Vita in trincea la 3째A ricorda la Grande Guerra
Scuola Sec. di 1째 grado "G. Galilei" - Breda di Piave Classe 3A anno scolastico 2011/12 Insegnante: Bruna Scodeller
Vita in trincea la 3°A ricorda la Grande Guerra
Noi ragazzi della classe terza A, cercando di immedesimarci nella vita dei soldati della Grande Guerra, abbiamo scritto alcune lettere e pagine di diario in cui abbiamo provato ad esprimere il dolore, la sofferenza, l’odio ma anche la speranza, la fede, l’amicizia, l’amore, così come, pensiamo, avranno fatto i “veri” soldati al fronte. Per fare questo abbiamo approfondito lo studio della 1° Guerra Mondiale, imparando non solo date e battaglie ma soprattutto scoprendo la vita dei soldati del tempo, le difficoltà ed i problemi degli uomini di allora, nostri bisnonni. Abbiamo riconosciuto l’importanza di tenere un diario, di poter comunicare poche righe ai propri cari, dal freddo di una trincea, dopo una battaglia, o in attesa dell’ignoto. Così, entrando nei pensieri e nei cuori di quei soldati, abbiamo riflettuto sulla guerra, sulla sua drammaticità e sulla sua inutilità, sempre ed ovunque. Infine siamo contenti di aver svolto questo percorso, affrontando aspetti poco presenti nei libri di storia ma assolutamente importanti per noi, cittadini di domani.
San Martino, 27.08.1916 Cari mamma e papà, spero stiate bene. Io fisicamente non sto male, anche se le condizioni di vita sono pessime e da mangiare ci sono solo una zuppa di patate e pane. Ma è quello che mi circonda che mi fa più male: centinaia di soldati cadere, mentre gli austriaci non si accorgono neanche di quanti soldati sono morti. D’altronde anche noi facciamo così, sennò quando mai finirà la guerra? Cari, marciando siamo appena arrivati a S. Martino del Carso, dove gli austriaci continuano a bombardare, mentre noi, soldati italiani, cerchiamo di tagliare il filo spinato per entrare nel loro territorio. Non si sa quando arriva il tuo momento, potrebbe succedere da un momento all’altro e vedresti in faccia la morte. Di notte non riesco a dormire e quella volta che riesco ad addormentarmi sento ancora i rumori dei cannoni della giornata appena trascorsa. Durante il giorno, per distrarci da quello che stiamo facendo, a volte cantiamo. Oggi, un nostro compagno ci ha letto questa poesia ideata da lui: “Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro, di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Ma nel mio cuore nessuna croce manca, è il mio cuore il paese più straziato’’. Questa poesia mi piace molto, perché rispecchia lo stato d’animo di tutti noi. Spero che questa lettera vi arrivi integra. Cari genitori, a casa? Come è andato il raccolto? Era abbondante? Non stiate tanto in pensiero per me, anche se capisco che non è facile, occupatevi soprattutto dei miei fratelli più piccoli. In effetti sono in guerra per il loro futuro. Spero di abbracciarvi presto. vostro Bepi
Annalisa Ceccato
Monte Grappa, 3 Giugno 1915
Cara famiglia, quest’oggi vi voglio scrivere come si vive sul fronte italiano: qui non è come scrivono i giornalisti sui giornali, noi soldati siamo trattati peggio di animali, voi pensate che sia tutto uno scherzo ma invece no! Ogni soldato ha il proprio equipaggiamento formato da: elmetto, vestiti color verde scuro, scarponcini e per arrampicarsi usa un pezzo di ferro con i tacchetti a punta. Tutti noi come armi possediamo il fucile con la baionetta che usiamo quando avanziamo e una pala che usammo il primo giorno per scavare le trincee. Cara moglie che stai leggendo questa lettera ai bambini non tralasciare il pezzo che ti sto per scrivere perché voglio che essi capiscano come si svolge una vera e dura guerra. Io e i miei compagni siamo pieni di zecche e pulci, con i capelli zeppi di pidocchi, siamo sporchi! “peggio dei maiali”! Non ci laviamo mai e se lo facciamo lo si fa solo sui fossi ma l’acqua, trovandoci nei monti è spesso ghiacciata. Durante le marce stiamo male, molto male ma noi soldati, per tirarci su di morale cantiamo le nostre canzoni come per esempio: la leggenda del Piave, Tapum e molte altre. Ora io vi vorrei parlare degli speciali pasti da guerra: speciali per modo di dire perché... perché sono uno schifo, zuppa fredda e amara, pane che è più duro degli elmetti e pieno di muffa ed insetti. Prima di salutarvi vorrei farvi un indovinello: voi cosa usereste per uno scontro faccia a faccia con il nemico, una pala o la baionetta…io all’inizio pensavo alla baionetta, invece NO! Dopo ho capito che è meglio la pala perché con quella si può colpire più volte. Ora vi faccio tanti cari saluti o grande ed amata famiglia! Cara moglie, bacia i nostri figli anche da parte mia. Spero che almeno lì da voi le condizioni di vita siano migliori rispetto alle nostre. Perché qui si vive ogni giorno come se fosse l’ultimo. Dal vostro marito e padre Giuseppe
Giuseppe Dolo
24.12.1917 Monia, È già passato un altro anno, senza che me ne accorgessi, domani sarà Natale e lo passerò senza di te e senza i bambini. Sono quindici giorni ormai che mi trovo in trincea,senza chiudere occhio e con dosi molto scarse di cibo. Credo di delirare, e se non è così , succederà a breve. Ormai la nostra vita dipende da una pallottola oppure da una bomba. Molti dei miei "amici " sono già morti, ma la cosa peggiore di tutte è che i corpi dei nostri compagni vengono lasciati a terra in trincea o, a volte, agonizzanti, consapevoli che la loro fine sarebbe arrivata, a volte velocemente, a volte con una morte lenta ed angosciante. La guerra ormai, sta andando per le lunghe e mi chiedo quando mai finirà e se sopravvivrò. Circa un mese fa, alcuni fanti, scelti a caso, sono stati mandati in prima fila a combattere: fra quelli c'ero anch' io. Ci hanno dato un misero fucile, moltissimi uomini hanno perso la vita, ed io ho dovuto farmi scudo con uno di loro per poter tornare in trincea dopo che una pallottola si era conficcata nel mio braccio; ora sto bene, mi hanno medicato e curato e, nonostante la ferita che mi fa male ogni volta che cambia il tempo, non mi voglio dare per vinto. Vorrei poter tornare a casa in tempo per il compleanno di Filippo, il dodici marzo, spero di esserci , anche perchè compierà otto anni. Vorrei riabbracciare Emma , la mia bambina e poter rivedere te, moglie mia, ma, detto fra noi non penso che tornerò : un uomo ferito in guerra è una preda facile, anche se spero che tu mi aspetterai ugualmente. Monia, raccontami come sta mia madre: è guarita? E com’ è lì il tempo? I ragazzi sono cambiati? Mi manca svegliarmi al mattino lì con voi, e anche qui vorrei uscire al mattino presto e controllare il raccolto o arare i campi. Mi manca anche portare al mercato i prodotti da vendere ricevendo sempre moltissima soddisfazione e mi manca casa. Qui è tutto diverso e, per sopravvivere, dobbiamo uccidere altri uomini, altri esseri umani. E mi manca quando la mattina il gallo cantava in modo da svegliare tutto e tutti , mentre qui c'è solo silenzio e bisogna sempre stare all’ erta per evitare i colpi nemici; e quando si deve combattere c'è un rumore assordante che tento di non sentire in tutti i modi. La cosa peggiore che mi è successa da quando mi sono arruolato è stata dover uccidere un fante austriaco mentre mi guardava, con gli occhi pieni di lacrime, ed era giovane, avrà avuto vent'anni: sembrava pieno di sogni irrealizzati, ed ogni sera lo sogno e penso a cosa altro avrei potuto fare in quella situazione, ma , appena ci provo , mi viene in mente il vuoto più assoluto. Lui mi guardava negli occhi, come supplicandomi di non farlo, ed io invece, l'ho fatto, ho premuto il grilletto ed il colpo gli è arrivato in pieno viso: non poteva più guardarmi nè supplicarmi. Spero che questa logorante guerra finisca per sempre. Vostro Annibale
Allegra Moro
18/6/ 1916 Dal diario di Tonietto Caro Randy, oggi, come tutti gli altri giorni, è stata una giornata massacrante, in cui tanti soldati italiani sono morti in battaglia. Ti vorrei raccontare le nostre condizioni di vita nelle trincee e quanto sono fuori di testa i nostri tenenti. Al contrario di quanto dicono i giornali, che descrivono quanto viviamo bene, alloggiamo in brande comode e calde, mangiamo cibo sano come verdure e carne di vario tipo, ci curano con medicine, noi viviamo in tutt’ altre condizioni. Vorrei vedere se coloro che scrivono quelle baggianate saprebbero vivere in una trincea. Sono certo che dopo un solo giorno qui morirebbero a causa delle raffiche mitraglie austriache che causano più di 500 morti ogni mese. Viviamo in condizioni misere, mangiamo solo zuppa di fagioli e un pezzo di pane raffermo due volte al giorno, dormiamo in mezzo al fango, tra topi e cadaveri,
siamo
continuamente sotto il fuoco nemico e molti dei miei compagni sono malati gravemente. Questi, molto spesso, non vengono curati e sovente vengono lasciati morire, così facendo aumenta per noi il pericolo di prendersi malattie infettive. Il tenente Giuseppe, capitano del 30° reggimento, ha mandato in battaglia la sua squadra e per mia sfortuna ne facevo parte. Codesto tenente è duro, crudele, senza cuore e non gli importa assolutamente niente di noi se moriamo sotto il fuoco nemico. Molti si sono ammutinati e sono stati giustiziati, ma io ho deciso comunque di andare in battaglia anche se sapevo a che cosa andavo incontro. Siamo partiti. Subito dopo la nostra partenza ci sono stati degli spari e ho visto dei soldati cadere a terra senza vita ma il tenente ci ha imposto di proseguire. A metà percorso, e non erano solo 100 metri, il battaglione era dimezzato e molti, compreso io, siamo ritornati indietro cercando di evitare la morte. Insomma siamo trattati come schiavi. Maledetta quella volta che mi sono iscritto alla guerra come volontario del 30° battaglione. Solo dopo essere entrato in guerra ho capito che era stata la scelta più sbagliata che io avessi fatto e sì che ne ho combinate tante nella mia vita. Caro Randy, adesso ti devo lasciare perché è ora che io mi riposi in vista della giornata di domani, che sarà devastante. Spero che Dio, da lassù, ci sorvegli tutti e prego di uscire vivo da questo inferno. Ciao, Tonietto Romagnoli
Marco Gazzetta
Saletto di Piave 2/11/1917 Cara famiglia mia, non immaginate neanche come stiamo tutti noi soldati qui, al freddo, sotto la pioggia, con dei miseri vestiti, accatastati vicino ad un mucchio di amici, che non ce l'hanno fatta. Mi viene da piangere quando penso che al posto loro o insieme a loro potrei esserci anch'io. E' una fortuna che ho trovato il tempo di scrivervi. Qui bisogna stare attenti a tutto, anche al nostro cibo perché ce n'è così poco che te lo ruberebbero all'istante, appena ti distrai. Stiamo tutti morendo di fame, di freddo e di stenti. Siamo arrivati alle sponde del Piave. A Caporetto c'è stata la disfatta, avreste dovuto vedere quanti morti! Quanti morti lasciati lì a marcire senza una degna sepoltura. Siamo tutti stanchi tanto che stanotte un soldato di vedetta si è addormentato e a momenti morivamo tutti quanti. Gli stranieri (li chiamo così ma so benissimo contro chi stiamo combattendo ma in questa guerra i soldati non ne possono niente, siamo tutte anime innocenti) erano stati mandati all'assalto ma per fortuna il Signore ha voluto che partisse un colpo prima che attraversassero i nostri reticolati e tutti noi abbiamo iniziato a colpirli. Li abbiamo fatti fuori tutti con quello che ci capitava per le mani. Ho visto la mia vita sparire nel nulla, questa è una lotta per la vita. E comunque quel soldato che si è addormentato, era diventato il mio migliore amico... ed ora …caput. L'hanno punito e ucciso anzi, l'abbiamo dovuto uccidere perché il sergente se n'è lavato le mani. Io non ho guardato, ho chiuso gli occhi e BUM sono partiti i colpi. Io ho tirato a vuoto e per fortuna non se ne sono accorti altrimenti uccidevano anche me, ma gli altri, senza pietà... Beh preferisco dimenticare. Ogni sera prego. Sì, prego il signore perché credo che se sono ancora vivo è tutto merito suo perché in questo Mondo penso che l'unico a fare del bene sia proprio lui. Quanto sogno di ridiventare bambino, con i miei sogni e senza la morte negli occhi. Tanta gente qua sta impazzendo, sembra di essere in un Mondo di matti ma li capisco sapete? Appena adesso due soldati vicino a me si stanno mettendo d'accordo per colpirsi a vicenda così poi li mandano a casa. Solo adesso mi chiedo: ma quanto disperati siamo? Io invece sono sicuro che la guerra la vinciamo. Il Piave è in piena e questo è tutto a favore nostro. Penso che stanotte ci manderanno all'assalto. Io al contrario di tutti non mi faccio ubriacare, se devo uccidere devo essere cosciente di quello che faccio e devo avere i riflessi pronti. Mi basta baciare la collana con la foto di Giulia e di nostra figlia per essere certo che sopravvivrò. Siete l'unico motivo per cui continuo a vivere e a credere che vinceremo e che tornerò da voi sicuramente. Speriamo che questa lettera vi arrivi perché qui quelli che parlano male della guerra vengono considerati vili e chi controlla non fa arrivare la posta ai destinatari ma io non mi faccio problemi perché quello che ho detto è pura e sporca verità. Come state miei cari? Immagino bene. Com'è il tempo lì da voi? Bello vero? Beh qui piove , che è un bene perché erano mesi che non mi lavavo. Pensatemi e pregate per me. Mi mancate tanto. A presto vostro Andrea
Giulia Vittoria Malenza
30 luglio 1916
Cara famiglia, vi voglio parlare di come mi sento e come è la mia vita in guerra. Qui la vita è brutta, si sta male, siamo tutti sporchi, neri come il carbone, restiamo nelle trincee per molti mesi. Siamo tutti impauriti, infreddoliti e privi di vita, da mangiare abbiamo solo acqua e pane, siamo vestiti male e siamo malridotti. Nelle trincee arrivano bombe dall’alto e proiettili che provocano gravi danni e morti. Nel corso della guerra si sono usate tante armi nuove o modificate come fucili, bombe, carri armati, mitragliatrici, lanciafiamme e gas velenosi che i tedeschi hanno usato per primi. Abbiamo anche nuove armature per difendersi meglio quando usciamo dalle trincee e nuovi mezzi come dirigibili, aeroplani e sottomarini. La vita nelle trincee è povera, sempre uguale, non si può fare niente, nemmeno fumare sennò i cecchini dei nemici sparano alla luce della sigaretta. Famiglia mia, adesso avete capito come è la vita nelle trincee. Le feste che voi festeggiate in compagnia, Natale, Pasqua, noi le abbiamo dimenticate, ci facciamo solamente gli auguri e poi si ricomincia a combattere. Qui le guerre si combattono nelle trincee e quando si esce e si combatte corpo a corpo con fucili, baionette e pugnali. Cari, vi racconto cosa abbiamo ieri: abbiamo camminato per molte ore in montagna con le nostre cose e abbiamo trasportato tutti insieme i carri armati, con la pioggia che era forte e ci oscurava la vista, è stata una giornata durissima ma dovevi stare zitto e andare avanti perché altrimenti ti uccidevano. Si combatte anche sotto la pioggia, ma anche nella neve. Mamma e papà, io ho finito di raccontare la vita che stiamo vivendo in guerra, ora vi devo salutare perché domani avrò una lunga giornata da trascorrere, vi scriverò ancora. Un gran bacione a tutti voi vostro figlio
Simone Marchetto
27 agosto 1916 Caro diario, ci troviamo sul Carso, più precisamente nel piccolo paesino di San Martino e la situazione in cui ci troviamo è indescrivibile. San Martino è stato completamente distrutto dai bombardamenti, e le persone che vi abitano…, la maggior parte di loro, sono decedute a causa nostra, sia dei soldati italiani che di quelli austriaci. Viviamo in pessime condizioni nelle trincee e alcuni dei nostri compagni hanno tentato di ammutinarsi perché non riuscivano più a vivere in questo modo! Quando mi arruolai nell’ esercito italiano pensavo che questa sarebbe stata una guerra lampo e invece … è diventata una guerra di trincea. Ora , anch’io inizio a chiedermi se questa guerra abbia ancora un senso logico o se sia un tentativo del tutto inutile combattere per ottenere le nostre città che si trovano sotto il dominio austriaco! Non so fino a quando riuscirò a sopportare questa situazione. In guerra ti fai alcuni amici, ma non sai se riuscirai a rivederli quando tutto ciò sarà finito e non sai neanche se riuscirai a rivedere la tua famiglia, che tra l’altro mi manca moltissimo! Nelle lettere che scrivo loro, non posso raccontare come mi sento veramente, quale sia la mia vera situazione in questo posto a causa della censura. Comunque, se sapessero come io mi sento in questo momento si dispererebbero e secondo me è meglio che non sappiano come stanno la cose veramente perché starebbero in pensiero per me, più di quanto lo siano già! Ora, con l’angoscia in petto, devo riposarmi perché domani ci alzeremo all’ alba per cogliere di sorpresa gli austriaci. Ti saluto! Giuseppe 30 settembre 1916 Caro diario, siamo ancora nel Carso, ma in un altro piccolo paese. È passato un mese dall’ultima volta, e ti scrivo per metterti a conoscenza di una decisione che ho preso dopo aver molto riflettuto. Ho deciso di fuggire, domani all’alba e sono consapevole dei rischi che correrò, tuttavia non riesco più a vivere in questo modo, combattendo una guerra del tutto priva di senso! In questo tentativo non sarò solo, con me verranno altri tre soldati italiani ed un soldato austriaco che abbiamo conosciuto a Pasqua. Per quest’ultimo sarà più difficile ammutinarsi perciò si sistemerà da me per un po’, finché non si saranno calmate le acque. Il motivo che mi spinge a compiere questo gesto è ovvio: la paura della morte. L’avvenimento che ha dato il colpo di grazia alla mia decisione è stata la morte di uno dei nostri soldati, al quale ero molto affezionato. Sono molto fiducioso in ciò che sto per fare e spero di riuscirci! Appena arriverò a casa, ti scriverò affinché possa raccontarti come sarà stato il mio ritorno! Ti scriverò presto. Abbi speranza! Giuseppe
Caldeira Scarlet
Giugno 1916 Cari genitori, mamma e papà, vi racconto in questa lettera la vita di un soldato che combatte per il suo paese. Gli
stati
fanno
la
guerra
perché vogliano
conquistare
altri
territori,
sfruttare le loro ricchezze e diventare più forti di tutti. Io vi dico queste cose perché non so se tornerò a casa perché la guerra diventa sempre più difficile. Tantissimi soldati vivono e combattono nelle trincee scavate nella terra, con il freddo e poco da mangiare. Ogni giorno muoiono centinaia di uomini. Nessuno dei paese in guerra è più forte degli altri e nessuno riesce a vincere. Questa guerra si dice “mondiale” perché è combattuta non solo in Europa ma anche in altri paesi del mondo. Non so quanti anni posso stare in guerra, in questa guerra muoiono tante persone. Per tutti questi motivi è anche chiamata “grande guerra” . Sono vestito con una divisa, ho scarpe vecchie e armi poco efficaci , manca il cibo, non c'è compagni Sono
da mangiare se non topi e gatti. Siamo al freddo io e i miei
soldati.
stanco di questa guerra; si combatte e non c'è tempo di stare tranquillo.
Cari genitori, mi mancate molto. Spero
di rivedervi presto
Vostro figlio Hamza
Hamza Elmaazouzi
Caro diario, ho deciso di scrivere in modo tale che un giorno il mio percorso su questa vita terrena sarà ricordato.
23 giugno 1914, h.10:18 Ormai quasi tutti i giornali parlano per pagine intere dell’uccisione di Francesco Ferdinando e della moglie a Sarajevo ad opera di due studenti serbi; il popolo austriaco è impazzito e vuole a tutti i costi punire la Serbia. Mi sa che questo caso sarà la scintilla che provocherà lo scoppio di un’immensa “bomba” di rancore, odio e superbia.
24 Luglio 1914, h.13:05 La questione tra Austria e Serbia si è evoluta portando allo scoppio della guerra tra Austriaci e Serbi; ora tutti gli Stati della Triplice Intesa e Triplice Alleanza usano questo pretesto per entrare in guerra tranne alcuni stati che si dichiarano neutrali (come ad esempio Italia e Belgio). ………………………………………………… 2 gennaio 1915 h.15:30 Ho tanta voglia di andare in guerra; insomma ho frequentato l’accademia militare proprio per questo. Mi chiamo Giorgio ma dagli amici vengo soprannominato Giò o Fulmine (perché sono molto veloce), ho una corporatura robusta e capelli neri a spazzola, sono alto e mi piace portare al collo la collanina dei marines americani (non la tolgo mai).
9 gennaio 1915 h.20:15 Come sospettavo, le mie previsioni si sono avverate, la Triplice Intesa e Alleanza si sono divise in due fronti: quello occidentale tra Germania, Francia e Inghilterra e quello orientale tra Russia e Prussia. Si combatte anche nelle colonie; i conflitti sono sempre più intensi tanto che quella che doveva essere una guerra lampo si è trasformata in una guerra di posizione.
24 maggio 1915 h.20:00 Finalmente! Da oggi si entra in guerra perché ci è stato riferito che L’Italia ha firmato il patto di Londra con l’Inghilterra: se l’Italia vincerà otterrà i territori che da tanto sogna: Trento, Tirolo, Trieste, Zara …. Non combatteremo al fianco della Germania e Austria ma con l’Inghilterra e la Francia. Evviva, si entra in guerra!
13 settembre h. 7:30 Questa notte in trincea è stato terribile, un forte temporale si è abbattuto sulle nostre teste e ha piovuto così tanto che siamo dovuti uscire allo scoperto ma è stata una carneficina, i tedeschi ne hanno approfittato e hanno cominciato a sparare raffiche di proiettili, un vero disastro! così siamo dovuti rientrare in trincea con l’acqua alta fino alle spalle, è andato disperso tutto: documenti, foto, ricordi, ma soprattutto cibo. Sono riuscito a salvare solo il mio diario. Alla mattina erano impiegati più di duecento uomini con pompe e secchi per svuotare le trincee invece io ed altri tra cui due inglesi ed un francese abbiamo cercato di aiutare le persone che durante la notte erano stati feriti. Rimpiango quella volta che ho detto di venire a combattere!
24 dicembre 1915 h.11:59 Tutti in trincea ci fanno gli auguri: i tedeschi hanno perfino sparato 25 colpi di cannone; facciamo baldoria, c’era chi scrive lettere, chi gioca a carte, chi beve e chi perfino parla e scambia cose con i Tedeschi……..
15 aprile 1916 h. 9:00 Quindici soldati presi dall’angoscia dei continui bombardamenti hanno deciso di scappare ma tredici sono stati ritrovati e…..dopo essere stati processati sono stati legali ai pali e giustiziati in modo atroce…
6 agosto 1916 h.3:10 E’ notte fonda, il comandante ha detto che devo andare immediatamente dal Tenente Colonnello perché mi deve dare un ordine. Mi dispiace, ti devo lasciare, se torno ti prometto che continuo a scrivere. Ho cercato di farmi vedere forte ma ti devo dire che ho tanta paura, l’ho sempre avuta. Aiuto, la vita qui è uno schifo. Ti posso dire solo addio, addio amico mio. Giorgio
Lorenzo Borsatto
Mariano, 27 agosto 1917 Cara famiglia, mi mancate tutti molto. Qui in guerra non riesco a provare sensazioni gradevoli. Tutto ciò che vedo intorno a me sono corpi sanguinosi e senza vita. Noi soldati siamo come dei burattini, usati da persone “importanti”, quali i generali, i capi di stato. Siamo burattini che si rompono facilmente. Noi non vorremmo colpire i nostri avversari che non sono nemmeno avversari, sono gente comune che combatte, come noi. Purtroppo siamo obbligati a combattere, o faremo la stessa fine che hanno fatto l’altra sera cinque di noi: volevano ammutinarsi, così sono stati fucilati. Pensandoci, questa guerra non doveva nemmeno iniziare… In questi ultimi giorni sono più preoccupato del solito perché la scorta di pane raffermo e acqua, il nostro cibo quotidiano, sta finendo e gli austriaci sono stati potenziati dall’esercito tedesco: hanno ottenuto più soldati e le armi sono cambiate e sembrano più pericolose, come le mitragliatrici. Sapete, sono terrorizzato nel sapere che domani dovrò ricominciare a combattere. È già un miracolo se sono vivo… I soldati avversari sono come noi, sono nostri “fratelli”. Vorrei giustificare questa affermazione col dire che, alla sera, prima di dormire nelle proprie trincee, è capitato che ci ritrovassimo a chiacchierare e a cantare i nostri inni e a recitare le poesie scritte dai soldati in trincea, anche con gli austriaci. Le uniche cose che in questo periodo riescono a rallegrarmi sono le nostre canzoni, come “Monte Canino”, “La canzone del Grappa”, “Ta-Pum”… di solito suoniamo e cantiamo la mia canzone preferita, “La leggenda del Piave”. Qui accanto a me c’è un altro volontario, come me, e si chiama Giuseppe Ungaretti. È l’unica persona con cui parlo da quando sono qui. Anche lui sta scrivendo, una raccolta di poesie. Un altro mio compagno, Giulio Barni, ha scritto varie poesie, tra cui una che riguarda il tempo che non passa mai quando combatti. Questa poesia si chiama, appunto, “Il tempo”. Ormai è notte, e siamo rimasti soli, al buio, al freddo, nelle nostre trincee, cercando di dormire. La mia lanterna e quella di Giuseppe sono le uniche rimaste accese. Vorrei continuare a scrivere, ma è appena giusta notizia che un altro nuovo battaglione sta avanzando verso di noi. Dovremo prepararci, e sarà meglio che lo facciamo al più presto. Vi voglio molto bene, e spero di tornare a casa presto per potervi riabbracciare. Baci, dal vostro caro figlio Gaspare
Gian Marco Minto
Saletto
26/10/1917
Cara famiglia, Mi mancate molto, sono molto preoccupato per voi. Io sto bene, mi trovavo a Caporetto in una trincea tre giorni fa quando ci hanno consegnato le maschere antigas e le abbiamo dovute usare subito. Io ed altri compagni siamo riusciti a sopravvivere, invece molti altri sono morti poiché le maschere impediscono di respirare i gas solo per pochi minuti. Io sono ben organizzato col mio equipaggiamento: ho un fucile che spara molto bene poiché un soldato con più esperienza mi ha consigliato di pulire bene la canna così riesce a sparare meglio. Inoltre sono riuscito a procurarmi un coltello accorciando una baionetta nemica trovata sul campo di battaglia: è molto bello e ben affilato. Il cibo non è molto buono ma non posso neppure lamentarmi poiché al mio reggimento arriva quasi sempre invece in altri non arriva quasi mai e i soldati lì vivono in pessime condizioni. La trincea, quando piove, è piena di fango e non riusciamo neppure a muoverci, poi c’è sempre un brutto odore in trincea poiché i morti li portano via dopo una settimana e a volte dopo due. Di sera, per tirarci su il morale, cantiamo tutti assieme canzoni, fumiamo e beviamo grappa giacché è molto freddo, la nostra canzone preferita è Ta – pum, ce l’ha insegnata un ragazzo di un altro reggimento. La battaglia peggiore è stata due giorni fa a Caporetto dove abbiamo perso; è proprio qui che ho usato per la prima volta la maschera antigas. In questi giorni la vita mi sembra l’inferno: gli austriaci hanno ucciso molti nostri soldati, senza pietà, usavano il cloro che colpiva i polmoni, poi entravano nelle nostre trincee e ci colpivano con le mazze ferrate. Molti soldati morti li conoscevo e questo mi rattrista molto dato che erano dei bravi ragazzi, che non volevano nemmeno combattere ma sono stati costretti perché erano del ’98 e del ’99, molti tentano di disertare però poi vengano fucilati, non oso neppure pensare quanto siano distrutte quelle famiglie, quanto stiano soffrendo. Ora, mentre vi scrivo, sono già al 2° giorno di cammino verso il Piave, spero di rivedervi molto presto, cercherò di sopravvivere per voi, comunque non vi preoccupate per me, non sono mai stato ferito e sono in ottime condizioni. A presto ora devo andare ciao dal vostro Marco
Marco Bassi
Asiago, 15 luglio 1917 Cara famiglia, sono in guerra già da due anni, e mi scuso per non avervi mai scritto dall’inizio della guerra. Qui si sta molto male, ogni giorno si vede morire un sacco di soldati. Noi viviamo nelle trincee, e a me non piace assolutamente. Ogni minuto che passa per noi soldati è molto pericoloso, perché se ci si alza dalle trincee, si rischia di essere colpiti dalle mitragliatrici nemiche. Le trincee sono la nostra rovina, si fa di tutto, i resti del mangiare si mettono in un angolo, i nostri bisogni in un altro; alla fine della giornata, si può paragonare la trincea ad un porcile. Bisogna sempre rimanere attenti perché da un momento all’altro può arrivarci una granata o possiamo venire assaliti da un intero esercito. Però per mandare un battaglione all’attacco bisogna che prima dei volontari vadano a tagliare i fili spinati delle trincee nemiche, che vuol dire andare incontro alla morte. Un giorno mi dissero di andare con una truppa a compiere questo “atto eroico”, ma per mia fortuna, ci fu un altro soldato, più coraggioso di me, che era stufo della guerra, e che andò al posto mio. Io sto sopravvivendo a questo massacro. Sono al fronte con alcuni miei compagni, stiamo aspettando, è buio, si vede molto poco e non si può fumare, nè accendere fuochi, perché i cecchini delle truppe nemiche ci potrebbero sparare con estrema facilità. Le stragi però le fanno i gas velenosi, che i tedeschi ci lanciano. Alcuni miei compagni sono morti perché non si sono accorti dei gas. Ci sono soldati morti dappertutto e le loro morti sono state molto crudeli. Oggi per fortuna è stato un giorno di tregua. Io e molti dei miei compagni ci siamo ritirati in alta montagna, trasportando pezzi smontati di cannone. Arrivati in cima montiamo il cannone e aspettiamo il segnale per colpire i nemici. I soldati, compreso me, per scacciare le paure cantano molte canzoni. Ciò che si mangia in trincea è molto cattivo, spesso solo pane e acqua. In questi tempi gli ammutinamenti non mancano, come ho detto prima, la guerra porta solo alla morte. La morte si sconta vivendo. Tanti saluti dal vostro Alessandro
Giovanni Ceccato
Saletto, 27/12/1917 Caro diario, giorni terribili ho passato. Ho ancora negli occhi l’attacco che gli austriaci ci hanno inflitto, è stata una vera umiliazione, una tragedia quel giorno, ed io me lo ricorderò per tutta la vita. Vedere i miei amici, conosciuti qui, in trincea, con i quali mi sfogavo in ogni momento, uccisi da proiettili impazziti, velocissimi e senza pietà che trapassavano i loro corpi, ed i gas velenosi che entravano nelle nostre trincee e vedere gli altri non riuscire a respirare… E’ stato troppo doloroso. Quanto vorrei svegliarmi, darmi un pizzicotto e sapere che quello che sto vivendo è solo un incubo. Quanto vorrei non aver aderito al gruppo di volontari. Quanto vorrei tornare indietro nel tempo ed essere di nuovo con mia moglie con mio figlio, mio fratello, i miei genitori … Ma so che purtroppo forse questo non succederà mai più. E come se questo non bastasse, le scorte di cibo si stanno esaurendo. Perché succede tutto a noi? Proprio ieri però è arrivato qualcuno di inaspettato, il generale Armando Vittorio Diaz, che ci ha comunicato che lui sarà il nostro generale comandante fino alla fine della guerra, al posto di Luigi Cadorna. Forse è meglio così, lo odiavo proprio quel tipo presuntuoso e orgoglioso. E’ stato lui a mandarci alla rovina nella sfida di Caporetto. Fortunatamente lui mi sembra una persona molto rispettosa di noi soldati e sembra molto consapevole dei sacrifici che facciamo per la nostra famiglia, infatti ci ha promesso che se vinciamo “regalerà” delle terre a tutti noi contadini. In questo modo sembra che l’esercito abbia riacquistato valore, allegria e che abbia dimenticato la tristezza e la sconfitta di Caporetto. Adesso mi stanno chiamando, devo andare. Rocco
Caro diario,
30/3/1918
oggi ho visto il comandante leggere il giornale. Quando mi ha visto, mi ha detto senza rivolgermi lo sguardo:- E’ da un po’ di tempo che mi osserva soldato Rocco Lissù, vero? Vuole venire a leggere il giornale con me?- -Mi scusi signore, per avervi disturbato, ma ero curioso, per questo accetto volentieri il vostro invito- Così mi avvicinai e iniziai a leggere silenziosamente, ad un tratto però esclamò -Che pazzia mandare i ragazzi del ’99. E’ vero, servono soldati nell’esercito, ma non è molto intelligente chiamare quelli del ’99: hanno solo diciotto anni! Vero Lissù?- -Sì signor capitano, ha del tutto ragione!-Poi me ne andai ringraziandolo. Io credo che il generale sia un grand’uomo, saggio e consapevole delle sue azioni. Quanto vorrei essere come lui…
Qui adesso inizia a far freddo ed io inizio ad avere nostalgia di quando ero con la mia famiglia, quando era bel tempo, quando il tempo passava tra la semina, le chiacchiere, il vino, i racconti. E’ meglio che per oggi smetta di scrivere. Rocco 24/10/1918 Caro diario, sono già arrivati da un po’ di tempo i ragazzi del ’99. Oggi come sempre ho mangiato pane e cipolla. Siamo arrivati in una situazione estrema e delicata, stanotte dobbiamo attaccare e chissà come andrà a finire. Io spero ovviamente di vincere per poter tornare a casa, tornare a vivere come ho sempre fatto prima della guerra. Giocare con mio figlio, portarlo in campagna, vederlo sorridere, vederlo crescere… E’ questo il mio sogno. Per questo stasera in questa battaglia darò il massimo, per poter rivedere la mia famiglia, i miei genitori e mio fratello. Rocco
Vittorio Veneto, 30/10/1918 Abbiamo vinto! Dopo aver attraversato il Piave silenziosamente, abbiamo sorpreso gli austriaci liberando Vittorio Veneto. L’ho sempre detto che il comandante Diaz era in gamba. Un piano eccellente ed astuto. Partirò finalmente, saluterò il generale, i miei compagni e poi ritornerò alla vita di sempre. Sfortunatamente i brutti ricordi delle battaglie passate, la disfatta di Caporetto, i compagni morti, questa battaglia rimarranno nella mia mente. Sono sicuro, non dimenticherò nessuno perché questi tre anni di guerra sono un pezzo della mia vita. Molti ragazzi sono morti, e anche se non li conoscevo, so che erano dei bravi ragazzi. Quando le famiglie sapranno che molti dei loro figli sono morti in guerra, si diranno - Perché non sono morto io al suo posto.- Ed è vero, non può morire un ragazzo di diciotto anni in guerra, è stato questo lo sbaglio più grave che il governo abbia fatto. Ciao dal tuo Rocco Lissù
Francesco De Nicolo
Cima Grappa, 15 - 4 -1916 Cari genitori, sono ancora vivo, per fortuna! Spero che a casa vada tutto bene. Qui la vita è molto difficile, soprattutto per le malattie e per la scarsa igiene delle trincee. Si mangia male ma d’altronde bisogna accontentarsi di quello che c'è se non si vuole morire. Quando siamo al fronte la paura ci scorre nelle vene, possiamo essere colpiti in qualsiasi momento senza preavviso, ovviamente, quindi dobbiamo stare molto attenti, anche perchè, oltre ad utilizzare bombe a mano, fucili, mitragliatrici... adesso i nemici usano anche dei gas. Uno di questi, il cloro, blocca le vie respiratorie e si muore all'istante, un altro invece, il nervino, "prende" i nervi e si rimane a terra paralizzati quindi si è un bersaglio facile e i nemici, per ucciderci, passano con le mazze chiodate e ci colpiscono in testa. Bisogna stare molto attenti anche quando si cammina: ci somo molte trappole nascoste in buche (bocche di lupo) tra l'erba e molte mine. I "mezzi" che abbiamo per trasportare le armi e soprattutto i cannoni sono i muli che riescono ad arrivare anche sulle alte montagne. Se a volte ci troviamo tra i nostri compagni morti, sotto attacco, e non abbiamo modo per difenderci, ammucchiamo i loro corpi e ne facciamo una barriera per difenderci dai colpi. Nelle trincee in montagna ci sono dei "buchi" da dove noi guardiamo, osserviamo gli "avversari" e da qui andiamo bene a sparare con le mitragliatrici. Ovviamente con noi portiamo delle pinze che usiamo di notte per tagliare il filo spinato e attaccare il nemico nelle sue trincee. Ogni tanto, qualche soldato tenta di scappare, di tornare a casa, oppure qualcuno si ferisce ad un braccio o ad una gamba per farsi rimandare dalla sua famiglia, ma molti vengono presi ed uccisi davanti ai nostri occhi, oppure da noi stessi soldati per farci capire che se tentiamo anche noi di ammutinarci o di ferirci faremo la loro stessa fine . Le protezioni che abbiamo non sono molto efficaci perchè sono di ferro leggero e quando arriva un proiettile ci trapassa come se non avessimo niente addosso. Gli elmetti anche questi sono poco sicuri e non ci proteggono molto. Le maschere anti gas che usiamo noi italiani non sono molto protettive perchè durano poco tempo o non hanno ricambi quindi quando finisce l'effetto bisogna buttarla e prenderne un’altra di nuova. Ogni tanto cantiamo per distrarci da questi brutti momenti, prendiamo le melodie delle canzoni popolari e ci cambiamo le parole. Così ci risolleviamo un pochino. Molte volte succede anche che i ragazzi più giovani si scambino con i soldati delle trincee nemiche gli auguri di Natale o Capodanno perchè sono ancora un po' bambini dentro e non hanno nessun motivo per odiarli. In fondo anche loro sono persone come noi e hanno un' anima, una coscienza. Queste sono le nostre condizioni qui, in guerra... Spero di riuscire a tornare a casa vivo per potervi finalmente rivedere e riabbracciare. Un bacione da vostro figlio
Alfredo
Manuela Rigato
16/07/1917 Caro diario, Rey, questa è la prima volta che ti chiamo per nome. Ora ti spiego perché ti ho dato questo nome. Oggi abbiamo provato ad attaccare la trincea austriaca che si trova a poche centinaia di metri dalla nostra, ma è stato un tentativo vano: i cecchini austriaci hanno cominciato a spararci alle gambe in modo che cadessimo a terra per poi finirci più facilmente, ma dopo pochi secondi è arrivata una seconda ondata di soldati che hanno recuperato gli uomini feriti. Tra quelle persone c'ero anch'io. In infermeria mi hanno fatto l'anestesia alla gamba in modo che sentissi il meno male possibile, ma il dolore era sempre molto forte. Il dottore che mi ha curato è molto bravo e veloce e si chiama Rey, e da qui il tuo nome. Adesso ti racconto come è andata a finire la giornata: siccome mi muovo a malapena, mi hanno cambiato di ruolo, da prima linea a cecchino. Questa posizione mi va più che bene perché sono molto bravo con il fucile e devo stare fermo, quindi non sento dolore gamba. Stavo pensando: bel modo di passare il compleanno. Ferito alla gamba. Va be', poteva andare peggio. Spero che il nome ti piaccia, ora devo andare a mangiare. Ciao da Adenino 22/07/1917 Caro Rey, quest'oggi non vorrei che nessuno dei miei familiari o qualsiasi altra persona fosse al mio posto. Vuoi sapere perché? Sono tre giorni che piove ininterrottamente, senza darci tregua. Ormai non si può più camminare nei corridoi della trincea perché sono diventati come sabbie mobili e non si riesce ad arrivare dall'altra parte. L'unico modo per attraversarli è quello di camminare sopra i bordi di pietra che delimitano la trincea, ma questo porta una maggiore probabilità di essere colpiti dagli austriaci. Io e i miei compagni siamo bloccati nei dormitori, senza cibo nè acqua. L'unica cosa che mi rassicura è che sono arrivate le lettere dei familiari e nella mia c'era scritto di come cercano di andare avanti con i pochi soldi che guadagnano e mi hanno fatto gli auguri di compleanno. Devo ancora rispondergli perché non ho la carta, ma penso che li ringrazierò degli auguri, gli dirò delle condizioni in cui viviamo e della ferita alla gamba che ora mi è passata. Per farci coraggio abbiamo scritto una canzone che si chiama Ta-pum. Questa canzone è molto semplice, ma ci incita ad andare avanti. Inoltre c'è un mio compagno che scrive poesie, si chiama Ungaretti; ho scoperto che anche le poesie più brevi hanno un ricco significato ed esprimono bene la nostra situazione di soldati al fronte. Ora ti saluto. Adenino Tagliavento
Luca Giordano
Mariano, 22 maggio 1915
Caro diario, oggi è una giornata speciale perché il comandante Cadorna ci ha ordinato di iniziare a scavare le buche, le trincee, perché ci sarà la guerra ma mi hanno detto che sarà una guerra lampo.
24 maggio 1915 Caro diario, oggi ho paura, vedendo la armi e i vestiti, ho paura di morire e lasciare la mia famiglia. Stasera eravamo pronti a sparare, quando abbiamo sentito il primo colpo, ma all’improvviso i colpi si fermarono, secondo me volevano dire che erano arrivati. 25 maggio 1915 Caro diario, un soldato mi raccontava perché è scoppiata questa guerra, se vinciamo prenderemo Trento, Trieste e l’ Istria.
24 novembre 1915 Caro diario, Il comandante Cadorna ci ha ordinato di attaccare le trincee degli Austriaci con le pinze, di tagliare le recinzioni ed attaccare, ma a un nostro soldato è partito un colpo di fucile e gli Austriaci si sono accorti di noi; sono morti molti soldati, e anch’io sono stato ferito al piede e mi hanno portato a curarmi in infermeria. ……………………………………………
24 novembre 1917 Caro diario, hanno cacciato via il comandante perché siamo stati attaccati dall’Austria e ci siamo ritirati fino al Piave, e al suo posto hanno messo il generale Diaz.
27 dicembre 1917 Caro diario, questa è una guerra molta lunga, sono 3 anni che combatto. In trincea è un disastro perché c’è fango, acqua, il mangiare scarseggia, sarò dimagrito di 10 kg, non si può fumare perché se vedono il rosso della sigaretta i nemici dalla loro trincea ci sparano, e ti sparano in testa perché riescono a prendere la mira. Nel tempo libero possiamo solo scrivere lettere e poesie . Uno che scrive è Ungaretti, che scrive poesie, quella che mi è piaciuta è “ Fratelli”.
10 novembre 1918 Caro diario, Il comandante Diaz ci ha ordinato di attaccare. Per farci coraggio cantavamo canzoni come TA PUM, SIGNORE DELLE CIME ecc. Siamo riusciti a vincere la battaglia e anche il Piave ci ha aiutati. L’Austria ha firmato l’Armistizio. L’Italia esce vincitrice. Finalmente posso tornare a casa! Fatlind
Fatlind Suka
Monte Piana, 25.12.1916 Cara Elisabetta, come stai? Io sto bene. Sono qui, in questa trincea, da quasi un anno e mezzo ormai e ogni volta che succede qualcosa mi stupisco. Comunque, stando qui, ho imparato ad essere un uomo duro, a sopportare il dolore e la fatica, ma soprattutto a non fidarmi di nessuno. Sì, mia cara, il tuo caro e dolce Riccardo è stato cambiato dalla guerra, perché è questo che ti fa la guerra, ti trasforma, anche se non vuoi. Ultimamente la situazione è abbastanza tranquilla: si controllano, a turno, le trincee austriache, ma non c'è molto movimento. Noi aspettiamo un loro attacco, e i ''crucchi'' ne aspettano uno nostro! La vita qui è sempre la solita, ogni giorno è uguale a quello precedente. Ci sono i turni per controllare il nemico e i turni in cucina da rispettare. Le munizioni per i fucili, le bombe a mano e le baionette, iniziano a scarseggiare, come il cibo, che non è mai stato troppo buono nè troppo abbondante. La notte si dorme poco o niente sui pagliericci scomodi e poi si è continuamente tesi, si dorme sempre con un occhio aperto per aspettare un ordine, un comando, magari quello di attaccare. Così ci si alza dal giaciglio e si spera con tutto il cuore di non andare alla morte. In quei momenti penso a te, mia cara, penso a quei pochi mesi che abbiamo passato insieme, alle nostre idee sul futuro, chissà se poi riusciremo a realizzarle. Scusami, ma non riesco a pensare positivo, non riesco a vedere la fine di questa guerra; ora come ora, mi sembra tutto buio, sembra che la morte possa colpire ognuno di noi, da un momento all'altro, sembra che nessuno uscirà vivo da qui, che nessuno potrà tornare a casa dalla propria moglie, dai propri figli, dalla propria famiglia.
Certe volte mi prende lo conforto, pensando che, magari, non potrò vederti mai più, e già ora, quando guardo la tua foto e mi ritorni in mente, mi viene voglia di piangere. Ma non posso permettermelo! Almeno non davanti ai miei compagni di squadra. Così mi dico che devo essere forte e mi passa tutto. Ma in fondo non sono un vero duro, sono ancora un po' ragazzo, ho solo venticinque ani, ho anch’io le mie ansie e le mie paure. Ma se per caso una lacrima scende sulla mia guancia, non do la colpa a te, ma al freddo pungente che in questi giorni ci tortura. Sono scesi quattro metri di neve e alcuni giorni fa non si faceva altro che spalare, per cercare di tenere puliti i piccoli corridoi e cunicoli di passaggio. In un certo senso era anche un privilegio per quelli a cui è stato detto di spalare, perché così si scaldavano
e
poi erano
esonerati
dai
turni
in
cucina
e
di vedetta.
Sfortunatamente a me non è stato assegnato questo compito, così sono rimasto fermo e seduto al freddo, aspettando che le ore passassero, svolgendo il mio dovere quotidiano. Cara Elisabetta, come avrai capito, chi si trova qui, non se la passa molto bene. Spero che la guerra finisca presto, perché non ne posso più, e non so per quanto tempo ancora noi soldati potremo resistere. Spero anche che tu possa passare un Natale davvero felice, anche senza di me, e che tu ti ricordi di me. Tanti Auguri di Buon Natale Con tanto amore e tanto affetto il tuo Riccardo P.S.: Ti mando assieme a questa lettera i soldi di paga di questo anno e mezzo, sperando che possano servirti anche se non sono molti.
Claudia Pillot
Carso, 18 novembre 1918 Cara Giovanna, ho deciso di scriverti questa lettera per avvisarti che io sono, per fortuna, uno dei “pochi” soldati rimasti vivi dall’ultimo attacco, e che sto abbastanza bene anche se ovviamente la condizioni in cui mi trovo, sono a dir poco, paurose. Tutti noi, come ben saprai, viviamo all’interno di trincee, lunghe buche anche centinaia di metri scavate a mano da noi e larghe appena un metro, dove stiamo anche per mesi ad aspettare che l’esercito nemico attacchi. Le trincee in questi anni di guerra sono come casa per noi soldati: al loro interno, noi ci mangiamo, dormiamo e facciamo pure i nostri bisogni, siamo come un’unica grande famiglia alla quale è stata riservata la stessa sorte, quella di combattere per il proprio stato. Ci sono soldati da tutte le regioni quindi non andiamo neanche tanto bene a comunicare tra di noi perché ognuno sa solo il proprio dialetto. Un grosso problema è passare dalla propria trincea alla trincea nemica perché c’è il filo spinato e altri oggetti che ti impediscono di passare, come le bocche di lupo, questi oggetti ti possono ferire, graffiarti o amputarti un piede se ci capiti sopra. Una cosa che non scorderò mai è la ritirata fino al fiume Piave. Per sollevarci il morale abbiamo cantato una canzone stupenda che si intitola ”La leggenda del Piave”. Le canzoni servono per tirarci su, perché cantando tralasciamo per un attimo la realtà della guerra. Ora sono qui, seduto su un blocco si pietra a scriverti quello che la guerra mi ha riservato e mi riserva tuttora, spero di sopravvivere per tornare a casa e vivere una vita tranquilla e di poter mangiare le cose buone che fai tu, Giovanna perché qui possiamo mangiare solo pane e polenta, tutti i giorni. Mi manca il calduccio di casa nostra, qui abbiamo solo una coperta per ripararci dal freddo, dalla pioggia, dalla neve e dal vento. Salutami Anna e Luca, di’ che gli voglio un mondo di bene, non dirgli però ciò che ti ho raccontato in questa lettera altrimenti si preoccupano, digli che ti è arrivata solo la cartolina! Un bacione a tutti tuo marito
Giorgia Campion
18 marzo 1916 Caro diario, la guerra è orribile, pericolosa e inutile. Se solo avessi più fogli, scriverei un intero libro a riguardo. All’inizio pensavo che fosse qualcosa da niente, che si sarebbe risolto tutto in un lampo. Il primo giorno sono stato spedito con un gruppo di altri ventenni sul fronte italiano. Appena arrivati siamo stati accatastati in trincea come dei sacchi di patate, ammassati uno sull’altro. L’unica cosa positiva era che potevamo aiutarci a vicenda: infatti ci prestavamo i nostri pochi averi. Siamo stati mandati lì per combattere contro gli austriaci, distanti da noi qualche centinaio di metri. Vivere è difficile: il rancio è freddo, malsano e con la muffa. Alla sera si muore di freddo, l’unica cosa che ci protegge e ricopre è una leggera mantellina. L’equipaggiamento è scarso, le nostre armature sono facilmente perforabili. Per quanto riguarda gli armamenti, siamo messi male, abbiamo poche munizioni, armi poco efficienti e poco pratiche. Quando mi sposto, accucciato lungo la trincea, i miei occhi si incrociano con quelli degli altri, nei quali posso percepire e leggere le loro emozioni: paura, terrore, disperazione e rassegnazione. Bum,Bum, sono i rumori dei giornalieri boati assordanti, affiancati dalle urla dei miei compagni, tragiche urla di vite umane stroncate dalla guerra nel fiore degli anni. Nella mia mente alberga insidioso il pensiero, la paura, di essere chiamato a morire con le pinze e le tenaglie. E come se non bastasse veniamo comandati dal generale Rodolfo Niccoli, un vero pazzo. Quest’ultimo in due settimane di guerra ha mandato al macello quasi cinquanta vite umane. Devo dirtelo, non ce la faccio più, non posso continuare questa tremenda vita. Ho in mente di ammutinarmi e di scappare via, ma se venissi trovato, avrei finito di vivere. Secondo me è una pazzia l’essere puniti così duramente, con la vita! Serve solo ad eliminare gente ed incutere paura e terrore nelle altre persone. La cosa che mi fa arrabbiare è che quando i generali sbagliano tattica e sacrificano innocenti, non hanno un minimo di rimorso. Comunque a presto, continuerò a scriverti amico mio, domani, se sarò ancora vivo. Norberto
19 marzo 1916 Caro diario, è tutto a posto, almeno per me, ma non credo che sia la stessa cosa per Luciano, un amico conosciuto in trincea. Il poveretto si è suicidato, anche lui, come me, non ce la faceva più di questa vita insensata. Per il resto solita cosa: bombardamenti, sparatorie, morti e feriti. A proposito, amico mio, non ti ho parlato delle trincee in cui devo vivere. Adesso è asciutto, ma quando piove si forma uno strato di fango, scorazzano qua e là topi infetti, ci sono escrementi, puzza e muffa. Quando penso a tutto ciò mi si inumidiscono gli occhi e ho nostalgia di casa, di un ambiente sano, pulito e caldo. Ci vivevo assieme ai miei genitori, e ai miei fratelli, giocavamo insieme e ci divertivamo, finché la guerra non ci ha fatto prendere direzioni, strade diverse. Guardandomi attorno vedo tanti compagni che muoiono, ormai siamo stati letteralmente decimati. In questa buca siamo rimasti io e due soldati, assieme al generale. Quest’ultimo ci sta chiamando, ha l’ aria seria, come sempre, noto che ha tre tenaglie appoggiate vicino a lui. So che la mia ora è arrivata, ti lascio per sempre. Addio Norberto Drendi
Oumama Hatim
1 giugno 1915 Cara mamma, qui in trincea è un vero e proprio incubo, fuori ci sono decine di cadaveri dappertutto, si usano perfino come scudi. Non si può neanche accendere una sigaretta perché i nemici dell’altro fronte vedono la brace e cominciano a sparare. Il nostro generale è troppo severo e se qualcuno osa disobbedire, va incontro a morte certa, bisogna andare all’ attacco quando e come dice lui, tanti soldati hanno perso la vita per inutili ordini. Ora ti racconto un po’ di me: sto bene ma sono diventato molto più magro dell’ultima volta che ci siamo visti, perché qui non c’è molto da mangiare. Sono premuroso di rivederti e di abbracciarti. Mamma ora sto per dirti una cosa che ha sconvolto anche me, però promettimi che sarai forte quando leggerai queste ultime righe. Papà non ce l’ ha fatta, è stato colpito da un cecchino, però non ha sofferto ed ha ricevuto una degna sepoltura. Mamma, non abbatterti e pensa che hai ancora un figlio che ti vuole bene. Un grosso bacio da tuo figlio Alessio
Dylan Furlan
Natasha Pavan