FREEPRESS n. 858
16-22 APRILE 2020
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CRONACA • SOCIETÀ • POLITICA • ECONOMIA • OPINIONI • CULTURA • SPETTACOLI • GUSTO • SPORT • #CORONAVIRUS
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Restiamo a casa, facciamo rete: nei giovedì della crisi R&D sarà solo scaricabile online
PRIMA NECESSITÀ Librai, editori, bibliotecari, autori a confronto nell’emergenza Covid-19
Uno scorcio della libreria Scattisparsi, in centro a Ravenna
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PUNTI DI VISTA / 3 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
IL COMMENTO
TUTTO D’UN TRATTO
L’OSSERVATORIO
di Gianluca Costantini
Cercavamo gli untori in strada e intanto negli ospizi...
Finalmente posso farlo...
di Andrea Alberizia
di Moldenke
Si temeva la grande fuga verso le seconde case al mare per godersi il sole del weekend pasquale e invece non è stato così. Lo dicono i numeri ufficiali dei controlli eseguiti dalla polizia locale a Ravenna e Cervia: nel ponte di tre giorni sono stati impiegati 270 agenti a turni che hanno controllato 921 persone per verificare che rispettassero le disposizioni richieste per contrastare il diffondersi della Covid-19 e ne sono venute fuori 40 sanzioni. A spanne poco più di quattro ogni cento. Ribaltando il punto di vista vuol dire che 96 persone su cento fuori di casa, trovate soprattutto nei supermercati, avevano il diritto di starci. Un po’ come le auto incolonnate verso il litorale laziale: a creare l’ingorgo sono stati i massicci controlli delle forze dell’ordine che hanno verificato come la quasi totalità degli automobilisti fosse al volante con un valido motivo tra quelli previsti dalle autorità. Certo, com’è comprensibile sul web ha circolato molto di più la notizia del francese – a Ravenna per questioni di lavoro – sorpreso dai vigili urbani mentre si faceva un bagno in mare a Marina. Eppure sono ancora tanti che chiudono ogni loro post sui social – a prescindere dal tema di cui si disquisisce – con il matra STATE A CASA. Scritto così, tutto maiuscolo come ormai pretende l’alfabeto troll. Forse torna utile un dato misurato dall’Istat: a fine marzo, dopo l’avvio del lockdown e prima delle ultime timide concessioni che riguardano librerie e non solo, più della metà degli italiani continuava ad andare al lavoro. Uno su due usciva di casa per lavorare. Perché si fa presto a dire “smart worki” (premier dixit). Quindi a parte la parentesi delle festività pasquali, negli altri giorni feriali la gente esce di casa perché lavora. Eppure la caccia fai da te ai trasgressori del lockdown è andata avanti senza sosta. Con la vetta altissima toccata dal post su Facebook di una lombarda trapiantata nella Bassa che metteva foto e identità di un 19enne del Gambia allontanatosi dall’ospedale di Lugo con sintomi da coronavirus prima di avere l’esito del tampone poi risultato positivo. Ma mentre cercavamo gli untori per strada, ci siamo dimenticati di tenere d’occhio i nostri vecchi. Ci ritroviamo con una casa protetta a Russi che ha più di un terzo di ospiti positivi e un’altra manciata di casi in una comunità alloggio di Ravenna. Solo due situazioni e sono sotto controllo. Ma potenzialmente molto rischiose. Con una aggravante: la delicatezza delle strutture per anziani doveva essere ormai chiara a chiunque abbia letto le cronache dalla Lombardia.
Finalmente posso farlo. Finalmente posso uscire. Finalmente posso scriverlo anche sulla mia bella autocertificazione. Finalmente posso aprire la porta di casa e respirare l’aria pulita con un nuovo obiettivo. Finalmente posso dirigermi senza paura in centro storico. Finalmente posso perfino tornare all’Esp, senza dover neppure fare la spesa. Finalmente posso uscire per andare a comprare qualcosa di diverso che non siano le solite birre, le sigarette, i preservativi o la Gazzetta dello Sport. Finalmente posso andare a testa alta, con mascherina e guanti, sfidando il virus, a comprare un vero prodotto di “prima necessità”. Finalmente abbiamo un Governo attento alla cultura, altroché.
Direttore responsabile: Fausto Piazza Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Luca Manservisi, Serena Garzanti (segreteria), Autorizzazione Gianluca Achilli, Maria Cristina Tribunale di Ravenna Giovannini (grafica). n. 1172 del 17 dicembre 2001 Collaboratori: Roberta Bezzi, Matteo Cavezzali, Francesco Della Torre, Nevio Anno XIX - n. 858 Galeati, Iacopo Gardelli, Giovanni Gardini, Enrico Gramigna, Simona Editore: Guandalini, Giorgia Lagosti, Fabio Edizioni e Comunicazione srl Magnani, Alessandro Montanari, Enrico Via della Lirica 43 - 48124 Ravenna Ravaglia, Guido Sani, Angela Schiavina, tel. 0544 408312 www.reclam.ra.it Serena Simoni, Adriano Zanni. Direttore Generale: Claudia Cuppi Fotografie: Massimo Argnani, Paolo Pubblicità: tel. 0544 408312 Genovesi, Fabrizio Zani. Illustrazioni: commerciale1@reclam.ra.it Gianluca Costantini. Area clienti: Denise Cavina tel. 335 Redazione: 7259872 - Amministrazione: tel. 0544 271068 - Fax 0544 271651 Alice Baldassarri, redazione@ravennaedintorni.it amministrazione@reclam.ra.it Stampa: Centro Servizi Editoriali srl Stabilimento di Imola
Finalmente l’Italia riparte. Finalmente, ebbene sì, POSSO ANDARE IN LIBRERIA e comprare l’ultimo di Fabio Volo. (E imparare per esempio, leggendolo, che «[...] il contrario dell'amore non è l'odio. L'odio è assenza d'amore, così come il buio è assenza di luce. L'opposto dell'amore è la paura [...]»). Ora, forza e coraggio, riaprite anche i negozi di dischi, che devo comprare l’ultima ristampa di Laura Pausini e dire ai vigili che sto facendo la collezione di beni di prima necessità.
Poste Italiane spa - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. di legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB
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4 / PRIMO PIANO RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
IL DOPO CORONAVIRUS/1
Tra chi apre e chi tiene chiuso: con l’emergenza il libro diventa (finalmente) “bene essenziale” Tra i settori più colpiti dalla crisi, la filiera editoriale è al centro del dibattito. Le voci di due librai del centro storico di Ravenna che in queste settimane hanno anche assicurato il servizio a domicilio a clienti vecchi e nuovi
E così, nel venerdì di Pasqua di questo strano 2020, improvvisamente l'Italia scopre che il libro è un bene essenziale, più delle scarpe, più dei vestiti, al pari almeno dei vestiti per bambini. Lo dice il presidente del Consiglio e il permesso di riaprire per librerie e cartolibrerie rappresenta in pratica l'unico allentamento (insieme ai beni per la prima infanzia) rispetto al lockdown imposto dall'11 marzo fino al 3 maggio. Se ne parlava da un po', si erano susseguiti appelli di intellettuali ed editori, in tal senso, ma la certezza è arrivata solo alla vigilia di Pasqua. Parliamo di uno dei mercati più colpiti dal covid, con crolli delle vendite, ritardi di uscite delle novità, festival e appuntamenti letterari di grande richiamo rimandati a data da destinarsi, rassegne sospese fino da fine febbraio, biblioteche chiuse. Per questo abbiamo chiesto in questo numero qualche punto di vista per riflettere su questo settore che – come ci ricorda il direttore del salone del Libro Nicola Lagioia in un articolo in cui auspica che sia questa l'occasione per “salvare il libro dal disastro” in Italia – muove sei o sette volte le risorse di settori come il cinema o la musica senza godere di fatto di sovvenzioni pubbliche. A Ravenna, il libro negli ultimi anni ha finalmente acquisito il ruolo centrale che non può che avere nella città di Dante grazie a festival, rassegne, incontri, progetti delle biblioteche, reti e naturalmente grazie alle sue librerie, di catene e indipendenti. Librai che non hanno reagito tutti allo stesso modo all'annuncio del presidente Conte: qualcuno ha deciso di aprire, qualcuno no, continuando a fare la consegna a domicilio. Ci è quindi sembrato naturale partire da due di loro, prima di allargare la prospettiva con altre voci della filiera e arrivare fino a Berlino, passando per Alfonsine. Fabrizio Bergonzoni di Scattisparsi: «Spero che questa improvvisa attenzione alle librerie possa far avvicinare nuovi lettori e clienti» Tra le librerie che hanno aperto fin da subito in provincia ci sono le storiche Moby Dick a Faenza e Alfabeta a Lugo, mentre a Ravenna fin dal primo giorno hanno accolto i clienti Mondadori (anche a Cervia) e Librerie.coop tra quelle di catene (Feltrinelli ha impiegato un giorno di più), ma anche le indipendenti La Modernissima, e la libreria dell'usato Scattisparsi. Il titolare Fabrizio Bergonzoni ci ha raccontato un po' come è andata: «È venuta tanta gente fin da subito. Io avendo due sale faccio entrare due persone alla volta, ognuna per sala. A chi ne è sprovvisto fornisco i guanti usa e getta. Il problema è che così ovviamente capita di frequente che ci sia qualcuno che debba aspettare fuori, e questo è l'aspetto più difficile, perché in libreria è bello attardarsi, chiacchiere, scambiare idee, sfogliare i libri, mentre ovviamente ora tutto questo non è possibile o è possibile molto meno. Ma le persone hanno capito, si tratta della salute di tutti e non è possibile fare diversamente». Bergonzoni racconta di aver disinfettato i locali, di pulire come del resto aveva sempre fatto i suoi libri, che peraltro sono tutti arrivati in negozio da diverse settimane. «Da quando è iniziata l'emergenza gli arrivi si sono completamente fermati». Mentre naturalmente è molto aumentata la consegna a domicilio, che prosegue e proseguirà anche a emergenza finita, ci racconta. Ma cosa leggono e cosa chiedono di più i clienti in questo periodo? «Come accade spesso molte persone cercano libri che parlino di auttalità, In questo caso ovviamente di epidemie, peste, malattia. Qui da noi, cercano edizioni orFabrizio mai fuori catalogo che gli editori non hanBergonzoni no fatto in tempo a ristampare, o libri stoe la sua libreria rici sull'argomento». Quindi sì, le persone si rivolgono alla libreria per trovare strumenti di evasione, conforto e anche di conoscenza. Non una gran scoperta per chi i libri li frequenta quotidianamente, purtroppo a oggi una minoranza di italiani. «Infatti questa attenzione per le librerie mi ha fatto piacere, mi rendo conto che c'è stata un po' di strumentalizzazione, visto il disinteresse generale per il settore che c’è stato fino a oggi, ma voglio sperare che appunto in questo momento magari alle librerie tornino non solo gli appassionati di sempre, ma magari si avvicinino anche persone che ora
hanno il tempo e l'occasione di farlo». Ma quindi cosa pensa di chi invece non ha chiuso? «Credo che ognuno abbia fatto le proprie valutazioni, e che sicuramente ci siano realtà per cui aprire costa più che stare chiusi, vista la poca gente in giro. Ma rifiuto l'appellattivo di populista che ho sentito rivolgere a chi invece, come me, ha deciso di riaprire».
Alberta e Angela Longo nella loro libreria
Angela Longo della Dante: «Stiamo pensando a come riaprire. Questo momento serva per ottenere, tutti uniti, ciò che da tempo chiediamo» «Credo che ognuno abbia fatto le proprie valutazioni, ogni libreria, soprattutto indipendente, ha una propria identità che dipende direttamente dal libraio, non critico quindi nessuno e anzi credo che questo sia un momento in cui restare tutti uniti, a prescindere, per cogliere l'occasione e sperare in un momento di vero cambiamento». A parlare in questo caso è Angela Longo, libraia insieme alla sorella Alberta della Dante di Longo di via Diaz, che al momento ha mantentuo le serrande abbassate. Loro sono state tra quelle che hanno firmato insieme ad altre centinaia di librai una lettera per il Presidente del Consiglio in cui, pur dicendosi lusingati da questa improvvisa attenzione, chiedono sicurezza per chi lavora, ma anche politiche che vadano al di là del momento simbolico. «Per esempio – si chiede Longo – sarà finalmente il momento in cui la legge quadro per il libro includa anche gli sgravi fiscali per chi acquista? Si tratta di pensare a strategie». Nel frattempo, ci dice, «stiamo cercando di capire come riaprire. E lo faremo, probabilmente prima del 4 maggio. Ma sinceramente non ci è sembrato il modo giusto di annunciarlo, così, senza che fossimo preparati, il venerdì sera di Pasqua. E poi è una situazione incomprensibile per quanto riguarda per esempio le uscite dei libri, con metà delle regioni in cui in realtà le librerie sono chiuse. Non capiamo bene come possiamo tenere aperto e allo stesso tempo invitare i nostri clienti a restare a casa, è un messaggio molto contraddittorio. Qui si parla di salute per chi lavora, ma anche per chi viene in libreria». In queste settimane le sorelle Longo hanno pubblicizzato la consegna a domicilio che già facevano per i clienti in difficoltà e hanno utilizzato molto la comunicazione a distanza. «Abbiamo chiacchierato con i lettori nelle videochiamate per consigliare i libri che poi abbiamo recapitato. E abbiamo conosciuto anche tanti lettori nuovi che si sono rivolti a noi perché hanno scoperto che facevamo questo servizio. Ma certo non è qualcosa che può bastare. Riaprire la libreria è essenziale, stiamo cercando di capire come». Già perché nella libreria di via Diaz si tenevano incontri, presentazioni, letture per i più piccoli. «Nulla di tutto questo sarà possibile, nel breve periodo, anche perché i nostri spazi sono limitati. Abbiamo mantenuto i gruppi di lettura, in questo periodo, tramite Skype, ed è stato molto bello. E abbiamo partecipato ad alcuni incontri con gli autori in streaming, un'esperienza toccante, ma non certo come l’evento dal vivo». La libreria Dante era infatti presente anche a molte presentazioni anche fuori dalla libreria. «Mancheranno quei clienti e quelle vendite e mancheranno i turisti, che per noi erano importantissimi». Mancheranno anche i bambini delle letture Nati per Leggere. «Quello che ora posso immaginare è che Pedaleggiamo (un tour in bici per la città con tappe che prevedevano la lettura di brani, nrd), una delle iniziative a cui eravamo più affezionate, possa essere la prima iniziativa a riprendere». Federica Angelini
PRIMO PIANO / 5 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
IL DOPO CORONAVIRUS/2
«Impatto devastante sull’editoria: nuovo impulso al digitale e all’audiolibro» Vania Rivalta, fondatrice della casa editrice ravennate Clown Bianco, sulle prospettive del settore Nata nel 1974, Vania Rivalta ha un passato da giornalista e da qualche anno lavora per la casa editrice di cui è cofondatrice Clown Bianco. Le abbiamo chiesto cosa vede nel futuro di questo settore così provato dall’emergenza Covid, proprio dalla prospettiva di una piccola e recente realtà. «Il coronavirus è entrato nelle nostre vite di prepotenza, costringendo ognuno di noi a scenderci a patti su più fronti. Per l’editoria, settore economico costantemente in difficoltà in Italia, con gli sconfortanti dati sulla lettura che tutti conosciamo e che non vale la pena riprendere, l’impatto è stato devastante. Con le librerie chiuse, i titoli appena usciti in qualche caso non hanno fatto in tempo nemmeno a essere posti sugli scaffali, mentre le novità programmate sono state rimandate a data da destinarsi. Presentazioni ed eventi, che rappresentano le maggiori opportunità di vendita, sono saltati di conseguenza. Clown Bianco è una piccola realtà, ma è una casa editrice che trae tutto il suo guadagno dal mercato: se i libri si vendono, si guadagna; se non vendono, non si guadagna. Oltretutto è una casa editrice giovane (quattro anni di vita, in questo settore, sono nulla), che sta ancora costruendo le basi del suo catalogo. Nient’altro che desolazione, dunque? A mio parere, non proprio. Certo, non andrà tutto bene, non è con l’ottimismo posticcio che si può affrontare questo periodo né tantomeno guardare al futuro, ma abbandonarsi allo sconforto sarebbe altrettanto inutile. In questo periodo, come mai in precedenza, è emerso con chiarezza un dato: l’editoria è un sistema complesso, una filiera composta da realtà imprenditoriali e figure professionali molto diverse. E da qui bisogna ripartire, mettendo al bando i piccoli egoismi perché non saranno loro a salvarci. Come Clown Bianco, durante il lockdown abbiamo aderito a iniziative di solidarietà verso le librerie costrette a chiudere: da un lato abbiamo dilazionato di un mese il pagamento del fornito da parte delle librerie indipendenti, come proposto dal nostro distributore, Messaggerie; dall’altro abbiamo contribuito a “Libri da Asporto”, iniziativa nata da un’idea di NW Consulenza e Marketing Editoriale, che ha permesso di raccogliere fino a oggi 56mila euro. Questo fondo, creato grazie ai contributi volontari di tanti editori, buona parte dei quali piccoli o medi, ha permesso alle librerie indipendenti, non attrezzate per le consegne a domicilio, di poter inviare tramite corriere i libri ordinati dai lettori. In pratica, gli editori si sono accollati le spese di spedizione di quasi settecento librerie in tutta Italia, per un totale, a oggi, di circa 8 350 spedizioni. Sarà dura, ma uniti ce la possiamo fare. Inoltre, è passata in sordina l’entrata in vigore, il 25 marzo, della nuova legge sul libro, da molti criticata perché abbassa al 5%, rispetto al precedente 15%, lo sconto massimo praticabile sul prezzo di copertina dei libri (fatta eccezione per quelli scolastici, per cui lo sconto può arrivare al 15%). Le conseguenze positive potranno essere di due ordini, anche se ci vorrà tempo per vederne gli effetti: le librerie indipendenti non subiranno più la concorrenza dei grandi store on line e delle librerie di catena, uniche realtà che, grazie a un’economia di scala, potevano di fatto applicare lo sconto del 15%; i prezzi di copertina dei libri si ridurranno nel tempo in maniera fisiologica e non più occasionale, allineandosi a quelli di altri paesi europei. E, poi, ci sono le nuove tecnologie. In molti, durante la quarantena, hanno scoperto gli ebook. Il libro “di carta” rimane sempre il più amato, ma sicuramente il lockdown ha dato impulso al digitale. Per quanto riguarda Clown Bianco, lavoreremo sempre di più verso un’integrazione di questi due mondi, facendo in modo che chi compra il cartaceo abbia anche l’accesso alla versione digitale del libro e a contenuti extra. E, poi, c’è l’audiolibro. Non tutti saranno lettori, ma la “fame” di storie è intrinseca all’essere umano. E l’audiolibro permette di portare le storie con sé ovunque. Peccato solo che, per ora, i costi di produzione siano insostenibili per i piccoli. Ma è un settore che osserviamo con grandissima attenzione».
L’INTERVENTO
«NON BASTA FARE DEI LIBRI UN “SIMBOLO” ADESSO, DOPO AVERLI TRASCURATI PER ANNI» Eraldo Baldini su Facebook sui rischi della riapertura delle librerie: «Parlo contro il mio stesso interesse» Il noto scrittore ravennate Eraldo Baldini è da sempre una voce fuori dal coro di chi voleva riaprire le librerie. Qui il suo post su Facebook dell’11 aprile. «Come autore che quest’anno vedrà crollare miseramente il proprio (già scarso) reddito, dovrei essere contento della riapertura delle librerie contemplata nell’ultimo decreto del Presidente del Consiglio. Ma non lo sono. L’avevo già detto un paio di settimane fa, in reazione a un appello firmato da diversi miei colleghi che chiedevano appunto una misura del genere. Non sono contento, anzi questa riapertura (pur contro il mio interesse) mi trova in disaccordo, per diversi motivi. Il primo è che non ci si può accorgere della cultura e del comparto librario (da tempo in crisi) attribuendogli valori di “indispensabilità” adesso, mentre per tanti anni si è fatto poco o niente per salvaguardarlo. Non serve e non basta, ora, fare dei libri un “simbolo” e metterli al centro, più che altro a livello ideologico e retorico (e, permettetemelo, persino un po’ ipocrita), di una crociata. Il secondo e più importante motivo riguarda la salvaguardia della salute di librai, commessi e clientela, e la possibilità di spostarsi che l’andare in libreria dovrebbe comportare. Non è che ci sia una libreria in ogni strada, anzi di solito sono nei centri cittadini; questo significa che ognuno può circolare liberamente e dire, nel caso di un controllo, che sta andando in libreria? Andare in libreria poi comporta di attardarvisi: cercare, guardare, leggere le quarte di copertina, sfogliare, ecc. Con accessi che dovrebbero essere limitati, distanziati e contingentati soprattutto nelle piccole librerie (e ce ne sono tante). Come si può gestire tutto ciò senza rischi? Inoltre, se uno va in libreria facendo in fretta, quindi sapendo già con precisione il titolo del volume che vuole acquistare, beh, allora potrebbe anche ordinarlo on line o farselo mandare a casa dai diversi librai che offrono tale servizio. Sappiate che mi costa molto dire queste cose: amo i libri, sono la mia vita, sono il mio reddito, sono la mia passione. Però voglio essere onesto e razionale. Con la speranza che lo siano anche quei colleghi che, convinti che senza la vendita delle loro “indispensabili opere” il mondo, attonito, si fermi, ora gongolano per una misura che, oltre ad essere prematura e pericolosa, non produrrà affatto i risultati sperati, né dal punto di vista economicocommerciale, né da quello “culturale”».
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6 / PRIMO PIANO RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
IL DOPO CORONAVIRUS/3
«L’esempio da seguire è il “miracolo” Wikipedia anche per le poche regole fisse che lo governano» Il direttore della biblioteca Classense Maurizio Tarantino: «Mentre la parola scritta pervade il mondo, viene meno l’esercizio del “leggere” come presupposto del “sapere”. Ora serve rilanciare la fruizione digitale di contenuti culturali di qualità»
Una sala della Classense, oggi la biblitoeca, come ogni altro luogo pubblico della cultura, è chiusa per decreto ministeriale fino al 3 maggio
Maurizio Tarantino, classe 1961, napoletano con un importante curriculum tra la città partenopea, Roma e Perugia nell’ambito in particolare della biblioteconomia e delle lettere, è dal 2017 dirigente del settore Cultura per il Comune di Ravenna. Ma qui gli abbiamo chiesto un intervento soprattutto in veste di direttore della prestigiosa biblioteca Classense sul futuro della lettura e della letteratura. «Quale sarà il futuro della lettura alla fine di questa emergenza sanitaria? Non avendo il dono della profezia, la risposta è facile: il futuro della lettura sarà quello che noi tutti riusciremo a costruire. Ma le tre domande che scaturiscono da quella principale complicano non poco la risposta: che cosa è oggi “la lettura”?
LA LIBRERIA HA RIAPERTO, come da disposizioni di legge, e continua ad effettuare
CONSEGNE SU PRENOTAZIONE
chi sono i “noi tutti” che dovranno costruirne il futuro? e, soprattutto, che cosa è il futuro? Cominciamo dall’ultima. Se oggi ci riesce così difficile rispondere a questa domanda è perché sia la concezione cristiana del futuro come anelito a una vita perfetta, ma realizzabile appieno solo nell’aldilà, sia l’idea laica di “progresso”, sono state incontrovertibilmente messe in crisi un secolo fa, quando Einstein dimostrò che l’ordine cronologico passato-presente-futuro non è né unico né assoluto. La letteratura aveva già tante volte prefigurato questa situazione in cui non sono il passato e il presente a costruire il futuro, ma, al contrario, è il futuro il vero motore della storia. Come nei Promessi sposi, dove il banale evento futuro che dà il titolo al romanzo avverrà solo dopo anni; e sarà proprio quel banale evento futuro a spingere i protagonisti lungo il loro percorso di dissoluzione e ricomposizione. Anche la risposta circa l’identità della lettura e dei “ricostruttori” del suo futuro è complicata da un evento: la nascita, una ventina d’anni fa (anche in questo caso con diverse prefigurazioni), del web 2.0 e della figura del prosumer. Oggi è sempre più difficile distinguere i “produttori” e i “consumatori” di contenuti; e gli “addetti alla cultura” stanno andando in pensione, come auspicava Battiato nel 1980. Ma, paradossalmente, mentre la parola scritta pervade il mondo (reale e virtuale), viene meno l’esercizio del “leggere” come presupposto del “sapere” (quel “ritenere” senza il quale, per Dante, non c’è “scienza”). Sempre più spesso la “soglia di attenzione” è appena sufficiente per uno sguardo, certo non per la lettura. Da queste premesse teoriche (tagliate un po’ con l’accetta), quali buone pratiche possono derivare per il futuro della lettura? Certamente non l’estensione sine die della campagna di “letture social”, entusiastica e commovente quanto frenetica e destrutturata. Ottima per promuovere la lettura, pessima se diventa una facile alternativa ad essa. Credo invece che l’emergenza sanitaria possa essere l’occasione per rilanciare e sostenere con risorse importanti la fruizione digitale di contenuti culturali di qualità, in modalità “pubbliche”, strutturate e stabili. Le biblioteche non partono da zero: da 15 anni almeno lavorano su questi temi, con qualche difficoltà e resistenza, ma con risultati che oggi “fanno notizia”. Come lo straordinario incremento di utenti riscontrato in queste settimane sulle piattaforme con cui mettono a disposizione gratuitamente e da remoto libri e audiolibri, giornali, film, musica. Senza aprire il capitolo della fruizione digitale delle arti visive e performative (su cui molto ci sarebbe da dire, nel bene e nel male), e restando nel mondo della parola scritta, non si può non citare, tra le buone pratiche su cui investire nel futuro, il “miracolo” di Wikipedia. Il quinto sito più consultato al mondo (quarto, escludendo il cinese Baidu e terzo in Italia, dove scavalca perfino You Tube) è un’enciclopedia: e già questo dovrebbe essere considerato un miracolo. Un’enciclopedia libera, perché fuori dal mercato e perché chiunque può contribuirvi (studiosi, scrittori, biblioteche e musei da anni lo fanno), gratuita e priva di pubblicità. Un esempio da seguire anche nelle (poche) regole fisse che la governano: e tra queste mi piace ricordarne alcune che sarebbe bello governassero l’intero mondo dell’informazione (e forse il mondo intero): la ricerca dell’obiettività attraverso il consenso, la presunzione di buona fede, la verificabilità delle informazioni».
PRIMO PIANO / 7 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
IL DOPO CORONAVIRUS/4
«La letteratura cambierà, perché stiamo perdendo gli anziani, la nostra memoria» Lo scrittore e direttore artistico di importanti festival letterari Matteo Cavezzali: «Torneremo a essere come prima, più sorvegliati, ma con la stessa necessità di guardarsi in faccia e scambiarci un sorriso»
Matteo Cavezzali, classe 1983, è scrittore e organizzatore di eventi letterari tra cui la rassegna “Il tempo ritrovato” (sospesa) e il festival ScrittuRa (in programma a maggio e rinviato a data da destinarsi, la speranza è per l’estate) e da quest’anno anche codirettore del festival letterario di Salerno, il più importante del sud Italia in programma a giugno. Nostro collaboratore storico, non potevamo che chiedergli il suo punto di vista su ciò che sta succedendo e ciò che si aspetta dal futuro nella sua doppia veste di autore e promotore culturale. «Che succederà alla letteraturadopo tutto questo? L’unica previsione sincera è sempre una confessione: non lo so, non ne ho idea. Ne parlavo qualche giorno fa con alcuni colleghi, Valerio Aiolli, Giovanni Dozzini e Debora Omassi in uno di quei mestissimi aperitivi su Skype o whatsapp che sono diventati il nostro quotidiano surrogato delle vita reale. Constatavamo che dopo i grandi eventi solitamente la letteratura muta profondamente. Così fu ad esempio dopo le due guerre mondiali. Nessuno poteva più scrivere allo stesso modo. Gli anni del dopo guerra furono in Italia un periodo di grandissima vitalità letteraria e cinematografica, in cui sono natia lcuni grandi capolavori della nostra letteratura. Quella che stiamo vivendo non è una guerra fortunatamente. Ci saranno comunque macerie da raccogliere, anche se non saranno palazzi e abitazioni squarciate, ci sarà una comunità da ricostruire, e sarà un lavoro duro. Se la guerra ci aveva portato via molti giovani, e quindi la speranza per il futuro, la malattia ci sta portando via molti anziani, e quindi la nostra memoria. Forse ci sarà un ritorno alla scrittura della realtà, per recuperare questa memoria, o forse si vorrà evadere in realtà altre, quelle che solo l’arte può darci. Oppure entrambe le cose. Sicuramente nessuno potrà dimenticare quello che sta accadendo. Il contatto quotidiano che abbiamo con la morte,
e la paura di morire, ci farà sentire ancora più vivi quando tutto sarà finito. Non c’è nessuna spinta vitale forte come la vicinanza alla morte. Quindi ci sarà molta vita in queste pagine. Il filosofo Kurt Flasch (in un saggio fattomi scoprire da Andrea Pagani) parlò di “Poesia dopo la peste”scrivendo del Decameron per sottolineare come l’influenza della peste che sconvolse Firenze nel 1348 (che uccise 100 mila persone, pari a più della metà dei cittadini, e sterminò un terzo della popolazione europea) non è solo uno spunto narrativo ma una presenza oscura che permea il libro, in cui si parla non a caso soprattutto di sesso, ovvero di vita, e lo si fa con una libertà e una freschezza del tutto inedite. Per quanto riguarda gli eventi letterari, le presentazioni, le letture e i festival (come quelli che curo a Ravenna, Salerno e in Trentino) è difficile sapere quanto tempo ci vorrà a tornare a riempire le piazze, ma penso che una volta quietata la tempesta la ripresa sarà più rapida del previsto. C’è voglia di incontrarsi, di parlare, di condividere, di tentare di dare un senso a tutto questo, e credo che certe cose ancora si possano fare solo guardandosi negli occhi. Sto vedendo dei bei video in questi giorni, di intellettuali che tengono conferenze su facebook, Instagram o youtube. Anche a me è stato chiesto di intervenire in alcuni di questi. Sono piacevoli, certo. Si possono imparare cose molto interessanti, ma quando si è insieme in una stanza, quando si respira le stessa aria, quando ci si guarda negli occhi si attiva una alchimia impossibile da replicare, anche con la più sofisticata realtà virtuale. Per fortuna. Torneremo a essere come prima. Saremo più sorvegliati dai governi. Più attenti a cosa tocchiamo e starnutiremo solo nel gomito, ma penso che per il resto riprenderemo ad essere semplicemente uomini, come siamo sempre stati. Con pregi e difetti, con la necessità di guardarsi in faccia e scambiarsi un sorriso».
8 / PRIMO PIANO RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
IL DOPO CORONAVIRUS/5
La parola “crisi” in tutte le sue declinazioni adatta (da anni) a descrivere (anche) l’editoria La scrittrice e ghostwriter di Alfonsine Manuela Mellini, oggi residente a Berlino, riflette sul mondo dei libri in parallelo tra Italia e Germania, ma anche sulla difficile quotidianità di lettori e sul linguaggio di questo momento
Romagnola di nascita (1979), oggi vive fra Milano e Berlino. Lavora dal 2004 come redattrice, autrice e ghostwriter, occupandosi di diversi argomenti: dallo spettacolo allo sport, dall'arte alla storia. Realizza giochi di enigmistica per varie testate e, cosa generalmente più gradita, piadine per vari amici. Il colore dei papaveri è il suo primo romanzo, il suo secondo libro Tutta colpa di mia nonna è uscito nel 2019 per Baldini+Castoldi. C’è un racconto di Dino Buzzati, grande maestro di inquietudine, che mi viene in mente di continuo in questi giorni. Si intitola “Qualcosa è successo” ed è raccolto nel volume Il crollo della Balinverna. Parla di un convoglio che, negli anni Cinquanta, lascia il sud per dirigersi a Milano: un treno direttissimo, che con un viaggio di dieci ore attraversa il Paese senza soste. Poco dopo la partenza, i passeggeri si accorgono che, fuori, sta succedendo qualcosa di spaventoso. La gente delle campagne e delle città è in preda a una forte agitazione: tutti si affannano, preparano le valigie, partono (in macchina, in bici, a piedi) verso il meridione; e lo fanno per sfuggire a una minaccia che arriva dal nord – da quel nord verso cui il convoglio continua a sfrecciare. Più la meta si avvicina, più i segnali all’esterno sono tangibili. Nelle stazioni c’è chi cerca di avvicinarsi ai vagoni, di urlare qualche avvertimento. Una signora riesce ad afferrare un giornale che, dal finestrino, un ragazzo le porge. Ma la pagina si strappa e a lei restano in mano solo quattro lettere: «IONE». Il treno sta correndo verso qualcosa di terribile; qualcosa che finisce per «ione», e che costringe tutti gli altri a scappare. Nella carrozza, i passeggeri sono paralizzati dall’ansia. Ed è così per ore, fino all’arrivo in una Milano spettrale da cui nessuno sa cosa aspettarsi, se non che sarà qualcosa di tremendo. Ecco, credo che noi ora stiamo vivendo una situazione simile. Siamo chiusi dentro un treno, lanciato verso una meta che nessuno conosce e che, però, fa paura. Nuotiamo, letteralmente, nell’incertezza: ce l’abbiamo addosso, tutto intorno e, quel che è peggio, dentro. L’incertezza ci nutre e ci divora. Ci porta a ripiegarci su noi stessi e a chiederci cosa ne sarà di noi, quando tutto questo finirà. Se finirà. E come finirà. «Cosa succederà, dopo?» Forse nessuno riesce a dirlo ad alta voce, ma in tanti, credo, lo pensiamo di continuo. Perché è chiaro che ci sarà un dopo, così com’è chiaro che c’è stato un prima. Siamo nel mezzo di una frattura fra un passato a suo modo rassicurante, che magari non ci piaceva ma che, comunque, conoscevamo, e un futuro che non riusciamo ancora a immaginare. «Abbiamo bisogno di scenari alternativi» scrive Gianluca Briguglia su “il Post”. E, siccome nessuno ce li dà, cerchiamo allora di inventarceli noi, con un esercizio di fantasia che, lo intuiamo bene, probabilmente non ci porterà a nulla (nessuno può sapere davvero cosa succederà da qui a uno, due, sei mesi), eppure ci appare necessario. E lo è, a mio avviso. Perché, come emerge con sempre maggiore chiarezza, alla fine di questa storia saremo pieni di macerie, dentro e fuori di noi, e da qualche parte dovremo pur partire per ricostruire il mondo – mondo che difficilmente sarà uguale a quello di prima. Raccontare l’emergenza Ci appelliamo, allora, agli strumenti a nostra disposizione, senza sapere se potranno davvero servirci. Usiamo le parole che conosciamo per tentare di descrivere una situazione completamente inedita. Andiamo avanti per approssimazioni, come una pallina da flip-
La celebre libreria di Berlino ne Le vite degli altri
per che trova la sua traiettoria solo rimbalzando da una parte all’altra. Alcuni hanno il grande merito di tentare di far ordine in questa Babele. È il caso fra l’altro della Treccani che, a partire da un articolo della linguista Vera Gheno a inizio marzo (Coronavirus: una parola infetta), continua a pubblicare approfondimenti interessanti: Il lessico globale della distanza, di Daniela Pietrini; La peste il terremoto e altre metafore, di Stefania Spina; Le parole del Coronavirus, un elenco di dieci termini stilato in collaborazione con l’Istituto superiore della Sanità, che può forse aiutarci a definire i termini dell’emergenza sanitaria in corso. La parola che affiora più spesso sulle labbra di tutti è “crisi”, concetto che si presta alla perfezione a indicare sia il profondo turbamento che ha investito la nostra vita individuale e collettiva, sia il disordine, il disequilibrio, la disorganicità sui piani economico e sociale. Merito del Coronavirus è forse quello di aver finalmente zittito i sostenitori della favolina secondo cui “crisi”, in cinese, si scriverebbe con due ideogrammi, il primo dei quali significa “pericolo” e il secondo “opportunità”. Prima di tutto, non è vero: in cinese la questione linguistica è molto più complessa rispetto a questa visione motivazionale da coach occidentali (semplificando al massimo: sarebbe come dire che la parola “tavolo” evoca il fluttuare liberi nell’aria perché contiene “volo”). Secondo, le opportunità nella crisi le trova solo chi, alla crisi, sopravvive rimanendo tutto intero. Chi resta sepolto sotto le macerie per questioni personali, affettive, lavorative, di salute fisica o mentale (“stress” è una delle parole del Coronavirus scelte dalla Treccani), fa fatica a vedere tutte queste mirabolanti opportunità. Andrà tutto bene per chi sa e può stare bene. E gli altri? L’editoria in Italia e in Germania Nel settore di cui mi occupo, l’editoria libraria, “crisi” è la parola che gira di più non solo ora, ma da almeno vent’anni a questa parte. Siamo tutti sempre in cri-
si, con una costanza che a suo modo ha dell’ammirevole. Le case editrici sono perennemente in difficoltà. Fanno debiti, faticano a pagare gli affitti (e i fornitori, e i collaboratori), aspettano il bestseller da centinaia di migliaia di copie vendute che possa permettere loro di tirare un po’ il fiato – lo aspettano, va da sé, come Vladimiro ed Estragone aspettano Godot. Spesso vanno avanti solo grazie alla passione e alle competenze di chi sceglie questo mestiere consapevole del fatto che soldi e soddisfazioni non lo sfioreranno mai, neppure lontanamente, eppure non vorrebbe fare null’altro. I dati delle ultime settimane sono oggettivamente terrificanti: si parla di un crollo delle vendite pari al 75%. Le librerie sono chiuse, e solo alcune possono organizzarsi con un servizio di consegne a domicilio. Gli eventi saltano; le fiere sono rimandate a data di destinarsi; i titoli già previsti in uscita vengono cancellati. Si calcola che nel 2020 verranno stampati 50 milioni di libri in meno rispetto agli anni scorsi, con un danno che, partendo dagli editori, toccherà anche stampatori, magazzini, distributori, librerie. E i lettori, naturalmente. A dimostrazione del fatto che tutto il mondo è paese, situazioni simili si stanno verificando non solo nel già traballante ecosistema dell’editoria italiana, ma un po’ ovunque. Persino nel mondo editoriale tedesco, uno dei più solidi al mondo, l’Eldorado per i professionisti nostrani, il disagio è evidente. Ma è evidente anche lo squilibrio delle condizioni di partenza, che rende difficile ogni paragone. In Italia, Paese di circa 60 milioni di abitanti, il mercato del libro genera un fatturato di circa 2,8 miliardi di euro l’anno; in Germania, 83 milioni di abitanti, si parla di più di 9,3 miliardi di euro (fonte: Aie). In Italia il 60% circa dei cittadini si approccia almeno una volta all’anno a un libro, un ebook, un audiolibro, senza necessariamente arrivare fino in fondo; in Germania, il 60% delle persone legge almeno una volta al mese (fonti: Istat ed Eurostat).
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La scrittrice Manuela Mellini
A complicare ulteriormente la situazione c’è il fatto che la Germania è divisa in Länder, stati federali che, anche in questo momento, conservano una certa autonomia decisionale. Per esempio a Berlino, dove vivo, le librerie, proprio come i supermercati e le farmacie, sono rimaste aperte: non tutte e non sempre; la maggior parte solo per 3-5 ore al giorno, ma comunque esiste la possibilità concreta di ordinare e ritirare dei libri, o anche di perdere qualche minuto a osservare, scegliere e comprare quelli presenti in negozio. Questa, va detto, è un’eccezione: Berlino e la Sassonia-Anhalt sono gli unici due Länder sui sedici complessivi a offrire una tale possibilità . Possibilità che, a conti fatti, non porterà certo chissà quali ricchezze all’editoria tedesca in questo contesto. Ma qui si parte da una realtà stabile, se non proprio florida. In Italia, invece, no. E non è un discorso qualitativo, per carità . Ma i numeri sono questi.
ta. Spesso, piuttosto, rileggiamo: cerchiamo una rassicurazione nelle pagine che conosciamo, quelle che abbiamo giĂ letto e amato, che ci evocano emozioni note e che magari, fra sgualciture e sottolineature, ci portano quel conforto di cui abbiamo bisogno. Gli unici testi che sembrano offrire risposte ai nostri interrogativi presenti appartengono al passato: La peste di Albert Camus, CecitĂ di JosĂŠ Saramago. E quindi: tutto finito? Tutto perduto? Forse no. Anche in un momento cosĂŹ difficile, è possibile intravedere qualche piccola buona notizia. Il mercato degli ebook (che certo, è ancora tutto sommato ridotto, e da solo non basterĂ a salvare nessuno) è dato in aumento del 50%; gli audiolibri si stanno rivelando, per molti, una valida alternativa alla lettura. Gli utenti delle biblioteche online sono cresciuti in maniera esponenziale: nella sola Milano, nel mese di marzo, il numero delle iscrizioni è aumentato del 641%. ÂŤLa letteratura è una difesa contro le offese della vitaÂť scriveva Cesare Pavese nel Mestiere di vivere. E Philip Pullman sottolinea come l’essere umano abbia, per sua natura, necessitĂ di libri. ÂŤâ€?Non deviâ€? è presto dimenticato, “c’era una voltaâ€? durerĂ per sempreÂť. Ecco: a questo suo ÂŤper sempreÂť io credo molto. Voglio pensare che l’amore per il “c’era una voltaâ€? non ci abbandoni nonostante l’uragano che ci ha travolti, e che magari tornerĂ a essere piĂš forte quando tutto questo, finalmente, passerĂ . E a quel punto, oltre a rimettere insieme i pezzi e a leccarci le ferite, potremo continuare a leggere, scrivere, raccontare e ascoltare quelle storie di cui tutti noi, ognuno a suo modo, abbiamo bisogno.
Leggere ai tempi del Coronavirus Un altro dato di fatto di cui tenere conto è che molti di noi lettori (non tutti, per fortuna: per alcuni è vero l’esatto contrario) stanno vivendo attimi di grande difficoltà . Smart working e, per chi ha figli, home schooling, oltre forse a una piÚ accanita frequentazione dei social network, bastano a riempire le giornate – e la testa. La ricerca di informazioni sull’attualità , vissuta come necessaria per provare a mettere qualche punto fermo nel caotico magma in cui ci troviamo, fa il resto. Leggiamo di meno perchÊ non abbiamo la serenità , la lucidità e la concentrazione che ci consentirebbero di immergerci in una storia nuova, in una realtà inventa-
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LA TESTIMONIANZA
Lo scienziato: «Un giorno dovremo scegliere tra salvare noi o questo sistema economico» L’astrofisico Mauro Dadina: «In questi giorni si sente di intellettuali che maledicono il fatto che alcuni scienziati siano accanto ai politici per le scelte da affrontare. Tranquilli, verranno/verremo riposti nel dimenticatoio presto».
Osservatorio di Astronomia e di Scienza dello Spazio di Bologna
In questo percorso di voci che R&D sta compiendo per esplorare il tema della pandemia e delle sue conseguenze possibili sul nostro modo di vivere, lavorare, studiare e passare il tempo libero, non poteva mancare quella forse più importante: la scienza. Oggi come mai stiamo imparando, infatti, quanto la ricerca sia fondamentale per la società. Abbiamo allora chiesto una testimonianza in presa diretta a uno scienziato ravennate, l’astrofisico Mauro Dadina (vedi box per la sua autobiografia) che ci ha generosamente inviato il suo intervento. Da qualunque parte uno li guardi, questi sono giorni strani. Avrei dovuto essere a Liegi per l’undicesimo meeting del consorzio Athena/X-IFU. Athena sarà un telescopio spaziale dell’ESA e a bordo porterà due strumenti. Uno si chiama X-ray Integral Field Unit, XIFU appunto. Io faccio parte del X-IFU science advisory team. Dal 2014 e fino al 2018 abbiamo sempre fatto due meeting all’anno. Lo strumento è complesso e i pezzi vengono progettati in tre continenti. Dobbiamo confrontarci, di tanto in tanto, e sincerarci che stiamo remando tutti nella stessa direzione. Dal 2019 abbiamo deciso di fare un solo meeting all’anno per ridurre l’impronta ecologica della missione dovuta essenzialmente agli spostamenti in aereo. Oggi, dato il Covid-19, stiamo facendo il meeting on-line. Siamo in 170 circa. Ho fatto la mia presentazione dal salotto. Si parla di scienza e tecnologia, ma durante quelli che avrebbero dovuto essere i coffeebreak, rimaniamo collegati per parlare del Covid-19. Abbiamo addirittura creato una sessione dedicata per confrontare i numeri dei vari Paesi coinvolti. In molti già ci hanno detto avrebbero dovuto fare un lockdown all’italiana prima. Ci sono cose che non sono andate. Non volevamo vedere. A febbraio i numeri erano piccoli, ma la crescita dei contagiati era esponenziale. Sono una categoria a rischio e per questo ho chiesto al mio Istituto di potermi mettere in smart-working. Non potevo permettermi di usare il treno affollato per andare a Bologna ogni giorno. E non mi capacitavo del fatto che non si comprendesse bene la velocità di una crescita
esponenziale. Questa rimozione ha prevalso in tutto il mondo occidentale. Anche dopo i “nostri” numeri. Dopo la Cina. Bisogna capire perché. Athena verrà messo in orbita nel 2032 e i suoi dati verranno analizzati dai nostri studenti. Come si vede dobbiamo guardare al futuro. Per questo avevamo deciso di confrontarci col problema del riscaldamento globale, una sfida per la sopravvivenza. Come quella del Covid-19 che può divenire un’esperienza da cui imparare come affrontare la marcata tensione che si può generare tra un modello economico e la vita delle singole persone. Oggi, e nei prossimi mesi dovremo scegliere tra “stare chiusi” e salvare vite umane o relegarle in qualche sorta di inutilità per salvaguardare l’economia. È la soluzione invocata dal Governo UK nei (per loro) primi giorni di crisi e, in qualche modo, invocata da chi richiede l’apertura del sistema economico prima dell’effettiva fine epidemiologica della crisi. Il riscaldamento globale nasce perché siamo troppi e consumiamo troppo, cose che per converso piacciono al nostro sistema economico. Un giorno, come dobbiamo fare oggi, dovremo scegliere cosa salvare tra noi o questo sistema economico. E domani come oggi dovremo/dobbiamo farlo sapendo che c’è un altro aspetto da considerare: come salvare la libertà di ognuno di noi. Covid-19 oggi ci urla che c’è poco spazio e tempo per eludere queste domande. Serve un enorme sforzo, un grande studio e tanta immaginazione, in altre parole, tanta Politica per affrontarle. P.S: permettetemi l’impertinenza, ma in questi giorni si sente di intellettuali che maledicono il fatto che alcuni scienziati siano accanto ai politici per le scelte da affrontare. Tranquilli, verranno/verremo riposti nel dimenticatoio presto. Verremo ricondotti presto alle macchiette alla Dr. Stranamore. E le ospitate TV, anche di mirabolanti filosofi, torneranno a farla da padrone. In fondo rimaniamo in Italia, mica su Marte. E la prossima volta che un male crescerà esponenzialmente, non ce ne accorgeremo. Di nuovo.
Mauro Dadina, dall’istituto nazionale d’Astrofisica a Roma all’Osservatorio di Bologna
Biografia: Ho 50 anni, per un pelo, non ancora 51. Sono nato il 1 Maggio 1969. Laureato e Dottorato in Astronomia presso l’Università degli studi di Bologna. Ho lavorato presso l’Istituto per lo studio della radiazione extra-terrestre (TeSRE) del CNR di Bologna, poi presso la Telespazio prima e l’Istituto di Astrofisica Spaziale del CNR di Roma poi. Dal 2000 sono tornato a Bologna e oggi lavoro presso l’Osservatorio di Astronomia e di Scienza dello Spazio di Bologna che è parte dell’Istituto Nazionale d’Astrofisica. Sono membro di varie collaborazioni internazionali.
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IL VOCABOLARIO
Dalla A di Autocertificazione alla Z di Zen il lessico psicologico della quarantena Le parole chiave di Gianluca Farfaneti per raccontarci, con un tocco d’ironia, questa esperienza collettiva. Così Netflix diventa il «vero oggetto transizionale» e il runner «proiezione di tutte le nostre frustrazioni»
A sinistra Gianluca Farfaneti, a destra gli eroi dei nostri ospedali
Gianluca Farfaneti, ravennate, classe 1967, è psicologo e lavora da anni a Cesena per l’Ausl Romagna nei servizi pubblici che si occupano di tossicodipenza. Gli abbiamo chiesto un intervento sull’impatto del Covid-19 sulla psicologia. E lui ci ha regalato questo bellissimo dizionario. Autocertificazione. Il lasciapassare diventato essenziale per gli spostamenti. Piano piano è diventato un aspetto del nostro Io quarantenico. Stretto tra il Super io delle regole e l’Es delle pulsioni allo sport e alla passeggiata, questo modulo è stato mediatore e conciliatore di queste istanze. Sfornato in diversi modelli, e versioni, ha fatto usare più toner e carta che 1000 tesi di laurea. Nel classico stile italiano realizzato in modo burocratese e ovviamente non digitale. Probabilmente qualcuno lo incornicerà. Bambini. I veri rinchiusi di questa quarantena. Tutti potevano alla fine uscire in qualche modo fuorché loro. Campagna di stampa e appelli per segnalare la loro situazione più dai genitori che da loro, sono stati veri protagonisti negli schermi dello smartworking, hanno gestito forse meglio di tutti (insieme agli adolescenti) questa esperienza tra cartoni, giochi di una volta e play e videochiamate con i nonni. Balconi. La terra di mezzo fra le mura di casa e il mondo fuori, il balcone si è presentato come la punta più estrema della nostra isola dove poter osservare le navi passare e quindi vedere la vita fuori da casa ma allo stesso tempo farci vedere, notare, dire che siamo vivi. È diventato così palco per cantare, suonare e via a via trasformato in pista per correre, stabilimento balneare o podere da coltivare. Casa. Il #restateacasa è stato un mantra ripetuto e apparso in ogni dove. La casa è diventato riparo terapia, rifugio, gabbia, factory di idee e iniziative ma anche obbligo, limite. Ogni angolo e ogni stanza è stata vissuta, dalle cantine ai solai. Turni, disposizione, organizzazione domestica ci hanno trasformato tutti in maestri dell’ordine impeccabili. “Io sono a casa ergo sum” potremmo dire parafrasando Cartesio. Esisto, ho certezze, sono perché sono in casa. Uscire innesca ansia, dubbi, incertezze, spiegazioni da dare. Distanza sociale. Il nuovo modo di stare insieme. Il nuovo modello relazionale, salutarsi, parlarsi, rigorosamente a un metro, ma chi dice anche 2 o 4. Sospesi (per ora) abbracci, baci, appoggi, tutto una serie di comportamenti di vicinanza emotiva che ci hanno caratterizzato e abituato da sempre. Per alcuni sofferenza, per altri salvezza. Eroe. Quando c’è timore e sconcerto le persone hanno bisogno di eroi. In questa emergenza i medici e gli infermieri hanno assunto simbolicamente questo ruolo. I loro turni, le loro fatiche, i loro volti sono stati, in un certo senso, il registro paterno e materno che ci ha rassicurato e fatto comprendere la responsabilità che avevamo verso loro e la nostra comunità.
Fiducia. Un trauma come l’epidemia può minare la fiducia, metterla in crisi. Può portarci a essere diffidenti sulle vicinanze e sui contatti. Avremo perciò bisogno di avere fiducia e di sostenerla, avremo bisogno di essere rassicurati e trovare un modo di essere rassicurati nel momento in cui torneremo ad uscire, a riprendere le attività sociali e lavorative. Se sapremmo farlo in modo efficace, probabile che staremo meglio con noi e con gli altri. Guerra. Metafora utilizzata quotidianamente (vedi eroe) per rappresentare la pandemia e i suoi effetti soprattutto sul sistema sanitario ed economico. Parola che ha suscitato polemiche nel suo uso, secondo molti non adeguato al contesto. Il mito della guerra è però sempre esistito proprio per descrivere coraggio, eroismo e lotta contro un nemico. Qui un nemico invisibile e abbastanza subdolo. L’importante è non restare unicamente in quel racconto ma bensì leggere anche il racconto dietro le quinte delle cause e delle storie singole. Hobby. Chi ne aveva ha certamente avuto un vantaggio. Instagram. Mai cosi vuoto di viaggi, foto di gruppi e comitive, di locali e aperitivi, concerti, sport. Il social più famoso si è riempito allora di case e stanze, spazi chiusi, strade deserte e soprattutto… cibo. Lezioni a distanza. Le case si sono trasformate in aule con pc, tablet, telefoni impegnati in lezioni di geometria, fisica e antologia, ma anche attività didattiche per i più piccoli e al pomeriggio trainer per fitness e maestri di yoga. Il video è diventato un grande banco di scuola, una grande lavagna dove abbiamo potuto continuare l’apprendimento e quindi esistere. Siamo inoltre diventati un po’ più smart e tecnologici. Che non è un male. Mascherine. La psicoanalisi ci ha insegnato che abbiamo sempre bisogno di maschere per interagire con il contesto. Adesso abbiamo capito perché. Netf lix. Vero oggetto transizionale di questa crisi, il nostro orsacchiotto, il nostro peluche o coperta che fornisce supporto e conforto per tutto ciò che manca. Opinioni. Le vere star nei media tv, social, giornali. Da una parte la scienza (che per la verità mai certa non è stata) dall’altra le opinioni di giornalisti, filosofi, blogger e ovviamente politici. Ognuno ha potuto dire la sua, formarsene una e, soprattutto e per fortuna, cambiarla nel corso del tempo. Picco. tutti lo abbiamo aspettato per giorni, ma alla fine non si è mai visto e si è trasformato in plateau o curva discendente o rallentamento. Negandoci un qualcosa di visivo, netto, marcato che dimostrasse il calo o la decrescita. Provocando se possibile ancora più smarrimento e sconforto. Ma forse questa mancanza del picco ci dice semplicemente che se esiste il paziente ze-
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ro che ci ha indicato l’inizio, più difficilmente esiste un paziente ultimo o finale e che dobbiamo imparare a convivere con questo virus nei prossimi mesi.
semplici (pensiamo a quanta farina e uova) ma non per questo meno importanti. E poi, forse, abbiamo riscoperto e considerato con luce diversa, il lavoro delle cassiere.
Quarantena. Una dimensione mai conosciuta prima che ha caratterizzato la nostra vita in questo periodo. Ci ha cambiato? Ci cambierà? Come viverla? Decine di articoli su questo tema, chi non ha previsto nulla del prima, tenta ora farlo per il dopo. Ma resta difficile prevederlo. È come un lungo ricovero. Sarà importante la riabilitazione
Tampone/Tes. Uno al giorno forse toglieva molti medici di torno.
Runner, untori predestinati del dramma collettivo
Runners. Per settimane untori predestinati del trauma collettivo dell’isolamento. La paura ha bisogno di essere canalizzata e allora ecco che il runners o chi fa la passeggiata è diventato proiezione di tutte le nostre frustrazioni e rabbie. Da una parte una difficoltà ad accettare un limite con giustificazioni “egoiste” dall’altra l’ossessione del controllo e della delazione. Menzione particolare però, a quelli hanno fatto decine e decine di km sui balconi o nel giardino di casa. Spesa. Le foto delle file davanti ai market hanno fatto epoca. E hanno trasmesso un concetto forse dimenticato. La lentezza nel fare le cose, l’essenzialità, il non comprare prodotti inutili o comunque non urgenti, il programmare e organizzare e cosa acquistare, insomma riscoprire il valore delle cose
Umore. Variabile e di molto in questa quarantena. Si è passati dall’ironia, alla gioia per la riscoperta del privato, ma anche alla frustrazione alla rabbia, alla tristezza per la situazione lavorativa ed economica, al dolore per la perdita dei cari. A conferma di ciò, l’aumento di vendita di antidepressivi e ansiolitici in queste settimane.
Vecchi. La generazione perduta. I più fragili e più colpiti. Abbiamo guardato ai nostri anziani, i nostri nonni e genitori con altri occhi. Con timore, con ansia, con protezione, con attenzione. Gli abbiamo insegnato le videochiamate per parlare con i nipoti. Loro malgrado si sono ripresi una scena e un ruolo che spesso la nostra società, a differenza del passato, tende a togliere, se non come categoria assistita. Ma il dramma delle case di riposo ci dice , tragicamente, che c’è bisogno di rimetterli al centro di azioni di protagonismo e di condivisone. Zen. Assolutamente consigliato.
INFOPROM
PARAFARMACIA
«È la prevenzione che può aiutare a difenderci da una malattia insidiosa come il Covid-19» I consigli e i rimedi proposti dal Dr. Gianluca Ferri di “Obiettivo Salute” di Ravenna: «Distanziamento, igiene e disinfezione, integratori per il sistema immunitario...» Di fronte a una malattia per cui non esistono ancora né vaccino né farmaci specifici, la contromossa più efficace non può che essere la prevenzione da fare con intelligenza ascoltando gli esperti. Lo afferma con convinzione Gianluca Ferri, titolare della parafarmacia “Obiettivo Salute” di Ravenna, che riassume qui i consigli dispensati ai suoi clienti sin dall’inizio dell’epidemia di Covid-19: «Tenersi a distanza dalle persone perché il coronavirus si trasmette per via aerea, lavarsi spesso le mani e disinfettare anche le superfici che tocchiamo più spesso, usare integratori che stimolano l’aumento delle difese immunitarie dell’organismo e prodotti che disinfettano le prime vie aeree del corpo a base di clorexidina, soprattutto la gola, per ridurre la carica virale nel caso si venga in contatto con il virus. Il protocollo che consigliamo prevede un integratore a base di cisto, un prodotto erboristico, preparato da noi, nel nostro laboratorio, a base di sostanze naturali immunostimolanti, e la vitamina C». Le farmacie e le parafarmacie sono tra le attività che non hanno mai interrotto i propri servizi. Per Ferri questo significa giornate con turni da 12 ore dall’inizio di marzo per cercare di rispondere alle esigenze di una clientela che è anche aumentata: «Soprattutto quella aziendale. Fa piacere vedere che molti imprenditori hanno scelto noi per l’acquisto dei
prodotti da distribuire al personale. Abbiamo cercato di dare consulenze anche al telefono che mi sembra il minimo indispensabile per un tema così delicato: non sono cose che si possono trattare in una chat come farebbe Amazon». “Obiettivo Salute” è riuscita a soddisfare le necessità dei suoi clienti perché ha applicato la stessa filosofia con cui si combatte il Coronavirus: prevenzione. «Ho cominciato a capire che era una cosa grave e quando hanno annullato i primi voli da e per la Cina ho avuto la certezza che presto avremmo dovuto affrontare la stessa situazione e ho investito per rifornirmi di prodotti specifici, non per approfittarne ma perché immaginavo che poi ci sarebbe stato l’assalto ai magazzini». I cinque dipendenti dei due punti vendita di via dell’Aida e via Pavirani lavorano con mascherine speciali da 50 euro ognuna, lavabili con filtri che durano un mese, ai clienti è stato consigliato presto di acquistare mascherine: «Quelle chirurgiche vanno benissimo ma funzionano bene solo se le indossano tutte le persone che si incontrano. In mancanza di altro un aiuto può arrivare comunque da quelle di cotone: vanno tenute al massimo qualche ora, se ne usano cinque o sei in una giornata se si sta tra la gente e poi si lavano, con sapone e acqua corrente». Ovviamente è stato necessario rivedere anche l’organizzazione dei
negozi. Ingressi scaglionati e scaffali di prodotti sistemati per creare percorsi obbligati di entrata e uscita: «Prima di servire ogni persona ci laviamo le mani o le igienizziamo». Parlando di accorgimenti strutturali, inevitabile guardare alla tanto discussa fase due con le riaperture di più attività. Ferri ha un auspicio: «Riapriranno imprese che non sono esperte in materia sanitaria ma in altri settori. Sarà fondamentale che vengano date indicazioni precise su cosa fare e come, definendo bene gli obblighi, altrimenti rischiamo che si vada in ordine sparso e dopo un mese avremo di nuovo un’ondata di contagi, Mi auguro che da questa fase di emergenza rimanga un insegnamento: calcolare i rischi e prevenirli».
www.parafarmaciaobiettivosalute.com Via Pavirani 32 - Ravenna Tel. 0544 502216 Via dell’Aida 15 - Ravenna Tel. 0544 270872
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LA TESTIMONIANZA
La vita ai tempi del coronavirus in Svizzera: «Qui le multe non servono, basta il senso civico» L’ingegnere ravennate Andrea De Marsi lavora a Lugano in un’azienda che opera nel settore del podcasting «Gli affari on line vanno bene, non ho bisogno degli aiuti dello stato. Che non sono quelli di cui parlava Salvini...»
«In Svizzera con un solo foglio ti accreditano subito fino a 500.000 franchi sul conto», disse Matteo Salvini. «Non mi risulta che sia proprio così». Ci dice chi in Svizzera, effettivamente, ci abita. Non che ci fosse bisogno di smentita, ovviamente, essendo già stato appurato che il riferimento era a una sorta di prestito garantito dalla Confederazione agli imprenditori e non certo a soldi a fondo perduto come si era voluto far intendere. A parlare è uno dei tanti ravennati che stanno vivendo questa emergenza mondiale dall'estero, Lugano per la precisione, a pochi chilometri dal confine, nel più italiano dei Cantoni svizzeri, il Ticino. Dove si è trasferito nel 2011 ma che frequenta dal lontano 2006, dopo aver conosciuto la sua attuale compagna – una donna greca che lavora per un'azienda farmaceutica –, con cui al momento sta affrontando questo isolamento forzato. «Praticamente non esco di casa da inizio marzo – ci racconta Andrea De Marsi, 45enne ingegnere delle telecomunicazioni, laureatosi a Bologna dopo lo studio al liceo scientifico Oriani di Ravenna –, qui essendo uno stato confederale le misure sono state messe in campo inizialmente dalle autorità del Cantone, con alcuni giorni di ritardo rispetto all'Italia e in maniera più graduale, ma ugualmente stringenti, essendo l’esempio della Lombardia molto vicino ed essendoci migliaia di frontalieri che ogni giorno varcavano i confini per lavoro.
Andrea De Marsi e la compagna in una sessione di “tele-lavoro” nella propria abitazione di Lugano, in Svizzera
Non per niente è stato il Cantone più colpito dal virus, tra i 26 della Svizzera». Limitazioni graduali quindi – fino al lockdown proclamato per l'intero stato dalla Confederazione, «con un provvedimento che non veniva preso dalla Seconda Guerra Mondiale» – che mettono in luce alcune differenze di pensiero tra autorità italiane e svizzere. «Inizialmente per esempio hanno deciso di mantenere le scuole aperte, per fare in modo che i bambini non fossero costretti a stare a casa con i nonni, gli anziani, considerata la popolazione più a rischio». E ora che c'è stato un piccolo allenta-
mento delle misure e gli anziani possono uscire solo in orari contingentati, per il loro bene, con un servizio attivo di spesa a domicilio per tutti gli over 65. «A Ravenna, mio padre, di 75 anni, è invece costretto ad andare a fare la spesa, al massimo ho saputo che per il domicilio si sono organizzate associazioni di volontariato. Certo, in Svizzera è tutto più facile anche perché sono molti meno...». E come hanno preso gli svizzeri le decisioni delle autorità? «Senza polemiche, c'è molto senso civico, qui non si vedono comitive che fanno grigliate sul balcone, per esempio. Qui
non fanno neppure le multe, non ce n'è bisogno, la polizia si limita a sensibilizzare quei pochi che non seguono le regole. Il tema, comunque, anche qui sta monopolizzando i programmi televisivi, se ne parla in continuazione, con tanti riferimenti anche all'Italia». La Svizzera ha un'incidenza molto alta di contagi (in valori assoluti sono 26mila su una popolazione di 8,5 milioni), ma la sanità pare stia reggendo bene. «Direi di sì, ci sono ancora tanti posti a disposizione nei reparti di "Cure Intense", come le chiamano qui, hanno diviso fin da subito i reparti Covid dagli altri, allestendo strutture specialistiche e riuscendo però a garantire anche il servizio sanitario per il resto della popolazione». Per quanto riguarda gli aiuti economici messi a disposizione dallo Stato, De Marsi e la sua compagna non ne hanno bisogno. «Lei “telelavora” dal salotto, io sono anni che lavoro da casa, in un’azienda, di cui sono tra i soci fondatori, che impiega più di 40 persone in modalità remote working e che opera nel settore del podcasting (il prodotto più noto in Italia é spreaker.com, ndr) e in questo periodo le cose vanno piuttosto bene: il nostro fatturato deriva infatti dalle sottoscrizioni a pagamento e dalla pubblicità inserita nell'audio dei podcast e con le persone costrette a stare in casa funziona parecchio. Certo, preferirei che il lavoro andasse un po' meno bene e che l'emergenza finisse...». Luca Manservisi
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SOCIETÀ / 15 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
SOLIDARIETÀ
Dagli alunni ai macellai, fino a notai e centri sociali: quante donazioni Le associazioni di categoria, i sindacati e il mondo del volontariato e dello sport si muovono per aiutare Ausl, protezione civile e amministrazioni pubbliche
Oltre all’impegno sul campo con le proprie risorse umane, il mondo locale dell’associazionismo e del volontariato sta dimostrando grande partecipazione nel periodo di emergenza da coronavirus. Sono tante le donazioni inviate agli ospedali, all’Ausl, alla protezione civile. Un segnale di solidarietà e vicinanza arriva da alcune associazioni faentine: Anffas, Autismo Faenza, A Mani Libere, “Si stare insieme” Anmic e Grd hanno deciso di devolvere 800 euro a ognuno degli ospedali di Ravenna, Lugo e Faenza utilizzando parte dei fondi raccolti nella campagna Calendario 2020. Il centro sociale La Quercia – non potendo offrire un pasto diretto ai bisognosi per via delle limitazioni del Dpcm – ha versato mille euro nel Fondo Generi Alimentari aperto dal Comune di Ravenna. Le associazioni dei migranti a Ravenna, diversi cittadini stranieri e italiani e varie realtà ravennati che ruotano attorno al mondo dell’integrazione hanno raccolto 10.500 euro: 8mila al Reparto di Terapia intensiva di Ravenna e il resto per il Fondo generi alimentari del Comune. Continua La raccolta fondi lanciata dall’associazione benefica ravennate Cuore e Territorio a favore dell’ospedale civile. I contributi di cittadini e imprese ha permesso la donazione di migliaia di mascherine e visiere protettive per medici, infermieri e forze dell’ordine, oltre a 2 ventilatori polmonari e diversi caschi completi di generatore di ventilazione non invasiva. È prevista l’estensione della donazione di materiali medicali all’Ospedale di Lugo, divenuto “Covid Hospital” La Fondazione Nuovo Villaggio del Fanciullo, grazie ai primi diecimila euro raccolti, ha consegnato all’ospedale di Ravenna attrezzature sanitarie tra cui due monitor multiparametrici. I Rotary club Ravenna, Lugo e Galla Placidia hanno donato alle terapie intensive di Ravenna e Lugo un monitor Carescape B650 portatile, per la rilevazione cardiaca e emodinamica in continuo e per il monitoraggio respiratorio per un valore di quasi 20mila euro. Il circolo del Partito Democratico di Granarolo Faentino ha devoluto una parte del ricavo della Festa dell'Unità dello scorso anno, 1500 euro, a favore della “Pubblica Assistenza città di Faenza”. La sezione ravennate dell’associazione nazionale Insigniti dell’Ordine al merito della Re-
pubblica Italiana (Ancri) ha consegnato alla polizia locale di Ravenna 120 confezioni di gel igienizzante per mani. Il sindacato Macellai Confcommercio Ravenna ha devoluto la somma di duemila euro all’ospedale di Ravenna. L’Avis di Ravenna, l’associazione volontari italiani del sangue, ha donato fondi e dispositivi per la protezione degli operatori sanitari delle strutture locali impegnati nell’emergenza Covid-10 per un valore complessivo di 25mila euro. Sono stati utilizzati i fondi destinati alle iniziative per celebrare i 60 anni di attività dell’associazione. L'associazione Per Massa ha donato al Gruppo Comunale di Protezione Civile di Massa Lombarda diversi generi alimentari per aiutare le persone in difficoltà. L’Unione donne in Italia di Massa Lombarda ha donato 5mila euro all’ospedale di Lugo. I trenta notai del distretto di Ravenna hanno donato 27.398 euro all’Ausl Romagna. La sezione Arbitri di Lugo scende in campo e dona mille euro a favore dell’ospedale per finanziare l’acquisto di attrezzature. La sezione Martiri del Senio dell’Anpi di Lugo ha donato mille euro all’ospedale Umberto I diventato Covid Hospital. I volontari storici di Auser hanno donato seimila euro all’ospedale lughese. L’associazione culturale islamica Luce Annour di Castel Bolognese ha donato duemila euro a Ausl e Comune per attrezzature e aiuti a famiglie bisognose e venti soci si sono prenotati per donare sangue all’Avis. L’associazione culturale Casa delle Aie di Cervia ha deciso all'unanimità di donare duemila euro a favore del Coordinamento del Volontariato di Cervia. Il gruppo culturale Civiltà Salinara di Cervia e i 400 soci del Centro sociale cervese hanno donato rispettivamente duemila e diecimila euro a favore dell'ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna. Gli alunni della scuola primaria Camerani hanno voluto donare al personale medico, infermieristico e Oss della Pediatria di Ravenna mille euro, reperendo la somma dalla raccolta fondi organizzata nel corso della festa di fine anno scolastico 2018-2019. La onlus “Gli Amici di Pablo”, presente nel territorio di Lugo e comprensorio, ha donato cinquemila euro all’ospedale Umberto I di Lugo per l’acquisto di materiale di
L’azienda Deco Industrie di Bagnacavallo, importante realtà della produzione alimentare, ha donato oltre quattromila confezioni di biscotti, piadine e panetti per contribuire al sostegno alimentare di chi ha particolare bisogno a causa dell’emergenza Covid-19. Le confezioni verranno consegnate alle famiglie in difficoltà economica della Bassa Romagna
Oltre 40mila euro al fondo per generi alimentari supporto al contrasto dell’epidemia e dispositivi di protezione individuale. La sezione ravennate dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra ha deliberato l’erogazione di un contributo di mille euro a favore dell’Ausl. Donazione di tremila al reparto
Rianimazione dell’ospedale di Ravenna dal Comitato per la sicurezza stradale (Cosistra). Gli organizzatori del Rally di Romagna Mtb - cancellato proprio per colpa del coronavirus - hanno donato la quota della tessera ai volontari della Protezione Civile di Riolo Terme, in totale 500 euro.
Ammonta a circa 40mila euro il totale delle donazioni arrivate in una sola settimana al conto corrente attivato dal Comune di Ravenna per raccogliere le offerte in denaro di chi vuole contribuire al Fondo generi alimentari per persone in difficoltà economiche a causa dell'emergenza Covid-19.
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I / SPECIALE RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
RIMEDI FARMACEUTICI
Insonnia: incidenza sulla qualità della vita e le possibili terapie Analisi e consigli sui disturbi del sonno della dottoressa Caviglia della Comunale n. 4 Il termine insonnia deriva dal latino insomnia e letteralmente significa “mancanza di sogni”. Nel linguaggio comune indica un'insufficiente durata del sonno, ma nella definizione clinica, si associa anche a una soggettività di scarso ristoro derivante dal sonno notturno. Questo vuol dire che un individuo è insonne non solo se dorme poche ore ma se da queste poche ore non ottiene un ristoro adeguato al mantenimento della sua funzionalità sociale e lavorativa nelle ore diurne. A parlare del tema è la dottoressa Laura Caviglia della Farmacia Comunale N. 4 (nella foto a destra). Perché è così importante dormire bene? «Mentre si dorme, il cervello provvede con un sofisticato sistema alla sua “pulizia”, che è necessaria per il mantenimento della sua corretta funzionalità, smaltendo i prodotti di scarto del metabolismo, ossia liberandosi di tutti i sottoprodotti delle attività del giorno. Detto questo, la mancanza di un buon sonno ristoratore provoca torpore, stanchezza e ridotta prontezza dell’attività mentale». Il sonno “ideale”, quanto dura? «Secondo studi recenti, otto ore sono sufficienti per un perfetto recupero fisiologico, che avviene prevalentemente durante le fasi Nrem e per l’incorporazione nella memoria – durante le fasi Rem – di nuovi comportamenti appresi in veglia». Quali sono le principali cause dell’insonnia? «Poiché raramente è una patologia primaria, spesso è la conseguenza di svariate condizioni patologiche psichiche (depressione, ansia, etc.) o fisiche (disturbi della tiroide, disturbi gastrici, dolori artritici, allergie alimentari, scompenso cardiaco o ipertensione arteriosa, etc.), o il risultato di cattive abitudini riguardanti l’alimentazione, l’attività fisica e i ritmi di vita in generale. Si parla di insonnia iniziale quando la difficoltà prevalente concerne l’addormentamento iniziale; di insonnia intermedia quando a prevalere sono i risvegli a metà nottata, seguiti da difficoltà a riprendere sonno; di insonnia terminale, quando invece è presente un risveglio molto precoce, seguito dall’impossibilità di prendere sonno». A quali rischi va incontro chi non riposa bene? «Le conseguenze immediate, oltre all’astenia, sono gonfiore e
pallore del viso, tremori, alterazione della vista e dell’olfatto, e una tendenza ad ansia e irritabilità. Se la deprivazione si protrae a lungo termine, si rischiano ipertensione, obesità, diabete, ictus e infarto.». Ci sono sindromi correlate all’insonnia? «Sì, le più comuni sono quelle da “jet leg” che può comparire a seguito di un rapido cambiamento di parecchi fusi orari; e quella da cambiamento di turno da lavoro, quando si passa a un turno che comprende periodi di lavoro notturni. In entrambi i casi, si manifestano uno stato di sonnolenza, affaticamento e ridotta efficienza mentale». Situazioni di stress, come quella attuale legata all’emergenza sanitaria Covid-19, possono provocare insonnia? «Sì, certamente. Molte persone vivono male l’isolamento sociale o quell’insieme di paure che si scatenano ascoltando ogni giorno brutte notizie». Certamente non esiste una soluzione univoca per i disturbi del sonno. Quali sono i primi consigli da mettere in pratica? «Variare lo stile di vita: esporsi con regolarità alla luce solare, evitare il sonnellino pomeridiano e l’attività fisica serale, ridurre nicotina, caffeina e alcool nell’arco della giornata, consumare una cena leggera, andare a letto a orario costante, evitare di guardare tv e dispositivi elettronici a letto». Rimedi di origine erboristica? «Valeriana, camomilla, lavanda, luppolo, passiflora, escolzia, biancospino, fiori d’arancio e di tiglio possono evitare l'utilizzo di sedativi o farmaci ipnotici. Il latte tiepido, per il suo elevato contenuto di triptofano, bevuto prima di andare a letto, si dimostra sempre un valido rimedio tradizionale. Utile è anche la melatonina, prodotta dalla ghiandola pineale con la funzione di regolare il ritmo sonno-veglia». Se non si ottengono ancora benefici… «Ci sono trattamenti farmacologici di vario tipo da valutare con l’aiuto di uno specialista per evitare che questo disturbo possa pregiudicare in modo significativo la qualità della vita». Roberta Bezzi
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SOLIDARIETÀ AIR, raccolta fondi mirata per l’Ospedale di Ravenna “AIR Amici Insieme per Ravenna” è una nuova onlus che persegue finalità di solidarietà sociale. Nata a Ravenna per volontà di un gruppo di amici e forte dell’esperienza e dell’integrazione nel sistema sanitario locale di uno dei soci fondatori – il dottor Gianluca Danesi, pneumologo presso l’Ospedale Santa Maria delle Croci – l’associazione intende fornire un contributo alla lotta contro il Coronavirus attivando una raccolta di fondi particolarmente “mirata”. Il contributo servirà infatti per l’acquisto di macchinari, attrezzature e tecnologia necessari nell’attività di supporto e ventilazione, per potenziare l’attività endoscopica diagnostica dei casi dubbi e il monitoraggio telemetrico per il controllo dei parametri vitali a distanza (fondamentale per chi è costretto all’isolamento). Il contributo raccolto sarà condiviso con tutti i reparti dell’Ospedale di Ravenna coinvolti nella lotta contro la patologia Covid, in accordo con il direttore dell’Unità operativa di Pneumologia, dottor Gurioli, ed i vertici del presidio ospedaliero di Ravenna. Per info e adesioni info@air.ra.it., versamenti all’associazione su cc bancario Iban: IT34O0306909606100000172233. I soci di AIR sono Gianluca Danesi, Stefano Bruni, Giorgio Grazioli, Enrico Rosso, Alessandro Sisalli, Fabrizio Righini, Daniele Pece, Claudio Emiliani, Filippo Ventrucci e Gabriele Cesari.
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SPECIALE / II 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
DISTURBI PSICHICI
LO SGUARDO DELLO PSICOLOGO di Enrico Ravaglia*
L’obbligo di stare a casa ha destrutturato non solo la nostra routine, ha colpito anche le sue funzioni difensive Il Coronavirus ha condizionato la vita personale e professionale di tutti. Io, come psicologo e psicoterapeuta continuo a lavorare, ma le abituali sedute in studio sono oggi prevalentemente sostituite con sedute da remoto realizzate attraverso il telefono oppure con le videochiamate. Questa pandemia ci ha spiazzati, ci obbligati a trovare nuove soluzioni per fronteggiare l’emergenza. Il nuovo setting, cioè la terapia via Skype anziché, di persona in studio, è «una soluzione pragmatica che ricorda il trasferirsi temporaneamente in una tenda da campo durante un periodo di scosse sismiche in cui si debba stare per qualche tempo fuori di casa: una soluzione non ideale, certamente, ma pur sempre vivibile, a patto di non darla per scontata e di esplorarne insieme le condizioni e gli sviluppi interni, per non negarli», citando lo psicoanalista Stefano Bolognini. Le sedute tramite telechiamata, ovviamente implicano di entrare nello spazio privato delle persone, nelle loro case. Spesso le sedute iniziano con un «Buongiorno Dottore, sono qui anche oggi, sono sempre qui...». Una cosa che ho notato in diverse persone è come l’obbligo di restare nella propria abitazione, di rinunciare a quella che era le propria routine, destrutturi non sono la routine stessa ma pure le funzioni difensive che essa aveva. Mi spiego. Un paziente mi dice che sta valutando, quando sarà finita la quarantena, di smettere, possibilità permettendo, il proprio lavoro. Riconosce con chiarezza, anzi forse amplifica proprio, gli aspetti peggiori della sua professione, quelli che lo frustrano e lo rendono insoddisfatto. Risvolti che c’erano anche prima ma che la ruotine teneva più nascosti: andava in palestra, si trovava per l’aperitivo, cenava spesso con gli amici, a meta mattina scendeva al bar per un caffè, tutte cose belle, piacevoli in sé ma che avevano anche la funzione di tenere celato un fronte di insoddisfazioni, paure, malinconie che non si voleva vedere, e che oggi il silenzio delle mura di casa restituisce. Un altro paziente è un tecnico di professione. Stacanovista, sempre impegnato con il proprio lavoro. Spesso anche al sabato e alla domenica. Il decreto sul Coronavirus gli ha imposto ora di fermarsi, invitandolo alla prudenza, rivelandogli la sua non indispensabilità. È rimasto quanto meno spiazzato. Mi dice. «Prima mi sentivo Superman. Con il mio intervento andavo a salvare il tal cliente, ora mi sento solo un tecnico sventurato che ha un cliente sventurato a cui si è manifestato un problema sventurato». Ne abbiamo parlato. Siamo entrambi consapevoli che il lavoro serviva anche per sentirsi efficace, indispensabile, celando la paura di non valere abbastanza, di non essere brillante, ma, sotto sotto, sventurato. Destabilizza certo riconoscersi così, ma questa consapevolezza raggiunta permetterà anche di riprendere a lavorare in modo nuovo, con l’auspicio di attingere di più pure in altri aspetti della proprio esistenza. Succede anche questo in tempi di Coronavirus. *Psicoterapeuta psicoanalitico dottenricoravaglia@gmail.com
INDAGINE NAZIONALE FOTOGRAFA LA SOFFERENZA DELLA POPOLAZIONE PER LO STRESS DA COVID-19 Aumentati i livelli di disagio per 7 italiani su 10. L’assistenza pubblica scarseggia ma l’Ausl Romagna ha promosso un servizio dedicato I vissuti psicologici legati all’emergenza sanitaria e le forme di disagio psicologico presenti nella popolazione sono state oggetto di una indagine nazionale effettuata dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine Psicologi (Cnop). Le limitazioni che pesano di più sono: non potersi relazionare con le persone al di fuori (51%); aumento disagio psicologico (31%); non poter fare sport all’aria aperta (27%); non avere tanti spazi a disposizione (24%); non poter andare al lavoro (20%); dover convivere forzatamente (9%). Indica “altro” il 4% mentre il 6% non vuole rispondere. Sollecitati sugli eventuali aspetti positivi dell’isolamento forzato, gli intervistati rispondono: “ho più tempo da dedicare alla mia famiglia” (49%); “ho più tempo da dedicare a me stesso” (34%); “sto leggendo libri” (25%); “sto imparando a cucinare” (12%); “sto seguendo dei corsi di lingua on line” (5%); “non penso ci siano aspetti positivi” (18%). In generale l’emergenza ha aumentato i livelli di disagio psicologico di 7 italiani su 10, soprattutto tra le donne e le persone comprese tra i 35 ed i 54 anni di età. Il 42% degli italiani lamentano problemi di ansia, il 24% disturbi del sonno; il 22% irritabilità; il 18% umore depresso; il 14% problemi e conflitti relazionali; il 10% problemi alimentari; e solo il 28% dice di non aver nessun problema o disagio. «Questi dati parlano da soli: l’emergenza sanitaria – commenta David Lazzari, presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi – diventerà sempre di più un’emergenza psicologica. Se non vogliamo che questi problemi si traducano in disturbi più gravi o alimentino effetti collaterali, come malattie fisiche o forme di disagio lavorativo e sociale diffuso, è necessario che le Istituzioni rendano disponibili alla popolazione le risposte scientificamente più appropriate, che sono strategie e interventi psicologici. I cittadini debbono trovare nella Sanità pubblica – dagli studi dei medici di famiglia sino agli ospedali – nei luoghi di lavoro, nei servizi sociali, gli psicologi che possono pianificare e attuare questi interventi. Oggi quelli presenti nelle strutture pubbliche sono davvero troppo pochi e l’80% delle persone, se non si provvede, non avrà alcun aiuto appropriato o riceverà (come già accade) solo psicofarmaci, che per la gran parte dei casi non sono la risposta più adeguata. Non possiamo accettare che i cittadini debbano pagare di tasca loro un servizio di cui hanno diritto in base alle leggi dello Stato e che gli aspetti psicologici della salute vengano ignorati». Intanto le Aziende Sanitarie dell’Emilia-Romagna hanno avviato iniziative di supporto psicologico rivolte in particolare a operatori sanitari coinvolti nell' assistenza a malati di Covid-19, a cittadini contagiati in isolamento e familiari di ammalati o ricoverati. I consulti avvengono via telefono o Skype. A Ravenna il servizio è attivo dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 16, al tel. 339 5355892 oppure via mail: psicologia.emergenza@auslromagna.it
INFOPROM
LA DONAZIONE
Avis Provinciale Ravenna a fianco dei sanitari impegnati nella lotta al covid-19. Donati dispositivi di protezione e fondi per 25mila euro Destinatari sono ospedali, medici di medicina generale, pediatri di famiglia e personale sanitario del territorio Per fornire un aiuto concreto al personale sanitario che da settimane è impegnato nella lotta al Covid-19 sul territorio, AVIS Provinciale Ravenna ha voluto contribuire con i propri mezzi, utilizzando i fondi inizialmente destinati alle iniziative per celebrare i suoi 60 anni di attività. L’Associazione, a nome di tutte le sue 22 sezioni comunali, ha così donato fondi e dispositivi per la protezione degli operatori sanitari per un valore complessivo di 25mila Euro. In particolare, sono state consegnate 1.800 visiere protettive, prodotti conformi CE cat.1, ideati e sviluppati da una delle tante aziende del territorio, la Cartesio Fullcard (Forlì-Cesena), che stanno adattando la propria produzione per dare un contributo alla gestione dell’emergenza. Nello specifico, 400 visiere sono state accolte dal dottor Stefano Falcinelli, Presidente dell’Ordine dei Medici di Ravenna, e dal dottor Mauro Marabini, direttore del Dipartimento di Cure Primarie di Ravenna, e sono state destinate a medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e medici di continuità assistenziale che si recano a
domicilio di chi è positivo al Covid-19 e non necessita di ricovero ospedaliero, o di sospetti Covid-19, per monitorarne le condizioni in maniera continuativa. Altre 500 visiere sono state consegnate al dottor Paolo Fusaroli, direttore sanitario dell’Ospedale Umberto I di Lugo; 500 al dottor Paolo Tarlazzi, direttore sanitario dell’Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna, e 400 al dottor Davide Tellarini, direttore sanitario dell’Ospedale degli Infermi di Faenza. Inoltre, sono state effettuate ulteriori donazioni verso l’Ospedale Umberto I di Lugo, mentre all’ospedale di Faenza andranno anche 4mila mascherine chirurgiche e 400 mascherine FFP2. «Abbiamo poi pensato – aggiunge Marco Bellenghi, Presidente AVIS Provinciale Ravenna – ai nostri amici della Pubblica Assistenza di Ravenna, donando anche a loro alcune visiere protettive. E non ci fermiamo qui: AVIS vuole essere al fianco dei tanti operatori sanitari del territorio in maniera immediata e concreta, anche in futuro. La nostra è un’Associazione che si basa su un alto spirito del volontariato e con
questo gesto vogliamo donare alla collettività, come abitualmente ogni giorno fanno i nostri donatori. In questo modo, il nostro 60esimo compleanno è per noi ancora più ricco di significato». AVIS Provinciale Ravenna ha infatti origine nel 1960 su impulso del Sen. Aldo Spallicci, e da allora effettua un’intensa attività di raccolta di sangue e plasma sul territorio. Oggi comprende 23 sezioni comunali; in 11 di queste sono presenti punti di raccolta gestiti direttamente dall’Associazione. Nel 2018 sono stati 10.197 i donatori “continuativi” AVIS che hanno permesso la raccolta di oltre 18.500 donazioni. Per info su Avis Provinciale Ravenna: www.ravenna.avisemiliaromagna.it oppure tel. 0544/421180 (dal lunedì al venerdì 8-13; sabato 8-12) - Pagina Facebook: Avis Provinciale Ravenna.
18 / CULTURA RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
CINEMA
«La sopravvivenza della sala non è una questione per nostalgici, ma una questione economica» La giornalista e critica cinematografica Elisa Battistini sulle prospettive del grande schermo: «Senza una particolare tutela per gli esercenti potremo trovarci di fronte a una situazione inedita e del tutto negativa per l'intero settore»
Elisa Battistini, classe 1977, ravennate trapiantata a Roma, è giornalista e critica cinematografica. Attualmente si occupa di programmazione e distribuzione cinematografica. In passato ha collaborato con il nostro settimanale e non potevamo che chiedere a lei, quindi, di ragguagliarci su ciò che sta accadendo e si profila nell’ambito del cinema dopo l’emergenza Covid. «Le sale sono chiuse, le produzioni e le post-produzioni sono ferme, i film terminati non hanno distribuzione: il comparto cinematografico risente pesantemente degli effetti economici dell'epidemia di Sars-CoV-2. Dopo il 2019, anno re-
cord per numero di spettatori nei cinema dell'UE (+4,5% di biglietti venduti rispetto al 2018 con un dato assoluto di 1,34 miliardi presenze in sala di cui oltre 100 milioni in Italia), il 2020 fa pagar dazio a un'industria che solo nel nostro Paese conta circa 173.000 addetti, secondo un recente studio di Anica, senza tenere conto di molte professioni “collaterali” (dalla stampa specializzata alle professioni legate alla programmazione e ai festival). Se le principali associazioni di categoria stanno lavorando con il Mibact su interventi dedicati alla filiera e pensando a come riprendere in sicurezza l'attività dei set nella Fase 2, lo scenario complessivo resta molto incerto, ma un dato dovrebbe essere condiviso: la centralità degli schermi, ossia delle sale, per la tenuta complessiva di un'industria globalizzata – che fa sì che un film piccolo o medio possa avere una vita internazionale – che si radica nei presidi territoriali. Più che fare una previsione su cosa accadrà a decine di migliaia di occupati e a migliaia di imprese che lavorano nel cinema in Italia, occorre fare chiarezza su quello che potrebbe diventare un pericoloso equivoco: l'intero mondo dell'audiovisivo così come oggi lo conosciamo potrà continuare a esistere tutelando le sale, insostituibile fonte di redditività, al fine di trovarle il più possibile in piedi dopo questa pandemia. L'alternativa al grande schermo non sono streaming e video on demand: si tratterebbe di un cambiamento radicale dei livelli di redditività del settore, quindi della quantità e infine qualità delle produzioni. Avengers: Endgame costa 350 milioni di dollari perché punta a incassarne miliardi (e ha incassato 2 miliardi 800 milioni di dollari): solo la sala può consentirlo. Non sorprende che i grandi film hollywoodiani pronti a uscire non scelgano per nulla l'on demand (senza contare il fattore pirateria e la facilità di reperire file dopo pochi minuti dalla messa online). Il cinema d'autore, quello festivaliero per intenderci, ha attese molto differenti per cifre ma assolutamente simili per finalità di ritorno economico. Le grandi piattaforme come Netflix vivono all'interno di un ecosistema in cui la sala soltanto consente i guadagni attesi per i titoli più importanti: gli abbonamenti alle piattaforme non possono ripagare gli investimenti di molti film, mentre sono un moltiplicatore per l'industria ovvero creano nuovi segmenti nell'audiovisivo e secondo molti studi contribuiscono ad accrescere i consumi complessivi. In uno scenario in cui le sale uscissero dalla pandemia con le ossa rotte, semplicemente ci ritroveremmo in un panorama completamente mutato: l'idea che il cinema possa passare stabilmente dalla fruizione in sala a quella dello streaming non tiene conto delle attese economiche dei prodotti. Non deve sorprendere neppure che, in questo momento, alcune distribuzioni stiano invece proponendo film on demand: si tratta di film che difficilmente, purtroppo, potrebbero avere un mercato nelle sale (che saranno intasate di titoli di richiamo e mai usciti) qualora riaprissero. Mentre per ora è difficile che titoli forti finiscano oggi in streaming, preferendo le produzioni attendere alcuni (o anche molti) mesi rispetto all'uscita prevista ma puntando a maggiori risultati. Se, per quanto riguarda il sostegno all'occupazione, la risposta come per tutti i settori dovrà essere importante e sovranazionale, al momento bisogna capire che senza una particolare tutela per gli esercenti potremo trovarci di fronte a una situazione inedita e del tutto negativa per l'intero settore. Perché la sopravvivenza della sala non è una questione per nostalgici, ma una questione economica che finirebbe per ridurre drasticamente la produzione cinematografica».
CULTURA / 19 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
LETTURA
La biblioteca Manfrediana di Faenza consegna i libri in prestito a domicilio
CARTOLINE DA RAVENNA Mittente Giovanni Gardini
La croce dell’arcivescovo Agnello
Per la restituzione si aspetterà la riapertura della struttura
Chiusa al pubblico da oltre un mese causa misure anti-coronavirus, la Biblioteca Comunale Manfrediana ha deciso di riprendere alcune attività oltre a quelle già proposte in queste settimane sulla propria pagina facebook. In modo graduale e nel pieno rispetto di tutte le misure di sicurezza, dai prossimi giorni verrà riattivato il prestito di libri tramite consegna a domicilio. Un servizio che ha l'obiettivo di contribuire a spezzare la monotonia di giornate che rischiano di essere una uguale all'altra per ora limitato a Faenza, senza escludere un'estensione anche alle altre biblioteche dell'Unione dei Comuni una volta verificate le condizioni organizzative. Il servizio si avvarrà dei canali di consegna a domicilio già in essere, senza perciò gravare su gli spostamenti e il numero di persone in strada. Prevede la consegna direttamente a casa in busta chiusa di un massimo di 3 libri e 3 DVD a persona, mentre non è previsto il ritiro dei libri prestati che sarà a carico dei richiedenti dopo la riapertura al pubblico della biblioteca. Le richieste vanno inoltrate tramite email all'indirizzo manfrediana@romagnafaentina.it, mentre la consultazione, con le disponibilità in tempo reale, può essere effettuata sul catalogo online o sulla app di Scoprirete della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino. «Dopo avere alimentato i nostri strumenti digitali per rendere “vicina” la biblioteca anche in questa fase e in attesa di una totale riapertura – commenta l'assessore alla Cultura Massimo Isola – la scelta di attivare questa nuova funzione credo sia saggia e attesa. Condivido in pieno la posizione del Ministro Franceschini che ha lavorato per affermare nel dibattito pubblico il senso, il significato e la funzione del libro e della conoscenza in questa complicata situazione. Con questa scelta e grazie al prezioso contributo dei nostri bibliotecari e dei volontari dei Rioni, riusciremo a portare a casa dei faentini idee, emozioni, sentimenti e nuovi saperi, in un momento di trasformazione così radicale come quello attuale. Non è una operazione semplice e scontata, ma utile e forte dal punto di vista simbolico. Diciamo da settimane che il “dopo” dovrà essere affrontato da tutti con competenze nuove – prosegue Isola – con visioni più articolate e inaspettate, con parole innovative: per fare tutto questo serve curiosità, umiltà e voglia di conoscere nuovi paradigmi. I libri e la nostra Biblioteca ci possono aiutare. Per questo, in linea con le normative generali, abbiamo pensato di non aspettare le condizioni per una riapertura totale della struttura. Si tratta di una proposta virtuosa, di comunità. Abbiamo bisogno di sentirci uniti. Questa è una piccola proposta che va in questa direzione».
ARTE Osservatorio fotografico devolve l’incasso per la vendita dei libri alla Regione Osservatorio fotografico – laboratorio permanente di ricerca sulla fotografia e l’editoria nato a Ravenna nel 2009 da un’idea di Silvia Loddo e Cesare Fabbri e animato negli anni da Veronica Lanconelli, Nicola Baldazzi e Emilio Macchia – ha deciso di sostenere la campagna di donazioni per la sanità in Emilia-Romagna “insieme si può”, a cui sarà devoluto tutto il ricavato delle vendite dei libri del mese di aprile. Durante tutto il mese, tutto il ricavato dei libri venduti sul bookshop online http://osservatoriofotografico.it/insiemesipuo/, sarà versato sul conto corrente che la regione Emilia-Romagna ha messo a disposizione per le donazioni a favore dell’emergenza sanitaria Covid-19. Osservatorio fotografico, negli ultimi dieci anni ha accompagnato il percorso di fotografi, mosaicisti, performer e designer che si sono interrogati sul concetto di territorio, ha pubblicato libri, cataloghi e oggetti d'arte anche in collaborazione con altre realtà nazionali e internazionali. «Crediamo – affermano Silvia Loddo e Cesare Fabbri – che la geografia ci costruisca come individui tanto quanto la storia, e influenzi il nostro modo di pensare e di guardare. E con questo piccolo contributo speriamo di poter fare qualcosa di concreto per il nostro territorio».
Tra le collezioni del Museo Arcivescovile di Ravenna si può ammirare la preziosa croce detta “dell’arcivescovo Agnello”, così denominata da un passo del Liber Pontificalis della chiesa ravennate e comunemente datata alla seconda metà del VI secolo: «Il beatissimo Agnello fece una grande croce d’argento nella chiesa Ursiana, sopra la cattedra alle spalle del vescovo: in essa c’è la sua effigie orante a braccia aperte». Ciascun braccio di questa grande e solenne croce argentea è decorata, su entrambi i lati, da medaglioni che incorniciano i volti di santi rappresentati a mezzo busto, con il capo nimbato, per un totale di quaranta figure. I due medaglioni centrali appartengono a fasi successive rispetto a quella originaria. Il clipeo con l’immagine della Vergine orante è datato al XII secolo, mentre quello raffigurante la Resurrezione di Cristo, al pari del braccio inferiore, è opera della seconda metà del XVI secolo. Essa proviene dal tesoro della Cattedrale e gli storici, come ad esempio Francesco Beltrami ne Il Forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, la ricordano come croce processionale: «È degna parimente di osservazione una croce d’argento chiamata di S. Agnello […] la quale si espone nelle Feste a cornu Evangelii dell’Altar maggiore, e portasi anche avanti al Clero in alcune Processioni, che si fanno d’intorno alla Chiesa». Anche il bel Cenotafio dell’arcivescovo Ferdinando Romualdo Guiccioli presente in Duomo ne attesta il suo uso liturgico.
NUOVE APERTURE
INFOPROM
Fricandò consegna a domicilio pranzo e cena ma anche la colazione e la spesa della bottega Frequentatissimo locale a due passi da Porta Adriana, in centro a Ravenna, Fricandò in questa emergenza legata al contenimento della diffusione del coronavirus resta aperto per poter offrire un servizio considerato primario dai decreti governativi come quello del Tabacchi. Ma per chi aveva imparato a frequentare il Fricandò in ogni sua sfaccettatura è ora attivo il servizio di consegna a domicilio, di certo unico nel suo genere in città. È infatti operativo il più tradizionale "delivery" del ristorante, dal lunedì al sabato sia a pranzo che a cena, con in menù anche il polpo grigliato di fianco della tagliata di pollo o delle tradizionali polpette fritte al sugo, passando per il gnocco fritto e le frittelle di erbazzone e naturalmente i primi fatti a mano, con possibilità di ordinare anche pasta fresca e ragù romagnolo, oltre che vini di varie regioni. Ma il servizio domicilio è attivo anche a colazione – con possibilità di avere direttamente a casa brioche, crema pasticcerà, mascarpone, muffin, donut e yogurt – e come utile aiuto per la spesa di tutti i giorni, grazie ai prodotti della bottega alimentare di Fricandò: si va dal pane al burro, dal lievito di birra spesso introvabile nei supermercati fino alla farina e al caffè macinato.
20 / CULTURA / RUBRICHE RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
LIBRI DA BABELE
Il triennio che ci ha cambiato, in uno dei migliori prodotti italiani di sempre
Desert Session Home Edition, collettivo sonoro antisolamento
Poesie da un mondo che non c’è più
di Francesco Della Torre
di Luca Manservisi
di Matteo Cavezzali *
1994 (Serie Tv, 8 episodi) Terza e ultima (a giudicare dall’ultimo episodio) stagione della bella e fortunata serie che ha descritto il nefasto e sofferto passaggio dalla “Prima” alla “Seconda Repubblica”, continuando il racconto iniziato in 1992 e proseguito in 1993. La struttura delle puntate è leggermente diversa dalle stagioni precedenti perché ognuna si focalizza su un personaggio diverso, partendo dal fittizio Leonardo Notte di Stefano Accorsi, passando per i solidi protagonisti di tutto il racconto: la rampante Veronica Castello di Miriam Leone, il controverso Pietro Bosco di Guido Caprino e i personaggi reali, su tutti il Silvio Berlusconi del magnifico Paolo Pierobon. Regia e sceneggiatura sempre affidate rispettivamente a Giuseppe Gagliardi e all’ottimo trio di scrittori di cui fa parte il ravennate Alessandro Fabbri. Il racconto è incalzante e, nonostante si sappia come andrà a finire, la tensione è perfettamente trasmessa tramite le stanze del potere e dei due schieramenti in gioco, non destra e sinistra, ma il mondo di Berlusconi e quello della magistratura: si nota la sarcastica assenza del mondo della sinistra, tranne qualche apparizione di D’Alema, da tutto l’intreccio principale. Durante la serie si avverte qualche momento di noia, soprattutto nell’episodio con protagonista Di Pietro (sempre bravissimo Gerardi); a fare da contraltare troviamo alcuni momenti eccezionali, su tutti l’inizio e l’episodio della Sardegna, in perfetto e delizioso stile Viale del tramonto. Verso il finale di stagione il meccanismo si inceppa leggermente soprattutto a causa della “degenerazione” di uno dei protagonisti, che prende un po’ troppo inutilmente e tragicamente la scena, rubandola ai veri “attori” del periodo e sviando leggermente il discorso politico. Fortunatamente l’ultimo episodio, di cui possiamo dire poco per non rivelare troppo (della struttura narrativa, non di certo della storia italiana), la ragnatela si ricompone e la storia si avvia a una conclusione davvero degna del trittico storico-politico. Un triennio che ha cambiato un Paese, segnato le generazioni future e disegnato un’Italia completamente diversa dalla precedente, visto che non a caso è stato coniato giustamente il termine “Seconda Repubblica”. Un cambiamento che 1994 registra senza eccedere i giudizi ma mostrando in maniera efficace tutti i meccanismi che hanno portato a questa mutazione, fornendo allo spettatore molti strumenti critici per farsi un’idea. 1992-1993-1994 resterà tra i migliori prodotti italiani di sempre, sia per tutti gli elementi artistici (regia, attori, sceneggiatura) che lo compongono, sia per splendide canzoni del periodo scelte per accompagnare questa cavalcata, sia per la sobrietà, la fedeltà e la freddezza del racconto di un’epoca fondamentale. Visibile su Sky.
“The Desert Sessions”, più che un gruppo musicale vero e proprio, è stato una scusa per suonare insieme agli amici. Ideate negli anni novanta da Josh Home, leader dei Queens of the Stone Age ed ex componente dei Kyuss, le Sessions erano un modo per raccogliere e pubblicare canzoni composte da autori vari. E ora sono ispirazione per un progetto nato a Ravenna in questo periodo di isolamento forzato, a cui concedo volentieri questa settimana lo spazio di questa rubrica. Progetto ribattezzato appunto “Desert Session Home Edition” e ideato da Riccardo Pasini, tecnico del suono e produttore ravennate molto noto tra gli addetti ai lavori. «Come tutti i miei colleghi professionisti dello spettacolo – scrive in una mail inviata anche alla nostra redazione – in questo periodo di forzata inattività ho cercato un modo per passare il tempo nella maniera più costruttiva possibile. E il mio spirito di musicista mi ha sempre spinto a trovare altri ragazzi con cui scrivere, comporre e passare tempo insieme». Ecco così che è bastato scrivere un post su Facebook per ritrovarsi inondato di richieste e di entusiasmo. «Il progetto è semplice – la spiega direttamente Pasini –: si parte da un’ idea, che sia un giro di chitarra, una melodia vocale o quant’altro. Viene postata sulla pagina del gruppo e chiunque può non solo ascoltarla ma scaricarla e suonarci sopra registrandosi con i propri strumenti casalinghi. Tutto il materiale converge a me e io, piano piano, metto insieme tutte le idee costruendo la canzone. Si tratta di un lavoro enorme ma incredibilmente gratificante e in cuor mio spero, di grande aiuto a far passare questo brutto momento per tutti noi». È nato quindi questo collettivo virtuale (composto, a metà aprile, poche settimane dopo la sua nascita, da oltre 180 musicisti) a cui chiunque può “iscriversi” e dare il proprio contributo compositivo. Per partecipare basta andare sulla pagina Facebook omonima. Sono già 8 i pezzi completati e altri sono in fase di lavorazione. E su YouTube è già visibile un video, quello della canzone “Distorta Dimensione”. «L’idea – conclude Pasini – è quella di mettere in contatto e collaborare con più musicisti possibile per passare, virtualmente insieme, questo momento di forzato stop, nella maniera più bella per un musicista: comporre musica».
In questo mese di quarantena ho sentito troppe persone parlare con sufficienza degli anziani, come se fossero un peso per la società, tutto sommato sacrificabile all’altare dell’economia. Fortunatamente ha prevalso il buon senso e il comportamento di tanti che osservano i divieti ci dimostra che c’è rispetto per questa parte importante di popolazione, la più esposta al virus. I telegiornali stranieri parlano del nostro paese come quello che, assieme al Giappone, ha la popolazione più anziana del mondo, come se fosse una colpa degli anziani che vivono troppo. Il motivo è la scarsa natalità, ovviamente, ma non entriamo in questa sciocca polemica. I paesi che non rispettano gli anziani, sono quelli che non hanno memoria. Oggi voglio parlare di un libro di poesie di un autore di quella generazione che ha vissuto sulla sua pelle la Seconda Guerra Mondiale. Nato a Santarcangelo nel 1923 e che oggi, se fosse ancora vivo, avrebbe 97 anni. Sto parlando di Nino Pedretti. La raccolta Al vòusi e altre poesie in dialetto romagnolo fu pubblicata nel 2007 da Einaudi nella prestigiosa collana bianca della poesia, in cui è pubblicato anche l’altro grande poeta e concittadino Raffaello Baldini. Le poesie di Pedretti sono semplici e intense, ci parlano di un mondo che non c’è più, quello dei nostri nonni, e lo fa con una lingua, il dialetto, che oggi è quasi scomparsa. È una poesia legata al mondo contadino, al modo di fare di una volta, con il suo ritmo lento e un po’ diffidente verso le novità che vogliono cancellare le piccole cose, a discapito delle grandi, o presunte tali. Diverse poesie parlano proprio dell’anzianità come “E’ vèc”, in cui un anziano dice ai giovani di non chiedergli se ha fatto qualcosa o se è andato da qualche parte, perché lui è da un pezzo che non va da nessuna parte. “Vado avanti pianino”, “mi succhio un’arancia”. Un’altra, a cui sono affezionato, si intitola “Non lo saprà nessuno” e recita così:
“Lost in the Supermarket” (Ravenna) di Adriano Zanni
TUTTA UN’ALTRA MUSICA
FULMINI E SAETTE
VISIBILI E INVISIBILI
Non lo saprà nessuno Che abbiamo vissuto, che abbiamo toccato le strade coi piedi che andavano allegri, non lo saprà nessuno. Che abbiamo visto il mare dai finestrini dei treni, che abbiamo respirato l’aria che si posa sulle sedie dei bar, non lo saprà nessuno. Siamo stati sulla terrazza della vita fintanto che sono arrivati gli altri. * direttore ScrittuRa Festival
GUSTO / 21 16-22 aprile 2020 RAVENNA&DINTORNI
RISTORAZIONE
COSE BUONE DI CASA
Delivery e “piatto sospeso” a casa con Ravenna Food
A cura di Angela Schiavina
Garganelli agli asparagi (gluten free) Ecco una ricetta vegetariana che mi ha suggerito Nicoletta Airenti, un'amica insegnante Aici: garganelli (o maccheroni al pettine) di farina di ceci (gluten free).
Primi passi di progetti condiviso per far crescere una moderna gastronomia
Progetto RavennaFood, estensione locale di “CheftoChef emiliaromagnacuochi”, è definitivamente decollato dopo le sperimentazioni del 2019. Una progettazione condivisa ha portato un gruppo di cuochi, insieme con i loro fornitori locali di punta, a lavorare in modo coordinato per garantire un’interfaccia credibile nei confronti delle istituzioni, delle realtà culturali e dell’associazionismo categoriale. CheftoChef è un’associazione culturale che guarda all’innovazione come unica strada per avere successo, anche come impresa. Un’innovazione che richiede competenza e cultura anche per riflettere la specificità di una Ravenna che offre, non solo in termini di potenzialità gastronomiche, complesse e uniche suggestioni. Il selvatico, storia antica di Ravenna, che da noi si identifica nel pesce di valle e di mare, nei prodotti della pineta, nella selvaggina “da piuma”. La pasta fresca e la piadina. Le razze di carne romagnola. Tutte suggestioni che rischiano l’oblio gastronomico se tutti insieme non progettiamo un loro vitale “recupero” in sintonia con la preservazione di magici ambienti. Una delle prime “uscite” di RavennaFood è il progetto “Mangiare a Casa” gestito da cuochi e produttori virtuosi che fanno “consegne a domicilio” in modo coordinato. Questa iniziativa consente di portare anche ad indigenti un pranzo finanziato dai clienti che possono offrire un “Piatto Sospeso” al momento dell'ordinazione. Una prima azione attivata a Pasqua, con la consegna, da parte dei nostri chef, di un pasto ad indigenti segnalati da “housing
Ingredienti: 100 gr. di farina di ceci denaturata, 1 uovo, un cipollotto fresco, un caspo di asparagi, pecorino stagionato, sale e pepe
I cuochi, gli esercenti e i produttori di Ravenna Food
first” che collabora con RavennaFood, insieme al Consorzio “Il Solco” e Caritas di Ravenna. Numerose associazioni che fanno parte del progetto “Ecologia di Comunità” sostenuto dal Comune di Ravenna sono parte attiva della dimensione sociale di “Mangiare a Casa”, anche per garantire assenza di sprechi e il massimo della trasparenza. Un progetto che vuole diventare stabile, sviluppando un servizio in più per le imprese ristorative e lavorando per contrastare la povertà alimentare e che ha bisogno anche di una solidarietà attiva della cittadinanza. Matteo Salbaroli RavennaFood/CheftoChef emiliaromagnacuochi Di seguito gli esercizi che hanno attivato il servizio delivery disponibili anche per il servizio di “piatto sospeso”: M. Luongo e J. Mutti di (Akamì Casa&Bottega); M.Salbaroli (Cucina del Condominio); V. Marchesini (Marchesini Gastronomia e Primo Piano); P. Cellarosi (Radici Cucina e Cantina); D. Baruzzi (Insolito Ristorante - Russi); A.Ricci (Ristorante Molinetto); M.Colanzi (Alighieri Caffé e Cucina).
Preparazione della pasta: prima di tutto va denaturata la farina di ceci. Porre la farina in una teglia e lesciarla in forno a 90° per 3 ore. Conservare la farina che non si utilizza in barattoli chiusi. Il processo di denaturazione della farina di ceci, e di altri legumi, determina una diversa struttura delle proteine ed è utile per rendere l’impasto più elastico e lavorabile anche in assenza di glutine. Impastare la farina di ceci denaturata con l’uovo e, se occorre, aggiungere un goccio d’acqua. Far riposare l’impasto ben coperto con pellicola. Stendere la pasta in strisce con la sfogliatrice (penultimo buco). Tagliare poi le strisce in quadratini 3 per 3 cm, appoggiarli sul pettine e arrotolarli, di sbieco, attorno al manico di un cucchiaio di legno formando un cilindretto. Preparazione del sugo: far appassire un cipollotto a rondelle in un filo d’olio, aggiungere gli asparagi tagliati a rondelle (tranne le punte), salare e pepare. Far cuocere a vapore le punte degli asparagi. Lessare i garganelli, condirli con gli asparagi, un po’ d’acqua di cottura e il pecorino gattugiato.
LO STAPPATO A cura di Fabio Magnani
Un corposo rosso argentino Ci trasferiamo, virtualmente, in Argentina per assaggiare un vino dell’azienda “Trapiche” e versiamo nel calice il “Finca Laborde Edición Limitada Cabernet Sauvignon” 2015. Al naso è attraente con aromi di sotto bosco e floreali con note di piccoli frutti rossi. Il palato largo con tannini importanti cui serve ancora tempo per levigarsi. Chiude tra sentori di spezie, prugne e more e sfumature di liquirizia. Un vino che può rimanere in cantina fino al 2025. Da abbinare alla cacciagione.
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Amarena con amarene di Vignola
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22 / LETTORI RAVENNA&DINTORNI 16-22 aprile 2020
IL RACCONTO #IORESTOACASA Le vostre foto e i vostri racconti per stare in casa distanti, ma insieme Mai come in questo momento sentiamo il bisogno di stare in contatto, di sentirci vicini, perché costretti alla lontananza. E così abbiamo pensato di chiedere ai nostri lettori di mandarci un racconto che fosse autobiografico o di fiction (giallo, horror, rosa o quello che vi pare) sul tema “il contagio” (massimo 3500 battute). E abbiamo anche invitato tutti a mandarci foto della loro quarantena in casa, tra passatempi, momento di creatività e anche (inutile negarlo) di un po’ di noia. Ma stare in casa è importante adesso e dobbiamo farlo tutti. Non per questo, appunto, non possiamo non restare in contatto. Scriveteci e mandateci foto, questa pagina è per voi. Vi aspettiamo all’indirizzo redazione@ravennaedintorni.it o tramite la nostra pagine Facebook.
Il coronavirus non spaventa il gatto di Alberto Giorgio Cassani
Ogni maledetta domenica di Daniele Rondinelli
Inizio anni Venti. Era una domenica d’inverno quando i primi casi di Corona virus si manifestarono in Italia, inverno che peraltro, aveva già le valige sulla porta. Le ombre erano ancora oblunghe e terse ma l’aria scaldata dal sole era gradevole. Era tutto pronto per la nuova collezione primavera/estate e la fioritura come la movida stavano per “sbocciare” quando d’improvviso dopo… potrebbe essere troppo tardi divenne una consapevolezza inadeguata e i comportamenti conseguenti proibiti. Si era aperta una parentesi storica con prepotenza e senza indulgenza in cui l’umanità si ritrovò immersa nella globalità per davvero. La pandemia, ovvero una cosa simile alla guerra mondiale, obbligò a vivere isolati. L’OMS lo indicava come l’unico espediente in grado di rallentare la diffusione del virus. Oltre ai contagi proliferarono le zone rosse, i DPCM e gli #. Tutti celavano tra le righe un imperativo: fare domani quello che si potrebbe fare oggi! Sui piatti della bilancia salirono da un lato: progetti e nuove idee smart, sull’altro: preoccupazioni e fragilità analogiche. Fu un periodo in cui, all’interno della parentesi, si riscrisse in parte il futuro in attesa che la convessità verso destra divenisse un emoticon sorriso, chiudendola per sempre. La velocità di trasmissione obbligò ad assumere comportamenti che di umano avevano poco o nulla e costrinse le comunità a farlo in tutta fretta ribaltando tra gli altri due paradigmi fondamentali: lo spazio e il tempo. Prima di quel punto di svolta in cui oltre al virus mutarono gli atteggiamenti c’era spazio ma si rincorreva il tempo. Dopo di che, d’improvviso, il tempo apparve, ma era lento e noioso e le persone su isole dai confini richiusi intorno a loro furono costrette a vivere come numeri primi e a morire senza nemmeno un ultimo saluto e si ritrovarono ad “ammazzare” il tempo. In realtà senza socialità alcune professioni divennero frenetiche mentre per altre la luce sfumava nel buio senza i rumori dell’abitudine, senza disordine e le loro giornate passavano in moratoria, nell’attesa di… Emersero lati, chi riscopriva, chi si scopriva e chi si nascondeva. Si festeggiarono compleanni su Zoom, si moltiplicarono le lezioni online e le degustazioni virtuali. Nacquero improvvisati flash mob in cui le persone si riconobbero come lo fecero in messaggi di speranza come andrà tutto bene mentre sviluppavano nuove dipendenze: gli aggiornamenti dei bollettini e le rassicurazioni delle massime cariche istituzionali che continuavano a sostenere che era tutto sotto controllo, anche quando la progressione diceva il contrario. La parentesi finalmente si chiuse quando l’inverno riprese il suo turno, il mondo si riaprì, il tatto tornò ad abbracciare gli altri sensi e nella medesima stagione in cui tutto aveva avuto inizio, il virus scomparve allo stesso modo di come era apparso. La sanità al collasso contò i suoi morti e il mondo economico lo fece poi quando fu colpito dall’epidemia dell’insolvenza e della decrescita infelice. L’uomo come per sua natura cercò delle spiegazioni a tutti i livelli. Il mondo scientifico, quello religioso, il filosofico e perfino l’occulto si posero domande a cui non riuscirono a dare risposte. Tempo e spazio si riequilibrarono e avendo un cervello privo di stupidità tra la destra e la sinistra lanciarono un monito all’umanità utilizzando una frase tratta dal film “Ogni maledetta domenica”: O vinceremo come collettivo o perderemo come singoli individui.
Nozze d’oro per Carla e Raul al tempo del Covid Da Carla Savorelli
Giochi al tempo del Covid-19 Da Federica Benelli
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Appartamento ad angolo al 1°P. con giardino e garage, ottime finiture: ampio soggiorno 32 mq con cucina a vista, letto matrim., letto doppia con affaccio sul balcone, bagno, ripost./dispensa e graziosa soffitta, accessibile da scala in arredo. Possibilità di mantenere l’arredo. Cert. energ. in corso € 148.000,00
Appartamento al p.t., ingresso indip.; soggiorno con ang.cott., disimp./lavand., bagno, camera matrim. e singola; garage e cantina, corte ad uso esclusivo fronte e sul retro. Ottime finiture, riscald. a pavimento, aria condiz., allarme, pannelli solari e zanzariere. Possibilità di mantenere l’arredo. Cert. energ. in corso € 170.000,00
Appart. 1° ed ultimo piano con garage in complesso di sole 4 unità, ottime finiture; soggiorno con ang.cott. e balcone/loggia abit., letto matrim. e singola, bagno, ripost./lavand., graziosa mansarda in parte abit., accessibile da scala in arredo, predisp. per 2° bagno. No spese condominiali. Possibilità di mantenere l’arredo. Cl. En. “C” € 185.000,00
SANTO STEFANO
S.P. IN VINCOLI (RA)
S.P. IN VINCOLI (RA)
Appartamento ad angolo 1°P. con giardino e garage, ottime finiture; soggiorno con cucina a vista e loggia, disimpegno, camera da letto matrimoniale, camera singola, bagno; cantina al piano seminterrato, corte ad uso esclusivo con pergolato e irrigazione automatica. Possibilità di mantenere l’arredo. Classe energetica “C” € 168.000,00
Villetta angolare con giardino piantumato. P.T.: ampio soggiorno con ang. cott., bagno, ripost./lavand.; 1°P.: camera matr. con cabina armadio, camera doppia, bagno; mansarda accessibile da scala in arredo in legno, utilizzato come 3a letto; balcone fronte/retro, posto auto doppio di proprietà, ottime finiture, inferriate, zanzariere, allarme e camino in muratura nel soggiorno. Cl. en. “C” € 225.000,00
Grazioso appartamento con garage, recente, bella zona residenziale. 1°P.: ampio soggiorno con cucina a vista, camera matrimoniale e bagno; 2°P.: mansarda mq 40ca. ora adibita a lcamera da etto doppia con bagno/lavanderia; doppio balcone, terrazzo abitabile con pergolato. Possibilità di mantenere l’arredo cucina. Cl. en. “E” € 130.000,00
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