Rete della Conoscenza 22 Ottobre

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Torniamo in edicola su Terra Venerdì 5 Novembre

Venerdì 22 Ottobre 2010

generazione pomigliano Lorenzo Zamponi

29 e 30 ottobre, di nuovo in piazza

Sped. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma

Appello al mondo dell’Università e della Ricerca per costruire una mobilitazione il 29 Ottobre nelle città e il 30 Ottobre a livello nazionale a Napoli Il 30 Ottobre a Napoli i precari della scuola hanno indetto una manifestazione nazionale contro le politiche del Ministro Gelmini, che tagliando risorse sulla scuola sta operando un vero e proprio licenziamento di massa. Le studentesse e gli studenti delle scuole superiori intendono moltiplicare la data del 30 Ottobre a Napoli, costruendo il 29 cortei territoriali a sostegno della mobilitazione dei precari. Rivolgiamo per questo un appello agli studenti universitari, ricercatori precari e strutturati in mobilitazione al fine di generalizzare la data del 29 a tutto il mondo della conoscenza. Precari sono i luoghi dove studiamo, ricerchiamo, lavoriamo e viviamo. Mancano laboratori, strutture sicure, strumenti didattici. L’edilizia scolastica e universitaria è decadente e non c’è nessun finanziamento sulla messa in sicurezza dei luoghi della formazione nelle ultime finanziarie del Governo. Scendiamo in piazza per chiedere scuole e università più sicure. Segue a pagina IV

Flickr/ rofi

In bilico

Mentre viene affossata la riforma Gelmini, un governo precario fa approvare dal Parlamento la deregulation dei contratti e dei diritti sul lavoro. Viaggio tra chi si ribella a un futuro d’insicurezza

servizi a pagina II e III

Ddl Gelmini Nelle facoltà si ragiona su come vincere la battaglia per l’università pubblica e costruire l’AltraRiforma. Cresce l’esigenza dello sciopero generale

II

Dottorandi

III

In Italia sono circa 40 mila, quasi la metà senza alcuna autonomia economica. E i tagli ai finanziamenti stanno riducendo borse e posti

Intervista

V

Parla il segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini: «Contro la crisi, bisogna redistribuire la ricchezza e cambiare modello di sviluppo»

mobilitAzione!

Uniti contro la crisi: l’assemblea

S

i è riunita all’Università La Sapienza di Roma il 17 ottobre l’assemblea dei movimenti e delle lotte sociali. L’appuntamento, lanciato da Link Roma e Uniriot Roma, ha visto una larghissima partecipazione in primis di studenti e studentesse che nelle ultime settimane hanno animato le mobilitazioni in tutta la penisola e che poche ore prima avevano partecipato alla grandissima manifestazione della Fiom. Ma la vera novità, che costuisce il senso stesso dell’assemblea, è la partecipazione ampia di soggetti-

vità in lotta che hanno deciso di condividere uno spazio pubblico:“Uniti vs Crisi”. Ricercatori precari e strutturati, precari della scuola e degli enti di ricerca, lavoratori e lavoratrici, centri sociali, movimenti in difesa dei beni comuni e per il diritto all’abitare. Un’assemblea inedita, quindi, che ha visto anche la partecipazione del sindacato; Landini e Pantaleo, rispettivamente leader di Fiom e Flc, hanno voluto sottolineare la loro presenza con inteventi di ampia convergenza Segue a pagina V

La splendida manifestazione del 16 ottobre, lanciata dalla Fiom per rilanciare la dignità del lavoro come bene comune dopo il ricatto di Pomigliano, ha dimostrato che esiste in Italia un’opposizione sociale, esiste un mondo fatto di lavoratori, studenti, cittadini impegnati nella resistenza quotidiana contro la subordinazione di ogni spazio e tempo della nostra vita quotidiana alla logica perversa del profitto. In particolare non può essere sottovalutata la straordinaria partecipazione di studenti e studentesse a quel corteo. Ma non si tratta di una riproposizione del vecchio slogan «Studenti e operai uniti nella lotta». Il movimento studentesco non sta ragionando in termini di solidarietà. Il ragionamento che sta alla base di una partecipazione così di massa è più simile a quanto successe in Francia nel 2006 contro il Cpe e sta succedendo oggi contro la riforma delle pensioni. Non una semplice solidarietà con i lavoratori in lotta, ma la presa di coscienza che il ricatto di Pomigliano mette in discussione il futuro della democrazia sui luoghi di lavoro, che l’intero sistema dei diritti è in pericolo, che chi non difende la propria libertà oggi sarà servo domani. Ciò che il caso di Pomigliano ha reso chiaro all’opinione pubblica, del resto, era già palese a gran parte degli studenti e delle studentesse d’Italia. Il ricatto che gli operai metalmeccanici della Fiat hanno subito da parte di Marchionne è il ricatto che tutti subiamo, ogni giorno. La nostra generazione, infatti, è caratterizzata prima di tutto da una condizione sociale: la precarietà. La precarietà mette tutti noi, tutti i giorni, di fronte al ricatto di Pomigliano: chinare la testa e obbedire, oppure rischiare la perdita del posto di lavoro. Pomigliano rende visibile, nella grande fabbrica, ciò che è sotto ai nostri occhi tutti i giorni, nei luoghi del lavoro nero, sommerso, precario. La precarietà livella verso il basso le nostre condizioni di vita, impedendo ogni prospettiva di miglioramento collettivo. Vediamo l’orizzonte del nostro futuro restringersi sempre di più ogni giorno, la competizione individuale esasperata ci impedisce di sentirci parte di un’entità collettiva, migliaia di nostri coetanei lasciano il paese ogni giorno alla ricerca di opportunità e speranze. Pomigliano è uno scandalo civile, ma allo stesso modo lo sono le mille Pomigliano che noi, generazione precaria, viviamo ogni giorno. Il 16 ottobre è stata una grande giornata di lotta per la dignità del lavoro, ma perché quel patrimonio non vada sprecato ora va lanciata una lotta senza quartiere per cancellare la schiavitù della precarietà. Se non ora, quando? Se non noi, chi?


II

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Scuola&U

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Atenei

Atenei Dopo il rinvio del dibattito parlamentare sul ddl Gelmini, nelle facoltà si ragiona su come vincere la battaglia per l’università pubblica e costruire l’AltraRiforma. Cresce l’esigenza dello sciopero generale

L’università in contropiede S Claudio Riccio

flickr/corscri

ta lo spazio di libertà che dobbiamo costruire. Abbandonare i tempi che ci vengono dettati dall’agenda del ministro di turno, smettere di rincorrere i tempi del Governo e iniziare a rincorrere il Governo, per cacciarlo. Costruire l’alternativa vuol dire aprire una discussione pubblica e concreta per l’AltraRiforma dell’università, facoltà per facoltà, immaginando fin da subito spazi di discussione nazionali, aperti a tutte le soggettività singole e collettive che vorranno intraprendere

questo percorso. Le manifestazioni già in campo per il 29 e 30 ottobre, e per la giornata internazionale di mobilitazione studentesca del 17 novembre, ci parlano di una mobilitazione che vuole avere respiro, e che vuole farsi generale. L’esigenza di uno sciopero generale in grado di bloccare il Paese e aprire una fase di mobilitazione generalizzata, non deriva da una confusione tra mezzi e fini. Lo sciopero generale resta uno strumento per raggiungere gli obiet-

tivi posti oggi dalle lotte sociali e sindacali. Se sarà convocato, spetterà agli studenti renderlo universale: universale nelle rivendicazioni, universale nella partecipazione. Universali dovranno essere le garanzie da rivendicare, a partire da forme di welfare, come il reddito di cittadinanza, tutelando i diritti sotto attacco, estenderli, crearne di nuovi, riaprendo una battaglia per affrontare la nuova questione generazionale. Gli studenti universitari sono pronti a tutto per vincere la bat-

taglia per l’università pubblica, e aprire il fronte di lotta per ricostruire il presente e riprendersi il futuro.

Governo spaccato, dopo il tentativo di dividere il fronte studentiricercatori. Le garanzie da rivendicare e gli obiettivi da raggiungere

Ricercatori Dall’accesso al sapere ai bandi per le docenze con un salario lordo di 1 euro. Le ragioni di una sconfitta e l’impegno per recuperare gli anni perduti

«Noi, gli atipici» L Claudio Franchi

©Roberto Monaldo / LaPresse

i respira entusiasmo tra i corridoi delle facoltà italiane, si respira speranza nelle strade e nelle piazze. In sempre più assemblee si dibatte non più di come contrastare il Governo Berlusconi, i tagli di Tremonti, le riforme della Gelmini; sempre più spesso studentesse e studenti, ricercatori strutturati e precari, discutono e si confrontano su due temi indissolubilmente intrecciati tra loro: “costruire l’alternativa” e “come vincere”. Superare i limiti dell’Onda, diventare una marea, costruire spazi pubblici di discussione ed alleanze sociali, non rimanere confinati dentro le pareti delle università, questa è la strategia. La manifestazione del 16 ottobre e l’assemblea nazionale dei movimenti e delle lotte sociali del 17 segnano da questo punto di vista il ritorno ad uno spirito che è in grado di cacciare i fantasmi della frammentazione, delle sconfitte, dell’egemonia “a-culturale” delle destre. Il governo Berlusconi sperava di spaccare il fronte studenti-ricercatori, comprando il consenso di questi ultimi con un emendamento “ad ricercatores”. L’effetto è stata una spaccatura nel Governo, lo slittamento del ddl, e un possibile rilancio della mobilitazione. Nel momento in cui il Governo si scopriva essere precario almeno quanto la nostra generazione, tantissimi studenti hanno ritrovato forza, determinazione e sorrisi, in un corteo che dall’assedio a Montecitorio ha occupato la Crui e bloccato il lungotevere. Il fiume di studenti che abbandona l’assedio al Parlamento, per bloccare in maniera festosa strade e riunioni della Crui, è ciò che più rappresen-

a frammentazione e la riduzione delle relazioni e dei conflitti alla dimensione individuale sognata da Marchionne per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e proposta come il paradigma sociale del futuro italiano appartengono già da tempo al mondo del lavoro precario dentro le università. Nessuna mediazione istituzionale, nessuna mediazione sindacale, nessuna ombra di diritti garantiti, neanche l’odore lontano del welfare: un vero scontro asimmetrico. Negli anni ’50 e ’60 c’erano i baroni in fasce, nati per la docenza universitaria; negli anni ’70 e ’80 l’accesso ai saperi alti si era allargato, numericamente e soprattutto socialmente; negli anni ’90 e nel

nuovo millennio, il contagocce: la società che aveva desiderato che tutti, ma proprio tutti partecipassero alla produzione culturale, non sa più cosa farsene di tutti questi che sanno e che fanno. Nasce qui il precariato della docenza e della ricerca universitaria, nel passaggio dalla cooptazione, prima sociale e poi individuale, alla precarizzazione diffusa, nel passaggio da un lavoro prestigioso a un lavoro intellettuale sottopagato, senza nessun diritto. E paradossalmente il lavoro è restato esattamente lo stesso. Solo nello spazio di questa contraddizione possono trovarsi bandi per una docenza universitaria con un salario lordo di 1 (uno) euro. Due generazioni sono restate al palo, gettando al vento anni di democrazia, impedendo ogni possibilità

di responsabilizzazione. In questi ultimi dieci anni sono nate e morte decine di forme di organizzazione politica e sindacale di questo precariato, debole, scomposto, nascosto, spesso in fuga individuale. Non saprei dire ora quanti di queste generazioni saranno in grado di risolvere se stessi per diventare donne e uomini veri. Forse oggi per loro, per noi, è troppo tardi. Ma so che ora bisogna costruire le condizioni perché chi arrivi domani in questo mondo del lavoro, senza le illusioni meritocratiche e indisponibile all’attesa, trovi già battute le strade per la ricomposizione dei lavoratori della conoscenza, in modo che possa e debba scontrarsi con la forza necessaria contro il sogno di Marchionne, dove ognuno è solo contro il potere.


niversità precarietà è donna Elena Monticelli

La crisi economica nel nostro paese sta tagliando centinaia di posti di lavoro, in particolare di lavoro precario che è svolto, per la maggior parte, dalle donne. Il Rapporto Ires Cgil parla chiaro: nella palude della precarietà in Italia ci finiscono soprattutto le donne, costrette a contratti instabili più di quanto non succeda ai loro colleghi uomini. Più della metà delle under 24 occupate hanno un contratto atipico e lo stesso accade a quasi il 26% delle under 34. Impieghi marginali e contratti di breve durata anche per le più adulte. Tutte con una probabilità inferiore a quella già bassa dei precari uomini di riuscire a trasformare il contratto atipico in un impiego stabile. Il 76% delle atipiche si ritrova con un contratto temporaneo inferiore ai 12 mesi, mentre agli uomini succede a poco meno del 70% dei casi. La flessibilità che viene offerta alla donne sembra così determinare un progressivo deterioramento dal punto di vista occupazionale, economico e sociale della loro condizione. Hanno titoli più elevati ma lavorano meno e guadagnano meno. Svolgono professioni tecniche, attività impiegatizie poco qualificate e a carattere esclusivo. E per quanto riguarda le laureate che si ritrovano con un contratto di collaborazione, solo il 42% di loro è occupata in attività scientifiche e di elevata specializzazione mentre succede lo stesso, a parità di titolo di studio, al 52% degli uomini. I tagli in materia di welfare state determinano anche un processo familiarizzazione della società: le famiglie sono indotte ad “auto-prodursi” quelle misure di welfare non garantite dallo Stato: alle donne, le prime a fuoriuscire dal mercato del lavoro in tempo di crisi, viene demandata la cura di anziani e bambini. Invertire la tendenza vuol dire non solo investire nei sistemi di welfare tradizionali come gli asili nido, l’assistenza agli anziani, le misure di assistenza alle ragazze madri. Un nuovo modello di welfare, basato su un reddito di cittadinanza diretto ed indiretto, aumentando l’autodeterminazione sia degli uomini che delle donne, diminuirebbe le discriminazioni di genere all’interno di una società.

III

Lavoro Il Parlamento, con i voti della maggioranza di centrodestra e dell’Udc, approva le nuove norme che vanno dall’arbitrato all’apprendistato. Aggirati i contratti nazionali. Uno sfregio alla Costituzione

Deregulation dei diritti A Roberto Iovino

pprovato dopo circa due anni di discussione e sette letture in entrambi i rami del parlamento il cosìdetto “collegato lavoro”. Una storia lunga quella che ha portato all’approvazione di un provvedimento che solo qualche mese fa fu al centro dello scontro politico tra la maggioranza e Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica, con un messaggio alle camere inviato nel Marzo scorso, rilevò numerosi punti di incostituzionalità tra cui l’istituzione dell’obbligatorietà dell’arbitrato in caso di controversie tra dipendenti e datore di lavoro. Dopo mesi di discussione si è arrivati in settimana all’approvazione definitiva con il parere favorevole oltre che della maggioranza anche dell’Udc. Il resto dell’opposizione mantiene ferma la linea della netta contrarietà anche stimolata da diverse iniziative messe in campo da autorevoli giuslavoristi e costituzionalisti. Sempre a Marzo, infatti, fu lanciato un appello a sostegno dei rilievi del Capo dello Stato che denunciò la pericolosità del provvedimento definendolo: “uno sfregio ai diritti dei lavoratori”. La Cgil, che a differenza di Cisl e Uil si è schierata dalla parte della difesa dei lavoratori, ha annunciato una campagna di sensibilizzazione nei luoghi di lavoro e confida nell’intervento di Napolitano o della Corte Costituzionale sui punti più controversi del collegato. L’arbitrato, seppur facoltativo nella nuova versione, sembra comunque essere una forma di ricatto. Sin dall’inizio del rapporto il lavoratore è “invitato” a sottoscrivere una clausola che, in causa di controversie, lo impegna a non rivolgersi ad un giudice or-

© LaPresse

Generi

Venerdì 22 ottobre 2010

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Marcegaglia e il ministro Sacconi

dinario come garantito dagli articoli 24 e 25 della Costituzione. Si potrà appellare ad un giudice terzo che dovrà esprimersi “in deroga ai contratti nazionali” ma secondo il principio di “equità”. In sostanza l’arbitrato non è tenuto a far rispettare le norme previste dall’attuale diritto del lavoro e in particolare dai contratti nazionali che storicamente rappresentano la garanzia della tutela del lavoratore nei confronti del suo datore di lavoro. Si capisce bene, quindi, che l’obiettivo reale del

governo sia continuare una politica di deregolamentazione a discapito del lavoratore e funzionale al ricatto confindustriale. Un provvedimento pesante, quindi, che reintroduce sul piano nazionale anche la possbilità di assolvere l’obbligo scolastico in azienda tramite l’apprendistato; in sostanza a quindici anni si può benissimo andare a lavorare ed essere abbandonati ad un destino triste di sfruttamento e ignoranza. C’è da chiedersi, a questo punto, quanto il movimento studen-

tesco sia pronto a fare sua una battaglia per contrastare l’attacco ai diritti dei lavoratori consapevoli che da qui a qualche anno saremo proprio noi a pagarne le conseguenze.

Anche il movimento studentesco deve essere pronto a fare la propria parte per contrastare l’attacco ai lavoratori

Dottorandi In Italia gli iscritti ai corsi sono circa 40 mila, quasi la metà senza alcuna autonomia economica. E i tagli ai finanziamenti stanno riducendo borse e posti messi a bando in ogni ateneo

Doppiamente precari I Ludovica Ioppolo

l dottorato di ricerca rappresenta il terzo livello – il più alto – della formazione superiore: si tratta di un percorso di formazione alla ricerca che fa dei dottorandi una figura complessa, a cavallo tra studenti e lavoratori. La Carta Europea del Ricercatore definisce lo studente di dottorato ricercatore in formazione. Questa natura ibrida rende a tutti gli effetti il percorso di dottorato un’esperienza paradigmatica della precarietà: il dottorando, infatti, è uno studente che nella maggior parte dei casi segue dei corsi e studia per costruire un proprio autonomo percorso di ricerca, ma – altrettanto spesso – viene inserito nell’ambito del lavoro di didattica e ri-

cerca della propria cattedra di riferimento, senza però le tutele dei colleghi ricercatori. Gli iscritti ad un corso di dottorato in Italia sono circa 40 mila e ogni anno sono circa 10 mila coloro che conseguono il titolo di dottore di ricerca ( fonte Miur 2008). Poco più della metà dei dottorandi percepisce una borsa di studio: ciò significa che quasi 20 mila dottorandi in Italia – pur avendo superato un concorso – non hanno nessuno strumento di autonomia economica. Inoltre, i tagli ai finanziamenti per l’università e la ricerca stanno determinando negli ultimi anni una progressiva diminuzione delle borse e dei posti di dottorato banditi da ciascun ateneo. In questi mesi ci stiamo mobi-

litando come Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) per la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca e per il superamento del dottorato senza borsa. Ovviamente queste due campagne si collocano nella battaglia più generale che tutte le componenti universitarie stanno portando avanti negli atenei di tutta Italia contro il ddl Gelmini e contro i tagli ai finanziamenti. In particolare, sarà fondamentale nelle prossime settimane smontare la retorica del governo su una riforma che, nei fatti, non risolve il problema del precariato e non affronta il nodo centrale del dottorato di ricerca e dell’abolizione della figura – costituzionalmente inaccettabile – del dottorato senza borsa.

Una figura complessa a metà strada tra studente e ricercatore, che rappresenta il paradigma della precarietà. Le campagne dell’Adi per la valorizzazione del titolo e contro la retorica del governo


IV

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Dalla prima

Precaria è la didattica. Il taglio alle risorse, l’aumento degli studenti per classe, il mancato svecchiamento delle metodologie d’insegnamento ed una valutazione fatta di crediti, sentenze e numeri diventano uno scoglio reale per chi studia, per chi insegna e ricerca. Ci parlano di merito e di qualità mentre la didattica è indietro di 30 anni. Chiediamo un ripensamento reale e partecipato della didattica nelle scuole e nelle università. Precario è il nostro presente. La mancanza di fondi per il diritto allo studio, i tagli agli assegni di ricerca, il blocco del turn over, gli alti costi della mobilità locale, nazionale e trasnazionale creano una linea di demarcazione forte tra chi può accedere al sapere e chi no. Il taglio a scuola e università non è solo una misura economica del Governo ma un preciso progetto politico di creare un sistema di esclusione sociale. Precario è il nostro futuro. Vogliono trasformare la precarietà in un sistema di controllo e assopimento delle vite. La difficoltà di programmare e pensare il proprio futuro è la più grande barbarie dei potenti nei confronti delle nostre generazioni. Scenderemo in piazza quindi per chiedere forme di welfare e di tutela per tutti coloro che vivono i luoghi della formazione per liberarli e renderli autonomi dal proprio contesto sociale e familiare. A quest’attacco generalizzato non può che corrispondere una radicale azione di risposta coordinata del mondo della conoscenza. L’indisponibilità dei ricercatori deve diventare una parola d’ordine per precari, studentesse e studenti. Siamo indisponibili ad accettare provvedimenti calati dall’alto che decidono delle nostre vite, violentandole. Indisponibile è il nostro presente e il nostro futuro e non permetteremo a nessuno di utilizzarlo e sfruttarlo. Per questo rivolgiamo quest’appello per scendere insieme in piazza il 29 Ottobre nelle città di tutta Italia, per continuare la mobilitazione del mondo della conoscenza dopo la data dell’8 e del 16 Ottobre contro un Governo che utilizza la crisi come strumento per accentuare le diseguaglianze sociali. Dal mondo della conoscenza nasce la ribellione, contro ogni ignoranza, contro ogni sottomissione. Unionedeglistudenti.it

In movimento

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Vogliamo potere! saperi vs la crisi P La crisi che stiamo vivendo è allo stesso tempo economica, sociale, ambientale e democratica. È la crisi di un modello di sviluppo perverso, basato sullo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente in nome di un astratto interesse economico. Dopo 30 anni di egemonia del profitto e della competizione individuale sulle forze della solidarietà collettiva, sono ora evidenti a tutti le contraddizioni del modello economico dominante e le fratture profonde da esso generate nella società. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’Italia in cui la retorica del merito e dell’innovazione nasconde il perpetuarsi di logiche feudali, nell’alleanza tra potentati vecchi e nuovi, basata sulla paura del diverso, sulla diffidenza verso il futuro, sulla guerra tra poveri. Un’Italia disperata, la cui cifra dominante è la mancanza di futuro: il lavoro umiliato da precarietà e disoccupazione, l’ambiente deturpato da grandi opere utili solo a chi le costruisce, i migranti sfruttati due volte, prima sul posto di lavoro e poi sull’arena della competizione politica, i diritti civili negati dall’ossequio alle gerarchie vaticane. Un delitto perfetto, la cui vittima è il futuro della nostra generazione, condannata all’immobilismo sociale e, come un secolo fa, all’emigrazione. […] Le contraddizioni di un’intera epoca ci vengono scaricate addosso in maniera irresponsabile, e finora ne siamo stati schiacciati. È il momento di reagire, di fare uno scatto di maturità, di prendere in mano con decisione il nostro presente e mettere in campo la proposta concreta di un futuro diverso. Il potere per noi è un verbo, e non un sostantivo. Non reclamiamo poltrone né ci prestiamo a una ridicola guerra tra poveri con i nostri genitori. Ciò che vogliamo è poter alzare la testa, giocare un ruolo finalmente attivo nella nostra società, avere gli strumenti necessari a costruire un mondo all’altezza dei nostri sogni. La precarietà, intersecando questione sociale e questione generazionale livella verso il basso le nostro prospettive di vita, ci impedisce di programmare un orizzonte di miglioramento collettivo. Contro tale schiavitù è necessario mettere in campo il ruolo della cultura, della conoscenza, del ruolo dei saperi. Dalle scuole, dalle università, dalle accademie, dai centri di ricerca, lanciamo 10 idee, 10 proposte dai saperi contro la crisi, 10 strumenti con cui i soggetti in formazione possono prendere in mano il proprio presente e costruire un futuro diverso per tutti e per tutte.

Il potere per noi è un verbo non un sostantivo.

Non reclamiamo poltrone, ciò che vogliamo è poter alzare la testa, giocare un ruolo finalmente attivo nella nostra società

6. VOGLIAMO POTERE considerare

i nostri coetanei europei fratelli e non concorrenti. L’Europa deve diventare uno spazio politico, capace di costruire nuovi diritti sociali e di cittadinanza. La piaga della delocalizzazione e del dumping sociale tra i popoli del continente può essere sconfitta solo dall’unificazione progressiva dei sistemi di protezione. Chiediamo un sistema europeo di tutele sociali e del lavoro, un sistema di servizi, partendo dalla mobilità e dalla distribuzione delle ricchezze e dei redditi, finanziato da una politica fiscale europea.

7. VOGLIAMO POTERE vivere lamo 1. VOGLIAMO POTERE

sapere, vogliamo poter coltivare le nostre capacità, crescere in un sistema di educazione che venga considerato un investimento sul futuro e non un ramo secco da tagliare. La grande opera che chiediamo è un massiccio piano di finanziamenti su scuola, università e ricerca, che porti l’Italia al livello di investimenti degli altri paesi europei, all’interno di un generale processo di ripubblicizzazione dei saperi.

2. VOGLIAMO POTERE

compiere le nostre scelte di vita in maniera autonoma, liberi dai condizionamenti della famiglia e delle discriminazioni sociali. Serve un nuovo modello di welfare, e in particolare una legge quadro nazionale sul reddito di formazione, strumento di liberazione e autonomia ormai presente nella quasi totalità dei paesi europei.

3. VOGLIAMO POTERE

mettere le nostre competenze al servizio del futuro, immaginando e costruendo ogni giorno nuovi mondi grazie al nostro studio e alla nostra capacità creativa. Chiediamo un piano per l’innovazione scientifica e tecnologica. Vogliamo essere liberi di condividere competenze e conoscenze, e vogliamo poterne fruire altrettanto liberamente. Chiediamo che il mondo della formazione pubblica assuma politiche di adozione delle licenze Creative Commons, o di altre forme che esulino dal diritto d’autore.

4 .VOGLIAMO POTERE

respirare. La crisi ambientale pone un ultimatum all’umanità, e l’ostaggio siamo noi. È ormai urgente ripensare un modello di sviluppo costruito sull’ossessione della crescita e sull’angoscia della competizione. Il primo passo nella transizione verso un’economia a misura d’uomo e di ambiente è l’assunzione di indici alternativi al PIL. Vogliamo processi partecipativi tramite cui i territori, le singole comunità e i soggetti sociali possano avere voce in capitolo su cosa produrre e come.

5. VOGLIAMO POTERE

scegliere di avere un lavoro dignitoso, liberi dalla schiavitù della precarietà, mezzo di subordinazione delle nostre vite alle logiche del profitto, di divisione tra i lavoratori italiani e stranieri, di frammentazione esistenzale. Rifiutiamo la logica razzista della guerra tra poveri e chiediamo che venga restituita al lavoro la sua funzione di emancipazione sociale, inserendo la battaglia contro tutte le forme di precarietà in un ambito ampio di politiche sociali e di promozione dell’integrazione.

nostra identità liberamente. Chiedia che i luoghi della formazione e del lavoro possano essere laboratori di un modello diverso di vivere la socialità . La crisi culturale che stiamo attraversando è portatrice di sottoculture omofobe, razziste, violente, autoritarie e machiste. Riteniamo necessario costruire un piano di diritti e di tutele in grado di rispettare e valorizzare le differenze identitarie. Vogliamo creare una cultura, a partire dalle scuole e dalle università, che trasformi l’attuale società in un luogo collettivo fatto di inclusione sociale e rispetto dei diritti. pare 8. VOGLIAMO POTERE partecimo

alle scelte sul nostro futuro. Rifiutia un modello di politica basato sulle gerarchie feudali, sulla fedeltà ai leader e sull’impermeabilità ai movimenti della società. Chiediamo una nuova politica, con l’introduzione di strumenti di democrazia partecipata a tutti i livelli, dai luoghi della formazione a quelli di lavoro, fino alle istituzioni pubbliche.

9. VOGLIAMO POTERE vivere le

nostre città in maniera libera e attiva, liberi dai modelli securitari e repressivi ormai egemoni, attivi nella costruzione di relazioni sociali e culturali autonome rispetto ai circuiti commerciali. Reclamiamo città aperte alle libertà personali nel senso più ampio, contro ogni discriminazione. Promuoviamo la restituzione al pubblico di spazi sociali aperti alle realtà attive della cittadinanza, come laboratori per la produzione culturale e artistica innovativa e per la costruzione di un’alternativa di società solidale e partecipata.

10. VOGLIAMO POTERE disporre

delle risorse e degli investimenti necessari per la realizzazione di queste proposte, passi necessari per la costruzione di un futuro diverso per tutti e per tutte. Chiediamo la costituzione di un fondo per il futuro, finanziabile tramite il taglio delle spese militari, la tassazione delle rendite finanziarie e delle transazioni internazionali, la lotta all’evasione fiscale, l’emersione del vasto campo dell’economia sommersa e una nuova imposta di scopo, fortemente progressiva, la «tassa per il futuro».


Intervista

Rete della Conoscenza

Venerdì 22 ottobre 2010

V

Precarietà Dopo il successo della manifestazione del 16 ottobre a piazza San Giovanni, parla il segretario nazionale della Fiom. Come uscire dalla crisi? «Bisogna redistribuire la ricchezza e cambiare modello di sviluppo»

Landini: «Il lavoro è un bene comune» Lorenzo Zamponi

S

egretario Landini, siamo nel 2010, a 13 anni dal pacchetto Treu, a 7 anni dalla legge 30. Qual è oggi la situazione del mercato del lavoro oggi in Italia? Siamo di fronte a un livello di precarietà che non ha precedenti. Credo che sia anche una delle ragioni di questa crisi. Siamo di fronte al fatto che non ci sono ammortizzatori sociali generalizzati, e siamo di fronte al fatto che, ancor di più per i giovani, l’unica prospettiva che c’è è quella di un lavoro precario e spesso anche senza diritti. Quindi credo che occorra affrontare questa situazione, superando la precarietà, perché quando c’è il contratto a tempo indeterminato, il part time, l’apprendistato e i contratti a termine regolati, credo che questi rapporti di lavoro siano sufficienti ad affrontare qualsiasi tipo di situazione. E in più credo che si poÅnga un problema di riforma anche del sistema degli ammortizzatori sociali, che affronti il problema di estenderli a tutti quelli che non ce li hanno e anche di trovare delle forme di sostegno al reddito per chi studia, per chi lavora, in rapporto alla formazione. Mi pare che ci sia la necessità di una riforma che vada in questa direzione. Quando si parla di precarietà, quanto è una questione di leggi che rendono possibile l’utilizzo di determinati contratti, e quanto invece di un sistema di produzione che si è evoluto rispetto a quello del passato? Credo che le due cose vadano insieme. Indubbiamente questa estensione della precarietà è una delle condizioni dello sviluppo. Diciamo così la precarietà è un elemento strutturale dell’attuale modello di sviluppo, che ha fatto proprio dei bassi salari, della precarietà, dei pochi diritti, un elemento di competizione su cui svilupparsi. Quindi è evidente che un diverso modello di sviluppo fondato sulla valorizzazione, sull’investimento sul lavoro, deve portare al superamento della precarietà. Allo stesso tempo, è indubbio che in Italia in questi anni è andato avanti uno smantellamento dei diritti e il tentativo di riscrivere tutto l’ordinamento del lavoro e sociale, fondato sul superamento della contrattazione collettiva e dei diritti, e la precarietà è la prova di questo. In questo senso, io credo, occorre agire in entrambe le direzioni: bisogna superare questa legislazione sul lavoro, e superare varie forme di precarietà previste dalla legge, e allo stesso tempo bisogna aprire una discussione che riguarda un diverso modello di sviluppo, che rimetta al centro il lavoro e che faccia della valorizzazione del lavoro, della sua formazione, della sua stabilità un punto di fondo su cui costruire una diversa società.

«Bassi salari e precarietà sono diventati un elemento di competizione. Bisogna cambiare l’attuale legislazione»

Cinzia Longo dalla prima

La nostra impressione è che la frammentazione imposta dalla precarietà renda sempre più difficile costruire un orizzonte di coscienza collettiva, nonostante si tratti di una condizione che livella verso il basso le prospettive di vita di strati sempre più ampi della società, coinvolgendo potenzialmente settori più ampi che in passato. Da dove è possibile ripartire? Non è che le persone, stando peggio, di per sé aumentano la loro coscienza di stare peggio e di organizzarsi collettivamente. Anzi, quando c’è una precarietà e quando le imprese possono scegliere chi far lavorare e possono mettere in competizione le persone tra di loro, generalmente chi lavora sta peggio. Credo che, a partire da chi oggi non ha un rapporto di lavoro precario, diventi decisivo mettere in campo delle iniziative, delle azioni che cancellino la precarietà. Il punto vero è che puoi rendere autonome le persone se le persone sono dotate di diritti, e se quindi il diritto al lavoro diventa un diritto davvero praticabile e agibile. In questo senso la stabilità del lavoro è la condizione che permette di avere un’autonomia. Anche perché la precarietà diventa un elemento di insicurezza. Per queste ragioni, penso che, almeno dal punto di vista sindacale oltre che politico, dobbiamo riunificare i diritti, superare le forme di precarietà nel lavoro, rilanciare su questo versante anche la riunificazione contrattuale, e cioè fare in modo che i contratti collettivi nazionali siano in grado di sancire diritti uguali per tutti i lavoratori e non permettere alle imprese di poter agire sulla precarizzazione ulteriore dei rapporti di lavoro e della vita delle persone. Lei prima ha parlato di reddito. Crede che la lotta alla pre-

«Costruire un rapporto tra un reddito di cittadinanza e formazione è importante per garantire il diritto allo studio» carietà possa passare anche attraverso la ricostruzione di un nuovo modello di welfare? Credo che si ponga anche il problema di un reddito di cittadinanza, sia per chi studia, perché un dato che abbiamo di fronte è che in realtà sempre di più continuano a studiare quelli che vengono da famiglie che se lo possono permettere. Va garantito il diritto allo studio, secondo me, a maggior

ragione a fronte della crisi e della redistribuzione della ricchezza che c’è stata a danno di chi lavora. Credo che costruire un rapporto tra un reddito di cittadinanza e la formazione sia un punto importante per garantire un diritto allo studio generalizzato. Allo stesso tempo, credo che questa forma può essere anche un elemento che riduce la precarietà, perché rende meno ricattabili le persone. In prospettiva, però, penso che non possa esserci un reddito di cittadinanza che garantisca la precarietà. Questo è un tema nuovo che va affrontato, credo che occorra trovare il modo per cui un welfare come sistema universale di diritti sia agibile e dall’altra parte si vada a un superamento delle forme precarie che sono in alcuni casi assolutamente inutili oltre che dannose.

sulla necessità di condividere un momento ampio di confronto per rilanciare l’agenda delle lotte dopo la manifestazione del 16 e verso lo sciopero generale. L’assemblea è riuscita anche a condividere la necessità di contrapporre alla logica della “guerra tra poveri” una più sana e efficace “solidarietà sociale” nonché cancellare la nozione di “scontro generazione” con una vera “cooperazione intergenerazione”. In sostanza “Uniti vs la Crisi” si propone come uno spazio pubblico, uno strumento di integrazione delle piattaforme di lotta, la possibilità di generalizzare il conflitto contro l’attacco ai diritti e ai beni comuni. L’applausometro sale in occasione della lettura finale del documento, approvato per acclamazione, un testo denso di proposte per i prossimi mesi. Dall’adesione alla manifestazione dei precari della scuola già indetta per il prossimo 30 Novembre, ad un nuovo protagonismo studentesco per il 17 Novembre, la data di mobilitazione internazionale contro la mercificazione del sapere. Dall’adesione alla prossima di mobilitazione sindacale indetta dalla Cgil per il prossimo 27 Novembre fino alla necessità di convocare una giornata di mobilitazione per l’11 dicembre da costruire sui territori verso lo sciopero generale. L’agenda dell’autunno si fa finalmente interessante, piena di date e di contenuti, con l’obiettivo di andare oltre le contingenze del breve periodo e costruire un’unità contro la crisi che si trasformi in lotta di lunga durata. Per il documento completo dell’assemblea www.retedellaconoscenza.it

Chi è Maurizio Landini è nato a Castelnovo Ne’ Monti (Reggio Emilia) il 7 agosto 1961. Dopo aver cominciato a lavorare, quale apprendista saldatore, in un’azienda cooperativa attiva nel settore metalmeccanico, Landini è stato prima funzionario, e poi segretario generale della Fiom di Reggio Emilia. E’ quanto si legge in una nota della Fiom, che ha eletto oggi (1 giugno) il nuovo segretario generale. Successivamente, è stato segretario generale della Fiom dell’Emilia-Romagna e, quindi, di quella di Bologna. All’inizio del 2005 Landini è entrato a far parte dell’apparato politico della Fiom nazionale. Il 30 marzo dello stesso anno, è stato eletto nella Segreteria nazionale del sindacato dei metalmeccanici Cgil. Come segretario nazionale, Landini è stato responsabile del settore degli elettrodomestici e di quello dei veicoli a due ruote, conducendo trattative con imprese quali Electrolux, Indesit Company e Piaggio. A questi incarichi, si è poi aggiunto quello di responsabile dell’Ufficio sindacale, che lo ha portato a seguire a stretto contatto con il Segretario generale, Gianni Rinaldini, le trattative per il rinnovo del Contratto dei metalmeccanici nel 2009. Sempre come responsabile dell’Ufficio sindacale, Landini è stato negli ultimi mesi il responsabile della delegazione Fiom nelle trattative per il rinnovo dei contratti nazionali delle imprese aderenti alla Unionmeccanica-Confapi e di quello delle imprese artigiane. da www.rassegna.it

Rete della conoscenza Via IV Novembre 98, 00187, Roma www.retedellaconoscenza.it tel/ 0669770328 retedellaconoscenza@gmail.com Coordinamento editoriale a cura di: Lorenzo Zamponi hanno collaborato: Roberto Iovino, Ludovica Ioppolo, Claudio Franchi, Claudio Riccio, Elena Monticelli, Tito Russo, Federico Del Giudice, Cinzia Longo Grafica: Filippo Riniolo Chiuso in redazione alle ore 19.00 La Rete della Conoscenza è il network promosso da Unione degli Studenti e Link-Coordinamento Universitario www.unionedeglistudenti.it www.coordinamentouniversitario.it


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