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La città aumentata del neoantropocene

LA CITTÀ AUMENTATA DEL NEOANTROPOCENE

di Maurizio Carta

Platone nella Repubblica descriveva la città come «pascolo e nutrice della società», prescrivendo che essa dovesse essere buona, nutriente, salubre e protesa alla cura del bene comune. Dobbiamo recuperare la visione e la realizzazione di una città nutrice dell’umanità, esercitando un’urbanistica che non sia solo tecnica, norma e progetto, ma anche una neuroscienza dello spazio che concorra a modellare i nostri comportamenti attraverso una relazione emotiva oltre che razionale, psicocognitiva oltre che normativa, narrativa oltre che tecnica, cognitiva oltre che funzionale. Le città sono da sempre, e oggi con maggiore intensità e velocità, organismi vibranti di luoghi e comunità, di dati e informazioni, di sensori e attuatori, di azioni e reazioni generati sia dalle persone che dall’ambiente. E, quindi, devono agire come dispositivi abilitanti per migliorare la vita contemporanea. Saremmo in grado di costruire un ambiente urbano più efficiente, capace di percepire l’ambiente e di comprendere i bisogni, e di agire quotidianamente e per tutti gli abitanti? Capace di amplificare opportunità e talenti? Tra le risposte, oltre quelle ormai consunte della smart city, io propongo la Augmented City (Listlab, 2017) come un paradigma emergente che percepisca le richieste di una società più reticolare

e interconnessa, basata sulla conoscenza e creatività, che risponda al cambiamento globale attraverso un nuovo metabolismo circolare. Una città, insomma, che sia ambiente privilegiato della nostra “umanità aumentata”. La città aumentata è, quindi, lo strumento per entrare nel Neoantropocene generativo e collaborativo, superando il Paleoantropocene erosivo e dissipativo che ha caratterizzato la società – e la città – industriale dell’Ottocento e del Novecento. La città aumentata pretende un salto di paradigma in tutti i settori e cicli di vita, a partire dalla mobilità che è ancora ferma al modello novecentesco. Serve un modello urbano in cui le infrastrutture di trasporto siano il propulsore più efficace del cambiamento. Infrastrutture di connessione di una città sempre più policentrica e reticolare che concorrano non solo a soddisfare i reali fabbisogni di mobilità, ma siano indispensabili attivatrici di nuovi stili di vita e abilitatrici di opportunità per generare attorno ad esse nuovi spazi, socialità e diritti. In Italia, tranne rare eccezioni, le città si dibattono in un grave deficit infrastrutturale, sia in termini di dotazione, che di innovazione che di sicurezza – come dimostrano le recenti vicende – e in un drammatico gap di qualità ed efficacia

per quanto riguarda la mobilità. Per rimediare non dobbiamo solo accelerare l’innovazione, ma soprattutto farlo nella direzione giusta: una robusta cura del ferro, dell’acqua (e dell’aria) e del fosforo. Cioè un investimento politico, economico, urbanistico e culturale sull’innovazione infrastrutturale per il trasporto pubblico locale, sul rafforzamento dell’interfaccia tra porti, aeroporti e territorio e sulle tecnologie digitali per i trasporti intelligenti. Ed è dalle città che deve iniziare la cura, integrando i diversi modi di trasporto collettivo (ferrovie, metropolitane, tram, bus) in un sistema unitario di offerta, garantendo elevata qualità delle interconnessioni e sostenendo l’integrazione attraverso un’urbanistica e una politica per la mobilità coerenti: accessibilità ai nodi delle stazioni, sviluppo di corsie preferenziali, regolazione della motorizzazione mediante misure di road pricing sono tutte componenti determinanti per accompagnare il necessario mutamento nelle preferenze di mobilità dal trasporto individuale alla mobilità collettiva sostenibile. Alla cura del ferro si affianca la “vitamina” della mobilità condivisa e dolce. Car e bike sharing sono realtà ormai consolidate e in continua espansione e radicamento e l’Italia, grazie al progetto Vento [www.progetto.vento.polimi.it], sta riscoprendo la mobilità ciclabile non solo come mezzo più efficiente e sostenibile, ma anche per godere meglio l’esperienza culturale e naturale dei nostri paesaggi. Ciclovie che recuperano

le ferrovie dismesse, che si arrampicano lungo i “tratturi” interni, che corrono placide lungo valli fluviali riconnettendo antiche relazioni. Infine la tecnologia – la cura del fosforo – aiuta la mobilità ad essere sempre più interconnessa, digitale e sostenibile, e le autostrade saranno sempre più Smart Road, dorsali di informazioni che connetteranno vite e non solo luoghi. Anche la nostra multimodalità sarà agevolata dalla tecnologia: partiremo da casa in bicicletta o con una piccola auto elettrica condivisa, lasceremo il mezzo in una stazione del tram o della metropolitana, raggiungeremo una stazione per prendere un aereo o un porto per imbarcarci e a destinazione c’è già un’auto condivisa – presto a guida autonoma – che ci aspetta per portarci a destinazione, per poi “andarsi a cercare” un altro passeggero, tutto sulla punta delle dita possedendo uno smartphone invece che un’auto. Non sottovalutiamo, infine, che la sempre più avanzata interconnessione digitale delle auto e dei mezzi pubblici produrrà a breve una mole straordinaria di dati sulla vita urbana – raccolti e scambiati in tempo reale dalle vetture – e che saranno la base sia del prossimo salto infrastrutturale sia della rivoluzione urbanistica basata sulla conoscenza distribuita e condivisa. La rivoluzione infrastrutturale delle città aumentate genererà, inoltre, un prezioso dividendo spaziale dalla rimodellazione delle infrastrutture, delle aree di parcheggio e dei nodi di interscambio, dalla pedonalizzazione e ciclabilità:

nuove architetture sotterranee della “cittàmangrovia”, nuovo spazio pubblico della “cittàarcipelago”, spazi che si ritornano luoghi per le persone, estensioni dell’abitare da riprogettare e riconfigurare, come sta accadendo nel Poble Nou di Barcelona con il progetto Superilla. Infine, in tema di mobilità sostenibile è necessario raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi non solo per la riduzione delle emissioni ma anche per la convergenza verso modalità di trasporto che promuovano l’innovazione energetica, generando anche un benefico surplus energetico per illuminare, ad esempio, un quartiere o un lungomare. Scriveva Lewis Mumford nella sua monumentale opera del 1961 dedicata alle città: «la funzione principale di una città è di trasformare il potere in strutture, l’energia in cultura, elementi inerti in simboli vivi dell’arte, e la riproduzione biologica in creatività sociale». Una città concepita come medium culturale e sociale, come sistema pedagogico vivente, come un amplificatore di umanità. La città aumentata, quindi, non è la città del futuro remoto, ma ci stimola di abitare il diverso presente ■

La città aumentata – scrive Maurizio Carta nel suo libro – è il paradigma della città senziente, connessa, resiliente, fl uida e reticolare che con il crowdsourcing si modifi ca per adattarsi ai comportamenti delle persone che la vivono

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