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n. 93 OTTOBRE 2014

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RAVENNA n. 93 ottobre

2014

ALL’INTERNO

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Comune di Ravenna

I Sedici

Il ruolo dell’Architettura contemporanea Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava e dalla rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019 Coordinatore: Emilio Rambelli - Nuovostudio

Tutti gli incontri si terranno presso Le Cantine di Palazzo Rava - Via di Roma 117 - Ravenna Apertura mostra ore 20, inizio conferenza ore 21

Calendario 2014

Intervengono

Espongono

27 febbraio

Giovedì Casavecchia e Muratoria

Montini e Zoli

Ravenna

Faenza

Giovedì

20 marzo

Gabriele Montanari

Angeli e Brucoli

Unione Comuni Bassa Romagna

Studio Rava Piersanti

Faenza

Giovedì

17 aprile

Burroni e Dapporto

Faenza

Ravenna

Giovedì

Paolo Rava

22 maggio

Panbianco e Pretolani

Comune di Forlì

Forlì

Giovedì

Davide Cristofani

19 giugno

Faenza

Francesca Proni

Lazzarini e Pinoni Faenza

Giovedì

29 settembre

Studio Ellevuelle

Comune di Ravenna

Teprin Associati

Forlì

Giovedì

6 novembre

Ravenna

Emilio Agostinelli Soprintendenza di Ravenna

Inout Architettura Ferrara

Giovedì

4 dicembre

Piraccini e Baldacci Cesena

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contenuti

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Casa Esse, abitare la campagna forlivese fra tradizione e innovazione

casa bella casa

topografia e storia

città e quartieri

arte e architetture

di Paolo Bolzani

Una torretta gentilizia in citta e una torre austera nel forese di Pietro Barberini

Classe: crescita senza eccessi, in attesa del Parco Archeologico di Chiara Bissi

Dai graffITI ai mosaici di Invader, controverse azioni di street art

di Alberto Giorgio Cassani - Linda Landi

architetture d’interni

progettare il territorio

città e società

Montato in diretta, rivive il Veliero di Albini, capolavoro del design di Paolo Bolzani

Il destino dei luoghi: vicende del verde urbano e dei parchi pubblici di Enrico Gaudenzi

Obbiettivi e iniziative del circolo ravennate di “Libertà e Giustizia” di Marina Mannucci

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edizione di Ravenna

Controcopertina È soprattutto la qualità della pregevole texture della cortina muraria ad emergere, in pietra di Langa a spacco, che rammemora l’antico uso medievale della pietra sbozzata posata a “filaretto”, vale a dire a filari non omogenei e con vari conci posati a giacitura in verticale e giunti a nastrino ad altezza variabile a creare una “rugosità storica” ed effetti di profondità materica, apprezzabili sia in termini visivi che tattili.

SOLUZIONI

D’ARREDO L’EMOZIONE DELLA LUCE Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Enrico Gaudenzi, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Guido Sani, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani. Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it

Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Grafiche Baroncini - Imola - www.grafichebaroncini.it

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Casa Esse, abitare

la campagna forlivese La proposta di Studio Ellevuelle come ripensamento tra tradizione e innovazione delle costruzioni domestiche in pianura

CASA BELLA CASA


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di Paolo Bolzani

I Sedici, rassegna di coppie di architetti rispettivamente giovani e diversamente giovani, organizzata da questa rivista, con il patrocinio del Comune di Ravenna nelle Cantine di Palazzo Rava e il coordinamento di Emilio Rambelli, giunge al sesto incontro degli otto in programma. In scena vanno lo Studio Ellevuelle di Forlì per i primi e Francesca Proni per i secondi. Poiché la mission di chi scrive sono i primi, oggi focalizziamo l’attenzione sulla realizzazione di una casa di campagna, progettata e ultimata nel 2013 da Ellevuelle. La scelta privilegia un approccio ad un tema particolarmente interessante, in quanto l’intervento si colloca in un’area agricola, e ci permette di dimostrare il valore potenziale dei giovani progettisti, poco più che trentenni, titolari dello studio forlivese: Luca Landi, Giorgio Liverani e Michele Vasumini. Per un’ironia del tutto casuale, nel loro portfolio consultabile sul web si trova anche un progetto di sistemazione di piazza Kennedy, del tutto diverso come filosofia di intervento da quello in procinto di essere realizzato, di cui è invece responsabile l’architetto Proni del Comune di Ravenna. Ma veniamo al progetto scelto, che mostra una nuova casa nella verde campagna forlivese, in un lotto di superficie pari a 15.000 metri quadri, compreso tra una vigna e un noceto. Il tema

progettuale deriva dall' «esigenza della committenza – spiegano gli stessi progettisti – di demolire e ricostruire la casa in cui stava vivendo, minacciata da cedimenti strutturali». Qui si pone già una prima e non lieve decisione, vale a dire quella di sostituire il fabbricato esistente, non sicuro ed evidentemente non memorabile, con una nuova costruzione. Mentre, come spiegano i giovani progettisti, «le residenze nella pianura romagnola hanno forme convenzionali di costruzione: su due piani, tetto a spiovente, pareti intonacate», il progetto non recupera in maniera letterale questi codici, bensì attinge ai «“classici" valori della casa di campagna ed al contesto: il dialogo e l'apertura con il paesaggio, lo sviluppo su un solo piano, l’uso del colore e materiali legati al paesaggio, la definizione dei diversi tipi di spazi (ora aperti sul paesaggio, ora più introversi)». Infatti «la pianura di Forlì è composta da una serie di segni chiaramente artificiali, che il paesaggio ha da tempo fatto propri, integrandoli in se stesso, perché per secoli le tradizioni agricole e idrauliche li hanno consolidati in queste forme. Sono le trame dei filari dei frutteti,

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Il tema progettuale deriva dall'ÂŤesigenza della committenza - spiegano gli stessi progettisti - di demolire e ricostruire la casa in cui stava vivendo, minacciata da cedimenti strutturaliÂť. Qui si pone giĂ una prima e non lieve decisione, vale a dire quella di sostituire il fabbricato esistente, non sicuro ed evidentemente non memorabile, con una nuova costruzione

CASA BELLA CASA


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i solchi degli argini, le recinzioni: queste tracce graffiano

il terreno, trasformandolo in una sequenza di linee parallele che portano a leggere una direzione dominante». Per questo motivo «il progetto mira dunque a riscoprire e riordinare le linee di forza che formano il paesaggio» e quindi rilegge le forme naturali e le traduce in «elementi architettonici riconoscibili», mitigando l’impatto visivo con un unico piano che consente alle cime degli alberi di emergere sulla pianura. Perciò propone una nuova abitazione fortemente distesa sul terreno, incapsulata all’interno di due grandi muri di pietra, che proseguono autonomamente a definire due corti aperte sul paesaggio agricolo, di cui declina la trama di linee orizzontali parallele. Mentre seziona il territorio, creando nuove gerarchie delle aree a verde, ecco a noi giungere lontani echi della domus romana, evocata dalla suggestione dell’opera di colonizzazione del territorio svolta dalla grande idea della centuriazione e dalla organizza-

Per questo motivo «il progetto mira a riscoprire e riordinare le linee di forza che formano il paesaggio» e quindi rilegge le forme naturali e le traduce in «elementi architettonici riconoscibili», mitigando l’impatto visivo con un unico piano che consente alle cime degli alberi di emergere sulla pianura

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I due possenti muri esterni sono i protagonisti assoluti della composizione, sia per il notevole sviluppo in lunghezza, ben oltre gli ambienti residenziali a creare le due corti aperte, sia per l’equilibrio tra altezza e spessore, ma anche per la pregevole texture in pietra di Langa a spacco, che ricorda l’antico uso medievale della muratura in pietra sbozzata posata a “filaretto”

CASA BELLA CASA

zione centripeta interna, ornata da un piccolo patio centrale. La connotazione formale del nuovo corpo di fabbrica non viene riletta in termini mimetici, e perciò non mette in campo il classico repertorio tipologico-formale di una tradizione più o meno articolata, bensì attinge dal profondo, da quelle che una volta nelle sedi opportune si chiamavano le “grammatiche generative” del contesto, e che usualmente solgono denominarsi con un termine, ormai purtroppo inflazionato, di genius loci. Sul piano distributivo il basso corpo di fabbrica si trova attraversato da un corridoio centrale che collega due unità; una maggiore, rivolta a sud-ovest e destinata ad un nucleo familiare composto dai genitori e due figli; l’altra minore e aperta verso nord-est, di spettanza della nonna. In particolare la parte in cui vive la famiglia ospita al proprio interno il piccolo patio, attorno al quale si articolano la stanza e il bagno dei genitori, mentre il corridoio centrale, dopo averlo lambito, prosegue fino ad un grande soggiorno aperto sulla corte sud per mezzo di una lunga facciata vetrata ad ante scorrevoli, protetta dal-


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nell’adozione di serramenti in rovere naturale, mentre all’interno il legno è presente nei bagni sotto forma di mensole a varie altezze a sostegno dei sanitari, progettate su misura. Una inattesa modernità funzionale si rivela nelle pavimentazioni interne, in piastrelle in grés con lieve effetto a legno sbiancato che, con il loro andamento longitudinale e le dimensioni variabili tipo “filaretto” orizzontale, concorrono a richiamare «la composizione complessiva dei due grandi muri perimetrali della casa», mentre si occupano di fornire il basso continuo a tutti gli ambienti della casa, fino a rivestire anche la vasca del bagno dei genitori. Fotografie di Alvise Raimondi realizzate con banco ottico Linhof Technikardan 45S

CASA BELLA CASA


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REALIZZAZIONE E MONTAGGIO La casa viene inserita come un unico corpo basso, attraversato da un corridoio centrale che collega due unità; una maggiore, rivolta a sud-ovest e destinata ad un nucleo familiare composto dai genitori e due figli; l’altra minore e aperta verso nord-est, di spettanza della nonna.

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La torretta di Palazzo Guiccioli-Baronio vista dalla terrazza del Palazzo INA (si ringrazia l’Agenzia Viaggi Eventi Gap Service per avere dato accesso ad essa). A destra: la torre di San Pietro in Trento (ex Albicini, ora di proprietà Saporetti). Situata in via Alturie, precedentemente denominata “Alture” (antichi dossi fluviali che potrebbero essere all’origine del toponimo, poiché il terreno circostante mostra ancora dislivelli). Foto di Alberto Giorgio Cassani.

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Una torretta gentilizia in città, una torre austera e rustica

in campagna

Costruite sopra precedenti insediamenti, le torri simboleggiano il potere ergendosi a vigilare sui confini o alzandosi a “terrazzo” sul tetto di un palazzo settecentesco OTTOBRE

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In pieno centro a Ravenna, la traccia lasciata dal Padenna è percorsa da autobus e furgoni, scooter e biciclette. Tutti concentrati sulla via da percorrere. E non può essere notata l’elegante e snella torre rettangolare che svetta sul fianco di Palazzo Guiccioli-Baronio all’angolo fra via Guidone e via Gardini. È stato il nobile Ignazio Guiccioli a commissionare a Domenico Barbiani (già membro della famiglia di artisti e


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artigiani ravennati) la costruzione di una grande residenza a tre piani, con colonne angolari e due portali, sovrastati da balconi. I lavori iniziano, con generoso impiego di pietra d’Istria, nel 1744. A suo tempo, all’angolo fra le attuali via Guidone, allora strada Calcinara, e via Raul Gardini (un tempo parte di via Romolo Gessi), sorgeva la torre del Ponte Coperto, per citare soltanto la più importante.

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Sopra: la torre di San Pietro in Trento e gli edifici ad essa adiacenti. Sotto: caditoia o bocca da sparo posta all’angolo della scarpa della torre. Le quattro foto sono di Alberto Giorgio Cassani.

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no r e v l’i n r i vo! r a n i è

Sopra: particolare dell’edificio con i beccatelli (fine XVI inizio XVII sec.) e la parte più antica del complesso che si allunga verso ponente (XI sec.). Sotto: particolare dell’incastro tra il “toro” della scarpa della torre e l’edificio cinquecentesco.

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Un documento del 1352 cita in loco una “torre con casamento”: quasi a continuare la memoria, un’elegante torre “a terrazzo” viene innalzata sul lato orientale del bel palazzo tardo barocco. La torretta, a sezione rettangolare, si alza per 28 metri di altezza. Silenziosa presenza architettonica, pur sacrificata dalla mole del palazzo “INA”, si erge a contrassegnare un tempo meno caotico e distratto di quello sottostante! Segnato profondamente dalla centuriazione romana del II sec. a.C., il territorio di San Pietro in “Trentula” si trova ai confini con l’agro forlivese. Il numerario “trenta” consegna esattezza toponomastica al dialetto: San Pietro “in trenta” e non in Trento, come scritto sui cartelli (ancora per poco). Le curiosità non si fermano alla divisione agraria e alle sue misure che sono all’origine di Trentula, ma si spinge oltre la bella chiesa romanica. Troneggia, fra larghi coltivi, una bella e solitaria torre medievale. Così la descrive il Bernicoli nella sua opera Le torri della città e del territorio di Ravenna (Ravenna, 1923). «Per quanto mi consta è stata descritta questa torre soltanto dal prof. Savini, che la crede sforzesca benché di costruzione anteriore a quei tempi, annessa ad un castello di cui resta qualche avanzo. Appartiene alla famiglia dei Marchesi Albicini di Forlì; è alta 20 metri circa, quadrata di m. 7,40 di lato, ed è inscritta tra gli edifici monumentali...». Le misure riportate da Silvio Bernicoli vanno ritoccate: l’altezza sfiora i 15 metri, i lati non superano i 7 metri. Lo spessore dei muri è di 110 cm., 170 cm. alla base della scarpa.

In alto: un meticoloso restauro ha ridato antico splendore a questo camino (tardo cinquecentesco?). Tutti i lavori sono stati seguiti personalmente da Fausto Saporetti, entusiasta e competente proprietario. Foto di Pietro Barberini In basso a sinistra: l’edificio scolastico ora centro polivalente e sede del consiglio circoscrizionale. Sotto: foto della classe V elementare frequentata da Angela Triossi, che è la prima a destra in basso. In basso a destra: cartolina di San Pietro in Trento (anni Sessanta).

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È stata innalzata sulle rovine di un insediamento della fine del X sec. accanto a una chiesa, intitolata a San Marco, eretta durante la dominazione veneziana (1431-1509). Un baluardo difensivo costruito, probabilmente a metà del Quattrocento, nello stile utilizzato dalla Serenissima per opere militari: linee essenziali, proporzioni e impiego del laterizio con angolari in pietra d’Istria. La torre fu affiancata da una costruzione più bassa, con beccatelli ed ornamenti che la datano alla fine del Cinquecento. Il fortilizio passa per diritti d’enfiteusi ai Malatesta e, nell’Ottocento, ai Marchesi Albicini di Forlì, che avevano decine di fondi nella campagna di San Pietro in “Trentula”. Negli anni Settanta la casa colonica con gli storici edifici viene acquistata dal padre dell’attuale proprietario Fausto Saporetti che ha compiuto un accurato restauro. Negli anni Sessanta le scuole elementari di San Pietro in Trento erano ancora piene di bambini, che con le loro maestre potevano visitare, nelle belle giornate primaverili, ville di campagna, una straordinaria pieve romanica, quella dei SS. Pietro e Paolo, e la Torre di Caterina Sforza, come si diceva allora. Era quest’ultima la meta che muoveva la fertile immaginazione degli scolari, maschi e femmine, che fin dalla partenza sognavano ad occhi aperti. Angela Triossi, allora bambina, ricorda l’avvenimento, ricostruendo il fantastico racconto di pozzi rasoi e tunnel sotterranei. «Immaginavo Caterina Sforza cavalcare in gallerie rischiarate dalla luce delle torce e raggiungere così castelli e torri sulle colline. In casa avevo un binocolo col quale, nelle giornate terse, andavo a “caccia” di particolari capaci di attirare la mia attenzione: il torrione cilindrico di monte Poggiolo, vicino a Terra del Sole era uno di questi!». L’indomita figura di Caterina Sforza, donna coraggiosa e di grande personalità, ha contribuito alla leggenda. L’impronta lasciata da Caterina Sforza nella sua breve ma intensa vita è tanto potente da consegnare un “marchio di fabbrica” così forte? O è stata semplicemente la fantasia a confondere i contorni, sempre affascinanti, del nostro passato?

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Il porto antico, le basiliche e la pineta

Classe cresce senza eccessi in attesa del parco archeologico di Chiara Bissi

Per descrivere l’abitato di Classe non si può che rivolgere lo sguardo all’antichità, quando la grande Storia consegnò alla cittadina allora sul mare e a Ravenna un ruolo da protagoniste. Ma con 3.480 residenti al 31 dicembre 2013, in leggero calo rispetto al 2012, allora erano 3.494, anche il presente racconta molto di una frazione a sei chilometri dal centro città, in piena crescita, segnata da un’espansione urbanistica recente, fra via Romea Vecchia e la linea ferroviaria fino all’area dell’ex zuccherificio. Fabbricato quest’ultimo in attesa di ospitare un Museo della storia, fulcro del parco archeologico di Classe. Ma l’antico splendore, descritto dalla fonti storiche, rappresentato nelle decorazioni in mosaico, e testimoniato da numerosi rinvenimenti archeologici prevale sulle vicende recenti. Nata in età romana, in funzione del porto militare voluto da Augusto, la Classe antica giace sepolta nell’area fra la basilica di Sant’Apollinare e il quartiere portuale di epoca bizantina, oggi posto in prossimità del Ponte Nuovo, fra via Marabina e via Romea Sud. La zona portuale, sarà oggetto nei prossimi mesi di una vera e propria musealizzazione e diverrà, come previsto già da alcuni anni, la prima stazione del parco archeologico di Classe.

CITTÀ E QUARTIERI

Dal passato luminoso ancora tanti enigmi insoluti, nel presente e nel futuro della località, tanto turismo, qualità del vivere e una scuola senza zaino

La Soprintendenza ai beni archeologici, l’Università e la fondazione RavennAntica hanno sviluppato una serie di progetti per la valorizzazione e la conoscenza dell’area coinvolgendo studiosi, ricercatori e centinaia di studenti. Unica e immortale testimonianza della città, è la decorazione musiva presente nell’altra basilica dedicata al patrono, quella di Sant’Apollinare Nuovo. Lì si trova raffigurato il porto di Classe, a quel tempo il più grande di tutto l'Adriatico. Alle spalle delle tre celebri imbarcazioni, protette da una coppia di alte torri in pietra, si possono osservare le alte e possenti mura merlate. In primo piano: un anfiteatro, un portico, una basi-


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lica, una costruzione civile a pianta centrale coperta da un tetto conico e sopra la porta d'ingresso alla città, le parole latine: Civi Classis (città di Classe). In età bizantina il porto ebbe una rilevanza esclusivamente commerciale, presto subì fenomeni di interramento e la città fu abbandonata. Rimane del passato luminoso, la basilica di Sant’Apollinare, unica superstite delle cinque edificate in epoca tardo antica e non tutte individuate. Anche il monastero fra i più potenti del mondo cristiano, fino oltre l’anno Mille, fu abbandonato per ragioni sicurezza nel XVI secolo dai monaci camaldolesi, che trovarono posto nel complesso dell’attuale biblioteca Classense. A poca distanza dal quartiere portuale, verso l’attuale abitato, su via Romea Sud, rimane traccia della basilica di Severo anche’essa di VI secolo, devastata dai barbari, poi definitivamente distrutta nel XV secolo, oggetto di approfonditi scavi e in predicato di divenire un’altra stazione del parco.

A destra, una vista dal satellite dell’area di Classe, con la lunga fascia di campagna fra la via Romea Sud e la ferrovia, che ospita due stazioni del costituendo Parco Archeologico: a nord, all’incrocio della via Marabina, il podere Chiavichetta, con il Centro Accoglienza e gli scavi dell’antico porto; al centro (ben visibile la copertura bianca) i resti della basilica di San Severo. Più a sud l’abitato della frazione dove spiccano le altre due stazioni del parco: la basilica di Sant’Apollinare e il complesso dell’ex zuccherificio sede del Museo. Il alto e a sinistra, scorci della basilica edificata nel VI secolo (patrimonio mondiale Unesco), ottimamente conservata con i suoi splendidi mosaici bizantini: il grandioso interno, l’area absidale con il caratteristico campanile cilindrico e il prato antistante l’ingresso, animato da singolari bufale in bronzo dello scultore contemporaneo Davide Rivalta.

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In alto, veduta della pineta, antico sito naturale di Classe, già celebrato da Dante, Boccaccio, Byron e D’Annunzio. Più in basso, due stazioni del Parco archeologico di Classe: gli scavi dell’antico porto romano nel podere Chiavichetta e la facciata del Museo della storia di Ravenna, realizzato nell’ex struttura industriale di uno zuccherificio.

CITTÀ E QUARTIERI

La costruzione della basilica di Sant’Apollinare fu promossa dal vescovo Ursicino e finanziata dal banchiere Giuliano Argentario secondo il programma monumentale che prevedeva anche la realizzazione delle basiliche ravennati di San Vitale e di San Michele in Africisco. Fu consacrata dall’arcivescovo Massimiano il 9 maggio 549. La ricchezza della decorazione musiva dell’abside, il pregio dei marmi rimasti, nonostante le tante spoliazioni ne fanno a pieno diritto uno dei monumenti più conosciuti al mondo e dal 1996 sotto la tutela dell’Unesco. Dopo l’arretramento della linea di costa, e la scomparsa della città antica, della subsidenza e delle terre allagate non si vedono più i segni; oggi Classe vive distesa alle spalle della basilica. Dal 1907 fa bella mostra di sé in prossimità della linea ferroviaria l’edificio un tempo adibito a zuccherificio. Una realtà produttiva, capace di sfamare una numerosa manodopera e di impiegare nel periodo estivo, tanti studenti fino agli anni Ottanta. Dopo un lungo periodo di abbandono a seguito della chiusura, l’ex struttura industriale ospiterà nei prossimi anni il Museo della storia di Ravenna. La fondazione RavennAntica si occupa da tempo dell’istituzione museale, elemento fondamentale del progetto del Parco archeologico di Classe, dalle grandi potenzialità culturali e turistiche. Meta, per l’appunto, del turismo culturale e ambientale, a breve distanza dall’abitato si apre anche la possente pineta, raggiungibile inoltre grazie a una pista ciclabile. A poca di distanza sulla costa si collega alle frazioni di Lido di Dante e Lido di Classe, quest’ultima estesa fra la pineta e la foce del fiume Savio e vicina all’area naturalistica di foce Bevano. La pineta, amatissima dai ravennati, rimane immortale grazie alle tante citazioni letterarie, da Dante fino a Byron e D’Annunzio. A Classe è ambientata una novella del Decameron di Giovanni Boccaccio che ha per protagonista Nastagio degli Onesti. Proprio nella pineta Nastagio vede ogni venerdì una donna inseguita da un cavaliere nero e dilaniata da due cani come punizione per non aver amato un uomo che, per amore, si era poi suicidato; il fantasma di quest'uomo appare sotto forma di cavaliere. Tracce dell’antica rilevanza di Classe sono la via Dismano che dall’antico abitato lungo un percorso viario rettilineo raggiunge Cesena e il condotto ipogeo da trent’anni indagato grazie alla soprintendenza archeologica e al prezioso lavoro dei volontari del Gra, Gruppo ravennate archeologico. Di recente all’interno del condotto è stata apposta una targa commemorativa che ricorda la scoperta. Il condotto ipogeo corre nelle vicinanze di via Romea Vecchia e fu costruito e utilizzato dal secondo al settimo secolo dopo Cristo, posto a 4 metri di profondità, è largo 65 metri e lungo 389 metri. Nel corso degli anni i 105 soci del Gra hanno recuperato 423 casse di reperti, realizzato 325 immersioni subacquee. La struttura sotterranea probabilmente era un pozzo che captava l'acqua di falda e serviva come abbeveratoio per il bestiame utilizzato nel vicino porto. Il ricchissimo passato di Classe non confligge con il presente fatto di una piccola rete commerciale, la piccola stazione, le linee di autobus che la collegano a Ravenna (linee 4 e 176) e un’edilizia diffusa senza volumi in altezza. La rapida crescita della località non ne ha mutato il carattere quieto, circondata dai terreni agricoli e lambita dalla maestosa pineta. Scelta da giovani famiglie, la giovanissima popolazione scolastica è in continua crescita e forse a questo si deve anche la nascita di un’esperienza didattica innovativa come il progetto chiamato “Scuola senza zaino”. Il plesso scolastico ha abbandonato dall’anno scolastico 2011 – 2012 l’aspetto tradizionale per subire una vera e propria trasformazione secondo il programma nato a Lucca da un’idea di Marco Orsi. Dal gesto simbolico come


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In alto, uno scorcio laterale del Museo nell’ex zuccherificio di Classe. Più in basso, due rendering della prima stazione del Parco Archeologico che saranno aperte al pubblico nel 2015.

CITTÀ E QUARTIERI

l’eliminazione del pesante zaino che gli alunni ogni giorno sopportano sulle spalle a una scuola che evoca principi montessoriani e si ispira a tre valori: la responsabilità, la comunità e l’ospitalità. Allora a casa si portano solo i quaderni e i libri per i compiti e l’aula diventa un luogo per l’apprendimento, niente più cattedra al centro e file di banchi per lezioni frontali, ma un open space arredato con mobili funzionali dove riporre e condividere materiale come libri, quaderni, penne, matite, gomme, forbici, squadre e righe. Gli alunni sono responsabili della gestione del materiale. Trovano posto anche l’area dei laboratori, la zona computer, l’agorà dove ci si ritrova al mattino prima di cominciare la lezione, l’area dei tavoli per le attività di gruppo e quella per il lavoro individuale. Nel sito web del progetto si legge: «Rendere le scuole ospitali è, dunque, un impegno di cambiamento. E tuttavia l’ospitalità implica non solo costruire ambienti belli e amichevoli, ma anche accogliere le diversità, far sì che ciascuno diventi responsabile per i propri e gli altrui talenti, originalità, bisogni e in generale per il percorso di crescita e di apprendimento. La responsabilità e l’ospitalità, infine, si aprono alla costruzione della scuola come comunità, luogo di condivisione, di cooperazione e co - costruzione del sapere».


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GraffITI

Abbellire il Moderno? «La gente si arreda la casa in stile antico, si circonda di mobili che appartengono a un’epoca ormai sepolta da secoli che non le è per nulla congeniale, e questo basta a farla vivere nella menzogna, pensavo. In realtà la gente è talmente debole rispetto alla propria epoca che si sente costretta a circondarsi di mobili di un’epoca da tempo passata, da tempo scomparsa, da tempo morta e sepolta, e si può dire che lo fa per tenersi a galla, pensavo, ed è quindi segno di uno stato di orrenda debolezza quando la gente si arreda la casa con mobili di epoche passate e non con mobili della propria epoca, della quale non riesce a sopportare la durezza e la brutalità, pensavo. La gente si circonda di mollezza, la mollezza del passato da cui è scomparsa ogni contraddizione».

ARTE E ARCHITETTURE


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di Alberto Giorgio Cassani Questa formidabile pagina di Thomas Bernhard, tratta da A colpi d’ascia,1 con la sua lucida, feroce e tagliente scrittura, basterebbe da sola a far da commento alla recente querelle sui graffiti alla palestra dell’Istituto Tecnico Industriale Statale “Nullo Baldini” di Ravenna. Certamente i graffiti sono una manifestazione dell’arte contemporanea e non hanno in apparenza nulla a che vedere con l’antico, ma sono stati motivati come un “abbellimento” di due scarne, dure e brutali pareti di cemento. Il termine “brutalità”, utilizzato da Bernhard, ben di addice, fra l’altro, a definire un tipo di architettura come quella dell’I.T.I.S., edificio progettato, tra il 1959 e il 1961, dagli architetti Gino Gamberini, Antonino Manzone e Danilo Naglia in quello stile definito, appunto, brutalista, iniziato da Le Corbusier con i suoi edifici indiani (Ahmedabad e Chandigarh), ma compiutamente realizzato soltanto con l’opera degli architetti inglesi Alison e Peter Smithson nei progetti della Smithdon High School di Hunstanton (Norfolk, Gran Bretagna, 1949-1954) e nel non realizzato, ma ancor più “brutalista”, progetto per la Sheffield University (concorso del 1955), come ha ben scritto un grande storico dell’architettura contemporanea come Reyner Banham (The New Brutalism, in «Architectural Review», dicembre 1955). In Italia, un precedente dell’I.T.I.S. fu l’Istituto Marchiondi Spagliardi a Baggio (1954-1957), ideato da Vittoriano Viganò (con Franz Graf e Letizia Tedeschi), oggi senza utilizzo. Ecco quanto scriveva, a proposito del progetto dell’I.T.I.S., lo stesso Manzone: «Perché inventare ogni volta l’ombrello? Perché non utilizzare i prodotti verificati? Ha senso il “segno personalizzato” quando nessuno ha più tempo di guardare? Ormai contano i fatti macroscopici, le grandi masse, i grandi motivi, le grandi stesure cromatiche. Non ha più senso un’architettura da contemplare. Solo pochi intellettuali nostalgici di un mondo ormai superato s’interessano al particolare raffinato, all’oggetto individualizzato. Siamo sottoposti a troppe sollecitazioni visive. Ogni forma è sottoposta a un consumo così rapido da risultare, alla fine, esteticamente neutra. Diciamolo francamente: giocare con ideuzze formali è, ormai, delittuoso».2 Dunque ancora oggi, l’architettura moderna – permettetemi di utilizzare quest’aggettivo in senso comprensivo, escludendo soltanto, da un lato, gli inizi del Novecento, caratterizzati dallo Jugendstil, altrimenti detto Art Nouveau, Liberty, Floreale, Modernismo catalano, secondo le diverse declinazioni proprie alle varie regioni europee, e, dall’altro, il cosiddetto Postmoderno (che pure a quel Moderno, almeno nel nome, fa riferimento, seppur e contrario) – non

Pagina sinistra: vista del lato est della palestra dell’I.T.I.S. con il graffito di Millo. Foto di Alberto Giorgio Cassani In alto: particolari del graffito di Millo. Foto di Alberto Giorgio Cassani. Sotto: Vista del lato nord della palestra con il graffito di SeaCreative. Foto di Alberto Giorgio Cassani

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viene accettata in sé e per sé; come accade in tanti altri casi: per l’Avanguardia artistica (ancora qualcuno ritiene che Picasso non sapesse dipingere) o per l’avanguardia musicale (il Pierrot lunaire di Schönberg è ancora ostico alle orecchie di molti) e potremmo continuare a lungo. Di tutte queste espressioni artistiche non si riesce ancora a sopportarne, a reggerne, la «durezza e la brutalità». Forse è colpa del Moderno e dell’Avanguardia? Forse sono mancati e mancano tuttora gli strumenti per educare a questi

In alto: due vedute dei lati est ed ovest dell’I.T.I.S. Foto di Alberto Giorgio Cassani A sinistra: vista parziale del lato ovest dell’I.T.I.S., architetti Gino Gamberini, Antonino Manzone e Danilo Naglia, progetto 1959-1961, inaugurazione a.s. 1963-1964. Foto di Alberto Giorgio Cassani

ARTE E ARCHITETTURE

linguaggi “anti-classici”? Come che sia, è ritenuto lecito addolcire la pillola attraverso decorazioni e abbellimenti, in questo caso ricorrendo al graffitismo. Ma la Street Art non era nata come un pugno allo stomaco per lo sguardo “borghese e perbenista” del cittadino? E non era un’arte clandestina? Non è perlomeno curioso che ora si concedano legalmente superfici della città per quest’espressione artistica? Dov’è andata la critica, dov’è finita la protesta? E perché proprio il Moderno ha bisogno di essere abbellito? Perché una parete nuda, bianca o grigia, provoca ancora un senso di horror vacui? Venendo al caso dei “graffITI”, forse era opportuno, com’è stato già evidenziato da qualcuno, essendo vivo e vegeto (e in gran forma di spirito) uno dei progettisti dell’edificio scolastico più bello di Ravenna3 (assieme al Polo per l’infanzia “Lama Sud” di Giancarlo De Carlo e Associati), sentire il suo parere. So che l’architetto non ha diritti sulla sua opera, una volta che questa è terminata (solo Santiago Calatrava ha provato a intentare una causa di questo genere a Bilbao per il suo ponte pedonale, perdendola), e che Le Corbusier, a fronte dei cambiamenti apportati dagli abitanti alla sua cité Frugès a Pessac (1924-1926, Gironda), aveva esclamato: «la vie [...] a raison, et l’architecte [...] a tort»; ma sarebbe stato un gesto veramente unico e degno di una città capitale europea della Cultura, farlo per la prima volta. Queste riflessioni non vogliono essere contro qualcuno e soprattutto contro la Street Art. Tra l’altro, uno dei due artisti, Millo, ha svolto studi di architettura e si vede, perché il suo graffito si lega molto di più con il volume della palestra di quanto fa, invece, il lavoro di SeaCreative (alias Fabrizio Sarti), per il quale la parete è una pura superficie. Se “tatuare” gli edifici non deve più essere considerato da “degenerati”, come sosteneva, all’inizio del secolo scorso, l’architetto Adolf Loos (Ornamento e delitto, 1908),4 forse occorre lasciare “liberi” i writers di scegliere su quali muri e su quali architetture compiere tale azione. Ricordando però loro che l’architettura non è solo superficie, ma soprattutto volume, materia, texture, luce ed ombra, «le jeu, savant, correct et magnifique des volumes sous la lumière» (Le Corbusier, Vers une architecture, 1923). Una cosa viva, non morta, che forse non ha così tanto bisogno di essere “abbellita”.


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Note 1. Holzfällen: Eine Erregung, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1984, trad. it. di Agnese Grieco e Renata Colorni, A colpi d’ascia: Una irritazione, Milano, Adelphi, 1990, p. 169. 2. Citato in Ruggero Lenzi, Manzone architetto, Con una nota di Arnaldo Bruschi, Roma, Gangemi Editore, 1997, p. 59. Il testo originale, da me citato nella sua forma corretta, è tratto dall’articolo Istituto tecnico industriale a Ravenna, architetti Gino Gamberini, Antonino Manzone, Danilo Naglia, presentazione di Arnaldo Bruschi e Stefano Ray, in «L’architettura cronache e storia», XII, n. 135, gennaio 1967, pp. 566-571: 568. Le affermazioni di Manzone ricordano da vicino una pagina dell’architetto tedesco Peter Behrens, tratta da Über die Beziehungen der künstlerischen und technischen Probleme (Berlin, Ernst Siegfried Mittler und Sohn, 1917): «Si è impossessata di noi una fretta che non tollera l’ozio e che ci impedisce di indugiare sul dettaglio. Percorrendo le strade delle nostre metropoli a bordo di un veicolo superveloce noi non riusciamo più a cogliere i particolari d’un edificio e, in misura maggiore, le immagini di una città che vediamo dal finestrino d’un treno in corsa, sfrecciando via in rapida successione, agiscono su di noi solo per il loro contorno e profilo. I singoli edifici non ci parlano più. Questa modalità di osservare il mondo esterno [...] trattiene solo la costruzione che, opponendo superfici il più possibile delimitate e tranquille, non presenti intralci di sorta ma offra semplicemente la sua concisione», trad. it. Arte e tecnica, in Francesco Dal Co, Teorie del Moderno. Architettura Germania 1880-1920, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 276-289: 283. 3. Ecco quanto scrivono Arnaldo Bruschi e Stefano Ray a p. 567 dell’articolo sopracitato: «Mentre brillanti quanto fatue meteore appaiono un poco dovunque sulla scena contemporanea, questo edificio può sembrare il rinunciatario prodotto d’una seria ma banale prassi professionale». Al contrario, «l’impegno a non dissipare l’eredità razionalista si unisce con l’ambizione di sostanziarla e di rinsanguarla, attraverso uno sforzo di depurazione del metodo e di decantazione del linguaggio. I processi produttivi correnti, di larga possibilità applicativa e di elevata economicità possono essere, secondo i progettisti, tramite di rinnovamento. Lo stesso tema conduceva ad evitare ogni compiacimento, ad un’apparente rinuncia all’architettura come espressione personalizzata. Un istituto tecnico industriale è molto più un’officina che una “scuola”. [...] Lo sforzo di depurazione, la diretta rispondenza alla logica strutturale ed alla funzione, la rinuncia e la mortificazione si risolvono in una profonda istanza di economicità, non solo materiale, che sottintende una rinnovata eticità del fatto architettonico; una eticità intesa non come impegno “privato” ma come responsabilità “civile” verso la comunità». 4. Ornament und Verbrechen, trad. it. di Sonia Gessner, in Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, Adelphi, 1972, 1980, pp. 217-228. Si veda il mio articolo Ornamento è delitto? Su graffiti, parolacce e scale “dimenticate”, in «Ravenna trovacasa», III, n° 33, dicembre 2007, pp. 17-19.

A fianco: Smithdon High School di Hunstanton (Norfolk, Gran Bretagna), architetti Alison e Peter Smithson, 1949-1954, foto d’epoca. In alto a destra: Istituto Marchiondi Spagliardi, Baggio (Milano), architetti Vittoriano Viganò, Franz Graf e Letizia Tedeschi, 1954-1957. Foto di Emanuele Piccardo.

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La pacifica invasione di coloratissimi

alieni

Interventi a Ravenna dello street artist francese Invader Conversazione con Daniele Torcellini, curatore dell’associazione culturale Marte e docente alle accademie di belle arti di Ravenna e Genova

di Linda Landi

Un'invasione di coloratissimi alieni dai “pixel” sgranati ha toccato di recente la nostra città e ha lasciato tracce che ci uniscono idealmente a luoghi come il Brasile, gli Stati Uniti, o la Corea del Sud: l'autore è Invader, street artist francese invitato a realizzare un mosaico al Planetario di Ravenna, nell’ambito di un progetto a cura dell'Associazione Culturale Marte, realizzato grazie al sostegno dell’Assessorato alla Cultura del Comune, di Ravenna 2019, con la collaborazione del Mar - Museo d’Arte della Città e del Planetario stesso. Abbiamo chiesto a Daniele Torcellini, responsabile e curatore di Marte, collaboratore del Mar e docente alle accademie di Belle Arti di Ravenna e Ligustica di Belle Arti di Genova, un punto su questo progetto. Invader - L’invasione di Ravenna è uno dei progetti innovativi che hanno arricchito la città nel corso del-

Invader “mascherato” al Planetario ARTE E ARCHITETTURE

l'autunno. Come mai la scelta è ricaduta proprio su questo artista? «È stato piuttosto naturale. Marte opera nel campo dell’arte contemporanea e ha nel mosaico un punto di rifermento, in una città, qual è Ravenna, che vede nel mosaico antico un punto di forza, ma talvolta un’eredità da cui appare difficile districarsi. Le opere di Invader sono mosaici - molto diversi dalla tradizione ravennate - per cui il criterio di valutazione è la qualità di un progetto artistico complessivo e non certo l’aderenza ad una specificità tecnica. Vedere a Ravenna, su una facciata esterna, un mosaico di oggi, di un artista ben riconoscibile nel panorama dell’arte contemporanea, accanto ai mosaici antichi custoditi nel chiuso dei monumenti e in dialogo con quanto di contemporaneo i progetti che vedono il mosaico protagonista stanno esprimendo in città, ci è sembrato non un, ma

Planetario

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il cortocircuito da innescare ora. Un’idea che ha entusiasmato noi, ma anche lo stesso Invader nell’accettare il nostro invito». Si parla di street art e di mosaico: dove finisce una e dove comincia l'altro nel suo lavoro? «Street art e mosaico sono due elementi strettamente connessi nel lavoro di Invader. A fronte dell’idea di portare nella realtà il noto videogame arcade Space Invaders, facendo uscire dallo schermo i suoi alieni invasori, le strade sono subito divenute il contesto ideale in cui dare corpo ai mostri del videogame, nell’equazione di un pixel = una tessera. Ma non solo. Il mosaico è stato scelto da Invader anche con l’intenzione di adottare un medium dalla forte impronta storica per “tradurre” il digitale e l’elettronica degli schermi video. L’interazione poi si protrae fino a chi, lungo la strada, si muove… Ci sono già numerosi turisti che scattano foto dei mosaici attraverso il gioco on-line che lo stesso Invader ha ideato, immagini che poi confluiscono nel sito web FlashInvaders, dove accanto a Parigi, Londra, Tokyo, ora compare anche Ravenna».

Piazza del Popolo

In città ci sono state alcune posizioni critiche su questo progetto: quali le obiezioni e quali le tue repliche? «Pur ritenendole del tutto legittime, non condivido le critiche che sono state espresse e considero l’operazione di Invader un omaggio alla città di Ravenna. Certo, fatta eccezione per l’installazione del mosaico del Planetario (l’opera per cui lo abbiamo invitato e che è autorizzata dal Comune), l’invasione della città con gli altri mosaici di più piccole dimensioni, che Invader ha condotto autonomamente, è un’operazione, discreta e stilisticamente rilevante, che non cade nel perimetro della legalità. Ma la street art si muove per sua natura su questo binario e anche da questo trae linfa (sebbene negli ultimi anni, come naturale evoluzione, sia stata ufficializzata da numerose iniziative e il sistema dell’arte ne stia facendo tesoro: lo stesso Invader lavora con diverse gallerie). Diverso il caso del supposto problema della stabilità dei mosaici. Ho par-

Via Argentario

Piazza Garibaldi

Particolare Via di Roma

Via di Roma

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Ci sono già numerosi turisti che scattano foto dei mosaici attraverso il gioco on-line che lo stesso Invader ha ideato, immagini che poi confluiscono nel sito web FlashInvaders, dove accanto a Parigi, Londra, Tokyo, ora compare anche Ravenna

Via Cavour

lato di questo con Invader: i mosaici non rischiano di cadere. Quanto accaduto al mosaico di via Guidone – rimosso dai vigili del fuoco per via di alcuni frammenti ritrovati a terra – è attribuibile ad un tentativo di furto del mosaico stesso che si è risolto con la sua rottura. Un furto che personalmente considererei ai danni della collettività. Frequentemente i suoi mosaici subiscono questa sorte e non sono pochi gli appassionati che provano a portarsi a casa qualcosa. Una sorte analoga hanno subito i mosaici di piazza Garibaldi e di via di Roma, già parzialmente danneggiati». Ravenna, l'arte contemporanea e il mosaico tra dieci anni: quale scenario vorresti come curatore? C'è ancora qualcosa che manca, o abbiamo intrapreso la giusta direzione? «Manca una progettualità strutturata e di lungo periodo che riguardi il comparto arti visive contemporanee, molto spesso frammentato tra iniziative che si muovono come punti isolati su una mappa. Ho però l’impressione che la direzione intrapresa sia buona, tanto è cambiato negli ultimi anni, anche grazie al grande impulso della candidatura di Ravenna a Capitale Europea della Cultura che, sebbene si sia conclusa come sappiamo, ha permesso alla città di fare un importante salto in avanti. Spero che non tra dieci anni, ma molto prima, il medium mosaico possa vivere quanto sta accadendo, ad esempio, al medium del tessile. È di questi giorni un articolo uscito su The Art Newspaper in cui si dice che il tessile, partendo dal difficile rapporto con il sistema dell’arte contemporanea, è divenuto, negli ultimi anni, un medium che tutti i musei vogliono avere e intorno a cui si stanno muovendo molti interessi… Molti segnali lasciano pensare che al mosaico possa accadere qualcosa di simile in un futuro a portata di mano».

Via Guidone

Via Boccaccio ARTE E ARCHITETTURE


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ARCHITETTURA D始INTERNI


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E il Veliero

ritorna a “navigare” tra funzionalità e bellezza

Montata “in diretta” nello store di Biagetti a Ravenna la libreria di Franco Albini, magistrale icona del design italiano, appena rieditata da Cassina

di Paolo Bolzani

10 ottobre 2014, verso sera, nello charming space di Biagetti Design Store, il negozio-museo di Ravenna erede di Raffaello Biagetti, artista e promotore della cultura del design, come testimonia il Museo dell’Arredo di Godo. Ecco un evento in cui comunicazione, storia e cultura del design da un lato e formazione dei professionisti di settore da un altro si sono trovati perfettamente uniti. Star della serata è la libreria il Veliero, icona del design creata nel 1939, ritornata a nuova vita grazie a Cassina, brand leader nell’arredamento contemporaneo, che lo ha inserito in edizione limitata nella sezione del proprio cata-

logo dedicata ai grandi maestri dell’architettura. Al pari di tanti altri momenti celebrativi, si sarebbe potuto strutturare l’evento sulla semplice proiezione di una serie di immagini eloquenti di questo sontuoso oggetto di design, uscito dall’ingegno del grande architetto Franco Albini (1905-1977) in cui si esplicita la sua poetica rivolta alla leggerezza strutturale e visiva. La peculiarità, rara, dell’evento trova invece un valore aggiunto nel montaggio del mobile in diretta, di fronte a un pubblico entusiasta di addetti ai lavori, cultori e semplici curiosi: tra i tanti segnaliamo la presenza di Gioia Gattamorta, presidente dell’ordine degli architetti della provincia di Ravenna e Danilo Naglia, che nell’istituto universitario di architettura di Venezia qualche tempo fa ebbe la fortuna di poter frequentare le lezioni di Albini. Perché la lezione del Mae-

La libreria il “Veliero”, creata nel 1939 da Franco Albini e recentemente rieditata in edizione limitata da Cassina, in due momenti della fase di montaggio “dal vivo”, il 10 ottobre al Biagetti Design Store di Ravenna.

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Il Veliero è una libreria costituita da una coppia di aste composte a fuso, in legno di frassino e disposte in posizione inclinata a “V” a sostegno di una serie di ripiani in cristallo per mezzo di un articolato sistema di sottili tiranti in acciaio. Collocati sui piani, libri e oggetti sembrano sospesi nel vuoto stro è anche questa: «dietro ad una libreria c’è un discorso unitario che collega design, museografia, poetica del razionalismo architettonico e storia dell’architettura» (Gattamorta). Per questo agli architetti presenti sono stati riconosciti due crediti formativi professionali, mentre assistevano alla nascita di un’opera d’arte, dalla caratteristica immagine di derivazione nautica, rivelata ancora meglio, come ha fatto notare Barbara Lehmann – curatrice dell’archivio storico di Cassina – dall’ombra riflessa di una grande imbarcazione a due alberi e ampie superfici di velatura. Il Veliero infatti è una libreria costituita da una coppia di aste composte a fuso, in legno di frassino e disposte in posizione inclinata a “V” a sostegno di una serie di ripiani in cristallo per mezzo di un articolato sistema di sottili tiranti in acciaio. Il sistema è originato dalla bella catenaria, a collegamento superiore dei vertici delle due aste, ora posta leggermente più in basso rispetto a quella del prototipo fatto costruire da

ARCHITETTURA DʼINTERNI

Albini stesso nel 1940 per la propria casa milanese di via De Togni. Rispetto alla versione degli anni Quaranta, poi distrutta dalle vibrazioni degli altoparlanti dell’impianto di riproduzione musicale del figlio del progettista – oggi alla presidenza della Fondazione Albini – alla nuova posizione della catenaria si aggiunge anche una nuova base in acciaio che stabilizza il sistema degli appoggi e il rafforzamento dei ripiani trasparenti, realizzati con una coppia di vetri stratificati, che consentono nuova stabilità e funzionalità ad un mobile apparentemente nato per non sembrare particolarmente stabile. Possiamo dunque ammirare il Veliero da tutti i lati, come è avvenuto nel corso del piacevole e interessante talk della Lehmann, oppure osare di appoggiare con qualche timore referenziale un bicchiere di spritz o di prosecco nel corso di un’amabile conversazione tra colleghi sull’annunciata fine dei requisiti cogenti, oppure, se possiamo permetterci il lusso dell’acquisto, poi verificarne la por-


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tanza massima, che, a seguito dell’intervento del pool di Cassina costituito da esperti di ingegneria navale e civile, ora viene assicurata a 150 chilogrammi. Il concetto rimane lo stesso: è una struttura oggettivamente “bella”, in cui, come tutti ammettono mormorando, «i libri sembrano sospesi nel vuoto», mentre gli esperti montatori ultimano la posa dei cavi e dei ripiani nel corner di Biagetti Design Store. Ad un patto: che al Veliero sia concesso lo spazio che chiede, comprensivo di un’aura di rispetto sacrale. Perché il Veliero è proprio questo: un diaframma spaziale – Lehmann docet – in cui la funzionalità è inscindibilemente unita alla bellezza e alla qualità dell’atmosfera spaziale che determina. Ma, parlando di un’opera di Franco Albini, l’osservazione sembra divenire pleonastica. Basti pensare alla sedia Luisa, la cui soluzione ad incastro in schienale è stato ripresa nel Logo Cassina, o alla poltrona Tre Pezzi che riprende il corrimano delle scale della metropolitana di Milano, fino ad arrivare alle geniali soluzioni applicate nei musei del Rolli genovesi, vanto Unesco del bel capoluogo ligure, con la straordinaria scala elicoidale appesa di Palazzo Rosso.

Vista la delicatezza e complessità della struttura, e la fama mitica del "Veliero", il montaggio del mobile in diretta, ha richiamato un folto pubblico di addetti ai lavori, ma anche cultori del design e semplici curiosi

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Teprin Associati

I Sedici

e "La ragione dell'architettura" Rassegna dei progetti di

INOUTarchitettura I progettisti di Teprin Associati di Ravenna e i giovani professionisti di INOUTarchitettura di Ferrara sono al centro del settimo appuntamento della serie di conferenze intitolate "I sedici - il ruolo dell’architettura contemporanea", promosse e organizzate dal Gruppo Ravimm e dalla rivista dell’abitare Trovacasa Premium, con il patrocinio del Comune, di Ravenna 2019 e curate dall’architetto Emilio Rambelli di Nuovostudio. L'incontro, in programma il 6 novembre nelle Cantine di Palazzo Rava a Ravenna prosegue in dibattito e il confronto di idee fra due diverse generazioni di progettisti in campo architettonico e urbanistico: Lo studio INOUT presenterà in mostra tot progetti mentre, a seguire, esponenti di Teprin Associati parleranno secondo la loro lunga esperienza professionale de le "La ragione dell'architettura".

In questa pagina, le immagini di tre progetti realizzati da Teprin Associati: (dall’alto) l’edificio del Dipartimento di Emergenza e Accettazione dell’Ospedale di Ravenna (2012); le coperture temporanee di chiese ipogee a Lalibela in Etiopia (2007); nuovo padiglione delle Terme di Punta Marina (2008).

IDEE E PROGETTI


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Teprin Associati è uno studio associato di architetti e ingegneri, con la sede a Ravenna e altra sede operativa a Roma. Fondato nel 1978 da Lorenzo Sarti e Claudio Baldisserri (quest'ultimo scomparso nel 2010), vanta una pluriennale attività nella progettazione architettonica, urbana, ambientale e di infrastrutture oltre a progettazione d’interni e di arredo urbano, direzione lavori, in Italia e all’estero. Oggi nello studio di Ravenna operano Lorenzo Sarti, ingegnere ed attuale presidente, e gli architetti Stefania Bulzoni, Samantha Cicognani e Ottavia Sarti. Nello studio di Roma l’architetto Silvio D’Amore e l’ingegnere Alessandro de Laurentiis. Molteplici sono le partecipazioni a concorsi di architettura sia nazionali che internazionali, come anche le mostre e le pubblicazioni dedicate ai lavori realizzati dallo studio. I temi discussi nella conferenza saranno un breve excursus su i progetti principali e più significativi della lunga carriera della Teprin Associati, cercando di riportare alla scala umana il discorso della progettazione, raccontando per ognuno un aneddoto che ha contraddistinto la fase progettuale o la fase costruttiva. Il titolo vuole essere un omaggio al libro La ragione dell’architettura, opera pensata e curata da Claudio Baldisserri (uno dei soci fondatori di Teprin) la cui postuma pubblicazione è stata l’occasione per presentarlo alla mostra a lui dedicata nell’ottobre 2012 presso il Palazzo dei Congressi di Ravenna. I progetti presentati e commentati saranno: coperture temporanee di chiese ipogee a Lalibela (Etiopia), Museo Ecclesiastico in Axum (Etiopia); Parco di Teodorico a Ravenna; Centro di Medicina e Prevenzione (CMP) a Ravenna; Dipartimento di Emergenza e di Accettazione (DEA) a Ravenna; riqualificazione dell’area Ex-Casaralta a Bologna; passerella ciclopedonale mobile sul fiume Uso a Bellaria-Igea Marina (Rn); complesso turistico-residenziale a Casal Borsetti (Ra); ampliamento e ristrutturazione Terme di Punta Marina (Ra). www.teprin.com

INOUTarchitettura è uno studio multidisciplinare di architettura e paesaggio. Affronta progetti che spaziano dalla piccola scala del design sino alla scala territoriale, ricoprendo un ampio campo d’azione trasversale in cui le componenti di progettazione urbanistica, paesaggistica e architettonica si integrano e si completano. Il lavoro di INOUTarchitettura si basa sulla combinazione e commistione delle esigenze inerenti l’architettura e il paesaggio. Lo studio nasce dalla collaborazione di Mario Benedetto Assisi e Valentina Milani (che dal 2007 seguono e condividono molteplici occasioni di lavoro e ricerca) e si struttura stabilmente a Ferrara nel 2012. Mario Assisi (1982), si forma presso la Facoltà di Architettura di Ferrara e la Delft University of Tecnology (NL). Si laurea nel 2007 con una tesi in progettazione paesaggistica premiata dall’IFLA (International Federation Landscpe Architecture). Dopo aver collaborato con diversi studi locali, dal 2009 svolge la libera professione. È socio fondatore del gruppo di lavoro MMVL|2045architetti, segnalato tra le 10 migliori realtà emergenti italiane under 36 nell’ambito degli studi di architettura e paesaggio (Premio New Italian Blood 2012) e selezionato Young Blood 09 (Annuale dei talenti italiani premiati nel mondo). Svolge lezioni, seminari e workshop in varie università italiane ed europee. Dal 2013 è professore a contratto

Dall’alto, tre progetti di INOUT: Europan 12, GDhouse, YAP Maxxi

del modulo di Teorie della Ricerca Architettonica Contemporanea presso la Facoltà di Architettura di Ferrara. Valentina Milani (1982) studia alla Facoltà di Architettura di Ferrara e la Esquela Tecnica Superior de Arquitectura del Valles (ETSAV), Barcellona. Laureata con una tesi in progettazione paesaggistica (premiata dall’IFLA) ha collaborato con lo studio di architettura del paesaggio Erika Skabar (Trieste) e lo studo Antonio Ravalli Architetti (Ferrara). Dal 2009 lavora come libero professionista. È socia fondatrice del gruppo di lavoro MMVL|2045architetti. Dal 2009 è membro della Commissione per la Qualità Architettonica e del Paesaggio del Comune di Ferrara. Dal 2012 è professore a contratto del modulo di Architettura del Paesaggio presso la Facoltà di Architettura di Ferrara. INOUTarchitettura esporrà alcuni dei 23 progetti ideati dal 2007 ad oggi, che hanno ricevuto riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. www.inoutarchitettura.com

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Il destino dei luoghi

Il verde urbano La nascita dei parchi pubblici nelle grandi città risale alla prima rivoluzione industriale, oggi il tema è diventato centrale per l’evoluzione delle cosiddette smart city, tra sostenibilità urbana, tutela ambientale e nuove funzioni sociali

di Enrico Gaudenzi Il tema che andremo a trattare parla di quei luoghi che fin da bambini impariamo ad amare e desiderare, quei luoghi idilliaci depositari di bei ricordi e di avventure immaginarie: le aree verdi e i parchi urbani. Il ricordo ancestrale di una vita all’aria aperta, continua inconsciamente a creare nell’uomo un’attrazione nei confronti della natura, anche se, a onor del vero, analizzando i processi di urbanizzazione difficilmente risulta emergere questo impulso. Il desiderio di un rapporto con il verde non sembra quindi mosso dal raziocinio, ma sembra scaturire da una sfera intima in cui l’uomo cerca di riallacciare un legame con la natura, forse mosso dal “fanciullino” che risiede in

PROGETTARE IL TERRITORIO

ognuno di noi e che mantiene vive sensibilità e immaginazione. Dopo aver dato questa chiave di lettura Pascoliana, passiamo a ripercorrere in sintesi la storia evolutiva del verde urbano, nell’accezione con cui lo conosciamo oggi, ovvero elemento connettivo dell’impianto urbano, non sempre continuo, formato da parchi, giardini, viali, aree sportive, orti urbani e zone vincolate. Le città sono nate in antitesi allo spazio naturale e sono luoghi definiti dall’opera dell’uomo. Nella città storica i vuoti sono costituiti in prevalenza da strade e piazze che rivestono un ruolo funzionale alla “macchina” città, mentre il poco

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spazio verde è costituito dai giardini racchiusi negli isolati delimitati dai palazzi. Possiamo intuire come nel corso della storia, a causa del crescente inurbamento, il rapporto uomo/verde si sia via via affievolito, divenendo una prerogativa delle classi più abbienti, che all’interno delle proprie dimore mantenevano gli spazi vuoti come “luoghi di delizia”. La nascita del verde pubblico si ebbe in Francia e Inghilterra, quando a seguito delle innovazioni urbanistiche ottocentesche, le città cominciarono a trasformarsi. Questa necessità di rinnovamento fu spinto dal rapido degrado che colpì i centri urbani a causa del forte inurbamento originato dalla rivoluzione industriale e che portò in pochi decenni le grandi città inglesi e francesi al collasso. In questo periodo si fa avanti il pensiero che vi sia relazione tra i problemi sociali e di salubrità e le condizioni fisiche dell’ambiente in cui si vive, per cui si può affermare che siano state le prime leggi sanitarie emanate per porre rimedio ai difetti della città industriale a definire le basi per la nascita dell’urbanistica moderna. I parchi, quindi, con i loro arredi, viali e padiglioni, dovevano assolvere ad una funzione estetica e ricreativa con lo scopo di migliorare la vita dei cittadini, che grazie alle aree verdi pubbliche potevano sopperire alla mancanza dei giardini privati. Spazi verdi pubblici erano già esistiti in epoche precedenti, ma è nel corso del XIX secolo che si afferma il criterio che sia dovere delle amministrazioni realizzarli. In Italia le trasformazioni delle città avvennero con un secolo di ritardo, a causa del lento processo di industrializzazione che interessò il nostro paese, e la nascita dei primi parchi avvenne non creandone di nuovi, ma rendendo pubblici i giardini di antiche ville patrizie. Nel Novecento la struttura del parco pubblico restò sostanzialmente immutata, rinnovando di fatto solo l’immagine

Nelle foto, alcuni celebri esempi di parchi metropolitani. A sisnistra, Central Pak a New York. In questa pagina (dall’alto) Hyde Park a Londra e il Bois de Boulogne a Parigi. Qui a fianco, e in basso, due aree verdi urbane storiche a Ravenna: i giardini pubblici di fronte alla Loggetta Lombardesca (foto Thomas Venturi) e quelli della quattrocentesca Rocca Brancaleone.

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Dall’alto, vista aerea del Parco di Teodorico a Ravenna, progettato da Teprin Associati (foto Giorgio Biserni). Escursione in pineta, zone verde storica ai margini della città di Ravenna. Pianta del Parco Baronio, in via di costruzione, firmato da Stignani/Land.

PROGETTARE IL TERRITORIO

degli arredi e aggiungendo nuove funzioni ricreative; in quel periodo la novità sostanziale fu rappresentata da una visione più integrata e articolata del tema del verde pubblico: si precisano le diverse categorie di parchi (di quartiere, di settore, urbano, regionale, nazionale) e i relativi standard. Un contributo sostanzioso a questo nuovo approccio venne fornito soprattutto dai paesi anglosassoni, dove vennero realizzati, secondo precisi dettami teorici, parchi urbani, giardini naturali, campi da gioco, centri per il tempo libero, ecc. In Italia il tema del verde pubblico cominciò ad essere affrontato negli anni Sessanta ma venne recepito da poche amministrazioni; ad oggi nella maggior parte del paese la situazione risulta ancora deficitaria, con standard di verde pubblico per abitante inferiori fino a dieci volte rispetto alle medie europee e statunitensi. Ravenna può considerarsi una città virtuosa dal punto di vista della dotazione di verde pubblico. A partire dalla fine degli anni ‘80 l’Amministrazione Comunale ha lavorato molto per accrescere il patrimonio di aree verdi, arrivando a dotarsi, con il PRG ’93, di un Piano di Settore del Verde. Questo ha permesso di sviluppare le aree verdi pubbliche in modo strutturato, così da garantire un sistema diversificato ma sinergico, co-

stituito dal verde diffuso, dai giardini di quartiere, dai parchi urbani (Teodorico e i futuri Baronio e Cesarea), dal verde di filtro e da quello agricolo. Il periodo di crisi generale che stiamo vivendo, caratterizzato da ripensamenti, sta impegnando ricercatori e urbanisti nello studio di nuovi modelli sostenibili per le città, mentre di pari passo timidamente sta “crescendo dal basso” una nuova coscienza ambientale e sociale, che riconosce nel verde un ruolo fondamentale, sia per il suo risvolto ambientale/salutistico, sia per la sua funzione di coesione sociale. In un futuro che sarà caratterizzato più da trasformazioni che da nuove realizzazioni, l’approccio green dovrà essere la base di un ragionamento strutturato che coinvolga i cittadini, e soprattutto le nuove generazioni, stando attenti però a non scadere in approcci ambientalisti di tipo estremo che finiscono per promuovere la conservazione a senso unico. In un’idea di smart city, le aree verdi pubbliche dovranno essere luoghi attrattivi e funzionali e non solo occasioni per realizzare ornamenti o soddisfare standard imposti.

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È uscito il primo numero di IL NUOVO MENSILE DI CULTURA E SPETTACOLO per la Romagna e Dintorni

• EVENTI La notte d’oro di Ravenna • MUSICA Da Kusturica a Battiato • TEATRO Inizia la grande prosa • LIBRI La Romagna di Falco • ARTE La fotografia in mostra • GUSTO Il cibo nella storia • JUNIOR Famiglie a teatro

Il prossimo numero sarà in distribuzione a partire dal 20 novembre 80mila copie a diffusione gratuita Ravenna - Forlì - Faenza - Cesena - Rimini

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«Bisogna essere onesti per vivere fuori dalla legge», verso tratto dalla canzone di Bob Dylan Absolutely Sweet Marie, contenuta nell’album Blonde on Blonde del 1966.

Una sala al primo piano della Galleria Ninapì utilizzata per l’incontro con Marco Imperato (foto di Alberto Giorgio Cassani)

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«Bisogna essere onesti per vivere

fuori dalla legge» Conversazione con Marinella Isacco, coordinatrice del circolo “Legalità e Giustizia” di Ravenna di Marina Mannucci

Nell’ambito delle promesse non mantenute della democrazia, Norberto Bobbio, in Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984, denuncia la diffusione dell’indifferenza politica: «Guardiamoci attorno – dice Bobbio – [...] si assiste impotenti al fenomeno dell’apatia politica, che coinvolge spesso la metà circa degli aventi diritto al voto. Dal punto di vista della cultura politica, costoro sono persone [...] semplicemente disinteressate per quello che avviene, come si dice in Italia [...] “nel palazzo”». A differenza di tutte le altre forme di governo, un’opinione pubblica consapevole è conditio sine qua non per uno stato democratico; è perciò indispensabile mantenere viva la diffusione dell’ethos democratico affinché oltre le “buone regole” si formino donne e uomini che agiscano nello spirito delle regole. L’Associazione Libertà e Giustizia (LeG) promuove da tredici anni la diffusione nelle coscienze dell’attaccamento alla dignità delle persone e al valore della democrazia al fine di riuscire a vanificare le insidie che vorrebbero confinarla in micro-dimensioni. Incontro per una conversazione Marinella Isacco, coordinatrice del circolo LeG di Ravenna. Marinella, cosa ti ha portato a rivolgere la tua attenzione alle problematiche affrontate dall’Associazione LeG, nata per dar voce alla società civile, muovendosi tra politica e urgenza di democrazia?

«Curiosando per il web alcuni anni fa, non ricordo cercando cosa ma di sicuro commenti e posizioni in merito ad un fatto politico, mi ritrovai sul sito di LeG. Iniziai a seguirlo interessata e sostanzialmente in linea con quanto scritto a commento di situazioni, fatti e scelte

«Nel momento della massima diffusione della democrazia – si potrebbe dire nel momento della sua vittoria su ogni altro tipo di sistema di governo –, sembra essere venuta meno l’esigenza di insegnarne lo spirito» Gustavo Zagrebelsky, “Imparare democrazia”

governative: erano gli anni dei governi Berlusconi (e Prodi). Nel 2009 LeG pubblica un manifesto dal titolo “Rompiamo il silenzio” in cui viene denunciato un certo “silenzio” appunto della classe politica, ma non solo, verso una deriva di sfascio istituzionale, politico e sociale in corso. Il manifesto chiede a gran forza un impegno da parte di tutti, raccogliendo in merito disponibilità da parte della società civile, e in poco tempo vengono creati i primi circoli locali, tra cui anche quello di Ravenna. In quel periodo sentivo anche io una grande insofferenza verso la situazione politica e governativa del momento; ho avvertito la necessità di impegnarmi, di fare qualcosa in prima persona ed ho accettato l’invito ad un incontro con LeG ed insieme ad altri, circa una trentina di persone con stessi intenti e pensieri, il 19 aprile 2009 abbiamo dato vita al circolo di LeG di Ravenna. Nel 2011 mi è stato chiesto se vo-

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lessi coordinare il circolo: non senza qualche incertezza, alla fine ho accettato». Quali sono state in questi anni le priorità e gli obiettivi del circolo LeG di Ravenna?

«Nello Statuto dell’Associazione è scritto, fra le altre cose, che LeG “Difende le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico”. Tenendo presenti queste linee, le nostre iniziative cercano di portare in evidenza temi vicini alla difesa dei diritti dei cittadini/e: dallo Ius soli, agli sbarchi a Lampedusa, ai diritti dei senza libertà, solo per fare alcuni esempi. Il nostro principale impegno è stato, e sarà sempre, dedicato alla Costituzione, alla sua diffusione, alla sua difesa. In questi ultimi anni, con il Comitato in Difesa della Costituzione di Ravenna, abbiamo promosso molte iniziative con la speranza di aver contribuito ad una maggiore conoscenza della nostra Carta e conseguentemente al suo grande significato. Gustavo Zagrebelsky, Presidente Onorario di LeG, ama citare: «La Costituzione, ciò che ci siamo dati nel momento in cui eravamo sobri, a valere per i momenti in cui siamo sbronzi».

In alto a sinistra: incontro del 10 maggio 2013 con il magistrato Marco Imperato, nella sala superiore della Galleria Ninapì. In alto a destra: incontro su Lampedusa del 29 novembre 2013, Galleria Ninapì. Sotto: l’ingresso della Galleria Ninapì (foto di Alberto Giorgio Cassani)

CITTÀ E SOCIETÀ

Le Scuole di formazione politica di LeG diffondono la missione civile e sono pensate per chi opera nelle istituzioni e nelle amministrazioni, per chi svolge attività politica, ma anche per chi intende la cittadinanza in modo attivo e informato. Le scuole si fondano sulla collaborazione con Università e gruppi di ricerca e sul contributo di relatori apprezzati per competenza e profondità di riflessione. I profili formativi delle Scuole riportano ai veri obiettivi della politica: rispettare la dignità delle persone, migliorare le opportunità, accrescere il benessere dei cittadini, occuparsi di tutti, anche di coloro i quali non sono (o non sono ancora) chiamati ad esprimere le loro preferenze con il voto, politico e amministrativo. Il metodo didattico privilegia il coinvolgimento diretto degli studenti, attraverso seminari, testi-


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monianze qualificate e dialogo informale. Il mese scorso si è svolta a Ravenna, per la prima volta, una Scuola di formazione politica sul tema della laicità nelle istituzioni di interesse pubblico; puoi illustrarne i contenuti per i nostri lettori?

«In una riunione di fine 2013, pensando ai progetti per l’anno nuovo, Maurizio Marangolo, socio del circolo, propose di organizzare una Scuola a Ravenna. Aveva partecipato pochi mesi prima lui stesso alla Scuola di Perugia e l’idea di poter realizzare anche a Ravenna un simile progetto formativo lo entusiasmava molto. Il suo fervore ci ha contagiato tanto che Nicoletta Guidobaldi, Paola Patuelli ed io ci siamo offerte di farci carico del progetto, del suo sviluppo e della sua realizzazione, insieme a Maurizio, in un positivo e gratificante lavoro di gruppo. Abbiamo individuato nel tema della laicità – così attuale e vasto oltre che così centrale per LeG – il filo conduttore; il titolo è venuto da sé: “Laicità nelle Istituzioni di interesse pubblico”. Come ha sottolineato in una intervista la nostra presidente Sandra Bonsanti: «non è un tema casuale in Romagna, terra di forti tradizioni mazziniane e repubblicane». I temi proposti, di estremo interesse e culturalmente molto stimolanti, hanno spaziato dalla politica alla laicità nello Stato, dalla bioetica alla scuola e all’insegnamento, dalla famiglia alla religione e alla rete. Tra i relatori intervenuti, tutti di alto profilo e in maggioranza docenti di università italiane e straniere, vorrei ricordare: la filosofa Roberta De Monticelli, la sociologa Chiara Saraceno, la giornalista e presidente di LeG Sandra Bonsanti, il politologo Maurizio Viroli, lo storico Roberto Balzani, il docente di Diritti umani e storico del diritto internazionale Gustavo Gozzi, l’esperto di bioetica Carlo Flamigni, il giornalista, autore e conduttore radiofonico Luca Bottura, lo storico e scrittore Alessandro Luparini. Abbiamo inoltre ricevuto un contributo dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna che ci ha permesso di offrire 15 borse di studio a studenti universitari di età compresa fra i 19 e 26 anni, senza distinzione di facoltà, corso o provenienza geografica, a totale copertura della quota di partecipazione. L’entusiasmo provato per l’ottima e felice riuscita della Scuola ci ha premiato per tutto l’impegno profuso nell’arco di diversi mesi per il compimento del progetto; il contributo per le borse di studio ci ha permesso di conoscere dei ragazzi preparati, attenti e coinvolti, provenienti da diverse regioni d’Italia, che forse non avrebbero avuto la possibilità di partecipare. Questo, posso dire, è davvero stato molto gratificante. Vorrei inoltre concludere con un ricordo affettuoso nei confronti di Nando Randi che, con grande generosità, ha ospitato tutti gli eventi e le riunioni di LeG presso la Galleria Ninapì».

L’associazione LeG si presenta al pubblico il 18 novembre 2002, al Piccolo Teatro Studio di Milano, presentando il suo manifesto costitutivo: «Libertà e Giustizia vuole intervenire a spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi. Vuole arricchire culturalmente la politica nazionale con le sue analisi e proposte». LeG vuole essere «l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica». Il manifesto sarà sottoscritto da un gruppo di garanti di altissimo livello, tra i quali: Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Enzo Biagi, Umberto Eco, Alessandro Galante Garrone, Claudio Magris, Guido Rossi, Giovanni Sartori e Umberto Veronesi. Tredici anni di vita con tante vittorie alle spalle e, in cantiere, progetti e iniziative per dare voce alla società civile. Attualmente l’Associazione, che ormai da anni si muove tra politica e urgenza di democrazia promuovendo convegni, incontri, appelli, è presieduta da Sandra Bonsanti. Le Scuole di formazione politica di LeG, organizzate ogni anno, sono per i soci momento di approfondimento di alcuni temi fondamentali: la libera informazione, la democrazia, l’etica, i maestri, il ruolo della società civile. Dal 2004, LeG ha avviato la sua lunga battaglia in difesa della Costituzione. Nel 2011 c’è stata una prima manifestazione al Palasharp di Milano, con Umberto Eco, Paul Ginsborg, Roberto Saviano, Gustavo Zagrebelsky e altri esponenti della società civile per cominciare a riappropriarsi di parole che la storia e il sacrificio di milioni di italiani hanno reso eterne e inviolabili: libertà, giustizia, democrazia, repubblica, uguaglianza, lavoro, Costituzione. LeG lancia l’appello: «La riforma della Giustizia non la fanno gli imputati (né i loro avvocati)!». Parte successivamente la raccolta firme per abolire la legge elettorale Porcellum; ne verranno raccolte oltre sessantamila. Sempre nel 2011 è la manifestazione a Milano all’Arco della Pace dal titolo “Ricucire l’Italia” per restituire dignità al Paese (dal manifesto omonimo di Gustavo Zagrebelsky elaborato nel corso della scuola estiva a Poppi, nel Casentino). Nel 2012 esce il manifesto “Dissociarsi per riconciliarci. Dipende da noi” di Gustavo Zagrebelsky e viene realizzato un forum ad Assago sul nuovo manifesto di Gustavo Zagrebelsky “Per una stagione costituzionale“. Nel 2013 LeG scende in piazza a Bologna il 2 giugno con oltre cento associazioni, per dire che la Costituzione “Non è cosa vostra” e successivamente a Roma, in piazza del Popolo, per difendere e attuare la Carta fondante, “La via maestra”, da non perdere mai di vista, con la partecipazione di Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. L’attività online di LeG non si ferma al solo sito web, ma è arricchita dall’essere presente nei principali social network. I circoli sparsi in tutta Italia sono una quarantina e svolgono un’attività molto intensa attraverso incontri, dibattiti, presentazioni di libri per raccontare le anomalie del paese, dall’emergenza giustizia alle battaglie per la legalità, alla libertà d’informazione, ai diritti della persona. A fronte di una domanda sempre più urgente di “cultura politica”, la missione civile di LeG si amplia attraverso le sue scuole di formazione politica. Nel settembre 2012 al castello dei Conti Guidi di Poppi (Arezzo) si è svolta una tre giorni curata dallo storico Franco Sbarberi su “Segreto, ipocrisia, menzogna e corruzione. La democrazia vilipesa”. Nel 2013 vi sono stati due giorni di lezione a Perugia sui temi bioetici. A Pavia, dove iniziarono i corsi nel 2007 sotto la guida di Salvatore Veca, direttore di tutte le scuole di LeG, nel 2013 si è tenuta la settima edizione dedicata al lavoro. Sempre nel 2013 si è aperta la prima scuola di LeG di Messina per favorire l’analisi e la conoscenza delle condizioni sociali, politiche, economiche e culturali che caratterizzano oggi il mezzogiorno. Quest’anno, alla Scuola di Messina, che ha organizzato la seconda edizione, si affianca la Scuola di LeG organizzata dal circolo di Ravenna sul tema della laicità nelle istituzioni di interesse pubblico.

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CITTÀ SOSTENIBILE

Ravenna 2019, capitale mancata? Il processo per reinventare la nostra città che deve impegnare il territorio da oggi fino al prossimo decennio No, purtroppo non è andata, Ravenna, la nostra città non ce l’ha fatta a diventare la Capitale Europea della Cultura 2019 e devo dire onestamente che la delusione è stata forte, cocente, e per un po’ siam rimasti attoniti di fronte al vuoto lasciato da quel futuro che già avevamo riempito di aspettative e progetti. Ma questa sensazione devo dire è durata poco, noi siamo romagnoli, coriacei e sanguigni, mica possiam pensare di rassegnarci così, dovremo pur essere consapevoli che questa esperienza comunque in sé rappresenta in realtà un'opportunità per riflettere, analizzare, valutare e trasferire risultati comunque conseguiti nella proposta e nella progettualità in format giocosi e creativi. Son convinto che il 2019 debba comunque essere per Ravenna un obiettivo, magari l'anno celebrativo di un processo durato sei anni, ma anche il trampolino di lancio per gli anni a venire, in cui l'incontro tra le varie suggestioni e i progetti concretizzati potranno generare il famoso "salto" per reinventare noi stessi con un effetto bottom-up. Solo nella contaminazione e nell'interdisciplinarietà le varie nature e i talenti di Ravenna possono connettersi e creare vera innovazione. Certo il nostro dossier è un ottimo e fondamentale punto di partenza e quello sarà la guida con quale chi d’ora in poi ha o avrà la responsabilità di amministrare questa città dovrà orientarsi, ma occorrono anche veri e propri nuovi ideali, da utilizzare come malta per legare i mattoni utili alla costruzione del futuro della nostra città. Sarà fondamentale per la creazione di un clima di fiducia, consapevolezza, spirito collaborativo e responsabilità continuare a coltivare e curare la partecipazione. La partecipazione sarà lo strumento attraverso cui si individueranno i temi e si rifletterà sulle priorità della nostra città. Investirà soprattutto le pubbliche amministrazioni trasformandole in amministrazioni creative, capaci di andare oltre i settori e cooperare con la società civile, rappresentando un elemento centrale dei nostri sogni. La partecipazione è fondamentale per dar gambe alla città che noi intendiamo costruire come risultato dell'esperienza e del sapere collettivo dei suoi cittadini. Una democrazia intesa come un processo di dialogo. Una pratica quotidiana, non una preferenza data ogni cinque anni nella cabina elettorale. Si tratta di un processo che deve porre il cittadino al centro dello sviluppo, rispettando bisogni e sogni dell'individuo. È un luogo in cui ogni voce deve essere ascoltata. Rigenerare la nostra città attraverso un modello urbano e sociale incentrato sull'inclusione e l'accessibilità, secondo cui l'estromissione di un individuo comporta una perdita di valore. Ogni individuo deve rappresentare infatti una risorsa, mentre la partecipazione di tutti si realizza con il minimo di marginalizzazione e il massimo coinvolgimento. Una città aperta a tutti, in tutte le occasioni. La responsabilità culturale trasforma le persone con speciali esigenze in persone con abilità speciali, trasforma l'avidità in

ABITARE LʼHABITAT

una cultura di generosità e solidarietà. Ma per realizzare gli ambiziosi obiettivi sopra citati sarà necessaria una cittadinanza particolarmente attiva. Affinché chiunque sia indipendente, la conoscenza e la formazione sono condizioni di base per conferire responsabilità e potere. Lo sviluppo di una coscienza critica verso se stessi, verso il proprio bagaglio culturale e il mondo, è necessario per trasformare i valori individuali in valori collettivi attraverso l'interazione sociale. Rieducarsi e creare insieme un modello in cui i luoghi di educazione e istruzione diventino strutture aperte alla città; un modello di valori inclusivi, in cui si insegna e si impara allo stesso tempo; dove tutti siano protagonisti del loro processo di apprendimento. Un luogo in cui non esistono allievi senza talento e, allo stesso tempo, in grado di riconoscere i loro talenti individuali, soddisfando obiettivi e sogni attraverso una vera e propria transizione culturale rivoluzionaria dell'Istruzione. Di concerto agli aspetti legati all’istruzione, sarà altrettanto importante concentrarsi anche sullo sviluppo del potenziale umano. Siamo in questo periodo particolarmente oppressi dalle crisi finanziaria e climatica, e questo a volte ci distoglie dal preoccuparci anche e soprattutto della crisi delle risorse umane, il che comporta un assurdo spreco di talenti. In questo modo abbiamo sprecato moltissime risorse, trascurando l'esperienza del singolo e il patrimonio dei saperi delle comunità. È ormai un’esigenza ineluttabile quella di trasformare Ravenna e le altre realtà del territorio in un ecosistema creativo di Comunità del Sapere, che crescerà con gli scambi, la pluralità di esperienze, valori sociali di tutti i partecipanti, nel rispetto del territorio, del paesaggio e di loro stessi. L'economia prospera grazie a talento e sapere. Il potenziale umano è una preziosa 'fonte-risorsa' per riuscire anche a produrre il necessario profitto: il benessere degli individui non dipende infatti solo dalla soddisfazione dei loro bisogni materiali, ma anche dalla soddisfazione dei loro bisogni sociali, come fiducia, amicizia, famiglia e solidarietà. Nuovi modelli per il nostro futuro che possono essere sviluppati in conformità con quanto recita la nostra Costituzione: "L'iniziativa economica [...] non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali". Un nuovo modello di sviluppo in cui la società civile sia impegnata attivamente nella sfera pubblica e privata, al fine di ottimizzare le aspirazioni e i sogni di tutti e creare, in tal modo, un'economia di comunità basata sul Profitto per tutti, dando la possibilità a tutti di scegliere. Generare finalmente un'economia (ovvero la cura della propria casa) che recherà vantaggio sia agli imprenditori che ai lavoratori, così come alle comunità e soprattutto all'ambiente. L'utilizzo corretto dell'ambiente e la no-


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Che dite? Tutto questo è utopia? Quando sei convinto che a trecento metri ci sia quello che vuoi raggiungere, li percorri e ti rendi conto che l'utopia è trecento metri più in là, e così via. Per questo ti dici: "Allora è veramente irrealizzabile". Invece no, perché c'è un aspetto positivo: che si sta camminando, e quindi l'utopia si realizza strada facendo, perciò allora…. zaino in spalla e tutti in cammino.

pira

stra riconciliazione con esso rappresentano il fulcro centrale di una nuova ECOnomia. La mancanza di una pianificazione sostenibile, i flussi di turismo stagionalizzati e l'avidità economica hanno portato a uno sviluppo urbano troppo rapido e squilibrato del nostro territorio. Le città hanno perso l'antico rapporto con i paesaggi rurali. Questo ha messo a nudo i problemi connessi con un moderno sviluppo urbano, così come la bassa qualità e la mono-funzionalità delle periferie. Guardare alle transizioni del tessuto urbano e delle aree rurali e alle loro connessioni con il mare da un lato e l’entroterra di pianura e collinare dall’altro, dandoci l'opportunità di pensare e di raccontare noi stessi come una civiltà del Mediterraneo ed europea contemporaneamente. Man mano che ci riconciliamo con il nostro ambiente, dobbiamo anche guardarci dentro e riconciliarci con i nostri corpi. Abbiamo tutte le potenzialità per poter generare un territorio in cui i bisogni umani siano ben bilanciati con quelli della natura, e un luogo in cui le esigenze della nostra anima e dei nostri corpi siano in equilibrio. Riscoprire i ritmi e i tempi delle stagioni, Ravenna protagonista e guida di una area vasta romagnola può farsi promotrice di un nuovo modo di vivere un territorio rispettandone le abitudini; fare in modo che si sappia di più sulle sue tradizioni; incontrare le diversità; partecipare a ogni tipo di cultura e, ultimo ma non meno importante, farne un vero e proprio stile di vita. Riuscire finalmente a far somma di tutte le diverse componenti che collegano cultura contemporanea, patrimonio culturale, tempo libero, gastronomia, sport e nuove forme di mobilità, all'interno dell'area Romagna. Questo significa anche riappropriazione della conoscenza antica e contemporanea, che ci permetterà di vivere in armonia con il nostro ambiente, riscoprendo il gusto autentico del cibo e recuperando l'abilità manuale di riconnettersi con la terra, anche in ambienti urbani. Noi, che viviamo qui possiamo "riscoprire" il nostro territorio attraverso questo processo, così come il viaggiatore che lo scopre per la prima volta sente la nostra proverbiale ospitalità, si sente un membro della famiglia, immergendosi nella nostra cultura e, allo stesso tempo, la arricchisce. Ma uno dei necessari carburanti per generare finalmente un vero cambiamento deve essere anche quello generato dall’arte. L'artista è il connettore e il mediatore tra i diversi campi disciplinari e tra la varietà di linguaggi e culture. È un potente mezzo per coinvolgere la società, diventare il protagonista dell'innovazione sociale, in collaborazione con la cittadinanza. Proprio qui facendo solido riferimento al nostro patrimonio ma lanciati e aperti alla modernità, l'arte e gli artisti contemporanei possono essere valorizzati, non solo per la loro produzione artistica, ma anche per la loro capacità nel saper guidare un cambiamento desiderato e talvolta inaspettato.

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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE

Ecco momento più propizio per cercare e per comprare casa

Ampia scelta e possibilità di trattativa Ce ne parla il presidente Fimaa Ravenna,

Pierluigi Fabbri Per chi cerca casa, questo è un momento irripetibile. Il più propizio per ricercare con calma, data l’ampia disponibilità di immobili sul mercato, e per poter poi avviare una proficua trattativa. «Così come c’è stato il periodo del boom in cui vendere a ottimi prezzi era la cosa più facile del mondo – commenta Pierluigi Fabbri, presidente provinciale Fimaa Ravenna –, questo è il momento migliore per comperare. Questo non vuole dire che i prezzi siano stracciati ovviamente, perché i pezzi di maggiore qualità costano di conseguenza, ma certamente le aspettative dei venditori non solo le stesse di qualche anno fa. Dopo essersi fatti un’idea di ciò che si ricerca, il consiglio è quello di rivolgersi a un buon agente immobiliare in grado di offrire una consulenza a 360 gradi. L’agenzia riesce infatti a capire al meglio le richieste del cliente, nonché ad avviare una ricerca mirata che si basi realmente sulle sue aspettative». Il discorso cambia per chi si appresta al contrario a vendere. Qui la cautela è d’obbligo per non “bruciarsi” l’immobile e rischiare di tenerlo invenduto anche per parecchi mesi e anni, nei casi peggiori. Troppo spesso la tendenza del potenziale venditore è quello di inserire annunci privati in diversi giornali e siti web di settore, per poi spedire un’e-mail generica a una lista di agenzie immobiliari. In questo modo, sparando per così dire nel mucchio, si pensa di aver assolto al meglio la propria strategia di marketing. Peccato però che, soprattutto se l’immobile da vendere non è particolarmente appetibile, così facendo non si ottengano risultati. «Dopo aver sperato vanamente di vendere in quattro o cinque mesi – racconta Fabbri –, ecco che il cliente si decide finalmente a far visita a un’agenzia. Credendo che si possa ricominciare da zero, ossia senza essersi un po’ “bruciati” il proprio immobile, e invece non è così. Non si può azzerare lo sbaglio fatto ricominciando da capo, perché il danno c’è stato e rimediare richiede tempo. Molto meglio sarebbe che il potenziale venditore decidesse anzitutto di recarsi fisicamente in diverse agenzie immobiliari per farsi

MERCATO IMMOBILIARE

un’idea della quotazione di mercato e delle giuste strategie di marketing, prima di decidersi a fare qualsiasi passo da solo. Sbagliata è anche la scelta di dare l’incarico a più agenzie in contemporanea, perché ormai noi professionisti cerchiamo di seguire poche case ma bene per avere risultati tangibili. Giusto è invece informarsi se l’agenzia prescelta fa parte di un network o ha collaborazioni con altre realtà, per avere una comunicazione più capillare e diffusa». Non c’è nulla di più frustrante infatti di non riuscire a vendere la propria abitazione, soprattutto quando se ne ha necessità: è come trovarsi con una barca in mezzo alla burrasca senza riuscire a intravvedere le luci di un porto nelle vicinanze. Sul fronte legislativo, c’è attesa per la nuova finanziaria, anche se è ancora presto per capire se alcune idee che già circolano, avranno poi un riscontro. «In base alle prime anticipazioni – spiega il presidente provinciale Fimaa -, sembrerebbero confermate le agevolazioni fiscali per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e per riqualificare la casa con pannelli solari, fotovoltaico, etc. Queste sono certamente buone notizie, mentre per tutto il resto c’è completa incertezza: abbiamo appena pagato la Tasi che è in discussione per il prossimo anno, ma nulla viene detto di più».

www.fimaaravenna.it


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Comune di Ravenna

I Sedici

Il ruolo dell’Architettura contemporanea Ciclo di conferenze organizzate e promosse dal Gruppo Ravimm - Le Cantine di Palazzo Rava e dalla rivista dell’abitare TrovaCasa Premium (edizioni Reclam), con il patrocinio del Comune di Ravenna e Ravenna 2019 Coordinatore: Emilio Rambelli - Nuovostudio

Tutti gli incontri si terranno presso Le Cantine di Palazzo Rava - Via di Roma 117 - Ravenna Apertura mostra ore 20, inizio conferenza ore 21

Calendario 2014

Intervengono

Espongono

27 febbraio

Giovedì Casavecchia e Muratoria

Montini e Zoli

Ravenna

Faenza

Giovedì

20 marzo

Gabriele Montanari

Angeli e Brucoli

Unione Comuni Bassa Romagna

Studio Rava Piersanti

Faenza

Giovedì

17 aprile

Burroni e Dapporto

Faenza

Ravenna

Giovedì

Paolo Rava

22 maggio

Panbianco e Pretolani

Comune di Forlì

Forlì

Giovedì

Davide Cristofani

19 giugno

Faenza

Francesca Proni

Lazzarini e Pinoni Faenza

Giovedì

29 settembre

Studio Ellevuelle

Comune di Ravenna

Teprin Associati

Forlì

Giovedì

6 novembre

Ravenna

Emilio Agostinelli Soprintendenza di Ravenna

Inout Architettura Ferrara

Giovedì

4 dicembre

Piraccini e Baldacci Cesena

Info Ilaria Siboni - siboni.ilaria@gmail.com - cell. 338 1584910 Via Faentina 218s - Fornace Zarattini Ravenna tel. 0544 463621 - www.ravennainterni.com

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RAVENNA n. 93 ottobre

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