R O M A G N A & D I N T O R N I
FREEPRESS Mensile di cultura e spettacoli marzo 2017 n.26 ROMAGNA&DINTORNI
Manuel Agnelli – qui in una foto di Gigi Pesenti – con i suoi Afterhours è tra i big della scena rock italiana attesi in Romagna nel mese di marzo
MARZO 2017
NEL SEGNO DEL ROCK ITALIANO I PROTAGONISTI DELLA SCENA MUSICALE ATTESI DAL VIVO NEI CLUB DELLA ROMAGNA ALL’INTERNO musica • teatro • libri • arte • cinema • gusto • junior
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ISSN 2499-0205
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SOMMARIO
L’ EDITORIALE
• MUSICA Intervista agli Afterhours ..........pag. 4
L’autocensura, una sconfitta per tutti
• TEATRO La parola a Ottavia Piccolo........pag. 12 • CINEMA L’esperto d’animazione..............pag. 19 • LIBRI Il neoromagnolo Maggiani.........pag. 20 • ARTE Art Déco a Forlì: la recensione..pag. 24 • JUNIOR L’ecomuseo delle erbe palustri..pag. 29 • GUSTI La tradizione dei salumi.............pag. 30
È successo di nuovo e sta succedendo con una frequenza che forse merita un po’ di attenzione. Per Saviano a Forlì è stato il presunto obbligo per gli studenti ad acquistare il libro per partecipare all’incontro con lo scrittore, anche se resta forte il sospetto che fosse perché proprio di Saviano si trattava, e non di un altro. Ma per evitare strumentalizzazioni, l’autore di Gomorra ha rinunciato e verrà, chissà, in un’altra occasione. Poi c’è stato Fa’afafine, lo spettacolo per ragazzi sull’identità sessuale fluida. Arrivato a Ravenna e proposto nelle scuole al mattino è stato attaccato preventivamente (un po’ come accaduto nel resto d’Italia). Per fortuna lo spettacolo si è tenuto ugualmente ma ci sono stati dirigenti e insegnanti che per evitare polemiche e guai hanno preferito rinunciare, semplicemente non andare. Ora arriva la vicenda di Bello Figo, rapper che i leghisti hanno bollato come “razzista nero” per i suoi testi dall’intento (più o meno riuscito) provocatorio. Era stato invitato in una discoteca di Lugo, tempo che i leghisti locali se ne accorgessero e alzassero la voce e il locale che avrebbe dovuto ospitarlo ha fatto marcia indietro. No grazie – hanno detto – troppi problemi. Sono vicende diverse eppure con qualcosa in comune: qualcuno alza (legittimamente) la voce, qualcun altro, anche se non è d’accordo, decide che è meglio evitare problemi. Ora, siamo sicuri che sia davvero normale tutto ciò? Ognuno naturalmente ha il diritto di andare o non andare, leggere o non leggere, esprimere pubblicamente le ragioni per cui ama o trova insopportabile qualcosa. Nessuno dovrebbe invece sognarsi di dare ragione a chi grida più forte, a chi minaccia, a chi “potrebbe creare problemi”. Perché questo significa che allora un problema ce lo abbiamo già, e bello grande anche. Perché prima di arrivare alla censura (vi ricordate il sindaco di Venezia che aveva stilato l’elenco dei libri non ammessi nelle materne?), esiste il rischio ben più concreto dell’autocensura. Una sconfitta per tutti.
HENDERSON, RAVA, SCOFIELD, SOSA: TORNA CROSSROADS Quasi cento giorni di musica on the road: riparte il viaggio di Crossroads, festival itinerante organizzato da Jazz Network in tutta l’Emilia-Romagna. Tra gli ospiti più importanti il chitarrista e compositore americano John Scofield – nella foto di Massimo Serena Monghini – in concerto lunedì 20 marzo al teatro Novelli di Rimini. Ecco gli altri concerti del mese in Romagna: venerdì 3 Gianluca Petrella e Giovanni Guidi all’Auditorium di Fusignano; mercoledì 8 Karima Quintet alla sala del Carmine di Massa Lombarda; venerdì 10 Musica Nuda (Petra Magoni e Ferruccio Spinetti) al teatro degli Atti di Rimini; domenica 12 Omar Sosa e Seckou Keita al teatro Goldoni di Bagnacavallo; il trombettista americano Eddie Henderson il 16 marzo con Piero Odorici all’oratorio dell’Annunziata di Solarolo; venerdì 17 Enrico Rava e Roberto Taufic ancora a Fusignano; giovedì 23 i Quintorigo con Roberto Gatto a Fusignano; venerdì 24 Alessia Obino Cordas a Massa Lombarda e venerdì 31 sempre a Fusignano Daniele Di Bonaventura e Giovanni Ceccarelli. Sui prossimi numeri gli approfondimenti; info e programma completo: www.crossroads-it.org
R&D Cult nr. 26 - marzo 2017
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Fabbri, Francesco Farabegoli, Nevio Galeati, Sabina Ghinassi, Enrico Gramigna, Giorgia Lagosti, Linda Landi, Fabio Magnani, Filippo Papetti, Guido Sani, Angela Schiavina, Serena Simoni, Elettra Stamboulis. Redazione: tel. 0544 271068 redazione@ravennaedintorni.it Poste Italiane spa Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. di legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB C.R.P.- C.P.O. RAVENNA
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MUSICA L’INTERVISTA
di Luca Manservisi
Sull’onda del successo forse neppure del tutto previsto ottenuto in veste di giudice televisivo all’ultima edizione di X Factor – andata in onda tra l’autunno e l’inverno su Sky – Manuel Agnelli si appresta a tornare in tour con i suoi Afterhours, storica rock band milanese da lui fondata negli anni ottanta e che ha ininterrottamente continuato a calcare le scene fino all’uscita la scorsa primavera di Folfiri o Folfox. Si tratta del loro ottavo disco in studio (considerando solo quelli in italiano), un doppio album di non certo facile fruizione ma in grado di debuttare direttamente alla prima posizione della classifica dei dischi più venduti in Italia. Il nuovo tour farà tappa il 12 marzo agli Altromondo Studios di Rimini e per l’occasione abbiamo intervistato una colonna portante di questi nuovi Afterhours, il violinista e compositore Rodrigo D’Erasmo, entrato in formazione nal 2008 con alle spalle numerose esperienze e diventato una sorta di braccio destro di Agnelli anche nell’avventura televisiva da poco (almeno momentaneamente) terminata. Rodrigo, togliamoci il dente e partiamo proprio da X Factor. Il bilancio? «È stata una sfida tutta nuova, in un mondo che non conoscevo. Da una parte è stato devo dire davvero esaltante, perché dal punto di vista della produzione e dei mezzi a disposizione è stato possibile lavorare con l’eccellenza e anche per questo è diventato sicuramente il programma televisivo più importante in campo musicale. Poi c’è stato anche un lato negativo, legato allo stress per gli impegni serrati e le pressioni fino a quel momento sconosciute che esulano dal campo strettamente musicale. Per me è stato sicuramente difficile per esempio comunicare via mail le basi da realizzare per le performance dei nostri artisti, ho invidiato il mio collega che lavorava con i gruppi (a X Factor ogni giudice lavora con una sola categoria, ndr), in una vera sala prove». Lavorare con gli Over 35 vi ha però permesso di avere a che fare con artisti già formati... «Formati musicalmente e soprattutto umanamente. Ed è nato qualcosa di bello, visto che ora Andrea Biagioni (uno dei concorrenti affidati al giudice Manuel Agnelli a X Factor, ndr) aprirà le date del tour degli Afterhours mentre Eva (un’altra degli allievi di Manuel, ndr) – di cui stiamo producendo il disco nuovo – quelle di Carmen Consoli, che abbiamo portato a X Factor per un duetto molto emozionante. E si tratta, voglio sottolinearlo, di scelte del tutto nostre, che non ci ha imposto nessuno». Il prossimo anno quindi lo rifarete? «Se Manuel dovesse decidere di continuare sì, ci sto, anche perché come coppia alla prima esperienza del genere abbiamo funzionato bene».
Gli Afterhours tra rock e X Factor Parla Rodrigo D’Erasmo, braccio destro di Manuel Agnelli anche al talent show di Sky IL TOUR IL 12 MARZO A RIMINI L’unica data in Romagna del nuovo tour degli Afterhours è in programma il 12 marzo agli Altromondo Studios di Rimini (via Flaminia 358). Apertura porte alle 20, live dalle 21. In apertura Andrea Biagioni di X Factor.
Gli Afterhours nella loro ultima e attuale formazione. Da sinistra: Xabier Iriondo, Fabio Rondanini, Manuel Agnelli, Roberto Dell'Era, Rodrigo D'Erasmo e Stefano Pilia
Ora però è di nuovo tempo di tour con gli Afterhours, dopo quello estivo. Saranno concerti diversi? «Sì, l’estate scorsa il nuovo album era appena uscito ed essendo anche piuttosto complicato non abbiamo voluto appesantire la scaletta con troppi pezzi nuovi. In questo tour riproporremo invece per intero Folfiri e Folfox, anche se non di seguito come va di moda ora, ma intervallato con canzoni vecchie, anche perché non è un ascolto così semplice...». Dalle tue risposte lo si è già capito, ma parlami di questo disco, così apparentemente legato a Manuel nelle tematiche, ma musicalmente molto figlio di una band allargata... «A distanza di qualche mese ci sto rientrando dentro, lo sto studiando in vista del tour e ne sono davvero orgoglioso. La parte musicale è stata composta infatti direttamente da me e Manuel, con il contributo poi in prima battuta di Fabio Rondanini (il nuovo batterista, arrivato dai Calibro 35, ndr) e abbiamo cercato infine di sfruttare tutta la varietà di suoni della band, un pezzo per volta, a strati, senza mai lavorare tutti insieme contemporaneamente, ma completando ognu-
no la propria parte, un po’ come nella composizione classica. Il risultato è comunque molto adatto a essere suonato live, molto fisico». Il tutto con una band che è forse la migliore della lunga storia degli Afterhours. «Ognuno credo si possa dare una risposta. La mia è che probabilmente questa è davvero la formazione migliore da un punto di vista sonoro e tecnico, con un ventaglio di possibilità enormi e musicisti che sono in qualche modo costretti anche a limitarsi per restare nei canoni, pur molto liberi, della band». Cos’erano per te gli Afterhours prima di entrarci e cosa sono diventati ora? «Prima sinceramente non li conoscevo quasi per niente, se non di fama. In quel periodo ero in tour con Cesare
Basile, amico di Manuel, ed è nata questa possibilità. Ho così approfondito il loro lavoro e conoscendoli ho capito che la loro sensibilità musicale era la mia. Con gli Afterhours sono cresciuto anche come autore, fino a comporre insieme a Manuel l’ultimo disco. La forza degli Afterhours è proprio quella di essere rimasti se stessi nel cambiamento. Nel caso del mio strumento, il violino, rispetto a quello precedente (di Dario Ciffo, ndr) con un suono per certi versi simile a quello di un synth, è stata proprio un’indicazione di Manuel quella di puntare sulla distorsione, sulla scia di Warren Ellis nei Bad Seeds di Nick Cave per intend e r c i . Cambiando spesso formazione, anche il suono si rinnova». Oggi cosa comporta essere per molti la più grande rock
«In tv è stato esaltante
e stressante: lo rifarei Stiamo ancora lavorando con i nostri concorrenti
»
«Questa è la formazione
migliore della storia della band dal punto di vista sonoro e tecnico
»
band italiana di tutti i tempi? Con l’ultimo disco avete dimostrato che è ancora possibile non scendere a compromessi ottenendo comunque successo di vendite... «Sì e non credo c’entri niente X Factor, perché in quel momento Manuel non era ancora noto al pubblico televisivo». Sembra quasi che abbiate voluto fare un disco più per la critica che per il pubblico... «In realtà abbiamo fatto un disco per noi e basta, poi è piaciuto alla critica e gli Afterhours possono contare su una grossa base di fan». Nonostante in Italia il rock non sia più il centro della scena alternativa italiana, come lo è stato invece negli anni novanta... «Pur non avendola vissuta in prima persona, quella però era una scena vera, fatta di collaborazioni e di intenti comuni, ne sono la prova esperienze come il Tora! Tora! (festival itinerante ideato da Manuel Agnelli allo scopo di riunire un po’ tutta la scena alternative italiana, ndr), che non per nulla oggi non esiste più. Oggi, invece, complice anche il web e il mondo virtuale, non esiste una vera scena, ma una serie di artisti che vengono accumunati più per amicizie o zone di provenienza. E sì, il rock non è più in primo piano ma un concerto rock per me continua a essere un’esperienza che non ha eguali, paragonabile a un’orchestra che suona Mahler. Quello che possiamo fare noi come Afterhours, per tornare alla tua domanda iniziale, è continuare a celebrare questo rito, a modo nostro...». Chissà se ai prossimi concerti arriveranno però anche ragazzini che con il rock finora non hanno mai avuto a che fare, semplici fan del giudice Manuel di X Factor... «Ci ho pensato, ma non credo. Certo, un po’ di pubblico nuovo me l’aspetto, di quelli che hanno apprezzato Manuel e sono andati a recuperare quello che fa e ha fatto nella sua carriera, ma niente di clamoroso, non credo che il pubblico generalista possa apprezzare quello che facciamo e che possa arrivare addirittura a comprare il biglietto per un concerto... Questo sì, ormai, un gesto quasi rivoluzionario». Suonerete a Rimini, dove pochi mesi fa avete partecipato alla grande festa d’addio del Velvet... «È stato molto emozionante, ritrovarci tutti insieme, con i ragazzi del Velvet, Samuel (dei Subsonica, ndr), Cristiano (Godano, dei Marlene Kuntz, ndr), per salutare un luogo che nella storia della cultura italiana meno allineata resterà comunque vivo per sempre...».
MUSICA
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L’INTERVISTA
Il rapper che insegna al liceo e fa dischi ispirati al naturalismo francese Murubutu a Rimini: «Spero che chi mi ascolta
Alessio Mariani, in arte Murubutu
AGENDA RAP: LOWLOW
AL
KOJAK
Il rapper romano campione di vendite Lowlow sarà in concerto al Kojak di Porto Fuori (Ravenna) sabato 18 marzo.
ELETTRONICA
AL
GROTTA ROSSA
Il 5 marzo fa tappa al Grotta Rossa di Rimini il tour italiano del musicista di origine russa Dmitry Distant con la sua elettronica sperimentale.
Alessio Mariani, in arte Murubutu, è uno dei rapper più originali e atipici della scena italiana. Professore di storia e filosofia in un liceo di Reggio Emilia, suo luogo di nascita, è in giro dai primi anni Novanta con il collettivo La Kattiveria, e dopo una lunga gavetta nell’underground è riuscito a imporsi in tutta Italia grazie a uno stile unico che unisce un flow complesso e serratissimo, tecnicamente all'avanguardia, con liriche d'ispirazione letteraria dense di immagini e metafore. I suoi ultimi due album – con la copertina che riprende la grafica degli Oscar Classici Mondadori – sono già un culto, e i suoi live, accompagnati dal campione di scratch Dj T-Robb ai giradischi, sono sempre uno spettacolo da non perdere. Lo abbiamo intervistato in occasione del concerto del 25 marzo a Casa Madiba, in quel di Rimini. Ti faccio una domanda che ti avranno fatto in mille, ma che non posso non farti. Come coniughi il tuo mestiere di professore con l'attività di rapper? «Nel mio lavoro per forza di cose devo studiare tantissimo e quindi trovo sempre nuovi spunti da inserire nei testi, e questo sicuramente dà una curvatura molto culturale al mio rap. Io lo chiamo rap didattico: perché spero che i miei ascoltatori siano spinti ad approfondire le tematiche di cui tratto nei miei brani». E riguardo al rapporto con i ragazzi, invece? «In realtà sono piuttosto tradizionale. Cerco di tenere ben separati rap e insegnamento. Magari per alcuni all'inizio può essere intrigante avere Murubutu come professore, ma dopo un paio di lezioni torno ad essere semplicemente il Prof. Mariani». Quali sono i principali riferimenti culturali nella tua musica?
voglia approfondire i temi Bello Figo? Non mi piace ma ora siamo di fronte a una limitazione della libertà di espressione
»
«Dal punto di vista letterario c'è sicuramente il naturalismo francese. Dal punto di vista musicale c'è invece la tradizione cantautorale italiana e ovviamente il rap, nelle sue varie incarnazioni. A livello tecnico artisti quali Method Man, Beanie Sigel, Wyclef Jean mi hanno influenzato parecchio. Mentre come sonorità mi piace molto il rap meticcio, contaminato dal soul». Il tuo stile è riconoscibile fin al primo ascolto, e senza dubbio sei uno dei rapper più originali della scena italiana. Quando ti sei accorto di aver raggiunto uno stile unico e quanto lavoro c'è stato dietro? «Ti faccio una premessa: seguo l'hip hop da tantissimi anni e ho potuto vivere tutte le fasi di questo movimento culturale in Italia, fin dagli albori. Ormai tutto questo è parte della mia vita e il rap è prima di tutto una grande passione, nonché la mia modalità di espressione. Per entrare più nello specifico posso dirti che mi è sempre piaciuto rappare in extrabeat, e anni fa
il mio stile era ancora più serrato e veloce. Col tempo poi mi sono accorto di essere poco comprensibile e ho cercato di rallentare un attimo, per scandire un po' di più i concetti. È stata un'evoluzione continua». Lo storytelling – ossia la tipologia di rap basata sul racconto di storie – è una delle tue cifre stilistiche fondamentali. Ti va di dirci qualcosa a riguardo? «Lo storytelling mi è sempre piaciuto, così come mi è sempre piaciuto il raccontare storie. Nel rap americano solitamente lo storytelling tratta di vita di strada o comunque argomenti analoghi, io invece lo utilizzo con un taglio più letterario». Cosa ne pensi delle nuove tendenze del rap – mi viene in mente la trap – che sono un po' agli antipodi rispetto alla tua proposta? «Personalmente la trap non mi piace. Ma credo sia un errore identificare tutte le nuove tendenze con la trap. In giro ci sono tantissime cose nuove, a mio parere molto più interessanti della trap». Concludo chiedendoti un parere riguardo ad un fatto accaduto a Lugo – così come in altre parti d'Italia – qualche settimana fa: l'annullamento di un concerto dello youtuber/rapper Bello Figo a seguito di alcune minacce razziste. Come ti poni a riguardo? «Non mi piace il fenomeno Bello Figo né musicalmente, né tantomeno – per così dire – antropologicamente. Credo comunque sia un'incresciosa limitazione per la libertà di espressione. Sono fatti che non vanno sottovalutati». Filippo Papetti
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MUSICA
6 CONSIGLI D’AUTORE
INDIE ITALIANO
Due dischi per tornare a immaginare il futuro
BRUNORI SAS AL VERDI Brunori Sas presenta il suo chiacchierato ultimo album “A casa tutto bene” con un concerto il 16 marzo al teatro Verdi di Cesena.
di Pieralberto Valli *
Quando abbiamo perso la capacità di immaginare il futuro? Per anni abbiamo profuso ogni energia per disegnare nuove traiettorie, cadendo e rialzandoci, per ritrovare ciò che avevamo lasciato in qualche punto del domani. Fantascienza e sperimentazione, desiderio di camminare più veloci del tempo, per svegliare il futuro prima dell'alba. Il nuovo millennio, soprattutto nel nostro paese, ha inaugurato l'edificazione di muri infiniti sulla linea del tempo; ci accontentiamo di sopravvivere, di vivacchiare, di cibarci dei bocconi del passato, rimasticandoli, ri-digerendoli, ri-vomitandoli. L'indie italiano è una sommossa di restaurazione del nulla, è una crocifissione del coraggio, è un grido di miopia. Abbiamo perso la sfrontatezza per guardare, per guardarci e immaginare? Qualcuno, prima o poi, dovrà prendere tra le mani un sasso e scagliarlo verso quel muro, per riaprire uno spiraglio in cui lanciare lo sguardo. Perché anche i personaggi di Cecità di Saramago a un certo punto si destano e ritrovano la luce. Senza un motivo preciso, senza un vero e proprio atto di volontà. Per il momento ci accontentiamo di qualche ventata inattesa, pregustando il tanto atteso ritorno. Kate Tempest - Let Them Eat Chaos Europe is lost. America lost, London is lost. Sette storie per sette personaggi sconosciuti. Cosa li unisce? Un’ora esatta: sono le 4 e 18 di notte e nessuno di loro riesce a dormire. Sono forse le uniche persone con gli occhi aperti su questa Terra? Forse, ma quel preciso istante che li accomuna incide su di loro un intreccio unico e archetipico e li avvolge proiettandoli in un tempo rappreso che rimanda agli squarci nella mente di Clarissa, in Mrs Dalloway. Kate Tempest, ragazza bianca nata in una terra storicamente orgogliosa del proprio pallore, ricama trame vomitando versi lucidi e luccicanti, che devono tanto alla tradizione poetica anglosassone. Non siamo nell'America descritta dai maestri dello spoken word – penso ai Watts Prophets o ai Last Poets – ma tra i mattoni dei sobborghi britannici, incollati al suolo dal peso di un cielo più plumbeo del solito. Siamo tra i nuovi proletari – economici, ma anche e soprattutto emotivi – che vagano con i propri telefonini in mano come lasciapassare per l'inferno. Unire gli incubi di Black Mirror al disprezzo dell'Orwell di Fiorirà l'aspidistra; inquadrare la piccola borghesia divenuta minuscola, inesistente, spazzata via da una modernità furiosa. Le vite fatte in serie che il protagonista di Orwell rifuggiva fino a un delirio schizofrenico sono le vite in forma di Ikea di un'Inghilterra che si sgretola senza reazione e si guarda intorno, sorpresa e sospesa, implorando il volto di un responsabile, di un nemico. England! England! Patriotism! Il presente è ribaltato: agli angoli delle strade, a inventare rime sotto a un lampione piovoso, non ci sono gruppi di afroamericani in cerca di riscatto sociale; c'è quella che fu la benestante classe media inglese, mentre la vita scorre via veloce, lontano. E noi? Siamo forse svegli? Un disco che ha le unghie sulla linea del presente, ma che del presente non vuole accontentarsi. Une Passante – Seasonal Beast Si torna in Italia, ma si rimane al femminile. Une Passante, siciliana trapiantata a Firenze, con Seasonal Beast traccia una traiettoria simile: unire ricerca sonora e testuale, tentare la grande fuga dal presente pur rimanendo nel presente, il proprio. Nel nostro paese volare bassi è diventato un valore da sfoggiare. Chi si fa troppe aspettative viene bollato come estremista da onorare, semmai, dopo la morte. Ma la musica non è questo. Non è questo e non lo sarà nemmeno se quattro imbecilli con i risvoltini hanno eretto un nuovo tempio ai propri idoli di cartapesta. Une Passante sceglie di osare, osa anche oltre il senso comune, cerca un luogo dove rimanere, un luogo da abbandonare. Lavora per stratificazioni infinite, scava e scava per lasciare la superficie liscia e libera da impurità. Per gli standard attuali, Seasonal Beast è un disco ostico, non immediato, costruito con meticolosa attenzione; la stessa che bisognerebbe dedicare all'ascolto. Non per fare un piacere all'autrice, ma a noi stessi. * Insegnante di inglese, nato a Cesena nel 1980, Pieralberto Valli vive e lavora a Roma e in passato ha vissuto in Inghilterra, Bosnia e Spagna. Già leader dei Santo Barbaro, il 24 febbraio è uscito per Ribèss Records il suo debutto solista, “Atlas”, all’insegna di un sofisticato pop d’autore cantato in italiano con venature elettroniche.
GIARDINI E BENVEGNU’ NEL RAVENNATE
Pieralberto Valli, già leader dei Santo Barbaro, ha pubblicato il 24 febbraio il suo debutto solista, “Atlas”
Umberto Maria Giardini (ex Moltheni) in concerto il 10 marzo all’Auditorium di Fusignano. Sotto, il leader degli Scisma Paolo Benvegnù, in versione solista il 25 marzo al Bronson di Ravenna.
EX-OTAGO E MOTTA AL VIDIA Oltre a Vasco Brondi (vedi pagina 8), in marzo al Vidia altri big dell’indie italiano: Motta sabato 11 e gli Ex-Otago (in basso a destra) sabato 25
ROMAGNA IN TOUR TITTA FESTEGGIA 25 ANNI Il ravennate Titta – noto in passato in particolare per il rock demenziale con le sue Fecce Tricolori – festeggia i 25 anni di carriera con un concerto il 12 marzo alle 16.30 al Teatro Socjale di Piangipane.
I COSMETIC
AL
LUGHÉ
I riminesi Cosmetic (poppunk-shoegaze) presentano il loro nuovo album “Core” il 25 marzo al Lughé di Lugo.
AMYCANBE AL BINARIO Gli Amycanbe in concerto il 1 marzo al Binario di Cotignola, dalle 21.
LA ROMAGNA IN CUFFIA
Moro e la sua irresistibile “rivoluzione” di Luca Manservisi Un paio d’anni fa mi colpì il fatto che Carlo Bordone ed Eddy Cilìa, due tra i critici musicali più apprezzati in Italia in ambito rock, rispondendo a un’intervista doppia pubblicata su queste pagine citassero entrambi Moro & the Silent Revolution come band italiana più sottovalutata, meritevole di essere scoperta da più persone possibili. Ovviamente non sbagliavano. E con il nuovo disco, High & Slow, non fanno altro che certificare quanto sia assurdo che – a parte ottime recensioni sulle riviste specializzate – non se li fili praticamente nessuno. In Italia, certo. Perché la Bbc li ha già trasmessi e in primavera torneranno a suonare in Inghilterra, dove il loro suono nasce e dove avrebbero fatto impazzire migliaia e migliaia di persone, fossero nati qualche decennio fa. Il forlivese Massimiliano Morini (il “Moro” della ragione sociale, accompagnato dal collaboratore storico Lorenzo Gasperoni, oltre che dal batterista Checco Girotti e ora anche dal cantautore cesenate Enrico Farnedi) è già noto agli addetti ai lavori per essere “il più grande autore italiano di folk-pop inglese” ma a questo giro con la sua rivoluzione silenziosa fa di più, in un album diviso in tre parti: la prima con le irresistibili canzoni folk-pop che ci si poteva aspettare (figlie di Beatles, Kinks, i Wilco acustici, i Go-Betweens, Robyn Hitchcock e gli eccentrici inglesi); una seconda in cui la melodia e la canzone vengono contaminate dall’elettronica senza perdere (anzi forse guadagnando) un grammo di ispirazione, con riferimenti perfino ai Radiohead o, meglio, a Stephin Merritt e ai suoi Magnetic Fields; per poi chiudere il disco con una serie di strumentali “pastorali”, per usare la parola usate dal Bordone di cui sopra, sul Fatto Quotidiano. Un epilogo rilassante, naturale, per un disco che è un piacere ascoltare e riascoltare. Moro & The Silent Revolution in marzo saranno in tour il 17 all’Aurora di Ravenna, il 19 al Borgo Est di Santarcangelo e ancor prima il 4 (dalle 17) a Bagnacavallo per l’inaugurazione di Moving Infobus, punto informativo itinerante delle politiche giovanili dell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna (info: www.radiosonora.it)
MUSICA
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BASTONATE DI CARTA di Francesco Farabegoli *
Quando è iniziata tutta questa manfrina la musica era molto diversa, andavano di moda altri suoni, altre ideologie, eccetera. La principale, parlando di rock rap ed elettronica, era quella secondo cui la commistione tra generi era tutto sommato una cosa buona. In un momento nel quale i generi puri andavano stagnando, il cosiddetto crossover sembrava in procinto di salvare tutti quanti: casse hip hop dietro musiche metal, parti rappate in canzoni rock, inserti di elettronica, uno spruzzo di musica etnica. C’è uno strano processo di rimozione collettiva su questa cosa, nel senso che dal 2000/2001 la gente ha iniziato a non volerci avere più nulla a che fare, ma negli anni precedenti molti di noi si sono comprati dischi metal con inserti casuali di ritmi latini (Puya), d&b di terza categoria con inserti di chitarroni tamarri (Prodigy) e anche di peggio. Nel magma ideologico dell’epoca erano cose che andavano bene, poi alcuni hanno ricominciato a suonare rock e metal alla vecchia e non c’è voluto molto a capire che si trattava di una marea di minchiate. Nel giro di tre anni alcuni dei più accaniti sostenitori del pantalone oversize avevano comprato un paio di Cheap Monday, e da lì in poi valeva tutto. Al di là delle questioni umanistiche, questa musica viene da quel periodo. O meglio, da un’interpretazione sbagliata e forzosa di quel periodo portata avanti da una critica musicale che s’era levata la spina dorsale dieci anni prima senza dare da intendere di aver sofferto nel farlo. Non so chi sia stato il primo a parlarne in questi termini, ma una volta messa su carta l’idea ha iniziato a spargersi a macchia d’olio. “Unire la spigolosità dei nuovi suoni del rock americano alla sensibilità della tradizione cantautorale italiana”. Se Catartica dei Marlene Kuntz fosse uscito sei anni dopo mi sarei rifiutato di ascoltarlo solo per il titolo che aveva. Nel ’94 era una cosa che – a quanto pare – aveva un suo senso. Poi è uscito Germi degli Afterhours e i giochi erano già fatti. Negli stessi anni a dire il vero io scoprivo i Crunch e roba simile: non voglio dire fossero meglio o peggio (erano meglio), ma non era fisicamente possibile ascoltare le due cose contemporaneamente. Quando ho iniziato a mettermi in casa i dischi di ‘sti gruppi, erano già diventati roba di cui sembrava obbligatorio avere almeno un’infarinatura; si erano accavallate due o tre generazioni (quella dei CSI e simili che facevano da zii, i vari After/Marlene/Subsonica/Africa Unite, e la roba successiva tipo Verdena o Perturbazione). L’idea che si potesse fare un “cantautorato rock” all’italiana, in barba ad ogni possibile senso logico, è durata almeno un decennio. Una cosa di cui non si parla spesso è il modo in cui ha ucciso l’idealismo ruock negli strati più bassi della popolazione. Per capirci, l’underground ha cambiato suono molto in fretta: le cover band che fino a sei mesi prima suonavano medley Vasco/Liga/Litfiba in birreria con al microfono un esaltato con le basette alla Pelù, nel giro di tre anni ci costringevano ad ascoltarli recitare haiku con la chitarra distorta e si imbarcavano in side-band di tributo a Tenco, De Andrè
Quando il rock si unisce alla “sensibilità della tradizione cantautorale italiana” IL CONCERTO
Marlene Kuntz duettarono con Skin quando gli Skunk Anansie erano una roba di cui si parlava); Ferretti perdeva TORNANO LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA: VASCO BRONDI PRESENTA IL NUOVO DISCO IL 17 A CESENA la brocca, si consegnava al cattoliSono diversi gli artisti citati cesimo spinto e dava alle stampe il nel pezzo di Farabegoli di suo miglior disco di sempre, questa pagina a fare tappa Co.Dex. Tutti gli altri iniziarono un in Romagna nel mese di pellegrinaggio senza senso nelle marzo (vedi anche pagine 4 lande della post-ideologia musicae 6). In particolare segnaliale. A metà anni duemila uscì mo qui il concerto di Socialismo tascabile degli Offlaga, venerdì 17 marzo al Vidia di che oltre a essere divertente si Cesena della band di Vasco legava un po’ vagamente a questa Brondi che presenta il suo idea, e fece piazza pulita di connuovo disco (il quarto di inesensi. Quello che sbancò tutto, in diti) a nome Le Luci della ogni caso, fu un ragazzetto che Centrale Elettrica con cui è faceva il barista in un posto verso diventato una sorta di icona Poggio Renatico e aveva messo su degli anni zero nell’ambito questo progetto scalcagnato in alternativo, in Italia. cui cantava strofe senza senso Atteso per il 3 marzo, l’alLo scatto più celebre che accompagnandosi con una chibum si intitola “Terra”, esce ha fatto conoscere Vasco tarra acustica. In quegli anni il ancora per La Tempesta Brondi, in arte Le Luci MEI lo facevano ancora alla fiera della Centrale Elettrica Dischi a tre anni dall’ultimo di Faenza; i gruppi suonavano in “Costellazioni”, e oltre al condizioni di fortuna, nella metà disco conterrà anche un di destra del palco, mentre a sinilibro, una sorta di diario di stra c’era il soundcheck del gruplavorazione degli ultimi mesi po successivo. Lui si prese male e di registrazioni. salì a suonare senza microfono, su un banchetto di dischi. Sono quelle cose che se le hai viste ne parli a distanza di giorni, la versione alla caro Rino Gaetano. Da un certo punto di zione di alternativi all’italiana ha covadisco riuscì ad intercettare lo spirito del bonara di quella volta che diedero del vista era comprensibile che prima o poi to una seconda generazione di wannatempo in un modo che nella comunità giuda a Bob Dylan. Il disco uscì per la questa cosa portasse all’unica logica be-cantautori. Le teste di serie sono da indie non s’era visto dai tempi di Hanno conclusione di questa avventura: stante identificare in Morgan (uno a cui ucciso l’Uomo Ragno. Nel frattempo la Tempesta e fu un successo, la roba che ascoltarono tutti quell’anno. Si chiache i dischi di Lucio Dalla sono roba comunque va datto atto di avere iniziavecchia guardia del rock alternativo itatendenzialmente incredibile e i dischi to a menarla con i Battiato e i Claudio liano cercava di adeguarsi, allentando i mava Le Luci Della Centrale Elettrica. dei Marlene sono tendenzialmente delle Rocchi prima di tutti gli altri) e nel ciclotoni della musica e provando infinite Con tutto quel che gli puoi dire, infinite palle al cazzo, la prima generane-Baustelle, un gruppo il cui primo joint-venture ai limiti del ragionevole (i quantomeno era roba onesta. Vasco Brondi suonava palesemente la musica che voleva suonare, in un modo personalissimo e – diciamo – mai sentito prima. Una volta che s’è visto quanto funzionava, il concetto di rock alternativo italiano ha praticamente smesso di esistere come concetto. La roba che ascoltiamo oggi è cantautorato puro, che sia roba con aspirazioni alla De Gregori (Brunori SAS), tardovendittismi da supermercato (TheGiornalisti) o maldestri tentativi di fare quando va bene il Tenco o il Jacques Brel (Capovilla) e quando va male Claudia Mori (ancora i Baustelle), il tutto modelLocale consigliato dalla lato su una fantomatica età dell’oro direzione di Jazzenatico dove i padri spirituali di questa roba per le cene prima degli riempivano gli stadi, portavano soldi all’etichetta e con ogni probabilità riueventi o per terminare scivano perfino a scopare. È così che le serate davanti ad un siamo finiti nella palude concettuale di buon bicchiere o un piatto un costante tributo ad un passato che in compagnia degli fino a vent’anni fa eravamo felicissimi di esserci scrollati di dosso, e che oggi artisti e dei musicisti continua a tornare a chiedere il proprio della rassegna tributo. Così adesso quando sento che uno di questi nomi viene a suonare in zona mia metto metaforicamente mano alla pistola e cerco forsennatamente quel disco degli Entombed che Alla Piccola Corte - Viale Mazzini 43 - Cesenatico tengo sempre in macchina – o almeno Tel. 338 3969700 - Aperto tutti i giorni pranzo e cena Lo Stato Sociale, che quantomeno si degnano di buttar tutto in caciara. Altro che “la sensibilità della tradizione cantautorale italiana”.
17/3 THE INDIANS NEW ORLEANS
* fondatore e autore del blog Bastonate
R&DCULT marzo 2017
MUSICA
8 ROCK CLUB
UN DISCO AL MESE
L’hardcore come stile di vita Dalla storia al contemporaneo di Bruno Dorella *
Counterparts - Tragedy will find us (2015) È giunta l'ora di affrontare l'argomento hardcore. Questa musica ha segnato più di ogni altra il mio modo di essere e di vivere, l’ho amata profondamente durante l’adolescenza e per molti anni dopo. L’ho scoperta per caso nel 1991, quando credevo che i Sepultura fossero il gruppo più duro sulla terra. Un amico mi mette sulla testa le sue cuffie, e mi dice «ascolta questo». Erano i Bad Brains, e il mio cervello ha fatto boom. Quello stesso sabato sera ho assistito al mio primo concerto hardcore, e centinaia ne seguiranno. Sick Of It All, Gorilla Biscuits, Youth of Today, Agnostic Front, e poi Snapcase, Madball, insomma tutto quello che si suole definire “hardcore old school” è stata la mia scuola di attitudine. Mi piaceva il modo di questi gruppi di stare sul palco, il fatto che si percepisse nettamente che il gruppo, il pubblico, il posto in cui si suonava, i banchetti con i dischi al concerto, facessero tutti parte di una cosa unica, una famiglia con valori e idee comuni, un'energia che funzionava in maniera esplosiva quando questi elementi si incontravano. Negli anni mi sono interessato anche ad altri rami della questione, come hardcore melodico (Nofx e compagnia), new school (Earth Crisis eccetera), crust (altra influenza importantissima per me, ma che va ricollegato più al mondo del punk) e persino alla deriva metalcore, che ha espresso gioielli come Converge o Dillinger Escape Plan, ma anche un sacco di mondezza. Ed è qui che, circa a metà dei 2000, ho perso un po' interesse per il genere, che era diventato maniera, e in cui erano entrati massicciamente germi di machismo che mi respingevano molto da una parte, mentre dall'altra le melense influenze del cosiddetto emocore mi facevano venire il diabete. Il genere che era riuscito a passare dai Minor Threat ai Fugazi, che aveva conosciuto l'incredibile evoluzione dei Neurosis, era diventato paccottiglia. Saluto quindi con gioia una nuova ondata di gruppi che sembrerebbero invece riprendere il discorso onesto del genere, suonando ovviamente più contemporanei rispetto alla vecchia scuola a me tanto cara quanto oggettivamente basica. Si tratta di nuove generazioni che hanno assimilato e digerito le influenze metalcore, emocore e melodiche, riuscendo a inserirle nel genere senza farlo suonare falso, né zuccherino, né macho, mantenendo invece un'idea di furiosa urgenza espressiva. Cito qui uno dei gruppi più credibili di questa ondata, i Counterparts, con il loro Tragedy Will Find Us. Canadesi, caratterizzati soprattutto dai testi e dalla voce realmente hardcore di Brendan Murphy. Spigolosi, veloci, inquieti, come testimoniano le vicissitudini legate ai continui cambi di formazione. In questo disco saltano all'orecchio una buona inventiva nelle linee chitarristiche così come una certa schizofrenia nelle parti ritmiche. Il tutto senza strafare, senza sfoggi di tecnica o di solismi. Un onesto disco di hardcore contemporaneo, di cui sentivo maledettamente il bisogno.
AL BRONSON LAMBCHOP E MICAH Tra gli eventi più importanti del mese al Bronson di Ravenna il concerto del 31 marzo del folksinger americano Micah P. Hinson (in apertura i cesenati Sunday Morning) in occasione della ripubblicazione a cura dell’etichetta dello stesso Bronson del disco “Micah P. Hinson and the Opera Circuit” (nella foto a sinistra la copertina della deluxe limited edition). Il resto del programma vede il 3 marzo ancora folk americano con i Lambchop di Kurt Wagner (foto in alto), il 4 il rock’n’roll dei neozelandesi Cavemen; il 10 il country-folk dell’americano Rocky Votolato e il 14 il blues degli svedesi Blues Pills.
INDIE-ROCK AL BRADIPOP Al Bradipop di Rimini il 4 marzo l’indie-rock dei milanesi Giorgieness (foto); l’11 il rock’n’roll dei riminesi Miami & The Groovers; il 18 i bolognesi Rumba De Bodas (tra latin e ska) e il 25 i milanesi L’Officina della Camomilla.
ELECTRO E DINTORNI AL DIAGONAL
IL METAL MEDIEVALE La storica band lughese Diabula Rasa sarà protagonista il 18 marzo del festival dedicato al folk-metal medievale del Rock Planet di Cervia
SURF E NOISE AL SIDRO
STELLA DIANA AL WAVE
Al Sidro di Savignano l’8 marzo serata stoner-rock con gli americani The Freaks e gli olandesi Komatsu; il 15 surf rock con la folle band tedesca The Jancee Pornick Casino (nella foto), con membri americani e russi; il 22 il noise-punk-rock dei bolognesi Cut e il 25 il duo garage napoletano The Devils
CIRCOLI ARCI
MUSICHE DAL MONDO ALLO ZAMPANÒ
CECILIA
AL
ROCK FROM USA
XIXA
MAMA’S
Tra gli eventi del mese, sabato 4 marzo al Mama’s di Ravenna l’arpa incontra l’elettronica con Cecilia (affiancata dal produttore Neda).
LE FURIE
AL
KINOTTO
Tra gli eventi del Kinotto di Borgo Masotti (Ravenna) da segnalare il 5 marzo il concerto dei toscani Le Furie (new wave-cantautorato).
ELLI
* Batterista dei Bachi Da Pietra e degli OvO, chitarrista dei Ronin, membro della Byzanthium Experimental Orchestra, felicemente ex discografico, aspirante sommelier, orgoglioso ravennate d'adozione, in attesa della giornata di 48 ore per poter finire un paio di cose.
I napoletani Stella Diana (foto) saranno con il loro shoegaze il 10 marzo al Wave di Misano che il 4 marzo propone invece una serata metal con i bresciani Sunpocrisy e i veronesi Wows
FOLKLORE
Prosegue la rassegna di musiche dal mondo dello Zampanò di Cesena. In marzo l’1 Svezia e Romagna si incontrano con Gioele Sindona e Stefano Delvecchio; il 15 musica popolare portoghese con Elisa Ridolfi e Riccardo Bertozzini; il 29 spazio alla Grecia con gli Evi Evan.
Al Diagonal di Forlì concerti dedicati in particolare all’elettronica: si parte l’1 marzo con i canadesi Pick a Piper, progetto del batterista dei Caribou; il 15 trip hop da Brescia con i Kick; il 22 ambient dalla Danimarca con Rome In Reverse; il 29 l’electro contaminata degli inglesi A/T/O/S (nella foto). Da segnalare anche l’indie-rock dei bolognesi His Clancyness, al Diagonal l’8 marzo.
DE
MON
ALL’AREA
SISMICA
Il blues della onegirlband vicentina Elli de Mon fa tappa il 4 marzo all’Area Sismica di Forlì.
Il 29 marzo alla Chiesa del Suffragio di Savignano per “Acielocoperto” concerto degli americani Xixa, con il loroi del sound del deserto dell'Arizona: rock e psichedelia con membri dei Giant Sand
ESCOVEDO Lo storico cantautore alt.country texano Alejandro Escovedo sarà con la sua band il 26 marzo alla sala del Carmine di Massa Lombarda Ad aprire Don Antonio, progetto solista di Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori
R&DCULT marzo 2017
MUSICA
10 JAZZ: IL FESTIVAL
A Cesenatico anche il batterista di Miles Davis
Fabrizio Bosso, atteso a marzo a Cesenatico e a Cattolica
Dopo l’anteprima di febbraio con Flavio Boltro, torna anche quest’anno, nella sua veste invernale, il festival “Jazzenatico” con un programma caratterizzato da un’impronta jazz più marcata – come spiega il musicista Fabio Nobile, tra gli organizzatori. A inaugurare la serie di quattro appuntamenti (tutti alle 21.30) che si terranno al teatro comunale di Cesenatico venerdì 3 marzo saranno i Minor Swingers, affermati musicisti romagnoli dediti al gipsy jazz. Seguirà giovedì 9 la performance del Trio di Stefano Bedetti (tra jazz europeo, americano e melodie del sassofonista Stefano Bedetti), accompagnato da Paolo Ghetti al contrabbasso e dallo stimato batterista statunitense John Riley, noto tra l’altro per aver militato nella formazione di Miles Davis. Con le qualità vocali di Barbara Casini andrà invece in scena un’esperienza sudamericana, giovedì 16 marzo: la cantante sarà sul palco insieme al chitarrista brasiliano Roberto Taufic e al pianista Seby Burgio. A chiudere la serie di concerti in teatro è un atteso ritorno: quello del trombettista Fabrizio Bosso, che in duo con il pianista Julian Oliver Mazzariello proporrà lo spettacolo dal titolo Tandem domenica 26 marzo. Parallelamente a questi appuntamenti, si snoderanno (sempre dalle 21.30) le esibizioni del JazzenaticOff, nei locali di Cesenatico (e per la prima volta quest’anno anche a Bellaria il 22 marzo con il quartetto Ionata-Filippini-Mussoni-Nobile nelle sale del Fabrica): al ristorante Squisito musica popolare brasiliana venerdì 10 marzo alle con il Sara Jane Brazilian Quartet; atmosfera di New Orleans con The Indians alla Piccola Corte di Cesenatico venerdì 17 marzo; gipsy jazz con il Giò Belli Jazz Manouche Trio al Cataleya di Cesenatico domenica 19 marzo (unico concerto all’orario dell’aperitivo) e infine al ristorante Zenzero di Cesenatico il Luca Di Luzio Trio (con Alessandro Scala al sax tenore) venerdì 31 marzo. Info e prenotazioni allo 0547 79255 o allo 0547 79274, dalle 10 alle 13.
JAZZ & AVANT
I SAX DELLE TIPTONS ALL’AREA SISMICA
CATTOLICA FABRIZIO BOSSO PORTA IN SCENA JACK LONDON
Domenica 19 marzo alle 18 all’Area Sismica di Ravaldino in Monte (Forlì) concerto delle Tiptons (nella foto), quartetto di sax al femminile (a cui si aggiunge Robert Kainar alla batteria) che vanta la presenza di Amy Denio e Jessica Lurie, ex componenti del rinomato Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet. Il 26 marzo sempre all’Area Sismica spazio all’improvvisazione con Sunescape, progetto del batterista Cristiano Calcagnile e di Pasquale Mirra (vibrafono e percussioni).
CLASSICA/1 IL MITO BARRUECO A CESENA
Fabrizio Bosso sarà anche il 28 marzo alla rassegna "Snaporaz d'Essai" dell’Arena della Regina di Cattolica con la sua inseparabile tromba, in scena “per Jack London” con la voce di Silvio Castiglioni e Luciano Biondini alla fisarmonica.
Direttamente da Cuba, al teatro Bonci di Cesena domenica 19 marzo arriva Manuel Barrueco, uno dei più apprezzati chitarristi al mondo. Barrueco proporrà un repertorio musicale di Enrique Granados, Fernando Sor e Manuel de Falla, in ricordo di Alberto Borghesi
JAZZ: AGENDA LA VIOLINISTA REGINA CARTER OMAGGIA ELLA FITZGERALD AL TEATRO FABBRI DI FORLÌ La più acclamata violinista jazz della sua generazione, l’americana Regina Carter, sarà mercoledì 22 marzo alle 21 al teatro Fabbri di Forlì con il suo abituale quartetto per un omaggio ad Ella Fitzgerald, nel centesimo anniversario della nascita. Partita dalla musica classica Carter si è via via confrontata con le radici della musica afroamericana, quali il blues rurale, lo spiritual, il country, il jazz; ha suonato tra gli altri con Aretha Franklin, Mary J. Blige, Billy Joel, Dolly Parton, Joe Jackson.
CLASSICA/2
FILIPPO VIGNATO CHIUDE IL FESIVAL ARTUSI ALL’ENOTECA DI BERTINORO Ultimo appuntamento dell’Artusi Jazz Festival il 24 marzo alle 20.45 all’enoteca Bistrot Colonna di Bertinoro con Filippo Vignato, trombonista eletto “Top Jazz 2016” come nuovo talento italiano dell’anno per la rivista Musica Jazz. Si esibirà con il suo trio nato a Parigi nel 2014 e completato dal pianista francese Yannick Lestra e dal batterista ungherese Attila Gyarfas.
IL “NEXT STEP” DI SILVIA DONATI IL 31 MARZO AL PETRELLA DI LONGIANO Il 31 marzo alle 21.30 la cantante bolognese Silvia Donati presenta al teatro Petrella di Longiano il proprio progetto “Next Step” con un quartetto completato da Alfonso Santimone al piano, Stefano Senni al contrabasso e Marco Frattini alla batteria, con ospite speciale Carlo Atti al sax.
PIERO ODORICI E L’ORGAN GROOVING QUARTET AL SOCJALE DI PIANGIPANE Venerdì 3 marzo al teatro Socjale il sassofonista Piero Odorici sarà in concerto con un quartetto di caratura internazionale, con due protagonisti della scena newyorkese come Jim Rotondi alla tromba e Andy Watson alla batteria. L’Organ Grooving Quartet è completato dall’esperto pianista e organista Renato Chicco.
NICOLETTA FABBRI E LE DIVE DEL CINEMA AL TEATRO DI GAMBETTOLA E AL MAMA’S DI RAVENNA Sabato 18 al Mama’s di Ravenna e venerdì 24 marzo al teatro di Gambettola (sempre alle 21.30) il jazz quartet della cantante Nicoletta Fabbri, nota per la sua collaborazione con Nicola Piovani, omaggia le dive del cinema, da Marilyn Monroe a Sophia Loren, attraverso musica e immagini.
ALLO ZINGARÒ DI FAENZA IL SASSOFONISTA TINO TRACANNA E IL PIANISTA MASSIMILIANO ROCCHETTA Continua la rassegna dello storico Zingarò Jazz Club di Faenza, il mercoledì dalle 22. L’1 marzo Francesco Martinelli, curatore della edizione italiana, presenta il volume “Conversazioni con Steve Lacy” (ed. ETS, Pisa 2016) in una conversazione con il sassofonista Tino Tracanna, che poi si esibirà con il suo trio. L’8 marzo omaggio alle donne con Minavagante; il 15 solo sassofoni con il Saxea 4tet tra marchin’ band in stile New Orleans e rigore esecutivo di un quartetto d’archi; il 22 il trio composto da Daniele Di Gregorio, Massimo Manzi e Giacomo Dominici; il 29 il pianista Massimiliano Rocchetta con il suo progetto Rockytrio.
I CONCERTI DEL MESE DEL PICCOLO CA’ LEONI DI FORLÌ Continua la rassegna di quello che viene definito dagli organizzatori (tra cui Michele Minisci del Naima) “il più piccolo jazz club al mondo”, il Ca’ Leoni di Forlì. Giovedì 2 marzo l’appuntamento è con il trio del trombonista Giancarlo Giannini; il 9 con i tre giovanissimi del D.C. Jazz Trio; il 16 il Blue Moon Trio; il 23 con lo Standardquartet: jazz'n groove con Catia Gori e infine il 30 Matita Pereira Brasilian-Jazz Quartet.
ENRICO DINDO A FORLì Tra i più grandi violoncellisti al mondo, Enrico Dindo sarà il 9 marzo al teatro Fabbri di Forlì (dalle 21) in duo con la pianista Monica Cattarossi. In programma le ultime Sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven insieme ad una pagina matura di Debussy e Prokofiev
CLASSICA/3 LA FILARMONICA TOSCANINI A LUGO Ultimo appuntamento mercoledì 15 marzo (dalle 20.30) con la stagione concertistica del teatro Rossini di Lugo con l’Ensemble della Filarmonica Arturo Toscanini. In veste di solista la violinista rumena Mihaela Costea (nella foto), già allieva di due prìncipi dell'archetto come Vadim Brodski e Salvatore Accardo. In programma le Quattro stagioni di Vivaldi e la Piccola Serenata Notturna scritta da Mozart..
MUSICA
R&DCULT marzo 2017
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CLASSICA: L’INTERVISTA
CLASSICA: AGENDA
Tutta l’emozione del Quartetto Il Guadagnini a Ravenna con i maestri di Cremona. «Un onore e un piacere»
MIKROKOSMI A RAVENNA CON L’ARPA SACCHI E IL PIANO DI SANTIÀ
DI
Prosegue la rassegna della scuola di musica Mikrokosmos, tutte le domeniche alle 11 al ridotto dell’Alighieri di Ravenna. Il 5 marzo appuntamento con l’arpa di Floraleda Sacchi; il 12 con il pianista ravennate Marco Santià e le giovani promesse Aleandro Mariani e Giacomo Balla; il 19 il maestro e celebre pianista Nazzareno Carusi duetterà con le sue allieve dell’Accademia di Imola; il 26 il ritorno di Damiana Mizzi, accompagnata dal violoncello di Roberto Mansueto e dal pianoforte di Marcos Madrigal.
IL TETRAONE A BAGNACAVALLO PER LA RASSEGNA DI ACCADEMIA
BIZANTINA
Il Quartetto Guadagnini: nell’intervista parlano Fabrizio Zoffoli (a sinistra) e Alessandra Cefaliello
LA STAGIONE ALL’ALIGHIERI
di Enrico Gramigna
Passeggiando per il centro di Ravenna, accanto ai monumenti che hanno segnato la storia della città e della civiltà occidentale, si può aver occasionalmente la fortuna di incontrare musicisti d’eccezione. Nel caso specifico è stata una bella sorpresa pizzicare Alessandra Cefaliello e Fabrizio Zoffoli, coppia anche nella vita e rispettivamente violoncello e primo violino del Quartetto Guadagnini di scena al Teatro Alighieri il prossimo 15 marzo all’interno della rassegna Ravenna Musica 2017, che si sono concessi in una divertente intervista. Finalmente il pubblico ravennate potrà assistere ad una vostra esibizione sul palco dell’Alighieri. L’appuntamento del prossimo 15 marzo sarà particolarmente sfizioso perché oltre al vostro Quartetto Guadagnini vi saranno i bravissimi musicisti del Quartetto di Cremona. Che sensazioni avete per questo concerto? F.Z.: «Beh, per me sarà una doppia emozione suonare con loro nel teatro di casa. È sempre bello lavorare con musicisti in gamba, ma noi siamo stati loro studenti presso l’Accademia “W. Stauffer” a Cremona e quindi sarà un’esperienza ancor più significativa». A.C.: «Il Quartetto di Cremona è uno dei pochi quartetti storici che ha svolto e svolge tuttora una grande attività concertistica e per noi è un onore e un piacere immenso poter esibirci con loro in questo bel programma».
ANCHE IL
MAGGIO MUSICALE FIORENTINO
E
VOLODIN Prosegue la rassegna di musica classica con strumenti originali di Accademia Bizantina al Goldoni di Bagnacavallo. Sabato 25 marzo alle 21 la formazione Il Tetraone presenta i Quartetti di Beethoven.
IL QUARTETTO CORELLI A LIDO ADRIANO E AL TEATRO COMUNALE DI CERVIA “Genio e sregolatezza” è il concerto con musiche di Mozart e Beethoven che il Quartetto d’archi Arcangelo Corelli presenta il 2 marzo al Cisim di Lido Adriano e il 12 al teatro di Cervia (ore 21).
Ravenna Musica 2017, al teatro Alighieri di Ravenna, entra nel vivo in marzo con tre concerti. Dopo quello del 15 di cui si parla nell’intervista di questa pagina, il 20 marzo sarà la volta dell'Orchestra da Camera del Maggio Musicale Fiorentino che sarà diretta da Nicola Valentini, giovane ravennate già noto internazionalmente come fine conoscitore del movimento barocco, del linguaggio classico e "belcantistico". Il 29 marzo appuntamento invece con il pianista Alexei Volodin (nella foto), che interpreterà Schumann e Chopin.
Giusto, il programma del concerto. Il cartellone non è troppo chiaro in merito, Shostakovic, Beethoven e Mendelssohn: chi suona cosa? F.Z.: «Il programma del concerto sarà incentrato sul primo Ottocento, perciò il pubblico ascolterà il quartetto Op.81 N.3 di Mendelssohn, poi l’incredibile Op.135 di Beethoven, entrambi dal Quartetto di Cremona al quale ci aggiungeremo noi per chiudere con l’Ottetto op.20 di Mendelssohn». Quindi Mendelssohn sarà ben rappresentato: raramente questo compositore occupa il posto che merita all’interno delle stagioni concertistiche.
«Vincere il premio Abbiati è stato molto importante, abbiamo lavorato per non deludere le aspettative
»
A.C.: «Verissimo! Mendelssohn è un compositore veramente troppo sottovalutato, ma già dall’anno scorso sono molti i quartetti che lo stanno riscoprendo. Spesso per queste cose si va a periodi, tuttavia, questo concerto è una bella opportunità per far ascoltare al pubblico ravennate composizioni che non sono spesso eseguite». F.Z.: «Mi permetto di aggiungere che l’Ottetto, quando viene suonato, è spesso eseguito da musicisti che si uniscono ad occasionem, mentre in questo concerto sarà possibile ascoltare due quartetti, due entità che si uniscono, invece che otto». Oltre a Mendelssohn, quali sono i vostri autori prediletti? A quali autori vi dedicate maggiormente con Quartetto Guadagnini? F.Z.: «Il nostro repertorio spa-
zia senza soluzione di continuità dai classici di Haydn alla contemporanea. Attualmente stiamo lavorando con la compositrice Silvia Colasanti che ci ha dedicato un brano che abbiamo suonato al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Inoltre ci piace suonare l’Arte della Fuga di Bach, spesso come bis». A.C.: «Certo, sia il periodo classico sia la musica contemporanea sono nelle nostre corde, ma siamo felici di poter dire che a breve saremo chiamati ad incidere l’Americano di Dvorak ed l’Op.51 N.1 di Brahms, perciò ci stiamo dedicando molto ad approfondire quel periodo». Totalmente assente da moltissime stagioni è la musica francese. Voi che rapporto avete con i brani scritti oltralpe? F.Z.: «Purtroppo non abbiamo né Ravel né Debussy ancora in repertorio». A.C.: «Più per una questione di impegni che per una volontà nostra perché ci piacerebbe molto studiarli». F.Z.: «Sì, e poi siamo dell’idea che prima dobbiamo approfondire la musica italiana e quest’anno metteremo in repertorio il quartetto di Verdi». Voi avete vinto il premio Farulli all’interno della
XXXIII edizione del premio “Franco Abbiati” nel 2014. Quanto vi ha aiutato per far spiccare il volo alla vostra carriera? F.Z.: «Tanto. Sicuramente tanto. Eravamo in attività da un anno e mezzo e per noi vincere quel premio ha significato moltissimo. E ha comportato molte responsabilità perché salire sul palco con quel premio sulle spalle comporta delle aspettative da parte del pubblico. L’unico modo che avevamo per non deluderle era comportarci come abbiamo fatto, studiando e lavorando come pazzi migliorando di concerto in concerto, di giorno in giorno». Concludendo, Paolo Borciani, storico primo violino del Quartetto Italiano diceva che suonare in quartetto era paragonabile ad un matriomonio a quattro. Siete d’accordo? F.Z.: «Vero, con l’aggravante, che nel matrimonio si sceglie il partner anche per le qualità caratteriali, mentre nel quartetto si sceglie solo in base al modo di suonare. Noi comunque non ci lamentiamo, siamo molto contenti». A.C.: «Poi lui si è trovato pure la ragazza (ride, ndr)».
R&DCULT marzo 2017
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TEATRO
L’INTERVISTA
Ottavia Piccolo e la scelta del contemporaneo In scena al teatro Binario di Cotignola con Enigma: «Storia emblematica di quello che ci sta accadendo» di Matteo Cavezzali
È una delle attrici più raffinate del teatro e del cinema italiano. Ottavia Piccolo calcò per la prima volta il palcoscenico che aveva appena undici anni, già ai vertici del teatro con Luigi Squarzina. Da quel giorno non ha più interrotto la sua lunga e prestigiosa carriera di attrice. Ora porta in scena, accanto a Silvano Piccardi, Enigma, niente significa mai una cosa sola un altro testo di Stefano Massini, il più noto drammaturgo italiano contemporaneo con cui collabora da molti anni. Sarà in scena il 10 e l’11 marzo al teatro Binario di Cotignola. Il sottotitolo di Enigma è “Niente significa mai una cosa sola” cosa significa? «Tutto quello che raccontiamo sembra una cosa, ma poi è un’altra. Lo spettacolo è concepito in frammenti e il pubblico è avvertito da una scritta che “i personaggi mentono, sapendo di mentire”. Nel corso della storia si dipana questo enigma. Due personaggi si rincontrano casualmente per un piccolo incidente e di lì scopriamo chi sono». Si tratta di un enigma che ha a che fare con le loro vite, ma anche con la Storia con la S maiuscola. «Esatto. La storia si svolge adesso, venti anni dopo la caduta del muro di Berlino, entrambi i personaggi vivevano nella Belino Est, nella DDR. La cosa interessante oltre all’incontro di queste due persone, è lo spaesamento di due persone che hanno vissuto per 40 anni in un regime, in una società fatta di certezze, vengono a perdere le loro convinzioni. È emblematico di quello che sta accadendo a noi oggi, anche senza aver cambiato forma di governo, abbiamo perso le nostre certezze. In questo senso ci riguarda tutti». Da diversi anni si cimenta con la drammaturgia contemporanea italiana, una cosa non comune per gli attori della sua generazione, come mai? «Da 16 anni ho deciso di dedicarmi a questo tipo di scrittura. Con Massini ho una collaborazione decennale. Penso che quando è ben scritto un testo contemporaneo aiuti a trasmettere una storia più facilmente che un testo scritto in altri periodi. Con Massini c’è una simbiosi, perché ritengo i suoi testi necessari. È un drammaturgo che riesce a cogliere dalle cose che succedono intorno a noi una lettura universale». Molti suoi colleghi però preferiscono confrontarsi con i classici e i testi contemporanei che si vedono in scena sono una piccola parte... «I classici ovviamente sono fondamentali, per la nostra storia e per la nostra visione del mondo. Non sono contro i classici, ci sono molti testi classici che ho già fatto con grandi registi. Il mio passato lavorativo mi ha
«L’attualità in teatro sarebbe come
leggere un giornale di ieri, non servirebbe a nulla, un testo deve parlare della contemporaneità
»
riempito di cose bellissime. Ora preferisco guardarmi intorno. Un testo contemporaneo non deve parlare di attualità, perché l’attualità in teatro sarebbe come leggere un giornale di ieri, non servirebbe a nulla, ma deve parlare della contemporaneità. Capisco che molti colleghi siano restii al contemporaneo perché chi si occupa della distribuzione degli spettacoli nei
teatri ti dice “ma perché non fai un bel Pirandello? O un bel Goldoni?”. Per carità, sarebbe bello averne di fatti bene. Sottolineo fatti bene. Se io devo fare Goldoni solo perché si vende meglio preferisco stare a casa». Ha debuttato in teatro che era solo una bambina, com’è vivere una vita intera sul palcoscenico? «Non lo so perché io di vita ho solo
LO SPETTACOLO/1
questa e non saprei paragonarla con altre. A me è piaciuta molto. Sul palcoscenico mi sento bene, sul set sono felice. È il mio lavoro e non sono riuscita mai a pensare a nient’altro. Sono stata molto fortunata perché ho lavorato sempre con grandi registi, colleghi e drammaturghi. Per me è stato normale così, capisco che non lo sia per tutti. Ho cominciato per gioco ed è rimasto il gioco della mia vita». Lei ha lavorato con molti dei più grandi registi della nostra storia come Visconti, Streheler, Ronconi, a quale è rimasta più legata? «Da ognuno ho cercato di imparare e rubare qualcosa. Quello con cui sono cresciuta di più è stato Streheler. Ho fatto due spettacoli con lui, nel primo avevo quindici anni, e non capivo
LO SPETTACOLO/2 TORNA LA SCUOLA DI PIÙ ATTUALE CHE MAI
MASSIMO CARLOTTO SUL PALCO CON LA SUA CRIME STORY Lo scrittore Massimo Carlotto calca personalmente le scene per raccontare una Crime story, con le musiche originali di Maurizio Camardi e per la regia di Giorgio Gallione. Un racconto civile sulla penetrazione delle mafie nelle nostre società. Venerdì 24 marzo al Petrella di Longiano.
molto di quello che mi succedeva, il secondo fu il Re Lear che fu uno spettacolo che fece epoca. Facemmo 365 repliche, ha attraversato la mia vita in modo profondo. Questo mestiere si impara solo facendolo. Le scuole sono fondamentali ma non servono a nulla se non ci si cimenta. Ho appena compiuto 56 anni di teatro, sono stata molto fortunata». Al cinema e in teatro ha avuto compagni molto diversi tra loro come Alain Delon e Adriano Celentano, con quale ha lavorato meglio? «Sul palco ho fatto molti spettacoli con Gabriele Lavia, è stato uno dei compagni più attenti. Ora è molti anni che non lavoriamo più assieme. Ma mi sono sempre trovata bene con tutti. Mi piace stare tranquilla quindi cerco sempre di creare un bel clima nelle prove. Le tournée sono come fare il militare. Si sta tutti assieme e per qualche mese si vive in un’altra realtà. Recentemente ho fatto due anni in tournée con 7 minuti. Eravamo sette donne ed è stato come stare in gita scolastica, dove io ero la professoressa, vista l’età anagrafica. Da ognuna di loro ho imparato qualcosa ed è stato molto divertente». Cosa direbbe a una giovane attrice che si affaccia ora sul mondo del teatro? «Direi di pensarci molto, molto, molto bene, prima di infilarsi in questo meraviglioso e complicato mestiere. Sono momenti molto difficili per il teatro. Io sono fortunata come continuo a dire, perché ormai sono fuori dai giochi, e anche se sto ferma un anno non succede niente, ma per un giovane non è così. Chi inizia oggi deve essere proprio sicuro che questa è la passione della sua vita, perchè andrà incontro a molte difficoltà. Però se questa è la sua passione troverà anche a molte soddisfazioni».
LO SPETTACOLO/3
STARNONE
In scena al Diego Fabbri di Forlì da giovedì 30 marzo al 1 aprile un testo contemporaneo diventato ormai un classico: La scuola di Domenico Starnone, con protagonista Silvio Orlando. Si tratta di un testo tratto dalla divertente, acuta, disincantata cronaca del mondo della scuola visto da un insegnante. Sono passati oltre vent’anni dal debutto ma resta tutta l’attualità (quasi profetica) di quel testo portato in scena da diversi autori e che racconta lo scrutinio di una quarta superiore. La regia è di Daniele Lucchetti. Dal testo teatrale (e non viceversa) fu tratto anche il fortunato film, sempre con Silvio Orlando.
CRISTICCHI
DIVENTA IL SECONDO FIGLIO DI
DIO
Martedì 14 marzo al teatro Novelli di Rimini alle 21 va in scena Il secondo figlio di Dio. Vita, morte e miracoli di David Lazzaretti, uno spettacolo ispirato a una vicenda realmente accaduta nel 1878 da cui ha tratto spunto Simone Cristicchi, interprete e autore sinsieme a Manfredi Rutelli.
TEATRO
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Da sinistra: “Mr Pùuntila e il suo servo Matti”, “Giulio Cesare”, Stefano Accorsi e Marco Baliani
IN SCENA
Brecht, Pirandello, Shakespeare: i grandi classici tra tradizione e ricerca Grandi classici in scena sui palcoscenici della Romagna. La compagnia dell’Elfo con Elio de Capitani sbarca al Bonci di Cesena con il suo fortunato Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, testo fondamentale della drammaturgia novecentesca degli Stati Uniti, dal 9 al 12 marzo. Drammaturgia novecentesca, ma tedesca, anche all’Alighieri di Ravenna sempre per il Teatro dell’Elfo ma con la regia di Ferdinando Bruno e Francesco Frongia. Dal 23 al 26 marzo andrà in scena Mr Pùntila e il suo servo Matti di Berthold Brecht, comme-
dia costruita su una "variante" del dottor Jeckyll e Mister Hyde che mette in scena un'allegoria del capitalismo e dei suoi sorrisi da caimano. Al teatro della Regina di Cattolica, nell’adattamento e per la regia di Valver Malosti, arriva un classico di Pirandello: Il berretto a sonagli prodotto dal Teatro di Dioniso, l’11 marzo. E con Pirandello ci si misura anche l’Opera Nazionale Combattenti che porta in scena un testo incompiuto, forse il più complesso, dell’autore siciliano: I giganti della montagna, una rilettura modernissima di
questo lavoro di metateatro per la regia di Giuseppe Semeraro (25 marzo). Ed è un classico anche il
vario titolo e attraverso le epoche anche nella Stagione dei Teatri di Ravenna. Martedì 7 e mercoledì 8 marzo, infatti, all’Alighieri va in scena un Preamleto di Michele Santeramo per Teatro di Roma in cui l’autore, partendo dall’Amleto di Shakespeare, racconta cosa succede prima della morte di Re Amleto, analizzando in chiave contemporanea il concetto di potere. E sempre da Shakespeare nasce lo spettacolo in scena dal 2 al 5 marzo al teatro Diego Fabbri di
Le riletture degli autori
passati alla storia, sui palcoscenici della Romagna testo messo in scena da Michele Sinisi che ne cura anche adattamento e regia al Comunale di Cervia: Miseria&Nobiltà, l’1 e 2 marzo. E con i classici ci si misura a
Forlì: Giulio Cesare di William Shakespeare adattato e diretto dal catalano Alex Rigola (fino al 2016 direttore della sezione teatrale della Biennale di Venezia, ora del Teatros del Canal a Madrid) con Michele Riondino nei panni di Marco Antonio e Maria Grazia Mandruzzato a simboleggiare il potere politico di Giulio Cesare. Infine, si torna a Ravenna per un altro grande classico: è il nuovo lavoro di Marco Baliani e Stefano Accorsi che dal 9 al 12 marzo portano, sempre all’Alighieri, uno spettacolo tratto dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto Giocando con Orlando. Si misura con un classico della letteratura (ma non del teatro) anche Alesso Boni protagonista de I duellanti di Joseph Conrad, testo che mette in luce la fine di un’epoca e l’assurda dinamica dello scontro, a Russi il 9 marzo.
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TEATRO
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AL FEMMINILE
AGENDA
CESENA
LA
COMPAGNIA FRANCA RAME CON IN FUGA DAL SENATO
Tra commedia e tragedia, tra modernità e classici, quando la scena è delle donne
La Ctfr, Compagnia teatrale Franca Rame, presenta al teatro comunale di Cesenatico, martedì 8 marzo, lo spettacolo In Fuga dal Senato della stessa Franca Rame, intepretato da Mario Piovano e Sara Bellodi
BIANCO
SU BIANCO: LA POESIA DELLA CLOWNERIE
Tra teatro e clownerie, tra poesia e sospensione, va in scena al Comunale di Russi Bianco su Bianco della compagnia Finzi Pasca il 6 marzo alle 20.45.
Massimo Ranieri al Carisport Come in una carovana dell'avanspettacolo, cara alla tradizione teatrale cui attinge, con Sogno e Son Desto… in viaggio Massimo Ranieri riporta in scena le suggestioni della sua cavalcata tra generi musicali, spaziando dai classici della tradizione napoletana alla poesia contemporanea e la prosa popolare. In scena al Carisport di Cesena il 24 marzo.
GAMBETTOLA Nel mese delle donne, le donne sono protagoniste anche in teatro. Il 3 marzo all’Astra di Bellaria Marina Massironi con Alessandra Faiella sono in scena con Rosalyn, commedia noir di Edoardo Erba che affronta il tema delle solitudini contemporanee. Una commedia che parla di donne e di amore è La metafisica dell’amore con Le Brugole, il duo lesbo-comico di Zelig Off, al teatro Pazzini di Verucchio il 5 marzo. Da martedì 7 a giovedì 9 il Novelli di Rimini propone Due donne che ballano di Josep Maria Bernet per la regia di Veronica Cruciani con in scena per la prima volta insieme le pluripremiate Maria Paiato e Arianna Scommegna, una commedia amara che mette a confronto una donna anziana e una giovane badante. E sempre a Rimini, invece, al Mulino d’Amleto Teatro sarà di scena Giulia Pont con il suo Ti lascio perché ho finito l’ossitocina, divertente e raffinato monolgo scritto dalla stessa Pont sulla fine di un amore, l’11 marzo. Si torna al Novelli a fine mese, dal 28 al 30 marzo per la tragica storia di Fedra (nella foto, tratto dalla Phaedra di Seneca con estratti dall’Ippolito di Euripide e dalle Lettere del filsofo latino) con Laura Marinoni e Luca Lazzareschi per la regia e l’adattamento di Andrea De Rosa. Da segnalare infine anche l’appuntamento musicale dell’8 marzo al teatro di Gambettola con la cantautrice Francesca Romana Perrotta che canta “le donne senza voce”
SPETTACOLO “PER CABARETTISTA E VIDEOPROIETTORE ” Al comunale di Conselice il 10 marzo, “spettacolo per cabarettista e videproiettore” di e con Paolo Camanzi: va in scena La reunion. Camanzi torna dopo vent’anni e in una serie di miniconferenze affronta vari temi con ironia e disincanto.
ALBANIA CASA MIA AL TESTORI DI FORLÌ
Marescotti interpreta il grande Stecchetti Venerdì 17 marzo alle 21 alla Baracca dei Talenti, nel teatro di Gambettola, andrà in scena lo spettacolo Stecchetti, recital dedicato al grande poeta e intellettuale romagnolo di cui nel 2016 si è celebrato il centenario della morte, da parte di Ivano Marescotti, che ne è anche interprete.
Albania casa mia, di e con Aleksandros Memetaj, è in scena il 7 marzo al teatro Testori di Forlì per la regia di Giampiero Rappa. Storia di un padre e di un figlio nell’Albania del 1991 e di una fuga verso l’Italia e il Veneto alla ricerca di una nuova speranza in un testo complesso e sfaccettato.
IN CARTELLONE
Amore, follia, sesso: tutti gli (ottimi) motivi per ridere in platea Le commedie e i monologhi in programma nel mese di marzo. Bergonzoni in scena a Bagnacavallo, Pintus a Ravenna
Da sinistra: Adamo e Deva; I suoceri albanesi; Matti da slegare; Ormai sono una milf
Protagonisti indiscussi dei teatri romagnoli continuano a essere anche i nomi della grande comicità impegnati in commedie che affrontano, con la risata, temi di grande attualità. Al Masini di Faenza si comincia già il 2 marzo con Adamo e Deva con Vito e Clauda Penoni per la regia di Daniele Sala, un testo di Francesco Freyrie e Andrea Zalone per ridere e riflettere su uno dei temi di maggiore attualità: la paura del diverso e la confusione tra fede e tifo da stadio. Occasione per ridere e riflettere sulla diversità e il pregiudizio è anche quella offerta da I suoceri albanesi di Gianni Clmenti in scena al Dragoni di Meldola il 6 marzo. Un grande classico è invece quello che farà ridere la platea del
Rossini di Lugo dal 10 al 12 marzo quando andrà in scena Spirito Allegro di Noel Coward con Leo Gullotta. Ispirata invece al celebre film di Woody Allen Mariti e mogli, la commedia diretta da Monica Guerritore e che vede in scena con la stessa Guerritore anche Francesca Reggiani, sabato 18 marzo al teatro Comunale di Russi. Commedia tratta da un testo norvegese che sta riscuotendo successo è quella portata in scena (nella stagione di prosa) al Masini dal 21 al 23 marzo da Giobbe Covatta ed Enzo Iacchetti per la regia di Giole Dix: Matti da slegare. La storia di due persone che dopo anni di clinica psichiatrica si trovano ad affrontare il mondo fuori. Paolo Migone, invece, sarà in scena il 24 marzo al Fabbri di
Forlì con Gli uomini vengono da Marte, la donne da Venere tratto dal best seller di John Gray e adattato da Paul Dewandre. Genio della parola fuori dagli schemi, il 4 marzo alle 21 al Goldoni di Bagnacavallo arriva invece Alessandro Bergonzoni con il testo di cui è autore, interprete e regista (con Riccardo Rodolfi): Nessi. Un testo che, con il noto funambolismo dell’autore bolognese, indaga le relazioni e la necessità di vivere collegati con altre vite, altri orizzonti e altre esperienze. One man show anche all’Alighieri di Ravenna per la stagione del comico dove il 16 marzo arriva Angelo Pintus con il suo Ormai sono una milf su come cambia la vita a 40 anni.
TEATRO
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LA RECENSIONE Quella dolorosa e necessaria ballata che porta in scena la tragedia della Mecnavi
PROSA E LETTERATURA
Anarchici a Longiano L’Anarchico non è fotogenico è lo spettacolo in scena al Petrella di Longiano il 3 marzo , capitolo uno del progetto “tutto bene quel che finisce bene”. In scena gli autori Roberta Scappin e Paola Vannoni, due cow-boy e improbabili danzatori che si sfidano in un gioco verbale alle soglie dell’assurdo.
Aure a Rimini Il 3 marzo alle 21 agli Atti di Rimini va in scena Aure di Alessandro Sala, che chiude una trilogia del silenzio e si ispira a Proust.
Ci sono voluti ventotto anni, un algerino arrivato in città trent’anni fa, un attore e autore romagnolo fin nel midollo, un giovane rapper e due musicisti per riuscire a raccontare quel 13 marzo del 1987 che ha segnato la storia di Ravenna in modo indelebile. Un racconto il loro, ne “Il volo – la ballata dei picchettini” lontano da ogni tentazione retorica, che muove tuttavia gli spettatori fino alle lacrime, pur facendoli sorridere, riflettere, indignare, arrabbiare. Spettatori che per la verità sono “gentili convenuti” a cui si rivolgono gli attori che sono “relatori” della “conferenza-spettacolo” capace di passare da un'ironia familiare e mai forzata a momenti di profondo dramma, ad altri di elaborazione e ricerca di un senso, ricorrendo finanche alla filosofia. La conferenza-spettacolo di Luigi Dadina e Tahar Lamri (scritta insieme a Laura Gambi) diventa così un'elaborazione del lutto, passaggio che è utile a mantenere quella memoria che ci dovrebbe impedire la coazione a ripetere, come ci spiega Lamri stesso dal palco dove impersona un se stesso così come lo conosciamo, colto, raffinato, ironico e mai banale, accanto a un sempre talentuoso Dadina che mette qui in scena il suo lato più sanguigno e istintivo impersonando una sorta di carattere romagnolo universale. In un gioco sapiente tra due amici che nei rispettivi ruoli di “guida” e “assistito” si prendono gioco l'un l'altro e però allo stesso tempo si ascoltano e sono disposti a cambiare idea, anche quando uno parla arabo e l'altro romagnolo, i due insieme sviluppano un discorso che segue un filo sentimentale di rimandi, mescolando autobiografia e cronaca. Perché in fondo per i ravennati la vicenda della Mecnavi, che costituisce il cuore dello spettacolo, è una vicenda che intreccia questi due elementi. Allora la città, laica e mangiapreti, si raccolse intorno al vescovo Tonini e le sue parole sono oggi affidate a uno straordinario Lanfranco Moder Vicari (che all'epoca dei fatti aveva quattro anni), perfetto nel momento clou grazie anche a una costruzione della conferenza che riesce ad alternare alto e basso, parole e musica, persone e fatti. E se l'ultima parte dello spettacolo appare forse meno necessaria e urgente delle precedenti, certo aiuta a stemperare la tensione della tragedia e riportare i “concittadini convenuti” ad allargare lo sguardo e in qualche modo a far riposare il cuore, per riattivare la mente seguendo il filo di quel mese di marzo in cui tutto sembra accadere. Mese in cui era morto Domenico, la cui foto sulla lapide in Darsena ha imposto a Luigi Dadina di raccontare la sua storia, la storia di una “vittima del lavoro”, al porto, nel 1947. E così finalmente, dopo 28 anni, dopo tante cerimonie sempre meno partecipate con l'andar del tempo, dopo un bel libro scritto però da un “forestiero” come Angelo Ferracuti, anche Ravenna ha recuperato la memoria attraverso quel linguaggio teatrale qui tanto familiare (anche grazie al lavoro delle Albe, di cui Dadina fa parte) che si contamina con lo straniero, con la musica, con il rap, con la forma conferenza in una "ballata" che mette insieme generazioni diverse. Evidentemente, per riuscire a raccontare questa storia non c'era bisogno di nulla di meno. Lo spettacolo, del 2015, viene riproposto a ridosso del trentesimo anniversario della tragedia della Mecnavi il 13 marzo al teatro Alighieri di Ravenna, al Ridotto del Masini di Faenza il 16 marzo alle 21 e il 19 marzo alle 21 al teatro degli Atti di Rimini. Federica Angelini
La rivoluzione a Faenza Al Ridotto di Faenza “La rivoluzione è facile se sai con chi farla” di Nicola Borghesi il 25 marzo
Rito Sonoro a Novafeltria Al teatro Socjale di Novafeltria l’8 marzo va in scena Bello Mondo, rito sonoro di e con Mariangela Gualtieri della Valdoca, diretto da Cesare Ronconi.
FORLÌ AL
TEATRO DELLA
REGINA IL
CONTEMPORANEO
LUCIANO
E UN TRITTICO DI DANZA
Al Teatro della Regina di Cattolica il 16 marzo alle 21 Massimiliano Civita e I Sacchi di Sabbia portano in scena Dialoghi degli Dei, tratto dal testo più noto di Luciano, retore greco, di origine siriane, nato a Samosata nel 125 d.C. Sul palco il 4 marzo invece, sempre per la stagione Snaporaz dedicata al contemporaneo, la danza Ad libitum (15'), Yellow Place (13’), Kor'sia e Everything is ok (30’). Sul palco importanti nomi della scena contemporanea: Alessandro Sollima, Mattia Russo e Antonio de Rosa e Marco D’Agostin.
CESENA TRE
SPETTACOLI DI RICERCA DA
L’1 e il 2 marzo al Bonci di Cesena va in scena Porcile di Pier Paolo Pasolini per la regia di Valerio Binasco (nella foto). Sempre al Bonci dal 4 al 6 marzo sarà invece di scena Assassina di Franco Scadalti con Enzo Vetrano e Stefano Randisi, mentre la pluripremiata Elena Bucci con Marco Sgrosso sarà potagonista, dal 30 marzo all’1 aprile, di Prima della pensione ovvero Cospiratori, una commedia dall’anima tedesca firmata Thomas Bernhard (sempre per il cartellone Ricerca).
PASOLINI
A
BERNHARD
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TEATRO
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OPERA
DANZA
Così fan tutte: il capolavoro di Mozart chiude la stagione del teatro Alighieri
BalletBoyz Il 18 e 19 marzo all’Alighieri di Ravenna BalletBoyz, British National Dance Award 2013, con la prima italiana di Life/Vita
Bertozzi, Bianchi, Aimone Agli Atti di Rimini il 24 marzo dalle 21 Prometeo: contemplazione di Simona Bertozzi, L’assenza di Paolo Bianchi, Tiny di Annamaria Aimone.
Mm Company Il 30 marzo al Masini di Faenza in scena Le Silfidi/Pulcinella della Mm Contemporary Dance Company
Uno dei massimi capolavori della storia del melodramma e del genio di Mozart, Così fan tutte, è anche l’ultima opera buffa che Mozart scrisse, terzo titolo della trilogia dapontiana, dopo Le nozze di Figaro e il Don Giovanni. Rappresentato per la prima volta a Vienna il 26 gennaio 1790 costituisce una sorta di summa del genere giocoso, dove tutto il portato del repertorio buffo, dalla scuola napoletana a Goldoni e alla commedia dell’arte, giunge al massimo livello di sagacia, bellezza e perfezione. Sarà l’ultimo appuntamento della stagione di Ravenna, in scena il 3 e 5 marzo all’Alighieri, nell’allestimento del Festival dei Due Mondi di Spoleto del 2015 con la regia di Giorgio Ferrara, le scene e i costumi di Dante Ferretti e la direzione di Carla Delfrate.
Rbr - Balletto di Toscana Il 2 marzo The Man - The passion of Christ della Rbr Dance Company al Rossini di Lugo dove il 25 marzo sarà di scena il Romeo e Giullietta del Junior Balletto di Toscana
COREOGRAFI VETRINA
SUI GIOVANI DANZ’AUTORI AL
RASI
DI
RAVENNA
Martedì 21 marzo al teatro Rasi di Ravenna alle 20.30 si terrà la serata dal titolo “Sguardi sulla giovane danza d’autore”, un momento in cui vengono condivisi i progetti di giovani danz’autori dell’Emilia Romagna, un evento che è ormai un appuntamento fisso da anni promosso da Anticorpi.
LO SPETTACOLO QUATTRO DANZATRICI
PER CELEBRARE LA PRIMAVERA
Venerdì 31 marzo allo Spazio Tondelli di Riccione va in scena Pret-à-porter, spettacolo che omaggia la primavera ed è il frutto della collaborazione di quattro danzatrici: Gisela Boschi, Valeria Fiorini, Eleonora Gennai e Barabara Martini, che ne è anche l’ideatrice. Punti di vista, esperienze diverse per uno spettacolo che esalta nella danza l’uso della tecnica e della tecnologia.
LIVE ARTS I FRATELLI
DEL FLAMENCO
Martedì 28 marzo alle 21 il teatro Fabbri di Forlì ospita la performance de Los Vivancos, i sette fratelli del Flamenco con Aeternum Extreme flamenco fusione, nuovo blockbuster tra danza, magia e arti marziali.
Parsons Dance Il 28 marzo al Bonci di Cesena un’antologia di coreografie di Alan Parsons con la Parsons Dance.
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CINEMA
A sinistra Robert Mapplethorpe, a destra Peggy Guggenheim
CONTROCINEMA
Bio-docu su Mapplethorpe, Peggy, Lynch Cosa si vedrà alla quindicesima edizione di “Non morire di televisione” dal 10 al 18 marzo di Albert Bucci*
Due appuntamenti storici a Ravenna per il mese di marzo: la 15ma edizione della rassegna Per non morire di televisione, dal 10 al 18 marzo, dedicata al documentario d'autore; e la 18ma edizione del Festival Corti da Sogni, dal 22 al 25 marzo (vedi p. 19). I cortometraggi sono da sempre territorio di novità, opere di giovani autori non ancora celebri, ma tra i quali incontreremo i registi futuri. Per quanto riguarda invece i documentari che saranno proiettati all'interno di “Per non morire di televisione”, potrete vederne alcuni tra i migliori della stagione, in due filoni tematici che intrecciano arte e sessualità. Iniziamo col bio-docu Mapplethorpe: Look at the Pictures, sulla vita e la carriera del grande fotografo americano Robert Mapplethorpe. Apertamente gay, Mapplethorpe ha dedicato la sua vita a esporre il sesso maschile, la nudità e il fetish come nuova forma d’arte, in un’esplorazione del corpo maschile e della sua sessualità nelle sue infinite possibilità di essere arte: tra uomini nudi, primi piani di erezioni, volti sensuali, si dipana un’opera controversa in vita e anche adesso, a 27 anni dalla morte di Mapplethorpe, che nulla ha perso della sua carica provocatoria e sovversiva. Un film che attraversa la vita artistica e personale di Mapplethorpe recuperando molto materiale raro o inedito, tra cui numerose interviste. Un altro film dedicato all'arte sarà Peggy Gugghenheim: Art Addict, biografia della celebre mecenate e collezionista d'arte diventata icona dell'arte del XX secolo, donna anticonformista e “scandalosa”, dalla vita selvaggia e iconoclasta. Dalla morte del padre Solomon nella tragedia del Titanic, al suo trasferimento nella Parigi degli anni '20 dove conobbe tutti i pittori e gli
scrittori d’avanguardia, tra i quali Samuel Beckett, Max Ernst, Jackson Pollock, Marcel Duchamp; e poi a Londra, dove aprì la sua prima galleria, dedicandosi principalmente all’arte astratta e al surrealismo; e a Venezia, dove stabilì la sua casa museo sul Canal Grande; un film che racconta l’arte di un intero secolo attraverso lo sguardo e le azioni di una donna che, come racconta lei stessa: «Ho sempre fatto quello che ho voluto. Sono stata una donna libera ben prima che inventassero il termine emancipazione». E poi il nuovo documentario David Lynch: the Art Life, un intimo e personale viaggio nel tempo nel quale il regista americano racconta gli anni della sua formazione artistica, fino a diventare uno dei più enigmatici e amati autori del cinema contemporaneo. Originale miscela di immagini, musica ed estratti dai suoi primi film, il documentario illumina gli oscuri meandri del mondo psichico di Lynch, ne scopre le paure e le contraddizioni, la genesi dei suoi affreschi visionari figli di una creatività che, come dice lo stesso Lynch: «Ogni volta che creiamo qualcosa, un dipinto così come un film, si parte sempre con tante idee, ma è quasi sempre il nostro passato che le reinventa e le trasforma. Anche se si tratta di nuove idee, il nostro passato le influenza inevitabilmente». E infine potrete vedere l'ultimo documentario dell'italo-svedese Erik Gandini, già autore nel 2009 del formidabile Videocracy, che ha ora realizzato un film altrettanto potente e simbolico: La teoria svedese dell'amore. Tutto parte nel 1972, quando in Svezia esce il manifesto politico sulla Famiglia del Futuro. In un sistema di welfare avanzato e di ricerca di autonomia e indipendenza per le persone, si afferma l'idea sociale e politica che ogni relazione umana autentica deve basarsi sulla indipendenza dei singoli:
le mogli dai mariti, i figli dai genitori, gli anziani dai giovani. Ma c'è un rovescio della medaglia, perché il Dna del popolo svedese è più forte di ogni buona intenzione. L’eccesso di indipendenza azzera i contatti e le intera-
muoiono in solitudine o che si suicidano senza che nessuno se ne accorga addirittura per anni; esistenze che vogliono essere autonome, ma al costo di una separazione radicale con gli altri esseri umani. La parabola di un’indipendenza sicura, protetta e garantita che si è paradossalmente estremizzata in atomismo sociale. Un vasto ritratto della solitudine, un manifesto esistenziale nel quale alla fine compare anche Zygmunt Bauman, per dirci che eliminare i problemi non significa automaticamente creare la felicità,
Tra i lavori in proiezione
anche l’ultima opera di Erik Gandini La teoria svedese dell’amore zioni sociali e comunitarie, e circa metà della popolazione svedese vive sola: donne single che si affidano alla banca sperma più grande del pianeta per diventare madri; persone che
LA RASSEGNA/1
ma al contrario rischia di cadere nella noia più assoluta. E per questo diventa fondamentale affrontare la vita come quel chirurgo svedese che si è trasferito in Etiopia in un ospedale con pochissimi mezzi, al limite dell'artigianeria: perché salvare esseri umani è vivere in una società dove non si è mai soli. *Albert Bucci (Ravenna, 1968) è direttore artistico del Soundscreen Film Festival e consulente alla selezione del Ravenna Nightmare. È stato docente di Sceneggiatura presso l'Università Iulm di Milano, e produttore esecutivo di spot pubblicitari. In una vita parallela, possiede anche una laurea in Fisica Teorica. (Il suo vero nome è Alberto, ma in effetti è meglio noto come Albert).
LA RASSEGNA/2 A CESENA L’OMAGGIO AL ROCK DEGLI OASIS
Donne e migranti al Ridotto del Masini Prosegue la rassegna che il Ridotto del Masini a Faenza dedica al “Cinema della verità” a ingresso gratuito. Mercoledì 8 marzo alle 21 sarà proiettato Una su Tre di Claudio Bozzatella con, tra gli altri, Angela Finocchiaro, Ottavia Piccolo e Debora Villa, sulla violenza sulle donne. Il 29 marzo sarà la volta di Portami Via di Marta Cosentino, sul tema anche dei migranti (nella foto).
La rassegna “Across the Movies” al cinema Eliseo di Cesena termina giovedì 2 marzo con il film dedicato alla celebre rock band di Manchester dal titolo “Oasis: Supersonic” (regia di Mat Whitecross, con Noel Gallagher, Liam Gallagher, Paul Arthurs). Nel corso della serata è previsto un intervento musicale dal vivo dei romagnoli Tunguska. Al termine della proiezione “Aftermovie party” a La Cantera con dj set di Andrea Guagneli “The glory years of cool britannia”.
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L’INTERVISTA Non chiamateli cartoni. Lo storico del cinema Giannalberto Bendazzi, nato a Ravenna, residente a Milano dove ha insegnato “storia del cinema d’animazione” all’Università Statale e che ha tenuto corsi in molte delle più autorevoli scuole di cinema dalla Griffith University in Australia alla Nanyang Technological University a Singapore, ha sempre odiato il termine “cartoni”. «Rimanda a un’animazione per bambini, mentre il cinema di animazione è ricchissimo di varietà molto diverse tra loro e solo una piccola parte di queste è pensata per i bambini». Per molto tempo il cinema d’animazione è stato considerato di serie B, oggi è finalmente giunto a una sua dignità artistica? «Questa classificazione che discriminava il cinema di animazione rispetto al cinema “vero” è nata proprio da questo equivoco che fosse una cosa per bambini e quindi un cinema infantile. Questo è errato due volte: è falso perché l’animazione ha prodotto moltissimi film per adulti, ed è sbagliato perché anche il cinema di animazione per bambini ha prodotto grandi capolavori». Quando il cinema di animazione nacque non era affatto per bambini… «I primi film di animazione erano per adulti, molti avevano contenuti espliciti legati
I film d’animazione? Roba da grandi I titoli da non perdere secondo il ravennate Bendazzi, prestigioso storico del cinema
Sopra un fotogramma da La città incantata, sotto a sinistra un fotogramma di Allegro non troppo e a destra Giannalberto Bendazzi
«Ginna e Corra nel 1911 sperimentarono per primi la pittura diretta su pellicola
»
anche al consumo di alcool, di sigarette e al sesso. Temi ovviamente vietati ai bambini. Poi venne Walt Disney con una idea geniale e rivoluzionaria: “Se facciamo dei film che piacciono ai bambini e li fanno stare tranquilli piaceranno anche alle loro mamme”. La cosa funzionò e dopo il suo enorme successo moltissimi lo emularono e nacque il cinema d’animazione per l’infanzia». Quanto influisce il cinema d’animazione sulla formazione dei bambini? «Molto e positivamente. L’animazione aiuta i bambini ad immergersi in mondi fantastici e ad entrare in contatto fin da subito con una delle forme più complesse e ricche del cinema. Oggi l’animazione risente ancora di questo legame col mondo infantile, o si è affrancata? «Anche se in molti non se ne rendono conto oggi l’animazione è utilizzata soprattutto per il cinema “per adulti”. Pensiamo a tutti gli aspetti legati agli effetti speciali. Intere scene di film vengono girate da un uomo in mutande sospeso a dei cavi in una stanza verde completamente vuota. Tutto il mondo che circonda questi personaggi è disegnato e animato intorno a loro. Utilizza tecniche molto sofisticate, ma è a tutti gli effetti animazione». Hollywood è ancora il centro della produzione animata? «Sì, senza dubbio. Anche se altri paesi come la Cina e il Giappone superano gli Stati Uniti come numero di film prodotti, di fatto la potenza della diffusione del cinema americano è ancora largamente predominante anche nell’animazione, e in America si producono ancora oggi alcuni dei migliori film». La piccola animazione italiana come può competere con i grandi centri mondiali di produzione? «Competere non è semplice per un motivo:
la colpa è principalmente della Rai. La Rai è il principale produttore di cinema di animazione del paese e crea prodotti per la televisione, ma ha una visione antiquata del cinema per cui pretende film animati per bambini fatti con paramentri che li rendono di bassissimo livello. Ci sono però diversi autori che riescono ad autoprodursi e creare bei film. Però nel cinema la quantità è legata anche alla qualità. Se si produce tanto nascono, in mezzo agli altri, anche ottimi film, se si produce poco diventa difficile trovare capolavori». Ravenna ebbe un ruolo importante agli albori del cinema di animazione con Ginna e Corra… «Negli anni 1911-12 due giovani ravennati, i fratelli Arnaldo e Bruno Ginanni Corradini, meglio noti con i nomi d’arte di Ginna e Corra, sperimentano per primi quella tecnica della pittura diretta su pellicola. Fu di fatto il primo film di animazione astratto della storia. Era un cinema che non derivava dalla fotografia, ma dalla pittura e per la precisione pittura futurista. Il loro scopo era ottenere “musica cromatica”. Il primo a metterli nei libri di storia del cinema fu il critico Mario Verdone, anche se non ne comprese a pieno la portata della loro invenzione che mutò la storia del cinema. Purtroppo i loro film sono andati perduti…». Quali sono secondo lei i tre film d’animazione da vedere almeno una volta nella vita? «Direi senza esitazione Biancaneve e i sette nani di Walt Disney, La città incantata di Hayao Miyazaki e Allegro non troppo di Bruno Bozzetto». Tre titoli che abbracciano un po’ tutto l’immaginario dagli Stati Uniti al Giappone fino all’Italia… «Non è una risposta diplomatica o ponderata, è una risposta del tutto istintiva. Credo siano tre capolavori imprescindibili». Matteo Cavezzali
CORTI/1
CORTI/2
Torna il festival da Sogni
LA “PRIMA VOLTA” AL SAN BIAGIO: CONCORSI, INCONTRI E MOSTRE
Diciottesima edizione per l’evento ravennate Dal 22 al 25 marzo si terrà la diciottesima edizione del festival “Corti da Sogni - Antonio Ricci”. L'appuntamento è come di consueto al teatro Rasi di Ravenna, in via di Roma, e l'ingresso a tutte le proiezioni è gratuito. La giornata finale del festival sarà sabato 25 marzo, quando alla sera ci saranno le premiazioni e le proiezioni dei migliori cortometraggi. Dopo lo straordinario successo in termini di partecipazione, con cortometraggi giunti da tutto il mondo, e di pubblico delle scorse edizioni, il festival ritorna confermando le sezioni in concorso. La diciottesima edizione della manifestazione è organizzata dal circolo Sogni in compartecipazione con il Comune di Ravenna - assessorato alla Cultura. Il concorso, che da anni accoglie il meglio della produzione cinematografica internazionale, ha ospitato diversi autori, attori e registi che nel tempo si sono affermati a livello nazionale e internazionale. Il migliore cortometraggio europeo si aggiudicherà l’European Sogni Award, mentre il miglior lavoro proveniente da oltre Europa sarà il vincitore della sezione Sogni d’Oro. La categoria Premio Giuseppe Maestri andrà al miglior cortometraggio di animazione, mentre il premio Mitici critici sarà assegnato da una giuria composta dagli studenti delle scuole medie. Al miglior cortometraggio italiano andrà il premio Made in Italy. Il miglior videoclip si aggiudicherà invece Frequenze in corto, mentre al lavoro più originale sarà assegnato Creatività in corto. Per informazioni: www.cinesogni.it, circolo@cinesogni.it.
Dal 13 al 15 marzo si svolge la prima edizione del festival internazionale di cortometraggi di Cesena, al Cinema Eliseo, con inizio dalle 20.30. Tre giorni di proiezioni, incontri, premiazioni con il MalatestaShort Film Festival, che porta nella città malatestiana la varietà e l'immaginazione del cinema breve. Sono state selezionate 50 opere scelte fra film provenienti da 118 paesi, in competizione per tre categorie di concorso: Best Animation; Best Fiction; Best Documentary. In apertura di ogni serata ci sarà uno spazio dedicato ad opere di autori locali, con proiezione fuori concorso di un cortometraggio e intervista all'autore ospite della manifestazione. Saranno presenti: Francesco Selvi e Luca Nervegna con Lontano Ovest, film già in concorso al Torino Film Festival; Martina Dall'Ara con UnControl Room, vincitrice di Doc Under 30 edizione 2014; Emilio Rossi con “Energy Diary- a paper story”, animazione sulla gestione consapevole dell'energia a Cesena. Inoltre, come evento correlato, il Gruppo Fotografico 93 omaggia il festival e il cinema con una mostra fotografica realizzata appositamente per l'evento. La mostra, a cura di Fabio Liverani, sarà ospitata nel foyeur del Cinema Eliseo dal 13 marzo al 26 marzo.
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LIBRI
L’INTERVISTA
Maggiani, la campagna, la natura e il gelido inverno faentino Lo scrittore ligure ha da poco scelto di trasferirsi in Romagna passando da dove tramonta a dove sorge il sole di Matteo Cavezzali
«Non sono abituato a questi inverni qua… Non ce la faccio». Maurizio Maggiani, scrittore ligure migrato in Romagna sta ancora cercando di abituarsi al freddo e alla nebbia. Da diversi anni vive nelle campagne faentine, ma questa è la prima volta che rimane qui anche d’inverno. Maggiani è un tipo molto particolare e la conversazione con l’autore di libri come Il coraggio del pettirosso, Il romanzo della nazione e La zecca e la rosa. Vivario di un naturalista domestico (editi da Feltrinelli) volge subito al surreale. «Facciamo questa intervista subito che poi mi devo buttare nel canale» esordisce, e poi prosegue «Ti rispondo alla prima domanda – prima che gliela facessi, ovviamente –. Quando sono venuto in Romagna ho pensato: “ecco sono arrivato a Disneyland”, perché qui era tutto morbido, sorridente, accudente. Però era primavera. Poi con l’arrivo dell’inverno ho scoperto che cos’è davvero l’inverno. Qui è una stagione vera, da noi era solo un periodo po’ più fresco. L’Appennino protegge la Liguria dalla tramontana e non fa mai così freddo. Io non ho mai comprato un ombrello in vita mia, al massimo andavo a tagliarmi i capelli dal barbiere e uscendo ne prendevo su uno… Credevo di morire quest’inverno, ma sono sopravvissuto. Uno merita di vive-
re solo se lo guadagna. Beh, questo freddo può essere uno stimolo rimanere in casa a scrivere… «È uno stimolo, sì. Mia moglie dice che se fosse vissuta dove sono cresciuto io non si sarebbe mai laureata perché sarebbe stata sempre in giro all’aperto». Quindi quest’inverno hai scritto molto? «No, non ho scritto niente. Ma è stato perché l’inverno mi ha preso alla sprovvista. Non ero preparato. Ma il prossimo inverno sarò pronto e scriverò sicuramente moltissimo». Dall’Italia di ponente ti sei spostato a levante, come è cambiata la prospettiva?
«La natura è conturbante
e misteriosa. Il grillo talpa, che ti mangia i finocchi e tu non puoi fare niente per fermarlo, è chiaramente un essere demoniaco
»
«Questa è la cosa bella e la ragione per cui io sono qui. Ora mi vanto di vivere a oriente. Per un occidentale non è poco cam-
biare costa d’Italia. Le persone qui dicono: “Dai, che tra poco è giorno!”, qui sorge il sole sorge sul mare e dà una spinta a comin-
ciare le giornate. Da noi si dice “belìn, che vuoi fare, ormai è notte, tra poco tramonta il sole”. È una prospettiva ben diversa…» Il tuo ritorno alla campagna, dopo la vita di città, ha segnato anche la tua scrittura. La zecca e la rosa parla e si nutre dell’aria di campagna. «In Liguria la campagna è stretta, perché fatta di dislivelli, ma per me era grandissima perché ero un bambino. Ora che sono vecchio in Romagna mi sento in mezzo all’infinito, dei campi non si vede la fine, sono sconfinati. In campagna i ritmi sono più lenti. Qui vedo ancora le facce che c’erano cinquanta anni fa. Giorgio si è comprato l’aratro con la guida satellitare, ma ha la
faccia e le mani di mio zio e mio zio era un vero contadino, uno che per portare sua figlia a sposarsi aveva voluto noleggiare una Cadillac decappottabile, non so se mi spiego...» Nella tua scrittura si sente anche un ritorno al mondo dell’infanzia, infatti per La zecca e la rosa hai scelto la forma narrativa dell’abbecedario. «Mi ricordo in prima elementare che attaccato al muro c’erano le lettere. O era oca, C era Coniglio, A era Aratro, no forse aratro è una parola un po’ difficile per le elementari…» Forse era Ape... «Mi sembra più veritiero. Il mondo era bello, perché lo scoprivamo senza muoverci dalla classe. Non andavamo in giro a vedere le api, i conigli o le oche. Erano loro sotto forma di disegni e racconti a venire da noi. Era meraviglioso perché era tutto così semplice». Molti autori contemporanei raccontano storie che si svolgono in grandi città o in paesi in cui si intrecciano molte vicende, tu invece hai scelto di raccontare la campagna disabitata, un luogo dove apparentemente non succede nulla… «Se questi scrittori hanno bisogno che succeda qualcosa di fuori, si vede che non gli succede niente dentro». In questo libro metti insieme aspetti molti realistici della campagna, come i migranti che raccolgono la frutta, con elementi di fantasia, quasi magici, come i folletti. Come stanno assieme due mondi così distanti? «Tu sei nato in centro a Ravenna e non sai niente di noi di campagna: i folletti esistono eccome. Da quindici giorni mi sveglio sentendo piangere. Sai chi è? È il fantasma del gatto albino. Quando era vivo non lo ha voluto nessuno, perché era brutto, ed è morto di freddo. Adesso è tornato per farmi venire i rimorsi, perché potevo salvarlo invece non l’ho fatto, e mi tormenta nella notte con il suo pianto. Non fraintendermi. Io sono contemporaneo, ho cinque computer e non scrivo a mano dai tempi della maturità, però ai folletti ci credo, perché ci sono. Ci sono anche case che vedono e sentono. La natura è conturbante e misteriosa. Anche il contadino più esperto sa che c’è sempre qualcosa che gli sfugge. Il grillo talpa, che ti mangia i finocchi e tu non puoi fare niente per fermarlo, è chiaramente un essere demoniaco. C’è un elemento magico? Sì e anche spirituale. La spiritualità dei senza dio che ci portiamo dietro da secoli. In Liguria abbiamo il buffardello che entra in casa di notte per fare scherzi e toglierti il respiro…» In Romagna c’è il mazapegul, che mi pare gli assomigli. «Certo ce n’è una versione ovunque, e sai perché? Il motivo è che non li inventiamo noi, esistono in natura da molto prima di noi. Tutto sta nel saperli vedere».
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LIBRI
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LA RASSEGNA/1
LA RASSEGNA/2
Cognetti, Quirico, Pesatori: gli ospiti del “Tempo ritrovato”
“Caffè letterario” a Lugo: un mese tra teatro, politica e filosofia
A sinistra Paolo Cognetti; a destra: Domenico Quirico
Ernesto Galli della Loggia
“Il Tempo Ritrovato” a Palazzo Rasponi delle Teste a Ravenna (tutti gli incontri sono alle 18.30) entra nell’ultimo periodo di programmazione prima di lasciare spazio a ScrittuRa Festival che si svolgerà dal 22 al 28 maggio a Ravenna e dall’8 all’11 giugno a Lugo. Mercoledì 1 marzo sarà ospite Paolo Cognetti con Le otto montagne (Einaudi). La montagna, nella sua scarna bellezza dura e selvaggia, raccontata da Cognetti che è fuggito dalla città per vivere in una piccola casa sulle Alpi. Il caso letterario dell’anno, tra i possibili vincitori del Premio Strega, è già stato tradotto in 30 paesi.
Martedì 7 marzo il giornalista de La Stampa Domenico Quirico parlerà di Esodo. Storia del nuovo millennio (Neri Pozza). Sarà l’occasione per conoscere le rotte e le storie dei migranti raccontate da uno dei più autorevoli giornalisti italiani in una serata in collaborazione con “Scritture di Frontiera”. Mercoledì 15 marzo Matteo Strukul con I Medici. Una dinastia al potere (Newton Compton). Potere, intrighi e vendette nella storia della famiglia più importante d’Italia in un best seller campione di vendite. Mercoledì 22 marzo l’archeologa Paola Novara e lo storico e
direttore della Biblioteca Oriani Alessandro Luparini con Storia di Ravenna (Il Ponte Vecchio). La storia millenaria di Ravenna sarà rivissuta ripercorrendo alcuni aneddoti e spunti di riflessione. Venerdì 31 marzo si recupererà l’incontro con Marco Pesatori su Il Trigono del Sole (Feltrinelli). Il grande studioso e lettore di astri di D di Repubblica, racconta la ribellione degli anni ’70 su cui le stelle ebbero una insospettata influenza. La rassegna è realizzata dalla associazione Onnivoro grazie all’asssessorato alla Cultura del Comune di Ravenna. Info: www.iltemporitrovatoravenna.it
L’1 marzo, alle 21, per la rassegna il “Caffé letterario”, al Salone Estense della Rocca di Lugo ci sarà Paolo Cognetti (che nel pomeriggio sarà a Ravenna, vedi articolo a fianco), con il suo caso letterario: Le otto montagne. Il 6 marzo, sempre a Lugo alle 21 ma all’hotel Ala d'Oro, è invece ospite Osvaldo Guerrieri, autore di un romanzo che racconta la Parigi degli anni Trenta e Quaranta, Schiava di Picasso, mentre il 13 marzo si torna al Salone della Rocca per il regista e autore Marco Martinelli e il suo libro sull’esperienza della non-scuola Aristofane a Scampia (che sarà anche alla biblioteca Malatestiana alle 21 il 16 marzo). Dal teatro si passa alla politica il 22 marzo (ore 21, Hotel Ala d'Oro) con Marcello Flores e il suo saggio Traditori. Una storia politica e culturale (Bologna, Il Mulino, 2016) e si prosegue su queste tematiche il 27 marzo, stessa ora stesso posto, con l’editorialista Ernesto Galli della Loggia autore di Credere tradire vivere (Bologna, Il Mulino, 2016). Il mese si chiude tra filosofia e poesia con Massimo Donà e il suo Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare (Milano, Bompiani, 2016).
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LIBRI
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23 IN LIBRERIA
BIBLIOTECHE/1
TORNA TRE MANI NEL BUIO DI ERALDO BALDINI PER FERNANDEL Due nuove uscite in libreria per lo scrittore ravennate Eraldo Baldini, saggista e narratore che sta riscuotendo particolare successo con il suo ultimo romanzo Stirpe selvaggia ambientato sugli Appenini tosco-romagnoli e pubblicato da Einaudi. La ravennate Fernandel prosegue nella riedizione di libri ormai introvabili e dopo Bambine, il 23 febbraio ha pubblicato la ristampa di Tre mani nel buio, raccolta di tre storie che si intrecciano intorno a crimini a volte sanguinosi e plateali, a volte subdoli e sottili, che hanno per scenario la provincia italiana: una tranquilla, sonnolenta città “a misura d’uomo”, una campagna ricca e ordinata, una località di riviera che nell’immaginario dei vacanzieri rappresenta il perfetto luna park, ma che può contenere, come ogni luna park che si rispetti, anche un inquietante tunnel degli orrori. A fare da filo conduttore alle tre vicende non c’è solo l’ambientazione di provincia, ma anche gli stessi investigatori (il commissario Righetti, l’ispettore Cardona, i loro collaboratori) e un tema narrativo inquietante e di profondo impatto come quello della malattia, fisica e mentale.
BIBLIOTECHE/2 UNA
MOSTRA IN
CLASSENSE
SUI
SONETTI ROMAGNOLI
Si chiude il centenario della morte di Olindo Guerrini con una mostra alla Biblioteca Classense di Ravenna, con prestiti da molte altre biblioteche del territorio compresa la Saffi di Forlì, aperta fino al 6 maggio e interamente dedicata all’opera dialettale del poeta e intellettuale romagnolo: I sonetti romagnoli. In mostra carteggi, immagini, pezzi di arredo per un’espozione curata anche dallo studioso Renzo Cremante e promossa dall’associazione “Amici di Olindo Guerrini”.
DIALOGHI A Rimini tre incontri sulle donne tra economia e politica
Murgia e Fois per Grazia Deledda a Cesena Mercoledì 1 marzo alle 21 alla Biblioteca Malatestiana di Cesena si tiene un omaggio a Grazia Deledda organizzata da Emiliano Visconti con Marcello Fois e Michela Murgia in una serata dal titolo “Quasi grazia”.
BIBLIOTECHE/3
Le 9 ragioni per amare il greco: Marcolongo in Malatestiana Un ciclo di incontri alla biblioteca Malatestiana di Cesena per parlare di lingue classiche. Il primo appuntamento, in Aula Magna alle 17, è per giovedì 9 marzo con Andrea Marcolongo e il suo successo editoriale: La lingua geniale - 9 ragioni per amare il greco. Andrea Marcolongo, laureata in lingue classiche e specializzata in storytelling, ha scritto un libro che vuole essere una dichiarazione d’amore verso la lingua greca e prova a convincere anche il lettore più scettico che esistono buone ragioni per superare qualsiasi dicoltà iniziale con questa lingua: come ci ricordava già Virginia Woolf “è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione e della nostra epoca”. L’autrice dialoga con Laura Pezzino, giornalista di Vanity Fair e curatrice del blog BookFool.
In occasione della giornata dell'8 marzo, un nuovo ciclo di incontri dal titolo “Parla con lei: dialoghi con le autrici. Sapienza contro violenza”, giunto alla quarta edizione, a Rimini. Gli incontri prendono il via sabato 4 marzo alle 17 nella Cineteca comunale, con la proiezione del documentario Femminismo! di Paola Columba. Intervengono la regista e il produttore Fabio Segatori. La settimana successiva, sabato 11 marzo alle 17.30, nelle Sale antiche della Biblioteca Gambalunga, Claudia Garimberti presenta Donne della Repubblica (Il Mulino, 2016). Ultimo appuntamento, sabato 18 marzo, sempre alle 17.30 nelle Sale antiche della Biblioteca Gambalunga, con Luisa Pogliana e il suo Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende (Guerini Next, 2016). Tutti gli incontri sono a ingresso libero e sono organizzati dal Coordinamento Donne Rimini in collaborazione con la Casa delle Donne del Comune di Rimini, la Biblioteca civica Gambalunga, la Cgil Rimini, il Liceo classico Giulio Cesare Manara-Valgimigli e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna.
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ARTE
A sinistra: Adolfo Wildt, La concezione, marmo e dorature, 1921 A destra: Felice Casorati, Maschera nera, Maschera rossa, terracotta verniciata, 1914
LA RECENSIONE
Disinvolta, sensuale, spensierata Art Déco In visita alle 15 sezioni in cui è articolata la prima grande mostra sul tema, ai Musei di San Domenico a Forlì di Serena Simoni
Basterebbero le linee sinuose e il blu metallizzato dell'Isotta Fraschini di D'Annunzio in esposizione ai Musei di San Domenico a decretare profeticamente il successo della mostra “Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia appena inaugurata a Forlì”. Assecondando una linea progettuale di appuntamenti espositivi che è partita nel 2012 con la mostra dedicata a Wildt - seguita da quelle dedicate all'Arte fascista, al Liberty, a Boldini e a Piero della Francesca, visto soprattutto dagli artisti degli anni '20 e '30 - l'esposizione attuale conclude un ciclo che esplora l’arte nei primi decenni del secolo breve. Le sintonie non sono solo con la storia del territorio romagnolo ma corrispondono a un interesse crescente verso questo stile trascurato per decenni, testimoniato oggi da un interesse del mercato antiquario e dalla ripresa del Déco nell'arredamento e negli accessori contemporanei. Riviste ed esposizioni di mobili ripropongono le geometrie di questo stile attento ai materiali pregiati e al dettaglio. Nato a una decina di anni di distanza dalla prima guerra mondiale, Il Déco trovava grande diffusione in Europa e negli Stati Uniti a seguito della sua definitiva consacrazione a Parigi nel 1925. Se si valuta la corrispondenza con l’Art Nouveau, il Déco mantiene una stretta collaborazione fra industria e arte, ed evita di distinguere fra arti maggiori e applicate, conservando l'attenzione ai materiali. Rispetto alle linee floride e floreali del Liberty – la declinazione italiana dell'Art Nouveau – c’è invece una preferenza verso andamenti geometrici che
superano le curvilinee e il decorativismo passati. Grazie all’influsso delle Avanguardie o al recupero (tutto italiano) del classicismo o di alcuni stilemi settecenteschi, mediante le spinte del Razionalismo o dell'eredità più geometrica della stessa Art Nouveau, Il Déco si presenta come un linguaggio di sintesi. Nonostante le versioni differenti nei vari paesi, in comune c'è una più diretta vocazione estetica alla modernità e al lusso, al ritmo veloce delle metropoli e ai suoi segnacoli contemporanei come grattacieli, aerei, transatlantici e automobili. Si ritorna quindi all'Isotta Fraschini, un bolide azzurro metalizzato che con la possibilità futuristica per i tempi di viaggiare a 150 km. orari incarna il lusso e la spensieratezza delle feste organizzate dal Grande Gatsby.
«Il Déco mantiene
una stretta collaborazione fra industria e arte, ed evita di distinguere fra arti maggiori e applicate
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La mostra di Forlì – la prima in Italia dedicata con questa ampiezza al Déco – cerca di rendere al meglio la pluralità di questi linguaggi e delle esperienze che costituiranno le radici del Made in Italy. Si cerca quindi di rendere questo complesso panorama attraverso 15 sezioni espositive che si articolano fra le radici del movimento e la sua crisi, i cui segni si evidenziano già nel momento del suo massimo splendore. L’estensione – sono più di 400 le opere e gli oggetti esposti – è il punto di forza della mostra ma anche la sua debolezza: la moltitudine di influssi, temi, consonanze e scambi, visioni e tendenze che si espandono per più di 15 anni, anche se con un vincolo geografico, viene rispettata attraverso un'analisi lodevole che però rischia di sommergere di dati e
oggetti lo spettatore, per quanto attento. Il senso dell'insieme è a rischio per una serie di rimandi fitti, in alcuni casi apparentemente poco giustificati. La prima sezione illustra le radici secessioniste ed espressioniste del Déco, fra opere conosciute di Wildt, Libero Andreotti, Gio Ponti e Duilio Cambellotti a cui si accompagnano produzioni interessanti – non sappiamo quanto effettivamente influenti nel panorama italiano – dello scultore croato Ivan Meštrović, attivo soprattutto nel suo paese prima del trasferimento negli Stati Uniti. La raffinatissima e grottesca modalità scultorea di Wildt – evidente nell'Anima dei padri (1922) – mantiene un forte espressionismo in altre opere più geometriche e decorative (La concezione 1921-22): rimane però da dimostrare come sia questa produzione a costituire un suggerimento per le sculture di Felice Casorati (Maschera nera, maschera rossa 1914) sia per una questione di tempi che per un collegamento che pare più stretto col primitivismo frequentato dalle Avanguardie europee, mediato dai contatti con gli artisti di Ca’ Pesaro. Più lineare risulta la seconda sezione della mostra, dedicata alle quattro esposizioni di arte decorativa allestite a Monza fra 1923 e il 1930: nonostante dispiaccia non vedere illustrate le edizioni successive delle Triennali di Milano – esito naturale delle precedenti – le opere esposte rendono il polso creativo e multidirezionale di quegli anni. Nelle stanze si possono quindi vedere alcune tarsie di tessuto realizzate da Fortunato Depero (Danza di diavoli, 1922; Lizzana, 1923), in cui il linguaggio del secondo Futurismo alimenta una
ARTE
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25 vena ironica, funambola e coloratissima, accanto ad uno splendido vaso di vetro soffiato di un giovanissimo Carlo Scarpa (1927) e ad alcune maioliche di Gio Ponti del 1923, lo stesso anno in cui l'architetto iniziava la sua collaborazione con la ditta Richard-Ginori. Anima fra le più interessanti del panorama nazionale di quegli anni, Ponti rinnovava così l'iconografia e lo stile della tradizione ceramica, prendendo spunti dal classicismo e dalle Avanguardie, dalla Metafisica, mescolandoli con eleganza a elementi del Manierismo e del Neoclassicismo. Segue la sezione dedicata ai rapporti fra arte, industria e artigianato con un approfondimento dedicato alle tecniche e ai materiali. Grazie ai bozzetti e agli oggetti di Galileo Chini, ai figurini di Thayaht (Ernesto Michahelles), ai tessuti di Marcello Nizzoli e alle opere in ferro battuto di Carlo Rizzarda si comprende il rapido evolversi di un rapporto ambiguo e fecondo fra oggetto unico e produzione seriale, quando lo sviluppo industriale, avviato da pochi decenni in Italia, cerca di stare al passo con l’idea di una progettazione che ha come scopo una vita più comoda e bella per più persone. Nella sezione dedicata all'architettura, i progetti di Gio Ponti inseriscono la solita ricerca classicista dell'identità italiana sulle matrici del Razionalismo, senza piegarsi a soluzioni troppo radicali (Ange Volant, 1926, Garches, Francia) mentre le numerose riviste nate e fiorite in questi anni - da “Casa Bella” a “Domus” - mostrano l'ecletticità di progetti votati a recuperi dal passato, a influssi secessionisti oppure a soluzioni utopiche (Portaluppi, grattacielo S.K.N.E. di New York, 1920). Da qui la mostra conduce all'omaggio a D'Annunzio da cui è iniziato il nostro itinerario, snodando-
«Un'analisi lodevole
che però rischia di sommergere di dati e oggetti lo spettatore, per quanto attento
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Tamara de Lempicka, “Saint-Moritz”, olio su tavola, 1929, Orléans, Musée des Beaux-Arts
si fra influssi orientali, evidenti in numerose scenografie teatrali e costumi per la Turandot o negli arredi di Galileo Chini per le Terme Berzieri di Salsomaggiore (191823). Alimentati da viaggi in Oriente – è il caso del soggiorno di Chini a Bangkok – o da scoperte archeologiche come la tomba di Tutankhamon nel 1922), è evidente come in manifesti, ceramiche, scenografie e sculture vengano stratificati elementi decorativi orientali o le loro reinterpretazioni occidentali. Le sezioni seguenti – cadenzate sugli arredi degli interni e sul tema del viaggio, sulla ritrattistica e gli influssi della mostra di Parigi del 1925, sulla nostalgia dell'antico e i miti ricorrenti (Orfeo, il Paradiso perduto, la Venere moderna e la donna Déco) – risultano affascinanti per la presenza di oggetti poco visibili come i prodotti di Alfredo Ravasco, i decori interni delle carrozze letto ferroviarie inglesi (1926), le poltrone del translatantico Normandie (1935), o gli abiti indossati da Franca Florio negli anni '20. La raffinatezza dei particolari e il luccichio dei materiali sono lo specchio in cui si riflette una società disinvolta, sensuale e spensierata, di cui si apprendono i tratti imbronciati e narcisisti nei ritratti di Tamara de Lempicka. Le ultime sezioni dedicate alle ambiguità e alla crisi del Déco dicono poco di più di quanto già sia scritto nelle bellissime e gelide donne ritratte dall'artista polacca. Art Déco - Gli anni ruggenti in Italia Fino al 18 giugno a Forlì, Musei San Domenico Da martedì a venerdì: 9.30-19; sabato, domenica, festivi: 9.30-20. La biglietteria chiude un’ora prima Lunedì chiuso, tranne 17 e 24 aprile e 1 maggio Info: www.mostradecoforli.it e tel. 199.15.11.34
FAENZA Il gusto del Déco per le ceramiche al Museo Internazionale
In concomitanza con la grande mostra sull’Art Déco in corso ai musei di San Domenico di Forlì, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ha allestito “Ceramiche Déco. Il gusto di un’epoca”, a cura di Claudia Casali. Fino all’1 ottobre, una mostra che concentra la propria attenzione sulla produzione ceramica italiana e internazionale a partire proprio da quella faentina, che in quegli anni fu fondamentale per lo sviluppo e l’affermazione del gusto Déco in Italia. Questo avvenne grazie a figure di spicco come Domenico Rambelli, Francesco Nonni, Pietro Melandri, Anselmo Bucci, Riccardo Gatti, Giovanni Guerrini, Ercole Drei aggiornati e invasi di fermento creativo grazie all’aggiornata “scena” stimolata dal Museo Internazionale delle Ceramiche e dalla Regia Scuola Ceramica fondati da Gaetano Ballardini rispettivamente nel 1908 e nel 1919. Un’occasione dunque per i visitatori delle due mostre per completare, nel raggio di pochi chilometri di distanza, la scoperta di questo periodo storico e artistico che ha profondamente influenzato i costumi.
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ARTE
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LA VISITA
Villa Saffi, scrigno delle passioni del Risorgimento A Forlì la casa di San Varano dove vissero (tra un esilio e l’altro) e morirono il triumviro Aurelio e la moglie di Elettra Stambouils
Se c'è un uomo che riassume in sé tutte le ambiguità e le straordinarie condizioni del Risorgimento romagnolo, quello è Aurelio Saffi: e se cerchiamo una donna, che ne riassuma l'incredibile spinta al cambiamento nei rapporti di genere, esemplare fu Giorgina Craufurd Saffi. Le loro vite, movimentate da continui esilii, da un legame quasi di apostolato con Giuseppe Mazzini, dall'esaltazione della Repubblica Romana del 1849 alla caduta delle speranze dopo i fatti di Aspromonte, ebbero forse un unico solido approdo, un porto in cui sempre ritornarono, ed entrambi finirono i loro giorni, la casa di San Varano a Forlì: lui, il triumviro eletto insieme a Mazzini e Armellini durante la breve esperienza democratica di Roma, morì lì nel 1890, lei, nobile scozzese che aveva sposato insieme al marito anche la causa repubblicana, nel 1911. Vissero entrambi in modo intenso l'adesione alla causa mazziniana: Saffi ne raccolse il testimone e ne curò la pubblicazione degli scritti dopo la morte. Giorgina fece lo stesso con la memoria del marito, ma fu anche per tutta la vita strenuamente impegnata nella costruzione dell'Italia prima e della condizione delle donne poi, come molti uomini e donne britannici, sicuramente influenzati dalla presenza dell'esiliato Mazzini a Londra per quasi tutta la sua vita. E fu proprio l'amante di Mazzini, Giuditta Sidoli, un'altra figura tra le tante di donne che animarono il complesso processo dell'unità d'Italia e che, ahimè, non vengono manco menzionate nei patri libri di Storia, a far legare per sempre la sorte di Giorgina con quella dell'Italia. Questo per evitare fraintendimenti: non fu il marito a rendere patriota Giorgina, tutt'al più fu la sua fede nella causa italiana a legarla al marito, malgrado gli ostacoli posti dal padre che malvedeva la relazione con un rifugiato italiano... va bene la causa, ma prenderci anche le figlie! Per entrare nella mentalità di questa generazione di sovversivi, rifugiati, agitatori italiani, basta ripensare alle ultime parole della cofondatrice della Giovine Italia, la Sidoli appunto, che in punto di morte rifiutò i sacramenti dicendo: «Io credo liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa ». Insomma, non era solo il noto Garibaldi ad essere senza mediazioni nella relazione con la chiesa... Ecco, visitare queste abitazioni, toccare con mano la sopravvivenza materiale di quel ventoso ottocento che costituì il presupposto di questo Paese che noi oggi abitiamo considerandolo scontato, permette di riavvicinarsi agli umori veri, all'esistenza carnale di uomini e donne che amarono (anche in questo sempre con intensità focosa, come se l'intensità dell'impegno politico si riversasse nella stessa misura nei battiti del cuore) e soffrirono in parti uguali. Non furono insomma solo lapidi attaccate sopra lo stipite di un portone
Enrico Aurelio Saffi, nato nell’anno della morte del nonno omonimo, a sua volta letterato e animatore culturale di livello nazionale, scegliere sempre questo luogo come exitus, come luogo dell'ultima partenza. Egli scrisse in una sua poesia (era amico di Cardarelli con cui fondò La Ronda): In questo paese della mia adolescenza, che gli occhi/riaccolgono teneramente,/nel mattino penetrante le membra ancor del letto tiepide,/ecco i tuoi occhi nuovi... E proprio con occhi nuovi si esce dalla visita di questa particolare casa museo, che raccoglie alcuni dei segni lasciati da questa famiglia di fondatori dell'Italia, costituita da un romagnolo e una scozzese. In essa oltre al bellissimo parco, ci sono anche oggetti che rimandano a un tempo passato di decoro e
“a futura memoria” degli smemorati. Passeggiare nel viale sotto i tigli in una domenica primaverile verso la villa è un'esperienza che permette di tornare indietro nel tempo, in quell'ottocento così conteso e così poco romantico in senso tradizionale. Villa Saffi fu un acquisto del nonno di Aurelio, che la destinò a residenza estiva: le vacanze di questa facoltosa
famiglia furono però subito sostituite, o meglio arricchite, dalle riunioni dei carbonari che Aurelio convocava usando il nome in codice “Vendita dell'Amaranto”. La residenza, che conserva notevoli tracce della coppia sovversiva che nell'ultima parte della vita comune ne fece l'esclusiva abitazione, è anche scrigno degli anni a loro successivi che videro, per esempio il nipote
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amore del bello. È dal 1988 che il Comune di Forlì ne ha decretato la destinazione al pubblico e nel tempo il passato si è ricucito con il presente: un fitto calendario di eventi si svolge ogni anno. A volte senza diretta relazione con il tema del luogo, come le Invasioni digitali del 2016, a volte invece diventa collettore di istanze di narrazione alternativa di quello che fu, come l'originalissimo progetto del Liceo Fulceri Paulucci di Calboli che ha visto gli studenti diventare interpreti, più che ciceroni, di performance che permettevano una più diretta esperienza delle vicende che hanno visto questa casa muta testimone. È sicuramente una casa museo che nasconde il dolore, i lunghi esili stranieri, le delusioni politiche che furono lunghe e continue, ma che permette comunque nella sua placidità di percorrere un pezzetto di terra e affetti che costituì forse l'unico focolare certo di chi in quel tempo diviso scelse con certezza da che parte stare. La visita può essere prenotata qualsiasi giorno della settimana ai Musei di San Domenico, apertura garantita invece ogni domenica. Prenotazioni al n. 0543.712659 (Musei San Domenico) Info: 0543 712606 / 712609 Villa Saffi: Tel. 0543 479192
ARTE
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ARCHEOLOGIA
La Ravenna romana ricostruita in 3d L’opera Rock Balancing, installazione di Ignazio Fresu
LA MOSTRA-MERCATO
Quando l’arte si sposa con la moda Alla Fiera di Forlì insieme Vernice Art Fair e Pret-à-Porter
Venerdì 10 marzo alle 18 al Museo Tamo di Ravenna verrà inaugurato il progetto didattico interattivo “Ravenna da Augusto a Giustiniano. Ricostruzioni digitali per comprendere la città”, realizzato dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna, in collaborazione con la Fondazione RavennAntica. Il progetto è curato dai professori Maurizio Nicosia e Pier Carlo Ricci dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna, da Fabrizio Corbara (coordinatore progetti Fondazione RavennAntica) e dall’archeologa Giovanna Montevecchi e prevede l’esposizione di alcuni modelli plastici degli ambienti da cui provengono i mosaici in mostra nel Museo Tamo, al fine di favorire una più facile comprensione del loro contesto originario. Partendo dai modelli plastici, realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti nel laboratorio di modellistica 3D, il visitatore, con il proprio smartphone o altro dispositivo, potrà collegarsi tramite un codice a barre al sito internet appositamente realizzato (tamoravenna.info) per avviare una esplorazione di Ravenna in epoca antica. Il sito internet, pensato per una consultazione a diversi livelli di approfondimento, si prefigge di dare informazioni dall’epoca di Augusto a quella di Giustiniano attraverso schede di approfondimento, mappe navigabili e ricostruzioni in 3D della città. L’innovazione di questo progetto risiede sia nelle tecnologie e professionalità impiegate, sia nel metodo di lavoro seguito. I dati e le fonti scientifiche disponibili sono stati costantemente messi in relazione tra loro. L’incrocio delle informazioni ha generato nuove prospettive e riflessioni sul contesto storico e urbano di Ravenna in età romana.
AGENDA LA PERSONALE DI MASSIMO ALLE PESCHERIE DI LUGO
PULINI
Marzo mese dell’arte e della creatività alla Fiera di Forlì con la 15ª edizione di Vernice Art Fair, mostra-mercato d’arte contemporanea e “Prêt-à-Porter - Moda e Shopping in Fiera”, manifestazioni che si svolgeranno in contemporanea nei padiglioni fieristici di Forlì dal 17 al 19 marzo. Ma i principi ispiratori di “Vernice Art Fair” restano immutati, fanno sapere gli organizzatori, e saranno direttamente gli artisti a presentare le proprie creazioni al pubblico senza il tramite delle Gallerie d’arte. Tornano appuntamenti ormai consolidati come lo spazio “Quattroxquattro.com”: un’area studiata e curata da Oscar Dominguez che valorizza nella loro unicità le opere realizzate da quattro artisti e che nei tre giorni vi vengono ospitate in quattro spazi tra loro interconnessi. Tredicesima edizione per un evento che sa offrire ogni anno spunti differenti e ricerche di grande stimolo intellettuale. Verrà riproposto l’evento “EuroExpoArt” curato da Giorgio Bertozzi e Ferdan Yusufi che porterà a Forlì artisti internazionali, mentre reca il titolo “Rock Balancing” un’installazione dello scultore cagliaritano Ignazio Fresu che da anni collabora con “Vernice Art Fair” dando lustro alla manifestazione. Torna anche il concorso nazionale “Coinè per l’Arte”, dedicato a pittura, scultura, fotografia e promosso proprio da Romagna Fiere. Inoltre, “SIFEST OFF” porta a Forlì i talenti della fotografia e delle arti visive. Una curiosità: una partnership di entrambe le fiere è quella siglata con il Gruppo Herambiente e che porterà dal 17 al 19 marzo a Forlì una grande mostra di arte e moda all’insegna dell’ecosostenibilità. Si chiama Waste Fashion. l’evento è organizzato grazie alla collaborazione con Waste Recycling, società del Gruppo Herambiente che ha ideato il progetto "SCART - Il lato bello e utile del rifiuto". Inoltre saranno coinvolte scuole di tutta la Romagna con il concorso “Green Years” , organizzato dall’associazione culturale Menocchio. Orario di apertura: venerdì 17 dalle 16.30 alle 19.30; sabato 18 e domenica 19 dalle 10.00 alle 19.30. Biglietto intero 8 euro; ridotto* 6 euro; gratis i bambini sino ai 12 anni di età.
Prosegue fino al 5 marzo la mostra personale di Massimo Pulini alle Pescherie della Rocca di Lugo dal titolo “Ut pictura. Alfabeti dipinti”.
ROVERETI E SANTOLIERI ALLA CANTINA CARBONI Per la rassegna “Oltre il contemporaneo-Fuori Mercato” alla galleria Cantina Carboni di Cesena due sono gli appuntamenti di marzo. Dal 4 al 16 infatti saranno esposte le opere di Massimo Rovereti e dal 18 al 30 marzo sarà la volta di Giulio Santolieri.
Via A. Oriani, 34 Ravenna T. 393 7990975
JUNIOR
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IL LUOGO
Tra canne e capanne, nel tempio della tradizione A Villanova di Bagnacavallo alla scoperta dell’Ecomuseo delle Erbe Palustri «per salvaguardare la memoria» di Roberta Bezzi
L’Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo è un luogo ricco di suggestioni che raccoglie oltre 2.500 reperti fra intrecci, tessiture, trame e manufatti realizzati con le erbe spontanee fornite dall’ambiente vallivo di prossimità, ma anche frutto delle varie lavorazioni di legni dolci come il salice e il pioppo, usati per gabbie e sedie rustiche. La gestione è affidata, tramite convenzione, all’associazione culturale Civiltà delle Erbe Palustri. Tutto nasce nel 1985, grazie a un piccolo gruppo di giovani volontari – tra cui Maria Rosa Bagnari e il marito Luigi Barangani, figlio di un artigiano e commerciante di erbe palustri – che hanno avviato una prima indagine all’interno del paese per scoprire la storia della propria comunità nota, fra Otto e Novecento, per l’originale artigianato delle erbe palustri. Sono state così recuperate attrezzature originali, fasci d’erba, manufatti e avanzi di magazzino, allo scopo di creare una piccola esposizione. «Fondamentale – spiega Bagnari, responsabilità delle attività – è stata poi l’individuazione di persone che
avessero memoria di questo recente passato e dotate di un certo bagaglio tecnico dell’arte della lavorazione delle erbe palustri, disponibili a collaborare a una prima idea informale di ricostruzione della produzione classica villanovese». È nata così la prima edizione della Sagra delle Erbe Palustri, mentre due anni dopo è stato allestito il primo museo, costituito da una piccola collezione di manufatti che col tempo si sarebbe ampliata grazie alle famiglie locali. Tuttora, attraverso un piccolo gruppo di artigiani chiamato “Cantiere Aperto”, sopravvive un vero e proprio laboratorio dimostrativo di lavorazione delle erbe di valle, secondo le tecniche tramandate nel corso di una storia plurisecolare. Una tappa importante è stata la realizzazione, a partire dal 2006, dell’etnoparco “Villanova delle capanne”, una sezione espositiva all’aperto, complementare alla collezione del museo, nella quale sono state ricostruite le principali tipologie di costruzioni rurali e vallive in canna palustre. Grazie all’esperienza dell’ultimo maestro capannaio ravennate, è stato possibile costruire e restaurare molti capanni di proprietà privata, della cui importanza hanno di recente preso
consapevolezza anche le istituzioni preposte alla salvaguardia del paesaggio. «La necessità e la volontà di partire dal nostro passato, dalle nostre tradizioni locali – aggiunge Maria Rosa Bagnari -, ha avuto come scopo non solo quello di conservare la memoria e salvaguardarne la cultura materiale e immateriale, ma anche e soprattutto quello di offrire alle giovani generazioni la possibilità di riconoscersi nel luogo in cui si vive, di sentirsi parte di una realtà fatta di conoscenze e di valori unici, da conservare e tramandare, che sanno di poter trovare qui e solo qui». Molteplici sono state, nel corso degli anni, le attività rivolte a bambini e ragazzi delle scuole. Il prossimo 17 marzo, per esempio, è in programma il laboratorio “Capricci in cucina”, rivolto a babbi e bambini, mentre il 12 maggio al parco pubblico di Villanova si terrà “La città dei bambini”, iniziativa pensata per nidi e scuole dell’infanzia, elementari e famiglie. Il 21 e 22 aprile si terrà “La giornata della Terra”, in collaborazione con Wwf Ravenna, mentre il 14 luglio la “Notte Verde”, pensata per le famiglie, con laboratori, giochi, animazioni, cena e pernottamento in tenda o all’interno del museo. In calendario anche, il 18
novembre, la “Giornata internazionale dei diritti e dell’adolescenza”, con animazione per adulti e bambini con organetto di Barberia, il suono della sega e dei cucchiai e cena dei Diritti. In merito al paesaggio è stato avviato il progetto partecipato “Lamone Bene Comune”, volto alla riscoperta e valorizzazione del fiume Lamone e dei suoi territori. Numerosi i risultati raggiunti in questi anni grazie a contributi regionali e finanziamenti europei: il recupero della sommità arginale del fiume con la realizzazione di un percorso ciclopedonale, la pubblicazione annuale della guida “Lòng e’ fion” e del “Quaderno della vita del fiume”, la definizioni del marchio Terre del Lamone, iniziative di promozione come la “Pedalêda cun la magnêda longa” e i “Lòm a Mêrz”, progetti didattici, la stesura del Manifesto del Lamone e della Mappa delle Tipicità. Grazie a questo progetto, l’Ecomuseo delle Erbe Palustri è stato premiato dall’indagine Icom Italia 2016 come “eccellente pratica nella relazione tra museo e paesaggio culturale”, ottenendo anche una menzione speciale insieme al MAMbo di Bologna e al Museo della Marinerai di Cesenatico.
IN CAMPAGNA
Quei riti propiziatori attorno al fuoco Tornano le iniziative dei “Lòm a Merz”, anche per i bambini La Romagna è una terra storicamente votata all’agricoltura. E l’agricoltura, come molte altre attività “all’aperto” era, ed è tutt’ora, soggetta alle avversità metereologiche. Così la tradizione contadina del passato voleva che per scongiurare la malasorte venissero fatti dei riti propiziatori, come i fuochi magici, i “Lòm a Mêrz”, ovvero i lumi di marzo. L’accensione di falò propiziatori intendeva celebrare l’arrivo della primavera e invocare un’annata favorevole per il raccolto nei campi, ricacciando il freddo e il rigore dell’inverno. Il suo significato era quello di incoraggiare e salutare l’arrivo della bella stagione, bruciando i rami secchi e i resti delle potature. Per questa occasione, negli ultimi tre giorni di febbraio e nei primi tre di marzo, ci si radunava nelle aie, si intonavano canti e si danzava intorno ai fuochi, al fugarèn, mangiando, bevendo e soprattutto divertendosi. Dal 26 febbraio al 3 marzo, quando la luce cala dopo il tramonto, in circa 50 aie e case di campagna nei territori di Ravenna, Forlì, Ferrara e Bologna si accendono i caldi fuochi. Un'occasione di contatto con la natura e con le tradizioni. Attorno ai grandi falò si svolgeranno iniziative e incontri sulla tradizione e sulla cultura contadina romagnola, fra balli,
spettacoli, mostre, presentazioni di libri, senza che manchi la degustazione di vini e cibi tipici dell’enogastronomia della Romagna. L’edizione 2017 intende dare visibilità proprio all’arte della cucina che con il gusto sottolinea uno stile, un’appartenenza identitaria. Tra le iniziative in programma in marzo in Romagna dedicate anche alle famiglia da segnalare i pomeriggi tra gli animali alla Fattoria La Rondine di Boncellino (dove sarà poi naturalmente possibile cenare vicino al fuoco) mercoledì 1, giovedì 2 e venerdì 3 marzo, oltre alle cene con iniziative varie agli agriturismi Il contadino Telamone di Reda di Faenza, Palazzo Baldini di Boncellino, Nasano di Riolo Terme, Cà di Mezzo e Rio Manzolo di Brisighella e Radisa di Santerno. Sabato 4 e domenica 5 iniziative anche al museo etnografico Sgurì di Savarna, fin dal primo pomeriggio. Venerdì 3 marzo dalle 20 ci sarà anche una sorta di anteprima dell’Arena di paglia di Cotignola, con sculture di luci e concerto degli Ochtopus. Info e programma completo sul sito internet: www.illavorodeicontadini.org.
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GUSTO LA TRADIZIONE
NEL DETTAGLIO MOLTI
GRASSI E PROTEINE, MA ANCHE TANTE VITAMINE
Gli insaccati sono prodotti di salumeria composti da impasti di carni tritate ed insaccate, consumati crudi o cotti, freschi o stagionati e/o affumicati. Ne fanno parte anche quei salumi che, pur composti da pezzi di carne non trita, sono rivestiti da un contenitore (come la coppa, il lombetto e il culatello). In ogni produzione di effettua la salagione, tecnica conservativa fra le più antiche, che consente di disidratare i tessuti, inibire lo sviluppo di microrganismi nocivi, favorire la stagionatura e la maturazione e conferire caratteristiche di sapidità. La composizione degli insaccati è assai variegata: porzioni magre e grasse di carni di svariata origine, componenti del quinto quarto (interiora), ortaggi, spezie, aromi, vini. Le grandi caratteristiche sensoriali si apprezzano soprattutto nei prodotti stagionati grazie allo sviluppo di molte reazioni enzimatiche correlate alle condizioni e alla durata della stagionatura, ai ceppi microbici impiegati come starter, allo sviluppo di muffe superficiali, alla percentuale e tipologia di grassi, spezie e aromi.Andando ancora oltre va detto che la produzione degli insaccati può avvalersi di additivi alimentari (antimicrobici, antiossidanti, addensanti, gelificanti … ) per tutelare la salubrità e stabilizzarne le caratteristiche organolettiche. Ovviamente sto parlando di produzioni non artigianali e per questo è bene sottolineare che i nitrati e i nitriti di sodio e potassio, che inibiscono lo sviluppo di batteri sporigeni ed agiscono con efficacia contro il temibile botulino, sono ancora oggi fonte di perplessità per la salute dei consumatori. Sotto il profilo nutrizionale la maggior parte degli insaccati contiene (per 100 grammi di porzione edibile) dai 20 ai 40 grammi di grassi e dai 15 ai 30 di proteine, apportando quindi molte calorie (dalle 300 alle 500kcal) ed è per questo che vengono sconsigliati a diabetici, iperuricemici, dislipidemici e gottosi. Le proteine, pur caratterizzate da una apprezzabile qualità, grazie alla buona presenza di aminoacidi essenziali, sono ritenute eccessive. Il quadro vitaminico è però interessante: buono il contenuto di vitamina B1 e discreto quello di B2 , entrambe componenti di enzimi coinvolti in reazioni metaboliche; buona la presenza di vitamina B12 , discreta quella della carnitina, di vitamina D e A. Tra gli oligoelementi troviamo il ferro e lo zinco. Entrambi in forme estremamente assorbibili e metabolizzabili. Anche se in piccole quantità sono presenti il fosforo e il magnesio, il potassio e il rame, il cromo, il manganese e il selenio. Infine, gli insaccati contengono molto sodio che deve essere assunto con cautela in presenza di ipertensione, di malattie renali, epatiche, cardiovascolari e di disturbi gastrici. Insomma, un quadro nutrizionale variegato, caratterizzato da pregi e difetti, che richiede un consumo consapevole ed un contesto dietetico equilibrato.
Quei profumi della stagionatura per salami, prosciutti e insaccati
di Giorgia Lagosti
Se nel secolo scorso, in questi giorni di inizio primavera, avessimo visitato le soffitte o le cantine delle case di campagna della nostra zona, avremmo trovato certamente file profumatissime di salumi appesi a stagionare, casse di legno piene di gesso o di cenere a preservare i sala-
mi gentili e maestosi prosciutti impegnati nella delicata fase della salagione. I tagli freschi erano già stati consumati a ridosso del giorno della scarnatura del maiale ma il bottino per il lungo periodo era di sicuro nascosto nel luogo più fresco e areato della casa e, senza dubbio, era osservato a vista (e in adorazione) dalla famiglia che su
quello faceva affidamento per i lunghi mesi a venire. Affidamento sul maiale per il sostentamento dell’intero anno, almeno per ciò che riguarda la carne. Ma perché proprio il maiale? Gli altri animali da stalla davano anche il latte dal quale i molti derivati, le pelli, il cuoio (la pelle conciata) o forza lavoro trainando l’a-
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GUSTO
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31 CURIOSITÀ INSACCATI O AFFETTATI? Il SALAME RESTA IL RE, JACOVITTI DOCET
ratro (si pensi al “pio bove” prima dell’arrivo del trattore). Il maiale invece era qualcosa di più, era una vera miniera alimentare: per gli insaccati si usava tutto (e grazie a Dio oggi la situazione è cambiata di poco), la carne, le frattaglie, il sangue, il lardo, il grasso. Poi il sale, le spezie, gli additivi, l’involucro (le budella), il tutto trasformato dalla magica arte dei norcini. Ed ecco questi strepitosi prodotti le cui origini si perdono nei secoli. Dalla storia all’arte, il maiale risulta di frequente citato e rappresentato: cominciando dall’invenzione della lucanica, ritenuta l’antenato del salame, lo troviamo negli affreschi murali romani, nelle rappresentazioni gotiche e nelle macellerie dei pittori fiorentini, attraversa anche le tele di Goya e di Mirò, viene raccontato nelle pagine di Omero e Goldoni. Tabù alimentari e prescrizioni religiose a parte, ci vuole infatti una buona dose di falsità per dar contro a chi per millenni ha intrecciato e continuerà a farlo grandi elogi al maiale. Al cavallo è andato sostituendosi il treno e l’automobile, il bue ha ceduto il posto al trattore, i postini hanno mandato a riposo i piccioni viaggiatori e perfino i muli delle Armate Alpine hanno fatto armi e bagagli di fronte all’incedere della tecnologia. Ma quale macchina, quale marchingegno bio-tecnologico può darci la materia prima per confezionare un ottimo culatello di Zibello, una sontuosa mortadella di Bologna o un magistrale prosciutto di Sauris? E non da ultimo va detto che era (ed è) talmente diffuso che ha lasciato un segno anche nella geo-
Insaccati è senz’altro corretto ma suona troppo tecnico: chi mai chiederebbe un panino con l’insaccato? Ma con l’affettato sì! Vuoi mettere! Cambia tutto! O il cameriere sorridente che propone “cominciamo con degli affettati? Un bell’antipasto all’italiana?”. È un altro mondo e tutti pensiamo alla mortadella, alla pancetta, alla coppa, alla soppressa e via dicendo fino a lui, al salame, l’insaccato per eccellenza, simbolo della categoria e sintesi e compendio di tutti i confratelli, così numerosi che l’elenco completo sarebbe troppo lungo. Quell’antipasto, in lingua inglese, è “cold cuts”, poco coinvolgente, quasi chirurgico (tagli freddi), mentre i francesi lo chiamano “assiette anglaise”, chissà poi perché visto che l’hanno inventato loro... Su tutti comunque c’è lui, il salame, che nel mondo “straniero” diventa “salami” (solo una piccola modifica alla vocale finale) e che riconferma la paternità italiana. Ma sappiamo bene che l’internazionalizzazione di quel salame ha portato conseguenza spesso nefaste, come per altri numerosi nostri cari prodotti italiani. Se fuori patria infatti leggete nel menù di un ristorante “Italian salami” … dubitate gente, dubitate! Ora, giusto per alleggerire la nostra digressione, è bello ricordare la dolce filastrocca per bambini: «Dice il pollice; che fame!! Porta l’indice un salame, ma il medio e l’anulare non lo vogliono affettare. Lesto lesto il mignolino scappa via con il salamino!». Poi ricordo che, al liceo, l’inizio del settimo canto dell’Inferno della Divina Commedia “Pape Satàn, pape Satàn aleppe” diventava “pane e salam, pane e salam e fette”: un approccio decisamente particolare al sommo Poeta. Ma il migliore salame che io ricordi non era commestibile! Era la firma che il grande Benito Jacovitti infilava nelle vignette del suo più famoso personaggio di fumetti per ragazzi e non. Chi di non ricorda Cocco Bil?
LA FIERA TUTTI I SAPORI DELLA ROMAGNA ALLA SECONDA EDIZIONE DI “SONO
grafia: fanno riferimento al nostro protagonista Porcellino e Porciano (Arezzo), Porchia (Ascoli Piceno), Porzia (Pordenone), Porcile (Cosenza), Porcara (Mantova), Porcari (Lucca), Troia (Foggia). Ma non sono solo salami! Ci sono anche le mortadelle, le salsicce, le soppresse, i cotechini, i musetti (o musotti), ognuno patri-
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monio gastronomico di una regione o di una provincia italiana. Se poi vogliamo aggiungere, anche se non sono insaccati, i prosciutti, gli speck, le porchette, i lardi, i sanguinacci, i guanciali, l’arista, allora i maiali meritano un grande rispetto sia da parte dei gourmet che di chi ritiene impareggiabile solo una fetta di pane e salame.
ROMAGNOLO”
Dal 3 al 5 marzo torna la fiera nazionale dell’identità romagnola, “Sono Romagnolo”, un evento dedicato a sapori, cultura e tradizioni romagnole, per entrare nell’universo Romagna. Gli elementi portanti della fiera sono sicuramente la tradizione enogastronomica romagnola, il folklore e la cultura locale. Appuntamento al quartiere fieristico di Cesena – Pievesestina tra tante sagre, spettacoli iniziative e prodotti tipici in un unico evento. In particolare dal punto di vista dell’enogastronomia ci sarà un’intera area dedicata divisa in area ristorazione, in cui è possibile degustare tutti prodotti tipici che vengono proposti durante le feste, un menu che spazia dai prodotti del mare a quelli dell’entroterra; la Strada dei Vini, per degustare i migliori vini locali; la Romagna Beer Fest, un evento nell’evento, l’occasione per degustare un’infinità di birre artigianali.
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L'osteria offre un ampia selezione di vini locali e nazionali; ogni giorno dalle ore 18 un raffinato aperitivo con vini in degustazione.
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