n. 94 NOVEMBRE-DICEMBRE 2014 TROVACASA PREMIUM.
Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
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RAVENNA n.94 novembre-dicembre
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contenuti
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casa bella casa
topografia e storia
storia e memoria
città e quartieri
architettura e imprese progettare il territorio
città e società
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Una villa nella prima periferia urbana ravennate firmata da Paolo Focaccia di Paolo Bolzani
Da S.Stefano in Tegurio a S.Stefano degli Ulivi Due chiese, un santo di Pietro Barberini
Eccellenze ravennati: tesori cristiani fra Bisanzio e Roma di Don Giovanni Montanari
In Darsena, fra progetti bonifiche e promesse, il futuro della città d’acqua di Chiara Bissi
I nuovi uffici a Mezzano della Tozzi Industries firmati da Nuovostudio di Paolo Bolzani
Il destino dei luoghi: i porti turistici e la vicenda di Marinara di Enrico Gaudenzi
I segni che si lasciano Intervista all’architetto Danilo Naglia di Marina Mannucci
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fotografie NOVEMBRE-DICEMBRE
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Trova Casa Premium è da 10 anni il magazine di riferimento per tutti gli esperti e appassionati di stile, architettura, arredamento e design e per tutti coloro che cercano casa a Ravenna e provincia. Nel 2015 uscirà con una nuova veste grafica, con originali proposte innovative per le offerte immobiliari e con l’abbinamento ad un nuovo Ciclo di Conferenze di Architettura che si allargherà a tutta la Romagna, coinvolgendo molti e qualificati esperti e professionisti .
Prossima uscita con nuova veste grafica 12 febbraio 2015
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edizione di Ravenna
Controcopertina L’ingresso in angolo sud-ovest dell’edificio B, nuovo cuore di Tozzi Industries, è segnalato da una grande pensilina a sbalzo, messa in evidenza dalla scelta di posare il fabbricato su un basso piano porticato per le autorimesse. Poco oltre scorre un tunnel in vetro e acciaio, posto al primo livello, che collega le due sedi vecchia e nuova, omaggiando con un largo brivido di piacere i percorsi e le viste inter-esterne.
SOLUZIONI
D’ARREDO L’EMOZIONE DELLA LUCE Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Enrico Gaudenzi, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Guido Sani, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Alberto Giorgio Cassani, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani, Maurizio Montanari.
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Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it
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Una nuova villa nella prima periferia urbana ravennate firmata da
Paolo Focaccia con Enzo De Leo e Francesco Pezzolla CASA BELLA CASA
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di Paolo Bolzani
Ecco un esito residenziale convincente per la vita di una giovane coppia con figli adolescenti
Questa nuova villa è stata costruita in un vasto lotto della prima periferia urbana ravennate: come recitano le norme del Regolamento Urbano Edilizio, si tratta di un’area a verde privato della Città di nuovo impianto. Ne è promotrice una coppia di genitori con due bimbi adolescenti, che decide di trasferirsi dalla principale cittadina del litorale nelle immediate vicinanze del capoluogo. Qui, per realizzare la “casa” della propria vita coniugale, chiama un gruppo di progettisti composto da Paolo Focaccia con Enzo De Leo e Francesco Pezzolla. Esito convincente è questo oggetto residenziale, realizzato in posizione centrale ad un piccolo parco di quasi 7000 metri quadri di superficie e leggermente rialzato dal piano di campagna. Viene raggiunto percorrendo un corsello in ghiaia che conduce prima a un edificio esistente, costituito da un proservizio degli anni Venti
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Focaccia: «il progetto persegue un’idea di casa come sintesi di tradizione e innovazione, secondo criteri di semplicità, leggibilità e coerenza, concretizzabili in una corretta sintesi fra spazio, struttura e involucro. Il primo scopo è stato quello di costruire un volume immediatamente riconoscibile, disegnando una forma geometrica chiara, sviluppata con direzione parallela all’assialità del lotto»
CASA BELLA CASA
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con tetto a capanna e doppio corpo affiancato ai lati, poi ad un piazzale adibito al parcheggio per quattro auto, situato a fianco della nuova abitazione. Quindi il primo tema che si nota allorché si varca il cancello carrabile riguarda la vastità dei traguardi visivi che si dipanano nello spazio verde. Oltre al susseguirsi di prati, cespugli e siepi, oltre agli alberi d’alto fusto preesistenti all’intervento, rimangono gli spazi per ritagliare le aree rispettivamente destinate al gioco dei bimbi, alla “cuccia” del cane e, leggermente appartato, ad un orto di grandi dimensioni. Con linguaggio pacato, l’architetto Focaccia mi illustra gli elementi fondanti dell’immagine della villa: «il progetto persegue un’idea di casa come sintesi di tradizione e innovazione, secondo criteri di semplicità, leggibilità e coerenza, concretizzabili in una corretta sintesi fra spazio, struttura e involucro». Da un punto di vista tipologico i progettisti concepiscono il nuovo edificio residenziale come un unico corpo longitudinale ad un unico piano di calpestio, allineato in direzione est-ovest in base allo sviluppo predominante del lotto, con la zona giorno posta nell’estremità occidentale e la zona notte in quella orientale reciprocamente collegate da un corridoio a tutta altezza su cui si rivelano le articolazioni della copertura. Il volume del corpo di fabbrica
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Da un punto di vista tipologico i progettisti concepiscono il nuovo edificio residenziale come un corpo longitudinale con un solo piano di calpestio, allineato in direzione est-ovest, occupante una superficie di quasi 180 metri quadri, calpestabili all’80%. Viene coperto da una serie di travi in legno lamellare e doppio assito ligneo, entrambi a vista e di colore chiaro, su cui si cela l’isolamento termico
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Lo spazio del pranzo trova la possibilità visiva e funzionale di proiettarsi in uno spazio inter-esterno, vale a dire il portico, in cui si continueranno a praticare i riti della convivialità nella buona stagione. La restante parte dello spazio living viene destinata al soggiorno, declinato da una coppia di divani affrontati e grande libreria in scaffali a giorno che si incarica di svolgere il ruolo di quinta unitaria
LIONS CLUB RAVENNA ROMAGNA PADUSA Anche quest’anno, nella splendida cornice di casa Vincenzi, si è svolta la tradizionale “Festa delle Ciliegie” all’interno della quale è stato consegnato, per il nono anno consecutivo, un cane guida ad una persona non vedente. Vogliamo ringraziare tutti quanti ci hanno aiutato e ci aiutano a perseguire questi nobili obiettivi.
viene risolto con un tetto a falda unica, che inverte l’andamento della pendenza o si articola in un susseguirsi di linee consecutive, con pendenze ora a displuvio ora a compluvio. Ciò avviene in particolare nell’ingresso alla villa, che definisce la propria identità e autonomia formale con l’inversione della falda rispetto a quella del corpo di fabbrica originale, l’avanzamento locale della cellula strutturale, l’inserimento di una pensilina orizzontale a sbalzo sul portone di ingresso e un differente trattamento cromatico, che qui stacca con un tono tortora rosato sul restante bianco avorio. In questo modo, complice un analogo avanzamento del volume sul fronte opposto sud, si viene a definire un crux originata dall’atrio di ingresso, servito a sua volta da una coppia di porte in rovere naturale con apertura a bilico che sezionano il lungo corridoio centrale. Fin dall’esterno si avverte come il tema compositivo sia quello della dilatazione della stecca del corpo di fabbrica – in pianta occupante un sedime rettangolare pari a 5,80 x 21,30 metri - mediante avanzamenti o arretramenti, corpi aggiunti totalmente chiusi o aperti a portico. Come spiega Focaccia, «il primo scopo è stato quello di costruire un volume immediatamente riconoscibile, disegnando una forma geometrica chiara, sviluppata con direzione parallela all’assialità del lotto e conclusa da una copertura lignea a falda unica». In questo modo, sul lato opposto alla medesima cellula strutturale dell’ingresso, si descrive un simmetrico piccolo ampliamento verso sud, in cui si inserisce la cucina che in questo modo si estroflette verso il parco. Questo movimento non risulta fine a se stesso. Infatti la frase compositiva si evolve nella costruzione di un portico, aperto sul lato sud e posizionato con la stessa linea inclinata del volume in aggetto della cucina. Viene risolto con un tetto che si raccorda al corpo principale inclinando simmetricamente verso un compluvio interno la falda unica di copertura e innalzando verso l’esterno la sequenza di teste di travi in legno lamellare, mentre qualifica ulteriormente il proprio ruolo adottando in parete lo stesso tono tortora rosato del-
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l’ingresso. In questo modo lo spazio del pranzo trova la possibilità visiva e funzionale di proiettarsi in uno spazio inter-esterno, vale a dire il portico, in cui si continueranno a praticare i riti della convivialità nella buona stagione. La restante parte dello spazio living viene destinata al soggiorno, declinato da una coppia di divani affrontati e grande libreria in scaffali a giorno che si incarica di svolgere il ruolo di quinta unitaria. Ma in realtà l’elemento determinante per la qualità dello spazio è la grande finestra quasi quadrata al centro della parete ovest che, mentre assicura intensità e qualità di luce, si trasforma in un quadro naturale ritraente la parte di parco attraversata dal corsello di ingresso. Complice del risultato risulta la pavimentazione in parquet a listoncini in rovere spazzolato posato sull’impianto di riscaldamento a pannelli radianti, bordata sul perimetro da uno zoccolino battiscopa in rovere, alto pochi
Nelle pagine precedenti diverse vedute dell’esterno e delladistribuzione interna della villa. In questa pagina, due particolari delle soluzioni strutturali e delle finestrature degli ambienti del sottotetto.
CASA BELLA CASA
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centimetri. Il medesimo “combinato disposto” tra volume in aggetto e stacco di colore scuro su fondo chiaro si verifica nelle pertinenze delle due camere da letto, vale a dire i bagni e la cabina armadio della camera matrimoniale, identificati a loro volta da un piccolo corpo autonomo di colore tortora rosato appoggiato a quello principale sul fronte nord ed est, risolto con copertura piana. Da un punto di vista costruttivo il lungo volume viene scandito da una serie di otto campate strutturali collegate da un unico scheletro in cemento armato. I muri di tamponamento sono costituiti da blocchi in termolaterizio con rivestimento a cappotto di 12 centimetri, mentre le finestre sono in alluminio a taglio termico di colore bianco con vetrocamera a lastre antisfondamento, protette da inferriate a piatti orizzontali tinte di bianco e segnalate da bancali in pietra serena. Il corpo di fabbrica occupa una superficie di quasi 180 metri quadri, calpestabili all’80 %, e viene coperto da una serie di travi in legno lamellare e doppio assito ligneo, entrambi a vista e di colore chiaro, su cui si cela l’isolamento termico. Il pacchetto di copertura si conclude con una camera di ventilazione e un manto in pannelli grecati in acciaio inox, dove trovano posto i pannelli fotovoltaici e quello del solare termico, a sua volta collegato alla caldaia di condensazione. L’intervista è finita. Mi alzo dal piccolo studiolo di Focaccia e scorgo un vecchio tecnigrafo, oggetto ormai desueto. Al mio sguardo interrogativo la risposta è pacatamente immediata: «quando è ora di pensare, penso con la matita e mi siedo al mio vecchio tecnigrafo, possibilmente da solo in studio».
CREDITI: • Progettisti: Paolo Focaccia con Enzo De Leo e Francesco Pezzolla;studio tecnico in viale della Lirica 49, 48124 Ravenna • Direttore dei lavori: Paolo Focaccia • Progettista strutturale: Ing. Daniele Cangini per Instudio Ingegneri Associati con studio tecnico in viale della Lirica 49, 48124 Ravenna • Collaboratori: Arch. Elena Mingozzi, Arch. Simone Mazzotti • Progetto degli impianti termotecnici ed elettrici: Multitecnica Studio tenico associato, via Belfiore 1 Ravenna • Impresa esecutrice: EdilOmnia S.a.S. di D'Ambrosio Angelo, via Ravenna 143/A Bellaria-Igea Marina (RN) • Altre imprese esecutrici: Lattonerie: Ravenna Grondaie s.r.l. via Torri 367, Torri (Ravenna) Elettricista: Apice Impianti Idraulico: Carlo Di Pardo
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Da Santo Stefano
in Tegurio
a Santo Stefano
degli Ulivi
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Fra Ravenna e Godo la storia di due chiese dedicate al primo venerato martire cristiano NOVEMBRE-DICEMBRE
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di Pietro Barberini
Il Lamone, all’epoca Teguriense, raggiunge Ravenna e, circondandola sul lato settentrionale, forma il porto di Santa Maria al Faro, dove confluisce il canale Badareno, derivato dal Po, fatto scavare dal re goto Teodorico sul finire del V secolo. Il nuovo assetto contraddistingue un lungo periodo, segnato dai governi bizantini e dai poteri dell’Arcivescovo, capace di dominare su vasti territori per quasi tre secoli. Agli albori dell’età comunale e con l’avvento di importanti corporazioni di mestiere, come quella dei pescatori della Casa Matha sul finire del X secolo, il fiume Tauro o Tegurio porta le sue acque, periodiche e limacciose, attorno alle mura della vecchia capitale bizantina. L’antico abitato di Vadum Gothorum, (guado dei Goti?) punto di transito verso Ravenna assume importanza fin
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La Pieve di Godo in Vadum Gothorum e Santo Stefano ad Balneum Gothorum in città che dal XIII secolo sarà Santo Stefano degli Ulivi. Nella prima metà del Trecento il monastero ospitò Antonia Alighieri, suor Beatrice. La via omonima conduce al portale dell’elegante edificio ricostruito nel 1757 da Domenico Barbiani. Una chiesa di campagna e un complesso monastico in città: luoghi di culto uniti da acque fluviali e termali. Il tempo nasconde, stendendo secoli d’oblio che l’idea dell’acqua torna a svelare
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dal secondo secolo. La chiesa di Santo Stefano in Tegurio è citata in un documento del 963. Lo scritto, dove è riportato un ponte di Gotho sul fiume Alimone, fa supporre che il Lamone a monte di Godo avesse quell’appellativo, per assumere poi la denominazione di Teguriense nel suo proseguimento fino a Ravenna, dove si avvicinava alla città presso la basilica di San Vitale. La leggenda farebbe risalire la pieve ai tempi di Galla Placidia, ma per le caratteristiche architettoniche e condizioni di sito non può non essere legata all’insediamento
L’interno della pieve secolare di Santo Stefano in Tegurio a Godo, che la leggenda farebbe risalire all’epoca di Galla Placidia, ma che i documenti fanno supporre si stata ben prima dell’anno Mille.
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Particolari della facciata di Santo Stefano degli Ulivi a Ravenna.
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delle pievi paleocristiane di area ravennate fra l’VIII e il IX secolo. Dopo la “rivoluzione” idraulica del XIII secolo, il fiume scorre più a Nord e il suo vecchio tracciato, con la strada alzaia, è tuttora visibile nella via principale, la Faentina, sulla quale si affacciano i principali edifici. La chiesa si erge appartata, sulla strada che conduce a Villanova di Ravenna, costruita in posizione leggermente elevata e con l’abside poligonale rivolta a Oriente. Attorno alla pieve sono stati effettuati diversi sondaggi e scavi archeologici che hanno portato a ipotizzare la presenza di un ampio nartece, che poteva verosimilmente contenere il fonte battesimale. All’interno dell’edificio sacro vi erano quattro colonne in marmo, d’epoca imperiale. Queste colonne sono state successivamente inglobate nel laterizio che ha reso uniforme il colonnato. Dopo le trasformazioni, restaurata dalle rovine della seconda guerra mondiale, la Pieve di Godo si presenta nella sua forma basilicale, a tre navate con pilastri in laterizio e colonnato a tutto sesto. Seguendo la strada costruita sull’orma lasciata dal Lamone abbandonato, il Teguriense, si giunge a Ravenna dove a Santo Stefano è dedicato un monastero femminile situato accanto alla chiesa e al monastero di San Giovanni Evangelista. A Santo Stefano degli Ulivi, in epoca medievale era monaca, col nome di Suor Beatrice, Antonia Alighieri, figlia del grande Poeta, rifugiato a Ravenna. La chiesa di Santo Stefano appare con l’appellativo di infra balnea o ad balnea gothorum, forse a memoria di antiche terme del tempo dei Goti. Le analogie fra la Pieve di Godo e la chiesa ravennate non sono soltanto legate al Santo Protomartire, bensì ai Goti. La pieve agreste è situata sul guado, l’altra in città viene ricordata come ad balneum gothorum. Siamo in prossimità della linea di costa, della foce portuale del Badareno, quindi non troppo lontani dall’acqua, che nel luogo ha lasciato forti ricordi storici: il naufragio sulla costa di Gallia Placidia e il precedente bacino cittadino del porto romano. La chiesa viene ricostruita da Domenico Barbiani nel 1757; sull’altare maggiore era raffigurata la “Lapidazione di Santo Stefano”. Nel 1882, quando la chiesa fu sconsacrata, in seguito alle leggi sulla soppressione degli ordini eclcesiastici, tutti i locali furono occupati da una succursale della Caserma dell’esercito. Dagli anni Venti del Novecento, divenne sede della Caserma dei Pompieri; a quel tempo vennero realizzati gli edifici posti nella parte retrostante la chiesa. Queste rimesse, tuttora in uso alla Polizia Municipale che da diversi anni ha sostituito i Vigili del Fuoco, sono state costruite nel tipico stile dell’epoca come molte strutture della zona portuale. Strano destino quello di Santo Stefano, protettore dei muratori: le sue costruzioni sembrano inseguire l’acqua!
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L’intradosso della cupola del Battistero degli Ariani col mosaico raffigurante il battesimo di Cristo e il corteo degli Apostoli che rendono omaggio al trono vuoto (Etimasìa) (fine V sec.). A destra, vista dell’interno del Battistero degli Ariani.
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Eccellenze
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Vista dell’esterno del Battistero degli Ariani e della facciata della Basilica dello Santo Spirito (inizio VI sec.).
di Don Giovanni Montanari [Presidente Archivio Arcivescovile di Ravenna]
Tante sono le Città d’Italia dotate di eccellenze artistiche peculiari e spesso esclusive. Questa scheda divulgativa vuol mettere l’accento sulle principali eccellenze di Ravenna, denominata con Roma, negli studi, quale città eterna: uno studioso ha precisato dagli Etruschi ai giorni nostri (Ravenna Eterna: Dagli Etruschi ai Veneziani, di Massimiliano David, Jaca Book, 2013). Il sommario, per capitoli principali, dovrà includere per Ravenna, a partire dal Porto di Augusto prima del 14 d.C., con la flotta della Classis prætoria: appunto i destini di Classe e della imponente Basilica paleocristiana classense come poli di attrazione. Ma tre monumenti funerari, mausolei di fama, sono emergenti: la tomba dell’imperatrice Galla Placidia (V secolo d.C.), la tomba di Teodorico (V-VI secolo d.C.), la tomba di Dante (sepoltura nel 1321). Sono sepolture che fanno memoria di costellazioni di eventi di storia della cultura che riempiono archivi storici e dotano biblioteche di fama mondiale nella letteratura. Una prima eccellenza deve essere indicata nei
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cicli musivi delle basiliche paleocristiane. Una seconda eccellenza deve essere veduta in singolarità della storia culturale: tale è il fatto che solo Ravenna, nella storia dell’Impero Romano, possiede la realtà di avere una Chiesa ariana, accanto all’imponente rilevanza della sua sostanza di Chiesa cattolica dei secoli imperiali. Chiese dell’Arianesimo storico, tra Oriente ed Occidente, sono state numerose ma presso nessuna c’è stato un fenomeno come il Re Teoderico: un Goto, barbaro romanizzato che vive, non sopravvive, nei monumenti della sua storia: la Cattedrale degli Ariani, con il Battistero degli Ariani e la Basilica del Palazzo teodericiano: la Basilica ora denominata Sant’Apollinare Nuovo. Nei musaici dei muri parietali di questa basilica sono da segnalare la rappresentazione della Città di Ravenna (a destra entrando), la Città di Classe-Porto (a sinistra) con i particolari delle navi per il porto, e dei plessi urbani dei monumenti di Ravenna cattolica (Cattedrale Ursiana, Battistero Ursiano-Neoniano,
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Vista della facciata della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo (fine V-inizio VI sec.; portico del XVI sec.).
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Vista del Mausoleo di Teoderico (VI secolo).
palazzo arcivescovile cattolico) quando il plesso ariano (Città ariana) è da vedere nei tre edifici definitivi ritratti in musaici comandati da Vescovi ariani e clero ariano: la cattedrale ariana (tuttora in Basilica dello Spirito Santo), il Battistero ariano tuttora accanto alla relativa Cattedrale degli Ariani. Nessun’altra città del mondo antico, in Oriente ed Occidente, all’infuori di Ravenna possiede, in edifici a tre navate, tale monumentale memoria della Chiesa ariana storica. Inoltre, in quella che era la Basilica ariana palaziale di Teoderico e nel Battistero ariano che vediamo decorato di cicli musivi, le simbologie ariane rappresentanti la fede cristiana ariana in contrasto con la fede cristiana della grande Chiesa cattolica sono documentate nei musaici stessi detti “pittura eterna”. Singiduno (sopravvivente in Belgrado) con altre città ariane, ha avuto le immagini ariane ma tutto è scomparso: solo Ravenna tramanda questa straordinaria memoria storica, Rimini (Ariminum), che va sempre tenuta presente come straordinaria città imperiale romana interessante Ravenna, ha ospitato il celebre “concilio” filoariano del 359 con oltre 500 vescovi, ma fa storia di “transizione”, mentre la storia di ariana duratura di Ravenna è tuttora insegnata dalla “cattedra” dei monumenti. L’eccellenza dei cicli musivi ravennati porta, dunque, a sottolineare peculiarità che a Roma stessa sono presenti ma con “incertezze”. Ad esempio i musaici capitali di Santa Pudenziana sono stati manomessi, mentre le grandi absidi di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano hanno subìto amplissime trasformazioni con addizioni spropor-
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zionate. A Ravenna San Vitale e Sant’Apollinare in Classe devono essere additate come conservazioni di eccezionale integrità e durata. Una forma di peculiarità ravennate che non mette conto di considerare esclusiva ma che certo pare diversità per rapporto a Roma è la certezza della committenza nei due importanti casi del vescovo Pietro Crisologo (per i monumenti placidiani) e dell’arcivescovo Massimiano per la superba imperiale Basilica di San Vitale in rapporto all’imperatore Giustiniano e alla moglie Teodora. Il Crisologo è certamente responsabile della disposizione cultuale biblico-liturgica del ciclo intero del Mausoleo di Galla Placidia e della connessa Basilica di Santa Croce. Mentre la pregnanza dei significati cristologici-imperiali di San Vitale è apporto teologico dovuto all’Arcivescovo Massimiano che ha creato una sintesi straordinaria di coniugio sorprendente tra Costantinopoli per l’Oriente e Ravenna-Roma per l’Occidente. Per Costantinopoli la prelazione di riferimento dovrà rimanere Santa Sofia, ma dove, a Santa Sofia, si troveranno i ponti di un tragitto che coinvolga il massimo ravennate di San Vitale e Sant’Apollinare in Classe con le realtà della capitale di Costantino e dei successori fino al VI secolo?
Tutte le foto sono di Alberto Giorgio Cassani
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In darsena fra progetti, bonifiche e promesse, il futuro della
città d’acqua di Chiara Bissi Il futuro della darsena di città sarà scritto nel piano operativo comunale (Poc), in via di approvazione nelle prossime settimane, e non oltre gennaio 2015, promette l’assessore all’urbanistica Libero Asioli. Sono oltre due gli anni di ritardo per un documento che pone le basi per la rinascita della zona industriale parzialmente dismessa, più prossima al centro storico. Una scommessa che ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione del dossier per la candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura 2019. La darsena, nelle intenzioni, diventa paradigma di una rinascita e di una disposizione a cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, da progettazioni votate alla sostenibilità ambientale, da misure sociali inclusive, da prassi tutte volte al benessere dei cittadini. Un’opportunità, quella della candidatura, mancata che avrebbe consentito l’arrivo di cospicui finanziamenti, e che ora lascia l’obbligo di coltivare con pragmatismo e senso di responsabilità il sogno di una nuova e vivibile darsena di città. Periferia anomala, da sempre visceralmente legata alle vicine attività produttive poste sul canale Candiano, il quar-
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Entro gennaio 2015 il piano operativo comunale (Poc) definirà il destino delle aree dismesse mentre si aspetta il progetto per eliminare la cesura fra il canale e la città storica
tiere Darsena, si sviluppa a destra e parzialmente a sinistra di via Trieste procedendo in direzione del mare, ed è forse uno dei più documentati e studiati della città. Lo sviluppo dell’area per tutto il Novecento è strettamente condizionato dall’economia locale ma anche dai grandi eventi della storia. L’impronta popolare, l’omogeneità sociale sono stati per decenni marchi indelebili per il quartiere, che ne hanno condizionato la fortuna, finché la politica, l’impresa, gli investitori e la città intera non hanno cominciato a capire le potenzialità illimitate di quella porzione di canale che si esaurisce a poche centinaia di metri da piazza del Popolo. Anche se la percezione odierna dilata l’orizzonte, tenendo ancora pre-
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clusa al centro storico la via d’acqua verso il mare. Volgendo lo sguardo al passato, dalla grande opera idraulica del cardinale Alberoni del 1737, alle successive banchine realizzate da Camillo Morigia, ora purtroppo perdute, è possibile riconoscere nella costruzione della stazione ferroviaria nel 1863, con la demolizione di parte delle mura, l’evento che segna di più lo sviluppo urbano, definendo il settore est come quello naturalmente votato alle nascenti attività industriali. La cesura dei binari e il grande viale alberato che porta a piazza del Popolo separano di fatto la città dal proprio cuore produttivo. Così la fabbrica dello zolfo Almagià del 1887, la nuova Pansac ex canapapificio del 1905, il mulino Spagnoli (1912) e la ex Montecatini (1905) rappresentato gli elementi di un sistema in via di espansione. Presenze che giustificano le prime lottizzazioni del 1938 – 1943 sorte in via Lanciani e in via Grado. Su via Trieste e in alcune traverse sorgono invece casette unifamiliari, abitate da forza lavoro occupate al porto oppure da contadini e braccianti che conservano un forte legame con la campagna circostante. Pochi i villini di pregio posti sulla prima parte di via Trieste. La seconda guerra mondiale poi colpirà con durezza la zona portuale e la vicina stazione ferroviaria. Fra le prime leggi repubblicane, post belliche si segnala il dispositivo che permetterà l’avvio del piano Ina Casa dal 1949 – 1956 e dal 1957 al 1963. Prenderà corpo così una periferia definita “dignitosa”, condomini a cinque piani fuori terra su via Trieste, come già su via Lanciani e via Grado. Vie che daranno il nome al quartiere prima della più nota definizione Darsena. Uno sviluppo che il
Nella pagina a sinistra, l’unico, imponente, edifico residenziale, firmato dall’architetto Cino Zucchi, che si specchia sul waterfront della Darsena di Città, circondato dai ruderi della vecchia area industriale. Sopra e sotto, due vedute aeree del grande quartiere in parte popolare, in parte ex industriale in fase di riqualifcazione, a est di Ravenna, fra il centro e il mare. Foto di Fabrizio Zani e Alberto Giorgio Cassani.
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I rendering dei progetti di sistemazione, già resi pubblici alcuni anni fa, di due grandi comparti, in destra e sinistra del canale Candiano, affacciati sulla darsena. In alto, quello della Cmc, qui sopra quello del Cap.
CITTÀ E QUARTIERI
piano regolatore del 1942 contiene non lasciando spazio a espansioni irregolari, tenendo come assi principali via Trieste, via Gulli. Fra gli edifici da ricordare la chiesa di San Pier Damiano del 1955, piazza Medaglie d’Oro, la scuola di via Aquileia “Drago Mazzini” del 1956, la casa torre di Lenci del 1969, il parco Mani fiorite del 1986, la casa firmata dagli architetti Naglia e Gamberini su via Gulli e il pala de André del 1990. Un secolo di storia che ha visto nascere e morire la Società anonima raffinazione olii minerali (1950 – 1985), area votata alla riconversione, in un primo tempo come polo della nautica e oggi ancora in attesa della bonifica definitiva e di una nuova destinazione. Una storia densa con risvolti sociali importanti, con la città guardinga e diffidente nei confronti della periferia operaia, popolosa e irrequieta a differenza dei borghi storici ormai sopiti e riqualificati. La Darsena aspetterà fino agli Novanta per avere una compiuta riqualificazione con il piano regolatore 1993 che la vuole al centro della nuova azione di programmazione urbanistica. Dopo progetti e discussioni il prg vincola la Darsena alla cosiddetta cintura verde e mette nero su bianco l’imperativo della riconversione dell’asta terminale del Candiano, 136 ettari, dei quali 114 fondiari, 12 d’acqua, un waterfront di 2 chilometri, oltre 40 proprietari. La Darsena viene collegata alla cintura verde da un circuito di permute, poi seguono il programma di riqua-
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lificazione urbana del 1997, nel 1998 si aggiunge un programma che alla riqualificazione associa lo sviluppo sostenibile del territorio, fino al master plan di Stefano Boeri che oggi rappresenta la traccia concreta sulla quale si muove il nuovo Poc per il recupero del comparto. Una vicenda lunga, attraversata da esperienze come il processo partecipativo “La darsena che vorrei” con centinaia di cittadini coinvolti, ma anche da forti polemiche. Dalla costruzione del ponte mobile sul Candiano, definito “immobile” per le difficoltà connesse alle aperture, rarissime e assai onerose; per passare al magazzino ex Sir, il cosiddetto Sigarone, prima destinato alla demolizione, poi oggetto di un progetto di riqualificazione non ancora andato in porto; fino al tema delle bonifiche, del canale in primo luogo, oggetto di una prescrizione urbanistica del nuovo Poc, con gli extra oneri destinati al risanamento delle acque, addebitati ai proprietari delle aree. A questo si lega la bonifica dei terreni dei comparti affacciati sul Candiano e la regolazione degli scarichi fognari: si pensi alla ex Montecatini, dove venivano prodotti concimi chimici, o all’area del tiro a segno, della Nuova Cementi Ravenna, della Cmc con il bitumificio ancora in funzione, e della Sir. Questioni da affrontare con decisione se come indica il Poc si vuole trasformare la porzione sul canale in un quartiere smart, con ampi parchi, poco residenziale concentrato in altezza, spazi commerciali con attività di piccola ristorazione, attività culturali ospitati in edifici di archeologia industriale, mobilità leggera, con un limite forte alla presenza di auto e una costante attenzione alla sostenibilità ambientale del costruito. Un avamposto di quello che potrebbe essere il futuro dell’area è rappresentato dalle attività culturali ospitate all’interno dell’Almagià ex fabbrica dello zolfo, e da locali di culto per la qualità dell’offerta e della ricerca come il Barnum sui via Magazzini Posteriori o da esperienze recenti come il vicino Dock 61. Più nebuloso appare il destino della stazione ferroviaria, dall’inizio del Novecento oggetto di progetti di spostamento mai concretizzatisi. Dopo i ripetuti annunci della realizzazione di un attraversamento pedonale sulla stazione, necessario a cancellare la cesura costituita dai binari, ora si torna a riflettere sulla possibilità di uno spostamento dello scalo a nord, al limitare del parco Teodorico e di un tunnel ferroviario e stradale sotto il canale o di uno spostamento ad ovest in prossimità di Fornace Zarattini. Ipotesi futuribili, in tempo di forte contrazione delle risorse pubbliche. Rimane per ora un quartiere “storico” a destra di via Trieste con un istituto comprensivo, la sede del consiglio territoriale che garantisce i servizi di base per tutto il quartiere, la Casa delle culture, una rete commerciale diffusa, e un palazzo dello sport votato all’ospitalità di grandi eventi, spettacoli, esposizioni e fiere.
In alto, due mappe tratte dal Poc della Darsena, lo strumento urbanistico comunale in prossima fase di approvazione. Sopra, il ponte mobile, che segna la separazione fra la Darsena di città e il porto commerciale e industriale San Vitale.
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Crisi del settore edilizio. Che fare? Il punto di vista di Giovanni Dallara presidente di Snoopy Casa e vicepresidente di Federabitazione Emilia Romagna L’ntervento di San Pancrazio
Le cause che hanno determinato il crollo nel settore immobiliare non era inevitabile ma sicuramente, con una politica più attenta e rivolta riguarda solo il nostro territorio ma anche altre regioni e paesi. I mo- anche all’edilizia sociale, avrebbe avuto connotati diversi, in quanto tivi che, unitamente alla crisi economica, hanno accentuato le diffi- diversamente si sarebbe sviluppato il mercato delle aree. Oggi si stima che servono oltre 3 milioni di alloggi in locazione a cacoltà possono essere individuati : - In una pianificazione urbanistica esasperata con espansione delle none calmierato (canone pari al 25-30% del reddito familiare). Si pensi che in Italia le case in affitto rappresentano meno del 20% di aree edificabili; tutto il patrimonio immobiliare contro il 39% della Francia o del 58% - assenza di una politica sociale della casa; - istituti di credito disponibili a finanziare anche operatori occasio- della Germania. Se poi si analizzano i dati relativi all’edilizia sociale i numeri risultanali. Questa nuova situazione ha iniziato a materializzarsi a metà degli no percentualmente ancora più preoccupanti. In italia gli alloggi di anni Novanta. All’epoca la politica del territorio è stata elaborata edilizia sociale offerti a canoni agevolati rappresentano appena il non sulla base dell’effettiva esigenza dei cittadini ma su quella ri- 4% contro una media comunitaria del 20%. Oltre settecentomila sochiesta da immobiliaristi prestati all’edilizia. Oggi si tende a sottova- no le domande inevase di case pubbliche. Numero altamente deficilutare questo aspetto che è tanto reale quanto è grande l’attuale tario se consideriamo che in Italia non c’è un dato statistico preciso crisi. Neanche gli operatori storici si sono immediatamente accorti sulla richiesta di alloggi di edilizia sociale, a causa delle autonomie dei rischi di quelle iniziative. E oggi siamo qui a contare le “vittime” nella formazione delle graduatorie da parte di Regioni, Provincie e che sono, ovviamente, fra le imprese del settore e le proprie mano- Comuni. valanze che dopo la cassa integrazione forse dovranno trovarsi un La Cooperazione Edilizia si augura l’avvio concreto di nuove politinuovo lavoro. Chi ha utilizzato la bolla speculativa, grazie anche alla che abitative che possono rispondere alle esigenze improrogabili di complicità degli istituti di credito che non si sono risparmiati a finan- quelle categorie sociali più disagiate, con una serie di provvedimenziare questi operatori, oggi si è ritirato in buon ordine lasciando ti rivolti all’edilizia sociale. Le amministrazioni comunali nel determinare le aliquote delle imposte sulla casa devono prestare attenzione scheletri qua e là. La Regione Emilia Romagna con la Legge 6/2009 “Governo e riquali- a non confondere l’alloggio sociale con chi possiede la seconda caficazione solidale del territorio” ha richiamato le amministrazione lo- sa, come è già avvenuto nel 2012. Gli alloggi sociali realizzati dalle Cooperative Edilizie e dai privati sono cali ad una maggiore attenzione sui un beneficio per l’amministrazione e per diritti di tutti i cittadini. Infatti il benefil’intera comunità in quanto riducono il cio economico della trasformazione numero di alloggi che l’amministrazione edificatoria di un’area deve essere in locale avrebbe il dovere di realizzare a qualche modo ridistribuito fra tutta la proprie spese. popolazione introducendo una quota Rinnovare le città senza occupare nuovo obbligatoria del 20% di arre o superfici suolo può vuol dire anche delocalizzare, destinate all’ERS. creare servizi dove non esistono o rinnoCon una più oculata gestione, da parte Via Pirano, n. 26 - RAVENNA vare quelli esistenti, vuol dire creare delle amministrazioni locali, degli strunuovi spazi a verde e di aggregazione, menti urbanistici da approvare con inTel. 0544-423745 Cell. 335-1310058 vuol dire mettere in sicurezza edifici che serimento di aree per l’edilizia sociale info@snoopycasa.it hanno problemi statici oltre che di effi(ex aree PEEP) la crisi avrebbe avuto lo cienza energetica. stesso peso? Noi crediamo che la crisi www.snoopy casa.it
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Proponiamo in vendita immobile di prestigio con corte privata (possibilità di accesso a due auto) composto da: Piano Terra: ingresso, cucina abitabile, sala da pranzo, ampio disimpegno, bagno, salotto con camino. Piano Primo: 2 ampie camere matrimoniali, studio, bagno, ampio disimpegno con armadi a muro. Sottotetto con servizio e ripostiglio. Classe energetica “F” KWh/m²/anno 191,79 (Rif.: 9210) € 380.000,00
RAVENNA, VIA CANALE MOLINETTO In palazzina di recente costruzione, al piano primo si vende appartamento ben tenuto e ben rifinito: soggiorno con angolo cottura, due letto, bagno, tre balconi. Risc. aut., ascensore. Classe Energetica “F” Kwh/m²/anno 206,50 (Rif: A5046) € 165.000,00
RAVENNA, ZONA COMET
RAVENNA, PONTE NUOVO
Appartamento tutto al P.T. con ampio giardino privato, composto da: ingresso indip. con loggiato, soggiorno con angolo cottura, disimpegno notte, camera matrimoniale, studio, bagno. Al piano seminterrato ampio garage con cantina. Classe energetica “F” KWh/m²/anno 56,25 (Rif. 9244) € 165.000,00
Appartamento al terzo piano con ascensore, molto luminoso, con terrazzo abitabile, salone con cucina a vista, 2 camere, bagno. Posto auto e cantina al piano interrato. Risc. aut. Classe energetica “C” KWh/m²/anno 61,44 (Rif. 00033) € 159.000,00
RAVENNA CENTRO
Abitazione su tre livelli, al piano strada ingresso indipendente con portico, atrio, angolo cottura, cucinapranzo, soggiorno con balcone; al primo piano disimpegno, camera matrimoniale con bagno, due ampie camere da letto e bagno; nel piano primo sottostrada livello giardino sono ubicati lavanderia, ripostiglio, bagno e tavernetta insonorizzata con ampia vetrata sul giardino parzialmente pavimentato in legno marino. Ottime rifiniture (riscaldamento a pavimento, clima e antifurto). Classe energetica E, kWh/m2/anno 167,03. Rif. GSC76 € 490.000,00
RAVENNA, VIA NICOLODI Ottimo appartamento disposto su due livelli: Piano Primo: cucina abitabile con terrazzo, soggiorno con affaccio su ampio terrazzo abitabile di mq. 40, bagno con antibagno. Piano Secondo: 2 camere una con terrazzo, guardaroba, bagno. Risc. aut. Classe energetica “E” KWh/m²/anno 163,33 (Rif. A5098) € 180.000,00
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I nuovi uffici della
Tozzi Industries firmati da Nuovostudio ARCHITETTURA E IMPRESE
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Davanti alla vecchia fabbrica dello Zuccherificio di Mezzano, poderosa “cattedrale del lavoro” di inizio Novecento, ecco, oltre la strada, tre palazzine, denominate rispettivamente A, B e C, che si schierano in fila mentre ci si inoltra nel grande lotto trapezoidale di quasi due ettari, dei quali quasi 8000 metri quadri destinati a verde e modellati con mano sicura dall’architetto paesaggista Daniela Moderini di Venezia
di Paolo Bolzani
Il grande Gruppo ravennate sorto dalla tenacia di Arturo Tozzi rinnova il look della propria sede a Mezzano, costruisce un nuovo edificio dirigenziale e un vasto magazzino per deposito e per aziende
Mezzano, via Zuccherificio, sabato 27 settembre. Si inaugurano i nuovi uffici della Tozzi Industries, gruppo ravennate di cui fanno parte aziende attive in Italia e all’estero nel settore della progettazione, produzione e installazione di impianti elettrici, strumentazioni e centrali di produzione di energia da fonti rinnovabili, in cui lavorano più di seicento collaboratori, guidati dal Presidente Mario Tozzi. Nell’occasione il parco pubblico adiacente alla sede della Tozzi Holding viene intitolato ad Arturo Tozzi (1906-1968), fondatore del Gruppo e protagonista della cultura del lavoro a partire dal mulino per la macinazione delle granaglie e alla piccola centralina idroelettrica che garantiva la luce a Casola Valsenio; poi il trasferimento in raffineria a Ravenna e l’apertura della prima Azienda Tozzi. Davanti alla vecchia fabbrica dello Zuccherificio di Mezzano, poderosa “cattedrale del lavoro” di inizio Novecento, oltre la strada si profilano tre palazzine, denominate rispettivamente A, B e C, che si schierano in fila mentre ci si inoltra nel grande lotto trapezoidale di quasi due ettari, dei quali quasi 8000 metri quadri destinati a verde e modellati con mano sicura dall’architetto paesaggista Daniela Moderini di Venezia. La prima in realtà (2862 metri quadri) è l’esito gradevole del restyling della sede direzionale esistente, una palazzina a tre piani realizzata nei primi anni Settanta su progetto dell’ingegnere Clio Antonellini e, come spiegano gli architetti Emilio Rambelli e Stefania Bertozzi di Nuovostudio, «fortemente connotata da un pregevole carattere razionalista» che ha fornito, nei suoi tratti principali, «una serie di spunti tipologici e
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Come spiegano gli architetti Emilio Rambelli e Stefania Bertozzi di Nuovostudio, l’edificio originario, denominato A, è una palazzina a tre piani realizzata nei primi anni Settanta su progetto dell’ingegnere Clio Antonellini. Si mostra «fortemente connotata da un pregevole carattere razionalista» che ha fornito, nei suoi tratti principali, «una serie di spunti tipologici e compositivi all’approccio progettuale dei nuovi corpi di fabbrica: la conformazione dell’edificio con la grande corte interna su cui affacciano gli elementi distributivi dell’immobile; la struttura a pilastri e travi, denunciata dall’arretramento dei tamponamenti, che diviene parte sostanziale nella definizione estetica del manufatto»
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compositivi all’approccio progettuale dei nuovi corpi di fabbrica: la conformazione dell’edificio con la grande corte interna su cui affacciano gli elementi distributivi dell’immobile; la struttura a pilastri e travi, denunciata dall’arretramento dei tamponamenti, che diviene parte sostanziale nella definizione estetica del manufatto; la caratterizzazione delle fronti, con grandi finestre corredate da “palpebre” orizzontali esterne; l’ingresso principale, denunciato dalla rilevante pensilina a sbalzo». Seguono i corpi di fabbrica B (3300 metri quadri) e C (5747 metri quadri), rispettivamente destinati
il primo a nuovi uffici e il secondo a depositi, attività artigianali e laboratori di ricerca, costruiti per l’occasione su progetto dello studio ravennate in evoluzione linguistica dal corpo A. Da ciò deriva una scelta compositiva in cui si conferma con chiarezza la cifra stilista di Nuovostudio, improntato ad un razionalismo che riallaccia i fili di una storia ormai antica, avviata con la Bauhaus di Gropius. Se nell’edificio A il ritmo di vetrature era dato dalla sequenza dei pilastri portanti in cemento armato a vista e dalla sequenze di “palpebre” frangisole, nell’edificio B, in virtù del loro arretramento
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L’ingresso in angolo sud-ovest dell’edificio B, nuovo cuore di Tozzi Industries, è segnalato da una grande pensilina a sbalzo, messa in evidenza dalla scelta di posare il fabbricato su un basso piano porticato per le autorimesse. Poco oltre scorre un tunnel in vetro e acciaio, posto al primo livello, che collega le due sedi vecchia e nuova, omaggiando con un largo brivido di piacere i percorsi e le viste inter-esterne. Protetti dalla grande pensilina accediamo ad una piacevole hall di ingresso a doppio volume, in cui viene proiettato in loop un video sulle molteplici attività e location del Gruppo Tozzi
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si definisce un unico nastro vetrato da cui emerge una veletta continua a ciascun piano, collegata con elementi verticali a disegnare segni continui su due o tre direzioni consecutive, che costituiscono ormai una firma “rambelliana” di Nuovostudio. Si tratta di «una sorta di alettatura profonda m 1,50 che garantisce grande comfort nelle diverse stagioni dell’anno», precisano gli architetti, poiché è in grado di schermare la luce zenitale estiva e di accogliere i raggi inclinati del sole invernale, che «penetra attraverso le grandi vetrate e contribuisce a riscaldare naturalmente l’edificio, migliorandone al contempo le prestazioni in termini di comfort e di risparmio energetico». Si tratta di un edificio a quattro piani fuori terra, composto da due corpi di fabbrica paralleli destinati ad ospitare uffici, sale riunioni e sala conferenze, chiusi a quadrilatero dai blocchi servizi e dai collegamenti verticali ai piani. L’ingresso in angolo sud-ovest è segnalato da una grande pensilina a sbalzo, messa in evidenza dalla scelta di posare il fabbricato su un basso piano porticato per le autorimesse. Poco oltre scorre un tunnel in vetro e acciaio, posto al primo livello, che collega le due sedi vecchia e nuova, omaggiando con un largo brivido di piacere i percorsi e le viste interesterne. Protetti dalla grande pensilina accediamo ad una piacevole hall di ingresso a doppio volume, in cui viene proiettato in loop un video sulle molteplici attività e location del Gruppo Tozzi. Qui ha origine il secondo tema progettuale, si potrebbe dire “materico”, poiché ne è grande protagonista il rovere biondo a partire dal banco reception, fino ad avvolgere gran parte degli corridoi di distribuzione dei percorsi ai piani e diviene parete-divisoria nelle sale (sala conferenze, sale riunioni, cucina e sala ristorazione dirigenti) e pareti-contenitore negli uffici dirigenziali, opportuni fondali per il lavoro decisionale, tra eleganti soluzioni in arredo in legno scuro, mobili in pelle nera, tappeti orientali e calibrati inserti di preziose opere d’arte degli ultimi tre secoli. Sporgendoci oltre, ci accorgiamo di trovarci in angolo ad una grande corte interna di 15 x 24 metri, il cui pavimento in legno trasforma lo spazio in patio, pronto a configurarsi come «una sorta di “giardino intercluso”». Qui ci appare con evidenza la seconda citazione di Nuovostudio, a partire dalla corte bordata dalla sequenza di lastre di cristallo termico: la Bibliotheque Nationale di Dominique Perrault, ma con un tono più ciliegio rispetto al rovere dei camminamenti e delle sale di Mezzano. Inoltre nel patio di Tozzi Industries al posto della foresta parigina ecco apparire una composizione di palme, che lasciano ampi spazi per le visioni metafisiche di un’algida figura muliebre e un’articolata coppia con tunica di Angelo Biancini (Castelbolognese, 1911 – Faenza, 1988), protagonista della scultura e dell’arte ceramica italiana del Novecento. In chiusura, gli architetti Rambelli e Bertozzi ci chiedono di poter rivolgere un sentito ringraziamento ai «fratelli Tozzi e in particolare Franco, che ci ha seguito e rispettato
come un committente di altri tempi, con un rapporto di stima reciproca; tutte le persone che hanno fatto parte del progetto, dai progettisti specialistici ai consulenti, a tutte le imprese realizzatrici; infine ai tecnici istruttori degli uffici tecnici del Settore Edilizia Privata del Comune di Ravenna, che ci hanno accompagnato nel corso del processo amministrativo con disponibilità e competenza». Tutte le fotografie del servizio sono di Alessandra Chemollo (Venezia)
Crediti Progetto e direzione lavori: Nuovostudio - Architettura e Territorio, Ravenna (Emilio Rambelli, Gianluca Bonini, con Stefania Bertozzi e Giovanni Mecozzi) Architetto paesaggista: Daniela Moderini, Venezia Strutture: Sermonesi & Partners, Ravenna General Contractor: Tozzi Industries srl (dott. Claudio Ricci) Direzione Tecnica: Tozzi Industries srl (ing. Alberto Pezzi) Imprese Edili: Acmar spa, Ravenna; SL Venturini srl, Lugo (RA) Costo complessivo dell’opera: 15 milioni di euro
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I Sedici
Emilio Agostinelli Una lunga esperienza fra Antico e Moderno del dirigente della Soprintendenza ravennate
Internoundici e Abita I progetti dei giovani Piraccini & Baldacci [vincitori del concorso di idee Hub] Emilio Roberto Agostinelli, Architetto Direttore Coordinatore della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna direttore, da una parte, e i giovani progettisti cesenati Piraccini e Baldacci dall'altra, saranno i protagonisti dell'ultimo appuntamento annuale de "I sedici - il ruolo dell’architettura contemporanea". Il ciclo di conferenze è promosso e organizzato dal Gruppo Ravimm e dalla rivista dell’abitare Trovacasa Premium, con il patrocinio del Comune, a cura dell’architetto Emilio Rambelli di Nuovostudio. L'incontro, in programma il 4 dicembre nelle Cantine di Palazzo Rava a Ravenna, prosegue il confronto scambio ideale due diverse generazioni di professionisti ed esperti dell'architettura. Alessandro Piraccini e Christian Baldacci presenteranno in mostra quattro loro recenti progetti mentre, a seguire, l'architetto Agostinelli parlerà, in virtù dei suoi 25 anni di lavoro in Soprintendenza, "Dell'Antico e del Moderno".
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Emilio Roberto Agostinelli, leccese, classe 1958, si laurea a pieni voti nel 1983 in Architettura all’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi in Restauro dei Monumenti. Nel 1990, vince il concorso nazionale indetto dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, con la qualifica di “Architetto Direttore” presso la Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, con funzioni di tutela e sorveglianza nei comuni di Cesena, Ravenna e provincia. Come funzionario della Soprintendenza è stato direttore della basilica di S. Apollinare in Classe e del Palazzo di Teodorico. Quale progettista e direttore lavori ha operato nei cantieri di restauro ravennati di S. Apollinare Nuovo, S. Apollinare in Classe, S. Vitale, Battistero Neoniano, ex complesso Benedettino S. Vitale, S. Nicolò, S. Domenico, S. Maria Maggiore, S. Francesco, Cattedrale e Antico Episcopio; in Romagna si è occupato a Faenza del Duomo e della Fonte di Piazza del Popolo, della Fontana Masini a Cesena. Dal 2006 prende il ruolo di “Architetto Direttore Coordinatore” della Soprintendenza ravennate e, con funzioni di rappresentanza e presidenza, è membro di commissioni di pubblici concorsi e di collaudo di interventi di restauro e riqualificazione di edifici e aree storiche e monumentali. Inoltre è referente di progetti ministeriali sul territorio della Soprintendenza mirati all’incremento dell’offerta museale, al miglioramento dei siti demaniali, all’ispezione dei Beni Paesaggistici, ai criteri antisismici, alla definizione e aggiornamento della Carta del Rischio del patrimonio Culturale. Ha svolto e svolge anche diverse attività didattiche: docente di “Teorie e Storia del Restauro Architettonico” presso la Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna; professore a contratto per l’insegnamento di Restauro Architettonico nel Corso in “Tecnologie per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali” a Ravenna dell’Università di Bologna; professore a contratto di “Conservazione dei materiali nell’edilizia storica” nel Laboratorio di Restauro Architettonico della Facoltà di Architettura a Cesena dell’Università di Bologna; docente in corsi specializzati sul restauro e i beni culturali organizzati da Istituti d’Istruzione Universitaria e post-Universitaria in varie sedi a Ravenna e in Romagna Da oltre vent’anni presta collaborazione tecnica e coordinamento per mostre ed eventi culturali organizzati dalla Soprintendenza ravennate. In occasione della conferenza, intitolata “Dell’Antico e del Moderno” l’architetto Agostinelli parlerà della sua esperienza più che ventennale come dirigente della Sopritendenza e anche della sua casa, dove risiede a Ravenna, di cui è anche autore del progetto.
A sinistra l’interno della basilicadi Sant’Apollinare Nuovo. Sopra, uno scorcio della casa ravennate dell’architetto della Soprintendenza Emilio Agostinelli, da lui stesso progettata.
Mostra concorso HUB L'iniziativa, a completamento del ciclo di incontri sull'architettura contemporanea alle Cantine di Palazzo Rava, nasce da un idea di Roberto Ravaioli di Ravimm, a cura di Emilio Rambelli e coordinata da Ilaria Siboni. La struttura oggetto del concorso Hub è lo stabile ex sede della Banca Popolare di Ravenna (attualmente Banca Popolare dell'Emilia-Romagna) di via Suzzi a Ravenna. Il tema dato era dare vita ad uno spazio di imprenditoria multifunzionale e di coworking, per start-up di imprese creative, associate o individuali. La gara di idee, ha cui hanno partecipato otto studi di architettura emergenti, gia ospiti delle conferenze “I sedici", è stata vinta da un progetto presentato proprio da Piraccini e Baldacci di Internoundici Architetture.
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Alessandro Piraccini nasce nel 1981, dopo gli studi tecnici frequenta la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” sede di Cesena. Durante gli studi frequenta numerosi workshop vincendo nel 2007 il premio Piranesi-Yourcenar a Villa Adriana, Tivoli. Si laurea nel 2008 e si trasferisce nello stesso anno a Genova dove rimane fino al 2010 collaborando con lo studio OBR, nel quale si occupa
IDEE E PROGETTI
di progetti e concorsi internazionali. Nel 2010 fonda Internoundici Architetture dove svolge l’attività progettuale tra incarichi privati e concorsi d’architettura, ottenendo numerosi riconoscimenti. Dal 2010 al 2014 collabora la Facoltà di Cesena come cultore della materia nel corso di Sintesi Finale “Archeologia e progetto di Architettura”.
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Christian Baldacci nasce a Cesena nel 1975, dopo gli studi tecnici frequenta l’Istituto Universitario di Architettura a Venezia IUAV dove nel 2003 si laurea con il massimo dei voti, durante gli studi collabora presso diversi studi di Architettura, nel 2004 apre lo studio ABITA architettureinterni svolgendo attività progettuale in diversi settori, residenziale, produttivo e architetture d’interni. Frequenta e supera i corsi di approfondimento presso l’Associazione Nazionale di Architettura Bioecologica ANAB a Bologna della quale è socio dal 2010. La collaborazione tra Piraccini e Baldacci nasce nel 2009 quando vengono invitati al Concorso per il nuovo centro parrocchiale Fulgor di Gambettola, in seguito vinto e tutt’ora in fase di realizzazione. Da questo momento si crea una stabile sinergia che porta alla realizzazione di numerosi progetti compiuti, i quali esplorano ogni ambito del progetto dalla scala urbana al design di interni. Filo conduttore della loro ricerca è un attenta lettura del paesaggio circostante ed una forte relazione tra forma e funzione che spesso caratterizza l’estetica dei loro progetti. L’attenzione all’artigianalità del mestiere mette in risalto l’aspetto esecutivo e lo studio del particolare. Vengono da poco riconosciuti con la menzione d’onore per la miglior opera residenziale realizzata al Premio di Architettura 2014 indetto dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Forlì-Cesena. In occasione della conferenza saranno presentati i seguenti lavori: Centro Parrocchiale Fulgor, residenza collettiva MPM, residenza privata Casa H, progetto di interni Casa P02. Tutti realizzati a Gambettola (FC).
Nelle foto, vedute di esterni, interni e simulazioni di progetti di Internoundici, studio di architettura cesenate di Alessandro Piraccini e Christian Baldacci. Sotto un rendering del loro progetto vincente del concorso Hub, legato al ciclo di conferenze “I sedici”.
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di Guido Sani
Piante e rendering del progetto urbanistico di Daniele Vistoli per lo spostamento funzionale della stazione ferroviaria a ovest della città. Con la soluzione “controcorrente” di ampliare il waterfront della Darsena verso il centrocittà, proprio nell’area dell’attuale stazione.
STATO DELLʼARTE
Nel corso del lungo e ampio dibattito sulla riqualificazione della Darsena di Città si è tornato a parlare di Nuova Stazione Farini. Architetto Vistoli, visto che ha lanciato 12 grandi progetti come ambiziosi sfide per la Ravenna da qui al 2030 cosa ne pensa dell’ingombrante tema della stazione ferroviaria? «La prima linea ferroviaria a Ravenna è datata 1863. Lo scopo era valorizzare la portualità italiana più a nord, in quanto il Veneto sarà Austro-Ungarico fino al 1866, col trattato di Vienna. Ciò spiega il motivo della sua collocazione in uno spazio così ristretto fra la Darsena ed il Centro; ne evidenzia oggi più che mai il limite allo sviluppo, la necessità primaria e assoluta, di non ripetere questo errore in futuro se. L’opportunità Stazione va trattata quindi come un tutt'uno con il porto e bisogna ragionare complessivamente del sistema intermodale acqua-aria-ferro-gomma. Per prima cosa occore pensare con modalità rivolte al 2030 - 2050 e non al secolo scorso: Ravenna come Amburgo diverranno smart cities, sensibili al protocollo di Kyoto, fortemente ostative nei confronti del traffico veicolare privato su gomma nel centro urbano e di fatto lo elimineranno a favore di mezzi pubblici leggieri elettrici su rotaie o cable way; la mobilità privata sarà per vie periurbane, si chiuderanno molti varchi carrabili verso il centro storico, lasciando i restanti in particolare ai mezzi di soccorso. Le lunghe percorrenze verranno fatte in aereo, treno o nave, quelle medio-brevi con veicoli elettrici/a idrogeno privati; inoltre sempre più bike, car, van sharing, robot a pilotaggio remoto APR. Per la linea ferroviaria ci saranno esigenze quantitative legate ai lunghi percorsi, ad esempio rampe di carico; ce ne saranno relative alle merci del centro storico, ad esempio la piattaforma logistica dell'area periurbana, con necessità di spazi sempre più ampi in futuro. Ci saranno esigenze qualitative e di lavoro per i passeggeri, che vorranno arrivare in treno nel cuore della città d' arte, perchè negli anni la Stazione si è storicizzata, diventando i luogo dell'immaginario collettivo, identificativo urbano. Tentativi fatti altrove, anche di solo modesto allontanamento della Stazione Centrale, hanno portato a cocenti delusioni e rapide retromarce. Va risolta la pericolosità ed il rumore dei treni che transitano dalle zone urbane di via Quarto e via Dei Poggi. Per consentire
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Come ti sistemo (e sposto) la Stazione La visionaria – eppure ragionata – pianificazione urbana proposta dall’architetto Daniele Vistoli poi nuovi investimenti, disponibilità di vagoni, orari, occorrerà moltiplicare il numero delle merci, dei passeggeri, con nuove idee attrattive complessive di sviluppo della città, diversamente sarà solo un esercizio di stile». Lei ha presentato pubblicamente qualche tempo fa un progetto di nuova Stazione alla città, ce ne vuole chiarire esattamente i termini, visto l’interesse strategico della questione. «La vision che si può dare con le modeste risorse economiche in campo, è fare il massimo che serve per mettere in rete tutto ciò che si ha o è previsto e portarlo a sistema, disinquinare nei limiti del protocollo di Kyoto e lavorare a un' ipotesi di elevata sostenibilità, autosufficienza energetica da fonti rinnovabili. Occorre valorizzare l’ attuale Stazione "Farini" come Terminal Metropolitano di qualità, con un nuovo duplice edificio ponte e avviare la bonifica della Darsena, con vasche di tracimazione di acqua marina provenienti dalle condotte ENI a 24/48 pollici. La destinazione degli edifici va vista con funzioni miste pubbliche e private, per consentirne un ritorno economico. Per il passaggio a livello di via Canale Molinetto viene previsto un sottopasso da P.zza delle Blacherne, che è già a 1m da quota binari, a Viale Santi Baldini. Previo consenso e rispetto delle idee delle proprietà interessate, occorre realizzare però un Terminal ferroviario integrativo a quello di piazza Farini, con una piattaforma logistica che serva il centro urbano, all'interno degli indirizzi di city logistic, last mile, all' occorrenza espandibile in futuro all' infinito e dotarla di rampe di carico per i grandi numeri delle lunghe percorrenze, in zona viale Allende, CinemaCity. L'area retrostante il Cinema City è il crocevia baricentrico della viabilità sovraordinata da e per Rimini, Cesena, Forlì, Bologna, Ferrara, Venezia, Porto, Mare, oltre a Centro, Aeroporto, Autostrada, Pronto Soccorso, Vigili del Fuoco, Iperbarico, Pubblica Assistenza. Piattaforma che attivi inoltre il sistema integrato e coordinato nell'orario, ferro-gommabus e promuova il bike, car, van sharing, APR. Inoltre base di partenza della Ciclovia Adriatica n°6, della G.I. Grande Ippovia dell' E.R. e della Stazione fluviale di città, usufruendo del canale Cupa-Magni-Baiona. Occorre collegare l'area con il Centro Iperbarico, con il ponte "fantasma" alle spalle di Fornace Zarattini, le piste pedociclabili di città nonchè la cintura verde. Occorre frapporre alle abitazioni lungo la linea ferroviaria zona via Quarto e via Dei Poggi, delle barriere acustiche di alta qualità architettonica, con funzione tecnica e promozionale, attraverso le loro texture. Non risolverle entrambe contestualmente sarebbe impensabile e provocherebbe notevoli tensioni in città».
E come intenderebbe risolvere la necessità infrastrutturale di un bypass e la sicurezza della linea ferroviaria? Qual potrebbe essere il costo complessivo di un progetto del genere e con quali investimenti vista la difficile situazione economica? Il progetto conferma il Piano Regionale Integrato dei Trasporti 2020, che prevede l'interscambio ferroviario merci da e per il Sud con la linea Rimini-Faenza-Russi, la linea Rimini-Ravenna viene utilizzata per lo sviluppo del Treno Rapido Costiero TRC. L'interscambio ferroviario merci da e per il Nord-Ovest è previsto dalla linea Bologna Ravenna e Ravenna Ferrara, con preferenza per quest'ultima. Lo scalo merci della Baiona rilevato come debole, farragginoso, viene razionalizzato, dedicato e soprattutto implementato con nuovi fasci di binari. Viene realizzata la contrazione della linea di collegamento dei due Terminal ferroviari merci in dx e sx Canale Candiano, con un bypass (raccordo di una linea/strada che ne escluda un tratto) per Ravenna, che toglie il passaggio dal centro urbano e dalla stazione passeggeri. Il Piano Strutturale Comunale RA 2007, che condividiamo, alla tavola 13, indica il posizionamento del sopracitato raccordo ferroviario, con attraversamento del Canale Candiano a fianco dell'attuale ponte mobile, in modalità epigea (sopraterra). Il progetto poi, trova un'alternativa alle merci che transitano tutte in prossimità di via Quarto, ivi comprese quelle pericolose; almeno per queste ultime, è parso opportuno deviarle sulla linea RA-FE senza passare per alcuna Stazione o centro abitato. Il progetto fornisce il secondo accesso al Porto, ponendolo in linea di sicurezza, al pari dei principali competitors europei. L'opera azzera oltre dieci ettari di consumo del territorio e relativo inquinamento dell' aria, per linea ferro-gomma, previsti dal PSC e li riconsegna alle attività agricole. Il costo complessivo dell'opera è inferiore ai 50 milioni di euro, ampiamente compensati dai proventi di cessione dei diritti edificatori, che pur conteggiati in misura ridotta del 50% rispetto a quanto previsto istituzionalmente, danno un saldo contabile pari a ZERO. Per favorire l'appeal necessario agli investitori, ipotizziamo di realizzare un Museo della Scienza e della Tecnica Motoristica, prossimo al Terminal di viale Allende, con l' intento di impennare lo sviluppo del traffico ferroviario direzione Ravenna. Il modello è rappresentato da Speyer & Sinsheim, due milioni di visitatori/anno in Germania, non certo meno prevedibili in Italia. Sono già avviati i contatti e ricordiamo che Speyer (Spira) è città gemellata con Ravenna ed in grado di dare un prezioso contributo.
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Il destino dei luoghi
località balneari e porto turistico Il caso di Marina di Ravenna e le vicende del complesso nautico-immobiliare di Marinara di Enrico Gaudenzi In un articolo precedente abbiamo trattato il tema dei luoghi di vacanza, facendo alcuni accenni ai lidi ravennati e a come sono nati e si sono sviluppati nel tempo. In questo ultimo numero dell’anno 2014, vorrei riprendere il nostro viaggio con qualche riflessione su Marina di Ravenna, il lido ravennate per eccellenza, la località del nostro territorio che nell’ultimo decennio ha destato più interesse e creato più aspettative. Non parlerò della storia passata o del come si sia giunti all’assetto attuale, ma cercherò di indagare il perché dopo tanto entusiasmo iniziale il destino di questa località sia diventato più incerto che mai. Marina di Ravenna, rappresenta da sempre la spiaggia di riferimento per la nostra città, certamente per la sua prossimità, ma soprattutto in virtù di quel cordone ombelicale, rappresentato dal porto canale, che la lega al centro di Ravenna. La storia di Marina di Ravenna la si può dividere in tre epoche: periodo di fondazione-seconda guerra mondiale, dopoguerra-anni ’90, anni ’00. Quest’ultimo periodo è quello che più ci interessa, anche perché oltre ad essere il più prossimo, è quello che più di ogni altro ha segnato il presente della località. Nei primi anni del XXI secolo, dopo un paio di decenni passati ad elaborare progetti, Marina di Ravenna ha cominciato il suo processo di trasformazione, spinta dall’euforia della bolla immobiliare e soprattutto dal crescente successo di pubblico che la località stava riscontrando… ora, questa
PROGETTARE IL TERRITORIO
non è una storia a lieto fine, qui nulla è andato secondo i programmi, sempre che di programmi si possa parlare. Nel decennio tra il 2000 e il 2010 si sono spese parole, idee, sono stati indetti concorsi di progettazione, col fine di attuare quella riqualificazione urbana che consentisse a Marina di Ravenna di assurgere al ruolo di località balneare di rango elevato. Oggi, alle soglie del 2015 possiamo purtroppo affermare che Marina di Ravenna sia rimasta al palo. Molti giustificheranno questo mancato risultato con l’alibi della crisi economica, della spending review, e forsanche dell’invasione delle cavallette, ma noi da tecnici quale siamo, ci sentiamo di dire che la mancanza di una visione strategica e di una progettualità coordinata sono in generale le cause principali degli insuccessi. La “grande opera di trasformazione” di Marina prende avvio (e forse direi anche arresto) con l’ambizioso progetto del porto turistico più grande dell’Adriatico in un tono autoreferenziale e autocelebrativo. Il progetto MarinaRa mosse i primi passi in tempi non sospetti, negli anni ’80 del secolo scorso, quando Marina di Ravenna era ancora una località sconosciuta ai più e fuori da ogni logica speculativa, e riesce finalmente ad essere cosa concreta con l’inizio del cantiere nel 2005, dopo oltre un ventennio di lotte e progetti. Durante il lasso di tempo che è servito a rendere reale questo luogo per lungo tempo rimasto immaginario, Marina di Ravenna, grazie ad una congiuntura astrale, è diventata una meta frequentatissima, presa d’assalto ogni fine settimana da migliaia di giovani grazie alle sue ampie spiagge votate allo
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sport e al divertimento. Marinara innescò un processo virtuoso nei confronti di nuovi investitori i quali videro in questo progetto un motore di ulteriore sviluppo per Marina di Ravenna, che finalmente aveva l’occasione di cambiare i suoi connotati passando dall’essere un paese di terra affacciato sul mare, ad essere una località di villeggiatura dotata di attrezzature di primordine. Il problema fu che in tutto questo tourbillon di entusiasmi nessuno si interrogò sulla valenza del progetto che si stava attuando. In questo caso vale la pena interrogarsi su come sarebbe stato il destino di Marinara e ancor più di Marina di Ravenna, se non fosse stato attuato quel tipo di progetto? Proviamo a fare un esercizio di fantasia, ed immaginiamoci un bel porto turistico, visibile e accessibile, con passeggiate lungo le banchine in prossimità dell’acqua, che dialoga con l’abitato esistente. Il fallimento della cooperativa CMR si è trascinato dietro il destino del porto turistico, e questo rappresenta un fatto, ma il fallimento di tale progetto ha cominciato a manifestarsi ben prima di quello del socio di maggioranza della Seaser (società concessionaria per il porto turistico). I fallimenti purtroppo non si misurano solamente su parametri numerici noti, ma si manifestano anche come conseguenza di scelte sbagliate, che implicano il compromettere la reputazione di un luogo o l’impossibilità di rimediare agli errori commessi. Marinara non solo ha disatteso le aspettative, ma ha pregiudicato il futuro della località e questo non a causa della cosiddetta cementificazione, ma a causa di errori di valutazione. La nascita di un quartierino satellite avulso dal contesto e che si pone come una cesura tra l’abitato esistente e il mare (dov’è finito il mare?), ha precluso ogni possibilità di creare quel dialogo mancante tra l’abitato di Marina e il mare su cui in malo modo affacciava. Un luogo per diventare di successo deve prima di tutto saper accogliere, incuriosire ed attrarre il pubblico; il complesso di Marinara con le distese di inutili parcheggi privati, i muretti, le cancellate e le recinzioni, le due tettoie sulla prosecuzione di piazza Dora Markus (una contraddizione in termini, per dar prosecuzione si frappongono ostacoli?) e la cortina di fabbricati non fa che sottolineare una chiusura e un’avversità al voler accogliere, quasi a dover gelosamente custodire il porto turistico che racchiude. Un progetto di tale complessità, richiede l’uso di una ricetta semplice; come in cucina anche nel progettare, per svolgere un buon lavoro servono ingredienti di qualità e una giusta dose di condimenti; ora consideriamo che i condimenti siano i regolamenti imposti, se questi iniziano a prevalere sul buon senso, nonostante una buona partenza, il “cuoco progetti-
Nelle immagini, in basso a sinistra, alcune cartoline da Marina di Ravenna decenni fa che evidenziano il panorama a mare, prima della costruzione del porto turistico. Sopra, il complesso di Marinara in fase di costruzione, con le gru all’opera, e uno scorcio con il faro sullo sfondo, delle unità residenziali, con i carattersitici moduli stilistici formalizzati dal progetto dell’architetto Bruno Minardi
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sta” rischia di perdere il filo della ricetta e di vedere compromesso il risultato. Marinara può quindi considerarsi l’unico progetto di grande portata realizzato a Marina di Ravenna, mentre un lungo elenco di progetti resta ancora in attesa di “vedere la luce”. Tra i progetti che hanno interessato o dovevano interessare Marina di Ravenna nel primo decennio del nostro secolo possiamo citare il concorso di idee per la “Riqualificazione e riordino urbano di Porto Corsini e Marina di Ravenna”, svoltosi nel 2001, ma che trovò attuazione solo nella riqualificazione di un tratto di Viale delle Nazioni con opere di arredo urbano, e nella redazione di un piano particolareggiato per l’avamporto di Porto Corsini finito poi nel dimenticatoio, non trovando investitori interessati. Un altro concorso di idee interessante fu bandito nel 2004 da Autorità Portuale per la riqualificazione del Molo Guardiano sud (per intenderci quello dove aveva sede il Baretto), a cui non seguì mai la realizzazione del progetto. Nel 2010 è stato indetto dal Comune l’ennesimo concorso di idee rimasto su carta, che aveva come tema la riqualificazione del tanto discusso stradello retrodunale. Oltre ai concorsi fatti, vale la pena citare anche quelle situazioni ancora in attesa di un qualche “movimento”, ovvero le vecchie Pescherie, l’ex Stabulario, la Fabbrica Vecchia e il Marchesato, tutti progetti di cui si parla da ormai quindici anni, ma che non hanno ancora trovato attuazione. L’elenco potrebbe continuare con altri progetti pubblici e privati, annunciati a più riprese e mai partiti, ma quel che ci interessa è inquadrare uno scenario per provare ad immaginare come sarebbe potuto essere il presente di Marina se almeno una parte di questi progetti fosse stata realizzata, e per cercare di intravedere un possibile futuro per la nostra amata località. Una meta turistica diventa tale quando oltre ad un insito valore attrattivo, il luogo viene strutturato per poter accogliere e servire chi vi arriva; ciò non può avvenire per un puro caso, ma seguendo una volontà predeterminata. Nell’articolo di Trova Casa Premium di giugno 2014, in cui abbiamo parlato dei luoghi di vacanza, sono state citate alcune località, tra le quali la vicina Milano Marittima, nata proprio con il preciso scopo di divenire meta turistica. Un caso più recente e a tutti noto è Dubai, dove sul finire degli anni ’90,
si decise di diversificare l’economia puntando su turismo e servizi, arrivando oggi al risultato di aver fatto di una città dal clima inospitale e a ridosso del deserto, la destinazione turistica numero uno della zona Medio Orientale e uno dei maggiori hub aeroportuali. È chiaro che la scala di valori tra Dubai e Marina di Ravenna sono totalmente diverse, ma questo esempio fa capire come la determinazione e soprattutto dotarsi di un progetto strategico possa aiutare a raggiungere risultati impensabili. Quando nella prima metà degli anni ’90 si è iniziato ad intuire che Marina di Ravenna poteva trasformarsi in qualcosa di diverso dal lido dei ravennati, è mancata la lungimiranza di “accompagnare” questo cambiamento con delle azioni mirate, che potessero strutturare un’offerta turistica di qualità. Ciò che negli anni ha funzionato e non funzionato in questa località è stato determinato dai singoli imprenditori che mossi dalla propria propensione a fare business hanno agito a modo loro, mentre chi amministrava, in continuo affanno, rincorreva per mettere toppe, mano a mano che i problemi diventavano ingestibili. Come si può intuire in un clima del genere è impensabile poter costruire delle solide basi su cui strutturare una meta turistica. Oggi Marina di Ravenna è un paese di circa 4000 abitanti, con un gran numero di seconde case e una decina di piccoli (ad eccezione del Park Hotel) e datati alberghi, dove dopo le perfomance immobiliari della prima metà degli anni ’00, il mercato ha subito una forte contrazione e dove le presenze turistiche, per quanto i dati possano essere positivi, non possono considerarsi tali da definire questa località come una meta turistica, potendo contare su un’offerta alberghiera che non raggiunge le 500 camere complessive. Il tempo delle attese e delle improvvisazioni è oramai finito, oggi gli scenari economici sono cambiati rispetto a dieci anni fa e non è pensabile poter affrontare grossi interventi, ma è più che mai necessario affrontare progetti strategici di ampio respiro che proiettino un’immagine futura per questa località, in modo tale da poter tendere a questo risultato a piccoli passi, incentivando realmente politiche che creino qualità e sviluppo. AtelierTerritorio srl - Ravenna www.atelierterritorio.com
Nelle foto, alcuni particolari del villaggio turistico di Marinara, e, in alto a destra, un rendering complessivo del comparto turistico costiero con le opere a mare e a terra
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Condominio di piazza Marsala, Ravenna, 1981, la soluzione d’angolo. A destra: Condominio di piazza Marsala, vista dal basso della soluzione d’angolo
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segni” che si lasciano
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di Marina Mannucci
Circa vent’anni fa mi capitò di contattare l’architetto Danilo Naglia per una consulenza professionale riguardo ad una casa da ristrutturare, un’occasione che ci ha permesso di conoscerci e di far crescere un rapporto di stima e amicizia reciproca che ci accompagna nel tempo. Incontro Danilo in un bar del centro e, mentre sorseggiamo un caffè, inizia a raccontarmi momenti di storia della sua vita. Lo ascolto e prendo appunti.
Ho deciso di frequentare la Facoltà di Architettura perché, avendo fatto il Liceo Artistico, era lo sbocco più adatto, ed anche perché, come forma artistica, mi dava la possibilità di esprimere il mio temperamento. È stata una scelta giusta, ma avrei potuto impegnarmi anche in altri campi. Sono nato e cresciuto in un ambiente in cui era naturale respirare “una certa aria”; mio padre era pittore ed ha insegnato all’Accademia, mia madre, oltre a dipingere miniature sull’avorio, suonava il pianoforte. Tra gli anni ’50 –’60 mi sono quindi iscritto alla Facoltà di Architettura di Venezia, ritenuta tra le migliori del mondo. In quel periodo, oltre ad essere un’Università “libera”, vi erano confluiti i migliori professori: nel bienno ho avuto come docente di Architettura Bruno Zevi che svecchiò il clima portando il respiro dell’Architettura organica, al terzo anno ebbi Ignazio Gardella per l’approccio alla progettazione, mentre Franco Albini, docente di Architettura degli interni, mi ha trasmesso una grande dimensione della concezione di libertà. Franco Albini non imponeva mai nulla a noi studenti; ricordo che una volta gli chiedemmo di disegnare una casa popolare perché per noi era un tema importante ed un’altra volta di studiare un auditorium e lui ha sempre accettato ed appoggiato le nostre proposte. Questo clima di libertà ci ha permesso di maturare. Alla Facoltà di Architettura, a quei tempi, si accedeva solo dai licei ed in più c’era la presenza costante del
Intervista all’architetto Danilo Naglia doppio binomio umanistico e scientifico. Giuseppe Samonà, direttore della Facoltà, era un uomo che aveva intuizioni formidabili, con un controllo permanente della cultura che poi si traduceva in problematicità. Di conseguenza, ci ha abituato ad affrontare gli studi in modo serio, diffondendo nello stesso tempo, tra noi studenti, un clima di entusiasmo. Chi usciva non poteva che essere un Architetto e non un cialtrone e quindi la selezione era seria e rigorosa e quelli che arrivavano in fondo del percorso di studi erano pochi. Giunto alla fine di questo corso di studi, ero un uomo formato sia culturalmente che politicamente e mi vennero offerte tutte le possibilità per realizzarmi. L’urbanistica a quei tempi si affrontava al quarto e quinto anno ed era un esercizio di composizione su scala territoriale. Io e il mio amico Gino Gamberini chiedemmo di farlo studiando il fenomeno dell’abbandono dell’Appennino imolese-faentino per vedere quello che si poteva fare a livello urbanistico. Con Gino iniziammo a girare tutta la zona di Casola Valsenio in Lambretta, venendo a conoscenza della situazione di povertà, indigenza e di mancanza di servizi in cui viveva la popolazione. Studiammo il territorio per capire cosa si potesse fare per dare un modo migliore di vita a quelle persone ed elaborammo un progetto. Un’esperienza che ci ha insegnato che la funzione dell’architetto non è solo fare cose belle, ma soprattutto essere utile nella società e sapere ogni volta che posizione prendere. Una volta laureati, il sindaco Amleto Rossini di Casola Valsenio ci chiamò e ci affidò l’incarico di progettare una scuola elementare. Con Gino andammo a vedere i difficili percorsi che i bambini dovevano fare per andare a scuola, ed anche come vivevano dentro la scuola, che era allora un luogo squallido, umido, senza luce e senza riscaldamento. Quel progetto fu per noi l’occasione di realizzare nella vallata un luogo che potesse soddisfare tutte le esigenze di vita di quelle persone. Pensammo la scuola come un “centro sociale”.
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La scala della Sede della Banca Popolare di Ravenna, in piazza Arcivescovado 9, ex Istituto Bancario San Paolo di Torino, 1989-1992.
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Dopo questa misura morale e culturale che ho ricevuto dall’Università, parallelamente all’esercizio della mia professione ho sempre avuto a cura la difesa dell’ambiente e un amore sterminato per la mia terra. Negli anni ’70, girando per le Valli, mi accorsi che, sia all’alba che al tramonto, il colore viola che contraddistingueva quel paesaggio stava scomparendo. Stavano sfalciando tutti i limonium, l’erba valliva chiamata anche statice, i cui fiori riuniti in infiorescenze erano di colore rosa, purpureo o violetto, un intervento che aveva tolto qualcosa di fondamentale alla connotazione estetica di quei luoghi. Inviai una lettera al professor Francesco Corbetta naturalista e botanico, che a quei tempi era direttore della rivista «Natura e montagna» e, grazie ad un suo intervento l’area venne sottoposta a vincoli paesaggistici arrestando sottrazione e massacro del paesaggio. Ritengo questo un successo della mia vita. Un altro risultato positivo che reputo tale per la mia presenza nella società è stato recuperare la memoria di Roberto Bacchi, mio ex compagno di classe di 4° elementare, grazie anche all’intervento dell’allora direttore delle scuole elementari Mordani Giorgio Gaudenzi. Nel 1943 Roberto Bacchi, ebreo, fu obbligato a salire su un treno che lo deportò nel campo di sterminio di Auschwitz senza più fare ritorno. Tutti gli anni il suo ricordo rivive ora nel Giorno della Memoria. Tirando le somme della mia vita come Architetto, penso di aver lasciato segni decorosi nella città. Ogni giorno è fondamentale per vedere in che modo la propria coscienza è stata rispettata. Scriveva Immanuel Kant nella conclusione della Critica della ragion pratica: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza». Ecco, io credo sia fondamentale mantenere questo doppio rapporto con la bellezza dell’universo e con la propria coscienza che è il nostro limite. Per quanto concerne il problema metafisico, esso non mi riguarda: Deus sive natura, come rifletteva Baruch Spinoza: “Dio ossia la natura”. Questi pensieri di Kant e di Spinoza sono la coscienza della mia vita. Morire essendosi portati rispetto è fondamentale, non sento il bisogno di avere la speranza di premi “futuri”; quando non ci sarò più, saranno i segni che ho lasciato a dimostrare che sono esistito. Tra questi segni a quali sei particolarmente legato?
Tra gli edifici che ho progettato mi piace ricordare: l’Istituto Tecnico Industriale, Ravenna opera proget-
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tata anche con Antonino Manzone e Gino Gamberini; il Condominio residenziale Marsala situato tra piazza Marsala e Via Salara; si tratta del primo tentativo che ho fatto di inserire un edificio moderno nel centro storico, per il quale Ignazio Gardella mi fece i complimenti quando venne a Ravenna in occasione della presentazione dei suoi mobili; l’edificio Yacthman House di Marina di Ravenna; l’intervento interno di Casa Melandri; l’intervento in piazza dell’Arcivescovado all’ex Istituto Bancario San Paolo di Torino ora Banca Popolare; la casa del dottor Lucinelli di Lugo; le case che ho progettato per Raffaello Biagetti; il condominio Verde di via Mario Montanari. Ed il presente?
Mi capita spesso di sognare cose che non ho fatto, credo sia la necessità che è ancora viva in me di produrre in immagini le cose che ho in mente. Il mio cervello è ancora capace di emozioni; le emozioni appartengono a un campo privato, anche se alcune emozioni con gli anni si attenuano fino a scomparire. Ma natura, pittura, e musica mi sconvolgono ancora adesso. Un’ultima riflessione riguardo al graffitismo che, nato alla fine degli anni sessanta a New York per rispondere ad un’esigenza espressiva ed anche come forma di rivendicazione, spesso illegale, di diritto alla parola, negli ultimi anni sembra essersi riappacificato col sistema oltre ad essere entrato a far parte anche di un circuito artistico. Una forma d’arte, dunque, divenuta un coloratissimo fenomeno di costume, allontanandosi da qualsiasi rivoluzione intellettuale e per la quale lo Stato si pone spesso come agenzia culturale, con la conseguenza che inesorabilmente il gesto
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anarchico del writer viene condizionato nella sua libertà. Non credi sarebbe importante in questo passaggio, riflettere su come salvaguardare una più spontanea e libera produzione da parte di questi artisti?
Sono d’accordo. È sempre necessario porsi di fronte alle cose con un atteggiamento problematico ed in questo caso le riflessioni da fare sono su piani diversi. Personalmente non sono contrario ai graffiti urbani, penso però che a volte i writer in qualche modo vengano strumentalizzati da un meccanismo; manca inoltre una coscienza culturale del “dove” sia giusto e dove non sia giusto intervenire con un graffito. I graffiti del muro di Berlino sono stati un modo di protestare contro un’ingiustizia commessa in una città. Un conto poi è se le pitture interessano un muro amorfo o le pareti di un edificio di architettura moderna. La riflessione quindi da fare a priori è: quando si può intervenire con un graffito e quando no. A Ravenna di posti dove si possono fare questi tipi di interventi ce ne sono. Io scrissi anni fa che un modo di ovviare allo scempio paesaggistico provocato dalle fabbriche di via Baiona sarebbe stato dipingerne i muri di cinta. I graffiti di Millo e SeaCreative sulle pareti esterne, affacciate su via Cassino e piazzale Sighinolfi dell’Istituto tecnico industriale da me progettato andavano lette come un volume, non come una lavagna. Se poi vogliamo parlare di graffiti come arte, posso aggiungere che il graffito dalla parte del mercato è rispettoso della geometria della parete e ne ha compreso il senso, il graffito dall’altra parete non ha nessun valore. Per concludere, credo ci debba essere un rapporto corretto tra decorazione e cultura, la collaborazione tra arti deve avvenire in modo organico e questo è un problema appunto di cultura.
Nella pagina a sinistra: in alto, la sede della Banca Popolare, vista del nuovo corpo di fabbrica aggiunto all’edificio preesistente (lato sud-ovest) e vista del nuovo corpo di fabbrica (lato nord-est) . Al centro: vista d’angolo del nuovo corpo di fabbrica (lato sud-ovest). In basso: sala P. Paolo D’Attorre di Casa Melandri, Ravenna (con Renzo Strumìa), vista della scala a chiocciola, 1978-1990. In questa pagina: in alto: sala P. Paolo D’Attorre di Casa Melandri, vista della scala d’ingresso alla sala conferenze. Sotto: Due viste (da sud-ovest e da nord-ovest) di Casa Biagetti, Ravenna, 1975-1976. Tutte le foto sono di Alberto Giorgio Cassani
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La “Carta di Bologna contro lo spreco alimentare” Tutto il cibo buttato nei rifiuti è un patrimonio da recuperare Stiamo entrando nel mese di dicembre che è il mese dedicato al Natale e a tutto ciò che si muove dietro e intorno a questa festività, non ultimo e anzi di particolare rilievo, tutto ciò che ruota attorno al cibo, al suo consumo ed in particolare, ahimè anche al suo spreco. Proprio in questi giorni, durante la settimana europea per la riduzione dei rifiuti a far parlare di cibo sotto le Due Torri è la “Carta di Bologna contro lo spreco alimentare”, voluta dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Last minute market e sotto l’egida della FAO. Il testo si propone come un decalogo che impegna in prima battuta i Governi europei, cui sarà proposto per un’adozione congiunta, a una serie di politiche comuni per limitare perdite e sprechi di prodotti alimentari. E quindi prevenire consumo di risorse lungo la filiera produttiva e ulteriori rifiuti da smaltire. Lo spreco alimentare nel mondo, afferma Andrea Segrè, presidente di Last Minute Market, "vale 2060 miliardi: 1,3 volte il Pil italiano. Servono strumenti concreti e urgenti per garantire il diritto al cibo e invertire i dati dello spreco alimentare”. Sprecare cibo vuol dire creare danni all’ambiente e all’economia, ma è soprattutto un problema etico. Per questo è necessario mettere al centro del dibattito europeo e italiano lo spreco alimentare. Ogni anno, infatti, lungo la filiera alimentare si perde un terzo del cibo prodotto, in un mondo che pure lascia 805 milioni di persone sottonutrite, con costi sociali, ambientali ed economici calcolati dalla FAO in oltre 2060 miliardi di euro. L’esperienza di Last minute market, spin off dell’Università felsinea, è nata nel 1998 proprio come circuito per recuperare dai supermercati i prodotti in scadenza imminente e perciò poco appetibili a scaffale. Come? Permettendo l’incontro diretto tra domanda e offerta e occupandoci della scrupolosa messa in sicurezza di tutte le fasi del sistema. Senza gestire direttamente i prodotti invenduti, né magazzini o mezzi propri per il ritiro, ma studiando modelli logistico-organizzativi, Last minute market ha permesso di recuperare tutte le tipologie di prodotto, inclusi quelli delle categorie dei “freschi” e “freschissimi”. E dalle eccedenze alimentari di attività commerciali e produttive, prodotti ortofrutticoli non raccolti, o pasti pronti recuperati dalle mense di scuole e aziende, si è poi passati al recupero di farmaci da banco, libri e altri prodotti non alimentari. La Carta di Bologna, è stata ideata sulla base di una definizione per la prima volta condivisa del ‘food waste’, per definire metodologie uniformi di quantificazione dello spreco alimentare,
ABITARE LʼHABITAT
azioni comuni da intraprendere, target da raggiungere e modalità di monitoraggio nel tempo per i risultati conseguiti. All’alba dell’Expo di Milano, incentrato sul tema “Nutrire il pianeta”, e cercando di riaccreditarsi come capitale della buona cucina e del bon vivere, Bologna si candida a capitale dell’alimentazione sostenibile e responsabile. La Carta sarà condivisa con gli Stati presenti ad Expo 2015 e con la Sicurezza alimentare e nutrizione della FAO. Se ne prevede la sottoscrizione il 16 ottobre 2015, Giornata mondiale dell’Alimentazione, proprio nel contesto dell’Expo milanese. Per vivere bene, si deve mangiare bene. È un’equazione ben dimostrata, ormai e deve essere considerato un diritto per tutti. Questa è la vera sfida sul cibo, e il suo ‘vero’ valore. Ricordiamo fra l’altro che la nostra città ha, proprio qualche mese fa, aderito all’associazione italiana dei Comuni contro lo spreco alimentare e che quindi è sempre stata in prima linea nel combattere sprechi e ingiustizia sociale, facciamoci perciò anche noi cittadini interpreti di queste azioni e diamo il nostro esempio e contributo diretto in questa guerra all’ingiustizia. Il testo completo della carta lo potete trovare sul sito del Ministero dell’Ambiente a questo indirizzo: http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio_immagini/Galletti/documenti/Carta%20di%20Bologna%20ITA.pdf In ogni caso qui di seguito ne pubblichiamo un estratto significativo utile ad una riflessione e a un contributo per il cambiamento anche delle nostre piccole e apparentemente insignificanti abitudini che tanto peso però hanno sulla nostra comunità.
La Carta di Bologna contro gli sprechi alimentari Preso atto che: • sprechi e perdite alimentari sono responsabili, se pur indirettamente, dell’aumento della competizione internazionale per l’accesso ad acqua, energia, suolo agricolo e cibo, portando di conseguenza ad un aumento delle tensioni e dei conflitti per l’accesso alle risorse naturali; • alla luce delle previsioni di crescita della popolazione mondiale, il contrasto agli sprechi alimentari ha un ruolo cruciale sia per la riduzione dell’impronta ambientale della produzione agricola, sia nell’assicurare un’adeguata disponibilità di cibo per tutti garantendo, al contempo, il rispetto dei limiti ecosistemici; • la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari è una sfida globale. E’ necessario un coordinamento internazionale al fine di unire gli sforzi e affrontare il problema attraverso l’adozione di adeguate misure. Noi, i Governi, ci impegniamo a: 1. includere il problema degli sprechi e delle perdite alimentari
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all’interno dell’agenda internazionale in materia di protezione dell’ambiente e sostenibilità; 2. adottare una definizione chiara, comune e ufficiale di “sprechi e perdite alimentari” e una metrica comune per la loro qualificazione e quantificazione, con riferimento ai risultati prodotti dai principali progetti europei e internazionali condotti sul tema; 3. avviare un processo partecipato allo scopo di identificare le principali cause degli sprechi e delle perdite alimentari lungo la filiera, le possibili soluzioni e i possibili ambiti di intervento. Tale processo richiede l’identificazione degli attori direttamente coinvolti nell’attuazione delle misure (sia a livello individuale che collettivo) e la valutazione dei costi e dei potenziali benefici ad esse associati. Tale processo richiede inoltre l’identificazione delle principali problematiche, inclusi i vincoli sistemici, e delle modalità/strumenti per la loro risoluzione (infrastrutture, tecnologie, cambiamenti organizzativi nelle filiere/sistemi alimentari, capacity building, politiche e cambiamenti istituzionali); 4. definire e adottare un quadro di riferimento adeguato che includa gli aspetti di natura regolamentare, incentivi e facilitazioni affinché il settore privato (es. distribuzione e commercio, ristorazione, catering) e i consumatori siano in grado di intraprendere misure decise per contrastare modelli di consumo non sostenibili; 5. definire, adottare e dare concreta attuazione a Programmi Nazionali, sostenuti da risorse adeguate, espressamente rivolti al tema degli sprechi e delle perdite alimentari lungo la filiera, garantendo al contempo la sicurezza e la qualità degli alimenti. Tali Programmi dovrebbero essere affiancati da campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini, allo scopo di aumentare il grado di consapevolezza sulle conseguenze negative degli sprechi e delle perdite alimentari; 6. introdurre target misurabili di riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari lungo i diversi anelli della filiera; 7. promuovere il coinvolgimento e la partecipazione di tutti gli attori della filiera verso il raggiungimento dei target di riduzione, garantendo al contempo la sicurezza e la qualità degli alimenti, 8. introdurre o rafforzare programmi di educazione alimentare nelle scuole; 9. promuovere iniziative di innovazione sociale nel campo della prevenzione degli sprechi alimentari, a partire dall’individuazione e rimozione degli elementi che potrebbero ostacolare il loro sviluppo; 10.incoraggiare la donazione degli alimenti invenduti ma ancora commestibili a enti di beneficenza e persone in difficoltà, attraverso la semplificazione e l’armonizzazione del quadro di riferimento normativo (procedurale, fiscale, sanitario), garantendo nel contempo la sicurezza e la qualità degli alimenti; 11.assicurare il monitoraggio e la rendicontazione nel tempo dell’efficacia delle azioni intraprese
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Qual piuma al vento Il mercato delle transazioni sembra alzare la testa ma la prudenza e la competenza (soprattutto) sono d’obbligo per chi opera professionalmente nel settore
Inutile negarlo: oggi siamo così tanto affamati di buone notizie, qualunque sia la professione che svolgiamo, che i titoli riservati al mercato immobiliare negli ultimi giorni di novembre sono stati accolti da molti di noi con un misto di entusiasmo, incredulità e sollievo. La tenacia degli agenti immobiliari, nelle fatiche della crisi, è stata ed è tuttora encomiabile: lo spirito costruttivo col quale in tanti si sono interessati a nuove forme d’impresa (vedi i contratti di rete, ad esempio), l’impegno con il quale hanno continuato ad aggiornarsi, così come l’amore e la passione profusi in una professione che ha coinvolto tanti di loro in un indecifrabile vortice di alti e bassi, ci danno la misura di quanto la luce alla fine del tunnel sia attesa e necessaria per dare un senso a questi sforzi. Questo il clima in cui ci è capitato di leggere finalmente che il mercato immobiliare italiano ha regalato dei segnali di svolta degni di questo nome, registrando nel terzo trimestre del 2014 un aumento del 3,6% rispetto allo stesso periodo del 2013, per un totale di 206.945 transazioni. Si tratta di dati ufficiali che si riferiscono al numero di unità immobiliari compravendute per ciascun trimestre, ricavati dalle note di trascrizione degli atti di compravendita registrati presso gli archivi di Pubblicità Immobiliare degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, completati da una più approfondita analisi sulle tipologie che hanno riscosso il maggiore interesse (abitazioni +4,1%, negozi +9%, capannoni +1,6%). Come se non bastasse, a rincarare la dose, ci si mette anche il dato del nostro capoluogo di regione, Bologna, autore di un clamoroso +18,7% nel settore residenziale che guadagna sul campo l’appellativo di vero e proprio exploit. Ora, tralasciando i possibili effetti della Local Tax, che dovrebbe nuovamente modificare tutta la tassazione immobiliare nel nome di una maggiore equità, ci pensa lo stesso Centro Studi Fiaip a frenare gli entusiasmi (in primis quelli dei suoi stessi associati), ricordando che “la ritrovata vivacità del mercato a fine anno non fotografa una ripresa e i valori sono assai lontani ai livelli pre-crisi che hanno visto un dimezzamento degli scambi immobiliari negli ultimi anni”. «Sono d’accordo che non si possa parlare di controtendenza del mercato – ribatte Stefano, agente immobiliare a Bologna –, ma scandalizzarsi perché i giornali invece lo fanno, da parte di chi rappresenta la categoria è incomprensibile». Ecco che la necessità di trovare una sintesi tra spinte contrastanti, torna a caratterizzare l’imprevedibile vivacità del mattone. Il problema, dunque, è anche di comunicazione, nel momento in cui si è chiamati a costringere in un paio di cifre un mercato dalle sfaccettature dinamiche e complesse, che di “immobile” ha ben poco. Un mercato che sotto sotto continua a generare aspettative assolute, perché dotato in Italia di un fondamento statistico
MERCATO IMMOBILIARE
di anomala solidità: siamo infatti il popolo che detiene più case in Europa (circa 130 abitazioni ogni 100 italiani) e siamo nell’85% dei casi proprietari di prima casa contro – ad esempio – il 40% dei tedeschi. E un mercato che, oltre ad offrire posti di lavoro, tutela l’economia di un intero Paese: il debito pubblico italiano è quattro volte inferiore alla ricchezza degli italiani, la quale a sua volta rappresenta la principale garanzia contro il fallimento se le cose attorno a noi dovessero peggiorare. A queste considerazioni fa da contraltare la constatazione che quello immobiliare è un mercato estremamente frammentato, esteso su un territorio che - forse in Italia più che altrove - è caratterizzato da forti disuguaglianze sociali, economiche, geografiche e culturali. Diventa quindi difficile cercare il conforto dei numeri laddove manchi una visione dell’immobiliare in grado di coinvolgerci tutti, indipendentemente dalla bellezza dei nostri affacci, in un unico grande piano strategico di rilancio: diventa insomma complicato crederci davvero, e fino in fondo, benché i trend abbiano un forte effetto trainante su una popolazione come la nostra, aspetto che ci rende al tempo stesso amabili e teneramente ingenui. È dovere di tutti gli operatori del settore conoscere i movimenti e i sentimenti del proprio mercato di riferimento, e al tempo stesso riportare le valutazioni al proprio ambito, distinguendo e ricalibrando, entusiasmando quando possibile e premendo sul pedale del freno - con la diligenza del buon padre di famiglia, cara al legislatore - quando il titolo di giornale può determinare una percezione distorta e capace di influire sull’utilizzo che faremo dei nostri risparmi. Essere agenti immobiliari 2.0 significa anche aiutare il cliente a interpretare i dati con gli strumenti appropriati e compiendo, talvolta, scelte di comunicazione impopolari: al tempo stesso è del tutto legittimo, e umano, saper cogliere la giusta occasione per ridare slancio e volontà di fare a un settore su cui gravano ancora molte incognite (chi ha detto riforma del catasto?) ma che, nonostante le difficoltà, riesce a tenere vivo e appassionato il dialogo tra tutti i suoi attori. Marco Soprani Responsabile Editoria e Comunicazione FIAIP Emilia-Romagna
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