40FOTO n. 1
VENEZIA E JOSEPH BRODSKIJ
maggio 2008
40FOTO mensile digitale Anno I - Numero 1 - maggio
direzione progetto editoriale progetto grafico, impaginazione Renato Dalla Venezia foto Renato Dalla Venezia
Copyright © 2008 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta senza il previo consenso scritto di Renato Dalla Venezia Renato Dalla Venezia redave@virgilio.it
40FOTO si propone di descrivere un evento, un’idea, un soggetto attraverso un numero ristretto di fotografie, 40 appunto. Limitando il testo, se non per una sommaria descrizione dell’argomento trattato. Perchè l’immagine non deve essere sviata dalla descrizione. Perchè l’immagine dev’essere emozione. E come ebbe modo di dire Edward Weston: E’ arte la fotografia? Quien sabe? Chi lo sa e chi se ne importa? Mi piace!
40FOTO n. 1
una rivista per immagini
maggio 2008
Il secondo numero di 40FOTO è dedicato a Venezia e a Josif Brodskij. Josif Aleksandrovič Brodskij, poeta russo, (Leningrado, 24/05/1940 – New York, 28/01/1996) Esordì nel 1958 pubblicando alcune poesie in una rivista clandestina; venne subito riconosciuto come uno dei poeti di maggior talento della sua generazione e ricevette il sostegno della poetessa Anna Achmatova, che gli dedicò una delle sue raccolte (1963). Fu denunciato per la prima volta da un giornale di Leningrado, che attaccò i suoi lavori come pornografici e antisovietici. Nel 1964 fu arrestato con l’accusa di parassitismo e condannato, dopo un processo che scatenò violente reazioni nell’opinione pubblica mondiale, a cinque anni di lavori forzati. Rilasciato dopo diciotto mesi, tornò a vivere a Leningrado, dedicandosi soprattutto alla traduzione di poeti inglesi come John Donne e Gerard Manley Hopkins. Nel frattempo venne pubblicata a New York, nel 1970, la sua raccolta di versi Fermata nel deserto, che confermò il suo straordinario estro poetico. Nel 1972 fu costretto dalle autorità sovietiche a emigrare e si stabilì negli Stati Uniti, dove tenne corsi in varie università e svolse ampia attività pubblicistica (Fuga da Bisanzio (Less than one), 1986) e poetica (Elegie romane, 1982). Nel 1987 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, e nel suo discorso a Stoccolma individuò le radici della sua opera di classico contemporaneo in quattro poeti: Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Robert Frost e W.H. Auden. Nel 1991 fu nominato poeta laureato degli Stati Uniti. Morì nel suo appartamento di Brooklyn per un attacco di cuore nel 1996. Per sua volontà è stato sepolto nel cimitero sull’isola di San Michele a Venezia, da lui sempre considerata sua città di elezione, a cui dedicò molte poesie e un libretto intitolato Fondamenta degli Incurabili (1989). [Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.] “In questa città l’occhio acquista un’autonomia simile a quella di una lacrima. L’unica differenza è che non stacca dal corpo, ma lo subordina totalmente. Dopo un poco - il terzo o quarto giorno dopo l’arrivo - il corpo comincia a considerarsi semplicemente il veicolo dell’occhio, quasi un sottomarino rispetto al suo periscopio che ora si dilata e ora si contrae. Certo, ci sarebbero molti bersagli, ma tutti i colpi ricadono sul sottomarino stesso: è il cuore che affonda, o la mente, se si vuole, mentre l’occhio torna sempre a galla. E’ una conseguenza naturale della topografia veneziana, dei vicoli tortuosi e sguscianti come anguille che alla fine ti portano a una grande sogliola, a una piazza con una chiesa al centro, incrostata da santi, che ostenta nel cielo le cupole simili a meduse. Qualunque meta tu possa prefiggerti nell’uscire di casa, sei destinato a perderti in questo groviglio di calle e callette che ti invitano a percorrerle fino in fondo c’è quasi sempre l’acqua di un canale (e così non puoi nemmeno chiamarlo un cul-desac). A guardarla sulla carta, questa città fa pensare a due pesci alla griglia serviti nello stesso piatto, o magari alle due chele di un’aragosta che quasi si sovrappongono (Pasternak la paragonava a un croissant rigonfio); ma non ha un Nord né un Sud, non ha Est nè Ovest; non ti indica una direzione, sempre e solo vie traverse. Ti circonda e ti avvolge come una massa di alghe marine sotto zero, e più ti dibatti da una parte e dall’altra cercando di orientarti, più ti smarrisci. Non ti aiutano molto nemmeno le frecce gialle agli incroci, perché sono tutte curve, anche loro. Non ti confortano: ti confondono. Se poi fermi un passante per chiedergli la strada, ecco che la sua mano guizza su e giù nell’aria, e l’occhio, senza badare all’uomo che farfuglia: “A destra, a sinistra, dritto, dritto”, vede in quella mano soltanto un pesce.” - Iosif Brodskij Tutti i testi sono tratti dal volume: Iosif Brodskij, Fondamenta degli Incurabili, Adelphi, Milano 2004
|Ciò che vediamo in questa città a ogni passo, a ogni curva, angolo, vicolo, aggrava in noi complessi e insicurezze.|
|In ogni caso, ho continuato per diciasette anni a ritornare in questa cittĂ , o a riapparirvi, con la frequenza di un brutto sogno.|
|Si dorme sodo in questa cittĂ , perchĂŠ i piedi faticano molto e affaticandosi placano una psiche eccitata e allo stesso modo, ogni senso di colpa.|
|In questa città l’imperativo territoriale dell’individuo è circostritto dall’acqua; le imposte delle finestre non escludono tanto la luce del giorno o il rumore (che qui è minimo) quanto ciò che può emanare dall’interno.|
|”Dipingi, dipingi!” ti grida la luce, scambiandoti per un Canaletto, un Carpaccio, un Guardi, oppure perché non si fida, non è tanto sicura chela tua retina sia capace di trattenere tutto ciò che lei ti squaderna davanti - per non parlare del cervello, della sua modesta capicità di assimilazione.|
|Guardai in quella direzione e rabbrividii. Sembrava di essere sulla soglia di un viscido e livido infinito. Feci un passo e vi entrai.|
|CosĂŹ, mentre ti aggiri per questi labirinti, non sai mai se insegui uno scopo o fuggi da te stesso, se sei il cacciatore o la sua preda.|
|E poi c’è sempre questa città. Fintanto che essa esiste, credo che non mi lascerò ipnotizzare o abbagliare da tragedie romantiche; né io, né spero, qualcun altro.|
|La mattina questa luce si affaccia ai vetri della tua finestra, ti schiude l’occhio come se fosse una conchiglia, ti chiama all’aperto e si mette a correre davanti a te strimpellando con i suoi lunghi raggi.|
|Se mai questa città dovesse trovarsi a corto di soldi, può sempre rivolgersi alla Kodak per un aiuto finanziario oppurre imporre tasse feroci sui prodotti della medesima.|
|Vorrei far notare che l’idea di trasformare Venezia in un museo è tanto assurdo quanto quella di rianimarla con l’immissione di sangue nuovo.|
|Ma una volta può bastare, specialmente d’inverno, quando la nebbia indigena, la famosa Nebbia, trascina la città fuori da tempo, rendendola più atemporale del sancta santorum di qualsiasi palazzo.|
|PerchĂŠ poi tutto questo dovesse avvenire proprio qui, non saprei dire.|
|Se c’è qualcosa di erotico nelle mamoree conseguanze di quei disegni architettonici, va ricercato nella sensazione che suscitano quando l’occhio si posa su una di esse - una sensazione simile a quella dei polpastrelli che toccano per la prima volta il seno o, meglio ancora, la spalla dell’essere amato.|
|La città è talmente narcisistica che ti trasforma la mente in un amalgama, alleggerendola del suo significato.|
|Senza volere, obbedisci alla città, specialmente se anche tu, come lei, non hai compagnia. Non essendo nato in questa città, puoi vantarti almeno di avere in comune con lei l’invisibilità.|
|Non resta che leggere o gironzolare a caso, due cose che piĂš o meno si equivalgono, perchĂŠ di notte queste stradine di pietra sono come i camminamenti tra gli scaffali di questa immensa biblioteca dimenticata, e sono altrettando tranquille.|
|E’ anche colpa - o merito - di tutto questo marmo, intarsi, capitelli, cornicioni, rilievi e modanature, nicchie abitate e didabitate, santi, non santi, vergini, angeli, cherubini cariatidi, frontoni, balconi con i loro robusti polpacci al venti, e relative finestre, gotiche o moresche.|
|La bellezza circostante è tale che quasi subito si è presi da una voglia assolutamente incoerente, animalesca, di tenerle testa, di mettersi alla pari.|
|Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo-alias-acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo. In più esiste indubbiamente una corrispondenza - se non un nesso esplicito - tra la natura rettangolare delle forme di quel pizzo - ossia degli edifici veneziani - e l’anarchia dell’acqua, che disdegna la nozione di forma.|
|Perché come ha detto un poeta, le responsabilità cominciano nei sogni. In ogni caso, certe idee celestiali -aggettivo quanto mai adatto a questa città! - devono essere venute agli architetti di notte, mentre sognavano, perché nella realtà quotidiana non c’è nulla che possa ispirarle.|
|Ci sono molti modi per guardare le facciate, e salendo su una gondola si sceglie il modo autentico, quello originale: cosÏ puoi vedere quello che vede l’acqua.|
|A volte appare azzurra, a volte grigia o bruna; invariabilmente è fredda e non potabile. Il moitvo per cui mi ingegno a filtrarla è che contiene tanti riflessi, tra i quali il mio.|
|E’ incredibile che la bellezza sia quotata meno della psicologia, ma fintanto che le cose stanno così riuscirò a permettermi questa città - ci riuscirò, in altre parole, sino alla fine dei miei giorni, e magari anche nell’altra vita.|
|Era una sensazione tutta particolare: trovarsi in movimento dentro quegli stessi canali che di solito lo sguardo scavalca per passare da una riva all’altra; era come acquistare una dimensione in piÚ.|
|E’ una luce privata, la luce del Giorgione o del Bellini, non la luce del Tiepolo o del Tintoretto. E la città vi si crogiola guastandone il tocco, la carezza dellinfinito dal quale essa è venuta. Un oggetto, dopo tutto, è ciò che rende privato l’infinito.|
|Comunque, adesso sapevo che cosa può significare per l’acqua essere accarezzata dall’acqua.|
|Un riflesso non può badare a un rilfesso.|
|Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è più grande di chi ama.|
|In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni.|
|ICredo sia stato Hazlitt a dire che l’unica cosa che potrebbe superare questa città d’acqua sarebbe una città costruita nell’aria.|
|Perchè noi andiamo a la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentra la bellezza è l’eterno presente.|
Città che affondi, dove la ragione più salda si tramuta d’un tratto in occhio umido, dove il fratello delle sfingi del Nord, leone alato e colto, non grida “da che parte stai?”, chiudendo il libro felice d’annegare dentro lo sciabordio degli specchi (da Laguna, VII pag.15 in Poesie Italiane, Adelphi, 1996)