Lea Barbagli, ricordi di vita

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Lea Barbagli

Ricordi di Vita


Lea Barbagli

Ricordi di Vita



Se io muoio non piangere per me, fai quello che facevo io e continuerò vivendo in te. (Ernesto Che Guevara)



“In Africa ogni volta che un anziano muore è come se bruciasse una biblioteca”. (scrittore Amadou Hampate Ba assemblea dell’Unesco nel 1962)



Non restare a piangere sulla mia tomba. Non sono lì, non dormo. Sono mille venti che soffiano. Sono la scintilla diamante sulla neve. Sono la luce del sole sul grano maturo. Sono la pioggerellina d’autunno. Quando ti svegli nella quiete del mattino… Sono le stelle che brillano la notte. Non restare a piangere sulla mia tomba. Non sono lì, non dormo. (Canto Navajo)



E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. (Tiziano Terzani, da “La fine è il mio inizio”)



Lasciate che i morti partano tranquillamente, non tratteneteli col vostro dolore e la vostra sofferenza. Pregate per loro, inviate loro il vostro amore, pensate che si liberino e si elevino sempre più nella luce. Se li amate veramente, sappiate che sarete un giorno con loro. Questa è la verità. Là dove è il vostro amore, là un giorno sarete voi. Per incontrare nuovamente quell’ essere lá dove si trova ora, l’ unico mezzo infallibile consiste nel fare lo sforzo di coltivare le stesse qualità che si sentivano e apprezzavano in lei quando era in vita. Se volete veramente ritrovare un essere a voi caro, non avete altra soluzione che cercarlo attraverso le sue virtù, perché un tale incontro può verificarsi soltanto per la legge di affinità. Sviluppando le sue stesse qualità, ritroverete il suo spirito, che é realmente quell’ essere. (Mikhaël Aïvanhov)



Indice Prefazione .....................................................................................................15 1- Le Origini ................................................................................................... 21 2- La Nascita ................................................................................................ 34 3- La Scuola .................................................................................................. 38 4- La Guerra .................................................................................................. 42 5- La strage di Civitella e la fuga nei boschi ................................................. 54 6- La Guerra finisce ...................................................................................... 59 7- L’incontro con Pietro ................................................................................ 65 8- Il comunismo e la perdita temporanea della Loccaia ...............................74 9- Il matrimonio ........................................................................................... 78 10- La Nascita di Annamaria .........................................................................87 11- Il trasferimento a Perugia ...................................................................... 90 12- Il trasferimento a Bologna ...................................................................... 96 13- Il trasferimento ad Anghiari (Ar) e la nascita di Paola ....................... 100 14- Il trasferimento a Pratovecchio ............................................................ 108 15- Le Elementari di Annamaria e l’asilo di Paola.......................................110 16- L’acquisto della Casa in Via Erbosa; finalmente ad Arezzo! ................. 117 17- I giovani di allora e quelli di oggi .......................................................... 139 18- Torno a scrivere, anno 2013 .................................................................. 141 19- La morte preannunciata negli anni Ottanta e l’Alzhaimer di Pietro ... 142 20- Riflessioni in Ospedale ......................................................................... 145 21- I giocattoli da bambina ......................................................................... 148 22- Ottobre 2013 ......................................................................................... 152 23- Dicembre 2013 in Ospedale .................................................................. 154 24- “Lea Miracolata” .................................................................................. 156 25- Dio ........................................................................................................ 162 26- Piccole avversità .................................................................................. 164 27- La Terrazza: Il Mio Regno .................................................................... 168 28- Le Mie Figlie .......................................................................................... 171 29- I Nipoti ...................................................................................................173 30- Febbraio 2014:Il colore delle unghie .....................................................175 31- Marzo 2014 ............................................................................................179 32- Bellezze del Creato ................................................................................ 181 33- Ottobre 2014 ......................................................................................... 185 34- Francesco ............................................................................................. 188 35- Marzo 2015 (ultimo pensiero) ............................................................. 190 Fotografie Appunti autografi ...................................................................... 199 Ringraziamenti ........................................................................................... 285



Prefazione Ho iniziato la trascrizione dei diari di mia nonna pochi giorni dopo la sua scomparsa (29 Luglio 2015) avvenuta dopo una lunga, estenuante battaglia personale contro le varie malattie che l’avevano colpita nel corso della sua vecchiaia. Ovviamente è stato straziante leggere i suoi diari a così poca distanza temporale dalla sua morte. Mi ricordo che nel corso dei suoi ultimi anni l’avevo personalmente incitata alla scrittura degli stessi, ma con poco interesse ed entusiasmo(differentemente da quello che mettevo nell’arredarle casa con piante di tutte le dimensioni e colori dell’Esselunga). Questa negligenza è un piccolo rimorso che mi sento addosso adesso che mi rendo conto che i diari sarebbero potuti essere più completi ed esaurienti. Quello che stiamo per leggere è quindi si una piccola autobiografia, ma non sempre cronologicamente raccontata; ripetuti i flashback e le riflessioni “fuori contesto”. Ne emerge il ritratto di una vita vera, sincera, genuina, autentica, lontana dal palcoscenico che a volte taluni tendono a creare attorno alla propria esistenza. Una

vita

semplice,

modesta

materialmente,

commisurata, proporzionata, ragguagliata.

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Una persona che, come tutti i nostri padri e/o nonni, ha vissuto la “felicità nella non ricchezza” (come lei spessissimo diceva) di una generazione che non aveva nulla ma che il nulla si faceva bastare nell’esercizio quotidiano di una vita che invece era piena di sentimenti, valori, religione (dal latino relìgio, legare), doveri. Una generazione che ha vissuto direttamente l’orridezza e l’abominazione del totalitarismo novecentesco e della conseguente guerra impostasi sui propri territori e che ha poi disprezzato ogni forma di riproposizione di ideologie ed estremismi, usando come luce di vita la sobrietà, la frugalità, la moderatezza e la parsimonia. Mia nonna era questo, una Donna che aveva fatto del proprio candore, bonarietà e umiltà le proprie ragioni di vita. Certo, aveva anche alcuni difetti, ma non è questa la sede per poterne parlare dato il profluvio di caratteristiche positive che la contraddistinguevano. Ho personalmente passato molto tempo con lei giacché veniva a casa a guardare me e mio fratello Francesco tutti i pomeriggi (preparandoci la cena). Con lei abbiamo giocato a nascondino e a carte (briscola, rubamazzo, uomo nero), imparato a contare con le tabelline, ci ha fatto i disegni per scuola (anche ai compagni di classe).

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L’altra tragedia umana che lei in prima persona aveva vissuto (oltre alla Guerra), la malattia di Alzheimer che colpii mio nonno Pietro, mi ha reso fin da piccolo consapevole della caducità della vita umana, della precarietà e del dolore che investe molte manifestazioni dell’esistenza, dell’importanza di vivere il momento hic et nunc (Carpe diem quam minimum credula postero), nel rispetto di sé stessi e degli altri, facendo propria l’oraziana “Est modus in rebus sunt certi denique fines,

Quos ultra citraque nequit consistere rectum” (V’è una

misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto») Tutti coloro che l’hanno conosciuta l’hanno sin da subito identificata come una persona sorridente e amabile, come mio fratello Francesco scrive nell’incipit della sua tesi di laurea (dedicata a lei): “Era quel tipo di persona a cui la bocca era stata fatta

apposta per sorridere. E quando sorrideva ci sapeva proprio fare”.

Due sono le emozioni più forti che mi ha trasmesso negli ultimi bui mesi del 2015. Il senso di meraviglia che provava di fronte alla bellezza delle piante che aveva in casa e che vedeva nel dirimpetto Parco Giotto;

gli occhi, stanchi, si

riempivano di lucore, iridescenza pari a quella del fiore stesso.

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Nel Maggio riuscimmo, dopo varie peripezie, a proiettare a casa sua un film simbolo per ogni aretino: “La Vita è Bella” di Roberto Benigni. Poter assistere alla sua eccitazione, emozione ed effervescenza è stato per me impareggiabile . In quella pellicola il Maestro Benigni riesce a riassumere l’anima di ogni persona perbene che ha vissuto quegli anni lugubri. Lea era un concentrato di tutto ciò. La lezione più grande che lei, protagonista di sventure storiche, parentali, fisiche mi ha trasmesso è proprio questa: “La vita, comunque vada, è bella”.

Lorenzo Romizi (02/12/2015)

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a mia nonna Lea

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Gli Appunti sono stati trascritti fedelmente, senza alcuna correzione nĂŠ revisione. 20


1 Le Origini Io sono nata tanti anni fa in una famiglia della campagna della Val di Chiana, ad Albergo1. È stato chiamato così perché lì c'era stato costruito un gran capanno, con tanti campi a lato. Qui venivano e si soffermavano per diversi giorni i pastori di montagna con i loro greggi stanchi e bisognosi di riposo, per poi proseguire verso la Maremma. La famiglia che ho conosciuto io era composta dai miei bisnonni, nonni e genitori. I miei bisnonni e cioè Giuseppe e Maria con il figlio Lorenzo abitavano a Campara, una campagna 1 Frazione di Civitella in Val Di Chiana: sorge

sulla sommità di un colle a oltre 500 m s. l. m. , 15 km a sud- ovest di Arezzo. Il territorio comunale si può dividere in due zone: una di bassa montagna, nella quale è situata la stessa Civitella, ricoperta di boschi e costituente una propaggine dei Preappennini toscani; ed una pianeggiante, che forma la parte settentrionale della Val di Chiana. In effetti il territorio civitellino, delimitato a sud dal comune di Monte San Savino e a nord- est da quello di Arezzo, giunge fino ai primi comuni del Valdarno, Laterina a nord est, Bucine e Pergine a nord- ovest. 21


vicino alla montagna, dove vivevano onestamente, ma con tanta miseria. Giuseppe e Lorenzo cominciarono a lavorare il legno che prendevano in un bosco vicino casa e ne uscivano fuori delle belle carriole, utili per portare gli attrezzi da lavoro nei campi. Cominciarono a piacere anche alla gente e così si misero a lavorare questo legno. Essendo molto distanti dai paesi più grandi decisero di cambiare casa e guarda caso arrivarono ad Albergo. Qui cominciarono a creare anche sedie, tavoli, scaldaletti, insomma erano bravini e molto pieni di voglia di lavorare. Intanto Lorenzo però era diventato grande ed era ora che si trovasse una brava moglie. La cerco e la trovò. Era Maria, anche lei con il nome uguale alla mamma ed abitava a Ciggiano, un paesino vicino ma più grande di Albergo. Questa Maria era figlia di contadini e proprio lei che, essendo femmina, non andava scuola, era guardiana di pecore.

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Le pecore sono animali molto docili e miti e quando le portava nei campi, loro pensavano soltanto a brucare l'erba. Allora Maria cercò di portarsi da casa il lavoro. Un giorno, mi aveva raccontato, che la madre le aveva dato dei pantaloni del babbo vecchi e molto rotti e li doveva rappezzare. Maria, guardando quella stoffa nuova, che avevano fatto loro donne al telaio di casa, trovò più giusto rifare i pantaloni tutti nuovi. Allora disfece i vecchi e quando andò a casa la sera, prese i vecchi pantaloni disfatti, li mise sopra la stoffa nuova e li tagliò uguali. La madre di Maria, quando se ne accorse, la brontolò moltissimo e la mandò a letto senza cena. A Maria dispiacque moltissimo e quando tutti dormivano, prese il suo lume a petrolio e ricominciò a lavorare sui calzoni nuovi. Quando la mattina si alzò suo padre i pantaloni di Maria erano pronti, imbastiti, così glieli fece provare e meraviglia delle andavano benissimo.

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meraviglie,


Si svegliarono tutti in famiglia, anche la madre abbracciò Maria e tutti rimasero entusiasti e contenti. Così Maria piano piano diventò la sartina del posto e finalmente anche la moglie di Lorenzo. Venne ad abitare ad Albergo con il suo Lorenzo e la suocera. La suocera continuava ad allevare polli e conigli, mentre Maria cuciva i pantaloni a chi glielo chiedeva. Ora successe che Maria aspettasse un figlio, tutti ne furono contenti, ma la felicità non durò a lungo perché Maria ebbe un aborto, dopo un po' un altro e un altro, fino a che decise di arrendersi. Però senza figli erano tristi e si sentivano molto soli, così i miei nonni decisero di andare a Siena, dove c'erano un ospizio di bimbi abbandonati. Lì, dopo qualche giorno, trovarono un maschietto di famiglia ignota. Nessuno sapeva dove poteva essere nato e da chi. L'ospizio detto il nome al bimbo e cioè Decio Dantini.

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Il nome era strano ma i miei nonni felici e contenti se ne tornarono a casa e proprio in quel momento pensarono di comprar casa, anche perché la famiglia era cresciuta. Così acquistarono il terreno lì vicino , sempre all'Albergo e incominciarono a costruire la casa dove sono nata io. Allora la casa, dopo diversi anni, fu finita, Decio cresceva e andava scuola a Oliveto dove c'erano tre anni soltanto di scuola e poi lavorava con i nonni. A proposito, Decio era molto intelligente, tanto affezionato ai genitori, molto lavoratore e amante di sapere cose sempre nuove. Con il babbo e il nonno impararono a fare carri agricoli, calessini, barrocci, facevano ruote di legno ma con i cerchioni di ferro. Questi ultimi ogni tanto dovevano essere ristretti, però era un lavoro che non era tanto apprezzato dai falegnami, quindi erano quasi unici a farlo nei paraggi e perciò molto impegnativo.

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Gli anni passavano e Decio si era fatto un bel giovane piuttosto piacente. Dopo aver fatto il servizio militare anche Decio trovò una ragazza di Ciggiano di nome Maria. Ecco cosÏ la terza Maria. Si sposarono e finalmente questi sono i miei genitori.

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Giuseppe Barbagli 1850 – 1929 Maria Mencucci 1849 – 1934 genitori di Lorenzo, bisnonni di Lea. 27


Lorenzo e Maria, 1902.

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Lorenzo in divisa, 1915 circa.

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Decio Barbagli (prima Dantini) 1901-1992, Armata dell'aria. 1920 circa.

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Decio, 1923 circa.

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Decio, 1933 circa.

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Maria, LocalitĂ Oliveto, Civitella in Val di Chiana - 1922 circa.

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2 La Nascita Siamo arrivati già al 1925. Dopo nove mesi gli nacque una bella bambina che chiamarono Lea. Questa cresceva bene e si dice anche che era bellissima, ma la felicità di tutta la famiglia durò poco, forse troppo poco. A più di un anno di vita a Lea venne un forte disturbo intestinale. Chiamarono il medico, ma non ci fu niente da fare, dopo qualche giorno Lea morì. Disperazioni, pianti, specialmente della mamma e andò avanti per quasi un anno, perché nel 1927 nel mese di Ottobre nacqui io. La contentezza non fu completa, perché al momento della nascita mia madre ebbe un parto precipitoso, quindi senza ostetrica vicina né medico. Mio padre, che era andato a cercarli al paese vicino, quando ritornò trovò me già nata e già sistemata dalla mia bisnonna Maria, ma mia madre con una forte emorragia.

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Fu necessaria per me una balia, perchÊ mia madre, secondo il medico, non avrebbe potuto allattare. Fu cosÏ che io andai un'altra casa, in un'altra famiglia con tanti bambini tutti cicciotti e una balia che mi dava il latte dal suo seno. La mia mamma e mio padre venivano spesso a trovarmi, mi dicono, perchÊ io troppo piccola per ricordare. Finalmente tornai a casa dai miei genitori con la balia però, perchÊ io all'inizio non volevo vedere nessun altro e non conoscevo nessuno. Ben presti mi affezionai a tutti, specialmente a mia madre e mio padre. Feci la conoscenza con i miei nonni e bisnonni che mi facevano giocare e ogni tanto mi davano qualche dolcino, senza farsi vedere dalla mamma. Ricordo anche ora la mia bisnonna che d'estate, con un gran cappello di paglia in testa, una gonna tutta lunga fino ai piedi e tutta piegata, che usciva e andava ancora nei campi a fare l'erba per i conigli e a raccogliere spighe di grano, dopo la mietitura.

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Era una figura bellissima, sebbene ottantenne. Dopo due anni dalla mia nascita, Giuseppe, il mio bisnonno, morÏ anche lui ormai vecchio. Intanto il tempo passava e mia nonna Maria pensò di fare l'affiliazione di suo figlio Decio, veramente valida civilmente. Ad Arezzo ancora non si faceva, allora non si dette per vinta e preso l'avvocato di Monte San Savino, andarono tutti a Firenze e con un po' di soldi riuscirono a cambiare il cognome da Dantini in Barbagli, come si chiamavano loro. Fu una gioia grande e cosÏ io andai a scuola a Oliveto con il nome di Barbagli Lea.

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Lea, giorno di festa, Agosto 1936.

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3 La Scuola La mia scuola di Oliveto era composta da due grandi sale: in una c'erano i bambini di seconda e quarta classe, nell'altra di prima e di terza, naturalmente con due sole maestre. Dopo quattro anni di scuola ad Oliveto, per la quale dovevo fare un bel chilometro a piedi, mio padre prese la decisione di farmi proseguire gli studi e così mi mandò ad Arezzo. Arezzo, dista da Albergo sedici chilometri, però c'era un trenino che io potevo prendere e così feci. Intanto il tempo passava e incominciarono i tempi più brutti per me. In quel periodo eravamo sotto il fascismo, con a capo Benito Mussolini, il quale si era alleato con Hitler, tedesco. Si cominciava già a sentir parlare di guerra e io ero disperata, perché nel 1939, mio padre, all'età di 38 anni, fu richiamato dall'esercito italiano. Mio padre era in Aviazione ed era necessario, dicevano, per preparare aerei, campi di aviazione per una possibile guerra.

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Noi a casa rimanemmo tutti malissimo. La mia bisnonna intanto era morta, il mio nonno Lorenzo si era invecchiato e ammalato, così dovettero chiudere la bottega con i carri e altro lavoro da fare. Furono anni tristissimi e poverissimi. Avevo dimenticato di parlare dei genitori di mia madre che era figlia unica e proprio nel 1935 era morto suo padre, quindi mio nonno, così lasciava la moglie Carolina, mia nonna, da sola. Mio padre, però, era riuscito a portarla all'Albergo con noi. La sua casa detta la “Loccaia” fu data a mezzadria già da mio nonno, prima di morire, ad una famiglia di tre persone, per essere lavorati i campi e la casa per abitarci. Io ebbi così un'altra nonna che venne a dormire in camera mia.

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Lea, Scuola elementare inferiore, LocalitĂ Oliveto, Civitella in Val di Chiana, classe II b, 1934.

Lea, il giorno della prima comunione, LocalitĂ Oliveto, Civitella in Val di Chiana, 1937. 40


Stazione Ferroviara di Arezzo, 1870.

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4 La Guerra Intanto il tempo passava e si sentiva sempre di più la guerra vicina. Mio padre, sempre soldato Roma, finché ebbe la sorpresa di essere inviato in Africa. Per fortuna conosceva un graduato dell'aviazione lì a Roma e sempre per fortuna riuscì a farlo trasferire in un altro campo di aviazione e, come Dio volle, di Africa non se ne parlo più. Un giorno, eravamo nel 1940, un ragazzino di Albergo, venne ad avvertirci che in quella sera ci sarebbe stato alla radio, che aveva soltanto la maestra, la Dichiarazione di Guerra di Benito Mussolini2, ed eravamo tutti invitati ad andare a sentirlo da lei.

2 Incipit della Dichiarazione di Benito Mussolini:

“Combattenti di terra, di mare e dell'aria, Camicie nere della. Rivoluzione e delle Legioni, uomini e donne d'Italia, dell'Impero e del Regno d'Albania, ascoltate! Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e, spesso insidiato l'esistenza medesima del Popolo italiano.”

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Infatti eravamo tanti, perché nessuno in tutto il paese aveva una radiolina e tantomeno il giornale. Questa maestra ci mise la radio nel suo terrazzo e di sotto dal suo orto noi ascoltavamo benissimo. La maestra era una vera fascista, il figlio era il Podestà del Comune di Civitella della Chiana e noi sentivamo la maestra che diceva: “Bravo,

Bravo!” a Benito Mussolini. Io allora dodicenne ci andai con mia madre e per strada e in casa ci si mise a piangere, perché pensavamo a mio padre e a tutte le conseguenze che porta la guerra.

Decio Barbagli con i suoi commilitoni vicino ad un aereo della Regia Aeronautica.

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Io intanto andavo sempre a scuola ad Arezzo e guardavo nelle edicole dei giornali gli ultimi sviluppi della guerra. Si incominciava a sentir parlare di bombardamenti in alcune città italiane ed anche ad Arezzo spesso suonava l'allarme. Infatti il due dicembre alle ore undici eravamo tutte in classe all'Istituto Tecnico e ricordo che facevamo proprio ragioneria, quando cominciò a suonare la sirena di allarme. Allora, come al solito, il Segretario dell'Istituto Tecnico, (un “fascistone”) dette l'ordine di lasciare l'aula libera e di scappare. Le donne dell'Istituto Tecnico, pur frequentando classi miste, dovevano entrare e uscire da Piazza della Badia, mentre i maschi dall'ingresso principale. Io con altre due amiche, volevamo andare verso il Prato, passando per via Aurelio Saffi. Però, a metà strada, si incominciò a sentire rumore di apparecchi e dopo un po' cominciarono a cadere sulla strada pezzi di tegole dei tetti delle case, calcinacci e polvere, tanta polvere.

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Noi tutte, prese dalla paura, non si sapeva e forse anche non si poteva più camminare, per fortuna, trovammo un portone di una casa aperta ed entrammo lì. Sentivamo sempre il rumore assordante degli apparecchi, il rumore delle bombe che cadevano e noi che si piangeva e in ultimo ci si distese per le scale di quella casa. Ogni tanto anche questi scalini ballavano, che paura! Finalmente gli apparecchi non si sentirono più, tornò un po' di silenzio e noi uscimmo fuori. Quando uscimmo, tornammo verso la nostra scuola e trovammo proprio la parte dove avevamo l'aula e c'eravamo state, forse mezz'ora fa, tutta a terra. C'erano le macerie che fumavano e una gran polvere, tanto che arrivò la polizia e fece allontanare tutti. Anche la caserma dei soldati davanti all'Istituto Tecnico era a terra e anche lì polvere e fumo. Noi eravamo in tre e tutte non abitavamo ad Arezzo, ma si prendeva il trenino per tornare a casa.

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Eravamo disperate e non ci si reggeva più in piedi, l'unico desiderio era quello di tornare a casa. Andammo verso la stazione e anche qui trovammo macerie, macerie e la polizia che non faceva entrare nessuno. Un signore molto gentile ci disse di andare a Pescaiola a piedi, perché da lì forse partiva qualche treno verso Sinalunga. Dopo tante domande riuscimmo ad arrivare a Pescaiola e dopo qualche ora partì un treno verso casa. Finalmente verso sera arrivammo a casa, tra la gioia mia e quella della mia famiglia. A me veniva sempre in mente: “O casa dolce casa! Benché piccola tu sia tu mi

sembri una Badia!”. Da quel giorno Arezzo, o lì vicino, fu bombardata altre volte, ma io a scuola non ci tornai più. Però i tedeschi da noi erano sempre di più. Vicino a casa nostra c'era una pineta che era diventata un deposito di benzina, così passavano delle colonne di camion tedeschi, si caricavano e la portavano nei posti di combattimento.

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La guerra andava male, anzi malissimo. Una mattina, mentre c'erano questi camion pieni di taniche di benzina, passarono gli aerei e cominciarono a mitragliare. Uno di questi camion si era riparato presso una casa vicina alla nostra, fu mitragliato e incendiato. Però anche la casa prese fuoco e non ci rimase più niente. Noi avemmo paura, scappammo e andammo alla Loccaia (Località Ciggiano, Arezzo ndc) . In quel tempo era tornato anche mio padre da soldato ed eravamo contenti; senonché avvenne un'altra cosa che ci fece stare male.

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Piazza della Badia, Lato Sud-Ovest. Sulla Sinistra il R. Istituto Tecnico e l’Ufficio Postale. Monumento a Umberto I; a destra, l’imbocco di Via Cavour (antica Via di Vallelunga) 1901-1905 48


Chiostro del Plazzo della Badia - 1920.

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Istituto Tecnico Buonarroti - 1934.

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Piazza del Popolo. Il giardino all’italiana della nuova piazza. Di fronte, il R. Istituto Tecnico con la torretta dell’osservatorio astronomico. Sul fondo, il campanile della Chiesa di Badia - 1935. 51


Piazza del Popolo - Dicembre 1943.

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Chiostro distrutto - 1944.

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5 La strage di Civitella e la fuga nei boschi Durante questa guerra in Italia c'erano i partigiani che aiutavano la guerra ad andare avanti (dicevano loro), anche da noi c'erano questi giovani che erano disertori o più giovani o più vecchi per andare in guerra e vivevano sopra i centri abitati, ma andavano nelle case dei montanari a mangiare e a dormire. Scendevano anche in basso e andavano nelle case a chiedere soldi per fare la spesa (da noi non vennero mai, perché sapevano che non ne avevamo) e vivevano bighellonando. Una sera entrarono in un bar di Civitella e ci trovarono due tedeschi che, seduti ad un tavolino, bevevano vino. Questi partigiani tirarono fuori la pistola; uno lo uccisero e uno lo ferirono gravemente. Questo tedesco ferito tornò alla base e denunciò il fatto. Era la vigilia, cioè il ventotto giugno, di San Pietro e Paolo. La mattina dopo era giorno di festa e molti abitanti di Civitella e dintorni andarono a Messa.

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Quasi alla fine arrivarono i tedeschi, fecero uscire tutti i partecipanti e li misero intorno ad una fontana, che era nel mezzo della Piazza della Chiesa, compreso il parroco. Il parroco si accorse subito dell'intenzione dei tedeschi, andò vicino al capo, chiese loro di essere ucciso lui, lasciando liberi gli altri che avevano figli e famiglia. I tedeschi ci risero un po' e poi li uccisero tutti. 3 Entrarono anche nelle case dei civitellini mandarono via le donne e i bambini e poi gli bruciano le case e gli uomini. Tutto il paese bruciava, noi si vedevano le fiamme dalla Loccaia e cominciammo ad avere paura grande. Anche le altre zone, dove erano stati i partigiani, ebbero la stessa sorte. In una di queste abitava la nostra parente che ebbe la stessa sorte e cioè il marito morto e la casa bruciata. Aveva due figlie e non avevano neanche da cambiarsi, vennero da noi e così mia mamma 3 L'eccidio di Civitella fu una strage compiuta

dalle truppe naziste il 29 giugno 1944 nelle località diCivitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio, in provincia di Arezzo, che cagionò l'uccisione di 244 civili. 55


andò in casa e prese una borsa con un po' di biancheria, di vestiti e qualche paio di scarpe e gliele dette mentre loro piangevano e si disperavano. Alla Loccaia ci vennero a dire che nella notte i tedeschi sarebbero venuti anche da noi e avrebbero proseguito il lavoro come a Civitella. Noi avemmo paura e allora andammo tutti a dormire fuori. Ma anche lì che paura! Per fortuna tutto andò per il meglio, tornammo in casa e decidemmo di andare in un bosco là vicino. Mio padre prese un prosciutto quasi intero, qualche altra famiglia il pane, anche se duro, qualche altro da bere e qualche bottiglia di olio. Mio nonno Lorenzo non poteva camminare senza bastone, a causa della sua gamba paralizzata, così fu trainato di peso da diversi uomini. Arrivammo nel bosco e trovammo una tana, che molti sapevano che esisteva da tempo, abbastanza grande e c'entrammo tutti. Qualcuno ogni giorno usciva fuori e cercava di informarsi su come andava la guerra e delle ultime novità. I partigiani, dopo questa bravata, non si fecero più vedere. 56


Roma 1941. (Le immagini dei soldati tedeschi sono state cancellate da Decio alla fine della guerra)

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Roma 1941. (Le immagini dei soldati tedeschi sono state cancellate da Decio alla fine della guerra)

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6 La Guerra finisce Si seppe che l'otto settembre 1943 l'Italia aveva firmato l'armistizio con i vecchi nemici ed ora i soldati italiani dovevano rivolgere i fucili contro gli ex-alleati tedeschi.

Il Gran Consiglio del Fascismo t o l s e a Mussolini la fiducia e per ordine di Vittorio Emanuele III fu arrestato. Fu inviato prima a Ponza, poi alla Maddalena e infine al Gran Sasso. Fu liberato dai tedeschi e dette vita alla Repubblica Sociale Italiana. Però nell'Italia Settentrionale scoppiò un'insurrezione partigiana, Mussolini tentò la fuga ma fu catturato a Dongo e venne fucilato dagli stessi partigiani. Questi furono i veri partigiani. Era il venticinque aprile 19454, 4 «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale

contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.» (Sandro Pertini proclama lo sciopero generale, Milano, 25 aprile 1945). L'anniversario della liberazione d'Italia è una festività della Repubblica Italiana che ricorre il 25 aprile di ogni anno. È un giorno fondamentale per la 59


una data che ricordo benissimo, e così la guerra era finita. Noi tutti eravamo felici, ognuno riprese il suo lavoro, interrotto dalla guerra e anch'io tornai ad Arezzo, ma tutto era diverso, il treno non c'era più e dovevamo andarci in bicicletta. La mia scuola era mezza distrutta e io che avevo tanta voglia di finire quella scuola, perché alla mia età, se non ci fosse stata la guerra, sarei stata già di diplomata. Allora mi iscrissi all'Istituto e quando la scuola riaprì, io ero lì. Però la mia scuola non era ricostruita tutta e allora ci si dovette trasferire in una sede provvisoria, ma fuori Arezzo e quindi più lontana per me che andavo in bicicletta da Albergo. Fu un anno difficilissimo, tanto che i miei genitori si accorsero che non ce l'avrei fatta e storia d'Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l'occupazione nazista. 60


in pieno inverno mi trovarono una stanza da una signora che aveva abitato a Ciggiano. Questa era una pensionata anziana, quasi una nonna, ma era tanto contenta di avermi là da lei e anche di soldi, si accontentava. Però la stanza era un vecchio salotto senza stufa e senza gas. Si poteva riscaldare solo con un bellissimo camino a legna, era bello ma ci voleva tempo. Allora la signora la mattina mi faceva scaldare il latte nella sua cucina. Questa casa si trovava in Via Curtatone, era una casa piccola ma con un giardino davanti e dietro (ora non esiste piÚ, ma ci hanno costruito un bel palazzo).

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Lea, 1949 circa

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In questa strada mi accorsi, dopo qualche giorno, che ci abitava una mia amica di scuola, Ersilia Guidelli.

Ersilia Guidelli

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Fummo molto contente e così si andava e si ripartiva da scuola insieme. Con lei feci molte amicizie, tutte ragazzine della nostra età e così il pomeriggio, dopo i compiti, uscivamo quasi tutte e si faceva la solita passeggiata di Corso. A quei tempi non c'era altro però io ero contenta così.

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7 L'incontro con Pietro Una sera uscivamo per la solita passeggiata e incontrammo dei ragazzi più grandi di noi, che c'eravamo visti all'Istituto Tecnico prima del passaggio del fronte, e loro ora erano già diplomati. Passammo insieme un po' di tempo, Ersilia più di me conosceva Pietro Pancini e gli chiedeva come si trovava al lavoro, quante ore faceva, insomma un sacco di cose. C'era un altro amico Marcello che ancora era disoccupato e però sperava di trovarlo presto. Pietro detto “Piter il Grand” era molto alto e perciò il professore di tedesco, quando andava scuola, lo chiamava così. Era anche molto chiacchierone e dato che ci si conosceva poco, incominciammo a parlare di noi e di lui soprattutto.

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Pietro Pancini, 1949 circa

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Mi raccontò che già lavorava a I. N. G. I. C. 5, in una palazzina al Pino (Via Vittorio Veneto) così si chiamava allora la zona. Era vicino alla Chiesa di Saione ed era in pratica il dazio. Il dazio ora non esiste più, ma era una imposta indiretta che colpiva le merci all'atto del loro trasferimento da un Comune all'altro ed era affidato ad una persona incaricata, la quale doveva gestirlo. Questa persona era detto il Direttore, che poi aveva bisogno di altri impiegati ed è per questo che fu assunto Pietro. Il Direttore si chiamava Pedone, veniva penso da Bari, aveva un figlio di nome Walter, che era stato compagno all'Istituto Tecnico di Pietro, ma io non lo avevo conosciuto. Pietro era molto contento di questo lavoro, gli piaceva, aiutava la famiglia e con questo Walter decisero anche di fare l'università di Economia e Commercio a Firenze. Si iscrissero, ma per studiare dovevano farlo solo la sera, perché Pietro il giorno lavorava e così anche Walter faceva uguale. 5 Istituto nazionale gestione imposte di consumo. 67


Il padre di Walter fu molto contento che Walter avesse ripreso gli studi e così gli comprò una 500. Ad Arezzo, allora non ce n'erano tante e dice che li guardavano. Dettero un primo esame a Firenze e gli andò benino. Con la sua Cinquecento Walter ci faceva salire Pietro e Marcello e andavano in giro e si divertivano molto. Però, dopo un po' di tempo, Walter trovò una bellissima ragazza, più giovane ma bella. Allora le gite con gli amici un po' finirono, dettero qualche altro esame e poi Walter, sempre più innamorato, decise di sposare Giuliana così si chiamava la fiorentina. Pietro lavorava sempre lì, Marcello trovò il lavoro e così anche Pietro cominciò ad interessarsi più di me. Io il Sabato, dopo mangiato, con la mia bicicletta tornavo a casa ad Albergo. Non dicevo mai l'ora ma Pietro, o per strada o lì fuori casa, c'era sempre ad aspettarmi in bicicletta. Mi accompagnava quasi fino a casa e poi ci si rivedeva il lunedì.

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Anche l'Ersilia trovò un tenentino di Pennabilli (Pesaro) che era ad Arezzo nella Caserma di Guido Monaco e se ne innamorò subito. Con Pietro ci fidanzammo anche noi ma, dopo poco, finì la scuola. Io fui promossa ma Arezzo per me finì. Ogni tanto, sempre in bicicletta, inventavo qualcosa mia madre o che andavo a trovare Teresa, una mia compagna di Tegoleto, o che andavo dall'Ersilia; insomma un sacco di bugie. La verità era che andavo per incontrarmi con Pietro. E così il tempo passava, lavoravano sempre per ripristinare la ferrovia ArezzoSinalunga e tutti si sperava che, con l'apertura della scuola, il nostro trenino riprendesse a viaggiare.

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Lea, 1949 circa

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Infatti con l'apertura del nuovo anno scolastico, il trenino tutto bello, lucido era lì ad aspettarci. Io ne fui contentissima ed infatti feci subito l'abbonamento. Lasciai la mia bicicletta e così andavo quasi tutti giorni ad Arezzo, sia per vedere Pietro che per comprare i nuovi libri del mio ultimo anno di Istituto Tecnico. Pietro mi portò a conoscere la sua mamma e suo fratello e dice che le sia piaciuta. Così anche i miei, che si erano accorti che io avessi trovato un ragazzo, vollero conoscerlo. La domenica Pietro arrivava con il trenino delle quindici e veniva in casa dove c'erano tutte le mie nonne che stavano lì o con la scusa di accudire il fuoco o portare la legna, magari uscivano una alla volta. Pietro chiacchierava tanto e così a loro piaceva sentire tutte quelle cose che certo all'Albergo non potevano neanche pensarle.

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Elettrotreno in Valdichiana 1951-1955. Convoglio con vagoni costruiti dalla SACFEM (il Fabbricone) nella linea Arezzo-Sinalunga

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Ponte e Convoglio di produzioni SACFEM sulla linea Arezzo-Sinalunga in Valdichiana 1956-1960

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8 Il comunismo e la perdita temporanea della Loccaia Intanto in Italia, dopo la fine di Mussolini, cominciarono a nascere i primi partiti e cioè il Partito Comunista6 che, specialmente in campagna, fu molto seguito e amato. Cominciarono a nascere tante bandiere rosse dappertutto, le donne portavano i fazzoletti chi in testa, chi al collo e a cantare “Bandiera Rossa”. Un giorno, il Sadocchi, così si chiamava quel contadino che abitava alla Loccaia, venne da noi ad Albergo, mentre si mangiava, si rivolse a mio padre e gli disse che gli doveva parlare urgentemente di una cosa seria. Mio padre gli rispose di parlare pure, anche davanti a noi, perché eravamo tutti di famiglia. 6 Il Partito Comunista Italiano (PCI) fu un

partito politico italiano di sinistra. Fu uno dei maggiori partiti politici italiani, nato il 21 gennaio 1921 a Livorno comePartito Comunista d'Italia per scissione della mozione di sinistra del Partito Socialista Italiano guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, al XVII Congresso socialista. 74


Allora il Sadocchi ci disse che da quel momento la Loccaia era sua, sia la casa che i campi e di non farsi più vedere là, di non pretendere niente, perché il grano lo aveva coltivato lui, le viti e gli ulivi e quindi noi avevamo la nostra casa e così andava bene per tutti. La mia nonna della Loccaia e la mia mamma si misero a piangere così forte che io non l'avevo mai viste. Mio padre rimase male, forse più della stupidaggine e della credibilità del Sadocchi, perché sapeva che ancora le elezioni non erano ancora fatte e quindi queste cose venivano dette, in quei tempi, a tutti gli ignoranti e i bonaccioni delle campagne. Infatti venne il tempo della battitura del grano, mio padre lo aveva saputo e con la sua bicicletta cercò di andare a vedere, perché il Sadocchi poteva essere cambiato. Quando fu vicino alla Loccaia, vide la macchina che sgranava già il grano, però c'erano tre o quattro giovani che, quando lo videro, con le pale in mano lo scacciarono, non lo fecero passare, gli proibirono anche di stare lì.

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Mio padre tornò a casa un po' serio, ma ben presto si accorse che gli altri contadini non facevano come il Sadocchi, ma come sempre. Certo, da quel momento, anche se noi, essendo una famiglia di cattolici e quindi il comunismo rifiutava Dio e tutta la Dottrina della Chiesa, non lo avremmo mai sostenuto, ora poi c'era una ragione più grande. Vennero le prime elezioni e anch'io votavo per la prima volta. Oltre il comunismo c'erano tanti altri partiti come la Democrazia Cristiana con a capo Alcide De' Gasperi ed Amintore Fanfani. Insomma noi, almeno di casa nostra, dammo il voto alla Democrazia Cristiana e per fortuna nostra, vinse. Così, dopo qualche giorno, venne il Sadocchi con le chiavi della Loccaia, perché se ne andava. Mi ricordo che a mio padre dispiacque moltissimo e cercò di convincerlo a restare, ma lui se ne andò tutto arrabbiato.

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Decio e Maria, 1947 circa.

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9 Il matrimonio Io continuai ad andare a scuola, ebbi gli esami di Stato, come quelli che fanno ora, fui diplomata con grande gioia mia e di tutta la mia famiglia. Con Pietro le cose andavano bene, lavorava sempre, della politica era contentissimo perché lui era dell'Azione Cattolica e quindi lontano dal comunismo. Pietro aveva visto in Via Margaritone che costruivano delle case nuove, lui pensò subito di acquistarne una per andarci ad abitare dopo sposati. Però, visto che la costruzione delle case andava molto a rilento, pensò di sposarsi prima, andare ad abitare in casa con sua madre e poi andare nella casa già finita. Questo piacque a tutti, specialmente a mia suocera che lasciò la sua stanza da letto e andò a dormire nel letto dove dormiva Pietro. Io, intanto, avevo trovato un lavoro, non tanto buono, però mi permetteva di guadagnare qualche soldo, perché allora la donna doveva fare il corredo, cioè le lenzuola per il letto, le

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coperte, le tovaglie, gli asciugamani e tutto quello che era necessario. Quando Pietro ne parlò in ufficio, furono tutti contenti e Walter pensò che ci si doveva sposare alla Verna, come aveva fatto lui, perché aveva uno zio frate alla Verna e suonava l'organo, che usavano nelle grandi occasioni. Walter fu molto gentile, si dette molto da fare, avvertii gli impiegati delle altre città, perché Pedone aveva acquistato il dazio di altre città come Livorno, e io ora non ricordo. Così avemmo tanti bellissimi regali, con tanti scatoloni pieni di bicchieri, piatti, tazze, tazzine, insomma tutti bellissimi. Del mio matrimonio non ho grandi cose da raccontare, la più bella per noi quella fu di essere rimasti puri fino al matrimonio. Lo avevamo scelto noi, anche se qualche volta un po' sofferto, ma ce la facemmo e questo ci riempiva di gioia immensa.

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Qualcuno avrebbe detto che eravamo stati scemi ma a noi piacque cosĂŹ. Mi vestĂŹ di bianco che veramente lo meritavo e andammo alla Verna con un pullman, perchĂŠ allora non c'erano tante macchine e per il ritorno avevano preso il taxi ma solo per gli sposi. Era il ventotto maggio del 1951, era una bellissima giornata, c'era il sole ed entrammo in Chiesa con l'organo che ci suonava l'inno nuziale. Io ero un po' emozionata ed estasiata di quella musica e mi sorse anche qualche lacrimuccia, ma non mi feci vedere da nessuno.

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Pietro e Lea il giorno del matrimonio a La Verna - 1951

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Decio, Lea, Pietro ed Emma, madre di Pietro, 1951

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Dopo un breve rinfresco, lì alla Verna, io e Pietro partimmo con la macchina e ci portò a Firenze dove passammo la prima notte insieme. Il giorno dopo partimmo con il treno per Venezia dove avevamo deciso di rimanerci quattro o cinque giorni. A me piaceva tutto, anche Venezia la trovai meravigliosa, diversa da tutte le altre città. Avevamo preso la pensione proprio sul Canal Grande, ed infatti quando partimmo, rimasi malissimo e anche allora con qualche lacrimuccia. Tornati ad Arezzo, ci fecero tutti festa e così riprendemmo la nostra vita. Pietro tornò al suo lavoro e io in casa con mia suocera che era molto buona e gentile con me. Si abitava in via Madonna del Prato, in cima, dove avevamo la Chiesa di San Francesco davanti. Io qualche volta uscivo, ero in centro d'Arezzo, incontravo le mie amiche, i miei amici di scuola e tutti erano in cerca di lavoro. Io invece sapevo che il lavoro non lo dovevo cercare, tanto meno pensarlo, perché per Pietro le donne devono stare a curare la casa, la cucina e figli.

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Pietro e Lea in viaggio di nozze.

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Lea in Piazza San Marco, Venezia

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10 La Nascita di Annamaria Pietro perciò aspettava ogni giorno che gli dicessi che aspettavo un bambino perché solo quella è la cosa che desiderava di più. Finalmente venne e il 28 aprile dell'anno dopo nacque Annamaria. La gioia di tutti fu immensa anche se Pietro aveva sperato che fosse maschio. La mamma di Pietro, cioè nonna Emma, voleva chiamarla Marianna, il nome di sua madre, ma io non volli, perché a me non piaceva, e allora la chiamai Annamaria. Era lo stesso, un po' capovolto e a lei andò benissimo. Così io tornai a casa dalla “Clinica di San Giuseppino” dove era nata la bambina, Pietro al suo lavoro di sempre, mia suocera pensava a tutto in casa e scendeva anche in negozio ad aiutare Dino7, che ancora aveva il negozio di polli.

7 Fratello di Pietro, nato nel 1927. 87


Suora della clinica di San Giuseppe ed Annamaria, Arezzo, Aprile, 1952

Annamaria, Arezzo, Agosto, 1952

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La bambina cresceva, ma mi faceva perdere tanto tanto tempo per farla mangiare. Io avevo tanto latte e lei non me lo prendeva mai tutto, cosÏ ricordo che un giorno mi venne la febbre molto alta, quasi quaranta. Chiamarono subito il medico pediatra e mi trovò con un seno tutto duro, pieno di latte che la bambina non aveva preso e quindi mi disse che con il mio latte avrei potuto allattare un altro bambino. Allora mi dette il cava-latte e con tanto dolore mi tiravo via dal seno il latte che non prendeva Annamaria. CosÏ passo il tempo , Annamaria sempre con poco appetito mi faceva impazzire tanto, però non era tanto magra per quanto mangiasse cosÏ poco.

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11 Il trasferimento a Perugia Pietro cominciai a vederlo più serio, ma non sapevo perché, finalmente un giorno mi disse che forse sarebbe stato trasferito al dazio di Perugia. Infatti dopo pochi giorni, Pietro dovette andare a lavorare a Perugia. Figuriamoci noi come si rimase!!! I miei genitori che vivevano all'Albergo, mia suocera che si era affezionata alla bambina ed io soprattutto. Perugia era una città più bella di Arezzo ma per andarci era molto scomoda. Noi avevamo solo la bicicletta e la camera da letto. Quindi Pietro si alzava presto la mattina e per l'orario di ufficio era già a Perugia con il treno. Però i giorni erano tanti, lavoravano anche il sabato e quindi la domenica era distrutto. Pietro, dopo qualche mese, trovò la casa a Perugia e noi ad Arezzo cercammo di comprare una cucina e un po' di roba necessaria per una casa. 90


Dopo qualche mese ci trasferimmo nella nuova casa di Perugia. Era una zona bella, la casa quasi nuova, piccola con due stanze più la cucina e il bagno. Però le cose a Perugia erano molto care e io dovevo pagare per l'affitto metà dello stipendio di Pietro. Figuriamoci che per fare la spesa, io che non ero neanche abituata, dovevo sudare le sette camicie. A Perugia, anche a quei tempi, c'era l'Università degli Stranieri, infatti si vedevano in centro facce di gente nera, donne tutte vestite con quei “barracani”, però questo era carinissimo. Un giorno, mentre io preparavo il pranzo, l'Annamaria giocava, io presi la pasta per buttarla nella pentola, quando sentii un tonfo in terra; era l'Annamaria che, salita sulla sedia, era caduta. La presi subito e la tirai su ma lei piangeva così tanto che ebbi paura. Per fortuna arrivò Pietro dall'ufficio e ci accorgemmo che le faceva male una spalla.

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Senza perdere tempo, Pietro chiamò un taxi il quale ci accompagnò ad una clinica lì vicino. Ci dissero che aveva una spalla rotta, cioè la clavicola, e che doveva essere ingessata il prima possibile. Noi gliela affidammo e ci consigliarono di lasciarla per qualche giorno perché la bambina era piccola, non aveva due anni e il peso del gesso era un po' pesante. Però ci dissero che non era niente di grave e che fra qualche anno nessuno si sarebbe accorto dell'operazione. Però noi avevamo un altro problema e cioè che non avevamo soldi per pagare, era la fine del mese. Pietro andò subito dal suo Direttore di lavoro, il quale gentilmente ci dette l'anticipo di stipendio e così quando andammo a prenderla pagammo e tornammo a casa. All'inizio fu molto dura perché,con quel gesso che le avevano messo in modo che il braccio stesse alto, Annamaria a noi sembrava che dovesse cadere, così non si lasciava mai da sola.

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Intanto il tempo passava e l'Annamaria tornò come era prima. Dino, il fratello di Pietro, aveva comprato la macchina, venne a trovarci e ci lasciarono anche qualche soldo, questa cosa ci fece molto piacere.

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I o , d a q u a n d o ci eravamo trasferiti a Perugia ero sempre seria, anche se avevo il marito che mi voleva bene, una bella bambina che già parlava e le volevo tanto bene ma i miei sogni erano svaniti. Una giovane, come io ero allora, aveva il desiderio di stare ad Arezzo, che era vicino ad Albergo, avere una casa tutta mia, e vivere felice.

Invece niente di tutto questo, però ringraziai Dio di avermi dato un marito onesto come lui, perché l'onestà, per me, è una delle più belle doti che un uomo possa avere.

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Lea al mare, 1953 circa

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12 Il trasferimento a Bologna Però, per noi ancora non era finita, perché Pietro ebbe un trasferimento per Bologna e quindi anche più lontano di Perugia. Dopo varie peripezie eccoci a Bologna. Io non la conoscevo ma era molto bella e anche meno cara di Perugia. Anche qui, con l'aiuto di un'aretina che viveva Bologna, trovammo una bella casa nuova con un bel terrazzo dove l'Annamaria andava con il triciclo. Pietro in ufficio si trovava bene, però gli mancava Arezzo. Un giorno, che eravamo venuti ad Arezzo, seppe che la Banca Mutua Popolare Aretina8 cercava personale, andò subito ad informarsi e seppe che ci doveva essere un concorso e quindi con l'aiuto di suo fratello, seppe anche su cosa si basava. Pietro si mise subito a studiare, comprò anche qualche libro a Bologna e fece subito la domanda per il concorso. 8 Adesso Banca dell'Etruria e del Lazio 96


A Bologna, in realtà, ci si trovava bene, il Direttore era contento di lui e un giorno mandò per Pietro un regalino alla bambina. Ma Pietro non si lasciò incantare e la sera studiava sempre e quando ci fu il concorso prese un po' di giorni di permesso e partimmo tutti per Arezzo. Il concorso andò bene, Pietro arrivò secondo e tutti contenti e felici

dicevamo: “Ciao

Bologna!” Tornammo a Bologna e Pietro riferì al Direttore quello che era avvenuto e quindi di trovarsi un altro impiegato.

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Lea ed Annamaria, Piazza Guido Monaco, Arezzo, Gennaio 1954.

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Pietro con Annamaria, Arezzo, 1955

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13 Il trasferimento ad Anghiari (Ar) e la nascita di Paola Infatti dopo pochi giorni Pietro fu convocato in Banca, gli comunicarono la sua assunzione, però, avendo letto nel suo curriculum che era stato nel dazio, anche la Banca ne aveva bisogno di questo personale perché c'era l'esattoria. Allora lo destinarono subito ad Anghiari. Un'altra delusione! Addio Arezzo! Anche se era molto vicino, ma noi ancora eravamo senza macchina e per andarci ci voleva la corriera. Io, intanto aspettavo un bambino e Pietro questa volta gli sembrava quasi certo che fosse maschio, il che rese tutto più facile. Gli abitanti di Anghiari erano molto buoni, anche se un po' arretrati, infatti quando cercavo casa durai molta fatica perché le case non c'erano oppure erano piccole o brutte.

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Sede Banca Mutua Popolare Aretina Anghiari 1956-1960

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Ricordo che un giorno ero a vedere una casa e dissi che le stanze erano troppo piccole e che non mi ci sarebbe entrato neanche l'armadio. Quella signora, candidamente, mi disse: “Lo faccia dividere e ne metta metà in una

stanza e metà nell'altra”. Infine trovammo un quartiere nelle case popolari. Eravamo già nell'anno 1956 ed infatti nel 1957 nacque la Paola questa volta Pietro rimase più deluso del solito, perché, secondo lui, doveva essere maschio. In ospedale fui trattata benissimo, mi dettero la camera singola, che la cassa malattia non prevedeva, mi chiesero cosa volessi da mangiare, insomma benissimo! Annamaria andava volentieri all'asilo e ci stava anche a mangiare perché diceva che era più buono di quello che le facevo io. Il difficile, per me, era andarla prendere perché era un po' lontano l'asilo e la Paola dormiva allora lo dissi ad una ragazzina vicina

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a noi che contentissima andava sempre lei, tutti i giorni. Quando uscivamo con la carrozzina per andare a spasso, tutti mi salutavano anche se io non li conoscevo. Ad Anghiari trovammo la fotografa che andava anche nelle case. Io, infatti, ho qualche fotografia di Paola piccola, mentre fa il bagno con l'ostetrica. Questa fotografa, aveva una bambina, che si chiamava Vanna, la portava con sè perché era ancora piccola. Era molto carina e piaceva anche ad Annamaria, che era più grande di lei. Anche l'ostetrica detta “Colomba”, per me, fu molto gentile, sia al momento del parto che dopo. Mi seguì in ospedale e dopo anche quando tornai a casa, veniva sempre e anche questa volta, dato che io avevo troppo latte, lei trovò la soluzione, che era brutta secondo me ma a me giovò tanto e stetti sempre bene.

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Venne il Carnevale d'Anghiari e la “Colombaâ€? venne a casa mia, mi fece preparare l'Annamaria e la portò lei a questa festa che era solo per i soci di un'associazione.

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Annamaria e Paola, Anghiari 1957

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Colomba, Anghiari 1957 106


Vanna, Anghiari 1957

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14 Trasferimento a Pratovecchio Quindi ero contenta, ma dopo neanche due anni, Pietro fu trasferito dalla Banca a Pratovecchio. Io rimasi malissimo, qui ad Anghiari ci stavo bene ed era solo il pensiero di fare un altro trasferimento, il quinto in sette anni di matrimonio. Però dovemmo accettare e a dire la verità quando andammo a vederlo mi piacque e ne fummo contenti. C'era la Banca quasi nuova, Pietro il Dirigente e l' appartamento sopra la Banca. Naturalmente eravamo in centro del paese, dalla finestra si vedeva una piazza rotonda, con giardino e panchine, dove portare i propri bambini a giocare. Naturalmente dopo qualche settimana, eravamo lÏ e diventammo pratovecchini.

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15 Le Elementari di Annamaria e l'asilo di Paola L'Annamaria ad Ottobre andò a scuola in prima elementare e si trovò bene. La Paola rimase con me e la sera quando l'Annamaria faceva compiti, lei stava lì e voleva farglieli anche lei, nonostante non avesse neanche tre anni. In seconda elementare l'Annamaria cambiò maestra e le venne dato un maestro che parlava il dialetto ed era stato diplomato in tempo di guerra senza sapere il vero italiano. Noi, che non si parlava il dialetto e l'Annamaria, che scriveva bene, però tornava con un quaderno pieno di segni rossi. Io mi arrabbiai molto perché se scriveva la parola “Soldi” lui le metteva “Sordi” con la “R”; alla divisione di parola così: “DE-

LLA”

(anzichè “DEL- LA”). Un giorno che non ne potevo più, andai a Stia, dove c'era l'Ispettore per le scuole elementari, portai il quaderno con i segni rossi del maestro e glielo mostrai.

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L'Ispettore, che era aretino, rimase molto male, perché un po' lo sapeva già e un po' perché mi disse che avrebbe potuto fare molto poco, il maestro era un raccomandato politico. Mi promise che la settimana prossima sarebbe andato a Pratovecchio per un'ispezione a tutta la scuola e mi chiese di tornarci per saperne di più. Infatti così fu e quando ci tornai prima mi fecero i complimenti perché aveva guardato i quaderni di Annamaria e mi disse che erano i migliori di tutta la classe,poi a me perché l'avevo seguita, però mi disse chiaramente che non poteva fare altro. Per Paola venne l'ora dell'asilo e la portai all'asilo anche io. Era tenuta dalle suore e mi parvero così all'apparenza molto carine e capaci di stare con i bambini. La Paola non era molto contenta e non vedeva l'ora di tornare a casa. Un giorno la trovai che piangeva e quando le chiesi cosa avesse lei non fece in tempo a dirlo che arrivò subito una suora. Mi disse che la colpa era solo mia, che non

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sapevo educare i figlioli e che mi dovevo vergognare. Insomma tutto questo, perché la bambina le aveva chiesto un bicchiere di acqua verso mezzogiorno. Secondo lei a quell'ora, che era vicina al pranzo, le avrebbe fatto male e lei non la dava a nessuno. Io ci rimasi male e all'asilo non la mandai più. Rimase con me ed eravamo tutti più contenti, quando l'Annamaria faceva la quinta elementare si seppe che quel suo gran maestro avrebbe ricominciato l'anno dopo con la prima elementare e quindi giusto per la Paola. Allora noi pensammo che, dato che la Paola, con l'aiuto della sorella e di una trasmissione che facevano alla televisione sapeva leggere e scrivere, non doveva andare in prima. Così, come privatista, si presentò agli esami di prima elementare. Fu promossa e andò direttamente in seconda classe.

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Trovò una brava maestra e qui tutto bene. L'Annamaria andò in prima media ma le medie erano solo a Stia e così Pietro tutte le mattine ce l'accompagnava. Però il primo giorno tornò piangendo perché tutte gli insegnanti pensavano che fosse una ripetente. Era la più alta di tutta la classe e la misero nell'ultimo banco. Per convincerla ad essere più serena ci volle tutta la sera. Intanto gli anni passavano, Pietro al suo lavoro in Banca e l'Annamaria specialmente cominciò a parlare di Liceo. A Pietro ritornarono i vecchi pensieri, cioè quelli di tornare ad Arezzo. Però non riusciva mai a sentire una parola di speranza.

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Prima Comunione Annamaria, 1962 114


Roma 1967

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Roma 1967

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16 L'acquisto della Casa in Via Erbosa finalmente ad Arezzo! Pietro, stando in Banca a Pratovecchio, aveva conosciuto una ditta di costruzioni con tutto il personale di Arezzo e alcuni di questi infatti li conosceva. Un giorno gli parlarono che, quando avrebbero finito i lavori di Pratovecchio, avrebbero cominciato a costruire ad Arezzo un grande palazzo. Pietro si interessò subito e volle sapere tutto. Il giorno dopo riportarono la carta topografica (non so come si chiami esattamente) con Via Erbosa e un palazzo di quattro piani piÚ attico. La Via sarebbe stata allargata davanti ai campi del vecchio Fabbricone, che se ne stava andando. A Pietro piacque subito e se ne innamorò, la cosa peggiore erano i soldi che noi non avevamo; costava all'incirca sei milioni di lire e noi non li avevamo, forse saremo arrivati ad un milione.

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Anche ad Arezzo nessuno ci poteva aiutare, Dino aveva preso un negozio di profumeria a Guido Monaco e non li aveva neanche per sé. I miei erano fatti vecchi con una pensioncina piccola, il Sadocchi era andato via dalla Loccaia e quindi non gli rendeva più come prima tranne che un po' d'olio e di vino. Pietro aveva comprato l'automobile, una Seicento nuova, ma gli serviva molto, perché una volta alla settimana doveva portare l'incasso della Banca alla Centrale e magari prendere qualche pacchetto di monete spicciole, se a Pratovecchio non le aveva. Proprio per questo una volta ritirando dalla centrale dei pezzi da cinquecentomila lire quando fu i n B a n c a , s i a c c o r s e c h e n e l p a c c o , normalmente firmato dal l'impiegato, ce ne erano due in più. Pietro, dopo mangiato, riprese la macchina, tornò ad Arezzo, cercò l'impiegato che aveva sbagliato e gli rese i soldi che erano in più. Dice che l'impiegato fu contentissimo, lo

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presentò i suoi amici ed ebbe elogio di tutti. Questo era Pietro Pancini! Io sarei stata più cattiva ed infatti quando mi disse che aveva trovato dei soldi in più io fui contenta, perché pensai che, almeno avrebbe ripreso i suoi, che qualche anno prima, aveva dovuto rimetterci alla cassa. Infatti era venuto in Banca un signore di Pratovecchio, che Pietro conosceva già, a cambiare un assegno. Quando la sera chiuse la cassa, gli mancavano centotrentacinque mila lire . Lui pensò subito all'assegno cambiato la mattina, ma l'assegno nel cassetto non c'era. Insieme agli altri impiegati guardarono da tutte le parti nel cestino della carta, in terra, negli altri cassetti, ma niente. Allora pensarono che, dato che loro parlavano, per sbaglio il cliente, avesse preso i soldi e l'assegno che era rimasto sul banco. La colpa naturalmente era stata di Pietro che

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avrebbe dovuto mettere nel cassetto l'assegno prima di dare i soldi. Pietro pensò e sperò che il giorno dopo, sarebbe tornato il cliente con l'assegno riportandoglielo. Però non fu così, Pietro andò anche a casa sua a cercarlo ma lui negò. Così Pietro dallo stipendio, che era più basso di quello del dazio, dovete rimetterceli mi pare in tre mesi. Ci rimase molto male e allora, ora mi guardò serio e mi disse che non voleva far soffrire un altro come aveva sofferto lui. Però Pietro pensava sempre alla casa di Arezzo, dato che il tempo passava e che l'Annamaria si avvicinava alla fine delle medie. Così la ditta stava per andarsene da Pratovecchio e Pietro fece il contratto. Firmò tutto, dette l'anticipo che avevamo e stipulò il debito che avrebbe pagato, tramite la Banca Popolare dove lavorava.

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Le scuole si chiusero e l'Annamaria ebbe gli esami di terza media, riuscì benissimo e la Paola aveva fatto la quarta elementare. Pietro si dava sempre da fare per venire ad Arezzo, ma niente. Un giorno, andò a parlare con il direttore della Banca, che candidamente gli disse: “Perché non le compri una Cinquecento per

venire al liceo!?” Pietro perse tutte le speranze e si sentì preso anche in giro perché come poteva una ragazzina di quattordici anni guidare la Cinquecento? Noi venivamo spesso in Via Erbosa a vedere la casa, ci piaceva, e decidemmo di venirci ad abitare e Pietro sarebbe andato a Pratovecchio dalla mattina alla sera.

Via Erbosa in costruzione 121


Panorama da San Cornelio, al centro Via Erbosa (muretto in ombra) - 1946.

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Via Erbosa, lungo il confine del Fabbricone fine anni 1950

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Panorama intera Area SACFFEM vista da Nord-Ovest. A sinistra in alto, il costruendo Viale Giotto. 1960-1963.

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Fabbricone - 1962.

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Panoramica SACFEM, foto aerea dell’intera area. Vista da Sud-Est. A destra, in diagonale, l’asse delle Vie Giotto, Crispi, Roma e Petrarca 1969-1973.

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Abbattimento del “casone” situato all’angolo sud-est dell’area SACFEM tra Via degli Accolti e Via Erbosa - 1977

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Panoramica, foto aerea della zona Sud-Est della cittĂ . A sinistra, il rettifilo di Viale Giotto che prosegue per Via Simone Martini, per lo stadio e per via delle Pietre, fino a Bagnoro. Al centro, il nuovo Parco Giotto 1980.

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Panoramica Parco Giotto (poi Pertini) - Viali ed alberatura del nuovo parco cittadino sorto nella area della ex SACFEM-1980

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Fece l'abbonamento al trenino PratovecchioStia, perché così costava meno e dovevamo risparmiare per pagare la casa.

Le citte si trovarono subito bene a scuola, fecero le loro amicizie, alla fine dell'anno furono promosse bene. Anche la Paola, naturalmente, l'anno dopo scelse il Liceo Classico. Io sempre in casa però avevo anche da fare, ma ero contenta così. L'Annamaria cominciò ad invitare qualche amica in casa il pomeriggio per fare compiti. Io le preparavo il thè con qualche biscotto e così studiavano, ma anche si divertivano, perché le sentivo ridere ridere ridere... Dopo poco cominciò anche la Paola, e così avevo una stanza, detta studio, per la Paola e amica, in salotto con l'Annamaria e amica. Il tempo passava e venne anche per Pietro il trasferimento da Pratovecchio ad Arezzo in

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Via Trento e Trieste. Fummo molto contenti tutti e specialmente Pietro che tornò ad essere aretino, vero aretino, perché ritrovò tanti amici e persone che conosceva già. In Via Erbosa, intanto le cose erano cambiate, avevano fatto la via, che precedentemente era molto stretta e sterrata, ora invece era una bellissima strada molto grande e asfaltata. Le case dopo la nostra, cominciarono ad aumentare, una accanto all'altra, perché di fronte, dove c'erano i campi del Fabbricone, li trasformarono in giardini pubblici e sorse l'unico parco di Arezzo, detto “Parco Pertini”. Noi, a quel tempo, fummo invidiati da molti, anche gli stessi condomini, che, siccome il nostro palazzo fa angolo e prende un'altra strada, potevamo vedere parco solo noi di Via Erbosa e così l'appartamento aveva più valore. Io ne fui felice e ringraziai Pietro, perché aveva avuto questa intuizione e se ci penso sono contenta anche ora.

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Ora che sono, mentre scrivo questo diario proprio in questo balcone con il parco davanti costretta a restare in casa. Gli anni passavano per Annamaria e Paola e cominciarono anche i primi amori, venne il tempo degli esami di maturità per Annamaria che andarono bene. Avrebbe voluto fare Lettere Antiche ma poi interessandosi per bene si seppe che ad Arezzo i laureati erano tanti, molti dei quali cercavano lavoro invece mancavano gli insegnati di Lingue e fu così che Annamaria scelse Lingue. Quando questo periodo arrivò per Paola, che era già fidanzata con Roberto, scelse Biologia. Noi le avevamo lasciate libere, anche se Pietro, avrebbe desiderato che almeno una avesse studiato Scienze Bancarie a Siena. Il tempo passò e Annamaria si laureò in Lingue e la Paola fece lo stesso. Noi si pensò di avere un po' finito di spendere per loro e ora di pensare un po' anche noi.

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Ma vennero gli anni Ottanta e furono gli anni peggiori della mia vita.

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Lea, sua madre e Pietro, Albergo 1970 circa 134


Decio, Albergo 1970 circa

Paola, 1972 135


Annamaria, Albergo 1973

Paola in gita scolastica, 1973 136


Annamaria, 1970 circa

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Matrimonio di Paola, Pieve a Romena Pratovecchio, 1981

Pietro, Lea e Francesco, Parco Giotto, 1988 138


17 I giovani di allora e quelli di oggi

Una mia considerazione (spero sbagliata). I giovani di quegli anni erano molto differenti da quelli di oggi. Soprattutto per loro, il futuro era ancora una promessa buona, nel senso che di certo sarebbe stato migliore di quello riservato alle generazioni precedenti. Il presente era migliore di quello dei loro genitori e quindi non avevano il diritto di lamentarsi. Però i genitori, allora, pensavano che i figli andavano temprati per metterli in condizioni di affrontare la vita e i “No” aiutavano a crescere. I figli di allora avevano dalla famiglia una formazione più rigorosa e più rigida, dovevano affrontare scuole più selettive, superare concorsi seri e studiare molto di più. Però io capisco che il mondo di ora è migliore. I figli hanno molte più cose, più libertà e più opportunità di un ragazzo di prima.

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Eppure penso che nostri giovani avranno di che piangere. L'Italia li tratta adesso in maniera scandalosa, li fa studiare male, li grava di debiti, non gli offre un lavoro e soprattutto non li prepara alle difficoltà che incontreranno. Anche i genitori di ora viziano troppo ragazzi, tentano di accontentarli in ogni loro capriccio e desiderio. I figli stanno per conto loro e i genitori lo stesso. Ma basterà tutto questo! La famiglia ora non esiste più. Mi auguro che sia una gran bella cosa, per voi. Soprattutto quello che ho scritto spero che non si avveri, io non ci sarò più a vedere e quindi tanti auguri a voi e direte che la nonna non ne ha azzeccata una.

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18 Torno a scrivere, anno 2013 Quello che ho scritto l'avevo fatto all'ospedale, però, tornata a casa, l'avevo sospeso. Ma Francesco ogni tanto mi dice: - “Nonna, continua scrivere”.Ora è passato più di un anno e sono tornata di nuovo all'ospedale, piena di dolori e di voglia di andarmene per sempre, perché sempre più vecchia e malandata. Mi sento una nonna inutile e ho tanta paura di dar noia a tutti. Però sono contenta di avere due figlie che mi vogliono bene e due nipoti che io adoro moltissimo, anche loro mi vogliono bene e mi danno tanta gioia. Una gran gioia, forse l'unica, perché nella vita non ne ho avute tante.

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19 La morte preannunciata negli anni Ottanta e l'Alzhaimer di Pietro Cominciai a cinquant'anni a sentirmi dire che sarei morta dopo qualche anno. In quel periodo avevo anche mio marito che non stava bene, un giorno venne a trovarmi in ospedale e con volto stravolto mi disse: “Quando torni a casa? Io senza di te non ci sto

bene”.Io mi sentii morire veramente perché proprio quella mattina i dottori mi avevano detto che la mia malattia sarebbe durata non più di sette anni. Allora io, che credo in Dio, pregai tanto la Madonna e piansi anche tanto, fui ascoltata e quella malattia scomparve. Ero stata anche da un Professore di Firenze che mi aveva confermato la malattia e mi fece capire che non c'era nulla da fare. Nessuno crede ad un miracolo, ma io sì e dico:

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“Grazie Gesù e Maria!”. Tornata a casa dall'ospedale io stavo benino mentre Pietro si aggravava sempre di più. Dopo varie ricerche scoprirono che aveva la malattia di Alzheimer9. Io mi dedicai tutta a lui, gli feci tutto quello che potevo e non pensai più alla mia malattia. Avevo in casa anche mio padre novantenne che, sebbene fosse lucido di mente, non poteva camminare e anche Lui lo dovevo alzare dal letto, vestirlo, insomma come sono io ora. 9 La malattia di Alzheimer- Perusini, detta

anche morbo di Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente). Il sintomo precoce più comune è la difficoltà nel ricordare eventi recenti. Con l'avanzare dell'età possiamo avere sintomi come: afasia, disorientamento, cambiamenti repentini di umore, depressione, incapacità di prendersi cura di sé, problemi nel comportamento. Ciò porta il soggetto inevitabilmente a isolarsi nei confronti della società e della famiglia. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di progressione può variare, l'aspettativa media di vita dopo la diagnosi è dai tre ai nove anni. 143


Ma non parliamo pi첫 di queste cose brutte che tutti sapete.

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20 Riflessioni in Ospedale Stando in ospedale e fuori sento parlare la gente, tutti che si lamentano, a tutti manca qualcosa, sono sempre tristi, specialmente i giovani. A me dispiace molto, ora più che mai c'è tanta disoccupazione e per i giovani è una cosa bruttissima. Io, ottantacinquenne, non li capisco molto, ma purtroppo ora il mondo è questo, e così è. Questi giorni sentivo parlare due infermiere che parlavano del figlio e del marito disoccupato, questa madre diceva che ora appena riscuoteva portava a comprare un giocattolo il figlio perché era abituato dal padre ad ogni fine mese a ricevere un regalo. Ed ora da disoccupato non lo poteva fare quindi il bambino era molto triste. Io, forse nessuno mi capirà, rimango sconvolta. Allora anche questo lo fanno sono le persone

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vecchie, tornai alla mia infanzia e a quella di tante mie amiche campagnole, che differenza! Noi avevamo i conigli, i polli insomma in campagna era cosÏ. Quando si ammazzava il coniglio si doveva spellare la pelle e si faceva seccare e dovevo pensarci io. Veniva una donna con un cesto sulle spalle che andava di casa in casa a comprare queste pelli. Anche io l'aspettavo e mi dava cinque o dieci centesimi a seconda della grandezza. Questi soldi li mettevo in un salvadanaio della Banca che davano ai ragazzi. Quand'era un po' pieno mio padre lo portava in Banca e mi metteva il totale nel libretto. Infatti, dopo la guerra, quando il trenino non c'era piÚ, mio padre mi comprò una bicicletta da donna, usata, con una parte dei soldi delle pelli di coniglio. Io ne fu molto felice cosÏ potevo andare ad Arezzo, a Monte San Savino.

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A quei tempi si pensava cosĂŹ, anche se io e nessuna delle mie amiche di campagna avevamo un giocattolo.

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21 I giocattoli da bambina Ci bastava stare un po' insieme giocare con la nostra bambolina di cencio che ci facevano le nostre mamme ed eravamo felici cosĂŹ. Io ce l'avevo piĂš bellina di tutte, perchĂŠ mia mamma me l'aveva fatta ricamando gli occhi di azzurro, la bocca rossa, i capelli neri, sempre ricamati. Il mio babbo mi aveva fatto di legno le gambe e le braccia tutte tornite. Mia mamma le fece un vestitino con la stoffa che era avanzata dal mio grembiule, insomma era bellina. Mia nonna Maria era la sartina di Albergo e allora fu chiamata dai Conti di Barbolano che abitavano ad Oliveto. Questi Conti avevano tre femmine ed un maschio, pressappoco della mia etĂ . Chiamavano mia nonna ad aggiustare i sacchi dove tenevano i cereali prima di venderli. Un giorno queste contessine, mi videro con la

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mia nonna e la pregarono di portarmi da loro, quando andava a lavorare. Prima però la Contessa mi fece un interrogatorio che io ricordo ancora, fui accettata, perché non dicevo parolacce e perché ero educata. Una mattina d'estate partimmo alla volta di Oliveto, mia nonna la misero al lavoro e io fu accompagnata dalle figlie in camera loro. Io rimasi sbalordita, ognuna aveva il suo lettino, con pizzi colorati e bambole da tutte le parti. Nel mezzo della camera c'era un tavolino con le tazze della colazione che avevano fatto loro, belle ma così belle, che mi parevano finte. Dopo mi portarono nella sala da gioco e anche qui, tutto Meraviglioso... Mi pareva di sognare ed avevo paura di prenderle in braccio. Loro se ne accorgevano e ci ridevano così tanto che arrivò anche la Contessa.

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Io le dissi che non le avevo mai viste, perché ancora non ero stata mai ad Arezzo, i giornali non c'erano, niente televisione. Come facevo a sapere che esistevano queste meraviglie! Venne l'ora del pranzo e la cameriera ci accompagnò in sala da pranzo, anche qui tutto meraviglioso! C'era il tavolo grande dove mangiavano i conti e uno nell'angolo più piccolo con delle belle sedie più basse per i ragazzi. Venne la cameriera e avvertì le contessine che a me avrebbe dato anche il pane, perché io ero abituata a mangiarlo a casa e perché io ero secca e dovevo ingrassare. Le contessina erano tutte felici, perché mi chiesero se glielo davo senza farsi accorgere e loro mi avrebbero dato il dolce. Io ne fui felice e pensavo che a casa mia mi dicevano di mangiare il pane, anche se, qualche volta mi davano un pezzettino di cioccolata.

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Che differenza! Io tante volte chiedevo mia madre: - “Perché tanta differenza?”Mia madre mi rassicurava e mi diceva che loro avevano tutte queste cose, perché erano Conti ed i Conti ce ne sono tanti pochi. Dopo qualche giorno erano venute a trovarmi tutte le mie amiche, per domandarmi della casa dei Conti e dei suoi giocattoli. Io gli raccontai tutto e anche loro rimanevano meravigliate e stupite. Per qualche giorno non si giocò più con la nostra bambola di cencio, però dopo ci passò tutto e tornammo come prima, cioè felici e contente. In quegli anni eravamo tutti più contenti, specialmente noi ragazzi. La sera, davanti a casa mia, c'era una fila di carri che mio padre doveva aggiustare, venivano i ragazzi vicini con le madri e le nonne e mentre loro parlavano, noi ragazzi si giocava o a nascondino o a tanti altri giochi. 151


22 Ottobre 2013 Sono arrivata, dopo tante peripezie, ospedali e rotture di ossa, all'età di 86 anni. Domenica le mie figlie mi hanno portato fuori a mangiare. Io sono stata, per quel giorno, la donna più felice di questo mondo. Ero con tutta la mia famiglia e cioè l'Annamaria con Jak10, Paola con Roberto, i miei due nipoti con le loro fidanzatine. Che cosa vuoi di più? Mi dicevo. Anche se sono ridotta come uno scheletro, brutta, vecchia in una sedia a rotelle, ancora mi guardano e vengono a trovarmi. Quando siamo vecchi e malandati come me, non ci piace più niente o poco, né la televisione, né i libri. Questo perché ci sentiamo molto soli, ci mancano molto gli affetti che avevamo prima e 10Si scriverebbe Jacques 152


cioè mio marito, che sono 23 anni che non c'è più e i miei genitori che mi volevano tanto bene. Ora sono ridotta con una donna che mi fa tutto, per fortuna, e le sono molto grata, però quando la vedo in cucina,che è stato per me il mio Regno, e mi fa da mangiare molto diverso, mi sento tanto male, perché non c'è niente da fare. Pazienza mi dico e così vado avanti, l'unica cosa bella è che io credo in Dio, questo mi ridà forza e pazienza per andare avanti.

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23 Dicembre 2013 in Ospedale Sono in ospedale un'altra volta. Uno di questi giorni stavo tanto male, la mattina venne un medico che io non conoscevo e neanche lui mi conosceva, mi fece una visitina e se ne andò dopo un po' cominciai a star male da una spalla, respiravo malissimo e mi faceva male l'intestino. Io mandai a chiamare una infermiera, non c'era. Finalmente ne venne una, ma dicendomi che il medico non c'era. Io feci chiamare la Paola, mia figlia, e mi disse che nel pomeriggio sarebbe venuta con Roberto. Io stavo tanto male che credevo di morire e chiamai anche il Prete per confessarmi. Infatti venne e mi disse che GesÚ mi vedeva e che non dovevo soffrire. Dopo che l'infermiera mi aveva ridetto che il medico non c'era, ne vedo apparire due di medici.

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Uno era il mio genero e l'altro era quello che era venuto da me la mattina. Questa volta mi visitò per bene, mi fece fare subito un clistere poi mi fece il foglio per i raggi alla spalla e al braccio e un antidolorifico anche. Io forse con l'aiuto delle mie figlie e dei miei nipoti mi sentì proprio bene, però pensai: - “ La sanità è uguale per tutti?”-

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24 “Lea Miracolata” Quando sono tornata in ospedale l'ultima volta, diverse infermiere mi chiamavano la “Lea

Miracolata”, perché l'ultima volta che c'ero stata tutti credevano che io morissi ed infatti, dice, che mi avevano messa in una camera da sola, in attesa della morte. Io non lo sapevo, però io ero pronta e dicevo a Dio, e ancora lo dico: - “Sia fatta la tua

volontà”.Non è la prima volta che mi capita, perché anche nel 1980, sempre all'ospedale, dopo tanti esami, risultò che io avevo una malattia per la quale non c'era niente da fare e che sarei morta, dopo qualche anno. Un giorno venne un Dottore tutto gentile che mi disse, per farmi piacere, di aver letto che con questa malattia si poteva andare avanti anche sette anni. Figurarsi, io ne avevo di anni 52!

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La mattina poi, era venuto Pietro e mi aveva detto: - “Ma quando torni a casa che io con queste

citte non ci sto bene? ”A questo punto io mi misi a piangere e però pregai tanto la Madonna che guardasse la mia situazione. Io così e Pietro che avrei dovuto aiutare però non sapevo ancora che aveva l'Alzheimer ma pregai tanto la Madonna che forse mi capì. Dopo un po' di giorni io tornai a casa e Roberto mi consigliò di andare a sentire un Professore di Firenze che lui conosceva e così mi prese l'appuntamento. Ricordo che mi accompagnò l'Annamaria e anche questo mi disse la stessa cosa: che non c'era tanto da fare, ma quando mi fossero venuti dolori più forti, io dovevo tornarci e mi avrebbe dato medicine adatte. Però io non rimasi molto più male ma accettai quello che mi aveva detto. Pietro cominciò a stare peggio e non si sapeva

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ancora che cosa avesse. Gli fecero la TAC e videro che era l'Alzheimer: io non sapevo cosa fosse, perché a quei tempi non se ne parlava tanto come adesso. La cosa più bella fu questa: che io mi detti da fare a capire questa malattia e io stavo bene, malgrado il mio cuore, che ogni tanto mi dava noia. Non ripensai più che dovevo morire ma pensavo solo a Pietro. Il mio babbo, che nel frattempo era rimasto solo e invecchiava sempre di più, decidemmo di portarlo a casa in Via Erbosa. Così mi aumentò il lavoro e i pensieri, figuriamoci se io potevo pensare a me. Però non dimenticavo mai di ringraziare la Madonna e anche di pregare un po' quando non ero troppo stanca. Di quella mia malattia non se ne parlò più, se ne parlavo in casa dicevano che per fortuna si erano sbagliati all'ospedale. Pietro arrivò fino al 1990; infatti il dieci

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maggio morì e Lorenzo nacque il ventuno di quello stesso mese. Io rimasi con il mio babbo novantenne che un po' per l'età, un po' per il dolore della morte di Pietro, era sempre più serio e triste. Finché nel 1992 morì anche lui e io rimasi sola. Allora io cominciai ad andare dalla Paola, perché aveva Francesco e Lorenzo, che la sera sarebbero rimasti soli, perché la Concetta andava solo la mattina e lei andava lavorare. Così passò un periodo discreto, non stavo tanto male di salute e con Francesco e Lorenzo stavo benissimo. D'estate si stava qualche settimana alla

Loccaia, poi mi portavano al mare con loro e così gli anni passavano. Da tre anni, invece, i tempi sono cambiati e io cominciai con il rompermi il femore proprio in Piazza Giotto, fui operata, e andai anche ad Agazzi per la riabilitazione ed ero tornata benino.

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Ero in casa con una donna che mi puliva la cucina e io da ferma, caddi in terra e mi ruppi l'altro femore. Qui successero un sacco di cose, oltre l'operazione ebbi un' emorragia, insomma andai per qualche giorno in camera di rianimazione, e poi tanti altri mali che stavo per morire. Mi avevano messo già in una camera da sola perché ero in camera con altre malate e non dovevano assistere alla mia morte. Alla Paola avevano portato la Coroncina Benedetta a Međugorje11 e siccome ero tutta 11Međugorje è una piccola località del comune di Čitluk, oggi parte del cantone dell'ErzegovinaNarenta, della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, in Bosnia ed Erzegovina. La località di Međugorje ha ottenuto visibilità mondiale a partire dal 24 giugno del 1981, allorché alcuni ragazzi ivi residenti (Vicka Ivanković, Mirijana Dragičević, Marija Pavlović, Ivan Dragičević, Ivanka Ivanković e Jakov Čolo, di età allora compresa tra 10 e 16 anni) iniziarono ad affermare di avere ciclicamente apparizioni della Vergine Maria, che si presenterebbe loro con il titolo di "Regina della Pace" (Kraljica Mira), confidando messaggi e prescrizioni varie. Nel corso dei decenni Međugorje è così divenuta una popolare meta 160


gonfia me la portò e la tenevo in mano per muoverla così diceva lei che sarei sgonfiata prima e così fu. Dopo qualche giorno ero tornata come sono ora, pelle e ossa e di peso 34 kg. Però viva e anche la Paola e tutti dicono che sia stato un miracolo, io questo non lo so, però sono viva. Io da quando entrai in ospedale e anche ora ho sempre chiesto al Signore:

- “Io sono pronta ma sia fatta la tua volontà”.Da quando sono ridotta in una sedia a rotelle, perché dopo questa, sono caduta un'altra volta e mi sono rotta qualche vertebra, quindi non cammino più e la mia vita è molto triste. Però io dico, che sempre Dio, mi ha dato uno spirito eccezionale, che posso ridere con le persone che mi vengono a trovare e anche in ospedale tutti gli infermieri mi riconoscono per nome e mi vogliono bene tutto questo lo devo alla mia Madonnina e a Gesù. di pellegrinaggi religiosi. 161


25 Dio Se leggerete questo mio scritto pensateci un po', perché voi ora siete giovani ma anche a voi il tempo passerà. E se non siete tanto fortunate, arriverete alla mia età, come me. I figli hanno la loro famiglia e vi faranno sì una visitina, ma voi rimarrete sole lo stesso. Io che credo in una seconda vita e so di amare Gesù e Maria, mi aiutano a vivere queste giornate molto meglio. Le mie giornate le passo molte ore in Terrazza e da qui io vedo le Meraviglie del Creatore. È una cosa Meravigliosa! Il Terrazzo è il mio Regno perché anche qui vedo che Dio, che è il Creatore di tutto, è stato meraviglioso, nessun uomo è riuscito a fare una cosa simile. Si, hanno fatto e faranno tante cose nuove, meravigliose, ma un altro bambino non ci riusciranno mai e tante altre cose…

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Ho letto in una rivista, che uno studioso, di cui non ricordo il nome,

insieme ad altri hanno

stabilito che solo un quinto dell'Universo è stato scoperto e studiato.

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26 Piccole avversità Avevo tralasciato un po' di giorni, ma ieri venne Francesco e mi disse che dovevo scrivere il mio diario perché, dice lui, non ho niente da fare. È vero non ho nulla da fare, infatti ieri avevo invitato Roberto, la Paola e Francesco a mangiare da me. Avevo fatto io, con un po' di aiuto di Lucia, il coniglio, perché dice Roberto, che a me viene meglio che ad altre. Avevo fatto anche le patate in forno, che quelle le potevo fare con facilità e poi i broccoli. Ero tutta contenta e mentre aspettavo loro, Lucia mi aveva dato una medicina molto prima del solito, perché la prendo prima di mangiare, così quando suonò il campanello di loro che arrivano un po' in ritardo, io cominciai a sentire qualcosa allo stomaco e quando arrivò Francesco, che fu il primo, feci in tempo a salutarlo e subito dopo cominciai a vomitare.

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Allora subito al bagno però si vide che rimettevo solo la medicina e Roberto disse che avevo preso quella medicina a stomaco vuoto e mi aveva fatto male. Però non fu niente ma a me rovinò la giornata e da qui mi sono accorta che io non devo pensare a fare niente, perché sono una vecchia in carrozzina, che aspetta solo di passare a quell'altra vita. Io spero che sia migliore di questa che ho passato qui in Terra. Ho ripensato che non sono mai stata tanto fortunata anche da giovane. Infatti quando eravamo a Pratovecchio, un giorno telefonò a Pietro il Direttore della Banca, che il sabato sarebbe venuto a mangiare a Pratovecchio al ristorante. lui, Pietro doveva prenotare il ristorante, invitare gli altri impiegati della Banca, con le loro mogli, perché anche con lui c'era la moglie. Così io fui felice, perché avevo già un vestito

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quasi nuovo, un po' elegante, che avevo comprato per la Comunione di Annamaria, poi pensai al fioraio, che non sempre aveva bei fiori, infatti decisi di andare e precisare anche l'ora, così sarebbero stati pronti. Infatti, quando arrivò l'ora, io ero pronta e scesi le scale di casa, ma ad un certo punto scivolai, io misi subito la mano in terra, per non fare tutte le scale così, ma mi rimase il dito pollice in dentro che mi doleva e non si poteva vedere. Per fortuna, mi vide il Dottore che abitava sotto di noi, mi portò nel suo ambulatorio, mi rimise apposto il dito e mi fece una piccola ingessatura. Proprio allora dovevo cadere! Era già l'ora e dovevo passare dal fioraio e offrire i fiori alla signora. Ma per me andò così. Il dottore mi accompagnò al ristorante e loro avevano già mangiato.

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Il fioraio aveva giĂ portato i fiori, mi ringraziarono del pensiero e mi raccontarono che erano stati a Romena a vedere il Castello e la Chiesa e specialmente alla signora del Direttore era piaciuto tutto ed era entusiasta. Lei si ma io no.

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27 La Terrazza: Il Mio Regno Sabato ho fatto un'altra cosa: il sugo di carne che mi aveva portato Francesco. Domenica, infatti vennero e mi andò bene, quindi non devo disperare. Ora ha incominciato a piovere e a rinfrescarsi, mi dispiace perchÊ non posso andare nel mio Terrazzo come prima, ma d'altra parte siamo a novembre! Ora passo molte ore a letto e dormo poco. Una di queste notti ho ripensato i sogni che facevo in ospedale, mentre a casa non sogno mai, almeno non li ricordo. Uno di questi fu, forse quando stavo tanto male all'ospedale, proprio che io mi ritrovai fuori dall'ospedale, tutta legata con una grande catena che mi faceva tanto male e cercavo di togliermela questa catena, un po' ci riuscÏ, ma non del tutto. Vedevo davanti a me l'ospedale chiuso e io di

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fuori, tutta legata con una catena grossa, che mi faceva tanto male. Allora arrivò una persona della quale non vedevo il viso, ma vestita di bianco che mi slegò e le chiesi: - “Ma dove sono?”Lei mi rispose: - “Sei in ospedale”. Io aprì gli occhi ed ero davvero nel mio letto di ospedale e soprattutto stavo benino. Ho ripensato che, forse quando io stavo male e i medici pensavano che non ce la facessi. Io non lo so! Ho passato questi mesi estivi quasi ogni giorno in terrazza quello è il mio Regno ma ora vedo i miei fiori sempre belli e mi dispiace che anche a loro il freddo non piaccia. Il merito è stato tutto di Lorenzo, che ogni volta andava all'Esselunga e mi portava una pianta. Ero in mezzo ai fiori di tutte le qualità e con

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davanti il parco con delle piante meravigliose, di cui io, di giorno in giorno, seguivo il cambiamento delle loro foglie. Con l'arrivo dell'Autunno, tutte le piante dalle foglie verdi le cambiano; alcuni in giallo, altre in rosso, alcuni mezzi rossi e mezzi gialli; insomma è una cosa che succede tutti gli anni, m a mai ho seguito così perché quando si sta bene, non si apprezza così tanto. È una Meraviglia! Quando siamo vecchi, si apprezzano di più le Meraviglie del Creato, passo delle ore a guardare il cielo con le sue nuvole, che in certi punti sono tutte bianche, sotto un cielo tutto azzurro, in un'altra parte sono più grigie, ma con delle forme meravigliose, una diversa dall'altra. Non mi stanco mai di guardarle e così per qualche ora mi dimentico anche di essere in carrozzina. Voi non ci crederete ma per me è così. E voi capirete perché. 170


28 Le Mie Figlie Lorenzo mi dice sempre che nel mio diario non ho scritto mai delle mie figlie, quando erano grandi. Quello lo scriveranno loro, è più giusto così, perché le mamme di allora erano diverse da quelle di adesso. Allora avere due figli (due come ne ho avuti io)era la cosa più bella del mondo. Io ero arcicontenta, il nonno (Pietro) un po' meno perché avrebbe preferito un maschio. Ma tutto sommato, era felice anche lui. Per i genitori le figlie erano le più belle che esistessero sulla Terra, le nostre figlie erano le più belle di tutte, ci sembravano perfette, insomma un non plus ultra. Però le nostre nonne e mamme ci raccomandavano di non farci vedere troppo sbaciucchione e di non fargli tanti complimenti quando loro erano sveglie, perché loro capivano, se ne accorgevano e le avrebbero

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volute sempre. Le bimbe si accorgevano anche se qualche mamma, o a causa del troppo lavoro o a causa di un carattere poco espansivo, era poco affettuosa e pensavano che fossero più brutte e meno accolte volentieri. Ora che tutto questo è passato, mi dispiace tanto di non avermele godute quanto avrei voluto, ma ormai non posso tornare indietro. A mano a mano che le bambine crescevano abbiamo fatto tanti sacrifici, ma molto volentieri, a Perugia non avevo neanche un soldo, ma li trovammo. Insomma le mie figlie sono state e sono la mia famiglia. La cosa più bella è che mi hanno regalato sono due figli maschi che li ho adorati da subito, mi dispiace molto per il nonno che non li ha goduti perché era malato e dopo morì. Li avesse potuti vedere come li vedo io ora! Forse Francesco gli ha dato qualche gioia. 172


29 I Nipoti Ora parlerò dei miei nipoti, che sono loro l'argomento più importante della mia vita. Francesco già lavora, e so che gli piace quindi sono contenta per lui. Io non lo so, vedo che la politica non dura molto e di solito è molto corrotta. Io sono vecchia e quindi non posso sapere e non ci sarò più a vederlo. Però quando io prego mi raccomando al Signore e spero che si ricordi di lui e che ci sia perché tanti pensano che Dio non esista. Preferisco più mali a me, tanto ci sono abituata… Di Lorenzo non so che dire, è un carattere diverso dal fratello, è molto buono, affettuoso, a me ha riempito il terrazzo di piante tutte belle. Di lavoro ancora è giovane, non si può parlare, deve finire di studiare e poi chissà… L'unica cosa che mi farebbe piacere è quella che diventassero uomini veri e onesti, che

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fossero innamorati dei loro genitori, delle loro mogli e dei loro figli se avranno. Non glieli auguro tanto presto, perchÊ il mondo non è troppo bello.

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30 Febbraio 2014 il colore delle unghie Siamo a Febbraio 2014 e sabato venne a trovarmi la Paola, Francesco e Roberto e io vidi la Paola con le unghie smaltate ma di un colore diverso. Mi venne in mente che quel colore lo avevo visto tanti e tanti anni fa ma non ricordavo quando. La notte, che per me è molto lunga, ricordai, quel colore l'avevo visto verso il 1939- 1940 e mi aveva fatto tanto effetto. Mi ha fatto effetto ripensare a tante cose e sono tornata indietro con il pensiero. Io avevo circa tredici anni ed eravamo all'Albergo con una visita di un capitano di Aviazione, sua moglie e i suoi figli. Questo capitano di Aviazione era venuto a trovare mio padre. Quando ai primi anni del secolo, i miei nonni, fecero la casa di Albergo, avevano preso due operai e questi operai trovarono un ragazzino molto piccolo.

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Lo facevano lavorare tanto, fare la calce, la rena e gliela facevano portare con un secchio. Questo ragazzo aveva l'età di mio padre e così divennero amici ben presto e la mia nonna ogni tanto lo portava mangiare a casa sua, perché gli faceva tanta pena. Però quando finirono di fare la mia casa, lo aveva notato anche una signora di Roma e lo portò con se. Lei era una insegnante, senza figli. Questo ragazzo era stato scuola qualche anno e poi, non avendo il padre, lo mandarono a lavorare. Questa insegnante si affezionò sempre più a questo “Beppino”

(così era chiamato) e

incominciò a fare la quinta elementare, poi lui tutto contento, proseguì a studiare e dove l'insegnante non ce la faceva, come le lingue, lo mandava a ripetizione. Insomma io non lo ricordo, ma so che prese il diploma in qualche indirizzo.

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Però venne l'ora del soldato e lui già diplomato, scelse l'Aviazione. Così fece carriera ed era diventato pilota prima tenente, capitano dopo un po' e così anche la sua mamma la portò a Roma da qualche signora e fece una famiglia. Ogni volta che veniva ad Arezzo, veniva a trovare il mio babbo e proprio questa volta che mi sono ricordato, aveva portato la

moglie

romana con i figli a vedere i luoghi in cui aveva vissuto da piccolo. Io avrò avuto dodici o tredici anni e guardavo quella signora, tutta vestita bella e mi rimasero impresse quelle unghie con lo smalto. Ricordo anche sempre quel giorno, il capitano disse: - “Decio quante ruote avrai fatto fino ad ora”?- “Tante!!!”-

“Mi immagino, ma la ruota della fortuna

ancora non l'hai trovata, come me!”Era vero, però ora che ci ripenso, anche lui non fu fortunato abbastanza, perché in una sua traversata in aereo, doveva volare sopra la Sardegna, scese una nebbia fittissima, che

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non gli fece vedere niente e così l'aereo si schiantò in un monte e lui morì sul colpo. Saranno passati uno o due anni a tutti dispiacque, lasciò anche i bambini piccoli, la moglie, poveretti. E allora ho pensato: - “Quale sarà stata la ruota della fortuna?”Mio padre visse fino a novantadue anni e lui ne avrà avuti quaranta. - “Quale ruota?”Poi mi sono venute in mente che io stando in campagna, come raccontato, non avevo visto mai niente.

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31 Marzo 2014 Siamo ai Primi di Marzo ed è un anno che sono in carrozzina non posso andare al bagno, insomma sono come una bambina di qualche mese. Lorenzo continua ancora con i fiori, ora che sto in salotto, li vedo benissimo, ci sono i ciclamini sempre fioriti, e me ne ha portati ancora. Mi ha portato un vaso di giunchiglie, odorosissime che sono una meraviglia. Un altro vaso tutto fiorito che non so come si chiama, ma tutto è bello. Io non so come mai c'è tanta gente che non è contenta, si ammazzano, vogliono le guerre. Sarebbe così bello poter vivere bene e in salute, soprattutto conta quella: la salute. E poi credere in Dio, che ti aiuti ad andare avanti benino e ti dà la speranza per il dopo. Io ci sto arrivando… E sono così…

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Piuttosto serena, anche con le persone che mi stanno accanto. San Francesco d'Assisi pregava sempre così: “Dove è la tristezza; che io porti la gioia.

Fa che io non cerchi di essere consolato; quanto a consolare, ad essere compreso quanto a comprendere, ad essere amato quanto ad amare. 12 Poiché è così: evitando che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si resuscita a vita eterna. ” Io spero che sia così… veramente. 12Estratto dalla Preghiera Semplice di San Francesco, versione completa:

O Signore, fa' di me uno strumento della tua Pace: Dove è odio, fa' ch'io porti l'Amore. Dove è offesa, ch'io porti il Perdono. Dove è discordia, ch'io porti l'Unione. Dove è dubbio, ch'io porti la Fede. Dove è errore, ch'io porti la Verità. Dove è disperazione, ch'io porti la Speranza. Dove è tristezza, ch'io porti la Gioia. Dove sono le tenebre, ch'io porti la Luce. O Maestro, fa' ch'io non cerchi tanto: Essere consolato, quanto consolare. Essere compreso, quanto comprendere. Essere amato, quanto amare. Poiché è Dando, che si riceve; Perdonando, che si è perdonati; Morendo, che si resuscita a Vita Eterna. 180


32 Bellezze del Creato Questi giorni Lorenzo mi aveva regalato una pianta piccola con tre pianticelle che doveva fiorire e lui si era raccomandato di tenerla alla luce, ma dentro, non in terrazza. Dopo qualche giorno una ha aperto il bocciolo ed è proprio bellina e profumata. Oggi, dopo qualche giorno, è fiorita anche la seconda e guarda caso, io che sono al tavolo di salotto, mentre sto leggendo, il fiore mi riguarda e non è girato alla finestra e quindi alla luce, ma forse ha visto che sono sola e mi fa compagnia. Ringrazio Lorenzo di tutti questi pensierini e della sua gentilezza, spero tanto che gli sia ricambiata nella vita. Siamo arrivati a maggio, non ho sempre voglia di scrivere perché qualche giorno sono più nervosa e scriverei cose così brutte che dopo mi dispiacerebbe.

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Ăˆ arrivata la bella stagione io sono sempre qui però ora dal balcone vedo le piante del parco che hanno ripreso le loro foglie e sono bellissime. Ora passo anche delle ore in terrazza e guardo il Cielo con tutta le sue nuvole, ora bianche con il sole, ad un tratto le nuvole diventano nere il sole sparisce e qualche volta anche piove. Ma credete che sono bellissime! Quando siamo giovani, queste cose non si osservano, poichĂŠ presi dal lavoro, dallo studio e poi ci sono tante altre cose importanti. Ora ci saranno le elezioni europee e quindi c'è da pensare a queste. Invece ora a me succede che penso quasi solo al passato e proprio uno di questi giorni di pensavo ad una preghiera che sentivo fare dalle mie nonne e di cui non avevo mai compreso il significato: chiedevano a Dio di risparmiarle dalla morte improvvisa o inconsapevole.

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Da giovane quella mi sembrava una richiesta assurda: - “Quale morte migliore ci si poteva aspettare o

augurare, di quella nel sonno o comunque il più possibile rapida e indolore?”La saggezza dei vecchi la capisco solo adesso, che sono come loro. L'addio tra i vivi ha bisogno dei suoi rituali e la morte improvvisa ce li nega, lasciandoci traumatizzati dalla perdita e incapaci di darle significato. Invece ad una certa età, ai primi sintomi di malattia, è bene pensare spesso alla morte, così ci permette di prepararci bene con noi stessi e arrivare alla fine con dignità e serenità e presentarsi così dinanzi a Dio. Tante volte, quando sono sola, sono tanto triste, perché mi sento incapace di non poter far niente, né per me nè per gli altri. Però, non so se è illusione, io spero di no, mi

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pare di sentirmi dire: - “Dì una preghiera, prega anche per chi non

prega e vedrai che ti passa”.Allora io ascolto questa voce e dopo un po' torno serena. Tante volte io penso anche a voi la mia Unica Famiglia, così diversi da me. Io non vi dico mai niente, anche Dio ha lasciato l'Uomo libero, ma ricordatevi che Dio esiste e anche per voi arriverà il dopo… Ricordatevi…

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33 Ottobre 2014 Oggi è l'Otto di Ottobre non so perché mi ha ripreso la voglia di scrivere. Fra undici giorni sarà il mio compleanno non avrei mai pensato di arrivarci. Mai e poi mai. Sono sempre più incapace di fare niente, però sono sempre con Lucia e Dorina. Loro mi aiutano molto e sono quasi sempre serena. Cerco di non pensare a quando non vedrò più le mie figlie, i miei adorati nipoti, ma così è la vita per tutti mortali ed è molto doloroso. Sono quasi sempre in terrazza; ormai quello è il mio Regno; c'è poi Lorenzo che mi copre di giornali del Papa e anche quelli politici, perché dice che devo leggere e tenermi sempre informata di tutto. Domenica 5 Ottobre13 s i a m o a n d a t i a festeggiare Francesco da Annamaria all'Albergo. 134 Ottobre Festa di San Francesco 185


Sono tornata nella mia casa, anche se è cambiata, dove sono nata e cresciuta, ma non mi sembrava che fosse passato così tanto tempo. Ho rivissuto i miei momenti felici e altri meno belli di allora, ma l'esperienza ci abitua a vivere in un costante provvisorio, perché da un momento all'altro può cambiare la nostra vita e la morte non chiede il permesso a nessuno. Allora dovremmo vivere sempre pronti a incontrare Gesù, con serenità e senza paura della morte. È già passato il mio compleanno: il diciannove Ottobre. Siamo andati tutti alla Loccaia, era una giornata bellissima, piena di sole ed io sono stata benissimo. Io non avrei mai pensato di arrivarci, così come sono ridotta. Ma chissà perché?!…

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Oggi è il cinque Novembre, ma è una giornata bruttissima, piove e tira vento. Fino a ieri sono stata un po' in terrazza, ma oggi guardo fuori dalla finestra chiusa. Intanto il parco anche quest'anno comincia a cambiare colore, è sempre bellissimo. Forse di più perchè i suoi alberi per ora sono cambiati di colore ed è uno con le foglie gialle, un altro con le foglie verdi e altri sono rossi ed è una meraviglia!

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34 Francesco Di mio nipote Francesco non ne parlo mai. Perché? Eppure è stato il mio primo nipote, lo ha visto anche mio marito e tante volte penso, che se lo potesse vedere ora grande e molto bello… sarebbe il Nonno più felice del mondo… Io non so se perché ho voluto tanto bene a Pietro, ora in Francesco molto più bello ma qualcosa ci vedo, lo sguardo, non so cosa. In Pietro. Per ora è un bravissimo ragazzo, con tanti amici, che lo chiamano continuamente al telefono e lavora. E già Assessore allo Sport, quindi con un sacco di lavoro e di problemi. Io non ci sarò più a vederlo, ma penso che farà carriera… Io, quando sarò di là, cercherò di pregare perl lui e soprattutto che rimanga onesto, onesto, onesto…

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Anche lui mi vuole tanto bene e viene spesso a trovarmi, anche adesso che lavora cerca sempre di fare una scappatina. L'unica cosa che mi dispiaceva e mi dispiace è che non si è laureato. Però ora ho saputo che, dato che gli mancano due o tre esami, ha capito che deve riprendere, anche con sacrificio, i suoi esami. Io mi raccomando a Dio, che lo faccia proseguire così… Lorenzo gli esami gli ha finiti tutti, gli manca la tesi e poi chissà…

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35 Marzo 2015 (ultimo pensiero) Ancora ci sono… Ho meno voglia di scrivere e sempre un po' più annoiata di questa vita. Sono due anni che mi sono rotta il secondo femore e che Lucia è qua con me, da due anni… Oggi per esempio sono un po' più giù, ma per tirarmi un po' più sù, ho pensato che il cervello ancora mi funziona e questa è la più bella cosa. Ricordo ancora che due anni fa il giorno dell'otto Marzo, Festa della Donna, io fui operata al femore e portata in camera di rianimazione. Dopo dovevo morire invece sono sempre qui, a dare noia. In questi giorni è un brutto tempo tira un gran vento, un vento killer che devasta mezza Italia, frane e alberi schiantati, anche dalla Paola ha rotto un albero bellissimo. Ci sono stati anche tre morti; Toscana e le Marche le più colpite.

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Ci sono stati feriti e moltissimi senza luce elettrica, fra i quali Annamaria. Io, per fortuna, nel mio terrazzo, che chiamo il mio Regno, ho tre vasi di fiori di giunchiglie fiorite, che mi ha regalato il Marzo dell'anno scorso Lorenzo e ora sono aumentate di numero; infatti sono state trapiantate in un altro vaso, ma sono tantissime tutte fiorite e profumate. Belle! Siamo quasi alla fine di Marzo, a Primavera. Il diciannove Marzo è la Festa di San Giuseppe. Prima era una giornata di festa per tutti, ora non è più. Il 22 era Santa Lea, anche questa quando ero piccola era in tutti i calendari, ora l'ho vista io in un calendario di "Padre Indovino”: Io non l'ho detto a nessuno, anzi, per caso la mattina del 22 venne quella signora a portarmi la Comunione, così ho pregato Dio di tenermi sul suo cuore e di aiutarmi a superare l'angoscia che spesso il male mi da:

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“Aiutami e fa che le prove della vita non

spengano mai il sorriso sulle mie labbra e di essere di conforto agli altri che mi stanno vicino”.

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14Nota finale: La parola “Meraviglia\Meraviglioso” ricorre diciotto volte. 192


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Francesco e Lea

Lorenzo e Lea

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Lea, Lucia, Dorina e Francesco

Lea e Lucia

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Gli appunti autografi di Lea

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Gli appunti autografi di lea 200


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Autrice: Lea Barbagli A cura di: Lorenzo Romizi (nipote)

Ringraziamenti: Curatore Editoriale: Renzo Tavanti che si è dimostrato estremamente competente ed efficiente nella stesura e nell’impaginazione del testo. Stampa: Simone Pezzola - ColorService Arezzo

Si ringrazia per la collaborazione: FotoClub La Chimera Arezzo Biblioteca Città di Arezzo Archivio Storico di BancaEtruria

Stampato nel mese di Dicembre 2015

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Lea Barbagli nasce il 19/10/1927 nelle campagne toscane, in provincia di Arezzo(Civitella della Chiana, Località Albergo). Figlia di un “barocciaio”(costruttore di carri di legno), studia Ragioneria ad Arezzo dove conosce il futuro marito Pietro Pancini. Dal loro amore nasceranno due bambine, Annamaria(1952) e Paola(1957). sua vita(2013-2015), quando è stata costretta sulla sedia a rotelle nella sua casa in Via Erbosa ad Arezzo. In copertina: Il Terrazzo davanti al Parco Giotto dove Lea ha passato la maggior


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