Scheda tecnica - Il contratto unico precario

Page 1

SCHEDA SUL “CONTRATTO UNICO” PRECARIO Presupposti su cui si basano le proposte di contratto unico Il dibattito sul contratto unico si è aperto in Italia a partire dalla proposta di Boeri e Garibaldi su lavoce.info nel 2006. I due economisti partono dalla constatazione che nel nostro paese esista un mercato duale del lavoro nel quale alcuni lavoratori godono di tutele che rendono il mercato del lavoro troppo rigido (insiders) e altri non godono di alcuna tutela (outsiders). Al di là del senso che possa avere parlare di dualismo del mercato alla luce dei fatti dell'ultimo anno e mezzo (Marchionne, accordo del 28 giugno, articolo 8 della manovra di ferragosto, ecc...), nella loro analisi le cause di tale fenomeno sono da individuarsi da un lato nel deficit di formazione da parte degli outsiders e dall'altra nella presenza di norme che tutelano eccessivamente il lavoratore dal rischio di licenziamento e rendono quindi rischiosa la sua assunzione da parte del datore di lavoro. Le soluzioni che vengono proposte sono due: il contratto unico a tutele crescenti e una riforma degli ammortizzatori sociali che tuteli e riorienti la manodopera che non trova lavoro. La proposta Boeri-Garibaldi I due economisti propongono un sistema a tutele crescenti articolato in 3 fasi: 1) PROVA (6 mesi) Durante e al termine dei 6 mesi di prova il lavoratore o la lavoratrice può essere licenziato in qualunque momento, senza alcun indennizzo o tutela 2) INSERIMENTO (fino allo scadere del terzo anno) Durante il periodo d'inserimento il lavoratore o la lavoratrice può essere licenziato ma deve ricevere da parte del datore di lavoro un indennizzo crescente con l'anzianità di servizio. A questa tutela ci sono due eccezioni: il licenziamento per giusta causa per il quale non è previsto alcun indennizzo oppure il licenziamento discriminatorio per il quale viene invece applicato l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori 3) STABILITA' Dopo i 3 anni il lavoratore o la lavoratrice gode di tutte le tutele di un contratto a tempo indeterminato Secondo gli estensori della proposta, la maggiore garanzia per i lavoratori di fronte al rischio di essere licenziati il giorno precedente dello scadere dei 3 anni è che durante il periodo d'inserimento il lavoratore ha acquisito la competenze e la formazione che vanno a colmare il deficit di cui si parlava prima, percui l'impresa non avrebbe più alcun interesse a licenziarlo perchè dovrebbe ripartire a formare un altro dall'inizio. La proposta Ichino (ddl 1481/09) Propone uno “standard minimo universale di protezione della continuità del lavoro e del reddito” applicabile sia ai lavoratori dipendenti sia ai lavoratori autonomi con meno di 40.000 euro di reddito annui e con più di 2/3 del reddito proveniente da un unico committente (ovvero i falsi autonomi) che consiste in: – contratto di transizione: contratto collettivo tra una o più imprese e uno o più sindacati per gestire la transizione al nuovo modello. Il nuovo contratto si applica ai nuovi assunti ma nel caso in cui sia sottoscritto dal sindacato “più rappresentativo” dell'azienda può essere esteso anche agli altri. Inoltre con il contratto di transizione istituisce un ente bilaterale o consortile a cui viene affidata la gestione congiunta delle “assicurazioni contro la disoccupazione” e dei servizi di riqualificazione e reinserimento del mercato del lavoro. Questo ente viene


finanziato dalle imprese con un meccanismo bonus/malus (più lo usi e più paghi) che dovrebbe disincentivare le imprese ad abusare del licenziamento. – contratto di ricollocazione: è il contratto che l'ente bilaterale stipula con il lavoratore licenziato in cui assicura al lavoratore un'indennità di disoccupazione decrescente nel tempo di massimo 4 anni e non superiore alla durata del rapporto di lavoro. In cambio il lavoratore deve seguire le attività di riqualificazione e di reinserimento nel mondo del lavoro che gli vengono sottoposte dall'ente bilaterale. – contratto di lavoro dipendente: Ichino introduce il concetto di “dipendenza economica” che comprende oltre ai lavoratori dipendenti anche i lavoratori formalmente autonomi ma di fatto dipendenti. Il contratto di lavoro dipendente è un contratto a tempo indeterminato, salvo alcune eccezioni (lavori stagionali, sostituzioni, ecc...). E può essere definito a tutele crescenti. Si compone di tre fasi: 1) periodo di prova (6 mesi): in caso di licenziamento non c'è alcun tipo di indennizzo per il lavoratore. 2) “stabilità”: dopo il periodo di prova il lavoratore gode di alcune garanzie. In caso di licenziamento disciplinare o discriminatorio può essere applicato l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori, ma a discrezione del giudice il reintegro in azienda può essere sostituito da un indennizzo. Se invece il licenziamento è dettato da ragioni economiche il giudice non può intervenire. L'impresa deve dare al lavoratore un preavviso di minimo 3 mesi, massimo 1 anno a cui il lavoratore può rinunciare in cambio di un indennizzo. Poi il lavoratore può scegliere di sottoscrivere con l'ente bilaterale il contratto di ricollocazione. 3) dopo 20 anni di anzianità di servizio le tutele aumentano. Infatti si presume che se l'azienda licenzia un lavoratore dopo 20 anni lo faccia perchè ormai è troppo vecchio. È a carico dell'azienda dimostrare che il licenziamento non sia discriminatorio. Insomma per arrivare ad una tutela simile a quella di cui godono attualmente i lavoratori a tempo indeterminato bisogna aspettare 20 anni. Analisi delle proposte. Alcune delle basi su cui vengono elaborate queste proposte sono abbastanza discutibili: 1) Deficit di formazione della manodopera. In effetti in Italia ci sono meno laureati rispetto alla media europea, ma è anche vero che il tasso di disoccupazione dei laureati è più alto in Italia rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea e le più alte quote di lavoro precario si trovano proprio tra i lavoratori laureati. La ragione di questo apparente paradosso sta nel sistema produttivo italiano. Infatti da diversi studi emerge che la richiesta di manodopera delle imprese italiane si rivolge soprattutto verso figure professionali con qualifiche medio-basse (camerieri, tornitori, baristi, operai generici). Di fronte ad uno scenario del genere l'idea di avere un periodo di inserimento di 3 anni, come propongono Boeri e Garibaldi, per essere formati è assolutamente inutile e perde di senso l'idea che l'impresa non abbia poi interesse a licenziare il lavoratore perchè ha investito tanto per formarlo. Se le imprese offrono posti di lavoro per mansioni che possono essere imparate in poche settimane o pochi mesi nulla vieta loro di tenere un lavoratore per 2 anni e mezzo, poi licenziarlo e assumerne un altro. 2) La rigidità del mercato del lavoro italiano Molti dei testi che propongono questa tesi non forniscono seri dati al riguardo. La principale dimostrazione dei problemi causati dalla rigidità del diritto del lavoro in Italia (il cui simbolo è l'articolo 18) è il prevalere in Italia delle piccole e medie imprese. L'articolo


18 si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti e molti dicono: “le imprese sotto i 15 dipendenti non hanno interesse a crescere perchè se no dovrebbero applicare l'articolo 18 e quindi non potrebbero più licenziare nei momenti di difficoltà”. Se così fosse in Italia ci dovrebbero essere molte imprese tra i 13 e i 15 dipendenti e poche tra i 15 e i 20. Tutti gli studi che sono stati fatti dimostrano come ciò non sia vero. Le difficoltà a crescere per le imprese sono soprattutto oltre la soglia di 20 dipendenti, mentre non si vede nulla di particolare in corrispondenza della soglia dei 15 dipendenti. Quindi non è l'articolo 18 ad impedire alle imprese italiane di crescere. Un altro dato che viene spesso citato è che un rapporto OCSE del 1994 poneva l'Italia in cima alla classifica della rigidità del mercato del lavoro. Al di là di ogni valutazione, un rapporto successivo sempre dell'OCSE (2004) ha invece rivisto la posizione dell'Italia il cui indice di rigidità è passato da 2,8 a 1,8. Va tenuto conto che questo indice misura il tasso di rigidità dei contratti a tempo indeterminato e non considera quelli “atipici”. Un'altra tesi molto citata è il fatto che sia praticamente impossibile per un datore di lavoro vincere un processo su un licenziamento perchè i giudici sarebbero sempre dalla parte del lavoratore. Le statistiche dell'ISTAT smentiscono però questa cosa. 3) Il sistema di flexicurity danese (a cui si è ispirato Ichino) porta ad una maggiore occupazione. In realtà molti studi dimostrano che la maggiore occupazione danese è soprattutto dovuta ad una maggiore redistribuzione dell'orario di lavoro (meno ore lavorative settimanali, congedi, ecc...). Alcune critiche alla proposta Boeri-Garibaldi: 1) il contratto unico non sarebbe l'unico tipo di contratto presente, ma convivrebbe con tutte le altre tipologie di contratto. 2) Un periodo di inserimento di tre anni crea un'ulteriore dualità: per i lavori che hanno effettivamente bisogno di un lungo periodo di formazione potrebbe essere conveniente per l'azienda mantenere il lavoratore dopo i tre anni, per gli altri no. Quindi riuscirebbero a godere dell'articolo 18 solo coloro che svolgono mansioni molto specializzate e questa tutela diventerebbe un privilegio. 3) Di fatto durante i tre anni il lavoratore con il contratto unico d'inserimento gode di meno diritti di quelli garantiti da alcuni contratti precari, soprattutto per quanto riguarda l'indennizzo che riceve in caso di licenziamento Alcune critiche alla proposta Ichino: La proposta di Ichino ha ovviamente tutti i difetti e le critiche che sono stati mossi a quella di Boeri e Garibaldi (a parte sulla questione di essere un ennesimo contratto, poichè nella proposta di Ichino tutti i nuovi assunti avrebbero un unico tipo di contratto). In più è contestabile su altri punti: 1) di fatto elimina l'articolo 18. Infatti per goderne pienamente bisogna raggiungere i 20 di anzianità e prima vale solo per i licenziamenti discriminatori. Risulta molto difficile distinguere nella pratica tra licenziamento discriminatorio e licenziamento economico, soprattutto se il giudice non può dire nulla sulla fondatezza del licenziamento economico. Ad esempio come faccio a dire se una donna con due figli piccoli è stata licenziata perchè donna con figli piccoli (licenziamento discriminatorio) oppure perchè l'impresa era in difficoltà (licenziamento economico) senza entrare nel merito della questione se il suo licenziamento fosse necessario o no? 2) Il contratto di ricollocazione viene gestito da enti bilaterali, in questo modo viene privatizzato un pezzo di welfare e si crea una situazione in cui la tutela al licenziamento varia da azienda ad azienda 3) il contratto può essere applicato a tutti coloro che sono già assunti se così decide il sindacato


più rappresentativo quindi si possono precarizzare coloro che attualmente godono delle tutele del contratto a tempo indeterminato 4) si crea un ulteriore aziendalizzazione che va a demolire il contratto collettivo nazionale, pienamente in linea con gli sviluppi dell'ultimo anno e mezzo Per approfondire: Boeri-Garibaldi, Un sentiero verso la stabilità, lavoce.info, 2006. Boeri-Garibaldi, Dal vicolo cieco alla stabilità, lavoce.info, 2006. Boeri-Garibaldi, Il “testo unico” del contratto unico, lavoce.info, 2007. Boeri-Garibaldi, Un nuovo contratto per tutti, Chiarelettere, 2008. Boeri-Roccella, A proposito del contratto unico, Micromega, 1/2009. Cavallaro-Palma, Come (non) uscire dal dualismo del mercato del lavoro: note critiche sulla proposta di contratto unico a tutele crescenti, Rivista italiana di diritto del lavoro, 4/2008. Testo della proposta di legge 1481/09. www.retedellaconocenza.it


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.