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FREEPRESS n. 43

SETTEMBRE 2018

MUSICA • TEATRO • LIBRI • ARTE • CINEMA • GUSTO • RUBRICHE Roberto Magnani del Teatro delle Albe e Consuelo Battiston dei Menoventi in “Macbetto”, lo spettacolo che vede le due compagnie insieme anche alla forlivese Masque (foto Lorenzo Bazzocchi) e che debutterà al festival Crisalide di Forlì, di cui parliamo a pagina 14

TEATRI UNITI AL FESTIVAL CRISALIDE ANCHE UNA COLLABORAZIONE TRA STORICHE COMPAGNIE ROMAGNOLE

Prezzo €AGG 0,08IO PIA OM CO ISSN 2499-0205


Fornace Zarattini Ravenna - Via Faentina 218s - tel. 0544 463621 www.ravennainterni.com www.facebook.com/RavennaInterniM


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MUSICA CON IL MEI TUTTI I “FATTI” DELLA SCENA INDIPENDENTE

COPERTINA TEATRO, ALLA SCOPERTA DEL FESTIVAL “CRISALIDE”

CINEMA “SOUNDSCREEN” TRA FILM E MUSICA: UN’INTERVISTA

FOTOGRAFIA LA DIRETTRICE ARTISTICA PRESENTA IL NUOVO SI FEST

L’EVENTO A FORLì TORNA L’ATTESA SETTIMANA DEL BUON VIVERE

L’INTERVISTA NEVIO SPADONI, TRA DIALETTO ROMAGNOLO E TEATRO

LIBRI A CERVIA LA BIBLIOTECA VOLUTA DALLA SINDACALISTA

GUSTO SAN MICHELE E I DOLCI CHE FANNO FINIRE L’ESTATE

ANCHE SABINA GUZZANTI E GIUSEPPE CEDERNA A SANTARCANGELO PER CELEBRARE TONINO GUERRA Torna dal 3 al 9 settembre il Cantiere Poetico per Santarcangelo, la rassegna di contaminazione tra le arti quest’anno dedicata (e ispirata) a Tonino Guerra. Artisti di fama daranno voce e corpo alle opere del teatro di lettura e prose per la scena di Guerra: venerdì 7 settembre Giuseppe Cederna leggerà L’albero dei pavoni; sabato 8 settembre Sabina Guzzanti (nella foto) leggerà Bagonghi; l’artista e illustratore Gianluigi Toccafondo realizzerà dieci disegni originali, da affiggere in città; lo street artist Eron realizzerà una nuova opera; la coreografa e danzatrice Silvia Gribaudi curerà un laboratorio di danza e un’azione di strada. E poi ancora, il giornalista e scrittore Gigi Riva giovedì 6 settembre curerà un caffè letterario con gli adolescenti di Santarcangelo e dintorni; il professore di filosofia e rapper Alessio Mariani aka Murubutu domenica 9 settembre presenterà il suo ultimo disco; il saggista e poeta Gianfranco Miro Gori durante l’incontro di sabato 8 settembre racconterà versi, storie e immagini di Tonino Guerra per Amarcord di Federico Fellini, mentre lo storico chitarrista di Luciano Ligabue, Federico Poggipollini, in veste di cantautore racconterà dell’evoluzione della parola in musica (venerdì 7 settembre). Tornerà sul palco a Santarcangelo, domenica 9 settembre, anche Silvio Castiglioni che leggerà e interpreterà dal vivo la grande poesia russa del ‘900 tanto amata da Tonino Guerra. Il programma completo sul sito www.cantierepoetico.org. R&D Cult nr. 43 - settembre 2018

Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1427 del 9 febbraio 2016 Editore: Edizioni e Comunicazione srl Via della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544 408312 www.reclam.ra.it Direttore Generale: Claudia Cuppi Pubblicità: direzione@reclam.ra.it tel. 0544 408312 Area clienti: Denise Cavina tel. 335 7259872

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Gardelli, Sabina Ghinassi, Enrico Gramigna, Giorgia Lagosti, Linda Landi, Filippo Papetti, Guido Sani, Serena Simoni, Elettra Stamboulis. Redazione: tel. 0544 271068 redazione@ravennaedintorni.it Poste Italiane spa Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. di legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB C.R.P.- C.P.O. RAVENNA


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racconti

Le feste dell’Unità, tra cappelletti e hauntology Quando si andava a fare a botte in motorino e le coppie ballavano il liscio

Ho sentito dire che Cristiano Ronaldo si chiama così perché suo babbo era un fanatico di Ronald Reagan. Quando l’ho sentito mi è sembrata una cosa senza senso: come può venire a un poveraccio di Madeira di chiamare suo figlio col nome di Reagan? Chi può essere così fan? Poi ci ho pensato bene e, ehm, in effetti conosco almeno un altro fan sfegatato di Reagan. Mio babbo. Mio babbo, nell’epoca in cui iniziavo a interessarmi alla (rompere il cazzo con la) politica, era straconvinto che Reagan fosse riuscito a vincere la guerra fredda, da solo e senza l’aiuto di nessuno, creando il cosiddetto scudo spaziale. Mio padre era una persona di umili origini e di una mentalità rurale abbastanza comune alle persone cresciute dov’era cresciuto lui: amava le narrazioni politiche in cui veniva identificato IL problema e fornita LA soluzione. Votò con entusiasmo il primo Berlusconi perché aveva promesso che abbassare di un punto percentuale il saggio di sconto era tutto quel che serviva per far volare l’economia italiana. Oggi sembra tutto un po’ naif, a pensarci bene. Mio babbo era un fervente elettore del Partito Repubblicano Italiano, lo è stato finché ha avuto un briciolo di senso esserlo in Romagna, cioè trent’anni dopo che il PRI aveva smesso di aver senso in tutto il resto d’Italia. Piccolo commerciante di scarso successo, ha condiviso con mia mamma l’incombenza di dover crescere i loro due figli e l’odio feroce per i comunisti. Mio fratello ha seguito il loro pensiero politico, io mi ci sono allontanato di duecento chilometri. Va dato loro atto di non avermi chiamato Riccardo in onore di Nixon, e soprattutto di non avermi rotto il cazzo con la politica di destra quanto io ho rotto il cazzo a loro con la politica di sinistra. La loro elasticità mentale era stata plasmata in un altro contesto storico, il secondo dopoguerra, che hanno vissuto nella sua interezza (entrambi sono nati nel ’39). La prima lezione che hanno imparato: o sei disposto a scendere in piazza a pestare quelli che non la pensano come te, o tanto vale che vai a mangiare il castrato alla loro festa. Il calendario estivo della nostra terra del resto prevedeva giusto un paio di feste dei repubblicani (per esteso: la festa de La Voce Repubblicana, che prendeva il nome del quotidiano del partito) e circa 60 feste dell’Unità. Anche la Festa dell’Unità prende il nome dal quotidiano del partito a cui fa riferimento: la prima viene celebrata nel ’45, poco dopo la fine della guerra, e in qualche modo continua a venire celebrata. L’ossatura della festa è inutile spiegarla a un pubblico di introdotti quali voi immagino siate: dev’esserci un posto dove farla (un prato qualsiasi, magari un campo da pallone), uno staff di volontari più o meno agguerriti e uno stand gastronomico. Ad essi possono aggiungersi una serie di comizi/pipponi/panel politici, o comunque li vogliate chiamare, e un cartellone di eventi più o meno simpatetici. Le feste dell’Unità fornivano il contesto per lo sviluppo della scena di liscio romagnolo: ogni sera un’orchestra, per tante sere, in tante feste. C’era spazio per tutti. Anche i miei genitori andavano occasionalmente a ballare. Ricordo certe serate in questi palchi giganteschi: un dj passava dei classici con la gente seduta ai tavoli intorno al quadrato, e c’era questo ragazzo down che ballava da solo sulla pista con in braccio una compagna immaginaria. Poi l’orchestra saliva sul palco e la gente occupava la pista, a volte c’era il contest, a volte si ballava e basta.

[...] Poi siamo cresciuti e abbiamo abbandonato le feste, lasciandole a un destino avverso che ha falciato il nome, oltre a tutta l’esperienza Pci/Pds [...]

Qualcuno del gruppo annunciava il ritmo del pezzo che andava ad eseguire (“questo è un valzer, questa è una polka, adesso facciamo una mazurka”; mai capita la differenza), le coppie ballavano, i mariti ruttavano i radicchi con la cipolla, le mogli scoreggiavano le patatine fritte, i bambini a bordo pista s’inseguivano con le pistole ad acqua e combinavano rutti e scoregge. Quando ero ragazzo la festa dei repubblicani non c’era più. Con i ragazzi del mio paese organizzavamo spedizioni punitive a tutte le feste dell’Unità rimaste, dividendo i calendari affidandoci ad indici di gradimento abbastanza condivisi in tutto il cesenate. Il cambio generazionale aveva ridotto le quantità di liscio ed aumentato le quantità di tutto-il-resto: autoscontri, musica da autoscontri, più birra e meno vino, eccetera. Dal mio paese eravamo capaci di spostarci anche in cinquanta, ognuno con la sua moto sotto al culo – vespe truccate, ciao truccati, college truccati; gli scooter truccati sono arrivati poco dopo e hanno portato via in modo drastico la generazione di moto truccate che li aveva preceduti. Alla festa dell’Unità si andava a fare a botte. La dinamica era la seguente: qualcuno del nostro paese trovava da dire (espressione romagnola traducibile ma meravigliosa) con qualcuno del paese vicino al nostro, o viceversa. Casus belli stupidissimi, tipo “te hai fatto il figo con la mia morosa”, “cazzo dici, io non ci ho mai parlato con la mia morosa”, “mi dai del bugiardo?”. Iniziava una sorta di trattativa che serviva in parte a stabilire chi era lo stronzo, e in parte a compattare i gruppi

POPPONI Il Decameron del pop, limitatamente a quel che succede il mese prossimo in un raggio di 30 km di Francesco Farabegoli

“Una sorta di Azealia Banks dei poveri senza un decimo del talento di cui già l’Azealia originale è priva”

dietro a ognuno dei due litiganti. Quando si arrivava a 50 contro 50 si era abbastanza sbronzi e abbastanza fomentati da iniziare a fare le botte – che a quel punto erano diventate una specie di formalità – i due litiganti si menavano fortissimo, qualcuno li separava, gli altri 98 si scambiavano due spinte a testa. Se andava malissimo qualcuno portava a casa un graffio, il che in prospettiva rendeva quelle risse molto più sicure di quanto lo fosse tornare a casa tirando ai 120/h una vespina 50 da ubriachi, ovviamente passando dai monti per evitare le pattuglie. Poi siamo cresciuti e abbiamo abbandonato le feste dell’Unità, lasciandole ad un destino avverso che ha falciato il nome della festa (tutte le volte che leggevo LA GRANDE FESTA su un volantino volevo prendere la vespa e andare a picchiare qualcuno), oltre ovviamente a tutta l’esperienza PCI/PDS. Il liscio è ridotto al lumicino, con poche orchestre non così tanto attive e una marea di disoccupati con qualche buona storia in CV. Le autoscontro se la passano maluccio, a quanto ne so, e sono decenni che non vedo un punching ball in giro. La Vespa ha subito un reboot, le feste di paese oggi celebrano soprattutto la birra in se stessa. Le risse 50-contro-50 tra stupidi per ragioni insensate sopravvivono nei programmi dell’attuale governo. Lo stand gastronomico, meglio se gestito su base volontaria, continua a prosperare ad ogni evento, perché la gente ha senz’altro bisogno di riscoprire i valori fondanti della nostra società ma vuole soprattutto mangiare i cappelletti e il castrato.

IL PROGRAMMA

ALLA FESTA NAZIONALE DEL PD ANCHE WILLIE PEYOTE E CRISTINA D’AVENA Prosegue fino al 10 settembre al Pala De André di Ravenna la festa nazionale dell’Unità. Tra gli appuntamenti musicali da segnalare mercoledì 5 il concerto del rapper torinese Willie Peyote (nella foto), reduce da un lungo tour all’insegna (anche del tutto esaurito) e dal Concerto del Primo Maggio di Roma. Il suo ultimo album è entrato nella top ten dei più venduti in Italia nonostante sia lontano dagli stereotipi del rap, con riferimenti e citazioni alla musica italiana degli ultimi quarant’anni, da Battisti a Bruno Martino, fino al nuovo cantautorato pop. Gli altri eventi di caratura nazionale sono quelli del 7 settembre con Cristina D’Avena e i Gem Boy, per una serata all’insegna del divertimento (e delle sigle dei cartoni animati, ma non solo), quella di sabato 8 con gli storici Modena City Ramblers e il loro combatfolk e infine quella di domenica 9 settembre con un gruppo che ha festeggiato da poco i cinquant’anni di carriera, i Dik Dik, tra beat, pop e “soft” rock.


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musica pop

Laura Pausini durante la presentazione del singolo estivo “E.sta.te” ai Wind Music Awards su Rai Uno

ANTICIPAZIONI Nei palazzetti anche Negramaro e Cremonini

Dopo il trionfo in Sud America, Laura Pausini torna nella sua Romagna Laura Pausini torna a suonare nella sua Romagna, nell’ambito del tour mondiale dell’ultimo album “Fatti sentire”, uscito lo scorso marzo in occasione dei suoi 25 anni di carriera. L’appuntamento è per il 17 settembre all’Rds Stadium di Rimini per un concerto andato come prevedibile tutto esaurito in poco tempo. I fan romagnoli rimasti senza biglietto possono però ancora cercare di acquistarlo (volendo restare in zona) per le due date di ottobre in programma all’Unipol Arena di Bologna. Al momento di andare in stampa, la cantante di Solarolo è in tour in Sud America, reduce da un piccolo incidente (una ferita al labbro provocata da un gesto brusco e involontario di una fan salita sul palco per un duetto) e soprattutto da altri clamorosi sold out (il disco è stato pubblicato anche in versione spagnola) tra Guatemala o, più in particolare, il Coliseo Voltaire in Ecuador, il Luna Park di Buenois Aires (in entrambi i casi davanti a diecimila persone) e la Movistar Arena a Santiago del Cile (davanti a oltre 17.000 persone). Il 13 agosto,

inoltre, la Pausini ha ricevuto un’importante onorificenza, il Premio Matilde Hidalgo de Procel al “mérito cultural”, un premio dedicato alla prima donna che ha esercitato in Ecuador il diritto di voto, nonché la prima a laurearsi in medicina. Le canzoni del disco sono tutte co-firmate dall’ormai storico team di collaboratori della Pausini composto da Daniel Vuletic, Cheope, Niccolò Agliardi, Edwyn Roberts, Virginio Simonelli e Gianluigi Fazio. A questi si sono aggiunti nomi nuovi come Giulia Ananìa (“La soluzione“), Enrico Nigiotti (“Le due finestre“) e Tony Maiello (“Il coraggio di andare“). La cantante invece in questo tour è accompagnata dal compagno (sul palco e nella vita) Paolo Carta (chitarra elettrica e direzione musicale), da Nicola Oliva (chitarra elettrica e chitarra acustica), Fabio Coppini (pianoforte), Andrea Rongioletti (tastiere), Carlos Hercules (batteria), Roberto Gallinelli (basso elettrico), Ernesto Lopez (percussioni) e ai cori Gianluigi Fazio, Roberta Granà, Monica Hill, Claudia D’Ulisse e David Blank.

Venerdì 31 agosto Cristina Donà e Ginevra Di Marco “Così vicine” Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Comacchio in collaborazione con

Produzione Culturale presenta

Cristina Donà, voce - Ginevra Di Marco, voce Francesco Magnelli, piano e magnellophoni Andrea Salvadori, chitarra-tzouras e loop Saverio Lanza, chitarra Luca Ragazzo, batteria

Sabato 1 settembre Bungaro “Maredentro” Bungaro, voce e chitarra Antonio De Luise, contrabbasso Marco Pacassoni, vibrafono, percussioni e batteria - Antonio Fresa, pianoforte

PROGRAMMA IV Edizione

31 agosto 8 settembre 2018 Infoline 0533 314154 www.comunecomacchio.fe.it www.turismocomacchio.it Ingresso libero Inizio concerti 21.30

Venerdì 7 settembre Cristiano Godano “Story Telling” Cristiano Godano, voce e chitarra

Sabato 8 settembre Tosca “Appunti musicali dal mondo” Tosca, voce Giovanna Famulari, piano e violoncello Alessia Salvucci, percussioni Massimo De Lorenzi, chitarra

Il concerto della Pausini del 17 settembre apre la stagione autunnale dei grandi eventi nei palazzetti della Romagna. Allo Stadium di Rimini i concerti torneranno in novembre con i Negramaro (il 15) e Cesare Cremonini (il 20). Il Carisport di Cesena riparte in novembre all’insegna della comicità con Angelo Pintus (il 20) per poi proseguire con il grande musical e in particolare Flashdance (il 27 e il 28 novembre). In dicembre ancora comicità con il siciliano Angelo Duro (il 15) per poi concludere il 2018 il 29 con il concerto di Massimo Ranieri. I biglietti per tutti gli spettacoli sono in vendita sul circuito Ticketone.


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suoni LA ROMAGNA IN CUFFIA

settembre 2018

voci femminili

I forlivesi Santii, (quasi) unici (in Italia) di Luca Manservisi

Difficile ricordare altri casi di “reset” così repentino, in ambito musicale. Il rischio che si corre d’altronde è quello di cancellare un pezzo della propria storia. Eppure i forlivesi Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli non sembrano essersi fatti alcun problema a trasformare il loro progetto M+A in qualcos’altro, da un giorno all’altro, semplicemente cambiando il nome della propria pagina Facebook. Ora i due, neppure trentenni, si fanno chiamare Santii e lo scorso maggio hanno pubblicato il primo album del nuovo corso, frutto di un lavoro di un paio d’anni e di registrazioni avvenute in prestigiosi studi del Regno Unito. Facendo un passo indietro, infatti, i più attenti ricorderanno che gli M+A fecero parlare di sé anche i giornali generalisti per essere riusciti a salire sul palco del Glastonbury, tra i più importanti festival rock al mondo, coccolati dagli addetti ai lavori d’oltremanica, dove il loro electropop pareva essere più considerato rispetto al più “sbadato” Belpaese, a cui forse mancava l’atteso album della consacrazione per farli decollare definitivamente (di album ne avevano comunque già pubblicati due, il primo per un’etichetta inglese e il secondo in Giappone, tanto per dire). Con il progetto Santii i due forlivesi hanno spinto ancor di più sull’aspetto internazionale della loro musica, che non potrebbe essere in effetti più distante come immaginario da Forlì e dalla Romagna. Il loro è ancora, in buona sostanza, pop elettronico, ma senza più quella sorta di indole “indie” che caratterizzava gli M+A, a favore invece di un’ispirazione figlia della club culture europea (tedesca e inglese) e soprattutto della scena urban (tra r&b e hip hop) americana. Il tutto grazie anche a una serie di ospiti internazionali (coinvolti semplicemente con un messaggio su Facebook), uno diverso per ogni canzone: dall’elettronica inglese di Uli K al rapper americano Mick Jenkins, dal producer irlandese Rejjie Snow fino a quello statunitense (anche di Drake) Supah Mario, passando dal queer rapper del New Jersey Cakes Da Killa e pure dalla Russia di Thomas Mraz. Ospiti che “duettano” con la voce di Michele, calata alla perfezione nei suoni digitali di un disco che vorrebbe anche risultare sperimentale ma che esplode poi in tutta la sua forza melodica ascolto dopo ascolto. Per un risultato finale che è “già sentito” all’estero, praticamente unico in Italia. E che, soprattutto, non vedi l’ora di riascoltare. Chapeau (anche per i visual, realizzati dai due Santii così come tutte le fasi della produzione musicale, mica male).

ARISA IN PIAZZA Arisa sarà in concerto (gratuito) in piazza Saffi a Forlì sabato 8 settembre nell’ambito della manifestazione Romagna Live, tre serate di eventi tra musica, cibo di strada, animazione e sport

DONA’ ALL’ALBA

È “NATA” MARIA La 23enne toscana Maria, all'anagrafe Valentina Egrotelli, ha vinto la 61/a edizione del Festival di Castrocaro, andata in onda su Rai 1 il 10 agosto

La celebre cantautrice Cristina Donà (in duo con Saverio Lanza) sarà la protagonista dell’ultimo concerto all’alba sulla spiaggia di Riccione (ai bagni 53 e 54) domenica 2 settembre dalle 6, a ingresso gratuito.

folk

Da Sabato 1 a domenica 9 settembre

FESTA DELLA BIRRA Pizza classica + Birra media € 10 coperto incluso

Pizza classica + Boccale di birra € 13 coperto incluso

In alternativa menù alla carta Gadget disponibili per l’evento

Via H. Matisse - Madonna dell’Albero (RA) Tel. 0544 271381 - Cell. 347 3703598 Aperto tutte le sere - prenotazione consigliata

STRADE BLU CHIUDE CON ELOISA ATTI E DON ANTONIO Ultimi due concerti della rassegna di “folk e dintorni” Strade Blu. Martedì 4 settembre al “Bosco” di Fusignano dalle 21 l’appuntamento è con la cantautrice emiliana Eloisa Atti (nella foto), tra jazz, country, folk e canzone d’autore. Sabato 29 settembre a chiudere la rassegna che lo vede anche tra gli ideatori e gli organizzatori sarà invece Antonio Gramentieri, fondatore e chitarrista dei romagnoli Sacri Cuori, con il suo progetto solista Don Antonio tra rock desertico, colonne sonore e atmosfere vintage. Dalle 21 in piazza Nuova a Bagnacavallo, alla Festa di San Michele.


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rock

A Faenza con il Mei in arrivo tre giorni di “Fatti” di musica indipendente italiana Concerti, convegni, dibattiti, concorsi, presentazioni, mostre: torna il “Meeting” di Giordano Sangiorgi tra celebrazioni del ‘68 e focus sulla legge Basaglia. Appuntamento dal 28 al 30 settembre

Arriva alla 23esima edizione il Mei – rinominato quest’anno “Fatti di Musica Indipendente” – in programma il 28, 29 e 30 settembre a Faenza. L’inaugurazione della rassegna ideata e portata avanti negli anni (e tuttora) da Giordano Sangiorgi è in programma dalle 15 di venerdì 28 alla Galleria della Molinella con il convegno “Cultura e musiche del ’68 – 50 anni dopo” con ospite il sociologo Marco Boato, già tra i leader del movimento studentesco. Il programma è come al solito sterminato, tra dibattiti, presentazioni, mostre e concerti. Tra le novità il 29 settembre il convegno sul tema “La gestione collettiva del diritto d’autore nel mercato liberalizzato all’interno della nuova direttiva Ue sul copyright” con ospiti esponenti dell’industria discografica di tutto il mondo. È nato anche il MeiffMei Future Festival, festival di musica e arti visive in programma dal 15 al 30 settembre con concerti, performance e dj-set che si alterneranno a concorsi e mostre allo scopo di creare un contatto inedito tra sonorità contemporanee e luoghi storici della città. Tra le iniziative originali “Non sono solo canzonette”, il contest che il Mei dedica alle canzoni di Edoardo Bennato, il cantautore partenopeo che recentemente ha pubblicato l’edizione rivisitata di “Burattino senza fili”, a quarant’anni dalla sua uscita e che al Mei premierà i tre vincitori. Le 12 migliori canzoni faranno parte di una compilation promossa dall’Altoparlante e scaricabile gratuitamente dal sito del Mei e da Spotify. Tornando al programma, la prima serata si terrà come sorta di anteprima “poetica” dalle 20 al Mic-Museo Internazionale delle Ceramiche, con la presentazione in anteprima di “Infinito 200”, album antologico che ricorda il bicentenario del capolavoro leopardiano, a cui seguirà l’esibizione dei vincitori del premio “Pascoli in musica” e del contest dedicato a Dino Campana. La serata proseguirà con l’omaggio degli Zoas al poeta Roberto Roversi e terminerà con un mini festival curato dal giornalista Michele Monina in omaggio al cantautorato femminile. Il giorno dopo, sabato 29 settembre, un altro pomeriggio di convegni e premiazioni, fino al clou della serata in piazza del Popolo, dalle 20, con la presentazione dei nuovi album dei romani Kutso e Bussoletti e i concerti di La Municipal, I Figli dell’Officina e La Stanza di Greta, fino al nu-metal dei Lacuna Coil (premiati per i 20 anni di carriera) e agli headliner della serata, i toscani The Zen Circus (tra folk, punk e rock alternativo), a cui è andato il Premio del Mei all’artista indipendente italiano del 2018. In contemporanea, sabato sera, dalle 20 verrà consegnato il premio al miglior artista giovane al cantautore marchigiano Colombre (in piazza del Mercato) mentre al teatro Masini va in scena la cerimonia del Premio dei Premi, con ospiti il cantautore Roberto Angelini e l’Afterhours Rodrigo D’Erasmo che omaggeranno Nick Drake. A seguire verrà premiato anche Mauro Ermanno Giovanardi (ex La Crus) e da mezzanotte al ridotto si esibirà lo scrittore, cantautore e idolo dei social Gio Evan, premiato come “artista eclettico dell’anno”. La giornata conclusiva del 30 settembre sarà dedicata ai 40 anni della legge Basaglia: dalle 15 al Masini un duo di cantautori psicoterapeuti, Psicantria, e uno spettacolo di Pierpaolo Capovilla de Il Teatro degli Orrori e del compositore Paki Zennaro. Concluderà la rassegna Mario Capanna, il leader del movimento studentesco del ‘68 e autore del bestseller sul tema. In contemporanea, dalle 15 al cinema Sarti la consegna

Gli Zen Circus al Frogstock di Riolo Terme lo scorso agosto in una foto di Francesco Bondi: la band toscana sarà anche al Mei di Faenza

del premio per il “miglior videoclip indipendente dell’anno”, assegnato al regista Dario Ballantini e alla band toscana Piccoli Animali Senza Espressione. L’evento sarà aperto con un omaggio a Morricone e dalla proiezione di The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Tra le mostre da segnalare quella che sarà allestita alla Molinella dal titolo “Alle radici della musica indipendente: Manifesti di Complessi Beat della Romagna degli Anni Sessanta e Settanta a cura di Gianni Siroli” con i migliori manifesti tratti dall’archivio dello scrittore, sto-

Al Mic l’anteprima dedicata alla poesia, ma il clou è il sabato in piazza del Popolo con la premiazione e il concerto degli Zen Circus Tra gli ospiti anche Gio Evan, Capovilla e i Lacuna Coil

rico e conduttore musicale romagnolo. Ma l’area del Palazzo delle Esposizioni e della Galleria del Voltone della Molinella saranno arricchite dalla presenza di altre esposizioni, tra cui “i 100 scatti dei Big al Mei di Faenza” a cura del fotografo faentino Raffaele Tassinari, la mostra di strumenti musicali a cura del Cafim, quella di vinili e cd storici e la mostra-mercato di editoria indipendente. Ma il programma, come detto, è sterminato: per consultarlo (in continuo aggiornamento) è necessario cliccare sul sito internet meiweb.it.

Piccola ristorazione classica, vegetariana e soul food a Km 0

mercoledì 5 SETTEMBRE

Festa di fine estate svuota fusti! Ingresso UP TO YOU concerto ore 22

BLANKET FORT sabato

20 SETTEMBRE dalle 18

ingresso libero

OpenDay GO DOWN MUSIC SCHOOL con Alessandro Antolini Chiuso dal 6 al 14 settembre sabato 15 SETTEMBRE

APERTURA NUOVA STAGIONE aperitivo e dj set by Marco Turci Contributo concerto: €10,00

Savignano sul Rubicone via Moroni, 92 Tel. 347.7864132 Seguici sulla pagina

Ingresso Riservato Associati Music For People

Tessera 2018 €5,00


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CONSIGLI D’AUTORE

rock

Da De André allo Spaghetti Western: quando i dischi sono cose preziose a cura di Frei *

Ho solamente riascoltato i dischi che mi facevano stare bene, che mi insegnavano qualcosa o che mi raccontavano una storia. Quelli che citerò di seguito, se la memoria non mi inganna, sono stati consumati in modo nettamente superiore rispetto a tutti i dischi che ho amato. Alcuni in numero di ascolti, altri in qualità e attenzione, altri ancora in entrambi i casi. Credo che i dischi abbiano la capacità e il merito di entrare nel tuo dna artistico e non è detto che il disco ascoltato più volte sia necessariamente quello che ha modificato il percorso in tuo favore o che sia rimasto tatuato in qualche meandro della mente. Quando da bambino mi innamoravo di una ragazza, capitava che nei giorni di pausa tra un incontro e l’altro non ricordassi più il suo Frei viso. Lo vedevo confuso, appannato. Allora cercavo di dosare gli incontri, di non avere fretta di rivederla subito, per fare in modo che quella sensazione confusa potesse ogni volta regalarmi il suo viso come una bellissima sorpresa. Quella stessa volontà di avere cura delle cose preziose me l’hanno regalata pochissimi dischi. Fabrizio De André - La Buona Novella Quando ho scoperto questo capolavoro immenso della musica e della poesia italiana non c’era internet, solo qualche cellulare qua e là. Comprato in un negozio di dischi a Perugia che ora non esiste più. Dopo 4 mesi che lo ascoltavo 7 volte al giorno pensai che lo avrebbero dovuto ascoltare tutti. Tutti. Almeno in Italia. Avrei voluto essere un dittatore per obbligare tutti ad ascoltarlo perché a me aveva cambiato la vita, mi aveva sfidato a vedere le cose da un’altra prospettiva. Mi vergognavo del fatto che i miei genitori e i miei nonni non lo avessero ascoltato. Era lì, in negozio, dal 1970. Una delle cose più belle che mi sia capitata nella vita. Quindi lo consigliavo a tutti con il passaparola, andavo a casa del migliore amico, dei nemici, dei parenti, della morosa, della ex morosa, dell’ex della mia morosa per convincerli a comprarlo e ascoltarlo. A un certo punto mi resi conto che non mi stava pagando nessuno per fare promozione porta a porta e così smisi di farlo. Oggi, dopo tanti anni, resto della stessa opinione. Purtroppo ogni volta che lo riascolto vado un po’ giù di morale, per ovvi motivi. De Andrè in un’intervista televisiva disse a Gregory Corso che aveva il merito di averlo stimolato a scrivere, mentre dopo aver letto un Dante Alighieri gli si era chiusa una porta in faccia. Penso che De Andrè con questo capolavoro sbatta una porta in faccia a chiunque voglia scrivere un concept album. Poi ci si prova lo stesso e ci si accontenta di stare, quando va bene, in purgatorio. Paolo Conte - Parole d'amore scritte a macchina Ho sempre venerato Conte e tutte le sue canzoni, ma le ho sempre ascoltate fuori dai loro rispettivi dischi. In questo caso sono riuscito ad apprezzare l’album nel suo insieme, al di là delle singole tracce. Un disco che schizza eleganza da tutte le parti. La copertina di Hugo Pratt, la traduzione dei testi in 4 lingue all’interno del libretto, la passione per gli anni '20. Ogni volta che mi capita di ascoltarlo mi rende felice e mi riempie di bellezza, per questo non lo ascolto più di una volta all'anno, per paura che poi non mi faccia più effetto. Chet Baker - It Could Happen To You Nel mio iTunes risulta il più ascoltato di tutti. Cosa volete che vi dica... Se non hai voglia di ascoltare la musica te la fa venire e se hai la scimmia di ascoltarne troppa te la fa passare. Come le pizzette Catarì. È un disco che dovrebbe stare negli scaffali delle farmacie sotto le voci: anti malessere, insonnia, smania, diarrea. Secondo me abbassa anche il colesterolo. La sua voce è superba. Il jazz con l’abito bianco. Anche la copertina è una delle più belle che ho. Io faccio fatica a parlare di jazz e di eroina, non ho molte competenze, la mia cultura generale è troppo scarsa e non ho avuto esperienze dirette. Ma so per certo che questo capolavoro, quando ti entra nelle vene, è come una pera. Fatevelo tutto. Più volte. Emiliana Torrini - Me and Armini Qualche anno fa ero in una sala prove del FOH a Bologna e parlavo di dischi con Umberto Giardini. A un certo punto mi disse che gli capitava, raramente, di scoprire quel disco che lo continua ad ispirare ininterrottamente per anni: «Quando arriva quel disco lì… Sbem! È fatta!». Mi resi conto che per me in quegli anni era Me and Armini, ed era stata la mia musa ispiratrice per tutti i dischi che avevo fatto fino a quel momento. A volte penso che sia finita quella benzina, poi mi sorprendo ad essere ancora inspirato da alcuni di quei brani per idee che poi finiscono in qualcosa di completamente diverso. Credo ci siano degli ottimi arrangiamenti e una grande capacità compositiva. La sensibilità con la quale viene raccontato attraverso la sua voce, compie l’opera nel migliore dei modi. Credo possa ispirare ancora tante canzoni. Franco Micalizzi - Lo Chiamavano Trinità (Colonna sonora originale del film) Ogni volta che finisco di suonare in un locale senza dj e senza fonico, faccio partire questo disco dall’inizio alla fine. A parte il fatto che ci sono dei suoni bellissimi e delle composizioni strepitose, quando inizia entri subito dentro il film dove tutti gli appassionati di Spaghetti Western vorrebbero vivere o morire, almeno per un giorno. Ogni volta che lo ascolto vedo da lontano quel luogo magico, il più bello e dolce che conosco e che ogni tanto, attraverso queste musiche, mi torna a trovare: la mia infanzia. * Frei Rossi, 40 anni a febbraio, di Bagno di Romagna, è stato il cantante de Gli Ex (2008-2010) e Go Go Megafon (2008 a oggi). Ha pubblicato tre dischi da solista. È parte del nucleo operativo della factory della Valle del Savio Soundido Records. Vive a Bertinoro. In settembre sarà in concerto il 15 settembre in solo a San Marino (per la rassegna “Artisti in casa”) e poi come cantante del gruppo Sonny Yea il 23 settembre a Mercato Saraceno e il 31 alla Notte bianca di Bertinoro.

Il manifesto realizzato in occasione delle celebrazioni del ventennale con la copertina originale del disco

Vent’anni dopo rivive il capolavoro del dream pop A Savignano gli americani Mercury Rev suonano “Deserter’s Songs” Poche volte un’etichetta rende così bene l’idea come “dream-pop” nel caso dei Mercury Rev di Deserter’s Songs. Un album che è come un sogno a occhi aperti, che riesce ad avvolgerti completamente e a portarti in un luogo fuori dal tempo. Sono passati vent’anni dalla pubblicazione di quello che oggi viene quasi unanimemente definito come una pietra miliare della scena alternative rock americana, uno dei migliori dischi tout court pubblicati negli anni novanta. Sul momento forse neppure ce ne accorgemmo, per quanto lo amassimo. Forse per la sua, in fin dei conti, semplicità, per la scelta di cullare l’ascoltatore prima ancora che scuoterlo, a partire dall’iniziale “Holes” che provoca ancora oggi un tuffo al cuore non appena partono gli archi. E sono proprio gli strumenti meno comuni in un gruppo rock a fare la differenza in questo album, dal mellotron al clarinetto, dal clavicembalo alla sega, dall’organo al sassofono, dal corno al trombone, fino ad arrivare pure alla voce di un soprano. Già, perché questo è per molti il più riuscito album di “pop-rock orchestrale” del periodo, in grado quasi di creare un nuovo sotto-genere, o perlomeno una sorta di nuova tendenza, che seguiranno per esempio un anno più tardi anche i Flaming Lips (a cui la voce del cantante dei Rev, Jonathan Donahue, era comunque già debitrice), con uno dei loro capolavori, The Soft Bulletin, per molti quasi un disco gemello di Deserter’s Songs (ad accomunarli la presenza di Dave Fridmann che legherà la propria carriera di produttore proprio a quel tipo di suono). Fu un colpo di genio, quello di una band fino a quel momento piuttosto sottovalutata (e impegnata per lo più a cercare nuovi sviluppi per il rock psichedelico) come i Mercury Rev, che abbandonarono il rumore a favore della melodia, raggiungendo la loro vetta più alta, in futuro mai neppure avvicinata. Il risultato è quello che, leggendo tra le varie recensioni in rete, viene definito, tanto per rendere l’idea, il Pet Sounds (in effetti “Opus 40” potrebbe forse fare la propria figura nel capolavoro senza tempo dei Beach Boys) o il Forever Changes degli anni novanta, niente meno. Oggi, vent’anni dopo, saranno in Italia per quattro date per riproporre il loro capolavoro in versione acustica (sarà presente il nucleo della band formato dallo stesso Donahue e da Grasshopper, a chitarre e clarinetto, accompagnati a batteria, piano e tastiere da Jeff Mercel, già tra i musicisti nei credits del disco originale). Una di queste è in Romagna, al cinema teatro Moderno di Savignano, il 13 settembre. Un appuntamento probabilmente irripetibile e, lo si sarà capito, da non perdere. Luca Manservisi


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rock club/1

UN DISCO AL MESE

Al Bronson si riparte con due “big” della scena americana

Qualcosa di veramente contemporaneo

Bjm e Morlocks aprono la stagione ravennate

La stagione del Bronson di Madonna dell’Albero (Ravenna), ormai da tempo tra i rock club più importanti d’Italia, parte già in settembre con due band americane che hanno scritto un pezzo di storia del rock alternativo americano degli anni ottanta e novanta nei rispettivi “settori”. In particolare The Brian Jonestown Massacre, band nata a San Francisco nel ’90 in omaggio al leggendario chitarrista dei Rolling Stones e che ruota attorno alla mitica figura di Anton Newcombe (nella foto), vero e proprio guru della scena neo-psichedelica californiana. Nel corso di oltre vent’anni di carriera la band ha ridefinito i canoni della ricerca rock attraverso la psichedelia. Al Bronson, il 28 settembre, presenteranno il loro ultimo album, “Something else”, il diciassettesimo in studio della loro discografia. Il giorno dopo sarà invece la volta dei The Morlocks, una delle band fondamentali della scena garage-punk anni ottanta della West Coast, fonte di ispirazione per molte altre. Trasferitosi in Europa, dopo varie vicissitudini lo storico cantante di origini giapponesi e leader del gruppo, Koizumi Leighton, ha riformato qui la band con quattro nuovi elementi. Al Bronson il 29 settembre presenteranno il nuovo album, “Bring On the Mesmeric Condition”. In settembre da segnalare anche il concerto di martedì 4 dei cileni Chicos De Nazca (rock psichedelico) al Bronson Cafè, il bar adiacente il club.

di Bruno Dorella *

ROCK CLUB/2 Al Diagonal anche l’eclettico Andrea Poggio e i texani Sun June Riparte la programmazione del Diagonal di Forlì, con gli ormai tradizionali concerti del mercoledì con emergenti della scena alternativa italiana, ma non solo. Si parte il 5 con l’elettronica di DayKoda, moniker del giovane producer lombardo Andrea Gamba, per poi proseguire il 12 con l’avvocato milanese Andrea Poggio e il suo cantautorato sperimentale, il 19 con il dream pop/folk degli americani Sun June e il 26 con il duo milanese Technoir (nu jazz/soul psichedelico).

Radian - “On Dark Silent Off ” (Thrill Jockey, 2016) In molti si lamentano della morte del rock. Di certo quella musica che si suona con gli amplificatori e “la batteria vera” vive una fase di profonda involuzione, probabilmente di tramonto temporaneo, in cui sopravvivono gruppi di manieristi che si rivolgono ad un pubblico nostalgico, troppo vecchio per volersi rinnovare e rimettere in gioco, aspettando che una qualche prossima moda o riscoperta ne prolunghi l'esistenza (o l'agonia). In questa melma annaspano invece gruppi che cercano di dire qualcosa di nuovo e diverso, di parlare un linguaggio che sia contemporaneo, non necessariamente diventando digitali, ma continuando a suonare gli strumenti rock con sensibilità fluida e vitale. Tra questi mi sembrano spiccare particolarmente i viennesi Radian, trio formato da Martin Brandlmayr (batteria e programmazione), Stefan Nemeth (synth e chitarre) e John Norman (basso). Sin dal loro esordio omonimo nel 1998, passando per il più celebre Juxtaposition del 2004, fino al più recente On Dark Silent Off (2016), si mantengono in bilanciato quanto acrobatico equilibrio tra il linguaggio del cosiddetto post-rock ed il gusto della musica elettronica di ricerca. Non diversamente dai più recenti Tortoise, risulta difficile ed in fondo inutile cercare di capire cosa è “suonato” e cosa è programmato. In ogni caso, è praticamente tutto suonato e poi processato, ma a differenza dei Tortoise qui non guasta affatto quel po' di “gelo” teutonico che dà subito un funzionalissimo senso di robotico, laddove invece i padrini del post rock tendono a virare sul jazzy. Ogni disco dei Radian merita, ma l'ultimo On Dark Silent Off arrivava 7 anni dopo il precedente (escludendo un interlocutorio disco insieme ad Howe Gelb), ed è quindi il loro unico negli anni 10. Consiglio ascolti di ogni tipo: attenti, distratti, in auto, in cucina, sul divano... Cresce sempre, di minuto in minuto, di ascolto in ascolto, e ogni volta, arrivati all'ultima, lunga “Rusty Machines, Dusty Carpets”, avrete la netta sensazione di aver ascoltato qualcosa di magistrale. E di contemporaneo.

* Batterista di Bachi Da Pietra e OvO, chitarrista di Ronin e Tiresia, factotum come Jack Cannon, membro della Byzantium Experimental Orchestra, del GDG Modern Trio e dei Sigillum S, ex discografico, orgoglioso ravennate d'adozione.

FAENZA

INFOPROM

Due anni con il Bistrò Rossini Tra menù romagnoli rivisitati in chiave moderna e la nuova rassegna Jazz A due anni dall’apertura, il Bistrò Rossini si prepara a una nuova avventura, questa volta musicale: la rassegna di musica Jazz organizzata grazie alla collaborazione di Michele Francesconi e della Scuola di Musica Sarti di Faenza che partirà a fine settembre e si concluderà nel mese di aprile. «La sfida lanciata da Gemos con la presa in gestione di un bar storico e cruciale per Faenza procede bene – afferma Luigi Zaccarini che da 6 mesi gestisce il locale per conto della cooperativa di ristorazione –. C’è il massimo impegno da parte di tutti e la qualità del servizio viene ripagata dalle circa 700 persone che ogni giorno gravitano tra i nostri tavoli, in tutte le fasce orarie della giornata, dalla colazione, al pranzo al self service per finire con l’aperitivo serale e la cena al Ristorante. L’obiettivo è continuare su questa strada trovando sempre nuovi stimoli e attrattive per trattenere qui da noi questo incredibile e variegato bacino di utenza. L’intento è di trasformare il Rossini in uno dei salotti che animano il centro di Faenza, un luogo dove poter passare gran parte della giornata». Con Zaccarini oltre al Jazz è arrivata anche l’attenzione per le tradizioni culinarie romagnole rivisitate in chiave moderna. «Il menù che proponiamo al Rossini Ristorante è un vero e proprio intrattenimento culinario e lo si può trovare sia nei pranzi in modalità self service che nelle cene alla carta a cura degli Chef S. Casadio e D. Vespignani. A fare da protagonista sono le materie prime locali e di alta qualità, che si rifanno in pieno alla tradizione romagnola. Una tradizione che però ci piace sposare con le mode di oggi – continua Zaccarini –, con abbinamenti e proposte che incontrano il gusto e le abitudini dei giovani, come ad esempio abbinare un piatto di tagliatelle a un cocktail o usare il sangiovese per preparare nuovi aperitivi». Tornando alla rassegna di musica Jazz ad aprire le danze saranno Bruno Orioli - Francesco Plazzi Banana Boat trio il 20 settembre alle 21.30. Presto il calendario completo con le date di tutti i concerti.


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musica rock

musica tradizionale

UNA GIORNATA CONTRO IL RAZZISMO, TRA KLEZMER E ANIMA EBRAICA A Forlì i clarinetti dei gemelli Gurfinkel, anteprima del festival dedicato al Novecento, a ottant’anni dalle leggi razziali

Un dettaglio del manifesto dei Glory Days

A Rimini tornano i Glory Days dedicati a Bruce Springsteen Concerti, una mostra e i racconti di Massimo Cotto Tra i protagonisti anche l’americano Dan Baird Giunge al traguardo della 20esima edizione l’evento riminese dedicato a Bruce Springsteen, sorta di raduno internazionale dei fan con concerti e iniziative dedicati al Boss e alla storia del rock. Si tratta dei Glory Days, in programma dal 20 al 23 settembre, con partenza dove tutto è nato vent’anni fa, al The Barge, sul lungomare di Rimini, dietro al Grand Hotel. Sul palco giovedì 20 i romagnoli Lu Silver & String band (condensato di rock, blues, country, boogie e qualche sfumatura southern) e in apertura (dalle 21) The Semprinis, trio folk-western formatosi per l’occasione. Venerdì 21 il primo appuntamento è già alle 13 con il duo piano/chitarra e voce dei fratelli marchigiani Diego ed Alfredo Mercuri, al Cage Club (al primo piano dell’Hotel Admiral); dalle 17 alla Sala Pamphili del complesso degli Agostiniani verrà invece inaugurata la mostra fotografica di Maurizio Cavallari “Bruce & friends”, una raccolta di scatti di Bruce Springsteen in compagnia di altri artisti del mondo della musica (aperta fino a sabato sera, 22 settembre). A seguire, alle 18, nel chiostro adiacente, il cantautore fiorentino Luca McMirti presenta il suo album “Songs from the rain”. Dalle 21 al Teatro degli Atti un doppio set con una sorta di dizionario della musica rock americana come Dan Baird – voce storica dei Georgia Satellites, accompagnato dai suoi Homemade Sin – e, ad aprire la serata, un tributo all’album “Nebraska” di Springsteen a cura di un piccola folk band (contrabbasso, piano/fisarmonica, batteria) con dieci cantanti differenti. Sabato 22 settembre sarà la giornata principale dell’edizione numero 20. Si parte al mattino dalle 11 in piazzetta Gregorio da Rimini con un concerto di quattro songwriter: il lombardo Riccardo Maffoni, beniamino del pubblico dei Glory days, con il suo nuovo album “Faccia”; Massimo Marches, talentuoso chitarrista e cantante riminese, Francis Carnelli della Mama Bluegrass band e il milanese Carlo Ozzella (folk-rock). Nel pomeriggio dalle 16 al complesso degli Agostiniani direttamente da Virgin Radio arriva Massimo Cotto, una vera e propria enciclopedia del rock: tra parole, aneddoti, racconti, rivisiterà in chiave personale il rapporto tra le origini di Bruce, il sogno e la strada. In apertura Francesco Coli un fan storico, nonché autore del primo libro in italiano su Bruce, racconterà la sua incredibile esperienza tra l’Inghilterra del “The river tour” e i viaggi ad Asbury nei primi anni ’80. A seguire, un ritorno ai Glory days: l’emiliano Graziano Romani, fondatore dei Rocking Chairs, con il suo personale omaggio a Bruce con le canzoni di “Soul Crusader Again”. Il sabato si concluderà alla Corte degli Agostiniani con “Long walk home: who we are, what we’ll do and what we won’t” uno spettacolo a 360 gradi tra musica, parole, immagini. Sul palco l’Orchestra sinfonica di 18 elementi diretta da Federico Mecozzi (musicista di Ludovico Einaudi) e Massimo Cotto, Riccardo Maffoni, Graziano Romani, Daniele Tenca, Gianluca Morelli (Landlord), Andrea Amati, Francis Carnelli, Carlo Ozzella, Lorenzo Semprini, Raffaele Pastore, la Banda giovanile città di Rimini, Joe Castellani, The Glory singsers choir. Un concerto che ripercorrerà la musica delle origini di Bruce, attraversando vari periodi fino ad arrivare alla “Long walk home” finale, aspettando la mezzanotte per fare gli auguri a Springsteen per il suo compleanno (il 69esimo). Il gran finale di domenica 23 si svolgerà quest'anno al Rose & Crown, il primo pub in Italia nato nel 1964: il brunch/pranzo con inizio alle 11,30 verrà accompagnato da un set acustico “From my hometown to your hometown” con vari artisti.

Per ricordare il momento più cupo del Novecento, l’Emilia Romagna Festival ha organizzato, insieme al 900fest di Forlì e quale sua anteprima dell’edizione 2018 dal titolo “Italia 1938 -Europa 2018 Razzismo, xenofobia, crisi della cittadinanza” (in programma dal 24 al 27 ottobre), un concerto dedicato alla musica tradizionale ebraica. Il 6 settembre a Forlì (alle 21 ai chiostri dei Musei San Domenico), il Duo Gurfinkel, composto dagli acclamati gemelli Daniel e Alexander Gurfinkel, accompagnati al pianoforte da Elzbieta Blumina, daranno fiato ai loro clarinetti nello spettacolo Tra Klezmer e Anima Ebraica con brani di Prokof ’ev, Glinka e della tradizione klezmer. Ottant’anni dopo l’emanazione delle leggi razziali in Italia, un omaggio ma soprattutto una riflessione sulla cultura ebraica, con una giornata interamente dedicata all’onta del razzismo. Il concerto sarà preceduto (dalle 16 a Palazzo Romagnoli, sempre a Forlì) infatti da una conferenza sulle prime leggi antiebraiche, con la presenza quale conferenziere d’eccezione dello storico Michele Sarfatti.

musica&patrimonio

CONCERTI AL PALAZZO DI TEODORICO. SOGNANDO LA RIQUALIFICAZIONE CON LE OFFERTE DEI CITTADINI... Torna la rassegna “Musica a Palazzo” che si terrà tutti i sabati del mese di settembre al Palazzo di Teodorico di Ravenna, con visite accompagnate al mattino (ore 10) e alla sera (ore 20,30), queste ultime seguite da un momento conviviale, prima dei concerti di musica classica dei giovani allievi dei più prestigiosi Istituti Musicali della Romagna (ore 21.30). Seduti sui cuscini che poggiano direttamente sulle pietre, i partecipanti potranno ammirare l’interno del Palazzo anche di sera (il Palazzo non è illuminato), grazie all’allestimento di un impianto di illuminazione provvisorio (nella foto un concerto dell’anno scorso). All’esterno, invece, saranno proiettate le foto inedite degli scavi effettuati nel primo Novecento nell’area imperiale circostante e le immagini ad alta risoluzione dei mosaici esposti nel Palazzo e di quelli conservati nei depositi da quasi un secolo. Il palazzo è al centro di un progetto di valorizzazione e riqualificazione da finanziare esclusivamente mediante donazioni dei cittadini (secondo il cosiddetto Art Bonus). Nei primi quattro mesi il finanziamento ha raggiunto la copertura del primo dei quattro lotti (148.706 euro) in cui è suddiviso il progetto (info nella pagina dedicata al Palazzo sul sito www.artbonus.gov.it).


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musica barocca

Rinaldo Alessandrini (nella foto alla guida del “suo” Concerto Italiano) dirigerà la terza edizione del festival barocco “Purtimiro”, in programma a Lugo dal 27 settembre al 14 ottobre

Il festival Purtimiro a Lugo riparte ancora nel segno di Bach Ma il clou sarà la prima riproposizione in epoca moderna dell’opera “Arminio” Nato per celebrare i trent’anni della riapertura in epoca moderna del teatro Rossini – avvenuta il 3 dicembre 1986 – torna a Lugo con la sua terza edizione il festival Purtimiro, sempre sotto la direzione musicale del romano Rinaldo Alessandrini. Clavicembalista, musicologo, direttore, ammirato internazionalmente quale interprete di riferimento per la musica del Sei-Settecento, Alessandrini, classe 1960, ha intrapreso nel 2016 l’incarico di direttore musicale del festival (dove ha fondato il gruppo Concerto Italiano) assieme a Valerio Tura, consulente artistico, con il preciso proposito di fare di Lugo un centro di eccellenza per la presentazione, e in alcuni casi per la riscoperta, di perle del repertorio operistico italiano del tempo. Diciotto gli appuntamenti barocchi di Purtimiro 2018, distribuiti su tre fine settimane dal 27 settembre al 14 ottobre, dal giovedì alla domenica, con la novità dei sei concerti pomeridiani all'Oratorio di Sant'Onofrio il sabato e la domenica, sorta di preludio del concerto serale a teatro. Come l’anno scorso, il festival si apre nel nome di Bach, giovedì 27 settembre alle ore 20.30, con l'esecuzione delle quattro celebri Ouvertures per orchestra BWV 1066-69: quattro capolavori assoluti e diversi fra loro, in cui Johann Sebastian Bach dà un saggio della sua capacità incontrastata di impossessarsi dello stile barocco francese. Ne saranno interpreti lo stesso Alessandrini e il Concerto Italiano. Venerdì 28 settembre il gruppo lombardo Atalanta Fugiens, diretto da Vanni Moretto, sarà interprete invece del genio di Georg Friedrich Händel: in programma la Serenata a tre voci su libretto di Nicola Giuvo Aci, Galatea e Polifemo, composta nel 1708 per le nozze del duca di Alvito, coi cantanti solisti Alicia Amo, Marta Fumagalli e Mirco Palazzi. Sabato 29 ecco un omaggio al lucchese Luigi Boccherini, sia sacro che profano, nel recital di Francesca Aspromonte, soprano rivelazione di questi anni, con l’Alea Ensemble, quartetto italiano che verrà integrato da Sergio Ciomei al fortepiano e Riccardo Coelati al contrabbasso. Clou dell'intero festival domenica 30 settembre alle 20.30 la prima riproposizione in epoca moderna dell'opera Arminio di Antonio Maria

MUSICA ANTICA La Malatestiana a Savignano con il Seicento alla spagnola Bononcini (1677-1726), l'operista attivo a Londra (dove rivaleggiò con Händel) e Vienna, fratello di Giovanni (anche lui operista) e figlio del forse più noto – almeno nell’ambito strumentale – Giovanni Maria Bononcini. L'opera, che conobbe la sua prima esecuzione il 26 luglio 1706 all'Hoftheater di Vienna e si avvarrà della revisione critica dello stesso Alessandrini, è uno dei migliori esempi di teatro barocco viennese, ambientata ai tempi della celebre battaglia di Teutoburgo in Bassa Sassonia (9 d. C.), allorché il condottiero germanico Arminio sterminò con l'astuzia oltre ventimila soldati romani guidati dal generale Publio Quintilio Varo. Finezza di scrittura, bel melodismo e sottigliezza psicologica caratterizzano quest'opera di Bononcini su testo del raffinato poeta bolognese Pietro Antonio Bernardoni, che per l'occasione verrà eseguita in forma di concerto da un gruppo di giovani cantanti italiani emergenti, tutti reduci da una specifica preparazione nel canto barocco: Giulia Bolcato, Benedetta Corti, Valeria Girardello, Antonio Orsini, Alessandro Ravasio, Enrico Torre, col Concerto Italiano e Rinaldo Alessandrini sul podio. Da segnalare infine in questa primo weekend di festival i concerti pomeridiani all'Oratorio di Sant'Onofrio (inizio alle ore 18): il 29 settembre “A due violini” con un grande interprete barocchista come Luca Giardini; il giorno dopo il programma monografico bachiano col flautista Marcello Gatti e il cembalista Francesco Corti. Tornano anche gli “Incontri col barocco” a cura del musicologo Enrico Gramigna alla Rocca Estense (a ingresso libero): il 28 settembre si parlerà di Händel e Bononcini. Sul prossimo numero il programma dei concerti di ottobre.

Termina in settembre il nuovo ciclo della Sagra Musicale Malatestiana di musica antica, ispirato alle innumerevoli e seducenti figure mitologiche che hanno affollato la scena del teatro musicale dai suoi albori alla fine del Settecento. Un itinerario segnato dai personaggi evocati da Ovidio nei libri del poema Le metamorfosi e che si conclude il 5 settembre alle 21 in “trasferta” alla Chiesa del Suffragio di Savignano sul Rubicone. L’appuntamento è con il concerto ispirato al tema della metamorofosi della Cappella Musicale di San Giacomo Maggiore di Bologna (foto) con un programma dedicato al Seicento e all’immaginario musicale spagnolo così come suona trasformato dall’italiano Andrea Falconieri.

Colazioni, pranzi, aperitivi

Rendi ancora più piacevole la tua serata a teatro, ti aspettiamo con proposte di qualità per un esperienza di gusto, emozioni e arte. Cucina tipica Romagnola rivisitata con proposte di piatti Vegetariani, Vegani e di Pesce

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Locale climatizzato e Wi- Fi area - Chiuso il lunedì

Piazza Mazzini, 35

LUGO

LOGGE DEL PAVAGLIONE


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scene

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teatro contemporaneo AGENDA Slot Machine alla festa dell’Unità Il 10 settembre alle festa nazionale dell’Unità a Ravenna andrà in scena Slot Machine, lo spettacolo della compagnia ravennate Teatro delle Albe con Alessandro Argnani. Nato nel 2015, dopo una tournée nazionale debutta qui in una versione speciale con la presenza in scena del pianista Marco Attura.

Testimonianze sull’Ilva, alla Nuova Olp Il 14 settembre primo spettacolo de “La stagione dei teatri” per la sezione “Oltre l’abbonamento”, alle 21 nella Nuova Olp di Ravenna (via Manlio Monti 38). La compagnia Instabili vaganti presenta infatti Made in Ilva - L'Eremita Contemporaneo, per la regia di Anna Dora Dorno con Nicola Pianzola. Una composizione drammaturgica originale basata sugli scritti e sulle testimonianze dei lavoratori dell'Ilva di Taranto intervistati dalla compagnia.

A sinistra Battiston e Magnani in “Macbetto”; a destra “Autodiffamazione”: due spettacoli in scena a Crisalide. Sotto: Lorenzo Bazzocchi

Venticinque anni di Crisalide per provare «un’esperienza selvaggia» Parla Lorenzo Bazzocchi, direttore del festival in programma dall’1 al 16 settembre a Forlì Lorenzo Bazzocchi, classe ‘53 di Bertinoro, è regista e direttore dei Masque, storica compagnia forlivese nata nel 1992. Dal ‘94 è il direttore artistico di Crisalide, festival di teatro e non solo. L’importante appuntamento culturale graviterà dall'1 al 16 settembre attorno al teatro Félix Guattari di Forlì, “casa” della compagnia. Dall'insolita titolazione si evince un’attenzione particolare alla filosofia contemporanea, come attesta d'altronde l'impegno di Bazzocchi nell'organizzazione di Praxis, la scuola filosofica diretta da Rocco Ronchi. Abbiamo parlato col diretto interessato per avere una panoramica dell'edizione di quest'anno. Crisalide compie 25 anni. Partiamo da qui: dopo tutto questo tempo cos’è cambiato? «Non vorrei dire che è come se fosse l’inizio. Forse è solo un auspicio: bisogna iniziare sempre da capo. 25 anni coincidono con un anniversario topico nella vita degli uomini, ma personalmente non ho mai considerato troppo questi traguardi. Sì, sono cambiate molte cose, ma da parte nostra è rimasta la tensione di raggiungere una visione originaria. Questa è la spinta che ci ha sempre animato, fin dalla prima edizione nel 1994: proporre un luogo di scambio». Uno scambio con altri artisti? «Uno scambio di pensiero, direi. Si tratta di trovare un luogo e uno spazio preciso nel quale potersi mettere a confronto con altre figure. Non solo artisti, ma anche matematici, filosofi, professionisti che ragionano sulle cose del mondo in un certo modo. L'obiettivo fondamentale è quello di uscire dal teatro per tornarvi fortificati». Secondo lei il teatro contemporaneo soffre di egocentrismo? «Probabilmente soffre per una questione strutturale. Per definizione il contemporaneo si avvicina ad altre discipline artistiche: il testo è stato allontanato, c’è più attenzione all'aspetto visivo, coreografico e sonoro. Quello che sento mancare è una prossimità con il mondo del pensiero, nonostante tutto. Anche se è molto difficile mettere in dialogo linguaggi diversi. Forse si può solo tentare di mettersi in vicinanza e assorbire visioni diverse, per dare origine ad intuizioni nuove». La sua formazione come ingegnere chimico può avere influito su questa tensione all’indagine verso altri campi del sapere? «Forse l'aver studiato una disciplina tecnico-scientifica mi ha permesso di sapere che esistono altre cose fuori dal mondo della tradizione teatrale e del sapere umanistico, altri campi che hanno in sé una valenza creatrice elevatissima». Il titolo di questa edizione di Crisalide è “l'esperienza selvaggia”. Che cosa s’intende con questa

espressione? «Il titolo è un’indicazione più interna che esterna. Cerchiamo sempre di limitare un campo di azione per predisporci al contatto con gli artisti. Ho sempre aborrito l'intenzione di creare delle manifestazioni a tema». Quando pensa a questo titolo che immagine le viene in mente? «Prima di essere un'immagine è un riferimento: sfogliando il Foucault di Deleuze mi sono imbattuto in questo ripudio di Foucault dell'esperienza selvaggia, della percezione grezza così come delineata dalla fenomenologia. Foucault affer-

«Un momento importante sarà la prima di “Macbetto”, coproduzione che mette assieme Albe, Masque e Menoventi»

ma che tutto è sapere; il nostro concetto di percezione si ricollega invece a Merleau-Ponty». In che senso? «Quello che importa a noi è la percezione grezza, l'esperienza del fenomeno originario non condizionato né della cultura, né dal sapere. Percezione che sentiamo potente in certe manifestazioni performative: alcuni artisti riescono a scardinare il condizionamento che ci viene sempre dal sapere costituito. Questa è “esperienza selvaggia”: ci siamo approfittati di questa espressione filosofica come dei serial-killer». Ospiterete anteprime nazionali? «Sì, venerdì 14 settembre, nel nostro teatro Félix Guattari, ci sarà la prima di una coproduzione che mette assieme Teatro delle Albe, Masque e Menoventi. La regìa è di Roberto Magnani, che ha lavorato assieme a Eleonora Sedioli e Consuelo Battiston sul Macbetto di Giovanni Testori. Un momento importante del festival. Ma abbiamo chiamato anche altri artisti per portare avanti una discussione che va oltre le singole poetiche artistiche». Ad esempio? «Penso al Teatro i di Milano, ai Kinkaleri e al loro Spazio K di Prato, ai Fanny & Alexander, a Aterliersi di Bologna. Compagnie che lavorano in spazi indipendenti per creare sinergie assieme. Così Crisalide, nei due sabati del festival, ha chiesto ad ogni compagine la presentazione di microlavori di massimo mezz'ora per creare una maratona teatrale. Ad esempio, il 2 Roberto Latini presenterà un recital di poesie di Mariangela Gualtieri, La delicatezza del poco e del niente. Ateliersi presenta In Your Face, un lavoro che è allo stesso tempo un'indagine sui social e un tributo a Pirandello. Ma ci saranno anche spazi di pensiero dedicati a studiosi e filosofi (penso a Sara Baranzoni e Paolo Vignola, a Raimondo Guarino) e momenti musicali (Enrico Malatesta e Carlo Siega)». Per quanto riguarda gli spettacoli più lunghi? «A parte la co-produzione su Testori, domenica 9 il duo italo-tedesco formato da Lea Barletti e Werner Wass propone Autodiffamazione, un lavoro basato su un testo di Peter Handke. All'inizio del festival, il 1° di settembre, Ermanna Montanari eseguirà le sue Miniature Campianesi. Infine, il 16, ci saranno i Muta Imago con Nachstens, mehr!, uno spettacolo che parte da un'esperienza laboratoriale, prima delle performance di danza di Nicola Galli e Camilla Monga». Iacopo Gardelli



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BAEDEKER

Guida teatrale per spettatori nomadi

Nel più crudele dei mesi guardiamo all’autunno che ci aspetta di Iacopo Gardelli

TORNA “ARRIVANO DAL MARE” CON SETTANTA SPETTACOLI. E UN’ADUNANZA... La 43 esima edizione del festival internazionale dei burattini e delle figure “Arrivano dal mare” si svolgerà dal 21 al 30 settembre a Ravenna, Cervia, Gambettola, Longiano e Gatteo con la direzione artistica del Teatro del Drago. Tantissimi spettacoli di compagnie provenienti da tutta Europa riempiranno di pupazzi, marionette, pupi e burattini le strade delle città e i palcoscenici dei teatri. Un Festival che porta il titolo GenerAzioni, perché oltre ai settanta spettacoli, ospiterà il convegno internazionale “Per una scuola Nazionale di Teatro di Figura”; due mostre e un incontro sull’editoria. In particolare il 29 settembre si terrà l’Adunanza Burattineide: una tavola rotonda che vedrà la presenza dei più grandi burattinai italiani di tradizione. Fra gli ospiti di spicco il maestro Mimmo Cuticchio (nella foto) con il magistrale Cunto, Laura Kibel con il suo mirabolante teatro dei pedi o ancora Claudio Cinelli e ancora l’ultima regia di Mirto Baliani, Gretel e Hansel produzione Teatro delle Briciole. Fra le presenze internazionali le compagnie spagnole Rocamora, con lo spettacolo Identitats, e il giovane David Zuazola con the Game of time e la compagnia norvegese Teater Fusentstat. Biglietti su Vivaticket, info e prenotazioni: 392/6664211- info@teatrodeldrago.it e arrivanodalmare.it.

TEATRO COMICO Raul Cremona e Vasumi alla festa dell’Unità di Ravenna Sabato 1 settembre, al Palco Centrale della festa dell’Unità nazionale, a Ravenna, va in scena lo show di Raul Cremona con personaggi quali Silvano il mago di Milano, Omen, Jacopo Ortis, il mago Oronzo. Ingresso gratuito, inizio spettacolo ore 21. Si ride, sempre alle 21 e sempre gratis, anche il 6 settembre questa volta con Maria Pia Timo, Andrea Vasumi e Sgabanaza.

Settembre, il più crudele dei mesi. Tempo di contro-esodi, di ritorni al lavoro con la mente ingolfata e coi piedi ancora insabbiati. Ma assieme alla maledetta routine, tornano anche le stagioni teatrali. Questo baedeker sarà dedicato a una breve panoramica sui cartelloni che ci aspettano nei prossimi mesi. Dopo un rapido controllo, ad oggi sono tre le stagioni teatrali romagnole già presentate, e partiranno tutte ad autunno inoltrato. (C’è l'eccezione del festival forlivese Crisalide, ma in questo numero di Cult se ne è già parlato.) Per puro spirito di campanile, partiremo da quella ravennate, piuttosto ricca di appuntamenti interessanti. Si partirà a fine ottobre, con l’ultimo spettacolo di Marco Paolini, Tecno-Filò. L'autore bellunese torna sui temi già sviluppati con l'ultimo Numero Primo: tecnologia, interazione fra uomo e macchina, possibili sviluppi della storia futura. Come ha spiegato durante una presentazione a Scrittura Festival qualche mese fa, «dopo aver passato gli ultimi vent'anni ad esercitare la memoria, è tempo per un anziano di volgersi al futuro». Si continua a dicembre con la prima ravennate dell'ultimo lavoro di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, Fedeli d'Amore, una passerella dantesca verso il Purgatorio del 2019 che ha già suscitato buonissime impressioni al Napoli Teatro Festival – e questa volta la drammaturgia è tutta del sacco di Martinelli. La stagione continua con grandi ospiti come Antonio Latella, che affronterà l'Aminta del Tasso (e sono curioso di vedere come s'intrecceranno le visioni di questi due autori iperbarocchi); Massimo Popolizio e Lino Guanciale, che porteranno in scena i Ragazzi di vita con l'aiuto drammaturgico di un grande esegeta pasoliniano come Emanuele Trevi; Giuseppe Battiston, che presenterà la prima nazionale di un lavoro dedicato a Winston Churchill scritto dall'autore comico Gabardini. Infine, da segnalare Settimo cielo dei romani Bluemotion, che per primi, diretti da Giorgina Pi, hanno portato in Italia questo testo di un'altra Churchill, Caryl. In scena anche il nostrano Marco Cavalcoli.

Giuseppe Battiston in Chruchill

Per informazioni: UFFICIO TURISTICO Tel. 055.8045170 www.pro-marradi.it

Scendiamo verso il Bonci di Cesena. La stagione, curata da Ert, porta alcune produzioni autoctone interessanti, come 1984, l’adattamento del capolavoro di Orwell firmato dal britannico Matthew Lenton, e L'anima buona del Sezuan, nel quale Elena Bucci e Marco Sgrosso se la vedranno col teatro epico di Bertolt Brecht. Interessanti anche L'istruttoria, spettacolo ormai classico del parmigiano Gigi Dall'Aglio, tratto da una pièce di Peter Weiss sulla Shoà, e l'adattamento (che definire un azzardo è eufemistico) de Il Maestro e Margherita firmata da Letizia Russo e Andrea Baracco, prodotta dallo Stabile dell'Umbria. Staremo a vedere che ne sarà di Bulgakov.

Ho lasciato per ultima la bella Rimini per un motivo ben preciso: dopo 75 anni, finalmente, il 28 ottobre riaprono le porte del teatro Galli. I riminesi si riappropriano di un luogo culturale cruciale, perso dopo i bombardamenti alleati del '43. C'è da festeggiare dunque per questo cartellone di prosa, che porterà oltre il Ponte di Tiberio alcuni grandi protagonisti del teatro italiano. Penso a Umberto Orsini, che presenterà la sua nuova produzione ibseniana Il costruttore Solness; ma penso anche a Bella Figura, spettacolo della talentuosa drammaturga Yasmina Reza, interpretato da Anna Foglietta e Paolo Calabresi per la regìa di Roberto Andò. Passando al teatro degli Atti si potrà vedere, fra gli altri, L'abisso di Davide Enia, tratto dal suo libro Appunti per un naufragio, pubblicato con Sellerio. Titolo abbastanza piatto, che peggiora di molto l'originale; ma se l'autore palermitano rispetterà le premesse gettate con lo studio visto al ridotto del Masini di Faenza qualche tempo fa, lo spettacolo si preannuncia imperdibile. Per finire, citiamo anche Urania d'Agosto, produzione di Sardegna Teatro firmata da Davide Iodice basata su un nuovo testo dell'acclamata e acclamanda Lucia Calamaro. In scena Maria Grazia Sughi interpreta l'alienazione di una donna ossessionata dai libri di fantascienza, a metà fra Allen e Bernhard, come spesso succede con la Calamaro. Speriamo ci basti il tempo per vedere tutto.


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il festival

Ammutinamenti: vent’anni di “pratica” e azione con la danza urbana Dall’8 al 18 settembre i luoghi simbolo di Ravenna saranno abitati da oltre 50 artisti tra coreografi e interpreti, tra grandi nomi affermati e giovani emergenti

“La Pratica” è il tema portante di Ammutinamenti – festival di danza urbana e d'autore, giunto quest'anno alla sua ventesima edizione. In questo 2018 si chiude un ciclo e si segna la rifondazione e la trasmissione di sguardi sul nostro mondo anche grazie a una direzione artistica che vede le storiche fondatrici, Selina Bassini e Monica Francia, affiancate dal giovane team di curatrici che sono cresciute professionalmente all'interno dell'associazione e ne hanno condiviso valori e visioni. Ammutinamenti XX è un invito alla «presa in carico di noi stessi attraverso l'azione». Dieci giorni di festival – dall'8 al 18 settembre – che verranno “abitati” da più di 50 tra coreografi e danzatori, emergenti ed affermati, che si esibiranno nei luoghi simbolo di Ravenna, dalle Artificerie Almagià a piazza San Francesco, dalla Biblioteca Classense a Palazzo Rasponi. Tra i protagonisti ci sono come di consueto i giovani coreografi selezionati per la Vetrina della giovane danza d'autore, in scena da giovedì 13 a sabato 15 settembre, e i big della scena coreografica nazionale e internazionale. La ventesima edizione di Ammutinamenti ha scelto tre spettacoli dalla forza inarrestabile, che raccontano la vita nella sua bellezza ma anche nel suo dolore, come manifesto del proprio “costruire e abitare” il mondo: R.OSA_10 esercizi per nuovi virtuosismi di Silvia Gribaudi (lunedì 10 ore 21, Almagià) Sopra di me il diluvio della compagnia Enzo Cosimi (martedì

A sinistra: R.osa in una foto di Manuel Cafini. A destra: Sopra di me il diluvio (foto di Focus Art)

11 ore 21, Almagià) e Òmnira della coreografa greca Stella Ariadne Spyrou, in scena sabato 8 settembre ore 17.30 in piazza San Francesco. Nella stessa giornata la danza urbana sarà protagonista anche in piazza Unità d'Italia, con Francesco Capuano e Nicola Picardi e Glitch Project (ore 19). Sabato 8 a Palazzo Rasponi (ore 16 e in replica 18.15) ci sarà invece Bioma – progetti coreografici per le nuove generazioni, con le performance della compagnia riminese NNChalance e l'esito finale del laboratorio Device, progetto di Cantieri Danza al

quale hanno preso parte – attraverso un call lanciata in estate – un gruppo di ragazzi dai 12 ai 19 anni. Tra gli appuntamenti da segnalare domenica 9 l'area urbana delle Artificerie Almagià e della Darsena sarà “family friendly” e si animerà con il Garage Sale (dalle 10 alle 19); il laboratorio per adulti e bambini dai 5 anni CorpoGiochi OFF (dalle 10 alle 13 in Almagià) e l'evento Invito alla danza – appunti per nuovi innesti tra antico e contemporaneo (dalle 15 alle 17) con le scuole di danza del territorio. Ospiti del festival le “prove d'auto-

re” dei coreografi Daniele Ninarello con i danzatori della MM Contemporary Dance Company di Reggio Emilia (venerdì 14 ore 22.15); Andrea Costanzo Martini con il Balletto di Roma (sabato 15 alle ore 19) e Daniele Albanese con il Balletto di Toscana Junior (sabato 15, ore 22.15). Il festival si chiude poi con gli appuntamenti di domenica 16 - l'apertura pubblica del progetto con allievi e allieve delle scuole di danza di Ravenna di gruppo nanou e l'esito del laboratorio con cittadine e cittadini #oggièilmiogiorno di Silvia Gribaudi e Matteo Maffesanti – e di martedì 18 settembre con il Compito in Piazza, dimostrazione di prove urbane dei laboratori CorpoGiochi a Scuola in piazza del Popolo (ore 10.30). Gli altri eventi in programma su www.festivalammutinamenti.org


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l’intervista

“Attenzione”: un film sul rumore tra cacofonie visive e sonore Al festival Soundscreen anche Beware! The Dona Ferentes del filmaker Daniele Pezzi che racconta come è nato il progetto del documentario presentato all’ultima mostra di Pesaro di Erika Baldini

Beware, attenti! Il titolo è un rimando esplicito alle locandine cinematografiche horror degli anni ‘50/’60. Ma, come allora, più che un avvertimento di pericolo trattasi di puro invito alla vertigine, al brivido. Andiamo oltre i preconcetti e facciamoci trasportare: dal rumore, nei suoni stridenti e disturbanti, nella distorsione e nella manipolazione sonora di Dona Ferentes, performer tra i più innovativi della scena musicale underground italiana. Lo facciamo con Beware! The Dona Ferentes dell'artista e filmaker ravennate Daniele Pezzi. Il documentario/ritratto - presentato all'ultima Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro (dove nel 2004 Pezzi è stato premiato con Travelgum) ed in programma al SoundScreen Film Festival di Ravenna (vedi box) - è una potente riflessione sul rumore, sia sonoro che visivo. Daniele hai affermato che Beware! è uno stacco netto rispetto al tuo lavoro precedente. Perché? «Nel corso degli anni ho portato avanti una ricerca che è nata nel contesto del cinema d’artista, ovvero quelle creazioni audiovisive che nascono per essere esperite in luoghi e forme diverse da quelle della sala cinematografica tradizionale. Fin dall’inizio la mia attenzione si è concentrata sul rapporto psicologico che intercorre tra essere umano e l'ambiente naturale e antropico che lo circonda. I miei primi due mediometraggi (Roads Ending e Tiresias-un personaggio in tre corpi) sono i punti di arrivo (o di transizione) del tentativo di rappresentare la disgregazione dell’identità; nascono come esperimenti di collaborazione con gli attori, un approccio che limita il più possibile la finzione all’interno del film e lo rende simile ad uno strano documentario. In parallelo a questa linea di ricerca, sono nati una serie di brevi lavori video, che si confrontano con il mondo dei massmedia e del loro influsso sugli individui. Una riflessione sul modo in cui la morale e la politica vengono veicolati dalla televisione e oggi dalle reti sociali, sulla condizione di essere spettatore passivo di uno spettacolo popolare a cui si sente di doversi adeguare. In questi esperimenti utilizzo quasi esclusivamente materiale audio-visivo già esistente manipolato attraverso un montaggio e una post-produzione di stampo analogico, con un approccio vicino alla pratica musicale del re-mix. Beware! The Dona Ferentes, che è assemblato partendo da materiale registrato inconsapevolmente, è il risultato più compiuto di questo percorso di ricerca». Il film ha avuto una gestazione molto lunga, hai seguito Michele Mazzani (alias Dona Ferentes) dal 2008 al 2018. Come è nato il progetto? «Ho conosciuto Michele attraverso amici comuni e nel 2008 abbiamo iniziato a frequentarci. Siamo buoni amici da allora e ho avuto modo di assistere a numerose sue performance e concerti. Insieme abbiamo anche portato avanti una serie di esperimenti editoriali, la Cavelonte Edizioni. Per quanto riguarda il film, la maggior parte delle situazioni che si vedono sono state riprese in modo inconsapevole, nel senso che in quei momenti ero più interessato a sperimentare con gli strumenti (cellulari, telecamere, fotocamere, ecc.) che avevo a disposizione, piuttosto che a documentare quello che avveniva davanti all’obiettivo. Alcune di queste riprese però hanno iniziato a riemergere nel corso degli anni. Mi sono ritrovato a riguardarle periodicamente e mi sono reso conto del loro potenziale intrinseco. Ho capito che c’è ancora spazio e necessità per forme di cinema più radicali, per quel tipo di sperimentazioni che da sempre sono portatori di innovazione anche per l’industria cinematografica di massa». Un film-riflessione sul rumore. Dona Farentes studia, produce il rumore. Tu come ti sei posto di fronte al rumore “visivo”? «Il materiale fotografico e audio-visivo digitale che l'umanità produce continuamente con smartphone e tablet, a mio parere, si può considerare rumore di fondo. Un flusso visivo che si moltiplica continuamente, scorrendo sui social

Un fotogramma di Beware! Sopra un ritratto di Daniele Pezzi di Marco Parollo

network, saturando le memorie dei computer e oggi delle nuvole virtuali che contengono i dati e i ricordi di milioni di persone. Allo stesso modo le riprese di Dona Ferentes sono testimoni dello sviluppo di questa tendenza. Come il rumore di DF diventa sempre più raffinato e sempre meno fastidioso, così l’immagine seguendo cronologicamente l’innovazione degli strumenti di registrazione, perde gradualmente la grana dei pixel fino a tendere all'omogeneità della pellicola. Inoltre i materiali di diversi formati, che ho utilizzato conservandone le dimensioni originali, si sovrappongono reciprocamente andando a nascondere porzioni dello schermo per costruire in alcuni momenti una cacofonia visiva che unisce eventi diversi in un unicum temporale, e allo stesso tempo segue il metodo compositivo, per frammenti sonori, utilizzato da Dona». A Pesaro come hanno reagito gli spettatori? Cerchi in qualche modo di ottenere una reazione precisa nel pubblico? Credo che non si possa parlare di Dona Farentes senza evocare il concetto di provacazione... «Ho lavorato per oltre un mese con il fonico e musicista Andrea Lepri per creare una colonna sonora che non fosse mai gratuitamente fastidiosa. Il mio obiettivo era anche quello di dimostrare, come dice Dona Ferentes, che il rumore è comunque un suono; e questo è dichiaratamente un film sul rumore. Ero molto nervoso a Pesaro pensando a come avrebbe reagito il pubblico. Devo ammettere che il risultato ha superato le aspettative. Ai commenti lusinghieri dei critici - a cui sono seguite ottime recensioni - si è affiancata la reazione di un pubblico che è rimasto in sala fino alla fine e che mi ha incontrato dopo per pormi domande e dare suggerimenti. Penso che il pubblico abbia apprezzato una visione fuori dagli schemi tradizionali, che però risulta coerente e non faticosa. Per quanto riguarda la provocazione, non c’è dubbio che - come dice lui stesso - all’inizio le performance di DF nascevano con spirito provocatorio e con il deliberato intento di “rovinare la festa” agli astanti. Questa attitudine essenziale nella sottocultura noise e underground si è però trasformata nel tempo e sostituita con il piacere nell’assemblaggio dei suoni e più recentemente nella creazione di ambienti sonori ottenuti con strumenti non convenzionali. In questo senso il documentario supera gradualmente la cacofonia per arrivare ad una dimensione più legata alla natura e agli aspetti più intimisti e umani del personaggio e dei suoi suoni».

il programma

TERZA EDIZIONE PER IL SOUNDSCREEN TRA ANTEPRIME E SONORIZZAZIONI I Ronin “suoneranno” il capolavoro Lo sconosciuto di Tod Browning Terza edizione di Soundscreen Film Festival dal 22 al 29 settembre al Palazzo del Cinema (Largo Firenze 1) a Ravenna. Un Festival dedicato ai film in cui la musica è protagonista, questo il concept alla base della manifestazione diretta da Albert Bucci, promossa e organizzata dall'Associazione Culturale Ravenna Cinema. Il festival si articolerà in diverse sezioni e presenterà in anteprima nazionale i migliori film per ricerca artistica e tematica tra fiction, documentari, musical e biopic. Tra i primi titoli confermati England is mine, biopic che ripercorre l’adolescenza del cantautore Morrissey, prima che diventasse leader degli Smiths; e la commedia rock spagnola Oh mammy blue. Ci sarà poi una sezione per i cortometraggi e diversi eventi speciali tra cui il il film concerto Ryuichi Sakamoto: Async at the park Avenue Armory di Stephen Nomura Schible. Per quanto riguarda l’appuntamento con le sonorizzazioni dal vivo, il capolavoro Lo sconosciuto di Tod Browning (nella foto) sarà suonato dai Ronin. Kurutta Ippeji (A page of Madness, 1926) di Teinosuke Kinugasa, capolavoro horror della avanguardia giapponese, sceneggiato dallo scrittore premio Nobel Yasunari Kawabata, sarà sonorizzato dal trio bolognese Kyokyokyo composto da Bob Nowhere, Carlo Marrone e Laura Agnusdei. Ci sarà inoltre un omaggio a John Carpenter ed Ennio Morricone.


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i film da non perdere

CONTROCINEMA Esplorazioni atipiche dentro le nuove forme del cinema

I vincitori di Cannes arrivano sul grande schermo

di Albert Bucci

In sala il Don Chisciotte di Gilliam, il giapponese Un affare di famiglia (Palma d’oro) e BlacKkKlansman di Spike Lee. Oltre a Zerocalcare...

Vi segnalo quattro film tra i tanti in uscita a settembre. Dal prossimo Festival di Venezia, subito un film tratto da una graphic novel di culto: il 13 settembre arriva La profezia dell'armadillo del mitico Zerocalcare, qui interpretato da Simone Liberati e con la partecipazione di Laura Morante. La storia dovrebbe seguire fedelmente il libro: Zero vive a Rebibbia, Roma, ed è un disegnatore senza posto fisso la cui vita scorre identica di giorno in giorno insieme all'amico Secco, e soprattutto accompagnata dal suo surreale mentore, l'armadilllo, sua coscienza critica a metà strada tra Freud e il Grillo Parlante. Ma arriva una notizia che rompe l'equilibrio di questa esistenza da linea semi piatta: la morte di Camille, sua compagna di liceo, suo grande amore mai dichiarato. Le periferie romane, il falso mito dei trentenni sempre meno hipster e sempre più nerd, tutta la dolce e romantica dissacrazione di un mondo spaesato e senza riferimenti, ma comunque capace di reagire e di affrontare una incomunicabilità che può essere risolta. Nell'augurio che il film riesca a ricreare le atmosfere di Zerocalcare. E poi il vincitore di Cannes 2018: il giapponese Un Affare di Famiglia di Kore-Eda Hirozaku. Qui il titolo internazionale è più significativo: Shoplifters, cioè taccheggiatori, coloro che rubano nei negozi. Perché è la storia di una famiglia, il marito Osamu, la figlia Shota e la moglie Nobuyo, che vivono in povertà in qualche zona franca di Tokyo, e per sopravvivere rubano in negozi e supermercati. Un giorno Osamu incrocia una bambina, Yuri, abbandonata e homeless. Nonostante la povertà, la portano a casa con sé e se ne prendono cura; la piccola Yuri sta meglio e assapora la felicità, finché non scoprono una realtà di abusi da parte dei genitori di Yuri e Osamu e famiglia decidono di tenerla con sé, una adozione informale per la legge ma sostanziale per tutti lo-

Direttore artistico del Soundscreen Film Festival e consulente alla selezione del Ravenna Nightmare, è stato docente di Sceneggiatura alla Iulm di Milano, e produttore esecutivo di spot pubblicitari.

Un fotogramma da “Un affare di famiglia”, Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes

ro. Gioiello di esplorazione della famiglia, anche se disfunzionale, dei rapporti che nascono tra persone, un dramma limpido e delicato che mostra il mondo senza spiegarlo. Meritata Palma d'Oro. Sempre da Cannes 2018, le ultime opere di due grandi maestri del cinema. L'uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam, film maledetto dalla gestazione durata 20 anni, ispirato proprio al Don Chisciotte di Cervantes, con Jonathan Pryce protagonista e Adam Driver nel ruolo di Sancho Panza. Una storia ambientata ai giorni nostri, dove il regista pubblicitario Toby (Adam Driver) incontra un vecchio impazzito che cre-

de di essere Don Chisciotte e che lo scambia per il suo scudiero Sancho Panza. Inizia così un tour picaresco, magico e visionario, tra mondo contemporaneo e finzione, come solo un maestro quale Terry Gilliam poteva realizzare. E un altro vincitore di Cannes: BlacKkKlansman di Spike Lee, sempre con Adam Driver e con John David Washington: la storia vera di Ron Stallworth, il poliziotto afro-americano che nel 1972 riuscì a infiltrarsi nel Ku Klux Klan in coppia col collega ebreo Flip Zimmermann, per un film che, mantenendo l'attualissimo ragionamento di Spike Lee sul razzismo in America, mescola toni e situazioni dal dramma alla commedia satirica.


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l’evento

Savignano nel circuito dei grandi festival di fotografia in Italia La direttrice artistica del Si Fest Laura De Marco racconta alcune delle novità di questa edizione

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MATERIA OSCURA

“Essere oggi”: il Si Fest tra immortalità e caducità di Linda Landi

Murray Ballard, The Prospect of Immortality, una delle opere esposte

Laura De Marco vive tra Bologna e New York e appartiene all’ultima poliedrica generazione di professionisti della fotografia che sa armonizzare la propria autorialità con la curatela, la comunicazione e l’educazione del pubblico. Fondatrice del centro di fotografia Spazio Labo a Bologna e del programma educativo "Photo Workshop New York”, insieme a Roberto Alfano e Christian Gattinoni è direttrice artistica di questa edizione del Si Fest di Savignano, dal 14 al 30 settembre (per una guida e qualche conisglio, vedi rubrica qui accanto). Le abbiamo chiesto un punto sul circuito dei festival e sui nuovi fotografi. Laura, come si sta relazionando il Si Fest all’interno dei circuiti di settore? Si è posto molto l’accento sulla volontà di intraprendere una sorta di nuovo corso da quest’anno. Quali azioni sono state intraprese e cosa cambierà per il pubblico, anzi i diversi pubblici? «Il sistema festival nasce non solo dalla volontà di valorizzare, ma soprattutto di mettere in dialogo tra loro i più autorevoli festival di fotografia in Italia. Il sistema è entrato nel vivo della sua operatività soprattutto durante questo 2018, a partire dall’istituzione di campagne di comunicazione “social" condivise e dalla nascita del biglietto unico, che consente l’ingresso alle mostre e agli eventi per i cinque festival coinvolti (Si Fest, Fotografia Europea, Cortona on the Move, Fotografia Etica, Photolux). L’obiettivo per il 2019 è avviare progetti comuni tra i festival, in un’ottica di condivisione di risorse economiche e di direzioni artistiche. E’ quindi un processo nuovo che sta piano piano mettendo le sue basi, e di cui ci auguriamo tutti di vedere i frutti molto presto. Si Fest. comunque, da questo punto di vista si è inserito da subito come interlocutore ideale essendo il festival più longevo d’Italia e quello che nel corso dei suoi anni di storia ha sempre portato avanti un discorso sulla fotografia legato al contemporaneo anche nell’ottica del rinnovamento e del dialogo costante tra diversi operatori del settore». Cosa ci racconta invece della nuova generazione di fotografi millennial: cosa sta cambiando, rispetto al passato, nella circuitazione del loro lavoro? «Sicuramente per i giovani autori di oggi è cambiata, rispetto anche solo a dieci anni fa, Laura De Marco la possibilità di condivisione del proprio lavoro. Portali web di alto livello, magazine online di qualità, social media, grande diffusione del “festival” come momento di condivisione tra autori e tra autori e pubblico. I confini si sono abbattuti, per cui non è detto che un giovane autore italiano non sia magari riconosciuto prima all’estero. C’è anche una maggiore diffusione di scuole di fotografia e l’accesso a forme di sostenibilità economica per la produzione dei lavori è cambiato: è esploso il fenomeno dei premi, spesso in danaro, delle sovvenzioni (su questo l’Italia è ancora un pò indietro), delle residenza d’artista o anche del crowdfunding. Con questo non intendo certo dire che oggi sia tutto più semplice: è anche vero che c’è molta più “concorrenza”, ma sicuramente qualche possibilità in più c’è, a saperla sfruttare». L’intervista completa sulla pagina R&D Cult su www.ravennaedintorni.it, il programma del festival con tutti gli appuntamenti e le mostre su www.sifest.it. (li. la.)

Carolyn Drake, “Internat”

“Who wants to live forever?” si chiedevano i Queen mentre (ci piace immaginare) seduti su un divano metallizzato color Union Jack guardavano Christopher Lambert decollare i nemici in una spasmodica pulsione verso la sopravvivenza eterna. Quel tempo così atavicamente ostile che privava il protagonista di tutti i suoi affetti mortali oggi non lo abbiamo ancora eluso, né tantomeno dominato. E il nuovo triumvirato alla direzione artistica del Si Fest (a Savignano sul Rubicone dal 14 al 30 settembre) vede uniti Roberto Alfano, Laura De Marco e Christian Gattinoni proprio nel comune intento di indagare questo presente, per un’edizione che punta a segnare una svolta: il connubio tra autori internazionali affermati, con la promessa di molti inediti in valigia, e le nuove leve della fotografia che stanno catalizzando non poche attenzioni. In diversi, portatori di una conturbante poetica che affonda a piene mani nella materia oscura dell’anima, degli anni, della scienza, delle nostre infinite maschere, cantastorie di altrettanti universi. Così Murray Ballard ci parla di criogenica in dieci anni di letteratura odeporica per immagini, raccontando silenti sale asettiche, vapori gelidi e capsule frigorifere dove l’ostensione di reliquie tecnologiche oscilla tra credibilissimi marchingegni arrivati da un futuro prossimo e rudimentali bozzoli che paiono superati come gli effetti speciali dei vecchi film di fantascienza. Un giaciglio semi eterno per chi come lui ha pensato: “Chiaramente, il freezer è più attraente della tomba” e si è fatto ibernare (la testa o integralmente) attendendo con fiducia che sia la scienza a risolvere la morte. Gli anni scivolano nell’autoanalisi visiva di Richard Renaldi con “I Want your Love” che tratteggia i momenti più privati della sua vita, quel bisogno di dare concretezza e forma all’immagine del sé e saziarsi di sentimenti che, dalle prime foto dell’infanzia, lo accompagnano fino agli amori e le situazioni dell’età adulta, con una tensione “riparativa” intimista che lascia comunque intravvedere sullo sfondo la società in cambiamento tra gli Anni ’80 e il 2016. Indagine sulla natura umana, immagine come arte-terapia che passa anche nel toccante e coraggioso “Internat” di Caroline Drake all’interno di un orfanotrofio russo destinato a ragazze con problemi di disabilità, divenute adulte in un mondo segregato dove però il disagio è solo un sussurro leggero sublimato da chiome fulve, vestiti colorati, ciabatte che camminano vestendo passi invisibili. Dove pur nella struggente assenza di mondo e aria, riesce a farsi spazio, senza retorica o pietismo, la bellezza. Di assenze e vento di mare racconta infine un giovanissimo (classe 1990) con il mappamondo in mano, gli occhiali da aviatore e il copricapo del nonno, ricreando la storia della sua famiglia attraverso raffinate evocazioni di traiettorie che trapuntano cieli e oceani: la messinscena genealogica di Francesco Levy cela agli occhi lo sciabordio delle onde marine per reinventare l’eco di migrazioni tra l’Italia e il Brasile che, con qualche misteriosa alchimia sinestetica, ce lo restituiscono.


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arte contemporanea LAND ART Terrena si chiude con Meridia, nel labirinto

Cristallino riparte dagli studi d’artista Tre appuntamenti a settembre con Buzzi, Ballestracci e De Luca

Torna il Festival Cristallino, a cura di Roberta Bertozzi, con diverse novità dal 2 settembre con l’ambizione di diventare un vero e proprio punto di riferimento nel creare percorsi d'arte sul nostro territorio. Dalla costruzione di un tessuto culturale permanente, attraverso mostre ed eventi in galleria Corte Zavattini 31, a Cesena, sino a progetti itineranti sul territorio. Tre studi d'artista, due grandi mostre, alle quali si innesteranno workshop, incontri e laboratori, insieme a due progetti speciali dedicati al fiume Savio, nell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018; e ancora performance, incontri, live painting. Giunta alla sesta edizione la manifestazione promuove le arti visive contemporanee nella regione con una particolare attenzione alle aree urbane di Cesena. Intanto, da domenica 2 settembre partirà “In-Studio”, un percorso itinerante, fuori dai circuiti ufficiali, alla volta degli atelier degli artisti del territorio. Il primo appuntamento di questa sesta edizione si terrà nell'atelier di Paolo Buzzi a Bagnacavallo (via Fornazzo 16) alle 18.30 con la presentazione critica del lavoro dell’artista e la performance musicale di GDG Modern trio. Il 16 settembre ci si sposta poi in via Fiumicino 760 a Montilgallo di Longiano per entrare nello studio di Claudio Ballestracci insieme al Savignano-Oh, lo spettacolo di punta di Falafel Fazz Familia. A metà tra canzone, varietà e mal d’Africa. Il 30 settembre si approda invece in centro a Ravenna, in via Salara, nel laboratorio del mosaicista Marco de Luca con il Cal Trio. Da ottobre prenderà il via il circuito “Vie periferiche”. Info: www.cristallino.org.

In alto: Paolo Buzzi, margarita+turchese 2018, particolare; in basso un’opera di Claudio Ballestracci

Il Labirinto Effimero ad Alfonsine è il primo labirinto dinamico del mondo. Un percorso misterioso nel mais, magico e affascinante creato dall’artista Luigi Berardi. Il labirinto apre le sue porte fino al 20 settembre, dalle ore 16 alle 24 e quest’anno, nell’ambito della prima edizione di Terrena - Tracciati di land art nella Bassa Romagna, si svolge un evento off. Dopo la mietitura del mais, si svela infatti “Meridia – Paesaggio sonoro delle terre liberate dal labirinto degli uomini”. Il 22 e il 23 settembre l’artista Luigi Berardi, come un antico custode del labirinto, accoglierà i visitatori accompagnandoli in un’esperienza visiva sonora primordiale. Suono e luce rimangono, in questa assenza di dedali, a ricondurre all’essenza del “soffio vitale della natura”, liberi di essere liberi.

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settembre 2018

la retrospettiva

collettiva

Un’antologia degli scatti di Ferdinando Scianna

UNO, NESSUNO, CENTOMILA VOLTI PER IL SOMMO Street art, fumetto, illustrazione per disegnare Dante

Ai Musei di San Domenico a Forlì, per la Settimana del Buon Vivere, inaugura la grande mostra dedicata al celebre fotografo siciliano

Inaugura il 22 settembre ai musei San Domenico di Forlì una grande retrospettiva dedicata al fotografo Ferdinando Scianna. Con circa 200 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento. Ferdinando Scianna è uno tra i più grandi maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la

Tra gli eventi dedicati a Dante a settembre, a Ravenna (vedi p. 24) torna anche la mostra Dante Plus, un progetto ideato da Marco Miccoli a cadenza annuale interamente dedicato a Dante Alighieri e alla Divina Commedia, che terminerà nel 2021, settimo centenario dalla morte del poeta. La mostra collettiva “Uno, nessuno e centomila volti” mira a riunire un gruppo di artisti, diversissimi gli uni dagli altri che, dall’illustrazione al fumetto e alla street art, cercheranno di dar vita a una nuova identità del poeta. La sede scelta per questa iniziativa è la Biblioteca di Storia Contemporanea “Alfredo Oriani”, biblioteca che vanta oltre 170 mila volumi dedicati alla storia, alla sociologia e all’economia contemporanea. Per tutta la durata della mostra, nei giardini della sede, sarà presente la scultura realizzata dall'artista Alessandro Turoni dal titolo “La soglia dell’aldilà” raffigurante un cerbero. Dante Plus inaugura venerdì 7 settembre alle 18 con il disegno dal vivo di Seacreative e Nicola “Rospo” Bustacchini e il video di Gangaproduction. La mostra è visitabile fino al 28 ottobre.

religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: "Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino...". Fino al 6 gennaio. La mostra è inserita nel programma della Settimana del Buon Vivere (vedi p. 23).

Incisione

eventi

Max Klinger tra inconscio e mito in centocinquanta opera a Bagnacavallo Inaugura il 15 settembre al Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo All’ex convento di San Francesco la personale di Francesco Diluca Inaugura il 15 settembre alle 18 con un concerto nel chiostro la nuova mostra di incisione al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo dal titolo “Max Klinger. Inconscio, mito e passioni alle origini del destino dell’uomo” (fino al 13 gennaio). L’esposizione dedicata a uno dei massimi esponenti del Simbolismo europeo ha ispirato, come temi, anche l’intera festa di San Michele (a fine settembre, vedi p. 31, periodo durante il quale la mostra osserverà aperture straordinarie). Le “visioni” dal fascino sottile e ambiguo, oscillanti tra la luce della realtà quotidiana, gli splendori del mito e il buio più profondo del nostro inconscio, seppero anticipare i temi centrali della psicanalisi. La mostra ripercorrerà l’intero percorso espressivo dell’artista tedesco (dal 1880 al 1918) attraverso i suoi celebri cicli di incisioni, con circa 150 opere esposte. Sempre curata dal Museo delle Cappuccine sarà la personale di Francesco Diluca allestita al primo piano dell’ex convento di San Francesco (dal 22 settembre al 4 novembre). Il giova-

UNA PISCINA DI LUCI E SUONI NELL’EX CONVENTO

ne artista milanese presenterà un allestimento nel quale le sue sculture antropomorfe, realizzate per la maggior parte in fili o ramificazioni metalliche, emergono ora dall’ombra, ora dal bianco abbacinante del sale.

Dal 27 (inaugurazione alle 18) al 30 settembre, nell’ex convento di San Francesco torna il progetto Magma con dj set e l’installazione site specific di Marco Morandi “A 90 Degrees Rotation of a Lights Pool”: la manica lunga del convento diviene una piscina, ma fatta di luci e suoni. Un’opera pensata per questo luogo che nasce dal Progetto Lucina di Marco Morandi, che coniuga musica, visual e interactive design in cui il pubblico si improvvisa autore di partiture visive e sonore.



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settimana del buon vivere/1

Se i libri fanno bene anche al Pil: «Dove si legge di più si hanno più idee per affrontare la globalizzazione» Piero Dorfles e i benefici della lettura che rende la nostra vita più ricca, in tutti i sensi di Iacopo Gardelli

In molti lo conoscono come il compassato giudice dello storico programma Per un pugno di libri su Rai 3. Ma Piero Dorfles, triestino classe '46, è soprattutto un grande intellettuale, che ha dedicato la sua vita alla promozione della lettura in un paese di analfabeti funzionali. Dorfles sarà a Forlì il 25 settembre per la Settimana del Buon Vivere: alle 9.30, nella chiesa di San Giacomo, terrà una lezione aperta alle scuole intitolata “Libri che rendono più ricca la nostra vita”. Nel 2014 per Garzanti era uscito un suo libro dal titolo quasi uguale. Che cosa intende quando usa l'aggettivo “ricca”? «Il termine è vasto, contiene l'aspetto spirituale e materiale. Inutile dire quanto la lettura possa arricchirci spiritualmente. Essendo un fatto individuale e silenzioso, non sorretto né da immagini né da altri fenomeni che vengono prodotti su di noi e non da noi alimentati, la lettura lascia grande spazio alla fantasia del lettore. Quando leggiamo non ci limitiamo ad assorbire storie, atmosfere, personaggi, contraddizioni, amori, ma li alimentiamo con la nostra fantasia, siamo stimolati ad arricchirli di ciò che avviene dentro di noi». Piero Dorfles Per quanto riguarda la parte materiale? «Una statistica dice che nei paesi dove si legge di più, il Pil cresce di più. C'è una coincidenza perfetta tra la lettura e la crescita economica. Nei paesi del Nord Europa, dove quasi il 50% della popolazione è composto da lettori forti (da noi purtroppo fermi al 7%) c'è un Pil più alto, e l'aumento del numero dei lettori fa progredire anche il Pil. In un paese dove si legge di più si è più intelligenti, si hanno più idee e più strumenti per combattere le competizioni della globalizzazione. Secondo un'altra statistica interessante, i figli delle famiglie che hanno più di 100 libri in casa producono un reddito doppio degli altri. In breve, hanno più successo». Si calcola che il 45% dei cittadini italiani legga solo un libro all'anno. Quali errori commette l'educazione italiana secondo lei? «La formazione è un sistema integrato che comprende famiglie, scuole e strumenti di comunicazione. Nessuno di questi è votato a far crescere la lettura perché nel nostro paese il suo valore non è considerato centrale. A scuola la lettura è una pratica tollerata, ma soprattutto non studiata. Non c'è un processo di avvicinamento, c'è piuttosto un'imposizione. Questo è sbagliato: tutto ciò che è imposto è sgradevole. La lettura è un processo di affinamento di una competenza tecnica, che va acquisita spontaneamente, senza sofferenza. Spesso la scuola impone la lettura come una materia di studio, ma non può essere così: la lettura è una capacità, come imparare a nuotare». La cultura migliora l'uomo o è soltanto un nostro pio desiderio? Pensiamo alla Germania del '33: uno dei paesi culturalmente più progrediti del tempo appoggiò quasi all'unanimità il nazismo. «Aggiungo che Hitler aveva una biblioteca vastissima, di 30 mila volumi. Era un lettore frenetico, ma questo non gli impedì di diventare il più sanguinario dittatore del Novecento. La cultura, quella cosa che dovrebbe salvarci dall'ignoranza e dal decadimento, funziona se c'è anche maturità intellettuale e capacità di giudizio. Si può essere molto colti e non capire nulla. Resta il fatto che senza la cultura, quello sviluppo d'intelligenza non ci sarà mai. Impariamo a intendere cultura in modo vasto: non si tratta soltanto di leggere libri, ma è la capacità di leggere il mondo in modo critico e analitico». Qual è il più grande scrittore o scrittrice vivente in Italia? Non può rispondere Magris, che è di Trieste come lei. «Non lo so. Forse, non avendo al momento vertici straordinari, ci si può basare sui dati di mercato. Il più venduto scrittore italiano è Camilleri, ed è anche un ottimo scrittore. Ma nessuno è in grado di dire se diventerà un classico e se lo leggeranno anche fra 50 o 100 anni. Di solito è la storia a deciderlo».

settimana del buon vivere/2

DA PUPI AVATI A PIPPO BAUDO PER SCOPRIRE DOVE ANCORA ESISTE LA COMUNITÀ Nona edizione per l’evento che porta a Forlì i grandi nomi di cultura ed economia per parlare di solidarietà e innovazione È “Luoghi” il titolo dell’edizione 2018 della Settimana del Buon Vivere che si svolge come sempre a Forlì dal 23 al 30 settembre e lo scorso anno, secondo il report di Vodafone Data Analytics, ha contato circa 110.000 presenze. Il programma si divide in tre parti: una dedicata all’economia del Buon Vivere, un confronto sul come essere protagonisti della next economy, un’altra dedicata ai temi del saper stare in relazione come cultura sostenibile, infine, quella intitolata #TipiStereo pensata con i giovani sui giovani e aperta a tutti. Come sempre il programma prevede una miriade di incontri, spettacoli, reading con i protagonisti della vita politica, economica, culturale del Paese, per una riflessione a tutto tondo sul senso del vivere in comunità, all’insegna di valori (di questi tempi quanto mai necessari) come la solidarietà, l’innovazione, la convivenza. Tra i nomi di spicco che partecipano a questa edizione ci sono l’avvocatessa Lucia Annibali, il giornalista Alessandro Milan, l’attore e autore teatrale Davide Enia, il pianista Aeham Ahmad con il giornalista Gabriele Del Grande, il cantante Lorenzo Baglioni e lo scrittore e attivista Iacopo Melio e ancora, Aldo Cazzullo, Michela Murgia, Peppe Vessicchio, Pippo Baudo, Piero Dorfles, tra i tanti. L’apertura è affidata al grande regista Pupi Avati. È invece di Ugo Nespolo l’immagine (nella foto) che rappresenta l’edizione. Il grande pittore e pubblicitario italiano, piemontese classe ’41, nella sua carriera ha firmato numerose campagne rimaste per anni nell’immaginario collettivo del paese come quelle per Campari, Piaggio e Caffarel e nel 2003 ha disegnato la grafica generale e la maglia rosa del Giro d’Italia. «Arrivati alla nona edizione – dichiara Monica Fantini, ideatrice dell’iniziativa – la più grande soddisfazione è stata quella, anno dopo anno, di allargare l’abbraccio della partecipazione nei confronti di un evento che proprio sulla coesione ha puntato. Quella relazione che può modificare il volto delle Comunità e che oggi connota un territorio come la Terra del Buon Vivere. Il buon vivere, quindi, è diventato un luogo». Tra i siti cruciali dell’iniziativa il complesso di San Giacomo e lo spazio della Barcaccia, nei pressi dei Musei di San Domenico. Il programma completo su settimanadelbuonvivere.it.

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parole

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poesia

Torna Dante2021, per un Sommo Poeta che parla al mondo e alle “future genti” Tra gli ospiti del festival diretto da Domenico de Martino anche Wen Zheng, docente dell’università di Pechino A Cristiano De André il premio “Musica e parole”. Anteprima con letture di Roberto Riccardi e Santo Piazzese

È ormai sempre più vicino il settimo centenario della morte di Dante Alighieri e Ravenna, che ospitò il sommo poeta negli ultimi anni della sua intensa e travagliata vita, non vuole certo essere da meno nelle celebrazioni dedicate all’autore di una delle opere più celebri al mondo, la Commedia. Dal 12 al 16 settembre torna ad animare i luoghi dell’ultimo rifugio dantesco il festival Dante2021, promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna con la direzione scientifica dell’Accademia della Crusca: cinque giorni di incontri, spettacoli e concerti all’insegna del motto «con l’animo che vince ogne battaglia» (Inferno XXIV, v. 53), verso tratto dall’appassionato incoraggiamento rivolto da Virgilio a Dante affinché più energicamente affronti la risalita dal fondo della bolgia degli ipocriti. Il passo dantesco, emblema di questa edizione, è particolarmente significativo perché vuole raffigurare, nella sua brevità e intensa espressività, «l’animo, la volontà che vince ogni battaglia e quindi, per noi che veniamo da una forte crisi decennale, esso si presta bene ad essere attualizzato per dare un messaggio positivo» precisa Antonio Patuelli, Presidente Gruppo la Cassa di Ravenna. Come consuetudine, il festival vero e proprio sarà preceduto da Dante Hors d’Oeuvre, ciclo di quattro “piccole letture dantesche” che si svolgeranno dal 5 all’8 settembre, alle 17, al Museo Nazionale e al Caffè Letterario di

Cristiano De André

Ravenna. Quest’anno, a condividere il “loro” Dante saranno il colonnello dei Carabinieri e scrittore Roberto Riccardi, il docente di Storia del teatro Stefano Mazzoni, il biologo e scrittore Santo Piazzese e il direttore della Settimana di studi danteschi di Palermo Giuseppe Lo Manto (tutti gli eventi sono a ingresso gratuito). Il programma del festival vero e proprio si

caratterizza più che mai per il taglio attuale, interpretando la parola del Poeta attraverso molteplici punti di vista per dare luogo a svariate riflessioni e facendo sempre i conti con l’eredità dantesca, che «continuamente si proietta tutta, nella sua grandezza, su noi “futura gente”» precisa Domenico De Martino, direttore artistico di Dante 2021. Emblematica di quanto l’opera di Dante dia-

loghi con culture diverse è la partecipazione, mercoledì 12 settembre, del professor Wen Zheng, docente dell’Università di Pechino, in “Dante e le sue opere in Cina”, che svelerà quale ruolo il poeta ha svolto in passato e quale svolge oggi nella sempre maggiore attenzione che la cultura e la lingua italiana stanno conquistando in Cina. Tra gli eventi dai quali si evince maggiormente il taglio contemporaneo dell’edizione, vi sono l’incontro del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani con Antonio Patuelli in «Europa dolce carco», venerdì 14 settembre, e l’intervento “Valori e profezie dantesche per l’Italia di oggi” di sabato 15 settembre, in cui Giovanni Maria Flick – già Ministro della Giustizia e Presidente della Corte Costituzionale – affronterà il rapporto tra l’opera di Dante e la Costituzione italiana. Nella penultima giornata del festival saranno consegnati i premi “Dante-Ravenna” e “Musica e parole” rispettivamente al narratore e drammaturgo francese René de Ceccatty e al cantautore Cristiano De André. Tra gli ospiti di Dante 2021 figurano anche Francesco Sabatini, docente e noto volto televisivo, il linguista Luca Serianni e Andrea Giordana, protagonista dello spettacolo L'ultimo incontro (Dante e Francesca) di venerdì 14 settembre. Info e programma completo: dante2021.it. Simona Guandalini

celebrazioni

AZIONI CORALI E LETTURE TEATRALI PER L’ALIGHIERI Tantissimi gli appuntamenti per celebrare Dante a Ravenna nel mese a lui dedicato, anche in virtù dell’avvicinarsi dell’anniversario del 2021. Tra gli appuntamenti più suggestivi quello del 9 settembre con il corteo per la cosiddetta “cerimonia dell’olio” che vedrà anche alle 9 un’azione corale diretta da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari con i cittadini del Cantiere Dante in continuità con la realizzazione dell’Inferno dello scorso anno. Sempre in ambito teatrale, prenderà il via anche “Incanto Dante” alla Basilica di San Francesco alle 18.30 nelle giornate del 16 settembre, 14 ottobre e 11 novembre. Si tratta del nuovo progetto quadriennale interamente dedicato alla figura del Sommo Poeta che prevede una lettura integrale della Commedia, in una serie di appuntamenti domenicali. Le letture dei canti strutturate come una staffetta per voci, orchestra, solisti e coro - saranno declamate da attori e commentate musicalmente dalla Cappella Musicale di San Francesco, oltre ad essere introdotte da importanti studiosi (tre per ogni appuntamento). Il coordinamento delle letture e il loro adattamento è di Chiara Lagani e Consuelo Battiston (E production/Fanny & Alexander-Menoventi) e coinvolgerà voci del panorama teatrale locale. Le esecuzioni musicali saranno affidate ai Solisti, al Coro e all’Orchestra della Cappella Musicale della Basilica di San Francesco.


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incontri letterari

in libreria

TRADIZIONE “DIMENTICATE” DELLA ROMAGNA In uscita un nuovo saggio di Eraldo Baldini per Il ponte vecchio

OFFUTT, DAGLI USA Lo scrittore americano Chris Offutt, edito in Italia da Minimum Fax, sarà a Ravenna il 12 settembre alla biblioteca Classense alle 21

BERNARD FRIOT IN CLASSENSE Domenica 16 settembre alle 17.30 la Biblioteca Classense di Ravenna ospita uno degli autori per ragazzi più amati e tradotti nel mondo, il francese Bernard Friot.

CAROFIGLIO COI PIEDI NEL FANGO Il 7 settembre alle 18.30 alla festa nazionale dell’unità di Ravenna Gianrico Carofiglio presenta Con i piedi nel fango.

AGENDA/1 (In)verso con trentadue case editrici a Santarcangelo

AGENDA/2 Da Rimini a Brisighella, i monologhi di Mercadini

A Santarcangelo, nell’ambito del “cantiere poetico” (vedi p. 3) c’è anche la rassegna (In) Verso, curata da Massimo Roccaforte, che porta nella cittadina trentadue case editrici indipendenti e dieci cantautori contemporanei. Come in ogni edizione, da venerdì 7 a domenica 9 settembre piazza Ganganelli ospiterà la mostra mercato dell’editoria indipendente, segno tangibile della cura per il mantenimento della “bibliodiversità”. In questa cornice si svolgeranno gli incontri con editori e autori, oltre ai concerti.

Come sempre fittissimo il calendario di Roberto Mercadini, scrittore e autore e interprete di monologhi, eclettico artista della parola. L’1 settembre alle 21 primo appuntamento al Giardino di casa Pascoli (San Mauro Pascoli) per La bellezza delle parole, discorso sul dire e sull'indicibile. Il 2 settembre, alle 16.30 in piazza della Libertà a Bertinoro sarà la volta delle sue Rapsodie romagnole, strane storie della mia terra, lo stesso monologo che interpreterà anche l’8 settembre, alle 21.15 in piazza Mazzini a Mercato Saraceno. Il giorno successivo, alle 21, al teatro Astra di Bellaria, ecco Garibaldi il marinaio, vita ondivaga dell'eroe dei due mondi. Il 14 settembre, alle 21, di nuovo Bertinoro ma al circolo “Rimbomba” sarà la volta di Come educare alla tempesta, vita e mente di Giuseppe Mazzini, mentre il 16 settembre, alle 21, l’appuntamento è a Brisighella, nella Chiesa dell'Osservanza con il monologo dedicato all’ambiente Noi siamo il suolo, noi siamo la terra (all'interno del Festival dei beni comuni). Il 18 settembre, appuntamento poi a Rimini alle 21 al Teatro degli Atti con Diversamente disabili, Storie e pensieri sulla disabilità, in collaborazione con Educaid.

Ascesa e caduta di Gardini alla biblioteca di Alfonsine Icarus, ascesa e caduta di Raul Gardini (Minimum Fax, 2018), il libro del ravennate Matteo Cavezzali sulla vicenda di Raul Gardini, tra documento giornalistico e romanzo, che sta ricevendo l’attenzione di molta critica e che è giunto già alla prima ristampa dopo poche settimana dall’uscita, sarà presentato dall’autore l’11 settembre alla biblioteca comunale di Alfonsine alle 18.

Il 20 settembre arriva in libreria il nuovo volume edito dalla casa editrice cesenate Il Ponte Vecchio e scritto dallo studioso di antropologia ravennate Eraldo Baldini: I giorni del sacro e del magico, Tradizioni «dimenticate» del ciclo dell’anno in Romagna. Come noto Baldini da anni affianca, alla carriera di romanziere, quello di studioso delle tradizioni e del folklore in particolare delle campagne romagnole. Da qualche anno l’editore cesenate sta pubblicando una serie di saggi, in parte originali e in parte ormai fuori catalogo presso altri editori, a cui ora si aggiunge questo nuovo volume. Le tradizioni dimenticate, spiega l’autore, sono quelle di cui in gran parte perdute la conoscenza e la consapevolezza dei loro significati – sia perché l’articolato sistema mitico-rituale in cui si innestavano non è più cogente, sia perché in una società che ormai ha allentato i propri legami con il lavoro agricolo, la stagionalità, il culto dei morti e i cicli cosmici – tali occasioni risultano non più chiaramente armonizzate in un continuum decifrabile com’era quello, culturalmente condiviso, delle società del passato: si va dal giorno di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali ed erede di un arcaico nume pagano, ai balli e alle «battaglie rituali» nel tempo di Carnevale, alla Segavecchia. Baldini sarà inoltre ospite della biblioteca di Bellaria l’8 settembre alle 21 per incontrare i lettori.


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l’intervista

Nevio Spadoni, tra poesia e teatro in dialetto romagnolo L’autore de “E Bal” e “L’isola di Alcina” ospite al Festivaletteratura di Mantova di Roberta Bezzi

Sarà una fine estate ricca di novità per il poeta ravennate Nevio Spadoni che è stato invitato all’edizione 2018 del Festival della Letteratura di Mantova dove il 5 settembre sarà rappresentato il suo lavoro teatrale E’ bal con Roberto Magnani e Simone Marzocchi del Teatro delle Albe di Ravenna. Dopo lo spettacolo, autore e attori dialogheranno sul rapporto tra scrittura e teatro. Un bel riconoscimento che premia anche il suo impegno di scrittura teatrale ormai pluridecennale… «Sì, tutto è iniziato grazie all’amicizia con Ermanna Montanari con cui ho origini comuni visto che lei è di San Pietro in Campiano e io di San Pietro in Vincoli. Proprio lei, dopo aver letto alcuni miei lavori, mi ha spinto a scrivere per il teatro e a cominciare questa forma di contaminazione che prevede inevitabilmente anche un lavoro in società». Tutto è iniziato con Lus nel 1995, anno in cui l’opera è stata messa in scena al Teatro Rasi. Un bel successo a cui poi ne sono seguiti altri... «Sì, il monologo è stato poi presentato in diverse città italiane e in alcuni paesi europei e anche negli Stati Uniti. Nel 1999 è stato tradotto in inglese da Teresa Picarazzi. Da lì è poi seguito il monologo La Pérsa, andato in scena con la regia di Marco Martinelli, che qualche anno dopo è stato riproposto da Daniela Piccari nell’ambito del Ravenna Festival. Nel 2000 alla Biennale di Venezia ha debuttato L’isola di Alcina, sempre con Ermanna che ha vinto per quella interpretazione il Premio Ubu. Ho lavorato poi con Elena Bucci che alla basilica di San Vitale ha interpretato il mio Galla Placidia per il Ravenna festival 2003 e anche con Chiara Muti, in scena con Francesca da Rimini sempre per il festival l’anno successivo. E nel 2005 Muti e Bucci sono state protagoniste del mio Lord Byron e Teresa Guiccioli: un amore».

Un poeta come lei, abituato a scrivere in lingua e in dialetto, come è approdato al teatro? «Mi piace ripetere le parole del più grande regista polacco del Novecento Tadeusz Kantor, secondo cui al teatro ci si arriva con altre esperienze. Lui attraverso la pittura, io con la poesia». A partire da quella in dialetto, la sua prima lingua? «Sì, come è normale che fosse per un figlio di mezzadri. L’italiano l’ho imparato a scuola. Nella mia famiglia, abbiamo pensato, parlato, sognato e giocato in dialetto». La passione per la poesia, come è maturata? «Già a 15 anni scrivevo, prediligendo il dialetto appunto, per la sua maggiore autenticità. Ho fatto leggere qualcosa al medico condotto del paese Gioachino Strocchi, che si era trovato in un campo di concentramento insieme a Tonino Guerra in Germania. Lui mi ha dato buoni consigli. Poi, dopo l’università, è nato il confronto con poeti affermati ed è arrivato l’incoraggiamento di tanti amici fra cui Giovanni Mariani, Giuseppe Bellosi e Tonino Baldassarri». Cosa significa far parte della nuova generazione di poeti romagnoli? «Rifiutare anzitutto di essere “incasellati” attraverso i più noti luoghi comuni della Romagna, ma anche aprirsi alla contaminazione della modernità. Per esempio, nel monologo Lus, per cui Emilia Romagna Teatro ha prodotto un nuovo allestimento nel 2015, ho “incastonato” alcune poesie nei testi teatrali». Come valuta oggi lo stato del dialetto romagnolo in una società sempre più multietnica? «Abito a Ravenna nel borgo San Rocco, dove ormai sento parlare tutte le lingue del mondo… Temo che il dialetto, massima espressione dell’oralità, farà la stessa fine del lati-

Nevio Spadoni

no. Devo dire però, e questo mi fa ben sperare, che c’è un grande interesse da parte dei giovani che mi ascoltano sempre molto attenti durante le mie incursioni nelle scuole superiori. Ero scettico al riguardo, invece ho trovato gli studenti curiosi. Certo, pochi di loro lo sanno parlare anche fra chi viene dalle campagne, al massimo riescono a capirlo…». Come mai si sta perdendo il nostro dialetto, mentre in regioni come il Veneto o nel Sud è ancora parlato? «Credo sia questione di usi, costumi e tradizioni. Il nostro dialetto ha una grande forza ed energia, come diceva il grande Raffaele Baldini: “Possiamo parlare con Dio, ma non di Dio”. Per dire che si presta a parlare di tutto perché è una lingua diretta e immediata, meno di grandi questioni filosofiche… Probabilmente è stato abbandonato a causa di forti pregiudizi, perché si diceva che fosse la lingua dei poveri e degli ignoranti. Invece i più grandi poeti romagnoli hanno scritto in dialetto… Non è la lingua, ma come la si usa…». Prossimi impegni? «Siccome mi avvicino ai settant’anni, sto lavorando a un progetto che mi sta molto a cuore: dopo Poesie (19852017), edita da Il Ponte Vecchio, vorrei realizzare una raccolta analoga di tutti i lavori teatrali, visto che i singoli volumi sono esauriti da tempo. Uscirà nel 2019».


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l’evento

Mosto: tre giorni tra viaggio e narrazione Il Festival ai Poderi dal Nespoli con Buffa, Enia, Frankie Hi-Nrg Ne parla Caccia di Radio Due, direttore con Rosario Tedesco A sinistra Matteo Caccia, uno dei due direttori di Mosto; a destra Frankie Hi-Nrg, tra gli ospiti

Seconda edizione per Mosto, festival di narrazione, che dal 6 all’8 settembre si svolgerà nella suggestiva cornice del Poderi dal Nespoli. Tre giorni con nomi quali Arianna Porcelli Safonov, alle 21 del giorno di apertura con il “riding tristocomico”, seguito da una conversazione con il noto giornalista sportivo Federico Buffa. Il 7 settembre sarà la volta di altri nomi celebri e apprezzati quali quello di Davide Enia, alle 21, con il monologo Scene dalla frontiera (tratto dal romanzo Appunti per un naufragio, vedi articolo in questa pagina) seguito da uno spettacolo degli amatissimi Dente (cantautore) e Guido Catalano (poeta), a chiudere, l’8 settembre, Annagaia Marchioro alle 21 con un spettacolo ispirato a Fame mia - quasi una biografia tratto da un testo di Nothomb e a seguire il rapper Frankie Hi Nrg. Nel mezzo molti altri appuntamenti ed “esperimenti” di cui ci parla Matteo Caccia, attore, autore e voce radiofonica di Radio Due che dirige il festival insieme a Rosario Tedesco, a cui abbiamo chiesto però innanzitutto come nasce questa originale esperienza. «Il festival nasce da un’esigenza di Poderi dal Nespoli, in particolare di Marco Martini. Rosario Tedesco e io lo abbiamo conosciuto a Forlì diversi anni fa, ci unisce un percorso in teatro con Antonio Latella. Oggi abbiamo intrapreso tutti e tre strade diverse da quella attoriale e un paio di anni fa Marco ci ha contattati perché voleva appunto organizzare un festival di narrazione in questo particolare luogo il desiderio di realizzare un festival sulla narrazione perchè convinto che la tradizione orale rappresenti la prima forma di racconto e conservazione della memoria storica. E così ci siamo messi al lavoro». Da dove si comincia a organizzare un festival così? E perché il filo conduttore della partenza, come tema? «Abbiamo innanzitutto cercato di immaginare che cosa vuole dire fare un festival oggi. Se guardi al calendario non c’è un giorno tra aprile e ottobre dove da qualche parte non si svolga un festival. Allora abbiamo pensato che un festival di questo tipo ha senso se si guarda intorno, se racconta un pezzo della contemporaneintà. E oggi uno dei temi che ci caratterizza è proprio quello della mobilità o immobilità davanti agli schermi: spostarsi, cambiare vita, cambiare lavoro. Vogliamo raccontare questo pezzo di contemporaneo». E quindi tutti gli ospiti affronteranno questo tema? «Sì, Buffa per esempio ha fatto del viaggio la sua cifra narrativa per raccontare lo sport. Enia, con una sua performance a metà tra reading e spettacolo, affronta un tema che non volevamo e potevamo evitare: quello dei migranti. Arianna Porcelli, dopo essere stata una star nella tv spagnola ha ricominciato da zero in Italia, Frankie Hi Nrg ci parlerà delle origini dell’hip hop, di come è nato un movimento che ha tanto influenzato la musica contemporanea». Ci sarà anche una maratona di lettura di diari di persone comuni, perché? «Sì, è un altro appuntamento a cui tengo moltissimo: tra venerdì e sabato da mezzanotte alle sei ci alterneremo tutti nella lettura di testi che provengono dall’Archivivo diaristico di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Si tratta di una realtà magnifica con cui collaboro anche per la radio: fanno un incredibile lavoro di raccolta di diari che le persone vogliono consegnare loro. Abbiamo chiesto di farci una selezione di testi che abbiano come punto di riferimento il viaggio, ci sono storie di migranti italiani, vacanze, guerra». E l’installazione permanente “Da dove sto chiamando” come nasce? «È un esperimento. Per tutto il tempo del festival ci sarà al centro della cantina una vecchia cabina telefonica con dentro un telefono e un registratore. Chi vorrà potrà entrare e parlare con qualcuno che è partito. Vedremo come andrà, magari l’anno prossimo lavorando sulle storie audio, possiamo pensare a una piccola performance, una raccolta». Questo è molto in sintonia anche con il lavoro che fai in radio, ma perché secondo te è importante lavorare sull’autobiografia piuttosto che, parlando per esempio di narrazioni, sulla fiction? «Non faccio graduatorie tra fiction, che amo e leggo, e autobiografia. Sono cose diverse. Personalmente credo che raccontare storie di vita sia quasi un atto politico, un modo per raccontare il mondo. Quando una signora di Bolzano racconta la propria vita in montagna fatta di povertà a un bambino di Catanzaro, farà capire qualcosa a quel bambino che altrimenti lui non conoscerebbe. Noi facciamo intrattenimento, non informazione né educazione, ma quando raccontiamo le autobiografie in qualche modo testimoniamo che esiste un diritto di cittadinanza di vite vissute anche molto diverse tra loro». Federica Angelini

la recensione

APPUNTI PER UN NAUFRAGIO: IL LIBRO (E LO SPETTACOLO) DI ENIA CHE CI VIENE IN AIUTO Tra racconto, biografia, diritti negati, slanci di umanità, l’assurda tragedia di tanti migranti dall’Africa In questi giorni in cui l’escalation verso l’assurdo e l’ingiusto sulla pelle dei migranti sembra toccare nuove vette che si sperava fossero inarrivabili, c’è bisogno forse più del solito di tornare a ricordarci di cosa e di chi esattamente parliamo quando parliamo di profughi. Ecco venirci in aiuto un libro uscito ormai un anno fa che riesce perfettamente nell’intento: Appunti per un naufragio di Davide Enia (Sellerio). E che l’autore, che è anche un noto attore e autore teatrale, ha adattato a forme spettacolari e reading che continua a portare in giro per fortuna anche da queste parti. Sarà infatti a Mosto, al Poderi dal Nespoli (vedi articolo qui a fianco) e alla Settimana del Buon Vivere, vedi p. 23). Come un Carrère siciliano che si confronta con L’Avversario, in questo libro Enia affronta la storia che passa da Lampedusa attraverso se stesso, la propria esperienza, la propria ricerca, le testimonianze di chi sull’isola ormai simbolo della frontiera tra Africa ed Europa ci opera. Eroi civici che prestano soccorso, accolgono, salvano, per mestiere, per vocazione, perché, banalmente, quando si è di fronte a qualcuno che annega non si può fare altro che cercare di salvarlo. È la legge del mare. E dovrebbe essere anche quella dell’uomo. C’è la strage del 3 ottobre, c’è la quotidianità degli sbarchi, ci sono storie terribili, c’è tanta morte, ma anche la speranza di chi sbarca e ha ancora la forza di raccontare una barzelletta. C’è la disperazione dell’impotenza e il racconto personalissimo di un rapporto da ricostruire con il proprio padre. C’è la malattia dello zio. Ci sono i ricordi, ci sono i camei sulla cabine telefoniche. Enia riesce in un’operazione complessa di stratificazione autobiografica, testimonianza, narrazione con una straordinaria abilità stilistica ma soprattutto di montaggio del materiale. Un libro che trasuda umanità, che mostra l’orrore di ciò che sta accadendo e allo stesso tempo la bellezza e la grandezza di cui gli esseri umani possono essere capaci. Dà voce, sangue e corpo a tanti discorsi a volte forse troppo astratti sulle idee fondanti dell’Europa come l’eguaglianza, il diritto, la protezione dei minori. Tutte cose che consideriamo sacre nelle nostre costituzioni e che, come Stati, violiamo quotidianamente. Un libro che mette in luce i limiti orribili e l’impotenza di questa civiltà di fronte a un fenomeno inarrestabile, che pone domande, racconta una storia, dice un pezzo di Storia. Non fatevi ingannare dal titolo. Non sono affatto appunti. È un grande e compiutissimo libro. (fe. an.)


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parole

il libro

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LA ROMAGNA IN PAGINA

L’UOMO DI MOSCA: UNA SPY STORY PER RACCONTARE LA TRASFORMAZIONE POLITICA Il romanzo d’esordio del ravennate Alberto Cassani pubblicato da Baldini+Castoldi Una spy story che collega due mondi, due epoche, due modi di vedere e intendere la politica. L’uomo di Mosca, esordio narrativo del ravennate Alberto Cassani in libreria per Baldini+Castoldi (sarà presentato anche alla festa dell’Unità nazionale di Ravenna il 10 settembre alle 19), è un libro dove avventura e riflessione politica si intrecciano, dove è facile riconoscere gli ambienti economici e politici e massonici di una città raccontata attraverso l’efficacia dell’ossimoro. Il nipote Andrea, con un passato da assessore (come l’autore del libro), raccoglie di fatto una memoria del nonno, a lungo tesoriere del Pci e direttamente in contatto con Mosca. Ravenna è infatti sempre stata un punto di collegamento privilegiato per i comunisti italiani con l’Urss, tramite il porto da cui passavano informazioni e anche flussi più o meno leciti di denaro. Ma con la fine dell’Unione sovietica quel filo si spezza, lasciando questioni irrisolte. Andrea, in qualche modo spinto dal nonno in punto di morte, decide di raccogliere di fatto quel testimone e far chiarezza in particolare sul mistero di una cifra di denaro dai destini incerti. Più che per gusto dell’avventura (che non manca), forse per lasciare traccia di un mondo già scomparso e di cui ora si rischia di perdere il ricordo. Ma quello di Cassani non è rimpianto, piuttosto uno sguardo lucido e acuto che riconosce come gli uomini e le donne della generazione della Resistenza hanno vissuto e lottato (e sono venuti a patti con i principi dell’etica e della giustizia) in nome di un sogno collettivo, nella convinzione di poter ambire a trasformare il mondo in un posto più giusto per tante persone. Il libro è però anche un’occasione di introspezione del personaggio, arrivato alla cinquantina (come l’autore), sulle occasione perse, sui dolori e gli affanni passati legati alla politica, sul presente fatto di una tranquilla vita coniugale. Ed è anche un libro di costume, che osserva con disincanto i meccanismi di tanti rapporti sociali odierni e non disdegna qualche sfoggio di cultura. Non offre risposte, racconta una storia, illumina un processo di mutazione sociale e politica e non manca di pagine di vera suspense dove l’ex assessore Andrea si trova in improbabili quanto appassionanti momenti di pura avventura. (fe. an.)

Chi era, dunque, Lord Byron? di Matteo Cavezzali

Lord Byron è uno di quei poeti il cui personaggio ha oggi maggior fama della sua opera. Nonostante sia considerato dai libri di letteratura inglese uno dei massimi poeti britannici ormai è difficile trovare qualcuno che abbia letto le sue opere. Eppure la nomea di Lord Byron, eroe romantico morto durante la guerra d’indipendenza della Grecia dall’Impero Ottomano, rivoluzionario, poeta e donnaiolo impunito, è giunta integra fino ai giorni nostri. Quest’anno sono tornati, in una nuova edizione Adelphi curata da Ottavio Fatica, i diari di Byron, pubblicati con il titolo Un vaso d’alabastro illuminato dall’interno. Byron vive a Ravenna dal 1819 al 1821 e soggiorna nel Palazzo del conte Guiccioli in via Cavuor (dove sorgerà un museo dedicato al poeta). I diari sono interessanti per scoprire la vita nella Ravenna di duecento anni fa. Ci descrive un clima impietoso, freddo e «un umido tremendo che ristagna», che riconosciamo bene. Le strade di terra, con la pioggia e la neve, diventano pozze di fango in cui è impossibile muoversi a cavallo. È una città pericolosa, in cui è facile imbattersi in una sparatoria per motivi politici o essere pugnalati per qualche denaro. Il poeta passa le giornate a leggere libri, giornali, ad attendere i passionali incontri con l’amata Teresa Guiccioli. In quegli anni Byron ha 33 anni, lei 22. Il Lord è malinconico - “preferisco star solo che in compagnia” - e anche ubriacarsi con il laudano non gli da più la stessa spensieratezza di un tempo, ma anzi aumenta la sua cupezza. Gli alcolici sono scadenti, a Ravenna chiamano cognac quello che è solo vino mescolato ad altre sostanze colorate, sentenzia, «perciò ho preparato io una miscela di distillati che ora mi accingo a tracannare». Aspetta la rivoluzione, il momento in cui i carbonari si ribelleranno al Papa, per unirsi a loro, ma questo non accade mai. Guarda i compagni di insurrezione con un po’ con diffidenza e teme che saranno efficaci in battaglia «come un fucile dalla punta storta”. Si sbaglia di poco visto che i moti del 1821 finiranno miseramente. Incontra spesso Pietro Gamba, fratello di Teresa, e insieme sognano la rivoluzione, si procurano armi con cui hanno ormai riempito la cantina, pianificano attacchi e studiano tattiche di guerra, poi il discorso vira su nuovi abiti alla moda appena arrivati. Cena all’inglese con pudding preparato dai suoi sette domestici scesi con lui dalla Gran Bretagna, e cura gli animali bizzarri che ha portato con sé: alcuni gatti, un corvo zoppo, un falco e anche delle scimmie, che tiene al piano terra perché al piano nobile “soffrono il freddo”. Dal diario ravennate Byron emerge come un tipo stravagante, singolare, molto colto ma anche un po’ cialtrone. Alterna pagine liriche a ragionamenti legati al suo tempo, che oggi suonano datati. Delle donne dice che non dovrebbero leggere di poesia o politica, ma manuali di cucina. Ci sono però anche pagine come questa: «L’infinita varietà della vita non fa che condurre alla morte e l’infinità dei desideri non fa che mandare incontro a delusioni. Tutte le scoperte fino a qui fatte hanno accresciuto tutt’al più l’esistenza. Una malattia estirpata è seguita da una nuova pestilenza. La scoperta di un nuovo mondo poco ha apportato al vecchio». Chi era dunque Byron? Poeta rivoluzionario o eccentrico mascalzone? Probabilmente entrambe le cose.


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la visita

La biblioteca di Cervia, un luogo per chi ama scoprire vite Alla “Maria Goia” la donazione del giornalista Max David, il fondo Lina Sacchetti, maestra e biografa di Grazia Deledda, e la raccolta fotografica dedicata a Isotta Gervasi di Elettra Stamboulis

A settembre si leggono Mrs Dalloway e I fratelli Karamazov. Diciamo che al gruppo di lettura della Biblioteca comunale di Cervia “Maria Goia” piacciono i capolavori assoluti. E come dar loro torto? D’altro canto è proprio la vocazione storica di questa biblioteca dalla vita intermittente amare più l’educazione, la diffusione del sapere della mera conservazione. Di biblioteca nella località dei salinari se ne parla negli anni ‘20, quando la sindacalista e socialista Maria Goia, originaria di Cervia, promosse una biblioteca popolare. Faceva parte della visione di quel socialismo pacifista, antinterventista, che reclamava il voto per le donne e che vedeva nell’educazione un grimaldello per l’emancipazione sociale e umana. La stessa Goia fu promotrice del “sabato inglese” per le donne del mantovano, un’idea di liberazione del tempo per apprendere e ampliare i propri orizzonti che arriverà al proprio culmine idealmente nel 1936, quando Leo Lagrange in Francia diventerà il primo e unico, credo, ministro “del tempo libero”. Certo in Italia nel frattempo c’era il sabato fascista. E la biblioteca popolare della Goia era stata dispersa dalle camicie nere. La nuova biblioteca di Cervia, anche se non è erede diretta di quella biblioteca popolare dell’epoca d’oro del socialismo, un po’ ne ha ereditato lo spirito. Trasferitasi nel 2004 nella sede attuale, è stata intitolata a Maria Goia successivamente, forse prendendo spunto dal bel libro che le ha dedicato Ornella Domenicali, che ora lavora nello staff del sindaco di Ravenna. Dare lustro e consistenza alla vita anche delle donne che hanno contribuito a pezzi di storia locale e nazionale è indirettamente uno dei fini di uno spazio come la biblioteca, che, in questo caso, oltre al nome ha anche una rosa creata da Pantoli che si chiama proprio come la dirigente socialista cervese. Dal primo nucleo di pochi libri, di qualche lascito, la “Goia” è arrivata ad ospitare oltre 80.000 tra libri, periodici e multimediali oltre alla biblioteca circolante, la bibliomobile Libby. È un luogo che fa da snodo per attività che vanno dalla promozione alla lettura all’atelier artistico, ma è anche un’istituzione attenta alla ricostruzione della memoria del luogo, come testimonia il progetto “indirizzidimemoria”, un sito che mappa i luoghi e le memorie dei cervesi. Inoltre, oltre all’ampio patrimonio recente, c’è qualche chicca che va segnalata, in particolare la Donazione Max David. Se siete giornalisti di guerra, se vi interessa sapere e capire che cos’è stato il mestiere dell’inviato, questo è il luogo che fa per voi. David proveniva da una famiglia di religione ebraica di Cervia che potremmo definire medio borghese. Avrebbe potuto avere un futuro professionale assicurato nella farmacia paterna, ma si imbarcò come mozzo e scelse una vita sempre in prima linea. Fu in Etiopia al seguito delle truppe di Graziani, fu inviato come Hemingway in Spagna durante la Guerra civile e ci tornò verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il suo legame con la Spagna è testimoniato da “Volapié”, la sua opera non giornalistica più importante, dedicata alla tauromachia. E poi i Mau Mau, la fine di Salazar, non c’è notizia del mondo nel dopoguerra che non veda l’occhio e la penna di David che scrisse per vent’anni per il Corsera. Infine l’ultimo scorcio di carriera per il Carlino. David non solo per il reportage ha avuto un ruolo di massimo rilievo, ma anche per la costituzione dell’identità della Romagna come la intendiamo oggi. Non deve stupire che l’identità sia un fatto costruito: l’idea che esista di per sé e non sia una costruzione ideologica, che parte dalla selezione di cosa e come vogliamo ricordare ed essere ricordati, è uno dei più pericolosi falsi in giro ai giorni nostri. Insomma, Max David insieme ad Alteo Dolcini fondarono il Tribunato di Romagna nel 1967 a Bertinoro, dando vita a un’idea del territorio che fondeva Pascoli con Fellini e Zanzotto. Furono creatori di un’idea che poi si diffuse, diedero luogo e modo alla cultura materiale di diventare cultura di consumo. Ne racconta in modo puntuale e affascinante l’esistenza Alberto Malfitano in “Scrivere in prima linea”. Ma se volete potete farvi un’idea personale consultando il suo lascito, che costituisce una delle poche occasioni di entrare nello studio di un giornalista che ha visto e raccontato il mondo. Non dobbiamo però dimenticare il fondo Lina Sacchetti, maestra e biografa di Grazia Deledda e una delle più importanti promotrici della letteratura per l’infanzia e delle biblioteche per ragazzi. E poi per concludere questo paesaggio biografico molto femminile, la piccola raccolta fotografica che racconta la vita, o i suoi pezzi, di Isotta Gervasi, primo medico condotto donna in Italia, insomma la nostra Anna Kuliscioff. Tutto conservato a Cervia, per chi ha desiderio di scoprire vite. Per maggiori informazioni consultare i siti internet biblioteca.comunecervia.it; www.indirizzidimemoria.it.

Dal primo nucleo di pochi libri, oggi conta 80mila titoli, oltre alla biblioteca circolante, Libby

La rosa creata e dedicata a Maria Goia; a destra Max David e Maria Goia

cod. aut. 626

VIENI nel posto giusto

CERVIA (RA) Via G. di Vittorio, 5 - tel: 0544 977144 ORARI: DA MART. A SAB. 9:00/12:30 - 16:00/19:30 DOMENICA 16:00/19:30 • LUNEDI CHIUSO


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sapori

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tradizioni

Da quello di San Michele alla “piada dei morti”: i dolci che segnano l’arrivo dell’autunno A Bagnacavallo l’omonima festa riporta la specialità nei forni e nelle pasticcerie E in questo periodo tornano anche le frittelle “mistocchine” o l’antico castagnaccio di Giorgia Lagosti

Qui da noi in Romagna, nella Bassa Romagna per essere più precisi, c’è una cittadina che parrebbe essere la più antica fra tutte quelle che le stanno vicine: Bagnacavallo. La leggenda, ed è molto affascinante pensare che sia così, dice che sia nata grazie a una sorgente d’acqua che veniva considerata curativa per i cavalli mentre la storia ci racconta che il termine Balneocaballum, citato per la prima volta nel X secolo, indicava il vecchio alveo del Senio che, proveniente da Cotignola, passava per il centro dell'agglomerato urbano. In sostanza, il toponimo ricorda la presenza di un guado del fiume per attraversare il quale era necessario bagnare le cavalcature. Città natale di Stefano Pelloni, il passator cortese, di Leo Longanesi, giornalista e aforista, Bagnacavallo viene ricordata anche per una grande festa che si organizza ogni anno in occasione del giorno del patrono, l’Arcangelo Michele, il 29 settembre. Le sue origini sono molto antiche (i primi documenti in cui viene citata risalgono al 1202). Erano giorni di spettacoli, musica, giochi, gare (le più famose erano le corse dei cavalli berberi) e pasti luculliani per i quali non potevano mancare golosità realizzate per l’occasione, in primis una focaccia ricoperta di miele e frutta secca. E proprio in quella focaccia si possono trovare le radici del dolce già documentato in un testo

Le favette dei morti: quando si credeva che nei baccelli giacessero le anime Originariamente erano preparate con le fave secche triturate. Ingrediente, questo, presto sostituito dalle mandorle per via del favismo, grave malattia genetica che può provocare notevoli danni alla salute nel caso di ingerimento di fave. Il nome è però rimasto invariato. Da secoli infatti le fave, per via delle loro lunghe radici che affondano nel terreno, sono ritenute un tramite tra la Terra e il mondo sotterraneo. Considerato un alimento sacro ai defunti, in passato si credeva che nei loro baccelli giacessero le anime dei morti

Le favette dei morti. Foto tratta dal sito mangioromagnolo

del 1500 custodito della Biblioteca Comunale di Bagnacavallo che ancora oggi i fornai della cittadina preparano solo nei giorni della festa, il Dolce di San Michele. Sì perché non si può andare a Bagnacavallo in un mese qualsiasi e sperare di poterlo assaggiare. È a ridosso del 29 settembre che tutta la città si anima di cuochi e volontari, sorgono osterie in ogni cortile, scantinato, piazza e giardino che prendono nomi diversi per diversi menù, da quelli di un tempo come stufati e minestre a quelli di graticola, di cacciagione e di cucina creativa. Ma il dolce è, per tutti, il dolce di San Michele. E tutti, ogni forno e ogni pasticceria, vantano il

possesso dell’unica, vera ed esclusiva versione della torta in questione, ma la leggenda vuole che sia la Marinella la tenutaria della verità. In questa terra di Romagna, le botteghe, si chiamano con il nome di chi sta dietro al bancone a servire e la Marinella è la proprietaria della Pasticceria dei Portici, storica bottega artigiana che, oltre che nei giorni della festa di San Michele con il “suo” dolce, è aperta ogni mattina e lavora come forno proponendo dolci della tradizione per il resto dell’anno. Questo dolce, qualche anno fa, ha addirittura ottenuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradi-

Aperto dalle 12 alle 14,30 e dalle 19,30 alle 22,30

Chiuso mercoledì

Roberto e Denise vi aspettano all’Osteria Malabocca, in un ambiente rinnovato ma sempre accogliente e famigliare, dove potrete scegliere tra i tre menu di carne, pesce o vegetariano con proposte sempre diverse di piatti che raccontano la stagionalità e le eccellenze del territorio. Le proposte dei menù possono anche essere scelte “alla carta” in aggiunta ad una selezione di piatti sempre disponibile ma preparato ogni giorno, come il pane! Piazza della Libertà, 15 Bagnacavallo (RA) - Tel. 0545 64468

www.malabocca.it Osteria Malabocca

zionale (P.A.T). È tuttavia doveroso dire che c’è chi sostiene che non si tratti di una vera specialità tradizionale, bensì di un prodotto immesso sul mercato di recente, ma se anche così fosse, non verrebbe minimamente intaccato il pregio di questa specialità che, con tutte le sue sfumature di giallo e grazie agli ingredienti con cui è preparato, esprime il significato arcaico della festa di San Michele: un rito equinoziale con cui, nei tempi antichi, si celebrava il passaggio dalla stagione estiva a quella autunnale. Caratteristiche queste che accomunano molti dei dolci tipici di questo periodo e da questi giorni presenti in molti forni e pa-


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l’evento

LA RICETTA Il dolce di San Michele al 98 percento

DAL 27 AL 30 SETTEMBRE LA GRANDE FESTA DI BAGNACAVALLO

Il dolce di San Michele. Sotto la “piada dei morti”

L’edizione 2018 della festa di San Michele si svolgerà dal 27 al 30 settembre. Filo conduttore sarà il rapporto tra luce e ombra. Oltre alla mostra dedicata a Max Klinger (vedi p. 20), ci saranno spettacoli, musica, visite guidate, spazi per la musica contemporanea e per bambini e tantissime occasione per gustare piatti della tradizione nelle varie osterie che aprono solo per questi tre giorni. Negozi, botteghe, piazza, vie sono tutte coinvolte in una festa popolare che ha saputo negli anni non rinunciare anche all’aspetto più culturale.

sticcerie della nostra terra. Sto parlando per esempio delle mistocchine, profumatissime frittelle di farina di castagne insaporite con l’anice che venivano cotte sulla lastra della stufa economica. O ancora del castagnaccio, dolce legato al mondo rurale dei ceti meno abbienti: viene preparato ancora oggi seguendo l’antica ricetta che prevede acqua, farina di castagne, uvetta, rosmarino e pinoli. Arriveranno poi verso la fine di ottobre le favette dei morti: sono biscottini croccanti che, al riparo dall’umidità, si conservano per giorni. Hanno quasi sempre come ingrediente principale la mandorla tritata mentre cambia l’aroma con cui si colorano.

Qui in Romagna li si trova verdi, marroni, rosa oppure aromatizzati con la buccia di limone o la cannella. Sempre di questo periodo, ma ancora più

bar - pasticceria

pasticceriababini.it oltre 50 anni di esperienza

radicata nella nostra tradizione, è la “piada dei morti”. In realtà questo dolce non ha nulla a che vedere con la piadina, poiché assomiglia più a una focaccia dolce abbastanza grossa a base di farina, lievito, zucchero, uova e frutta secca. Le sue origini sono da cercare nelle reminiscenze celtiche dell’antica Romagna, che nel giorno di Ognissanti festeggiava il proprio capodanno. Quella particolare notte era considerata una sorta di “porta aperta” tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Per questo motivo venivano preparati, in omaggio agli spiriti, alcuni cibi particolari. Uno di questi era appunto l’antenata della “piada dei morti”, giunta quasi invariata fino ai giorni nostri.

Io ho cercato informazioni sulla ricetta e (si dice il peccato ma non il peccatore) un’anziana signora di Bagnacavallo mi ha svelato qualche informazione. Garantisco che si avvicina al 98 percento alla versione originale! Ingredienti per la pasta frolla: 250 grammi di farina 0, 3 rossi d'uovo, 125 grammi di burro, 125 grammi di zucchero a velo, i semini di mezza stecca di vaniglia (alcuni non li mettono). Preparazione: impastare, foderare uno stampo (possibilmente a cerniera) imburrato e infarinato e mettere in frigo. Ingredienti per il “ripieno”: 100 grammi di latte intero fresco, 600 grammi panna fresca i semi dell’altro mezzo baccello di vaniglia, scorza di un limone, 2 cucchiai di zucchero caramellato, 6 tuorli, 3 uova intere 300 grammi di zucchero a velo 200 grammi di mascarpone. Preparazione del ripieno: Portare ad ebollizione il latte, la panna con la vaniglia, la scorza del limone in un unico pezzo e senza la parte bianca, e lo zucchero caramellato; spegnere il fuoco e lasciare raffreddare. A parte frullare le uova intere, i tuorli, lo zucchero e il mascarpone. Unire infine le due creme, amalgamando bene il composto. Versare il ripieno nello stampo foderato di frolla e infornare a infornare in forno caldo a 180° per 30/40 min. Quando si forma una leggera crosticina bruna, la torta è cotta.Disporre ora la frutta secca in modo regolare sulla superficie del dolce e pennellare con un leggerissimo velo di miele, possibilmente di acacia perché delicato e quasi insapore. (si può utilizzare anche della marmellata di albicocche sciolta in un tegamino). (gi.la.)

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