungo eccetera, che si sono succedute nel corso dei secoli e sulle quali la nostra contemporaneità deposita oggi il proprio strato di immagini e conformazioni visuali che la mostra Molti cammini. Immagini contemporanee del Cammino di Santiago cerca di presentare. La peregrinazione, forma di esplorazione e ricerca solitamente realizzata camminando, fa parte di tutte le culture e le religioni. In tutte quante la peregrinazione non è soltanto una traslazione da un luogo all’altro, né un viaggio all’estero, e nemmeno una maniera di professare la fede in una religione, ma è piuttosto un’esperienza antropologica di conoscenza alla ricerca di saggezza, illuminazione, sapere e trascendenza. È per questo motivo che le vie di peregrinazione sono, inoltre e soprattutto, vie di diffusione della conoscenza. Il Cammino a Santiago o la Via Francigena a Roma, e tanti altri itinerari di peregrinazione come quello dei musulmani alla Mecca o quello degli ebrei a Gerusalemme, non sono semplici percorsi volti a raggiungere un luogo, che sia il finis terre atlantico o la Città Eterna, ma strade con un fine che va oltre quello della meta o dell’aspetto pratico. Pertanto, suddetti cammini non sono vie per andare da una parte all’altra, ma luoghi di transito pensati più per durare che per accorciare. Sono, perciò, più circonlocuzioni e perifrasi che scorciatoie, perché è in quell’estensione del tempo e dello spazio, in quel temporeggiamento, che l’esplorazione e la ricerca diventano possibili. Camminare come metafora della ricerca e cammino come metafora della conoscenza e della vita sono alla base del lavoro di Bruce Chatwin, il quale allude a una specie di geografia totemica che permette di trovare la strada in un paesaggio estraneo, sconosciuto e perfino ostile. La direzione e la rotta esteriore dei cammini di peregrinazione sono segnate in molti modi diversi (le frecce bianche con figure di pellegrini sulla Via Francigena, le frecce gialle del Cammino di Santiago introdotte da Elias Valiña negli anni Settanta e reiterate oggi in forma anonima e solidale da molte persone, i segni rossi e bianchi dei GR e, soprattutto, la sconfitta del sole nella sua traslazione a ovest), ma l’itinerario interiore è irrinunciabile e personale e coinvolge tutto il corpo. ITINERARIO INTERIORE: QUALCOSA IN PIÙ Senza dubbio l’esperienza del camminare è tattile: ha bisogno del tatto e del con-tatto come forma di conoscenza e di comprensione. Al di là delle forme scientifiche, razionali e logocentriche di intendere la conoscenza utilizzando la ragione, il cammino ci induce a un’esperienza diretta e non mediata, a una pratica personale nella quale sono coinvolti il corpo e i sensi, a un apprendimento che va oltre la logica e, in definitiva, a una prova in cui la pelle e il corpo accompagnano emotivamente e aiutano a spogliare la mente da ogni retorica intellettuale. In questo modo si annulla la scissione dicotomica tra oggettivo e soggettivo, tra apparente e essenziale, tra fenomenico e noumenico, tra la cosa e la cosa in sé, e tanti altri modi di definire la separazione tra corpo e spirito. Il pensiero moderno, con la sua cieca fiducia nella ragione, ha tagliato fuori ambiti di conoscenza ed esperienza che sfuggono o si situano oltre il logos e che non possiamo spiegare con la scienza. Di fatto, per esempio, le parole apofenia, ierofania e pareidolia cercano di avvicinarsi scientificamente a percezioni e fenomeni difficili da chiarire razionalmente. L’arte, come altre manifestazioni della cultura, cerca di avvicinarsi a ciò che è indicibile e innominabile dalla ragione e cerca

di trovare modi per, parafrasando la famosa opera di Bruce Nauman, rivelare verità mistiche. I lavori selezionati per questa mostra mettono sul tavolo la dialettica tra il progetto moderno ereditario della ragione e l’illuminismo, e le espressioni di misticismo, spiritualità o comportamento religioso popolare che comportano un’alterità rispetto a suddetto progetto. Se la ragione e il progresso dell’Illuminismo furono le fondamenta di una modernità occidentale, eurocentrista ed escludente, i riferimenti contrari possono aiutare a mettere le basi di nuovi parametri (ben oltre una “critica” alla costruzione della modernità) dai quali pensare la multiculturalità, l’eterogeneità, il sincretismo e la coesistenza delle “culture ibride” con le quali dalle “periferie culturali e politiche” stiamo ridisegnando la mappa contestuale di riferimento nei nostri giorni. Con questo non soltanto riusciamo a far “vedere” una realtà culturale, ma anche ad approfondire ciò che è “rivelato” attraverso la costruzione delle immagini e degli immaginari o, che è la stessa cosa, lo status stesso dell’immagine in una società che si muove nella “iconosfera” globale nella quale dobbiamo imparare a vedere certe particolarità che sfuggono al canone, a quanto stabilito o alla ragione. Molti cammini. Immagini contemporanee del Cammino di Santiago è, pertanto, un progetto che mostra e indaga le diverse maniere in cui le immagini sono state prodotte e utilizzate per organizzare la conoscenza di ciò che la ragione e la scienza non possono spiegare e attraverso le quali si dà forma all’esperienza di percezioni e sensazioni relative alla peregrinazione o al misticismo. Le configurazioni visive presenti in questa esposizione rivelano alcuni tentativi di visualizzare un certo tipo di conoscenza attraverso manifestazioni del sovrannaturale e descrizioni e avvicinamenti all’invisibile, l’inudibile o l’impercettibile che, pur essendo inafferrabile, è lì, a configurare l’esperienza del cammino. . Il già citato Chatwin in Le vie dei canti allude a queste esperienze. Affascinato da antiche pratiche di vagabondaggio errante, lo scrittore viaggiò in Australia per conoscere alcune esperienze e usanze degli aborigeni (estendibili ai nomadi camminanti in generale) e in questo libro annota riflessioni sulla curiosità insoddisfatta dell’umanità. A sua volta, nei Quaderni scritti tra il 1914 e il 1916, Wittgenstein segnala che la tendenza al misticismo proviene dalla mancata soddisfazione (unbefriedigkeit) dei nostri desideri da parte della scienza: “Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati”. Quella sete e insoddisfazione alla quale alludono entrambi i pensatori corrisponde alla ricerca di conoscenza e di esperienza dei mistici o, in un caso totalmente diverso, di intellettuali come Aldous Huxley, il quale nel suo saggio Moksha rende noto il potenziale di alcune droghe e stupefacenti per recuperare la sacralità in ciò che è umano, all’interno di un contesto chiaramente opposto al misticismo. Sia le sostanze che le tecniche, i riti o i cerimoniali cercano a livello esperienziale la conoscenza e l’illuminazione. Comunque sia, sono pratiche che cercano di sperimentare il soprannaturale, la divinità, la liberazione o il vuoto come è ben definito dal concetto buddista e induista del “nirvana” o il concetto giapponese “satori” che, significando comprensione, alludono all’illuminazione e all’esperienza ultraterrena. Questo contatto e conoscenza con qualcosa di sovrumano o divino di carattere gnostico è ciò che soggiace anche al concetto di “voce abismática (abissale)” di María Zambrano, che altro non è che un appello alla capacità della ragione poetica al fine di riscattare dal mutismo aspetti silenziati dal logos. Per quella “voce” è possibile soltanto un tipo di linguaggio, quello che diventa complesso e teso nelle mani di artisti per far sì che dica qualcosa in più che la mera enunciazione o descrizione del mondo. Un “qualcosa in più” o un “andare oltre” che, in definitiva, stanno alla base della conoscenza e dell’esperienza


STRUTTURA DELL’ESPOSIZIONE Queste idee sono presenti in Molti cammini. Immagini contemporanee del Cammino di Santiago attraverso le opere di 31 artisti. Mentre alcune provengono da collezioni di istituzioni culturali di autonomie, regioni e province attraversate dal Cammino, come per esempio il CDAN in Aragona, il MUSAC e l’ILC di León o il CGAC di Santiago de Compostela, altre sono state selezionate per il loro stretto legame con il Cammino. Tutte quante presentano varietà di supporti, sebbene predominino il video e la fotografia. L’esposizione struttura l’insieme di questioni relazionate al Cammino polisemicamente presenti nelle opere attorno a quattro grandi temi: il significato e la meta della peregrinazione, l’esperienza del camminare per “andare oltre”, il dialogo tra l’io e il mondo e infine i fatti che hanno segnato la storia del Cammino. Questi quattro temi generici si presentano sequenzialmente in ognuna delle sale espositive del pianoterra della RAER. Inoltre, per specifiche esigenze di installazione, alcune opere sono situate in diversi spazi del primo piano, come la sala conferenze, il Salone dei Ritratti o la biblioteca. Nella prima sala si presenta il tema del significato e della meta, il tramonto e la fine rappresentata da Compostela e Finisterre e da una serie di architetture (la maggior parte cattedrali, ma anche strade, ponti, scale, soglie di porte e fari) che scandiscono il Cammino e furono ideate per metterci spiritualmente in contatto con la conoscenza del “dove andiamo”. In questa sala ci sono le opere di Roland Fisher, Humberto Rivas, Peter Wüthrich, Xurxo Lobato, Roman Signer, Andrés Pinal e Vik Muniz. A queste va aggiunta l’installazione di Mariona Moncunill nella biblioteca nella quale sibillinamente mette in discussione il significato direzionale della peregrinazione e della sua “impossibile” meta. La seconda sala presenta una serie di opere che hanno in comune l’esperienza del camminare come mezzo o tecnica per la conoscenza, l’illuminazione o l’esperienza “dell’andare oltre”. Il cammino rappresentato da una tensione inesauribile verso il proseguire, il bastone che segue il ritmo dei piedi e alcuni riti comuni nella pratica religiosa che uniscono i “frati” e separano i “preti”, tra altri riferimenti, appaiono rappresentati dalle opere di José Val del Omar, Esther Ferrer, Rubén Grilo, Francisco Felipe e Pedro Garhel, alle quali vanno aggiunte le opere di Gabriel Díaz, nello Studio 2, e di Javier Codesal, al primo piano della RAER. Queste esperienze si completano con l’opera di Zoulikha Bouabdellah costituita da archi di diverse architetture, culture e religioni che, condividendo tale esperienza religiosa, divergono, si uniscono e allo stesso tempo separano. Il Cammino accumula una serie di esperienze dell’io con l’ambiente circostante o il contesto. Queste esperienze, nelle quali si fondono il micro e il macro o l’atavico e l’attuale e nelle quali l’io dialoga con il mondo, possono essere ammirate nelle opere di Enrique Carbó, Peyrotau & Sediles, Nina Rhode, Natividad Bermejo, Eugenio Ampudia e Mapi Rivera installate nella terza sala del piano terra, alle quali va aggiunto il film Viaje de novios di Javier Codesal proiettato al primo piano, e il collage sonoro di Francisco Felipe in cui si amalgamano registrazioni audio di diverse lingue e contesti sonori del Cammino installato nel Salone dei Ritratti del primo piano. Il Cammino percorre paesaggi, ma percorre anche la storia e le sue vicende. La quarta sala presenta una serie di opere relative a fatti storici che hanno segnato i paesaggi e le vite delle genti del Cammino (i disastri delle guerre e delle invasioni, i drammi della Guerra Civile e la repressione franchista) e che si sovrappongono ad altri fenomeni più recenti (l’abbandono della campagna verso la città, lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione e i problemi ambientali causati dal cambiamento climatico o dal turismo). Questa sezione ospita le opere di Gerardo Custance, Bleda y Rosa, Javier Ayarza, Jorge Barbi, José Luis Viñas e Rosendo Cid. Tutte le opere selezionate si avvicinano in maniera pluralistica a un fenomeno antropologico, religioso e culturale altrettanto plurale. La molteplicità degli sguardi, spesso ecumenici e sincretici, testimo-

niano l’attualità di una peregrinazione che si mantiene e si rinnova da secoli e che attraverso l’arte rivela alcuni tratti del Cammino, della sua esperienza, degli aspetti storici da esso attraversati e, soprattutto, dalle sfide attuali tra le quali spiccano, paradossalmente, la massificazione del turismo in alcune epoche dell’anno e lo spopolamento costante di ampie zone del territorio dell’entroterra della Penisola.


PIANO TERRA. SALA MOSTRE SALA A IL SIGNIFICATO E LA META DELLA PEREGRINAZIONE 1. Roland Fischer Saarbrücken, Germania, 1958 Vive e lavora a Monaco, Germania, e Pechino, Cina L’opera di Roland Fischer si inserisce in una tradizione di fotografi tedeschi eredi diretti dell’estetica concettuale di Bernd e Hilla Becher che riadatteranno il progetto originale della Nuova oggettività per adottare una particolare forma di affrontare il mondo. Con essi condivide interessi e principi concettuali affini: macchina fotografica di grande formato, estetica fredda, sguardo neutro e con una qualità di dettagli che mette in evidenza la sua preoccupazione formale per la sobrietà e la purezza del registro, soprattutto quando si tratta di architettura. Fischer ha mantenuto uno stretto legame con Santiago de Compostela. Questa fotografia corrisponde al suo progetto Camino, inaugurato nel CGAC nel 2003 e risultato di un viaggio lungo il Cammino di Santiago, durante il quale ha visitato i monumenti principali. Nella Settimana Santa del 2003 ha realizzato inoltre un ritratto collettivo di Compostela attraverso i volti di 1.050 pellegrini appena arrivati nella Plaza del Obradoiro. Nella fotografia sovrappone in una sola immagine l’apparenza esterna e la struttura interna, costruendo una visione complessa. Si tratta di un “ritratto architettonico”: lo sguardo penetrante si introduce nell’edificio, attraversa la facciata e intravede l’interno. Santiago de Compostela, 2003 Stampa C-Print Diasec. 240 x 168 cm Pilgrims, 2003 Stampa C-Print Diasec. 179 x 607 cm

Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

2. Vik Muniz

3. Andrés Pinal

4. Humberto Rivas

San Paolo, Brasile, 1961 Vive e lavora a New York, Stati Uniti, e Río de Janeiro, Brasile

Vigo, Spagna, 1969 Vive e lavora a Vigo

Buenos Aires, Argentina, 1937 - Barcellona, Spagna, 2009

Di rigorosa formazione accademica, Pinal ha studiato nella facoltà di Belle Arti di Pontevedra nel decennio dei ’90, dove poi è diventato maestro di laboratorio di fotografia. Ha cominciato producendo una fotografia un po’ surrealista incentrata nel corpo umano che poi ha sfociato verso un realismo, come nella serie dedicata ai fari della Galizia, in cui architetture e natura assumono un valore evocativo.

Humberto Rivas ha realizzato fondamentalmente ritratti e paesaggi con uno sguardo posato, osservatore, curioso e meticoloso che lo obbliga a studiare previamente i propri modelli perché ciò che persegue non è offrire un frammento di realtà quanto riprodurre l’avvicinamento tra occhio e oggetto ritratto, di modo che la fotografia si riceve come un processo di interiorizzazione, di dialogo e conoscenza. È per questo che il fotografo si addentra nella psicologia delle persone o nel carattere più autentico dei paesaggi e degli edifici.

Vik Muniz sviluppa un’opera a metà strada tra la realtà e la finzione realizzando fotografie che ingannano l’occhio e destabilizzano momentaneamente le nostre risposte percettive. L’artista prende icone visive del nostro passato e presente, nonché dall’iconografia della storia dell’arte, per ricostruirle con materiali come cioccolato, marmellata, filo, inchiostro, polvere, fildiferro o giocattoli, per poi fotografarle. Il risultato è un gioco mimetico della realtà attraverso il quale obbliga lo spettatore a riconsiderare ciò che vede o pensa, obbligandolo a contemplare le contraddizioni esistenti tra realtà e rappresentazione e l’originale e la copia. Le opere Catedral de León e Catedral de Burgos si inseriscono nella serie Pictures of Chocolate iniziata dall’artista nel 1997. In esse torna a sperimentare la percezione ottica del reale, usando il cioccolato come materiale per dare forma a due delle cattedrali più importanti del gotico ispanico. Entrambe, insieme all’opera Catedral de Santiago, sono state create dall’artista sulla base di un viaggio realizzato sul Cammino di Santiago nella primavera del 2003. Il Cammino spiega la diffusione dell’arte romanica e gotica, nonché la scienza e la letteratura del Medioevo. Il fatto di scegliere il cioccolato per rappresentare le icone delle cattedrali del Cammino ci colloca a metà strada tra il fascino per il piacere o la scatologia e ci obbliga a riconsiderare i nostri criteri di calore e di percezione dello sguardo. Catedral de Burgos, 2003 Fotografia a colori. 128 x 128 cm Catedral de León, 2003 Della serie Pictures of Chocolate Fotografia a colori. 167 x 128 cm

Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

Con il suo furgoncino Pinal ha percorso la costa della Galizia tra il 2004 e il 2006 con un obiettivo concreto: registrare fotograficamente i fari principali che, attraverso rotte e carte nautiche, punteggiano il profilo delle coste del nordovest della penisola. Da Ribadeo, al confine con le Asturie, fino alla città di A Guarda, già sulla frontiera con il Portogallo, il percorso lo ha portato da un luogo all’altro, e così ha raccolto le diverse tipologie architettoniche dei fari (una serie sconvolgente di fotografie in bianco e nero su carta baritata, con quel calore sentimentale delle tecniche analogiche e processi manuali da laboratorio) che guardano l’orizzonte dell’Atlantico dove si suppone finiscano i cammini di Santiago. Di quella serie abbiamo scelto il faro di Finisterre che è per i pellegrini un riferimento importante quanto Santiago. Sulla sua scogliera, tra le rocce di granito e le piante di empreñadeira o herba de namorar (Armeria maritima), molti di loro gettano nel mare occidentale, dove tramonta il sole, i bastoni che li hanno accompagnati durante il Cammino. Cabo Fisterra, 2003 Della serie Faros Fotografia B/N su carta baritata lucida Ilford. 136,5 x 134,5 cm

Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

Per questo motivo risulta molto significativo il modo in cui Rivas affronta una città così segnata dalla presenza dal pesante e grigio granito: si riversa negli angoli, nei frammenti di scala in cui si indovina l’insieme, e ritorna a quei grigi densi, intensi, fisici, che gli permettono di marcare l’intensità in un dettaglio appena percettibile al primo sguardo. Scale, soglie, porte o ponti si ripetono nella serie di immagini che ha prodotto a Santiago come metafore “spirituali” di un luogo che affida l’esperienza del pellegrinaggio alla città che continua poi verso Finisterre attraverso Ponte Maceira, il cui ponte è rientrato nella serie di foto della città e che è presente in questa mostra. Santiago de Compostela, 1999 Fotografia B/N. 58,5 x 67,7 cm Santiago de Compostela, 1999 Fotografia B/N. 44 x 67,7 cm Ponte Maceira, 1999 Fotografia B/N. 44 x 67,7 cm

Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea


5. Roman Signer Appenzello, Svizzera, 1938 Vive e lavora a St. Gallen, Svizzera Roman Signer lavora con gli elementi primordiali, l’acqua, l’aria e il fuoco, forze scultoree che danno forma ai suoi progetti. Utilizzando le sue conoscenze scientifiche e tecniche analizza il flusso dell’energia, l’interazione dei fenomeni naturali come le correnti d’acqua, la gravità o le gocce di pioggia, produce le sue opere – sempre intriganti, assurde ed esplosive – piene di un senso dell’umorismo a volte perverso. Durante la sua mostra personale nel CGAC nel 2006 l’artista ha prodotto due nuove opere, una delle quali è stata Á chuvia / Im Regen legata a uno degli edifici più significativi della città quali la Cattedrale o, più concretamente, i suoi tetti di pietra ai quali generalmente la maggior parte delle persone non ha accesso.

Á chuvia / Im Regen è un video che documenta l’azione realizzata il 17 gennaio dall’artista che passeggia sui tetti della Cattedrale di Santiago – che sembrano quasi una montagna perché sono di pietra e su di essi cresce molta erba e perfino arbusti a causa della caratteristica umidità della Galizia – con un ombrello girevole per ripararsi dal clima invernale. La forza di gravità che attrae le gocce di pioggia a terra viene modificata dalla forza centrifuga della rotazione dell’ombrello, facendo sì che il corpo dell’artista rimanga più riparato dal clima piovoso e umido del mese di gennaio. Inspirato al viavai dei pellegrini che visitano la città e considerando i tetti della Cattedrale come una grande montagna artificiale, l’artista realizza una passeggiata analoga al camminare dei pellegrini sotto le intemperie invernali. Á chuvia / Im Regen, 2006 Video, colore e audio. 3’43’’ Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

6. Xurxo Lobato A Coruña, Spagna, 1956 Vive e lavora nella città di A Coruña

Xurxo Lobato è uno dei fotografi più prestigiosi della Galizia sia nell’ambito creativo che in quello documentaristico e fotogiornalistico e, probabilmente, colui che più si è avvicinato con la sua opera al Cammino di Santiago. Nella sua estesa produzione ci sono dei temi ricorrenti, una riflessione sullo scorrere del tempo, un’insidiosa attenzione ai cambiamenti sociologici e una ricerca sull’identità galiziana, tra gli altri. La sua è una visione poliedrica del Cammino di Santiago, l’itinerario percorso dai pellegrini provenienti da tutta la Spagna e da tutta l’Europa per arrivare alla città di Santiago de Compostela della quale, nell’ambito del genere del reportage fotografico di viaggi, Lobato include paesaggi, aneddoti, costumi, segnali e tracce delle esperienze. Ha indagato il cammino da molteplici punti di vista, compreso quello aereo. In questa mostra non includiamo le sue fotografie più conosciute della quotidianità del Cammino, bensì quelle che ne mostrano gli aspetti storici, come le cattedrali di Ourense e Lugo.

Catedral de Ourense, 2010 Fotografia a colori. 143,5 x 94 cm Catedral de Lugo, 2010 Fotografia a colori. 143,5 x 94 cm Collezione Diputación de León - ILC, Instituto Leonés de Cultura

7. Peter Wüthrich Berna, Svizzera, 1962 Vive e lavora a Berna L’artista esplora molto spesso nella sua opera il libro da una prospettiva concretista, vale a dire, lavorando il libro come un oggetto nell’ambiente che possiede caratteristiche materiali e formali specifiche. Come artista cresciuto tra gli echi dell’arte minimale, è da supporre che la sua scelta abbia avuto una buona dose di senso ludico di fronte alla rigidità dei principi di molti accoliti del minimalismo. Wüthrich mostra una stupefacente varietà di soluzioni, avvalendosi sempre dell’elemento libro ma sapendo trarne in ogni momento qualità diverse. Senza dubbio le sue soluzioni più spettacolari sono i Literarische Modelle (Modelli letterari), una sorta di costruzioni monumentali in cui i libri sostituiscono

i mattoni: costruzioni solide, opache, di grosso volume, che crescono come le architetture tradizionali, diventando lentamente sempre più alte. Spesso, dalle opere e installazioni a parete fino alle fotografie e ai film, Wüthrich esplora i libri. Facendolo, l’artista vede i suoi libri più che altro come personalità, vale a dire come esseri che sono più che semplici oggetti fisici, esseri che contengono un qualcosa che permette loro di guardare in autonomia e, di conseguenza, esseri aperti a una trasformazione in un’altra forma di realtà. Come pannelli individuali monocromi sulla parete, i libri si convertono in allusioni alla pittura monocromatica; quando vengono messi sul pavimento, si trasformano in campi inaccessibili di colore o in stratificazioni cuboidi o di parete. Il significato di libertà dei libri trova il suo culmine nelle fotografie dell’artista: si chinano e si acquattano tra gli alberi o ai bordi delle passerelle, copulano teneramente nel verde sottobosco o galleggiano liberi e indipendenti nell’estensione azzurro chiaro del cielo. Ognuna di queste opere si fonda su un anelito profondo di non prendere il mondo semplicemente per il suo valore nominale, ma piuttosto di convertirlo nell’oggetto di un’immaginazione trasformatrice, dentro la quale le cose diventano illustrazioni di loro stesse e, soprattutto, altre cose che hanno un enorme potenziale trasformatore. Dal suo punto di vista, l’immaginazione ha un enorme potere di trasformazione della rada realtà.

Los ángeles de Santiago, 2003 Installazione. Fotografia a colori 15 elementi. 33 x 22 cm cad. Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

SALA B L’ESPERIENZA DEL CAMMINARE PER “ANDARE OLTRE” 8. Rubén Grilo Lugo, Spagna, 1981 Vive e lavora a Berlino, Germania Rubén Grilo ha cominciato il suo lavoro segnato sia da Internet che dal recupero dei principi dell’arte concettuale degli anni ‘60 e ’70 e tutti i concetti associati al concettuale storico: imma-

terialità, processi, azioni, anticonformismo, etc. Nei suoi ultimi lavori, al di là di quei riferimenti relativi al concettuale, riflette su come intendiamo l’originalità nell’arte e l’obsolescenza del concetto di soggettività. I processi industriali e il loro attrito con la natura e la realtà sono tra i temi che affronta nella sua produzione artistica. L’opera Victor’s, Marta’s, Marcia’s, Lorenzo’s, Inga’s, Han’s, Gillian’s and Brandon’s è stata prodotta per la mostra Solo nella galleria Nogueras Blanchard a Madrid nel 2016. In essa troviamo una serie di fagotti precari insieme a bastoni che ricordano quelli da cammino. Di fatto, riportano alla mente lo scarso equipaggiamento dei pellegrini del Cammino. L’opera posa direttamente a terra e in un modo apparentemente casuale, e ciò ricorda ancora di più la precarietà di un istante di riposo.

Victor’s, Marta’s, Marcia’s, Lorenzo’s, Inga’s, Han’s, Gillian’s and Brandon’s, 2016 Resina verniciata, repliche di bastoni da pellegrino, tessuto sublimato, fagotti, cinghie di nylon, attrezzi, barra filettata e paglia Dimensioni varie Cortesia della galeria NoguerasBlanchard

9. Pedro Garhel Puerto de la Cruz, Spagna, 1952 - La Guancha, Spagna, 2005 Pedro Garhel, artista poliedrico e multidisciplinare, è uno dei pionieri nel campo dell’arte elettronica e interattiva. Inizia nell’ambito della performance a metà degli anni ’70 e continua a lavorarci fondando l’Espacio “P” a Madrid tra il 1981 e il 1997, e il gruppo di azione Déposito Dental insieme a Rosa Galindo. Il suo lavoro è stato fondamentale nella normalizzazione dell’arte di azione e la sua attuazione come base delle esperienze autogestite, nello sviluppo della videoarte e nell’applicazione delle nuove tecnologie alla pratica artistica durante gli anni ’80 in Spagna. L’opera multimediale Lumen Glorie realizzata all’imbrunire nel chiostro della Cattedrale di León – una delle cattedrali più importanti che contraddistinguono il Cammino – include l’azione, la musica e la realtà virtuale per captare le


energie sottili esistenti in questo ambiente sacro e trasformare il chiostro con i piani di informazione materiale e immateriale dell’opera in uno spazio risonante. Alla fine dell’opera effettua un nuovo percorso virtuale dello spazio della cattedrale in cui si situano tutti i codici dell’immaginario delle conosciute vetrate leonesi, trasformando così il muro di pietra in un’immagine transitabile.

Lumen Glorie, 1995 Video, colore e audio. 10’ 05’’ Cortesia di HAMACA

10. Sophie Whettnall Bruxelles, Belgio, 1973 Vive e lavora a Bruxelles. Sophie Whettnall, la cui pratica artistica comprende la fotografia, il video, l’esplorazione processuale e l’installazione specifica, ha cominciato la sua carriera come pittrice. Alla fine ha abbandonato la pittura per una ragione pratica: voleva muoversi. Abbandonando i confini dello studio, Whetnnall si è preparata ad affrontare il mondo. Nonostante l’artista lavori spesso con il video, il suo lavoro ritorna con frequenza al paesaggio e all’autoritratto, temi tradizionalmente legati alla pittura. Spesso, Whetnnall esplora il rapporto del corpo con l’ambiente e, di conseguenza, il video si trasforma in uno spazio performativo. L’opera selezionata per questa mostra è stata prodotta per il progetto collettivo A Viaxe. Outrasperegrinacións prodotta per il CGAC e il Museo das Peregrinacións di Santiago nel 2007. Il titolo è molto esplicito e suggerisce temi legati all’esplorazione e all’ostinazione, allo sforzo per il quale il corpo entra in contatto con l’ambiente, e a una certa idea di trascendenza: fino alla fine, fino alla fine del mondo. Per tre giorni ha camminato da Santiago a Finisterre dove simbolicamente si trova la fine del Cammino e la fine del mondo, entrambe metaforicamente connesse. Ha realizzato il viaggio con i tacchi, cosa che per una donna aumenta le difficoltà della già difficoltosa impresa di camminare in spazi non urbanizzati, fino ad arrivare all’oceano, al mare aperto, a uno spazio di liberazione. Nelle parole dell’artista: “Durante il Cammino ho sperimen-

tato per la prima volta una coerenza tale tra me stessa e il mondo esteriore che era come se vivere e camminare fossero la misura perfetta, la sensazione esatta tra me stessa e il mondo attorno a me”.

Hasta el fin del mundo, 2007 Video installazione bicanale, audio. 10’ 00’’ Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

11. José Val del Omar Granada, Spagna, 1904 - Madrid, Spagna, 1982 È stato uno dei cineasti spagnoli più particolari, che è riuscito a mutare la scienza in mistica e illuminazione e che ha esplicitato con la sigla PLAT – che equivale al concetto totalizzatore di Picto-Lumínica-Audio-Táctil – che comprende lo “straripamento apanoramico dell’immagine” fuori dai limiti dello schermo e il concetto di “visione tattile”. Suddette tecniche, e quelle del “suono diafonico” e altre esplorazioni nel campo sonoro, le avrebbe applicate nel suo Tríptico Elemental de España, iniziato nel 1952 e concluso soltanto postumo grazie al lavoro di Javier Codesal. Il progetto nasce nella tappa finale della sua vita e mira a realizzare una trilogia con i suoi tre “elementari” Agua espejo granadino (1955), Fuego en Castilla (1960) e Acariño galaico (1961). Il nesso della trilogia, filmata in spazi e tempi diversi, è stabilito da un prologo che, con il titolo di Ojalá (1980), esplicita le chiavi con le quali deve essere letto l’insieme: secondo l’artista l’opera è stata concepita come una diagonale che attraversa la Spagna, da Occidente a Oriente, ispirata alla corrispondenza simbolica degli elementi della terra (o l’aria, stando ad altre interpretazioni), del fuoco e dell’acqua con altrettante zone o regioni di Spagna: Galizia, Castiglia e Andalusia (nello specifico la sua Granada natale). Nelle parole della ricercatrice Almudena Escobar: “Acariño galaico è, delle tre, la meno complicata tecnicamente e anche quella che ha avuto un processo più lungo, giacché è stata terminata postuma nel 1993 da Javier Codesal per la Filmoteca di Andalusia. Val del Omar era interessato all’inizio a rappresentare l’aria della Galizia, ma finisce con lo scegliere il fango dopo

aver conosciuto lo scultore galiziano Arturo Baltar. L’anima oscura e magica della Galizia rimane incapsulata in una combinazione di immagini al negativo che osservano l’imponente qualità di pietra dei monumenti galiziani, le sue danze, i suoi luoghi più reconditi e i suoi paesaggi di pietra e fango. Un’immagine primigenia di ciò che è tellurico che si completa con le sculture di fango di Baltar e lo stesso scultore ricoperto di fango come se si trasformasse in una di esse”.

A cariño galaico (De barro), 1961-1995 Video, colore e audio. 24’ Collezione MNCARS, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía Cortesia dell’Archivio José Val del Omar

12. Esther Ferrer

to e hanno intrapreso cammini diversi, per le vie Rua vieja, Marqués de San Nicolás, Herrerías e San Bartolomé, per ritrovarsi infine in calle Portales, tra la Biblioteca e il Museo de La Rioja. Inspirata ai versi di Antonio Machado “Caminante, no hay camino,/se hace camino al andar” [Viandante non c’è via, | la via si fa con l’andare], l’opera segna un cammino che incidentalmente coincide con il Cammino di Santiago. Né invitato né respinto, un pubblico spontaneo incrocia l’artista e/o i performer che, letteralmente, lasciano la traccia del cammino che percorrono. In realtà, le quattro persone camminano sulla linea bianca che disegnano man mano, una linea che indica da dove vengono ma non dove stanno andando.

Se hace camino al andar, 28 marzo 2015 (Logroño) Fotografie e video documentario della performance

San Sebastián, Spagna, 1937 Vive e lavora a Parigi, Francia

Cortesia dell’artista e di Susana Baldor

All’inizio degli anni ’60 crea, insieme al pittore José Antonio Sistiago, il primo Taller de Libre Expresión, germe di molte altre attività parallele, tra cui una Scuola sperimentale a Elorrio (Biscaglia). Inoltre, alla fine di quel decennio, entra a far parte del gruppo ZAJ creato da Walter Marchetti, Ramón Barce e Juan Hidalgo. A partire dalla metà degli anni ’70 riprende l’attività plastica con fotografie lavorate, installazioni, quadri basati sulla serie di numeri primi, oggetti, etc. Considerata una delle pioniere dell’arte concettuale in Spagna, Ferrer mostra sin dalle sue prime opere un profondo impegno sociale e politico che traduce principalmente in azioni e performance in cui introduce concetti come la mutabilità, il tempo, la ripetizione, l’infinito, lo spazio o la presenza umana.

13. Francisco Felipe

La perfomance è stata una costante nella sua opera che possiede un carattere processuale e incompleto. Una di esse, El camino se hace al andar, è stata realizzata in diverse occasioni e in questa mostra presentiamo la documentazione dell’azione svolta a Logroño durante il progetto Mujeres en el Arte en la Rioja nel 2015. Partendo dal ponte di Pietra di Logroño alle 12.30 si è concluso, dopo un quadruplo itinerario nel centro storico, nella piazza San Agustín. Insieme a Ferrer, tre performer sono partiti dallo stesso pun-

Palencia, Spagna, 1961 Vive e lavora tra Madrid e El Escorial Francisco Felipe è noto nel regno dell’arte per le sue performance e installazioni in relazione all’ambito della natura e del paesaggio, sebbene abbia lavorato intensamente anche nel campo della poesia visiva, le edizioni speciali d’artista e, soprattutto, l’arte sonora. Inizialmente autodidatta, successivamente si è diplomato in scultura presso l’Accademia d’Arte di Düsseldorf. Il suo intenso rapporto con la natura lo ha portato a esplorarla in molteplici dimensioni, dall’intervento scientifico, la conservazione dell’ambiente, la ricerca storica e l’esplorazione di aspetti mistici relativi alle piante (e alle loro proprietà fisiche, storiche, religiose e simboliche) e i flussi energetici della natura. Nella mostra Muchos Caminos Felipe presenta un’installazione sonora intitolata Il Camino e 5 paletti o bastoni con cui ha realizzato diverse camminate, incluso il Cammino di Santiago. Il Bastón de peregrino, Camino de Santiago con il quale ha fatto il Cammino di Santiago l’ultima volta ha la caratteristica zucca del pellegrino e la conchiglia concha de vieira (anticamente servivano per bere e mangiare) legate con una cor-


da. Il bastone è stato raccolto in un boschetto di agrifogli e bossi all’uscita di Roncisvalle (entrata del Cammino francese in Spagna) in cui avevano appena tagliato dei rami, e con esso è arrivato non soltanto fino a Santiago, ma anche fino a Finisterre e Muxía davanti all’Atlantico dove si suppone finisca il Cammino.

Muerte de la Taiga è un bastone di ontano della penisola della Kamchatka che l’artista raccolse in un bosco mentre saliva sul vulcano attivo Avachinsky nell’ottobre del 1992 che aveva cominciato a eruttare poco prima, cosa che ostacolò l’ascesa tra rocce di lava, fumarole, esalazioni da fessure e stagni di zolfo. Nel volo di ritorno a Mosca non gli fu permesso portare il bastone, e così lo spezzò in due parti che sono state poi “bendate” insieme con una pasta a base di cellulosa di eucalipto per riformare nuovamente il bastone che non funge più da sostegno perché si romperebbe. È per questo che, oltre a essere testimone dell’ascesa al vulcano, è anche un’allegoria della distruzione attuale dei processi tradizionali di ricerca di conoscenza. Ha partecipato alla campagna di World Wide Funds for Nature and Survival, a sostegno delle tigri siberiane e i leopardi delle nevi, a rischio di estinzione, e dei popoli nomadi della Siberia orientale, minacciati da un progetto di abbattimento massiccio di alberi della taiga siberiana di Ussuri da parte dell’impresa coreana Hyundai per la produzione di pasta di legno. Il bastone che segue da cammino incluso in questa mostra è un bastone di nocciolo tostato (l’albero della conoscenza nelle mitologie celtiche) che ha fatto parte dell’installazione Tras el Volcán esposta nel Palazzo delle Arti in Lituania, a Vilnius, nel 1992, e successivamente a Ballhaus Düsseldorf. Il bastone Don del Día è costruito con un ramo di roble melojo (Quercia dei Pirenei) del ruscello della Angostura, attualmente nel Parco Nazionale della Sierra de Guadarrama; è tostato e completato da una punta conica di acciaio e nell’impugnatura ha una lamina d’oro a 24 carati. Quest’opera è complementare a Don de la Noche, che si abbina a Don del día. È un bastone di legno di betulla della “terra di nessuno” tra la Lituania e Kaliningrad nella Penisola di Neringa, sul Baltico, un parco nazionale di dune mobili che seppelliscono boschi di querce e

betulle. Lì l’artista ha realizzato diverse opere dal 1991. Durante il processo di rivendicazione di indipendenza nella primavera di quell’anno la situazione era di estrema violenza. Nell’ultima notte trascorsa nel luogo Felipe ha seguito la pista erratica di un alce nelle dune. La luna piena è rimasta coperta da una fitta nebbia e quando si è diradata l’artista si è ritrovato oltre la frontiera, in una duna che seppelliva una giovane betulla dalla quale ha staccato un ramo con cui ha fatto il bastone. Le estremità hanno lamine d’argento, che esposto alla luce si è ricoperto di una patina scura. L’ultima opera presentata da Felipe è l’installazione sonora El Camino. Si tratta di un collage sonoro di registrazioni raccolte nel Cammino di Santiago. È una serie di micropaesaggi sonori e situazioni casuali e fortuite montate in maniera discorsiva perché hanno una struttura narrativa, sebbene contemporanea, con salti temporali e citazioni come se fosse una Hörspiel. È un’opera di impressioni e dal carattere sincretico che non rimanda necessariamente a un sistema religioso concreto. Nelle parole dell’artista: “I primi 4 minuti sono dedicati alla messa dei pellegrini nella cattedrale di Bayona e all’ascesa dei Pirenei passando per l’antica sorgente di Roldán, seguiti dal canto gregoriano dal minuto 5.09 al 5.46 di un monaco di Silos, la seconda voce del coro gregoriano che ho conosciuto facendo il cammino da Navarra e che aveva appena lasciato il monastero per continuare il Cammino e andare a rifondare con altri monaci del vecchio monastero mozarabico di eremiti di Santiago de Peñalba, nella Valle del Silencio. L’ho registrato in una cripta gotica del Cammino, sdraiato a terra mentre cantava un canto gregoriano a una sola voce. Più avanti appaiono i canti delle calandre e dei grilli, insieme all’antico ruscello di Lavacolla, fuori dalla recinzione dell’attuale aeroporto. E prima del monte do Gozo ho registrato Jacques, un vecchio pastore basco dei Pirenei francesi che aveva già fatto il Cammino una ventina di volte; un’istituzione nell’itinerario, che dorme sempre all’aperto. Ho camminato con lui fino a Cacabelos, dove sotto il ponte gotico abbiamo dormito con il suo cane pastore, e poi ci siamo rincontrati a Lavacolla, mentre si lavava tra crescioni e trote prima di entrare a Santiago, come gli antichi pellegrini. Anche nell’installazione sonora appare la messa dei pellegrini della Cattedrale di Santiago e, in sot-

tofondo, il botafumeiro a Santiago, i gabbiani vicino al vecchio cimitero sincretico di Noia e il faro, che ha ancora una lamiera vibratoria con elettromagneti, e le onde di Finisterre. Il colpo di bastone o bordone, che si sente insieme ai miei passi durante tutta l’opera facendo da colonna sonora o da bordone, è lo stesso bastone di agrifoglio incluso in questa mostra”. L’installazione sonora, nonostante gli evidenti materiali sonori di origine cattolica, non è attribuita a nessun sistema religioso concreto ma mira a essere un lavoro sulla ricerca e la spiritualità in un senso più ampio e indefinito, personale e non limitante. È stato commissionato dal Centro para la Difusión de la Música Contemporánea Española, CDMC, dal Ministerio de Cultura, prodotta nel LIEM, Laboratorio de Informática y Electrónica Musical del Ministerio de Cultura, ed è stata inaugurata nel Festival de Música Contemporánea di Alicante.

Bastón de peregrino, Camino de Santiago, 1997 Ramo di agrifoglio di Roncisvalle, zucca del pellegrino, tappo di sughero, conchiglia della capasanta, corda di canapa Dimensioni varie Muerte en la Taiga, 1992 Ramo di ontano della Kamchatka, foglia d’oro 24 carati, pasta di polpa di cellulosa 125 cm x ø 4 cm Bastón di nocciolo dell’installazione Tras el Volcán, 1993 Rama di noche bruciato 170 cm x ø 4 cm

Don del Día, 1991 Ramo di quercia dei Pirinei del ruscello di Arroyo de la Angostura, Sierra de Guadarrama tostato e foglia d’oro 24 carati, acciaio patinato 141 cm x ø 4 cm Don de la Noche, 1991 Ramo di betulla del Baltico, foglia d’argento, filo di lino 113 x ø 3 cm Cortesia dell’artista

SALA C IL DIALOGO TRA L’IO E IL MONDO 14. Peyrotau & Sediles Aránzazu Peyrotau (Barcellona, 1975) e Antonio Sediles (Saragozza, 1975) Vivono e lavorano a Saragozza, Spagna Peyrotau & Sediles usano diversi linguaggi come la fotografia, il video o l’installazione per costruire un discorso personale avviatosi, nella maggior parte dei casi, attorno al concetto di identità, con riferimenti alla cultura urbana, i movimenti underground e la musica. L’esplorazione dell’elemento umano e la connessione tra l’estetica e la generazione di emozioni è presente in tutti i loro lavori. Negli ultimi tempi lavorano in squadra alla ricerca di un’immagine visiva energetica e proteica, e a tale scopo elaborano un’immagine potente e ambigua che può essere osservata da diversi punti di vista. Le immagini incluse nella mostra sono state prodotte per la mostra Cuaderno de viaje che voleva sondare la visione contemporanea del Cammino di Santiago in Aragona in occasione dell’Anno giacobeo 2004. Gli artisti hanno percorso un tratto dell’itinerario tra Somport e Urdués de Lerda, mettendo insieme delle opere che sintetizzano una serie di sguardi e suggerimenti che rendono attuale il percorso storico fino a dare una visione personale di ciò che è e comporta il Cammino, intendendo l’idea del viaggio come strumento di conoscenza ed esperienza vitale.

El camino de las estrellas, 2005 7 fotografie a colori. 22,5 x 31 cm cad. Cortesia degli artisti e del Gobierno de Aragón

15. Mapi Rivera Huesca, Spagna, 1976 Vive e lavora a Barcellona Sin dall’inizio della sua traiettoria, la lettura di testi mistici di diverse tradizioni (cristiana, sufi, cabalistica e brahmanica) è stata la sua fonte di ispirazione. Il disegno, la poesia, il video e la fotografia sono i suoi mezzi d’espressione abituali. La recente applicazione delle risorse digitali le


ha aperto nuove possibilità e si sono trasformate in uno strumento molto utile per poter svelare ciò che è apparentemente invisibile. Ma, innanzitutto, usa la fotografia per far scaturire una percezione intima, esaltata e gioiosa della realtà. I lavori scelti riportano alla mente la sua serie intitolata Hálitos in cui esplora una sorta di epifania dell’immagine, o il modo in cui l’immagine è capace di parlare di questioni relative al misticismo che è presente in tutto il lavoro dell’artista. Sul rapporto tra fisico e metafisico Rivera dice: “Il mio proposito è che entrambe le realtà si fondano in una sola. Ho imparato a trascendere dalla fisicità con la preghiera, l’immaginazione, la creazione... non significa accantonarla, bensì abbracciarla, giacché è l’unico sostegno che abbiamo. Credo che si debba trapassarla per poi ritornarci con tutto l’amore e la coscienza che ci dà lo spirito. Con i processi artistici succede qualcosa di simile. Immagini un’idea, la vedi, ne senti la forza e il significato, ma finché non le dai forma con parole o immagini non la materializzi e non la puoi condividere. La creazione, per come la vivo io, mi permette di dare corpo allo spirito”.

NUA (serie V), 2004 Fotografia analogica 5 fotografie, 100 x 100 cm. cad. Cortesia dell’artista

16. Enrique Carbó Saragozza, Spagna, 1950 Attualmente vive tra Barcellona e Huesca Professore di fotografia nella facoltà di Belle Arti dell’Università di Barcellona, Carbó ha trasformato le montagne dei Pirenei nel proprio studio e tutta la sua carriera è contraddistinta da un costante anelito ad approfondire i legami tra paesaggio e cultura, al di là delle rappresentazioni romantiche, idealizzate ed estetizzate del turismo. Le sue fotografie dei Pirenei vogliono essere una sorta di avvicinamento al territorio e nascono da un processo lento e curato in cui lo sguardo si sofferma fino ad arrivare praticamente all’ascesi. Da questa profonda contemplazione e continua

riflessione sull’ambiente ottiene immagini molto sintetiche di grande intensità evocatrice. Una delle idee principali che percorrono il lavoro di Carbó è l’attenzione rivolta a determinati eventi naturali che potrebbero essere oggetto d’interesse anche di una disciplina come l’Archeologia del paesaggio preistorico, e che ci si presentano come sculture impressionanti, segni nel territorio, monumenti, megaliti o manifestazioni di forze che vanno al di là dell’umano. Queste pietre impressionanti ci ricordano lo scorrere del tempo o perfino un’altra dimensione del tempo al di là del precario tempo umano. Un “al di là” o una “altra dimensione” che in natura va incontro ai camminanti quando attraversano i Pirenei lungo il Cammino dalla Francia a Santiago.

Nocturno 1 en Causiat, 2000-2015 Gelatina al clorobromuro d’argento su carta 154 x 124,6 cm Cortesia dell’artista

17. Eugenio Ampudia Melgar, Valladolid, Spagna, 1958 Vive e lavora a Madrid Secondo quanto afferma l’artista, il suo lavoro “indaga con un atteggiamento critico i processi artistici, l’artista come gestore di idee, il ruolo politico dei creatori, il significato dell’opera d’arte, le strategie che permettono di metterla in piedi, i suoi meccanismi di produzione, promozione e consumo, l’efficacia degli spazi assegnati all’arte, nonché l’analisi e l’esperienza di chi la contempla e la interpreta”. Lavora nel campo della scultura, il video o la performance, ma è nelle installazioni che realizza con intensità le sue produzioni artistiche. Nel suo lavoro si combinano ironia e senso dell’umorismo dietro i quali si trova una ricerca sulla realtà. L’opera selezionata per la mostra, Nubes de memoria (Nuvole di memoria), nasce dalla documentazione dell’azione svolta nella cornice della mostra ArsItinere organizzata per l’Anno giacobeo 2010. Sette nuvole di elio e PVC sono state trasportate lungo il Cammino di Santiago. In esse, una chiavetta USB conteneva immagini di sette musei spagnoli proiettate poi all’arrivo alla meta a Santiago de Compostela. Questo

pellegrinaggio o viaggio ha dovuto far fronte allo sforzo e alle vicissitudini dell’atto del trasportare le nuvole camminando. Inoltre, quest’opera mette in luce un’altra delle caratteristiche di ogni pellegrinaggio: l’esperienza e la memoria perdurano, ma cambiano e si modellano perché, secondo quanto afferma l’artista, “come le nuvole, il cammino trasforma l’atto di viaggiare”.

Nubes de memoria, 2010 Video monocanale, colore y audio. 3’ 20’’ Cortesia dell’artista e la galeria Max Estrella

18. Natividad Bermejo Logroño, Spagna, 1961 Vive e lavora a Pontevedra, Spagna Il lavoro di Natividad Bermejo è frutto di una ricerca sulle diverse dicotomie che costantemente popolano l’insieme della sua opera. Sebbene l’artista abbia sperimentato altri formati come la scultura – della cui disciplina è docente – l’installazione o la fotografia, il disegno è il suo mezzo di espressione per eccellenza, dimostrando un’incredibile maestria tecnica di grande realismo, e risaltando le qualità del colore nero a livello estetico, tecnico e concettuale. Sono rappresentazioni fondamentalmente descrittive, in cui gli oggetti assumono una categoria di monumentalità, attraverso la scrupolosità per il dettaglio e l’interesse per le diverse consistenze, e che si traduce in un autentico diletto per il processo di costruzione formale. Nella sua opera prevale la concezione magica della realtà e una possibile relazione tra macrocosmi e microcosmi, come si può vedere in questo trittico in cui analizza il concetto di “scala” come elemento definitorio, a livello sia fisico che metafisico, di gran parte della sua produzione. A tale scopo, l’artista adotta diverse prospettive partendo da un’oggettività quasi scientifica, emulando, proprio per le sue caratteristiche, la fotografica microscopica e telescopica – in questo costante gioco tra il “macro” e il “micro” – fino ad arrivare a un’esplorazione delle qualità metafisiche e spirituali di tutto ciò che ci circonda, dal più piccolo al più grande, dal più vicino al più lontano.

Las Estrellas de la Tierra / Firmamento-Papilo Peranthus / Halley, 2006 Trittico, guazzo, grafite e pastello su carta 136 x 556 cm [136 x 210 cm, 136 x 210 cm, 136 x 136 cm cad.] Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

19. Nina Rhode Düsseldorf, Germania, 1971 Vive e lavora a Berlino, Germania Nina Rhode sembra essere interessata al gioco utopico dell’infinità. Con il nome di Ninja Pleasure fa parte del gruppo Honey-Suckle Company, e collabora anche con il musicista Gonzales. Mentre studiava, fu una delle studentesse portate dall’artista Rebecca Horn a compiere il Cammino di Santiago, al fine di realizzare un’opera ispirata all’esperienza, mentre preparava la sua mostra personale al CGAC nel 2000. Durante questo pellegrinaggio verso Santiago ha cucito le sue impressioni su un vestito fatto da lei. Questo vestito è un abito di Santiago con i colori del cerchio cromatico. Dall’inizio del maggio 2000, tredici studenti della Scuola di Belle Arti di Berlino hanno percorso diversi itinerari di pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Si preparavano da mesi a questo pellegrinaggio iniziatico, e ognuno di loro ha scelto, e sviluppato, un concetto della propria opera artistica per poter così vivere l’esperienza fisica e spirituale del Cammino e l’arrivo a Santiago. L’opera prodotta da Rhode è una specie di diario che si inscrive in un vestito, uno dei pochi beni che i pellegrini possono portarsi dietro, dato che non possono caricare molto peso (l’arte su tessuto per questo è molto caratteristica dei popoli nomadi), e che racconta la propria esperienza attraverso una serie di immagini molto variegate che vanno da ciò che ha visto a ciò che ha sentito.

Kleid, 2000 Abito in tela batista ricamato a mano con fili colorati. 166 x 170 cm Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea


SALA D LA HISTORIA Y SUS SUCESOS 20. Bleda y Rosa María Bleda (Castellón, 1968) e José María Rosa (Albacete, 1970) Vivono e lavorano a Valencia L’elemento più caratteristico del lavoro di questi due fotografi è l’interesse per i luoghi segnati dalla storia, pertanto le fotografie di Bleda y Rosa invitano alla riflessione su concetti come la memoria, il tempo e il legame di questi con le nozioni di luogo e di paesaggio, mettendo in scena il nostro rapporto con esse. All’interno dei loro lavori più significativi troviamo diverse prospettive sull’oggetto rappresentato, ma sempre partendo da un’operazione cartografica sulla storia che si può tradurre in uno sguardo su paesaggi disabitati nei quali avvennero combattimenti che segnarono il divenire storico (Campos de batalla) o la documentazione di vestigia delle diverse culture che si insediarono nella Penisola Iberica (Ciudades). Nella serie Campos de batalla si includono immagini correlate alla geografia storica a proposito di antichi assedi e guerre. Sebbene in nessuna di esse appaia alcun resto delle battaglie alle quali allude il titolo, la loro presentazione in dittici evoca le due fazioni contrapposte e l’atmosfera che ne risulta trasporta al momento immediatamente successivo alla lotta. La serie Ciudades prende in esame i diversi siti archeologici che hanno segnato la storia della Penisola Iberica attraverso le tracce (che perdurano ancora oggi) di antiche città iberiche, celtiche, greche, romane o fenicie. Il Cammino scorre tra resti di antiche civiltà la cui presenza si indovina nel paesaggio.

Cielo de invierno, 1998 Della serie Ciudades Fotografia a colori, 106 x 124 cm Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

21. José Luis Viñas

22. Gerardo Custance

Madrid, Spagna, 1972 Vive e lavora a Palencia

Madrid, Spagna, 1976 – Parigi, Francia, 2017 Gerardo Custance lavorava in modo tradizionale fotografando con una macchina fotografica a lastre. Il risultato sono delle fotografie perfettamente misurate in ogni singolo elemento che le compone, in cui la luce pare incidere in maniera precisa, costruendo delle forme di enorme impatto estetico e con una bellezza tale che arriva perfino a conferire ai diversi momenti un forte significato surreale. Nelle sue fotografie Custance sembra puntare a svelare, anzi, a recuperare, frammenti della realtà, ma senza servirsi della fantasia, fondandosi unicamente sul realismo e sul suo lento indugiare che in un certo qual modo lo intensifica.

Laureato in Belle Arti presso la UCM, comincia la sua carriera artistica a Madrid durante gli anni ’90. Nel 2003 un impegno lavorativo lo costringe a trasferire la sua residenza a Guardo (Palencia), località un tempo mineraria e oggi senza un chiaro modello economico. Lì vive fino al 2012 in mezzo alla decadenza della zona comune a molti spazi rurali dell’entroterra della Penisola. Questa esperienza in un ambiente de-industrializzato lo porta a ridefinire il proprio lavoro per rappresentare la vita delle società in crisi. I progetti di Viñas solitamente includono l’esperienza documentaristica tramite fotografie e l’esperienza soggettiva tramite disegni o collage e una serie di testi a metà strada tra il diario di campo e il racconto di eventi miracolosi. Concretamente, per quest’opera l’artista si avvicina a uno spazio che un tempo era una delle diramazioni del Cammino e ora è una regione con seri problemi di invecchiamento della popolazione e abbandono dei lavori tradizionali della campagna. L’artista scrive: “Nell’autunno del 2009 ho cominciato a percorrere la Cabrera Alta da Castrocontrigo, fermandomi in diversi paesi a fotografare case in rovina costruite con quello stile particolare che caratterizza la regione. Sono arrivato alla Cabrera Baja, ma per mancanza di tempo non sono riuscito a visitare tutti i paesi fino a Puente de Domingo Flórez. Seguendo il mio abituale metodo di lavoro, ho immaginato tutte le costruzioni abitate da spettri, oppositori o pazzi. L’ho fatto tramite un breve racconto e un disegno-collage confezionato con carte logore per incarnare persone che hanno perso la connessione con un mondo esterno e sono rimaste arenate in un universo parallelo di tempo stagnante”.

El camín de Cabreira (Llion Oeste), 2010-2012 10 dittici. Fotografie a colori con racconto manoscritto a matita e collage a tecnica mista 72 x 72 cm cad. Cortesia dell’artista

Turcia è il risultato di un incarico realizzato per l’Asociación 7° Centenario del Mercado de los Jueves de Benavides dell’Órbigo, a León, per realizzare – insieme ad altri tre fotografi – un percorso a immagini lungo la riva del fiume Órbigo nell’inverno del 2007, che avrebbero poi composto il libro commemorativo di suddetta ricorrenza. Come è abituale nei suoi lavori, Custance determina con enorme precisione il momento giusto dello scatto della sua macchina fotografica, trasformando il paesaggio topico di un boschetto in un’evocativa composizione dalle connotazioni bucoliche e surreali. Cercando l’istante preciso che fa prendere vita all’opera, il fotografo elabora una consapevole rilettura di un’attività tradizionale, trasformando un’anodina stampa rurale in una scena onirica dall’innegabile potere suggestivo. Il paesaggio dell’Órbigo è molto caratteristico del Cammino nel suo passaggio per León. Turcia, 2007 Dalla serie Benavides-Peaks Fotografia a colori, 132 x 160 cm Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

relata alla scrittura, alternando e mescolando in molte occasioni entrambi i mezzi. Nella sua opera plastica lavora con la fotografia, la scultura, il collage o il disegno. Una delle caratteristiche principali è quella di servirsi di materiali già stabiliti che poi combina per creare diversi manufatti, dando importanza al processo creativo in sé e a un evidente interesse per la prova e l’errore come generatore di nuove soluzioni. Una parte del suo lavoro si sviluppa anche nel mondo editoriale con la creazione di progetti di libri d’artista ed edizioni come la serie di cartoline incluse nella mostra.

Obradoiro revisitado è stato prodotto per la mostra Souvenir nella galleria di Compostela Metro nel 2016. Il titolo della mostra mette in evidenza il rapporto dell’opera con il turismo che accompagna ultimamente il pellegrinaggio del Cammino, soppiantando alcuni dei suoi usi “spirituali” tradizionali (sebbene vada ricordato che l’aspetto turistico è sempre stato storicamente presente come prova della prosperità di Santiago come capitale dell’artigianato in cui fiorirono numerose corporazioni che lasciarono la loro traccia nei nomi delle vie: Azabachería, Calderería o Platerías). Nella piazza dell’Obradoiro, situata davanti alla Cattedrale e circondata dai monumentali Hostal dos Reis Católicos, il Palazzo episcopale, il Pazo de Raxoi, il collegio di San Xerome e l’impressionante facciata barocca della Cattedrale, si radunano i pellegrini e i turisti. Per questi, spesso, l’esperienza estetica si riduce alle immagini più stereotipate, sia della Cattedrale che di alcune icone mediatiche come Friedrich, Picasso, Miró o Hokusai le cui opere appaiono sulle cartoline mescolate alle immagini della Cattedrale. Obradoiro revisitado, 2016 Stampa digitale su carta 12,4 x 10,6 cm cad. Collezione Centro di Documentazione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

23. Rosendo Cid Ourense, Spagna, 1974 Vive e lavora a Santiago Rosendo Cid è principalmente un artista plastico, sebbene svolga anche un’attività parallela cor-

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24. Javier Ayarza Palencia, Spagna, 1961 Vive e lavora a Palencia Dal 1991, fino al suo scioglimento nel 1997, è stato membro di A UA CRAG, collettivo di creazione artistica, e da allora, in modo individuale, ha progressivamente definito il proprio lavoro come una ricerca costante sul mezzo fotografico e su ciò che gli è più congeniale: la possibilità di costruzione di uno sguardo sul mondo. La fotografia, per la sua capacità di registrare ciò che è reale, è inevitabilmente caratterizzata dalla sua doppia natura di riflesso e immagine: un soggetto che guarda e un mondo che viene osservato, rispecchiato e fissato. Questa dicotomia, semplice nel suo enunciato, nasconde un lungo processo di riflessione e configurazione che costituisce la natura “costruttiva” dello sguardo fotografico, la capacità dell’immagine di “parlare” di ciò che è reale e di costruirlo. La siesta del fauno (Il riposino del fauno) è una serie fotografica costituita da 24 immagini, delle quali si mostra soltanto una selezione, correlate alla realtà rurale di Castiglia e León. Si tratta di una serie aperta iniziata nel 2000 che ci fa scoprire un territorio abbandonato e in una certa misura informe giacché ha perduto i riferimenti che lo conformano. Il tempo della storia e dell’economia (che hanno determinato l’esodo verso le città e l’abbandono delle campagne) rimane registrato e congelato in questi paesaggi alla deriva, esangui e reietti, che testimoniano la crisi del mondo rurale. Sono questi i paesaggi, al di là dei riferimenti romantici idealizzati, che i pellegrini del Cammino di Santiago trovano attraversando l’entroterra della Penisola Iberica.

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Dalla serie La siesta del fauno, 2003-2006 Dimensioni varie. 3 fotografie a colori. 90 x 137 cm cad Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

25. Jorge Barbi A Guardia, Pontevedra, Spagna, 1950 Vive e lavora a Pontevedra I suoi inizi negli anni ’80 sono segnati dall’ambiente naturale che circonda l’artista: dalle con-

suete camminate nelle località costiere limitrofe fino ai soggiorni estivi in un piccolo villaggio dell’entroterra della Galizia. In entrambi i luoghi raccoglie oggetti, fotografa eventi e processi naturali e umani correlati al contesto che lasciano una traccia nel paesaggio. Lasciandosi alle spalle questi riferimenti all’arte povera, la sua traiettoria evolve negli anni ’90 verso un aspetto concettuale in cui predominano la ricerca, l’ironia e il senso critico. Alcune delle sue opere hanno come scenario lo spazio pubblico e richiedono allo spettatore una partecipazione attiva per completare in modo percettivo o concettuale l’opera. La serie fotografica e il libro omonimo, El final, aquí, è stato prodotto dal CGAC per Proxecto-edición nel 2008. Il progetto raccoglie le fotografie realizzate dall’artista sulle sue ricerche a proposito della memoria storica. Sono fotografie di paesaggi che evocano, come indica il titolo del lavoro, luoghi che abitualmente passano inosservati e in cui sono state assassinate migliaia di persone durante la Guerra Civile spagnola. Per svolgerlo, Barbi ha percorso più di 10.000 km nella Penisola Iberica tra il 2003 e il 2007, di cui alcuni tratti hanno coinciso con diramazioni del Cammino di Santiago e, a partire dalle informazioni pubblicate dall’Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica e altre associazioni sulle esumazioni, l’artista ha potuto raccogliere dati precisi dei luoghi di fucilazione nelle zone rurali, rimasti praticamente immutati da quei giorni di orrore. Quei luoghi sono l’ultima cosa che hanno visto le persone assassinate dai ribelli franchisti. Della maggior parte di esse non vi è ancora traccia, e in Spagna ci sono 2.382 fosse comuni identificate dal Ministero della Giustizia, facendolo diventare così il secondo paese del mondo con più fosse, superato soltanto dalla Cambogia.

La Pedraja, Montes de Oca, Burgos, 2003-2008 Fotografia a colori, 62 x 83 cm A volta dos Nove, Baredo, Pontevedra. dalla serie el final Aquí, 2003-2008 Fotografia a colori, 62 x 83 cm Collezione CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

CHIOSTRO 26. Zoulikha Bouabdellah Mosca, Russia, 1977 Vive e lavora ad Aubervilliers, Francia Nata a Mosca nel 1977, è cresciuta nella capitale algerina fino ai 16 anni. Nel 1993, in piena guerra civile, la sua famiglia decide di abbandonare l’Algeria e stabilirsi in Francia, dove lei risiede molto spesso. Ciò spiega il fatto che le sue opere giochino con la dualità culturale e gli squilibri, nonché la fusione culturale e la capacità di andare oltre le frontiere. La scultura L’araignée [Il ragno] è composta da 8 archi architettonici. Ognuno di essi rappresenta uno stile formale comune nell’architettura religiosa orientale e occidentale: gotico, arabo, polilobato, romanico, a sesto acuto o ogivale, arco a zigzag, arco a ferro di cavallo e arco inflesso. Dalla loro unione si ottiene una figura inaspettata e singolare la cui forma e contorni ci ricordano un ragno. La scultura consiste in una collezione di 8 archi di architettura religiosa e ciò ovviamente fa riferimento alla religione e alla sua capacità di riunire ma anche di spaventare. Al di là del rapporto che si stabilisce tra la costruzione architettonica, prodotto puro dell’umanità, e la creazione animale della natura, la scultura mette in discussione il mito del ragno come animale “costruttore”, come rappresentazione dell’anima o della donna e, in termini più generali, della sessualità femminile. Il ragno qui si fa riferimento anche all’eterogenea architettura del corpo sociale e l’ambivalenza tra l’incontro e lo scontro tra culture e religioni.

L’araigneé, 2013 Acciaio verniciato. 95 x 137 x 154 cm Collezione MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León.

ESTUDIO 2 27. Gabriel Díaz Pamplona, Spagna, 1968 Vive e lavora a Madrid

Formatosi come scultore secondo la poetica della Land Art mediante interventi realizzati su pietra, sabbia, legno o con pezzi di ghiaccio, oltre alla scultura, per la quale utilizza diversi materiali come marmo, alabastro o ferro, senza dimenticare il vetro e il metacrilato, Díaz esplora altri supporti artistici, come la fotografia o il video, filmando i suoi lavori in caverne, grotte o girovagando in una sorta di pellegrinaggi. All’inizio del 2000, viaggia per la prima volta in Tibet dove realizzerà diversi lavori video su luoghi naturali sacri, cominciando così un’ardua e ampia serie di opere sui pellegrinaggi in Oriente e Occidente. L’intento di superare la forma e di penetrare oltre la materia e riuscire a trovare qualcosa dietro a essa, alimentano questi lavori come quello presentato nella mostra. Tres caminos, once pasos è un’installazione con tre schermi sui quali appaiono tutte le immagini che l’artista ha scattato ogni 11 passi mentre percorreva i tre più importanti itinerari verso Santiago: il Cammino francese, il Cammino del Norte e il Cammino mozarabico. Le migliaia di foto, montate consecutivamente e con le inquadrature ritoccate per dare una sensazione di continuità, generano video di lunga durata (tra le 4 e le 7 ore) che parlano di cammini come tragitti a lunga percorrenza ma, soprattutto, parlano di un modo di affrontare il tema dell’invisibilità, di ciò che c’è oltre il concreto e il reale.

Tres Caminos, Once Pasos, 2005-2007 Videoinstallazione tricanale. Cammino francese, 250’; Cammino del nord, 300’; Cammino mozarabico, 360’ Colección CGAC, Centro Galego de Arte Contemporánea

PRIMERA PLANTA SALA DE RETRATOS 13. Francisco Felipe Palencia, España, 1961

El camino, 1997 Installazione sonora. 21’ 23 “ Cortesia dell’artista


BIBLIOTECA 28. Mariona Moncunill Tarragona, Spagna, 1984 Vive e lavora a Barcellona Mariona Moncunill concentra il suo lavoro sull’analisi della creazione del valore simbolico, segnalando in particolar modo la costruzione discorsiva e le convenzioni in ambiti culturali e sociali specifici: lo spazio espositivo e la museografia, l’infografica giornalistica, la biblioteconomia e la sua gestione della conoscenza, o i parchi naturali e i giardini botanici, tra gli altri. Moncunill ha dedicato buona parte della sua produzione a sottolineare il significato di uno spazio artistico, a mostrare la relazione di dispositivi della finzione in cui la presentazione di un oggetto diviene discorso artistico consensuale e comunicabile. Le convenzioni, i protocolli e le burocrazie del sistema sono una parte importante del suo lavoro. Con queste premesse generali ha prodotto per il progetto “Composición de lugar” di Caja Madrid nel 2010 l’opera Especialització de la biblioteca che consiste nell’aggiungere la biblioteca esistente nuovi fondi, donati a vita e integrati secondo il sistema di catalogazione e i protocolli della biblioteca, con i quali si mira ad arricchire l’istituzione di un pubblico nuovo, che si oggettiva tramite il tema selezionato. Per la mostra Muchos caminos l’artista progetta la produzione di Libros en peregrinaje recíproco che mira a unire la biblioteca della Real Academia de España a Roma e la Biblioteca del MUSAC a partire dai libri che entrambe possiedono. Si tratta di una proposta permanente in cui alcuni titoli ripetuti di una biblioteca vengono trasferiti nell’altra e viceversa (basandosi sulla quantità dei titoli ripetuti l’artista ha fatto una scelta significativa in base alla tematica dei libri, dagli autori, etc.) Ha proposto che i libri non fossero inviati in forma diretta bensì che percorressero, a mo’ di pellegrinaggio, un percorso simile a quello del Cammino di Santiago da Roma. In questo modo è stato selezionato un insieme di biblioteche di centri d’arte e musei sull’itinerario del Cammino alle quali è stato proposto di collaborare con il “pellegrinaggio”. Pertanto i libri sono stati inviati di

biblioteca in biblioteca fino al loro arrivo alla biblioteca della Real Academia a Roma e a quella del MUSAC a León.

Libros en peregrinaje inverso, 2017-18 Installazione di libri e documenti. Dimensioni varie Produzione della Real Academia de España en Roma e il MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León

SALA DE CONFERENCIAS 29. Javier Codesal Sabiñánigo, Huesca, Spagna, 1958 Vive e lavora a Madrid e Salamanca Artista visivo e poeta, ha pubblicato i libri di poesia Imagen de Caín (Icaria, 2002), Ha nacido Manuel (Icaria, 2005) e Feliz humo (Periférica, 2009), e il saggio sulla sua opera cinematografica Dos películas (Periférica, 2010). I suoi progetti artistici possono includere video, fotografie, disegni o testi. Le sue opere seguono diverse linee strettamente correlate tra loro. Tutto ciò che è popolare, l’oralità e il canto, nonché alcuni elementi rituali, sono presenti dai suoi inizi negli anni ’80. Tema ricorrente è anche il trattamento dell’aspetto corporeo come luogo della differenza, sede del godimento e dell’erotismo, ma anche della fragilità, della malattia e della morte. A ciò si lega un interesse per il ritratto audiovisivo, con la messa in pratica di modalità di avvicinamento all’intimità. L’infanzia, il patrimonio e la trasmissione culturale sono altri temi di suoi interesse. E il tutto nell’ottica della sperimentazione delle forme più depredate del cinema. Viaje de novios è un film girato dal 2004 con una durata di 87 minuti e strutturato in tre parti e un epilogo (Viaje de novios, Pago de salud, Circular de agua e Baile al fin). In esso si trattano alcune tematiche centrali dell’arte e del cinema: il ritratto duraturo nel tempo, il paesaggio come aspirazione, lo sguardo e il suo corrispettivo cinematografico, la coppia come principio

di montaggio e lo svolgersi del racconto. La prima parte del film presenta una coppia che cammina sui sentieri delle montagne aragonesi del Cammino di Santiago. Il video si dipana in un gioco di campo/controcampo tra i volti dei camminanti, dove il paesaggio si comporta innanzitutto come elemento agglutinante. Come in ogni cammino la cui meta non sia prefissata, questa prima parte del film ha portato negli anni successivi alla seconda tra le rovine precolombiane di Cuzco e del Machu Picchu, oltre ad alcune scene d’interni filmate in un ospedale della zona, per poi giungere alla terza in cui i protagonisti e alcuni invitati viaggiano in barca nell’Alfubera di Valencia, e infine all’ultima parte in un ospedale di Barcellona.

Viaje de novios, 2004 Video colore e audio. 28´ 34” Collezione CDAN, Centro de Arte y Naturaleza. Fundación Beulas


MOLTI CAMMINI

IMMAGINI CONTEMPORANEE DEL CAMMINO DI SANTIAGO

MINISTERIO DE ASUNTOS EXTERIORES Y DE COOPERACIÓN DE ESPAÑA

Ministro de Asuntos Exteriores y de Cooperación Alfonso Dastis Secretario de Estado de Cooperación Internacional y para Iberoamérica Fernando García-Casas Director de la Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo Luis Tejada Director de Relaciones Culturales y Científicas Roberto Varela

CURATORE

Manuel Olveira COORDINAMENTO

M.ª Ángeles Albert de León, Helena López Camacho, Carmen Rodríguez Fernández-Salguero ORGANIZZAZIONE

Consejería Cultural. Embajada de España en Roma /Real Academia de España en Roma MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León / Consejería de Cultura y Turismo. Junta de Castilla y León SPONSORIZZAZIONE

INDRA Embajador de España en Italia Jesús Gracia Aldaz Consejero Cultural Ion de la Riva Directora M.ª Angeles Albert de León Secretario Francisco J. Prados

COLLABORAZIONE ISTITUZIONI PRESTATARIE

CDAN, Centro de Arte y Naturaleza. Fundación Beulas CGAC, Centro Galego de Arte Contemporáneo MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León MNCARS, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía Diputación de León – ILC, Instituto Leonés de Cultura Galería NoguerasBlanchard HAMACA, media & video art distribution from Spain

JUNTA DE CASTILLA Y LEÓN

ARTISTI PRESTATARI

Presidente de la Junta de Castilla y León Juan Vicente Herrera Campo Consejera de Cultura y Turismo M.ª Josefa García Cirac Director del MUSAC, Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y León Manuel Olveira

Eugenio Ampudia, Enrique Carbó, Francisco Felipe, Esther Ferrer, Mariona Moncunill, Peyrotau & Sediles, Mapi Rivera, José Luis Viñas ALLESTIMENTO MOSTRA

Alonso Campoy (Coordinamento), Marco Colucci, Mino Dominijanni, Alberto Fernández, Emmanuele Gargano, Irene Llovet, Alessandro Manca, Fabio Polverini COMMUNICAZIONE

Miguel Cabezas Ruiz, Cristina Redondo Sangil PROGETTO GRAFICO

Mercedes Jaén Ruiz TRADUZIONE

Elisa Tramontín, Emma Cypher-Dournes TRASPORTO

InteArt Questa mostra è stata possibile grazie anche alla collaborazione di Stefano Blasi, Pino Censi, Roberto Santos, Silvia Serra, Maria Spacchiotti, Simona Spacchiotti, Paola di Stefano, Adriano Valentino e Brenda Zúñiga, dell’Academia de España en Roma, e dell’Ufficio Culturale dell’Embajada de España en Italia. Un sentito ringraziamento a Sofía Tarela, per il suo generoso contributo al progetto.


ORGANIZZA

SPONSORIZZA

COLLEZIONI D’ARTE DI

Piazza di S. Pietro in Montorio, 3 00153 Roma (Gianicolo)

www.accademiaspagna.org Tel. +39 06 581 28 06


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