Fondazione Prada

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Fondazione Prada Milano Italia 2015



Questa monografia è stata sviluppata come esercizio per il modulo di Principi di progettazione esecutiva svolto dal professore Emilio Faroldi presso il Politecnico di Milano. La divisione nelle sezioni XL, L, M, S è direttamente ispirata al libro S, M, L, XL di Rem Koolhaas (con Bruce Mau), progettista della Fondazione Prada insieme al suo studio OMA. L’obiettivo è di mostrare la Fondazione Prada come architettura multiscalare e complessa, analizzandone i fenomeni storici, tecnici, poetici e costruttivi. La sezione XL contiene la parte storica sulla Fondazione, informazioni sullo studio OMA e AMO e del rapporto con Prada. La sezione L illustra gli attori e le modalità con cui si è svolta la fase progettuale e di cantiere. La sezione M presenta il complesso e i singoli edifici che ne fanno parte. La sezione S analizza i dettagli costruttivi e i materiali utilizzati. La sezione + contiene l’intervista a Matteo Budel dello studio OMA, alcune fotografie da noi scattate durante la visita della Fondazione Prada e i riferimenti bibliografici e sitografici.

Si ringraziano: Il professore Emilio Faroldi e i suoi collaboratori; Matteo Budel e lo studio OMA per l’ampia disponibilità mostrata; la Fondazione Prada per aver concesso la possibilità di visitare il complesso.


Fondazione Prada corso integrato di Progettazione tecnologica e valutazione del progetto modulo di Principi di progettazione esecutiva docente Emilio Faroldi visiting professor Maria Pilar Vettori collaboratori Daniele Fanelli Giulia Ferrari Caterina Franco

Gruppo 13

Elena Ferrini Eren Gazioglu Cristiano Gerardi Sara Ghebregzabher Davide Ghidini Riccardo Gialloreto Livia Giani Egidio Giurdanella Riccardo Grassi Antonello Livrano


XL L M S

Storia e contesto OMA e AMO Prada e Koolhaas

Il ruolo della commitenza Progettista e collabori Progetto esecutivo Scheda tecnica Il complesso Ala sud e Ala nord Deposito e Cisterna Haunted House e Bar Luce Cinema Podium

L’armonia del contrasto Il rapporto con l’esistente Il podium: lo spazio universale I materiali

+

Intervista a Matteo Budel Fotografie Bibliografia / Sitografia


XL


Storia e contesto

Pagina a sinistra: Patrizio Bertelli, Miuccia Prada, Matteo Renzi e Rem Koolhaas

Fondazione Prada è nata nel 1993 dalla volontà di Miuccia Prada e suo marito Fabrizio Bertelli occupandosi di arte contemporanea. Dopo numerose mostre, i coniugi hanno deciso di stabilire una sede permanente della Fondazione a Venezia. La storia della sede di Milano non può essere disgiunta dalla forte volontà dei committenti, che nel 2008 decisero di esporre la loro collezione privata di opere d’arte anche a Milano. La scelta dell’architetto ricadde su Rem Koolhaas e il suo studio OMA, che da 15 anni segue alcuni dei più importanti store della Maison milanese. Il connubio tra Koolhaas e la signora Prada, la cui influenza e presenza è stata fondamentale durante la genesi dell’opera, oltre ad essere ben riuscito va oltre i normali rapporti tra architetto e committente. La committenza ha fortemente voluto preservare gli edifici della vecchia distilleria presenti nel lotto acquistato dai coniugi. Originariamente il sito ospitava una fabbrica della “Società Distillerie Italiane” dei primi decenni del ‘900, situata a sud dello scalo di Porta Romana, tra i due assi di Corso Lodi e Via Ripamonti.

La S.I.S era un’azienda statale che produceva alcolici e la sede conteneva alcuni serbatoi per l’alcool e depositi risalenti alla fine dell’Ottocento. Il progetto rientra nella tendenza milanese degli ultimi anni di recuperare vuoti urbani e vecchie architetture industriali: parallelo è il progetto del MUDEC in via Tortona, dove David Chipperfield ha recuperato un edificio industriale trasformandolo nel nuovo museo delle culture. L’input pervenuto dai vecchi edifici industriali e la personale tendenza della ricerca di Koolhaas degli ultimi anni che rifugge dagli eccessi precendenti è convenuto in un particolare mix tra esistente e nuovo che nella Fondazione Prada sono sempre in contrasto tra loro. Si nota una forte contrapposizione di elementi, dove la natura quasi-artigianale dell’esistente si sposa con la precisione e la chiarezza dei nuovi elementi. Le critiche positive e l’ ottimo riscontro di pubblico fanno di essa un nuovo centro culturale che si contraddistingue per le molteplici modalità di diffusione culturale, differenti dalle consuetudini museali.


OMA e AMO

Lo studio OMA (Office for Metropolitan Architecture), fondato nel 1975 da Rem Koolhas ha sempre fatto della sfida alla convenzioni e alle regole prestabilite una sua bandiera. Negli anni 90, dopo una crisi dello studio, un’intuizione e la pubblicazione del libro S-M-L-XL hanno portato ad una rinascita creativa e alla distinzione tra OMA e AMO. Dopo aver costruito uno studio espressamente dedicato a progettare edifici come risultato di un’analisi accurata dei problemi – uno studio, quindi, che basa la sua estetica non sulle scelte formale ma su quelle organizzative- Koolhaas ha capito di poter spingersi oltre, arrivando a pensare che concetti architettonici possano avere valore di mercato anche senza concretizzarsi in cemento e mattoni. Questa conclusione ha portato Koolhaas a dividere in due il suo studio: OMA, che continua a progettare edifici e città, e AMO (che è lo specchio di OMA più che un nuovo acronimo) che concentra la propria attenzione su quella che REM chiama “architettura virtuale”. Non si parla di progettare edifici al computer o di maniere di rappresentazione virtuali, per Koolhaas “architettura virtuale” significa progettare – o ri-progettare – tutti quegli ambienti in cui gli uomini si muovono o interagiscono che non entrano nel campo degli strumenti del settore delle costruzioni. “La mia ambizione è quella di modernizzare e reinventare la professione, facendo uso della nostra competenza nel non costruito”. 8

AMO è stato così creato per dare un contributo strategico per estendere le competenze dell’architettura nel regno del virtuale, tra cui i media, la moda, la comunicazione e l’informazione. Il boom di Internet ha poi infine fermamente stabilito il valore dell’immateriale. La cosa interessante di AMO non è che si occupa di sviluppare cose che poi non saranno costruite, ma che continuerà a lavorare in maniera architettonica – vendendo ai clienti analisi di relazioni tra i comportamenti umani, reti invisibili di commercio e cultura. L’approccio non è molto diverso da quello di un progetto tradizionale: ad una fase di analisi e ricerca segue una fase di progettazione, solo su una scala più piccola. La sfida principale è rappresentata dalla mancanza di tempo e dalla costante necessità di essere originali e mai ripetitivi. Ma le difficoltà in questo caso anche rappresentare una risorsa, spingono ad essere creativi in modo energico e brutale. “In questo senso credo di aver imparato molto dai processi della moda. Da architetti si tende spesso a raffinare e a mettere ordine più del necessario.” AMO si propone come scopo di fornire consulenze, di essere pagato per le sue idee, sia che queste vengano attuate sia che non lo siano. Pagare per avere delle idee, più che delle strutture, è “architettura virtuale” nella sua forma più pura e redditizia. “AMO è una lettura retrospettiva della nostra carriera, il virtuale tutto ciò che non si conclude in massa costruita.”

Pagina a destra: OMA,Prada Transformer, 2009, Seoul



Prada e Koolhaas

La casa di moda Prada nasce nel 1913 a Milano con l’apertura della storica boutique di cuoio, borse e accessori di viaggio e di lusso nella Galleria Vittorio Emanuele II. Sotto la guida di Miuccia Prada, salita alla dirigenza dell’azienda negli anni 70, aiutata dell’imprenditore e marito Patrizio Bertelli, l’azienda si è affermata come uno dei più importanti ed influenti marchi del mondo. (Ma è solo a partire dagli anni settanta, da quando Miuccia Prada è salita alla dirigenza dell’azienda aiutata dall’imprenditore Patrizio Bertelli, che il marchio si è affermato come uno dei più importanti ed influenti al mondo.) L’interesse della casa spazia dalla moda al design all’arte, con uno spirito pionieristico che fa di Miuccia Prada la prima stilista a collaborare con architetti innovativi nel tracciare nuove tendenze nel design di negozi. Negli anni 90 l’incontro tra due persone estremamente creative - un “anti-architetto” (Rem Koolhas) e un’” anti-stilista” (Miuccia Prada) - ha portato alla nascita di una collaborazione tra la casa di moda Prada e lo studio OMA - AMO: una sinergia creativa che continua fino ad oggi, volta a pensare nuove modalità per raccontare casa Prada, in una maniera aperta al dialogo e all’interdisciplinarietà, coraggiosa al punto di volere reinventare le convenzioni. Senza obiettivi rigidi o prestabiliti, si è aperto un processo 10

che di volta in volta ha generato risultati imprevedibili, sempre con l’intenzione di comprendere e comunicare i valori Prada decostruendoli o amplificandoli. Alla base di tutta la collaborazione c’è un atteggiamento “anticonvenzionale”, un interesse a cambiare o reinventare i canoni per comunicare lo spirito del brand e la sua unicità rispetto al resto. I primi risultati di questa collaborazione sono stati gli “esercizi di anti-brand”, finte campagne pubblicitarie basate sui modi informali in cui il brandi si manifestava al di fuori dai canali convenzionali (da Ebay, alla produzione di falsi) per comprenderne meglio il significato e con lo scopo di rappresentare Prada diversamente dai modi convenzionali di una maison di lusso. La collaborazione è proseguita negli store realizzati da Amo per Prada, concepiti più come luogo di incontro intorno al brand che come celebrazione dello stesso, ridefinendo l’idea spazio di negozio. Ci sono già decine di negozi Prada, ma la società di moda vuole sperimentare nuovi ambienti che possano migliorare il richiamo del marchio. Etichette semplici, che possano essere facilmente contraffacibili, non sono abbastanza potenti per garantire l’autenticità. Anche gli stili possono essere rapidamente duplicati. Che cosa può significare la moda quando tutti i capi e gli stili possono essere disponibili istantaneamente e allo stesso prezzo?


In alto a destra: Patrizio Bertelli, Miuccia Prada, Matteo Renzi e Rem Koolhaas

La risposta di OMA a questa domanda è creare negozi che offrano spazi pubblici e vantaggi a livello locale, senza presentare marchi o segni di riconoscimento forti. Il Prada Epicenter di Los Angeles (2004) non presenta alcun nome su di esso, mette in scena –senza una vetrina- il prodotto in un modo intimo e sorprendente allo stesso tempo; quello di New York (2001), uno spazio commerciale flessibile in grado di trasformarsi in un teatro, incorporerà attività culturali aperte al pubblico e promosse dalla maison, separate dai locali adibiti alla rivendita al dettaglio. Il “Prada Transformer” installato a Seoul tra la primavera e l’estate del 2011, è nato con l’intenzione di combinare sia eventi Prada che mostre della Fondazione (tra cui un’installazione di Nathalie Djurberg) in uno spazio temporaneo in grado letteralmente di trasformarsi da un evento all’altro. Chiunque può replicare un abito, ma un ambiente altamente specifico che offre qualcosa al pubblico – un punto di riferimento locale - senza imporre l’acquisto di un bene, è un modo per rendere più forte l’immagine di un marchio. Lo studio AMO dal 2011 si occupa anche di progettare i set delle sfilate. Si è iniziato con un approccio “geometrico/formale”, distorcendo la tradizionale passerella lineare ed inventando nuove traiettorie, in grado di è seguita una fase “politica” in cui il pubblico stesso è stadifferenziare di volta in volta l’esperienza del pubblico;

to messo in crisi, negando o reinventando l’organizzazione gerarchica dei posti; per arrivare ad fase “teatrale”, in cui è il disegno della scenografia che serve a contestualizzare la moda e a rafforzarne il messaggio. In tutti i casi il processo creativo è stato aperto e i risultati inaspettati ed eccitanti. N: Con Prada, quali sono i confini? Qual è la portata del tuo coinvolgimento? REM: Ci hanno chiesto di proporre una maniera di gestire la loro espansione senza perdere la loro reputazione per l’avventura e la sperimentazione. Si trattava quindi di avere a che fare con un’esplosione di scala - come rimanere interessanti e sorprendenti nonostante una presenza molto più massiccia. Abbiamo affrontato una serie di questioni strategiche e organizzative. Sulla base di questi fattori, abbiamo definito cosa potesse essere un negozio, e come potrebbe essere estesa la sua esperienza. Ci hanno poi chiesto di realizzare tre negozi. Insieme alla creazione di questi, stiamo sviluppando anche la loro identità nello spazio virtuale. Stiamo anche lavorando a progressi tecnologici che possano migliorare l’esperienza di un negozio – cercando di reinventare i camerini, il registratore di cassa; stiamo cercando di rimuovere alcune delle cose che rendono irritante lo shopping. Una di queste è il fatto che devi sempre sapere quando sei in un negozio e quando non lo sei, così abbiamo cercato di sfumarne i limiti.


In questa pagina: AMO, 2016 Spring/ Summer Prada Real In questa pagina: OMA,Prada Flagship Store, New York, 2001

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L


Attori di processo

Pagina a sinistra: La Torre in costruzione specchiata nella facciata del Cinema

Lo spazio espositivo della Fondazione Prada è il risultato, riuscito, della collaborazione tra il prestigioso studio di architettura OMA e la altrettanto prestigiosa casa di moda che ne ha promosso e finanziato la realizzazione. Il motivo per cui l’istituzione ha preso la decisione di realizzare questo complesso è quello di arricchire la città di Milano con uno spazio permanente in cui svolgere un’analisi del presente attraverso l’ideazione di mostre d’arte contemporanea, architettura, cinema e filosofia. Nuovi spazi in cui discipline differenti coesistono per attivare un processo intellettuale in continua evoluzione. Nel 2008, i committenti Miuccia Prada e Patrizio Bertelli affidano l’incarico allo Studio OMA di Rem Koolhaas, con cui Prada ha una collaborazione ventennale. Uno dei momenti più importanti del processo progettuale è la fase di sviluppo del concept, il cui protagonista in questo caso è lo studio OMA, in stretta collaborazione con Miuccia Prada. Il caso del progetto della Fondazione è l’esempio di come una

committenza forte e consapevole possa far sì che l’opera finale assuma un’elevata qualità. Un noto esempio di come la committenza sia garante di una perfetta riuscita del manufatto architettonico è la figura di Adriano Olivetti, grazie al quale è stato possibile realizzare alcuni tra i capolavori della storia dell’architettura italiana dell’ultimo secolo. L’intervento di Miuccia Prada è stato fondamentale per diverse scelte progettuali, come la configurazione degli spazi esterni o del Bar Luce. Nel primo caso si è espressa contraria all’inserimento di zone verdi, nel secondo ha proposto e contattato lei stessa il regista Wes Anderson per il disegno del Bar Luce con uno stile ispirato alle scenografie tipiche dei film italiani degli anni ’50. In questa fase di progetto preliminare, il rilievo dell’area di intervento e le richieste del committente hanno portato alla decisione di non demolire le strutture preesistenti, senza realizzare un progetto di restauro conservativo ma, valorizzando l’esistente con l’inserimento di nuovi elementi.


Progettisti e collaboratori

La fase di sviluppo progettuale si è svolta nel periodo tra il 2009 e il 2013. In questo arco di tempo a collaborare con lo studio OMA vi è stato un team di progettisti, guidati da Federico Pompignoli, un team di ingegneri strutturisti ed un gruppo di esperti in campo normativo. Infatti, parallelamente alle scelte progettuali sono state effettuate le verifiche di fattibilità strutturale, normativa ed economica. GAD Studio ha lavorato, per conto di OMA, alla predisposizione della documentazione d’appalto, alla redazione dei computi metrici estimativi completi di analisi dei prezzi, alla redazione delle specifiche tecniche, seguendo l’intero sviluppo del progetto e “iter” dei costi dalla fase preliminare fino a quella definitiva per le opere strutturali, civili e di finitura. Favero & Milan e Prisma Engineering si sono occupati della parte inerente l’ingegneria strutturale. Alvisi Kirimoto & Partners e Atelier Verticale hanno collaborato come architetti locali. La consulenza da parte di questi collaboratori ha fatto sì che si potessero evitare rallentamenti da parte delle autorità di controllo. 16

Un esempio di questo tipo si è riscontrato nel momento in cui le rampe all’interno del progetto erano state disegnate con una pendenza dell’8%, facendo riferimento alla normativa italiana. Dallo studio di direzione lavori è stato notificato, invece, che secondo la norma vigente in Lombardia la pendenza doveva essere del 5%. Ogni soluzione progettuale deve, infatti, essere vagliata dalla commissione paesaggio del comune di Milano, per cui ogni modifica apportata al progetto in fase esecutiva deve subire nuovamente l’iter burocratico, della durata media di due mesi. L’importanza dell’aspetto normativo è emerso anche nella gestione del terreno filtrante, infatti la committenza si è espressa sfavorevole all’inserimento di zone verdi nell’area, invece secondo la normativa vigente è obbligatorio destinare una percentuale precisa dell’area a terreno filtrante. La soluzione finale scelta dai progettisti, una pavimentazione a griglia metallica, sviluppata in tempi brevi per l’imminente inaugurazione, è stata egregiamente messa in opera grazie ai fabbri.

Pagina a destra: Rem Koolhaas



Patrizio Bertelli Miuccia Prada

programmazione

committenza imprese Arricchire la città di Milano con uno spazio permanente dedicato all’arte contemporanea

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progettazione


Progetto esecutivo

Dopo l’approvazione del progetto definitivo da parte della sovraintendenza, del comune e degli organi competenti, è iniziata la fase di progetto esecutivo. È entrato in gioco un nuovo gruppo di lavoro che si è occupato di portare avanti i disegni esecutivi e prendere le ultime decisioni progettuali con OMA. Tra questi l’architetto Matto Budel, assistente alla direzione artistica per OMA, il quale non si è occupato direttamente della direzione dei lavori ma di supervisionare l’integrità con cui il progetto cartaceo è diventato il progetto fisico. Secondo la sua testimonianza, è stato proprio il rispetto del cronoprogramma uno dei maggiori problemi del progetto. Infatti, questo era stato sviluppato parallelamente al disegno esecutivo, e sarebbe servito a scandire tutte le fasi di cantiere affinché il progetto venisse ultimato nei tempi e nei costi previsti. Tuttavia, alla consegna dell’area di cantiere, avvenuta nell’ottobre 2013, i lavori di bonifica sono durati il doppio del previsto, facendo slittare il cantiere vero e proprio di un anno circa.


Il cantiere e le imprese

2008 COMMISSIONE

2009

2013

SVILUPPO PROGETTUALE

DOCUMENTAZIONE COSTRUTTIVA

CONSEGNA AREA DI CANTIERE

Nonostante la redazione del progetto sia stata molto accurata e sia stato disegnato il maggior numero di dettagli possibile, in fase costruttiva si sono presentate diverse complicazioni che hanno reso necessario l’intervento dei progettisti per trovare una soluzione. Un esempio ci è stato dato sempre dall’architetto Budel, che è stato costretto a dover risolvere un problema dovuto al mancato allineamento di un setto di un edificio esistente con uno di nuova costruzione; questo problema si è presentato a causa di un errore fatto durante la fase di rilievo. Quindi i ritardi nel cronoprogramma non sono stati dovuti, come si potrebbe pensare, alla “artigianalità” di alcune parti del progetto (il rivestimento in foglie d’oro e i pannelli in schiuma di alluminio), ma a certe mancanze in fase progettuale. La scelta dei materiali del pavimento è stata una di queste mancanze, risolta due mesi prima dell’inaugurazione. Allo stesso modo anche la risoluzione dello spazio esterno filtrante, che non era stato pensato accuratamente; in questo caso di grande importanza è stato l’intervento del fabbro 20

2014

2015

2016

PRE-APERTURA COMPLETAMENTO DELLA TORRE

che ha permesso la realizzazione di botole nascoste nella pavimentazione a griglie del cortile. Parte del merito della riuscita generale del progetto è da attribuirsi alle aziende e ai vari attori dei sub-appalti. Della costruzione generale (strutture e opere murarie) si è occupata l’impresa Colombo Costruzioni, mentre degli impianti meccanici tecnici ed elettrici si sono occupati: Tono Impianti e ALPIQ. Le opere di finitura sono state realizzate dalle seguenti aziende: AZA Aghito Zambonini, Della Camera, Docks & Docker, Fantini, LaVetraria, Maspero, M.C.M., G.B. Mauri, Metal Decò, MOVE, OMMG, Promo, Respedil, Teknelitos, Zanetti. Per l’illuminazione e le apparecchiature tecnologiche: Erco, Zumtobel, Samsung, Sirecom e Audionetwork, Cineproject, Eredi Caloi. Tutte queste aziende sono state protagoniste dello studio dei dettagli in fase esecutiva, infatti una volta consegnati gli appalti alle imprese, queste hanno messo a punto il disegno costruttivo, il quale doveva essere controllato dai progettisti per rispettare i requisiti formali del progetto.

In questa pagina: Cronoprogramma della Fondazione Prada Pagina a sinistra: Cantiere della Torre visto dall’interno del Deposito



Team OMA

Scheda tecnica

Indirizzo: Largo Isarco 2, Milano Area: Ex distilleria (SocietĂ Italiana Spiriti) situata in un complesso industriale risalente agli anni dieci del Novecento che comprende sette edifici preesistenti (magazzini, laboratori e silos) e tre nuove strutture (uno spazio espositivo per mostre temporanee, un ambiente multifunzionale dotato di una sala cinematografica e una torre). Estensione: Superficie edificata totale: 18.900 m2 Area aperta al pubblico: 12.300 m2 Area non accessibile al pubblico: 6.600 m2 22

Partner in Charge: Rem Koolhaas, Chris van Duijn Project leader: Federico Pompignoli Schematic Design: Alexander Reichert, Sam Aitkenhead, Doug Allard, Andrea Bertassi, Aleksandr Bierig, Eva Dietrich, Paul-Emmanuel Lambert, Jonah Gamblin, Joshua Beck, Takuya Hosokai, Stephen Hodgson, Jan Kroman, Jedidiah Lau, Francesco Marullo, Vincent McIlduff, Alexander Menke, Aoibheann Ni Mhearain, Sophie van Noten, Jan Pawlik, Rocio Paz Chavez, Christopher Parlato, Ippolito Pestellini Laparelli, Dirk Peters, Andrea Sollazzo, Michaela Tonus, Jussi Vuori, Luca Vigliero, Mei-Lun Xue Design Development: Anna Dzierzon, Jonah Gamblin, Ross Harrison, Hans Hammink, Matthew Jull, Taiga Koponen, Vincent Konate, Andres Mendoza, Susanan Mondejar, Vincent McIlduff, Federico Pompignoli, Sasha Smolin, Michaela Tonus Construction documentation: Katarina Barunica, Marco Cimenti, Cecilia Del Pozo Rios, Anita Ernodi, Felix Fassbinder, Peter Feldmann, Siliang Fu, Romina Grillo, Jonah Gamblin, Clive Hennessey, Taiga Koponen, Roy Lin, Debora Mateo, Vincent Mc Ilduff, Andres Mendoza, Federico Pompignoli, Arminas Sadzevicius, Magdalena Stanescu, Lingxiao Zhang Construction Administration: Mateo Budel, Marco Cimenti, Andrea Giovenzana, Nicolas Lee, Federico Pompignoli, Victor Pricop, Pawel Panfiluk, Caterina Pedo e Marton Printer Consultants Local Architects: Alvisi Kirimoto & Partners, Atelier Verticale Structural Engineer: Favero&Milan MEP Engineer: Favero & Milan, Prisma Engineering Cost Consultant: GAD Acoustic Engineer: Level Acoustics Scenography: Ducks Sceno Fire Engineer: GAE Engineering


Team Prada

Fornitori

Direzione Prada Engineering: Maurizio Ciabatti Project Leader: Maurizio Ciabatti Project Manager: Allestimenti: Giuseppe Zotti Autorizzazioni: Michela Goretti Costruzione: Pietro Cereghini Finiture: Giuseppe Zotti, Guido Bastiani, Security: Giuseppe Sinatra Safety: Alessio Bardus Produzione Bar Luce: Leonardo Simonti, Gianluca Geraci Approvvigionamento Beni e Servizi: Luca Donati, Davide Fantozzi, Giovanni Giuliani, Antonio Calderaro Responsabile dei Lavori: Pietro Cereghini Concept Bar Luce: Wes Anderson Progettazione Bar Luce: “Studio Baciocchi” Roberto Baciocchi, Monica Guarda, Gianni Serafini, Andrea Torelli Consulenti: Direzione Lavori e coordinamento: “CeAS” Bruno Finzi, Patrizia Polenghi, Valter Carni Prevenzione Incendi: “GAE Engineering” Giuseppe Gaspare Amaro Sicurezza: “EGSS Advising” Stefano Fantozzi Impiantistica e acustica Cinema: “ARTECH Digital Cinema” Laura e Claudia Porilli, Lucio Visintini, Angelo d’Alessio Geotermia: “Studio Idrogeotecnico Applicato” Efrem Ghezzi Bonifiche e Indagini ambientali: “Tecnitalia” Giorgio Bressi, Stefano Micco Collaudo statico: “M.S.C. Associati” Danilo Campagna Certificazioni: “Intertecnica Group” Marco Caffi

Strutture e opere murarie: Colombo Costruzioni Impianti meccanici tecnici: Tono Impianti Impianti elettrici ed elettronici speciali: ALPIQ Opere di finitura: AZA Aghito Zambonini, Della Camera, Docks & Docker, Fantini, La Vetraria, Maspero, M.C.M., G.B. Mauri, Metal Decò, MOVE, OMMG, Promo, Respedil, Teknelitos, Zanetti Opere e forniture di arredo: Fav Wood Working, Marconi Arredamenti, Maiser, Knoll Corpi illuminanti: Erco, Zumtobel Apparecchiature tecnologiche: Samsung, Sirecom Attrezzature Cinema: Audionetwork, Cineproject, Eredi Caloi

Team 2x4 Identità grafica: Michael Rock, Sung Joong Kim, Lucia Acedo, Dominic Borgia, Timothy Gambell, Derek Hunt, Jeffrey Ludlow, Ainhoa Martin, Florian Mewes, Milena Sadee, Jaewon Seok, Kristina Valberg


M


Il complesso

Pagina a sinistra: Vista del Podium e della Haunted House dall’ingresso principale

Il complesso si configura su un lotto di forma irregolare intercluso tra Via Giovanni Lorenzini a nord, via Orobia a Est e via Adamello ad ovest. L’ingresso accoglie il visitatore in un moderno Temenos dedicato all’arte, un recinto all’interno del quale si incontrano una serie di edifici nuovi e preesistenti. L’ingresso da via Orobia è definito dal vuoto presente tra l’Ala nord e la futura Biblioteca. La giustapposizione tra il patrimonio esistente e le nuove addizioni, è lampante già dai primi passi. A primo impatto il Podium, edificio completamente vetrato di nuova costruzione dai rimandi classici e miesiani, è il protagonista della scena, trovandosi in una posizione che contraddice l’impianto a corte. La Beam gallery si innesta sul Podium con una direttrice lineare, creando uno sbalzo che idealmente definisce un portale d’ingresso. Come un santuario greco, Il Podium non ha un ingresso diretto dagli spazi esterni e forza il visitatore a girarvi attorno, creando un corridoio visivo che accompagna fino all’ingresso. L’ingresso è decentrato e si pone alla fine di un corridoio urbano che affianca il Podium e dirige naturalmente il visitatore verso un muro in policarbonato che separa il Bar Luce dalla Biglietteria. Gli spazi della biglietteria affacciano sull’ingresso della Haunted House e del Podium, da una parte, e sull’ingresso dell’Ala sud, dall’altra: questa turbina distributiva tiene insieme tutti gli edifici di questa parte del complesso. La conformazione del complesso permette di visitare liberamente gli spazi esterni e pongono il visitatore di fronte a un percorso espositivo non forzato e differente dai white boxes generalmente presenti nei musei.

I nuovi edifici invadono la corte e si piazzano nel mezzo impostando due assi visivi di riferimento perpendicolari. Inoltre, è possibile accedere direttamente al principale spazio esterno, un cortile pavimentato su cui affacciano il Podium, l’Ala sud, il Cinema e l’Ala nord. la continuità è interrotta dal Cinema e dalla Cisterna, a partire dalla quale si creano variazioni di quota: una parte segue il livello di pavi- mento degli edifici dell’Ala sud e del Deposito, e l’altra scende costeggiando l’ingresso della cisterna. Il Cinema è un altro elemento che non passa inosservato a causa della sua facade-en-longeur a specchio che riflette il Podium. La Cisterna invece è uno spazio di grande altezza dove vi sono esposizioni temporanee. Lo spazio aperto, residuo degli edifici, è pavimentato con tre diversi materiali: traversine in legno tagliate trasversalmente, sampietrini e grate metalliche. Nonostante la continuità spaziale, sono riconoscibili due differenti zone di pertinenza. Dall’ingresso, i sampietrini accompagnano il visitato- re fino alla corte, permettendo di costeggiare gli edifici presenti con l’eccezione dello spazio fra Cisterna e Cinema, dove sono presenti dei grigliati metallici funzionali agli spazi tecnici sottostanti. le traversine di legno, invece, segnano i confini del Podium e l’ingresso degli spazi interni.Il complesso nella sua interezza appare vivace e mai noioso, capace di creare condizioni espositive differenti e testimone di una condizione nuova del museo, che vuole staccarsi dalla sua formale definizione per trasformarsi in un centro culturale fruibile da una ampia gamma di visitatori.


Ala Sud e Ala Nord

Gli spazi sono stati conservati nelle loro peculiarità formali e materiche. L’aggiunta di una struttura in acciaio di pilastri HE-300 all’esterno si è resa necessaria per adeguare l’edificio alle norme antisismiche vigenti. Questa addizione è resa evidente per dichiarata scelta progettuale e in questo caso è verniciata di arancione. L’edificio ha una forma trapezoidale estremamente rastremata, nonostante all’interno si percepisca una sequenza di spazi simili, esternamente appartiene a due diverse tipologie: la prima una struttura a luci non elevate con copertura piana; la seconda a luci maggiori coperta con una sequenza di falde. L’ingresso avviene dal lato più corto in corrispondenza della biglietteria. Lo spazio è suddiviso in una sequenza di stanze separate da setti murari e la loro dimensione cresce progressivamente; la distribuzione è assicurata da una serie di porte che definiscono un cono prospettico verso il deposito. Nel primo blocco non è stata alterata la suddivisione esistente. 26

Nella seconda parte, originariamente continua, sono stati inseriti dei setti murari in corrispondenza di ogni doppia falda. L’ala sud è l’unica parte della fondazione che ha valore permanente. Le opere sono esposte in progressione, seguendo la logica della distribuzione planimetrica. Nell’ultima di queste è stata rinominata quadrario, a causa dell’elevata quantità di opere presenti. Nonostante non sia presente un percorso espositivo forzato, questa sezione ha un valore potenzialmente introduttivo alla Fondazione in quanto ospita le prime opere acquistate dai coniugi Prada. L’Ala nord è molto simile a quella sud. Anche in questo caso il volume d’ingresso è differente da quello dello spazio successivo e presenta stanze molto piccole. Il secondo, invece, presenta la stessa tipologia dell’Ala sud, ma è controsoffittato ed è uno spazio rettangolare continuo in cui sono ospitate mostre temporanee. La struttura di acciaio, posta all’esterno nel lato che affaccia sulla corte e all’interno in corrispondenza della strada, è dipinta di bianco.

Pagina a sinistra: Vista interna dell’Ala Nord



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Deposito e Cisterna

In questa pagina: Lost Love, Damien Hirst, 2000, esposta nella Cisterna Pagina a sinistra: Esposizione all’interno del Deposito

Dopo aver percorso l’Ala sud, ci si ritrova inevitabilmente nel Deposito con un inaspettato e imprevedibile cambio di scala: si passa dagli spazi domestici, accoglienti e ristretti, dell’ala sud a un open space di dimensioni di quasi 2000 mq di superficie e un’altezza di 9 m. La struttura è costituita da due falde sorrette da una struttura a capriate in calcestruzzo e due file di travi reticolari a loro volta sorrette da due muri longitudinali e una fila di pilastri centrale in calcestruzzo.E’ stata aggiunta anche qui una struttura di rinforzo in acciaio, contraddistinta dal colore arancione. Questa sezione è dedicate all’esposizione di opere temporanee di grande esposizione. Parte del deposito esistente è stata demolita per permettere la costruzione della Torre, che sarà direttamente collegata al deposito e che avrà la stessa larghezza. La Cisterna è uno spazio a doppia altezza in parte interrato diviso in tre differenti ambienti. In passato ospitava i serbatoi per la produzione di distillati. L’ingresso avviene da retro ad un livello più basso rispetto alla corte. Attualmente ospita Trittico, una strategia che prevede a rotazione l’esposizione di un’opera dalla collezione della Fondazione per ogni ambiente della cisterna. La sua struttura in calcestruzzo è stata preservata e sono state aggiunte alcune aperture vetrate e una balconata al livello superiore.


Haunted House e Bar Luce

La Haunted House, così rinominata da Koolhaas per la sua spazialità intima, è uno degli edifici appartenente agli anni ’10 del Novecento. Si sviluppa su quattro livelli ed è interclusa su tre lati dal Podium e dagli spazi d’ingresso. I suoi spazi ristretti permettono la visita di pochi visitatori alla volta e ospitano mostre temporanee. Nonostante le ristrettezze spaziali, sono presenti ampie finestre che permettono la vista dello spazio urbano circostante. La struttura è stata rinforzata, ma ciò non è visibile né all’interno né all’esterno. E’ l’elemento preesistente che più attira l’attenzione a causa del suo rivestimento in foglia s’oro 24 carati. Koolhaas ha dichiarato riguardo: “E’ stata un’ispirazione dell’ultimo minuto per cercare di impreziosire quello che ha l’aspetto di un elemento semplice e ordinario. Inoltre abbiamo scoperto che l’oro è un materiale di rivestimento economico se paragonato a rivestimenti tradizionali come il marmo. Secondo me l’effetto più sor- prendente e adesso visibilie di questo è come l’oro e la luce riflessa dall’oro contamina l’intero am- biente. Non appena cambia la luce l’effetto di questo piccolo intervento è molto visibile da tutto il complesso.” Il progetto inizialmente non prevedeva particolari accorgimenti riguardo il bar. Situato tra via Orobia e la biglietteria, la sua progettazione per iniziativa della committente è stata affidata al regista ame- ricano Wes Anderson, che ha deciso di ispirarsi ai caffè milanesi tipici degli anni ’50 e ’60. Il Bar Luce è ricoperto da carta da parati che ritrae parti della Galleria Vittorio Emanuele di Milano men- tre gli arredi sono ispirati a due film italiani: Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951) e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (1960). Lo spazio non è simmetrico e non favorisce alcun punto di vista. 30


In questa pagina: Vista della Haunted House dall’interno della Beam Gallery Pagina a sinistra: Interno del Bar Luce


In questa pagina: Cinema e Ala Sud Pagina a destra: Dettaglio della facciata a specchio del Cinema

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Cinema

Il Cinema è uno spazio polifunzionale che si trova al centro della corte ed ha una forma rettangolare con un tetto giardino. Anche se ha l’aspetto di un edificio preesistente è uno degli edifici nuovi di progetto. Le facciata Est è completamente rivestita con specchi che dilatano lo spazio e creano rapporti con il resto del complesso. Un sistema meccanico, riutilizzato nel progetto di Gorky Park a Mosca, permette l’apertura di una parte di facciata, creando una comunicazione diretta con l’esterno. La facciata ovest è rivestita a specchio esclusivamente nella parte centrale, dove è presente il meccanismo di apertura. All’interno sono presenti 18 file di poltrone per un totale di 205 posti. Qui Koolhaas, come nei precedenti progetti della Kunsthal a Rotterdam e dell’Educatorium di Utrecht rende fruibili gli spazi sottostanti la gradinata: uno ambiente poco rifinito (come negli altri edifici presistenti della Fondazione) è utilizzato per mostre temporanee. Questo è un unico spazio completamente buio che non nasconde il piano obliquo dell’auditorium all’estradosso e continua a seguire la logica dell’opposizione dicotomica luce-ombra presente anche in altri spazi del complesso.


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Podium

Pagina a sinistra: Interno del Podium con l’esposizione Serial Classic curata da Salvatore Settis

Il podium è uno spazio neutro ed essenziale, di chiara ispirazione miesiana. Si tratta di un parallepipido completamente vetrato adibito ad importanti mostre temporanee. E’ uno degli edifici più rappresentativi del complesso. La struttura in acciaio è nascosta nel lato cieco, in cui sono ricavate anche le asole tecniche per gli impianti. Solo alcuni pilastri HE 400 sono presenti sul perimetro, in modo da non intaccare la massima libertà espositiva. Il solaio è formato da travi in acciaio reticolate. Gli infissi hanno un modulo di 270 cm, consentono di non perdere mai il contatto con lo spazio esterno e diventano elemento formale insieme al rivestimento in pannelli schiuma di alluminio, elemento più inusuale e sicuramente, un materiale inedito per l’architettura. L’ingresso avviene da uno spazio coperto adiacente alla biglietteria, da cui si riconoscono tre archi che rompono la regolarità modulare della facciata vetrata. Questi archi sono presenti nella facciata Sud del complesso originario e sono stati riportati tramite una virtuale estrusione su due lati del Podium, stabilendo uno dei due assi progettuali di riferimento.

L’altro asse è longitudinale a questo ed è un raggio visuale che dal Podium attraversa il cinema e arriva fino al deposito; per consentire questo una parte della facciata Ovest del Podium e le facciate laterali del cinema sono parzialmente apribili tramite un sistema meccanico. Lo spazio interno contiene pochi elementi come quello esterno: pannelli in schiuma di alluminio, utilizzati anche per i controsoffitti, vetrate e un pavimento di traver- tino iraniano. Da qui, tramite una scala, si può accedere ad un piano superiore, rinominato Beam gallery a causa della grande trave a sbalzo nero visibile sulle facciate. Questo elemento si innesta orizzontalmente sull’asse Sud-Nord a partire dalla facciata Sud fino a lambire l’ala Nord. Rispetto al Podium qui si crea un differente ambiente espositivo, a dimostrare la varietà architettonica svi- luppata dal progetto: a parte le vetrate presenti in corrispondenza del lato che affaccia sulla Haunted House, in questo piano non è presente illuminazione naturale. Ancora una volta si ripropone il tema del contrario tra la luce e il buio, tra il sotto e il sopra, filo conduttore dell’intervento.


Ala nord

Torre Cinema

Podium

Cisterna

Deposito Haunted House Bar Luce

Ala Sud

Pianta livello 0 Courtesy OMA

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Ala nord

Torre Cinema

Beam Gallery

Deposito Haunted House Bar Luce

Ala Sud

Pianta livello 1 Courtesy OMA


Prospetto Nord Courtesy OMA

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Sezione Ovest-Est Courtesy OMA

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Prospetto Est Courtesy OMA

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Sezione Sud-Nord Courtesy OMA


S


L’armonia del contrasto

Pagina a sinistra: Dettaglio del corrimano della scala che conduce al piano inferiore del Cinema

Uno sguardo generalista riesce immediatamente a campire migliaia di materiali e soluzioni tecniche sempre differenti in tutta la Fondazione. La sfida è stata cercare di comporre così tanti elementi, apparentemente dissonanti tra loro, e legarli in un insieme più ampio. Uno dei principi di questo progetto è quello della semplice giustapposizione, ovvero sperimentare cosa accade se si affianca a un corpo vecchio in intonaco un edifico nuovo rivestito con una facciata specchio. Ciò avviene senza la volontà di raffinare il giunto tra vecchio e nuovo, di rendere organica la transizione tra un elemento e un altro. Ciò che è di nuova costruzione invece fa del dettaglio preciso al millimetro la sua cifra stilistica. Tale tipo di approccio nasce dalla curiosità di vedere la reazione di un complesso esistente a delle operazioni brutali: in un insieme di edifici industriali di piccola-media scala si trova in un angolo una torre in cemento bianco alta sessanta metri, atterrato in mezzo al cortile si trova poi un padiglione in vetro e alluminio di circa trenta metri per trenta. Proseguendo in questa logica, il Cinema, un altro blocco apparentemente preesistente, ricostruito ex novo per questioni prettamente economiche, è stato tagliato nettamente lungo un lato creando una facciata a specchio che ne segue precisamente la sagoma sezionata, con un dettaglio ereticamente postmoderno. Tre tipi di intervento molto impattanti, che non devono

tuttavia essere considerati come una mancanza di rispetto ma che sono generati da uno spunto progettuale distillato dalla memoria contestuale. Infatti il complesso si è sviluppato a partire dal 1910 e ha continuato a evolversi secondo tale concetto di conglomerazione: si è costruita la distilleria, si è aggiunto un magazzino, successivamente un altro; le addizioni potevano essere anche molto diverse rispetto all’esistente; per esempio il deposito è un edifico che come scala non aveva niente a che fare con gli edifici preesistenti. Fra tutti, la torre degli alambicchi (ora Haunted House), più alta rispetto agli altri blocchi per ragioni funzionali, era un elemento dissonante all’interno del complesso. Proprio per questo motivo era particolarmente apprezzata dalla committenza e si è voluto dunque accentuarne il carattere iconico rivestendolo in foglia d’oro. La progettazione è stata compiuta a contatto con un ufficio che si occupa di progettare i negozi di Prada, il quale ha dei costi di riferimento al metro quadro. Tuttavia non è possibile parametrizzare il progetto della fondazione, in quanto ogni cosa è realizzata ‘su misura’ e pochi dettagli sono stati progettati per essere prodotti serie ottimizzando così il processo. Infatti lo studio OMA non ha mai avuto nella progettazione una cura del dettaglio così ampia. In questo caso le caratteristiche di specificità hanno portato a uno studio del dettaglio architettonico quasi maniacale.


Il rapporto con l’esistente

La scelta di mantenere le strutture preesistenti è derivata dalla commitenza, poiché gli edifici non avevano alcun tipo di vincolo conservativo. Gli adeguamenti strutturali preventivati a inizio progetto erano ridotti rispetto a quelli richiesti dalla normativa attuale, le operazioni di consolidamento dei solai e controventamento riuscivano ad essere molto meno invadenti e dunque a mascherarsi. Dopo del terremoto dell’Aquila la normativa è diventata molto più restrittiva, portando gli interventi di consolidamento a essere visivamente impattanti. Questa circostanza ha portato a un motivo formale, si è sfruttata dunque la geometria creata dalla sequenza dei pilastri in acciaio, ora in maggior frequenza, piuttosto che mascherarla aumentando lo spessore del muro. Geometria ulteriormente evidenziata attraverso la verniciatura di questi in diversi colori, quali arancione, nero o bianco, a seconda dei diversi spazi. La Haunted House è rivestita con circa tre chili di oro zecchino che ne fa una specie di icona di se stessa. Partendo proprio dal principio della valorizzazione, è stata fatta tutta una serie di analisi sulle tipologie di rivestimento, 46

tra materiali e colori. Finché non si è arrivati a pensare: “perché se vogliamo che sia prezioso non lo rivestiamo di foglia d’oro?“. Ci sono stati vari tentativi, prima con vernici dorate poi con l’orone, ovvero un oro meno prezioso, da sette o otto carati, o altre leghe. Si è giunti infine alla conclusione che l’ unica soluzione plausibile in termini di qualità, lucentezza e resa finale dell’ oggetto era oro da ventiquattro carati. Nell’ottica del gioco delle giustapposizioni e contrapposizioni, a un esterno estremamente ricco si affianca un interno fortemente povero, si è infatti lasciato l’aspetto industriale proprio di quell’edificio, ovvero pavimenti in cemento, soffitti grezzi, pareti intonacate e verniciate ma in maniera poco raffinata. Molte sono state le opinioni riguardo al significato simbolico di tale operazione, chi lo paragona agli edifici religiosi, chi lo vede come un modo di portare lucentezza al centro di Milano e chi comprende che si tratta semplicemente di una forma di plastificazione e iconificazione dell’oggetto, che è diventato infatti il simbolo di questa prima fase della Fondazione Prada.

Pagina a sinistra: Giunto tra il rivestimento di oro della Haunted house e della schiuma di alluminio del Podium



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0 5 x 5 . 5 N DU _ B B U

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37 29 UBB_UDN6.3x110

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concealed track for shading system ventilation aluminum grille, 25 mm plenum for air return, 270 x 420 mm glued gray travertine floor, 30 mm concrete screed, 100 mm Styrodur insulating panel, 75 mm glass facade, h 5000 mm 10 mm Stopray vision + 0.76 clear PVB + 10 mm Stopray vision Air gap 20 mm Argon 90% 10 mm Stopray vision + 0.76 clear PVB + 10 mm Stopray vision G value 32 U value 0.8 anodized aluminum windowsill, 5 mm wooden substructure, 20 mm Rockwool insulating panel, 120 mm supporting metal structure for the glass facade, h 500 aluminum foam cladding, 25 mm metal substructure, 135 mm concrete structure, 300 mm waterproof membrane, 3 mm Styrodur insulating panel, 135 mm Rockwool insulating panel, 120 mm anodized aluminum mullion cladding, 118 x 450 mm concealed track for shading system aluminum foam cealing, 13 mm metal cealing substructure, 80 mm service slot (lighting and hanging), 170 mm

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air supply slot, 45 mm Metecno insulating panel, 60 mm anchor metal substructure, 40 mm aluminum foam cladding, 45 m metal beam IPE 600 Rockwool insulating panels, 200 mm aluminum corner profile, 5 mm aluminum foam roof, 13 mm metallic gutters metal floating roof substructure, h 100 mm waterproof membrane, 3 mm metal floating roof adjustable feet, h 180 mm concrete block for counterweight corrugated metal deck with concrete cast, 120 mm Styrodur insulating panels, h 270 mm secondary steel structure IPE 300 primary steel structure IPE 450 Metecno insulating panels, h 120 mm assembled metal beam, h 1100 mm aluminum foam cealing, 13 mm concrete screed, 70 mm concrete screed, 80 mm plasterboard, 15 mm aluminum foam cladding, 25 mm removable sliding exhibition panel, 85 mm

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Il podium: lo spazio universale

Pagina a sinistra: Dettagli: Interfaccia tra Podium e Beam Gallery; Copertura del Podium; Attacco a terra del Podium

Il podium può essere considerato centro nevralgico del progetto, creato per fungere da spazio espositivo ideale, può assumere infinite configurazioni ed è studiato per risultare estremamente flessibile. Molto ragionati sono inoltre gli aspetti di percezione ambientale: all’interno di tale spazio generico, vetrato, apparentemente senza prospetti, ci si rende conto che la prossimità degli edifici circostanti conferisce ad esso una dimensione molto più accogliente. Ciò avviene massimamente orientandosi verso nord ed est; sorprendentemente, rivolgendosi poi ad ovest, verso il cinema, la facciata a specchio moltiplica la dimensione della piazza antistante, dilatando così lo spazio.Si cominciano così a intuire le notevoli potenzialità che nascono dalla spazialità del Podium, che anche internamente riesce a configurarsi in un notevole grado di sfumature. Salendo al piano primo, attraverso una lunga scala racchiusa in un involucro opaco che emerge esternamente, si giunge a un ambiente di transizione che apre verso il tetto a falde della biglietteria, il quale impedisce di cogliere l’orizzonte, e la svettante e luccicante Haunted House. Percorsi pochi metri affiancando questa vista, si accede poi a uno spazio ampio detto Beam (trave, poiché si trova sospeso sul podio), senza aperture verso l’esterno. La condizione di luce risulta completamente opposta e questo attesta una ragione espositiva differente.

Si è voluto qui creare una sorta di ‘museo ideale’. L’intenzione della committenza era quella di avere degli spazi che stimolassero la creatività compositiva dei vari artisti, offrendo loro una vasta gamma di allestimenti possibili in varie condizioni luminose e distributive.Per arrivare a tali condizioni si è operato un attento e dettagliato studio impiantistico. La climatizzazione è programmabile per qualsiasi tipo di scenario in modo tale che si possano ospitare anche opere con particolarinecessità ambientali. Il Beam ha un ulteriore grado di specializzazione, poiché essendo una sala completamente isolabile attraverso una porta scorrevole a tenuta, vi si può ottenere un ulteriore controllo climatico specifico, adatto ad esempio a opere antiche. L’impianto illuminotecnico nel Podium è formato da una fila di neon regolabili cromaticamente, su un asse, che assicurano una luce di fondo e, sull’altro asse, un sistema di faresti orientabili secondo le necessità espositive. Si viene a formare una doppia griglia che contiene anche dei binari, utilizzabili per appendere opere. Per la struttura portante del Podium si era inizialmente pensato di poterla realizzare con materiali o forme che richiamassero la spugna. Una volta valutata l’irrealizzabilità economica di una maxi spugna, si è scelta la schiuma di alluminio per il rivestimento esterno ed interno.


I materiali Se nella Fondazione Prada il linguaggio degli edifici è ortogonale e minimale, il loro rivestimento non lo è. Niente, all’interno del campus, è neutrale: ogni edificio presenta uno strato di riferimento che lo individualizza. Per le superfici sono stati scelti dei materiali che ricordassero il passato industriale del complesso: dal cemento a vista, al legno, al ferro delle strutture. Il legno in particolare che veniva usato per l’industria pesante, perché materiale ammortizzante, nella fondazione è stato utilizzato per la pavimentazione, sia interna che esterna, da vecchie traversine ferroviarie di quercia tagliate. La scelta di questo materiale è stata effettuata in ritardo rispetto al programma e ciò ha comportato dei disagi durante la fase di cantiere. Il legno, che ha un ciclo di stagionatura di 6 mesi, è stato messo in opera in 2 mesi e ciò ha comportato, con la pioggia, degli ingrossamenti e dei cambiamenti nell’andamento delle superfici – in seguito stabilizzati. Il metallo è stato impiegato nelle griglie dei pavimenti esterni (in corrispondenza delle superfici filtranti) e come elemento caratterizzante del guardaroba e dei bagni annessi. Questi spazi si definiscono, per contrasto dal piano superiore molto luminoso (dalle pareti in policarbonato translucido), come un mondo interrato molto metallico, simile ad un carcere. Il podium presenta uno strato di vetro che alterna trasparenza e riflessione e trasforma l’ambiente, rendendolo metafisico. In questa maniera viene dato un peso alla prossimità o lontananza con gli edifici intorno: verso nord ed est si trova una dimensione accogliente, mentre verso il cinema, che presenta una superficie a specchio, 50

lo spazio viene da questa moltiplicato, acquistando un ulteriore grado di novità. A caratterizzare il podium si trova inoltre la schiuma d’alluminio, materiale mutuato dalla ricerca aerospaziale. L’idea originaria era quella di creare un edificio la cui struttura stessa fosse una gigantesca spugna di cemento o di metallo, ed erano infatti state avviate in partenza delle analisi sulla possibilità strutturale dei materiali spugnosi. Gli eccessivi costi hanno fatto ridimensionare i piani e si è infine deciso di cercare un materiale il più simile possibile alla prima idea progettuale, facendo ricadere la scelta sulla schiuma di alluminio. All’interno il pavimento è di pregiato travertino dell’Iran, i cui buchi sono stati riempiti in resina –a dimostrare la cura maniacale del dettaglio che caratterizza questo progetto. La Haunted House presenta un rivestimento ad oro a 24 carati (200.000 fogli per un totale di 3 kg di oro zecchino) che le attribuisce un valore simbolico, facendola diventare un faro verso questa parte poco conosciuta della città. Al di sotto del rivestimento in foglia oro si trova uno strato di pittura rossa: con il tempo l’erodersi dello strato superiore dorato porterà in luce lo strato rosso sottostante, generando un effetto sempre nuovo. La grande varietà dei materiali presenti riflette la complessità generale del progetto. Una sfida è stata infatti cercare di tenere tutto insieme, gestendo il progetto per giustapposizione: per esempio, superfici a specchio sono accostate a corpi vecchi in intonaco industriale in maniera brutale, ma di effetto. Il tutto in un dialogo tra lusso e semplicità che rappresenta la cifra stilistica del progetto di Oma.

Pagina a sinistra: Il rivestimento in pannelli di schiuma di alluminio del Podium



In senso orario: 1. Griglia metallica 2. Pavimentazione in legno 3. Rivestimento in oro 4. Alluminio traforato

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In senso orario: 1. Travertino iraniano con resina 2. Policarbonato alveolare 3. Acciaio 4. Cemento liscio


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Intervista a Matteo Budel

assistente alla direzione artistica per OMA

Qual è il suo ruolo all’interno del progetto? Sono assistente alla direzione artistica per OMA, il quale non si occupa direttamente della direzione dei lavori ma supervisiona l’integrità del processo con cui il progetto cartaceo diventa il progetto il fisico. Inoltre, dal momento che quando venne consegnato il progetto (Ottobre 2013) non era ancora stato sviluppato in ogni sua parte a livello esecutivo, l’ufficio si occupa di affinare il design delle parti ancora in iter progettuale. Si tratti di dettagli costruttivi o di veri e propri spazi, come nel caso degli ambienti della torre. Ogni operazione che si compie nella sede di Milano è in stretta cooperazione con l’ufficio di Rotterdam e spesso lo stesso Rem Koolhaas visita il cantiere per supervisionare l’avanzamento della progettazione e della realizzazione. Come si pone la Fondazione Prada nel percorso progettuale di Rem Koolhaas?

Pagina a sinistra: Spazio che probabilmente ospiterà una Biblioteca

Sono anni che la ricerca di Koolhaas si sta asciugando, nell’ultimo periodo la ricerca di OMA sta muovendosi verso l’analisi del generico. Siam stati presi da ciò che è specifico e unico.

CCTV è l’ultimo grande edificio ‘pavone’ di OMA. Gli edifici di quel periodo sono di questa stessa tipologia. Da quel momento in poi la linea ha riguardato semplificazione e purificazione. Fondazione Prada è un grande edificio, ma torna alle origini. Tutti hanno detto che il podio è un edificio miesiano, molto generico. Vediamo qui una calibrazione dei suoi principi, riveduti e corretti in questi 20 anni di ricerca. Ricerca che ha prodotto edifici come il De Rotterdam, che sembra tutt’altro che semplice, ma che in realtà non è niente di più della sua scala. Edificio la cui progettazione è iniziata nell’97 e che, nel corso dell’evoluzione del progetto, è diventato il modello di questa aspirazione al generico, cioè un edificio che non è tanto semplice dal punto di vista realizzato e compositivo, ma che ha una grande è basilare caratteristica: la scala. In fondazione Prada l’unica cosa che conta non so quale è. L’edificio pur avendo delle caratteristiche semplici appartiene ad una fase in cui la complessità è abbastanza evidente: i materiali, la scelta delle forme... C’è chi dice che potrebbe essere l’ultimo della sua specie, con una complessità così evidente. Lo studio OMA non ha mai avuto nella progettazione una cura del dettaglio così ampia. In questo caso le caratteristiche di assoluta specificità del progetto hanno portato a uno studio del dettaglio architettonico quasi maniacale.


In questa pagina: OMA, CCTV building, 2012, Beijing Pagina a destra: OMA, De Rotterdam, 2013, Rotterdam

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Come si è arrivati a progettare delle soluzioni così particolari come i rivestimenti in schiuma di alluminio?

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La storia del rivestimento in schiuma di alluminio parte dal fatto che la struttura dell’edificio doveva essere di quel materiale, era stata fatta un’analisi in partenza sulla possibilità strutturale dei materiali spugnosi, la questione era: si può creare un edificio la cui struttura sia effettivamente una gigantesca spugna di cemento piuttosto che di metallo? Questa analisi è una cosa che è piaciuta molto al cliente. Tuttavia, nel portare avanti questa idea, si è scoperto che il costo di questa operazione sarebbe stato una cosa che andava al di là di qualsiasi scala. Si è poi deciso di cercare un materiale il più simile possibile al tema progettuale che si era sviluppato. Per quanto riguarda la varietà dei materiali, è stata una sfida il cercare di metterli insieme. Uno dei principi di questo progetto è quello della semplice giustapposizione, ovvero: cosa succede se io affianco a un corpo vecchio in intonaco un edifico nuovo in specchio? Ma non senza cercare di raffinare il giunto e mettere in comunicazione un edificio con l’altro. C’è stata la curiosità di vedere la reazione di un complesso esistente a delle operazioni brutali, secche. Per esempio abbiamo una torre in un angolo alta sessanta metri, un edificio di trenta metri 58

per trenta piazzato in mezzo al cortile, un altro trasformato in cinema e tagliato da una facciata a specchio. Tre interventi molto pesanti che non dovevano essere considerati come una mancanza di rispetto per l’esistente ma che nascono da uno spunto progettuale molto inerente. In fondo tutto il complesso si è sviluppato a partire dal 1910 in maniera additiva. Si è fatta la distilleria, si è aggiunto un magazzino, poi un altro.

E riguardo alla torre d’oro? La torre d’oro era quell’elemento un po’ dissonante all’interno del complesso. Doveva essere la torre degli alambicchi, serviva che fosse alta ed è il motivo per cui quando il complesso era ancora una distilleria e non c’erano ancora edifici di Prada nella configurazione della distilleria, quell’edificio era uno di quelli che piaceva di più al cliente, perché era la cosa strana all’interno del complesso. Motivo per cui gli è stato attribuito un valore iconico, il tema era valorizzarlo il più possibile. Ci sono stati vari tentativi, prima con vernici dorate poi con l’orone ovvero una materiale di sette o otto carati; poi qualche altra lega e infine si è arrivati alla conclusione che l’unica soluzione plausibile in termini di qualità della


lucentezza e resa finale dell’oggetto era l’oro zecchino. quindi si è deciso di coprire l’edificio con tre chili circa di oro, trasformando l’edificio in una specie di icona di se stesso. Alla fine è come certe opere di arte contemporanea, la gente ci vede quello che vuole: c’è chi lo associa agli edifici religiosi, chi a un modo di portare lucentezza al centro di Milano, chi capisce che è semplicemente una forma di plastificazione e iconificazione dell’oggetto che è diventato il simbolo di questa prima fase della Fondazione Prada... in fondo è tutto questo.

Ci sono dei principi propri di Prada nella Fondazione? Prada e OMA collaborano insieme ormai da vent’anni e tra loro esiste una certa affinità. La signora nelle sue collezioni inserisce spesso accostamenti forti e apparentemente insensati, un esempio sono le famose gonne in neoprene ricamate... perché uno dovrebbe ricamare il neoprene? Lei risponde: ‘perché no! Proviamo!’. Oppure le scarpe in stile inglese cono le zeppe arancioni. Si tratta di uno stile costruito su una serie di elementi che sono fortemente in contrasto tra di loro ma che proprio in questo contrasto trovano la loro forza e il interesse. Spesso questa è la cifra stilistica anche di OMA, in molti

progetti si è voluto sperimentare cosa poteva nascere dal conflitto, per esempio nella Kunsthal di Rotterdam con i pavimenti in travertino bellissimi ma rivestito in ondulato plastico con cui si fanno i capanni. C’è sempre stata questa volontà secondo me di giustapposizione degli elementi. Per cui si sono trovati e hanno visto che questa cosa funzionava. Uno dei primi frutti di questa collaborazione è stata la campagna pubblicitaria pubblicata su Content, un libretto uscito una decina di anni fa per la mostra di Prada a Berlino, in cuivenivano messi sui cartelloni delle foto prese dall’alto di gente che vendeva le borse finte di Prada con il logo identico, il concetto era che se cominciano a vendere i finti delle tue borse significava che eri arrivato al massimo del successo. E questo all’epoca era stato condiviso e apprezzato dalla signora Prada. Quando poi è cominciato anche il rapporto OMAAMO, per la gestione delle sfilate, uno degli show più dirompenti è stato quello in cui all’interno di Fogazzaro avevano deciso di disporre in modo indifferenziato dei cubetti in foam in cui i visitatori sedevano e le modelle giravano intorno senza seguire un senso. Per cui non si sapeva come seguire la sfilata e questo questo ha creato molto scalpore nell’establishment della moda. Era stato fatto apposta per destabilizzare, era un conflitto: fino a quel momento tutti avevano sempre usato la passerella.


ll rivestimento è il vestito di tutto il progetto? Non necessariamente. Perché un vestito puoi cambiarlo, qui noi vorremmo che non cambiasse, sono una serie di episodi che vogliamo che rimangano. Lo specchio vogliamo che rimanga uno specchio perché contribuisce a trasformare l’ambiente, a renderlo più metafisico. Quando sei dentro al podio, che è un edifico vetrato apparentemente senza prospetti, ti rendi conto che invece la prossimità degli edifici intorno improvvisamente ti ridanno una dimensione molto più accogliente di quello spazio. Hai una dimensione accogliente verso nord e verso est, poi improvvisamente ti giri verso il cinema e lo specchio e ti rendi conto che quello spazio viene improvvisamente moltiplicato, si raddoppia. Quindi tu hai questi mille metri quadri di travertino grigio e vetro che in realtà assumono tutto un grado di sfumature e possibilità e viste notevoli. Sali al piano sopra e sei improvvisamente al chiuso, al buio e hai una condizione di luce e espositiva completamente opposta. il ‘nome in codice’ di quell’edificio durante la progettazione era ‘museo ideale’. L’intento era quello di creare situazioni espositive infinite, cioè non il solito museo ‘scatole bianca’, non volevamo e non voleva nemmeno la committenza che fosse così ma si è cercato che fosse uno spazio che forzasse chi entrava, artista o visitatore, a interagire o a essere perlomeno stupito da questi spazi. Infatti gli artisti che hanno iniziato a girare per il museo o il podio per pensare le prossime esposizioni sono stati tutti molto stupiti dalla spazialità dell’edificio. 60

Sono rimasti invece tutti stupiti negativamente dal passo dei pannelli in alluminio all’interno della sala al piano superiore. Con il materiale riescono ad interagire, mentre il passo dei pannelli li forza troppo nella gestioni di quella che potrebbe essere un istallazione, o un avvenimento, o proiezione. Il fatto di esporre in un ambiente che è esso stesso un’opera d’arte non spaventa gli artisti? Io credo non si tratti di un’opera d’arte di per sé. Secondo me tutto sommato il museo fugge l’effetto Bilbao, o Maxxi, semplicemente perché è composto da spazi rettangolari. Per quanto caratterizzati sono comunque degli spazi abbastanza semplici non monumentali e fine a se stessi. Il Maxxi di Roma invece è un bellissimo edificio ma non ci si riesce ad appendere quasi niente: si entra e ci si perde completamente nella sinuosità delle forme dallo spazio, senza poter prestare troppa attenzione a ciò che vi viene esposto. La fondazione Prada non vuole essere l’opera d’arte che si mette in conflitto con le opere esposte. Anche perché molti degli spazi erano esistenti; la galleria sud, ad esempio, non è stata variata sostanzialmente, era già presente una sequenza di stanze che arrivava al gigantesco magazzino, il quale risultava come uno spazio indifferenziato, per cui, dal nostro punto di vista, lo si doveva solo enfatizzare nella sua enormità. In questi spazi la nostra presenza si è ridotta dunque al solo inserimento dei setti e della struttura di supporto in travi arancioni.

Pagina a destra: OMA, Kunsthal 1993, Rotterdam



Fotografie

In questa pagina: Vista dall’ingresso Pagina a destra: Vista dall’ingresso

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Pagina a sinistra: Biglietteria Pagina a destra: Ingresso dei bagni del Bar Luce


In questa pagina: Spazio retrostante la Biglietteria Pagina a destra: Bagni nella zona della bigliettereia

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Pagina a sinistra: Deposito Pagina a destra: Quadrario presente nell’Ala Sud


In questa pagina: Scale dello spazio sotterraneo del Cinema Pagina a destra: Cisterna e Cinema visti dalla corte secondaria

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Pagina a sinistra: Affaccio del Podium e del Cinema sulla corte principale Pagina a destra: Porta della Cisterna


In questa pagina: Vista della corte dall’ ingresso del Podium Pagina a destra: Spazio esterno su cui affacciano Ala Sud, Deposito, Cisterna, Cinema

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Pagina a sinistra: Ingresso del Podium Pagina a destra: Dettaglio della porta del Podium


In questa pagina: Vista della futura biblioteca dall interno del Podium Pagina a destra: Interno del podium durante l’esposizione di Gianni Piacentino

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Pagina a sinistra: Vista della Haunted House dall’interno della Beam Gallery Pagina a destra: Dettaglio della porta del Podium


In questa pagina: Terrazza della Haunted House Pagina a destra: Particolare della grondaia della Haunted House

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Pagina a sinistra: Guardaroba Pagina a destra: Dettaglio della porta della Biglietteria


In questa pagina: Bagni del Bar Luce Pagina a destra: Bar Luce

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Bibliografia Prada Foundation, Fred Bernstein, Architectural Record, Luglio 2015, pag. 56 Fondazione Prada — Un’opera coraggiosa, intelligente, ben fatta, Casabella, 850, Giugno 2015, pag. 30 Projects for Prada part 1 / OMA/AMO, Rem Koolhaas, Rem Koolhaas, Milano, Prada Edizioni, 2001 Rem Koolhaas, Bruce Mau, S, M, L, XL, Koln, Taschen, 1997

Sitografia www.fondazioneprada.org oma.eu/projects/fondazione-prada www.archdaily.com/628472/fondazione-prada-oma oma.eu/publications/unveiling-the-prada-foundation www.indexmagazine.com/interviews/rem_koolhaas.shtml www.zeroundicipiu.it/2015/09/08/il-diavolo-riveste-prada/ www.gizmoweb.org/2015/09/prada-koolhaas-e-altri-diavoli/ www.domusweb.it/it/architettura/2015/05/11/fondazione_prada_a_milano.html www.dezeen.com/2015/05/03/oma-fondazione-prada-art-centre-gold-leaf-cladding-wes-anderson-cafe- milan/ www.architectural-review.com/today/there-is-inherently-aplay-between-the-idea-of-private-wealth- and-public-display/8687397.article?blocktitle=OMA&contentID=13472


Crediti

Cover © Cristiano Gerardi

© Bas Princen pag. 34

© Vittorio Zunino Celotto pag. 6

© OMA pagg. 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43

© Iwan Baan Pagg. 9, 56 © Art Partner/Mario Sorrenti Pag. 11 © Garage Museum of Contemporary Art Pag. 11 © AMO Pag. 12 © Armin Linke Pag. 13 © Ilan Rubin pag. 17 © Attilio Maranzano pagg. 29,30 90

© Raban Haaijk pag 57 © Ossip van Duivenbode pag 61 © Cristiano Gerardi pagg. 14, 64, 71, 75 © Livia Giani pagg. 19, 21, 33, 44, 47, 51, 52, 53, 54, 62, 63, 66, 68, 70, 73, 74, 77, 78, 79, 83, 85, 86, 87 © Egidio Giurdanella pagg. 24, 27, 28, 31, 32, 65, 67, 69, 72, 76, 80, 81, 82, 84




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