LA GUERRA: UN GIOCO DA RAGAZZI? QUADERNO DI SCUOLA DI GIUSEPPE (DETTO BEPIN) MARSURA DA MASERADA Cl

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IC. Maserada sul Piave Scuola Secondaria di primo grado “Don Milani” a.s. 2014-2015

LUDI CANOVIANI MINORES II edizione, a.s. 2014/2015 LA CLASSE II B PRESENTA

La guerra: un gioco da ragazzi? Q U AD ERN O D I SCU O LA D I GIU SEPPE (D ETTO BEPIN) M ARSU RA D A M ASERAD A Classe 1905 PRESENTAZIONE Il quaderno è il frutto del lavoro di scrittura creativa all’interno del progetto di storia locale “La guerra: un gioco da ragazzi?”, affrontato dalla nostra classe nell’anno in corso. Lavorando a gruppi, abbiamo immaginato di essere un coetaneo vissuto circa cento anni fa a Maserada, prima dell’esodo forzato dovuto all’arretramento del fronte seguito alla rotta di Caporetto. Siamo partiti dai nostri giochi di guerra attuali, abbiamo intervistato genitori e nonni sui giochi svolti quando avevano la nostra età, abbiamo cercato luoghi e testimonianze di guerra nel nostro Comune (siti, fotografie) e abbiamo anche utilizzato molte immagini di cartoline di guerra che ritraevano bambini e alcuni disegni da noi svolti durante l’ora di Immagine con la professoressa Villalta. Infine abbiamo scritto del nostro paese, creando dal nulla il nostro protagonista Bepin Marsura. Abbiamo scoperto di non conoscere il dialetto né attuale né tantomeno quello che probabilmente Bepin parlava cento anni fa, così ci siamo fatti aiutare dai nostri nonni. Il breve video di presentazione è commentato dalla musica elaborata dal maestro Vittorio Gui (brano “Monterosso e Montenero”), tenente durante la Prima Guerra, poi direttore d’orchestra, che ha trascritto alcuni temi popolari cantati dai soldati in trincea, e dal brano “La ragazza neutrale”, canzone popolare del 1914, nella quale la ragazza è proprio l’Italia che inneggia al non intervento. Sullo sfondo scorrono immagini di cartoline dell’epoca. I versi di commento al video, una sintesi di ciò che si leggerà nel quaderno, cercano di utilizzare gli ottonari come si usava fare, ma in italiano, nelle strisce di commento ai fumetti del “Corriere dei Piccoli” utilizzato durante la Grande Guerra per diffondere l’idea di una guerra valorosa, totale, giusta: la visione della mostra a tema ci ha aiutato molto. Abbiamo utilizzato per il testo del breve video la forma dialettale, ma sappiamo di non essere riusciti del tutto nell’impresa metrica. Come diciamo nei versi finali, la nostra strada di studenti è ancora lunga: magari un pezzo lo faremo assieme a voi! Perdoné ‘ste rime storte A ‘se sol a nostra sorte de studenti a Maserada Longa ‘se a nostra strada

BUON DIVERTIMENTO! Cella Martino, Conti Jessica, Falchetto Christian, Fuser Anna, Gashi Altin, Gelmetti Gioele, Gugliermini Beatrice, Herri Arianna, Huang Massimo, Lorenzon Manuel, Marchi Margherita, Mihai Mariana, Moratto Mattia, Moro Sharon, Pastrolin Alessia, Pilon Denise, Pizzolon Giacomo, Rigato Silena, Scabello Samuele, Sozza Fabio, Toffoletto Simone, Vallero Mattia, Vendrame Bruno, Voltarel Nicola, Zanella Sara e … … la nostra professoressa di Lettere, Amadio Anna.


Qui comincia l’avventura del Bepin, puteo Marsura El va al Piave a Masarada. Che fadiga: quanta strada! Guera granda: iera el tenpo! Ma lu stea cuorcontento: diese ani el gavea coi conpagni el ‘soghea. “Scondicuco”, “El pito”: bei! iera sol che tosatei! Ma un bel dì tuto canbiò: se ste’ siti lesarò. Nel diario el vea scrito « “Guera bea” i me gà dito». Ma Bepin inpararà Che no iera a verità. Tasi! ‘Scolta ora ‘sta storia E che ‘a finisse in … Gloria! A Bepin no piase a scuoea A xe freda fa ‘na toea brava ‘se ‘a so maestra no la buta daea fenestra. Del “Corriere” conta a storia E co’ Schizzo: “Viva i Savoia!”. Lesi, inpara che la guera A ‘se bea par ‘a to tera. Coi amiçi a guera finta I ‘soghea pa ‘verla vinta Bombe de sterco e de muca I moria par la spusa. Dino vea ‘na bicicleta El Bepin corea de freta: Finti morti qua e là E quei veri? No i ‘sé qua. Iera Pasqua e co’ i vovi I ‘soghea fin coi so’ noni. Ma la guerra a ‘se là Neanca el ‘sío la cavarà. Lesi, lesi e cartoine: e rivea tute ‘e matine. ‘Se rivà quea del popà Forse un dì ritornarà. E un bel dì so pare riva Verse a porta ‘na matina Tutto sporco e insanguinà Forse ‘se sol che cascà Nol racconta de la guera Ma in trincea ghe ‘se la tera. El popà là tornarà E pì a casa nol starà. Caporeto ‘se pasà E i dise “Via da qua” Tuti i xe scapai via Maserada a xe finia. Face tristi, oci bassi Sol che ‘e rode su pai sassi. El Bepin nol scrive pì. El finale? Un altro dì! Perdoné ‘ste rime storte A ‘se sol a nostra sorte de studenti a Maserada Longa ‘se a nostra strada.


QUADERNO DI SCUOLA DI GIUSEPPE (DETTO BEPIN) MARSURA DA MASERADA Classe 1905

‘A guera: un ‘sogo da tosati?


Maserada, 14 giugno 1916

Mi chiamo Giuseppe Marsura, ma tutti mi chiamano “Bepin”. Oggi la signorina maestra Lucia ci ha detto di scrivere sul quaderno tutto quello che ci succede perché dobbiamo imparare il taliano… ed eccomi qua. Abito a Maserada, un paese di campagna vicino a Treviso e al Piave: con me ci sono i miei nonni materni Vendrame Luigino fu Giuseppe e Mariella Giuseppina Pozzobon. Ho petato qui di fianco una cartolina della mia famiglia: l’ha scattata Toni Britoa, il fotografo di Maserada, tre anni fa. Avevo 9 anni. La signora al centro è la mia mamma Adelina Vendrame. Adesso lei lavora a Genova per portare a casa i schei per la famiglia. Il signore a destra co ‘na faccia musona è mio padre che adesso è in guerra. Abitiamo in via Roma in una casa fatta de piere da cui vien dentro sempre spifferi d’aria della montagna che dal freddo cane mi si congeano anche le ‘reccie e quando piove gocciola il soffitto così ci mettiamo Io sono quello in piedi a sinistra, poi c’è mio fratello Arnaldo, mia delle mastelle per raccogliere l’acqua. mamma Adelina, mio popà Luigino Marsura (detto Gino) e mio fratello piccolo Piero detto Pieret.

Molti pomeriggi vado al Piave con i miei amici: Dino, Brunello e Romeo. Con loro ci piace fare il bagno nel fiume, a Salettuol. Una volta siamo saliti su una zattera che ci ha portato sull’altra sponda, alle grave di Papadopoli: non sapevamo più come tornar casa perché lo zattiere è tornà indrio senza noialtri perché non avevamo schei par pagarlo…Allora vemo sercà pezzi di rami e di alberi che vengono sempre giù portati dalla corrente. Li abbiamo legati con un po’ di fil de fero trovato par terra. Siamo così riusciti a galleggiare e attraversare il fiume con fadiga perché in quella


parte ci sono tanti mulinelli e la mamma mi ha sempre detto che se mi vede nuotare lì me copa . All’isola di Papadopoli io e i miei amici abbiamo costruito il nostro rifugio segreto. È fatto di legno preso dal Piave, pallia trovata nei campi, ciodi trovai sul magazzino di Dino e foglie Questa è la zattera per andare per proteggerci dalla pioggia. alle grave di Papadopoli Ci portiamo sempre qualcosa da mangiare: io porto il formaio vecio, Dino el pan, Brunello un fia’ de latte di vacca, Romeo el saeado. A casa nostra si viveva lavorando a terra, mentre mamma andava alla tessitura Monti. Ancora ‘desso io, mio nonno e i miei amici ogni giorno ‘ndemo par campi a raccogliere perseghi, albicocche, e nell’orto per sucotti e pomidori. Questa è Via Roma: la mia casa è lì in fondo

Certe volte andiamo a pescare lungo il fiume Piave oppure alla risorgiva di Via Castella…: trote e bisatte che a me fa un po’ schifo. Una volta abbiamo pescato una trota grande come un vedèl: siamo andati avanti a mangiarla per una settimana intiera. Quella volta a me canevera si era persino rotta. Una mattina sento il nostro gallo cantare, mi alzo e vedo popà che va via. Scendo, prendo la giacca onta, mi metto gli zoccoli ed esco per chiedergli dove va con gli altri omeni: c’erano Gianni, Sandro e il vecchio Fabrizio. Lui non mi risponde. Torno dentro casa e vedo la nonna, il nonno e la mia mamma piangere e vado lì a chiedergli cosa era successo. Mi dicono che popà deve andare a fare la guerra. Ho pensato che forse potevo farla anch’io. Così ho chiesto a mio nonno se potevo andare anch’io con popà, ma nonno non mi


ha risposto e mi ha detto di tasar su, che “ ‘a guera non a ‘se un ‘sogo par tosatei”. Sono restato muto come un pesce. Mentre mio popà partiva mi sono ricordato le parole che ci fa imparare a memoria la signorina Lucia: “Armi!...La benedetta guerra riscota L’ Alpe e risollevi il mar”. Allora ero contento perché mio popà sembrava Ettore elmo abbagliante, mia mamma Andromaca braccio bianco e io il povero Astianatte: la signorina Lucia ci racconta sempre la guerra di Troia , che poi da noi non è una bella parola, e la prima volta che l’ho detta a casa mi è arrivato uno stramusone. Questo è stato il momento più commovente della mia vita: ho pianto tanto come la risorgiva di via Castella. Poi anche mamma è partita per lavorare a Genova come signora che fa le pulizie. Ecco qua chi sono io.


Maserada, 25 ottobre 1916 Anche oggi sono andato a scuola. La scuola dove vado è ‘na scarpa vecia. Dalle finestre piene di rusine entra un freddo boia: sono massa vecie; quelle in fondo alla nostra classe hanno anche i vetri rotti. La muffa ormai è dappertutto: ‘na spusa!!!’. Non mi piace andare a scuola, ma mi piace scrivere sulla guerra e la signorina maestra oggi ci ha fatto proprio scrivere. Per me è stato facile, anche perché la consegna era: “Scrivi un racconto a tua scelta”: ho fatto un tema sulla guerra perché a me la guerra me piase tanto e ci gioco sempre con i miei amici. Nell’ora patriottica poi la signora maestra ci ha letto “Il Corrierino”. A me piacciono tanto le storie di Schizzo : quando sogna aiuta l’Italia a vincere e sembro proprio io. Mio popà delle volte mi manda delle cartoline e questo mi fa stare meglio perché così so che è ancora vivo. Mio popà, credo, che stia giocando alla guerra con i suoi amici soldati, proprio come io e i miei amici. Nella cartolina mi ha scritto che è in una grande casa sicura che si chiama “Casa del Soldato”. Mia nonna e il nonno dicono che lui lo fa per il nostro bene; dicono che sta combattendo per noi e so che tra poco tornerà. Mi immagino che torni con la divisa pulita e l’elmetto lucido, senza nessun graffio e con un regaeo per me! Me lo penso: fiero, coraggioso e sensa paura, proprio come Ettore e Achille. Ha la divisa verde scuro, nel giacon delle tasche, in testa un capeo abbastanza grande, sempre del colore dea divisa, con una grande piuma nera. Ai piedi degli stivali neri, lucidi e splendenti. La mia classe l’anno scorso con la madre Germana: io sono quello al centro con la baretta da capitano.


Maserada, 16 aprile 1917

Oggi ho incontrato Romeo e Brunello. Non avevo voglia di giocare a pito o a far saltare in aria la baea perché è fatta de strase e si desfa subito, e allora abbiamo giocato alla guerra. Se i “Tedeschi” arrivano, dobbiamo prepararci a batterli. Romeo dice che non arrivano e ci ha ridesto su, ma io gli ho detto che l’ho sentito dai miei nonni. Così siamo andati da Dino e gli abbiamo spiegato il piano: costruire delle trincee. Io e Brunello facciamo gli “Taliani” e Romeo e Dino, che sono grandi, ma la nonna dise che sono anche un po’ insulsi e matusei, i “Tedeschi”.

La bici di Dino e quella di suo fratello: loro sono siori

Dino ha preso la bicicletta per andare a Salettuol, ma io e gli altri non ce l’abbiamo: il nonno dice che costa troppi schei. Eppure a me piacerebbe tanto ‘verla perché leggo sempre “La Gazzetta dello Sport” quando parla di Girardengo e Belloni: che eroi, ragassi. L’ho tirata fuori: “Belloni infrange le resistenze degli uomini e le avversità degli elementi e arriva primo a Sanremo dopo una corsa terribilmente faticosa. … Da veri italiani, danno nonpertanto una mirabile prova di forza e di tenacia”. Ho letto il titolo a Dino che ha detto che sono italiani proprio come i nostri soldati!! Purtroppo il bersagliere Girardengo è arrivato secondo. Che sfortuna! Il mio sogno è potermi comprare una bicicletta proprio come quella di Dino e fare la Milano - Sanremo.


Siamo andati a piedi dietro l’argine, a Salettuol, e abbiamo fatto tanta strada: alla fine eravamo brusai. Io avevo un fagotto con un toco de pan vecio, gli altri ‘na scianta di poenta. Vemo preparà le armi con sassi e bastoni. Noi avevano granate, sciopi, due baionette, i “tedeschi” una baionetta ,ma tante bombe asfissianti: sterco de vaca, mussi e altro: che spusa! Pronti, mesa, via!!! Dopo poco tempo avevamo già fatto saltare la gamba di Dino. Che bella giornata: abbiamo tanto ridesto! Noi a urlare “Viva i Savoia”, come ci insegna a scuola la signorina maestra. C’erano il rumore dei sassi che si “Vigila o soldato d’Italia nelle notti spostavano al nostro passaggio, piene di stelle”. La signorina Lucia l’acqua del Piave che rideva durante ci dice che i soldati ci proteggono il nostro gioco. Qua i tedeschi non arrivano e noi siamo protetti dai soldati: l’ho letto nelle cartoline. E poi don Piero ci ha detto che i soldati sono protetti da Dio: è proprio vero perché in alcune cartoline ci sono le preghiere. Abbiamo vinto noi e alla fine l’unico rumore era quello dei nostri fiatoni. Ci siamo distesi mesi indormensai a guardare le nuvole: c’erano sciopi, soldati e corone. Ho chiuso gli occhi e il sonno ci ha ciapato. Poi ci siamo accorti che il sole stava cadendo e siamo andati a casa. Il nonno era sentà su ‘a poltrona, la nonna girava a polenta su ‘a caiera. Ho detto: “Nonna, abbiamo giocato alla guerra. Il nonno ha ragione: non dobbiamo andarcene, la guerra non è difficile. Abbiamo vinto e se arrivano i tedeschi ti proteggo io”. La nonna si è messa a piangere e ridere che quasi si inciucava. Non ho capito il perché. Sono andato a letto senza cambiarmi tanto ero sfinio dalla corsa.


Mi sono indormensato, contando i soldatini che i ‘se andai in guerra per salvar la patria. Tra tutti quelli ho visto popà che sparava ai “tedeschi” e che mi proteggeva. Ma poi ho sentito uno sparo: mi sono svegliato e ho visto me popà che abbracciava me mare. Era sporco, pien de ferie, piangeva e sigava: “Scanpé, scanpé: i Tedeschi ‘se rivai ,‘se rivai”. Silenzio. Me son sveglià tutto sudà: era un sogno, ma io ho avuto tanta paura. Mio popà mi dice sempre una frase: “L’uomo non dimentica mai il suo passato per costruire un domani migliore”: è coraggioso e davanti al pericolo non si tira indrio, perché vuole salvare la sua patria. Anche Ettore ha fatto così, ma la signorina maestra non ci ha ancora detto come è andato a finire il duello fra Ettore e Achille. Chi avarà vinto?


Domenica 20 Aprile 1917 Giorno di Pasqua Oggi è stato il giorno di Pasqua: sono molto contento perché sono arrivati la ‘sia Maria e lo ‘sio Ioani. Questa mattina, mia nonna e me siamo andati a cior su i vovi dal punèr e le abbiamo messe a boiere in una tecia grande. A mesodì siamo andati in chiesa per il rito della Santa Pasqua, anche se a me non mi piace, perché mi tocca fare il chirichetto e don Piero mi guarda sempre male, perché una volta ho fatto andare in terra le particole davanti a tutta Maserada e poi le ho ciolte su con le mani onte... Ma per questa occasione speciale, meglio far contenti il nonno e la nonna. Quando siamo tornati a casa, tutto era andato a ramengo: i vovi erano troppo cusinati e la nonna ha detto: “Santa Madonna dee Vittorie”, ma per fortuna siamo riusciti a mangiarli instesso insieme agli altri. Gli altri più tenari li abbiamo pastrocciati con la cenere, per usarli per il gioco dei vovi. In questo gioco bisogna scontrare due vovi e quello che si rompe per prima, perde. Io vinco sempre: mia nonna dice che sono meglio di una gallina. Certo che è brutto giocare senza popà. Io e lui ci divertivamo molto insieme soprattutto in questo giorno: perché non è tornato a casa in licensa? Poco dopo, sono arrivati la ‘sia Maria e lo ‘sio Ioani, con i miei cugini preferiti Luigino e Guglielmina. Subito abbiamo scominciato a giocare a correrci dietro. Verso sera, io e i miei cugini siamo usciti in cortile con dei vovi che erano avanzati e Ecco la cartolina che mi ha regalato abbiamo iniziato a la zia Maria. E’ la mia preferita tirarceli addosso come perché gli ‘taliani battono gli ‘striaci. bombe a mano. Ci siamo slapazzati dalla testa ai piedi e la nonna, appena sono entrato, prima ha chiamato ancora “Santa Madonna dee Vittorie” perché avevo il


vestito buono tutto onto, poi mi ha fatto lavare nella mastella con l’acqua gelida e l’aceto al posto del saon, per togliermi l’odore di freschin di dosso. Finito di asciugarmi, mi sono vestito con il pigiama, pronto ad andare a letto. Prima di andare via la zia mi ha regalato una cartolina: che bello! Lo sa che faccio la collezione. Ne ho più di trenta. In questa c’erano proprio dei bambini a cavallo di sette vovi, ogni bambino vestiva un’uniforme. Contro l’Austria ha vinto l’Italia. Noi ‘taliani siamo i più forti e la zia Maria ha detto che vinceremo la guerra: se la guerra si facesse con i vovi, io sarei il più forte soldato d’Italia e proteggerei i miei nonni. Ho salutato tutti i miei parenti e stufo per la giornata mi sono indormesà perché domani dovrò alzarmi presto per spalare lo sterco delle vacche e dei mussi.


28 Ottobre 1917 Questa sera poco prima di cena hanno bussato alla porta; la nonna ha tirato il canovasso e subito dopo …. la voce di mio popà. Sono corso giù per le scale che quasi mi ribaltavo e l’ho visto: era lurido di terra, scaturito, pieno di miseria e in mano teneva uno sciopo. Si è avvicinato a me e mi ha stretto forte che quasi restavo senza fiato. Era diverso da come vengono mostrati i soldati nelle cartoline. Lì sono tutti felici, con la divisa e l’armatura lucida, come il mio eroe Ettore. Mio popà aveva in testa un cappello da bersagliere come Schizzo, un uniforme verde scuro tutta sbregata e ai piedi portava degli scarponi sporchi di pantano e consumati; era debole, stanco e pieno di fame. E il grande Ettore? Dove era finito? La signorina maestra ci ha detto che Ettore era “il massacratore “e non aveva paura; mio popà era magro come un ciodo e aveva paura anche della sua ombra. Il suo muso era unto e graffiato come del resto il corpo. Appena l’ho visto mi sono spaventato e non ho capito: era cascà in un fosso? Era stato un cane rabbioso? Forse qualche “striaco”? La cena è stata molto silenziosa e quando era ora di andare a letto, mia nonna è venuta a dire il rosario e le ho chiesto di popà. Poco dopo sono sceso dal letto perché sentivo delle voci. L’ho sentito dire: Questa

è la ca rto lin a ve d e vo proprio io mio co me popà ch e copav l’aquila a a d ue t e st e

- Non sono buono di continuare la guerra, non avete idea del casino che c’è di là dal Piave

dopo Caporetto. - E Gianni Bistecca, Sandro el Frutariol e Fabrizio Taialegne, come stanno? - Sono dispersi… non li ho più visti in mezzo a tanti corpi.

- Non dirlo a Bepin.

Ecco mio popà in licensa

Popà ha detto che dovrà ritornare a combattere e tutti noi, tranne i più siori che sono già andati via, dovremo scappare dai Tedeschi perché la guerra sta arrivando anche qua. Domani popà torna al fronte. E noi? Cosa facciamo?


11 Novembre 1917 Questa mattina scendendo dalle scale ho sentito dire dai nonni che dovevamo andare via veloci e che l’Italia era invasa, stava perdendo la guerra, che era successo un gran casino a Caporetto, (me l’aveva detto mio popà), e che ci stavano i “Tedeschi” che erano proprio di là dal Piave: forse lo passano anche.

Casa mia e la mitragliatrice vera nascosta così gli “Striaci” non la vedono

Stavo guardando fuori dalla finestra e in cielo ho visto un aereo che passava sopra le case di Maserada: mica ne avevo visti tanti prima. Facevano un casino bestiale: ho sentito ‘na tega, peggio di una tonesada estiva che quasi mi dovevo tappare le orecchie. Ho visto anche cadere una bomba dal cielo.

Poi abbiamo visto i soldati italiani, ma non c’era mio popà: sono entrati a casa nostra e l’hanno occupata. La nonna era seduta sulla sua sedia de paia, batteva il burro dentro la bottiglia, il nonno affilava el falzin: i nonni sono rimasti muti come pessi. Forse se l’aspettavano. I soldati hanno portato grandi barili pieni di polvere da sparo o granate e poi hanno messo una mitragliatrice vera, non come quella mia e di Dino, nascosta visin al pajer. Mi sono avvicinato a uno, grande e grosso, dalla faccia bianca e rossa: gli ho chiesto di mostrarmi il suo scioppo. Si avvicina, mi accarezza la testa, mi mostra la baionetta. Vera, quella è vera, lucida e fredda: chissà quanti “striaci” avrà ucciso. Quasi quasi mi scappava la pipì per l’emozione. Sono scappato perché ho ciapato paura. Mi sono seduto sulla panchea sotto il barco. Il soldato di prima è arrivato ridendo, si inpissa una sigaretta, mi guarda e me la offre. Era proprio fora de testa. Ma da dove veniva? Neanca parlava. Sono scampato da casa per fare un giro in paese. Maserada era morta, le case sembravano nere per la tristezza, il paese che ieri era pien come un vovo oggi sembrava deserto. Ormai siamo rimasti in pochi a Maserada, solo i veci e i tosatei .


Sono andato a scuola: i banchi scavessai, prima messi in ordine, erano buttati a terra come se qualcheduno li avesse lanciati dalla rabbia: non c’era più da tanto nemmeno la signorina Lucia. Nella stanza dei bidelli ho avuto una grande sorpresa: c’erano dei soldati italiani che ronsegavano su letti fatti di pallia. Avevano occupato anche la scuola. Sono andato a cercare Brunello: una volta giocavamo alla guerra, ma da un po’ di tempo non ho più voglia di giocarci, anche perché pare che anca Romeo e Dino devono partire per il fronte: sono nati nel ’99! Brunello non l’ho mica trovato per giocare a pito o ae sgiapare e poi a Salettuol non possiamo più andare La nonna ha detto che ‘desso perché c’è il fronte e di là ci sono gli siamo profughi... “striaci” che hanno conquistato il nostro rifugio segreto e poi è pieno di bombarde che possono scoppiare par terra. La nonna mi ha detto che a Lovadina due bambini sono morti defunti perché hanno giocato con una granata: pensavano fosse un gioco. Ma erano più piccoli di me e io ‘desso no che non ci vado più sulle grave. Sono tornato a casa e mi ‘spettava mia nonna sopra a un carretto: era ora di partire. Nel carro non c’era solo lei, ma anche le donne, bambini e alcuni veci. Eravamo tutti stanchi e spaventati, ma dovevamo rimanere svegli per il viaggio che ci aspettava, forse a Livorno. La nonna piangeva ‘na scianta, il nonno mi ha guardato dicendo: “Vien Bepin, ‘ndemo: te gò dito che ‘a guera no a ‘se un ‘sogo par tosati”. _______________

Sono sul caretto ‘desso: no vedo pì il Piave. Gò un fià de paura perché pì in là de Treviso non sono mai andato, ma ‘na volta son rivà a Coneian prima che facessero saltare el Ponte de la Priula. La roda del carro pesta i sassi de ‘na strada che no gò mai visto prima.


LE NOSTRE FONTI AA. VV., La Gazzetta dello sport, lunedì 16 Aprile 1917 Giuseppe Boschet, La Grande Guerra negli occhi di un bambino” Antonio Gibelli, Il popolo bambino Fabiana Lopardi, I bambini e la guerra. Il Corriere dei Piccoli e il primo conflitto mondiale (1915-1918) Paolo Malaguti, Sul Grappa dopo la vittoria Mario Mattiuzzo (a cura di), Le foto raccontano. Maserada sul Piave Le didascalie in questo lavoro sono di pura fantasia Ivano Urli, Bambini nella grande guerra Sito dell’associazione storica “Cime e Trincee” (http://www.cimeetrincee.it/) da cui abbiamo tratto le cartoline che ritraggono l’infanzia durante la prima guerra mondiale

RINGRAZIAMO Il protagonista, frutto della nostra fantasia, Bepin Marsura e tutti i personaggi del quaderno. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistite è puramente casuale L’associazione “Sintesi & Cultura” di Vittorio Veneto per la mostra: “1915-1918. Il Corriere dei Piccoli racconta una guerra valorosa, una guerra totale, una guerra giusta” Il signor Giovanni Callegari per le idee fornite per la realizzazione del percorso di storia locale e il signor Giuliano Bottani, direttore del Museo Storico della Guerra di Maserada sul Piave, sempre disponibile a farci conoscere un pezzo di storia del nostro paese I nostri professori di Immagine, Fabiola Villalta, e di Musica, Francesco Martignon, per la preziosa collaborazione e per la disponibilità I nostri genitori, nonni, bisnonni per averci raccontato i loro giochi da bambini I nonni che ci hanno aiutato per la revisione dialettale Il film “Wargames” (diretto da John Badham, USA, 1983) perché, come detto nel finale dal computer Joshua, abbiamo compreso, se applicato alla guerra, il senso della frase:

“A STRANGE GAME. THE ONLY WINNING MOVE IS NOT TO PLAY”


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