Altopiano del Quarto Grande (Pescocostanzo -AQ), sistema dello spazio aperto territoriale Foto: Mario Morrica (2016)
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ALTIPIANI MAGGIORI D'ABRUZZO
Massimo Angrilli Mario Morrica >UNICH
Premessa Il campo di applicazione di questa riflessione è definito da quei territori interni dell’Appennino abruzzese le cui condizioni socio-economiche denunciano una condizione di marginalità rispetto ai principali processi di produzione e consumo ed in cui la ritrazione dell’uomo nelle attività di gestione dello spazio aperto costituisce causa primaria di degrado. Sono territori in cui si è concluso un ciclo di vita, connesso a settori produttivi ormai da lungo tempo in declino (pastorizia, agricoltura) ed in cui i numerosi fattori di debolezza, come la scarsa accessibilità e la vulnerabilità sismica, riducono le possibilità di ripartenza. Il tema del riuso dei centri in abbandono non è nuovo, molte proposte ed iniziative sono state già avviate o sono in corso di discussione, ciò che sembra caratterizzare tutte le proposte è l’interesse esclusivo per il recupero del patrimonio edilizio dei centri, disinteressandosi perlopiù dello spazio aperto ad essi connesso. In questa ricerca si è inteso affrontare il tema con uno sguardo allargato, che ricomprendesse sia i centri abitati sia i loro paesaggi di prossimità, spesso di rilevante valore, nella convinzione che solo così le strategie di riuso/riciclo potranno avere opportunità di efficacia e durata.
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Obiettivo del lavoro è chiarire quali sono le condizioni e gli indicatori della marginalità di un particolare contesto territoriale, quello degli altipiani maggiori d’Abruzzo1, scelto come ambito di sperimentazione, sul quale mettere alla prova strategie cognitive e strategie di intervento. Per fare questo è stato necessario chiarirsi sulle condizioni geografiche, fisiche, sociali ed economiche che hanno determinato la marginalità di tale territorio; le condizioni complessive cioè che impediscono alle comunità qui insediate di disegnare le proprie traiettorie di sviluppo secondo modalità convenzionali. Già nel corso delle giornate di studio organizzate dall’unità di ricerca di Pescara in occasione della prima tappa del “Viaggio in Italia”di Recycle Italy – Riciclare Territori Fragili (9/10 ottobre 2013) era stata ricostruita sinteticamente l’evoluzione delle vicende sociali ed economiche dei territori dell’Appennino abruzzese sullo sfondo di quelle del Mezzogiorno d’Italia, allo scopo di chiarire le dimensioni e la struttura del fenomeno dell’abbandono dei borghi e dei loro territori2. In quella occasione si erano riguardati i dati demografici degli ultimi tre secoli, apprendendo come nel passato le zone di montagna e delle conche intermontane facessero registrare i tassi più alti di crescita della popolazione, nettamente superiori al tasso di incremento medio. Solo a partire dagli anni attorno alla metà dell’Ottocento e in modo più evidente dal decennio successivo, la montagna appenninica meridionale ha imboccato la strada di un lungo, inesorabile processo di progressivo depauperamento delle proprie risorse umane (Tab.1). Da allora, e nell’ambito di un ininterrotto processo di sviluppo della popolazione complessiva del Mezzogiorno, la consistenza demografica della montagna, accompagnata con modalità e tempi differenziati dalle zone collinari interne, è andata, in termini proporzionali, declinando, fortemente assottigliata nei relativi saldi naturali dallo scivolamento dei suoi abitanti verso le sottostanti valli e le aree costiere oltre che dall’emigrazione oltreoceano (prima) e verso l’Italia del Nord e l’Europa (successivamente).
Tab.1 - Incremento della popolazione nel Mezzogiorno d'Italia per zone altimetriche 1793-1891. Valori percentuali
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ALTIPIANI MAGGIORI D'ABRUZZO
Massimo Angrilli Mario Morrica >UNICH
Premessa Il campo di applicazione di questa riflessione è definito da quei territori interni dell’Appennino abruzzese le cui condizioni socio-economiche denunciano una condizione di marginalità rispetto ai principali processi di produzione e consumo ed in cui la ritrazione dell’uomo nelle attività di gestione dello spazio aperto costituisce causa primaria di degrado. Sono territori in cui si è concluso un ciclo di vita, connesso a settori produttivi ormai da lungo tempo in declino (pastorizia, agricoltura) ed in cui i numerosi fattori di debolezza, come la scarsa accessibilità e la vulnerabilità sismica, riducono le possibilità di ripartenza. Il tema del riuso dei centri in abbandono non è nuovo, molte proposte ed iniziative sono state già avviate o sono in corso di discussione, ciò che sembra caratterizzare tutte le proposte è l’interesse esclusivo per il recupero del patrimonio edilizio dei centri, disinteressandosi perlopiù dello spazio aperto ad essi connesso. In questa ricerca si è inteso affrontare il tema con uno sguardo allargato, che ricomprendesse sia i centri abitati sia i loro paesaggi di prossimità, spesso di rilevante valore, nella convinzione che solo così le strategie di riuso/riciclo potranno avere opportunità di efficacia e durata.
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Obiettivo del lavoro è chiarire quali sono le condizioni e gli indicatori della marginalità di un particolare contesto territoriale, quello degli altipiani maggiori d’Abruzzo1, scelto come ambito di sperimentazione, sul quale mettere alla prova strategie cognitive e strategie di intervento. Per fare questo è stato necessario chiarirsi sulle condizioni geografiche, fisiche, sociali ed economiche che hanno determinato la marginalità di tale territorio; le condizioni complessive cioè che impediscono alle comunità qui insediate di disegnare le proprie traiettorie di sviluppo secondo modalità convenzionali. Già nel corso delle giornate di studio organizzate dall’unità di ricerca di Pescara in occasione della prima tappa del “Viaggio in Italia”di Recycle Italy – Riciclare Territori Fragili (9/10 ottobre 2013) era stata ricostruita sinteticamente l’evoluzione delle vicende sociali ed economiche dei territori dell’Appennino abruzzese sullo sfondo di quelle del Mezzogiorno d’Italia, allo scopo di chiarire le dimensioni e la struttura del fenomeno dell’abbandono dei borghi e dei loro territori2. In quella occasione si erano riguardati i dati demografici degli ultimi tre secoli, apprendendo come nel passato le zone di montagna e delle conche intermontane facessero registrare i tassi più alti di crescita della popolazione, nettamente superiori al tasso di incremento medio. Solo a partire dagli anni attorno alla metà dell’Ottocento e in modo più evidente dal decennio successivo, la montagna appenninica meridionale ha imboccato la strada di un lungo, inesorabile processo di progressivo depauperamento delle proprie risorse umane (Tab.1). Da allora, e nell’ambito di un ininterrotto processo di sviluppo della popolazione complessiva del Mezzogiorno, la consistenza demografica della montagna, accompagnata con modalità e tempi differenziati dalle zone collinari interne, è andata, in termini proporzionali, declinando, fortemente assottigliata nei relativi saldi naturali dallo scivolamento dei suoi abitanti verso le sottostanti valli e le aree costiere oltre che dall’emigrazione oltreoceano (prima) e verso l’Italia del Nord e l’Europa (successivamente).
Tab.1 - Incremento della popolazione nel Mezzogiorno d'Italia per zone altimetriche 1793-1891. Valori percentuali
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Mauritius Cornelius Escher, durante tre soggiorni in Abruzzo tra il 1928 e il 1935, realizza numerose litografie. In una di esse si mostra il piccolo centro aquilano di GorianoSicoli: il borgo appare solido come un cristallo, compenetrato nella catena del Sirente-Velino e circondato da siepi e filari alberati che disegnano la trama agricola, rappresentata come uno spazio ordinato, rigato dalle colture e punteggiato da alberi (Fig.1).
Le politiche pubbliche in corso
Fig. 1 - Goriano Sicoli. Confronto tra l’incisione di Escher e una foto attuale.
All’epoca del disegno GorianoSicoli contava circa 1560 abitanti, al censimento del 2011 ne contava solo 597 (moli di meno quelli effettivamente presenti). Lo spopolamento e l’abbandono delle attività agricole sui versanti più scoscesi hanno portato sensibili modifiche al quadro paesaggistico e se oggi Escher potesse ripetere il suo ritratto il borgo di GorianoSicoli apparirebbe molto diverso, in particolare risulterebbe mutato il suo paesaggio di prossimità. Se si esamina l’indice di vecchiaia , definito dal rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni) si vede come nel 1991 in quasi tutte le Comunità montane dell’Abruzzo, che complessivamente riunivano circa il 36% degli abitanti della regione, la popolazione compresa nella fascia di età di 65 e più anni superava abbondantemente, spesso di circa il 40-50% e oltre, con punte addirittura del doppio e anche di più, quella censita nelle classi di età inferiori a 15 anni (Fig.2). Esaminando invece i dati sul potenziale localizzativo di crescita dei comuni italiani3 (rapporto fra la crescita potenziale del valore aggiunto e la superficie territoriale) emerge uno scenario che si limita a evidenziare come la differente specializzazione settoriale dei diversi contesti territoriali possa influenzarne l’evoluzione (Fig.3). Da un lato i territori urbani presentano un grado più elevato di competitività e dall’altro i territori caratterizzati da un maggiore potenziale competitivo sono in prossimità dei grandi nodi urbani, alla rete infrastrut-
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Fig.2 - Indice di vecchiaia, elaborazione propria su dati ISTAT 2011
Fig.3 - Scenario di Competitività, Potenziale Localizzativo della Crescita 2005-2025, elaborazione propria su dati della ricerca Itaten
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Mauritius Cornelius Escher, durante tre soggiorni in Abruzzo tra il 1928 e il 1935, realizza numerose litografie. In una di esse si mostra il piccolo centro aquilano di GorianoSicoli: il borgo appare solido come un cristallo, compenetrato nella catena del Sirente-Velino e circondato da siepi e filari alberati che disegnano la trama agricola, rappresentata come uno spazio ordinato, rigato dalle colture e punteggiato da alberi (Fig.1).
Le politiche pubbliche in corso
Fig. 1 - Goriano Sicoli. Confronto tra l’incisione di Escher e una foto attuale.
All’epoca del disegno GorianoSicoli contava circa 1560 abitanti, al censimento del 2011 ne contava solo 597 (moli di meno quelli effettivamente presenti). Lo spopolamento e l’abbandono delle attività agricole sui versanti più scoscesi hanno portato sensibili modifiche al quadro paesaggistico e se oggi Escher potesse ripetere il suo ritratto il borgo di GorianoSicoli apparirebbe molto diverso, in particolare risulterebbe mutato il suo paesaggio di prossimità. Se si esamina l’indice di vecchiaia , definito dal rapporto percentuale tra la popolazione in età anziana (65 anni e più) e la popolazione in età giovanile (meno di 15 anni) si vede come nel 1991 in quasi tutte le Comunità montane dell’Abruzzo, che complessivamente riunivano circa il 36% degli abitanti della regione, la popolazione compresa nella fascia di età di 65 e più anni superava abbondantemente, spesso di circa il 40-50% e oltre, con punte addirittura del doppio e anche di più, quella censita nelle classi di età inferiori a 15 anni (Fig.2). Esaminando invece i dati sul potenziale localizzativo di crescita dei comuni italiani3 (rapporto fra la crescita potenziale del valore aggiunto e la superficie territoriale) emerge uno scenario che si limita a evidenziare come la differente specializzazione settoriale dei diversi contesti territoriali possa influenzarne l’evoluzione (Fig.3). Da un lato i territori urbani presentano un grado più elevato di competitività e dall’altro i territori caratterizzati da un maggiore potenziale competitivo sono in prossimità dei grandi nodi urbani, alla rete infrastrut-
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Fig.2 - Indice di vecchiaia, elaborazione propria su dati ISTAT 2011
Fig.3 - Scenario di Competitività, Potenziale Localizzativo della Crescita 2005-2025, elaborazione propria su dati della ricerca Itaten
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turale di interesse nazionale e ai nodi intermodali (corridoio appenninico, direttrici di fondovalle del pettine vallivo, ecc). Appare anche come la condizione di isolamento spaziale e di limitata accessibilità costituiscano un limite apprezzabile del potenziale competitivo. In ogni caso le analisi degli effetti territoriali elaborate mostrano chiaramente: - l’evoluzione prefigurata nei diversi scenari, anche quando sono favorevoli, potrebbe non essere indolore per molte aree del paese, oggi fortemente specializzate nelle produzioni tradizionali, così come non priva di costi per le necessità di adeguamento delle condizioni di contesto (e in particolare delle infrastrutture materiali e immateriali); - tenderebbe ad accrescersi la concentrazione nei comuni medio-grandi e localizzati nelle aree pianeggianti, a svantaggio dei comuni di minori dimensione pedemontani e montani; - più in generale si assisterebbe a livello territoriale al rafforzamento, lungo i principali assi e cluster urbani del paese, dei processi di polarizzazione dell’attività economica già presenti sul territorio nazionale. Tornando alla domanda della premessa e accettando di poter applicare il paradigma interpretativo in uso nell’economia urbana che spiega l'arresto della crescita demografica e manifatturiera delle grandi aree urbane, in particolare quello che lega il ciclo di vita delle città al ciclo di vita dei suoi prodottiindustriali(modello “degli stadi di sviluppo” o del “ciclo di vita urbano”) si potrebbe affermare, anche per le aree interne, che il ciclo di vita della “industria di base”, quella delle produzioni agricole e della pastorizia, sia ormai da tempo giunto al suo ultimo stadio, quello del declino, e con esso si è chiuso anche il ciclo di vita del territorio inteso come macchina per la produzione. Dunque le chance per avviare un nuovo ciclo sarebbero legate alla capacità di “inventare”, in assenza del supporto tradizionalmente svolto dal governo centrale nelle campagne di rilancio economico, un nuovo “prodotto”, e con esso far ripartire il territorio. Per i geografi e i tecnici agrari che negli anni trenta del Novecento studiarono il fenomeno dell’abbandono, il declino della pastorizia - e dell’industria armentizia in genere - fu una della cause principali del declino demografico della montagna.Nella regione abruzzese-molisana, l’area cioè di massima concentrazione della pastorizia transumante, l’allevamento ovino si riduce tra il 1861 ed il 1938 di quasi la metà. In passato i grandi progetti per le aree arretrate o marginali, finalizzati a sostenerne le deboli economie ed a fornire le infrastrutture o le opere indispensa-
bili al loro sviluppo (si pensi alle politiche dell’epoca fascista come le bonifiche o alla riforma agraria) si sforzavano di ridurre le condizioni della marginalità. Oggi invece, complici anche le difficoltà congiunturali della crisi, è difficile poter immaginare una nuova stagione di rilancio basata su grandi investimenti pubblici, fatta eccezione per i finanziamenti straordinari disposti in occasione di calamità naturali. La ri-concettualizzazione dei territori marginali, implicita nelle strategie di riciclo, richiede l’impiego selettivo delle risorse preesistenti, attraverso un progetto poliarchico e non autoritativo, attento alla creatività e alle aspettative della società locale ma anche a quella di soggetti esterni. Una ri-concettualizzazione attenta ai segni latenti di nuovi cicli di vita che provengono dalla compagine sociale e che delineano scenari condivisi fondati sul patrimonio territoriale e culturale e su risorse sottoutilizzate o abbandonate (risorse naturali, patrimonio edilizio, reti sociali, pratiche di gestione). Il coinvolgimento delle società locali nel progetto di riscrittura delle risorse esistenti non è da intendersi come un processo partecipativo mirato alla definizione di un’immagine localistica, quanto a recepire ed a far convergere verso la formazione di scenari auspicati quelle mutazioni spontanee ed informali e quelle micro-azioni di adattamento che mettendo in gioco il sapere comune ed il senso di appartenenza rimettono in circolo il capitale fisso sociale. La riflessione si è rivolta alle modalità di riciclo delle risorse presenti, al valore da attribuire a nuovi usi di spazi e manufatti, alle nuove pratiche e alla loro reciproca compatibilità, ed alle possibilità di mettere in rete le molteplici azioni di riciclo spontaneo coerenti con gli scenari condivisi. Secondo questo angolo di visuale l’attenzione del progetto si orienta verso quel patrimonio materiale (infrastrutture) e immateriale (pratiche consolidate, saperi depositati) che ha consentito in passato il raggiungimento di condizioni di benessere, agendo attraverso visioni e strategie non autoreferenziali, rafforzando le trame territoriali e promuovendo forme di cooperazione in rete. Gli scenari, inclusi quelli che prevedono la convivenza con le rovine del passato, sono lo sfondo su cui misurare la coerenza e la pertinenza delle azioni di riciclo, sia spontanee sia di progetto. La ricerca si è applicata sui territori a bassa densità dell’Appennino centro-meridionale, ambiti spaziali che presentano analoghi aspetti di marginalità socioeconomica e di fragilità fisica, legati, come già detto, allo spopolamento ed al declino economico. Un declino connesso alla conclusione di un ciclo di vita, fondato storicamente su di una economia agro-silvo-pastorale che in passato
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turale di interesse nazionale e ai nodi intermodali (corridoio appenninico, direttrici di fondovalle del pettine vallivo, ecc). Appare anche come la condizione di isolamento spaziale e di limitata accessibilità costituiscano un limite apprezzabile del potenziale competitivo. In ogni caso le analisi degli effetti territoriali elaborate mostrano chiaramente: - l’evoluzione prefigurata nei diversi scenari, anche quando sono favorevoli, potrebbe non essere indolore per molte aree del paese, oggi fortemente specializzate nelle produzioni tradizionali, così come non priva di costi per le necessità di adeguamento delle condizioni di contesto (e in particolare delle infrastrutture materiali e immateriali); - tenderebbe ad accrescersi la concentrazione nei comuni medio-grandi e localizzati nelle aree pianeggianti, a svantaggio dei comuni di minori dimensione pedemontani e montani; - più in generale si assisterebbe a livello territoriale al rafforzamento, lungo i principali assi e cluster urbani del paese, dei processi di polarizzazione dell’attività economica già presenti sul territorio nazionale. Tornando alla domanda della premessa e accettando di poter applicare il paradigma interpretativo in uso nell’economia urbana che spiega l'arresto della crescita demografica e manifatturiera delle grandi aree urbane, in particolare quello che lega il ciclo di vita delle città al ciclo di vita dei suoi prodottiindustriali(modello “degli stadi di sviluppo” o del “ciclo di vita urbano”) si potrebbe affermare, anche per le aree interne, che il ciclo di vita della “industria di base”, quella delle produzioni agricole e della pastorizia, sia ormai da tempo giunto al suo ultimo stadio, quello del declino, e con esso si è chiuso anche il ciclo di vita del territorio inteso come macchina per la produzione. Dunque le chance per avviare un nuovo ciclo sarebbero legate alla capacità di “inventare”, in assenza del supporto tradizionalmente svolto dal governo centrale nelle campagne di rilancio economico, un nuovo “prodotto”, e con esso far ripartire il territorio. Per i geografi e i tecnici agrari che negli anni trenta del Novecento studiarono il fenomeno dell’abbandono, il declino della pastorizia - e dell’industria armentizia in genere - fu una della cause principali del declino demografico della montagna.Nella regione abruzzese-molisana, l’area cioè di massima concentrazione della pastorizia transumante, l’allevamento ovino si riduce tra il 1861 ed il 1938 di quasi la metà. In passato i grandi progetti per le aree arretrate o marginali, finalizzati a sostenerne le deboli economie ed a fornire le infrastrutture o le opere indispensa-
bili al loro sviluppo (si pensi alle politiche dell’epoca fascista come le bonifiche o alla riforma agraria) si sforzavano di ridurre le condizioni della marginalità. Oggi invece, complici anche le difficoltà congiunturali della crisi, è difficile poter immaginare una nuova stagione di rilancio basata su grandi investimenti pubblici, fatta eccezione per i finanziamenti straordinari disposti in occasione di calamità naturali. La ri-concettualizzazione dei territori marginali, implicita nelle strategie di riciclo, richiede l’impiego selettivo delle risorse preesistenti, attraverso un progetto poliarchico e non autoritativo, attento alla creatività e alle aspettative della società locale ma anche a quella di soggetti esterni. Una ri-concettualizzazione attenta ai segni latenti di nuovi cicli di vita che provengono dalla compagine sociale e che delineano scenari condivisi fondati sul patrimonio territoriale e culturale e su risorse sottoutilizzate o abbandonate (risorse naturali, patrimonio edilizio, reti sociali, pratiche di gestione). Il coinvolgimento delle società locali nel progetto di riscrittura delle risorse esistenti non è da intendersi come un processo partecipativo mirato alla definizione di un’immagine localistica, quanto a recepire ed a far convergere verso la formazione di scenari auspicati quelle mutazioni spontanee ed informali e quelle micro-azioni di adattamento che mettendo in gioco il sapere comune ed il senso di appartenenza rimettono in circolo il capitale fisso sociale. La riflessione si è rivolta alle modalità di riciclo delle risorse presenti, al valore da attribuire a nuovi usi di spazi e manufatti, alle nuove pratiche e alla loro reciproca compatibilità, ed alle possibilità di mettere in rete le molteplici azioni di riciclo spontaneo coerenti con gli scenari condivisi. Secondo questo angolo di visuale l’attenzione del progetto si orienta verso quel patrimonio materiale (infrastrutture) e immateriale (pratiche consolidate, saperi depositati) che ha consentito in passato il raggiungimento di condizioni di benessere, agendo attraverso visioni e strategie non autoreferenziali, rafforzando le trame territoriali e promuovendo forme di cooperazione in rete. Gli scenari, inclusi quelli che prevedono la convivenza con le rovine del passato, sono lo sfondo su cui misurare la coerenza e la pertinenza delle azioni di riciclo, sia spontanee sia di progetto. La ricerca si è applicata sui territori a bassa densità dell’Appennino centro-meridionale, ambiti spaziali che presentano analoghi aspetti di marginalità socioeconomica e di fragilità fisica, legati, come già detto, allo spopolamento ed al declino economico. Un declino connesso alla conclusione di un ciclo di vita, fondato storicamente su di una economia agro-silvo-pastorale che in passato
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ha consentito la crescita demografica ed economica, preservando al contempo l’immagine di un paesaggio debolmente antropizzato di riconosciuto valore. Il contesto sociale che caratterizza il campo di applicazione della ricerca è interessato da un profondo mutamento delle aspettative di sviluppo e di benessere, ed è un contesto sociale che ha assistito al convergere nelle grandi aree urbane vallive e costiere delle principali attività e funzioni, insieme ai luoghi di centralità ed alle opportunità di lavoro. La prossimità a tali centri urbani è così divenuta una condizione di sopravvivenza, l’armatura infrastrutturale ha fatto da addensante per i nuovi insediamenti abitativi e produttivi ed i centri minori che ne restavano esclusi hanno faticosamente tentato di ritagliarsi un ruolo nel quadro delle dinamiche di area vasta. Qui la marginalità territoriale, dovuta ai già richiamati processi di contrazione dei processi produttivi e di indebolimento della struttura sociale, ha causato l’abbandono di molte delle infrastrutture realizzate in passato per sostenere lo sviluppo. I sistemi insediativi delle aree interne, organizzati secondo un complesso sistema di utilizzazione dell’ambiente circostante (scambi di materia, energia e informazioni), prevedeva un equilibrio nelle relazioni tra sfera naturale e antropica, ed una gestione delle risorse naturali commisurata ai cicli di riproduzione delle risorse. Le pratiche dell’agricoltura di rotazione, della reintegrazione dei rifiuti, dell’impiego dell’acqua disponibile, dello sfruttamento della biomassa per la produzione di energia, erano pratiche ecologiche improntate ad una etica dell’uso delle risorse che oggi definiamo “sviluppo sostenibile”.La ricerca ha inteso dunque istituire nuovi cicli di vita per i territori marginali ripartendo da questa cultura, rivista alla luce delle nuove esigenze e declinata secondo una visione che traguarda gli obiettivi di conservazione del paesaggio e di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo.
Stato dell’arte I processi di abbandono dei centri minori in aree marginali del Paese sono stati spesso oggetto di riflessione, in particolare sono state indagate le possibilità di rigenerazione incentrate sul recupero del patrimonio edilizio storico, considerato come principale leva del nuovo sviluppo. La ricerca Geografie dell’abbandono – La dismissione dei borghi in Italia, (DRA, coordinatore G. Postiglione, Politecnico di Milano), presentata anche nel corso del già citato incontro di Pescara delle unità di ricerca nazionali del PRIN Recycle Italy, restituisce un’immagine generale del fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi e del connesso abbandono del territorio. In quella
ricerca si propone l’attivazione di un processo di rivitalizzazione del tessuto socioeconomico dell’area locale per mezzo dell’opportuna valorizzazione del patrimonio artistico, ambientale e culturale locale. Noti casi di recupero di centri minori in abbandono hanno messo in campo azioni specifiche sull’insediamento, rivolgendosi prevalentemente ai loro valori paesaggistici e architettonici. É ad esempio il caso di Colletta di Castelbianco (Savona), che, come è noto, oltre ad essere stato oggetto di un integrale restauro edilizio e urbano è stato dotato di importanti infrastrutture digitali. L’iniziativa della Società Imprenditoriale Sviluppo Iniziative Immobiliari, su progetto di Giancarlo De Carlo, prevedeva infatti la trasformazione del borgo in “cybervillage” reinventando integralmente il suo ruolo. Un caso altrettanto noto è il progetto Sextantio, un intervento di iniziativa privata che ha trasformato parte del borgo di Santo Stefano Sessanio (L’Aquila), in albergo diffuso rivolto ad un turismo high-end sensibile ai caratteri storici del borgo mediceo, mantenuto e, in alcuni casi, riprodotto secondo le tecniche edilizie del passato. Il recupero dell’intero borgo storico di Solomeo (Perugia) da parte dell’imprenditore Brunello Cucinelli ha invece come obiettivo la costruzione di una “fabbrica diffusa”, fondata su una nuova concezione di produzione che attribuisce grande importanza alla qualità degli spazi di lavoro del personale. A Castelbasso (Teramo), su iniziativa dell’amministrazione comunale e della Fondazione MalvinaMenegaz, si è attuato il progetto “Castelbasso Progetto Cultura” che ha come obiettivi la piena fruizione del patrimonio storico-artistico del borgo medioevale per mezzo della cultura nonché la generazione di benefici economici per tutto il borgo. Il progetto ha previsto il recupero architettonico di alcuni edifici e di spazi aperti (vie e piazze) con la finalità di ospitare una rassegna artistica e culturale di interesse nazionale. La casistica, qui per ragioni di spazio solo succintamente richiamata, evidenzia come le iniziative di rivitalizzazione si siano principalmente rivolte alla rifunzionalizzazionetematica ed al conseguente recupero/restauro del patrimonio edilizio, introducendo attività e funzioni che non tengono conto, il più delle volte, del territorio di pertinenza, né tanto meno dello stretto legame con l’insediamento, un legame che storicamente ha consentito lo sviluppo socioeconomico e ha determinato la stessa morfologia urbana. Questo è stato un ambito di riflessione particolarmente sviluppato nel corso del PRIN dalla unità di ricerca pescarese. La normativa a livello nazionale per i centri minori si compone di due provve-
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ha consentito la crescita demografica ed economica, preservando al contempo l’immagine di un paesaggio debolmente antropizzato di riconosciuto valore. Il contesto sociale che caratterizza il campo di applicazione della ricerca è interessato da un profondo mutamento delle aspettative di sviluppo e di benessere, ed è un contesto sociale che ha assistito al convergere nelle grandi aree urbane vallive e costiere delle principali attività e funzioni, insieme ai luoghi di centralità ed alle opportunità di lavoro. La prossimità a tali centri urbani è così divenuta una condizione di sopravvivenza, l’armatura infrastrutturale ha fatto da addensante per i nuovi insediamenti abitativi e produttivi ed i centri minori che ne restavano esclusi hanno faticosamente tentato di ritagliarsi un ruolo nel quadro delle dinamiche di area vasta. Qui la marginalità territoriale, dovuta ai già richiamati processi di contrazione dei processi produttivi e di indebolimento della struttura sociale, ha causato l’abbandono di molte delle infrastrutture realizzate in passato per sostenere lo sviluppo. I sistemi insediativi delle aree interne, organizzati secondo un complesso sistema di utilizzazione dell’ambiente circostante (scambi di materia, energia e informazioni), prevedeva un equilibrio nelle relazioni tra sfera naturale e antropica, ed una gestione delle risorse naturali commisurata ai cicli di riproduzione delle risorse. Le pratiche dell’agricoltura di rotazione, della reintegrazione dei rifiuti, dell’impiego dell’acqua disponibile, dello sfruttamento della biomassa per la produzione di energia, erano pratiche ecologiche improntate ad una etica dell’uso delle risorse che oggi definiamo “sviluppo sostenibile”.La ricerca ha inteso dunque istituire nuovi cicli di vita per i territori marginali ripartendo da questa cultura, rivista alla luce delle nuove esigenze e declinata secondo una visione che traguarda gli obiettivi di conservazione del paesaggio e di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo.
Stato dell’arte I processi di abbandono dei centri minori in aree marginali del Paese sono stati spesso oggetto di riflessione, in particolare sono state indagate le possibilità di rigenerazione incentrate sul recupero del patrimonio edilizio storico, considerato come principale leva del nuovo sviluppo. La ricerca Geografie dell’abbandono – La dismissione dei borghi in Italia, (DRA, coordinatore G. Postiglione, Politecnico di Milano), presentata anche nel corso del già citato incontro di Pescara delle unità di ricerca nazionali del PRIN Recycle Italy, restituisce un’immagine generale del fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi e del connesso abbandono del territorio. In quella
ricerca si propone l’attivazione di un processo di rivitalizzazione del tessuto socioeconomico dell’area locale per mezzo dell’opportuna valorizzazione del patrimonio artistico, ambientale e culturale locale. Noti casi di recupero di centri minori in abbandono hanno messo in campo azioni specifiche sull’insediamento, rivolgendosi prevalentemente ai loro valori paesaggistici e architettonici. É ad esempio il caso di Colletta di Castelbianco (Savona), che, come è noto, oltre ad essere stato oggetto di un integrale restauro edilizio e urbano è stato dotato di importanti infrastrutture digitali. L’iniziativa della Società Imprenditoriale Sviluppo Iniziative Immobiliari, su progetto di Giancarlo De Carlo, prevedeva infatti la trasformazione del borgo in “cybervillage” reinventando integralmente il suo ruolo. Un caso altrettanto noto è il progetto Sextantio, un intervento di iniziativa privata che ha trasformato parte del borgo di Santo Stefano Sessanio (L’Aquila), in albergo diffuso rivolto ad un turismo high-end sensibile ai caratteri storici del borgo mediceo, mantenuto e, in alcuni casi, riprodotto secondo le tecniche edilizie del passato. Il recupero dell’intero borgo storico di Solomeo (Perugia) da parte dell’imprenditore Brunello Cucinelli ha invece come obiettivo la costruzione di una “fabbrica diffusa”, fondata su una nuova concezione di produzione che attribuisce grande importanza alla qualità degli spazi di lavoro del personale. A Castelbasso (Teramo), su iniziativa dell’amministrazione comunale e della Fondazione MalvinaMenegaz, si è attuato il progetto “Castelbasso Progetto Cultura” che ha come obiettivi la piena fruizione del patrimonio storico-artistico del borgo medioevale per mezzo della cultura nonché la generazione di benefici economici per tutto il borgo. Il progetto ha previsto il recupero architettonico di alcuni edifici e di spazi aperti (vie e piazze) con la finalità di ospitare una rassegna artistica e culturale di interesse nazionale. La casistica, qui per ragioni di spazio solo succintamente richiamata, evidenzia come le iniziative di rivitalizzazione si siano principalmente rivolte alla rifunzionalizzazionetematica ed al conseguente recupero/restauro del patrimonio edilizio, introducendo attività e funzioni che non tengono conto, il più delle volte, del territorio di pertinenza, né tanto meno dello stretto legame con l’insediamento, un legame che storicamente ha consentito lo sviluppo socioeconomico e ha determinato la stessa morfologia urbana. Questo è stato un ambito di riflessione particolarmente sviluppato nel corso del PRIN dalla unità di ricerca pescarese. La normativa a livello nazionale per i centri minori si compone di due provve-
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dimenti attualmente in discussione: la proposta di legge n. 1942, cosiddetta Realacci, “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti”, esaminata e ampliata nella XVII legislatura e il disegno di legge “Disposizioni per il recupero e la riqualificazione dei centri storici”. Entrambe le proposte sono finalizzate alla promozione dello sviluppo sociale, ambientale e culturale, alla riqualificazione e valorizzazione urbana e del suo patrimonio. Molte regioni per arginare nei borghi antichi il progressivo spopolamento hanno recentemente legiferato al fine di incentivare il recupero degli immobili in disuso con l’introduzione di nuove funzioni di ricettività turistica (albergo diffuso). Con il Decreto del FARE, art. 18 comma 9 del D.L. 69 del 21/06/2013, lo Stato ha stanziato un’ingente somma per l’anno 2014 per la realizzazione del primo Programma “6000 Campanili” concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio. Il decreto è rivolto ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti con la possibilità di accesso al finanziamento per una sola proposta d’intervento. Il programma evidenzia l’attenzione per la dimensione urbana ridotta e per la sua sofferente situazione di declino ma sèguita a distribuire fondi su interventi puntuali senza cogliere la complessità dei disagi territoriali. La ricerca si è proposta di individuare politiche, strumenti e azioni per la rigenerazione dei territori fragili nelle aree interne dell’Appennino centro-meridionale, mirando alla costruzione di linee guida per la progettazione strategica del riciclo. La ricerca si è rivolta ai soggetti istituzionali con ruolo di governo, in primo luogo a Regione, Province, unioni di comuni e comuni, e poi a tutti gli attori variamente coinvolti nei processi/progetti di rilancio territoriale. Le linee guida si sono orientate in particolare verso forme di progettualità che riscrivono il patrimonio ambientale e culturale a partire dalla mobilitazione delle comunità insediate, accettando tuttavia il ruolo di innovazione portato da soggetti esterni, proponendo una revisione dei ruoli degli attori della trasformazione, così come delle politiche di governancee dei dispositivi per la gestione di processi di lungo periodo. Al contempo la ricerca si è proposta di svolgere una applicazione sperimentale sui territori interni d’Abruzzo mirata alla costruzione di mappe che oltre a ricostruire i fattori del disagio territoriale delle aree montane abruzzesi definisca l’entità del fenomeno dell’abbandono e le opportunità connesse per il riciclo.Questa applicazione sperimentale, di seguito descritta, si è concentrata sul territorio degli altipiani maggiori d’A-
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bruzzo.
Il caso studio Il progetto orientato all’attivazione di un nuovo ciclo di vita e al riciclo delle risorse esistenti nei territori marginali è un processo che deve muovere invariabilmente dal confronto con il contesto e con le pratiche in esso riconoscibili. Occorre saper guardare alle caratteristiche specifiche ed agli aspetti peculiari del contesto territoriale delle aree bersaglio, perché spesso possono costituire la chiave del progetto. Ed occorre farlo con uno sguardo che oltrepassi i limiti amministrativi, poiché i processi sociali, economici, insediativi ma anche naturali ed ecologici, assumono geometrie variegate e mutevoli che sono indipendenti dai confini. Per condurre gli studi e per formulare le strategie del riciclo nel modo più efficace è tuttavia necessario ricondurre gli studi e le proposte al livello amministrativo. Per le aree interne appenniniche il livello più appropriato è probabilmente quello comunale, dove la morfologia del suolo e le risorse naturali hanno condizionato l’estensione del territorio comunale, e dove la stessa configurazione insediativa dell’aggregato urbano si pone in stretta relazione con la forma e la natura del suolo. La compenetrazione tra centro edificato e territorio è ancora oggi apprezzabile, nonostante le trasformazioni portate dalle espansioni residenziali moderne e dalle infrastrutture per la mobilità, queste ultime spesso introdotte come unico rimedio contro l’isolamento. Contrariamente alla prassi consolidata della programmazione territoriale, che individua gli ambiti territoriali destinatari delle misure sulla base di semplici addizioni di realtà amministrative comunali confinanti, equiparate attraverso parametri tendenti all’omogeneizzazione, i contesti bersaglio delle politiche e delle azioni di riciclo sono stati fatti coincidere con porzioni di territorio geograficamente definite dagli assetti fisiografici, ambientali e insediativi. A partire da questo paradigma, fortemente centrato sulla territorialità, nel presente studio ci si è concentrati su uno specifico contesto geografico dell’Appennino Centrale, quello degli altipiani maggiori d’Abruzzo. In quest’area le risorse naturali hanno rappresentato il nucleo centrale intorno al quale si sono generate pratiche socio-economiche singolari, ben rappresentate dal modello insediativo. Le peculiarità e le criticità di contesto hanno successivamente consentito l’individuazione di alcuni temi dominanti, su cui si possono effettuare azioni di risignificazione, nell’ambito di programmi finalizzati al riequilibrio socio-eco-
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dimenti attualmente in discussione: la proposta di legge n. 1942, cosiddetta Realacci, “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti”, esaminata e ampliata nella XVII legislatura e il disegno di legge “Disposizioni per il recupero e la riqualificazione dei centri storici”. Entrambe le proposte sono finalizzate alla promozione dello sviluppo sociale, ambientale e culturale, alla riqualificazione e valorizzazione urbana e del suo patrimonio. Molte regioni per arginare nei borghi antichi il progressivo spopolamento hanno recentemente legiferato al fine di incentivare il recupero degli immobili in disuso con l’introduzione di nuove funzioni di ricettività turistica (albergo diffuso). Con il Decreto del FARE, art. 18 comma 9 del D.L. 69 del 21/06/2013, lo Stato ha stanziato un’ingente somma per l’anno 2014 per la realizzazione del primo Programma “6000 Campanili” concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio. Il decreto è rivolto ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti con la possibilità di accesso al finanziamento per una sola proposta d’intervento. Il programma evidenzia l’attenzione per la dimensione urbana ridotta e per la sua sofferente situazione di declino ma sèguita a distribuire fondi su interventi puntuali senza cogliere la complessità dei disagi territoriali. La ricerca si è proposta di individuare politiche, strumenti e azioni per la rigenerazione dei territori fragili nelle aree interne dell’Appennino centro-meridionale, mirando alla costruzione di linee guida per la progettazione strategica del riciclo. La ricerca si è rivolta ai soggetti istituzionali con ruolo di governo, in primo luogo a Regione, Province, unioni di comuni e comuni, e poi a tutti gli attori variamente coinvolti nei processi/progetti di rilancio territoriale. Le linee guida si sono orientate in particolare verso forme di progettualità che riscrivono il patrimonio ambientale e culturale a partire dalla mobilitazione delle comunità insediate, accettando tuttavia il ruolo di innovazione portato da soggetti esterni, proponendo una revisione dei ruoli degli attori della trasformazione, così come delle politiche di governancee dei dispositivi per la gestione di processi di lungo periodo. Al contempo la ricerca si è proposta di svolgere una applicazione sperimentale sui territori interni d’Abruzzo mirata alla costruzione di mappe che oltre a ricostruire i fattori del disagio territoriale delle aree montane abruzzesi definisca l’entità del fenomeno dell’abbandono e le opportunità connesse per il riciclo.Questa applicazione sperimentale, di seguito descritta, si è concentrata sul territorio degli altipiani maggiori d’A-
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bruzzo.
Il caso studio Il progetto orientato all’attivazione di un nuovo ciclo di vita e al riciclo delle risorse esistenti nei territori marginali è un processo che deve muovere invariabilmente dal confronto con il contesto e con le pratiche in esso riconoscibili. Occorre saper guardare alle caratteristiche specifiche ed agli aspetti peculiari del contesto territoriale delle aree bersaglio, perché spesso possono costituire la chiave del progetto. Ed occorre farlo con uno sguardo che oltrepassi i limiti amministrativi, poiché i processi sociali, economici, insediativi ma anche naturali ed ecologici, assumono geometrie variegate e mutevoli che sono indipendenti dai confini. Per condurre gli studi e per formulare le strategie del riciclo nel modo più efficace è tuttavia necessario ricondurre gli studi e le proposte al livello amministrativo. Per le aree interne appenniniche il livello più appropriato è probabilmente quello comunale, dove la morfologia del suolo e le risorse naturali hanno condizionato l’estensione del territorio comunale, e dove la stessa configurazione insediativa dell’aggregato urbano si pone in stretta relazione con la forma e la natura del suolo. La compenetrazione tra centro edificato e territorio è ancora oggi apprezzabile, nonostante le trasformazioni portate dalle espansioni residenziali moderne e dalle infrastrutture per la mobilità, queste ultime spesso introdotte come unico rimedio contro l’isolamento. Contrariamente alla prassi consolidata della programmazione territoriale, che individua gli ambiti territoriali destinatari delle misure sulla base di semplici addizioni di realtà amministrative comunali confinanti, equiparate attraverso parametri tendenti all’omogeneizzazione, i contesti bersaglio delle politiche e delle azioni di riciclo sono stati fatti coincidere con porzioni di territorio geograficamente definite dagli assetti fisiografici, ambientali e insediativi. A partire da questo paradigma, fortemente centrato sulla territorialità, nel presente studio ci si è concentrati su uno specifico contesto geografico dell’Appennino Centrale, quello degli altipiani maggiori d’Abruzzo. In quest’area le risorse naturali hanno rappresentato il nucleo centrale intorno al quale si sono generate pratiche socio-economiche singolari, ben rappresentate dal modello insediativo. Le peculiarità e le criticità di contesto hanno successivamente consentito l’individuazione di alcuni temi dominanti, su cui si possono effettuare azioni di risignificazione, nell’ambito di programmi finalizzati al riequilibrio socio-eco-
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nomico. Le aree interne marginali hanno matrici paesaggistiche fortemente contraddistinte dalle componenti naturali, il cui valore di integrità ecologica è stato riconosciuto attraverso l’istituzione di aree protette o di protezione. Il rapporto del DPS4 indica che il 50% delle aree protette ricade in territori interni o marginali ai sistemi urbani principali. Per il caso degli altipiani d’Abruzzo tutti i comuni, tranne uno (Pettorano sul Gizio), ricadono entro i confini del Parco Nazionale della Maiella. L’Ente Parco è il soggetto sovraordinato a cui è affidata essenzialmente la tutela dei valori ambientali e naturali, ma gli effetti gestionali e normativi superano i suoi confini istituzionali e spesso ciò che è collocato all’esterno possiede risorse e potenzialità affini, che non sempre rientrano in un unico disegno di sviluppo. Nelle aree protette s’inseguono generalmente politiche d’integrazione tra i diversi livelli di governo del territorio, allo scopo di ricondurre le differenze dei livelli istituzionali ad un unico obiettivo: quello di valorizzare al meglio le qualità materiali e immateriali del contesto paesaggistico. L’Ente Parco individua attraverso lo strumento di Piano gli indirizzi e gli obiettivi strategici che intende perseguire e gli obiettivi operativi assegnati alle risorse umane. Questo porta a comporre un contesto che favorisce la nascita di conflitti fra i diversi attori locali, nella difficile ricerca di forme di sviluppo in equilibrio con la natura. I maggiori attriti con la dotazione naturale si verificano nelle fasi di definizione delle scelte trasformative. La società locale produce pressioni sul sistema naturale, al contempo l’aspro sistema naturale rappresenta un freno per le attività antropiche; tali forze opposte configurano quello che si potrebbe definire un modello di «assetto perturbato». Sin dall’avvio della fase progettuale occorre dunque pensare al governo delle reciproche interferenze, per declinarle in ragione delle risorse mobilitate, così da trasformare i conflitti in azioni compatibili il più possibile integrate. Il progetto deve costruire uno stato di compatibilità o congruenza al contesto insediato che può essere espresso con un modello di assetto equilibrato (Giacomini V., Romani V., 2002) del sistema complessivo. Nel caso di studio, data la diversa geometria tra confini amministrativi comunali e della tutela istituita sui valori ambientali e naturali, è necessario valutare non solo le conseguenze della disciplina introdotta dal Parco nel suo perimetro ma anche ciò che avviene all’esterno in prossimità del suo limite in quanto sottoposto a differenti pressioni. Un territorio nell'immediato margine di
un’area protetta pone molte questioni di ordine strategico, in particolare sulle opportunità di diffusione delle politiche di crescita del Parco, spingendo in approcci interpretativi e progettuali non confinati nella dimensione amministrativa o nelle competenze d’area degli enti preposti. Il confine marca una linea virtuale che separa e allo stesso tempo avvicina diversi ambiti territoriali, rappresentando una diversa condizione di stato e di diritto tra ciò che è interno al Parco e ciò che è al suo esterno, sottolineando una differenza che non trova riscontro nei quadri paesaggistici. Il concetto di margine è stato diffusamente trattato nei contesti urbani, dove il dualismo città e campagna viene superato da una dimensione insediativa che si è ormai allargata sul territorio. Lo spazio del margine perde definitezza, per essere attraversato da flussi di materia, energia e conoscenze. In queste realtà occorre ripensare il ruolo da attribuire agli spazi marginali, guardando prioritariamente alle occasioni offerte dagli spazi dell’abbandono, dell’attesa, dove una nuova identità e nuovi ruoli funzionali potranno migliorare le condizioni di vita. Analogamente i margini delle aree protette sono percepiti come spazi di conflitto, di tensione, luoghi in cui sono prevedibili fenomeni incontrollati di pressioni insediative, di spinte o dipendenze economiche. In questa prospettiva l’individuazione di categorie paesaggistiche dei territori a margine del Parco, secondo tre principali processi insediativi - trasformazione, abbandono, specializzazione - consente di individuare gli aspetti topici e alcune esigenze prioritarie rispetto alle quali orientare le scelte di pianificazione e di progetto. 1. Gli spazi della trasformazione si trovano in contesti di prossimità liberi dalle forme di tutela restrittiva del Parco, dove la pressione degli interessi economici si rappresenta nei sistemi urbani e produttivi sovrapposti al paesaggio originario: la conurbarzione di Sulmona, le recente espansione del borgo di Rocca Pia, le infrastrutture sciistiche di Roccaraso, Rivisondoli e Campo di Giove. 2. Gli ambiti dell’abbandono generate dalla perdita di interesse economico di alcune attività, è questo il caso degli spazi agro-pastorali, dove sono evidenti i processi di ricolonizzazione da parte del bosco di quegli spazi in passato adibiti a pascolo. Queste aree rappresentano una componente significativa del mosaico paesistico dei territori contigui ai Parchi e rientrano nella categoria degli spazi ad elevata naturalità. Qui l’abbandono è conseguenza non solo della perdita della convenienza economica a mantenere le attività del settore primario ma anche di apparati vincolistici privi di contenuti progettuali, pensati solo per garantire un utilizzo compatibile con le esigenze esclusivamente
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nomico. Le aree interne marginali hanno matrici paesaggistiche fortemente contraddistinte dalle componenti naturali, il cui valore di integrità ecologica è stato riconosciuto attraverso l’istituzione di aree protette o di protezione. Il rapporto del DPS4 indica che il 50% delle aree protette ricade in territori interni o marginali ai sistemi urbani principali. Per il caso degli altipiani d’Abruzzo tutti i comuni, tranne uno (Pettorano sul Gizio), ricadono entro i confini del Parco Nazionale della Maiella. L’Ente Parco è il soggetto sovraordinato a cui è affidata essenzialmente la tutela dei valori ambientali e naturali, ma gli effetti gestionali e normativi superano i suoi confini istituzionali e spesso ciò che è collocato all’esterno possiede risorse e potenzialità affini, che non sempre rientrano in un unico disegno di sviluppo. Nelle aree protette s’inseguono generalmente politiche d’integrazione tra i diversi livelli di governo del territorio, allo scopo di ricondurre le differenze dei livelli istituzionali ad un unico obiettivo: quello di valorizzare al meglio le qualità materiali e immateriali del contesto paesaggistico. L’Ente Parco individua attraverso lo strumento di Piano gli indirizzi e gli obiettivi strategici che intende perseguire e gli obiettivi operativi assegnati alle risorse umane. Questo porta a comporre un contesto che favorisce la nascita di conflitti fra i diversi attori locali, nella difficile ricerca di forme di sviluppo in equilibrio con la natura. I maggiori attriti con la dotazione naturale si verificano nelle fasi di definizione delle scelte trasformative. La società locale produce pressioni sul sistema naturale, al contempo l’aspro sistema naturale rappresenta un freno per le attività antropiche; tali forze opposte configurano quello che si potrebbe definire un modello di «assetto perturbato». Sin dall’avvio della fase progettuale occorre dunque pensare al governo delle reciproche interferenze, per declinarle in ragione delle risorse mobilitate, così da trasformare i conflitti in azioni compatibili il più possibile integrate. Il progetto deve costruire uno stato di compatibilità o congruenza al contesto insediato che può essere espresso con un modello di assetto equilibrato (Giacomini V., Romani V., 2002) del sistema complessivo. Nel caso di studio, data la diversa geometria tra confini amministrativi comunali e della tutela istituita sui valori ambientali e naturali, è necessario valutare non solo le conseguenze della disciplina introdotta dal Parco nel suo perimetro ma anche ciò che avviene all’esterno in prossimità del suo limite in quanto sottoposto a differenti pressioni. Un territorio nell'immediato margine di
un’area protetta pone molte questioni di ordine strategico, in particolare sulle opportunità di diffusione delle politiche di crescita del Parco, spingendo in approcci interpretativi e progettuali non confinati nella dimensione amministrativa o nelle competenze d’area degli enti preposti. Il confine marca una linea virtuale che separa e allo stesso tempo avvicina diversi ambiti territoriali, rappresentando una diversa condizione di stato e di diritto tra ciò che è interno al Parco e ciò che è al suo esterno, sottolineando una differenza che non trova riscontro nei quadri paesaggistici. Il concetto di margine è stato diffusamente trattato nei contesti urbani, dove il dualismo città e campagna viene superato da una dimensione insediativa che si è ormai allargata sul territorio. Lo spazio del margine perde definitezza, per essere attraversato da flussi di materia, energia e conoscenze. In queste realtà occorre ripensare il ruolo da attribuire agli spazi marginali, guardando prioritariamente alle occasioni offerte dagli spazi dell’abbandono, dell’attesa, dove una nuova identità e nuovi ruoli funzionali potranno migliorare le condizioni di vita. Analogamente i margini delle aree protette sono percepiti come spazi di conflitto, di tensione, luoghi in cui sono prevedibili fenomeni incontrollati di pressioni insediative, di spinte o dipendenze economiche. In questa prospettiva l’individuazione di categorie paesaggistiche dei territori a margine del Parco, secondo tre principali processi insediativi - trasformazione, abbandono, specializzazione - consente di individuare gli aspetti topici e alcune esigenze prioritarie rispetto alle quali orientare le scelte di pianificazione e di progetto. 1. Gli spazi della trasformazione si trovano in contesti di prossimità liberi dalle forme di tutela restrittiva del Parco, dove la pressione degli interessi economici si rappresenta nei sistemi urbani e produttivi sovrapposti al paesaggio originario: la conurbarzione di Sulmona, le recente espansione del borgo di Rocca Pia, le infrastrutture sciistiche di Roccaraso, Rivisondoli e Campo di Giove. 2. Gli ambiti dell’abbandono generate dalla perdita di interesse economico di alcune attività, è questo il caso degli spazi agro-pastorali, dove sono evidenti i processi di ricolonizzazione da parte del bosco di quegli spazi in passato adibiti a pascolo. Queste aree rappresentano una componente significativa del mosaico paesistico dei territori contigui ai Parchi e rientrano nella categoria degli spazi ad elevata naturalità. Qui l’abbandono è conseguenza non solo della perdita della convenienza economica a mantenere le attività del settore primario ma anche di apparati vincolistici privi di contenuti progettuali, pensati solo per garantire un utilizzo compatibile con le esigenze esclusivamente
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conservative. 3. Gli spazi della specializzazione settoriale sono infine quelli caratterizzati da una prevalente direzione funzionale con utilizzazioni tendenzialmente specialistici. Non dipendono dalle caratteristiche di contesto ma da esigenze esterne e relative a logiche di massimizzazione del profitto. Ne sono un esempio le strutture e gli spazi funzionali alle attività ricreative e ricettive che in realtà come quelle di Campo di Giove versano in uno stato di totale abbandono (complesso ricettivo dello “Scoiattolo Nero”). Il sovradimensionamento di strutture ricettive degli anni ’70 e ’80 ha rappresentato l’archetipo del turismo di massa in montagna tuttavia non corrisponde ai nuovi modelli turistici.
Fig.4 - Campo di Giove (AQ), Dinamiche della trasformazione urbana e infrastrutturazione dello spazio aperto, tesi dott. Giulio De Mattia
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Interpretazione del territorio e delle risorse identitarie. Il quadro socio-economico Per definire il contesto socio-economico degli altipiani maggiori d’Abruzzo sono stati preliminarmente analizzati i parametri che restituiscono la composizione della popolazione ed il livello degli occupati per settore produttivo in ogni comune. Questo metodo, che impiega gli stessi criteri utilizzati nelle fasi preliminare e decisionale della programmazione regionale e nazionale, fornisce solo una prima indicazione circa il grado di marginalità di un territorio. Pur costituendo un valido supporto, i dati non restituiscono la complessità delle realtà locali all’interno dell’area geografico-insediativa esaminata e non sono quindi sufficienti a cogliere le differenti intensità con le quali si presentano le dinamiche socio-economiche. Sono stati pertanto presi in esame altri parametri, in particolare quelli economici e della finanza amministrativa, che contribuiscono a delineare meglio la complessità dei localismi e a comprendere la natura dei fattori determinanti lo squilibrio territoriale (erosione delle soglie di economicità per i servizi locali, scarse dotazioni e servizi). L’analisi dei dati Interpretando i dati ISTAT-CRESA 20011/2014, in rapporto alla situazione regionale, è stato possibile effettuare alcune valutazioni e previsioni, di seguito si riportano le principali. Il primo valore esaminato, quello relativo all’indice di vecchiaia, non è allineato al dato nazionale (144,5 nel 2011, 157,7 nel 2015). A livello provinciale il dato pari a 178,7 è comunque inferiore ai casi registrati nei comuni dell’area, ad eccezione di Roccaraso (165). Le proiezioni al 2020 vedono una riduzione in media della popolazione del 5,58%; solo Roccaraso e Pettorano sul Gizio tendono ad un incremento rispettivamente di 1,30% e 4,30% (Tab.2). Il dato sulla popolazione straniera in rapporto ai residenti complessivi, pari al 5,8%, è comunque significativo se si osservano i singoli dati nei comuni come quello di Cansano, con 46 stranieri sui 282 residenti complessivi. La variazione percentuale media regionale degli stranieri tra il 2001 e il 2011 si attesta a + 218,2%; il numero di stranieri per mille abitanti censiti nella provincia di L’Aquila sale da 23,3 a 62,9. In termini complessivi regionali l’incidenza degli stranieri è mediamente più elevata nei comuni interni rispetto ai comuni vicini alla costa. Il valore degli occupati tra i 15 e i 64 anni è invece in linea con il dato provinciale. Nell’area di studio le attività produttive che vedono il maggior numero di occupati sono quella industriale, ricettiva (alberghi e ristoranti) e commercia-
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conservative. 3. Gli spazi della specializzazione settoriale sono infine quelli caratterizzati da una prevalente direzione funzionale con utilizzazioni tendenzialmente specialistici. Non dipendono dalle caratteristiche di contesto ma da esigenze esterne e relative a logiche di massimizzazione del profitto. Ne sono un esempio le strutture e gli spazi funzionali alle attività ricreative e ricettive che in realtà come quelle di Campo di Giove versano in uno stato di totale abbandono (complesso ricettivo dello “Scoiattolo Nero”). Il sovradimensionamento di strutture ricettive degli anni ’70 e ’80 ha rappresentato l’archetipo del turismo di massa in montagna tuttavia non corrisponde ai nuovi modelli turistici.
Fig.4 - Campo di Giove (AQ), Dinamiche della trasformazione urbana e infrastrutturazione dello spazio aperto, tesi dott. Giulio De Mattia
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Interpretazione del territorio e delle risorse identitarie. Il quadro socio-economico Per definire il contesto socio-economico degli altipiani maggiori d’Abruzzo sono stati preliminarmente analizzati i parametri che restituiscono la composizione della popolazione ed il livello degli occupati per settore produttivo in ogni comune. Questo metodo, che impiega gli stessi criteri utilizzati nelle fasi preliminare e decisionale della programmazione regionale e nazionale, fornisce solo una prima indicazione circa il grado di marginalità di un territorio. Pur costituendo un valido supporto, i dati non restituiscono la complessità delle realtà locali all’interno dell’area geografico-insediativa esaminata e non sono quindi sufficienti a cogliere le differenti intensità con le quali si presentano le dinamiche socio-economiche. Sono stati pertanto presi in esame altri parametri, in particolare quelli economici e della finanza amministrativa, che contribuiscono a delineare meglio la complessità dei localismi e a comprendere la natura dei fattori determinanti lo squilibrio territoriale (erosione delle soglie di economicità per i servizi locali, scarse dotazioni e servizi). L’analisi dei dati Interpretando i dati ISTAT-CRESA 20011/2014, in rapporto alla situazione regionale, è stato possibile effettuare alcune valutazioni e previsioni, di seguito si riportano le principali. Il primo valore esaminato, quello relativo all’indice di vecchiaia, non è allineato al dato nazionale (144,5 nel 2011, 157,7 nel 2015). A livello provinciale il dato pari a 178,7 è comunque inferiore ai casi registrati nei comuni dell’area, ad eccezione di Roccaraso (165). Le proiezioni al 2020 vedono una riduzione in media della popolazione del 5,58%; solo Roccaraso e Pettorano sul Gizio tendono ad un incremento rispettivamente di 1,30% e 4,30% (Tab.2). Il dato sulla popolazione straniera in rapporto ai residenti complessivi, pari al 5,8%, è comunque significativo se si osservano i singoli dati nei comuni come quello di Cansano, con 46 stranieri sui 282 residenti complessivi. La variazione percentuale media regionale degli stranieri tra il 2001 e il 2011 si attesta a + 218,2%; il numero di stranieri per mille abitanti censiti nella provincia di L’Aquila sale da 23,3 a 62,9. In termini complessivi regionali l’incidenza degli stranieri è mediamente più elevata nei comuni interni rispetto ai comuni vicini alla costa. Il valore degli occupati tra i 15 e i 64 anni è invece in linea con il dato provinciale. Nell’area di studio le attività produttive che vedono il maggior numero di occupati sono quella industriale, ricettiva (alberghi e ristoranti) e commercia-
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le. Tra i comuni con maggiore vocazione turistica e con importanti dotazioni ed infrastrutture legate agli sport sulla neve, solo Pescocostanzo ha visto crescere significativamente gli occupati tra il 2001 e il 2011, con un incremento di 47 unità. Anche Pettoranosul Gizio, inserito nel club dei “I borghi più belli d’Italia” e nell’Associazione “Borghi autentici d’Italia”, fa segnare una crescita sensibile degli occupati nel settore della ricettività (Fig.5). É invece praticamente immutata la forza lavoro nei comuni di Campo di Giove e Rivisondoli (Tab.3). Nella sola provincia dell’Aquila il tasso di occupazione in età 15-64 anni è cresciuta del 5%, portandosi da 52,8 unità a 57,8 unità. Gli occupati complessivi in Abruzzo scendono nel 2013 da 508 mila a 490 mila, con una variazione percentuale del -3,4%, superiore alla media nazionale -2,1% e inferiore al decremento fatto registrare dal Mezzogiorno -4,6% .
Tab.2 - Indice di vecchiaia, ISTAT 2011
Fig.5 - Consistenza delle strutture alberghiere, tesi dott. Giulio De Mattia
Tab.3 - Proiezione della popolazione 2020, distribuzione per settore degli occupati
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Con il DGR n. 798/2002 sono stati stabiliti i criteri e i parametri che hanno condotto a definire l’«indice di disagio» in cui versano i territori comunali5. Tre le macro aree in cui i comuni sono stati collocati in funzione dei parametri applicati. L’area di studio ricade complessivamente in area A (ex. art.18 – totalmente svantaggiate, Reg CE 1257-99), un’area cioè caratterizzata dalla presenza di Comuni con alta marginalità, definiti svantaggiati per le limitazioni di natura fisico-ambientale e la posizione sfavorevole rispetto ai sistemi urbani di grandi dimensioni. Lo studio del CRESA del 2002 sulla montagna abruzzese è un utile supporto per valutare il grado di marginalità e per registrare le trasformazioni territoriali, grazie al confronto tra gli indicatori selezionati dal centro di ricerca e quelli elaborati nel caso di studio. Il CRESA ha sviluppato un’analisi per i comuni montani che riprende in parte il DGR n.798/2002, impiegando
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le. Tra i comuni con maggiore vocazione turistica e con importanti dotazioni ed infrastrutture legate agli sport sulla neve, solo Pescocostanzo ha visto crescere significativamente gli occupati tra il 2001 e il 2011, con un incremento di 47 unità. Anche Pettoranosul Gizio, inserito nel club dei “I borghi più belli d’Italia” e nell’Associazione “Borghi autentici d’Italia”, fa segnare una crescita sensibile degli occupati nel settore della ricettività (Fig.5). É invece praticamente immutata la forza lavoro nei comuni di Campo di Giove e Rivisondoli (Tab.3). Nella sola provincia dell’Aquila il tasso di occupazione in età 15-64 anni è cresciuta del 5%, portandosi da 52,8 unità a 57,8 unità. Gli occupati complessivi in Abruzzo scendono nel 2013 da 508 mila a 490 mila, con una variazione percentuale del -3,4%, superiore alla media nazionale -2,1% e inferiore al decremento fatto registrare dal Mezzogiorno -4,6% .
Tab.2 - Indice di vecchiaia, ISTAT 2011
Fig.5 - Consistenza delle strutture alberghiere, tesi dott. Giulio De Mattia
Tab.3 - Proiezione della popolazione 2020, distribuzione per settore degli occupati
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Con il DGR n. 798/2002 sono stati stabiliti i criteri e i parametri che hanno condotto a definire l’«indice di disagio» in cui versano i territori comunali5. Tre le macro aree in cui i comuni sono stati collocati in funzione dei parametri applicati. L’area di studio ricade complessivamente in area A (ex. art.18 – totalmente svantaggiate, Reg CE 1257-99), un’area cioè caratterizzata dalla presenza di Comuni con alta marginalità, definiti svantaggiati per le limitazioni di natura fisico-ambientale e la posizione sfavorevole rispetto ai sistemi urbani di grandi dimensioni. Lo studio del CRESA del 2002 sulla montagna abruzzese è un utile supporto per valutare il grado di marginalità e per registrare le trasformazioni territoriali, grazie al confronto tra gli indicatori selezionati dal centro di ricerca e quelli elaborati nel caso di studio. Il CRESA ha sviluppato un’analisi per i comuni montani che riprende in parte il DGR n.798/2002, impiegando
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però un numero superiore di indicatori, raggruppati in parametri sintetici di natura socio-economica6. Gli indicatori del CRESA delineano il carattere della marginalità, prendendo come riferimento territoriale le Comunità Montane, attraverso quattro categorie rappresentative degli aspetti del sistema socioeconomico: degrado demografico; depotenziamento del sistema produttivo; scarsità delle dotazioni di servizi; livello di reddito attivabile e disponibile per la collettività. A differenza di quanto previsto dalla normativa regionale il CRESA non considera uno dei fattori storici della marginalità ovvero l’accessibilità, che la legge regionale invece individua nei tempi di percorrenza, in ragione dei flussi di pendolarismo diretti verso i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti. L’indicatore di marginalità, risultante dalla combinazione tra quattro categorie, è utile per individuare le aree problematiche connesse a situazioni di fragilità e di carenza delle dotazioni che incidono sensibilmente sulla qualità della vita della popolazione e sulle possibilità di sviluppo. I valori crescenti dell’indicatore di sintesi sono stati suddivisi in classi di marginalità, sia per aspetti negativi che positivi: una prima classe, che è stata definita ad alta marginalità, con i valori più bassi (declino, disagio, etc); una seconda classe con valori negativi intermedi; una terza classe con valori intorno allo zero (di posizione meno svantaggiata) di bassa marginalità. Per gli aspetti positivi sono stati individuati tre classi: la prima con valori intorno allo zero (bassa dinamicità o sviluppo); una seconda classe con valori intermedi ed una terza con valori più alti (dinamicità).
Tab.4 - Indicatore sintetico di marginalità, fonte CRESA
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Il contesto esaminato presenta diversi elementi di debolezza, diffusi sul territorio con intensità differenti, per ragioni diverse: la maggiore capacità amministrativa di alcune realtà comunali, dove anche il settore produttivo è più forte; la presenza di infrastrutture e la consistenza delle attrezzature pubbliche. In generale gli aspetti di debolezza riguardano: la struttura economica e organizzativa delle imprese poco aperte all’innovazione; lo scarso ricorso all’associazionismo; la scarsa propensione verso l’adozione di tecnologie innovative. Tra i fattori caratteristici della marginalità vi sono la bassa dotazione e la scarsa qualità dei servizi essenziali erogati dalle amministrazioni locali. La ridotta disponibilità finanziaria, assieme alla rigidità dei bilanci imposta dal governo centrale, tendono ad inasprire le situazioni di sofferenza della gestione pubblica, principalmente in contesti come quello del caso di studio qui esaminato, dove peraltro cresce la richiesta di assistenza, come conseguenza diretta dell’elevato indice di invecchiamento della popolazione residente. Appare urgente comprendere quale sia la reale capacità di ripresa di questi contesti svantaggiati, in una congiuntura economica globale ancora debole. Tra i fattori qualificanti un territorio vi è l’efficienza dell’apparato amministrativo e istituzionale, che evolve dal government, mirato agli obblighi normativi e burocratici,a un’auspicata governance multilivello, dove le parti sociali diventano attive ed operative nella gestione delle risorse territoriali. Alcuni indicatori ben rappresentano quale sia l’attitudine delle amministrazioni alla gestione efficiente delle risorse disponibili nei propri bilanci, specie per investimenti differenti dall’ordinario. Per il caso in questione il riferimento temporale preso in considerazione è stato fissato al 2007, in quanto rappresentativo della situazione antecedente alla crisi economica del 2008 e precedente a importanti manovre finanziarie dello Stato (esclusione dell’ICI per le unità immobiliari adibite a prima abitazione7 , vincoli del Patto di stabilità interno) che hanno ulteriormente inciso sui margini operativi della finanza locale. Il dato è inoltre antecedente alle misure economiche assunte dal governo centrale per la ricostruzione post sisma, misure che hanno alterato in modo significativo i dati relativi alla capacità economica dei comuni compresi nel cratere del sisma aquilano del 2009. Sono aumentati i margini della finanza locale, come ci mostra ampiamente un rapido confronto tra i dati di Campobasso (comune non interessato dal sisma) e i dati di L’Aquila: al valore estremamente ridotto del comune di Campobasso, pari a 963,02 euro, si contrappone il valore molto superiore dell’indice per abitante della spesa corrente registrato a l’Aquila, pari a 7.228,03 euro. Un valore che si
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però un numero superiore di indicatori, raggruppati in parametri sintetici di natura socio-economica6. Gli indicatori del CRESA delineano il carattere della marginalità, prendendo come riferimento territoriale le Comunità Montane, attraverso quattro categorie rappresentative degli aspetti del sistema socioeconomico: degrado demografico; depotenziamento del sistema produttivo; scarsità delle dotazioni di servizi; livello di reddito attivabile e disponibile per la collettività. A differenza di quanto previsto dalla normativa regionale il CRESA non considera uno dei fattori storici della marginalità ovvero l’accessibilità, che la legge regionale invece individua nei tempi di percorrenza, in ragione dei flussi di pendolarismo diretti verso i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti. L’indicatore di marginalità, risultante dalla combinazione tra quattro categorie, è utile per individuare le aree problematiche connesse a situazioni di fragilità e di carenza delle dotazioni che incidono sensibilmente sulla qualità della vita della popolazione e sulle possibilità di sviluppo. I valori crescenti dell’indicatore di sintesi sono stati suddivisi in classi di marginalità, sia per aspetti negativi che positivi: una prima classe, che è stata definita ad alta marginalità, con i valori più bassi (declino, disagio, etc); una seconda classe con valori negativi intermedi; una terza classe con valori intorno allo zero (di posizione meno svantaggiata) di bassa marginalità. Per gli aspetti positivi sono stati individuati tre classi: la prima con valori intorno allo zero (bassa dinamicità o sviluppo); una seconda classe con valori intermedi ed una terza con valori più alti (dinamicità).
Tab.4 - Indicatore sintetico di marginalità, fonte CRESA
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Il contesto esaminato presenta diversi elementi di debolezza, diffusi sul territorio con intensità differenti, per ragioni diverse: la maggiore capacità amministrativa di alcune realtà comunali, dove anche il settore produttivo è più forte; la presenza di infrastrutture e la consistenza delle attrezzature pubbliche. In generale gli aspetti di debolezza riguardano: la struttura economica e organizzativa delle imprese poco aperte all’innovazione; lo scarso ricorso all’associazionismo; la scarsa propensione verso l’adozione di tecnologie innovative. Tra i fattori caratteristici della marginalità vi sono la bassa dotazione e la scarsa qualità dei servizi essenziali erogati dalle amministrazioni locali. La ridotta disponibilità finanziaria, assieme alla rigidità dei bilanci imposta dal governo centrale, tendono ad inasprire le situazioni di sofferenza della gestione pubblica, principalmente in contesti come quello del caso di studio qui esaminato, dove peraltro cresce la richiesta di assistenza, come conseguenza diretta dell’elevato indice di invecchiamento della popolazione residente. Appare urgente comprendere quale sia la reale capacità di ripresa di questi contesti svantaggiati, in una congiuntura economica globale ancora debole. Tra i fattori qualificanti un territorio vi è l’efficienza dell’apparato amministrativo e istituzionale, che evolve dal government, mirato agli obblighi normativi e burocratici,a un’auspicata governance multilivello, dove le parti sociali diventano attive ed operative nella gestione delle risorse territoriali. Alcuni indicatori ben rappresentano quale sia l’attitudine delle amministrazioni alla gestione efficiente delle risorse disponibili nei propri bilanci, specie per investimenti differenti dall’ordinario. Per il caso in questione il riferimento temporale preso in considerazione è stato fissato al 2007, in quanto rappresentativo della situazione antecedente alla crisi economica del 2008 e precedente a importanti manovre finanziarie dello Stato (esclusione dell’ICI per le unità immobiliari adibite a prima abitazione7 , vincoli del Patto di stabilità interno) che hanno ulteriormente inciso sui margini operativi della finanza locale. Il dato è inoltre antecedente alle misure economiche assunte dal governo centrale per la ricostruzione post sisma, misure che hanno alterato in modo significativo i dati relativi alla capacità economica dei comuni compresi nel cratere del sisma aquilano del 2009. Sono aumentati i margini della finanza locale, come ci mostra ampiamente un rapido confronto tra i dati di Campobasso (comune non interessato dal sisma) e i dati di L’Aquila: al valore estremamente ridotto del comune di Campobasso, pari a 963,02 euro, si contrappone il valore molto superiore dell’indice per abitante della spesa corrente registrato a l’Aquila, pari a 7.228,03 euro. Un valore che si
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giustifica sulla base del fatto che il comune de L’Aquila ha ricevuto, nel corso dell’anno 2009, i fondi dalla Protezione civile, oltre ad alcune ulteriori attribuzioni finanziarie nel corso del 2010 da parte del Ministero dell’interno, per il sostegno post-terremoto, comportando di conseguenza tali significativi incrementi della spesa corrente. Il fabbisogno di spesa rappresenta uno dei cardini della riforma in materia di federalismo fiscale e stabiliste i gettiti perequativi dallo Stato a ciascun ente locale. Un primo indicatore sintetico della capacità di spesa dei comuni è rappresentato dalla rigidità finanziaria di bilancio8 che definisce la quota di risorse da destinare alle spese correnti, un dato che evidenzia in particolare la consistenza sul bilancio delle scelte strutturali adottate dall’ente con riferimento alla dotazione organica (costo del personale) e alle modalità di finanziamento degli investimenti (livello di indebitamento). L’indicatore individua pertanto il margine di operatività a disposizione del comune per ulteriori scelte di gestione e/o di investimento. Nel caso dell’Abruzzo è da evidenziare che i valori più bassi (<35%) riguardano i comuni di piccola dimensione, principalmente quelli montani (Pescasseroli 34%, Cocullo 33%, Cappadocia 27%). Tra i fattori di rigidità del bilancio vi è innanzitutto la spesa per il personale che incide in molti casi in maniera sostanziale, divenendo la voce di spesa principale. Una occupazione presso l’ente comunale è spesso, nei piccoli centri, una delle poche opportunità lavorative disponibili. Le uscite per questa importante voce, insieme alla soglia minima necessaria per garantire i servizi essenziali ai cittadini, possono incrementare il valore relativo di tale componente del bilancio. Così Rocca Pia, con soli 167 abitanti ed una spesa pro capite per il personale pari a 1.034 euro, è il terzo comune più dispendioso della Regione (nella graduatoria vi sono poi Rivisondoli 796 euro; Roccaraso 560 euro; Campo di Giove 553 euro). La disomogeneità nella distribuzione dell’indicatore all’interno delle stesse aree geografiche regionali non lo rende tuttavia sufficientemente rappresentativo della propensione all’investimento dei comuni. Diverse le variabili di contesto che necessariamente devono essere considerate, poiché i comuni operano in contesti non univoci, sostenendo quindi costi di produzione diversificati. Gli stessi cittadini di ogni comunità devono poter disporre di beni e servizi pubblici adeguati alle proprie esigenze, ciò comporta anche differenze sulla consistenza dell’armatura urbana. Occorre quindi introdurre un ulteriore indicatore: la distribuzione della spe-
sa pro capite in conto capitale9, che rappresenta la spesa comunale stimata per lo svolgimento delle funzioni di servizio ai cittadini. Il valore di confronto è il valore medio nazionale, pari a circa 500 euro per abitante. Nella regione Abruzzo la spesa maggiore si riscontra per i comuni allineati lungo la dorsale montana, ad esclusione di quelli più grandi (L’Aquila, Avezzano, Sulmona), mentre i valori inferiori alla media si dispongono principalmente nella fascia costiera e collinare. I primi trenta comuni della regione, con valori compresi tra 22 e 3 volte la media nazionale, sono tutti comuni montani, di questi solo Santo Stefano di Sessanio, Rocca Pia (il quinto valore più alto in Regione, pari a 5.025,41 euro), Gamberale, Pietracamela, Rivisondoli (il diciassettesimo con 1.986,09 euro) e Pretoro sono comuni con economie turistiche, con maggiore propensione all’investimento. Per i restanti si può parlare di un effetto isolamento, ovvero enti con risorse ridotte che gestiscono un minimo livello di dotazione infrastrutturale e di servizi. L’incidenza degli investimenti a favore del sistema produttivo sul totale degli investimenti sembra ristabilire una maggiore coerenza con il quadro dello sviluppo regionale. I valori medio-alti (40-60%) sono allineati in corrispondenza di comuni della fascia costiera e sub-costiera, mentre nell’interno altrettanto evidente appare l’allineamento su valori bassi (<20%) lungo la dorsale montana; i valori medio-bassi (20-40%) si dispongono prevalentemente lungo la fascia collinare e nelle conche intermontane. Per i comuni turistici si segnalano Scanno (60%), Roccaraso (38%), Ovindoli (29%), Tortoreto e Silvi (26%), Alba Adriatica e Rivisondoli (25%). Dai dati emergono alcuni spunti di riflessione, partendo dalla distribuzione non omogenea per ambiti territoriali simili, il mosaico complessivo delle dinamiche è strettamente connesso sia alla specificità della singola realtà amministrativa che alle esternalità indotte dalle realtà contermini. Le variabili che possono influenzare la spesa fondamentale di ciascun comune possono essere variabili dummies , ed esprimere la fragilità del territorio come il rischio sismico e ambientale (per frane o alluvioni) o strutturali e riguardare la spesa corrente. Infine vi possono essere altre variabili come l’ammontare delle risorse esogene, la spesa di altri enti territoriali o la spesa affrontata dai comuni confinanti. I dati confermano il processo del declino demografico, presente con intensità differenti a livello nazionale, nell’area qui esaminata il carico dominante è quello derivante dalla popolazione anziana, con alcune eccezioni corrispondenti ai comuni con economia turistica più stabile (Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo) che beneficiano di un bacino d’utenza sovra regiona-
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giustifica sulla base del fatto che il comune de L’Aquila ha ricevuto, nel corso dell’anno 2009, i fondi dalla Protezione civile, oltre ad alcune ulteriori attribuzioni finanziarie nel corso del 2010 da parte del Ministero dell’interno, per il sostegno post-terremoto, comportando di conseguenza tali significativi incrementi della spesa corrente. Il fabbisogno di spesa rappresenta uno dei cardini della riforma in materia di federalismo fiscale e stabiliste i gettiti perequativi dallo Stato a ciascun ente locale. Un primo indicatore sintetico della capacità di spesa dei comuni è rappresentato dalla rigidità finanziaria di bilancio8 che definisce la quota di risorse da destinare alle spese correnti, un dato che evidenzia in particolare la consistenza sul bilancio delle scelte strutturali adottate dall’ente con riferimento alla dotazione organica (costo del personale) e alle modalità di finanziamento degli investimenti (livello di indebitamento). L’indicatore individua pertanto il margine di operatività a disposizione del comune per ulteriori scelte di gestione e/o di investimento. Nel caso dell’Abruzzo è da evidenziare che i valori più bassi (<35%) riguardano i comuni di piccola dimensione, principalmente quelli montani (Pescasseroli 34%, Cocullo 33%, Cappadocia 27%). Tra i fattori di rigidità del bilancio vi è innanzitutto la spesa per il personale che incide in molti casi in maniera sostanziale, divenendo la voce di spesa principale. Una occupazione presso l’ente comunale è spesso, nei piccoli centri, una delle poche opportunità lavorative disponibili. Le uscite per questa importante voce, insieme alla soglia minima necessaria per garantire i servizi essenziali ai cittadini, possono incrementare il valore relativo di tale componente del bilancio. Così Rocca Pia, con soli 167 abitanti ed una spesa pro capite per il personale pari a 1.034 euro, è il terzo comune più dispendioso della Regione (nella graduatoria vi sono poi Rivisondoli 796 euro; Roccaraso 560 euro; Campo di Giove 553 euro). La disomogeneità nella distribuzione dell’indicatore all’interno delle stesse aree geografiche regionali non lo rende tuttavia sufficientemente rappresentativo della propensione all’investimento dei comuni. Diverse le variabili di contesto che necessariamente devono essere considerate, poiché i comuni operano in contesti non univoci, sostenendo quindi costi di produzione diversificati. Gli stessi cittadini di ogni comunità devono poter disporre di beni e servizi pubblici adeguati alle proprie esigenze, ciò comporta anche differenze sulla consistenza dell’armatura urbana. Occorre quindi introdurre un ulteriore indicatore: la distribuzione della spe-
sa pro capite in conto capitale9, che rappresenta la spesa comunale stimata per lo svolgimento delle funzioni di servizio ai cittadini. Il valore di confronto è il valore medio nazionale, pari a circa 500 euro per abitante. Nella regione Abruzzo la spesa maggiore si riscontra per i comuni allineati lungo la dorsale montana, ad esclusione di quelli più grandi (L’Aquila, Avezzano, Sulmona), mentre i valori inferiori alla media si dispongono principalmente nella fascia costiera e collinare. I primi trenta comuni della regione, con valori compresi tra 22 e 3 volte la media nazionale, sono tutti comuni montani, di questi solo Santo Stefano di Sessanio, Rocca Pia (il quinto valore più alto in Regione, pari a 5.025,41 euro), Gamberale, Pietracamela, Rivisondoli (il diciassettesimo con 1.986,09 euro) e Pretoro sono comuni con economie turistiche, con maggiore propensione all’investimento. Per i restanti si può parlare di un effetto isolamento, ovvero enti con risorse ridotte che gestiscono un minimo livello di dotazione infrastrutturale e di servizi. L’incidenza degli investimenti a favore del sistema produttivo sul totale degli investimenti sembra ristabilire una maggiore coerenza con il quadro dello sviluppo regionale. I valori medio-alti (40-60%) sono allineati in corrispondenza di comuni della fascia costiera e sub-costiera, mentre nell’interno altrettanto evidente appare l’allineamento su valori bassi (<20%) lungo la dorsale montana; i valori medio-bassi (20-40%) si dispongono prevalentemente lungo la fascia collinare e nelle conche intermontane. Per i comuni turistici si segnalano Scanno (60%), Roccaraso (38%), Ovindoli (29%), Tortoreto e Silvi (26%), Alba Adriatica e Rivisondoli (25%). Dai dati emergono alcuni spunti di riflessione, partendo dalla distribuzione non omogenea per ambiti territoriali simili, il mosaico complessivo delle dinamiche è strettamente connesso sia alla specificità della singola realtà amministrativa che alle esternalità indotte dalle realtà contermini. Le variabili che possono influenzare la spesa fondamentale di ciascun comune possono essere variabili dummies , ed esprimere la fragilità del territorio come il rischio sismico e ambientale (per frane o alluvioni) o strutturali e riguardare la spesa corrente. Infine vi possono essere altre variabili come l’ammontare delle risorse esogene, la spesa di altri enti territoriali o la spesa affrontata dai comuni confinanti. I dati confermano il processo del declino demografico, presente con intensità differenti a livello nazionale, nell’area qui esaminata il carico dominante è quello derivante dalla popolazione anziana, con alcune eccezioni corrispondenti ai comuni con economia turistica più stabile (Roccaraso, Rivisondoli, Pescocostanzo) che beneficiano di un bacino d’utenza sovra regiona-
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le, con turisti provenienti dalla Campania e del Lazio; o i comuni che vivono una rinascita urbana, grazie all’interesse per il pregiato patrimonio architettonico offerto, vedi il caso di Pettorano sul Gizio, da parte del turismo internazionale. Sembra quindi non confermato l’assioma secondo il quale i centri di piccola dimensione nelle aree interne del Paese hanno una gestione del denaro pubblico diseconomica. Se è infatti vero che i comuni minori dipendono generalmente dai contributi regionali e statali è altrettanto vero che vi sono casi di gestione produttiva delle risorse, grazie al contenimento delle spese per il personale e alla capacità di investimento.
Quadro insediativo-ambientale Attraverso l’analisi del caso studio si intende esplicitare le caratteristiche prevalenti della marginalità presentati dai centri delle aree interne, ma anche individuare quelle componenti strutturali utili a consolidare le migliori pratiche, o a introdurne di nuove in grado di incrementare il capitale territoriale. La descrizione della matrice ambientale e insediativa, a differenza delle descrizioni basate sull’analisi dei dati socio-economici, offre una visione integrata sull’insieme degli aspetti materiali delle risorse locali. É inoltre orientata alla individuazione delle risorse più funzionali al progetto di riciclo territoriale, coerentemente con una impostazione strategica di trasformazione e di riuso dell’esistente strutturate sul patrimonio identitario locale. La ricerca mira all’individuazione di nuove categorie d’azione per le pratiche del riciclo territoriale, guardando all’insieme dei paesaggi, non soltanto a quello urbano, coinvolgendo il sistema del periurbano e lo spazio aperto, considerandoli come paesaggi ai quali assegnare nuovi valori simbolici, funzionali ed ecologici. Si è osservato il territorio degli altipiani d’Abruzzo con specifica attenzione per le trasformazioni del paesaggio, in connessione con le forme assunte di volta in volta dalla marginalità. Sono stati restituiti in cartografia gli aspetti salienti della morfologia insediativa, nel suo rapporto osmotico con il supporto naturale; in particolare si è guardato ai seguenti elementi: infrastrutture, rete idrografica, geomorfologia, paesaggi agro-forestali (Fig.6,7). La comprensione delle prassi socio-economiche consolidate e abbandonate ha consentito di riconoscere i segni materiali e immateriali sul paesaggio locale (Fig.8,9).
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Fig.6 - LA FORMA DEL TERRITORIO, Combinazioni Sistema Ambientale_Elementi morfologici
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le, con turisti provenienti dalla Campania e del Lazio; o i comuni che vivono una rinascita urbana, grazie all’interesse per il pregiato patrimonio architettonico offerto, vedi il caso di Pettorano sul Gizio, da parte del turismo internazionale. Sembra quindi non confermato l’assioma secondo il quale i centri di piccola dimensione nelle aree interne del Paese hanno una gestione del denaro pubblico diseconomica. Se è infatti vero che i comuni minori dipendono generalmente dai contributi regionali e statali è altrettanto vero che vi sono casi di gestione produttiva delle risorse, grazie al contenimento delle spese per il personale e alla capacità di investimento.
Quadro insediativo-ambientale Attraverso l’analisi del caso studio si intende esplicitare le caratteristiche prevalenti della marginalità presentati dai centri delle aree interne, ma anche individuare quelle componenti strutturali utili a consolidare le migliori pratiche, o a introdurne di nuove in grado di incrementare il capitale territoriale. La descrizione della matrice ambientale e insediativa, a differenza delle descrizioni basate sull’analisi dei dati socio-economici, offre una visione integrata sull’insieme degli aspetti materiali delle risorse locali. É inoltre orientata alla individuazione delle risorse più funzionali al progetto di riciclo territoriale, coerentemente con una impostazione strategica di trasformazione e di riuso dell’esistente strutturate sul patrimonio identitario locale. La ricerca mira all’individuazione di nuove categorie d’azione per le pratiche del riciclo territoriale, guardando all’insieme dei paesaggi, non soltanto a quello urbano, coinvolgendo il sistema del periurbano e lo spazio aperto, considerandoli come paesaggi ai quali assegnare nuovi valori simbolici, funzionali ed ecologici. Si è osservato il territorio degli altipiani d’Abruzzo con specifica attenzione per le trasformazioni del paesaggio, in connessione con le forme assunte di volta in volta dalla marginalità. Sono stati restituiti in cartografia gli aspetti salienti della morfologia insediativa, nel suo rapporto osmotico con il supporto naturale; in particolare si è guardato ai seguenti elementi: infrastrutture, rete idrografica, geomorfologia, paesaggi agro-forestali (Fig.6,7). La comprensione delle prassi socio-economiche consolidate e abbandonate ha consentito di riconoscere i segni materiali e immateriali sul paesaggio locale (Fig.8,9).
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Fig.6 - LA FORMA DEL TERRITORIO, Combinazioni Sistema Ambientale_Elementi morfologici
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Fig.7 - LA FORMA DEL TERRITORIO, Combinazioni Sistema Insediativo_Concentrazione e dispersione, rete delle infrastrutture
Fig.8 - Infrastrutture e attrezzature per il turismo nel sistema locale
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Fig.7 - LA FORMA DEL TERRITORIO, Combinazioni Sistema Insediativo_Concentrazione e dispersione, rete delle infrastrutture
Fig.8 - Infrastrutture e attrezzature per il turismo nel sistema locale
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Fig.9 - Abbandono dei suoli agricoli e rischi ambientali
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I nuovi cicli di vita che possono essere ipotizzati non riguardano esclusivamente i singoli materiali e gli oggetti censiti ma principalmente le loro combinazioni, mediante processi di addizione, ibridazione o semplice sovrapposizione. É sembrata rilevante la comprensione in primo luogo del valore delle grandi strutture ambientali, reti delle acque, corridoi ecologici, geomorfologia, in quanto essi sono gli elementi essenziali in un disegno territoriale di lunga durata. L’indagine ha riguardato quindi i due grandi telai, il telaio naturale ed il telaio antropico, infine è stato individuato un possibile campo di azione per il riciclo dei telai territoriali in rapporto con le attuali pratiche insediative. Il primo telaio è quello rappresentato dalla rete idrografica e dalla copertura boschiva che qualificano lo spazio aperto fino ad interessare gli insediamenti urbani. Le evidenze della matrice naturale suggeriscono il tema della contiguità tra agglomerato e naturalità ad alto valore ecologico, e le mutue relazioni da ristabilire. Il secondo telaio è dato dalle reti viaria e ferroviaria, oltre che dal fitto sistema di percorsi minori che dai centri urbani s’irradiava nello spazio agro-silvo-pastorale. Quest’ultimo, che in passato costituiva un reticolo diffuso sul territorio, ha perso la sua originaria vocazione di presidio e solo in parte è stato riconvertito in percorsi escursionistici dall’Ente Parco. La regione degli altipiani si compone di distinte stanze paesaggistiche, Piano Cerreto, Quarto S. Chiara, Primo Campo, Quarto Grande, Piano delle Cinquemiglia, che presentano morfologie del tutto simili, con versanti montuosi (M. Pratello, M. Rotella, Pizzalto e il versante occidentale della Maiella) a delimitare ampi spazi pianeggianti, privi di vegetazione arborea, riuniti a sud dai pianori del Quarto del Barone e il Prato. In montagna la piane, con la loro tipica forma a catino, assumono all’interno di un contesto aspro, un elevato potenziale irriguo ed agricolo. Sono anche luoghi privilegiati della mobilità, vi si localizzano i principali snodi di raccordo tra le grandi vie peninsulari e locali, oltre ad essere luoghi di concentrazione insediativa. Sono infine luoghi da cui l’innovazione e la conoscenza, proveniente dai flussi in transito lungo gli itinerari di lunga percorrenza, si diffondeva in tutto il territorio montano. La vegetazione di questa regione è estesa e compatta, rappresentando in pieno il tipo dell’alta montagna mediterranea. Sulla nudità del suolo calcareo domina per grandi tratti la copertura a faggeta, che si estende dai 1000 ai 1900 metri di altitudine. Copre fittamente ampie distese, come nella valle dell’Aventino e sul M. Pizzalto, occasionalmente è interrotta da ampie radure di pascolo, come sui monti di Roccaraso e sulla catena del M. Secine . Ricopre interamente i versanti dei colli con esemplari maestosi, come nella valle di Sant’Antonio,
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Fig.9 - Abbandono dei suoli agricoli e rischi ambientali
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I nuovi cicli di vita che possono essere ipotizzati non riguardano esclusivamente i singoli materiali e gli oggetti censiti ma principalmente le loro combinazioni, mediante processi di addizione, ibridazione o semplice sovrapposizione. É sembrata rilevante la comprensione in primo luogo del valore delle grandi strutture ambientali, reti delle acque, corridoi ecologici, geomorfologia, in quanto essi sono gli elementi essenziali in un disegno territoriale di lunga durata. L’indagine ha riguardato quindi i due grandi telai, il telaio naturale ed il telaio antropico, infine è stato individuato un possibile campo di azione per il riciclo dei telai territoriali in rapporto con le attuali pratiche insediative. Il primo telaio è quello rappresentato dalla rete idrografica e dalla copertura boschiva che qualificano lo spazio aperto fino ad interessare gli insediamenti urbani. Le evidenze della matrice naturale suggeriscono il tema della contiguità tra agglomerato e naturalità ad alto valore ecologico, e le mutue relazioni da ristabilire. Il secondo telaio è dato dalle reti viaria e ferroviaria, oltre che dal fitto sistema di percorsi minori che dai centri urbani s’irradiava nello spazio agro-silvo-pastorale. Quest’ultimo, che in passato costituiva un reticolo diffuso sul territorio, ha perso la sua originaria vocazione di presidio e solo in parte è stato riconvertito in percorsi escursionistici dall’Ente Parco. La regione degli altipiani si compone di distinte stanze paesaggistiche, Piano Cerreto, Quarto S. Chiara, Primo Campo, Quarto Grande, Piano delle Cinquemiglia, che presentano morfologie del tutto simili, con versanti montuosi (M. Pratello, M. Rotella, Pizzalto e il versante occidentale della Maiella) a delimitare ampi spazi pianeggianti, privi di vegetazione arborea, riuniti a sud dai pianori del Quarto del Barone e il Prato. In montagna la piane, con la loro tipica forma a catino, assumono all’interno di un contesto aspro, un elevato potenziale irriguo ed agricolo. Sono anche luoghi privilegiati della mobilità, vi si localizzano i principali snodi di raccordo tra le grandi vie peninsulari e locali, oltre ad essere luoghi di concentrazione insediativa. Sono infine luoghi da cui l’innovazione e la conoscenza, proveniente dai flussi in transito lungo gli itinerari di lunga percorrenza, si diffondeva in tutto il territorio montano. La vegetazione di questa regione è estesa e compatta, rappresentando in pieno il tipo dell’alta montagna mediterranea. Sulla nudità del suolo calcareo domina per grandi tratti la copertura a faggeta, che si estende dai 1000 ai 1900 metri di altitudine. Copre fittamente ampie distese, come nella valle dell’Aventino e sul M. Pizzalto, occasionalmente è interrotta da ampie radure di pascolo, come sui monti di Roccaraso e sulla catena del M. Secine . Ricopre interamente i versanti dei colli con esemplari maestosi, come nella valle di Sant’Antonio,
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uno dei luoghi paesaggisticamente più suggestivi. Il bosco, fitto e esteso, è una delle principali risorse naturali di questa regione. Un piccolo bosco di cerri di alto fusto sorge alle falde meridionali del M. Tocco. Consistente anche la copertura arborea introdotta dall’uomo come le pinete e le abetaie, sparse alle pendici del Porrora e intorno agli abitati di Roccaraso e di Pescocostanzo. Lo sfruttamento propriamente agricolo della terra si esercita in maniera sensibilmente residuale, rispetto al passato, sulla fascia ai piedi dei monti, su piccoli appezzamenti che contengono l’avanzamento della foresta o la roccia a 1600 metri di altezza. Fino alla prima metà del ’900 la principale risorsa per le pratiche pastorali era costituita dall’ampia distesa di pascoli e di prati naturali, ancora visibili nel paesaggio ma oggi ridotti nel loro peso economico. Il pascolo di monte copre con un leggero vello le scabre radure fino ai 2000 metri. Appare evidente, in ampi settori, il passaggio dal pascolo a sterile superficie montuosa, per mancanza di greggi pascolanti che esercitano la naturale azione di stimolo sulla vegetazione. Tutta la distesa degli altopiani è lasciata a prato naturale: il verde tenero ed uniforme che dilaga in ogni direzione si anima solo nella stagione della fienagione; resta poi a pascolarvi per buona parte dell’anno il bestiame bovino. Una attività che comincia a svilupparsi dai primi decenni del ’900 è lo sfruttamento turistico delle qualità paesaggistiche dell’area, apprezzata per la particolare salubrità (clima fresco e costante in estate, com’è proprio del clima appenninico, diversamente da quello alpino) e per la presenza abbondante delle nevi durante la stagione invernale. Per meglio interpretare il territorio di studio si è cercato di stabilirne il ruolo nei confronti dell’area vasta, in funzione dall’armatura territoriale, qualificata da importanti infrastrutture per la mobilità che ne hanno favorito l’accessibilità e le relazioni con ambiti sovra regionali. La regione degli altipiani è situata al punto di convergenza tra le propaggini meridionali dell’Appennino Abruzzese: quella orientale - Monti della LagaGranSasso-Maiella - e quella centrale - Terminillo-Velino-Sirente-Monti Marsicani - trovano qui la definitiva saldatura. La tradizionale «via degli Abruzzi»10, ora Statale 17 dell’Appennino Abruzzese, percorre la valle Peligna, che accoglie il centro urbano più importante dell’area, Sulmona, per poi dirigersi a sud, incontrando e attraversando la regione degli altipiani. Il suo ruolo storico di arteria interregionale, nonché di itinerario principale per il collegamento diretto tra le regioni padane e il Mezzogiorno d’Italia, scartate le vie tortuose e
accidentate del versante tirrenico, è stato in parte sostituito dalla rete autostradale. A Pescara si staccava poi l’importante tronco per Napoli, formato da un tratto della via Valeria (fino a Popoli), dalla via degli Abruzzi fino a Isernia, dalla Venafrana e dall’ultimo tratto della Casilina. La regione degli altipiani è tutt’oggi il punto di transito obbligato su questo itinerario e il Piano delle Cinque Miglia ha un’importanza centrale nei collegamenti con la Campania e con la Puglia. La statale 84 o Frentana che immette sugli altipiani è interessata da una più modesta corrente di traffico; proviene da Lanciano e risalita la Valle dell’Aventino va ad immettersi nella Statale 17, nei pressi di Roccaraso. Nel tratto da Sulmona a Roccaraso un nuovo percorso dal 1957 si è affiancato al precedente: quello che, attraversando la zona dei boschi di S. Antonio, connette con un tracciato meno tortuoso Cansano e Pescocostanzo. Anche una linea ferroviaria , una tra le più suggestive d’Italia risalente alla fine dell’Ottocento, raggiunge e attraversa gli altipiani: si tratta del tronco della linea dorsale appenninica che avanza nel cuore delle regioni centrali, nelle gole di Rieti e di Antrodoco prima, lungo il corso dell’Aterno poi, e che da Sulmona, con un ampio giro sotto le pendici della Maiella, si porta sugli altipiani, per ridiscendere a Castel di Sangro e proseguire verso il Molise e la Campania. La stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo segna la quota più alta (1.268 m), dopo il Brennero, della rete italiana. Il tratto Sulmona-Carpinone, chiuso tra il 2010 e il 2011 in quanto divenuto un «ramo secco» del trasporto passeggeri, è oggi impiegato a fini turistici su iniziativa di alcune associazioni di appassionati11. La regione degli altipiani si caratterizza dunque come punto d’intersezione tra i flussi di tre importanti aree: la valle di Sulmona (Peligna), la valle di Castel di Sangro e la valle dell’Aventino, che proprio in corrispondenza degli altipiani entrano in rapporto tra loro. I territori comunali interessati da quest’area sono diversi, i centri urbani che si attestano proprio sul punto di congiunzione degli altopiani sono Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo, gli altri si dispongono sui versanti montuosi che confluiscono nella valle Peligna. Roccaraso è stato, sia nel periodo prebellico che nel dopoguerra, il centro propulsore dell’industria turistica dell’area. Prende avvio da questo centro un ciclo di vita basato sul turismo, poi diffusosi agli altri centri (Pescocostanzo, Rivisondoli, Campo di Giove e più recentemente Rocca Pia), quasi a formare un unico distretto del turismo, promosso dalle politiche regionali degli anni ’70 e ’80. L’abitato di Roccaraso, e in modo particolare la parte più antica, distrutta dagli eventi bellici, sorge su uno sperone di monte, a 1.236 metri di altitudine, sul-
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uno dei luoghi paesaggisticamente più suggestivi. Il bosco, fitto e esteso, è una delle principali risorse naturali di questa regione. Un piccolo bosco di cerri di alto fusto sorge alle falde meridionali del M. Tocco. Consistente anche la copertura arborea introdotta dall’uomo come le pinete e le abetaie, sparse alle pendici del Porrora e intorno agli abitati di Roccaraso e di Pescocostanzo. Lo sfruttamento propriamente agricolo della terra si esercita in maniera sensibilmente residuale, rispetto al passato, sulla fascia ai piedi dei monti, su piccoli appezzamenti che contengono l’avanzamento della foresta o la roccia a 1600 metri di altezza. Fino alla prima metà del ’900 la principale risorsa per le pratiche pastorali era costituita dall’ampia distesa di pascoli e di prati naturali, ancora visibili nel paesaggio ma oggi ridotti nel loro peso economico. Il pascolo di monte copre con un leggero vello le scabre radure fino ai 2000 metri. Appare evidente, in ampi settori, il passaggio dal pascolo a sterile superficie montuosa, per mancanza di greggi pascolanti che esercitano la naturale azione di stimolo sulla vegetazione. Tutta la distesa degli altopiani è lasciata a prato naturale: il verde tenero ed uniforme che dilaga in ogni direzione si anima solo nella stagione della fienagione; resta poi a pascolarvi per buona parte dell’anno il bestiame bovino. Una attività che comincia a svilupparsi dai primi decenni del ’900 è lo sfruttamento turistico delle qualità paesaggistiche dell’area, apprezzata per la particolare salubrità (clima fresco e costante in estate, com’è proprio del clima appenninico, diversamente da quello alpino) e per la presenza abbondante delle nevi durante la stagione invernale. Per meglio interpretare il territorio di studio si è cercato di stabilirne il ruolo nei confronti dell’area vasta, in funzione dall’armatura territoriale, qualificata da importanti infrastrutture per la mobilità che ne hanno favorito l’accessibilità e le relazioni con ambiti sovra regionali. La regione degli altipiani è situata al punto di convergenza tra le propaggini meridionali dell’Appennino Abruzzese: quella orientale - Monti della LagaGranSasso-Maiella - e quella centrale - Terminillo-Velino-Sirente-Monti Marsicani - trovano qui la definitiva saldatura. La tradizionale «via degli Abruzzi»10, ora Statale 17 dell’Appennino Abruzzese, percorre la valle Peligna, che accoglie il centro urbano più importante dell’area, Sulmona, per poi dirigersi a sud, incontrando e attraversando la regione degli altipiani. Il suo ruolo storico di arteria interregionale, nonché di itinerario principale per il collegamento diretto tra le regioni padane e il Mezzogiorno d’Italia, scartate le vie tortuose e
accidentate del versante tirrenico, è stato in parte sostituito dalla rete autostradale. A Pescara si staccava poi l’importante tronco per Napoli, formato da un tratto della via Valeria (fino a Popoli), dalla via degli Abruzzi fino a Isernia, dalla Venafrana e dall’ultimo tratto della Casilina. La regione degli altipiani è tutt’oggi il punto di transito obbligato su questo itinerario e il Piano delle Cinque Miglia ha un’importanza centrale nei collegamenti con la Campania e con la Puglia. La statale 84 o Frentana che immette sugli altipiani è interessata da una più modesta corrente di traffico; proviene da Lanciano e risalita la Valle dell’Aventino va ad immettersi nella Statale 17, nei pressi di Roccaraso. Nel tratto da Sulmona a Roccaraso un nuovo percorso dal 1957 si è affiancato al precedente: quello che, attraversando la zona dei boschi di S. Antonio, connette con un tracciato meno tortuoso Cansano e Pescocostanzo. Anche una linea ferroviaria , una tra le più suggestive d’Italia risalente alla fine dell’Ottocento, raggiunge e attraversa gli altipiani: si tratta del tronco della linea dorsale appenninica che avanza nel cuore delle regioni centrali, nelle gole di Rieti e di Antrodoco prima, lungo il corso dell’Aterno poi, e che da Sulmona, con un ampio giro sotto le pendici della Maiella, si porta sugli altipiani, per ridiscendere a Castel di Sangro e proseguire verso il Molise e la Campania. La stazione di Rivisondoli-Pescocostanzo segna la quota più alta (1.268 m), dopo il Brennero, della rete italiana. Il tratto Sulmona-Carpinone, chiuso tra il 2010 e il 2011 in quanto divenuto un «ramo secco» del trasporto passeggeri, è oggi impiegato a fini turistici su iniziativa di alcune associazioni di appassionati11. La regione degli altipiani si caratterizza dunque come punto d’intersezione tra i flussi di tre importanti aree: la valle di Sulmona (Peligna), la valle di Castel di Sangro e la valle dell’Aventino, che proprio in corrispondenza degli altipiani entrano in rapporto tra loro. I territori comunali interessati da quest’area sono diversi, i centri urbani che si attestano proprio sul punto di congiunzione degli altopiani sono Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo, gli altri si dispongono sui versanti montuosi che confluiscono nella valle Peligna. Roccaraso è stato, sia nel periodo prebellico che nel dopoguerra, il centro propulsore dell’industria turistica dell’area. Prende avvio da questo centro un ciclo di vita basato sul turismo, poi diffusosi agli altri centri (Pescocostanzo, Rivisondoli, Campo di Giove e più recentemente Rocca Pia), quasi a formare un unico distretto del turismo, promosso dalle politiche regionali degli anni ’70 e ’80. L’abitato di Roccaraso, e in modo particolare la parte più antica, distrutta dagli eventi bellici, sorge su uno sperone di monte, a 1.236 metri di altitudine, sul-
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la valle del Rasino a presidiare l’unico valico meridionale della regione. L’ampliamento del centro, a seguito alla ricostruzione post-bellica prima ed allo sviluppo turistico poi, ha portato notevoli trasformazioni a tali caratteristiche. Lo sviluppo moderno si è attestato per gran parte nella pianura a contatto delle arterie stradali e ferroviarie. Rivisondoli e Pescocostanzo, localizzate sui versanti sud ed est di uno stesso monte (M. Calvario), sorsero soprattutto in ragione dello sfruttamento economico delle praterie. L’abitato di Pescocostanzo si accostò, in origine, ad un inaccessibile masso roccioso, circondato da piccoli colli che dominano un ampio tratto di altopiano, in posizione di relativo distacco dai punti di maggior traffico. L’ubicazione ha influito in maniera decisiva sulla vita di questi centri minori, la loro esposizione e vicinanza ad importanti infrastrutture ne ha determinato cicli economici del tutto differenti dai centri disposti sulle pendici. Con la fine del primo conflitto mondiale si aprì per Roccaraso un periodo di intensa attività di promozione turistica e di continuo sviluppo edilizio. Le costruzioni avanzarono rapidamente nell’ampia pianura che si stende tra il colle dell’antico abitato e la stazione ferroviaria. Le attrezzature alberghiere, in poco più di un decennio, fecero grandi progressi, tali da consentire a questo centro di essere meta per le clientele più raffinate e per la massa, perlopiù da Roma, Napoli e altre città del Sud. Le attrezzature per gli sport invernali furono potenziate e fu avviata la valorizzazione del territorio intorno al centro abitato. Negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale il paesaggio di Roccaraso era già profondamente trasformato. Il centro aveva trovato nell’industria turistica la propria attività economica primaria, inserendosi attivamente e produttivamente nel panorama nazionale dei centri per il turismo invernale. Il secondo conflitto mondiale provocò gravi danneggiamenti ai piccoli centri degli altipiani. La distruzione a Roccaraso fu totale, mentre solo parziale a Rivisondoli e ancora minore a Pescocostanzo. Nel 1950 la ricostruzione di Roccaraso aveva già portato quattro nuovi impianti alberghieri ed una moderna seggiovia e sciovia, quella di Colle Belisario, che fu peraltro la prima seggiovia dell’Italia centro-meridionale. Infine era stato già riattivato l’allacciamento ferroviario in direzione di Sulmona. L’espansione edilizia degli anni ’60 andò oltre ogni previsione. Il complesso degli edifici alberghieri occupavano in quegli anni le posizioni centrali della nuova area abitata, mentre le numerose ville si distribuivano in periferia. Insieme all’espansione edilizia residenziale e ricettiva furono realizzate nuove attrezzature sportive, come la seconda seggiovia di Roccalta, che copre un percorso di 2 km.
Una profonda trasformazione coinvolse anche l’originario borgo di Pescocostanzo. La lunga crisi che afflisse il centro nella prima metà del XX secolo fu superata grazie allo sforzo della ricostruzione post bellica. Un effetto decisivo lo ebbe l’apertura del tronco stradale di allaccio con Sulmona (1956), aggiungendo una seconda possibilità di accesso all’abitato e consentendo anche la valorizzazione di una zona boscosa, oggi riserva naturale, quella della Valle di Sant’Antonio. La nuova strada costituisce una valida alternativa alla Statale 17 nel tratto tra Sulmona e Roccaraso, che però è spesso impraticabile nel periodo invernale, a causa della sezione ristretta e della consistenza delle precipitazioni nevose (Sabatini, 1960). Un’altra iniziativa, a metà del Novecento, diede un impulso alla crescita di Rivisondoli, fino ad allora priva di proprie piste da sci: un grande impianto di telecabina, che rese praticabili i vasti campi di sci del Monte Pratello (m. 2.050). Negli stessi anni un nuovo impianto riunì le piste di Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo. Scelte condivise di sviluppo e adiacenza geografica favorirono la formazione di un unico bacino economico, sebbene con impatti sulle comunità e sulla qualità urbana differenti. Le qualità e le risorse identitarie dei tre centri divennero patrimonio comune, dando così la possibilità a tutta la regione degli altipiani maggiori d’Abruzzo di diventare una delle principali mete turistiche montane dell’Appennino centro-meridionale. L’industria turistica, fondata sulle risorse naturali, ha innescato una nuova economia di cui hanno beneficiato le popolazioni montane. Nell’ultimo decennio il ciclo sembra però in fase decrescente, con maggiore evidenza nel territorio di Campo di Giove, un centro poco distante dalla realtà consolidata di Rivisondoli, Roccaraso e Pescocostanzo. Se sul fronte turistico il Novecento è stato per gli altipiani maggiori d’Abruzzo un secolo di sviluppo, sul fronte agricolo e zootecnico la situazione è andata costantemente deteriorandosi. Nel secondo dopoguerra in tutta l’area si registrò un forte tasso di emigrazione, con maggiore intensità a Rivisondoli. Negli anni ’50 sulle terre degli altipiani la cerealicoltura era in netta diminuzione, mentre si ampliavano i medicai e i prati artificiali e al contempo si rafforzava il ripristino dell’allevamento stanziale. Tra il 1951 e il 1956 si sono registrati gli incrementi più sensibili nel settore dell’allevamento dei bovini, del 15% a Rivisondoli, del 19% a Pescocostanzo e del 52% a Roccaraso; anche nel settore degli ovini la crescita fu consistente, con aumenti del 112% a Rivisondoli, dell’11% a Pescocostanzo e del 36% a Roccaraso. I pianori di quota, dominati da formazioni erbacee mesofile a cynosuruscrista-
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la valle del Rasino a presidiare l’unico valico meridionale della regione. L’ampliamento del centro, a seguito alla ricostruzione post-bellica prima ed allo sviluppo turistico poi, ha portato notevoli trasformazioni a tali caratteristiche. Lo sviluppo moderno si è attestato per gran parte nella pianura a contatto delle arterie stradali e ferroviarie. Rivisondoli e Pescocostanzo, localizzate sui versanti sud ed est di uno stesso monte (M. Calvario), sorsero soprattutto in ragione dello sfruttamento economico delle praterie. L’abitato di Pescocostanzo si accostò, in origine, ad un inaccessibile masso roccioso, circondato da piccoli colli che dominano un ampio tratto di altopiano, in posizione di relativo distacco dai punti di maggior traffico. L’ubicazione ha influito in maniera decisiva sulla vita di questi centri minori, la loro esposizione e vicinanza ad importanti infrastrutture ne ha determinato cicli economici del tutto differenti dai centri disposti sulle pendici. Con la fine del primo conflitto mondiale si aprì per Roccaraso un periodo di intensa attività di promozione turistica e di continuo sviluppo edilizio. Le costruzioni avanzarono rapidamente nell’ampia pianura che si stende tra il colle dell’antico abitato e la stazione ferroviaria. Le attrezzature alberghiere, in poco più di un decennio, fecero grandi progressi, tali da consentire a questo centro di essere meta per le clientele più raffinate e per la massa, perlopiù da Roma, Napoli e altre città del Sud. Le attrezzature per gli sport invernali furono potenziate e fu avviata la valorizzazione del territorio intorno al centro abitato. Negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale il paesaggio di Roccaraso era già profondamente trasformato. Il centro aveva trovato nell’industria turistica la propria attività economica primaria, inserendosi attivamente e produttivamente nel panorama nazionale dei centri per il turismo invernale. Il secondo conflitto mondiale provocò gravi danneggiamenti ai piccoli centri degli altipiani. La distruzione a Roccaraso fu totale, mentre solo parziale a Rivisondoli e ancora minore a Pescocostanzo. Nel 1950 la ricostruzione di Roccaraso aveva già portato quattro nuovi impianti alberghieri ed una moderna seggiovia e sciovia, quella di Colle Belisario, che fu peraltro la prima seggiovia dell’Italia centro-meridionale. Infine era stato già riattivato l’allacciamento ferroviario in direzione di Sulmona. L’espansione edilizia degli anni ’60 andò oltre ogni previsione. Il complesso degli edifici alberghieri occupavano in quegli anni le posizioni centrali della nuova area abitata, mentre le numerose ville si distribuivano in periferia. Insieme all’espansione edilizia residenziale e ricettiva furono realizzate nuove attrezzature sportive, come la seconda seggiovia di Roccalta, che copre un percorso di 2 km.
Una profonda trasformazione coinvolse anche l’originario borgo di Pescocostanzo. La lunga crisi che afflisse il centro nella prima metà del XX secolo fu superata grazie allo sforzo della ricostruzione post bellica. Un effetto decisivo lo ebbe l’apertura del tronco stradale di allaccio con Sulmona (1956), aggiungendo una seconda possibilità di accesso all’abitato e consentendo anche la valorizzazione di una zona boscosa, oggi riserva naturale, quella della Valle di Sant’Antonio. La nuova strada costituisce una valida alternativa alla Statale 17 nel tratto tra Sulmona e Roccaraso, che però è spesso impraticabile nel periodo invernale, a causa della sezione ristretta e della consistenza delle precipitazioni nevose (Sabatini, 1960). Un’altra iniziativa, a metà del Novecento, diede un impulso alla crescita di Rivisondoli, fino ad allora priva di proprie piste da sci: un grande impianto di telecabina, che rese praticabili i vasti campi di sci del Monte Pratello (m. 2.050). Negli stessi anni un nuovo impianto riunì le piste di Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo. Scelte condivise di sviluppo e adiacenza geografica favorirono la formazione di un unico bacino economico, sebbene con impatti sulle comunità e sulla qualità urbana differenti. Le qualità e le risorse identitarie dei tre centri divennero patrimonio comune, dando così la possibilità a tutta la regione degli altipiani maggiori d’Abruzzo di diventare una delle principali mete turistiche montane dell’Appennino centro-meridionale. L’industria turistica, fondata sulle risorse naturali, ha innescato una nuova economia di cui hanno beneficiato le popolazioni montane. Nell’ultimo decennio il ciclo sembra però in fase decrescente, con maggiore evidenza nel territorio di Campo di Giove, un centro poco distante dalla realtà consolidata di Rivisondoli, Roccaraso e Pescocostanzo. Se sul fronte turistico il Novecento è stato per gli altipiani maggiori d’Abruzzo un secolo di sviluppo, sul fronte agricolo e zootecnico la situazione è andata costantemente deteriorandosi. Nel secondo dopoguerra in tutta l’area si registrò un forte tasso di emigrazione, con maggiore intensità a Rivisondoli. Negli anni ’50 sulle terre degli altipiani la cerealicoltura era in netta diminuzione, mentre si ampliavano i medicai e i prati artificiali e al contempo si rafforzava il ripristino dell’allevamento stanziale. Tra il 1951 e il 1956 si sono registrati gli incrementi più sensibili nel settore dell’allevamento dei bovini, del 15% a Rivisondoli, del 19% a Pescocostanzo e del 52% a Roccaraso; anche nel settore degli ovini la crescita fu consistente, con aumenti del 112% a Rivisondoli, dell’11% a Pescocostanzo e del 36% a Roccaraso. I pianori di quota, dominati da formazioni erbacee mesofile a cynosuruscrista-
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tus, forniscono ingenti quantitativi di foraggio di buona qualità. Sono invece deperiti i pascoli in quota, privati da molti anni di una adeguata quantità di bestiame. Dalla fase di degradazione botanica, che vede il diradarsi delle specie vegetali più pregiate, si passa lentamente alla scomparsa totale della cotica erbosa sul suolo roccioso. L’allevamento in sito, quasi esclusivamente bovino, è ancora oggi piuttosto diffuso sul territorio delle piane. A Pescocostanzo gli addetti risultano essere 170, dei quali 35 hanno meno di 35 anni, nel 44% dei casi il conduttore è coadiuvato da altri familiari. Il numero dei bovini si attesta sotto il migliaio di unità, oscillando nel tempo proporzionalmente all’andamento della popolazione12. Pratiche socio-economiche e ricorrenze paesaggistiche «L’attività di ogni massiccio d’Abruzzo è stata fin dall’inizio alimentata anzitutto da una serie di eteronomie locali, dallo scarto tra le differenti caratteristiche dei suoi pendii, dalla diversità delle forme e delle condizioni che marcano le sue scarpate, dall’asimmetria delle norme che regolano la distribuzione dei vari fenomeni sui suoi fianchi»13. Nel caso di studio le diverse pratiche produttive si basarono sulle specificità di tipo fisico-ambientali e morfologiche, sull’aspra conformazione dei versanti che non hanno impedito (con alcune eccezioni) l’accesso e il governo dello spazio aperto e delle sue risorse, anche grazie alla fitta rete di mulattiere. Reti minori a servizio delle comunità che cancellarono la diversità e l’asperità dei contesti attraverso il dominio controllato delle risorse naturali (Fig. 10). Il paesaggio degli altipiani si inserisce nel sistema appenninico centrale con forme identitarie ricorrenti, esito di un processo sociale ed economico essenzialmente unitario. La stessa transumanza era, ad una scala più vasta, una pratica comune, che di fatto univa molteplici sistemi minori, riducendo l’isolamento dei territori a cui la pronunciata morfologia e le condizioni climatiche avverse costringevano. La produzione di fieno invernale non era necessaria, grazie allo spostamento complessivo degli armenti verso le pianure. Ma la conseguenza principale della transumanza, sul piano sociale, è stata quella di offrire proiezioni sul mondo esterno ad una parte consistente delle comunità locali. Tali proiezioni ponevano spesso in contrasto tra loro pastori e contadini, nomadi e stanziali. Il rapporto tra i due stili di vita è ad ogni modo più prossimo ad un rapporto di complicità che ad uno di conflitto. La stessa regolamentazione della transumanza era riuscita a rispettare le proprietà locali, così come le diverse attività economiche.
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Fig.10 - Abbandono delle reti minori del sistema agro-silvo-pastorale
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tus, forniscono ingenti quantitativi di foraggio di buona qualità. Sono invece deperiti i pascoli in quota, privati da molti anni di una adeguata quantità di bestiame. Dalla fase di degradazione botanica, che vede il diradarsi delle specie vegetali più pregiate, si passa lentamente alla scomparsa totale della cotica erbosa sul suolo roccioso. L’allevamento in sito, quasi esclusivamente bovino, è ancora oggi piuttosto diffuso sul territorio delle piane. A Pescocostanzo gli addetti risultano essere 170, dei quali 35 hanno meno di 35 anni, nel 44% dei casi il conduttore è coadiuvato da altri familiari. Il numero dei bovini si attesta sotto il migliaio di unità, oscillando nel tempo proporzionalmente all’andamento della popolazione12. Pratiche socio-economiche e ricorrenze paesaggistiche «L’attività di ogni massiccio d’Abruzzo è stata fin dall’inizio alimentata anzitutto da una serie di eteronomie locali, dallo scarto tra le differenti caratteristiche dei suoi pendii, dalla diversità delle forme e delle condizioni che marcano le sue scarpate, dall’asimmetria delle norme che regolano la distribuzione dei vari fenomeni sui suoi fianchi»13. Nel caso di studio le diverse pratiche produttive si basarono sulle specificità di tipo fisico-ambientali e morfologiche, sull’aspra conformazione dei versanti che non hanno impedito (con alcune eccezioni) l’accesso e il governo dello spazio aperto e delle sue risorse, anche grazie alla fitta rete di mulattiere. Reti minori a servizio delle comunità che cancellarono la diversità e l’asperità dei contesti attraverso il dominio controllato delle risorse naturali (Fig. 10). Il paesaggio degli altipiani si inserisce nel sistema appenninico centrale con forme identitarie ricorrenti, esito di un processo sociale ed economico essenzialmente unitario. La stessa transumanza era, ad una scala più vasta, una pratica comune, che di fatto univa molteplici sistemi minori, riducendo l’isolamento dei territori a cui la pronunciata morfologia e le condizioni climatiche avverse costringevano. La produzione di fieno invernale non era necessaria, grazie allo spostamento complessivo degli armenti verso le pianure. Ma la conseguenza principale della transumanza, sul piano sociale, è stata quella di offrire proiezioni sul mondo esterno ad una parte consistente delle comunità locali. Tali proiezioni ponevano spesso in contrasto tra loro pastori e contadini, nomadi e stanziali. Il rapporto tra i due stili di vita è ad ogni modo più prossimo ad un rapporto di complicità che ad uno di conflitto. La stessa regolamentazione della transumanza era riuscita a rispettare le proprietà locali, così come le diverse attività economiche.
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Fig.10 - Abbandono delle reti minori del sistema agro-silvo-pastorale
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L’effetto di custodia del territorio e la convivenza tra pratiche produttive toccò il culmine nell’Ottocento, quando in seguito al riscatto agricolo del Tavoliere sorse la grande proprietà. Questa controllò su base privata l’intero ciclo della produzione armentaria, dai pascoli d’altitudine ai pascoli pugliesi, mentre in montagna tecniche medioevali venivano impiegate per lo sfruttamento agricolo delle terre più fertili. Il rapporto tra agricoltura e pastorizia nel caso abruzzese era basato sulla compatibilità e non sulla reciproca esclusione dei due sistemi. Il grande sviluppo dei pascoli permanenti, al di sopra del limite delle colture, ha evitato rivalità tra grandi e piccoli allevatori. Al di sopra dei centri abitati esisteva un immenso demanio, un enorme pascolo estivo libero da ogni legame feudale e comunemente preservato dai pastori e coltivatori. Le eteronomie convivono e pur restando distinte le differenze culturali, alla logica del conflitto si sostituiscono quelle dell’integrazione e del reciproco riconoscimento. La conca Peligna sarebbe stata almeno a partire dall’XI secolo, il luogo d’incubazione del sistema di conduzione a mezzadria, di qui poi diffusosi come modello di produzione in tutta la regione e non soltanto in ambito agricolo, ma anche nel mondo pastorale14. Già nel medioevo essa anticipava i moduli che segnatamente tra Settecento e Ottocento avrebbero caratterizzato il paesaggio argilloso dell’Abruzzo marittimo, basati sull’insediamento sparso e sulla coltura intensiva promiscua individualistica, perciò diametralmente opposti a quelli di versante. Permanenze del paesaggio seminaturale di matrice agricola, funzionali nel passato al sostentamento delle comunità, sono presenti nella fascia periurbana di Cansano, Campo di Giove e Pacentro. La conformazione, la giacitura e la disposizione dei campi sono simili in tutta la fascia della Maiella meridionale. Il paesaggio di prossimità, perso il suo ruolo nel ciclo produttivo della comunità, versa oggi in stato di abbandono. Il progetto di riciclo dovrà cercare in questo contesto il suo principale campo di applicazione per azioni innovative, capaci di fornire nuovo benessere alla comunità e nuove forme di reddito.
Bosco di Sant’Antonio: area protetta e usi civici Nelle aree di montagna le pratiche pastorali sugli altipiani e l’uso delle estese coperture boschive erano disciplinate da regole di comportamento che facevano prevalere l’interesse della comunità sul diritto privato. Storicamente le comunità sono state in grado di generare regole formali e informali per il corretto impiego delle risorse disponibili. Di fatto nei territori montani dell’Appennino e dell’arco Alpino, gli usi civici rappresentavano la forma prevalente di gestione dello spazio aperto di prossimità ai centri abitati. Anche nel caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo gli usi civici consentivano lo sfruttamento delle ricche risorse naturali presenti sui suoli del demanio civico. La vegetazione dei pianori in quota, ricca di specie floristiche rare e a carattere relittuale, era una di queste risorse, messe a frutto grazie ad un insieme di norme finalizzato alla sua gestione collettiva. Prati, pascoli, campi e boschi erano, a seconda del tipo di allevamento, a disposizione del pascolo, in prevalenza quello bovino. Nel territorio di Pescocostanzo ben 3.200 ettari, su un totale di 5.500 ettari di estensione comunale, sono soggetti agli usi civici, con regole documentate a partire dal XVI secolo. Il Bosco di Sant’Antonio (710 ha) è uno dei più importanti pascoli alberati, definito di “difesa” perché riservato al pascolo di equini e bovini. Si caratterizza per la presenza di individui monumentali di faggio, aceri, peri, spesso con chioma conformata dalla pratica della capitozzatura, tipo di potatura a circa due metri di altezza dal suolo, funzionale alla produzione di frasca, alla raccolta di legna e al contenimento della chioma. La sospensione della capitozzatura sta provocando una lenta alterazione della struttura arborea: crescita delle piante con chiome estese, chiusura delle radure, riduzione e in alcune zone scomparsa del cotico erbaceo. La superficie del bosco ricade all’interno di un’area protetta, ma la disciplina di tutela non è sufficiente a preservarne l’alto valore naturalistico e la conformazione storica dell’impianto vegetativo, troppo vulnerabile data l’incontrollata frequentazione a scopo ludico ricreativo, a cui si aggiunge il diniego per le pratiche del pascolo. Per il suo valore storico e i suoi caratteri di paesaggio culturale, il bosco è stato inserito nel registro Nazionale dei Paesaggi Rurali di Interesse Storico, quest’ultimo promosso dal Ministero delle politiche agricole. La recente sentenza del commissario per gli usi civici della Regione Abruzzo ne ha riconosciuto giuridicamente l’uso collettivo, anteponendo di fatto le ragioni di ordine socio-culturale a quelle di ordine conservazionistico, con le sue restrizioni improprie.
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L’effetto di custodia del territorio e la convivenza tra pratiche produttive toccò il culmine nell’Ottocento, quando in seguito al riscatto agricolo del Tavoliere sorse la grande proprietà. Questa controllò su base privata l’intero ciclo della produzione armentaria, dai pascoli d’altitudine ai pascoli pugliesi, mentre in montagna tecniche medioevali venivano impiegate per lo sfruttamento agricolo delle terre più fertili. Il rapporto tra agricoltura e pastorizia nel caso abruzzese era basato sulla compatibilità e non sulla reciproca esclusione dei due sistemi. Il grande sviluppo dei pascoli permanenti, al di sopra del limite delle colture, ha evitato rivalità tra grandi e piccoli allevatori. Al di sopra dei centri abitati esisteva un immenso demanio, un enorme pascolo estivo libero da ogni legame feudale e comunemente preservato dai pastori e coltivatori. Le eteronomie convivono e pur restando distinte le differenze culturali, alla logica del conflitto si sostituiscono quelle dell’integrazione e del reciproco riconoscimento. La conca Peligna sarebbe stata almeno a partire dall’XI secolo, il luogo d’incubazione del sistema di conduzione a mezzadria, di qui poi diffusosi come modello di produzione in tutta la regione e non soltanto in ambito agricolo, ma anche nel mondo pastorale14. Già nel medioevo essa anticipava i moduli che segnatamente tra Settecento e Ottocento avrebbero caratterizzato il paesaggio argilloso dell’Abruzzo marittimo, basati sull’insediamento sparso e sulla coltura intensiva promiscua individualistica, perciò diametralmente opposti a quelli di versante. Permanenze del paesaggio seminaturale di matrice agricola, funzionali nel passato al sostentamento delle comunità, sono presenti nella fascia periurbana di Cansano, Campo di Giove e Pacentro. La conformazione, la giacitura e la disposizione dei campi sono simili in tutta la fascia della Maiella meridionale. Il paesaggio di prossimità, perso il suo ruolo nel ciclo produttivo della comunità, versa oggi in stato di abbandono. Il progetto di riciclo dovrà cercare in questo contesto il suo principale campo di applicazione per azioni innovative, capaci di fornire nuovo benessere alla comunità e nuove forme di reddito.
Bosco di Sant’Antonio: area protetta e usi civici Nelle aree di montagna le pratiche pastorali sugli altipiani e l’uso delle estese coperture boschive erano disciplinate da regole di comportamento che facevano prevalere l’interesse della comunità sul diritto privato. Storicamente le comunità sono state in grado di generare regole formali e informali per il corretto impiego delle risorse disponibili. Di fatto nei territori montani dell’Appennino e dell’arco Alpino, gli usi civici rappresentavano la forma prevalente di gestione dello spazio aperto di prossimità ai centri abitati. Anche nel caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo gli usi civici consentivano lo sfruttamento delle ricche risorse naturali presenti sui suoli del demanio civico. La vegetazione dei pianori in quota, ricca di specie floristiche rare e a carattere relittuale, era una di queste risorse, messe a frutto grazie ad un insieme di norme finalizzato alla sua gestione collettiva. Prati, pascoli, campi e boschi erano, a seconda del tipo di allevamento, a disposizione del pascolo, in prevalenza quello bovino. Nel territorio di Pescocostanzo ben 3.200 ettari, su un totale di 5.500 ettari di estensione comunale, sono soggetti agli usi civici, con regole documentate a partire dal XVI secolo. Il Bosco di Sant’Antonio (710 ha) è uno dei più importanti pascoli alberati, definito di “difesa” perché riservato al pascolo di equini e bovini. Si caratterizza per la presenza di individui monumentali di faggio, aceri, peri, spesso con chioma conformata dalla pratica della capitozzatura, tipo di potatura a circa due metri di altezza dal suolo, funzionale alla produzione di frasca, alla raccolta di legna e al contenimento della chioma. La sospensione della capitozzatura sta provocando una lenta alterazione della struttura arborea: crescita delle piante con chiome estese, chiusura delle radure, riduzione e in alcune zone scomparsa del cotico erbaceo. La superficie del bosco ricade all’interno di un’area protetta, ma la disciplina di tutela non è sufficiente a preservarne l’alto valore naturalistico e la conformazione storica dell’impianto vegetativo, troppo vulnerabile data l’incontrollata frequentazione a scopo ludico ricreativo, a cui si aggiunge il diniego per le pratiche del pascolo. Per il suo valore storico e i suoi caratteri di paesaggio culturale, il bosco è stato inserito nel registro Nazionale dei Paesaggi Rurali di Interesse Storico, quest’ultimo promosso dal Ministero delle politiche agricole. La recente sentenza del commissario per gli usi civici della Regione Abruzzo ne ha riconosciuto giuridicamente l’uso collettivo, anteponendo di fatto le ragioni di ordine socio-culturale a quelle di ordine conservazionistico, con le sue restrizioni improprie.
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Indirizzi per ilriciclo territoriale Il caso studio evidenzia come, nell’ambito della montagna regionale, i fattori della marginalità, come crisi demografica, scarsa offerta di servizi al cittadino, fragilità del sistema socio-economico, dissesto idrogeologico, scarsa accessibilità, presenti con una distribuzione non omogenea, ostacolano il raggiungimento di un nuovo equilibrio socio-economico. La storia recente dimostra come non sia possibile costruire una prospettiva di futuro per le terre alte puntando esclusivamente sul binomio turismo-montagna. I centri ed i territori montani non possono essere soltanto spazio del loisiro arena per gli sport invernali, e nemmeno solo centri del turismo enogastronomico a servizio del cittadino metropolitano. Nella visione proposta dall’unità di ricerca di Pescara il riciclo delle risorse esistenti nei centri delle aree interne appenniniche si coniuga con le nuove ipotesi di sviluppo. A fronte delle ridotte risorse pubbliche si ritiene più realistico concentrare l’attenzione su alcuni pochi interventi strategici, che facciano parte di un più complessivo progetto di riciclo, capace di sostenere le pratiche spontanee endogene o esogene e di garantire nuove opportunità di reddito e nuove possibilità di fruizione di servizi collettivi. L’ipotesi si fonda su progetti intersettoriali di livello urbano e territoriale aventi valenza strategica, che attraverso il riciclo delle opere pubbliche e dei beni comuni abbandonati o sottoutilizzati assumono il ruolo di agenti di innesco di un nuovo ciclo di vita. Le politiche territoriali in passato prevedevano opere pubbliche concepite occasionalmente e al di fuori di una visione d’insieme di area vasta, portando spesso alla duplicazione delle attrezzature. Per il caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo l’approccio adottato è stato quello di formulare una visione d’insieme dell’area capace di dare risposte, attraverso una selezione mirata di azioni efficaci, alle condizioni di marginalità registrate nell’analisi di contesto. Ciascuna delle azioni che compongono il quadro complessivo del progetto territoriale è stata pensata entro un sistema di coerenza locale (marginalità; opportunità; livelli di trasformazione), con effetti attesi non soltanto per il territorio comunale cuiè destinato ma anche per l’intero comprensorio degli altipiani. Per sostenere tali azioni occorre attivare, soprattutto nei territori più critici, forme di governance multilivello a geometria variabile, pensate in relazione ai temi più rilevanti. Accanto ad essa la progettualità, la cui assenza è stata in passato uno degli elementi di debolezza, deve divenire, insieme al reperimen-
Paesaggio di prossimità Il paesaggio di prossimità ai centri urbani, inteso come quell’ambito di territorio adiacente ad un insediamento, in cui avvengono numerose interazioni con il costruito, è uno spazio strategico per gli obiettivi del riciclo territoriale. É uno spazio di transizione tra le formazioni urbane e lo spazio aperto agro-silvopastorale, un ambito di territorio talvolta soggetto a pressioni centrifughe di crescita e trasformazione. Per operare su questo spazio sono necessarie alcune cautele, in primo luogo occorre superare le rigidità delle competenze settoriali, e ragionare a scale diverse facendo convergere gli obiettivi, sapendo che i margini concettuali tra paesaggio edificato e paesaggioagro-silvo-pastorale non sempre trovano riscontro nei confini impiegati dagli enti pubblici di governo territoriale.
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to di risorse di finanziamento, l’elemento cardine di una politica che voglia dirsi capace di ricreare le condizioni per una crescita equilibrata. La governance multilivello per progetti applicati alle aree critiche richiede appropriate soluzioni giuridico-amministrative; le Intese Quadro e l’Accordo di Programma (di cui all’art. 34 della legge 241 del 1990) sono tra le formule più convincenti, perché già collaudate nei programmi complessi di territorio (patti territoriali, formule operative della programmazione regionale) e perché immediatamente operative. I progetti di territorio, multisettoriali e multilivello, dovranno essere programmati in funzione delle scadenze dei fondi comunitari, rispettandone scadenze e modalità di realizzazione. Molte opportunità di riciclo possono essere attivate con le risorse pubbliche della programmazione operativa regionale 2014-2020, ma occorre una conoscenza ampia delle capacità finanziarie, per tutti gli operatori attivi e potenziali, interni ed esterni. Un primo atto concreto dell’ente di governo deve essere il censimento del patrimonio dismesso o sottoutilizzato, poiché la conoscenza e la diagnosi delle risorse inutilizzate ne possono poi garantire una gestione efficace. Per la raccolta delle informazioni sullo stato di fatto e di diritto delle risorse l’impiego di tecnologie ICT e alle metodologie GIS, potrà facilitare la governance dell’intero processo. Le ICT daranno la possibilità di conoscere in modo preventivo la condizione delle risorse territoriali e di gestire il rischio ambientale e antropico. In base alla lettura del contesto del caso studio, i temi da attivare con azioni specifiche, in funzione della natura delle risorse, degli istituti, dei dispositivi esistenti e delle potenziali risorse finanziare, sono: paesaggio di prossimità al centro urbano; spazio aperto territoriale; reti materiali e immateriali.
Indirizzi per ilriciclo territoriale Il caso studio evidenzia come, nell’ambito della montagna regionale, i fattori della marginalità, come crisi demografica, scarsa offerta di servizi al cittadino, fragilità del sistema socio-economico, dissesto idrogeologico, scarsa accessibilità, presenti con una distribuzione non omogenea, ostacolano il raggiungimento di un nuovo equilibrio socio-economico. La storia recente dimostra come non sia possibile costruire una prospettiva di futuro per le terre alte puntando esclusivamente sul binomio turismo-montagna. I centri ed i territori montani non possono essere soltanto spazio del loisiro arena per gli sport invernali, e nemmeno solo centri del turismo enogastronomico a servizio del cittadino metropolitano. Nella visione proposta dall’unità di ricerca di Pescara il riciclo delle risorse esistenti nei centri delle aree interne appenniniche si coniuga con le nuove ipotesi di sviluppo. A fronte delle ridotte risorse pubbliche si ritiene più realistico concentrare l’attenzione su alcuni pochi interventi strategici, che facciano parte di un più complessivo progetto di riciclo, capace di sostenere le pratiche spontanee endogene o esogene e di garantire nuove opportunità di reddito e nuove possibilità di fruizione di servizi collettivi. L’ipotesi si fonda su progetti intersettoriali di livello urbano e territoriale aventi valenza strategica, che attraverso il riciclo delle opere pubbliche e dei beni comuni abbandonati o sottoutilizzati assumono il ruolo di agenti di innesco di un nuovo ciclo di vita. Le politiche territoriali in passato prevedevano opere pubbliche concepite occasionalmente e al di fuori di una visione d’insieme di area vasta, portando spesso alla duplicazione delle attrezzature. Per il caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo l’approccio adottato è stato quello di formulare una visione d’insieme dell’area capace di dare risposte, attraverso una selezione mirata di azioni efficaci, alle condizioni di marginalità registrate nell’analisi di contesto. Ciascuna delle azioni che compongono il quadro complessivo del progetto territoriale è stata pensata entro un sistema di coerenza locale (marginalità; opportunità; livelli di trasformazione), con effetti attesi non soltanto per il territorio comunale cuiè destinato ma anche per l’intero comprensorio degli altipiani. Per sostenere tali azioni occorre attivare, soprattutto nei territori più critici, forme di governance multilivello a geometria variabile, pensate in relazione ai temi più rilevanti. Accanto ad essa la progettualità, la cui assenza è stata in passato uno degli elementi di debolezza, deve divenire, insieme al reperimen-
Paesaggio di prossimità Il paesaggio di prossimità ai centri urbani, inteso come quell’ambito di territorio adiacente ad un insediamento, in cui avvengono numerose interazioni con il costruito, è uno spazio strategico per gli obiettivi del riciclo territoriale. É uno spazio di transizione tra le formazioni urbane e lo spazio aperto agro-silvopastorale, un ambito di territorio talvolta soggetto a pressioni centrifughe di crescita e trasformazione. Per operare su questo spazio sono necessarie alcune cautele, in primo luogo occorre superare le rigidità delle competenze settoriali, e ragionare a scale diverse facendo convergere gli obiettivi, sapendo che i margini concettuali tra paesaggio edificato e paesaggioagro-silvo-pastorale non sempre trovano riscontro nei confini impiegati dagli enti pubblici di governo territoriale.
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to di risorse di finanziamento, l’elemento cardine di una politica che voglia dirsi capace di ricreare le condizioni per una crescita equilibrata. La governance multilivello per progetti applicati alle aree critiche richiede appropriate soluzioni giuridico-amministrative; le Intese Quadro e l’Accordo di Programma (di cui all’art. 34 della legge 241 del 1990) sono tra le formule più convincenti, perché già collaudate nei programmi complessi di territorio (patti territoriali, formule operative della programmazione regionale) e perché immediatamente operative. I progetti di territorio, multisettoriali e multilivello, dovranno essere programmati in funzione delle scadenze dei fondi comunitari, rispettandone scadenze e modalità di realizzazione. Molte opportunità di riciclo possono essere attivate con le risorse pubbliche della programmazione operativa regionale 2014-2020, ma occorre una conoscenza ampia delle capacità finanziarie, per tutti gli operatori attivi e potenziali, interni ed esterni. Un primo atto concreto dell’ente di governo deve essere il censimento del patrimonio dismesso o sottoutilizzato, poiché la conoscenza e la diagnosi delle risorse inutilizzate ne possono poi garantire una gestione efficace. Per la raccolta delle informazioni sullo stato di fatto e di diritto delle risorse l’impiego di tecnologie ICT e alle metodologie GIS, potrà facilitare la governance dell’intero processo. Le ICT daranno la possibilità di conoscere in modo preventivo la condizione delle risorse territoriali e di gestire il rischio ambientale e antropico. In base alla lettura del contesto del caso studio, i temi da attivare con azioni specifiche, in funzione della natura delle risorse, degli istituti, dei dispositivi esistenti e delle potenziali risorse finanziare, sono: paesaggio di prossimità al centro urbano; spazio aperto territoriale; reti materiali e immateriali.
Questo paradigma interpretativo, nel caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo, è stato impiegato anche per le aree esterne alle aree del Parco Nazionale della Maiella, un parco che ricomprende in parte i territori comunali oggetto di studio. I valori ambientali attribuiti alle zone interne del Parco sono considerati come il cuore del sistema ecologico regionale; in tale sistema giocano un ruolo significativo anche i paesaggi di prossimità del Parco stesso, che svolgono funzioni diverse, da calibrare in rapporto alla incidenza della componente naturale. Al margine dell’area protetta possono essere attribuiti ruoli di connessione ecologica tra territori vincolati e spazi esterni a regime ordinario. Gestire queste aree di margine significa controllare e recuperare i fenomeni compatibili d’interazione tra sfera naturale e componente antropica. Richiede un approccio multiscalare, riferito tanto alla macroscala del mosaico paesistico, quanto al sistema degli spazi aperti dell’urbano o di frangia. Nei paesaggi di prossimità ai centri urbani, spazio di contatto tra sistemi differenti e luogo di transito di flussi, è possibile insediare le attività che inducono nuove economie, potenziando ruoli e vocazioni territoriali, superando la marginalità o l’eccessiva specializzazione che alcune politiche comportano. In questi spazi si possono talvolta localizzare funzioni e servizi di rango territoriale (standard territoriali) che legano la dimensione urbana a quella dell’area vasta. Il margine nel rapporto tra urbano e paesaggio aperto assume un ruolo centrale ristabilendo equilibri ambientali, funzionali e paesaggistici, proprio a partire dalla riconfigurazione dei diversi materiali esistenti: patrimonio infrastrutturale ed edilizio abbandonato; suoli agricoli non produttivi in attesa; singole appropriazioni non autoriali; frammenti della rete ecologica; brani di naturalità interclusa nel costruito. É necessario favorire lo sviluppo congiunto e integrato tra urbano e spazio aperto multifunzionale, migliorando e potenziando i collegamenti destinati alla mobilità lenta e integrando il sistema di trasporto pubblico per favorire la connessione tra ambiti urbani minori e centralità del paesaggio multifunzionale. La molteplicità delle funzioni del paesaggio di prossimità, se coniugata a modalità coerenti con la natura dei versanti, può anche favorire la sicurezza ambientale del sistema urbano e l’efficienza della rete ecologica. Il progetto di risignificazione deve avere la capacità non solo di conservare i valori che il paesaggio esprime, ma anche di orientare le dinamiche e le modalità di trasformazione verso la produzione di nuovi contenuti di qualità. Le azioni da promuovere in queste aree possono essere: la conversione delle
aree abbandonate in campi per l’agricoltura multifunzionale dati in gestione ad associazioni di proprietari; la trasformazione dei terreni sottoutilizzati di frangia in spazi attrezzati per attività commerciali della filiera corta. In ambito urbano sono auspicabili processi di rigenerazione incentivata e regolamentata per gli immobili abbandonati e inabitabili, con l’adozione di nuovi materiali e tecnologie sostenibili. Le aree libere, per lo più interstiziali all’edificato, le aree verdi, gli spazi aperti pubblici possono assumere il ruolo di infrastrutture paesaggistiche, in grado di scambiare valori economici e culturali se ripensati all’interno di un disegno urbano complessivo attento alle specificità dei caratteri di ogni porzione urbana. Agli spazi residuali può essere attribuito il ruolo di rigenerazione delle porzioni del tessuto prive di qualità e di riconoscibilità; interventi minuti ed ecologicamente validi fortemente condizionati dalla piccola scala che però connessi tra loro concorrono a raggiungere i requisiti di resilienza, particolarità e riconoscibilità dello spazio urbano. Uno strumento che può contribuire alla fattibilità di operazioni per l’incremento dei valori ecosistemici, come la riforestazione dei suoli periurbani, è l’istituto del credito edilizio15, che contemporaneamente può consentire il miglioramento e la densificazione del tessuto urbano esistente . Nella Regione Abruzzo tale istituto non è ancora previsto in normativa, ma attraverso il sistema perequativo ordinario, coniugato con incentivi finanziari, come la riduzione degli oneri concessori e la riduzione delle imposte comunali, sarà possibile sottrarre all’edificazione le aree in attesa o in abbandono nel periurbano, rigenerandole con destinazioni di interesse collettivo.
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Spazio aperto territoriale Nel contesto a bassa densità antropica degli altipiani maggiori d’Abruzzo, in cui la naturalità rappresenta il carattere principale, le azioni di riciclo dello spazio aperto sono rivolte principalmente a contrastare l’abbandono dei suoli16 e a migliorare il valore ecosistemico delle vie minori dell’acqua a contatto con gli agglomerati urbani. Nel primo caso le possibilità sono legate al ripristino delle attività produttive nel bosco, incentivando forme di gestione da parte di cooperative e associazioni locali, ma anche promuovendo nuove attività produttive, quali in primo luogo lo stoccaggio di carbonio per la vendita dei crediti di CO2 nel nascente mercato volontario dei crediti di carbonio . Una esperienza pilota in tal senso proviene proprio dall’Abruzzo, in particolare dalla municipalità di Raiano, che ha da poco adottato un manuale per la certificazione dei crediti. Il settore forestale nel contesto di studio potrà dunque
Questo paradigma interpretativo, nel caso degli altipiani maggiori d’Abruzzo, è stato impiegato anche per le aree esterne alle aree del Parco Nazionale della Maiella, un parco che ricomprende in parte i territori comunali oggetto di studio. I valori ambientali attribuiti alle zone interne del Parco sono considerati come il cuore del sistema ecologico regionale; in tale sistema giocano un ruolo significativo anche i paesaggi di prossimità del Parco stesso, che svolgono funzioni diverse, da calibrare in rapporto alla incidenza della componente naturale. Al margine dell’area protetta possono essere attribuiti ruoli di connessione ecologica tra territori vincolati e spazi esterni a regime ordinario. Gestire queste aree di margine significa controllare e recuperare i fenomeni compatibili d’interazione tra sfera naturale e componente antropica. Richiede un approccio multiscalare, riferito tanto alla macroscala del mosaico paesistico, quanto al sistema degli spazi aperti dell’urbano o di frangia. Nei paesaggi di prossimità ai centri urbani, spazio di contatto tra sistemi differenti e luogo di transito di flussi, è possibile insediare le attività che inducono nuove economie, potenziando ruoli e vocazioni territoriali, superando la marginalità o l’eccessiva specializzazione che alcune politiche comportano. In questi spazi si possono talvolta localizzare funzioni e servizi di rango territoriale (standard territoriali) che legano la dimensione urbana a quella dell’area vasta. Il margine nel rapporto tra urbano e paesaggio aperto assume un ruolo centrale ristabilendo equilibri ambientali, funzionali e paesaggistici, proprio a partire dalla riconfigurazione dei diversi materiali esistenti: patrimonio infrastrutturale ed edilizio abbandonato; suoli agricoli non produttivi in attesa; singole appropriazioni non autoriali; frammenti della rete ecologica; brani di naturalità interclusa nel costruito. É necessario favorire lo sviluppo congiunto e integrato tra urbano e spazio aperto multifunzionale, migliorando e potenziando i collegamenti destinati alla mobilità lenta e integrando il sistema di trasporto pubblico per favorire la connessione tra ambiti urbani minori e centralità del paesaggio multifunzionale. La molteplicità delle funzioni del paesaggio di prossimità, se coniugata a modalità coerenti con la natura dei versanti, può anche favorire la sicurezza ambientale del sistema urbano e l’efficienza della rete ecologica. Il progetto di risignificazione deve avere la capacità non solo di conservare i valori che il paesaggio esprime, ma anche di orientare le dinamiche e le modalità di trasformazione verso la produzione di nuovi contenuti di qualità. Le azioni da promuovere in queste aree possono essere: la conversione delle
aree abbandonate in campi per l’agricoltura multifunzionale dati in gestione ad associazioni di proprietari; la trasformazione dei terreni sottoutilizzati di frangia in spazi attrezzati per attività commerciali della filiera corta. In ambito urbano sono auspicabili processi di rigenerazione incentivata e regolamentata per gli immobili abbandonati e inabitabili, con l’adozione di nuovi materiali e tecnologie sostenibili. Le aree libere, per lo più interstiziali all’edificato, le aree verdi, gli spazi aperti pubblici possono assumere il ruolo di infrastrutture paesaggistiche, in grado di scambiare valori economici e culturali se ripensati all’interno di un disegno urbano complessivo attento alle specificità dei caratteri di ogni porzione urbana. Agli spazi residuali può essere attribuito il ruolo di rigenerazione delle porzioni del tessuto prive di qualità e di riconoscibilità; interventi minuti ed ecologicamente validi fortemente condizionati dalla piccola scala che però connessi tra loro concorrono a raggiungere i requisiti di resilienza, particolarità e riconoscibilità dello spazio urbano. Uno strumento che può contribuire alla fattibilità di operazioni per l’incremento dei valori ecosistemici, come la riforestazione dei suoli periurbani, è l’istituto del credito edilizio15, che contemporaneamente può consentire il miglioramento e la densificazione del tessuto urbano esistente . Nella Regione Abruzzo tale istituto non è ancora previsto in normativa, ma attraverso il sistema perequativo ordinario, coniugato con incentivi finanziari, come la riduzione degli oneri concessori e la riduzione delle imposte comunali, sarà possibile sottrarre all’edificazione le aree in attesa o in abbandono nel periurbano, rigenerandole con destinazioni di interesse collettivo.
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Spazio aperto territoriale Nel contesto a bassa densità antropica degli altipiani maggiori d’Abruzzo, in cui la naturalità rappresenta il carattere principale, le azioni di riciclo dello spazio aperto sono rivolte principalmente a contrastare l’abbandono dei suoli16 e a migliorare il valore ecosistemico delle vie minori dell’acqua a contatto con gli agglomerati urbani. Nel primo caso le possibilità sono legate al ripristino delle attività produttive nel bosco, incentivando forme di gestione da parte di cooperative e associazioni locali, ma anche promuovendo nuove attività produttive, quali in primo luogo lo stoccaggio di carbonio per la vendita dei crediti di CO2 nel nascente mercato volontario dei crediti di carbonio . Una esperienza pilota in tal senso proviene proprio dall’Abruzzo, in particolare dalla municipalità di Raiano, che ha da poco adottato un manuale per la certificazione dei crediti. Il settore forestale nel contesto di studio potrà dunque
tornare a rivestire un ruolo centrale: da un lato dovrà incrementare le proprie capacità di stoccaggio di CO2; dall’altro dovrà essere sede di produzione di energie rinnovabili derivanti da biomasse forestali, in modo da rispettare anche gli impegni nell’ambito del Pacchetto Clima-Energia dell’UE. Nel secondo caso la collocazione geografica degli altipiani offre l’opportunità di lavorare sulla connessione con gli ambiti territoriali dotati di maggior grado di naturalità, favorendo lo scambio di flussi di patrimonio genetico, ai fini della conservazione della diversità biologica (Fig.11). Ciò implica un’azione di rafforzamento della rete ecologica, in particolare lungo le direttrici idrografiche minori, riprogettando le relazioni in chiave ecologica nei punti di intersezione con le componenti infrastrutturali antropiche e nei punti di contatto con il tessuto urbano denso.
Fig.11 - Interventi sullo spazio aperto territoriale, tesi dott. Giulio De Mattia
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Nell’ambito delle dotazioni territoriali con uno spiccato valore ecosistemico le aree di nuova forestazione possono rappresentare un campo di applicazione molto rilevante per il riciclo territoriale, vista la vocazione multifunzionale delle aree boschive. Occorre però avviare una revisione degli approcci gestionali a tali aree ma anche dei dispositivi urbanistici e degli istituti giuridici e amministrativi che devono presiedere i processi di riuso. Un esempio in tal senso proviene dall’attivazione di associazioni fondiarie, che consentirebbe di superare il problema della frammentazione proprietaria conseguente alla perdita di interesse dei proprietari alla gestione produttiva dei suoli. Le forme del riciclo, oltre quella già richiamata relativa allo stoccaggio di carbonio, possono essere diverse: la creazione di aziende pastorali attrezzate stagionalmente; aziende foraggere pastorali stanziali; aziende agro-pastorali stanziali integrate con alcune coltivazioni di specie diverse (alimentari, aromatiche, associate all’allevamento). Le terre alte dell’Appennino e delle Alpi sono caratterizzate da superfici ad uso civico che rimandano a forme collettive di gestione finalizzate in passato al sostentamento delle comunità. Modalità ancora praticabili si fondano sulla formazione di consorzi, in grado di controllare e gestire l’intero ciclo produttivo primario. L’attribuzione di queste rinnovate responsabilità verso il patrimonio dei suoli collettivi alla comunità, che deve fornire una gamma di servizi, compresi quelli ecosistemici, crea nuove occasioni d’interazione tra tutti gli operatori, comprese le istituzioni preposte alla tutela del patrimonio naturale. Per le aree di proprietà collettiva (usi civici) o per quelle in cui si costituiscono le associazioni fondiarie, dove alla funzione primaria della produzione si aggiungono anche altre funzioni, come quelle ricreative, vi sarebbe anche l’opportunità, per incrementare la redditività e consentire di sostenere gli interventi di tutela delle risorse, di introdurre la tariffazione di parcheggi e/o degli ingressi alle aree forestali. Questo tipo di iniziativa ben si applica nelle aree di margine al Parco nazionale, ma anche nel territorio esterno, a patto che si effettuino interventi di miglioramento ecologico e di ripristino della fitta rete di sentieri. La disponibilità di risorse economiche derivanti da questa politica di tariffazione, consentirebbe di effettuare investimenti mirati, agendo sull’innalzamento della qualità dell’offerta. Nel caso di studio è possibile ripristinare la gestione della proprietà collettività (demanio civico) e non, nelle forme previste dalle normative, grazie ai fondi disponibili del PSR17, che la incentivano con specifiche misure: - M05, Sottomisura 4.3 - Sostegno a investimenti nell'infrastruttura necessaria
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tornare a rivestire un ruolo centrale: da un lato dovrà incrementare le proprie capacità di stoccaggio di CO2; dall’altro dovrà essere sede di produzione di energie rinnovabili derivanti da biomasse forestali, in modo da rispettare anche gli impegni nell’ambito del Pacchetto Clima-Energia dell’UE. Nel secondo caso la collocazione geografica degli altipiani offre l’opportunità di lavorare sulla connessione con gli ambiti territoriali dotati di maggior grado di naturalità, favorendo lo scambio di flussi di patrimonio genetico, ai fini della conservazione della diversità biologica (Fig.11). Ciò implica un’azione di rafforzamento della rete ecologica, in particolare lungo le direttrici idrografiche minori, riprogettando le relazioni in chiave ecologica nei punti di intersezione con le componenti infrastrutturali antropiche e nei punti di contatto con il tessuto urbano denso.
Fig.11 - Interventi sullo spazio aperto territoriale, tesi dott. Giulio De Mattia
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Nell’ambito delle dotazioni territoriali con uno spiccato valore ecosistemico le aree di nuova forestazione possono rappresentare un campo di applicazione molto rilevante per il riciclo territoriale, vista la vocazione multifunzionale delle aree boschive. Occorre però avviare una revisione degli approcci gestionali a tali aree ma anche dei dispositivi urbanistici e degli istituti giuridici e amministrativi che devono presiedere i processi di riuso. Un esempio in tal senso proviene dall’attivazione di associazioni fondiarie, che consentirebbe di superare il problema della frammentazione proprietaria conseguente alla perdita di interesse dei proprietari alla gestione produttiva dei suoli. Le forme del riciclo, oltre quella già richiamata relativa allo stoccaggio di carbonio, possono essere diverse: la creazione di aziende pastorali attrezzate stagionalmente; aziende foraggere pastorali stanziali; aziende agro-pastorali stanziali integrate con alcune coltivazioni di specie diverse (alimentari, aromatiche, associate all’allevamento). Le terre alte dell’Appennino e delle Alpi sono caratterizzate da superfici ad uso civico che rimandano a forme collettive di gestione finalizzate in passato al sostentamento delle comunità. Modalità ancora praticabili si fondano sulla formazione di consorzi, in grado di controllare e gestire l’intero ciclo produttivo primario. L’attribuzione di queste rinnovate responsabilità verso il patrimonio dei suoli collettivi alla comunità, che deve fornire una gamma di servizi, compresi quelli ecosistemici, crea nuove occasioni d’interazione tra tutti gli operatori, comprese le istituzioni preposte alla tutela del patrimonio naturale. Per le aree di proprietà collettiva (usi civici) o per quelle in cui si costituiscono le associazioni fondiarie, dove alla funzione primaria della produzione si aggiungono anche altre funzioni, come quelle ricreative, vi sarebbe anche l’opportunità, per incrementare la redditività e consentire di sostenere gli interventi di tutela delle risorse, di introdurre la tariffazione di parcheggi e/o degli ingressi alle aree forestali. Questo tipo di iniziativa ben si applica nelle aree di margine al Parco nazionale, ma anche nel territorio esterno, a patto che si effettuino interventi di miglioramento ecologico e di ripristino della fitta rete di sentieri. La disponibilità di risorse economiche derivanti da questa politica di tariffazione, consentirebbe di effettuare investimenti mirati, agendo sull’innalzamento della qualità dell’offerta. Nel caso di studio è possibile ripristinare la gestione della proprietà collettività (demanio civico) e non, nelle forme previste dalle normative, grazie ai fondi disponibili del PSR17, che la incentivano con specifiche misure: - M05, Sottomisura 4.3 - Sostegno a investimenti nell'infrastruttura necessaria
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allo sviluppo, all'ammodernamento e all'adeguamento dell'agricoltura e della silvicoltura. L’obiettivo è di migliorare l’accessibilità ai fondi, in particolare per quelli in aree marginali, favorendo la movimentazione delle produzioni e un maggiore grado di competitività delle imprese agroforestali. Il miglioramento delle infrastrutture agro-silvo-pastorali rappresenta un elemento strategico per aumentare il grado di fruibilità in termini di pubblica utilità degli ecosistemi agro-forestali. - M08, Interventi nello sviluppo delle aree forestali e nel miglioramento della redditività delle foreste. La Regione con questa misura promuove la gestione delle attività selvicolturali, per migliorare la produzione delle imprese e delle forme associazionistiche18, per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e assicurare la protezione delle foreste e la fornitura dei servizi ecosistemici. - Misura 16 – Cooperazione, Sottomisura 16.5 - Sostegno per azioni congiunte per la mitigazione del cambiamento climatico e l'adattamento ad esso e sostegno per approcci comuni ai progetti e alle pratiche ambientali in corso. «La sottomisura promuove forme di cooperazione tra imprese agricole e forestali, gestori del territorio, enti pubblici e privati con competenze nella difesa del territorio (in particolare i gestori delle aree della Rete Natura 2000, di aree protette e aree di bonifica), strutture di ricerca e sperimentazione, associazioni e altri portatori di interesse locale , finalizzate a sviluppare Piani integrati territoriali tramite i quali attivare interventi finalizzati al miglioramento ambientale dei territori nonchè alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici». Questa misura appare la più significativa per realizzare un progetto di riciclo di area vasta, in una zona soggetta a vincoli, mediante l’attivazione di partenariati tra diversi attori e portatori d’interesse per la realizzazione di interventi «finalizzati al miglioramento ambientale» del territorio, e allo sviluppo di pratiche sostenibili e conservative. Si configura a tutti gli effetti come un intervento di riciclo strategico se riuscirà a ricomporre un contesto favorevole allo sviluppo. Nella sottomisura16.5 si individua uno specifico canale di finanziamento con contenuti multifunzionali e effetti multisettoriali sul sistema locale (sicurezza ambientale-antropica, implementazione reti materiali-immateriali, caratterizzazione delle risorse e del patrimonio identitario). Reti per la smart area Nelle aree interne la marginalità non compare con uniformità ma con intensità differenti a seconda del peso che assumono i fattori di debolezza nelle singole
realtà comunali; occorre quindi, per sanare i divari e le inefficienze, attribuire nuovi ruoli e potenziare quelli consolidati, in modo da creare sinergie e complementarietà per il complessivo riequilibro del territorio. È necessario agire sulla governance dell’intero sistema attraverso la costituzione di una rete di interdipendenze amministrative e istituzionali di tipo verticale e, principalmente, orizzontale. L’Unione di comuni o le nuove Unioni di comuni montani sono le entità che validano le politiche condivise sulla crescita produttiva e sulle dotazioni di servizi e infrastrutture necessari per innalzare la qualità della vita. Un approccio integrato può favorire l’interazione e la collaborazione fra le parti per la gestione delle risorse naturali, degli aspetti energetici, della mobilità, del ciclo dei rifiuti, delle ICT. Le nuove tecnologie rivestono un ruolo cruciale nella sperimentazione dei percorsi di democrazia partecipata a livello di Unione di comuni, come ad esempio nella costruzione condivisa delle priorità del bilancio. Le strategie di trasparenza informatica e la diffusione di conoscenze rafforzano il dialogo costruttivo tra istituzioni e cittadinanza. L’erogazione di servizi avanzati come l’estensione della banda ultralarga potrà contribuire alla rete delle relazioni tra imprese interne ed esterne al contesto, favorendo lo scambio delle conoscenze e delle buone pratiche; ciò consentirà di utilizzare il flusso di informazioni per accrescere la capacità adattiva al cambiamento dei mercati. Un ambiente favorevole all’insediamento di nuove imprese e di start up innovative necessita di un adeguato processo di infrastrutturazione. Visto il peso del settore turistico in alcuni comuni dell’area degli altipiani maggiori d’Abruzzo, è opportuno, anche in questo caso, promuovere occasioni per fare sistema con altri contesti territoriali limitrofi, trasferendo localmente le buone pratiche già sperimentate con successo e condividendo attrezzature e servizi, ed infine migliorando l’accessibilità. Lo sviluppo intelligente dell’area potrà avvenire supportando localmente le politiche attive europee e nazionali, contestualizzando le soluzioni praticabili e integrandole con azioni di incentivazione promosse dalla rete dei comuni. Occorre lavorare per mettere in coerenza le scelte di livello locale con i programmi del quadro nazionale ed internazionale, evitando di assumere posizioni localistiche, che in passato hanno caratterizzato questo territorio. La promozione del territorio, per attirare gli investitori esterni e per incrementare la consapevolezza della collettività locale, deve diventare una delle attività prioritarie su cui investire. Le modalità possono essere diverse, purché in grado di raggiungere il maggior numero di destinatari, cominciando dal
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allo sviluppo, all'ammodernamento e all'adeguamento dell'agricoltura e della silvicoltura. L’obiettivo è di migliorare l’accessibilità ai fondi, in particolare per quelli in aree marginali, favorendo la movimentazione delle produzioni e un maggiore grado di competitività delle imprese agroforestali. Il miglioramento delle infrastrutture agro-silvo-pastorali rappresenta un elemento strategico per aumentare il grado di fruibilità in termini di pubblica utilità degli ecosistemi agro-forestali. - M08, Interventi nello sviluppo delle aree forestali e nel miglioramento della redditività delle foreste. La Regione con questa misura promuove la gestione delle attività selvicolturali, per migliorare la produzione delle imprese e delle forme associazionistiche18, per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e assicurare la protezione delle foreste e la fornitura dei servizi ecosistemici. - Misura 16 – Cooperazione, Sottomisura 16.5 - Sostegno per azioni congiunte per la mitigazione del cambiamento climatico e l'adattamento ad esso e sostegno per approcci comuni ai progetti e alle pratiche ambientali in corso. «La sottomisura promuove forme di cooperazione tra imprese agricole e forestali, gestori del territorio, enti pubblici e privati con competenze nella difesa del territorio (in particolare i gestori delle aree della Rete Natura 2000, di aree protette e aree di bonifica), strutture di ricerca e sperimentazione, associazioni e altri portatori di interesse locale , finalizzate a sviluppare Piani integrati territoriali tramite i quali attivare interventi finalizzati al miglioramento ambientale dei territori nonchè alla mitigazione e all'adattamento ai cambiamenti climatici». Questa misura appare la più significativa per realizzare un progetto di riciclo di area vasta, in una zona soggetta a vincoli, mediante l’attivazione di partenariati tra diversi attori e portatori d’interesse per la realizzazione di interventi «finalizzati al miglioramento ambientale» del territorio, e allo sviluppo di pratiche sostenibili e conservative. Si configura a tutti gli effetti come un intervento di riciclo strategico se riuscirà a ricomporre un contesto favorevole allo sviluppo. Nella sottomisura16.5 si individua uno specifico canale di finanziamento con contenuti multifunzionali e effetti multisettoriali sul sistema locale (sicurezza ambientale-antropica, implementazione reti materiali-immateriali, caratterizzazione delle risorse e del patrimonio identitario). Reti per la smart area Nelle aree interne la marginalità non compare con uniformità ma con intensità differenti a seconda del peso che assumono i fattori di debolezza nelle singole
realtà comunali; occorre quindi, per sanare i divari e le inefficienze, attribuire nuovi ruoli e potenziare quelli consolidati, in modo da creare sinergie e complementarietà per il complessivo riequilibro del territorio. È necessario agire sulla governance dell’intero sistema attraverso la costituzione di una rete di interdipendenze amministrative e istituzionali di tipo verticale e, principalmente, orizzontale. L’Unione di comuni o le nuove Unioni di comuni montani sono le entità che validano le politiche condivise sulla crescita produttiva e sulle dotazioni di servizi e infrastrutture necessari per innalzare la qualità della vita. Un approccio integrato può favorire l’interazione e la collaborazione fra le parti per la gestione delle risorse naturali, degli aspetti energetici, della mobilità, del ciclo dei rifiuti, delle ICT. Le nuove tecnologie rivestono un ruolo cruciale nella sperimentazione dei percorsi di democrazia partecipata a livello di Unione di comuni, come ad esempio nella costruzione condivisa delle priorità del bilancio. Le strategie di trasparenza informatica e la diffusione di conoscenze rafforzano il dialogo costruttivo tra istituzioni e cittadinanza. L’erogazione di servizi avanzati come l’estensione della banda ultralarga potrà contribuire alla rete delle relazioni tra imprese interne ed esterne al contesto, favorendo lo scambio delle conoscenze e delle buone pratiche; ciò consentirà di utilizzare il flusso di informazioni per accrescere la capacità adattiva al cambiamento dei mercati. Un ambiente favorevole all’insediamento di nuove imprese e di start up innovative necessita di un adeguato processo di infrastrutturazione. Visto il peso del settore turistico in alcuni comuni dell’area degli altipiani maggiori d’Abruzzo, è opportuno, anche in questo caso, promuovere occasioni per fare sistema con altri contesti territoriali limitrofi, trasferendo localmente le buone pratiche già sperimentate con successo e condividendo attrezzature e servizi, ed infine migliorando l’accessibilità. Lo sviluppo intelligente dell’area potrà avvenire supportando localmente le politiche attive europee e nazionali, contestualizzando le soluzioni praticabili e integrandole con azioni di incentivazione promosse dalla rete dei comuni. Occorre lavorare per mettere in coerenza le scelte di livello locale con i programmi del quadro nazionale ed internazionale, evitando di assumere posizioni localistiche, che in passato hanno caratterizzato questo territorio. La promozione del territorio, per attirare gli investitori esterni e per incrementare la consapevolezza della collettività locale, deve diventare una delle attività prioritarie su cui investire. Le modalità possono essere diverse, purché in grado di raggiungere il maggior numero di destinatari, cominciando dal
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canale del web, sul quale dare visibilità al patrimonio di immobili dismessi e da riciclare, ed agli incentivi e sgravi fiscali attivabili, oltre allo stato di tutto il patrimonio storico, culturale e ambientale di riconosciuta importanza, che definisce il livello qualitativo di partenza per le diverse azioni attivabili sul contesto. Anche le iniziative istituzioni e non istituzionali, sul riciclo e sulla gestione delle risorse, dovranno ricevere ampia visibilità, nella convinzione che un’ampia conoscenza circa le trasformazioni del territorio in atto e le innovazioni sottese a ciascuna delle operazioni, possa suscitare la reiterazione delle buone pratiche. I portatori d’interesse locale potranno monitorare lo stato d’avanzamento di alcuni processi di riciclo innescati e recepire la reazione della collettività da cui gettare le basi di eventuali revisioni e adattamenti. La promozione del territorio passa anche attraverso la comunicazione efficace di eventi legati alle unicità della cultura etnografica, e al paesaggio naturale, da porre a carico dell’Unione dei comuni. Nell’ambito delle politiche di riciclo la valorizzazione dell’offerta turistica non deve implicare nuovi carichi infrastrutturali, ma deve essere incentrata sul capitale umano e sul valore aggiunto rappresentato dall’identità locale. In questo senso sono da privilegiare le politiche di certificazione ambientale e di labeling delle produzioni (non soltanto agroalimentari) che utilizzano le qualità ambientali e paesaggistiche del contesto come vettori di immagine . Lo scopo è la valorizzazione e la divulgazione di politiche di qualità ambientale coinvolgendo tutte le parti (Comuni, Ente Parco, imprese, turisti, residenti). Il marchio di qualità ambientale si basa su criteri indirizzati a tutti i tipi di imprese con l’obiettivo di renderli gradualmente impegnati in un percorso di miglioramento produttivo o dell’offerta di servizi. Il marchio viene recepito come fattore di eccellenza sia dagli operatori che dai soggetti esterni, incentivando quindi alla tutela attiva delle risorse, riducendo in generale gli impatti sull’ambiente. Per questi scopi l’Unione dei comuni potrà impiegare i fondi dell’Azione 6.7.1 del POR FESR , indirizzata a “interventi per la tutela, la valorizzazione e la messa in rete del patrimonio culturale, materiale e immateriale, nelle aree di attrazione di rilevanza strategica tale da consolidare e promuovere processi di sviluppo”. L’azione intende potenziare un sito pilota che si configura quale attrattore in aree che presentano valenze naturalistiche e culturali al centro di circuiti di fruizione turistica. Sono finanziabili interventi per la creazione di servizi e sistemi innovativi attraverso le ICT, per la gestione e accessibilità alle conoscenze del patrimonio culturale e la specializzazione dell’accoglienza. Le infrastrutture slow consentiranno la ristrutturazione degli spazi aperti e di
Il riciclo di un centro del turismo montano negli altipiani maggiori d’Abruzzo: il caso pilota di Campo di Giove Campo di Giove,uno dei maggiori centri nel territorio montano della Majella occidentale, dalla fine degli anni ’60 e fino agli anni ’80 ha conosciuto un tumultuoso sviluppo edilizio, con preminenzadi destinazioni turistico-ricettive, provocato dalla realizzazione di importanti attrezzature per gli sport invernali. La politica territoriale di quei decenni era fortemente indirizzata a richiamare un flusso stagionale di utenti della montagna, provenienti dalle più vicine aree metropolitane del Lazio e della Campania. La costruzione di grandi strutture alberghiere e di un tessuto diffuso di seconde case haprofondamente trasformato il paesaggio locale, introducendo nuovi rapporti tra le finalità dello sviluppo socio economico e lo sfruttamento delle risorse naturali. Brani di tessuto a maglia larga con abitazioni unifamiliari ed il passo ripetuto delle palazzine per case-vacanza hanno progressivamente occupato lo spazio intorno ad una depressione naturale, investendo le aree libere intorno al borgo antico di nuo-
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quelli verdi, offrendo nuovi servizi come le energie alternative e gestendo in modo più conveniente le acque. La sentieristica attuale in area Parco dovrà essere implementata ed estesa anche all’esterno del perimetro, mediante il ripristino selettivo dei percorsi, consentendo come in passato la gestione complessiva delle risorse territoriali. La reintegrazione dei percorsi ha un duplice scopo, quello di ridare impulso al turismo naturalistico e quello di contribuire al controllo delle fragilità ambientali (rischio idrogeologico, gestione della copertura boschiva). Un ruolo centrale per il potenziamento della rete dei comuni è rivestito da tutti quei dispositivi formali in grado di incrementare le abilità di una comunità e dei portatori d’interesse, mettendoli in condizione di svolgere un ruolo attivo nei processi di generazione di nuove forme di ricchezza e di nuovi valori condivisi. La proprietà collettivaconsente diirrobustire la rete interna degli attori ma ha anche effetti all’esterno richiamando nuovi soggetti interessati ad implementare forme associative mediante l’adesione o l’emulazione dell’istituto in ambiti territoriali analoghi. Le nuove responsabilità dirette di autogoverno, con i progetti di riciclo e riattivazione del patrimonio esistente, ripristinano un sistema di reciproco sostegno all’elevazione del benessere e della qualità della vita. L’innovazione degli usi civici è raggiunta attraverso una rinnovata intesa collaborativa tra gli operatori, l’ente locale, le istituzioni con il ruolo di tutela delle risorse.
canale del web, sul quale dare visibilità al patrimonio di immobili dismessi e da riciclare, ed agli incentivi e sgravi fiscali attivabili, oltre allo stato di tutto il patrimonio storico, culturale e ambientale di riconosciuta importanza, che definisce il livello qualitativo di partenza per le diverse azioni attivabili sul contesto. Anche le iniziative istituzioni e non istituzionali, sul riciclo e sulla gestione delle risorse, dovranno ricevere ampia visibilità, nella convinzione che un’ampia conoscenza circa le trasformazioni del territorio in atto e le innovazioni sottese a ciascuna delle operazioni, possa suscitare la reiterazione delle buone pratiche. I portatori d’interesse locale potranno monitorare lo stato d’avanzamento di alcuni processi di riciclo innescati e recepire la reazione della collettività da cui gettare le basi di eventuali revisioni e adattamenti. La promozione del territorio passa anche attraverso la comunicazione efficace di eventi legati alle unicità della cultura etnografica, e al paesaggio naturale, da porre a carico dell’Unione dei comuni. Nell’ambito delle politiche di riciclo la valorizzazione dell’offerta turistica non deve implicare nuovi carichi infrastrutturali, ma deve essere incentrata sul capitale umano e sul valore aggiunto rappresentato dall’identità locale. In questo senso sono da privilegiare le politiche di certificazione ambientale e di labeling delle produzioni (non soltanto agroalimentari) che utilizzano le qualità ambientali e paesaggistiche del contesto come vettori di immagine . Lo scopo è la valorizzazione e la divulgazione di politiche di qualità ambientale coinvolgendo tutte le parti (Comuni, Ente Parco, imprese, turisti, residenti). Il marchio di qualità ambientale si basa su criteri indirizzati a tutti i tipi di imprese con l’obiettivo di renderli gradualmente impegnati in un percorso di miglioramento produttivo o dell’offerta di servizi. Il marchio viene recepito come fattore di eccellenza sia dagli operatori che dai soggetti esterni, incentivando quindi alla tutela attiva delle risorse, riducendo in generale gli impatti sull’ambiente. Per questi scopi l’Unione dei comuni potrà impiegare i fondi dell’Azione 6.7.1 del POR FESR , indirizzata a “interventi per la tutela, la valorizzazione e la messa in rete del patrimonio culturale, materiale e immateriale, nelle aree di attrazione di rilevanza strategica tale da consolidare e promuovere processi di sviluppo”. L’azione intende potenziare un sito pilota che si configura quale attrattore in aree che presentano valenze naturalistiche e culturali al centro di circuiti di fruizione turistica. Sono finanziabili interventi per la creazione di servizi e sistemi innovativi attraverso le ICT, per la gestione e accessibilità alle conoscenze del patrimonio culturale e la specializzazione dell’accoglienza. Le infrastrutture slow consentiranno la ristrutturazione degli spazi aperti e di
Il riciclo di un centro del turismo montano negli altipiani maggiori d’Abruzzo: il caso pilota di Campo di Giove Campo di Giove,uno dei maggiori centri nel territorio montano della Majella occidentale, dalla fine degli anni ’60 e fino agli anni ’80 ha conosciuto un tumultuoso sviluppo edilizio, con preminenzadi destinazioni turistico-ricettive, provocato dalla realizzazione di importanti attrezzature per gli sport invernali. La politica territoriale di quei decenni era fortemente indirizzata a richiamare un flusso stagionale di utenti della montagna, provenienti dalle più vicine aree metropolitane del Lazio e della Campania. La costruzione di grandi strutture alberghiere e di un tessuto diffuso di seconde case haprofondamente trasformato il paesaggio locale, introducendo nuovi rapporti tra le finalità dello sviluppo socio economico e lo sfruttamento delle risorse naturali. Brani di tessuto a maglia larga con abitazioni unifamiliari ed il passo ripetuto delle palazzine per case-vacanza hanno progressivamente occupato lo spazio intorno ad una depressione naturale, investendo le aree libere intorno al borgo antico di nuo-
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quelli verdi, offrendo nuovi servizi come le energie alternative e gestendo in modo più conveniente le acque. La sentieristica attuale in area Parco dovrà essere implementata ed estesa anche all’esterno del perimetro, mediante il ripristino selettivo dei percorsi, consentendo come in passato la gestione complessiva delle risorse territoriali. La reintegrazione dei percorsi ha un duplice scopo, quello di ridare impulso al turismo naturalistico e quello di contribuire al controllo delle fragilità ambientali (rischio idrogeologico, gestione della copertura boschiva). Un ruolo centrale per il potenziamento della rete dei comuni è rivestito da tutti quei dispositivi formali in grado di incrementare le abilità di una comunità e dei portatori d’interesse, mettendoli in condizione di svolgere un ruolo attivo nei processi di generazione di nuove forme di ricchezza e di nuovi valori condivisi. La proprietà collettivaconsente diirrobustire la rete interna degli attori ma ha anche effetti all’esterno richiamando nuovi soggetti interessati ad implementare forme associative mediante l’adesione o l’emulazione dell’istituto in ambiti territoriali analoghi. Le nuove responsabilità dirette di autogoverno, con i progetti di riciclo e riattivazione del patrimonio esistente, ripristinano un sistema di reciproco sostegno all’elevazione del benessere e della qualità della vita. L’innovazione degli usi civici è raggiunta attraverso una rinnovata intesa collaborativa tra gli operatori, l’ente locale, le istituzioni con il ruolo di tutela delle risorse.
ve infrastrutture e servizi. Un rigido funzionalismo ha radicalmente riorientatola visione dello sviluppo del piccolo centro, esponendolo al rischio implicito nella monocultura del turismo. Cambiamenti sociali ed economici hanno puntualmente reso obsoleto il modello turistico offerto dal centro ed oggi un ciclo di vita sembra essersi esaurito. Un patrimonio edilizio consistente, comprendente quello più antico del centro storico e quello prodotto nel corso del ‘900, è oggi abbandonato o sottoutilizzato, senza apparenti possibilità di recupero e riuso, sia per ragioni interne al mercato immobiliare locale (eccesso di offerta) sia per ragioni economiche più strutturali, che hanno radicalmente ridotto il potere d’acquisto. Un nuovo ciclo di decrescita ha investito Campo di Giove, così come molti altri piccoli centri del turismo invernale di massa, e territori più attraenti ed al passo con i tempi hanno vinto la competizione nel mercato del turismo invernale.
Fig.12 - Interventi di rigenerazione urbana, Campo di Giove (AQ), tesi dott. Giulio De Mattia
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Il progetto di riciclo in questo contesto ha guardato sia al patrimonio edilizio,sia al sistema delle reti infrastrutturali,sia agli spazi apertinaturali. Per il centro storico si pone con forza, oltre al tema della dismissione, anche il tema della prevenzione del rischio sismico, allo scopo di garantire le funzioni vitali in caso di terremoti, ma anche con l’obiettivo di modificare quella percezione di insicurezza che il sisma dell’Aquila ha provocato. La formazione di una struttura urbana minima ha rappresentatoperciò una invariante all’interno della proposta di intervento,accanto al recupero di edifici ordinari e di pregio,da realizzareperò all’interno di una visione unitaria di riciclo del nucleo storico (Fig.12). Un altro tema di grande rilievo è quello dell’infrastruttura ferroviaria di interesse paesaggistico, laSulmona-Roccaraso,(un tratto della Sulmona-Isernia), conosciuta anche come Transiberiana d’Italia, considerato uno dei tratti ferroviari più suggestivi al mondo, che attraversa gli altipiani maggiori d’Abruzzo e che a Campo di Giove ha una sua stazione. La linea, ormai in disuso per quanto concerne le corse ordinarie, è stata fatta oggetto di interesse da parte di associazioni di volontari, che nel corso del 2015 e del 2016 hanno organizzato numerose corse a scopo turistico riscuotendo un enorme successo. Le prenotazioni hanno fatto registrare il tutto esaurito per tutte le date, richiedendo corse supplementari. La proposta qui avanzata prevede la riattivazione di corse turistiche supplementari (ma di corto raggio) aventi come scopo la scoperta del territoriononchéil collegamento, nella stagione invernale, con i campi da sci. L’incremento della resilienza fisica e funzionale del patrimonio edilizio e la riqualificazionedello spazio pubblico sono gli ulteriori passaggi della strategia di rigenerazione. Accanto a queste scelte di riassetto dello spazio fisico, finalizzate a ricostruire le condizioni minime di attrattività del centro storico, si sono predisposte misure amministrative di incentivo al riciclo, come ad esempio la concessione agevolata per l’utilizzo da parte di privati cittadini e di imprese di alcuni immobili inutilizzati di proprietà del Comune. I locali, concessi in comodato d’uso attraverso bandi pubblici, rappresentano un elemento di forte stimolo per quei soggettieconomici, provenienti anche dall’esterno, interessati ad avviare nuove attività commerciali o professionali nel centro. Un capitolo importante della proposta pilota ha riguardato poi il riciclo di una grande struttura alberghiera:lo “Scoiattolo Nero”. Qui il riciclo si fonda su una proposta di cambiamento della tipologia di offerta ricettiva, dal turismo di massa al turismo sportivo specializzato. Da albergo a centro specializzato per l’accoglienza
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ve infrastrutture e servizi. Un rigido funzionalismo ha radicalmente riorientatola visione dello sviluppo del piccolo centro, esponendolo al rischio implicito nella monocultura del turismo. Cambiamenti sociali ed economici hanno puntualmente reso obsoleto il modello turistico offerto dal centro ed oggi un ciclo di vita sembra essersi esaurito. Un patrimonio edilizio consistente, comprendente quello più antico del centro storico e quello prodotto nel corso del ‘900, è oggi abbandonato o sottoutilizzato, senza apparenti possibilità di recupero e riuso, sia per ragioni interne al mercato immobiliare locale (eccesso di offerta) sia per ragioni economiche più strutturali, che hanno radicalmente ridotto il potere d’acquisto. Un nuovo ciclo di decrescita ha investito Campo di Giove, così come molti altri piccoli centri del turismo invernale di massa, e territori più attraenti ed al passo con i tempi hanno vinto la competizione nel mercato del turismo invernale.
Fig.12 - Interventi di rigenerazione urbana, Campo di Giove (AQ), tesi dott. Giulio De Mattia
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Il progetto di riciclo in questo contesto ha guardato sia al patrimonio edilizio,sia al sistema delle reti infrastrutturali,sia agli spazi apertinaturali. Per il centro storico si pone con forza, oltre al tema della dismissione, anche il tema della prevenzione del rischio sismico, allo scopo di garantire le funzioni vitali in caso di terremoti, ma anche con l’obiettivo di modificare quella percezione di insicurezza che il sisma dell’Aquila ha provocato. La formazione di una struttura urbana minima ha rappresentatoperciò una invariante all’interno della proposta di intervento,accanto al recupero di edifici ordinari e di pregio,da realizzareperò all’interno di una visione unitaria di riciclo del nucleo storico (Fig.12). Un altro tema di grande rilievo è quello dell’infrastruttura ferroviaria di interesse paesaggistico, laSulmona-Roccaraso,(un tratto della Sulmona-Isernia), conosciuta anche come Transiberiana d’Italia, considerato uno dei tratti ferroviari più suggestivi al mondo, che attraversa gli altipiani maggiori d’Abruzzo e che a Campo di Giove ha una sua stazione. La linea, ormai in disuso per quanto concerne le corse ordinarie, è stata fatta oggetto di interesse da parte di associazioni di volontari, che nel corso del 2015 e del 2016 hanno organizzato numerose corse a scopo turistico riscuotendo un enorme successo. Le prenotazioni hanno fatto registrare il tutto esaurito per tutte le date, richiedendo corse supplementari. La proposta qui avanzata prevede la riattivazione di corse turistiche supplementari (ma di corto raggio) aventi come scopo la scoperta del territoriononchéil collegamento, nella stagione invernale, con i campi da sci. L’incremento della resilienza fisica e funzionale del patrimonio edilizio e la riqualificazionedello spazio pubblico sono gli ulteriori passaggi della strategia di rigenerazione. Accanto a queste scelte di riassetto dello spazio fisico, finalizzate a ricostruire le condizioni minime di attrattività del centro storico, si sono predisposte misure amministrative di incentivo al riciclo, come ad esempio la concessione agevolata per l’utilizzo da parte di privati cittadini e di imprese di alcuni immobili inutilizzati di proprietà del Comune. I locali, concessi in comodato d’uso attraverso bandi pubblici, rappresentano un elemento di forte stimolo per quei soggettieconomici, provenienti anche dall’esterno, interessati ad avviare nuove attività commerciali o professionali nel centro. Un capitolo importante della proposta pilota ha riguardato poi il riciclo di una grande struttura alberghiera:lo “Scoiattolo Nero”. Qui il riciclo si fonda su una proposta di cambiamento della tipologia di offerta ricettiva, dal turismo di massa al turismo sportivo specializzato. Da albergo a centro specializzato per l’accoglienza
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di gruppi sportivi, dotato di campi sportivi (in parte preesistenti) e degli altri servizi necessari. Quello del turismo dei ritiri sportivi è un mercato in costante crescita, sostenuto dalla diffusione delle pratiche sportive che non richiedono costi eccessivi nelle attrezzature e che permettono un contatto diretto con la natura. Gli interventi sul plesso e sugli spazi aperti circostanti mirano quindia costituire un complesso di attrezzature sportive e per il benessere, rivolte ad utenza specializzata nella pratica sportiva, per sport invernali e non, in modo da rendere la struttura interessante anche nella stagione estiva. Un altro ambito d’intervento ha riguardato l’area naturalistica della dolina, una grande depressione in un punto di snodo tra borgo antico ed espansioni Novecentesche. Il valore paesaggistico e naturalistico di questo luogo ne fa un elemento centrale per la rigenerazione del sistema urbano, preservandone gli aspetti di unicità. L’interventoprevede l’attuazione di una previsione di Piano sino ad oggimai attuata, formando un parco pubblico i cui percorsi funzionano da raccordo tra le diverse parti dell’insediamento.Questo spazio si carica di un nuovo valore paesaggistico in quanto la sua fruizione consentirà di avvicinare gli abitanti a una parte urbana centrale ma tuttavia sino ad oggi rimasta estranea al contesto di vita. L’accessibilità del parco si realizza mediante deinuovi percorsi che si attestano sul vecchio limite di bordo: quello maggiore, rettilineo e ortogonale alla direttrice di via San Matteo, taglia l’invaso per risalire fino al piazzale della stazione ferroviaria. Un percorso vita nella parte più bassa intercetta tutti i percorsi diretti al fondo del catino naturale, disponendosi in modo anulare analogamente alla viabilità superiore. Il riciclo di Campo di Giove parte da una lettura del palinsesto esistente, composto dalle dominanti naturali e dalla stratificazione del patrimonio costruito,e tiene conto dei valori identitari, preservati come elementi determinantidell’immagine paesaggistica, che però vengono inseritientro nuove dinamiche di sviluppo, basate su una offerta turistica non solo stagionale, che si rivolge ai nuovi utenti e abitanti della montagna, che qui possono trovarecondizioni ottimali.
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Note 1. Gli altipiani maggiori d’Abruzzo sono una concatenazione di altipiani carsici situati nell’Abruzzo meridionale (provincia dell’Aquila). Essi sono l'Altopiano delle Cinquemiglia, l'Altopiano del Quarto Grande e l'Altopiano di Quarto Santa Chiara e interessano i comuni di Rocca Pia, Rivisondoli, Roccaraso, Pescocostanzo e Campo di Giove. 2. Vedi il contributo, qui ripreso in parte, “Condizioni della fragilità in Abruzzo” nel volume “Infrastrutture minori nei territori dell’abbandono. Le reti ferroviarie” a cura di Emilia Corradi e Raffaella Massacesi, Aracne, Roma, 2016. 3. Fonte CLES - Paolo Leon. 4. Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Seminario: Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale: le aree interne, Roma, 15/12/2012. Nelle aree interne alla riduzione del territorio destinato ad uso agricolo è corrisposto negli anni un aumento della superficie coperta da foreste. Attualmente il patrimonio forestale nazionale supera i dieci milioni di ettari (dati Agrit-Populus 2010) e dal 1948 ad oggi si è più che raddoppiato. Oltre un terzo della superficie nazionale è coperta da foreste e per oltre il 70% ricade nelle aree interne. In ragione di questi dati nelle aree interne ricade una quota elevata di Siti di interesse comunitario (Sic), di Zone di protezione speciale (Zps), oltre alle Aree naturali protette. 5. Parametri: a) altezza media comunale; b) indice di dipendenza: rapporto tra la popolazione di 65 anni e più con la popolazione di età inferiore ai 15 anni con la popolazione tra i 15 e i 65 anni; indice di vecchiaia; densità della popolazione; indice di spopolamento: rapporto tra la popolazione residente al 1991 e quella al 2000; indice di ruralità: rapporto tra la popolazione attiva in agricoltura e il totale della popolazione attiva; livello dei servizi: rapporto tra il numero delle imprese registrate alla camera di commercio nei servizi non alimentari e il totale delle imprese registrate nei servizi; presenza
turistica; tempo di percorrenza: analisi dei dati censuari relativi alla popolazione prendendo in considerazione i flussi di pendolarismo diretti verso i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, ed in particolare, il dato del tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro. Il tempo di percorrenza è ottenuto come valore centrale della classe modale. 6. Indicatori selezionati per macro categorie: 1) Demografia: densità (sup. < 1.400 m s.l.m.); pop. >65 su 20-64; var. % pop. 19812001; 2) Sistema produttivo: addetti ind. manifatturiera; addetti commercio; addetti alberghi e ristoranti; addetti altri servizi; U.I. artigianato; 3) Servizi: alunni scuole elementari; U.I. commerciali non alimentari; U.I. commerciali totali; Pubblici esercizi; Addetti istituzioni pubbliche; 4) Livello di vita: reddito pro capite; IVA (val. medio per contribuente); consumi di energia elettrica totali per uso domestico; autovetture per 100 abitanti. 7. L’art. 1 del decreto-legge n. 93/08, convertito dalla legge n. 126/08, ha stabilito – a decorrere dal 2008 – l’esclusione dall'Ici dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, precisando che per unità immobiliari adibite ad abitazione principale del soggetto passivo si intendono quelle considerate tali ai sensi del d.lgs. n. 504/‘92 “nonché quelle ad esse assimilate dal Comune con regolamento o deli-bera comunale vigente alla data di entrata in vigore” del decreto-legge (ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9). 8. Indicatore che si ottiene dalla formula: [spesa per il personale + rata mutui (interessi passivi + rimborso quota capitale)]/ [entrate correnti (entrate tributarie + entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti + entrate extra-tributarie)] x 100. 9. Le voci di spesa in conto capitale classificate nei bilanci comunali normalizzati dal Ministero dell’Interno, sono: funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo; funzioni relative alla giustizia; funzioni di
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di gruppi sportivi, dotato di campi sportivi (in parte preesistenti) e degli altri servizi necessari. Quello del turismo dei ritiri sportivi è un mercato in costante crescita, sostenuto dalla diffusione delle pratiche sportive che non richiedono costi eccessivi nelle attrezzature e che permettono un contatto diretto con la natura. Gli interventi sul plesso e sugli spazi aperti circostanti mirano quindia costituire un complesso di attrezzature sportive e per il benessere, rivolte ad utenza specializzata nella pratica sportiva, per sport invernali e non, in modo da rendere la struttura interessante anche nella stagione estiva. Un altro ambito d’intervento ha riguardato l’area naturalistica della dolina, una grande depressione in un punto di snodo tra borgo antico ed espansioni Novecentesche. Il valore paesaggistico e naturalistico di questo luogo ne fa un elemento centrale per la rigenerazione del sistema urbano, preservandone gli aspetti di unicità. L’interventoprevede l’attuazione di una previsione di Piano sino ad oggimai attuata, formando un parco pubblico i cui percorsi funzionano da raccordo tra le diverse parti dell’insediamento.Questo spazio si carica di un nuovo valore paesaggistico in quanto la sua fruizione consentirà di avvicinare gli abitanti a una parte urbana centrale ma tuttavia sino ad oggi rimasta estranea al contesto di vita. L’accessibilità del parco si realizza mediante deinuovi percorsi che si attestano sul vecchio limite di bordo: quello maggiore, rettilineo e ortogonale alla direttrice di via San Matteo, taglia l’invaso per risalire fino al piazzale della stazione ferroviaria. Un percorso vita nella parte più bassa intercetta tutti i percorsi diretti al fondo del catino naturale, disponendosi in modo anulare analogamente alla viabilità superiore. Il riciclo di Campo di Giove parte da una lettura del palinsesto esistente, composto dalle dominanti naturali e dalla stratificazione del patrimonio costruito,e tiene conto dei valori identitari, preservati come elementi determinantidell’immagine paesaggistica, che però vengono inseritientro nuove dinamiche di sviluppo, basate su una offerta turistica non solo stagionale, che si rivolge ai nuovi utenti e abitanti della montagna, che qui possono trovarecondizioni ottimali.
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Note 1. Gli altipiani maggiori d’Abruzzo sono una concatenazione di altipiani carsici situati nell’Abruzzo meridionale (provincia dell’Aquila). Essi sono l'Altopiano delle Cinquemiglia, l'Altopiano del Quarto Grande e l'Altopiano di Quarto Santa Chiara e interessano i comuni di Rocca Pia, Rivisondoli, Roccaraso, Pescocostanzo e Campo di Giove. 2. Vedi il contributo, qui ripreso in parte, “Condizioni della fragilità in Abruzzo” nel volume “Infrastrutture minori nei territori dell’abbandono. Le reti ferroviarie” a cura di Emilia Corradi e Raffaella Massacesi, Aracne, Roma, 2016. 3. Fonte CLES - Paolo Leon. 4. Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Seminario: Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale: le aree interne, Roma, 15/12/2012. Nelle aree interne alla riduzione del territorio destinato ad uso agricolo è corrisposto negli anni un aumento della superficie coperta da foreste. Attualmente il patrimonio forestale nazionale supera i dieci milioni di ettari (dati Agrit-Populus 2010) e dal 1948 ad oggi si è più che raddoppiato. Oltre un terzo della superficie nazionale è coperta da foreste e per oltre il 70% ricade nelle aree interne. In ragione di questi dati nelle aree interne ricade una quota elevata di Siti di interesse comunitario (Sic), di Zone di protezione speciale (Zps), oltre alle Aree naturali protette. 5. Parametri: a) altezza media comunale; b) indice di dipendenza: rapporto tra la popolazione di 65 anni e più con la popolazione di età inferiore ai 15 anni con la popolazione tra i 15 e i 65 anni; indice di vecchiaia; densità della popolazione; indice di spopolamento: rapporto tra la popolazione residente al 1991 e quella al 2000; indice di ruralità: rapporto tra la popolazione attiva in agricoltura e il totale della popolazione attiva; livello dei servizi: rapporto tra il numero delle imprese registrate alla camera di commercio nei servizi non alimentari e il totale delle imprese registrate nei servizi; presenza
turistica; tempo di percorrenza: analisi dei dati censuari relativi alla popolazione prendendo in considerazione i flussi di pendolarismo diretti verso i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, ed in particolare, il dato del tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro. Il tempo di percorrenza è ottenuto come valore centrale della classe modale. 6. Indicatori selezionati per macro categorie: 1) Demografia: densità (sup. < 1.400 m s.l.m.); pop. >65 su 20-64; var. % pop. 19812001; 2) Sistema produttivo: addetti ind. manifatturiera; addetti commercio; addetti alberghi e ristoranti; addetti altri servizi; U.I. artigianato; 3) Servizi: alunni scuole elementari; U.I. commerciali non alimentari; U.I. commerciali totali; Pubblici esercizi; Addetti istituzioni pubbliche; 4) Livello di vita: reddito pro capite; IVA (val. medio per contribuente); consumi di energia elettrica totali per uso domestico; autovetture per 100 abitanti. 7. L’art. 1 del decreto-legge n. 93/08, convertito dalla legge n. 126/08, ha stabilito – a decorrere dal 2008 – l’esclusione dall'Ici dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, precisando che per unità immobiliari adibite ad abitazione principale del soggetto passivo si intendono quelle considerate tali ai sensi del d.lgs. n. 504/‘92 “nonché quelle ad esse assimilate dal Comune con regolamento o deli-bera comunale vigente alla data di entrata in vigore” del decreto-legge (ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9). 8. Indicatore che si ottiene dalla formula: [spesa per il personale + rata mutui (interessi passivi + rimborso quota capitale)]/ [entrate correnti (entrate tributarie + entrate derivanti da contributi e trasferimenti correnti + entrate extra-tributarie)] x 100. 9. Le voci di spesa in conto capitale classificate nei bilanci comunali normalizzati dal Ministero dell’Interno, sono: funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo; funzioni relative alla giustizia; funzioni di
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polizia locale; funzioni di istruzione pubblica; funzioni relative alla cultura e ai beni culturali; funzioni nel settore sportivo e ricreativo; funzioni nel campo turistico; funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente; funzioni nel settore sociale; funzioni nel campo dello sviluppo economico; funzioni relative a servizi produttivi. 10. La via degli Abruzzi l’arteria angioina dell’oro e della lana, uno dei più grandi itinerari commerciali, diplomatici, culturali dell’Italia trecentesca, a meridione metteva capo a Napoli, e a Popoli la chiave dei Tre Abruzzi raccordava due diramazioni una diretta attraverso la valle dell’Aterno verso l’Umbria e la Toscana, l’altra verso le Marche e l’Italia settentrionale attraverso la valle del Pescara. 11. Dalla collaborazione delle associazioni Transita Onlus e Le Rotaie Molise è nata dal 2012 l’idea di organizzare dei treni turistici su una tratta ferroviaria sospesa al traffico passeggeri: la Sulmona-Carpinone con l’obiettivo di valorizzare l’infrastruttura e il contesto paesaggistico che attraversa. 12. Renzo A., 2013, Evoluzione storica del patrimonio zootecnico di Pescocostanzo (abstract), in atti /Pascoli, boschi, beni comuni di Pescocostanzo. 13. Farinelli F., 2000, I caratteri originali del paesaggio abruzzese, in /Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. L’Abruzzo/, Einaudi, Torino, p.140 14. E. Giammarco, 1970, Terminologia agricola dell’area teramana nell’Alto Medioevo, in Atti del Convegno “I Rozzi e la storia dell’agricoltura medievale”, Teramo. 15. Il credito edilizio è l’istituto che consente di riconoscere una capacità edilizia in aree periurbane da cedere per interventi di rinaturalizzazione e riforestazione e trasferita nelle arre del centro urbano da densificare. Regione Veneto, art. 36 LR 11/2004, Riqualificazione ambientale e credito edilizio: Il comune nell’ambito del piano di assetto del territorio (PAT) individua le eventuali opere incongrue, gli elementi
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di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola definendo gli obiettivi di ripristino e di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, architettonica e ambientale del territorio che si intendono realizzare e gli indirizzi e le direttive relativi agli interventi da attuare (comma 1). Il comune con il piano degli interventi (PI) disciplina gli interventi di trasformazione da realizzare per conseguire gli obiettivi di cui al comma 1 (comma2). La demolizione delle opere incongrue, l’eliminazine degli elementi di degrado, o la realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica e ambientale di cui al comma 1 (comma 3). 16. L’abbandono dalla pratiche produttive selvicolturali e una manutenzione precaria dei boschi comporta un incremento dei rischi ambientali legati agli incendi. La vulnerabilità agli incendi è dovuta: alla mancanza delle cure colturali dei cedui a regime e abbandono della coltivazione il quelli in periodo di attesa; alla struttura dei soprassuoli ovvero l’assenza di interruzioni verticali e orizzontali della copertura. 17. Regione Abruzzo, Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. 18. Consorzi forestali , come definiti nell’art. 23 della L.r. 4.01.2014 n. 3: "Al fine di migliorare la gestione dei boschi e dei pascoli di proprietà pubblica e privata e di agevolare e razionalizzare le attività di pianificazione, quelle silvo-pastorali, nonché lavori ed opere silvo-pastorali, la Regione e gli enti locali promuovono la costituzione di consorzi forestali e di altre forme associative o contrattuali fra i proprietari di boschi e pascoli, le imprese forestali iscritte nell'albo di cui all'articolo 27, imprenditori agricoli e coltivatori diretti e, in genere, i soggetti della filiera bosco-legno".
Bibliografia
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Armiero M., Il territorio come risorsa. Comunità, economie e istituzioni nei boschi abruzzesi, Liguori, 2004. Angrilli M., Reti verdi urbane, collana Quaderni del Dip. di arch. di Pescara, Palombi, Roma 2002. Angrilli M., Life Cycle Thinking, in Marini S., Santangelo V. (a cura di), /Recycland/, Aracne, Roma 2013. Bettini V., Elementi di ecologia urbana, Giulio Einaudi, Torino1996. Bianchetti C., Abitare la città contemporanea, Skira, Milano 2003. Camagni R., Competitività territoriale, milieux locali e apprendimento collettivo: una controriflessione critica, in Camagni R., Capello R. (a cura di), /Apprendimento collettivo e competitività territoriale/, Franco Angeli, Milano 2002. Carta M., Ronsivalle D., Territori Interni. La pianificazione integrata per lo sviluppo circolare: metodologie, approcci, applicazioni per nuovi cicli di vita, Aracne, Roma 2015. Clementi A. (a cura di), Infrastrutture e progetti di territorio, Palombi, Roma1999. Clementi A., Ricci M. (a cura di), Ripensare il progetto urbano, Meltemi, Roma 2004. Clementi A. (a cura di), Paesaggi Interrotti. Territorio e pianificazione nel Mezzogiorno, Donzelli, Roma 2012. CRESA, Centro Regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali, La montagna Abruzzese – Indicatori di marginalità, L’Aquila 2002. CRESA, Centro Regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali, Economia e società in Abruzzo. Rapporto 2011, L’Aquila 2012. CRESA, Centro Regionale di Studi e Ricerche Economico-Sociali, Il turismo in Abruzzo, L’Aquila 2014. Crotti M., Ridisegnare paesaggi urbani con le infrastrutture, in Costi D. (a cura di), /Paesaggi della mobilità. Fornovo: il telaio infrastrutturale come occasione di riqualificazione intermodale, insediativa e di paesaggio/, MUP, 2012. Dematteis G., Il futuro della montagna
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polizia locale; funzioni di istruzione pubblica; funzioni relative alla cultura e ai beni culturali; funzioni nel settore sportivo e ricreativo; funzioni nel campo turistico; funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente; funzioni nel settore sociale; funzioni nel campo dello sviluppo economico; funzioni relative a servizi produttivi. 10. La via degli Abruzzi l’arteria angioina dell’oro e della lana, uno dei più grandi itinerari commerciali, diplomatici, culturali dell’Italia trecentesca, a meridione metteva capo a Napoli, e a Popoli la chiave dei Tre Abruzzi raccordava due diramazioni una diretta attraverso la valle dell’Aterno verso l’Umbria e la Toscana, l’altra verso le Marche e l’Italia settentrionale attraverso la valle del Pescara. 11. Dalla collaborazione delle associazioni Transita Onlus e Le Rotaie Molise è nata dal 2012 l’idea di organizzare dei treni turistici su una tratta ferroviaria sospesa al traffico passeggeri: la Sulmona-Carpinone con l’obiettivo di valorizzare l’infrastruttura e il contesto paesaggistico che attraversa. 12. Renzo A., 2013, Evoluzione storica del patrimonio zootecnico di Pescocostanzo (abstract), in atti /Pascoli, boschi, beni comuni di Pescocostanzo. 13. Farinelli F., 2000, I caratteri originali del paesaggio abruzzese, in /Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. L’Abruzzo/, Einaudi, Torino, p.140 14. E. Giammarco, 1970, Terminologia agricola dell’area teramana nell’Alto Medioevo, in Atti del Convegno “I Rozzi e la storia dell’agricoltura medievale”, Teramo. 15. Il credito edilizio è l’istituto che consente di riconoscere una capacità edilizia in aree periurbane da cedere per interventi di rinaturalizzazione e riforestazione e trasferita nelle arre del centro urbano da densificare. Regione Veneto, art. 36 LR 11/2004, Riqualificazione ambientale e credito edilizio: Il comune nell’ambito del piano di assetto del territorio (PAT) individua le eventuali opere incongrue, gli elementi
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di degrado, gli interventi di miglioramento della qualità urbana e di riordino della zona agricola definendo gli obiettivi di ripristino e di riqualificazione urbanistica, paesaggistica, architettonica e ambientale del territorio che si intendono realizzare e gli indirizzi e le direttive relativi agli interventi da attuare (comma 1). Il comune con il piano degli interventi (PI) disciplina gli interventi di trasformazione da realizzare per conseguire gli obiettivi di cui al comma 1 (comma2). La demolizione delle opere incongrue, l’eliminazine degli elementi di degrado, o la realizzazione degli interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica e ambientale di cui al comma 1 (comma 3). 16. L’abbandono dalla pratiche produttive selvicolturali e una manutenzione precaria dei boschi comporta un incremento dei rischi ambientali legati agli incendi. La vulnerabilità agli incendi è dovuta: alla mancanza delle cure colturali dei cedui a regime e abbandono della coltivazione il quelli in periodo di attesa; alla struttura dei soprassuoli ovvero l’assenza di interruzioni verticali e orizzontali della copertura. 17. Regione Abruzzo, Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020. 18. Consorzi forestali , come definiti nell’art. 23 della L.r. 4.01.2014 n. 3: "Al fine di migliorare la gestione dei boschi e dei pascoli di proprietà pubblica e privata e di agevolare e razionalizzare le attività di pianificazione, quelle silvo-pastorali, nonché lavori ed opere silvo-pastorali, la Regione e gli enti locali promuovono la costituzione di consorzi forestali e di altre forme associative o contrattuali fra i proprietari di boschi e pascoli, le imprese forestali iscritte nell'albo di cui all'articolo 27, imprenditori agricoli e coltivatori diretti e, in genere, i soggetti della filiera bosco-legno".
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