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Il numero chiuso non è salutare? La sanità rappresenta uno dei temi più complessi in tutta Europa, anche e soprattutto perché i vari Paesi che compongono l’Unione Europea sono caratterizzati da enormi differenze nella gestione delle prestazioni sanitarie. Un minimo comune denominatore, però, tra i tanti sistemi sanitari nazionali esiste ed è rappresentato dalla spaventosa carenza di personale medico-sanitario che sta attanagliando la maggior parte dei Paesi del vecchio continente e che rischia di produrre un’incapacità dei sistemi sanitari nazionali di far fronte alle esigenze della popolazione. La crisi del comparto sanitario deriva, inoltre, anche dal costante de-finanziamento che dagli anni ‘80 agli anni ‘90 ha caratterizzato le scelte di politica economica in tanti Paesi, il tutto giustificato dal tentativo di ridurre la spesa pubblica pesantemente oberata dalle ingenti spese sanitarie. Una delle cause che maggiormente determina l’aumento del costo della sanità consiste nel progressivo aumento dell’aspettativa di vita e quindi del numero sempre maggiore di servizi da erogare ad una popolazione sempre più anziana. Appare evidente che il miglioramento delle condizioni di vita e della qualità delle cure mediche richiederà un implemento consistente di personale idoneo ad assistere tali soggetti e di fatti la domanda di assistenza sanitaria aumenterà drammaticamente con l’invecchiamento della popolazione europea (le statistiche parlando di un numero di over 65 destinato a raddoppiare nei prossimi 50 anni, da 87 milioni nel 2010 a 152,7 milioni nel 2060). Allo stesso modo, anche i fenomeni migratori in continuo aumento sono e saranno ancor di più fattori che richiederanno una presenza maggiore di medici specie in contesti di crisi umanitarie perduranti (come quella che da anni attraversa la sponda Sud del Mediterraneo) e di sbarchi sulle coste, come avviene nel nostro Paese da anni senza soluzione di continuità. Una testimonianza che non può che confermare quanto detto in precedenza è il “Programma Italia” di Emergency, destinato proprio all’offerta di servizi sanitari alle migliaia di migranti che entrano nel nostro paese, ma anche a un numero sempre maggiore di italiani che non riescono ad accedere alle prestazioni del nostro sistema pubblico.
La situazione in Europa Risulta a questo punto fondamentale un breve focus sulla situazione di alcuni paesi europei. In molti Stati si avvertono preoccupazioni per la carenza di medici. Il numero degli stessi pro capite varia notevolmente ed è più basso in paesi meno sviluppati come Polonia e Romania, ma risulta relativamente basso anche in Regno Unito e in Finlandia. A partire dal 2000 il numero di medici pro capite è tuttavia aumentato in tutti i paesi europei eccetto nella Repubblica Slovacca. Mediamente il loro numero è passato da 3,0 dottori per 1.000 abitanti nel 2000 a 3,3 dottori nel 2008. Tale cifra è aumentata in modo particolarmente rapido in Irlanda, dove è cresciuta di quasi il 50%. Gran parte di questo aumento è dovuto al reclutamento di medici stranieri la cui percentuale è triplicata in tale periodo. Analogamente, il numero di medici pro capite nel Regno Unito è aumentato del 30% tra il 2000 e il 2008 passando da 2,0 medici per 1.000 abitanti a 2,6 medici. [1] Di converso, non si è registrata virtualmente alcuna crescita nel numero di medici pro capite in Francia e in Italia a partire dal 2000. In seguito a una riduzione nel numero di nuovi iscritti alle facoltà di medicina negli anni '80 e '90 il numero di medici pro capite in Italia ha raggiunto un picco nel 2002 per calare a partire da tale
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LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com anno. In Francia il loro numero è stato massimo nel 2005 e la sua riduzione dovrebbe continuare nel prossimo decennio. In quasi tutti i paesi il rapporto tra medici generici e medici specialisti è cambiato negli ultimi decenni: il numero degli specialisti è aumentato molto più rapidamente. Di conseguenza nella maggior parte dei paesi vi sono più specialisti che generici, fatta eccezione per la Romania e per il Portogallo. [1] La crescita lenta o la riduzione del numero di medici generici pro capite suscita preoccupazioni quanto all'accesso all'assistenza primaria. Nel caso specifico, in Italia, il corso di formazione specifica in medicina generale, al contrario degli altri corsi di specializzazione, è affidato alle regioni, non alle università. Esso è inoltre spesso relegato ad uno status inferiore rispetto alle altre specializzazioni mediche oltre che essere molto meno remunerato. È evidente come una situazione del genere faccia in modo che tale percorso venga intrapreso quasi esclusivamente da chi ha già garanzie in merito. È, però, il Ministero della Salute a bandire il concorso, decidendo anche il numero dei posti disponibili, affidando poi la formazione agli assessorati alla salute delle singole regioni, al contrario delle altre scuole, che restano sotto l’egida del MIUR. Il numero dei posti dovrebbe essere deciso in base alle esigenze delle singole regioni, ma i dati ci dicono che in Italia, entro il 2016, più di 900.000 persone rimarranno senza il medico di medicina generale. [2] In molti paesi europei si avvertano preoccupazioni anche per ciò che attiene al numero di infermieri. Il personale paramedico svolge un ruolo importante nell'assicurare l'assistenza sanitaria, non solo in ambienti tradizionali quali gli ospedali e negli istituti di cure di lungo periodo, ma anche nell'ambito dell'assistenza primaria, soprattutto per quanto concerne l'assistenza ai malati cronici e a domicilio. [1]
La situazione in Italia Il nostro Paese non è esente da problematiche molto simili a quelle dei vicini stati europei. La domanda di medici è in continua ascesa e non viene per nulla soddisfatta dal numero di laureati immessi nel mondo del lavoro (specialmente in Italia), sostanzialmente per tre motivazioni di fondo: I tagli alla sanità Dagli anni ‘90 in poi il Sistema Sanitario Nazionale è definitivamente entrato nel novero dei capitoli di spesa da razionalizzare. Le politiche legislative nazionali hanno nel tempo inciso sempre di più sul finanziamento nazionale alla sanità, da una parte diminuendo in modo consistente le erogazioni e dall’altra scaricando sempre di più sul cittadino i costi delle prestazioni (introduzione ed aumento dei ticket sanitari). La diminuzione delle risorse è calcolabile nell’ordine dei 26 miliardi di euro nell’arco di 5 anni [3] (2010 - 2015) e ha visto nella recente “Spendig Review” uno dei provvedimento più disastrosi degli ultimi decenni. Il “Blocco del turn over” e i “Piani di rientro” Il Blocco del turn over è un dispositivo introdotto con la finalità di ridurre l’incidenza della sanità sulla spesa pubblica. Se nelle intenzioni questo strumento si prefigge l’obiettivo di realizzare una razionalizzazione dei costi, in realtà finisce per implementare gli stessi: i gestori dei servizi (ad es. le A.S.L., che hanno registrato un calo della domanda di prestazioni specialistiche del 5-10 per cento) rendendosi conto che la carenza di personale finisce per incidere sul mancato raggiungimento del L.E.A. (Livelli Essenziali dell’Assistenza) pongono in essere delle soluzioni tampone (es. l’acquisto di prestazioni da soggetti privati, la stipula di contratti atipici, ecc.) nel tentativo di non far crollare la qualità delle proprie prestazioni. Questa importazione di competenze non è esente da costi ed anzi appesantisce fortemente i bilanci, dimostrando il fallimento dell’intero impianto di riduzione della spesa pubblica. Lo sblocco del turn over è ormai una priorità ineludibile per poter consentire a migliaia di giovani di contribuire al mantenimento di elevati standard nell’erogazione dei servizi. Il problema delle Scuole di Specializzazione Altro storico ed atavico problema risulta essere quello dello stadio successivo alla laurea in medicina e precedente all’immissione nel mondo del lavoro, ossia quel limbo in cui si trovano i c.d. specializzandi. Recentemente si è aperto un aspro dibattito attorno alla riforma dell’accesso alla specializzazione, ma tale discussione non tocca il vero nocciolo della questione che resta quello LINK - Coordinamento Universitario - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma - link.universitari@gmail.com Tel. 06/69770332
LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com dell’esiguo numero di posti a disposizione, fin troppo basso per consentire a tutti i laureati di proseguire il proprio percorso di formazione e di sopperire al gran numero di personale in quiescenza. A testimonianza di quanto scritto in precedenza, assumono rilevanza le dichiarazioni rilasciate da Giuseppe Mele, ex Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri (F.I.M.P.) [13], il quale sostiene che sarà fondamentale aumentare di 400 unità i posti per gli specializzandi di quello specifico settore per non correre il rischio di ritrovarsi nel 2020 con una emorragia difficilmente colmabile e ulteriormente acuita dagli assurdi nuovi tagli ai posti disponibili (quest’anno pari a 500 unità). Si può dunque concludere che il sistema attualmente vigente oltre a prevedere una restrizione all’accesso della formazione universitaria, diminuisce ulteriormente il numero di soggetti in grado da immettere nel sistema lavorativo una volta conseguito il titolo di studio costringendo, di fatto, tantissimi neo-laureati ad anni di inattività e producendo quindi un’ulteriore diminuzione di personale medico pronto ad entrare negli ospedali. L'Italia è uno dei primi Paesi in Europa e nel mondo per la qualità del proprio Servizio Sanitario Nazionale, e per la relativa poca incidenza di esso sul proprio PIL (9,6%). Ciò che, però, non viene preso in considerazione in queste classifiche è la grave situazione di crisi in cui rischia di trovarsi il nostro paese nei prossimi anni. Attualmente i medici che esercitano la professione sono circa 350.000, cifra che si abbasserà considerevolmente a causa di massicci pensionamenti, e non solo, che caratterizzeranno gli anni a venire. Alcuni dati pratici: - entro il 2015 sono previsti circa 17.000 pensionamenti di medici facenti parte di strutture ospedaliere e non; [9] [10] - entro il 2017 si prevede un buco di circa 10.000 medici di base; - entro il 2018 mancheranno in totale circa 22.000 medici. [8] Il deficit totale di medici previsto nei prossimi 10 anni è di circa 50.000 unità. [4] Questa tendenza al pensionamento, e quindi al calo numerico di medici, non è una novità per l'Italia. Già nel 2010 si riscontrò l'incremento del 55% dei pensionamenti rispetto agli anni precedenti, e quindi la non adeguatezza dell'offerta formativa alle necessità del paese. [8] Questa situazione di “pensionamenti precoci" (ad es. i dirigenti posso andare in pensione a 58 anni), è stata ulteriormente aggravata da dieci anni di tagli e da leggi finanziarie che ribadiscono incessantemente il blocco del turnover proprio in uno spazio temporale in cui maggiori sono gli effetti negativi derivanti dalla c.d. “gobba pensionistica” (il contemporaneo pensionamento di molti medici in servizi dagli anni ‘80).[3] Tutto ciò deriva anche da un calcolo sbagliato sul numero di posti per iniziare un percorso universitario. Attualmente le richieste di immatricolazione fatte per accedere in una (ex)facoltà di Medicina e Chirurgia sono 80.000, mentre i posti disponibili sono circa 8.500. Il calcolo dei posti è effettuato su un fabbisogno di medici ormai per nulla attuale. L'aumento dei posti disponibili, però, non dovrebbe riguardare solo l'entrata nella facoltà, ma anche, come ribadito in precedenza, presso le scuole di specializzazione, previste dopo la laurea. Sono molti i settori in cui c'è un reale fabbisogno di medici, primo fra tutti Chirurgia, seguito da Pediatria, Radiologia, Nefrologia e Geriatria. E' necessario quindi attrezzare le strutture, accademiche ed ospedaliere, per accogliere più studenti, stimando in modo migliore il fabbisogno reale di medici nel nostro Paese.
Salute VS Sanità Il diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana e riconosciuto come diritto universale dall’art. 25 della Dichiarazione universale de diritti dell’uomo, è uno dei principali colpiti dall’attacco delle politiche di austerity e di privatizzazione da anni adottate in maniera bipartisan dai governi europei. Secondo una ricerca del CENSIS del 2012, 9 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure per la mancanza di soldi (di cui il 61% sono donne e la metà del totale è del Sud Italia) [4]. I tagli alla spesa pubblica in sanità, giustificati da un’ampia campagna mediatica sugli sprechi e sui fenomeni di “malasanità” e clientelismo (che ad onor del vero esistono ma non sono l’unica cifra con cui può essere descritto il nostro sistema sanitario), LINK - Coordinamento Universitario - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma - link.universitari@gmail.com Tel. 06/69770332
LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com ammontano a 26 miliardi in 5 anni. Ne derivano una serie di conseguenze negative: incapacità delle strutture sanitarie pubbliche di rimpiazzare i pensionamenti, mantenere in piedi tutte le strutture (tantissimi i reparti e i piccoli nosocomi costretti a chiudere) e di garantire l’aggiornamento e la formazione del personale, oltre che l’assistenza di base e la manutenzione degli edifici, degli impianti e dei macchinari. Tutto questo non avviene per caso. Dietro la scelta di far quadrare i conti e di ridurre le spese c’è la volontà di consegnare le cure al mercato, trasformando il diritto alla salute in una merce da acquistare, comprando le prestazioni sanitarie. Le spinte da parte del comparto assicurativo-finanziario per mettere le mani sul nostro sistema sanitario esistono da tempo e trovano sempre più legittimità nel peggioramento della qualità delle prestazioni del servizio pubblico. Qual è l’obiettivo? Quello di arrivare ad avere un sistema sanitario pubblico impoverito, con tempi d’intervento lunghi e incerti e scarse prestazioni, per chi ha redditi bassi e un sistema integrato privato di qualità ad uso e consumo di chi se lo può permettere. Non è fra l’altro un’idea nuova. Negli Stati Uniti la salute è affidata ad un sistema assicurativo tutto privato e la sanità è un vero e proprio business. Eppure, gli U.S.A. spendono ugualmente per la sanità circa il 15% del loro PIL, molto più dei costi attuali del nostro SSN. Questo a conferma del fatto che la privatizzazione non risponde realmente a esigenze di risparmio, ma è funzionale soltanto a ben altri obiettivi. Quando l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti dichiarava che la sostenibilità del sistema sanitario nazionale era a rischio e che era necessario trovare nuove modalità di finanziamento, riorganizzando i servizi e le prestazioni, altro non faceva che rispolverare una ricetta sostenuta storicamente dalle forze neo-liberiste. La storia della sanità pubblica italiana e del diritto alla salute non è troppo dissimile da quella del nostro sistema pubblico d’istruzione e del diritto allo studio, a testimonianza di come ogni scelta politica non avvenga per caso, ma rientri a pieno titolo in un disegno ben preciso di dismissione del pubblico a favore del privato. Le analogie fra quello che è successo nel campo della sanità e quello che sta avvenendo nell’università italiana sono lampanti: de-finanziamento, de-qualificazione delle prestazioni, riduzione del personale, incapacità di sostenere le strutture, esternalizzazioni, precarizzazione dei rapporti di lavoro e ricadute enormi sul piano della qualità e dell’universalità dei due sistemi. Un’università per tutti, abbandonata a se stessa e di bassa qualità, e un sistema di formazione altro a vari livelli erogato da soggetti privati, accessibile a chi ha un reddito tale da poter scegliere una delle tante alternative che il mercato offre. Altro dato che accomuna i due sistemi pubblici è il loro legame con la fiscalità generale. Essendo “pubblici”, sia il sistema sanitario che quello universitario dovrebbero essere finanziati unicamente dallo Stato, alle cui casse provvede la tassazione in misura progressiva al reddito e al patrimonio che ciascuno detiene. L’introduzione della contribuzione studentesca da una parte e dei ticket per la sanità dall’altra, svelano invece come negli ultimi anni, causa decurtazione dei finanziamenti pubblici, si no gli stessi cittadini a dover assumere sulle loro spalle le mancanze che i tagli hanno prodotto. Anche qui, non è un caso che questo avvenga, ma la volontà è quella di spostare progressivamente il carico delle prestazioni sul privato cittadino. Operazioni politiche di lungo periodo, sia chiaro, non imputabili a un singolo Ministro o Governo, che testimoniano però l’unanimità e la condivisione di fondo di processi che hanno origini ben più complesse e che vanno ricercati su piani molto più ampi di quelli nazionali.
Il Numero chiuso e la crisi del Sistema Sanitario Nazionale Con la L. 264/99 (c.d. “Legge Zecchino”) in Italia veniva inserito il numero chiuso per tutti i corsi di laurea afferenti all’ambito medico-sanitario, recependo le indicazioni europee sulla libera circolazione delle professioni. Esiste infatti una direttiva, la 93/16/CEE, che impone l’armonizzazione dei sistemi formativi come requisito per il riconoscimento in tutti i Paesi membri del titolo di studio per le professioni mediche e che lega il numero degli studenti da una parte alla disponibilità delle strutture (numero di posti letto presenti nei policlinici universitari), dall’altra al fabbisogno calcolato da ogni Stato per le esigenze del proprio sistema sanitario.
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LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com Ad oggi, stando ai dati sopra citati, è evidente che i calcoli siano stati male effettuati. La carenza di personale in ambito medico e sanitario non è soltanto un problema a cui il nostro Paese dovrà far fronte, ma una realtà con cui tutta l’Europa si sta confrontando ormai da anni. L’allarme è stato recepito anche dalla Commissione Europea, che ha stilato una fotografia impietosa della situazione nei vari Paesi dell’Ue. Grave è la situazione in Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Romania, Gran Bretagna [6], ma anche al di fuori dell’Unione esistono segnali forti in questa direzione. In Svizzera la carenza di personale medico sanitario è così grave che il Governo sta valutando di abolire completamente il numero chiuso universitario [7] e qualsiasi altra forma di selezione all’accesso. Anche in Italia nel 2011, l’allora Ministro della Salute Ferruccio Fazio dichiarò che la questione era vera e che andavano prese delle misure per contrastarla. Com’è possibile che allora nel nostro Paese ogni anno ci siano poco meno di 100.000 studenti aspiranti medici e si continua a dare la possibilità solo in media a 1 su 8 di intraprendere il percorso formativo nella facoltà di Medicina e Chirurgia? E che dire del limitatissimo numero di posti che esistono per le professioni sanitarie o, ancora peggio, per la facoltà di Odontoiatria, quando in Italia e in Europa ce ne sarebbe bisogno di molti di più? Non entreremo qui nel dibattito sul numero chiuso, rispetto al quale abbiamo già espresso più volte la nostra posizione di assoluta contrarietà, né in quello sui test con cui avviene la selezione. Quello che vogliamo però rendere evidente è che l’assioma su cui è stato costruito il numero chiuso nelle facoltà medico-sanitarie, ovvero quello di rispondere alle esigenze sanitarie nazionali, oggi è stato completamente smentito dai dati. Veniamo ora ad analizzare in maniera più approfondita quali siano le esigenze del nostro S.S.N., ovvero appunto quelle che dovrebbero determinare quanti medici e professionisti sanitari il nostro Paese dovrebbe formare ogni anno. Per prima cosa, urgono una serie di precisazioni: 1) Non tutti coloro che superano il test d’ingresso poi portano a termine gli studi (la media è del 60-70% degli immatricolati). 2) Gli studi di Medicina necessitano di tempi molto lunghi, per cui non è possibile calcolare in maniera precisa quali saranno le necessità della sanità fra 10-15 anni. 3) Il discorso del numero chiuso per la facoltà di Medicina non può essere scollegato da quello del numero delle borse disponibili per le specializzazioni e dei corsi per l’abilitazione a medico di base. Con una laurea in Medicina non si può esercitare la professione, bisogna necessariamente o accedere a una specializzazione o diventare medico di base. Ma anche qui, il numero di posti disponibili è inferiore sia alle reali esigenze del Paese, che al numero dei laureati stessi in Medicina. 4) La questione delle strutture rimane centrale: se si deve formare un numero più alto di studenti, bisogna investire risorse, se non si vuole andare incontro al peggioramento della qualità della didattica. Fatte queste premesse, è opportuno riflettere su un punto: in base a quali criteri e come vengono calcolate le esigenze della nostra sanità? Il discorso cambia in maniera notevole a seconda di come lo si imposta. Se le esigenze sono quelle calcolate rispetto alle strutture sanitarie esistenti e al numero di medici e di personale sanitario oggi in servizio nelle stesse, è evidente che i numeri, con il processo di smantellamento del SSN in atto, non potranno mai essere troppo alti. Al contrario, se il ragionamento fosse fatto rispetto a come si garantisce e assicura il diritto alla salute per tutti, avremmo dei risultati completamente differenti. Qualche esempio per rendere più chiara la differenza: con la L. 405/75 in Italia vennero istituiti i consultori familiari [12], conquista storica per la salute delle donne, ma ancora oggi la legge 405 non ha trovato la sua piena applicazione. I consultori (che fanno parte del SSN), in cui dovrebbero essere impiegati almeno un ginecologo, un infermiere e un ostetrico, dovrebbero essere 1 ogni 20.000 abitanti (1 ogni 10.000 nei centri rurali), ma negli ultimi anni, a causa dei tagli a cui sono state sottoposte le ASL, ben 186 consultori sono stati chiusi e ad oggi dei più di 3.000 che servirebbero, ce ne sono meno di 2.000 tutti funzionanti con orari molto ridotti. Ancora, un altro esempio: oggi la maggior parte della popolazione ricorre a cure odontoiatriche private o, nel caso non abbia sufficienti risorse economiche per farlo, non ricorre proprio a cure odontoiatriche, se non in situazioni di estrema necessità. Per non parlare poi di quello che avviene nell’ambito dell’assistenza sanitaria agli anziani, a persone affette da disabilità o con malattie che richiedono prestazioni quotidiane da parte del personale medico-sanitario, campo in cui il ricorso al privato per far fronte alle inefficienze del pubblico (destinate ad aumentare negli anni a causa del costante decurtamento delle risorse) è una costante.
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LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com La battaglia in nome della sanità pubblica non può essere solo difensiva. Occorre contro-attaccare e rimettere al centro i diritti delle persone e la dignità della vita, che mai potrà essere subordinata ai profitti, tenendo ben presente la sempre maggiore complessità e le trasformazioni del tessuto sociale in cui viviamo.
Soluzioni molteplici per un sistema complesso Trovare una soluzione sic et simpliciter alla carenza di medici e alle tante problematiche esposte in questo documento risulta quanto mai arduo e tale obiettivo è reso ancor più difficile a causa delle specificità proprie di tutti i c.d. "sistemi complessi", di cui la Sanità rientra a pieno titolo. Essi necessitano di interventi molteplici e diversificati e, ad esempio per la Sanità, lo sblocco del turn over senza la relativa copertura finanziaria o l'aumento del numero di borse di specializzazione senza un intervento che provi a diminuire la dilagante precarietà negli ospedali e negli ambulatori risulterebbero soluzioni parziali se non del tutto ininfluenti. Un dato di fatto, però, esiste e consiste nell'assunto che il sistema va riformato dalla radice con provvedimenti che apportino immediati e radicali correttivi a ciò che evidentemente non funziona: lo strumento del numero chiuso è certamente uno di essi e forse proprio da qui che dovrà partire la revisione totale del comparto sanitario, coinvolgendo a pieno titolo il Sistema universitario nazionale, la competenza regionale e l'intero impianto economico, legislativo (sia a livello nazionale che comunitario) e gestionale posto a cavallo tra il mondo della formazione accademica e quello medico-sanitario.
Fonti: [1] http://www.oecd.org/els/health-systems/46803376.pdf [2] http://www.fimmgformazione.org/ [3] http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=11399 [4] http://www.passonieditore.it/md/2010/18/OSSERVATORIO.pdf [5] http://www.repubblica.it/salute/2012/06/05/news/rapporto_censis_sanit-36579133/ [6] http://ec.europa.eu/health/ph_systems/docs/workforce_gp_en.pdf [7] http://www.doctor33.it/carenza-di-medici-in-svizzera-il-numero-chiuso-non-aiuta/politica-esanita/news-45493.html [8] http://www.corriere.it/cronache/11_gennaio_22/de-bac-italia-mancheranno-venti-milamedici_e81a8bce-25f0-11e0-8bad-00144f02aabc.shtml [9] http://www.adnkronos.com/Salute/Sanita/?id=3.1.2621272855 [10] http://www.doctor33.it/fp-cgil-la-carenza-di-medici-e-una-realta/politica-e-sanita/news-36203.html LINK - Coordinamento Universitario - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma - link.universitari@gmail.com Tel. 06/69770332
LINK - Coordinamento Universitario Via IV novembre 98, 00187 Roma www.coordinamentouniversitario.it link.universitari@gmail.com [11] http://www.fpcgil.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18391 [12] http://www.ingenere.it/articoli/che-fine-ha-fatto-il-consultorio [13] http://www.adnkronos.com/IGN/Speciali/Fimp/?id=3.1.2497220830
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