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n. 118 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017

Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it . ISSN 2499-2550

CASA PREMIUM .

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n.118 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017

SPECIALE METROPOLI

REALTÀ E DESTINO DELLA CITTÀ CONTEMPORANEA

ARCHITETTURA, ARREDAMENTO E

ANNUNCI IMMOBILIARI


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BONALDO Letto Cuff

contenuti

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casa bella casa

Fuori città: la villa di Angela e Mario a San Zaccaria _____________________________________________________ di Paolo Bolzani

storia e memoria

Ravenna capitale “la Roma sull’Adriatico” ____________________________________________________ di Pietro Barberini

iconologia e storia

città e immaginario

SeDiciArchitettura

idee e progetti

Secolari simbologie Forlivesi ________________________________________________ di Cetty Muscolino e Federica Cavani

Città e immaginario In My Little Town III. City Lights _______________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

Grandezza e destino della città contemporanea ________________________________________________ di Alberto Giorgio Cassani

Dall’Università la proposta per un parco urbano dedicato allo sport ________________________________________________________ di Domenico Mollura

Cesenatico e il grattacielo che cambiò la Riviera romagnola _____________________________________________________ di Chiara Bissi

progetti visionari

città globali

Bogotà: viaggio in una megalopoli del Sudamerica ____________________________________________________________________ di Serena Simoni

metropoli e utopia

locali e design

Landscape Urbanism Orizzonti possibili per le città ________________________________________________________ di Sabina Ghinassi

Al Cairoli e Il Bilancino street food in centro storico _____________________________________________________________ di Roberta Bezzi

abitare l’habitat

Metropoli: riflessioni per uno sviluppo sostenibile ___________________________________________________________ di Marco Turchetti

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È possibile vivere in una città ideale?

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edizione di Ravenna

Controcopertina

Questa è la casa di Mario Bratti e Angela Zarri, una vita di lavoro e insegnamento, un figlio prossimo ad una residenza autonoma. È la casa pensata ed immaginata da sempre ed è divenuta una villa dai colori chiari, costruita tre anni fa a San Zaccaria nella via del Sale, vale a dire la strada provinciale che conduce a Gambellara. La foto di copertina – dedicata al tema della metropoli – è di Alberto Giorgio Cassani

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Federica Cavani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Sabina Ghinassi, Marina Mannucci, Domenico Mollura, Cetty Muscolino, Guido Sani, Serena Simoni, Marco Turchetti. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Restyling grafico: Gianluca Achilli Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Pietro Barberini, Paolo Genovesi, Barbara Gnisci, Maurizio Montanari, Fabrizio Zani (e altre citazioni in pagina). Redazione: tel. 0544.271068 - redazione@trovacasa.ra.it

Editore:

Edizioni e Comunicazione srl

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viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 - info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it

LUGO (RA) - via Acquacalda 116 - tel. 0545 30328 www.emira.it info@emira.it novembre-dicembre 2017


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CASA BELLA CASA

Fuori cittĂ : la villa di Angela e Mario a San Zaccaria

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Fronte strada in notturno, vista dal cancello di ingresso

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> Scorcio del fronte strada e del lato est

Particolare dell’ingresso con il setto murario su cui si appoggia la grande copertura del portico


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La casa della vita al centro di un prato nella campagna meridionale ravennate

«Il forese è spesso luogo ideale di intreccio fra storia e sperimentazione, tradizione e ricerca – sottolinea il progettista Eugenio Fusignani – soprattutto là dove il tessuto urbano non ha una forte connotazione storica ma conserva chiari linguaggi architettonici legati alla vita quotidiana»

di Paolo Bolzani Questa è la casa di Mario Bratti e Angela Zarri, una vita di lavoro e insegnamento, un figlio prossimo ad una residenza autonoma. È la casa pensata ed immaginata da sempre ed è divenuta una villa dai colori chiari, costruita tre anni fa a San Zaccaria nella via del Sale, vale a dire la strada provinciale che conduce a Gambellara. Una piazzola rientrante, ricavata sul ciglio della strada sopra il fosso, mentre facilita l’ingresso alle auto segnala la presenza dell’edificio con un muretto rivestito da un manto in sottili listelli in pietra chiara che separa l’ingresso pedonale da quello carrabile. Già qui si introduce uno degli aspetti principali della casa, progettata da Eugenio Fusignani – vicesindaco e geometra - che disegna anche la recinzione eretta lungo il piccolo fosso che borda la strada: l’adesione a un leit motiv decorativo dell’architettura degli ultimi decenni, in effetti ripreso dalla produzione degli anni Cinquanta del XX secolo. Non appena entrati nella piccola “tenuta”, in precedenza trattata a terreno agricolo, subito si nota la scelta di arretrare l’allineamento dell’edificio, lasciando ampio spazio al giardino sul fronte strada. Questa è infatti l’immagine che si pro-

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Particolare del rivestimento in piccoli listelli di pietra

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Ingresso, angolo sud-ovest;composizione di grandi piante mediterranee

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CASA BELLA CASA

pone all’ospite: una villa saldamente ancorata alla terra con le sue grandi falde, ancorché asimmetriche, posta al centro di un vasto prato all’inglese molto curato, mantenuto costantemente tosato da un piccolo robot rasaerba a quattro ruote. È ornato da una serie di isole verdi risolte da composizioni accurate di varie essenze, cominciando dal gruppo di erbe aromatiche mediterranee collocate di fronte al cancello pedonale. Girando lo sguardo alla villa mentre ancora respiriamo il profumo intenso del rosmarino, ecco la vista del possente vecchio ulivo rugoso che troneggia in mezzo al prato, la cui base se ne separa con un bordo di rocce colorate. «Come riferimento per la progettazione – racconta Fusignani – Mario e Angela mi avevano indicato una grande casa relativamente nuova, presente non molto lontano da qui e dal tipico aspetto di basso edificio a grandi falde con il portico verso la strada. Ho pensato di recuperare il genius loci contadino nel dimensionamento delle proporzioni e nell’orientamento dei volumi, con l’esposizione est/ovest delle falde di copertura che rimanda a quella tradizione, legata all’operatività del lavoro nei campi. Sono però riuscito a convincerli a modernizzarne l’immagine tradizionale, rafforzando la lettura dell’impianto strutturale con la messa in evidenza del setto murario centrale che svolge il compito di sostegno statico mentre definisce gli spazi interni e inoltre marca con forza l’ingresso». Per il medesimo motivo Fusignani sottolinea l’ingresso anche con un altro pilastro minore a setto collocandolo davanti alla facciata, su cui si appoggia la lunga cornice della terrazza appoggiata al portico scavato. «La scelta dei materiali per la copertura è ricaduta sul monocoppo scuro, sia per non appesantire la struttura e sia per una

«Ho pensato di recuperare il genius loci contadino – riprende Fusignani – però sono riuscito a modernizzarne l’immagine tradizionale, rafforzando la lettura dell’impianto strutturale con la messa in evidenza del setto murario centrale che svolge il compito di sostegno statico, mentre definisce gli spazi interni e inoltre marca con forza l’ingresso»

In alto: giardino posteriore, con particolare dell’abbeveratoio proveniente dalla vecchia abitazione di famiglia della padrona di casa. Nella pagina a fianco, in alto: il tetto in coppi neri con inserimento di pannelli fotovoltaici semi integrati. Nella torretta sono nascosti i pannelli solari e i relativi macchinari. Nella pagina a fianco, in basso: vista del soggiorno


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CASA BELLA CASA


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«Penso che i materiali possano e debbano essere in grado di identificare un periodo storico per mezzo di un certo tipo costruttivo: perciò ho scelto il rivestimento in listelli, il monocoppo, l’acciaio inox per i canali di gronda e i pluviali».

chiara lettura della tradizione; risulta quindi ideale anche nella scelta del colore che esalta la bicromia con le lattonerie. Penso che i materiali possano e debbano essere in grado di identificare un periodo storico per mezzo di un certo tipo costruttivo: perciò ho scelto il rivestimento in listelli, il monocoppo, l’acciaio inox per i canali di gronda e i pluviali». Per uscire dal cliché della casona bassa con il grande e lungo tetto viene quindi conferita molta enfasi al setto centrale e lo si rafforza con questo secondo setto, dal sapore apotropaico, eretto in posizione antistante a protezione della nicchia del portone e come invito e sostegno al portico. Insieme alla grande lastra orizzontale a-terrazza-non-protetta dà luogo ad un segno asimmetrico a “L” rovesciata, che si rivela la chiave della composizione, giocata su segni-forza netti, subito stemperati nel tono bianco-avorio delle pareti. Avvicinandosi all’ingresso scopriamo un’altra pregevole zona del giardino appena impiantato, che ci rimanda ad un idea mediterranea quasi esotica, naturale ma anche monumentale. Siamo infatti accolti da una composizione scenografica di grandi agavi, agavi striate e fichi d’India; le vediamo emergere con robusti tronchetti da macchie di fini pietre bianche galleggianti su un letto di piccoli sassi colorati ricavato tra il finissimo prato, i marciapiedi in grés azzurrino e i passaggi pedonali in betonelle colorate sui toni dell’arenaria bionda. Scopriremo come sotto i passaggi, che qui si allargano per tramutarsi in un lungo stradello carrabile, sia stata saggiamente ricavata una capiente vasca di laminazione per la raccolta delle acque meteoriche. Sul lato opposto il giardino prosegue passante, fino a condurre al retro della casa. In questo tragitto il lungo fronte laterale orientale viene opportunamente interrotto ed articolato dall’inserimento di un cubo rivestito dei listelli di pietra già utilizzati, una “torretta difensiva” che nella propria sommità cela pannelli e relativi macchinari dell’impianto solare termico. A fianco il manto di copertura nero ospita i pannelli fotovoltaici di tipo semi integrato, la cui potenza di picco pari a 5,25 kWp assolve l’autoconsumo energetico della villa e consente l’immissione in rete dell’energia non utilizzata. Si tratta di soluzioni che trasformano l’edificio in un concentrato di efficienza, dal 2015 insignito della massima classe energetica. Obiettivo raggiunto in virtù inoltre dell’adozione di un blocco termico in muratura particolarmente largo e della connessione tra l’impianto solare termico e un sistema di generazione ibrido composto da pompa di calore e caldaia integrativa a condensazione, con sistema di accumulo composto da un serbatoio di acqua tecnica da 500 litri. Aggirando la villa da est si raggiunge il retro, dove si trova un vecchio abbeveratoio presente nella stalla della famiglia della padrona di casa, felicemente riutilizzato come

A sinistra, due scorci del soggiorno da angolazioni diverse. In alto, lo studiolo con computer; alla parete i diplomi di famiglia. In basso: particolare della parete a riquadri illuminati che chiude il soggiorno verso il pranzo e la cucina.

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CASA BELLA CASA

fioriera all’interno del progetto di sistemazione delle aree verdi. Ma a questo punto siamo curiosi di sapere come siano stati interpretati gli spazi canonici dell’abitare. Quindi entriamo. Un vasto living ci accoglie luminoso, dispiegandosi nei propri 60 metri quadri di parquet in rovere biondo, sotto il quale si cela un impianto radiante a pavimento: la climatizzazione degli ambienti è invece garantita da ventilconvettori ad incasso. Doppia provenienza per i mobili: di recupero dalle “cose” di famiglia e di recente acquisto. Due grandi colonne tinteggiate di grigio scuro ci segnalano nuovamente l’intenzione del progettista di presidiare gli spazi strategici, sia esterni che interni, con segni forti e netti, in questo caso con l’ulteriore scopo di snellire e allargare lo spazio mediante l’elimi-

Sopra: vista della zona pranzo dalla cucina. Sotto: a sinistra la stanza da letto matrimoniale, a destra la stanza da letto del figlio.


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nazione di un eventuale atrio di ingresso autonomo. Un’analoga intenzione si manifesta nuovamente nell’accesso alla cucina, risolto con una grande porta ad ante in vetro scorrevoli, che consente di dare continuità osmotica del grande spazio living, mentre illumina la zona pranzo, collocata a sua volta nella sua parte più interna, in fregio alla quale ha inizio una scala a giorno che conduce ad un piano mansardato, ricavato nel vasto sottotetto. Tra questi ambienti si dispone una bella parete attrezzata, articolata da un mobile pensile su cui trova posto un grande monitor TV, davanti al quale si organizzano due divani, un tavolino ellissoidale e una poltrona rossa; è ornata da vasi in vetro colorato, trasparente e in ceramica ben esposti in nicchie a riquadri dal taglio gradevole. Proseguendo oltre si raggiunge la camera da letto di Mario e Angela, risolta con un letto in ferro, due comodini in legno e lampadario di Murano, mentre a fianco della finestra una foto li ritrae giovanissimi diciottenni in visita a Venezia. Il percorso prosegue oltre, negli spazi funzionali (lavanderia, stireria, garage), ma dimostra una propria intrinseca circolarità perché, dopo una breve sosta nello studiolo vegliato in parete dai diplomi di tutta la famiglia – dai genitori alla laurea del figlio - magicamente ci si ritrova a fianco dell’ingresso, dove è collocata la camera del figlio (ma sembra ancora per poco, potrebbe diventare la stanza degli ospiti). Qui termina la visita e il racconto di questa villa a San Zaccaria. Da questa circolarità degli spazi riemerge un piccolo pensiero, già apparso in numerose case finora descritte: la inevitabile circolarità della vita abitativa di una coppia di sposi, nei vari luoghi in cui ha dimorato, quando infine si arriva alla casa giusta.

> Crediti Nuova costruzione di villa monofamiliare San Zaccaria (Ra) architettonico: • Progetto Eugenio Fusignani, GeA Studio, Castiglione di Ravenna Lavori: • Direzione Susanna Celli, GeA Studio, Castiglione di Ravenna • Progetto strutturale: Pietro Foschi, Studio Nomos, Cesena • Progetto impianti: Patrizio Berretti, Studio Nomos, Ravenna • Progetto sicurezza: Giuseppe Casadei, Cesenatico • Impresa Edile: Magnani Giuliano srl, Montaletto (Ra) Termoidraulico: • Impianto Riregera by Termoidraulica Fusignani, Castiglione di Ravenna • Impianti Elettrici: Magnani Martino, Castiglione di Ravenna • Serramenti esterni: TBT2, Ravenna • Porte interne: F.B.P srl, Montaletto (Ra) • Giardino: Garden Mondo Verde, Cervia • Fornitura materiali edili: Ditta Faro, Montaletto di Cervia • Fornitura materiali di finitura: Ditta Remo Biserni, San Zaccaria copertura: “monocoppo”, • Materiale Industrie Cotto Possagno, Possagno muratura: • Blocchi Porotherm Bio Plan, Mordano (Fraz.Bubano - Bo) • Intonaci: biocalce Kerakoll • Lattonerie: F.lli Barducci di Paolo & C. snc, Cesena • Pannelli solari termici: Rotex / Daikin fotovoltaici di tipo semi integrato: • Pannelli Giemme snc, Mercato Saraceno Saraceno (FC) • Fotografie: Ermete Corrivi

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STORIA E MEMORIA


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Ravenna capitale

“la Roma sull’Adriatico”

Con la flotta ai tempi di Traiano una città cosmopolita, cinta da una corona di mura, simbolo di un potere strategico e politico. di Pietro Barberini Nel primo secolo avanti Cristo, Ravenna godeva già di un’appartata posizione dai risvolti strategico-militari. Da quelle posizioni organizzò le sue truppe Gaio Giulio Cesare, prima di oltrepassare il Rubicone ed entrare dalla Gallia Cisalpina nel territorio “metropolitano” di Roma. Bisogna però arrivare al primo secolo per vedere la città al centro di traffici navali e terrestri di notevole entità: la via Popilia che congiunge Rimini a Quarto d’Altino entra in città attraverso l’arco di Claudio, successivamente trasformato in Port’Aurea. L’ingresso monumentale è anche funzionale, poiché si apre a nord degli scali portuali interni situati sulla laguna, che mette in comunicazione i traffici fluviali lungo il Po Eridano con quelli del mare Adriatico. Il porto di Ravenna raggiunge la sua massima espansione con l’imperatore Traiano nel II sec. quando si afferma il suo ruolo militare e navale con la sede della flotta (Classis) e l’inaugurazione di un grande acquedotto, capace di dissetare una vasta area metropolitana, formata da tre città: Ravenna, il “sobborgo ponte” di Cesarea e Classe. I bacini portuali possono ospitare ben 250 navi e attorno sono situate banchine, depositi, cantieri e presidi militari, come si conviene a una grande base navale che vigila sul mare “Superum”, spingendosi fino alle coste orientali del Mediterraneo, al di là di Cipro. In quel momento di grande ricchezza economica e sociale, a Ravenna si verifica una sovrapposizione di costumi, lingue, abitudini e religioni documentata anche dalle numerose epigrafi delle sepolture quasi tutte del II sec. d.C., conservate al Museo Nazionale. I caratteri cosmopoliti, e l’incontro fra culture diverse, creano quel terreno fertile sul quale cresceranno le fortune della futura Roma sull’Adriatico. Ravenna segue le vicende politiche dell’impero il cui baricentro viene spostato da Costantino ad Oriente. Dopo la fondazione di Costantinopoli la capitale dell’impero d’Occidente passa da Roma a Milano. Mediolanum ben presto si rivela inadatta a mantenere quel ruolo, troppo condizionato dai confinanti in continua transizione espansiva. All’inizio del V sec. Ravenna, dove la flotta vigilava sulla sovranità orientale del Mediterraneo, diventa capitale dell’Impero d’Occidente. Imprendibile da terra, ma facilmente raggiungibile dal mare, la città assume il ruolo di capitale politica e religiosa. Con Galla Placidia si afferma il Cristianesimo, capace di affiancare nuovi edifici di culto ai templi di un paganesimo assorbito e trasformato. Fintanto che sarà “Imperatrice”, in attesa della maggiore età di Valentiniano III, Galla Placidia governa con saggia fermezza, te-

Particolare di un graffito del sottopasso, fra centro storico e darsena di città di Ravenna lato sud.

nendo a freno anche il vento del cambiamento. Valentiniano III regge per trent’anni l’Impero d’Occidente in sintonia con Costantinopoli, finché alla sua morte avvenuta nel 455, pian piano si disgregano le alleanze e inizia la fase finale dell’Impero, suggellata dalla deposizione di Romolo Augustolo nel 476. Con l’arrivo dei Goti di Odoacre e di Teodorico, Ravenna ritorna un centro cosmopolita, nel recinto aureo, ma decadente, delle sue mura. Tutto sembra muoversi al contrario, in quell’immobilità apparente. Lo descrive bene Sidonio Apollinare in una sua lettera scherzosa e ironica, inviata al suo amico Candidiano nel 467: Ravenna... «...dove i moscerini vi pungono gli orecchi, dove una garrula moltitudine di rane vi gracida sempre d’intorno! Ravenna non è che una palude, dove tutte le forme della vita si presentano alla rovescia: dove i muri cadono e le acque stanno, le torri scorrono giù e le navi si piantano fisse, i malati vanno girando ed i loro medici si mettono a letto, i bagni gelano e le case bruciano, i vivi muoiono di sete e i morti nuotano galleggiando sull’acqua, i ladri vegliano e i magistrati dormono, i preti fanno gli usurai ed i Siri cantano salmi, i mercanti vanno armati ed i soldati mercanteggiano come i venditori, le barbe grigie giuocano a palla e i ragazzi ai dadi, gli eunuchi studiano l’arte della guerra ed i mercenari barbari studiano letteratura. Pensate ora che specie di città contiene i vostri Dei Lari, una città che può avere un territorio ma che non si può dire che abbia terra!» (Sidonio Apollinare, Epistulae, libro I, 8.2-3) Dal tono ironico della lettera che ha straordinaria efficacia descrittiva si può arguire che Ravenna, a meno di dieci anni dalla fine del suo ruolo di capitale, riassume in sé le caratteristiche di un centro importante con aspetti consolidati relativi al clima (caldo e umido), alla tipologia urbana attraversata da canali nei quali «i morti nuotano galleggiando sull’acqua e le navi si piantano fisse»! Il gracidare delle rane e le punture delle zanzare sono ricordate quindici secoli dopo da un illustre viaggiatore al suo ritorno a Ravenna: è il letterato Olindo Guerrini fondatore del Touring Club Italiano che racconta della percezione di Ravenna dai “versi” dei ranocchi che gli balzano incontro nel suo pedalare verso la città, illustrata come «appartata e neghittosa». Il ruolo di capitale imperiale convive con gli ossimorici effetti descritti da Sidonio, poiché ben diversamente dalla città dove ritorna il poeta Olindo Guerrini ai primi del Novecento, Ravenna mantiene alto il rango di capitale anche dopo il dissolversi dell’impero romano d’Occidente. Dopo Odoacre, Teodorico, con la stessa determinazione di Galla Placidia, governa con forza ed equilibrio, restaurando l’acquedotto di Traiano (l’acqua è per tutti i cittadini) e facendo convivere, in pace, ariani e cristiani che ormai hanno reso obsoleti e vetusti i templi dedicati alle varie divinità protettive e oracolari. Ravenna come capitale del regno barbarico di Teodorico il “Grande”,

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può essere considerata la prima capitale d’Italia. È la Roma sull’Adriatico, una città interetnica, per usare un termine attuale, che governa l’Occidente e la Pianura Padana, ma guarda ad Oriente. La fulgida meteora del re goto che conosce greco e latino avendo studiato a Costantinopoli, tramonterà e si verificherà il ritorno allo “status quo ante” con il prevalere non sempre pacifico dei cristiani sugli ariani. La storia è raccontata dall’iconologia musiva della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, dove “sopra” i mosaici teodoriciani vengono sovrapposti altri segni, una raffigurazione del “nuovo ordine”, quello bizantino, che appare nella sua parte mediana con i cortei dei santi e delle vergini. Teodoriciani sono i mosaici che mostrano la città di Classe con le navi e il Palatium che regalano una sfavillante iconografia della “capitale”. Ravenna affida tanta potenza espressiva al mosaico, “capace di governare” dagli stessi catini absidali di Sant’Apollinare in Classe e San Vitale. Nella Basilica di Classe, Sant’Apollinare appare come ministro di Dio benedicente e dal purpureo mantello ricamato di api, ma in San Vitale, Ecclesio e Massimiano rappresentano, più della spiritualità, la politica di governo e il corteo di Giustiniano e di Teodora, presenti a Ravenna soltanto in effige, ne sono ieratica, viva e potente espressione. I poteri passano all’arcivescovo e ai governatori bizantini, in grado di perpetuare gli antichi fasti imperiali. Nell’etimologia più stretta metropolis ha significato di “città madre” e in quell’accezione si addice ai compiti di governo che via via vengono maggiormente esercitati dagli arcivescovi di Ravenna, che agiscono su mandato del potere bizantino. L’archiepiscopus è metropolita di un territorio che anche nel nome contiene il termine polis: la pentapoli bizantina. I contorni di questa giurisdizione non sono facili da identificare, poiché oggetto di varie

A sinistra, in alto: vista dell’ingresso del sottopasso da viale Pallavicini. A sinistra, in basso: uscita del sottopasso su viale Pallavicini. In primo piano sulla sinistra le riproduzioni fotografiche di Enzo Pezzi delle statue delle muse nelle quattro nicchie della facciata del Teatro Alighieri di Ravenna. In questa pagina, a sinistra: ingresso del sottopasso da Piazzale Aldo Moro. Dettaglio del grande pannello panoramico del territorio di Ravenna eseguito da Franco Franchini. In questa pagina, a destra: vista della balaustra dell’ingresso da Piazzale Aldo Moro, lato sud. Sopra il pannello di Franchini le illustrazioni di Finalba Di Pietro, che riproducono i mosaici di San Vitale.

interpretazioni. È Massimiano il primo archiespiscopus mandato da Costantinopoli nel 546, i suoi successori assumeranno quel nome di espressione giuridica, poiché enunciata dal codice giustinianeo; Roma però continuerà a chiamarlo episcopus, ignorando che fino alla prima metà del V sec. il vescovo ravennate era anche denominato “papa”. Il capo della chiesa ravennate, nel corso dell’VIII sec. ritorna di fatto al precedente rango, dialogando alla pari col pontefice di romana ecclesia. Nasce così quel periodo di circa tre secoli chiamato dell’autocefalia: la chiesa ravennate è potentissima ed estende i suoi domini fino all’Italia Meridionale e alla stessa Sicilia, dove già nell’anno 666 a Catania, l’imperatore Costante II concede all’arcivescovo di Ravenna i privilegi, diritti che saranno esercitati in regime di parità col pontefice, soltanto un secolo dopo. Nonostante le dimensioni ridotte Ravenna in quel periodo è veramente una città “metropolitana”, capace di governare su un vasto e articolato circondario. L’abitato racchiuso dalle mura contiene un esiguo numero di abitanti, ma sono ben evidenti i palazzi sede delle decisioni giuridiche ed amministrative e i presidi religiosi e politici che rafforzeranno l’organizzazione territoriale extra-urbana nelle campagne a sud della città e nell’area più vasta dell’Italia Centrale, eredità dell’Esarcato bizantino e della Pentapoli.

Una piccola capitale I segni dell’antico splendore vengono coperti dai sedimenti del tempo che lentamente allontana il mare. Ravenna mantiene comunque un’aura distintiva. Nell’età imperiale gli Ottoni avevano fatto erigere un palazzo fuori porta San Lorenzo e pare si facessero incoronare dall’arcivescovo ravennate, al quale continuavano a conferire prestigio e poteri. Dalla Signoria Polentana alla dominazione veneziana, la città gode di un dorato isolamento nel quale conclude la sua vita e la sua grande opera, Dante Alighieri. Ravenna resta capitale, non solo per la presenza della sede del legato pontificio che amministra un’ampia porzione della Romagna, ma perché amata e visitata da poeti e letterati, artisti ed eroi. Una piccola capitale che si spalanca, aprendo inaspettati spazi verdi attorno agli antichi monasteri che sembrano vigilare sull’inconfondibile spazio urbano, silenzioso e ricco di edifici che contengono tesori. Il sottopasso pedonale e ciclabile accanto alla stazione ferroviaria ora

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STORIA E MEMORIA

Sopra: vista della balaustra dell’ingresso da Viale Pallavicini, lato ovest. In basso la composizione fotografica con alcune porte di Ravenna eseguita da Enzo Pezzi; sopra le illustrazioni di Finalba Di Pietro che reinterpretano alcuni soggetti musivi dell’abside di Sant’Apollinare in Classe. In basso: particolare di un graffito del sottopasso, lato sud.

è simbolico collegamento fra Occidente e Oriente: un passaggio di luce nella storia. Grazie alle suggestioni evocate da graffiti, dipinti, fotografie e disegni, in cento metri Ravenna ritorna città cosmopolita, dove si mescolano lingue ed etnie.

Sottopasso multicolore che attraversa la storia di Ravenna Da poco tempo il sottopasso che collega la città alla Darsena, tra viale Pallavicini e piazzale Aldo Moro, si presenta con una veste del tutto rinnovata. Il semplice manufatto, un lungo parallelepipedo sotterraneo con scale d’accesso e ascensori ai terminali, riassume per mezzo di pannelli fissati alle balaustre e sulle pareti del tunnel, la storia di Ravenna. Le nuove installazioni che hanno sostituito le vecchie in plexiglass, riproducono i mosaici patrimonio dell’Unesco e fanno scorrere in sequenza immagini evocative di quel che ciascuno può trovare. Chi entra dal piazzale dove “approdano” molti autobus turistici, viene avvolto da una particolare atmosfera: un film multicolore che scorre su entrambe le pareti, ma è il passante che avanza, sia esso ciclista o pedone. La valorizzazione di questa infrastruttura di connessione del tessuto urbano, unico collegamento ciclo-pedonale tra centro storico e darsena di città, diventa un elemento di comunicazione e promozione turistica. L’intervento è stato realizzato dall’associazione “Naviga in Darsena” presieduta dall’imprenditore portuale Paolo Monduzzi e ha ricevuto il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e della Camera di Commercio. Le illustrazioni sono di Finalba Di Pietro; la consulenza storica di Laura Gramantieri; la ricerca fotografica di Enzo Pezzi; l’illustrazione panoramica di Franco Franchini; il progetto grafico di Giancarlo Gramantieri e Delio Mancini.

Tutte le foto del servizio sono di Pietro Barberini


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ICONOLOGIA E STORIA di Cetty Muscolino Una suggestiva testa femminile di marmo greco in dimensioni naturali fa bella mostra di sé nelle collezioni del Museo Nazionale di Ravenna; sormontata, a guisa di corona, dalla raffigurazione di una cinta muraria. Si tratta della dea Tyche, rappresentante o protettrice della città, sia essa Ravenna o Classe. E immediatamente ci evoca la sacralità e l’importanza del rito di fondazione di una città, il cui sito non può essere scelto arbitrariamente e neppure razionalmente dai fondatori, ma deve essere “scoperto” attraverso la rivelazione di un mediatore divino. Altre mura, costruite con sfolgoranti mattoni aurei, compaiono nelle rappresentazioni di Classe e di Ravenna nei mosaici parietali commissionati da Teodorico per la sua chiesa palatina di Sant’Apollinare Nuovo ma, se vogliamo elevarci ad un’ottava superiore è necessario approdare alla basilica di San Vitale (o di Sant’Apollinare in Classe) dove, dopo aver scavalcato tutti gli ostacoli e sciolto i molteplici nodi della nostra esperienza terrena, giungeremo nella Gerusalemme celeste.

A sinistra: testa frammentaria con corona turrita, arte romana, II sec.d.C. - Museo Nazionale di Ravenna. Sotto: La Gerusalemme Celeste, San Vitale, Ravenna. Nella pagina a fianco: Città-ideale, Galleria Nazionale delle Marche, Palazzo-Ducale, Urbino.


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È possibile vivere in una città ideale? Così viene descritta nel 21 capitolo dell’Apocalisse la città di Gerusalemme: «Lo splendore di lei era simile a pietra assai preziosa, come il diaspro cristallino. Aveva un muro grande e alto munito di dodici porte, presso le quali vi erano dodici angeli; vi erano scritti i nomi che sono quelli delle dodici tribù dei figli di Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte, a occidente tre porte. Il muro della città ha dodici fondamenta e sopra di esse dodici nomi, quelli dei dodici apostoli dell’Agnello … La città è un quadrato, e la sua lunghezza è uguale alla larghezza … il materiale del muro è di diaspro, e la città d’oro puro, simile a puro cristallo. I basamenti del muro della città sono ornati d’ogni sorta di pietre preziose: il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonice, il sesto di sardio, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisoprasio, l’undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. Le dodici porte sono dodici perle; ogni porta è fatta di una sola perla. La piazza della città è d’oro puro, come cristallo trasparente». Dopo tanto splendore e perfezione, sempre restando sul piano dell’utopia, ecco apparire le nitide e perfette città ideali del Rinascimento, tanto perfette da sembrare inabitabili, come se la presenza umana potesse alterarle, scuoterle e diminuirle nella loro algida essenza. Come poter vivere in tanta inossidabile perfezione? Allora, volendo rimettere i piedi in terra, torna alla mente, prepotente, l’immagine di una città per noi più accessibile e vivibile, quella che Ambrogio Lorenzetti ha affrescato nel 1338-39 nella Sala della Pace del palazzo Pubblico di Siena. E noi ci perdiamo con gioiosa curiosità ad osservare i molteplici fotogrammi che l’artista ha voluto cogliere e che a distanza di secoli ci immergono nella realtà della vita quotidiana di una città laboriosa e in crescita, come ci indicano i maestri muratori che lavorano alacremente sulla sommità di un tetto. Una città dove ciascuno trova il suo posto. La strada è piena di vita

«…è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati». Italo Calvino, Le città invisibili

e animazione, gli artigiani lavorano ed espongono le loro merci sui banchi di legno, un oste salumiere ha appeso ad una stanga insaccati e carne fresca, un calzolaio espone calze suolate e mostra sul banco, sparpagliati, gli strumenti del mestiere. In una loggia un maestro in cattedra tiene la sua lezione, mentre, un pastore conduce fuori dalle mura il suo piccolo gregge, mercanti scaricano le loro merci dagli asini, sfila un corteo di personaggi d’alto rango, e dieci leggiadre fanciulle tenendosi per mano muovono passi di danza al ritmo di un tamburello. Tutta questa laboriosa serenità ci racconta che nella città regnano giustizia, pace e concordia, garantite dalla Sicurezza, Securitas, posta proprio fuori dalla cinta muraria verso la ridente campagna che, portando come vessillo una forca con un malfattore impiccato, ricorda a tutti che banditi e trasgressori saranno puniti, ed enuncia nel suo cartiglio: «Senza paura ogn’uom franco camini/ e lavorando semini ciascuno/ che sul comuno/ manterrà questa donna in signoria [la Giustizia]: che l’a levata a’ rei ogni balia».

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ICONOLOGIA E STORIA

Massaie portando ceste e galline, contadini con muli carichi di sacchi entrano nella città, e dalla porta escono cavalieri, e oltre si schiude la campagna ondulata di colli, ben coltivata e animata da contadini al lavoro. La città è resa sicura e protetta dalla cinta muraria che, al di là della funzione specifica, racchiude un profondo significato simbolico, come sottolinea Rabano Mauro, nel XII secolo, nel De Universo: «Le mura della città significano l’inespugnabile fermezza della fede, della speranza e della carità». Le tre virtù teologali diventano quindi le virtù civiche per eccellenza, perché sono quelle che assicurano il buon governo e infatti nel dipinto di Ambrogio Lorenzetti esse si librano, quasi incoronando il personaggio che rappresenta il Bene Comune, il Buon Monarca, che si oppone all’allegoria del cattivo Governo, del Tiranno, accompagnato dai vizi capitali. Questo affresco è senza alcun dubbio una delle opere più grandiose in cui il ritmo della vita civile è mostrato nel suo duplice aspetto urbano e rurale, e che riesce a condensare contenuti filosofici e politici, sottolineando come motivi fondamentali dell’ordine politico siano l’autorità (rappresentata nelle allegorie) e la socialità umana (negli effetti che ne conseguono). E a questo proposito è utile ricordare che questo formidabile manifesto politico affrescato nel lontano Trecento, si intitola Gli effetti del Buon Governo, in città e in campagna.

Allora, soffermandoci un momento a riflettere sull’uso delle parole, forse potremmo rimanere colpiti perché quel mirabile “scatto” fotografico ci appare molto convincente e persuasivo, e ci sembra che sostanzi concretamente la parola buono …tremendamente abusata ai nostri giorni. Tramontata l’era del sostenibile e dell’imprescindibile, caduta in disgrazia quella della trasparenza e della visibilità, insieme a quella della sinergia e della necessità di “fare sistema”, oggi il buono va per la maggiore. Buone pratiche… buona scuola… cosa altro di buono dobbiamo aspettarci? Forse basterebbe abolire tanti buoni che a ben guardare non sembrano poi così buoni e auspicare semplicemente un Buon Governo!

In alto: Gli effetti del Buon Governo in città, Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena. In basso a sinistra: La Securitas, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena. In basso a destra: Allegoria del Buongoverno, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico, Siena.


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ICONOLOGIA E STORIA

Forlì e la sua immagine

tra realismo e simbolismo di Federica Cavani Lo studio urbanistico delle città non può non considerare le rappresentazioni iconografiche, spesso frutto dell’interpretazione di artisti che in varie epoche hanno voluto lasciare, su fondali di dipinti perlopiù a carattere devozionale e su plastici in mano a santi, testimonianza della realtà da loro stessi vista e percepita. È a partire dalla metà del XIV secolo che il trattamento realistico degli elementi urbani più significativi spettò in primo luogo ai monumenti municipali dalla cui riconoscibilità dipendeva quella della città di appartenenza. Il medium iconografico preferito fu pertanto quello dei santi protettori, capaci di scacciare i demoni, le guerre e le carestie, che fecero anche dell’urbe il luogo deputato al loro mostrarsi. Le città iniziarono così a non essere più rappresentate come luoghi mitici e sacri, riproduzione dei quattro modelli ideali identificati con Gerusalemme, Roma, Babilonia e Costantinopoli. A partire dal tardo Trecento e fino a tutto il Cinquecento si adottò anche per la rappresentazione della città la formula della dedicatio usata in epoca altomedievale per il singolo edificio religioso, del quale il committente teneva in mano, o appoggiato sulle ginocchia, o a terra accanto a sé, il modellino, con un gesto che significava contemporaneamente proprietà e offerta alla divinità, come nel mosaico di San Vitale dove il vescovo Ecclesio offre a Dio la chiesa da lui fondata. Nelle mani guantate dei santi protettori, spesso coincidenti con i vescovi,

o illustrati sui loro ampi mantelli sacerdotali si concentrarono così veri e propri tratti di architetture dalle masse contratte, ma allo stesso tempo rappresentative e documentarie. Le micro-città votive dovevano restituire contemporaneamente la realtà materiale e la verità simbolica. Fu così che l’ex-voto finì per restituire con sincerità figurativa la fisionomia dei monumenti civici, come testimonianza del loro ruolo politico svolto in rappresentanza di tutta la città, e di quella degli edifici religiosi. Attorno a tale rappresentazione, mediazione tra il potere spirituale e quello temporale, era presente un tessuto edilizio minore che oscillava tra verismo e convenzione. Talvolta piccoli particolari, come arredi e ornati, servivano, accanto ai grandi monumenti, a identificare la città, come è accaduto per Siena, dove l’uso del bianco e del nero ha finito per caratterizzarla. Varie sono le testimonianze di questo genere iconografico che si diffuse in tutta la penisola italica con tempi e modi differenti. Gli elementi che maggiormente emergono in modo particolare dalle prime rappresentazioni sono le mura urbiche e la dimensione verticale. Durante il XIII e XIV secolo la Chiesa aveva infatti imposto la propria presenza dall’alto dei campanili, mentre le diverse casate nobiliari avevano affidato all’altezza delle case-torri la manifestazione della loro potenza. Torri e campanili si moltiplicarono all’interno delle mura, lasciando però anche spazio all’organizzazione della nuova città borghese, rappresentata da palazzi pubblici e piazze. Le mura in molte raffigurazioni appaiono di forma circolare, come confine


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perfetto per il microcosmo urbano. Non era infrequente raffigurare tuttavia anche un’alta cortina muraria a base esagonale e ottagonale, con torrette angolari, a volte arricchita da merli a coda di rondine, testimonianza delle sanguinose lotte tra guelfi e ghibellini. Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento la città ritornò invece racchiusa in una bassa cortina poligonale spesso guardata dall’alto, che aveva caratterizzato dipinti e mosaici tardoantichi. Anche l’iconografia di Forlì, come quella di gran parte delle città italiane, nasce nel corso del XV-XVI secolo, come città sintetizzata in mano a santi protettori, spesso benedicenti, identificabili nella maggior parte dei casi nei santi Mercuriale e Valeriano. Questo ultimo martire e santo militare della metà del V secolo forse patrono adottivo, fin da epoca antica è stato affiancato a San Mercuriale, protovescovo di IV secolo, impegnato, come raccontato nella sua passio, assieme a San Rufillo di Forlimpopoli, nel combattere un drago che infestava le campagne circostanti la città. Il primo esempio noto di rappresentazione di Forlì è in un quadro di Baldassarre Carrari il giovane, datato tra il 1509 e il 1512 e intitolato Incoronazione della Vergine e i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni Gualberto e Bernardo Uberti, proveniente dall’altare maggiore di San Mercuriale, ora conservato nella Pinacoteca Comunale di Forlì. L’impressione data da questa rappresentazione è di una città verticale, con elementi elevati ma compatti. Tra i particolari rappresentati emergono al centro la torre con edicola quadra e orologio che sovrasta il palazzo Pubblico merlato, a destra i campanili del Duomo e dell’abbazia di San Mercuriale, quest’ultimo più alto e con luminose trifore nella sua parte culminale. L’impressione è quella di una veduta della città da sudovest, cioè esteriormente alla rocca di Ravaldino, simbolo della forza militare della città, e probabilmente da identificare con la torre posta all’estrema sinistra del plastico, incoronata da un aggetto su mensole e con caditoie. A destra di San Mercuriale un campanile di modesta altezza rappresenta quello del Carmine, mentre alle sue spalle due torri piatte simboleggiano la dimora patrizie della famiglia Numai, ancora esistente, e una di quelle distrutte che si elevavano lungo l’attuale via delle Torri. Una seconda rappresentazione con i Santi Patroni di Forlì, databile a poco dopo il 1585, attribuibile a Livio Modigliani, attualmente conservata nella cappella del Sacramento dell’abbazia di San Mercuriale, presenta un’in-

In alto, da sinistra: Baldassarre Carrari, Incoronazione della Vergine e i Santi Benedetto, Mercuriale, Giovanni Gualberto e Bernardo Uberti, Pinacoteca Comunale di Forlì. Forlì, Palazzo comunale e Torre civica. Forlì, Torre Numai. Livio Modigliani, Santi Patroni di Forlì, Forlì, Abbazia di San Mercuriale. Giuseppe Marchetti, San Valeriano, Pinacoteca Comunale di Forlì. In basso, da sinistra: Forlì, Duomo, cupola della Madonna del Fuoco. Forlì, Porta Schiavonia. Giacomo Zampa, Glorificazione di San Mercuriale, Forlì, Abbazia di San Mercuriale, particolare.

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teressante immagine distribuita su due registri. Il superiore ospita due santi inginocchiati su uno strato di nuvole, probabilmente da identificare con san Barbaziano e con il protomartire Stefano, al di sotto, in proporzioni maggiori, stanno in piedi i santi Mercuriale e Valeriano. Il primo, in abiti vescovili, porta in mano il plastico della città di Forlì con cinque torri e campanili a guglia. La grande tela, oggi custodita presso l’Archivio del Duomo, che raffigura la Madonna del Voto, commissionata a Felice Cignani dopo un evento sismico, fu eseguita per decreto emesso dal magistrato della città il 28 maggio del 1688. La città sorretta da Maria è ben definita nei dettagli seppur meno reale rispetto alle precedenti: manca la torre dell’Orologio, mentre i tre campanili con cuspidi appuntite e di uguale elevazione e somiglianti tra loro appaiono troppo esili. Visibile è anche una cinta muraria con bertesche e bastioni, dove in posizione mediana si apre una porta con rocchetta. Nel cuore della città si elevano un edificio merlato, probabilmente da identificare con il Palazzo pubblico, e una cupola, simile a quella che si alza sopra la cappella della Madonna del Fuoco, costruita cinquant’anni prima e affrescata in parte dallo stesso Cignani. Nonostante le corrispondenze tra la tela e la Forlì del XVII secolo, questa rappresentazione rimane una delle più incerte e confuse. Un quadro ovale, proveniente dalla chiesa di San Agostino e ora conservato in Pinacoteca Comunale, rappresenta san Valeriano che tiene con entrambe le mani il plastico della città. Attribuito a Giuseppe Marchetti, che sembra l’abbia realizzato intorno al 1763, contiene una città ‘sfumata’, entro mura lisce, bianche e diroccate. Gli elementi interni sono costituiti da alcuni tetti di abitazioni comuni, poco più elevati rispetto alla cinta muraria, da quattro campanili, tre dei quali con cuspidi, e da una cupola. Manca il campanile del Carmine, mentre è presente uno simile sul lato opposto, che non trova un riscontro effettivo con la realtà. Riconoscibile è la porta di Schiavonia edificata nel 1742. Le mura appaiono alquanto sbrecciate, presenti sono la cupola della Madonna del Fuoco, la chiesa del Suffragio, ultimata nel 1748, ed il convento dei padri della Missione. Conserva sopra la torre dell’Orologio l’originale edicola rettangolare distrutta nel 1781. Dello stesso periodo è il quadro di Giacomo Zampa con la Glorificazione di San Mercuriale, che riceve il plastico della città dalle braccia di un angelo. Attualmente esposto lungo la navata destra della chiesa di San Mercuriale è databile tra il 1754 e il 1781. La città appare ancora una volta caratterizzata da elementi verticali come torri e guglie di campanili. Evidente è la centralità data alla rocca di Ravaldino quadrilatera. Presenti sono la cupola della Madonna del Fuoco, la chiesa del Suffragio, ultimata

nel 1748, ed il convento dei padri della Missione. Altre figurazioni delle città si possono ricavare dall’osservazione di fondali panoramici, frequenti nei dipinti del Rinascimento. Il loro pregio sta nel fatto che non nacquero in termini emblematici e devozionali, ma espressero, il più delle volte, una tradizione fedele di schizzi presi dal vivo e dettagliati al punto tale da risultare preziose fonti di informazioni. L’affresco forlivese più antico che presenta tali caratteri è da datare al XV secolo. Si tratta di una Adorazione del Bambino, dipinta sopra l’arco della scala di accesso al convento di Fornò e staccata nel 1938, ora conservata nella Pinacoteca Civica di Forlì. In un paesaggio campestre in lontananza compare la città di Forlì descritta in modo veritiero, con mura, porte, caseggiati, torri e campanili. La città, contornata da una zona boscosa a destra e da rilievi montuosi a sinistra, è vista da sud-est e gli edifici sono rappresentati in maniera gerarchica. L’asse mediano del dipinto coincide con la porta Cotogni vista frontalmente, che costituisce l’unica apertura visibile nella cinta muraria. Ai lati corrono due lunghi tratti di mura con merli, forse con motivo a coda di rondine, e, nella fascia inferiore, scarpate forate da feritoie e fuciliere. La porta reca in cima lo stemma crociato della città ed appare con il ponte levatoio abbassato. A sinistra è identificabile la rocca di Ravaldino, con due baluardi circolari d’angolo e il maschio mediano e la cittadella con un caseggiato, forse proprio quello voluto da Caterina Sforza nel 1496, per ospitare la sua corte. Dall’altra parte verso la pianura continuano le mura, con feritoie che giungono a un baluardo circolare, per poi proseguire verso nord e raggiungere un torrione a pianta rettangolare, culminante con una rosa di merli e indicante la rocchetta di San Pietro. La proiezione diagonale delle mura permette di individuare un breve tratto della fossato con acqua. Entro le mura compare un agglomerato con edifici di varie dimensioni. La loro struttura è in laterizio ed è messa in risalto dalla carat-

In alto, da sinistra: Adorazione del Bambino, dal santuario di Fornò, Pinacoteca Comunale di Forlì. Marco Palmezzano, Immacolata e i Santi Agostino, Anselmo e Stefano, Forlì, Abbazia di San Mercuriale, particolare. In basso, da sinistra: Forlì, Abbazia di San Mercuriale. Forlì, Rocca di Ravaldino. Giovanni Bellini, San Girolamo leggente nel deserto, Firenze, Uffizi


22 25 Iconologia.qxp:Layout 1 15/11/17 13.38 Pagina 25

teristica coloritura. Nell’affresco si distinguono, inoltre, chiese e abitazioni patrizie: in posizione mediana compare l’abitazione degli Ordelaffi, la torre dell’Orologio in asse con porta Cotogni, i due campanili del Duomo e della abbazia di San Mercuriale, la torre dell’Orologio, con tamburo ottagonale, torricini angolari, presenti in origine, e merli di coronamento. A destra sono riconoscibili le torri gentilizie ubicate lungo l’attuale via delle Torri. Più in là si possono identificare il campanile del Carmine di modeste dimensioni, a sinistra quello di Sant’Agostino con guglia e poco oltre quello di San Domenico, rovinato dai fulmini nel 1408 e nel 1433 e non più riparato. Forlì compare come fondale anche in un quadro su tavola del 1510 con l’Immacolata e i Santi Agostino, Anselmo e Stefano di Marco Palmezzano, conservato nella cappella Ferri in San Mercuriale. La città di Forlì, avvolta nella penombra dell’alba, è rappresenta simbolicamente, come fosse Gerusalemme. Scendono fino ai margini della città fitte boscaglie. Ben riconoscibile è la facciata del palazzo del Comune, con bifore e merli, mentre su uno sperone sembra raffigurato un altro centro della zona, forse Castrocaro. La cerchia delle mura formano a nord una linea continua e impenetrabile. In questo tratto non si vedono porte, in conseguenza delle disposizioni emanate per ragioni difensive. L’abitato interno appare uniforme: si distingue unicamente, per maggior volume ed elevazione, l’abbazia di San Mercuriale. Attorno a essa spiccano elementi verticali: i campanili dell’abbazia e del Duomo, la torre Comunale e due torri gentilizie non mozzate. Qualche richiamo a Forlì è visibile nella città rappresentata nello sfondo della tavola con l’Annunciazione eseguita da Marco Palmezzano per la chiesa di Santa Maria del Carmine nel 1494 circa, ora conservata nella Pinacoteca Comunale di For1ì. In lontananza è riconoscibile una città, con un grande castello, molte torri, la facciata di una chiesa con occhio e due bifore, la parte superiore di un campanile romanico con quadrifora e cuspide. La tela, attualmente conservata nella Pinacoteca Comunale di Forlì e di controversa attribuzione, databile sul finire del XVI secolo e raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Mercuriale e Valeriano, rappresenta una Sacra Conversazione che ha luogo nei dintorni della città di Forlì, che appare in lontananza, vista dalla rocca di Ravaldino. ‘Steli’ verticali riproducono edifici civili e religiosi. In una tela raffigurante San Pellegrino Laziosi che adora la Vergine, conservata nella sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi ed eseguita dal pittore forlivese Girolamo Reggiani (1778-1840), un tendaggio sollevato, dipinto a destra del quadro, lascia scorgere sul fondo il panorama di Forlì, con torri e campanili. Della stessa intensità anche se corrispondente ormai alla città odierna è la Veduta della città di Forlì e i Santi Mercuriale, Pellegrino, Marcolino e Valeriano datata 1869 e attribuita a Pompeo Randi. La città che vi compare è raffigurata con in primo piano la rocca di Ravaldino e sullo sfondo i campanili di San Mercuriale e di San Domenico e la torre dell’Orologio. Poco più in là la cupola del Duomo. Le stesse impressioni figurative della città entrano anche nei repertori di autori non romagnoli, come ad esempio è accaduto per la tela di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, databile fra il 1598 ed i primi anni del XVII secolo. Conservata nella cappella di San Mercuriale, rappresenta san Mercuriale che abbatte e strangola il drago su un fondale allusivo alla città. Un richiamo a Forlì è evidente anche in quel San Girolamo leggente nel deserto, dipinto da Giovanni Bellini nel 1480 e ora agli Uffizi, Collezione Contini Bonacossi: il fondale è formato da un insieme dei più famosi monumenti romagno1i, la basilica di San Vitale, il mausoleo di Teoderico, il ponte di Tiberio a Rimini e, probabilmente, il campanile di San Mercuriale, che risalta nel dipinto per la maggior altezza.

Bibliografia _____________________________________ L. Gambi, L'immagine figurata, in Storia di Forlì, IV, L'età contemporanea, a cura di A. Varni, Forlì, 1992, pp. 13-37 L. Nuti, Ritratti di città. Visione e memoria tra Medioevo e Settecento, Venezia, 1996 G. Viroli, Chiese di Forlì, Forlì, 1995 G. Viroli, Pittura del Cinquecento a Forlì, I, Forlì, 1991 G. Viroli, Pittura del Cinquecento a Forlì, II, Bologna, 1993 G. Viroli, Pittura del Seicento e del Settecento a Forlì, Forlì, 1996 G. Viroli, La Pinacoteca civica di Forlì, Forlì, 1980

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In My Little Town di Alberto Giorgio Cassani


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In My Little Town - III. City Lights

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In My Little Town - III. City Lights

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SEDICI ARCHITETTURA

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Erich Kettelhut, Bozzetto per la scenografia di Metropolis di Fritz Lang. Veduta notturna con la torre, s.d., Berlin, Stiftung Deutsche Kinemathek.


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«Il mondo è stretto o dalla necessità o dalla cupidità nostra» Grandezza e destino della città contemporanea di Alberto Giorgio Cassani Giovanni Botero, lo scrittore politico benese – celebre autore del monumentale trattato Della ragion di stato, pubblicato in dieci volumi a Venezia nel 1589 –, nel piccolo libro, edito solo un anno prima, dal titolo Delle cause della grandezza delle città libri III,1 alla domanda: «Che cosa sia città grande», così rispondeva: «Città s’addimanda una radunanza d’uomini, ridotti insieme per vivere felicemente,2 e grandezza di città si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura ma la moltitudine degli abitanti e la possanza loro».3 E, immediatamente dopo, chiariva quali fossero le cause di tale «radunanza»: «Ora gli uomini si riducono insieme mossi o dall’autorità o dalla forza o dal piacere o dall’utilità che ne procede».4 Inoltre, entrando subito in medias res col capitolo dedicato proprio all’«autorità», ricordava, en passant, come Caino fosse stato «il primo autore delle città»,5 racconto che è sicuramente all’origine di quella visione negativa del fenomeno urbano che ha sempre accompagnato, dalla Bibbia a certo cinema catastrofico americano, la storia dell’Occidente e che ha avuto anche straordinari critici come Friedrich Nietzsche e Oswald Spengler. Sempre Botero, poche righe più sotto,6 utilizza una delle metafore più diffuse quando si parla di città, quella del “corpo”, tropo, quest’ultimo che porta con sé l’idea che una città, per ben funzionare, dev’essere come un organismo dotato di mente e organi tra loro armoniosamente collegati (immagine esemplificata da un celebre disegno di Francesco di Giorgio Martini). Essendo un uomo del Rinascimento, Botero non poteva sfuggire a indicare nel «piacere»,7 cioè nella bellezza dell’architettura, una delle ragioni di maggior attrazione della città: «Tutto ciò finalmente che pasce l’occhio e che diletta il senso e che dà trattenimento alla curiosità, tutto ciò che ha del nuovo, dell’insolito, dello straordinario e del mirabile, del grande o dell’artificioso, appartiene a questo capo».8 E dovendo fare il nome di due città sopra tutte le altre, non poteva che citare Roma e Venezia. Il piacere e il diletto, però, soccombono di fronte al vero “motore” attrattivo delle città e che rende queste ultime grandi: l’utilità. «È di tanto poter questa causa per unir gli uomini in un luogo che le altre cagioni, senza intervento di questa, non sono bastanti a far nessuna città grande».9 Senza la «comodità»,10 alcuna qualsivoglia «necessità»11 può valere, perché «la necessità ha del violento e la violenza non può produrre effetto durabile».12 E, apparentemente smentendo quanto appena affermato sul potere della bellezza, Botero conclude che assai poco valgono a far grande una città «il piacere e il diletto, perché l’uomo è nato per operare e la più parte degli uomini attende ai negozi e gli oziosi sono pochi e da poco e l’ozio loro si fonda sull’opera e sull’industria dei negoziosi».13 Botero, appurato che è l’utilitas che fa grande, più di tutto, una città, passa poi a esaminare le tante possibili «forme e maniere»14 di questa comodità: la comodità del sito, la fecondità del terreno, la facilità del movimento,15 in cui si legge, tra le righe,

Giovedì 16 novembre a Ravenna al Palazzo del Cinema e dei Congressi si tiene un importante incontro del ciclo “SeDici Architettura” che vede protagonisti i filosofi Massimo Cacciari e Rocco Ronchi in un intervento/dialogo sul tema Angelopoli o Sin City? Realtà e destino della città contemporanea. Introduce Alberto Giorgio Cassani, autore del testo di queste pagine che affronta l’argomento attraverso la lettura di un classico della filosofia politica rinascimentale

la futura globalizzazione del pianeta. Nel Libro II, poi, Botero prosegue la sua analisi, cercando di capire cosa convinca il popolo, «di natura sua indifferente a star qua o là»,16 a scegliere un luogo piuttosto che un altro, analizzando i metodi dei Romani, gran costruttori di città, attraverso la fondazione di colonie, o l’importanza della religione, senza la quale, ai tempi di Botero, Roma non sarebbe che «un deserto»17 e «una solitudine»;18 o quella degli studî, intesi come sedi universitarie – pur condannando egli quelle «impunità»19 e «licenze»20 che sembrano fiorire dove la gioventù si raduna per apprendere; o, ancora, le sedi di tribunali dove si esercita la giustizia. Ma, più di tutti questi fattori, Botero, con grande forza premonitrice, individua il vero elemento attrattore nel denaro: «Ora non è cosa più efficace per far correr le genti che il corso del denaro: non è di tanta forza la calamita per tirare a sé il ferro, come l’oro per volger qua e là gli occhi e gli animi degli uomini e la ragione si è perché contiene virtualmente ogni grandezza, ogni comodità, ogni bene terreno e chi ha denari si può dire ch’egli abbia tutto ciò che si può avere da questo mondo».21 E qui Botero non è che il precursore di quel gran libro che sarà la Philosophie des Geldes,22 la Filosofia del denaro, scritto da Georg Simmel, un autore che sarà centrale nella riflessione sulla Metropoli del XX secolo. E, accanto al denaro, le due altre forze che determinano l’accrescimento e la ricchezza delle città sono l’«industria degli uomini e la moltitudine delle arti»,23 tanto che alla domanda di quale delle due cose conti di

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In alto a sinistra: Francesco di Giorgio Martini, La città come corpo, illustrazione dal Trattato di architettura civile e militare, 1470 ca., Torino, Bibl. reale, cod. Saluzziano 148, f. 3r. In alto a destra: Georg Simmel. Al centro: Massimo Cacciari. In basso: Rocco Ronchi.

più «per rendere popoloso un luogo: la fecondità del terreno o l’industria dell’uomo»,24 Botero non ha dubbi sulla risposta: «L’industria, senza dubbio […]».25 Perché se «la natura dà la materia e il soggetto [… ] la sottigliezza e l’arte dell’uomo dà l’inenarrabile varietà delle forme».26 Ragion per cui, ogni principe «che vuol rendere popolosa la sua città, [deve] introdurvi ogni sorte d’industria e d’artificio, il che farà e col condurre artefici eccellenti dai paesi altrui e dar loro ricapito e comodità conveniente e col tenere conto dei belli ingegni e stimare le invenzioni e le opere che hanno del singolare o del raro e propor premi alla perfezione ed all’eccellenza».27 Che è, come diremmo oggi, accogliere i cervelli in fuga… Ma sono anche utili per le città la speranza di ottenere immunità, l’aver a disposizione prodotti ambìti, o il fatto che una città sia dominante sulle altre, o sia sede dell’aristocrazia, nota consumatrice dei prodotti di lusso. E qui Botero vede la città come una vetrina in cui i ricchi si mostrano e vengono emulati: «Ora, la stanza [i.e. il risiedere] dei nobili nelle città le rende più illustri e più popolose, non solamente perché vi si aggiungono le persone e le famiglie loro, ma di più perché un barone spende molto più largamente per la concorrenza e l’emulazione degli altri nella città, dove vede ed è visto continuamente da persone onorate, che nella campagna, dove vive tra le fiere o conversa coi villani e va vestito di panno lazzo [i.e. ruvido] o di tela».28 Come si vede, la contrapposizione città-campagna ha radici lontane. Del resto, la città è il luogo di quel fenomeno che, proprio dal XVI secolo, caratterizzerà sempre il mondo occidentale: la moda.29 Ma ancor più di avervi sede le case dei nobili, ciò che fa grande una città è l’essere residenza del principe, «conciossiaché dove il principe risiede, risiedono anche i parlamenti o senati, che gli vogliamo dire, i tribunali supremi della giustizia, i consigli segreti e di Stato: là concorrono tutti i negozi d’importanza, tutti i principi, tutti i personaggi di conto, gli ambasciatori delle repubbliche e dei re e gli agenti delle città soggette, là concorrono a gara tutti quei che aspirano agli uffici e agli onori, ivi si portano l’entrate dello Stato, ivi si dispensano […]»,30 come dimostrano gli esempi di «quasi tutte le città d’importanza e di grido».31 Tra tutti, alla «China», spetta un posto di primo piano in questo lungo capitolo. Quasi profetico, si direbbe. A causa del divieto di «uscir fuor del paese, senza licenza dei magistrati [… accade che] crescendo continuamente il numero delle persone e non uscendo fuori, egli è di necessità che sia inestimabile il numero della gente e che, per conseguenza, le città siano grandissime, le terre infinite: anzi che la China sia quasi tutta una città».32 E qui Botero dà una stoccata al “provincialismo” italiano: «Invero che noi italiani siamo troppo amici di noi stessi e troppo interessati ammiratori delle cose nostre quando preferiamo l’Italia e le sue città a tutto il resto del mondo».33 Come potrebbero esserci grandi città in un territorio lungo e stretto com’è la nostra penisola? Botero passa poi a elencare le più popolose città del mondo e d’Europa. Ma è il Libro terzo, forse, il più interessante per noi. Botero inizia affermando che gli «antichi fondatori di città, considerando che le leggi e la disciplina civile non si può facilmente conservare dove sia gran moltitudine d’uomini perché la moltitudine partorisce confusione,34 limitarono il numero dei cittadini oltre il quale stimavano non potersi mantener l’ordine e la forma ch’essi desideravano nelle loro città: tali furono Licurgo, Solone, Aristotele. Ma i Romani – e qui l’intuizione di Botero è notevole – stimando che la potenza, senza la quale una città non si può lungamente mantenere, consiste in gran parte nella moltitudine della gente, fecero ogni cosa per aggrandire e per appopolar la patria loro […]».35 Infatti non la ragione e il limite – il motto delfico “niente di troppo” – regge le leggi di questo mondo: «Se il mondo si governasse per ragione e se ognuno si contentasse di quello che giustamente gli appartiene, sarebbe forse degno d’esser abbracciato il giudizio degli antichi legislatori. Ma l’esperienza che c’insegna che, per la corruzione della natura umana, la forza prevale alla ragione e l’arme alle leggi, c’insegna ancora che il parer dei Romani si deve preferire a quello dei Greci». Botero coglie, in nuce, oltre l’incomponibile differenza tra mondo greco e romano sul modo di concepire la città, polis vs civitas – come messo definitivamente in luce da Massimo Cacciari in un aureo libretto del 2004 dal titolo La città36 –, proprio la nascente “volontà di potenza” che si dispiegherà, con tutta la sua forza, nel XIX


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e XX secolo. Al termine della sua riflessione, Botero cerca di chiarire un fatto apparentemente inspiegabile: perché, nonostante tutto quello che si è detto finora, «le città non vadano crescendo a proporzione»,37 non abbiano dunque uno sviluppo illimitato. Anzi, giunte a un certo punto, «o si fermino in quel segno o ritornino indietro».38 Un fenomeno, questo, che sembra esser totalmente contraddetto dall’attuale crescita, apparentemente senza limiti, della megalopoli odierne. Quali le cause per Botero? «Rispondono alcuni – egli scrive – esser di ciò cagione la peste, le guerre, le carestie e le altre simili cagioni»;39 ma Botero si risponde che ciò è sempre avvenuto e non può dunque esser questa la ragione. «Dicono altri – soggiunge – ciò esser perché Dio, moderator d’ogni cosa, così dispone»; ma, si chiede Botero, se è così, «con quali mezzi quella eterna provvidenza [fa] moltiplicar il poco e [dà] termine al molto?».40 Lo stesso fenomeno si osserva nel numero degli abitanti sulla terra: «onde procede – si domanda Botero – che da tremila anni in qua, questa moltiplicazione non è passata oltre?».41 Il Nostro, fatto salva la capacità riproduttiva dell’uomo dai «tempi di David o di Mosè»,42 ne individua le cause dal «difetto di nutrimento e di sostegno»,43 dovuto alla difficoltà di dar da mangiare a un numero sempre crescente di abitanti. E Botero elenca di seguito un numero infinito di ostacoli che impediscono che quella crescita possa divenire esponenziale. Le sue ultime parole, mutatis mutandis, sono di nuovo profetiche su quanto sta avvenendo oggi tra paesi ricchi e paesi poveri e sulla metafora, oggi molto di moda, dei ponti e dei muri: «Le differenze e le liti onde procedono se non dalla strettezza dei confini? I termini, le fosse, le siepi e gli altri ripari, che si fanno attorno alle possessioni, le guardie delle vigne e dei frutti maturi, le porte delle case, i mastini che vi si tengono, che ci vogliono interferire se non che il mondo è stretto o dalla necessità o dalla cupidità nostra? E che diremo delle armi di tante sorti e tanto crudeli? Che delle guerre per-

Scene e foto di scena da Metropolis di Fritz Lang (1927).

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petue e per mare e per terra? Delle fortezze sui passi? Che delle muraglie?».44 La nostra cupidigia, più che l’intervento moderatore di un dio, sembra essere la cagione del fatto che «il numero degli uomini non cresca immoderatamente».45 Un finale irenico chiude questo straordinario testo: non resta che conservare e mantenere le nostre città e, per far questo, «giova la giustizia e la pace e l’abbondanza, perché la giustizia assicura ognuno del suo, con la pace fiorisce l’agricoltura, i traffici e le arti, con l’abbondanza dei cibi si facilita il sostegno della vita e nessuna cosa tien più allegro il popolo che il buon mercato del pane».46 Se ne ricorderà il buon Don Lisander, nel suo capolavoro. Il piccolo chef d’œuvre di analisi politica di Botero potrebbe apparire ampiamente superato alla luce degli sviluppi succedutisi alla Rivoluzione industriale e poi a quella informatica. Alla città è subentrata la Metropoli, quella Metropoli di cui lo Zarathustra nietzschiano invitava a “passare oltre”, e così magnificamente eternata dal film di Fritz Lang. A questa è seguita la post-Metropoli di cui oggi tanto si dibatte (ma su ciò si vedano ancora le decisive riflessioni di Cacciari nel volume citato). Ma il testo di Botero continua a interrogarci, mettendoci di fronte all’aporia di una crescita che non può essere illimitata e che, nei plumbei scenari mondiali attuali, ci obbliga a ragionare – come ci invitava lucidamente a fare Spengler in Der Untergang des Abendlandes,47 il suo capolavoro del 1923, ma, ancor più, in Der Mensch und die Techink. Beitrag zu einer Philosophie des Lebens del 1931,48 suo vero testamento spirituale – sul nostro destino.

In alto foto di scena da Metropolis di Fritz Lang (1927). In basso Oswald Spengler.


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Note............................................................................... 1. In Roma, Appresso Giouanni Martinelli, 1588, edizione consultata: Delle cause della grandezza delle città, a cura di Claudia Oreglia, con un saggio di Luigi Firpo, Torino, Nino Aragno Editore, 2016. 2. Topico rimando a un classico luogo della Politica di Aristotele, I, 1. 3. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 7. 4. Ibid. 5. Ibid. 6. Cfr. ibid., p. 8. 7. Ibid., p. 14. 8. Ibid. 9. Ibid., p. 15. 10. Ibid., p. 16 11. Ibid. 12. Ibid. 13. Che potremmo considerare anche uno splendido neologismo con cui Botero volesse indicare “chi nega l’ozio”. 14. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 17. 15. E in questo capitolo si individua in Parigi, la «città che di popolo e di abbondanza a d’ogni cosa avanza di gran lunga tutte le altre della Cristianità», ibid., p. 24. 16. Ibid., p. 29. 17. Ibid., p. 36. 18. Ibid. 19. Ibid., p. 37. 20. Ibid. 21. Ibid., p. 40. 22. Berlin, Duncker & Humblot Verlag, 1900, trad. it., Filosofia del denaro, a cura di Alessandro Cavalli e Lucio Perucchi, Torino, U.T.E.T, 1998. 23. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 42. 24. Ibid. 25. Ibid. 26. Ibid. 27. Ibid., p. 44. 28. Ibid., p. 52. 29. E sulla moda, ancora Simmel, scriverà un testo fondamentale (apparso in precedenza nel 1895 e nel 1905 in forma leggermente diversa): Die Mode, in Id., Philosophische Kultur. Gesammelte Essays, Leipzig, Klinkhardt, 1911, trad. it. di Marcello Monaldi, La moda, in La moda e altri saggi di cultura filosofica, a cura di Dino Formaggio e Lucio Perucchi, Milano, Longanesi, 1985, pp. 29-52. 30. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 53. 31. Ibid. 32. Ibid., pp. 63-64. 33. Ibid., p. 64. 34. Come non ricordare qui il classico libro di Gustave Le Bon, Psychologie des foules, Paris, Librairie Félix Alcan, 1895, trad. it. di Gina Villa, Psicologia delle folle, prefazione di Piero Melograni, Milano, Longanesi, 1970 (e successive edizioni)? 35. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 71. 36. Villa Verucchio (RN), Pazzini Editore, giunto alla 5a edizione (2012). 37. Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 72. 38. Ibid. 39. Ibid., p. 73. 40. Ibid. 41. Ibid. 42. Ibid., p. 74. 43. Ibid. 44. Ibid., p. 77. 45. Ibid. 46. Ibid. 47. München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, trad. it. Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, Edizione a cura di Rita Calabrese Conte, Margherita Cottone, Furio Jesi, Traduzione di Julius Evola, Introduzione di Stefano Zecchi, Parma, Ugo Guanda Editore, 1995, 2005 (testo dell’edizione Longanesi del 1978). 48. München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, trad. it. L’uomo e la tecnica. Contributo a una filosofia della vita, a cura di Giuseppe Raciti, Torino, Nino Aragno Editore, 2016. Così scriverà, con toni analoghi a quelli di Ernst Jünger, nella chiusa del suo saggio (pp. 113-114): «Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrere coraggiosamente sino alla fine la via che ci è destinata. È dovere tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza. Tener fermo come quel soldato romano le cui gambe furono trovate a Pompei davanti ad una porta: egli morì perché quando scoppiò l’eruzione del Vesuvio, il comandante si dimenticò di rilevarlo dal suo posto. Questa è grandezza, questo significa aver razza. Questa onorevole fine è l’unica che non si può togliere all’uomo».

> La conferenza e i suoi protagonisti Il tema trattato nell’articolo su queste pagine sarà al centro della conferenza (la 37esima) della serie SeDici Architettura – nel 2017/208 dedicato a “Progetto, fra storia, estetica ed esperienze” – in programma la serata del 16 novembre (ore 18) al Palazzo dei Congressi di Ravenna. L’incontro, organizzato come consueto da questa rivista col patrocinio del Comune di Ravenna e degli Ordini degli Architetti di Ravenna e Forlì-Cesena (anche ai fini dei crediti formativi), dopo un saluto istituzionale del sindaco di Ravenna Michele De Pascale, è introdotta a coordinata da Alberto Giorgio Cassani. Di seguito le biografie professionali dei protagonisti della conferenza Alberto Giorgio Cassani • (Bergamo, 1960) è docente di Elementi di architettura e urbanistica alle Accademie di Belle Arti di Venezia e Ravenna. È membro del comitato scientifico di “Anfione e Zeto” e redattore di “Albertiana”; collabora con “Casabella”. Studioso di L.B. Alberti, è autore di: Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Milano 2000 e 2011; La fatica del costruire. Tempo e materia nel pensiero di L.B. Alberti, Milano 2000; Figure del ponte. Simbolo e architettura, Bologna 2014; L’occhio alato. Migrazioni di un simbolo, Torino 2014; ha curato il volume: Tomaso Buzzi 1900-1981. Il principe degli architetti, Milano 2008. Massimo Cacciari • (Venezia, 1944) è, dal 2012, professore emerito di Filosofia presso L’Università San Raffaele di Milano, da lui fondata nel 2002 e di cui è stato il primo preside; in precedenza, ha insegnato Estetica all’Università Iuav di Venezia. Ha ricevuto la laurea honoris causa in Architettura dell’Università di Genova nel 2002, quella in Scienze politiche dell’Università di Bucarest nel 2007, quella in Filologia classica dell’Alma Mater di Bologna nel 2014. Ha ricevuto il premio Hannah Arendt per la filosofia politica nel 1999, il premio dell’Accademia di Darmstadt nel 2002, la medaglia d’oro del Circulo de bellas Artes di Madrid nel 2005, la medaglia d’oro “Pio Manzù” del Presidente della Repubblica Italiana nel 2008, il premio De Sanctis per la saggistica nel 2009. È stato co-fondatore e co-direttore di alcune delle riviste che hanno segnato la vita politica, culturale e filosofica italiana tra gli anni ’60 e ’90, da “Angelus Novus” a “Contropiano”, da “Laboratorio politico” al “Centauro”, a “Paradosso”. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni, molte delle quali tradotte e molte edite soltanto all’estero, ricordiamo: Krisis, Milano 1976; Dallo Steinhof, Milano 1980; Adolf Loos e il suo angelo, Milano 1981 e 1992; Icone della legge, Milano 1985; L’Angelo necessario, Milano 1986; Zeit ohne Kronos, Klagenfurt 1986; Drama y duelo, Madrid 1987; Architecture and nihilism, New Hawen-London, 1993; Geofilosofia dell’Europa, Milano 1994; L’Arcipelago, Milano 1996; Le dieu qui danse, Parigi 2000; Hamletica, Milano 2009; The Unpolitical, New York 2009; Il potere che frena, Milano 2013; Occidente senza utopie (con Paolo Prodi), Bologna 2016. La sua ricerca teoretica si concentra nel “trittico”: Dell’Inizio, Milano 1990; Della cosa ultima, Milano 2004; Labirinto filosofico, Milano 2014. Sul tema della città ha scritto il fondamentale Metropolis, Roma, Officina, 1973; La città, Villa Verucchio (RN), 2004; nonché il saggio Nomadi in prigione, in “Casabella”, LXVI, n. 705, novembre 2002, pp. 4-7. Rocco Ronchi • (Forlì, 1957) è professore Ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Tiene corsi e seminari in varie università italiane e straniere. È docente di filosofia presso l’IRPA (Istituto di ricerca di psicanalisi applicata) di Milano. È stato docente di Filosofia della comunicazione alla Bocconi di Milano e visiting professor presso la Houston University e l’Università Hosei di Tokyo. Ha collaborato alle pagine culturali del quotidiano “Il Manifesto”. Dirige la collana “Filosofia al presente” della Textus edizioni (L’Aquila) e la scuola di Filosofia “Praxis” di Forlì. Collabora con la rivista on-line “Doppio Zero”. Specialista del pensiero di Henri Bergson, tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo: Bataille, Levinas, Blanchot. Un sapere passionale, Milano 1985; Bergson filosofo dell’interpretazione, Genova 1990; La scrittura della verità. Per una genealogia della teoria, Milano 1996; Il pensiero bastardo. Figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta, Milano 2001; Teoria critica della comunicazione. Dal modello veicolare al modello conversativo, Milano 2003; Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità, Roma 2006; Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teogonia, Torino 2008; Bergson. Una sintesi, Milano 2011; Come fare. Per una resistenza filosofica, Milano 2012; Brecht. Introduzione alla filosofia (et alii), Milano 2013; Zombie Outbreak. La filosofia e i morti-viventi, L’Aquila 2015; Gilles Deleuze. Credere nel reale, Milano 2015; Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Milano 2017; Bertold Brecht. Tre dispositivi, Napoli-Salerno 2017; tra gli altri, ha curato il volume: Henri Bergson, William James, Durata reale e flusso di coscienza. Lettere e altri scritti (1902-1939), Milano 2014.

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Dall’Università la proposta per un parco urbano dedicato allo sport di Domenico Mollura

Si tratta di uno Studio di fattibilità per la rifunzionalizzazione dello Stadio “Bruno Benelli” di Ravenna ideato dall’ingegnere Giacomo Neri nell’ambito della Scuola Superiore di Studi sulla Città e il territorio di Ravenna (Università di Bologna) sotto la direzione di Massimiliano Casavecchia e Luca Cipriani

A sinistra, in alto: planimetria generale del progetto con l’indicazione del nuovo schema funzionale dell’area Stadio. A sinistra, in basso: elaborazione fotografica della curva Nord, liberata dalle strutture metalliche realizzate nel 1993. A destra: uno dei ponti previsti nel progetto per integrare tutti i nuovi percorsi del parco dello sport e facilitare il deflusso degli spettatori.

Lo sport rappresenta un fattore aggregativo, capace di generare positive forme di uso e riuso dei contesti urbani. La vocazione sportiva della città di Ravenna è ormai un dato consolidato e la recentissima volontà di “raddoppiare” gli spazi del Pala De Andrè ne sono solo l’ultima, ambiziosa, dimostrazione. Tuttavia l’impianto di via Trieste e il suo comparto non sono le sole aree della città a meritare una riqualificazione urbana e architettonica. Lo Studio di fattibilità per la rifunzionalizzazione dello Stadio Bruno Benelli, a questo proposito, mira alla valorizzazione di un comparto di grande importanza che, pur “recete” nell’espansione di Ravenna, si avvia al suo pieno consolidamento urbano. Il progetto nasce dalla sinergia di Fondazione Flaminia, Panathlon Club Ravenna, Comitato Regionale CONI e Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna che insieme hanno promosso una borsa di specializzazione per uno studente del Corso di Ingegneria dei Sistemi Edilizi ed Urbani presso la sede ravennate dell’Università di Bologna, che ha sviluppato il proprio studio con la gestione scientifica e direzione di Massimiliano Casavecchia e Luca Cipriani della Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio. L’edizione 2017 della borsa – dedicata alla memoria di Alfredo Cavezzali e che nel 2016 è stata indirizzata al progetto di riqualificazione

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In alto a sinistra: scorcio della “duna erbosa” che cela la struttura commerciale in progetto.

del comparto dell’Ippodromo in piazza Caduti sul Lavoro – è stata assegnata a Giacomo Neri, neoingegnere ravennate nato nel 1990, che ha redatto un progetto globale per la riqualificazione dell’area facente capo allo Stadio Benelli. L’idea di aggiornare l’immagine urbana dell’area tra le vie Berlinguer e Cassino, parte dalle previsioni di riqualificazione della Darsena nella quale è in programma lo spostamento del mercato settimanale. L’effetto combinato di questa scelta è quello di poter disporre di due aree rinnovate negli usi, che a distanza e con il centro storico come fulcro, potranno restituire vitalità ai loro contesti. Uno dei principi progettuali di partenza è quello di restituire continuità formale allo Stadio, nel solco delle operazioni di recupero in parte già avviate dal Comune di Ravenna, eliminando le tribune metalliche aggiunte nel 1993. L’opera progettata e realizzata a partire dall’ultimo scorcio degli anni ’50 dallo studio romano CGS, negli stessi anni in cui P. L. Nervi realizzava lo stadio Flaminio, ha visto crescere attorno a sé la città, di cui in parte costituiva “frontiera” verso la campagna: capienza da 12 mila spettatori, distribuiti due ordini di gradinate e una tribuna coperta. Proporzioni, in realtà, più ridotte rispetto al progetto di partenza che prevedeva 15 mila posti su due anelli e pedane per lo svolgimento di gare di atletica mai realizzate. Oggi l’area facente direttamente capo all’impianto sportivo ha una superficie di 3,5 ettari e altrettanti fanno parte delle aree pertinenziali esterne, in gran parte destinate a piazzale/parcheggio. Il progetto di fattibilità – presentato alla fine dello scorso luglio – parte da una dettagliata analisi degli aspetti storici, viabilistici e funzionali che racconta come il Benelli sia diventato negli anni un impianto sottoutilizzato e sovradimensionato; un dato su tutti è significativo: durante gli eventi sportivi è stata registrata solo una media presenze pari al 6% della capienza dell’impianto. Tuttavia è proprio la presenza di questi spazi ad essere visto come opportunità di diversificazione delle funzioni. Per questo motivo nel progetto molti degli edifici di servizio – sorti lungo il perimetro dello stadio – lasciano posto ad una più razionale organizzazione degli spazi esterni. Nel dettaglio la proposta prevede la ridefinizione delle percorrenze degli spettatori e della viabilità in via Sighinolfi, compreso il ridisegno degli spazi di sosta per le auto, commisurato sulla effettiva capienza dello stadio; tali aree in assenza di manifestazioni sportive di grande richiamo sono pensate per ospitare eventi a carattere temporaneo. Prevista anche una nuova struttura commerciale, mimetizzata sotto una “duna erbosa” che potrebbe ospitare bar, ristoranti, sedi di associazioni sportive e spazi dedicati alla formazione e intrattenimento, sempre nella cornice della cultura sportiva. Di grande respiro anche l’intervento progettato sul fronte opposto, quello di Piazza Brigata Pavia, dove sarebbe conservata la destinazione a parcheggio al piano terra con l’aggiunta di una piastra su due livelli dedicati rispettivamente a wellness e fitness e a piscina/tetto giardino. Tutti i punti nodali del parco sono resi continui funzionalmente grazie ponti aerei che attraversano gli spazi esterni di servizio. Nella proposta viene ampliato il ventaglio delle discipline praticabili in campi dedicati e autonomi (calcetto, paddle, tennis e basket), che diventano elementi principali anche della sostenibilità economica della riqualificazione dell’area stadio. Nella proposta elaborata dall’Ing. Neri, pertanto, non si trova solo il recupero materiale ed estetico dell’edificio sportivo principale, ma anche la definizione di un vero e proprio parco attrezzato dedicato allo sport, aperto a tutti a prescindere dagli eventi calcistici; si potrebbe trattare di nuovo spazio di socializzazione e per attività all’aperto che di fatto raddoppierebbe le dotazioni già presenti con il vicino Parco della Pace dal quale sarebbe separato dal polo scolastico di via Marconi.

In alto a destra: vista sull’accesso alla struttura commerciale con il giardino rampante. In basso a sinistra: vista di dettaglio della copertura/giardino.

Tutte le immagini (planimetria e rendering) sono tratta del progetto dell’ingegnere Giacomo Neri


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STUDI E RICERCHE

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La città che cambia al tempo dei tweets Nuovi metodi e strategie (digitali) per la pianificazione urbana di Domenico Mollura

L’urbanistica moderna è nata più che per costruire nuove città, per risolvere le macroscopiche criticità – di carattere igienico-sanitario e socio-economico – conseguenti al sovraffollamento di quelle che sarebbero diventate le grandi metropoli europee. La rigidezza nella pianificazione urbana ha poi imbrigliato lo sviluppo urbano all’interno del miraggio di efficienza dettato da standard, coefficienti, requisiti cogenti uguali a se stessi per troppi anni. La disciplina si è sviluppata inseguendo – sempre a fatica – le modalità sempre mutevoli di occupare, vivere e sfruttare lo spazio urbano. Lo scopo della pianificazione è quello di dare forma ad abitudini che oggi non fanno in tempo a consolidarsi prima che una nuova ondata rivoluzionaria le metta in discussione. Per tale motivo i processi decisionali di cui si serve la pianificazione si vanno sempre più arricchendo di supporti inediti se rapportati agli strumenti di analisi tradizionali, perché la platea dei cittadini/portatori di interesse si allarga e, soprattutto, si diversifica ad una velocità maggiore rispetto agli aggiornamenti delle normative urbanistiche. Dietro una problematica di tipo spaziale, infatti, non può che nascondersi una moltitudine di criteri, di campi di ricerca e di analisi basati sulla lettura di dati oggettivi che, nati da una società sempre più immateriale, necessitano di essere ricondotti in una cornice scientifica. Ed è proprio la l’iper-esposizione all’informazione il nodo da sciogliere per la pianificazione urbana e territoriale contemporanea cui, pertanto, spetta l’onere di separare il “rumore” dal “segnale” che l’eccesso di dati porta con sé: « (…) il rumore è ciò che si dovrebbe ignorare, il segnale è ciò a cui occorre prestare attenzione» (Taleb, 2015). Con questo obiettivo SiTI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione), in collaborazione con il Politecnico di Torino ha sviluppato InViTo (Intercative Visualisation Tool), uno strumento di analisi spaziale a supporto dei sistemi decisionali. Si tratta di

uno strumento interattivo, consultabile come un normale sito web e che può contenere al suo interno dati quantitativi/qualitativi associati tra di loro e che permettono la visualizzazione integrata alle aree di territorio cui si riferiscono. In questo modo il pianificatore/urbanista può sovrapporre una selezione di informazioni (ad esempio il numero di passeggeri del trasporto urbano e la qualità dell’aria) alla superficie oggetto di intervento (le zone prossime alle principali stazioni e i quartieri limitrofi) per individuare l’insieme delle strategie migliori da proporre (spostamento, soppressione o realizzazione di stazioni metropolitane) al decisore finale che nella generalità dei casi – non solo nel nostro Paese – è di tipo politico/amministrativo. Questo tipo di processo di conoscenza, grazie alla sua capacità di rappresentare nello spazio diversi possibili scenari – spesso anche animati –, può supportare la pianificazione in tutte le sue sfumature: dalla mobilità alla logistica, dalle politiche energetiche fino a quelle per l’housing sociale. Anche i social network (e i loro assidui utenti), in questo quadro, diventano inconsapevoli strumenti per valutare come (dove e quando) viene vissuta una città. Nel gennaio del 2015, ad esempio, sono stati rilevati i messaggi scambiati tramite Twitter, nell’area metropolitana di Barcellona. L’obiettivo dello studio Tweets in Barcelona (replicato anche per l’area metropolitana di Torino) era quello di identificare l’utilizzo delle aree urbane tramite l’analisi spaziale e temporale dei tweets. Gli oltre 67 mila messaggi scambiati durante il periodo di indagine hanno mostrato, infatti, in quali parti della città catalana e in quali giorni della settimana si registrava una maggiore (o minore) presenza di persone attive. Questi dati, incrociati con altri indicatori come ad esempio la nazionalità degli accounts o i momenti della giornata, permettono di migliorare la progettazione degli spazi pubblici, come anche l’organizzazione di eventi. Sono questi i primi vagiti della smart city che, forse, risveglieranno la capacità di rigenerarsi della vecchia città. (fonte: youtube.com, ©Paolo Pensa)

Un fotogramma del video Turin – 15 days of tweets in 24 hours che mostra lo scambio di messaggi nel capoluogo piemontese (fonte: youtube.com, ©Paolo Pensa)

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PIANIFICAZIONE URBANISTICA di Chiara Bissi

Dalla’alto: un quadro delle “Ravenna panoramica“ di Gaetano Savini, (1900 circa); la pianta del Piano Regolatore del dopoguerra (1947) di Domenico Filippone; la pianta generale del PRG 1993 (approvato nel 1996) di Marcello Vittorini; l’attuale area urbana di Ravenna vista dal satellite.

La pianificazione urbanistica per Ravenna è sempre stata cosa seria tanto da essere una delle città più “disegnate” d’Italia. Come poche infatti ha perseguito con determinazione l’idea di una pianificazione costante che guidasse uno sviluppo descritto a ben guardare sempre come impetuoso dal punto di vista demografico ed economico. Un vaticinio però tradito dalla realtà dei numeri e dalle dinamiche sociali più complesse dei segni tracciati su tavole e schede di piano. Così la Ravenna pensata a partire dagli anni Venti del Novecento si è certo aperta all’industrializzazione, ha visto crescere nuovi quartieri, ha pianto la scomparsa di antiche emergenze monumentali e di isolati in centro storico a causa delle devastazioni della Seconda guerra mondiale, ha poi partecipato alla furia della ricostruzione contenendo come ha potuto i danni della speculazione edilizia, per arrivare sul fare del XXI secolo a un’espansione pervasiva che non ha risparmiato forese e lidi, incontrando la peggiore crisi economica mondiale e lasciando migliaia di unità abitative invendute, con classi energetiche mediocri per le prestazioni richieste oggi dai cittadini, prima ancora che dalle normative. Complice la bozza della nuova legge urbanistica regionale che dichiara la necessità di ridurre il consumo di territorio e complice anche l’opportunità di provvedere a rigenerazioni urbane in alternativa a nuovi insediamenti e lottizzazioni, il nuovo Poc adottato dal consiglio comunale poche settimane fa introduce i medesimi principi, salvando però la sorte e le corpose previsioni degli articoli 18. Un cambio di direzione definitivo rispetto al passato, si spera. L’approvazione del nuovo Poc lascerà libera la strada alla redazione di un nuovo piano regolatore, vincolato nelle scelte e nelle linee dalla legge regionale, nel frattempo si spera andata in porto. L’obiettivo dell’amministrazione comunale è quello di arrivare all’approvazione del secondo Poc entro la primavera. Già ora, dopo l’adozione i privati potranno comunque presentare i loro piani. «L'adozione di un nuovo Piano operativo comunale – ha spiegato l’assessore all’urbanistica Federica Del Conte in consiglio comunale - consente di dare attuazione alle previsioni del Piano strutturale comunale vigente ritenute strategiche e rilevanti per lo sviluppo del territorio. Nel secondo Poc teniamo già in considerazione le nuove linee di indirizzo che intendiamo perseguire con la futura variante generale fortemente orientata a promuovere la riqualificazione e la rigenerazione urbana e contestualmente una significativa riduzione del consumo di suolo ponendo un limite concreto alla futura espansione della città». Per l’assessora la Valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale (Valsat) ha evidenziato che, coerentemente alla nuova legge urbanistica attualmente in itinere, rispetto al precedente Poc si prevede una riduzione consistente della Superficie territoriale trasformabile (40%, pari a 3.600.000 metri quadri) e della Superficie complessiva edificabile (-25%). Posizione non condivisa dall’opposizione di Palazzo Merlato così come avviene in assemblea regionale dove viene contestata la veridicità della quota massima di espansione per ogni Comune (oggi all’11%) e fissata al 3%. I punti cardine del progetto di legge sono: stop all’espansione urbanistica, in nome della rigenerazione urbana; adeguamento sismico degli immobili, sostegno alle imprese, solo se funzionale a sviluppo e occupazione, e tutela del territorio agricolo. L’obiettivo è il consumo di suolo a saldo zero in Emilia-Romagna prima del termine fissato al 2050. Le opere pubbliche, gli insediamenti strategici di rilievo regionale e gli ampliamenti delle attività produttive esistenti non concorreranno, al raggiungimento del limite del 3% e saranno possibili sempre che non vi siano “ragionevoli alternative” in termini di riuso e di rigenerazione dell’esistente. Saranno esclusi dal limite, inoltre, i nuovi insediamenti residenziali collegati ad interventi di rigenerazione


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La città disegnata quasi un secolo di PRG A Ravenna, dopo le fasi dello sviluppo “programmato”, le nuove previsioni promettono zero consumo del territorio e rigenerazioni urbane urbana in territori già urbanizzati o di edilizia sociale. Negli intenti un radicale cambio di visione rispetto allo sviluppo del territorio. Basta pensare al piano strutturale comunale, il Psc ravennate approvato nel 2007 un anno prima della crisi economica mondiale e adottato nel 2005, che definisce le strategie per il governo dell'intero territorio comunale, secondo una logica ancora espansiva, del tutto ignara della catastrofe che si stava prospettando ad opera della finanza internazionale. Rappresenta un capitolo a parte nella storia della pianificazione ravennate la darsena di città, oggetto infiniti studi, piani, idee, progetti. Una sorta di palestra per portatori di interesse, progettisti, amministratori, soggetti politici, tutti pronti a confezionare soluzioni mai attrattive per gli oltre 40 proprietari. Nemmeno il processo partecipativo creato dall’amministrazione come preliminare al Poc darsena ha dato i frutti sperati. Dal 2015, data di approvazione, nessun progetto è decollato fatta eccezione per le lodevoli aperture fatte sugli usi temporanei di aree ed edifici. Scrive Valentina Orioli, docente di urbanistica all’università di Bologna, in “Ricerche per il territorio, la città e l’urbanistica” (6/2013): «Gli elevatissimi costi di bonifica dei siti ex industriali e soprattutto delle acque del canale Candiano, gli oneri della bonifica, insieme alla frammentazione delle proprietà, l’eterogeneità degli usi attuali e le future aspettative dei proprietari, la difficoltà di affrontare il riuso dei grandi contenitori industriali dismessi, e più in generale la dimensione e la complessità di questa area urbana, sono in effetti le principali questioni attorno a cui si sono arenati tutti i progetti che, dal 1995 in poi, sono stati proposti per la riqualificazione della Darsena di Città». Andando a ritroso Gianluigi Nigro per quanto riguarda la consulenza generale, Enzo Tiezzi per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, Edoardo Preger per gli aspetti operativi mettono mano nel 2003 alla revisione del piano regolatore che dagli anni Settanta per scelta ha cadenza decennale. I temi del confronto sono quelli di una città a vocazione turistica, custode di beni monumentali e ambienti naturali unici, di un porto industriale sullo sfondo di un tessuto economico orientato allo sviluppo della piccola e media impresa. È al Prg ’93 che si devono due grandi temi: quello prepotente di una nuova vita per la Darsena di città e quello della cintura verde con parchi e aree verdi. Sono anni di disillusione dopo l’implosione del gruppo Ferruzzi e di disorientamento per l’economia cittadina. Quello del verde è un tema evocato recentemente anche da Corrado Longa, architetto, collaboratore dello studio Stefano Boeri Architetti, ospite di un workshop sulla rigenerazione urbana promosso e organizzato dall’assessorato al Turismo del Comune. Per la città di Milano Longa parla in termini di “metrobosco”. Ravenna nel prg ’93 inventa la cintura verde, grazie al contributo dei consulenti Marcello Vittorini, Luciano Pontuale e Giovanni Crocioni. Darsena e cintura verde sono collegati grazie a un meccanismo di permute di superficie fondiarie intorno alla città in favore di superficie utile in darsena. Oggi di quel segno che rappresentò un vero tormentone in quegli anni è difficile riconoscere il profilo

per difficoltà oggettive di attuazione. Di fatto i parchi urbani frequentati e amati dai cittadini ne sono il frutto migliore. Marcello Vittorini fu il protagonista del prg ’83 “il piano dei corsi” con la riqualificazione delle periferie con la creazione di viale Gramsci e viale Berlinguer, cui si unisce l’area direzionale di viale Randi e il nuovo viale Leon Battista Alberti. Tra gli spazi spiccano piazza La Malfa con il Centro Commerciale Gallery, il Centro servizi Podium, e nuovi piccoli piani per l’edilizia economica e popolare (Peep), tra i tanti ricordiamo di via dei Poggi, il Peep Lama Sud, il Peep Molino, il Peep di Sant’Alberto. Sempre Vittorini firmò nel 1973 il “piano della tutela e del riequilibrio del territorio” capace di ridurre previsioni di sviluppo urbano ipertrofiche, non ci sarà infatti la crescita demografica immaginata. Il porto industriale diventa commerciale, si rafforzano i centri del forese e prende piede l’idea della rotatoria nelle periferie, segno distintivo per anni della sola Ravenna poi raggiunta da tutte le città della Romagna. Al 1962 si data il piano di Ludovico Quaroni, con Sarom, Anic e Sapir pienamente funzionanti, nasce il mito della “grande Ravenna” sentita come la “Rotterdam dell’Adriatico” con i suoi 116 mila abitanti. Allora appaiono 20 milioni di metri quadri di residenze turistiche, mentre sul porto si prevedono 900 ettari di aree industriali. Effetti di un dopoguerra tutto concentrato a rimediare ai danni del conflitto mondiale. Il prg ’42 di Domenico Filippone infatti non aveva avuto il tempo per trovare applicazione. Il 25% del patrimonio edilizio andò perduto, specie in darsena e vicino alla stazione ferroviaria, così il lavoro di Filippone si trasformò in un piano di ricostruzione per aumentare la densità edilizia e lo sviluppo portuale. È degli anni Cinquanta la nascita del villaggio Anic staccato dalla città, dopo il quartiere Lanciani in darsena. Il piano del ’42 escluse la possibilità di uno spostamento della stazione puntando su una circonvallazione esterna per i traffici extraurbani. Il tema della stazione era infatti prepotente nel prg’ del 37 di epoca fascista che indicava una collocazione fuori Port’Aurea dove viene poi realizzato l’ospedale previsto invece dal piano vicino all’ippodromo. Al posto della stazione dove nascere un grande parco affacciato sulla darsena. Nel 1927 l’architetto Tobia Gordini e l’ingegnere Eugenio Baroncelli, redigono il piano regolatore generale (Prg) del Comune di Ravenna, approvato nel 1928. Si tratta di un piano «Regolatore e di Ampliamento», che persegue il risanamento e del centro abitato e l’ampliamento della città mediante la creazione di nuove strade, corsi rettilinei in aree periferiche. Di qui gli interventi nei borghi San Biagio, San Rocco e Porta Nuova. La stazione finisce a nord, oltre Porta Serrata, e l'ospedale civile a sud - ovest, in aree agricole che si prevede verranno collegate al centro storico con assi di penetrazione viarii. Di quegli anni lo studio della Zona Dantesca e dell'area antistante la basilica di San Francesco, che verrà ultimata nella seconda metà degli anni Trenta; la creazione di una piazza di fronte al nuovo Palazzo della Provincia, ultimato nel 1928 su progetto di Ulisse Arata. Si pensa a nuovi spazi creati dagli abbattimenti edilizi (piazza Kennedy, piazza Einaudi).

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PROGETTI VISIONARI

Cesenatico e la torre che cambiò la Riviera romagnola In un libro di Ennio Nonni, l'avventura di uno straordinario progettista e imprenditore, Eugenio Berardi, che negli anni Cinquanta costruì il grattacielo in cemento armato più alto del mondo di Chiara Bissi Un ragazzo, si direbbe oggi, un giovane ingegnere in cerca di una collocazione definitiva fra alta formazione, borse di studio e contratti a termine. Ma nel 1956 Eugenio Berardi da Lugo di anni ne ha 35 e con uno studio avviato a Faenza pensa che le esperienze edilizie americane sviluppate in verticale e le strutture in ferro di Chicago non siano irraggiungibili o siano gesti da ammirare solo in fotografia. Così complici due municipalità vicine solo dal punto di vista geografico, realizza a distanza di due anni le architetture verticali di Milano Marittima e di Cesenatico. Quest’ultima, il grattacielo Marinella II, terminato nel giugno del 1958 è inteso come segno identitario della località balneare, lanciata nella grande avventura del turismo di massa della Riviera romagnola. Ed è lì che sorge il grattacielo in cemento armato più alto d’Italia, quel Belpaese ancora ferito dalla devastazione della Seconda Guerra mondiale, che non disponeva delle risorse economiche per tali avventure fino alla costruzione del grattacielo Pirelli di Giò Ponti e della torre Velasca di BBPR a Milano. Un’impresa raccontata dal volume “Cesenatico e il suo grattacielo” a cura di Ennio Nonni, Valfrido edizioni. Nonni, dirigente del co-

mune di Faenza con Davide Gnola direttore della biblioteca e del museo della Marineria di Cesenatico, con Valentina Orioli, docente di tecnica e pianificazione dell’università di Bologna e Manuela Senese, architetto impegnata nello studio del restauro del moderno attraversa oltre cinquant’anni di storia italiana e romagnola scegliendo un unicum sorto in piazza Andrea Costa a pochi passi dal mare e dal Grand hotel di Cesenatico. «L’idea avvincente – scrive Nonni – è quella di concepire il grattacielo come un segno territoriale unico e non come un modello da replicare nella stessa località per assolvere ai problemi della crescita urbana». E ancora: «È evidente l’abisso culturale che intercorse fra queste “avventure” che vanno ben oltre l’aspetto edilizio e quanto si stava discutendo in altre città attorno al tema degli edifici alti; quasi sempre iniziative speculative, promosse da importanti gruppi finanziari». Berardi allora incontrò prima il sindaco di Cervia Gino Pilandri, che gli rilasciò la licenza edilizia in un giorno. In un anno costruì con la propria la società immobiliare il grattacielo Marinella I, dedicato alla moglie, per un’altezza di 90 metri, inaugurato il 16 luglio del 1957. Un quartiere verticale con appartamenti da sei posti letto, con ristorante, negozi, servizi, terrazza belvedere. Il sindaco Primo


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Grassi nella vicina Cesenatico il 21 febbraio 1957 approva il progetto del Marinella II con 115 metri e 35 piani, in 17 giorni arriva la licenza edilizia per 31 piani, inaugurato nell’estate del 1958. Il grattacielo è rivestito in tessere ceramiche 2 centimetri per 2 nei colori del mare e della sabbia, rivestimento sostituito negli anni 2000 con piastrelle in gres porcellanato, a seguito di un intervento di riqualicazione. Una sfida nella sfida, una gara nella gara con il sindaco Grassi che saputo dell’altezza del grattacielo Pirelli fermo a 32 piani, chiese per campanilismo a Berardi di non fermarsi a 31 come da progetto. Così vennero realizzati due piani in più e la terrazza poi condonati nel 1958. La torre finita si presenta di 50mila metri cubi, 32 piani tipo (35 in totale) un’altezza di 113 metri e 200 milioni di lire di investimento. Le fondazioni sono imponenti con 210 pali in cemento di 15 metri con diametro di 53 cm collegati da un’unica platea nervata. Il tutto per 120 appartamenti, un night club, garage, lavanderia. Scrive lo stesso Berardi: «Sulle spiagge adriatiche sorgono ovunque villette ad un solo appartamento che ogni anno più infittiscono, quasi addossandosi le une alle altre, riducendo e quasi eliminando gli spazi verdi alberati tanto importanti per la riossigenazione dell’aria. Dal lato paesistico infine il grattacielo che si erge sulla riva del mare offre un notevole punto di riferimento e un richiamo efficace da notevoli distanze, sia dal mare che dalla terraferma. Si ritiene pertanto che questo progetto, abbastanza originale e ardito, incontri anche nelle autorità ministeriali quel favore che il pubblico di tutta l’Emilia gli ha dimostrato». «Ancor oggi – afferma Manuela Senese – il grattacielo Marinella II mantiene il primato di essere il più alto edificio in Europa realizzato in cemento armato gettato in opera. La realizzazione delle fondazioni rappresentò di per sé uno sforzo ingegneristico enorme». Ma il grattacielo come provocazione, come icona irripetibile e come alternativa «all’inesorabile brulichio edilizio» descritto da Nonni e poi la mutazione della spiaggia che separa il mondo della pesca e del turismo, ricordata da Gnola non frenano «la corsa all’oro. Le spiagge e i terreni retrostanti, mai sfruttati diventano lotti dove costruire alberghi, stabilimenti, pensioni, case per le vacanze, bar negozi cinema, balere, colonie marine». Negli anni recenti non esistono imprese simili, la sensibilità verso

le espansioni verticali è del tutto cambiata, prevale la personale conquista del lotto con giardino. Di certo oggi non sarebbe riproducibile l’effetto torre nella melassa di costruito dei lidi ravennati. Basti pensare la totale contrarietà espressa da un’intera comunità al progetto della società Pentagramma sulla spiaggia di Milano Marittima per un edificio di ben minori dimensioni, in breve ribattezzato il “tramezzino”. Diciotto piani, 200 appartamenti, 50 negozi a 50 metri dalla spiaggia firmato dall’architetto Mario Cuccinella. Un’operazione fuori contesto storico, presto naufragata, al quale doveva seguire la riqualificazione del quadrilatero e delle case dei salinari. Rimane aperta invece la vicenda della torre di Marina di Ravenna, 40 metri di albergo nell’area ex Xenos con un permesso di costruire da utilizzare per la società Comway con annessi esercizi commerciali e pubblici esercizi, e un ufficio informazioni turistiche del Comune. Anche lì tante le voci contrarie a uno sviluppo in altezza per la località, attaccata alle linee orizzontali del mare.

Da sinistra: Foto dei primi anni ‘60 del grattacielo Marinella II di Cesenatico, presa dalla spiaggia (collezione Ivan Battistini). Disegno prospettico del grattacielo, firmato dal progettista, ingegnere Eugenio Berardi. Foto vintage dell’archivo dell’Azienda di soggiorno e turismo di Cesenatico; il grattacielo spicca come landmark della riviera romagnola. Un dettaglio dell’originario rivestimento dell’edificio in mosaico ceramico. Tutte le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dal volume, a cura di Ennio Nonni, Cesenatico e il suo grattacielo (2016, Valfrido Edizioni).

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di Serena Simoni Avenida Caracas, conosciuta anche come Carrera 14, è una delle arterie centrali che corre da nord a sud lungo l'intera metropoli di Bogotà: la sua lunghezza sorprendente – più di 28 chilometri – non è nulla se si considera l'aggiunta del suo naturale prolungamento, l'Autopista del Norte, una superstrada che scorre ancora dentro alla città e insieme alla precedente raddoppia quasi le misure. Già solamente questa spina dorsale della capitale colombiana può rendere l'idea delle dimensioni della metropoli e del primo problema che progettisti, politici e cittadini devono affrontare quotidianamente semplicemente per viverci e spostarsi. Fra gli altri dati statistici rilevanti per inquadrare la condizione di Bogotà è l'altitudine a 2640 metri, che ne fa la terza capitale più alta del Sudamerica, l'estensione per più di 1700 Km quadrati – più del doppio dell'intera New York – e lo sviluppo lungo un asse tendenzialmente verticale per via del blocco a est dei massicci del Monserrate e del Cerro de Guadalupe. Il problema della viabilità, fra i molti altri che affligono la capitale, è accentuato dalla quantità di abitanti – il loro numero ha superato quest'anno 8 milioni – che si distribuiscono fra 20 quartieri urbani e numerosi sobborghi. La fine definitiva del potere dei narcotrafficanti nel 2000 e la più recente tregua fra Stato e gruppi guerriglieri delle Farc hanno permesso al passato governo di Uribe e dal 2010 a quello attuale di Santos di imbastire i primi progetti di rilancio del paese anche sul piano turistico. Nonostante le difficoltà e i progetti per affrontarle, il dato statistico più evidente è una crescita a ritmo incalzante di cittadini che si inurbano e di stranieri che ridanno vita al turismo in un paese per lungo tempo evitato. Con quasi 600.000 presenze di turisti nel corso del 2017 – che ha definito un incremento del 43% rispetto all'anno precedente – la Colombia appare sempre più una meta di soggiorno. Ma i problemi di un paese sostanzialmente povero, per lunghi decenni sotto scacco da parte della malavita e della guerra civile, sottopongono i progetti a forti balzi in avanti e indietro, con esiti del tutto alterni. Come in molti paesi sudamericani in Colombia è assente una rete ferroviaria che possa considerarsi tale. La questione viene compensata da strutture aereoportuali e da linee di corriere moderne che coprono l'estensione del paese a partire dalla capitale. A poca distanza dal


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Bogotà:effetto megalopoli in Sudamerica Diario di viaggio nella capitale della Colombia. 8 milioni di abitanti a 2.600 metri di altitudine, “stipati” fra le montagne in un’area di 1.770 kmq, lungo un asse di quasi 30 chilometri centro di Bogotà è presente un aereoporto efficiente e nella zona nord della città è situata La Terminal, la stazione più grande delle corriere, definita come la migliore di tutto il Sudamerica. Sia aereoporto che stazione permettono di spostarsi comodamente, con facilità e a prezzi contenuti per tutto il paese ma del tutto irrisolta rimane la mobilità interna alla capitale. Nonostante le dimensioni e la chiarezza dell'impianto urbano ortogonale – suddiviso fra le orizzontali calles e le verticali carreras, numerate in modo progressivo come a Manhattan – l'ipotesi di una

In alto a sinistra: la Zona T, area pedonale piena di bar e ristoranti, all’interno della Zona Rosa. In alto a destra: la veduta di Bogotà da Monserrate. Seconda foto a sinistra: alcune costruzioni sulle pendici della catena del Monserrate. Terza foto a sinistra: il TransMilenio e le corsie preferenziali. In basso, da sinistra: Traffico in una strada di Bogotà. L’aereoporto di El Dorado a Bogotà. Strada nel Barrio di Candelaria, centro storico di Bogotà. Juan Salcedo e Andres Gutierrez, cofondatori dell’app TAPPSI. La Plazoleta de Chorro de Quevedo: a destra, sullo sfondo, il prospetto costruito negli anni ’80, oggetto di recupero.

metropolitana non è stata neanche presa in considerazione e la viabilità è ancor oggi sostenuta per la maggior parte da automobili private e taxi. La soluzione per affrontare l'intasamento totale della città nelle ore di punta è stata studiata dal governo che nel 2000 ha inaugurato il TransMilenio, una rete di trasporto di autobus alimentati a diesel che viaggia su corsie preferenziali e si connette agli autobus normali. Denonimate con lettere dalla A alla J, le nove linee di questo autobus rosso fiamma sfrecciano letteralmente attraverso le zone principali della metropoli faticando lo stesso a sostenere la quantità di persone che le utilizzano. Oltre al quotidiano sovraffollamento rimane aperto il problema di una mobilità confusa e comunicata altrettanto male: è difficile spostarsi con destrezza fra linee normali che percorrono tratti di corsie preferenziali, linee espresso che saltano confusamente le fermate ed altre che invece fermano ad ogni stazione. Il sistema delle coincidenze fra TransMilenio e bus normali è un flop e la complessità del sistema rende la metropolitana di Tokyo un gioco da bambini. Per affrontare la questione si è provveduto a posizionare in ogni stazione del TransMilenio del personale fisso che quotidianamente presiede ad una fila impressionante di persone, anche locali, completamente disorientate. La confusione viene alimentata anche dalla varietà delle linee normali e dalle loro modalità di accesso: ci sono autobus più vecchi che accettano solo monete, altri solo ticket prepagati, quelli infine su cui vale solo il biglietto integrato del TransMilenio. Ma a chi si incaponisce sull'utilizzo dei mezzi urbani rimane da superare l'ostacolo della

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CITTÀ GLOBALI

ricerca dei biglietti, assolutamente introvabili in tutta la città. Dentro a questo cubo di Rubik molti bogotani e gran parte degli stranieri si sono arresi all'uso principalmente di auto private e taxi, mezzi certi per rimanere imbottigliati ma altrettanto sicuri per giungere a destinazione. Punto di merito di molte compagnie dei taxi è quello di essersi consociate all'utilizzo di una app per telefonini che sta spopolando in tutto il Sudamerica. Tappsi – questo il nome della ehailing mobile – ha risolto il grave problema del pericolo per chi fermava un taxi per strada: connessa alla email personale che lascia memoria di tutti i dati del viaggio – orario, nome e cognome del taxista, targa del veicolo, luoghi di provenienza e destinazione – l'applicazione permette tramite un sistema di riconoscibilità e di codici di sicurezza di chiamare un veicolo, riconoscerlo e viaggiare incolumi e da soli. Per chi invece ama utilizzare mezzi alternativi – escludendo le gambe, date le distanze enormi – la capitale colombiana è stata anzitempo promotrice di una filosofia verde: dal 1974 è in piedi il progetto Ciclovias che ogni domenica e nei festivi, dal mattino al primo pomeriggio, apre 121 km di strade principali unicamente a biciclette e mezzi simili, permettendo ad un milione di cittadini di riappropriarsi della città. L'iniziativa è ancora oggi molto amata dai bogotani che possono inoltre avvalersi tutti i giorni della settimana di una delle reti ciclabili più vasta del mondo – la Cicloruta – estesa a 392 km di piste per biciclette. Nonostante la quantità di ciclabili ponga la metropoli al primo posto nel mondo, rimangono alcune criticità irrisolte a partire dalla difficoltà di reperire noleggi e officine di riparazione, dalla mancanza di un sistema integrato col trasporto pubblico e di illuminazione sufficiente in molti tratti delle ciclovie: problemi questi su cui Enrique Peñalosa – attuale sindaco di Bogotà ed ex presidente dell'Itdp (Institute for Transportation and Development Policy) – mostra grande sensibilità e fa promessa di impegno affinché i viaggi "verdi" nella capitale passino dall'attuale 5 al 20% nel prossimo 2020. Fra le numerose criticità della capitale non sfugge la divisione di Bogotà in due parti, specularmente opposte: il nord appartiene alla popolazione più agiata ed è la zona dei centri commerciali e delle

zone residenziali, dei locali alla moda – suddivisi fra Zona G, Parque 93, Zona Rosa – e degli hotel extralusso, mentre le zone a sud sono al contrario più popolari e via via che si scende sempre più pericolose e povere. Proprio nel cuore dell'area critica sorge il centro storico della metropoli – la Candelaria – frequentato quotidianamente da migliaia di persone per via delle residenze storiche, i monumenti, i quartieri museali, gli uffici e i maggiori palazzi amministrativi e politici. Per questo quartiere rimane valido il consiglio della “Lonely Planet” di fare molta attenzione anche di giorno e di evitarne il passeggio da soli dopo il tramonto. Il problema della Candelaria sta nella sua contiguità con i quartieri più poveri, composti da una sorta di reticoli minuscoli su cui affacciano strutture storiche malmesse che si trasformano via via in bidonville all'estremo sud e nella fascia sud-ovest della città. Nonostante da alcuni anni a questa parte, il barrio di Candelaria si sia arricchito di numerosi ostelli diventando meta del turismo più giovane, ciò non toglie che passeggiando per una strada come Calle 9 si possa incappare in qualche guaio o superandone un'altra, come Carrera 1, si trapassi nei quartieri più poveri e pericolosi della città. Lo stesso può accadere in altri quartieri limitrofi poco più a nord – come Macarena – dove sorgono il Museo Nazionale e il Mambo, dedicato all'arte contemporanea, in cui il consiglio è la percorrenza di giorno, sulle strade principali, evitando di sforare in un ghetto come Perseverancia. Con una scelta molto consapevole si è deciso di non abbandonare i quartieri più antichi e storici della città, programmando una serie di interventi che vanno dal semplice pattugliamento di alcune aree da parte della polizia a progetti inclusivi che hanno visto artisti di strada locali legati alla cultura hip-hop intervenire sui muri delle strade più malfamate per riqualificare aree come il barrio Egypto. Mantenere il paese in un circuito culturale internazionale grazie a mostre di buon livello qualitativo ha portato alla scelta di investire nei teatri e nei musei cittadini – non solo i famosissimi Museo de Oro e Botero ma anche il Mambo – ottenendo anche l'obiettivo non secondario di presidio delle aree a rischio di degrado da parte della gente comune. In questo senso va letta anche l'iniziativa domenicale di aprire gratuitamente la maggior parte dei musei al pubblico, un'iniziativa che


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riscuote un grande successo e causa file di ore di attesa per l'ingresso. Rendono invece piĂš perplessi altri interventi recenti come la riqualificazione architettonica della parte forse piĂš antica della cittĂ , attorno alla Plazoleta del Chorro de Quevedo, che secondo alcuni storici costituirebbe il primo nucleo abitativo di BogotĂ . La piccola piazza, attorniata da caffè e frequentata da studenti, artisti di strada, cantastorie e venditori ambulanti, ha mantenuto nella struttura originaria un indubbio fascino nonostanti i segni del tempo. Il recupero dell'area costato l'equivalente di 170.000 euro - ha coinvolto illuminazione, segnaletica, piantumazione ma anche la riattualizzazione del luogo. Supportato dall'Istituto del Patrimonio Culturale, il progetto è per certi aspetti a dir poco sconcertante. Non parliamo solo degli arredi minori – panchine e sedute – che stonano in modo sensibile con lo stile degli edifici ma soprattutto di una struttura sorta a metĂ degli anni '80 su uno dei lati della piazzetta, composta da una serie di porte architravate di colore rosso in funzione di corridoio. Lasciata la domanda sui motivi di uno spazio percorribile che separa una piazza dagli edifici che vi si affacciano, pur lodando la buona volontĂ per affrontare l'obiettivo della riqualificazione ci si chiede se un intervento a tutela del passato valga sempre e per ogni cosa, anche per l'orribile e l'inutile.

Azienda specializzata nel settore termoidraulico, condizionamento, manutenzione e impianti solari per il risparmio energetico.

In alto, da sinistra: Due vedute contrastanti della Plazoleta de Chorro de Quevedo e due vedute del Barrio Egypto. In basso, da sinistra: Veduta del Barrio Perseverancia. Il Museo de Oro di BogotĂ . Il MAMBO, Museo di Arte Moderna di BogotĂ . Veduta notturna di BogotĂ .

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METROPOLI E PAESAGGIO di Sabina Ghinassi

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StossLU Architets, Greeen Bay, Wisconsin, Usa

StossLU Architets, Erie Street Plaza, Milwaukee, Wisconsin, Usa

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Dal punto di vista della progettazione urbana contemporanea un posto sempre più importante lo riveste il landscape urbanism, che mette in relazione due termini in apparente contraddizione: il paesaggio, inteso soprattutto come naturalità, e l’urbano che di naturale non ha proprio nulla, anzi. Il landscape urbanism è una disciplina interconnessa a molte altre materie e, proprio in virtù di questa sua natura rizomatica, si pone come medium necessario per interrogare il territorio, il paesaggio e gli individui, attraverso la rete di relazioni che si intrecciano e si aggrovigliano nel tessuto connettivo della società, sempre meno disponibile ad essere rintracciata e schematizzata in una statistica, sempre più liquida e mobile. In questa disciplina il paesaggio è il territorio colto nell’accezione più vasta e dinamica di ecosistema globale, che comprende l’uomo, le sue azioni modificatrici e le origini culturali di tali modificazioni. Perché il paesaggio, prima di essere intorno a noi, è dentro di noi. È la prima immagine del mondo che ci costruiamo quando siamo bambini. E l’antropizzazione è il riflesso concreto di queste immagini mentali. Nella sua consapevolezza e trasversalità, nel suo debito nei confronti di altre materie di studio (ecologia, biologia, sociologia, arte, psicologia), il landscape urbanism è un modello di ricerca e di progettazione non statico, felicemente utopico, eterogeneo, a volte destinato a rimanere irrisolto ma che, anche nei fallimenti ( e forse soprattutto in quelli), può tracciare nuove rotte. Perché di rotte nuove c’è veramente bisogno nel cambio di scenario radicale che coinvolge in modo drammatico tutto il mondo: l’esempio più calzante è il declino dell’economia industriale di tipo post fordista a favore di un’economia capitalistica finanziarizzata, con le conseguenze drammatiche di crisi che noi tutti viviamo. Il groviglio è veramente complesso e segna un momento di grande transizione dove il vero, unico strumento è un nuovo paradigma produttivo sostenibile che tenda a creare comunità e a stabilire nuove forme di legami, basati su nuove dinamiche di prossimità. Questa prossimità non è necessariamente fisica e favorisce un insieme di relazioni tra soggetti anche periferici e di piccole dimensioni, nel quale l’innovazione è concepita come un processo aperto, open source, condiviso, non come una proprietà. L’esperienza e il cambiamento sono quindi elementi che partono dal basso, dalla

AART Architects, Arup Team, Tredje Natur, Copenhagen Island (rendering)

> Feshkills Park, New York, field operations project

Freshkills Park, New York, project details, North Park Bird Tower (rendering)


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Landscape Urbanism L’orizzonte possibile delle nostre città prossimità, da una comunità creativa e civile e possiedono più connotazioni sociali e culturali che meramente economiche: la città, come organismo mobile e pulsante che contiene le nostre esistenze, è il paesaggio mutevole che accoglie e racconta questi cambiamenti. È lo scenario in cui noi attori viviamo la nostra vita e del quale, anche inconsapevolmente, costruiamo gli elementi strutturali. Qualche esempio: i gruppi di acquisto solidale (Gas) e i farm market che valorizzano l’economia di prossimità, promuovendo nello stesso tempo risorse rinnovabili e riciclabili; i moltissimi che praticano il Nordic Walking o il Running e indicano un uso nuovo della viabilità urbana e diverse strade alla pianificazione urbanistica. Lo stesso fanno anche Air B&B, BlaBla Car, il nuovo turismo esperienziale e tutto quello che è il Terzo Settore, che soltanto in Italia vale ( secondo una ricerca Unicredit del 2012) 67 miliardi di euro. Nuovi elementi strutturali delle nostre città saranno anche quelli che porterà la quarta rivoluzione industriale, ancora (quasi tutta) da scrivere. Per le sue caratteristiche sistemiche e multidisciplinari il landscape urbanism è quindi l’approccio più adeguato per raccogliere questa quantità di informazioni, cambiamenti e indizi, perché può porsi in maniera flessibile di fronte alle inevitabili criticità che pone il nuovo orizzonte, disegnando una città sostenibile attraverso una metropolizzazione “dolce”. Questa è l’unica strategia in grado di accogliere gli innumerevoli stimoli che vengono da basso e che possono tradursi in pianificazione concreta dello spazio urbano, a partire dalla consapevolezza della condivisione di qualcosa che è un “ Bene Comune”: la città, una città-flusso, luogo di transito di mille identità, storie ed esperienze diverse e luogo di incontri necessari, di relazioni tra queste identità diverse, alle volte in conflitto, per le quali sono richieste una mediazione e una narrazione. Il landscape urbanism offre le risposte a queste dualità, proprio perché è duttile, dialettico, interrogante; e, nello stesso tempo, ripara ciò che

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Andrew Amistad, Unsplash.com

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High Line Public Park, New York

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Scott Webb, Unsplash.com

High Line Public Park, New York, veduta notturna

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METROPOLI E PAESAGGIO

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Matteo Catanese, Unsplash.com

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Chuttersnap, Unsplash.com

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Ryan Waring, Unsplash.com

è stato sbagliato e si prende cura dell’esistente, riattualizzandolo attraverso uno sguardo diverso, reticolare, che dissolve la vecchia contrapposizione città-campagna, passato-presente, uguale e diverso. A New York la linea sopraelevata della metropolitana West Side Line fu costruita nei primi anni Trenta e abbandonata nel 1980. Nel 1999 si costituì un’associazione di residenti della zona, la “Friends of High Line”, in opposizione all’ipotesi di abbattimento dell’infrastruttura, proponendo la sua riqualificazione in parco urbano. Il progetto della passeggiata verde, realizzato dagli architetti Diller Scofidio+Renfro e dallo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations, è stato poi approvato nel 2002, mentre i lavori sono cominciati nel 2006. L’ultimo tratto della High Line Park è stato inaugurato due anni fa e da allora è entrato nelle abitudini dei newyorkesi quanto Central Park. In mezzo alle vecchie rotaie sono state piantate essenze locali, erbe perenni, alberi : un riflesso naturale della grande biodiversità di New York, il suo specchio verde in mezzo ai grattacieli. Sempre a New York nel 2001 è stata chiusa la grande discarica di Freshkills Park perché i rifiuti avevano superato in altezza la Statua della Libertà: da allora l’intera area, bonificata, è diventata un grande parco sportivo, educativo, culturale e artistico, realizzato gradualmente e oggetto di una progettazione complessa che l’ha trasformato da criticità a risorsa per tutta la comunità. Al Freshkills Park ampie zone sono diventate riserve protette per la fauna locale, altre aree sono diventate zone polifunzionali per la didattica, l’arte e il divertimento. Sulla falsariga di

David Kovalenko, Unsplash.com

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Chuttersnap, Unsplash.com

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Chuttersnap, Unsplash.com


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Ricardo Gomez Angel, Unsplash.com

New York anche molte altre città del mondo stanno recuperando attraverso operazioni di Landscape Urbanism le zone più fragili della loro città: aree industriali dismesse e degradate, waterfront critici, come la Erie Street Plaza a Milwaukee sul fiume Fox o, a Seul, il corso del del fiume Cheonggyecheon. A Bristol invece un altro problema è diventato fonte di ricchezza e di sostenibilità: la Bath Bus Company e il sistema di smaltimento delle acque fognarie dell’amministrazione della città, gestito da una società chiamata Geneco, alimentano a biogas i bus che ogni giorno percorrono la tratta dalla città all’aeroporto. I veicoli possono percorrere circa 300 km utilizzando biogas ricavato dalle deiezioni di un anno di cinque persone, offrendo un’alternativa più sostenibile rispetto ai veicoli alimentati a metano. Con lo stesso sistema Geneco ha in progetto di produrre energia per 5000 nuclei familiari a Bristol. Il modello di economia circolare e biomimetica di questi esempi di buone pratiche è strettamente connesso alla progettazione dei nuovi scenari urbani poiché genera lavoro, sostenibilità, integrazione sociale, qualità diffusa e benessere. Come strettamente connessa alla progettazione dei nuovi scenari urbani è la capacità di raccogliere le storie e le esperienze dentro il paesaggio urbano scritte a più mani, osservate da più occhi, agite da più persone che, come nuova e necessaria metodologia, può suggerire nuove e inedite soluzioni alla nostra esistenza.

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AZIENDE INFORMANO

TBTqualità ad ogni costo Infissi altamente affidabili e innovativi per la sicurezza e il comfort dell'abitare Si chiama Èstella, ed è effettivamente una “star” nell'ambito della produzione e commercializzazione di TBT, azienda leader nel campo dei serramenti per l'abitare sul territorio ravennate, che nei prossimi anni compirà cinquant'anni di attività. Èstella è una tapparella “antintrusione” in metallo, tanto solida quanto funzionale, confortevole per l'uso e anche bella d'aspetto. Un prodotto vincente, – vista anche la crescente sensibilità sociale per la sicurezza e protezione della casa – per cui TBT vanta ben sette brevetti e tre modelli, che ha trovato un notevole apprezzamento sul mercato dei clienti privati ma anche dei rivenditori e installatori di infissi in regione e in Italia. È proprio dalle tapperelle come dai controinfissi e dalle porte a soffietto che nel 1970 parte l'avventura artigianale e commerciale di TBT, e del suo fondatore, e tutt'ora amministratore, l'imprenditore Lorenzo Tarroni. Quando avvia i primi passi, l'azienda si pone come alternativa

Nella pagina a fianco, alcune immagini della conferenza “SeDici Architettura” ospitata lo scorso ottobre nella sede della TBT. In alto a sinistra un ritratto del dirigente dell’azienda Riccardo Caroli. A destra, un ritratto del fondatore e amministratore di TBT, Lorenzo Tarroni

pratica ed economica, rispetto ai classici servizi di falegnameria, nelle sostituzioni e manutenzioni di porte e infissi. «In quegli anni pionieristici – rammenta l'attuale dirigente di TBT Riccardo Caroli – c'erano prodotti e materiali che andavano per la maggiore, a soppiantare il tradizionale uso del legno: infissi più facili da installare, leggeri, maneggevoli e forse anche più durevoli. Si pensi ai controinfissi in alluminio, e ad altri serramenti in materie plastiche. Già allora con la domanda sempre più ampia delle cosiddette “doppie finestre”, nasceva una certa tendenza al comfort e al risparmio energetico. In questo ambito di forniture isolanti ma soprattutto per ragioni estetiche ebbero un notevole successo anche certe pannellature di legno “perlinato” per interni». «Insomma maturò nel corso di quel periodo un fenomeno di radicale cambiamento dei materiali e delle tecnologie del settore – spiega sempre Caroli – che ci vide protagonisti, sempre pronti ad offrire i nuovi prodotti che si affacciavano sul mercato. Quando si è saturata la domanda di controinfissi già potevamo proporre ai clienti finestre con vetri a doppia camera e “antaribalta”. La nostra filosofia aziendale è sempre stata improntata a una certa visione di futuro, attraverso la documentazione e la selezione delle innovazioni di settore, magari per intercettare sul mercato una domanda non ancora pienamente espressa, offrendo nuovi prodotti e servizi più avanzati». Anche nel campo dei serramenti l'obsolescenza è sempre dietro l'angolo, soprattutto negli ultimi anni: l'innovazione va veloce e bisogna stare al passo. «La differenza, nel nostro settore – ragiona Caroli – la fa come sempre la qualità e l'affidabilità dei prodotti che proponiamo al pubblico, ma anche la consulenza, oggi soprattutto per il risparmio energetico anche per quanto riguarda le pratiche di rimborso fiscali. E poi è fondamentale la capacità di realizzare

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la posa in opera a regola d'arte e infine l'assistenza ai clienti anche dopo l'acquisto e l'installazione. Le manutenzioni che svolgiamo su richiesta, ad esempio, non creano valore aggiunto all'economia dell'azienda, ma sicuramente hanno un ruolo importante per la fiducia del cliente nei nostri confronti e per la nostra reputazione sul mercato. Quindi conta la serietà con cui lavoriamo e il rispetto dei tempi di realizzazione dei progetti. Questo impegno che non è mai venuto a mancare in TBT ci ha consentito anche di superare la grave crisi che ha colpito duramente il settore delle costruzioni. Negli ultimi anni, oltre ad allargare la nostra gamma di prodotti e servizi, in assenza di grandi cantieri e di nuove costruzioni, abbiamo puntato e ci siamo specializzati nelle sostituzioni di vecchi serramenti e nelle opere di ristrutturazione, anche grazie agli importanti incentivi fiscali promossi dallo Stato per chi realizza ristrutturazioni edilizie e per il risparmio energetico, di cui i serramenti sono una componente molto importante». A questo punto lo sguardo è verso il futuro e nuovi percorsi di innovazione… «La sfida sarà allargare l'area di mercato verso cui proporre le nostre offerte conclude Caroli – con particolare attenzione al marchio della tapparella Èstella che ci ha dato notevoli soddisfazioni e che riteniamo abbia ancora molte potenzialità. La via naturalmente è quella di internet, attraverso una piattaforma web, che ci consenta di proporre prodotti e servizi in modo efficiente ed efficace, magari allargando gli orizzonti dell'export che per noi sono ancora in gran parte da esplorare». Oltre a coltivare la cultura d'impresa TBT è vicina anche alla cultura del progetto. Recentemente infatti ha ospitato nella sua sede di Ravenna alle Bassette, e in particolare, in uno dei suoi magazzini/laboratori, una conferenza della serie “SeDici Architettura” organizzata dalla rivista “Casa Premium”. Un'ambientanzione insolita ma suggestiva che ha accolto relatori e pubblico in un vero e proprio “spazio del fare” e “fare bene” in perfetta sintonia col tema dell'incontro su arte, artigianato e design che visto protagonisti autori emergenti del mondo dell'arredo e di una nuova estetica dell'abitare.


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LOCALI E DESIGN

Al Cairoli e Il Bilancino

nuove proposte per lo street food e la qualità gastronomica a Ravenna di Roberta Bezzi

Ravenna ha due originali locali in pieno centro storico, diversi per contesto e stile – uno strizza l’occhio al Liberty e all’Art Déco, il secondo all’Urban Jungle – ma simili, per certi aspetti nell’offerta gastronomica: partendo dalla tradizione, propongono innovative “soluzioni” di cibo da passeggio e pronto da assaggiare, adatte ai ritmi sempre più frenetici della vita contemporanea. Un altro filo conduttore riguarda i titolari che hanno fatto della passione per la gastronomia una nuova professione, dando così una svolta significativa alla propria vita e professione


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Al Cairoli Nel cuore del centro storico ravennate, nella via pedonale per eccellenza via Cairoli, ha aperto il nel giugno 2016 il ristorante di specialità emiliane e romagnole “Al Cairoli” dove innovazione e tradizione si incontrano, con la novità inoltre dei prodotti da passeggio. A rilevare l’attività è il bolognese Attilio Bassini – insieme alla moglie ravennate – geometra di professione nonché titolare di un’azienda del settore edile, ma cresciuto in una famiglia di mugnai da generazioni (il Mulino Bassini fondato nel 1898, ndr ). «Sono rimasto letteralmente abbagliato dalla bellezza della struttura esterna in stile Liberty – racconta –. Per me è il più bel negozio di Ravenna e ce l’ho messa tutta per convincere i proprietari, la famiglia Callegari che per anni ha venduto articoli per la casa, malgrado le difficoltà riscontrate a livello burocratico per il cambio d’uso. Poi a convincermi è stata anche la città: Ravenna è a misura d’uomo, tutti si conoscono anche se non necessariamente si salutano». Mentre le vetrine fronte strade sono rimaste invariate, anche se ora sono ricche di prodotti del territorio per incuriosire chi passeggia, all’interno i locali hanno subito qualche modifica con l’ausilio di cartongesso per ricavare i servizi e il bancone. Della porta d’ingresso, è stata mantenuta la struttura d’epoca anche se è stata allargata per consentire l’accesso ai disabili. Entrando si resta subito colpiti dall’ampia zona bar a destra, nonché dalla ricca dispensa sulla sinistra in cui scegliere uno dei tanti migliori prodotti del territorio. E nella parete di fronte, impossibile non sorridere guardando le quattro foto di Roberto Benigni che in Johnny Stecchino girò alcune scene proprio nel negozio di Callegari, trasformato per esigenze cinematografiche in un negozio di ab-

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In queste pagine e nelle precedenti alcuni scorci dei confortevoli interni del ristorante (anche da asporto) e bottega, “Ai Cairoli” (per l’appunto in via Cairoli. Nelle pagine successive, immagini del locale specializzato in piatti di mare, pronti da degustare o portare a casa, la drogheria di pesce “Il Bilancino” , in via Cattaneo, sempre in centro storico a Ravenna.


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bigliamento. A sinistra si accede alla prima sala in cui i clienti possono sedersi a mangiare qualcosa, godendo del meraviglioso affaccio su via Cairoli. Il pezzo forte dell’ambiente resta l’alto e imponente mobile contenitore in legno massello verde “a elle“ degli anni Venti del Novecento, lasciato dalla famiglia Callegari. Dietro le vetrate a scorrimento, illuminati da faretti inseriti negli anni Ottanta, sono disposti in bella vista servizi di piatti e bicchieri, ma anche bottiglie di vino, birra e molti prodotti a km zero. Per ricreare l’atmosfera parigina dell’epoca Liberty e Art Déco, sono stati scelti tavoli e sedie in ferro battuto, così come bicchieri della linea “Solange” acquistati da Gianola, non molto conosciuta dagli italiani. All’interno della sala, è stato inserito un comodo montacarichi per facilitare l’arrivo delle pietanze, visto che la cucina è situata al primo piano. Ovunque ci sono lavagne di diversa ampiezza anche incastonate in cornici di quadri, in cui sono segnalati i piatti del giorno e alcune specialità. Per quanto riguarda le luci, si spazia dalle applique in gocce di cristallo e da lampadari degli anni Trenta e Quaranta, acquistati da un antiquario, a moderne lampade in alluminio poste sopra il bancone del bar, realizzato in legno scuro e vetro dalla Gifar. Una boiserie in legno fa da trait d’union di tutto il piano terra del locale, così come il pavimento mantenuto inalterato: in parquet nella sala, in ceramica all’ingresso. Da una scala in legno su cui troneggia uno specchio con cornice in mosaico realizzato dall’artista ravennate Dusciana Bravura, si accede al primo piano dove si trovano la cucina e una seconda sala con diversi tavoli e un bel camino. Nelle scale filtra un fascio leggero di luce dalle vetrate in stile Liberty sul soffitto, mentre gli ambienti sono resi più ampi grazie a un sapiente gioco di specchi di varie forme e dimensioni collocati in punti strategici. Nel complesso, un locale accogliente e tradizionale, in cui sentirsi come a casa propria.

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Il Bilancino Il Bilancino a Ravenna è un locale unico nel suo genere: una drogheria di pesce dal sapore “metropolitano” che trae spunto da numerosi viaggi all’estero delle tre socie. Amiche nella vita, anche se di recente data, Gloria Battistini, Annalisa Babini e Silvia Bondoli, dopo mesi di piacevoli chiacchierate, sono riuscite a trasformare in realtà il loro sogno nel cassetto, dando una chiara svolta alla loro vita professionale. Passando da via Cattaneo, quando si arriva al numero civico 14 e quindi a pochi passi dalla centrale via Cavour, si resta subito colpiti da questa graziosa bottega all’interno di un edificio color arancio, da cui spiccano le tende verdi che ricoprono – nelle giornate di bel tempo – i posti esterni in cui consumare un pasto veloce. Un locale che, in prima battuta, evoca atmosfere francesi con la doppia vetrina fronte-strada da cui spiccano le lavagnette con le proposte del giorno. Sul lato pedonale della strada, allineati con la vetrina, ci sono tre graziosi tavolini esterni – su cui sono adagiati romantici vasetti di fiori – con comode sedie in ferro nero e legno, che formano un piccolo ma piacevole dehors. La porta d’ingresso si trova sulla destra – mentre a sinistra

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c’è quella di accesso diretto alla moderna e attrezzata cucina Tecnohelp– che è facile identificare grazie a una cassetta bianca a terra che contiene una composizione di erbe aromatiche. Entrando si resta subito colpiti dal convincente accostamento di colori, materiali e arredi: dal bianco al verde, dal metallo al legno, da elementi moderni a pezzi vintage rivisitati. Sulla parete di fronte, campeggia la scritta ‘Bilancino – Drogheria di pesce’, con il logo che è un pesce rivisitato. Sulla destra sono collocati cinque tavolini in legno color noce, con i relativi sgabelli, mentre per tutta la lunghezza del muro c’è una panca. Sopra, c’è una lunga e capiente mensola, da cui sporgono piante sempreverdi che offrono inaspettata ‘spruzzata’ di natura, che è completata dalla pianta grassa gigante a destra del bancone e dai vasetti di fiori sparsi qua e là. «Volevamo uno stile urban jungle – affermano le tre titolari che hanno aperto l’attività lo scorso 28 ottobre -, molto di tendenza attualmente, che prevede per l’appunto l’utilizzo di piante rigogliose ma anche di arredi o accessori sulle tonalità del verde. Per bilanciare i colori ci siamo fatte consigliare da esperi, ma nel complesso le scelte sono frutto delle nostre idee e ben riflettono quindi i nostri gusti. Il cuore del negozio è il bancone metallico illuminato da faretti strategici, a cui fanno da contraltare le piastrelle lucide verdi delle pareti dal sapore rétro per richiamare quelle degli antichi mercati del pesce. Un accostamento, quello tra metallo e ceramica, che abbiamo riproposto anche nella cucina.


ph. Bruno Gallizzi

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Il risultato complessivo, speriamo, è un ambiente soft, accogliente, moderno ma non freddo». Impossibile poi non notare, sia che ci si trovi dentro o fuori dal locale, sono le decine e decine di galleggianti colorati posti in vetrina sotto il bancone dove i clienti possono mangiare sedendosi su sgabelli metallici sabbiati recuperati da un ferrovecchio, un evidente richiamo al mare e al tipo di proposta gastronomica. L’angolo più suggestivo, invece, è la parete che collega la sala con la cucina attraverso una finestra interna che pare un quadro. Dal soffitto, scendono una bella orchidea selvaggia e una selva di pesci palla imbalsamati, molto in voga nei locali californiani. «La nostra è una proposta gastronomica che mancava a Ravenna – raccontano Gloria, Annalisa e Silvia -. Il nostro punto di forza è il fritto misto, ma abbiamo tante proposte adatte a chi esce dall’ufficio in pausa pranzo o a chi ricerca qualcosa da portare a casa, tra antipasti cladi e freddi e street food innovativo, come la piadazza con il pesce, una vera e propria novità, e l’hambuger di pesce».

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CITTÀ E SOCIETÀ

In alto: Botto&Bruno, Society, you’re a crazy breed, a cura di Beatrice Merz e Maria Centonze, Torino, Fondazione Merz, 9 marzo-19 giugno 2016. In basso: Botto&Bruno, Society, you’re a crazy breed, foto di Andrea Guermani.


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Non più bastardi, inferiori e irrimediabilmente minori Metropoli e povertà di Marina Mannucci Roberta Bruno e Gianfranco Botto, entrambi torinesi, tra i più noti interpreti visivi in campo internazionale degli spazi metropolitani, hanno al centro dei loro “fotomontaggi” fotografici l’osservazione delle periferie italiane ed europee, cogliendo scene, dettagli, marginalità delle esistenze che interpretano i mutamenti sociali, urbanistici e culturali delle città contemporanee. Una lettura antropologica che ben restituisce il concetto del “vivere” ai margini delle metropoli. Si tratta di immagini che colgono il degrado delle architetture in stand-by, le sterminate periferie “per sempre”, a partire dalle quali Botto&Bruno hanno realizzato “montaggi” artistici che lasciano comunicare muri scrostati e vegetazione incolta. Da una realtà inizialmente in rovina e solitaria – nei primi lavori non c’era spazio per la figura umana – nei loro lavori iniziano a comparire giovani dal volto coperto dal cappuccio di una felpa, che si aggirano fra detriti urbani, dando vita a scenari metafisici e a riflessioni sui luoghi di “Suburbia”. Le loro fotografie sono spesso

«La razza votata all’arte o alla filosofia non è quella che si pretende pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade, irrimediabilmente minore...» Gilles Deleuze, Felix Guattari, Che cos’è la filosofia?, a cura di Carlo Arcuri, traduzione italiana di Angela De Lorenzis, Torino, Einaudi, 1996, pp. 102-103

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CITTÀ E SOCIETÀ

composte di frammenti d’immagini diverse, ricombinati per creare nuovi paesaggi verosimili e straniati, quindi montati in nitidissimi lightbox o avvolgenti installazioni. Bernardo Secchi, nel libro La città dei ricchi e la città dei poveri (Roma-Bari, Laterza, 2013) scrive che le disuguaglianze sociali sono uno dei più rilevanti aspetti della «nuova questione urbana». Architetto, urbanista, ingegnere e professore emerito di Urbanistica, presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, venuto a mancare nel 2014, Secchi sostiene in questo pamphlet che il progetto della città deve essere uno dei punti di partenza di ogni politica tesa all’eliminazione e al contrasto delle povertà. Attraverso un’attenta analisi, che si avvale dei contributi di osservatori del disagio sociale, egli analizza le strategie di esclusione, l’aumento della sospensione dei diritti ed espone le ragioni del malessere urbano che si è intensificato negli ultimi decenni. «Dopo un lungo periodo, quasi un secolo», egli scrive, nel quale le distanze tra ricchezza e povertà «avevano manifestato nei paesi occidentali una chiara tendenza a diminuire, gli ultimi decenni del ventesimo secolo hanno dimostrato che esse potevano nuovamente crescere in modi inaspettati. L’idea che la crescita e lo sviluppo si estendano nel tempo a macchia d’olio, investendo le diverse regioni, i diversi gruppi sociali e gli individui e assicurando loro sempre più simili livelli di benessere, verrebbe così ad essere contraddetta. […] Nel grande teatro metropolitano le ingiustizie sociali sempre più si rivelano nella forma di ingiustizie spaziali» (ibid., pp. 3-9). Secchi auspica un ripensamento globale delle modalità di progettazione urbana in grado di creare territori «solidali, accessibili, generativi» in cui l’accesso allo spazio s’imponga come un diritto e non come

una concessione. A tal proposito Tiziana Villani, ricercatrice presso il dipartimento di Filosofia Urbana dell’Université Paris XII, direttrice della collana editoriale Millepiani, autrice di molteplici pubblicazioni riguardo ai temi delle trasformazioni delle soggettività, dell’urbano e dell’ecologia sociale, afferma che l’assenza di progettazioni avvedute negli «spazi urbani esplosi, non è una casualità quanto la scelta di privilegiare alcuni nodi su scala planetaria capaci di favorire la valorizzazione dei capitali finanziari a fronte di un più o meno dissimulato disinteresse per le condizioni di vita delle popolazioni, sia nell’ambito dei diritti, sia dei servizi anche più elementari. […] Questo passaggio critico appare di difficile gestione proprio per la rapidità con cui si sta realizzando, esso provoca inoltre spinte sociali dominate dal trauma dell’insicurezza, della xenofobia e dell’incapacità di potersi riconoscere, in modo un po’ più stabile, in un territorio e all’interno del suo sistema di relazioni. […] L’urbano finisce con il coincidere con la dimensione periferica. Questa affermazione non è priva di conseguenze, proprio perché occorre comprendere la pregnanza di questo termine. Periferico non è così solo lo spazio, ma anche le esistenze che vi si esprimono» (Metamorfosi dell’Urbano. Istituzioni e diritti della nuova Polis, in “Millepiani/Urban”, n. 1, 2009). È pur vero che la Villani riesce a forzare la lettura di questo fenomeno e intravederne anche un interessante risvolto, rilevando che, per quanto complessa e difficile da vivere, la città continua a emancipare: «Si emancipano vite segnate, assediate, senza prospettiva; nella città e nel suo caotico divenire tutto si rimescola e trova inaspettate soluzioni. Tutto questo non significa che segregazione, sfruttamento ed emarginazione non continuino a produrre


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negatività sociali, tuttavia e non a caso, proprio in situazioni di grande cambiamento come in India, è nell’urbano che si riconfigurano destini individuali e collettivi». A conferma di questo pensiero il filosofo francese Gilles Deleuze assegna alle istituzioni la capacità di assicurare patti capaci di ridefinirsi in relazione al mutamento del contesto in cui si producono: «Occorre ritrovare l’idea che l’intelligenza è cosa sociale più che individuale, ed essa trova nel sociale l’ambiente intermediario, il terzo ambito che la rende possibile» (Instincts et institutions, in L’île déserte et autres textes, Paris, Minuti, 2002, p. 27, trad. it. di Tiziana Villani). Ne consegue che le modalità di azione delle istituzioni sono centrali per la qualità della trasformazione urbana affinché questa non soggiaccia unicamente a una logica di mercato, ma ponga tra i principali obiettivi la necessità di soddisfare la domanda di “cittadinanza”. Villani riprende il tema urbano e dello spazio pubblico in Ecologia politica, Nuove cartografie dei territori e potenza di vita (Roma, Manifestolibri, 2013) in cui scrive della natura artificializzata dell’urbano e dell’importanza di sviluppare immaginazione per creare città in grado di accogliere differenti soggettività e progettualità: «Gli spazi costituiscono scritture, sono il derma costruito dalle esistenze. Definire lo spazio come derma significa riprendere l’espressione di superficie che qualifica gli spazi. Il derma del corpo e il derma dell’ambiente sono coestensivi e creano un’intensa rete di rimandi. La felicità del corpo si alimenta della potenza dell’ambiente cui appartiene. Il nostro tempo è dominato da scritture segreganti e imperative, che si affannano a prescrivere comportamenti, perimetrare territori, privatizzare ogni sorta di risorsa. È un derma deturpato quello del nostro ecosistema e come la pelle del corpo si lacera, s’infetta, e scrive i segni di questa grammatica violenta. La felicità è la posta in gioco» (ibid., p. 143). Ma non siamo ancora nei «tempi dell’uguaglianza felice», scrive Pierre Rosanvallon, professore di Storia al Collège de France, nel libro La società dell’uguaglianza (Roma, Castelvecchi Editore, 2013, traduzione di Alessandro Bresolin). Rosanvallon parla di un’«Uguaglianza faticosamente e dolorosamente conquistata nel corso dei secoli, che abbiamo però perduto a causa delle politiche oligarchiche che hanno dominato a partire dagli anni novanta del Novecento in cui vi è

Refugees welcome!!!, Berlino, 26 settembre 2017, foto di Alberto Giorgio Cassani.

stata una netta inversione nel cammino della democrazia compiuta». Secondo lo storico francese il progetto democratico è soggetto a degenerazione e ridimensionamento dovuto anche al fatto che «Dopo il crollo del muro di Berlino vi è stata un’offensiva neoliberista da parte del capitale finanziario che ha progressivamente distrutto il welfare state». A conferma della tesi avanzata da Rosanvallon è il progressivo abbandono del modello redistributivo che per quasi tutto il secolo scorso era riuscito a contenere le disuguaglianze sociali. Sono, queste, analisi che tengono conto del fatto che lo spazio, in quanto prodotto sociale costruito nel tempo, non è infinitamente disponibile ai cambiamenti e si soffermano sull’urgenza di progetti urbani in grado di cogliere la domanda del plus grand nombre. A tal proposito, è interessante la tesi dello scrittore e giornalista olandese Rutger Bregman, in Utopie per realisti (Milano, Feltrinelli, 2017) che, per sbloccare il futuro, invita a tornare alle utopie, perché, senza utopie, tutto quello che resta è un presente senza orizzonte, il presente immobile e sterile della tecnocrazia. «Solo i poveri conoscono il significato della vita, i ricchi possono solo tirare a indovinare» Charles Bukowski

Del resto, di ogni luogo esistono più racconti: ne leggiamo di ufficiali, spesso esuberanti, e di altri non ufficiali, più sobri, in cui si parla di persone che le città le abitano spesso con dolore e con molte difficoltà. Già all’inizio del secolo scorso il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel, nello scritto di Il povero, pubblicato per la prima volta nel 1906 e successivamente incluso nella Soziologie del 1908, dimostrava che non è una mancanza personale o una semplice condizione di privazione a fare di qualcuno un povero, al contrario, si entra a far parte di una cerchia sociale caratterizzata dall’indigenza solo nel momento in cui si riceve un determinato tipo di assistenza. Secondo Simmel è perciò la “reazione sociale”, che può essere più o meno intensa, a dare forma al povero e a delineare le dinamiche del fenomeno dell’indigenza. Nel suo celebre scritto Le metropoli e la vita dello spirito (trad. it di Paolo Jedlowski e Renate Siebert, a cura di P. Jedlowski, Roma, Armando, 2001), l’autore spiega le relazioni peculiari dell’uomo all’interno di una società, del vivere oggettivo metropolitano e del fenomeno dell’individualismo. L’intuizione centrale del pensiero di Simmel è l’universale interazione e compenetrazione di tutti i fenomeni e la centralità della metropoli, che, in quanto segno rappresentativo della modernità, è il luogo in cui un insieme di forze spingono le persone verso l’indifferenza nei confronti della molteplicità delle cose. In questo fondamentale saggio Simmel definiva la metropoli come luogo della massima concentrazione e della massima differenziazione sociale, sede dell’individualità per eccellenza: «come un uomo non si esaurisce nei confini del suo corpo o dello spazio che occupa con le sue attività, ma solo nella somma degli effetti che si dipanano a partire da lui nel tempo e nello spazio, allo stesso modo anche una città esiste solo nell’insieme degli effetti che vanno oltre la sua immediatezza» (ibid., pp. 50-51).

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ABITARE L’HABITAT

Metropoli

per uno sviluppo

sostenibile È necessaria l’affermazione di un nuovo, dirompente, paradigma per l’urbanistica e la pianificazione di Marco Turchetti * Quello che meno ci piace dell’Italia di oggi sono le «città diffuse». Quel fenomeno che crea ciò che internazionalmente viene definita con il termine di «suburbanizazione», ovvero la crescita continua delle città oltre i confini storici e fisici, in una tracimazione che distrugge sia l’armonia dei paesaggi sia la bellezza architettonica. Forse è giunto il momento di smontare molti degli stereotipi con cui convivono milioni e miliardi di persone, umani irrimediabilmente urbanizzati. Ogni città è costituita da miriadi di elementi e di processi spesso in contrasto fra loro. Le esistenze degli abitanti interagiscono con topi e scoiattoli, alberi e tempeste, correnti d’aria ed emissioni nocive, reti virtuali e sistemi di trasporto pubblico e privato. E con molto altro ancora. Tanto che i modelli di metropoli non smettono di moltiplicarsi e oggi comprendono anche lo «smart» o l’«islamico». Ma nei sogni di ogni urbanista c’è un solo maxi-tipo in grado di tenerli assieme, allontanando un po’ l’umanità dall’abisso dell’inquinamento selvaggio e dall’impazzimento climatico che ne è la conseguenza: si chiama «città sostenibile». Le città ospitano più della metà della popolazione mondiale, consumano due terzi dell’energia e producono oltre il 70% delle emissioni di CO2 responsabili del riscaldamento globale. Allo stesso tempo quasi la metà delle città sta già iniziando a misurarsi con gli effetti dei cambiamenti climatici e tra non molto lo dovranno fare

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praticamente tutte, anche perché oltre il 90% delle aree urbane sorge in territorio costiero e nel giro di qualche anno saranno obbligate a fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e l’intensificarsi degli eventi atmosferici estremi. I motivi per cui le città sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici sono molteplici, ma non bisogna sottovalutare anche il fatto che sono il motore economico dei paesi, il luogo in cui si trova la maggior parte delle infrastrutture necessarie a far muovere una nazione. I numeri spiegano dunque più di tante parole come sia stretto il rapporto tra quanto accade nelle metropoli e la salute del Pianeta. Eppure, come spesso accade, il problema, se affrontato correttamente, può essere rapidamente trasformato nella soluzione. Trasporti, efficienza energetica degli edifici, gestione dei rifiuti, utilizzo del suolo, politiche di sostegno alla diffusione delle fonti rinnovabili e allo sviluppo di una rete elettrica intelligente. Non possiamo certo resettare le città. Sono qui tra noi, per noi e vi resteranno a lungo. La sfida è trovare un equilibrio tra il concetto di sostenibilità e quello di non-sostenibilità. Quando si misura l’impronta ecologica le aree urbane dimostrano di avere ancora un bisogno enorme di risorse, che vanno a prendere ben al di là dei loro spazi, spingendosi ovunque nel pianeta. Se la sostenibilità può essere la risposta all’escalation, la preoccupazione principale è che ci sia un’eccessiva fiducia nelle soluzioni unicamente tecnologiche.

Suburbanizazione, ovvero la crescita continua delle città oltre i confini storici e fisici, in una tracimazione che distrugge sia l’armonia dei paesaggi sia la bellezza architettonica.

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Ragionare in termini “slow”, secondo una logica di vita capace di contrastare il fenomeno della crescita incontrollata.


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La tecnologia può essere sia parte della soluzione sia parte del problema, tutto sta quindi, nel trovare una logica alternativa ed efficace. Dopo anni di oblio causati da una ipertrofia dello sviluppo che ha separato le componenti della città (suolo, acqua, energia, mobilità) per impacchettarle in progetti di riqualificazione simili ai “titoli tossici” di una urbanistica subprime, è il momento oggi di far tornare protagonista una dimensione ecosofica dello sviluppo, strumento proattivo per ripensare la città contemporanea, per reimmaginare l’urbanistica e per riattivare la qualità della vita entro un nuovo progetto di futuro. La grande sfida da affrontare è mettere in moto un meccanismo capace di generare nuova energia a partire dai cicli territoriali ancora attivi e da quelli latenti, di riattivare quelli interrotti e di farne nascere di nuovi dalla metamorfosi metropolitana che stiamo vivendo, in cui i cicli urbani si fondono con quelli rurali, i flussi di servizi sono supportati dalle reti di cittadinanza attiva, i cicli produttivi tornano ad alimentare la vitalità delle città, lo spazio fisico si illumina della intelligenza digitale. Ragionare anche in termini “slow”, secondo una logica di vita capace di contrastare il fenomeno della crescita incontrollata. Pensare a fenomeni eterogenei, dal movimento dei “green market” per il consumo di cibi prodotti localmente al sistema del “green procurement”: quest’ultimo prevede che le amministrazioni organizzino gli acquisti su basi eco-compatibili. Ma è essenziale anche una pianificazione che impedisca lo spreco del territorio e ci vogliono progetti come la “Million tree initiative”, che da New York a Shanghai prevede di creare foreste urbane con cui migliorare la qualità dell’aria, abbattere le temperature al suolo e riqualificare gli spazi. C’è anche estremo bisogno di nuovi amministratori che agiscano sui luoghi della città inversa: sulle periferie in transizione, sui quartieri industriali in ristrutturazione, sulle aree portuali e ferroviarie in fase di riciclo infrastrutturale. Luoghi lontani dai centri propulsori del modello urbano compulsivo, consumatore di suolo e di risorse, in cui sono stati preservati valori comunitari, paesaggistici e identitari. È soprattutto nei nuovi quartieri della marginalità stigmatizzata che può ripartire una città che sappia rimettere in gioco i suoi capitali dopo essere guarita dalla drammatica tossicodipendenza, da un’urbanistica della rendita che ne ha anestetizzato la capacità di immaginare, di progettare, di radicare e di guidare. Sono moltissimi i campi in cui le amministrazioni locali possono intervenire per sperimentare pratiche più sostenibili e fare delle metropoli dei laboratori del cambiamento. Senza dimenticare, poi, che in un mondo alle prese con la crescente pressione demografica, la densità delle città, grazie ad una efficiente e innovativa politica di pianificazione delle infrastrutture, può rappresentare una valida risposta per garantire una migliore qualità della vita a una fetta sempre più numerosa di popolazione. In altre parole, molto di come sarà la condizione di salute del Pianeta nei prossimi decenni, dipenderà dalla nostra capacità di realizzare delle “Smart Cities” con più piste ciclabili, trasporti pubblici affidabili e meno inquinanti, infrastrutture in grado di sostenere la transizione verso l’auto elettrica, abitazioni isolate termicamente sempre meglio e in grado di tagliare drasticamente i loro fabbisogni energetici e un sistema di nettezza urbana capace, attraverso la raccolta differenziata, di produrre tassi altissimi di riciclo delle materie prime. Accanto alle città che tentano la via della sostenibilità, però, si assiste al boom delle megacittà, divoratrici di risorse ed energia. In effetti città come Pechino, con il loro inquinamento record, sono il simbolo del dilagare delle aree urbane ad alta intensità energetica. Si tratta di un fenomeno globale, che dimostra la necessità di accordi planetari sul contrasto al riscaldamento climatico. D’altra parte, però, nel grande gioco in cui gli organismi internazionali si dimostrano ancora deboli spiccano proprio le innovazioni a livello metropolitano, come quelle del gruppo “C40 Cities”, mirate alla

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C’è estremo bisogno di nuovi amministratori che agiscano sui luoghi della città inversa: sulle periferie in transizione, sui quartieri industriali in ristrutturazione, sulle aree portuali e ferroviarie in fase di riciclo infrastrutturale.

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Molto di come sarà la condizione di salute del Pianeta nei prossimi decenni, dipenderà dalla nostra capacità di realizzare delle “Smart Cities”.

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Città come Pechino, con il loro inquinamento record, sono il simbolo del dilagare delle aree urbane ad alta intensità energetica.

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Il potenziale di sostenibilità urbana, è molto vasto e potrebbe portare entro il 2030 ad un taglio nelle emissioni di anidride carbonica di 1,3 miliardi di tonnellate, pari a quanta ne hanno prodotta nel 2008 il Canada e il Messico messi insieme.

riduzione dei gas serra. Ci sono molte azioni che le città stanno mettendo in campo per affrontare il riscaldamento globale. In una prima fase si trattava soprattutto di strategie di mitigazione, ora vediamo anche molte azioni volte all’adattamento. Naturalmente le città non possono cambiare completamente sistema, ma possono utilizzare i sistemi esistenti in maniera più efficiente per diventare più resilienti. Per esempio ci sono molte esperienze positive di risparmio idrico ed energetico, come anche di efficiente uso del suolo e di gestione del sistema dei trasporti in funzione delle mutate condizioni climatiche. Un’azione rimasta a lungo nel campo della buona volontà delle singole amministrazioni, ma che negli ultimi anni si è dotata di un apposito network, l’associazione “C40”, che ha messo in collegamento una sessantina di megalopoli di tutto il mondo (da Caracas a Berlino, da

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L’associazione “C40”, ha messo in collegamento una sessantina di megalopoli di tutto il mondo (da Caracas a Berlino, da Roma ad Addis Abeba, da Chicago a Seul) per promuovere e confrontare le migliori pratiche di sostenibilità.

Roma ad Addis Abeba, da Chicago a Seul) per promuovere e confrontare le migliori pratiche di sostenibilità. I sindaci sono direttamente responsabili delle loro decisioni davanti agli elettori e rispetto agli eletti alle assemblee nazionali sono più pronti nel prendere iniziative decisive, spesso con risultati immediati e di impatto, si legge nel manifesto dell’organizzazione attualmente guidata dalla prima cittadina di Parigi, Anne Hidalgo. Inoltre ciò che le nostre città realizzano individualmente e collegialmente per contrastare i cambiamenti climatici può imporre l’agenda per le comunità e i governi di tutto il mondo. Secondo le ultime stime, le azioni intraprese dalle città che aderiscono all’organizzazione “C40”, potrebbero portare entro il 2020 ad un risparmio di emissioni pari a 248 milioni di tonnellate di CO2, ovvero l’equivalente prodotto in un anno da Argentina e Portogallo messe insieme. Ma il potenziale di sostenibilità urbana, è molto più vasto e potrebbe portare entro il 2030 ad un taglio nelle emissioni di anidride carbonica di 1,3 miliardi di tonnellate, pari a quanta ne hanno prodotta nel 2008 il Canada e il Messico messi insieme. Evidentemente la strada giusta è mettere in collegamento e in rete, quante più megalopoli in tutto il mondo per promuovere e confrontare le migliori pratiche di sostenibilità. Qual è dunque il primo errore, anche per noi italiani, da evitare comunque? Quello di eludere la sfida collettiva che riparte dalla geografia inversa della città, per riattivare i numerosi cicli interrotti, latenti, impliciti o dimenticati che strutturano le nostre città. In un’ottica metropolitana si possono sperimentare, una successione di riavvii di cicli vitali capaci di attivare progressivamente tutte le risorse, materiali e immateriali, generando un potente meccanismo di avvio capace di far partire un processo auto-sostenibile, ed evitare a tutti i costi la suburbanizazione, cioè l’espansione incontrollata delle periferie: le grandi distanze e la bassa densità abitativa provocano enormi ed insanabili problemi ecologici. Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com


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novembre-dicembre 2017


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Ravenna Via A. Bozzi 69 tel. 0544 217369 tel. 0544 400004 cell. 334.7556891 emanuela.famoso@scor.it CANNUZZO

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RAVENNA, ZONA DARSENA Vendesi appartamento di recente costruzione, composto da soggiorno, cucina, 2 letto, bagno, balcone, ripostiglio, posto auto scoperto. Riscaldamento autonomo,

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Ravenna . P.zza Paul Harris 7 . tel. 0544.421396 . cell. 335.377894 www.gabetti.it

BORGO MONTONE Bellissima e comoda casa abbinata ad un lato con ampio giardino. Grande porticato, ampia zona living ben distribuita fra soggiorno, zona pranzo con camino/cucina abitabile, zona notte padronale con grande camera da letto, bagno e cabina armadio/studio. Al piano superiore due camere da letto, ampio bagno con vasca idromassaggio e zona mansardata di mq.25. Completano la proprietà al piano terra grande garage, bagno/lavanderia, cantina e tavernetta con camino con accesso diretto a grande giardino. Ideale per creare seconda unità abitativa. Classe en. in fase di determinazione. € 460.000,00

ZONA DARSENA Attico strutturato in maniera da essere inserito in un contesto industriale/artigianale, composto da soggiorno, cucina, sala da pranzo, disimp. notte, camera matrimoniale, bagno, ampia terrazza perimetrale, soffitto in legno a volta. Soppalco con studio, camera da letto e splendido bagno. Cantina e posto auto coperto. Oggetto molto particolare. Classe energetica in fase di elaborazione € 235.000,00 CENTRO STORICO Palazzo di recente ristrutturazione (ex Callegari) appartamento/ufficio al 2° piano con ascensore adatto ad ogni soluzione; ingresso con doppio portoncino, disimpegno, ampio open space (mq.50 circa), bagno finestrato, balconcino. Finiture eccellenti, riscaldamento autonomo, impianto di climatizzazione, ripostiglio e deposito bici. Libero subito. Classe en. in fase di elaborazione € 125.000,00

MARINA DI RAVENNA Zona residenziale silenziosa ma vicino al mare, appartamento completam. ristrutturato a fine anni ’90, piano primo con ascensore. Luminosa zona living di oltre 40 mq. con zona cottura e balcone, disimpegno notte, 2 camere da letto matrimoniali, ampio bagno e garage al piano terra. Classe en. in fase di elaborazione. € 185.000,00 TRAVERSA DI VIA TRIESTE Appartamento di taglio classico completam. ristrutturato negli impianti e nelle finiture, al 2° piano senza ascens. in piccola palazzina senza spese condominiali. Ingresso, cucina abit. separata, grande zona giorno, disimp. notte con ripostiglio, bagno finestrato, camera matrim., cameretta/studio con balcone comunicante. Cantina di proprietà al p. terra, risc. autonomo e caldaia nuova. Classe en. in fase di elaborazione € 125.000,00 NUOVA DARSENA Ampio e luminoso bilocale al 3° ed ultimo piano con ascens. in palazzina di recente costruzione. Ingresso su ampia zona giorno di 22mq. con ang. cottura, loggia vivibile, disimpegno armadiato, bagno finestrato con doccia, camera matrim.; cantina e un posto auto. Impianti a norma, aria condizionata, risc. autonomo. Cl. En. "D" ep. tot. 128,69 (kwh/mq/anno) € 128.000,00 ZONA CANALE MOLINETTO In piccolo contesto di palazzina molto carina, ben tenuta e immersa nel verde, bilocale posto al primo piano con ascensore composto da ingresso, soggiorno con angolo cottura e ampia terrazza vivibile, disimpegno con ripostiglio, camera matrimoniale e bagno finestrato. Riscald. autonomo, garage al piano seminterrato. Classe en. in fase di elaborazione € 125.000,00

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PONTENUOVO Casa indipendente su lotto di ca. 469 mq., costruz. anni '60 su 2 piani, con piano terra altezza m. 2,43; 1° altezza m. 3,00; piano sottotetto altezza max. ca. m. 2,80. La casa ha possibilità di event. ampliamento nella zona retrostante, necessita di lavori di ammodernamento e rifacimento impianti. Bella zona verde retrostante appartata. La strada è molto silenziosa. Possibilità di sistemare la famigliare principale al 1° piano ed i genitori al piano terra. Cl. energ. "G" Ep tot. kwh/mq./anno - Rif. 0433 € 250.000,00 A 5 MINUTI DA RAVENNA, CAMERLONA Appartamento al 1° e ultimo piano di recente costruzione; soggiorno-pranzo con zona cucina di buone dimensioni e con terrazzo grande vivibile per pranzarci, relax ecc.., bagno, 2 letto, mansarda/sottotetto uso ripost.gioco ragazzi, cantina e posto auto in garage chiuso. Il riscaldamento e le utenze sono autonome, ottima soluzione piacevole per coppia di giovani per rimanere in una spesa contenuta. Libero - Classe energ. "D" Ep tot. 125 KWh/mq/anno - Rif. 0398 Prezzo ribassato € 108.000,00

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MILANO MARITTIMA Appartamento di lusso con corte privata, garage e ingresso indipendente da Viale II Giugno. Vicinissimo al mare ed al centro di Milano Marittima l'immobile è sviluppato su due livelli, al piano primo ed al piano attico, con 4 camere, 4 bagni, garage con cantina, giardino privato, balconi su tutti i lati, vista spettacolare. Ambienti curati e finiture di gran pregio. Rif. 621C Info in agenzia

Casa singola composta da 2 appartamenti. Appartamento al p. terra: ingresso indipendente, soggiorno, cucina, letto, bagno, altro vano uso servizio ed ampia taverna,. Appartamento con ingresso indipendente al p. primo: ingresso ampio soggiorno, sala da pranzo, cucinotto, 2 camere da letto, bagno. In corpo staccato garage e cantine. Giardino. Parzialmente da rimodernare. (Classe G/335,90). Rif. RC 371. € 295.000,00

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RAVENNA, SAN BIAGIO Villetta d’angolo, abbinata ad un lato, indipendente cielo/terra, con garage e giardino. Ingresso dal soggiorno, con scala a vista per salire alle camere da letto, cucina abitabile che ha l'uscita diretta sul giardino, bagno e garage. Primo piano composto da camera matrimoniale con balcone, 2° camera matrim.con balcone, studio e bagno. Accesso comodo con scala fissa al sottotetto ampio, rifinito e riscaldato (altezza al colmo contenuta) Impianti sono a norma. Ottima soluzione per famiglie. Classe”F”. € 270.000,00 tratt.

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SAN ROCCO

Zona tranquilla ed immersa nel verde, bella villa angolare abbinata sviluppata su 2 livelli. PT: ampia zona living, zona pranzo, cucina e bagno di servizio. PP: 3 letto, bagno, bel terrazzo, oltre a grande e luminosa mansarda. Ottime finiture. Giardino molto curato. Classificazione energetica in corso € 360.000,00

Grazioso appartamento indipendente al 1° piano ed ultimo, libero subito: soggiorno, parete cottura, balcone, 2 letto, bagno, posto auto coperto, sottoscala ad uso cantina. Travi a vista. Termo autonomo. Impianti a norma. No spese condominiali. Possibilità di creare soppalco. Class. energetica in corso. € 160.000,00 tratt.

SAN ROCCO

ZONA RUBICONE

Ampio, luminoso e bell'appartamento ristrutturato posto all'ultimo piano di immobile con ascensore e così composto: ingresso, soggiorno, cucina, 3 letto, bagno, 2 balconi, oltre a grande mansarda open space con lato soggiorno, cucina, vano multiuso, bagno, terrazzo. Certificazione energetica in corso. € 185.000,00 tratt.

Appartamento in buona parte ristrutturato al 2° piano (s.a.) di piccola palazzina: soggiorno con balcone, cucinotto, tinello, 3 letto (2 matrimoniali, 1 singola), studio, bagno, 2 balconi (1 verandato), garage al piano terra e cantina. Risc. aut. a pavimento. Aria condiz. Class. in corso. € 190.000,00 tratt.

SAN MICHELE: POSSIBILITÀ DI AFFITTO A RISCATTO

ZONA GALLERY

Bella villetta d'angolo di recente costruzione con ampio giardino su 3 lati attrezzato; ampio soggiorno, cucina abit., bagno, ripost.; 1° piano: 2 letto, studio, balcone, bagno e vano soppalcato. Impianto di allarme e inferriate. Classe C Ep 115,50. € 230.000,00

Bell'appartamento di ampia metratura, salone con cucina separata, 2 letto, 2 bagni, ampio balcone loggiato con vista panoramica, posto auto coperto. Certificazione energetica in corso. € 175.000,00

ZONA CANALE MOLINETTO

SAN PIETRO IN VINCOLI

Grande villa in pietra a vista immersa nel verde dell'ampio parco composta da due appartamenti distinti e separati al piano terra e piano primo, oltre ad ampia mansarda di impatto decisamente moderno. Piano terra: soggiorno, cucina, tinello, camera matrimoniale, un vano multiuso, cantina e garage. Piano 1°: ingresso da scala esterna elicoidale, salone, cucina, 3 camere da letto, 2 bagni. Libera subito. Informazioni in agenzia.

Bell'appartamento completamente arredato e in ottimo stato posto al piano primo di piccola palazzina senza ascensore. con ingresso, cucina abitabile, soggiorno, 2 letto matrimoniali, studio, balcone, bagno, garage e posto auto. Class. in corso. € 140.000,00

Corso Garibaldi 21/A . Faenza (RA) . tel. 0546 29968 . fax 0546 28125 pbaccarini@ossani.it . www.ossani.it

TRA FAENZA E RUSSI, VIA RAVEGNANA Casa completamente indipendente con parco di 2.950 mq., disposta ai piani terra e primo, con possibilità di ricavare 2 unità distinte, oltre a proservizio in fabbricato distaccato con garage e cantina e la possibilità di ampliamento. Parzialmente ristrutturata. Imp. riscaldamento rifatto completamente con gpl + legna. Cl. En. “G” - EP tot 382,80 Kwh/m2/anno € 210.000,00

FAENZA, BORGO TULIERO Villetta di recente costruzione con giardino sul fronte e sul retro e composta da soggiorno, cucina completa di arredamento e camino, portico con camino, bagno al piano terra; 2 ampie camere da letto, bagno, balcone e 2 loggiati al 1° piano. Garage e cantina al piano interrato. Cl. En. “D” - EP tot 93,58 Kwh/m2/anno € 239.000,00

FAENZA, CAMPAGNA A VALLE Casa indipendente abbinata su un lato, disposta su 2 piani, con ingresso, soggiorno, pranzo, cucina, bagno, lavanderia/dispensa al piano terra e 5 ampie camere, bagno e balcone al 1° piano. Garage. Cl. En. “D” - EP tot 100,64 Kwh/m2/anno € 330.000,00

FAENZA, CAMPAGNA A VALLE Villa di recentissima ristrutturazione dotata di materiali e finiture tecniche di pregio, su un lotto di circa 4.300 mq, completamente recintato, sviluppata ai piani terra e primo, predisposta per ottenere anche due unità immobiliari. Dotata di tutti i servizi (garage, ampia taverna, servizio esterno in sasso con forno e camino). Impianto fotovoltaico, riscaldamento a pavimento, induzione. Cl. En. “A+” - EP tot 25,67 Kwh/m2/anno € 590.000,00

FAENZA, ZONA MONTE Splendida villa d'angolo di ampia metratura con giardino e portico, sviluppata su 3 piani fuori terra, oltre a piano interrato con garage. Dotata di 5 bagni rifiniti in marmo pregiato, sauna e vasca idromassaggio. Ampia taverna con camino. Riscaldam. e raffreddam. a pavimento. Pannelli solari, allarme, aspirazione centralizzata, impianto di irrigazione. Cl. En. “E” - EP tot 156,50 Kwh/m2/anno € 635.000,00


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Ravenna via IV Novembre 4B tel. 0544.36337-36372 www.ideacasaravenna.com casa_idea@libero.it

RAVENNA, VIA MAGGIORE Alle porte del centro storico, si vende casa da ristrutturare con locale commerciale al piano strada, indipendente terra/ cielo disposta su tre livelli. Ampio cortile sul retro con servizi e dependance. Realizzabili circa 600 mq di superficie abitabile. € 460.000,00

RAVENNA, SAN BIAGIO Si vende casa abbinata ai lati, indip. terra/cielo, completam. ristrutturata nel 2014. P.T. ampia sala, cucina abit., lavanderia e bagno oltre a portico con area esterna di pertinenza. Al p. superiore 2 letto, bagno, ampia terrazza abit. e mansarda. Risc. a pavimento, ottime finiture Classe D. € 340.000,00

RAVENNA, CENTRO STORICO - VIA BACCARINI Si vende casa indipendente terra/cielo, piano terra, primo e secondo, suddivisa in cinque alloggi indipendenti, oltre a gradevole corte interna. Ottime condizioni. Adatta ad attività di B&B. € 670.000,00

Via Faentina 218s - Fornace Zarattini Ravenna tel. 0544 463621 - www.ravennainterni.com

novembre-dicembre 2017


n. 118 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017

Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it . ISSN 2499-2550

CASA PREMIUM .

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n.118 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017

SPECIALE METROPOLI

REALTÀ E DESTINO DELLA CITTÀ CONTEMPORANEA

ARCHITETTURA, ARREDAMENTO E

ANNUNCI IMMOBILIARI


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