ControAgenda studentesca | Elezioni Politiche '13

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

{ Indice }

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La passata legislatura: piazze piene e Parlamento sordo

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Dipinto di una generazione a aaaa

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I saperi oggi aaaa aaaa

5 Un giovane su tre 5 Precarietà 6 Abbandono scolastico ed universitario

22 Reddito per i soggetti in formazione 22 Accesso ai saperi 23 Diritto all'abitare 23 Diritto alla mobilità 24 Socialità ed aggregazione

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Fermare l'austerità, liberare i saperi per liberare le persone

10 proposte per i primi 100 giorni di Governo

7 Le riforme dell'istruzione nell'era Berlusconi 8 L'istruzione nell'Unione Europea

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Proposte contro la precarietà esistenziale

Liberare i saperi per liberare le persone

10 Accesso all'istruzione 12 Finanziamenti all'istruzione 14 Cosa studiamo e spendibilità del titolo di studio 18 Democrazia e governance 21 Scuole e università ecocompatibili

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 fortemente paternalistico nei confronti dei giovani,

{ La passata legislatura piazze piene e Parlamento sordo } La legislatura che si sta chiudendo ha visto nascere, crescere e attenuarsi un ciclo di movimenti composto da diverse mobilitazioni di opposizione sociale alle politiche dei due Governi che si sono succeduti. Solo pochi mesi dopo l’elezione di Silvio Berlusconi nel 2008 centinaia di migliaia di studenti e studentesse invadevano le strade d’Italia con la più grande ondata di occupazioni nelle scuole e università degli ultimi venti anni. Il governo di centro-destra aveva dato il via all’atto finale del processo di privatizzazione dell’università e delle scuole, con un taglio complessivo di 11 miliardi di € sul comparto istruzione. Mentre tutto il mondo scolastico e universitario si riversava nelle piazze nel primo grande percorso di opposizione sociale alle politiche berlusconiane, il Parlamento restava sordo alle istanze del Paese. La stessa dinamica si è prodotta quando noi, studenti e studentesse, abbiamo retto tre mesi di mobilitazione continua nell’autunno del 2010, contrastando la Riforma Gelmini e le politiche che precarizzavano le nostre vite. Nonostante le manifestazioni oceaniche - culminate con 200.000 persone in piazza il 14 Dicembre in una città blindata e 50.000 studenti scesi nelle strade delle periferie della Capitale il 22 Dicembre - nonostante l’incontro avvenuto con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nonostante il crescente consenso con cui le nostre istanze venivano accolte nella popolazione Italiana, il Parlamento non ha recepito nessuna modifica al Testo di Legge 240.

degli studenti e in generale di chiunque tentasse di criticare l’operato del Governo. Con le centinaia di migliaia di studenti e studentesse delle scuole superiori scesi in piazza lo scorso autunno, il movimento studentesco è riuscito a superare l’antiberlusconismo come collante delle mobilitazioni, partecipando ad un movimento di portata continentale contro le misure imposte dalla Troika nei diversi paesi denominati PIIGS, dimostrando una maturità nelle proposte e nell’elaborazione che riteniamo un valore aggiunto alla politica Italiana. Aver scelto di lasciare queste proposte inascoltate, di averle spesso sminuite, dimostra l’impoverimento della politica italiana. Il movimento studentesco non è rimasto chiuso nelle scuole e nelle università, ma ha saputo partecipare e unirsi ad altri movimenti (quello dei lavoratori e delle lavoratrici, quello per la difesa dei beni comuni, quello delle donne, etc.).

O la politica sarà capace di recepire le elaborazioni e le proposte dei movimenti sociali come un terreno di confronto e arricchimento o avrà perso la sua funzione di mediazione tra interessi, schiacciandosi nella partigianeria delle politiche neoliberiste e mancherà la funzione della politica come collettore delle istanze sociali e traduzione delle stesse in proposta politica.

Crediamo che la democrazia non sia solo la possibilità di eleggere coloro che compongono le istituzioni, ma che sia anche una pratica continua di ascolto dei cittadini e dei movimenti. Spesso abbiamo denunciato la compravendita di parlamentari per sorreggere la debole maggioranza, ma la barbarie berlusconiana non è stata solo questo: è stato anche l’unanimismo parlamentare nell’avallare le politiche governative, lo schiacciamento del potere legislativo su quello esecutivo, la totale assenza di ascolto delle istanze provenienti dalla società, attorno alle quali i movimenti hanno creato e raccolto partecipazione e hanno prodotto i più vasti avanzamenti in campo sociale ed economico nella storia italiana. L’esperienza del Governo Monti non ha portato miglioramenti da questo punto di vista e si è caratterizzata da un uso strumentale dei giovani per sorreggere ideologicamente le proprie politiche di austerità, politiche di attacco al welfare e ai diritti del lavoro che riteniamo essere nettamente ostili al futuro delle giovani generazioni, e per un approccio

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 che si trovano davanti. Chiunque si voglia assumere un ruolo di governo deve prendere coscienza di questa situazione e darsi come obiettivo centrale quello di ridare un futuro ai giovani e alle giovani in questo Paese.

{ Dipinto di una generazione } Un giovane su tre

Precarietà

A novembre la disoccupazione giovanile, costantemente in crescita negli ultimi anni, è giunta a quota 37,1%, il dato più alto negli ultimi vent'anni, pari al 10,6% della popolazione totale tra i 19 e i 24 anni. Negli ultimi anni è apparso evidente lo scoppio della cosiddetta “bolla formativa”. Guardando infatti i dati sui giovani e le giovani tra i 25 e i 29 anni si nota chiaramente come la disoccupazione sia più alta tra i laureati (16%) che tra i diplomati (12,6%), nonostante nel nostro paese il numero di laureati sia inferiore alla media europea. Nonostante i tentativi da parte dell’università di inseguire ed adeguarsi alle presunte esigenze del mercato del lavoro, il tessuto produttivo italiano continua ad essere basato, per ragioni strutturali che nessun Governo ha mai provato ad affrontare, sullo sfruttamento della manodopera a basso costo, invece che sull’innovazione, soprattutto in questa fase di crisi. Dai dati emerge anche il persistere di forti disuguaglianze territoriali (al Sud e nelle periferie del Nord quasi un giovane su due è senza lavoro) e di genere. L'Italia infatti è uno dei pochi Paesi europei a mantenere a livello giovanile un consistente divario tra uomini e donne, come dimostra la differenza di 9 punti percentuali tra il numero dei laureati occupati e quello delle laureate occupate. Ai disoccupati e alle disoccupate si devono poi sommare 2 milioni di neet (in maggioranza donne), ovvero di giovani che non sono inseriti né nei percorsi formativi né sono in cerca di lavoro. Essi rappresentano il 25% degli italiani tra i 15 e i 29 anni, una delle quote più alte d'Europa (la media europea è del 15,8%). Si tratta di un fenomeno che in Italia non è stato ancora a sufficienza analizzato e che finora sembra lontano dall'agenda politica e dal dibattito pubblico. Se si guarda invece la serie storica dei dati e i confronti con gli altri Paesi europei si può notare come l’aumento della disoccupazione e il fenomeno dei neet siano strettamente legati alla crisi e come i numeri italiani siano estremamente simili a quelli degli altri Paesi sottoposti in questi anni alle misure di austerity europee: Grecia, Spagna e Portogallo. Di fronte all’emergenza di una generazione che non vede un futuro in questo Paese le risposte degli ultimi due Governi sono state scarse e per lo più impregnate di una retorica parternalista, che spesso bolla i giovani e le giovani italiani come choosy e bamboccioni non in grado di affrontare il duro mondo

Mentre quasi la metà dei giovani non lavora, l'altra è inserita nel mercato del lavoro con forme contrattuali precarie. Se non lavori sei precario, se non sei precario, non lavori. Scarse, soprattutto per le donne, sono le probabilità di una stabilizzazione e quindi scarsa è anche la possibilità reale di costruzione di un futuro. Contratti a ore, a chiamata, forme che si mettono al pari del lavoro nero legalizzato. Precario non è solo il tipo di contratto, la tempistica e la durata di questo. Abbiamo vissuto anni dove ci siamo trovati di fronte ad un attacco senza precedenti ai diritti e alle possibilità della nostra generazione. L’attacco all’istruzione, al lavoro e ai diritti è un attacco che è rivolto direttamente contro di noi. La nostra precarietà si presenta sotto un triplice aspetto: come condizione, come prospettiva, come minaccia. Come studentesse e studenti paghiamo politiche di mercificazione e privatizzazione di scuole e università e allo stesso tempo siamo anche un frammento di quella generazione precaria costretta a scontare i costi di questa crisi. Le politiche che limitano l’accesso ai saperi fanno di questo limite la misura dell’inclusione o dell’esclusione sociale. Il ricatto che il mondo del lavoro pone all'ingresso, con una miriade di contratti precari, è il terrore principale della nostra generazione: l'eliminazione di queste

forme contrattuali rappresenta il primo intervento politico necessario per uscire dalla precarietà. Precarietà significa anche non avere forme di tutele e prospettive di futuro. Questa è la condizione degli studenti lavoratori e dei giovani che si immettono in un mercato del lavoro che richiede conoscenze e competenze sempre in aggiornamento e allo stesso tempo impone condizioni precarie, creando un esercito di riserva. La precarietà diventa la regola, la realtà da scontare tutti i giorni. La precarietà è esistenziale. E’ una condizione che unisce lavoratrici, studenti part-time, ex - lavoratori che rientrano nel ciclo continuo della formazione per reagire all'espulsione dal mercato o per migliorare la propria condizione, apprendisti che passeranno la loro vita in officina, dottorandi che fanno il lavoro dei docenti, ricercatrici precarie senza diritto alla maternità, neolaureati che non riusciranno per anni a fare ciò per cui hanno studiato .

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 Abbandono scolastico ed universitario I provvedimenti nei confronti dell’istruzione e della ricerca scientifica assunti dai governi negli ultimi anni prefigurano un'espulsione di massa da scuole e università. Il processo di privatizzazione che ha investito i luoghi della formazione, fino a pochi anni fa accessibili a tutte e tutti almeno nelle intenzioni, ha reso l’accesso ai saperi sempre meno inclusivo e sempre più elitario. Il tasso di abbandono scolastico, secondo i dati ISTAT, è passato dal 15,4% del 2010 al 18,8% del 2012 con una disuguaglianza ancora forte tra Nord e Sud Italia. Non a caso i picchi di dispersione si verificano in Sicilia (22,6%) e Campania (22,3%), due Regioni caratterizzate anche dal fortissimo potere della criminalità organizzata. A tutto ciò è importante aggiungere la possibilità din entrare nel mondo del lavoro già all’età di 15 anni attraverso l’apprendistato. Per quanto riguarda l'università, secondo l’ultimo rapporto del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, il numero degli iscritti all’anno accademico 2011-12 è stato inferiore al 60% dei neodiplomati, il valore più basso degli ultimi 30 anni, mentre il tasso di abbandono universitario tra il primo e il secondo anno, secondo i dati del MIUR, è del 18,4%, con picchi superiori al 30% nei corsi di scienze applicate e giurisprudenza. Il quadro che si può delineare da questi dati è quello di una generazione che, nella crisi economica, non può più appellarsi al sapere come diritto e come strumento di emancipazione dalla condizione socioculturale di provenienza. Mentre i percorsi formativi subiscono processi di depauperamento e privatizzazione, in nome di un'uscita dalla crisi sempre più lontana, la società perde il suo principale strumento di crescita collettiva, di innovazione, di sviluppo culturale, scientifico, umano ed economico.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 oggi in grave difficoltà anche di fronte alle spese amministrative ordinarie.

{ I saperi oggi } Le riforme dell'istruzione nell'era Berlusconi Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati da un lento processo di privatizzazione dei saperi. Scuole e università si sono viste anno dopo anno ridurre i finanziamenti pubblici in nome di un'autonomia che le ha costrette sempre di più a richiedere finanziamenti privati. Invece di un'autonomia sui programmi e sulle scelte, si è portata avanti un’autonomia economica che troppo spesso è diventata dipendenza da soggetti esterni. Tutto ciò ha di fatto sminuito il ruolo degli insegnanti, svilito il ruolo sociale dell'istruzione pubblica e demolito le fondamenta del nostro sistema d'istruzione. Oggi le nostre proposte vanno in direzione opposta e sono completamente alternative alle ricette di privatizzazione dei saperi e di irrigidimento delle istituzioni universitarie e scolastiche portate avanti dagli ultimi governi e in particolare dai governi Berlusconi. La riforma "epocale" della scuola firmata dal Ministro Gelmini ha rappresentato in pieno l'idea delle destre in materia di scuola pubblica: una mera spesa di cui liberarsi. La maxi opera di razionalizzazione non ha avuto alcun indirizzo didattico e pedagogico, ma sono stati solo tagli e riduzione della spesa. Abbiamo assistito alla cancellazione di decine di corsi sperimentali e diminuzione delle ore scolastiche. Il taglio al quadro orario nella scuola superiore ha investito soprattutto gli istituti tecnici e professionali, colpendo in particolar modo le ore laboratoriali. Questo ha dimostrato come le destre siano rimaste profondamente legate ad un'impostazione "gentiliana" in cui la scuola superiore vive un dualismo forte tra licei ed istituti tecnico-professionali, che costituiscono rispettivamente la scuola per il futuro ceto dirigente e quella per una massa indistinta di manodopera a cui vengono strutturalmente negati strumenti di lettura complessa della realtà. L'accanimento nei confronti dell'istruzione tecnico-professionale porta ad una svalutazione delle competenze pratiche e quindi del lavoro. Abbiamo visto in questi anni al fallimento dell'autonomia scolastica, determinato dall'assenza strutturale di risorse per la realizzazione delle attività autonome delle scuole, mortificando i progetti didattici degli insegnanti, le attività autogestite dagli studenti, impedendo alle scuole di essere presidio di legalità e cittadinanza attiva nel territorio attraverso l'apertura pomeridiana ed il coinvolgimento della società. Non solo, i tagli hanno inciso profondamente anche nel funzionamento ordinario delle scuole,

Sul fronte dei diritti degli studenti e delle studentesse e della democrazia interna si sono compiuti pesanti passi indietro. Norme come la reintroduzione del voto in condotta ed il limite delle cinquanta assenze annuali non sono state solamente un mezzo per allontanare dai percorsi formativi studenti a rischio dispersione, ma vere e proprie formule di repressione del dissenso nei confronti degli studenti che protestano o si mobilitano. L'assolvimento dell'obbligo scolastico attraverso l'apprendistato a 15 anni è infine un’espulsione sostanziale dai percorsi formativi di tantissimi studenti che si trovano in difficoltà a studiare.

E' necessario ripensare la scuola in un progetto didattico-pedagogico complesso, ristrutturando cicli scolastici e posticipando la canalizzazione scolastica in modo tale da rendere la scuola un'istituzione inclusiva ed accogliente, in grado di valorizzare gli individui e livellare verso l'alto le capacità di tutti e tutte, accompagnando lo studente in un percorso di consapevolezza e coscienza delle proprie scelte. Anche l’Università pubblica non è stata risparmiata dagli interventi degli ultimi governi nè dai tagli al finanziamento ordinario. A partire dagli anni ‘90 gli atenei hanno visto crescere i loro fondi in base all'aumento del numero di matricole e di corsi disponibili, senza tuttavia raggiungere mai i livelli di investimento di altri paesi europei. Questo processo che mirava, con molti limiti, ad aumentare l'accesso all'università e a raggiungere gli obiettivi europei per numero di immatricolati e di laureati è stato bruscamente interrotto dalla legge 133/2008 che ha portato ad un taglio di 1,5 miliardi distribuiti su 5 anni per effetto dei quali il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) è passato dai 7,5 miliardi del 2009 ai 6,5 previsti per il 2013. A fronte di questi tagli le università hanno dovuto, in forme diverse, ricorrere ad altri tipi di finanziamento. Nella maggior parte dei casi si è trattato di finanziamenti di natura privata, provenienti da fondazioni bancarie o da consorzi territoriali di natura aziendale, che hanno diminuito l'autonomia degli Atenei nelle loro scelte. Anche il ricorso ai privati non si è rivelato sufficiente, come dimostra la dichiarazione della Conferenza dei Rettori (CRUI) secondo la quale oltre 30 atenei non riescono a sostenere le spese ordinarie (utenze e stipendi) e rischiano il default. L’altra risposta degli atenei ai tagli è stato l'aumeNto della tassazione studentesca: il gettito derivante dai corsi di laurea triennale, magistrale e a ciclo unico è passato in pochi anni da 1.232.351.262 a 1.515.670.155 €, portando l’Italia ad essere il terzo paese in Europa per tassazione studentesca, prima

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 di Francia, Germania, Spagna. In questo quadro si colloca poi l’azione del Ministro Profumo che ha in parte eliminato il limite del 20% del rapporto tra FFO e contribuzione studentesca, che impediva agli atenei di prelevare una cifra eccessiva dagli studenti. La norma introdotta da Profumo esclude infatti i fuoricorso (40% del totale) dal computo di questo limite, permette agli Atenei di aumentare loro le tasse e di sanare la situazione di molti atenei che negli anni hanno iniziato a sforare il limite del 20%, senza essere mai sanzionati per questo. A ciò si sommano i tagli effettuati da molte regioni e il taglio al Fondo per il Diritto allo Studio nazionale che, nonostante l’aumento delle tasse regionali per il diritto allo studio, ha prodotto una diminuzione delle borse e dei servizi erogati. Un’università sempre più cara ma che offre sempr meno agli studenti e alle studentesse, l'eliminazione dei sistema di welfare locale e nazionale, il peggioramento delle condizioni economiche di molte famiglie a causa della crisi sono tutte cause che concorrono a determinare un aumento degli abbandoni e una diminuzione delle immatricolazioni, che sono scese del 15% in otto anni (2004-2011). Contemporaneamente la 133/2008 e la 1/2009 hanno bloccato il turnover, causando l'espulsione di oltre 50.000 giovani precari e precarie dalle nostre università e la diminuzione del numero dei docenti italiani, portando il nostro paese ad essere all’ultimo posto in Europa per il rapporto docenti/studenti, che comunque in Italia non è mai stato pari a quello di tanti altri paesi europei. A questa situazione si aggiunge il Decreto Ministeriale 17 che ha imposto requisiti minimi di docenti per l'apertura dei corsi di laurea, motivo per il quale ad oggi oltre il 60% dell'offerta formativa è a numero chiuso. La legge Gelmini (240/10) ha, invece, riorganizzato completamente la governance interna degli atenei, diminuendo gli spazi di rappresentanza studentesca, aumentando i poteri dei Rettori e dei Consigli di Amministrazione, nei quali devono avere tra i loro componenti persone esterne alle università, aprendo la possibilità ai privati di incidere direttamente sulle scelte in materia di didattica e ricerca. Inoltre la stessa legge ha ulteriormente precarizzato il sistema della ricerca, sostituendo il ricercatore a tempo indeterminato con una figura a tempo determinato, senza porre alcuna limitazione al proliferare delle figure precarie (assegnisti, contrattisti, cultori della materia, ecc...) che ormai costituiscono una parte consistente di coloro che si occupano di ricerca e didattica negli atenei italiani. Ricapitolando, le ultime riforme dell'Università assomiliano più a delle controriforme, basandosi su alcuni assunti sbagliati troppo spesso ripetuti sui giornali da esponenti politici, opinionisti e ministri: il fatto che

in Italia avremmo troppi studenti, troppi immatricolati, che le tasse universitarie siano troppo basse, etc... Il risultato di queste controriforme è chiaro: la sostanziale privatizzazione dell'università, un processo ancora in itinere che ha l'obiettivo di diminuire il ruolo del pubblico, di dividere le università in atenei privati di serie A e pubblici di serie B destinati a scomparire o più probabilmente a diventare grandi parcheggi per studenti e studentesse.

L’istruzione nell’Unione Europea Il prossimo governo non potrà costruire le proprie politiche sull’istruzione in un’ottica slegata dalle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee. Per questo riteniamo che le forze politiche italiane debbano interrogarsi su come incidere sull’elaborazione delle politiche europee in materia di istruzione. Riteniamo rischiosa la china intrapresa dall’Europa nell’ultimo anno nelle politiche di austerità imposte ai paesi cosiddetti PIGS. La scelta dell’UE di schiacciarsi sulle politiche neoliberiste rappresenta l’apertura di una fase fortemente recessiva i cui costi saranno pagati dalle fasce più deboli della popolazione, mentre le diseguaglianze continueranno ad aumentare. L’istruzione non è un ambito strettamente di competenza dell’UE, ma non si può negare l’importanza che le discussioni in sede europea hanno avuto sullo sviluppo delle politiche nazionali, a partire dal Processo di Bologna e dalla Strategia di Lisbona. Si tratta di indicazioni ambivalenti: da un lato ci sono gli obiettivi uniformi - quasi mai rispettati dall’Italia - di riduzione dell’abbandono scolastico e aumento del numero di laureati, dall’altro un’idea di istruzione legata a doppio filo con il mondo dell’imprenditoria, in cui tutto il ciclo formativo deve svolgersi in un’ottica professionalizzante e al servizio del mercato, piuttosto che dare spazio ad una formazione a tutto tondo. Questa impostazione, che si rispecchia poi nelle varie riforme attuate dai governi nazionali, dimostra di non essere lungimirante: la parcellizzazione del sapere contrasta con un mercato sempre più precario, in cui è più semplice sostituire un lavoratore o una lavoratrice piuttosto che favorire la sua formazione continua. Crediamo invece che il sistema formativo dovrebbe fornire saperi di cittadinanza e rendere gli studenti e le studentesse capaci di imparare lungo tutto l’arco della vita. Crediamo che i nostri parlamentari dovrebbero svolgere verso l’’Unione Europea un’attività di pressione che permetta di uniformare verso l’alto i sistemi del diritto allo studio nazionali, rivedere le norme sul numero chiuso, mettere in discussione il Processo di Bologna. Inoltre gli Stati dell’UE dovrebbero aprire una vasta discussione sui sistemi di welfare studen-

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 tesco, puntando ad “uniformarli verso l’alto” introducendo forme di reddito di formazione. Fino ad oggi l’UE ha svolto un ruolo di primo piano nell’incentivare mobilità europea studentesca e giovanile. Programmi come Lifelong Learning Programme (che include Erasmus, Comenius, Grundvit e Leonardo) e lo Youth in Action sono una risorsa importante che offre a molti e molte giovani l’opportunità di fare esperienze riconosciute all’estero. Tuttavia la scarsità delle borse e dei rimborsi e il ritardo con cui spesso vengono erogati impedisce a molti di accedere a questi progetti. Per questo sarebbe necessario aumentare le risorse per le borse integrative, come quelle che molte regioni danno ai borsisti che vanno in Erasmus, e ampliare gli stanziamenti a livello europeo e nazionale a favore di questi programmi. Pensiamo che i Governi Europei, specialmente quelli che si affacciano sul bacino del Mar Mediterraneo, debbano impegnarsi e lavorare per mettere in piedi politiche di sostegno ai redditi, di riforma del welfare in senso universalistico e di investimento sull’istruzione, l’innovazione e la ricerca. Il caso Greco già dimostra il fallimento delle politiche di austerità come risposta alla crisi: Gli investimenti nei saperi devono essere la base per ripensare i processi produttivi ed i prodotti, per ridare slancio ai paesi oggi messi in ginocchio dalla crisi.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 Partendo dagli articoli 3, 33 e 34 della nostra Costituzione repubblicana, è necessaria una radicale inversione di marcia che renda questo diritto un diritto di cittadinanza imprescindibile. Il nostro Paese deve garantire il libero accesso ai saperi, per liberarli dalle catene del profitto e renderli mezzo di emancipazione e crescita individuale e collettiva. In questo senso occorre ripensare l'intero sistema di welfare, oggi fortemente familistico e lavorista, con l'obiettivo di garantire la piena autonomia sociale del soggetto in formazione dal contesto socio-economico di partenza.

{ Liberare i saperi per liberare le persone } Accesso all'Istruzione Diritto allo studio a scuola Parlare di diritto allo studio nel nostro Paese significa aprire una pagina dolente. Dalla riforma del Titolo V il compito di rendere effettivo tale diritto è una competenza regionale. Tuttavia lo Stato non si è mai fatto carico di stabilire, con una legge quadro nazionale, i livelli essenziali di prestazione che ogni regione avrebbe dovuto fornire. Ciò ha portato ad un sistema profondamente frammentato e a diverse velocità, in termini di finanziamenti, prestazioni erogate e innovazione, in cui coesistono leggi all'avanguardia e altre sostanzialmente immutate dai primi anni '80. Va inoltre rilevato come, anche a causa dei tagli ai trasferimenti agli enti locali, anche le regioni che hanno buone legislazioni, spesso non stanzino fondi adeguati, lasciando che le leggi rimangano lettera morta. Col passare degli anni si evidenziano sempre più i deficit di questo sistema a cui non si è voluto metter mano o per incapacità o per mancanza di volontà politica. È triste confrontare il diritto allo studio del nostro Paese con altri modelli europei che, soprattutto in Norvegia e Finlandia, garantiscono allo studente di poter decidere veramente dove e cosa studiare indipendentemente dall'estrazione sociale. Studiare, per la maggioranza delle studentesse e degli studenti italiani, diventa sempre più un lusso o quantomeno un privilegio. Gli ultimi anni ci consegnano un quadro sconfortante: trasporti sono sempre più costosi, i libri e il materiale scolastico ogni anno fanno sfiorare i 1000 € a famiglia, il “contributo volontario” si è trasformato in una sorta di tassazione informale che costa centinaia di euro per le famiglie. In questo quadro il crescente dato sulla dispersione scolastica non stupisce. Come non stupisce che inizino ad essere proposti da tutti gli istituti finanziari prestiti per coprire le spese derivanti dalla scuola secondaria, una soluzione incentivata dagli ultimi governi, ma assolutamente inaccettabile perchè rende lo studente ricattabile nel presente e nel futuro. Inoltre, in numerose regioni italiane, avviene uno spreco consistente di risorse indirizzabili sul diritto allo studio che vengono deviate su misure quali il "buono scuola" che più che garantire il diritto allo studio per chi ne ha bisogno, incoraggiano economicamente chi frequenta le scuole private.

Perciò chiediamo una Legge Quadro Nazionale sul Diritto allo Studio che imponga alle regioni: • •

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Risorse per borse di studio, improntate su un forte principio reddituale; Sostegno al reddito indiretto per i soggetti in formazione attraverso l'amplimento della carta IOSTUDIO; Accesso gratuito o agevolato alle iniziative e ai consumi culturali; Livelli minimi da raggiungere in materia di agevolazioni sui trasporti; Comodato d’uso per i libri di testo; Misure per tutelare la multiculturalità e l’integrazione degli studenti immigrati e di seconda generazione; Supporto agli studenti disabili; Istituzione di Conferenze regionali sul diritto allo studio, che coinvolgano le parti sociali (a partire dagli studenti e dalle studentesse), con lo scopo di vigilare sull’applicazione delle norme

Tasse, numero chiuso e diritto allo studio all'Università Contribuzione studentesca Il tema dell’accesso all’università acquista sempre più un carattere di emergenza sociale. Assistiamo ad una vera e propria espulsione di massa di migliaia di studenti dai nostri atenei ( -6,5% degli immatricolati tra il 2006/07 e il 2010/11) Il tema dell’accesso riguarda sia la questione delle barriere formali come la presenza del numero chiuso, sia la insostenibilità dei costi per molti studenti e studentesse e le loro famiglie, a partire dall’aumento di 283 milioni del gettito nazionale derivante dalla contribuzione studentesca dal 2006 al 2011. Riteniamo profondamente sbagliata la modifica del limite del 20%, attuata attraverso la Spending Review del Governo Monti, in quanto da un lato si condonano le università che negli anni hanno sforato questo limite prelevando dagli studenti delle cifre

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 troppo elevate e dall'altro si legittimano gli aumenti per tutti gli studenti oltre i 40.000 di reddito ISEE e per tutti i fuoricorso, seppur contenuti entro i limiti del 25% in rapporto alle tasse pagate dagli studenti in corso al di sotto dei 90.000 euro ISEE e del 50% per quelli tra i 90.000 e i 150.000 euro ISEE. Alle forze politiche richiediamo sia un impegno legislativo nazionale sulla contribuzione studentesca e l’eliminazione di una serie di norme inique approvate dagli ultimi governi sia un’attività di pressione costante verso gli atenei perché modifichino in senso migliorativo i sistemi di contribuzione locale.

Per questo rivendichiamo: •

Il ripristino della soglia reale del 20% del rapporto tra la contribuzione studentesca e il FFO di ogni singolo ateneo e il rispetto della stessa. Questo attraverso l’eliminazione delle norme contenute nella spending review e l’introduzione di sanzioni per gli atenei che hanno sforato la soglia in passato. L’obbligo per gli atenei di destinare l'eventuale extra-gettito della contribuzione studentesca a reali servizi agli studenti, identificati dall'università in accordo con la componente studentesca L'introduzione di principi comuni a tutti gli atenei per la rimodulazione delle fasce sulla base di criteri di maggiore equità e progressività, con l'utilizzo di coefficienti specifici che incidano in misura minore sulle fasce di reddito più basse e in misura maggiore su quelle più alte (sugli esempi di alcuni atenei: Politecnico di Torino, statale di Torino, statale di Pisa). L’eliminazione di tutte le tipologie di tassazione per partecipazione a concorsi o test di ingresso in università (es. tasse per accesso a concorsi di dottorato), nonché le tasse di immatricolazione a qualsiasi tipo di corso di laurea. Il divieto di introdurre sanzioni nei confronti degli studenti fuori corso, che non devono subire degli aumenti della contribuzione studentesca in seguito alla loro mancata laurea nei termini previsti dalla durata legale del loro corso di studio. Uno specifico sistema di contribuzione per gli studenti a tempo parziale, che sia basato sulla riduzione di una quota percentuale fissa (tra il 25 e il 50%) del contributo che lo studente pagherebbe a parità di condizione economica se fosse iscritto a tempo pieno. Specifiche misure anti-crisi e di sostegno alle famiglie in difficoltà che vedono modificarsi della propria condizione economica in misura rilevante rispetto all'anno precedente su cui si basa la dichiarazione ISEE.

Numero Chiuso Per quanto riguarda il numero chiuso è necessario ribadire come esso venga oggi troppo spesso utilizzato come risposta alla carenza di strutture e docenti: invece di puntare a migliorare il servizio fornito agli studenti e ad assumere i tanti precari si preferisce impedire agli studenti l'accesso all'università. Il test d’ingresso, non sempre basato sulle conoscenze che uno studente si suppone abbia acquisito durante il suo precedente corso di studi e altrettanto spesso contentente domande per nulla attinenti alle materie che si studieranno una volta entrati all’università, ha la facoltà di decidere sul futuro di migliaia di ragazzi. Se prima la limitazione era stata prevista a livello nazionale per pochi corsi di laurea, principalmente quelli preparatori alle professioni mediche e sanitarie, ben presto si è avuto un effetto domino: ai corsi medici si sono aggiunte quelli tecnici e quasi tutti i corsi scientifici e anche alcuni sociali e umanistici, fino a raggiungere attualmente il 60% dell’offerta formativa. Troppo spesso oggi a fronte di un paese che dovrebbe investire sulla conoscenza proprio per raggiungere alcuni parametri europei di accesso all’università e di laureati si preferisce tagliare le risorse, ridurre il numero di docenti e limitare l’accesso all’università.

Per questo chiediamo: •

L’eliminazione di tutte le barriere all’accesso per i corsi di laurea regolamentate esclusivamente da leggi nazionali. La revisione delle norme di selezione per quei corsi in cui il numero chiuso è richiesto dalla normativa europea, introducendo dei meccanismi di selezione in itinere come previsto in altri paesi europei con una modalità che non determini una competizione sfrenata tra studenti. L’eliminazione del blocco del turnover e di conseguenza un piano di assunzioni di docenti e ricercatori che aumenti notevolmente la proporzione docenti-studenti (attualmente tra le più basse d’Europa) portandola almeno alla media europea, in modo da poter permettere l’apertura di un numero maggiore di corsi di laurea e il miglioramento del rapporto docenti-studenti. L’eliminazione delle norme sui requisiti minimi contenute nel D.M. 17 impedendo limitazioni sul numero di studenti iscritti per corso di laurea.

Il diritto allo studio universitario (D.S.U.) In Italia soffre sempre più il problema di insufficienza delle risorse finanziarie e di inadeguatezza del si-

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 stema di finanziamento, problema antico ma notevolmente peggiorato a causa del taglio al Fondo per il Diritto allo Studio nazionale, che è passato dai 246 milioni del 2009 ai 162 attuali, a cui si sommano i tagli effettuati da molte regioni. Nel 2010/11 solo il 10% di coloro che studiavano in Italia riceveva la borsa di studio, oggi questo dato potrebbe essere ancora più basso. Uno studente su quattro anche se soddisfa i requisiti per beneficiare di borsa non la riceve, ovvero è un idoneo non beneficiario. La stessa situazione si presenta quando si parla di posti letto, mense, aule studio: nel 2010/11 i posti letto gestiti dagli enti regionali sono circa 43.000 a fronte di 85.000 aventi diritto fuori sede: in media, uno su due si assicura l’alloggio. Inoltre il passaggio di competenze alle regioni in materia di D.S.U., dovuta alla riforma del Titolo V della Costituzione, fa sì che le condizioni di accesso alla borsa, l’importo della stessa e il livello dei servizi erogati varino da regione a regione. In tale contesto, si registrano aumenti delle tasse regionali per il diritto allo studio, a seguito dell’approvazione del decreto attuativo della legge 240/10 n 436 (D.lgs 68/12), con il quale è stata rimodulata la tassazione regionale che è passata da una media nazionale di 93.50 euro a 140 euro in tutte le regioni. Nell'ultimo anno gli studenti universitari tramite le loro tasse hanno versato una cifra superiore a quella versata complessivamente dallo stato e dalle regioni, diventando i primi finanziatori del diritto allo studio.

Per questo rivendichiamo: •

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La modifica del decreto legge sul diritto allo studio in modo che stabilisca realmente di livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e che definisca in particolare l'entità minima garantita delle borse di studio sul piano nazionale e i servizi conseguenti. Il fondo nazionale per il diritto allo studio dev'essere, di conseguenza, sufficiente almeno per coprire i LEP e la totalità delle borse di studio. L’eliminazione del Fondo per il Merito, facendo in modo che i fondi stanziati vengano destinati al Fondo Nazionale per il Diritto allo Studio. L’eliminazione dei prestiti d’onore. La copertura totale delle borse di studio e la conseguente eliminazione della figura dell’idoneo non beneficiario presente solo in Italia. L’ampliamento della platea degli idonei, estendendo i criteri di reddito sulla base dei quali viene assegnata la borsa di studio. L’istituzione di una “borsa preventiva” di carattere nazionale, erogata agli studenti iscritti all'ultimo anno della scuola superiore per favorire la loro libera scelta, indipendentemente dalla regione nella quale lo studente sceglie di studiare.

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Adeguamento delle borse di studio al costo della vita nella città in cui si studia, di fatto garantendo i LEP.. La tutela e la promozione dei diritti degli studenti disabili, attraverso il loro coinvolgimento attivo. Piano pluriennale di finanziamento straordinario per l'edilizia universitaria, che finanzi la realizzazione, tramite il recupero di determinate aree urbane, di nuove case dello studente e di alloggi pubblici a canone concordato. Definizione di contributi pubblici per gli affitti, sul modello francese, e iniziative sostenute nazionalmente come lo sportello casa gestito dalle Università e dai comuni, in grado di favorire la lotta al sommerso. Carta di cittadinanza studentesca per l'accesso gratuito ai contenuti culturali. Costituzione in ogni regione e a livello nazionale di un osservatorio sul diritto allo studio, adeguatamente finanziato. Borse Erasmus: aumento dell'integrazione ministeriale della quota erogata e concessione di una parte della borsa al momento della partenza. Va inoltre prevista una differenziazione a seconda del costo della vita del paese di destinazione.

Finanziamenti all’istruzione L'Italia investe solo il 4,8% del suo Pil per finanziare scuole e università e vanta un tasso di dispersione e abbandono scolastico tra i più alti d'Europa. L'ammontare della spesa per studente sostenuta dagli istituti è aumentata, tra il 2000 e il 2008, solo del 6% rispetto alla media dei Paesi Ocse che ha visto un aumento del 34%. E' cresciuto spropositatamente invece negli ultimi anni il costo sostenuto dalle famiglie per garantire ai propri figli l'accesso e la prosecuzione dei percorsi di studio, fino a superare in media il migliaio di euro annui. I dati fin qui snocciolati altro non fanno che sottolineare il particolare disinteresse politico che è stato ed è tuttora riservato all'istruzione pubblica. Il principale strumento di modifica degli assetti e della struttura del sistema scolastico italiano, utilizzato dai governi che negli ultimi anni si sono succeduti alla guida, sono stati infatti tagli trasversali che, uniti ad interventi di riforma deleteri, hanno fatto sì che le barriere di ordine economico e sociale che impediscono il libero sviluppo della persone siano oggi una muraglia insormontabile. Il tema del finanziamento non riguarda solamente scuole e università, ma investe anche il mondo della ricerca: spesso ancora prima di iniziare un progetto di ricerca occorre ricercare i fondi per farla, rivolgendosi alla progettazione europea e ai privati, con le

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 ovvie conseguenze sulla libertà dello studio. Serve incentivare una ricerca finanziata con fondi pubblici, raggiungendo le medie europee e serve investire su questo campo e sui giovani dottorandi, precari e ricercatori per evitare che siano costretti ad andarsene da questo paese. La costruzione di un sistema alternativo non può prescindere da un processo che ricostruisca una visione politica, sociale e culturale dei percorsi formativi e delle istituzioni pubbliche a ciò preposte, invertendo la rotta di un percorso avviato, consolidato ed in parte accettato nel corso degli ultimi anni, spesso per rassegnazione. A questo percorso involutivo e regressivo, occorre dare una risposta ampia, che comprenda una riforma del sistema fiscale, basata su una tassazione fortemente progressiva e re-

distributiva, che colpisca patrimoni, rendite e speculazioni monetarie e finanziarie (tassa patrimoniale, tobin tax, esprori, ecc.), raccogliendo risorse per il finanziamento dei sistemi formativi e del loro libero accesso.

Per questo chiediamo: •

Un sistema di istruzione e formazione media e universitaria che tenda, nel tempo alla completa gratuità per tutti i soggetti in formazione, che realizzi un vero e proprio diritto allo studio per tutti. Un sistema “finale” completamente finanziato dalla fiscalità generale, in grado di assicurare il diritto di scelta agli studenti nel perseguimento del proprio percorso formativo indipendentemente da condizioni di partenza, reddito e contesto territoriale e dal ricatto dell'elevata tassazione e dei costi che lo studente è costretto a sostenere per spostarsi da una città ad un'altra. Un sistema che emancipi sul piano economico, sociale e familiare e che liberi e responsabilizzi lo studente nel corso della fase di formazione, anche se in condizioni economiche favorevoli, riconoscendogli un ruolo nella società.

Scuola La spesa per la scuola pubblica è andata drasticamente riducendosi negli ultimi 10 anni. Nel 1990 l'Italia spendeva per la scuola il 10,3% dell'intera sua spesa pubblica, nel 2008 questa percentuale si è ridotta di un punto sottraendo complessivamente alla scuola 80 miliardi di euro. Sempre nel 2008, invece di compensare la riduzione che aveva fatto scendere di quasi 8 miliardi il finanziamento annuo tra il 1990 a il 2008, si è deciso di fare un taglio aggiuntivo: la l. 133/08 ha previsto tagli alla spesa per la scuola pubblica pari a 7,8 miliardi nel triennio 20092012, tagli al personale e di ore di lezione.

Mentre tutto ciò accadeva nelle scuole scuole private i finanziamenti lievitavano: dal 2000 (anno dell'istituzione della legge sulla parità scolastica) al 2007 l'ammontare delle risorse è triplicato passando da 179 milioni a circa 545 milioni, senza contare i fondi stanziati dalle regioni e gli enti locali per i “buoni scuola” elargiti alle famiglie che scelgono quei percorsi. È necessario modificare la legge di parità distinguendo nel capitolo finanziamenti le scuole pubbliche dalle private, poiché ad ora tra le paritatie risultano scuole come le comunali che usufruiscono di questi finanziamenti; in questo modo si potrà uscire da ogni indecisione ed azzerare i fondi per le private reindirizzandoli alle pubbliche. Le conseguenze dei tagli intanto rendono difficile anche la gestione ordinaria degli istituti scolastici: i contributi delle famiglie hanno raggiunto, nello scorso anno scolastico, picchi di 200 euro, cui bisogna aggiungere gli altri costi che le famiglie si sobbarcano interamente, in primis quelli esorbitanti dei libri scolastici (il Codacons calcola il tetto medio di spesa nel 2012 a 1233 euro), dei trasporti, eventualmente di mense e affitti e dei consumi culturali in generale. Dal rapporto "Ecosistemascuola" effettuato da Legambiente nel 2012 emerge che quasi la metà degli edifici scolastici non possiede le certificazioni di agibilità, più del 65% non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36% degli edifici ha bisogno di interventi di manutenzione urgenti. Senza contare che il 32,42% delle strutture si trova in aree a rischio sismico e un 10,67% in aree ad alto rischio idrogeologico. Inoltre il 65% degli edifici è stato costruito prima degli anni anni ‘70 (si considera che gli edifici costruiti tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70 siano quelli maggiormente a rischio di crollo di solai). La situazione non fa che peggiorare nel Mezzogiorno, dove la media degli investimenti è inferiore a quella nazionale, nonostante vi sia una maggiore necessità di interventi di manutenzione straordinaria. Nella maggior parte delle scuole esistono barriere architettoniche, che impediscono, di fatto, il libero accesso agli studenti e alle studentesse disabili e costituiscono un reale rischio per la sicurezza degli edifici scolastici. A peggiorare la situazione sono stati i tagli all’istruzione degli ultimi anni e la riduzione del numero dei docenti. Il fenomeno delle classi pollaio ha reso quasi impossibili da rispettare le norme antincendio che regolano il numero di studenti per aula. Inoltre è necessario segnalare l'assenza in molte scuole di porte con apertura antipanico, l'assenza delle scale di sicurezza, delle uscite di emergenza, della segnaletica, della larghezza minima necessaria degli spazi per il passaggio. L’art 64 della legge 133/2008, che consente l’aumento del numero di alunni per classe, prevede inoltre la chiusura o l'accorpamento ad altri

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 istituti delle scuole con un numero minore di 500 alunni. Questo spinge le scuole ad accettare più iscrizioni di quanto è in grado di contenere per le norme di sicurezza. Gran parte degli edifici scolastici non ha una palestra funzionante al proprio interno e i cortili o non ci sono o sono utilizzati come parcheggio. Spesso non esistono le aule computer e i laboratori didattici sono privi del materiale necessario. Ancora più rare le mense, le biblioteche, le aule studio e gli spazi dedicati ai servizi igienico-sanitari e alle infermerie che spesso sono inutilizzabili o mancano dei materiali necessari.

Per questo rivendichiamo: •

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Un piano di investimenti sull’edilizia scolastica per garantire la messa in sicurezza, l’agibilità statica e quella igienico-sanitaria, l’adeguamente alle norme per la prevenzione di incendi e calamità, l’eliminazione delle barriere architettoniche, l’adeguamento degli strumenti e delle postazioni per i disabili e l’ecocompatibilità delle strutture Un piano di investimenti per la realizzazione di mense, alloggi pubblici, palestre, biblioteche, laboratori auditorium e aree per le attività studentesche autonome; La riduzione del numero di alunni per classe, normalizzazione del rapporto studenti/numero di classi e l’eliminazione dell’ articolo 64 della legge 133/2008 Un piano di incentivi per l’informatizzazione delle strutture scolastiche; L’introduzione, tra le attività didattiche di corsi sull’uso dei DPI (dispositivi di protezione individuale) soprattutto negli istituti tecnici e professionali; L’allargamento democratico dell’Osservatorio e dei Comitati paritetici sulla sicurezza; L’istituzione di un certificato antimafia per gli appalti che riguardano i plessi scolastici.

centi e ricercatori alla somma algebrica di FFO e contribuzione studentesca, la situazione peggiora: a fronte di un FFO costantemente in riduzione, a partire dai tagli operati dalla L.133/2008 (1,5 mld in 5 anni), l'unico dato variabile risulta essere il gettito derivante dalle tasse universitarie. Alla scarsità del finanziamento si accompagna in alcuni casi la mala gestione delle risorse da parte degli atenei. Grazie alle norme sull’autonomia è impossibile per lo Stato esercitare in molti casi un controllo sui bilanci degli atenei e l’unica risposta allo spreco sono misure punitive, il cui unico risultato è aggravare le situazioni di deficit e i cui costi ricadono più frequentemente sulle categorie più deboli, studenti e precari, piuttosto che su coloro che hanno responsabilità sul dissesto. Oltre al sottofinanziamento gli atenei patiscono anche l’assenza di una comunicazione chiara dell’importo che riceveranno dal Ministero, situazione che impedisce di sviluppare una seria programmazione annuale delle spese e porta molte università a chiudere il bilancio senza essere a conoscenza dell'esatta entità del trasferimento di fondi ministeriali.

Per questo rivendichiamo: • •

• Per far fronte ai problemi relativi all'edilizia è necessario un piano straordinario di finanziamento per l'edilizia scolastica di 10 miliardi di euro, quindi un piano pluriennale di investimenti per la messa in sicurezza delle scuole italiane (almeno 1 miliardo e 500 milioni di euro per intervenire su 1500 scuole).

Università Il Fondo di finanziamento ordinario rappresenta la maggiore entrata per le Università italiane e viene anche utilizzato quale parametro di riferimento per valutare la virtuosità di un Ateneo rispetto ad un altro. Con l’approvazione del DM 297/2012 sul reclutamento, che lega la possibilità di assumere nuovi do-

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Il reintegro dei tagli previsti dalla L.133/08 per il 2013 Un piano straordinario di investimenti che porti in tre anni l'investimento in formazione, università e ricerca al 5,7% del PIL (costo: 18 miliardi di euro, in media, all'anno) e in particolare il finanziamento di università e ricerca da 8 672 a 12907 dollari per studente (media Ocse). L’ adeguamento automatico dell'FFO in base all'inflazione e agli scatti stipendiali. Riteniamo come minimo necessario il raggiungimento della media di investimento europea pari all’1,5% del PIL (Italia 0,88%) La comunicazione a inizio anno dell’importo dell’FFO, che non deve essere più ripartito in più rate. Il controllo dei bilanci degli atenei per evitare il dissesto finanziario con interventi mirati anche in deroga all'autonomia per impedire operazioni potenzialmente pericolose per la stabilità economica di un ateneo e l’eliminazione di criteri punitivi nella ripartizione di quote di FFO La ripartizione equa dell'FFO sulla base dei costi effettivi, eliminando criteri di merito per gli atenei.


Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 Cosa studiamo e spendibilità del titolo di studio Uno dei termini più ricorrenti quando si affronta il tema di cosa si studia è quello della spendibilità del titolo di studio: i saperi e la formazione devono essere pensati in virtù delle esigenze del mercato del lavoro e il compito di scuola e università è quello di creare manodopera immediatamente utilizzabile nel mercato del lavoro. Le riforme di scuola e università degli ultimi decenni sono state improntate proprio all’applicazione di questo pensiero, creando percorsi di studio “professionalizzanti” e frammentati, spesso con accesso limitato sulla base di presunte esigenze del mercato del lavoro. Il processo di standardizzazione dei saperi ha coinvolto ugualmente scuole e università, eliminando e denigrando tutto ciò che fosse eterodosso, critico o semplicemente non immediatamente spendibile, favorendo un approccio allo studio fortemente nozionistico. La retorica del merito e la promozione di una cultura valutativa autoritaria, che impone i propri criteri di giudizio facendone veri e propri elementi d'esclusione, sono stati finora gli strumenti usati per accelerare il preoccupante impoverimento qualitativo della formazione. Fenomeni come quello della bolla formativa, il numero crescente di abbandono degli studi, i dati sul disinteresse e il malessere che gli studenti italiani provano rispetto alla scuola, dimostrano però come l'impostazione neoliberista che si è voluta imprimere a scuole e università sia fallimentare: la subalternità dei saperi ai mercati è inaccettabile e bisognerebbe andare nella direzione di una società in cui i saperi riescano ad innovare il tessuto produttivo tramite la ricerca e la libera circolazione delle conoscenze.

Scuola La scuola italiana eredita e soffre ancora oggi dell'impostazione datale dalla Riforma Gentile del 1923. Sembra tardino infatti ad essere smaltiti i fari ideologici di una riforma che da un lato dava alla didattica un'impronta dogmatica e dall'altro poneva una divisione netta tra l'istruzione classica e quella tecnico-professionale. Ad oggi questa gerarchia tra i saperi tecnici e saperi liceali permane. Alla tradizionale bipartizione ora si affianca anche una terza opzione: la possibilità, normata dal collegato lavoro del 2010, di usare l’apprendistato per adempiere l’obbligo scolastico, che di fatto equivale alla possibilità dannosa di lasciare gli studi a soli a 15 anni, senza un bagaglio di conoscenze di base e senza la preparazione adeguata per l'ingresso nel mondo del lavoro. D'altro canto la scelta di proseguire gli studi si scontra con l'assenza di un sistema di welfare capace di garantire a tutte e tutti il diritto allo studio, oltreché

con l'assenza cronica di opportunità lavorative in continuità con i percorsi formativi fatti. Il nostro sistema d'istruzione non ha visto che rafforzare col tempo la sua impostazione classista e ad oggi alimenta la precarietà invece di combatterla; crediamo sia necessario ripensare radicalmente la struttura

dei cicli a partire da una riflessione partecipata sul valore dell'istruzione e sulla didattica, per tutelare il diritto di scelta di ognuno e garantire pari dignità a tutti i percorsi di studio. La didattica nel nostro sistema scolastico è ancora oggi fortemente nozionistica e passivizzante; le materie, senza soluzione di continuità tra i vari cicli, appaiono incapaci di mettere in relazione temi, fasi storiche e questioni d'attualità, la metodologia didattica prevalente è ancora quella frontale o cattedratica che, se usata univocamente, è inefficace e incapace di coinvolgere. Le cause di questo progressivo impoverimento vanno ricercate sicuramente nell'assenza cronica di risorse per l'aggiornamento e la ricerca didattica, nelle politiche d'assunzione del corpo docente - col blocco dei pensionamenti e dei turn-over, nell'abolizione dei corsi sperimentali e delle ore laboratoriali prevista dalla 133/08, nell'aumento del numero di studenti per classe. Sarebbe necessario ripartire riconnettendo i fili delle relazioni didattiche tra studenti e docenti, costruendo tra questi momenti di discussione paritetici sull'offerta formativa, ripensare i programmi didattici in un ottica realmente interdisciplinare, lasciando agli studenti, specialmente nell'ultimo triennio delle superiori, la libertà di scegliere, sulla base dei propri interessi, alcuni corsi dell'orario curricolare. Bisognerebbe aprire le scuole al pomeriggio per le attività autogestite dagli studenti e i corsi d'approfondimento, sfruttando in maniera sistematica le metodologie didattiche attive e cooperative che le scienze dell'educazione ci mettono a disposizione. Crediamo che la digitalizzazione rappresenti un'opportunità parziale per lo svecchiamento della didattica sulla cui valenza pedagogica bisognerebbe tornare a riflettere. In quest'ottica andrebbe inoltre riformulato lo strumento dello stage; esso infatti oggi non è un'opportunità di mettere in pratica quanto studiato ma un'occasione di sfruttamento degli studenti, che si ritrovano a svolgere, al servizio delle aziende, mansioni per nulla inerenti agli studi, senza alcun diritto né tutela. La valutazione rappresenta infine la cartina di tornasole delle problematiche strutturali legate al cosa e al come si studia. In questi anni infatti tramite l'INVALSI e i progetti sperimentali del MIUR, non ultimo il nuovo Servizio Nazionale di Valutazione, si è calato dall'alto nelle scuole un modello di valutazione incentrato sul controllo, sulla premialità e sulla misurazione quantitativa dei risultati che sta consapevolmente determinando dei dannosi processi di riforma a ritroso della didattica, standardizzandola e aggra-

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 vandone l'impostazione dogmatica. Il sistema dei voti numerici e quello dei debiti e crediti infatti, attualmente esteso a tutti i cicli d'istruzione, costituisce di per sè una vuota simbologia e allo stesso tempo vero e proprio elemento d'esclusione; la reintroduzione del voto di condotta e del limite delle 50 assenze , dato l'uso strumentale e non educativo a cui entrambi si prestano, è in questo senso sintomatica di una necessità di riformulare il modo di pensare e praticare la valutazione. La direzione in cui ha remato l'introduzione coatta dei test INVALSI nei punti cruciali di tutti i segmenti della formazione, non ultima l'ipotesi d'introdurli all'esame di stato, è stata però quella dell'omologazione e dell'impoverimento della qualità formativa. Il fatto inoltre che numerose ricerche internazionali abbiamo più volte negli anni dimostrato la negatività comportata dalla somministrazione abituale dei test dovrebbe farci riflettere su un radicale cambio di rotta. Bisognerebbe mettere al centro un modello di valutazione narrativa e processuale, che non veda i percorsi formativi come percorsi lineari su cui “o si va avanti o si va indietro”, “o si viene promossi o bocciati”, ma come processi circolari di cui la valutazione descrive di volta in volta le lacune e i punti di forza che lo studente o l'istituto scolastico sviluppa.

Per questo rivendichiamo: •

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L'abolizione della formula ibrida del dirittodovere all'istruzione e l'innalzamento effettivo dell'obbligo scolastico a 18 anni, debitamente sostenuto da un ripensamento complessivo dei cicli e dalla costruzione di un sistema nazionale forte di diritto allo studio; L'abolizione dell'apprendistato come formula di assolvimento dell'obbligo scolastico e la posticipazione dell'accesso alla formazione professionale; La parificazione a livello nazionale dei certificati di formazione professionale, che ad oggi hanno valore solo nella regione di conseguimento del titolo; L'introduzione di uno Statuto delle studentesse e degli studenti in stage, norma fondamentale per tutelare gli studenti dallo sfruttamento e per costruire percorsi di integrazione tra scuola e lavoro veramente di qualità ; Il potenziamento della figura del Tutor che segue gli studenti durante lo svolgimento dello Stage, per potenziare la qualità dello stesso e rendere effettiva la valutazione finale; Che i percorsi di alternanza scuola-lavoro siano una pratica didattica, non un canale a sè stante, da svolgersi trasversalmente all’interno di tutti i percorsi formativi e non solo in alcuni; L’abolizione del blocco del turn-over e la costruzione di una politica per il recluta-

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mento che si ponga come prioritario il problema della stabilizzazione dei docenti precari e il miglioramento qualitativo del sistema scuola; L’abrogazione del riordino dei cicli per la scuola secondaria e il reintegro delle ore laboratoriali per gli istituti tecnici e professionali, drasticamente tagliati dalla riforma Gelmini del 2009;; Una forte generalizzazione, tramite investimenti statali, della scuola dell’infanzia; L'istituzione di un biennio fortemente unitario all'inizio del secondo ciclo d'istruzione, che renda omogenea per tutti i percorsi di studio l'acquisizione delle competenze chiave e permetta allo stesso tempo la valorizzazione delle attitudini e delle sensibilità; L'introduzione per il triennio conclusivo delle superiori di un quoziente di orario curriculare libero e componibile che caratterizzi in senso professionalizzante , anche tramite stages, tirocini e percorsi laboratoriali, il passaggio dal ciclo secondario superiore al mondo universitario o del lavoro; La sostituzione dell'ora di religione con l'ora di storia delle religioni; L’inserimento dell’educazione fra pari, l'indagine a partire da strumenti multimediali, le metodologie attive e cooperative d'apprendimento, la costruzione di ore curriculari interamente interdisciplinari tra le pratiche didattiche quotidiane. La scrittura partecipata del Piano dell'Offerta Formativa (POF) e dei curricola attraverso la discussione all’interno di Commissioni Paritetiche di studenti e docenti; La programmazione collegale delle attività complementari, creando un raccordo tra territorio e scuola e tra curricolare ed xtracurricuriculare, tramite anche e soprattutto la valorizzazione dell’associazionismo presente sul territoriale; Iniziative di formazione dei docenti sulle innovazioni pedagogiche e didattiche da poter apportare nelle classi, oltrechè sui temi dell’integrazione e dell’intercultura, sull’insegnamento dell’italiano come seconda lingua; iniziative di formazione dei docenti sull’educazione di genere, sulla diversità degli orientamenti sessuali e sulla prevenzione di atti di bullismo omofobico, lesbofobico, razziale, ecc... La promozione di un’educazione laica alla sessualità, attraverso corsi di prevenzione dei comportamenti a rischio da realizzarsi tramite supporto dell’associazionismo e degli enti del settore presenti sul territorio; Una riorganizzazione del tempo scuola che consideri le scuole come spazi di costruzione di una formazione a tutto tondo, ga-


Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

rantendo l’apertura pomeridiana costante degli edifici, dando rilievo maggiori a strumenti quali i progetti di sperimentazione didattica e valutativa praticabili nell’ambito dell’autonomia scolastica; La ridefinizione del sistema debiti-crediti che, a più di 10 anni dalla sua introduzione, non ha fatto che produrre processi quantitativi di valutazione ; Le modifica del decreto 80/2007 sul recupero crediti e l’om 092/2007 sulla valutazione, svincolando i processi di recupero in itinere dai risultati della singola prova di verifica finale, strutturando percorsi di recupero personalizzati e introducendo strumenti valutativi, quali gli incontri studentidocenti, l’autovalutazione, la valutazione dei docenti, che pongano al centro della valutazione la qualità e il confronto didattico; L’abrogazione del voto in condotta e del limite delle 50 assenze reintrodotto tramite la riforma Gelmini; La modifica dell’ordinamento giuridico dell’INVALSI, affinchè questo sia un ente terzo dal Ministero; L'abolizione del regolamento del Servizio Nazionale di Valutazione approvato lo scorso 24 Agosto; L'abolizione delle rilevazioni censuarie dell'INVALSI da tutti i cicli d'istruzione e la reimpostazione radicale delle metogologie di testing e dei criteri di valutazione.

La legge Gelmini ha istituito un nuovo organo per la valutazione della didattica, l’ANVUR, composto da 7 componenti di nomina ministeriale. La questione della valutazione tanto della ricerca quanto della didattica è una questione estremamente delicata e tutti i sistemi di valutazione danno luogo a distorsioni, soprattutto se applicati per molto tempo. Ridurre la complessità della ricerca e della didattica a sistemi misurabili è molto complessa, soprattutto man mano che ci si allontana dalle scienze dure e si valutano anche gli studi sociali e umanistici. Proprio per questo un organo così potente dovrebbe essere posto ad un maggior controllo. L’ANVUR ha anche il compito di valutare e stabilire l’accreditamento degli atenei, delle sedi e dei corsi di studio. Viene però dotato l’ANVUR di un potere eccessivo e non controllabile che potrebbe permettergli di chiudere corsi di laurea se sottoposti ad una valutazione negativa senza nessun controllo ministeriale. Riteniamo necessaria una valutazione degli atenei come dei corsi di laurea ma questa non può passare per lo strumento dell’ANVUR cosi come è oggi. Lo stage (o tirocinio formativo e di orientamento) potrebbe essere uno strumento molto utile per completare e arricchire la formazione di uno studente, dando la possibilità di applicare ciò studia e di unire al sapere il saper fare. Tuttavia si tratta di uno strumento spesso mal utilizzato che, invece di introdurre lo studente o la studentessa nel mondo del lavoro, lo introduce nel mondo della precarietà, attraverso mansioni spesso per nulla formative che hanno l’unico obiettivo di fornire all’impresa o all’ente che ospita lo stagista manodopera gratuita. Per questo occorre intervenire ribadendo fortemente il ruolo

formativo dello stage e introducendo regole comuni

Università Nelle università si assiste ad una didattica sempre più impoverita, parcellizzata e standardizzata, frutto da un lato di alcune riforme (ad esempio la Zecchino-Berlinguer che ha introdotto il sistema dei crediti), dall’altro dei tagli che si sono susseguiti negli ultimi anni e del blocco del turn over che ha fatto ulteriormente diminuire il rapporto docenti-studenti. I percorsi formativi sono sempre più rigidi e consentono una libertà sempre minore per il singolo studente di formarsi un percorso personalizzato. Lo studio rimane fortemente nozionistico, poco spazio viene dato alle attività integrative o a modalità didattiche differenti (seminari, esercitazioni, lavori di gruppo). Inoltre, proprio in virtù del concetto di spendibilità, si assiste ad un abbassamento della qualità dei percorsi di studio che danno sempre minore importanza agli insegnamenti di base e provano, spesso senza riuscirci, a rincorrere le esigenze del mercato del lavoro. Tutto ciò che è dibattito, riflessione, critica ed eterodossia trova sempre meno spazio nelle aule universitarie, in favore di un sapere presuntamente spendibile sul mercato.

(e facendole rispettare) che tutelino lo stagista e la stagista. Proprio in virtù della funzione formativa di questo istituto dovrebbe essere possibile utilizzare lo stage solo con soggetti che sono inseriti in un percorso formativo, mentre per tutti gli altri dovrebbero essere previste altre forme, come l’apprendistato, per coloro che hanno già terminato gli studi e che vogliono entrare a tutti gli effetti nel mondo del lavoro. Il livello di internazionalizzazione degli atenei italiani è ancora molto basso. Solo il 5% degli studenti e delle studentesse riesce ad usufruire del programma Erasmus, mentre altri progetti analoghi (tesi all’estero, summer school, scambi tra università, lauree binazionali, ecc...) hanno subito pesanti tagli a causa della riduzione dell’FFO e in molti casi sono addirittura scomparsi. A rendere più difficile per gli studenti l’accesso ai programmi internazionali sono spesso i fattori economici: le borse sono sufficienti a coprire una minima parte delle spese, spesso arrivano in ritardo e alcune attività non le prevedono neanche.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 Per questo rivendichiamo: •

L’abolizione del blocco del turn over e un piano di assunzioni di docenti e ricercatori per portare il rapporto docenti-studenti almeno nella media europea, senza ricorrere al numero chiuso L’abolizione dei requisiti minimi necessari e la promozione di un sistema di valutazione qualitativa. Il superamento dell’attuale impianto dell'organizzazione dei corsi a partire da corsi

impostati su macroaree divise in esami fondamentali, caratterizzanti e a scelta in

modo da consentire il più alto livello di autogestione del proprio percorso formativo

superando definitivamente il sistema dei crediti che impedisce mobilità dentro i

corsi e tra i corsi. Uno statuto dei diritti degli studenti e delle studentesse in stage che garantisca l'attinenza del tirocinio con il percorso di studi, definisca modalità stringenti per l'accreditamento degli enti, sanzioni per gli enti che non rispettano lo statuto. Fondi l’internazionalizzazione. Aumento del numero e dell’importo delle borse erasmus, che dovranno essere calcolate sulla base del costo della vita del paese in cui si svolge in programma

Democrazia e Governance Scuole Per parlare di governance e democrazia nelle scuole superiori è necessario porre una grande attenzione alla mobilitazione studentesca di questo autunno. Nei mesi precedenti le studentesse e gli studenti di tutta Italia sono scesi in piazza per opporsi alla legge 953, ex p.d.l. Aprea, progetto di legge già fermato nel 2008 dalle proteste studentesche. Questo provvedimento avrebbe portato alla sostanziale privatizzazione della scuola pubblica e all'abolizione dei diritti degli studenti e delle studentesse, ottenuti con anni di battaglie. Vi è l’abrogazione di numerosi articoli del Testo Unico sulla scuola, all’interno del quale sono regolamentate grandissima parte dei diritti degli studenti e delle studentesse, tra cui le norme sulla rappresentanza studentesca negli organi collegiali di istituto, il diritto di assemblea su ogni livello di ogni istituto, i criteri di eleggibilità. Nonostante nella proposta di legge sia presente un vago rimando a garanzie di diritti d’assemblea e rappresentanza per gli studenti, è esplicito l‘intento di demandarne il funzionamento e la discrezionalita

alle autonomie scolastiche attraverso i propri statuti e/o regolamenti. Inoltre si sarebbero volute spalancare le porte dei nuovi Consigli dell’autonomia a componenti esterni, i quali, presumibilmente rappresentanti delle aziende o della fondazione con cui la scuola ha stipulato accordi, sono scelti dal Dirigente Scolastico, una figura che avrebbe assunto tratti sempre più manageriali. L' ingresso dei privati avrebbe avuto riflessi diretti sul Piano di Offerta Formativa della scuola, quindi sulla vita di studenti e insegnanti. Nel ddl 953 l’autonomia diventa il tema, utilizzato in senso assolutamente strumentale, per giustificare la diminuzione dei finanziamenti statali e per consegnare le scuole nelle mani degli interessi economici delle aziende del territorio, oltre che alle loro alterne vicende. Autonomia, chiaramente, non deve essere confusa con autarchia: l’autonomia a cui dobbiamo far riferimento va intesa come mezzo che contribuisca ad un processo di valorizzazione delle diversità interindividuali, inter e intrascolastiche, nonché inter e intraterritoriali, per promuovere la scuola come centro culturale e polivalente del territorio. L’autonomia va intesa come mezzo per raccordare i processi formativi formali alle caratteristiche peculiari individuali e a quelle del contesto socio-cultuarale e territoriale specifico di riferimento. Così intesa, diventa una ottima risposta alla dispersione, all’abbandono scolastico e all’analfabetismo di ritorno: è necessario valorizzare le scuole come spazi sociali aperti anche nelle ore pomeridiane e di pausa festiva. Parlando di autonomia intendiamo: autonomia didattica, cioè la libertà di poter mettere in atto una reale programmazione didattica e formativa tramite commissioni paritetiche; autonomia finanziaria, il che non significa un completo svincolamento dallo Stato, ma questa non deve essere utilizzata in maniera strumentale per trasformare la scuola in un’azienda con l’ingresso dei privati, infatti a causa dei numerosi tagli non si è mai riusciti a progettare una vera e propria programmazione formativa, ma si è rimasti vincolati ai pochi fondi rimasti; autonomia amministrativa, pensiamo che l’Istituzione scolastica autonoma non debba rimanere subordinata ai CSA, ma debba risultare come vero e proprio ente autonomo in virtù di quel decentramento amministrativo che tanto si è vantato di aver ottenuto. Per noi parlare di governance all'interno delle scuole impone di parlare di democrazia e partecipazione da parte di tutte le componenti di essa. Per questo continuiamo a chiedere con forza una riforma degli Organi Collegiali che vada nella direzione di un rafforzamento di questi.

Per questo motivo rivendichiamo:

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La valorizzazione dei diritti degli studenti sanciti dallo Statuto degli Studenti, attraverso percorsi di educazione ai diritti e alla partecipazione e un monitoraggio sul rispetto dello Statuto degli studenti e delle studentesse in ogni istituto e sulla confor-


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mità allo Statuto dei regolamenti interni e disciplinari. La quantità di studenti delegati nel CdI, fatta salva la pariteticità, debba essere progressiva rispetto alla popolazione studentesca, con mandato annuale per gli studenti secondo le modalità già prescritte dal TU 297/94; Il numero dei delegati degli studenti nei CdC debba aumentare da 2 a 3 e che la componente studentesca debba aver voce in merito alla valutazione didattica; Che siano messe in atto delle commissioni paritetiche, quindi composte da studenti e insegnanti, in grado di costruire programmazione del piano didattico della scuola. Costruire delle sperimentazioni in questo senso nelle scuole, allargando i processi di partecipazione democratica, può e deve essere uno dei primi passi per dare reale senso alle potenzialità migliorative che l’autonomia scolastica ci da. Va istituita, inoltre, una commissione paritetica di studenti e docenti, che si esprima sul P.O.F., con parere vincolante ma non obbligatorio e che elabori progetti per rivedere le metodologie didattiche e proporre l'introduzione di strumenti innovativi. Il diritto alla consultazione debba essere revisionato in modo tale che si preveda la possibilità di richiedere un referendum sia sul livello locale che nazionale, che valga davanti alle istituzioni come parere formale espresso dalla componente studentesca. Se per casi nazionali la consultazione produce un parere formale, nella singola scuola deve essere vincolante; Il referendum interno possa essere richiesto da parte del 10% dell'intera popolazione studentesca o dal 50% + 1 del comitato studentesco; Che i diritti delle componenti scolastiche vengano demandati solo in senso espansivo agli statuti autonomi delle scuole e quindi le normative nazionali sulla regolamentazione dei diritti nella scuola non vengano abrogate; Bisogna potenziare il ruolo del comitato studentesco e di rafforzamento delle sue competenze, cosi come il Consiglio di classe. Le prerogative dei Dirigenti Scolastici devono essere l’incentivare la partecipazione collettiva nella gestione dell'istituto. Rendere lo studente protagonista e fautore del suo percorso di studio, formale ed informale, trasformerebbe la scuola in un percorso partecipato e costruito dallo stesso soggetto in formazione. Potenziare l’autodeterminazione del percorso formativo, dando ampio spazio alle in-

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clinazioni e agli interessi individuali avrebbe un impatto estremamente positivo sulla dispersione scolastica. Inoltre non si può sottovalutare l’importanza di fare degli istituti degli spazi sociali e di ritrovo anche in termini di presidi culturali e di legalità. Il rifinanziamento al dpr 567/96 e ai progetti autonomi delle scuole; Il finanziamento dei progetti delle scuole aperte al pomeriggio come presidio di democrazia, partecipazione, aggregazione sul territorio, contrasto non repressivo alle mafie e all'illegalità diffusa, in seno ai progetti autonomi delle scuole; Una commissione di monitoraggio nazionale sul funzionamento dell'autonomia scolastica con il coinvolgimento delle parti sociali; La realizzazione un ulteriore decentramento amministrativo che preveda per le associazioni studentesche regolarmente registrate in segreteria secondo quanto prevede l'art. 1 bis del dpr 567/96 un bilancio finalizzato ad attività formative e ricretive interne alla scuola, svincolanto dall'approvazione del C.d.I., con un tetto deciso in concomitanza alla presentazione del primo bilancio preventivo e sottoposto a verifica a chiusura di bilancio; Istituzione di una commissione paritetica, composta da almeno due studenti e due docenti, per il monitoraggio dei progetti di ogni ordine (integrativi, complementari, ...) affinchè siano svolti con dovuta regolarità. Ogni atto di contestazione rispetto ad un progetto, deve essere vidimato dalla commissione di garanzia che a sua volta deve elaborare una proposta la C.d.I.; Autonomia finanziaria: Crediamo che autonomia finanziaria debba significare, da una parte, la fine di finanziamenti vincolati a fini specifici, dall’altra, la possibilità per le scuole di mantenere quella tutela economica da parte dello Stato, necessaria soprattutto nelle aree più disagiate del paese. Per questo risulta necessario: Aumentare i fondi destinati alla legge 440, un serio investimento sulla professionalità dei docenti soprattutto sull’insegnamento di sostegno, che vengano aumentati del 50% i fondi destinati a coprire le TARSU e la manutenzione ordinaria delle scuole, che vengano ripristinati quanto meno i 45 centesimi l’ora per l’indennità di missione per i viaggi di istruzione in Italia, per gli insegnanti che accompagnano le classi nelle visite previste dal programma didattico. Autonomia amministrativa: Riteniamo, quindi, che vada totalmente rivista la riforma della Amministrazione Scolastica, rive-


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dendo il ruolo dei CSA e riaffermando l’idea secondo cui essi dovrebbero essere molto simili all’ormai dimenticato progetto dei CIS, i Centri di Assistenza alle scuole. L'attivazione di un monitoraggio ministeriale sul funzionamento dell'autonomia scolastica in in tutti i suoi segmenti (organizzativo, finanziario e amministrativo, di ricerca, sperimentazione e didattica) e che i dati siano resi pubblici e accessibili sul web e che siano inviati a tutte le istituzioni scolastiche autonome. Se dovessero risultare inadempienze e non conformità deve essere compito dell'USR comunicare l'irregolarità all'istituto interessato, fatta salva la sua autonomia; L' avviamento di un percorso di valorizzazione dei campus che sia strettamente in raccordo con il territorio, ma che presenti una struttura polivalente, capace di intersecare diversi percorsicognitivi e professionali, contribuendo ad una maggiore flessibilità dei percorsi formativi e un'aderenza maggiore alle sensibilità e attitudini dello stuente; Le reti di scuole siano strutturate su base distrettuale e si dotino di un bilancio annuale, al quale deve provvedere il CSA provinciale; La rete di scuole territoriale debba essere totalmente orizzontale e si individui solo un moderatore con mandato semestrale e che di esse siano membri di diritto tutti rappresentanti di istituto, rappresentanti dei docenti ed i dirigenti scolastici delle scuole del dato distretto; Le assemblee della rete di scuole siano aperte e pubbliche e chi tengano periodicamente nell'anno scolastico almeno una volta ogni due mesi e che il lavoro sul territorio sia guidato da commissioni interne teatiche e d'area; Il processo di costruzione di queste reti deve partire da una Carta per la scuola dell'autonomia, che individui i criteri a cui le scuole intendono ispirarsi per esercitare le loro competenze e per stabilire le necessarie relazione e interazioni con gli altri soggetti aventi competenza in materia di formazione e con le rappresentanze sociali, culturali e produttive del territorio; Le conferenze si strutturino su base provinciale e siano composte dai portavoce delle reti di scuole distrettuali, dai rappresentanti legali delle associazioni e dai rappresentanti degli enti locali.

Università Lo smantellamento del carattere pubblico dell’università realizzato negli ultimi anni, alla fine di un processo ventennale, si è concretizzato anche e soprattutto mediante una revisione in senso fortemente dirigista e antidemocratico dell’istituzione universitaria. Gli statuti post-riforma Gelmini descrivono università quasi totalmente nelle mani di rettori e dei professori ordinari, escludendo quasi del tutto dai processi decisionali studenti, ricercatori, dottorandi, precari e tecnici-amminstrativi; con l’entrata dei privati nei Consigli d’Amministrazione il processo di privatizzazione dell’università ha toccato anche la governance interna degli atenei. Sicuramente l'università non è mai stata un luogo di vera democrazia, ma oggi l'utilizzo di questa parola per noi diventa grottesco: come possiamo pretendere che il sapere sia libero, accessibile a tutti e risponda ad un interesse pubblico, cioè della collettività, se la sua ricerca e la sua trasmissione rispondono a interessi di pochi baroni, se l'istituzione universitaria è gestita solamente sulla base di logiche di spartizione di soldi e potere, o ancora peggio su logiche di profitto esterne all'università stessa? E' evidente quindi come liberare i saperi sia anche e prima di tutto una questione democratica. Ripubblicizzare i saperi quindi passa anche attraverso una svolta in senso democratico delle università, che parta inevitabilmente da una messa in discussione della legge Gelmini, sia dal punto di vista della legislazione nazionale sia da parte dei singoli atenei, che hanno il dovere di compensare in senso democratico e partecipativo la svolta autoritaria messa in atto da tale legge. Occorre anche ridare un ruolo centrale alla rappresentanza studentesca, ridotta e umiliata sia da parte delle riforme ministeriali sia da parte dei comportamenti quotidiani di rettori.

Per questo chiediamo: •

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L’abrogazione della legge Gelmini e l’autogoverno dell'università: nessun esterno (tanto meno privato) può comporre gli organi di governo dell'ateneo. L’introduzione di una rappresentanza di tutte le componenti universitarie in tutti gli organi collegiali, tramite elezione diretta . Il riconoscimento di specifiche competenze ai rappresentanti degli studenti, comprendenti il controllo sulla qualità dei servizi e la possibilità di esprimere un parere vincolante sui temi che riguardano più direttamente gli studenti. L’introduzione di meccanismi e istituti di democrazia diretta e partecipazione dal basso della componente studentesca come: assemblee periodiche ufficiali con


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sospensione delle lezioni, referendum studenteschi come forme di consultazione promossa dalla stessa Università, dai rappresentanti degli studenti o dagli studenti stessi, iniziativa studentesca come possibilità di vincolare l'organo competente a discutere la proposta avanzata con l'iniziativa stessa. L’adozione dello Statuto dei diritti delle studentesse e degli studenti e di linea guida nazionali che rendano uniformi i Codici deontologici dei vari atenei in materia di imcompatibilità nell'assunzione di familiari, di limiti di mandato su tutte le cariche, di tutela dei diritti di chi studia e lavora nelle università, di contrasto a ogni forma di discriminazione.

Scuole e università ecocompatibili Oggi la crisi ambientale è solo uno dei tanti risvolti negativi di una crisi più generale del modello di sviluppo. Dal dopoguerra ad oggi, con un incredibile accelerata a partire dagli anni ‘70, e con la crescita delle economie “emergenti”, si è palesata l’incompatibilità dell’attuale sistema economico e sociale che pone al centro lo sfruttamento sfrenato di risorse umane e ambientali. Ripartire da un sistema che riconosca i limiti delle risorse ambientali e che riesca a determinare un equilibrio con l’uomo, è una questione ineludibile e sempre più urgente. Con il passare degli anni si sono sempre più interiorizzati i valori alla base di questo modello quali, l’individualismo, l’assenza di una responsabilità lungimirante dell’agire politico, l’assenza di una finitezza delle risorse. In questa meccanica riproduzione di questa perversa autodistruzione, crediamo che i luoghi della formazione rappresentino il potenziale cortocircuito in grado di sviluppare la necessaria alternativa. Imprescindibile per far ciò è liberare i luoghi e chi li vive ogni giorno dai paradigmi che oggi li condizionano, renderli propulsori di cambiamento, ripensamento anche sistemico e allo stesso tempo in grado di innescare innovative prassi quotidiane.

Per questo motivo chiediamo: •

Un piano di finanziamento straordinario

per l’ammodernamento energetico e strutturale degli edifici . Finanziamenti per l’in-

stallazione di pannelli fotovoltaici La mappatura della dispersione termica di scuole e università. La promozione di buone prassi (la raccolta differenziata, utilizzo degli aquamat per la riduzione degli sprechi, introduzione di cibi

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e bevande equosolidali o a km0 nelle mense, utilizzo della carta riciclata) L’attivazione di corsi multidisciplinari sulla crisi ambientale


Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 stione generazionale in tutte le sue accezioni. Mettere al centro delle politiche della prossima legislatura il welfare vuol dire porsi la prospettiva di promuovere la costruzione autonoma di percorsi formativi, di lavoro di vita, livellare le disuguaglianze territoriali che ancora oggi, nel 2013, segnano profondamente l'Italia e la sua capacità di dare futuro.

{ Proposte contro la precarietà esistenziale } Reddito per i soggetti in formazione

Accesso ai saperi

Fondamentale, per uscire dalla crisi con più diritti e possibilità e non con maggiori diseguaglianze, è costruire forme di welfare che siano capaci di garantire una reale autonomia sociale dei soggetti. Le studentesse e gli studenti non sono tutelati ad oggi da nessuna forma di welfare esistente. La retorica dei giovani "bamboccioni" non è frutto di un dato antropologico degli studenti o dei giovani italiani, ma è un dato strutturale dell'assenza di possibilità di costruire i propri percorsi di vita. A fare maggiormente le spese dell’attacco al welfare sono sia i soggetti meno tutelati dal workfare (che esclude chi non è inserito in un percorso lavorativo) sia coloro che tentano di rendersi autonomi dalle reti sociali che suppliscono alle mancanze dello Stato, compito che in Italia ricoprono quasi esclusivamente i nuclei familiari. Questo perché in questi ultimi 20 anni non sono esistite politiche sociali, dal diritto allo studio al welfare. In un periodo in cui disoccupazione e precarietà aumentano e i costi di accesso a scuola e università salgono (dalle tasse, ai servizi, ai consumi culturali) non si può non assumere l'urgenza di costruire forme di welfare capaci di arginare il danno prodotto dalla crisi e dalle politiche di austerity negli ultimi mesi. Le famiglie italiane non riescono più a sostenere il costo dello studio dei propri figli. Bisogna garantire a studenti, dottorandi, soggetti in formazione di poter costruire il diritto al futuro in maniera slegata dal contesto familiare. Per queste ragioni finanziare soltanto il diritto allo studio non può più bastare. Crediamo che la prossima legislatura debba costruire un piano di risorse per finanziare nuove forme di welfare. Pensiamo che il reddito per i soggetti in formazione sia una di queste. Pensiamo però che sia lo Stato che il livello muncipale debbano assumersi la responsabilità di costruire forme di reddito per i soggetti in formazione che accompagnino il percorso formativo degli studenti e dei dottorati. Riconoscere il ruolo centrale dei soggetti in formazione significa garantire su tutti i livelli il potenziamento di forme che tutelino non solo il diritto allo studio, ma la totalità della vita (dai servizi, alla partecipazione, all'accesso ai consumi) durante il percorso di formazione. Le studentesse e gli studenti hanno bisogno di forme di garanzie e di tutele, di servizi essenziali e diritti fondamentali per scegliere consapevolmente i propri percorsi di vita, di studio e di lavoro. I soggetti in formazione vivono pienamente questa condizione. Oggi in Italia è ormai centrale la que-

La dimensione culturale è un perno fondamentale per lo sviluppo della società nel suo insieme. Forse non creerà nel breve periodo un profitto monetario ma, sicuramente, può portare sviluppo nel lungo periodo. Ma le statistiche nostrane ci consegnano una triste realtà: solo il 45% degli italiani legge almeno un libro l’anno, solo il 29% degli italiani ha visitato un sito museale o un’esposizione temporanea nel corso dell’ultimo anno, dulcis in fundo l’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi Europei in quanto a spesa culturale delle famiglie (6,9% della spesa complessiva). E’ fondamentale quindi ripensare il rapporto tra cultura e conoscenza ritenendo la loro produzione e diffusione come accessibili universalmente. Un nuovo modello di sviluppo e l’embrione di una nuova società passa anche attraverso una riqualificazione del sapere e delle sue modalità di accesso.

Per questi motivi chiediamo:

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Il potenziamento della Carta IoStudio introdotta dal Ministro Fioroni e mai resa realmente incisiva per consentire un pieno accesso ai consumi culturali non-formali e sua estensione a tutti i soggetti in formazione Il riconoscimento di reddito indiretto costituito da agevolazioni per l’accesso a musei, cinema, teatri, eventi culturali e per l’acquisto di libri, cd e altro materiale culturale e in definitiva per l’accesso ai canali formativi informali L’installazione di reti wi-fi libere e gratuite negli spazi pubblici e nei luoghi di formazione, con un piano progressivo di copertura di tutto il territorio comunale; La necessità per enti pubblici, professori universitari e scolastici, di utilizzare e pubblicare unicamente testi in licenza copyleft e la conversione delle Amministrazioni Pubbliche a sistemi open source e open access; L'istituzione di sportelli informativi nei luoghi di formazione per promuovere l'utilizzo degli strumenti di reddito indiretto e per informare i soggetti in formazione rispetto all'offerta culturale, aggregativa, espositiva etc. del territorio.


Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 Diritto all’abitare La nostra generazione è stata appellata da molti come la generazione dei “bamboccioni”: coloro che non vogliono uscire dall'abitazione dei propri genitori una volta compiuta la maggiore età, la generazione che preferisce vivere con la propria famiglia piuttosto che rendersi realmente autonoma. La retorica su questo tema è stata abbondante. Ma la realtà dei fatti è molto diversa. Siamo la generazione che quando esce fuori dalla casa in cui è cresciuto si trova davanti un mercato in cui si trovano affitti carissimi e in nero e case fatiscenti, molte volte pericolanti e non a norma. Siamo la generazione dei contratti di lavoro atipici che non permettono di vivere un presente sereno e costruire un futuro stabile. La condizione di precarietà si acuisce fortemente quando si decide di prendere un appartamento (o molto più spesso una stanza) in affitto. La spesa mensile per una stanza va dai 150 euro (al Sud) ai 500 euro della Capitale e di alcuni capoluoghi del Nord. Il proliferare del nero e del “contratto grigio” non solo impedisco allo studente di esercitare i suoi diritti di inquilino e lo fanno sottostare ad una condizione di ricattabilità, ma spesso rendono difficile usufruire delle poche possibilità offerte dal sistema del diritto allo studio. Infatti gli studenti che non hanno un contratto regolarmente registrato all'Agenzia delle Entrate perdono la possibilità di ricevere la borsa di studio di cui avrebbero diritto, vengono classificati come “pendolari” e ricevono, se idonei, una borsa di studio equivalente alla metà di quella per “fuorisede”. Il diritto all'abitare è un concetto abbastanza ampio che parte dal diritto ad avere un tetto sopra la propria testa e si allarga alla garanzia della qualità della vita urbana: è importante che i quartieri in cui si abita garantiscano servizi come il trasporto pubblico e il servizio sanitario, che non siano cattedrali nel deserto (come spesso capita per le Case dello Studente), che abbiano luoghi di socializzazione e aggregazione, ecc. Una delle cause dell'attuale emergenza abitativa è la speculazione immobiliare. La casa non è però un bene che può essere inteso come una qualsiasi merce di consumo. Esistono ottimi esempi in Europa di politiche che salvaguardano il diritto all'abitare: si pensi ad esempio al social housing francese: a Parigi, per fare un esempio, tantissimi immobili sono stati comprati dal Comune che li ha ristrutturati e dati alla popolazione.

Per questi motivi chiediamo: •

Politiche di investimento per la costruzione di nuove Case dello Studente e la riconver-

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sione di immobili dismessi dei Comuni per mettere in campo politiche di social housing per i soggetti in formazione, oltre al recupero degli alloggi sfitti, Interventi di riqualificazione degli studentati; Politiche che mirino a fare emergere le diffusissime situazioni di locazione sommersa e a combattere una oramai insostenibile situazione di illegalità finalizzata alla massimizzazione del profitto privato attraverso l'evasione fiscale; Politiche che incentivino la stipula da parte dei proprietari di casa di contratti “calmierati” agli studenti – da portare avanti congiuntamente alle amministrazioni comunali – e la costituzione di Agenzie Comunali degli Affitti pubbliche con il ruolo di intermediari tra domanda ed offerta. Esistono diverse modalità di azione che vanno dalla promozione del contratto di affitto concordato, alla tutela legale dei conduttori, alla creazione di database online per la ricerca dell’alloggio; L’incentivo, attraverso programmi ad hoc, a costruire nelle città universitarie luoghi adatti all’ospitalità di studenti per tempi ridotti, per favorire gli studenti presenti in città per brevi periodi di tempo (tra la settimana ed il mese), per garantire a quegli studenti privi di alloggio ma che devono trovare una sistemazione definitiva o devono svolgere degli esami di poter soggiornare senza spendere grandi cifre; L’apertura prolungata nelle ore serali delle sedi scolastiche (in ottemperanza al DPR 567/96), universitarie e culturali (bibilioteche, cinema, teatri etc.).

Diritto alla mobilità Il pendolarismo è una condizione generalizzata dei soggetti in formazione dovuta alle distanze che esistono tra i luoghi di vita, quelli di formazione, e tra quelli di formazione formale (scuola, università, accademie) e di formazione informale (biblioteche, cinema, teatri, etc.). I luoghi di produzione, circolazione e fruizione di saperi costituiscono un reticolato che percorre tutta la superficie nazionale, portando noi studenti a muoverci da una Regione all’altra, da una città all’altra per costruire il nostro percorso formativo. Insieme alle tasse e al materiale didattico la mobilità diventa un capitolo di spesa sempre più incisivo per le famiglie degli studenti e delle studentesse creando e peggiorando le sacche di disagio e povertà, aggravando i livelli di abbandono scolastico e universitario.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 In quanto tale il diritto alla mobilità dovrebbe essere garantito a tutti, e in particolar modo ai soggetti in formazione, senza alcuna barriera economico-sociale che impedisca il completo utilizzo dei sistemi di trasporto pubblico. La riduzione nei trasferimenti dei fondi alle Regioni per il 2012, come spiega Legambiente, ha colpito duramente il servizio ferroviario, rendendo impossibile garantire i servizi ferroviari pendolari, già fortemente inadeguati. Questa prospettiva drammatica riguarda oltre 2,7 milioni di italiani che ogni mattina usano il treno per spostarsi per motivi di lavoro e di studio. La situazione degli altri sistemi di trasporto locale riflette abbastanza fedelmente quella del trasporto ferroviario: privatizzazioni, aumento delle tariffe, diminuzione della qualità del serivizio e della tutela dei lavoratori, nonché della sicurezza degli utenti e dei lavoratori stessi.

Per questi motivi chiediamo: • •

Una forte riduzione dei costi del trasporto pubblico per tutti i soggetti in formazione; Il sostegno di forme di mobilità alternativa, quale ad esempio la bicicletta, attraverso la costruzione di fitte e ragionate reti di piste ciclabili e la creazione di stazioni di bike sharing; Forti agevolazioni in termini di riduzione del costo del biglietto sui treni nazionali per permettere agli studenti di muoversi liberamente sul suolo nazionale; Lo stanziamento di fondi, recuperati attraverso l’abbandono dei progetti delle grandi opere inutili, per il miglioramento della rete attuale e la costruzione di nuove linee su ferro e su gomma a cominciare dal Sud Italia; Un piano di investimenti per il miglioramento del trasporto pubblico per renderlo adeguato a standard di competitività con il trasporto privato, anche al fine di abbattere i danni e i costi sociali prodotti da questo; La costituzione al livello nazionale, e in tutte le Regioni, di un sistema di tariffe integrato tra le diverse modalità di trasporto pubblico, e una gestione più democratica e trasparente delle aziende di trasporto pubblico.

Socialità e aggregazione La vita di uno studente non si esaurisce dentro le mura universitarie o scolastiche, ma si sviluppa nella città dove vive che può essere o non essere la città in cui studia. Spesso la popolazione studentesca, soprattutto universitaria, viene percepita come una componente passeggera e non gradita nella città.

Tale percezione si estende in realtà non solo agli studenti ma a tutti i giovani, spesso visti più come un problema che come una risorsa, se non nell’ottica di una risorsa economica da sfruttare, nel caso dei fuorisede. Si tratta di una percezione quanto mai sbagliata che sottovaluta l’apporto che gli studenti offrono alla società, attraverso il loro studio, il loro impegno e il loro attivismo. Un esempio sono le attività culturali, spesso di fruizione gratuita o basso costo, che spesso le associazioni giovanili organizzano nelle nostre città. Accanto all’ostilità, le esperienze di protagonismo giovanile hanno forti difficoltà a rendere sostenibili economicamente le loro attività. Se nell’ultimo decennio la retorica del protagonismo giovanile era molto forte, ora, anche a causa dei tagli ai fondi degli enti locali e delle università, risulta sempre più difficile per le associazioni, i singoli e i gruppi formali accedere a bandi e finanziamenti pubblici, fondamentali per attività che hanno alla base la partecipazione e la possibilità per tutti di accedere alle attività. Per questo molto importante è la creazione di spazi sociali, ove si possano ritrovare sia studenti che giovani lavoratori (o aspiranti tali), i quali molto spesso non riescono ad esprimere la loro partecipazione all’interno dei contesti più tradizionali. Tali luoghi possono esprimere partecipazione politica e sociale, così come promuovere attività culturali a prezzi popolari o gratuite e attività mutualistiche (sportelli informativi, doposcuola per i bambini, ripetizioni gratuite, etc.). La creazione e il mantenimento di tali spazi spesso non è semplice: è difficile ottenere dalle pubbliche amministrazioni i locali, gli affitti sono alti e il lavoro sociale svolto viene difficilmente riconosciuto e considerato. Un caso particolare è rappresentato dagli studenti e le studentesse fuorisede, Non sono residenti - e nel caso in cui siano borsisti non possono proprio diventarlo senza perdere una parte consistente della borsa di studio - non possono votare alle elezioni comunali, né spesso alle altre elezioni amministrative. Eppure vivono la città, sono componente arricchente, in molti casi attiva socialmente e sono sicuramente portatori di istanze particolari (ad esempio sulle questioni degli affitti, dei trasporti notturni, etc.). Per queste ragioni occorre pensare a strumenti che diano loro la possibilità di essere rappresentati anche nella città in cui vivono la maggior parte dell’anno e per diversi anni: consulte rappresentative sul modello di quelle costituite negli anni ‘90 per dare rappresentanza ai migranti (ugualmente privi del diritto di voto) oppure la sperimentazione dei consiglieri aggiunti, la presenza di tavoli tra Comune, Re-

gione, Provincia e le rappresentanze studentesche degli Atenei presenti sul territorio, etc.

In questi giorni è emerso il problema del voto degli studenti e delle studentesse Erasmus, che non es-

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013 sendo residenti all’estero formalmente e non potendo acquisire la residenza perché il soggiorno è troppo breve, sono obbligati a tornare in Italia per poter votare, senza neanche poter usufruire degli sconti sul viaggio di cui gode chi si trova in una città italiana diversa da quella in cui vota. Si tratta di un problema che non riguarda solo gli Erasmus, ma tutti e tutte coloro che si trovano a trascorrere periodi relativamente brevi per lavoro o per studio all’estero. La normativa italiana sul voto dei cittadini italiani all’estero infatti non tiene conto dell’aumento della mobilità all’interno dei confini dell’UE (e non solo) ed è pensata, paradossalmente, per far votare chi si è stabilito all’estero per un lungo periodo (o chi è nato all’estero da genitori italiani) piuttosto che chi deve trascorrere tre mesi in un altro Paese dell’Unione Europea. Nel caso specifico degli studenti Erasmus - o di altri vincitori di borse e programmi per la mobilità internazionale - appare ancora più paradossale il fatto che queste persone si trovino all’estero grazie ad un progetto pubblico e che non possano esercitare il loro diritto di voto.

Per questo chiediamo: •

Lo stanziamento di fondi per sostenere le attività delle organizzazioni studentesche e giovanili e per gli spazi sociali La possibilità di partecipare a corsi di formazione pubblici sulla progettazione, il fund rasing, ecc.. per coloro che fanno parte di un’organizzazione giovanile o giovanile e studentesca di uno spazio Il recupero e la messa a disposizione al pubblico (singoli, gruppi, associazioni riconosciute) degli immobili inutilizzati o sottoutilizzati di proprietà pubblica, con particolare attenzione per l’istituzione di spazi pubblici per la produzione e la fruizione libera di saperi e culture al di fuori dei circuiti commerciali.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

{ Conclusioni Fermare l’austerità, liberare

i saperi per liberare le persone } Quelle riportate sopra sono le proposte nate e cresciute all’interno di un tessuto democratico costituito dalle migliaia di assemblee, seminari, occupazioni e autogestioni che si sono succeduti negli ultimi anni. Sono cresciute di pari passo con la passata legislatura, quella legislatura che si è contraddistinta per aver portato a compimento il processo ventennale di privatizzazione di scuole e università e il conseguente “imprigionamento” dei saperi nelle logiche del mercato, basate sull’utilità economica, il censo, la subalternità. Chi entrerà nel prossimo Parlamento e chi vorrà governare dovrà rispondere ad alcune semplici domande: volete un’istruzione pubblica, e quindi de-

mocratica, di qualità e accessibile a tutti? Pensate che la ricerca e l’innovazione che escono dalle nostre università possano rappresentare il volano per un modello di sviluppo equo? Se la risposta è si, le politiche dovranno essere conseguenti. Innanzitutto un’istruzione pubblica deve essere sorretta dal massiccio finanziamento pubblico. Sicuramente un modello d’istruzione che unisce pubblico e privato, che in Italia si è concretizzato nel “modello emiliano”, ha dimostrato i suoi frutti in termini di efficienza ma presenta due difetti: il primo è che può funzionare solo dove c’è un forte tessuto produttivo e una ricchezza diffusa, aumentando ulteriormente le disuguaglianze tra zone ricche e povere del Paese; in secondo luogo un’istruzione legata alle aziende tende a riprodurre lo status quo e non a innovare il tessuto produttivo stesso. Oltre ad un piano di finanziamento legato alla crescita del rapporto docenti-studenti e quindi al riavvio del turn over con l’obiettivo dell’assunzione dei precari storici, occorre rivedere complessivamente il concetto di autonomia scolastica e universitaria, basandole su diritti democratici uguali su tutto il territorio nazionale e sul coinvolgimento di tutta la comunità scolastica e accademica per superare le baronie e il managerismo di presidi e rettori. Se la scuola e l’università sono il terreno in cui crescono i cittadini e le cittadine del domani, devono essere rette da una democrazia sostanziale che dia ampi spazi di autogestione agli studenti nella costruzione di percorsi di studio e accesso ai saperi “tagliati su misura”.

aprire un dibattito sui cicli e sulla didattica, puntando al superamento dell’impostazione gentiliana. Parallelamente va superato il classismo che caratterizza il nostro sistema di istruzione, con imponenti investimenti sul diritto allo studio per arginare l’abbandono scolastico e universitario. Contrariamente a quanto detto dai passati governi, gli investimenti non possono andare sulle “eccellenze”, lasciando indietro le zone del paese a rischio abbandono, anzi è proprio in queste aree che è necessario investire maggiormente. Oggi il sapere sta diventando un bene di lusso, che mantiene e rafforza le differenze sociali di provenienza. O i prossimi Governi lavoreranno per dare autonomia sociale ai soggetti in formazione o avalleranno definitivamente le diseguaglianze presenti nel nostro paese, aggravando la crisi sociale, economica e ambientale. Speriamo che queste proposte possano essere uno spunto per chi andrà a governare il Paese, consci del fatto che per noi possono essere le uniche volte ad una ripubblicizzazione totale della scuola e dell'università, fermo restando che consideriamo le politiche di austerità e di riduzione della spesa pubblica inconciliabili con le nostre proposte.

Saremo sempre pronti al confronto con chi partendo da queste prospettive vorrà porsi il tema di realizzare tutte o parte delle nostre rivendicazioni con l’obiettivo di una totale ripubblicizzazione di scuola e università. Allo stesso tempo saremo sempre pronti a contrastare e a scendere in piazza contro coloro i quali andranno nella direzione opposta.

La didattica, quindi, assume un valore centrale per il rilancio dell’istruzione nel nostro Paese: occorre

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

{ 10 proposte per i primi 100 giorni di Governo } 1. Innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni per l’anno scolastico 2013/2014 e a 18 anni entro l’anno scolastico 2016/2017 e aumento del fondo per le istituzioni scolastiche e del fondo per il miglioramento dell'offerta formativa 2. Abolizione dei percorsi di apprendistato per minorenni e della possibilità di assolvere l’obbligo scolastico con questo strumento 3. Apertura tavolo Stato-Regioni per un piano di investimenti straordinari in edilizia scolastica e universitaria 4. Apertura tavolo Stato-Regioni per reperimento fondi per un piano straordinario di investimenti in diritto allo studio e welfare in previsione della prima finanziaria 5. Presentazione della Legge Quadro Nazionale sul Diritto allo Studio 6. Presentazione della Legge riguardante lo “Statuto dei diritti degli studenti e delle studentesse universitari” 7. Presentazione della Legge riguardante lo “Statuto degli Studenti e delle studentesse inseriti in percorsi di stages e tirocini” 8. Sblocco del Turn Over nelle università e negli Enti di Ricerca e pubblicazione di un piano di assorbimento dei precari storici della scuola con conseguente crescita del rapporto docenti-studenti 9. Presentazione Riforma sulla Parità scolastica che abolisca i fondi destinati alle scuole private 10.Cancellazione delle modifiche al DPR 306/97 contenute nella spending review in merito alla contribuzione studentesca.

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Rete della Conoscenza { ControAgenda Studentesca } Elezioni Politiche 2013

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