TROVACASA PREMIUM.
n. 86 NOVEMBRE-DICEMBRE 2013 Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
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RAVENNA n. 86 novembre dicembre
2013
ALL’INTERNO
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CASA BELLA CASA | TOPOGRAFIA E STORIA | CITTÀ E TEMPO | CITTÀ E QUARTIERI | IDEE E PROGETTI | SPAZI DELLA CULTURA
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NOVEMBRE-DICEMBRE
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edizione di Ravenna
Dal 1970 illumina la vostra casa
LAMPADARI MATERIALE ELETTRICO Controcopertina Fin dal largo corridoio d’ingresso, omaggiato da un bel divano Thonet, si intuisce una caratteristica degli arredi di questa casa, vale a dire il riutilizzo della mobilia antica, giunta in eredità ad entrambi i rami della famiglia, gli Ori e i Calderoni, e opportunamente ricollocata a segnalare il gradiente di un abitare consapevole che nel mobile antico riconosce una continuità identitaria.
Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8 novembre 2004 Direttore responsabile: Fausto Piazza Consulenza redazionale: Paolo Bolzani Collaborano alla redazione: Andrea Alberizia, Federica Angelini, Pietro Barberini, Roberta Bezzi, Chiara Bissi, Alberto Giorgio Cassani, Serena Garzanti (segreteria), Maria Cristina Giovannini (grafica), Marina Mannucci, Luca Manservisi, Domenico Mollura, Serena Simoni. Progetto grafico: Quadrastudio - www.quadrastudio.info Referenze fotografiche: Maurizio Montanari, Paolo Genovesi, Fabrizio Zani Redazione: tel. 0544.271068 redazione@trovacasa.ra.it
Editore: Reclam Edizioni e Comunicazione srl viale della Lirica 43 - 48124 Ravenna - tel. 0544.408312 info@reclam.ra.it - www.reclam.ra.it Direttore generale: Claudia Cuppi Stampa: Tiber spa - Brescia - www.tiber.it
RAVENNA Via Le Corbusier 15 tel. 0544 270585 - fax 0544 276553 www.elettrolamp.it NOVEMBRE-DICEMBRE
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contenuti
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casa bella casa
topografia e storia
città e tempo
idee e progetti
stato dell’arte
spazi della cultura
abitare l’habitat
L’appartamento ristrutturato in Corso Nord fra mobili di famiglia e design minimalista di Paolo Bolzani
Storie di Sant’ Alberto: come il ricordo esalta il paesaggio di Pietro Barberini
Motti e motteggi solari. Aneddoti e riflessioni morali su fluire del tempo di Mario Arnaldi
Spazio Mosa. Idee per rivitalizzare una fabbrica in disuso nella darsena di Laura Giovannini
Progettare nel paesaggio: realizzazioni su vasta scala di Daniela Moderini di Domenico Mollura
Alla ricerca di un’umana verità. Coversazione con Giovanni Montanari di Marina Mannucci
Obbiettivo “rifiuti zero”, è solo un’utopia o una reale opportunità di Marco Turchetti
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Universo . Romagna 12 . Mondo Casa . Futura 13 . Assocase . Eurocase 14 . M.C.&Partners . Mazzini 15 . Euroimmobiliare 19 . Mosaico 27 . Fratelli Savorani . Scor 28 . Gabetti 29 . Case d’Autore - Siva 30 . Idea Casa 31 . La Dimora di Magdala . La Villa 32 . Rubboli 33 . La Tre 38 . La Compagnia di San Giorgio 39 . Euroimmobiliare 43 .
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di Paolo Bolzani
C’era una volta – ed ancora c’è – il Corso Nord, nato con il Prg ’83, vale a dire il «Piano della qualità urbana e delle occasioni», che è passato alla storia come il «Piano dei Corsi» e del «Sistema dei luoghi Centrali». Il primo Corso ad essere ultimato è stato quello Sud, impostato sull’asse di via Berlinguer, mentre l’ultimo è stato quello Est, sviluppato su via Trieste con polarità su piazza Paul Harris e la grande prospettiva potenziale prefigurata dal Poc Darsena. Il Corso Nord, anch’esso ultimato, collega via Sant’Alberto a via Sergio Cavina. In realtà del Corso Nord ci interessa la parte più “antica”, tralasciando le assialità determinate dalle vecchie vie Rotta e Canalazzo. Stiamo parlando della parte centro-occidentale, situata tra via Gino Severini e via Canalazzo stessa, che risulta intitolata a Giuseppe Bovini. Pur non essendo ravennate di nascita Bovini (Montalcino, 1915-1975), lega il proprio nome a Ravenna e soprattutto alla conoscenza delle antichità ravennati, con particolare attenzione per i mosaici. Nel 1963 fonda e dirige quello che per lungo tempo si è poi chiamato «Istituto per le
CASA BELLA CASA
Antichità Ravennati e Bizantine», con sede nella duecentesca Casa Traversari di via San Vitale 28, in cui attualmente si trova il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater, che dal 2012 raccoglie i dipartimenti di Archeologia, di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche, di Paleografia e Medievistica, di Storia Antica e, in parte, di Studi Linguistici e Orientali. In questa sede prestigiosa al professor Bovini sono dedicati il Centro Studi per le Antichità Ravennati e Bizantine e una sala per le conferenze e la didattica frontale. Ma torniamo alla via intitolata all’illustre studioso toscano e al tempo in cui il Corso Nord non esisteva ancora. All’incrocio tra le vie Giuseppe Bovini e via Giacomo Battuzzi nel 1971 viene eretto il condominio Capri, su progetto del geometra Ezio Lombardini di Ravenna. Si tratta di un edificio ad L, con vano scale e ascensore posti in angolo a due corpi di fabbrica allungati secondo le due vie reciprocamente intersecate, con destinazione d’uso di tipo misto, commerciale al piano terra e residenziale ai due piani superiori. Transitando tuttora per via Bovini
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Abitare il Corso Nord: le prime case L’appartamento di una palazzina di via Bovini fra mobili tramandati e accenni di modernità ecco apparire la robusta e semplice sagoma in mattoni rossi inserita in un telaio in cemento armato, con la facciata rigata dai pilastri che risalgono fino al forte cornicione in cemento armato sagomato e i balconi con parapetto a bande verticali bianche. Se nel 1971 si fosse proseguito verso est, già all’altezza di via Felisatti la strada si sarebbe trasformata in uno spiazzo sterrato; e tale rimarrà per vari anni a seguire. A quei tempi, uno dei protagonisti della storia che oggi raccontiamo non era ancora nato. Si tratta di Jonathan Farina, classe 1984 e laurea in architettura a Ferrara nel 2008, che ha recentemente aperto lo Studio 52 in cui, oltre a lui, si riuniscono gli architetti Giovanni La Mela e Laura Giovannini. Ma procediamo con ordine. Circa un anno fa la famiglia Ori incarica l’architetto Farina di studiare l’ampliamento del proprio appartamento, sito all’interno del condominio Capri, poiché intende valorizzare la zona pranzo e cucina con più luce e qualità dello spazio e risolvere la mancanza di una camera da letto per una delle due figlie. L’idea – realizzata nella prima metà del 2013 – è semplice ma efficace: spostare la zona giorno nel superiore piano di sottotetto, fino ad allora sottoutilizzato. Ci rechiamo dunque in via Bovini 32. Entriamo nell’androne con scala e disimpegni in botticino, marmo molto usato già almeno dagli anni Sessanta. Saliamo fino al secondo piano, ed entriamo in questo nuovo grande appartamento, sviluppato su due livelli per circa 160 metri quadri: tre camere da letto, due bagni, stireria al primo e grande spazio unico per soggiorno, pranzo e cucina al secondo. Fin dal largo corridoio d’ingresso, omaggiato da un bel divano Thonet, si intuisce una caratteristica degli arredi di questa casa, vale a dire il riutilizzo della mobilia antica, giunta in eredità ad entrambi i rami della famiglia, gli Ori e i Calderoni, e opportunamente ricollocata a segnalare il gradiente di un abitare consapevole che nel mobile antico riconosce una continuità identitaria. Purtuttavia, nell’ornamento dello spazio architettonico in alcuni momenti al mobile antico si accostano arredi più o meno contem-
Circa un anno fa la famiglia Ori incarica l’architetto Farina di studiare l’ampliamento del proprio appartamento per valorizzare la zona living con più luce e qualità dello spazio e risolvere la mancanza di una camera da letto per una delle due figlie. L’idea, semplice ma efficace, è quella di spostare la zona giorno nel superiore piano di sottotetto, fino ad allora sottoutilizzato.
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La cucina, regina della casa, si snoda ad L su due lati bassi dell’ex sottotetto. È una bella e funzionale piattaforma di lavoro in cui si dipana il concetto tipicamente moderno del rapporto eleganza-minimalismo, qui segnalato dal bianco piano continuo in corian e da ante e cassettoni in laccato grigio seta e prive di maniglie.
poranei. Non sarà quindi una sorpresa trovare nella camera da letto della figlia maggiore accanto al letto matrimoniale anche una poltrona in pelle imbottita e braccioli in legno curvo degli anni Trenta del Novecento e un armadio romagnolo classico, di cui troveremo un altro esemplare nello spazio del nuovo soggiorno. A questi inserimenti di pregio Farina fornisce uno sfondo continuo d’aspetto moderno, che già abbiamo visto costituire un nuovo classico, vale a dire il parquet in listoni di rovere, con qualche soluzione moderna, come le applique e una tinta chiara ma calda alle pareti, mentre procede ad una nuova dotazione di porte e finestre in legno bianco. Altri inserimenti antiquari però ci attendono nel proseguo della visita. La camera dei padroni di casa, introdotta nel corridoio da una bella applique in elementi in vetro di Venini, ci accoglie con un letto matrimoniale in ferro di colore rosso pompeiano, due comodini e un cassettone inizio Novecento, omaggiati da una Maternità di Ortega e da una abat-jour con vaso rosso, mentre siamo sorpresi dal gaio irrompere di un grande armadio a parete con ante rivestite da una tappezzeria con motivo a rose rosse e piccoli fiori gialli. Il dialogo antico-moderno diviene più forte nel salotto da cui parte la nuova scala Rexal della Mobirolo, a cosciali in ferro piatto sagomati nella sequenza alzata /pedata e gradini in legno, e una imponente credenza a due sportelli e spigoli stondati, piedi torniti a boccia schiacciata e cornicione e modanatura semplice, sui cui troneggiano in ordine le foto di famiglia. In altri ambienti le scelte sembrano invece prediligere la soluzione tutta moderna, come il bagno matrimoniale, con mensola in laccato color tortora e lavabo d’appoggio in ceramica, ma accompagnata da qualcosa di familiare e
Alcune immagini della cucina disposta a L. Un continuo piano di lavoro e accessori tanto bello quanto funzionali
CASA BELLA CASA
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di finto casuale, come la cesta di paglia colorata appoggiata al pavimento, che sembra fare il paio con la borsa in pelle rossa porta gioie sopra il cassettone della camera matrimoniale. Saliti al piano che un tempo era un semplice sottotetto, siamo felicemente accolti da un’atmosfera luminosa e avvolgente. Qui, dopo aver fatto la conoscenza della zona soggiorno e del tavolo da pranzo per sei persone, quest’ultimo illuminato dal grande lucernario Velux che scopriamo dotato di sensore antipioggia, scopriamo la regina della casa, vale a dire la cucina. Si tratta di un mobile che si snoda ad L su due lati di bassa altezza, a causa della falda dell’ex sottotetto. Sfruttando infatti le peculiarità delle altezze, il progetto colloca scala e cucina nelle migliori posizioni per uno spazio statico e dinamico, esaltando le funzioni assegnate. La cucina, complice il mobiliere Casalboni, è una piattaforma di lavoro con la quale il rapporto va dalla semplice convinta visualizzazione alla realizzazione della funzionalità più ricercata. Davanti ai nostri occhi qui si dipana
La camera da letto matrimonialee e alcune zone di disimpegno, con mobili di famiglia
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La scala Rexal della Mobirolo, in ferro verniciato, legno e finiture in acciaio e uno scorcio di un bagno
un concetto ormai consolidato in chiave moderna: il rapporto eleganza-minimalismo, qui segnalato dal piano continuo in corian, pronto a snodarsi per vari metri in assenza di pensili ingombranti. La soluzione del lavello a vasca incassata cromaticamente omogenea, ma opportunamente segnalato dalla finestra a vasistas, contribuisce alla riuscita dell’effetto, cui va aggiunto il piano cottura ad induzione e la sequenza di ante e cassettoni laccati color grigio seta e privi di maniglia. Un tocco prettamente tecnologicoformale è inoltre conferito dalla cappa d’aspirazione a scomparsa con struttura elettrotelescopica, luci incorporate, e dal dispenser per acqua e forno, entrambi collocati a colonna al termine della composizione davanti al frigorifero che sfrutta la maggiore altezza di falda. Ben utilizzando le peculiarità degli spazi interni, aprendo ante e cassettoni si rivela a noi la loro capacità di alloggiamento di elettrodomestici e soprattutto del corredo necessario all’attività di ogni buon cuoco e padrone di casa. In realtà, chiuse ante e cassettoni, la cucina riassume il proprio aspetto sobrio e pulito, fatto di linee nitide e moderne e tonalità chiare. Forse per stemperare l’algida eleganza della composizione – azzardiamo noi alla stregua di quanto suggerito dalla borsa di paglia del bagno e di quella di pelle del cassettone della camera matrimoniale – ecco la parte più luminosa del mobile animarsi di una febbrile ma studiata presenza di scenari e postazioni funzionali, che dall’inserimento della macchina del caffè prosegue fino ai vassoi in metallo traforato e dai contenitori per utensili speciali va fino a un grande orologio. Ma cosa sarebbe una cucina senza il controllo del tempo di
CASA BELLA CASA
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Vedute dell’esterno e dell’ingresso dell’appartamento del condominio Capri, originariamente edificato nel 1971
cottura? Infine non resistiamo dall’affacciarci al piccolo terrazzo per verificare la vista del grande parco di via Battuzzi. La profonda prospettiva verde che si allunga davanti a noi verso via Vallona ci gratifica e soddisfa la nostra curiosità, offrendoci anche un piccolo cammeo bizantino con il profilo del campanile e della cupola della basilica di S. Vitale alla nostra sinistra e confermando ulteriormente la riuscita dell’intero lavoro realizzato.
CREDITI: Progettista: Jonathan Farina Consulenza e coordinamento delle imprese: Geom. Gilberto Farina (Il Mulino S.r.l.) (Ravenna) Pavimenti: Art e parquet (Godo di Russi) Arredamento cucina: Arredamenti Casalboni (Villanova di Bagnacavallo) Illuminazione: Elfi luce (Ravenna) Sanitari e rivestimenti bagni: Ciicai (Ravenna) Scala: Mobirolo Infissi e porte: TBT (Ravenna) Impianti elettrici: Monti impianti (Ravenna) Impianti termico sanitari: B.D. Impianti termosanitari
CASA BELLA CASA
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Storie di Sant’Alberto,
come il ricordo esalta il paesaggio Frammenti di una geografia e di un’urbanistica povera ma dignitosa, capace di raccontare. A proposito del libro di Osiride Guerrini “Aqua e Tèra, Tèra e aqua”
TOPOGRAFIA E STORIA
di Pietro Barberini La ricerca storica può essere somma di emozioni, racconti, sensazioni? Per fortuna dei lettori la risposta è affermativa, consentendo di trovare percorsi del tutto personali, guidati da un filo conduttore che mette assieme e intreccia storie diverse e distanti nel tempo. È il caso di un libro. Aqua e Tèra, Tèra e Aqua, sottotitolo Vivere e lavorare a Sant’Alberto, un paese fra Primaro e Lamone, scritto da Osiride Guerrini. La ricercatrice, obiettiva ma non neutrale, ha indagato la materia, sempre sensibile e difficile delle testimonianze orali, ascoltando e appassionandosi, ma trascrivendo con cura la vita e il lavoro degli abitanti. Ha avuto attenzioni e premure, cercando collegamenti, spunti e affinità, seguendo il filo delle cose raccontate e suggerite sottovoce. Sono loro i protagonisti, donne e uomini, che testimoniano una presenza in bilico fra acqua e terra,
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un sottile equilibrio, metafora di conti e aspettative, piaceri brevi e lunghi lavori, monotoni come la pianura invernale. Voci che animano un paese, Sant’Alberto, adagiato sul fianco dell’antico corso del Po di Primaro. Abbastanza lontano da permettere un distacco che Francesco Talanti e Olindo Guerrini esalteranno nella poesia, senza privarsi della lingua del popolo: quel dialetto che trovava nella voce di un santalbertese “doc”, Giuseppe Maestri, toni e musicalità capaci di “far vedere”. I testimoni di Osiride Guerrini, pensano in dialetto. Lo fanno da quando hanno imparato a parlare: l’italiano scritto si è sovrapposto, per molti faticosamente, al loro pane quotidiano. Il lavoro è diviso in tre capitoli principali: “frammenti di vita”, dai “frammenti al racconto” e “segni che ritornano” al termine un’appendice che mostra, attraverso carte e fotografie, come le parole abbiano intensamente vissuto il territorio. Le abitudini comprendevano e permeavano l’ambiente, capace di mostrare ostilità anche alle diuturne e faticose attenzioni di chi, fin da piccolo, ne respirava i ritmi. Nelle mappe dell’abitato di Sant’Alberto vengono a sintesi racconti storici e cronache, aneddoti fra politica e familiarità, amori
Nella pagina a sinistra, in alto, cartografia della metà del Seicento del Po vecchio e nuvo di Sant’Alberto. In basso, una cartolina d’epoca (con dedica poetica di Stecchetti) che illustra il “passo” via barca sul Reno. In questa pagina, dall’alto, alcune vedute di strade del paese (vicolo Poazzo, via Rivaletto, vicolo del Drizzagno, via Cavedone: strade che ricordano antichi assetti idraulici. Su quell’impronta le abitazioni si “appoggiano” le une alle altre. Gli edifici si affacciano su strade spesso a fondo chiuso che costituiscono uno spazio comune, destinato ad incontri e racconti (foto di Pietro Barberini). In basso, a sinistra, la copertina del libro è di Giampiero Corelli, autore delle foto attuali, che affiancano quelle d’archivio e provenienti da album e collezioni private. Il fotografo, figlio di uno dei protagonisti che “si raccontano”, Elia Corelli, è altresì autore delle riproduzioni cartografiche. Il volume è stato pubblicato dalle edizioni Danilo Montanari di Ravenna.
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e guerre: dietro le facciate delle case, in quelle strade anguste, negli slarghi di quel paese lungo, l’urbanistica racconta. Sono quelle case a schiera, povere ma dignitose, appoggiate le une alle altre come le pagine di un libro consunto, a raccontare le “storie”. I segni dei mattoni, delle regimazioni fluviali, dei lavori di scavo si sono ispessiti come le vite di Elio, Ida, Carolina ed Elia d’ Ranoc, sono il fondale teatrale di quel paese allungato (o stretto) fra due fiumi, ma anche fra l’incombente e boreale Valle di Comacchio e le paludose valli ai lati della strada del Bosco. Distese di erbe palustri, risaie e canali color caffelatte dopo le pioggie annunciate dal libeccio cattivo, la curèna. Come suggerito dal titolo, sono i confini a tracciare itinerari sui quali si muove la Storia fatta di tante storie, minuscole e frammentate ma forti e tenaci come in cavo d’ormeggio: cento fili fanno un trefolo, cento trefoli una gomena. Dal racconto i segni ma anche la costruzione di quei luoghi, inizialmente sulle terre elevate, sopra scanni consolidati, lungo vie alzaie dove, con la vita dura, anche il ricordo ispessisce il paesaggio.
In alto, l’attuale traghetto sul fiume Reno (antico corso del Po di Primaro) punto nodale di transito turistico-ambientale e collegamento con il territorio ferrarese. A sinistra, scorcio di un vicolo Santalbertese dove il paese confina con valle e campagna. Foto di Pietro Barberini
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Motti e motteggi solari Morali e riflessioni filosofiche (spicciole) sul tempo di Mario Arnaldi «Ricordati che devi morire! – Come? – Ricordati che devi morire! – Va bene – Ricordati, che devi morire! – Sì sì, no, mo me lo segno proprio…». Questo dialogo fra Massimo Troisi (Mario, nel film) e il frate sotto casa, nel film Non ci resta che piangere, è ormai un cult del cinema italiano. Quante volte ci abbiamo riso su. Anticamente, ma soprattutto nel Medio Evo, il memento mori non era una cosa così fuori luogo; le persone avevano esperienza della morte ogni giorno, le malattie e le guerre non facevano mancare occasioni per ricordare che la vita era breve e che occorreva viverla al meglio. Si doveva cogliere la vita giorno per giorno (carpe diem) perché la giovinezza fuggiva presto e del doman non vi era certezza. Si ravvisa nell’orologio solare un inevitabile e perfetto memento mori fin dall’antichità classica. Famosa è la figura di Trimalcione (Petronio, Satiricon) che tiene nel triclinio un orologio solare affinché un servo, suonando la buccina allo scadere di ogni ora, gli ricordi quanta della sua vita è passata, oppure il paragone fatto da Seneca, nella lettera a Lucilio, fra l’acqua che defluisce da una clessidra e la vita che se ne va ogni giorno (Ep. 24.20) o, ancora, il passo del De Auspiciis di Valerio Massimo dove si racconta la previsione dell’imminente morte di Cicerone, quando un corvo si era posato sull’orologio solare della casa di Gaeta, poco prima
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che giungessero gli assassini del console, e ne aveva asportato lo stilo ferreo volandosene via. In molti sarcofagi romani, dal I al III secolo, sono rappresentati degli orologi solari, ma il tema entro cui essi si collocano è legato generalmente alla teoria delle muse o alle rappresentazioni di filosofi (la relazione fra i filosofi e gli orologi solari fu già fatta rilevare da Seneca, quando disse che era più facile mettere d’accordo due orologi solari che due filosofi). Ma, a parte queste ovvie analogie con il tempo e con la morte, gli orologi solari dell’antichità, invece, intendevano rappresentare proprio l’opposto; gli antichi Greci, che scrivevano i numeri con le lettere dell’alfabeto, non poterono evitare che la sequenza delle ore 7, 8, 9 e 10 (Z-H-Q-I) formasse l’imperativo Zêthi, cioè Vivi. Non si conoscono orologi solari Greco-Romani con iscrizioni che ricordino quelle brevi sentenze che noi chiamiamo “motti” e anche se nel Medioevo l’uso del motto era assai frequente, nelle imprese araldiche è veramente molto raro trovarlo scritto su un orologio solare. Il più antico che si conosca è inciso su un piccolo orologio solare portatile trovato durante i lavori di restauro del chiostro della cattedrale di Canterbury: l’orologio risale al secolo IX o X e il motto dice Salus factori, pax possessori, mentre un secondo, scritto da Leonardo da Vinci, diceva Sol per te le mie ore son generate; nessun memento mori. Fu solo verso la fine del Settecento che iniziarono a vedersi scritti sugli orologi solari dei motti brevi o testi morali e severi riguardanti la caducità della vita, e pare che non se ne inventassero mai abbastanza. E così ecco che, assieme alle classiche: Vulnerant omnes, ultima necat (tutte [le ore] feriscono, l’ultima uccide), Ultima forsam (Questa potrebbe essere l’ultima [tua ora]), Scis horas, nescit horam (conosci le ore, ma non conosci “l’ora”), hora tua semper incerta (la tua ora è sempre incerta) troviamo le altrettante sconfortanti: Ogni cosa mortal col tempo passa, L’uom qual ombra fugge e più non
Pagina a sinistra, dall’alto: Orologio solare costruito da R. Anselmi e G. Tecco nel 1993 in Valle d’Aosta, il motto è in patois. Orologio solare a Cozzo (PV), il motto in dialetto dice “Senza il sole non mostro le ore”. Orologio solare piemontese con motto dialettale che dice “Senza un raggio di sole non posso dire niente”. Opera di A. Cattò, 1995. Orologio solare ricostruito su un precedente del 1935 su una casa di Barbiano (RA). Opera di R. Fabris, 1993.
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torna, Ombra fugace dalla luce uscita – Misuro al mondo il Sole, all’uom la vita. Insomma, non c’era da stare allegri. Personalmente negli orologi che ho costruito, ho sempre cercato di fuggire da simili tenebrosi e infelici motti, cercando, fra quelli classici, le parole più positive. Sol omnibus lucet (il sole splende per tutti), per esempio, l’ho ripetuto su due orologi solari, ma mi sono divertito anche a modificarli, così sul muro di una cantina vitivinicola del Conero ho trasformato il classico Amicis quaelibet hora (per gli amici si trova sempre il tempo)” in Amicis et vino quaelibet hora (la traduzione è scontata) e il motto cittadino Felix Ravenna in Felicis horae Ravennae. Da un po’ di anni, però, mi sto affezionando alle forme dialettali. Le trovo più ricche di sfumature, di significati, di poesia e, soprattutto, quasi mai tristi. Qualche volta i motti in dialetto sono la semplici traduzioni di sentenze classiche che solitamente si leggono in latino. In Valle d’Aosta un orologio solare riporta in patois il detto L'ommo meseue lo ten et lo ten meseue l'ommo (l’uomo misura il tempo e il tempo misura l’uomo), in Piemonte a Centallo, Frazione S. Biagio El sul sort per tuti (Il sole sorge per tutti), e in quel di Boves una variante Ogni matin u sul sort per tuti (Ogni mattino il sole sorge per tutti). E così anche nelle valli occitane, a Moiola leggiamo El soulei nais per tuchi (Il sole nasce per tutti), a Pontechianale, Borgata Maddalena, Località Forest Lou soulei se levo per touchi (Il sole sorge per tutti) e a Dronero, un’altra variante ancora: Lou soulei ven par tuchi (Il sole viene per tutti). A Paesana, sempre nelle valli occitane del Piemonte il noto motto Sine sole sileo diventa Senco soulelh istou queto (Senza sole taccio) che a Reggio Emilia diventa Sensa Sôl a T s, a Cozzo, in provincia di Pavia, Sensa su, sensa uri (Niente sole , niente ore) e a Barbiano un orologio solare dipinto da Roberto Fabris di Ravenna Gnit senza e’ sol. Un altro classico motto degli orologi solari, Amicis quaelibet hora, a Baricella, in provincia di Bologna, è diventato Par i amîg an gné brîse ureri. In Sicilia prevale la sentenza proverbiale. Su diversi orologi solari leggiamo detti come questi: Bon tiempu e malu tiem-
CITTÀ E E TEMPO TEMPO CITTÀ
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pu nun dura tutt’u tiempu (Bel tempo e mal tempo non dura tutto il tempo), A matinata fa 'a jurnata (La mattinata fa la giornata) oppure Cco jaddu o senza jaddu sempri juornu ha ffari (O col gallo e senza gallo sempre deve fare giorno). Ma se per matinata si intende l’alzarsi presto, lo stesso saggio principio in Sicilia è esposto anche così Cu arriva prima, macina (Chi giunge prima [al mulino] macina per primo). Gli aspetti del tempo sono vari e percepiti in modo diverso, ecco quindi un altro modo di dire siciliano che ha trovato posto su alcuni orologi solari: O picciuottu ci allonga, o viecchiu ci accurza (al giovane s’allunga [il tempo], al vecchio si accorcia) che è poi la variante di Ppo Picciuottu è fermu, o viecchiu ci curri (Per il giovane [il tempo] è fermo, per il vecchio corre). Ma se si ha del tempo a disposizione nulla ci preoccupa, come recita questo altro detto popolare prestato ad un orologio solare: Lu surci ci rissi a nuci: «dammi tiempu ca ti spurtusu» (Il topo disse alla noce: «dammi tempo, che ti apro»). Dai motti che si leggono sugli orologi solari piemontesi, sembrerebbe che da quelle parti il tempo sia goduto meglio. Così ecco come un motto in dialetto astigiano vede la vita che per altri inesorabilmente passa: Sagrinti nen se l'uri a-j van, dop ancheu a-j ven duman... che possiamo tradurre con Non arrabbiarti se le ore passano, dopo di oggi viene domani... La bellezza degli orologi solari sta nel fatto che segnano un tempo per nulla frenetico, conducendoci verso una dimensione più umana. Sempre in Piemonte, a Savigliano, un orologio solare reca il motto Pian pian, lon ch'i faroma nen ancheuj i lo faroma doman (piano piano, quello che non faremo oggi lo faremo domani) e ancora, a Frabosa Sottana, frazione Riosecco, Beicme nen va pian cos'it fe nen n cho tlu fè po duman (Non stare a guardarmi, vai piano, cosa non fai oggi lo farai domani). A Montalto di Mondovì, frazione Sant’Anna Collarea troviamo Cura nen trum lu stes (Non correre, arrivi lo stesso) e a Castigliole Saluzzo, frazione Cerretto, Daje temp al temp (Dai tempo al
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CONTINUA LA Pagina a sinistra, dall’alto: Orologio solare sulla casa di G. Scarani a Baricella (Bo). Opera di M. Arnaldi, 2012. L’orologio solare di Casa Balella, in via Zendrini a Ravenna. Leggiamo il motto “S’l’è sren la matena ben e’ temp us’ incamena” (Se al mattino il cielo è sereno il tempo si avvia bene).Opera R. Fabris, 1995. Orologio solare in Sicilia con sentenza dialettale. Opera di G. Bellina, 1997.
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In alto a sinistra: Orologio solare a Montiglio (AT) con i due autori. Opera di M. Tebenghi e G. Mesturini, 2005. In alto a destra: Orologio solare di una scuola in Trentino, opera degli alunni. In basso a sinistra: Orologio solare in via Pasi a Ravenna. Opera di M. Arnaldi, 2013. In basso a destra: Orologio solare a Frabosa Sottana, frazione Riosecco. Opera di S. SomĂ , 1998.
CITTĂ€ E TEMPO
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In alto a sinistra: Orologio solare di una scuola in Trentino, opera degli alunni. In alto a destra: Orologio solare a Ravenna. Opera di A. Brazzi, 1997. Sopra: Orologio solare su una villa a Canali (RE). Opera di R. Righi e B. Barbieri, 1999.
NOVEMBRE-DICEMBRE
2013
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tempo), che a Racconigi abbreviano con Temp al temp (Tempo al tempo). Il tempo passa, ed è una verità che l’uomo – anche il più semplice – non può ignorare. Così, sebbene nostro malgrado, anche questo scherzo del destino può essere accettato con saggezza. A Racconigi, a malincuore, su un orologio solare si ammette che A smiava ier che ieru masnà, n'coi struvuma con la testa brinà (Sembrava ieri che eravamo bambini e oggi ci ritroviamo con la testa brinata [coi capelli bianchi]). Gli fa eco un altro motto orologio solare di una scuola in Trentino (forse suggerito da un maestro) Pröst o tardi, prüma o dòp mi vardu intal spéc’e nu su pü ‘n pop (Presto o tardi, prima o dopo, mi guardo allo specchio e non son più bambino) e a Bellino, in Borgata Chiesa Les oures pu longes di ann pu joli (Le ore più lunghe degli anni più belli). Talvolta i motti dialettali si fanno spiritosi, e in località Valle, presso Cerrina, il motto di un orologio solare di un negozio di alimentari (quelli dei paesi, che vendono un po' di tutto), recita in dialetto monferrino: A l'é ùra ad vendi, catà e... sa spou ad pagà (È ora di vendere, comperare e... se si può, di pagare). Gli fa eco un altro motto in patois su un orologio solare a Sampeyre, in Borgata Graziani Lei miei en bun rasunament, d'en mari' pagament (È meglio un buon ragionamento che un cattivo pagamento). Il coinvolgimento dei committenti nella creazione del motto in un orologio solare, spesso, genera i più belli, i più personali e i più poetici. A Calitri, in provincia di Avellino l’orologio non solo ha il motto, ma anche tutte le scritte esplicative in dialetto locale; meravigliose sono le traduzioni popolari dei due Solstizi (estivo = Lu juòrn’ chiù luongh’, invernale = Lu juòrn’ chiù curt’) sublime è la traduzione dell’Equinozio (par’ par’) e dolcissimo il motto: Ogn’ora r’la sc’rnàta penz’ semp’ a chi m’av’ amàt’ (ogni ora del giorno penso sempre a chi mi ha amato). Uno dei più poetici fu ideato dai proprietari del l’oro logio solare di Roncalceci, che così recita: Me a segn e’ temp ch’e’ pasa / la vita ch’la câmbja / la rôsa ch’la sfjures / la rundanena ch’la tórna / l’amór ch’larmasta (Io vi mostro il tempo che passa, la vita che cambia, la rosa che appassisce, la rondine che ritorna, l’amore che resta). marnaldi@libero.it
Dall’alto: Orologio solare in località Valle, presso Cerrina. Opera di M. Tebenghi, 1999. Orologio solare a Calitri (AV), con scritte e motto in dialetto calitrano. Opera di M. Arnaldi, 2003. Orologio solare a Roncalceci (RA). Opera di M. Arnaldi, 2004.
CITTÀ E TEMPO
MOSAICO TC:Layout 1 04/12/13 17.23 Pagina 1
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Da via Stradone all’Antica Milizia fino a via dei Poggi
uno spazio di città futura di Chiara Bissi Dopo la lunga stagione di espansione urbanistica che ha coinvolto la città così come il forese, l’aggiornamento degli strumenti di pianificazione ha individuato nella zona fra viale Europa e le vie Stradone, Canale Molinetto, Antica Milizia e dei Poggi l’ultimo settore di espansione della città. Così, a ben guardare, sia il piano strutturale comunale (Psc), il Rue e il piano operativo comunale (Poc) non lasciano dubbi per il futuro. Quello indicato è l’ultima settore che andrà a definire compiutamente il disegno della città, crisi economica e stagnazione del mercato immobiliare permettendo. Da tempo ormai, si è consolidata l’idea di abbandonare il consumo inesausto del territorio, in favore di interventi mirati e di una costante rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, in chiave sostenibile. Le
CITTÀ E QUARTIERI
Prende il via una nuova sezione della nostra rivista, curata da Chiara Bissi, dedicata alla ricognizione dei quartieri ravennati – centrali e periferici – fra storia, toponomastica, urbanistica, soluzioni abitative, servizi e curiosità. schede prescrittive del Poc indicano per “la città di nuovo impianto residenziale”, settore nel quale ricade anche la zona su menzionata, indicano interventi precisi da immaginare quando le condizioni del settore delle costruzioni e le finanze degli enti locali torneranno in condizioni accettabili. Fra questi appare: «il completamento dell’abitato e integrazione delle aree pubbliche esistenti. La razionalizzazione e adeguamento della viabilità esistente,
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al fine di individuare via Brenta quale asse principale di accesso al comparto, da sud (via Antica Milizia) e da nord (via Canale Molinetto); il completamento del percorso ciclopedonale a servizio delle aree scolastiche e sportive». E inoltre: «La realizzazione di un ampio parcheggio, da attestare tra via Isonzo e via Brenta, in corrispondenza della chiusura dell'anello viario esistente». Dagli anni Settanta del Novecento la cortina dei condomini costruiti su via Destra canale Molinetto, ha definito il limite urbano a sud – est del centro storico. Nel giro di pochi decenni le cose sono cambiate, modificando anche la percezione di viale Europa, considerato in piena campagna quando venne realizzato. Villette, piccole palazzine di recente realizzazione, appartamenti in condomini in buone stato, case unifamiliari storiche, la zona fra via dei Poggi, via Antica Milizia e via Stradone offre una grande varietà di soluzioni abitative. Oggi le lottizzazioni su via Stradone portano nella toponomastica l’omaggio al folklore romagnolo con dediche a Secondo Casadei e al ballo Liscio. Il piccolo giardino Romagna Mia interrompe il fronte delle abitazioni che spesso mostrano elementi riconducibili al rustico fuori città, ovvero colori caldi, legno, piccoli portici con colonnini in mattoni. Nei giardini delle abitazioni di più lunga data invece si può scorgere una vegetazione sorprendente, prova ne sia un piccolo “palmeto”. Spostandosi in prossimità di via Antica Milizia fanno capolino nuovi condomini alcuni costruiti in classe A, categoria che accerta la piena efficienza energetica dell’edificio e garantisce notevoli risparmi in bolletta per gli acquirenti. Fra i segni nuovi del quartiere si segnala la chiesa di San Simone e Giuda sempre su via Antica Milizia consacrata nel 2000, in sostituzione dell’edificio religioso di via Candiano, ora dedicato al culto russo ortodosso. La chiesa ospita
Nella pagina a sinistra, nuovi edifici residenziali lungo la parte terminale di via Antica Milizia che si innesta in via Stradone. In alto, alcune case ristrutturate nella storica via dei Poggi
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l’Opera salesiana e con il centro per famiglie rappresenta un luogo di animazione per la zona. Fra le particolarità ha il primato di interrompere la pregevole tradizione dei bei campanili ravennati con una torre campanaria che richiama un forma funzionale più che un elemento dell’architettura religiosa. La zona, servita dal trasporto pubblico, conserva dalle origini la preminente vocazione residenziale, e anche se non presenta una rete commerciale diffusa, la vicinanza ad assi viari di grande scorrimento permette di raggiungere in breve i servizi primari. Il centro sportivo Dribbling, punto di riferimento cittadino per il calcetto e i retrostanti campi da rugby della Compagnia dell’Albero, di basket e tennis danno vita a un polo sportivo strutturato. Il centro commerciale Podium di via del Poggi dopo disavventure e difficoltà di gestione, offre oggi un discount, un ambulatorio medico, un bar, una tabaccheria, una lavanderia, un negozio di frutta e verdura, una rivendita che propone articoli “dalla penna al computer” e un punto con slot machine. Via dei Poggi conserva il lungo andamento di sempre, bordeggiata da casette unifamiliari e un circolo Arci, prima di terminare in prossimità della ferrovia. Nelle vie parallele si distende un’edilizia omogenea, ma per tanti ravennati una delle mete più insolite era la casa rifugio di Antonio
Dall’alto: il centro sportivo Dribbling, dotato di diversi campi da gioco coperti e all’aperto, di aree verdi e un ristorante; una tipica casa a un piano di via dei Poggi all’angolo con via Antica Milizia; la chiesa di S. Simone e Giuda, ricollocata nel 2000 in chiave moderna nel nuovo quartiere, dall’antica sede della darsena di città
CITTÀ E QUARTIERI
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Nanni, socio fondatore del centro di recupero avifauna. Scomparso nello scorso febbraio, Nanni era l’approdo sicuro per ogni genere di piccolo animale selvatico in difficoltà. Accudiva nel retro della propria casa specie comuni ed esemplari rari con passione e competenza, ottenendo buoni risultati. Se il futuro apre scenari nuovi e il presente lascia sul tappeto questioni di viabilità, come il nodo di via Don Carlo Sala, oggetto a lungo di critiche, strada sulla quale si trova la stazione ecologica sud di Hera, è il passato a regalare curiosità e sorprese. Nello stradario storico di Ravenna, Giuseppe Morini ricorda via dei Poggi come molto antica, e rimanda a una citazione di Sidonio Apollinare, vescovo di Ravenna nel V secolo. Via dei Poggi infatti sarebbe la traccia dell’originale via Cesarea che procedeva verso Classe. Sempre Morini indica la reggia voluta dall’imperatore Ottone Magno per i soggiorni temporanei in Italia proprio fra via dei Poggi e le mura. In occasione della presenza dell’esercito al seguito dell’imperatore Corrado si scatenò un tumulto con morti e saccheggi, e così della reggia si perdono le tracce nel XIII secolo. Gaetano Savini invece, in “Memorie illustrate di Ravenna”, ricorda la strada per la presenza del ponte sul canale del Molino, dello scolo Bidente
Condomini costruiti di recente nel quadrilatero fra via Canale Molinetto, via Stradone, via dei Poggi e via Antica Milizia. Diversi fabbricati di nuova tipologia, vantano appartamenti di pregio e realizzati con materiali e impianti per il risparmio energetico, classificati in classe A
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A RAVENNA I PRIMI DELLA CLASSE A In via Carlo Levi l’unico condominio certificato Classe A CasaClima Mentre in tanti parlano di edifici a basso consumo energetico noi l'abbiamo realizzato. E' uno dei primi edifici in Italia pensato e realizzato per consumare quasi nulla. Non solo teoria: l'edificio è stato certificato sia da un esperto professionista indipendente (certificazione Regione Emilia-Romagna Classe A+), sia dalla Agenzia CasaClima della Provincia di Bolzano (Classe A). C'è di più. Il condominio di via Carlo Levi, 62 è il
primo edificio in Italia che è costantemente monitorato da un sofisticato sistema di sensori. Il condominio è già stato pubblicato su alcune riviste scientifiche, portato ad esempio a convegni. Quali e quante abitazioni in Ravenna possono vantare tanto? Nonostante alcuni tentavi d'imitazione gli appartamenti di via Carlo Levi, 62 sono stati pensati e realizzati per essere superiori agli altri. Senza temere paragoni.
Due tesi di laurea per verificare il comportamento energetico dell'edificio e il benessere abitativo degli appartamenti. Due giovani studenti dell'Università degli Studi di Bologna, Scuola di ingegneria ed architettura di Ravenna, seguiti dal Professore Ingegnere Lamberto Tronchin e dall'Architetto Kristian Fabbri, il 20 dicembre discuteranno le tesi. Cristina Gasparrini e Cesare Guardigli con impegno e dedizione per mesi hanno raccolto ed esaminato i dati provenienti da una rete di sensori sistemati nell'edificio. Per chi vuole partecipare alla discussione può liberamente recarsi il 20 dicembre alle nove presso la facoltà di Ingegneria in via Tombesi dall'Ova. Incontro tra impresa ed Università: questo è un ottimo esempio di ricerca scientifica applicata. Un ringraziamento ai docenti e agli studenti che hanno creduto nel nostro progetto.
Perché acquistare una casa in vera Classe A? Valore nel tempo L'edificio è così avanzato che mantiene il valore nel tempo
Alta efficienza energetica L'edificio consuma pochissima energia
Qualità L'abitazione è stata progettata e realizzata con alti standard qualitativi
Benessere ambientale Efficienza termica e protezione acustica degli appartamenti
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Mutui agevolati Convenzioni con le principali banche per il finanziamento
Siamo intervenuti nella trasmissione Presa Diretta di Rai Tre come eccellente esempio di sosteniblità, qualità e risparmio energetico
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e di una grande fornace Hoffmann, costruita nel 1882. La ferrovia realizzata nella meta dell’Ottocento ha segnato l’area senza mortificarla, il collegamento con la circonvallazione piazza D’Armi e con la Darsena è assicurato, mentre via Stradone garantisce il legame con Porto Fuori. La via, chiamata Stradone dei frati di Porto, correva, riporta sempre il Morini, sulla riva destra del fiume Badareno, divenuto in seguito il letto dei fiumi Uniti. Citata già dal XIII secolo partiva dalle mura, in particolare dalla scomparsa porta San Lorenzo che Savini colloca a 130 metri da Porta Nuova “verso Levante”. Savini inoltre ritrova nel corpo delle mura le tracce della porta murata, che doveva essere coronata da un frontone con barbacani e merli con un disegno che rimanda ad un opera successiva al Mille cancellata forse nel XIV secolo, mentre la porta originaria era assai più antica. Quando nel 1904, conclude Savini, furono demoliti i resti del convento di Santa Chiara, in via di Roma apparì la strada antica che non proseguiva per Porta Nuova ma piegava verso la perduta Porta San Lorenzo. Come scrivono le archeologhe Giovanna Montevecchi e Cristina Leoni negli “Atti della terza giornata di studio nazionale sul Il vetro fra antico e moderno, Milano 31 ottobre 1997”, in viale Europa, tra via dei Poggi e via Romea sud, nel corso dello scavo per il sottopassaggio ferroviario della linea Ravenna-Rimini effettuato nel 1990 e 1991, fu rinvenuta una necropoli. L’indagine archeologica permise di rilevare 146 sepolture: il maggiore campione attualmente noto nella zona ravennate e classiaria. «La necropoli era localizzata nella zona situata anticamente a sud del sobborgo di Cesarea e a nord dell'accesso marittimo collegato, attraverso il canale-portuale, agli invasi vallivi ospitanti la flotta militare di impianto augusteo». In base allo studio dei corredi funebri e degli oggetti ritrovati, olle in vetro azzurro verde, anfore, lucerne, monete contenitori in ceramica, oggetti in bronzo, in ambra e in oro, la necropoli fu utilizzata dalla fine del I secolo al II dopo Cristo. Infine, l’ultima direttrice storica di questo porzione di quartiere, che appare ricco di potenzialità, dagli edifici curati e dall’omogeneità di scala, è via Antica Milizia. La strada oggi interessata da un nuove realizzazioni, un tempo era poco più di un stradello con alcune case di braccianti. Nel 1928, scrive Morini, prese l’attuale denominazione per ricordare le compagnia di ventura trecentesche, in particolare quella di San Giorgio forte di 7 mila uomini, guidata da Alberico, condottiero nato nel castello di Barbiano.
Dall’alto: una prospettiva di via Antica Milizia verso via dei Poggi; elegante palazzina residenziale del nuovo quartiere; campi da calcio e rugby della Compagnia dell’Abero; opere di urbanizzazione da completare per nuovi collegamenti fra i nuovi complessi abitativi e via Stradone
CITTÀ E QUARTIERI
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Spazio Mosa Idee per dare nuova vita alle ex industrie Martini in darsena di città Ecco i progetti di riuso temporaneo e recupero funzionale firmati dai giovani architetti di Spazio 52 per l’imponente edifico in disuso, in sinistra Candiano. Gli elaborati sono inseriti nel dossier di candidatura di Ravenna 2019 di Laura Giovannini
Ravenna, darsena di città. Tema principale delle discussioni urbanistiche degli ultimi anni, che tendono però a limitarsi solamente alla sponda destra del canale Candiano, che ha già visto la realizzazione dei primi interventi. La sponda sinistra è finora rimasta nell'ombra, se non fosse per la costruzione della nuova sede dell'Autorità Portuale. Però anche in quest'area qualcosa comincia a muoversi, puntando l'attenzione sullo stabilimento del gruppo Martini, inattivo da qualche anno. Si tratta di quello che i ravennati conoscono come ex-Mosa, uno dei tre poli principali presenti a nord del canale, assieme all'area ex-Fiorentina e agli exsilos Granari. Il fabbricato che oggi vediamo risale ai primi anni '50, quando la Società Padana di macinazione decide di riedificare l'area del Mulino Spagnoli Padovani, irrimediabilmente colpito dai bombardamenti dell'ultima guerra e quindi abbattuto. L'edifico originario, una tipica "fabbrica alta", presentava fronti in mattoni a vista dalla partizione classica,
IDEE CITTÀ E PROGETTI E TEMPO
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una fila interna di colonne in ghisa e capriate metalliche. Quello ricostruito ne riprende la volumetria, ma con una struttura in cemento armato e una più semplice facciata intonacata, scandita dalla successione regolare delle aperture quadrate. Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1980 l'immobile verrà acquistato dalla MO.SA s.p.a., battezzandolo con il nome che continuerà ad identificarlo anche dopo l'acquisizione da parte del gruppo Martini, nel 1984. Nato come mulino, l'edificio è stato nel tempo trasformato in mangimificio, funzione che ha mantenuto fino alla definitiva dismissione avvenuta nell'ottobre del 2009. A ricordare la destinazione originaria restano gli ex silos della farina, non quelli bianchi affacciati sul canale, bensì quelli in muratura, dei quali dall'esterno si percepisce solo la grande parete cieca che dal 2011 ospita il murales di Ericailcane. L'artista di fama internazionale era stato invitato a realizzare un'opera simbolica, che annunciasse a tutta la città la candidatura a capitale europea della cultura per il 2019. Con il suo rigoroso prospetto, i grandi silos bianchi e i suoi sei piani di altezza, l'ex-MOSA è quel gigante che, svettando sulla sponda sinistra della darsena cittadina, ne ha accompagnato lo sviluppo, la progressiva dismissione, e ora si propone come volano della riqualificazione e della riappropriazione da parte della città. Come avviene sulla sponda opposta con la torre di Cino Zucchi e il Sigarone. La candidatura a capitale della cultura e la parallela elaborazione del POC Darsena spingono la proprietà ad interrogarsi sul futuro dell'edificio. È così che nella primavera del 2013 i giovani architetti di Spazio 52, Jonathan Farina, Laura Giovannini e Giovanni La Mela, cominciano ad elaborare il progetto di riqualificazione, con il coordinamento di Nuovostudio. Il progetto, rinominato Seeds of creativity, è tra i quattro inseriti del dossier di candidatura di Ravenna 2019, che consente alla città di passare la prima fase di selezione. L'ex-Mosa è un edificio in buono stato di conservazione, con una superficie coperta di più di ottomila metri quadrati, posto in una posizione strategica: vicinissimo al centro città, ma immediatamente raggiungibile anche dall'esterno attraverso la nuova circonvallazione. Un'ottima occasione per un progetto di rivitalizzazione ambizioso, ma sempre concreto. I progettisti prevedono due possibili modalità di intervento: un uso temporaneo ed un progetto vero e proprio. La prima ipotesi è quella attuabile già nell'immediato, prevede la riapertura degli spazi esterni e l'utilizzo della stecca che si attesta su via Salona, che potrebbe ospitare spazi dedicati all'arte e alla cultura, laboratori ed atelier di giovani
Nelle immagini, particolari dell’edificio industriale ex Mosa, nelle condizioni attuali, e nei rendering, come potrebbe diventare, secondo i progetti di ristrutturazione funzionale proposti dagli architetti di Spazio 52
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artisti, attività di coworking e start up. In questa fase non si prevede l'utilizzo degli ambienti interni al fabbricato principale, poiché la messa in sicurezza risulterebbe troppo onerosa. La facciata rivolta verso la città si presta invece ad essere trasformata per fungere da grande totem urbano, o da gigantesco manifesto pubblicitario. Si tratta di un utilizzo grafico della facciata, che potrebbe essere direttamente pitturata oppure fungere da schermo per la proiezione di immagini durante le ore serali. È quello che già accade in grandi città di livello internazionale, basti pensare a New York e Times Square, dove le facciate degli edifici ospitano enormi schermi pubblicitari. Ma anche i ravennati hanno cominciato a vedere qualcosa di simile grazie al progetto Visioni di eterno, che dal 2011 con le sue proiezioni ha animato le facciate dei principali monumenti della città. La seconda fase progettuale, il progetto vero e proprio, parte dall'attenta analisi della situazione attuale. Dell'edificio industriale si è scelto di mantenere gli elementi più caratterizzanti, ormai divenuti parte integrante dello scenario urbano e dello skyline sulla darsena di città. Si tratta delle due facciate principali, quella finestrata rivolta verso la città e quella cieca che ospita il murales, e dei silos metallici affacciati sul Candiano, elementi che più di ogni altro ricordano il passato industriale dell'edificio e ne giustificano la conformazione. L'intervento sulla facciata principale è di fatto un restauro conservativo, mentre è all'interno che si operano le maggiori trasformazioni. Le diverse funzioni si distribuiscono in modo da interpretare al meglio le peculiarità degli spazi. Al piano terra, affacciati sulla passeggiata protetta dalla grande pensilina in cemento armato, si dispongono i locali con vocazione essenzialmente commerciale. I piani intermedi più vicini al canale, privi di ostacoli interni, ospitano i nuovi alloggi. I silos vengono rimossi e l'immagine esterna è riproposta modellando una lamiera metallica microforata, mentre lo spazio interno accoglie loft su due livelli che potranno divenire anche residenzeatelier per artisti. È nella parte più a nord del corpo di fabbrica che si crea il primo grande polo di interesse: i vecchi
Dall’alto, alcuni scorci degli interni dell’ex mangimifico del gruppo industriale Martini in disuso in sinistra Candiano. A destra un rendering del progetto di rivitalizzazione dell’edifico che si affaccia sulla darsena di città
IDEE E PROGETTI
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silos della farina, svuotati delle partizioni interne, permettono di creare uno spazio a tutta altezza che diviene una piazza coperta su cui si affacciano sia il piano terra che i quattro livelli superiori. Il nuovo volume è protetto da una copertura vetrata, che potrà essere opportunamente schermata nei mesi più caldi, e si apre sui lati verso l'area verde e verso la darsena. Gli ampi spazi dei piani superiori, 480 metri quadri per piano, saranno in grado di ospitare le più svariate funzioni, garantendo la massima flessibilità nel tempo e la possibilità di adattarsi alle mutevoli richieste del mercato. La pianta libera consentirà di frazionare gli spazi in moduli più piccoli, mantenendo sempre il doppio affaccio sull'esterno e sulla piazza coperta. Dai ballatoi di accesso si avrà una vista verso canale e la darsena grazie alla vetrata a tutta altezza. L'altro punto di interesse è costituito dall'ultimo livello, che ha immediatamente reso evidenti le proprie potenzialità: una grande sala completamente libera da partizioni, scandita dai portali in cemento armato che sostengono la copertura, e una vista a 360 gradi sulla città. È questo il cuore del nuovo SpazioMOSA, che ospita la principale area espositiva prevista dal progetto, affiancata da un ristorante con vista rivolta verso il mare e da una terrazza panoramica posta sulla copertura dei silos. Nasce uno spazio dedicato alla cultura e all'intrattenimento nuovo per una città come Ravenna, abituata
In alto, una serie di prospetti di possibile riuso temporaneo dell’ex Mosa, con l’utilizzo della facciata per grandi advertising promozionali e di pubblica utilità
a vivere al pian terreno, che può così ampliare i propri orizzonti anche guardando ai grandi esempi di recupero industriale europei. Risulta immediato, seppur in piccolo, il parallelo con la sala delle turbine della Tate Modern, riprogettata da Herzog e De Meuron. I progettisti hanno dedicato un attento studio anche alle residenze, sempre nell'ottica di garantire flessibilità e adattabilità al mercato. Le principali problematiche da risolvere erano due: un corpo di fabbrica profondo circa 8 metri con un unico affaccio, e il vincolo costituito dalle aperture della facciata. Tutti gli alloggi si dispongono così attorno ad una loggia, che da un lato permette di arretrare la parete con le finestre della zona notte, mantenendo invariata la facciata più esterna, dall'altro fornisce un valore aggiunto come spazio esterno privato. Gli appartamenti, in parte in-
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tercambiabili tra loro, sono di diverse metrature, per poter ospitare diversi nuclei familiari. I loft si affacciano invece su delle ampie terrazze rivolte verso il canale. La lamiera microforata permette sia di schermare le terrazze e le vetrate dal sole, essendo rivolte verso sud, sia di assicurare la giusta privacy agli occupanti. In posizione baricentrica rispetto al fabbricato si colloca il blocco destinato ai servizi e ai collegamenti verticali, che risolve inoltre la distribuzione degli impianti grazie ad appositi cavedii. Il blocco consente anche
di prevedere diversi orari di apertura per i diversi livelli, ad esempio mantenendo aperto l'ultimo piano anche la sera. L'accesso principale all'edificio è dalla piazza che si crea nell'area rivolta verso la città. Il dislivello ora presente in questa zona permette la creazione di una piastra che nasconderà il parcheggio sottostante, lasciando il livello superiore riservato ai pedoni. Sul lato opposto, la piazza coperta è a contatto diretto con uno spazio esterno più raccolto, chiuso dalla stecca degli atelier/laboratori. La stecca sarà resa permeabile attraverso aperture di collegamento con il futuro Parco delle archeologie industriali. Il progetto prevede una superficie complessiva di più di 8400 metri quadrati, per un investimento di circa 12 milioni di euro. Punto di forza è però la possibilità di realizzarlo per stralci, che potrebbero essere realizzati in tempi diversi e da diversi attori. Catalizzatore dell'intervento potrebbe essere l'ultimo piano, che con il ristorante e lo spazio espositivo sarebbe in grado di garantire una visibilità immediata.
Spazio 52, studio di architettura di nuova generazione
Due disegni dal progetto di Spazio 52 per la ristrutturazione dell’ex Mosa con in alto uno spaccato dei sei piani della costruzione suddiviso in aree funzionali
IDEE E PROGETTI
Spazio52 è un gruppo di tre giovani architetti classe 1984, che si sono conosciuti durante gli studi presso la Facoltà di Architettura di Ferrara. Dopo diversi percorsi formativi ed esperienze lavorative, nel maggio del 2012 hanno unito le loro competenze fondando lo studio d'architettura che ha sede a Ravenna. Jonathan Farina dopo la laurea, nel 2008, lavora per tre anni presso uno studio di ingegneria di Ravenna, occupandosi di composizione architettonica e fonti di energia alternative. Ora opera come libero professionista nel campo dell’energia e dell’efficienza energetica degli edifici, occupandosi principalmente di ristrutturazioni edilizie. Laura Giovannini si laurea nel 2010, dopo un anno di studio all'estero presso la Facoltà di Architettura di Porto. Già durante gli studi collabora con l'ILAUD, International Laboratory of Architecture and Urban Design. Dal 2012 è membro della Commissione Energia e Ambiente dell'Ordine degli Architetti di Ravenna. All'attività di architetto affianca quella di designer, con un proprio marchio fondato nel 2010. Giovanni La Mela si laurea nel 2008. Per due anni collabora con uno studio di Ravenna che opera nel campo del Landscape e della progettazione di resort e campi da golf a livello internazionale. Dal 2011 collabora con un altro studio occupandosi di progettazione architettonica. Come libero professionista è occupato nel campo del recupero del patrimonio edilizio, nella composizione architettonica e nell'arredo di interni.
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di Domenico Mollura
Esiste un sottile filo conduttore che unisce una residenza privata, uno scavo archeologico, un parco eolico e una centrale geotermica: il paesaggio. L’architetto Daniela Moderini lo ha raccontato nel suo intervento all’ultima conferenza del ciclo Il ruolo dell’Architettura contemporanea, promosso dalla nostra rivista TrovaCasa Premium in collaborazione con Gruppo Ravimm l'ideazione e coordinamento di Emilio Rambelli. L’architettura del paesaggio, che in Italia non ha ancora un suo autonomo percorso di studi accademico, affronta il tema del progetto partendo dalla linea d’orizzonte. Il campo visivo potenzialmente attivabile da punti ben precisi (fissi o in movimento) amplifica la scala del progetto che può spaziare in questo modo dal giardino privato al crinale collinare o al mare aperto. In quest'ampio spettro di applicazione diventano fondamentali la lettura dei luoghi e l'analisi delle diverse relazioni che essi instaurano reciprocamente. Il primo progetto presentato (Casa Wagner) ha interessato la realizzazione di un giardino pensile di una dimora di pregio di Venezia. L'edificio, posizionato sull’Isola della Giu-
Le realizzazioni dell'architetto Daniela Moderini fra giardini, aree verdi, impianti energetici e grandi artifici sul territorio decca, possiede due distinti terrazzi, ognuno dei quali di circa 400 metri quadri, "separati" dalla stessa abitazione. I due spazi esterni si affacciano rispettivamente sulla Laguna e sulla città; il loro diverso "orizzonte" ha imposto due diverse logiche di progetto entrambe finalizzate a portare "Il fuori" all'interno dell'abitazione in modo da ampliarne gli spazi percettivi. La terrazza sulla Laguna presenta un tappeto di rosmarino strisciante il cui manto si confronta con il prevalente elemento ambientale. La terrazza "urbana" è maggiormente architettonica, il suo piano di calpestio, in paiolato ligneo, è rialzato su putrelle per spostare in alto il punto di vista; la vegetazione è in vasi incassati per i quali è stato studiato un sistema di scorrimento capace di rendere variabile l'aspetto e lo spazio funzionale; la versatilità della terrazza è completata da elementi che movimentano il piano di calpestio come il ricovero per attrezzi a scomparsa che può diventare chaise loungue. L'essenza vegetale scelta aveva il compito di affrancare il giardino pensile dalla stagionalità in modo da presentare in ogni periodo dall'anno la sua massima espressività. Per questo motivo è stato scelto il bamboo in alcune delle sue diverse tipologie. Per la nuova sede di Tozzi Industries a Mezzano – il cui progetto architettonico di Nuovostudio, è stato presentato nello stesso ciclo di incontri sull’architettura contemporanea – Daniela Moderini è stata chiamata a ridisegnare il giardino esistente integrandolo con un nuovo spazio verde posto in parallelo alla linea ferroviaria. Il “vecchio giardino”, caratterizzato da una continuità impenetrabile e da un eccesso di alberature contigue, è stato frammentato con un nuovo percorso pedonale, mentre la diradazione della vegetazione ha valorizzato la quercia esistente trasformandola in elemento fisso della progettazione. Per il nuovo giardino l'idea è partita dalla storia del territorio fatta principalmente d'acqua. Sono, infatti, i pa-
Alcune realizzazioni dell’architetto paesaggista Daniela Moderini. Dall’alto (a sinistra), i giardini pensili di Casa Wagner a Venezia; (a destra) la “passegiata” intorno alla centrale geotermica dell’Enel a Sasso Pisano; area archeologica dei Campi Diomedei a Foggia
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Progettare nel paesaggio: impronte funzionali ed estetiche su vasta scala leoalvei e le incisioni del reticolo idrografico a definire la consistenza del contesto di intervento vicinissimo al Lamone. Tra le due aree sono state pensate delle "isole" verdi la cui "somma" compone un terzo elemento contribuendo alla rivalutazione generale dell'elemento paesaggistico tra i fabbricati di progetto, grazie anche alla loro cangiante qualità coloristica. La quercia è l'essenza dominante del progetto del paesaggio (un punto fermo che fissa anche la fine del nuovo sentiero in ghiaia e lastre di ferro ossidato), garantendo il rimando al giardino esistente. La botanica – precisa l'architetto Moderini – ha tempi diversi rispetto all'architettura. Infatti alcune essenze (come la stessa quercia) assumono la loro massima espressività molto tempo dopo la messa a dimora (circa 50-60 anni). Pertanto il progetto del paesaggio deve contemplare anche la dimensione "tempo" oltre alla previsione di una costante cura della vegetazione. In alternativa è possibile alternare le essenze a più lenta espressività ad elementi con un "grado temporale" più basso. Per questo motivo il progetto di Mezzano ha visto oltre alla presenza delle querce, anche quella di alberi di origine nord americana scelti anche per il loro carattere selvaggio e fluviale, di salici e di alcune graminacee più rapide nella generazione di volume verde. L'intenzione di Tozzi Industries è quella di raddoppiare in futuro l'area verde per chiudere il perimetro della sede con un nuovo parco dove anche un elemento tecnico-normativo come la laminazione delle acque può facilmente diventare elemento paesaggistico. Nel progetto i due volumi di laminazione sono ricavati in altrettante depressioni del terreno con rilevati centrali che, dopo i principali eventi di pioggia, possono trasformarsi in "isole". Per il Parco della Memoria di San Giuliano di Puglia (CB) il bando di concorso prevedeva il mantenimento del sedime della scuola elementare, unico edifici crollato in seguito al terremoto dell’ottobre-novembre 2012 (rappresentato dall’area pavimentata). L’idea di progetto (classificatosi al 2° posto), parte dal rispetto delle indicazioni del bando per arrivare a coinvolgere tutta la città in una originale forma di “monumento diffuso”. L’area della scuola si anima con la concrezione del terreno, una possente massa scura che appare solcata da tracce, quasi fossero impronte di dita nella tenera sabbia; un percorso pedonale la sfiora appena proseguendo in una linea spezzata che supera i limiti del concorso per ricalcale l’alveo di un antico corso fluviale. La sua memoria riemerge grazie al Ginko, un albero di origini antichissime (simbolo di durata e, per estensione, di memoria) messo a dimora anche negli spazi privati e che nelle intenzione della Moderini doveva nuovamente solcare San Giuliano con la forza dei suoi colori cangianti. L’intera città avrebbe cambiato aspetto al mutare delle stagioni tingendosi dei colori di un nuovo fiume di foglie. Il paesaggio può divenire anche elemento strategico per la gestione attiva di un’area archeologica. Lo dimostrano i progetti per Quartu S. Elena (CA) e Foggia. Nel primo caso la
Dall’alto: modello di parco eolico off-shore e su di un crinale appenninico; progetto per il parco archeologico di Quartu Sant’Elena in Sardegna
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presenza di un Nuraghe, di un’antica tonnara e di alcune casematte hanno allargato l’orizzonte del semplice scavo archeologico; il progetto guarda al territorio e si propone come centro di riferimento per le visite di un’area più vasta. Nel caso dei campi Diomedei la preesistenza di un ippodromo e l’individuazione delle aree a massimo potenziale archeologico suggeriscono due aree dal perimetro curviforme tangenti tra loro. In entrambi i casi si tratta di proposte “leggere” che garantiscono la flessibilità dell’uso dell’area archeologica. Lo scavo viene visto come “giardino” fruibile in cui passerelle effimere e pannelli informativi (rimovibili con l’avanzamento dello scavo) bordati da graminacee (che permettono la libertà di taglio e sostituzione in qualsiasi momento dell’anno) costruiscono attorno all’archeologia una cornice paesaggistica. Anche la produzione di energia acquisisce valore paesaggistico quando si ha la reale coscienza del valore del paesaggio. L’architetto Moderini parla di paesaggio del vento riferendosi all’immagine prodotta dalle grandi turbine eoliche che punteggiano molti dei crinali appenninici tra Molise e Campania. Tale immagine non è il risultato di una ricerca spaziale (in questo caso con un punto di vista posto a una distanza considerevole dell’elemento traguardato) ma di una regola tecnica. Manca, pertanto, una visione complessiva dell’impatto delle turbine la cui installazione potrebbe generare, con adeguate azioni di marketing, sviluppo economico e nuove forma di turismo. Le torri tratteggiano nuovi sentieri sui crinali e le stesse piste di cantiere sono l’occasione per disegnare in maniera non casuale la forma del territorio. Il progetto di paesaggio, per tale motivo, non è controllato alla piccola scala ma su scala territoriale fino ad utilizzare immagini aeree e modelli digitali del terreno.
La frontiera delle nuove forma di paesaggio giunge fino al mare. La progettista del paesaggio ha illustrato la la revisione di un progetto esistente di parco eolico a Chieti di fronte le isole Tremiti. La prima idea prevedeva il posizionamento in linee rette parallele delle turbine a largo ma l’impatto risultava notevole interferendo con tutti i possibili punti di vista e gli elementi paesaggistici presenti. Richiamandosi ad un parco simile a largo di Copenaghen, oggetto di un’emissione filatelica a dimostrazione dell’importanza delle energie rinnovabili nei paesi del Nord Europa, l’idea della Moderini disegna una doppia curva (una sorta di amplificazione della linea di costa) che oltre a risolvere le problematiche di tipo paesaggistico permette anche una migliore navigazione verso l’arcipelago. L’ultima forma di ricerca sul paesaggio indaga un’altra risorsa della natura la cui forza viene sfruttata in Italia fin dagli anni ’40 del ‘900. Si tratta della geotermia che vede nel territorio della provincia di Pisa un importante territorio produttivo. Daniela Moderini viene chiamata per il restyling di una vecchia centrale (Sasso 2, Sasso Pisano), dominata dalle imponenti torri di raffreddamento paraboliche. Il progetto, caratterizzato dall’economicità dell’intervento articola l’area della centrale con percorsi di visita frammentati da belvedere e bordati da palificate di castagno che delimitano le aree pedonali garantendo al contempo la giusta distanza delle parti impiantistiche; un disco in cemento lisciato con bordo metallico destinato ad ospitare spettacoli riecheggia, infine, la figura di base dei paraboloidi che rimangono sempre sullo sfondo. Il progetto è stato attento al “piano del colore” (le tubazioni fuori terra color blu scuro, come le ombre) e allo studio della luce artificiale (calda quella che illumina il paraboloide e fredda quella che illumina la sua base dove scorre l’acqua). Le emissioni acide della centrale non permettono la presenza di vegetazione e pertanto il progetto del paesaggio ha lavorato su elementi “duri” che realizzano un giardino di pietra. Quella dell’architetto Moderini è stata una magnifica lezione di architettura – come sottolineato in chiusura Emilio Rambelli – nella quale è stato possibile dimostrare che anche con pochi elementi materiali (studio del colore, uso corretto della vegetazione, disegno dei percorsi) è possibile creare delle identità e degli spazi carichi di valori formali e concettuali che pongono al centro la persona che osserva.
Dall’alto (sinistra): rendering e scorcio del parco delle Tozzi Industries a Mezzano di Ravenna; rendering del Parco della Memoria a San Giuliano di Puglia
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I giovani mettono in piazza la povertà Il flash mob degli studenti ENGIM di Marina Mannucci Il flash mob, “folla lampo”, è un assembramento improvviso di persone, che si radunano in qualche luogo. E che, così come si radunano, altrettanto subitaneamente spariscono, lasciando nello sbigottimento il pubblico inconsapevole delle loro imprese. Queste moltitudini improvvise sono forme aggiornate di happening di strada, una pratica che presuppone come dato fondamentale l’uso dei nuovi media istantanei, nonché la frequentazione di siti appositi come luoghi di invenzione e di organizzazione. Il primo flash mob si ebbe nel giugno del 2003 a Manhattan e un articolista del «Chicago Tribune» si chiese se per caso si fosse trattato di un episodio collettivo di pazzia provocato dal caldo. La pacificità delle performances, di solito frutto dell’ingegno di gruppi di giovani artisti e studenti, ha reso, nel tempo, i critici meno “sarcastici” ed ha permesso la rapida propagazione di queste manifestazioni. Come tutti i fenomeni che usano i media, i flash mob si trasformano e si adattano rapidamente alla realtà in tutte le sue declinazioni. Aderendo via via a nuove prospettive, hanno stemperato il profilo originario e, applicandosi a nuovi contesti, assumono funzioni sociali diverse. In occasione del 17 ottobre 2013, giornata mondiale Onu della lotta alla povertà, i volontari di Avvocato di Strada di Ravenna hanno incontrato in piazza del Popolo i cittadini. Hanno distribuito materiali informativi, realizzati in parte grazie al contributo delle studentesse e degli studenti dell’ENGIM, che, oltre ad aver realizzato la cartolina che illustra tutti i luoghi di Ravenna dove le persone in difficoltà possono trovare aiuto e solidarietà, sono stati protagonisti anche di un flash
mob che ha suscitato molto interesse nella cittadinanza. Abbiamo chiesto ai ragazzi una riflessione sulla loro partecipazione attiva al flash mob, le loro sensazioni, e se il messaggio di sensibilizzazione sia stato colto in qualche modo, secondo loro, dalla cittadinanza. Sono solo alcune delle testimonianze dei protagonisti, parole semplici, dirette ma soprattutto consapevoli, raccolte dai professori dell’ENGIM Perla Gori e Matteo Papi. «Quando mi sono sdraiato per terra, ho sentito freddo e credo di aver provato, in parte, quello che prova un senzatetto», dice Zhi. «Ho capito quanto, nel mio piccolo, sia fortunata ad avere tutto ciò che mi può rendere felice, mentre prima mi lamentavo. È stato bello vedere alcune delle persone presenti commuoversi assistendo al flash mob», è il commento di Jessy. «In quei pochi minuti pensavo solamente al fatto che un giorno mi potrei ritrovare nella stessa situazione – confessa Alex –. Non avevo mai partecipato a un flash mob ma lo rifarei volentieri, purché sia per una buona ragione. Sarebbe bello che in futuro partecipassero più persone e in più luoghi contemporaneamente». Per Michael si è trattato di «un momento che ti aiuta a crescere, facendoti riflettere sui mali della società e su come questa neghi i diritti alle persone solo perché hanno perso il lavoro». «Un’esperienza anche cruda – aggiungono Martina e Immacolata –, perché ci ha messo di fronte alla realtà dei fatti. La cosa più emozionante è stata rialzarsi e vedere tutte le persone attorno che battevano le mani». «Ero molto scettica sul partecipare al flash mob, poi una mia insegnante mi ha convinta. Quando siamo an-
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dati in piazza del Popolo, ero molto emozionata, mi rendevo conto che era tutta un’altra cosa rispetto alle “prove” in palestra. Qui la gente si fermava ed era davvero interessata. In quei pochi minuti ho provato diverse sensazioni: soprattutto rabbia, perché temo che le cose rimarranno così come sono», racconta Sibel della 3ªC, Operatore del Punto Vendita. «Perché io ho una casa, un letto, del cibo e loro no? Tutti devono poter avere gli stessi diritti. E allora perché? Perché io sì e loro no? Non funziona così. Questo è il pensiero che mi ha spinto a manifestare, a rimanere per cinque minuti sdraiata per terra, con cartoni e giornali. Cinque minuti non potranno mai farti capire il disagio, il freddo, la disperazione e lo spirito di sopravvivenza che ti assale. Ingiustizia! La più totale e completa ingiustizia è il sentimento più forte che ho avvertito, poiché tutto ciò non dovrebbe capitare. Un uomo non può e non deve lottar da solo. Le persone dovrebbero aprire gli occhi e partecipare attivamente, per lasciare senza casa non un uomo, ma l’ingiustizia e l’indifferenza”, aggiunge Veronica, 3ªD, Operatore Amministrativo Segretariale. «Non immaginavo che la povertà non avesse diritti. Oltre ad essere povero, sei anche escluso dal mondo», dice Fatjona, una delle tre rappresentanti della 2ªB, del corso
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Operatore alle Cure Estetiche. «Quando mi sono sdraiata, ho immaginato come sarebbe vivere così. È stata una sensazione forte, difficile da spiegare. Ora vorrei fare volontariato per aiutare le persone bisognose», aggiunge Gurie. Amanda ricorderà a lungo questa esperienza: «Alcuni ragazzi della scuola non hanno partecipato perché si vergognavano, io invece sono stata molto orgogliosa», e aggiunge: «Anche se sei povero, rimani un cittadino ed un essere umano. Mettersi nei panni di chi è povero è stato emozionante, perché ti fa capire che non serve giudicare o disprezzare chi vive in questa condizione. Siamo tutti esseri umani e tutti dovremmo avere gli stessi diritti fondamentali». Voci singole che, se unite, possono davvero stimolare un cambiamento. «Speriamo che il messaggio sia passato: ci vorrebbero più iniziative, anche altri flash mob con tematiche sociali, per far capire a tutti come vivono certe persone. Lo Stato, ma anche i cittadini, devono far qualcosa per fermare questa ingiustizia: l’unione fa la forza» (Matteo Papi).
Foto di Alberto Giorgio Cassani
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Una vita in viaggio alla ricerca di un’umana verità Conversazione con Giovanni Montanari di Marina Mannucci Giovanni, mi racconta la sua storia? «Tutto comincia dalla mia maestra della Va elementare che volle che io dessi l’esame per essere ammesso alla Scuola media. E mi portò a quella di Lugo, dedicata a Silvestro Gherardi, scienziato e ministro dell’Istruzione Pubblica della Repubblica Romana. Le medie le frequentai in seminario a Ravenna così come il Ginnasio ed il Liceo. Già in Terza Liceo, prima di partire per Roma, dove mi avviai per cinque anni agli studi teologici all’Università del Laterano, comprai la Summa Theologiæ di Tommaso d’Aquino. A Roma approfondii i miei studi intorno ad una teologia innovativa, avanguardista e modernista, finiti i quali partii per un viaggio in America dove avevo anche dei parenti». Quanto è stato importante lo studio della dottrina tomistica per una visione “razionale” nelle questioni teologiche? «Sono sempre stato un tomista anche se considero Dante superiore a san Tommaso. Nella prima pars della Summa, quæstio 1 articulus 9, san Tommaso afferma: «est proprium poeticæ, quæ est infima inter omnes doctrinas», cioè: è proprio dell’arte poetica, che è l’ultima delle discipline. Ma Dante si afferma per la poetica ed io sostengo che Dante superi san Tommaso per intuizione e creatività. Dante è grande perché si ritira di là delle contraddizioni e delle conflittualità; afferma inoltre che la felicità è insidiata dalla criminalità e che la pace universale è possibile solo se si realizza l’impero universale, concetto espresso nel saggio politico in latino De Monarchia. Andando di là dell’orizzonte che conosciamo c’è un mondo divino ed è un mondo diverso».
A sinistra: Frontespizio della copia della “Summa Theologiæ” di Tommaso d’Aquino acquistata da Giovanni Montanari nel 1949.
Riguarda questo studio la sua prossima pubblicazione? «Sì, discuterò sulla genialità di Dante e di san Tommaso d’Aquino, entrambi i più grandi geni italici nel loro campo ed anche in paragone di colleghi nel mondo. Ma Dante aveva molto da insegnare a san Tommaso. Ho trovato però che anche in san Tommaso c’è molta estetica, ma non è sviluppata perché il bello non si “sviluppa”. L’estetica è la massima espressione del valore della donna e dell’uomo, l’estetica non si sviluppa perché ha origine dalla bellezza dell’universo». Tornando all’America, questa è stata certamente un’esperienza all’avanguardia per un giovane seminarista di quei tempi «Feci la mia prima visita in America nel 1956. A Roma avevo insegnato latino a delle congregazioni di giovani; quest’esperienza lavorativa mi aveva dato l’opportunità di mettere da parte un po’ di soldi che mi permisero di comprare il biglietto per il viaggio sul transatlantico “Cristoforo Colombo”. Mi imbarcai a Napoli e partii per New York con un amico. Al ritorno da questo primo viaggio americano ero già nel corpo insegnante del Seminario arcivescovile per le materie di Filosofia scolastica e Teologia sistematica. La mia esperienza americana è durata nove anni in università della chiesa e di stato, cioè otto anni nello stato di New York, quattro anni a Rochester e quattro anni nell’Università di Erie in Pennsylvania; poi passai tre anni a Toronto, nel Canada inglese, nell’Istituto pontificio di studi medioevali fondato da Jacques Maritain e Étienne Gilson. Furono anni importanti d’insegnamento e di ricerca all’interno delle biblioteche americane. Negli anni sono tornato diverse volte negli Stati Uniti per semestri d’insegnamento. In un periodo di permanenza a Washington alloggiavo presso il College di Mount St-Mary a Emmitsburg che si trova alle spalle di Camp David. Profittai di questa residenza al College per frequentissime visite al Centro di studi bizantini Dunbarton Oaks della Harvard University, dove il ricordo illustre era che il primo gennaio 1942 i rappresentanti di ventisei nazioni si riunirono per firmare la Dichiarazione delle Nazioni Uni-
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Giovanni Montanari nel suo studio durante l’intervista.
te. Un documento che ribadiva gli obiettivi stabiliti dalla Carta Atlantica e nel quale vi appariva per la prima volta l’espressione “Nazioni Unite”, suggerita dal presidente Roosevelt. Queste importanti esperienze fecero sì che, al mio rientro a Ravenna, l’allora vice presidente della provincia Widmer Mercatali mi chiese di attrezzare una foresteria con annessa biblioteca per ospitare gli studiosi stranieri che venivano in visita a Ravenna. Si sperava in un restauro del palazzo San Giacomo di Russi ed in effetti, in vista di quel progetto, cominciarono i primi lavori di recupero. Fu questa un’occasione che mi permise di raccogliere ulteriori informazioni in campo artistico all’interno delle più prestigiose università, biblioteche, musei e archivi americani. Passai, infatti, un lungo periodo in California e, a Los Angeles, il Jean Paul Getty Museum fu una vera rivelazione. Per me l’America è importante pur essendo io un critico dell’America e soprattutto del capitalismo selvaggio. L’America è portatrice di una missione. Penso a tal proposito a Jacques Maritain e al suo incontro decisivo con la realtà americana che gli permise di individuare, nei diritti della persona, il nucleo fondamentale delle libertà che preesistono allo Stato e che in nessun modo esso può violare. Su quest’argomento composi la mia tesi di laurea in Filosofia a Bologna. Gli Stati Uniti rappresentano il caso concreto di una democrazia costruita sui diritti umani, a prescindere da qualsiasi riferimento religioso del singolo».
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Le riflessioni di Giovanni Montanari m’inducono a pensare al lavoro del filosofo e pedagogista statunitense John Dewey che sostiene che tutto dovrebbe ruotare intorno ad una vera e propria legge che consenta l’avanzare secondo ragione; questo permetterebbe di ridurre le stesse differenze sociali a dati di fatto su cui la ragione deve intervenire ed operare in vista di un sempre maggiore progresso. Come non ripercorrere anche l’opera La democrazia in America di Alexis de Tocqueville e la sua analisi approfondita della democrazia rappresentativa repubblicana e dei motivi per i quali essa si era radicata negli Stati Uniti mentre era fallita in numerosi altri paesi. Tocqueville riflette sul futuro della democrazia negli Stati Uniti, sui potenziali pericoli per la democrazia e l’importanza della democrazia per la laicità dello stato. La società americana secondo il non credente Tocqueville era quella che meglio aveva saputo unire lo spirito religioso e quello liberale. Ascoltare, parlare ed osservare Giovanni Montanari oltre ad essere fonte di soggezione e sincera ammirazione, è, per me, puro piacere dell’anima, del pensiero che conversa con un altro pensiero; una congiunzione di intelletti alla quale poche volte ci è concesso di accedere. Un’unione che abbraccia la sua religiosità ed il mio agnosticismo grazie alla comune propensione ad istituire legami, a scorgere affinità, mettendo in ombra le
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A sinistra: particolare di una delle librerie. A destra: copertina di un Album di viaggio in Svizzera, Germania e Paesi Bassi del 1966.
differenze, ad uno sguardo attento alle relazioni e poco propenso a costruire barriere e steccati. Ascolto con silenzioso rispetto il suo linguaggio aulico e colto, eppur così umano e contemporaneo. Mentre rifletto, ecco che ancora una volta Montanari mi obbliga all’attenzione parlandomi all’improvviso della musica di Georg Friedrich Handel e del suo capolavoro Israel in Egypt. Compositore tedesco di età barocca, Handel è specializzato nell’oratorio, una composizione musicale d’ispirazione religiosa, ma non liturgica. Il Messiah è la sua opera più famosa. Provo a dedurre che il riferimento ad Handel è forse dovuto al fatto che la sua musica è la colonna sonora della monarchia inglese: una scelta musicale sostanzialmente obbligata. Parrebbe integrata con la realtà e l’ideologia del Commonwealth. Queste riflessioni sul Commonwealth furono fatte da Montanari con il punto critico di Edward Gibbon – che osservava che, se anche i barbari avessero invaso l’Europa, la Translatio Imperii sarebbe avvenuta con la creazione degli Stati Uniti d’America – e con l’interpretazione di Arnaldo Momigliano che Montanari considera un suo Maestro. Ma, intanto, Giovanni riprende ad espormi i suoi pensieri.
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«Tornato a Ravenna nel 1978, per alcuni mesi smisi di dir Messa, pur continuando a credere alla chiesa Cattolica come grande entità storica e culturale. Sono un uomo
della chiesa, un ecclesiastico, ma non potevo non tenere in considerazione le contraddizioni della teologia cristiana riguardo alla parousia: il ritorno, mai avvenuto sulla terra, di Gesù. Sono un ecclesiastico sì, ma sono anche un uomo della sinistra politica internazionale». Chiuderei quest’intervista con alcune importanti e quanto mai attuali riflessioni riguardo i beni culturali del nostro paese, tratte da una video-intervista girata da Giuliana Bonazza, artista ed insegnante di Storia dell’arte, che Giovanni Montanari mi ha consigliato di ascoltare. «I beni culturali sono ciò che considero con maggiore interesse, non tanto mio, ma come parte della mia cultura, in quanto sono il patrimonio dell’umanità, sono stati creati in tutte le tradizioni, in tutte le culture, in tutte le lingue. I beni culturali sono materia, e sono materia anche la terra, l’acqua, l’aria. Sono patrimonio, come dicono gli inglesi, heritage, eredità. Il concetto di heritage implica spiegazioni ampie, articolate e con molteplici accezioni, dal momento che esso si riferisce a tutto ciò che riguarda il passato, inteso sia in senso concreto e materiale sia in senso astratto e immateriale, cioè, anche letterario: i monumenta sono monumenti fisici ed anche scritti storico-letterari. Ne sono un esempio i Rerum Italicarum Scriptores del Muratori e i Monumenta Germaniæ Historica dei tedeschi. Nei secoli passati gli ambiti d’interesse dell’heritage erano princi-
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palmente le opere d’arte, i siti storico-archeologici, i monumenti, i palazzi e gli edifici antichi. Oggi, invece, questo concetto abbraccia anche tutto l’insieme delle tradizioni cosiddette immateriali: leggende, miti, usi e costumi, canoni, proverbi, feste popolari, valori etici e morali, quindi la letteratura mondiale sulla storia dell’arte. I beni culturali sono dunque l’intero patrimonio che le nuove generazioni ricevono in eredità da quelle passate, specialmente delle grandi religioni, è tutto ciò che viene conservato, protetto e collezionato per far sì che non vada perso con il trascorrere del tempo. L’economia nei due termini ecos e nomos, cioè governo della casa, deve essere intesa come governo dell’habitat culturale, della bellezza di tutto quello che l’uomo crea. I valori veri non sono il denaro e nemmeno il lavoro inteso in senso generico, ma il lavoro che le persone producono creando. Nei periodi di crisi bisogna mettere in luce tutto questo e considerare che il patrimonio da salvare, ed anche da tesoreggiare, sono la cultura e i beni culturali. Per far questo bisognerebbe sostenere una federazione mondiale delle università, dei musei, delle soprintendenze, di tutto ciò che ha un tessuto basato sugli studi. È questa la forma di governo che ci vuole e non si può continuare a pensare che sia tempo perso quello dedicato alla cultura».
Giovanni Montanari è Presidente dell’Archivio Storico Diocesano di Ravenna-Cervia. Ha compiuto studi teologici presso l’Università Lateranense e filosofici nell’Alma Mater Bononiensis. In America ha insegnato teologia e filosofia al St. Bernard’s Seminary di Rochester (NY) e alla Gannon University di Erie (Pennsylvania); è stato inoltre docente di filosofia, come Fellow del Pontifical Institute of Medieval Studies, alla York University di Toronto. Ha collaborato con Alfredo Stussi alla pubblicazione della Canzone ravennate, considerata il primo componimento della letteratura italiana pervenutoci. Tra le sue numerosissime pubblicazioni, ricordiamo: Ravenna patrimonio dell’umanità. Globalizzazione e storia culturale, Ravenna, Longo Editore, 2006; Le copie dei mosaici antichi di Ravenna, foto di Gian Luca Liverani, Giorgio Biserni, Luigi Tazzari, Massimo Carioti, Ravenna, Comune di Ravenna, 2006; Ravenna: l’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Ravenna, Longo Editore, 2002 (raccolta di saggi dal 1984 al 1991); Socrate, Cristo, Dante e la Bibbia. Saggi di filologia estetica e sull’Ebraismo fondamento della cultura; Ravenna, Edizioni del Girasole, 2002; (con Dante Leoni), Storia di Longastrino in età medioevale e moderna (secoli XI-XVIII), Cesena, Il ponte vecchio, 2002; Mosaico, culto, cultura. La cultura religiosa nei mosaici delle basiliche ravennati, Ravenna, Opera di religione della diocesi di Ravenna, 2000; San Pier Damiano in Dante e Petrarca. Interpretazione storica e teologica, in S. Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972), Cesena, Centro studi e ricerche sulla antica provincia ecclesiastica ravennate, 1972, vol. III, pp. 5178; Determinazione e libertà in San Tommaso d’Aquino, Roma, Libreria editrice della Pontificia Università Lateranense, 1962.
Particolare di una delle librerie (tutte le foto del servizio sono di Alberto Giorgio Cassani).
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CITTÀ SOSTENIBILE
“Rifiuti zero”: utopia o reale opportunità? Che cosa succederebbe se i nostri edifici ed i materiali utilizzati per la costruzione potessero rendere il mondo un luogo migliore?
In un momento così di pessimismo generale la parola “sviluppo” è spesso considerata come un eufemismo per la distruzione ambientale (e non solo) in atto. Ma è possibile offrire una possibilità ottimista? Che cosa succederebbe se i nostri edifici ed i materiali utilizzati per la costruzione potessero rendere il mondo un luogo migliore? Questa è palesemente un’apparente radicale speranza. Ma forse non è proprio così se ci predisponiamo ad una visione di un ciclo continuo di utilizzo e riutilizzo di materiali senza produzione di rifiuti. Creando così una nuova rivoluzione industriale sostenibile attraverso modelli e progetti. Data l’evidente preoccupazione per la salute umana in termini di cambiamenti climatici, come l’utilizzo di metalli pesanti tossici, la qualità dell’aria all’interno degli edifici, quindi l’inquinamento atmosferico, per non parlare delle materie plastiche che si possono trovare nei mari e negli oceani, ci sarà la grande tendenza a creare edifici che iniziano ad agire come veri e propri organismi viventi. L’utilizzo dei tetti verdi per esempio, sarà diffusa sempre più in modo da rendere gli edifici vere e proprie macchine per processare ossigeno. Vediamo sempre più di frequente tetti che producono energia dal sole. In effetti, gli edifici diventeranno “fotosintetici” e produrranno ossigeno o energia o entrambi. Vedremo naturalmente così nuovi materiali che saranno derivati da fonti sane e saranno progettati per il loro riutilizzo e il recupero. I principali ostacoli per una totale transizione verso le energie rinnovabili sono a breve termine, e soprattutto si scontrano con il pensiero dominante di un’economia che vive anch’essa a breve termine. Ma se si prova a vedere alcune realtà economico-politiche più a lungo termine il processo decisionale che include le fonti rinnovabili diviene ormai d’obbligo e qui possiamo notare le reali e concrete trasformazioni. Forse una possibile direzione è far sapere che esiste una nuova opportunità economica che può essere sfruttata. Ed è ora, economicamente conveniente, dati gli elevati prezzi del petrolio. I leader politici di tutto il mondo, non esclusi quelli dei paesi in via di sviluppo, so-
ABITARE LʼHABITAT
no preoccupati per la perdita di terreni agricoli fertili a causa della rapida urbanizzazione e del consumo di territorio. Ecco perché, sul piano concettuale, l’idea è quella di non sprecare neanche il territorio consumato e di renderlo produttivo. Si tratta di concetti che sono ormai molto diffusi nella coscienza della comunità dei progettisti. E credo che per ciò, progetti che vanno in questo senso, debbano far anche riconoscere la giusta direzione e la situazione da cui si parte, considerandola solo una delle opzioni possibili. Ci sono ormai in corso progettazioni sperimentali di grandissima ambizione, progetti che inizialmente sono stati degli esperimenti, con enormi ambizioni per progetti, a volte, davvero piccoli. Orgogliosamente ostinati nel tentativo di realizzare edifici come fossero alberi che producono ossigeno, e assorbono CO2, producendo più energia di quella di cui hanno bisogno per funzionare e purificando la propria acqua e tante altre cose di questo genere. Questi progetti sono davvero un’enorme ispirazione per noi operatori del settore. Penso che siano anche finalmente l’occasione per praticare quel concetto di progettazione integrata che dimostra come mettere insieme un complesso gruppo di competenze focalizzandolo sullo stesso obiettivo. La cosa straordinaria che normalmente succede è che la maggior parte delle volte, in termini di modifica di prodotti, in questo modo si ottengono risparmi sui costi per i produttori, perché i loro prodotti diventano più semplici. Se sono progettati per lo smontaggio, spesso anche il loro montaggio diventa più semplice. Quindi, a livello progettuale, il risultato si traduce in un design molto più semplice. Un’altra cosa che è possibile scoprire (nella progettazione di prodotti per il successivo riutilizzo) è che si riducono i controlli per quanto riguarda tutte quelle sostanze chimiche che vengono utilizzate nei processi di produzione e nei prodotti stessi realizzando così dei prodotti del tutto sicuri. Esistono esempi per la produzione di tessili in cui si utilizzano una trentina di sostanze chimiche invece delle centinaia che vengono utilizzati normalmente. E successivamente l’acqua in uscita dai depuratori non è contaminata dato che il prodotto in sé non è contaminato. Quindi, ad un tratto, l’intero quadro normativo può di conseguenza cambiare. Non essendo più necessario creare una gestione ambientale per trattare appositamente i materiali pericolosi. Pensate che risultato rispetto anche alla tanto agognata “semplificazione”, non si dispone così di malloppi di pagine e pagine di documentazione e di relazioni sul trattamento dei vari materiali pericolosi, per non parlare delle discariche e di quelle, ahimè, abusive. Tutto questo semplicemente perché si rimuovono essenzialmente dal processo di produzione e dalle materie prime le sostanze chimiche pericolose.
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Per arrivare a tutto ciò però dobbiamo partire da un concetto: “che i propri clienti debbano diventare come parte della propria famiglia”, così facendo nasce un nuovo rapporto con il cliente soprattutto quando si va a vendere loro un prodotto. E non è affatto una cosa astratta, vi è una transazione che si deve verificare. Così, per esempio dire: “ho venduto il mio prodotto (ad esempio un’auto) e ora ne realizzerò un altra per venderla al prossimo, ma cosa succede quando la prima sarà rotta e rovinata?” Se foste parte della famiglia, voi clienti potreste dire: “Beh, forse ho intenzione di ricavarci un po’ di soldi da questa vecchia auto. Ottenendo magari uno sconto sulla mia prossima auto”. E ci si potrebbe chiedere: ”Perché una società dovrebbe applicare uno sconto in cambio di una vecchia auto, che poi finirà ad essere macinata o riciclata, prendendosi così cura di lei? E’ davvero solo un costo?” Quindi il nocciolo della questione è: aziende come le case automobilistiche potrebbero tranquillamente applicare processi di questo tipo fornendo servizi come questi. In realtà queste aziende dovrebbero essere viste come servizi di manutenzione per servizi di mobilità privata. Possono anche essere viste naturalmente come società di progettazione e commercializzazione ma non completamente, poiché lavorerebbero anche fuori dalla produzione. Quindi, se la maggior parte del bilancio di una società è sviluppato sul marketing e non attraverso l’effettiva produzione di prodotto, avere un cliente che torna da voi per acquistare il prossimo prodotto significa rendere il riciclaggio una vera e propria piccola ma significativa parte del vostro budget destinato al marketing. E tutto ad un tratto il prodotto entra a far parte della tua campagna di marketing per la prossima generazione. Questo è il valore reale in questo senso. Non saranno le singole molecole e il valore di tali molecole di per sé. E’ il rapporto tra il cliente e il fornitore che è la cosa preziosa. Ho sempre sostenuto che i progettisti debbano essere per natura ottimisti, perché devono svegliarsi ogni mattina cercando di rendere il mondo un posto migliore di come lo hanno trovato. Non riusciamo ancora a riconoscere il valore che possono avere questi nuovi processi produttivi se potessero integrarsi con i sistemi naturali in modo armonioso, invece di distruggerli in svariati modi. Quindi dobbiamo essere ottimisti, perché se sentiamo profumo di caffè, significa che è il momento di cominciare a prepararci per gustarcelo. Ma è troppo tardi o no? Ci sono certamente segnali negativi ovunque e scoramento in tutto il mondo per ciò che vediamo e sentiamo quotidianamente. Il cambiamento climatico e la fusione dei ghiacciai polari è un problema, e sono segnali inequivocabili che qualcosa sta avvenendo e non possono certo essere liquidate come sciocchezze. Per rimediare dobbiamo innanzitutto rimuovere le cause, ci impiegheremo decenni per ripulirci di tutto questa immondizia. Ma tutto deve essere fatto partendo dal progetto. I rifiuti, paradossalmente, devono essere legati alla bellezza e a nuove possibilità. Se si continua a parlare di riuso e di riciclo partendo dai rifiuti risparmiati, temo che non otterremo mai risultati significativi. Raccontiamo piuttosto quanta bellezza e quanta gioia di vivere si riesce a costruire utilizzando uno scarto, e utilizziamo il benessere prodotto come indicatore. Sono convinto che se vuoi ottenere risultati positivi è di quelli che devi parlare, non della riduzione degli effetti negativi, altrimenti il mondo dei rifiuti continuerà a essere visto sempre come un problema, magari ridimensionabile, ma comunque sempre un problema.
Marco Turchetti [Progettare Sostenibile - Ravenna] info@progettaresostenibile.com
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CONSULENZA E INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE
Trasparenza e professionalità alla base del mandato del nuovo presidente di FIAP Ravenna
Novità in “casa” Fiaip che ha un nuovo presidente provinciale: Pier Paolo Baccarini (nella foto), eletto lo scorso 14 novembre, alla sala Benelli di Confindustria, insieme agli otto consiglieri. Nato a Faenza nel 1973, sposato con Chiara e due volte papà, ha coronato con la sua elezione, avvenuta a larghissima maggioranza, un’esperienza federativa che lo ha visto impegnato e partecipe fin dal 2001. Da delegato effettivo a consigliere nazionale, da responsabile regionale dell’interscambio di lavoro a organizzatore di convegni e corsi di formazione, Baccarini conferma con il suo curriculum un fortissimo attaccamento ai valori di Fiaip, condiviso sia con il padre Valerio che con il fratello minore Gian Battista, attualmente Presidente del Collegio Regionale dell'Emilia-Romagna. Nel corso del suo appassionato intervento, il neo-presidente ha voluto prima di tutto rimarcare come il settore stia attraversando un periodo ostico e incerto, riferendosi ai dati forniti dal XIII Congresso Nazionale Fiaip che certificano il calo delle transazioni immobiliari, dei valori di mercato degli immobili e del numero di iscritti alla Federazione. «Questi numeri – afferma Baccarini – sono da imputarsi- alle difficoltà di accesso al credito, nonché a scelte politiche da tempo penalizzanti per un settore immobiliare gravato da oneri e tassazioni che restringono fortemente il bacino di utenza, rallentando il mercato e alimentando incertezza e insicurezza di quanti vorrebbero compravendere immobili. La piena e lucida consapevolezza delle criticità dovrà dunque porsi quale presupposto per fornire risposte nuove e limpide, per rilanciare il mercato rapportandosi in modo costruttivo con le istituzioni e invitando il governo a facilitare l’accesso al credito, abbassare la pressione fiscale e dare tranquillità ai proprietari». Va in questa direzione – secondo Fiaip – il recente decreto “recante disposizioni urgenti in materia di Imu, di finanza pubblica, di immobili pubblici nonché per la Banca d’Italia”, che abolisce la seconda rata dell’imposta con copertura garantita dall’aumento degli acconti Ires per banche e assicurazioni, stabilendo allo stesso tempo che i proprietari di prima casa nei Comuni che hanno aumentato l’aliquota Imu dovranno versare entro il termine del 16 gennaio prossimo il 40% della maggiore imposta deliberata dalle amministrazioni locali. La Regione Emilia-Romagna, dal canto suo, ha destinato 2,15 milioni di euro di proprie risorse per attivare una serie di interventi volti a fronteggiare l’emergenza abitativa, a testimonianza della centralità economica e sociale che il benecasa riveste nel nostro Paese: le province potranno attivare interventi relativi alla promozione di protocolli sfratti stipulati con gli altri soggetti istituzionali interessati, all’incentivazione della conclusione di contratti garantiti dalle agenzie per l’affitto e all’erogazione, tramite bandi o valutazione da parte dei servizi sociali, di contributi integrativi per sostenere le famiglie in difficoltà nel pagamento dei canoni di locazione o per agevolare la mobilità nel settore delle locazioni. L’instancabile azione di Fiaip e del suo presidente nazionale Paolo Righi deve essere motivo di orgoglio e ragione di fiducia per ogni associato, ed è proprio con questa fiducia che Fiaip Ravenna intende contribuire allo sviluppo della professione, assumendosi
MERCATO IMMOBILIARE
l’impegno di promuovere con entusiasmo e puntualità le iniziative nazionali e regionali: risiede soprattutto in capo agli associati, ha voluto ribadire Baccarini, la responsabilità di migliorarsi continuamente per uscire in tempi più rapidi dalla crisi. «Insieme – aggiunge – si dovranno gettare le basi per la rivalutazione del nostro ruolo, responsabilizzando gli operatori ed elevando la quantità e la qualità dei servizi offerti, stimolando attenzione e innovazione, pronti a trasformare ogni novità burocratica in un’opportunità di approfondimento e semplificazione da mettere a disposizione di una clientela che ancora percepisce il valore dell’operato del professionista adeguatamente formato». Lo certifica l’indagine 2013 di Tecnoborsa sul mercato immobiliare nelle maggiori città italiane, che evidenzia come il 73,5% di coloro che hanno ceduto un’abitazione abbiano usufruito del servizio di un canale di vendita; tale valore è più alto di quello rilevato nel 2011 di ben 15,9 punti percentuali, a dimostrazione di come la pluralità di canali di vendita oggi abbia ormai sostanzialmente sostituito il più tradizionale “fai da te”. C’è inoltre da notare che il grado di preferenza nei confronti delle diverse figure di intermediari da parte delle famiglie che hanno venduto è cambiato rispetto agli anni passati; il canale preferito rimane inequivocabilmente l’agenzia immobiliare (69%) e la quota di famiglie che l’hanno scelta è cresciuta di 14,4 punti percentuali rispetto al 2011. «In questo contesto – conclude –, il ruolo dell’agente immobiliare Fiaip dovrà essere sempre più quello del consulente, che pone al centro del proprio lavoro il cliente e la tranquillità dell’operazione immobiliare. L’obiettivo è quello di dare continuità al lavoro fatto dal consiglio provinciale uscente, con particolare riferimento agli ambiti dell’attività politico-sindacale, della visibilità mediatica, della formazione e dell’aggiornamento costante di tutti gli associati». Fiaip Ravenna augura un buon lavoro a Pier Paolo Baccarini, con la speranza che proprio nel corso del suo mandato possano assumere ulteriore consistenza quei segnali di ripresa che gli operatori stanno cominciando ad avvertire. Marco Soprani Responsabile Editoria e Comunicazione FIAIP Emilia-Romagna
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n. 86 NOVEMBRE-DICEMBRE 2013 Editore Reclam Edizioni & Comunicazione srl . viale della Lirica 43 . 48124 Ravenna . Iscrizione al Tribunale di Ravenna n. 1240 del 8/11/2004 . Redazione 0544.271068 . redazione@trovacasa.ra.it . Pubblicità 0544.408312 . info@trovacasa.ra.it
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RAVENNA n. 86 novembre dicembre
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