ANTEPRIMA Edizione 2017
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ARIA DI RIVOLUZIONE DIVINA COMMEDIA
ai «dieci giorni che D sconvolsero il mondo» nella
Con “Inferno” al via il Cantiere Dante delle Albe
Russia del 1917 al «rumore del tempo» che assilla il musicista Shostakovich, il Ravenna Festival 2017 esplora i fermenti sovversivi della creatività e il rapporto fra arte e potere ebbe quel impulso iniziale negli anni seguenti alla rivoluzione. È comunque stato un momento strepitoso di entusiasmo e creatività irrefrenabile. A cento anni da quella rivoluzione cosa rimane oggi di quel fermento culturale e politico? Come scrisse Roman Jakobson “una generazione ha dissipato i suoi poeti”. La rivoluzione era stata anticipata dal futurismo russo e da un’effervescenza delle arti. C’era la forte volontà di mettersi al servizio di un movimento radicale e in quegli anni l’arte divenne di massa. Era la prima volta che grandi artisti si mettevano al servizio della propaganda, un fenomeno che ha preannunciato, nel bene e nel male, l’uso dell’arte di massa a fini commerciali che ci sarebbe stato dopo. In quegli anni c’erano poi grandi artisti come Mejerchol'd nel teatro, Prokof ’ev e Mosolov nella musica, per non parlare poi del cinema. Musicisti e artisti visivi che si misero assieme preannunciando, assieme al futurismo italiano, le avanguardie degli anni ’20.
All’India, con la sua grande spiritualità, sarà dedicata una parte della ventottesima edizione del Ravenna Festival che ospiterà la tre giorni del Darbar Festival, il più importante per la musica classica indiana. La sezione che è stata significativamente battezzata “Passaggio in India”, ricordando l’omonimo romanzo di E. M. Forster, inizia sabato 20 giugno alle 21, nella cornice del Teatro Alighieri, con Material Men, l’ultima intensa creazione della Shobana Jeyasingh Dance, in prima italiana. Coordinati dall’audace coreografa Shobana Jeyasingh, nello spettacolo si confrontano il solista virtuoso Sororaj Subramaniam e il sorprendente danzatore di hip hop Shailesh Bahoran.
A Ravenna sta prendendo forma uno spettacolo a dir poco unico e sui generis, al quale può partecipare chiunque lo desideri, senza limiti di età, lingua o preparazione specifica: si tratta dell’Inferno di Dante Alighieri, prima parte di un più ampio e tripartito progetto commissionato da Ravenna Festival al Teatro delle Albe dal titolo “Divina Commedia: 2017-2021”, che prevede la messa in scena dell’Inferno per l’appunto fra pochi mesi, del Purgatorio nel 2019 e del Paradiso nel 2021. La realizzazione in chiave di sacra rappresentazione medievale del “trasumanar” dantesco potrebbe diventare il lavoro più complesso e articolato mai concepito dalla compagnia fondata da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari; in particolare, per Inferno, in scena con 34 repliche dal 25 maggio al 2 luglio, le Albe hanno coinvolto con una “chiamata pubblica” tutti i cittadini ravennati e non: dal 6 dicembre, data dell’incontro di apertura di quello che è stato denominato il “Cantiere Dante”, ad oggi, ufficialmente sono circa 540 le adesioni a questo grande “laboratorio” teatrale. Chi vuole partecipare potrà iscriversi fino al 10 aprile, scegliendo di inserirsi o in uno degli undici cori in cui è scandito lo spettacolo o in una squadra tecnica.
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L’opera “Vittoria sul sole”
«Gli occhi azzurri della Rivoluzione brillano di crudeltà necessaria» scrisse lo storico e poeta Louis Aragon descrivendo la rivoluzione Russa del 1917. Cento anni sono passati e quell’evento che sconvolse l’Europa e il mondo imponendo per la prima volta il modello comunista come forma di governo, sembra oggi più lontano che mai. Del tema della rivoluzione che segnò una svolta radicale nella storia del Novecento ne abbiamo parlato con Franco Masotti, condirettore artistico del Ravenna Festival che cento anni dopo dedica diversi eventi del cartellone 2017 a questo anniversario. Come mai il Ravenna Festival quest'anno ha incentrato buona parte dei suoi programmi sul senso della rivoluzione? Nel ’14 lo avevamo dedicato allo scoppio della Grande Guerra, l’anno scorso ad una figura storica come quella di Mandela, ed è venuto così naturale pensare nel ’17 ai “dieci giorni che sconvolsero il mondo” come scrisse John Reed. Fu una temperie storica che ha messo in moto tutte le arti e che ci sembrava importante ricordare. Non è ovviamente una celebrazione e sottolineiamo anche la tragica involuzione che
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atmosfera e sapori Una tessera gastronomica nella mosaicale creatività di Ravenna
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FESTIVAL NEL FESTIVAL
Passaggio in India fra musica e danza
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VARIAZIONI SUL TEMA
ARIA DI RIVOLUZIONE
Cristina Muti: arte e vita oltre il rumore del tempo
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L’arte era fortemente politica in quel periodo, oggi sembra più legata a una visione commerciale… «Oggi c’è un forte silenzio degli intellettuali, a parte pochissimi irriducibili come Brian Eno o Ai Weiwei (solo nel teatro e in una piccola nicchia del cinema una certa linea di engagement si è conservata). L’arte è tornata al discorso dell’entertainment. La causa forse è stata anche un eccesso di politicizzazione, anche populista, a cui abbiamo assistito in passato. Non lo dico con nostalgia, ma credo che l’impegno politico degli artisti sia qualcosa che debba ritornare». Pare che con Trump la coscienza politica di molti artisti si stia risvegliando… «Questo è vero. Ci sono segni di qualcosa che si sta nuovamente muovendo. Sta tornando la domanda “cos’è l’arte oggi? A cosa e a chi serve?”. In America ricorrono i 50 anni dalla rivoluzione psichedelica e giovanile degli anni ’60. La musica e le arti hanno avuto un ruolo importante come motore della rivoluzione culturale e sociale. L’omaggio che facciamo all’India nel festival, ad esempio, è legato alla rivoluzione musicale e di costume nata dall’incontro tra George Harrison e i Beatles e Ravi Shankar (pensiamo a quel disco davvero rivoluzionario che fu Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band). Poi sono anche 50 anni dal 1977, anno in cui deflagrò un’altra straordinaria rivoluzione culturale e artistica». La parola “rivoluzione” ha ancora senso oggi? «Mah… In effetti oggi è usata soprattutto per pubblicità di automobili o cose del genere. È entrata del gergo del marketing e del consumo e uscita da quella del pensiero. In questo senso va raccontata nuovamente. La possibilità che in un momento breve qualcuno ha prefigurato un mondo completamente diverso da quello che c’era. Oggi siamo presi da un vago senso di assuefazione e passività,
si pensa che il mondo non possa andare altrimenti, anche se ne siamo totalmente insoddisfatti. Si è perso il senso della parola “rivoluzione” ma anche di quella di “futuro”». L’arte che è stata motore di molte rivoluzioni culturali oggi è prevalentemente finanziata da grandi multinazionali o direttamente da governi, come fa ad essere veramente rivoluzionaria? «In realtà abbiamo scoperto che anche in passato, anche nei casi più insospettabili, c’è stata l’ingerenza di governi sull’arte. Si è infatti scoperto per esempio che l’espressionismo astratto, Pollock, Rauschenberg e John Cage erano finanziati sia pur indirettamente (“a loro insaputa” si direbbe oggi) dalla Cia. E questo nulla toglie alla loro autentica portata rivoluzionaria». Veramente o fa parte delle teorie del complotto? «Veramente. Non direttamente, ma la Cia sosteneva economicamente fondazioni che investivano in forme di arte vietate in Unione Sovietica per mostrare come gli Stati Uniti fossero liberi a contrario dei paesi comunisti. Era una forma di propaganda. Forse i migliori soldi mai spesi dalla Cia. C’è un bel libro su questo, di Frances Saunders». E oggi può l’arte essere ancora rivoluzionaria? «Oggi è già un atto rivoluzionario praticare forme d’arte non strettamente di consumo. In qualche modo è rivoluzionario il progetto di Marco Martinelli che parte da Dante e dal Mistero Buffo di Majakovskij per creare un’opera in cui i cittadini (anzi: i citoyens, ricordando la prima grande rivoluzione) sono protagonisti, staccandosi dalle modalità di fruizione prevalenti oggi così individualiste e passive, se non alienanti. Mettere assieme persone, a fare cose ed interagire e confrontarsi con la grande poesia e la grande musica è una forma attuale di resistenza». Matteo Cavezzali
Il rumore del tempo, titolo della XXVIII edizione del Ravenna Festival, riprende quello del romanzo dello scrittore inglese Julian Barnes che racconta la vita del grande musicista russo Dmitrij Dmitrievi Shostakovich, la sua difficoltà a sopravvivere come artista e come uomo alle pretese impossibili del totalitarismo sovietico di Stalin. Shostakovich vive con angoscia la propria vita, teme che la sua musica venga annullata dalle difficoltà e vive nella speranza che il rumore del tempo – ogni suo spaventoso bercio e untuoso bisbiglio – finisca per dissolversi consegnando ai posteri solo la sua musica, la sua musica e nient'altro. Jeremy Denk scrive su "The New York Times Book Review" che quella vissuta da Shostakovich è «Una parabola di umana degradazione in cui la minaccia di una violenza non agìta grava su ogni pagina. L’orrore del labirinto kafkiano che prende vita». Chiediamo a Cristina Mazzavillani Muti, presidente e anima del Ravenna Festival, quali sono le sue riflessioni su questo tema. «Il rumore del tempo è il tormento, l’agitazione che l’essere umano vive a seconda del tempo della sua esistenza, sempre considerando la storia e l'incertezza dell'avvenire, quindi dobbiamo considerare che ogni persona vive avendo alle spalle il suo passato e davanti a sé l'interrogativo del futuro, tutto attraverso il momento che lo sconvolge, il suo presente, il suo momento vitale. Il tempo è scandito non solo dal suo rumore ma anche da quello che ogni altro essere umano che ci vive a fianco produce. Immaginiamo che ognuno di noi viva in una bolla, che in essa si svolga ogni attimo della sua vita, ogni momento, oppresso dal peso del suo passato, un fardello che inevitabilmente lo condiziona. Si è separati ma vicini e ognuno vede l’altro, pur nella propria solitudine. Il tempo scorre senza compromessi, nessuno riesce a governarlo, a imbrigliarlo; è un concetto convenzionale inventato dall’uomo ma che non si riesce a governare. Ecco, il rumore del tempo è quello dell’angoscia per il suo fluire inarrestabile, un tempo che non si può comprare, quello che ¬– quando ci viene tolto, oppure usiamo in maniera sbagliata – nessuno può restituirci. L’uomo è investito da questa specie di tempesta che lascia il segno anche sul corpo, cambia il nostro aspetto e mette in crisi la nostra identità». Molti poeti si sono soffermati sul tempo che passa e minaccia il vivere con il suo rumore, quando si è sorpresa a riflettere su questo argomento? «Ci sono arrivata tardi ma per fortuna ci sono arrivata e ho affrontato la preoccupazione per i famigliari, il desiderio di una vita felice per loro... Allora ho deciso di ritagliarmi qualche spazio in più per riprendere serenità, per poter meglio vivere ogni momento di un tempo che più si va avanti nella vita e più acquista velocità. Anche adesso, per esempio, mentre insieme riflettiamo e ci scambiamo opinioni, ecco, questo è un momento di serenità in cui l’attimo, il tempo, viene vissuto nel modo giusto. Si spera sempre che il rumore del tempo lasci intatto ciò che di buono abbiamo costruito, così come è accaduto con la meravigliosa musica di Shostakovich». Anna De Lutiis
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DIVINA COMMEDIA
Trentaquattro giorni d’Inferno fra le vie della città e nei “gironi” del teatro Rasi Un affollatissimo teatro Rasi in occasione della “chiamata pubblica” delle Albe per il Cantiere Dante che quest’anno metterà in scena “Inferno”. Finora hanno aderito oltre 500 persone. (foto Angelo Palmieri).
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Per maggiori informazioni si può chiamare lo 0544 36239, scrivere una email a cantieredante@ravennateatro.com, consultare il sito www. ravennateatro.com o la pagina Facebook “Ravenna Teatro”, oppure recarsi direttamente al Punto Informazione Chiamata Pubblica, aperto ogni martedì e giovedì (fino al 10 aprile) dalle 17 alle 19 al Teatro Rasi. Inferno non sarà certo una rappresentazione teatrale comune: tutta Ravenna diventerà un palcoscenico, dalle chiese alle piazze. Il «cammin di nostra vita» avrà inizio davanti alla Tomba di Dante, proseguirà sino alla Basilica di Sant’Apollinare Nuovo per giungere infine al Teatro Rasi, dove lo spettatore finalmente entrerà ne «le segrete cose». Virgilio, la guida che nella Commedia accompagna il poeta nel suo viaggio oltremondano, verrà impersonato da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, mentre Dante sarà il pubblico stesso. Nel concepire l’opera, i due registi hanno tenuto presente un concetto fondamentale espresso da Ezra Pound, secondo cui l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso prima ancora che paesaggi sono stati mentali in cui si trova ogni uomo in vita; riletto sotto quest’ottica, il viaggio di Dante diventa prima di tutto un viaggio dell’anima che, come lui stesso sottolinea nell’incipit della Commedia, riguarda l’esistenza di ognuno di noi. Lo spettatore non sarà un semplice osservatore, ma sarà completamente travolto dall’Inferno dantesco in cui verrà trasfigurato il Teatro Rasi: la scenografia, i costumi, le «orribili favelle» e centinaia di corpi creeranno un “bozzolo sonoro”, come l’ha definito Ermanna, dove tutto e tutti saranno immersi senza distinzioni.
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Lo spettatore sarà itinerante proprio come l’esule pellegrino Dante, si muoverà nelle tenebre infernali del teatro guidato da Marco ed Ermanna. La rappresentazione sarà scandita temporalmente, fisicamente e tematicamente dai cori, costituiti dalle centinaia di persone che hanno deciso di prender parte al “Cantiere Dante”; ogni coro avrà una o più fra le guide delle Albe, che accompagneranno i partecipanti durante tutta la creazione dello spettacolo, dal backstage alla messa in scena. Proprio perché gli “attori” coinvolti saranno moltissimi, e quindi occuperanno tanto spazio, il pubblico volta per volta conterà massimo 80 persone circa. Simona Guandalini
APPUNTAMENTI QUOTIDIANI RITORNANO I “GIOVANI ARTISTI PER DANTE” E I CONCERTI DEI “VESPRI A SAN VITALE” Dopo il successo dell’edizione 2016 il Festival ripropone, con appuntamenti mattutini (alle ore 11, negli spazi degli Antichi Chiostri Francescani) per tutta la durata della manifestazione, originali performance – realizzate con diversi linguaggi spettacolari – dedicate alla poetica dantesca da giovani artisti di diverse nazionalità. Un’ulteriore tappa promossa dal festival verso le celebrazioni del settimo centenario della morte dell’autore della Commedia, nel 2021. Allo stesso modo, tornano verso sera (ore 19) i concerti dei “Vespri a San Vitale”, selezionati attraverso un bando internazionale, per esaltare il più sontuoso fra i monumenti paleocristiani della città, fra suggestioni musicali, artistiche e spirituali. Ingresso per le due rassegne (dal 25 maggio al 2 luglio) al costo simbolico di 1 euro; gratuito per gli under 18.
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PASSAGGIO IN INDIA Complementi d’arredo, argento abbigliamento e accessori dal mondo
Con il Darbar Festival, musiche, danze, yoga e altre suggestioni della tradizione orientale > segue dalla prima pagina
Di origine indiana ma di casa a Londra, Shobana ha esplorato fin dagli esordi le sue doppie radici, creando sinergie visionarie fra la tradizione della danza indiana e la contemporaneità metropolitana. La creazione portata al Ravenna Festival rappresenta una nuova tappa del suo percorso, iniziato nel 2015, in sintonia tematica con i danzatori, e ora ampliato a serata intera su musiche di Elena Kats-Chernin. Un duetto forte, in cui emerge in controluce un messaggio sullo sfruttamento degli indiani al tempo del colonialismo. A dimostrazione di come la bella danza possa anche essere un “atto politico”. Quasi un festival nel festival, ossia una full immersion nella tradizione – apparentemente lontana dall’estetica occidentale eppure di ammaliante bellezza – dal 22 al 24 giugno, la scena sarà tutta del Darbar Festival. Fondato nel 2006 da colui che ne è il direttore artistico, Sandeep Singh Virdee, si tratta del più importante festival di musica classica indiana, da quella carnatica del Sud a quella indostana del Nord, al di fuori dell’India. Dedicato al leggendario suonatore di tabla Bhai Gurmit Singh Virdee, il festival vuol favorire la continuità tra i maestri della musica classica indiana nati nelle colonie dell’impero britannico e quelli giovani nati sul suolo inglese, che non parlano più la lingua dei padri e rischiano di approdare troppo tardi allo
straordinario patrimonio culturale indiano. Per la prima volta il Darbar si sposterà da Londra, dove si tiene annualmente al Southbank Center, per arrivare a Ravenna, per una eccezionale tre giorni di concerti, dimostrazioni di stili, strumenti e sessioni di hatha yoga accompagnate da musica live. L’evento che sembra voler rinnovare quella «dolce ansietà d’oriente» che per Eugenio Montale caratterizza Ravenna, si prefigura dunque come il “focus” più ampio e rigoroso mai proposto in Italia sulla più antica e longeva tradizione musicale esistente.
Si parte il 22 giugno, con un paio di appuntamenti: dimostrazioni di musica carnatica con Ranjani & Gyatrie alla sala Corelli del teatro Alighieri alle 15.30 e con il concerto “Escape into Night Ragas” di Debasmita Bhattacharya (sarod) e Gurdain Rayatt (tabla) alla basilica di San Vitale alle 21.30. Da non perdere “Yogabliss”, ossia le lezioni di hatha yoga di Kanwal Ahluwaliai, accompagnate dalle note del chitarrista Giuliano Modarelli, il 23 e 24 giugno alla sala Corelli dell’Alighieri. Nella stessa location, si svolgono anche le lezioni dimostrative di rudra Anoushka Shankar
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veena con Ustad Bhauddin Dagar il 23, alle 11, e quelle di bansuri con Shashank Subramanium il 24, alle 15. La basilica di San Francesco fa da cornice, il 24 marzo, alle 10, al “Glorious Morning Ragas”, con il duo formato da Praveen Godkjindi (bansuri) e Subhankar Banerjee (tabla). Due i concerti serali al Teatro Alighieri: “Epic Ragas” il 23 alle 21, e “Raga Time Travel” il 24 alle 21, che coinvolgono un nutrito gruppo di artisti. Il “Passaggio in India” si completa domenica 9 luglio alle 21, con la trasferta a Forlì nella chiesa di San Giacomo, con il concerto di Anoushka Shankar, figlia del leggendario virtuoso del sitar Ravi, che presenta per la prima volta in Italia la sua ultima composizione Land of Gold. E a proposito di sitar, val la pena ricordare che molti ne hanno conosciuto il suono grazie al rivoluzionario disco Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles nel 1967, in cui Harrison lo suonava, dando così il là alla scoperta della musica indiana. Roberta Bezzi
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SINFONICA, ANTICA E CONTEMPORANEA
Anne-Sophie Mutter (Deutsche Grammophon)
Concerti con maestri d’eccezione: da Muti a Bychov, da Slatkin a Temirkanov e Valchua Fra i solisti spiccano Thibaudet, Mutter, Fray, Matsuev, Onofri e Montanari Il ticchettìo dell’orologio è solo uno, forse il più quotidiano per ognuno di noi, dei tanti rumori che formano la nostra idea di tempo. La prossima edizione del Ravenna Festival, la XXVIII, ha proprio come filo conduttore il senso sonoro del fluire del tempo. Quale sia il rumore del tempo pare, infatti, la domanda che il programma del festival si pone: in esso, infatti, sono individuabili, come di consueto, diversi percorsi che lasciano ampi margini di risposta ed interpretazione, tanto empirici quanto metaforici. Certo uno dei più imponenti di questi è quello formato dagli appuntamenti con le grandi orchestre. Il 28 maggio aprirà questa serie di concerti la Munich Philharmonie diretta da Semyon Bychov con un programma nel quale il tempo è il protagonista: nella Symphonie fantastique op.14 di Louis-Hector Berlioz esso è la tela sulla quale sono dipinte le situazioni nelle quali è proposta l’idee fixe alla base della composizione, nel Concerto per pianoforte ed orchestra n.1 di Pëtr Il’ich Cajkovskij, suonato da Jean-Yves Thibaudet, è invece il mezzo scelto dal compositore per rompere le convenzioni musicali. Il secondo appuntamento vedrà il 12 giugno l’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone destreggiarsi nella lettura di due sinfonie, la n.80 e la n.81, di Joseph Haydn e concluderà il concerto insieme a Giovanni Sollima con il quale eseguirà il Concerto n.2 per violoncello, pagina tra le più impervie tra quelle scritte per questo strumento dal compositore di Rohrau. Il 15 giugno sarà la volta dell’Orchestre national de Lyon e la bacchetta del proprio
Semyon Bychov (foto Zani-Casadio)
direttore stabile, Leonard Slatkin, portare a Ravenna un programma nel quale l’apertura e la chiusura sono consegnati nelle mani di due compositori francesi, Luis-Hector Berlioz e Maurice Ravel, ammaliati da idee straniere, rispettivamente Le Carnaval Romain e Rhapsodie Espagnole, mentre al suo interno la violinista Anne-Sophie Mutter sarà la protagnonista di una connessione nippo-teutonica, eseguendo Nostalghia di Toru Takemitsu e il Concerto op.64 di Felix Mendelssohn. Il quarto appuntamento con la grande orchestra sarà con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, il 30 giugno, che rin-
verdirà i fasti del poema sinfonico novecentesco Eine Alpensinfonie di Richard Strauss, ultima composizione di questo genere del musicista tedesco, sotto la bacchetta di Juraj Valchua, mentre sarà grazie alla collaborazione del giovane e talentuoso pianista francese David Fray che risuoneranno le note del Concerto op.54 di Robert Schumann. Molto evocativo l’appuntamento del 4 luglio, quando l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov interpreterà due tra le pagine più importanti della produzione di Dmitri Shostakovich, cioè la Sinfonia n.7 Leningrado
ed il Concerto per pianoforte e tromba n.1, grazie anche alla partecipazione del pianista siberiano Denis Matsuev. Non poteva mancare, come di consueto, l’appuntamento con “Le Vie dell’Amicizia” che quest’anno getta un ponte di cultura verso l’Iran. L’8 luglio, Riccardo Muti, alla guida di una fusione tra l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, l’Orchestre delle Fondazioni Lirico Sinfoniche italiane, l’Orchestra Sinfonica e Coro di Teheran e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, presenterà una selezione di arie verdiane tratte dalle opere che più manifestano la sapienza drammatrugica del Cigno di Busseto. La musica sacra è stata la prima che ha cercato un confronto con l’Assoluto: essa è, quindi, un’esigenza dell’Uomo dalla quale non si può sfuggire. Questo Festival offre numerose opportunità per affrontare la tematica del sacro, a partire dal 2 giugno quando il Concerto Vocale La Stagione Armonica, diretto da Sergio Balestracci, proporrà l’ascolto di musiche nate grazie allo scisma luterano, proprio a 500 anni di distanza dall’affissione delle 95 tesi sulla porta della chiesa di
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Attese orchestre come
quella di Monaco, di Lione, la filarmonica di San Pietroburgo, la formazione nazionale della Rai, Accademia Bizantina. E la Cherubini, assieme a musicisti di Teheran, per il tradizionale “Concerto dell’Amicizia”
Ricccardo Muti (foto Lelli)
Wittenberg, ed alla conseguente Controriforma. Il 4 giugno, invece, il Coro Costanzo Porta & Ensemble Cremona Antiqua diretti da Antonio Greco esploreranno l’architettura musicale, dalle cattedrali sonore cinquecentesche ai templi ascetici della contemporaneità. Non si può parlare, però, di musica sacra senza considerare Claudio Monteverdi, per giunta a 450 anni dalla nascita, perciò I Solisti della Cappella Marciana diretti da Marco Gemmani eseguiranno i Vespri dell’Assunta scritti dal compositore cremonese e mai dati alle stampe nonostante l’incredibile successo. Sempre per le celebrazioni monteverdiane, il 19 giugno vi sarà l’omaggio dell’Allabastrina Choir & Consort diretti da Elena Sartori che eseguiranno brani tratti dalla gigantesca Selva Morale e Spirituale. Ci sarà la possibilità di ascoltare una sacralità glaciale il 18 giugno quando i Cantores Minores della Cattedrale di Helsinki diretti da Hannu Norjanen e sostenuti dall’organo di Markus Malmgren eseguiranno, oltre a musiche bachiane, un’antologia di
brani di compositori finlandesi, nel primo centenario dell’indipendenza dello stato scandinavo dall’Impero Russo. La vicinanza tra i due Paesi non ha però coinciso con una contaminazione delle arti nazionali: questo paragone sarà possibile il 25 giugno quando sarà il Coro del Patriarcato Ortodosso di Mosca diretto da Anatolij Grindenko ad esibirsi su brani tratti dal repertorio sacro scritto da compositori russi dal Cinquecento ai giorni nostri. Solitamente il Ravenna Festival è sempre stato attento alla musica storicamente informata, in special modo quella del periodo barocco, e quest’anno, anche se molto ristretta l’offerta è quanto mai golosa. I due appuntamenti in programma prevedono l’esecuzione integrale delle Sonate per violino e basso continuo op.5 di Arcangelo Corelli, eseguite da due violinisti d’eccezione, impegnati nella diffusione delle esecuzioni attente alle prassi storiche, ed entrambi di origini ravennati, Enrico Onofri, insieme all’Imaginarium Ensemble il 13 giugno, e Stefano Montanari, il 27 giugno. Un ulteriore motivo di riflessione sul rumore del tempo è offerto dalla proposta musicale
cameristica del Ravenna Festival 2017. Il primo appuntamento sarà il 9 giugno con The Smith Quartett che porterà a Ravenna le sonorità della nuova musica inglese di Nyman, Bryars e Fitkin. Il 14 giugno il duo formato da Natascia e Raffaella Gazzana omaggerà il regista russo Andrej Tarkovskij con brani di Bach, Silvestrov e Pärt mentre il 20 giugno sarà la volta di Ludus Gravis, un ensemble di 8 contrabbassi diretto da Daniele Roccato, che eseguirà brani contemporanei scritti specificamente per questa formazione. Chiuderà la rassegna cameristica il Quartetto Adorno il 26 giugno che eseguirà il Quartetto n.2 op.59 Razumowsky di Ludvig van Beethoven, l’onirico Quartetto op.10 di Claude Debussy e i Cinque pezzi op.5 di Anton Webern, purtroppo eseguiti sempre più di rado. Sarà interessante seguire lo sviluppo del tema del Festival anche nella sua rassegna interna “In templo Domini”, dedicata alla musica nella liturgia. Il 4 giugno si potrà ascoltare la Missa Ducalis di Costanzo Porta, già maestro della Cappella Metropolitana di Ravenna dal 1567 al 1575 eseguita dal Coro
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Costanzo Porta e dall’Ensemble Cremona Antiqua diretti da Antonio Greco. Saranno i Solisti della Cappella Marciana diretti da Marco Gemmani, l’11 giugno, a cercare una risposta alla ricerca del rumore del tempo, mentre i Cantores Minores di Helsinki diretti da Hannu Horjanen approfondiranno grazie al solo timbro di voci maschili questa indagine. Il 18 giugno sarà all’insegna del dialogo interreligioso, grazie al Coro del Patriarcato Ortodosso di Mosca diretto da Anatolij Grindenko, mentre il 2 luglio l’Orlando Consort animerà la liturgia celebrata dall’Arcivescovo di Mosca S.E. Mons. Paolo Pezzi. Le grandi proposte del Ravenna Festival 2017 allontanano le colonne d’Ercole del repertorio e aumentano lo spettro di una indagine, quella sul tempo, con la quale ogni essere umano è destinato a rapportarsi. In questo, la presente edizione del Festival si propone di suggerire, quindi, all’Uomo molteplici vie per la comprensione di se stesso. Enrico Gramigna
Yuri Temirkanov
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AVANGUARDIE
Voci, suoni e coreografie tra futurismi e rivoluzione russa
Immagine dal Progetto Ric.ci “Uccidiamo il chiaro di luna”.
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Pasqua e Pasquetta EURO
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Furono “i dieci giorni che sconvolsero il mondo”: gli zar con le spalle al muro, l’avanzata bolscevica di Lenin e Trockij, i ribaltamenti, poi i totalitarismi. Da quel 1917 nacque un nuovo corso della storia, che per l’arte aveva il genio di Majakovskij, Malevich, El Lissitzky, ereditato poi da Prokof ’ev e Shostakovich, figli di quell’ “epoca dei lupi” in cui a dettare il cambiamento fu un continuo gioco di tensione e lacerazione. Questa XXVIII edizione del Ravenna Festival sente “Il rumore del tempo” a partire da “Danze, voci, suoni del Futurismo italiano”. Uccidiamo il chiaro di luna (Teatro Alighieri, giovedì 1 giugno, ore 21) che va in scena per il Progetto Ric.ci (Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80/’90) curato da Marinella Guatterini, con le coreografie di Silvana Barbarini.
Tra gli autori delle musiche figura il nome decisamente altisonante di Filippo Tommaso Marinetti: il blasone futurista infatti attraversa direttamente la genealogia di questo lavoro che vede i natali nel 1997 per essere poi “ricostruito” nel 2015. E il purosangue è proprio la Barbarini, allieva dell’unica danzatrice scelta da Marinetti ancora sedicenne, quella Giannina Censi che aveva abbandonato le scarpe da punta per danzare sulle rime del poeta comasco Escodamé e del “parolibero” Gioia. In lei il fondatore del Futurismo vide l’interprete perfetta per la “Danza dell’aviatrice”, uno dei tre mini-balletti inseriti nel Manifesto della danza futurista del 1917. Un omaggio a El Lissitzky è invece Cuneo Rosso (domenica 18 giugno, ore 21.30, al Chiostro della Biblioteca Classense) che parla di pianoforte e Rivoluzione russa con Daniele
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ANTEPRIMA Edizione 2017
Un’immagine dall’opera “Vittoria sul sole” in scena mercoledì 21 giugno all’Alighieri
Lombardi prestato alle musiche di ArthurVincent Lourié, Aleksandr Vasil’evich Mosolov, Igor’ Stravinskij e Lombardi stesso. Europa e Unione Sovietica a confronto con il primo firmatario del Futurismo russo – e con i suoi eredi – insieme agli artisti che nel 1914 accolsero Marinetti: quel Lourié, nato Sergej che cambiò nome in Arthur Vincent in omaggio agli europei Schopenhauer e a Van Gogh.
squarciato dipinto per mano di Malevich. Un’opera che preannuncia il Dadaismo, contraddistinta da toni epici, drammatici e patetici, e contenuti surreali in cui si annuncia la distruzione del sole che simboleggia la logica terrena ormai superata, e l’inizio di una nuova era che sfugge alla limitata e fallace comprensione umana.
Tra gli spettacoli anche “1917”
Sempre di Futurismo russo e rivoluzioni in musica parla il capolavoro del 1913 Vittoria sul sole (mercoledì 21 giugno, ore 21, al Teatro Alighieri), un’ “opera in 2 agimenti e 6 quadri di Aleksej Kruchenych, con musica di Mihail V. Matjushin, scene e costumi di Kazimir S. Malevich” ricostruzione della produzione originale dello Stas Namin Theatre di Mosca, in collaborazione con il Russian Museum di San Pietroburgo, per la regia di Andrey Rossinskiy. Una prima italiana in lingua originale che riporta all’incontro estivo in terra finlandese del poeta Kruchenych, il compositore Matjushin e il pittore Malevich, i tre massimi esponenti dell’avanguardia russa, nel 1913. Il risultato è un’opera “manifesto” che annuncia la creazione di un misterioso lavoro intitolato Vittoria sul Sole. Qualche mese di maturazione e poi, verso la fine dell’anno, l’opera viene rappresentata a San Pietroburgo, ed è subito scandalo, insieme ai primi vagiti del Suprematismo sul sipario
commissionato da Ravenna Festival a ErosAntEros in prima nazionale al teatro Alighieri il 28 giugno
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In 1917 di Davide Sacco e Agata Tomsic, aka ErosAntEros, (mercoledì 28 giugno alle 21, sempre all’Alighieri) una commissione di Ravenna Festival in prima nazionale, si ridà voce ai canti e ai protagonisti diretti della Rivoluzione russa, per restituirne l’emozione e tutta l’aspettativa di un tempo nuovo. Gli astri, il cielo, le ore del giorno e i loro colori scandiscono l’attesa, ma non mancano «fatica, fame e freddo che hanno accompagnato la lotta per la libertà e la storia ci insegna che il sogno è stato presto tradito»: per questo all’ottimismo dei canti si contrappone l’Ottavo quartetto di Shostakovich scritto in memoria delle vittime dei totalitarismi. Linda Landi
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FOTOGRAFIA
Da “Musiche” a “Vuoto con memoria”: immagini fra suoni e silenzi di Lelli & Masotti Uno sguardo a ritroso rivela come il Festival abbia ospitato e dato ampia visibilità a molti dei fotografi grazie al cui lavoro si può parlare, analogamente a quanto è accaduto per il teatro, di una “Romagna Felix”: da Paolo Roversi a Guido Guidi, dall’Osservatorio Fotografico alla coppia Lelli e Masotti, il cui lavoro si è imposto negli ultimi decenni a livello internazionale, sia nell’ambito della foto di spettacolo che in ricerche in cui la fotografia dialoga con linguaggi come il video e la musica/suono. Due le proposte ospitate nel Mar, Museo d’Arte della Città. La prima è la mostra “Musiche”, vero e proprio viaggio fotografico dove riconoscere i protagonisti di linguaggi musicali tra loro molto diversi, da Keith Jarrett a Arvo Pärt, da Astor Piazzolla a Claudio Abbado. “Non più musica alta e bassa – scrivono Lelli e Masotti – seria, leggera, pesante, ma compresenza attiva nel paesaggio musicale che vive attorno a noi. Non c’è volontà di catalogazione, di elenco, di tassonomia, c’è una serie che si compone e si scompone, un percorso personale ed evocativo che ricorda momenti inesorabilmente fissati.” Secondo momento espositivo è rappresentato dalla videoinstallazione “Vuoto con memoria” di Silvia Lelli, esito di un ininterrotto lavoro di ricerca che prosegue da anni negli spazi silenziosi e deserti di quella meraviglia architettonica che è – appunto – Palazzo San Giacomo a Russi.
CINEMA E MUSICA IL
TRIONFO DEL BIANCO E NERO: CAPOLAVORI SONORIZZATI DAL VIVO
Anche quest’anno il Ravenna Festival propone la fortunata rassegna “Musica & Cinema” con tre appuntamenti, tutti caratterizzati dall’esecuzione dal vivo delle musiche, originali o di nuova composizione di celebri film classici rigorosamente in bianco e nero. Il primo è costituito un capolavoro del cinema espressionista nonché primo cult movie della storia del cinema, Il gabinetto del Dottor Caligari (1919) di Robert Wiene, che verrà musicato con la tecnica del live electronics dall’affiatatissimo quartetto di Edison Studio (ovvero Mauro Cardi, Luigi Ceccarelli, Fabio Cifariello Ciardi e Alessandro Cipriani). Secondo episodio è rappresentato da un altro capolavoro qual è La passion de Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer (1928), musicato dall’Orlando Consort le cui splendide voci a cappella creeranno un abbinamento struggente fra le lancinanti immagini del film e musiche del XV secolo in una sorta di inedita sacra rappresentazione, che nella spoglia chiesa di San Francesco troverà una cornice particolarissima. La trilogia di musiche per il cinema si conclude con uno dei più bei film di Charlie Chaplin The Gold Rush (La febbre dell’oro, 1925), il cui accuratissimo restauro digitale è stato eseguito dalla Cineteca di Bologna. Le musiche originali di Charles Chaplin sono state sapientemente ricostruite da uno specialista come Timothy Brock che le eseguirà sul podio dell’Orchestra Luigi Cherubini..
AUDIZIONI PUBBLICHE
Cristina Muti chiama a raccolta le giovani energie creative locali Un annuncio a sorpresa in occasione della presentazione della XXVIII edizione di Ravenna Festival, una chiamata che abbraccia la città: è nato così il progetto di audizioni con cui Cristina Mazzavillani Muti, presidente di Ravenna Festival, invita i ragazzi di Ravenna e provincia, dagli 8 ai 18 anni, a prendere parte ad audizioni pubbliche. Scopo delle audizioni non sarà il conferimento di premi né, almeno in prima fase, il costituirsi di un cast per uno spettacolo, quanto il censimento delle giovani energie creative in città e la possibilità per gli iscritti di ricevere suggerimenti e consigli. Dal 23 al 30 maggio l’Alighieri è lo spazio prescelto per questa prima chiamata: se il palco sarà accessibile a singoli e gruppi, con il solo limite dell’età e senza alcuna preselezione, la platea sarà invece aperta gratuitamente al pubblico, che potrà assistere alle audizioni. A presiedere la commissione sarà naturalmente Cristina Muti, affiancata dalla Direzione del Festival nel valutare le proposte per le categorie ammesse (canto, strumentazione, recitazione, danza; senza limiti di genere e con contenuti liberamente scelti). L’iniziativa sarà intitolata a Giuliano Bernardi, baritono ravennate. Nell’anno in cui ne ricorre il quarantesimo anniversario dalla prematura scomparsa agli inizi di una carriera già luminosa, questa scelta sottolinea la vocazione della chiamata a scoprire il potenziale artistico della città. «L’avevo in parte già fatto con le mie Trilogie, quando ho voluto che giovani talenti della fotografia, della scrittura e del video scoprissero il mondo dell’opera con la possibilità di seguire e documentare le prove delle produzioni da me dirette. Nel 2017 vorrei andare alla scoperta dei sogni di questi ragazzi, che un giorno saranno il nostro pubblico, con tutta la semplicità – ma anche la grande attenzione – di una chiamata che, lo ripeto, non è un bando, non è un concorso, non assegna premi… se non la possibilità per loro di presentarsi e per noi di ascoltarli. Alla chiamata sono ammessi tutti i cittadini della provincia di Ravenna (singoli o gruppi) tra gli 8 e 18 anni. Gli iscritti possono scegliere liberamente i contenuti da presentare all’audizione. Per iscriversi alle audizioni è necessario inviare un’e-mail (entro e non oltre il 30 aprile 2017) a segreteria@teatroalighieri.org.
ORARI: dal lunedi al venerdì dalle ore 09.00 alle ore 17.00, Per altri orari telefonare al 388 8203109
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DANZA
Selezioni per Les Mémoires di Dubois e tutta la magia della scuola cubana Come è ormai tradizione la danza ha un suo spazio definito al Ravenna Festival. Per gli amanti dell’arte coreutica, il sipario si apre giovedì 8 giugno alle 21.30 al Palazzo Mauro De Andrè, con l’ultima creazione di Olivier Dubois, Les mémoires d’un Seigneur, una produzione del Ballet du Nord/CCN Roubaix Nord-Pas de Calais. Il noto coreografo, geniale ex allievo di Jan Fabre, ritorna a Ravenna per esplorare le vertigini e gli abissi del potere, un vero e proprio “inferno”, una riflessione sul rapporto fra uomo e potere e su arte e potere. Il potere in scena è rappresentato da Sébastien Perrault, interprete prediletto di Dubois: è lui il seigneur, erede dello shakespeariano re Lear, discendente d’imperatori romani – da Marco Aurelio e Adriano a Commodo e Caligola, rampollo d’Alessandro il Grande e Gengis Khan. Attorno a lui, danzatore solista di questa pièce estrema, ci saranno quaranta interpreti maschili, di volta in volta “foresta, meandro, tormento, campo di battaglia”. La particolarità dello spettacolo è che questi interpreti saranno individuati tramite un’apposita selezione a Ravenna, offrendo così l’opportunità a uomini tra i 18 e i 65 anni di calcare le scene attraverso un lavoro corale sul corpo e sul gesto, tramite movimenti semplici come camminare o correre insieme. La partecipazione è gratuita e la candidatura dovrà essere inviata entro il 21 aprile, in vista della selezione definitiva del 6 maggio. Questo spettacolo, che è una coinvolgente immersione nella seduzione del potere maschile tra vertigine e abisso, segna l’inizio di una collaborazione di Dubois con il festival, nell’ambito di un progetto pluriennale sui temi danteschi e in previsione di Dante 2021. D’altra parte, come ricordato dal direttore artistico del Ravenna Festival Franco Masotti, Les mémoires d’un seigneur è in qualche modo dantesca, con suggestioni che vanno da Caravaggio al Gustave Doré che illustra la Commedia.
A sinistra l’ultima creazione di Olivier Dubois; a destra “Lo Schiaccianoci” del Ballet Nacional de Cuba
Si cambia completamente “registro” giovedì 29 giugno alle 21.30, sempre al Palazzo Mauro de Andrè, con l’arrivo del Ballet Nacional de Cuba – storica compagnia che non ha bisogno di presentazioni – che porta sul palcoscenico “La magia della danza”. La serata è un meraviglioso “ripasso” del balletto occidentale (Giselle, La Bella Addormentata, Lo Schiaccianoci, Coppélia, Don Chisciotte, Il Lago dei Cigni), e un tuffo in quello cubano, con assaggi della Sinfonia di Gottschalk, tra ritmi caraibici e sapori criolli. Indiscussa icona della danza, l’ultranovantenne
Alicia Alonso – direttrice artistica della compagnia – ha saputo imprimere il suo segno nel repertorio anche per averne ‘virato’ con sapienza lo stile classico alle qualità dei ballerini cubani. Fin dalla fondazione della compagnia nel 1948, e poi della scuola, Alicia ha cresciuto una stirpe di virtuosi di cui ora anche il pubblico ravennate potrà avere un assaggio. Simbolo indiscusso della danza e grande maestra, è famosa la sua frase: «Ho vissuto non solo per ballare, ma anche per far ballare gli altri». Roberta Bezzi
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RITMI E CANZONI
La leggenda dell’afrobeat Tony Allen e il pop dei Baustelle alle notti di Russi
WORLD MUSIC
I Baustelle
Le notti più “popolari” del Ravenna Festival sono ormai da tradizione quelle di palazzo San Giacomo, a Russi, che quest’anno ospiterà davvero qualcosa di «oscenamente pop». Tanto per citare le parole utilizzate per descrivere l’ultimo disco da Francesco Bianconi che sarà sul palco di Russi con i suoi Baustelle venerdì 16 giugno. Con L’amore e la violenza – il loro settimo disco in studio dagli esordi del 1996, uscito a inizio 2017 – il gruppo originario di Montepulciano conferma una personalità in grado di amalgamare riferimenti e citazioni, suggestioni e nostalgie, canzone d’autore italiana e francese, il rock alternativo, l’elettronica vintage. I Baustelle sono impegnati in questi giorni in un tour primaverile nei più prestigiosti teatri d’Italia, andati rapidamente quesi tutti sold out. Sul palco, oltre all’ormai storico trio
INFO E PRENOTAZIONI FESTIVAL IN BIGLIETTERIA, SU INTERNET E SOCIAL NETWORK Per tutti gli spettacoli in cartellone è possibile prenotare posti alla biglietteria del Festival (Teatro Alighieri, via Mariani 2, tel. 0544 249244), sul sito www.ravennafestival.org e attraverso la rete di prevendite ufficiali attiva presso tutte le filiali della Cassa di Risparmio di Ravenna, rete viva ticket by best union, uffici Iat di Ravenna e Cervia. Esclusivamente alla biglietteria del Festival continua anche la possibilità di sottoscrivere abbonamenti a 6 spettacoli o di acquistare il Carnet Open (4, 6 oppure 8 spettacoli). Il programma aggiornato è consultabile sul sito: http://www.ravennafestival.org. Informazioni e immagini sugli eventi e notizie di servizio anche sulle pagine dei social network del Festival: Facebook, Twitter e Youtube. Info: tickets@ravennafestival.org e 0544 249244.
composto da Francesco Bianconi (voce, chitarre, tastiere), Claudio Brasini (chitarre) e Rachele Bastreghi (voce, tastiere, percussioni), ci saranno Ettore Bianconi (elettronica e tastiere), Sebastiano de Gennaro (percussioni), Alessandro Maiorino (basso), Diego Palazzo (tastiere e chitarre) e Andrea Faccioli (chitarre). La due giorni di Palazzo San Giacomo del Ravenna Festival si completa sabato 17 giugno con il progetto solista del leggendario batterista nigeriano Tony Allen – 77 anni ad agosto –, che per 15 anni e attraverso una produzione musicale di oltre 50 album, ha scandito il tempo dell’afrobeat al fianco di Fela Kuti e della band Africa 70, investendo i ritmi africani di una nuova potenza in grado di contribuire allo sviluppo del sound pop occidentale. Al Festival presenterà il suo ultimo disco solista Film of Life che ha visto ancora una collaborazione con Damon Albarn dei Blur (con cui negli anni è nato un sodalizio importante) e flirta con il jazz, il bebop e il pop. Sul palco del Festival il 17 giugno lo affiancheranno Cesar Anot (basso), Indy Dibongue (chitarra), Jean Phi Dary (tastiera), Nicolas Giraud (tromba), Yann Jankielewicz (sax e tastiera) e Patrick Gorce (percussioni).
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Jonny Greenwood dei Radiohead con il progetto Junun dedicato all’India Il chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood sarà il 2 giugno al Pala De André nell'ambito del programma del Ravenna Festival, tra i protagonisti del progetto Junun. Accanto a Greenwood, ormai considerato tra i migliori musicisti avantgarde contemporanei, Shye Ben Tzur, vero deus ex machina del progetto. Il compositore, musicista e poeta israeliano studia da anni la musica e cultura indiana e la tradizione musicale sufi Qawwali. Sul palco insieme a loro la band The Rajasthan Express, che porta nel progetto tutta l’esuberanza degli strumenti a fiato, gli inaspettati ritmi dispari delle percussioni, la vibrante energia dei cori.
MUSICHE D’AUTORE OMAGGIO IN CHIAVE JAZZ A DE ANDRÉ CON LA VOCE DI CRISTINA DONÀ Si rinnova la collaborazione con Forlì del Ravenna Festival che porta il 5 luglio alla chiesa di San Giacomo un concerto con musiche di Fabrizio De André, dedicato in particolare alle donne presenti nella sua opera. Sul palco musicisti jazz di grande esperienza (tra cui Rita Marcotulli, Enzo Pietropaoli, Fabrizio Bosso e Javier Girotto) e una voce che arriva dal pop e dal rock, come quella di Cristina Donà. Nella stessa location il 9 luglio l’appuntamento è invece con il concerto di Anoushka Shankar, figlia d’arte, prima donna indiana nominata ai Grammy Awards.