Perle di Terra

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PERLEdiTerra BiodiversitĂ , prodotti tipici ed enogastronomia delle valli del Cesano e del Metauro

o Azione Loc ale upp

Gr

Unione Europea

Regione Marche

P.C.I. Leader+

Programma di iniziativa comunitaria Leader piĂš misura 3 azione 3.3 (commercializzazione valorizzazione e promozione del territtorio e dei suoi prodotti) del c.di p. Regione Marche - misura 4 azionee 4.10 (valorizzazione delle produzioni tipiche e della biodiversitĂ ) del p.s.l. Flaminia Cesano


PERLEdiTerra

o Azione Loc ale upp

Gr

Biodiversità, prodotti tipici ed enogastronomia delle valli del Cesano e del Metauro

Il progetto "perle di terra" promosso dal GAL "Flaminia Cesano” vuole sia dare un suggello all'attività svolta nella programmazione 2000/2006 in merito alla valorizzazione e promozione delle produzioni tipiche e della cultura gastronomica sia costituire il punto di partenza per lo sviluppo di nuovi progetti per la progammazione 2007/20013 che potrà estendersi anche ai nuovi comuni entrati a far parte del GAL. Dopo lo studio e la pubblicazione del volume “l'aratro, l'aia e l'arola” fortemente voluto e realizzato da questa società e che ha ottenuto un grande successo del quale senza falsa modestia andiamo orgogliosi, un convegno e una mostra sui nostri prodotti tipici non potevano che essere la migliore conclusione per promuovere il nostro territorio, per riscoprire e valorizzare le tipicità e creare la consapevolezza di quanto questo settore possa esprimere in termini di sviluppo economico e di prospettive occupazionali. L'attività svolta nell'ambito della biodiversità del territorio ha consentito, tramite un'intensa attività di ricerca, il recupero produttivo di numerose specie in via

di estinzione, come la pera angelica, il rafano di Barchi, il rosso Pergola, la cipolla di Suasa, la favetta di Fratte Rosa. Queste e tante altre sono le colture tradizionali tipiche che vanno protette come prezioso bene comune culturale, ambientale ed economico. Pensando alla realizzazione del progetto “Valorizzazione delle produzioni tipiche e delle biodiversità” era naturale riferirsi a prodotti preziosi, frutto della natura e dell'uomo, per questo è stato altrettanto naturale definire “perle di terra” i risultati che la terra, l'uomo, la sua fatica, la sua intelligenza producono e che, come le perle di mare, risultano preziose e ricercate. La mostra ed il convegno "perle di terra", che vedono coinvolte circa 40 aziende agricole ed agroalimentari del territorio e che vedranno la partecipazione di esperti dell'agricoltura e del turismo potranno rappresentare un momento di confronto con una nuova idea e una nuova filosofia che metta la cultura dell'esperienza al centro del modello di sviluppo per ottenere nuove imprese, nuovi turismi, nuovi saperi, per la creazione di valore nella nostra comunità locale.

Rodolfo Romagnoli Presidente


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CIPOLLA DI SUASA Cenni storici e tradizioni La vallata del Cesano, da sempre per la sua fertilità è stata considerata un orto disteso lungo tutto il territorio, con variegato assortimento agronomico in grado di connotare con colori diversi anche la sembianza stessa di un paesaggio inconfondibile. L’abilità degli orticoltori è riuscita in tempi passati e recenti a radicare l’eccellenza di alcuni prodotti tra cui quella particolare cipolla, coltivata da almeno più di un secolo, che ha identificato gli abitanti dei due borghi produttori, Castelleone di Suasa e San Lorenzo in Campo, come ricorda una testimone della metà del secolo scorso: “noi in quel periodo stavamo giù ‘l borghetto e coltivavamo la cipolla e l’aglio sulle sponde del Cesano e dall’altra parte c’erano quelli di Castelleone che facevano la stessa cosa”. I due paesi erano, in questa produzione, letteralmente rivali perché contrapposti nelle sponde dei due differenti territori provinciali, di Ancona e di Pesaro e Urbino. Una testimonianza ricorda in proposito come in una famiglia si rivolgeva a San Francesco, patrono di Castelleone, pregandolo di “far piovere sulle cipolle nostre e non su quelle di (due famiglie che la coltivavano sulla sponda opposta del fiume) che loro non ne hanno bisogno!”; la medesima richiesta era magari formulata a parti invertite dagli stessi dirimpettai “rivali”. Tra le altre memorie raccolte quelle di un’anziana signora di San Lorenzo in Campo che fin da bambina era bravissima a confezionare le trecce: “La treccia d’aglio è di 50 capi , 25 per parte, si vendevano più cipolle che aglio. Una volta mi hanno portato con loro alla fiera di Fossombrone , una volta a Pesaro e una a Senigallia; quando è morto il por babbo abbiamo durato a piantare le cipolle perché venivano a casa a comprarle quelle belle trecce, io e la pora mamma non avevamo i mezzi per portarle a vendere alla fiera”. La conservazione della cipolla sia a San Lorenzo in Campo che a Castelleone di Suasa avveniva con tempi e modi simili ma non uguali: a Castelleone si facevano le “mpingole”(mazzetti di cipolle che venivano appesi a un palo) mentre a San Lorenzo si facevano i “pajari”(le cipolle venivano ammassate tutte insieme).

Intere famiglie erano coinvolte in questo lavoro e tutti avevano dei compiti diversi da svolgere: le donne erano brave ad intrecciare le cipolle che poi venivano vendute al mercato dagli uomini; le persone anziane sono solite dire: “de giorno se fattigava per fa le trecce de copilla e de notte se viaggiava per gi nte mercati”; spostandosi infatti con carretti trainati da cavalli era necessario partire la notte per essere al mattino presto al mercato. Valorizzazione e consumo La cipolla di Suasa si caratterizza per tuniche esterne rosacee, molto dolci, il colore è vinaccia, la forma semibulbosa di calibro medio-grosso. La varietà predilige terreni dal medio impasto tendenzialmente sciolti ma si adatta anche a quelli argillosi purché freschi, profondi, ricchi di sostanza organica, con buona disponibilità di acqua. La raccolta avviene al momento dell’appassimento della parte aerea, a partire dai primi dieci giorni di luglio. La produzione media dei bulbi è di circa 30-35 tonnellate per ettaro. È indicata per il consumo fresco vista la sua scarsa conservabilità. Gli impieghi ottimali in tavola ed in cucina sono pertanto da cruda con il pane ed in insalata (perfetto l’abbinamento con il tonno) e cotta alla brace, in umido con patate e peperoni, in teglia, o come ingrediente per zuppe e minestroni, frittate, ricette di baccalà, e la peculiare “cipollata” con zucchine in padella. Ogni anno l'associazione turistica “ProSuasa” organizzata a Castelleone di Suasa la tradizionale Festa della Cipolla, dove si cerca di diffondere questa specialità locale mediante ricette più o meno tradizionali come le classiche cipolle fritte o in agrodolce e la più strana marmellata alla cipolla o il liquore alla cipolla.

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FAVETTA DI FRATTEROSA O “FAVETTA DI LUBACO” Cenni storici e tradizioni Fratte Rosa sorge tra le valli del Metauro e del Cesano a 419 metri sul livello del mare su terreni fortemente argillosi denominati “lubachi”. L’eccessiva presenza di argilla ha favorito la costruzione di “ case di terra” prima, delle pignatte e cocci poi, pratica artigianale caratteristica ed identitaria del paese, nonché la coltivazione di specie vegetali come determinate leguminose che ben si adattavano all’ambiente. Nel tempo l’interazione tra le piante coltivate ed il terreno così argilloso ha portato alla selezione di una qualità di fava molto particolare, sicuramente derivante da incroci spontanei fra favino e fava. La varietà locale che si è imposta nel tempo si distingueva dalle altre per la particolare dolcezza e tenerezza del grano anche a piena maturazione. Non è un caso che nella preziosissima documentazione storica rappresentata dal repertorio visivo e dall’iconografia delle nature morte del pittore settecentesco fanese Carlo Magini si ritrovino sia gli inconfondibaili cocci color melanzana di Fratte Rosa sia il baccello della fava di queste terre. Era una volta diffuso tra i residenti di Fratte Rosa il detto che “la fava migliore è quella che viene dai lubachi”, non è una questione campanilistica ma un dato certo dovuto alla natura argillosa dei terreni. Sin da tempi remoti, la fava veniva essiccata e quindi macinata, ricavando così una farina che era un surrogato prezioso rispetto a quella pregiatissima ed in genere rivenduta del grano, ed a quella più umile del granturco, entrato dal pieno Settecento tra le colture cerealicole più importanti di questa regione e di questo territorio. La farina di fava costituiva certamente una valida garanzia contro il rischio frequente di maltempo o calamità che causavano carestie e penuria dei raccolti principali di granaglie: tutte le principali pratiche e preparazioni alimentari si sono pertanto adattate a questo speciale sfarinato di legumi, dalla panificazione alla preparazione di impasti vari, per minestre quando anche non per episodici dolci. L’umile cucina tradizionale dei

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contadini ed artigiani del borgo ha pertanto codificato nel tempo i “tacconi”, pasta ottenuta miscelando farina di grano e di fave, con formati diversi. Valorizzazione e consumo La varietà predilige terreni argillosi e calcarei, profondi e freschi. La concimazione è tipica delle leguminose con fosforo e potassio all’impianto. Ideale, se reperibile, la concimazione organica di fondo. La semina si effettua in ottobre in buche distanti tra loro 70/80 cm utilizzando circa 200 kg/ha di semente. Le cure colturali riguardano più sarchiature seguite da rincalzature e scerbature. La raccolta avviene allo stato fresco per il consumo umano, a partire da maggio inoltrato ed è graduale. La produzione media è di circa 30 quintali per ettaro. Le fave fresche costituiscono una tradizionale merenda per le scampagnate di maggio con il formaggio pecorino. Le fave secche decorticate possono essere preparate in purea condite con olio di oliva ed erbe aromatiche. Lo stufato di fave piccole si prepara con l'olio, l'aglio e del succo di limone. Tradizionali le fave in porchetta, cioè fresche un po' dure da farsi in umido e le fave in potacchio, fave alle acciughe e al tonno, più varie erbe aromatiche. Le fave lesse si condiscono con olio e aromi vari. Produttori - "I Lubachi" Fratte Rosa - Cell. 338 2329247


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PERA ANGELICA DI SERRUNGARINA Cenni storici e tradizioni La pera angelica di Serrungarina rappresenta una delle peculiarità più caratteristiche di un virtuale frutteto marchigiano. Si tratta della pera angelica, frutto davvero pregiato dall’area di produzione circoscritta appunto nel cuore della Valle del Metauro, tra le campagne di Serrungarina. È una pera di origine non precisata, inventariata da Gallesio nella sua “Pomona”, repertorio frutticolo di inizio Ottocento. Risultava ancora molto diffusa in Italia, soprattutto nel veronese e in Romagna, fino agli anni ’60. Nel comune di Serrungarina e in alcuni comuni limitrofi la coltivazione della pera Angelica è attestata dagli inizi del Novecento e persiste presso alcuni agricoltori, che conservano esemplari di oltre 70 anni. La voce raccolta di una ristoratrice storica del paese ricorda e commenta: “Cinquant’anni fa quando io avevo sei o sette anni venivano i camion rimorchi da Perugia, scaricavano i gabbiolini di legno e c’era un signore di qui che organizzava il tutto, raccoglievano quintali e quintali di pere angeliche e venivano tutte esportate a Perugia, però Paci sapeva quando era il momento di raccoglierle, andava lui direttamente a vederle sul campo e diceva ai contadini quando raccoglierle, quella volta c’era la raccolta abbondante della pera angelica, adesso sono rimasti cinque contadini uno più geloso dell’altro c’è competizione e non collaborazione”. Nelle case tradizionalmente le pere venivano conservate nel cosidetto “melaro”, un cesto ricoperto di paglia posto tra le fronde degli alberi di gelso, in grado di mantenere a lungo la frutta. Valorizzazione e consumo Di forma a goccia, appuntita in prossimità del picciolo, dalla buccia ruvida, lucida di colore giallo e rosso, polpa chiara, granulosa e umida, dall’intenso sapore dolce, ideale per confetture, marmellate, sciroppi, liquori e distillati. La produzione richiede molteplici cure. Raccolta a fine agosto e nelle prima settimana di Settembre, si presenta come una piccola pera gialla dalla pancia rossa, molto

succosa e granellosa, ottima per antipasti, dolci, piccole delizie salate da accompagnare agli aperitivi, primi e secondi piatti, presentate proprio in occasione della “festa della pera angelica”, un vero e proprio tripudio per questa prelibatezza che la natura ha dato alle terre marchigiane. Per l’occasione, nel centro storico di Serrungarina (dove è stato anche creato un monumento alla pera angelica, con un frutto dotato di ali in procinto di spiccare il volo), dentro le botteghe e nelle vie paesane vengono riproposti modi e metodi per la conservazione del frutto e consigli per la produzione di marmellate, con degustazione di prodotti tipici della zona, gruppi musicali e folcloristici e naturalmente, lei, regina della festa, la pera angelica da assaggiare in tutte le sue possibili combinazioni. Di recente, anche la pera angelica è stata oggetto del progetto di rivalutazione delle biodiversità in seguito al quale la coltivazione di questa varietà è molto aumentata tra i produttori della zona. Una parte del prodotto viene venduto fresco (circa il 70%) e parte destinato alla produzione di marmellate dolci e salate, pere sciroppate, grappa. I produttori, insieme ai trasformatori e alla pro loco si sono riuniti nell’Associazione Pera Angelica di Serrungarina, finalizzata a promuoverne la produzione e la diffusione. Un accordo con l’istituto alberghiero “Santa Marta” Pesaro ha dato la possibilità, agli alunni più brillanti, di elaborare nuove ricette e presentarle con successo alla manifestazione dedicata alla pera angelica che si tiene a Serrungarina nel mese di settembre, abbinando così le ricette provenienti dalla tradizione paesana alle nuove tendenze culinarie. In armonia con la manifestazione alcuni esercizi pubblici del Comune, per tutto il mese di settembre, prepareranno piatti tipici, cocktail, drink, pasticceria, a base di pera angelica. Produttori - "La Collina" Serrungarina - Tel. 0721 893001 - "SI. GI" sas - Tel. 335 1253830

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RAFANO DI BARCHI Cenni storici e tradizioni Il rafano è da tempo immemore coltivato nelle campagne di Barchi, e sono stati anche documentati nel tempo flussi di importazione verso il continente africano, a riprova dell’apprezzamento di questa produzione. Oltre che essere una pianta dalla valenza ornamentale vengono considerati per un'altra loro caratteristica distintiva, ossia le grosse radici rizomatose che sviluppano sotto terra le piante con almeno 2 anni di età e che sono molto apprezzate in cucina per il loro caratteristico sapore piccante. Conoscendolo ed inquadrandolo “come ravanello selvatico”, la tradizione barchiese aveva anche codificato impieghi alimentari delle parti verdi, in preparazioni e ricette che si sta cercando di recuperate da una memoria in gran parte dispersa. Fino a circa quindici anni fa, in questo territorio, data la particolare vocazione dei terreni, si producevano piccoli lotti di sementi pregiate afferenti alle specie Raphanus sativus L. (ravanello coltivato) e Raphanus raphanistrum (ravanello Selvatico); la gente del luogo, come si evince da una recente indagine bibliografica ha sempre considerato e utilizzato indistinatamente le due specie. Valorizzazione e consumo Vista l’ampia diffusione del rafano in questo territorio anche in un passato recente, è emersa l’esigenza di recuperare la varietà originale del seme per riproporne la coltivazione. L’azione di recupero è stata effettuata in un primo momento attraverso ricerche bibliografiche sull’utilizzo del prodotto e sono state individuate tre specie di rafano locali, coltivate o in crescita spontanea. È stato quindi studiato e caratterizzato il materiale genetico di queste tre specie e sono stati messi a disposizione dei coltivatori dei lotti di sementi da utilizzare per le coltivazioni. Non c’è ancora una coltivazione a livello commerciale del prodotto. Pianta erbacea (Raphanus raphanistrum e Raphanus sativus) della famiglia delle Crucifere, coltivata nelle

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regioni a clima temperato per i tuberi radicali commestibili. Se ne conoscono molte specie: eramolaccio, ramolaccio nero, ravanello. La radice viene asportata in autunno e si può conservare stratificata nella sabbia per mantenerla fresca o, più spesso, si grattugia e si conserva in vasetti sotto aceto. Conosciuto anche come Barbaforte, Cren, Rusticano, il rafano possiede varie qualità salutari. La radice, cotta e consumata come verdura, apporta all’organismo una discreta quantità di proteine. Inoltre, ha buone qualità antiscorbutiche. Come depurativo, anticatarrale e per combattere le bronchiti si può utilizzare l’infuso. Il rafano ha poi proprietà diuretiche che lo rendono prezioso nei casi di gotta e può essere usato efficacemente come revulsivo. Basta far macerare la radice ridotta in poltiglia con della grappa, il composto così ottenuto va strofinato energicamente sulla parte malata per sciogliere il dolore. Si consiglia soprattutto negli strappi muscolari e nei dolori artritici. La radice solitamente viene grattugiata e preparata in vari modi: da sola, conservata sott'olio o aceto (preparato in questo modo viene detto anche “cren”) o insieme a salse, senapi, mostarde. il rafano viene usato spesso nella cucina orientale in versione wasabi, una salsa tipica, ideale su carni bianche o verdure al vapore.


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PERGOLA ROSSO DOC Cenni storici e tradizioni Il nome del vino deriva dalla cittadina le cui colline, da secoli, ospitano questo vitigno portato dagli Eugubini nel 1234 quando la fondarono chiamandola Pergola, dalla presenza di un pergolato di vite addossato ad un'antica chiesa del Mille dedicata alla Madonna; la toponomastica ci conferma dunque la vocazione vinicola della cittadina fin dall’antichità. La zona di produzione del vino Pergola D.O.C. è limitata all'area dell'alta e media Valle del Cesano comprendente i territori amministrativi dei comuni di Pergola, Fratte Rosa, Frontone, San Lorenzo in Campo e Serra Sant'Abbondio. Con un recente decreto ministeriale (11 luglio 2005), i vini Pergola Rosso, Novello e Passito, sono divenuti di origine controllata, ampliando così l’elenco dei grandi vini italiani. Si tratta di un riconoscimento importante destinato a quel nettare finora conosciuto localmente con il nome di 'Vernaccia di Pergola', ad indicare la provenienza da vigneti autoctoni che hanno come base quella particolarissima uva che prende il nome di Aleatico.

rossi del sottobosco di queste colline. Il gusto è pieno ed armonico ma allo stesso tempo capace di donare al palato sensazioni fresche ed aromatiche. Può essere vinificato anche nella tipologia Novello, dal sapore morbido ed armonico, dal colore rosso rubino vivo con odore floreale tipico, come pure in quella di Passito rivelandosi un delizioso vino da meditazione, dal colore rosso rubino tendente al granato con odore intenso ed etereo, dal sapore dolce, morbido e vellutato, da accostare a dolci come ciambelloni, biscotteria e crostate. Sprigiona le sue migliori qualità se consumato giovane. L'abbinamento ideale è con i tipici taglieri di salumi e formaggi non troppo stagionati consumati insieme ad erbe di campo ripassate in padella con crescia di Pasqua e pane cotti nel forno a legna o cresce sfogliate, con arrosti di carni bianche di animali da cortile, coratella di agnello con aglio fresco e con lumache in porchetta dei monti dell'Appennino. Apprezzato anche l’accostamento con zuppe di pesce, in particolar modo con il tipico Brodetto di Pesce dell’Adriatico nelle sue molteplici varianti.

Valorizzazione e consumo Più di un decennio fa è iniziato da parte dell’Istituto Sperimentale Viticoltura di Conegliano in collaborazione con il Comune di Pergola un programma di ricerca finalizzato all’identificazione caratterizzazione e valorizzazione del vitigno denominato in loco “Vernaccia di Pergola”. A seguito dell’attività di valorizzazione promossa sono aumentate sia le aziende locali produttrici, sia le coltivazioni e le produzioni che sono state quadruplicate arrivando a raggiungere circa 30 ettari di coltivazione e 2.000 ql di produzione di vino. La "vernaccia di Pergola" è un vino di colore rosso rubino, dal sapore secco, armonico, con notevole presenza di profumazioni aromatiche; un bicchiere di Pergola Rosso racconta tutti i colori ed i profumi di questa terra: il rosso rubino tendente al granato è quello che accende i campi d'estate e che ne accompagna il sonno dei boschi durante l'autunno; i profumi richiamano quelli dei frutti

Produttori - “Cantina Terra Cruda" Fratte Rosa - Tel. 0721 777412 - "La Morciola” San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776180 - "Massaioli Michele" Pergola - Cell. 347 1737939 - "Villa Ligi" Pergola - Tel. 0721 734351

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tipicità

CEREALI E LEGUMI - PASTE Cereali e legumi Nei secoli preunitari le Marche erano definite “il granaio dello stato pontificio”. Anche queste terre erano caratterizzate dalla coltura di cereali, un tempo più numerosi, oggi invece più tendenzialmente relegati a prodotto di nicchia. Si ricordano l’orzo, il miglio, l’avena e naturalmente i più ampiamente diffusi, il grano e il mais. Per quanto riguarda i legumi, tipiche del nostro territorio sono le coltivazioni di ceci, fagioli e lenticchie, a cui si aggiunge quello delle fave, da cui si ricava la farina per confezionare i celebri “tacconi” di Fratte Rosa. Il farro Solo di recente, con i nuovi orientamenti della politica agricola europea, la ricerca di produzioni alternative e un rinnovato interesse alimentare, il farro è tornato di moda. Oggi è presente una consistente produzione di farro proprio in questo territorio, in particolare a San Lorenzo in Campo, facendo divenire questo cereale non più soltanto di nicchia. La pasta I contadini marchigiani erano nelle loro case discreti artigiani pastai: nella minestra di verdure sapevano aggiungere formati piccoli di pasta, come le patacchelle, minuscoli quadretti confezionati con acqua e farina, perfetti nel minestrone ma soprattutto in minestra con le fave; con la farina di fave mescolata a quella di grano si preparano ancor oggi i tacconi, tagliati sia a grosso quadretto che a tagliatella. Nelle rustiche minestre soprattutto invernali erano spesso presenti i frascarelli, minuscoli granelli di acqua e farina che, non sottoposti ad adeguata asciugatura, messi a cuocere nella minestra la trasformavano in una sorta di polentina che lardo, pomodoro e pecorino rendevano piacevole al palato. Sempre con farina e acqua si preparavano anche dei piccoli gnocchetti conditi con un sugo a base di lardo, aglio e pomodoro. Nei giorni di festa sulla tavola non mancavano sontuose paste ripiene o specialità tipo i passatelli, che proprio pasta non sono ma che questa assai bene sostituiscono nelle minestre a base di brodo

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di carne: nelle Valli del Cesano e del Metauro, si preparano anche con un poco di farina e hanno un particolare profumo di limone. Spesso poi li troviamo colorati con il verde degli spinaci. Altra celebre pasta della festa erano le lumachelle, piccoli nidi di uova e farina nati, secondo la leggenda, alla corte granducale dei Montefeltro di Urbino, e per questo detti anche “lumachelle della contessa”, che necessitavano di ricchi condimenti a base di carne. Nelle famiglie benestanti per le grandi tavolate delle feste ricorrevano anche i vincisgrassi, chiamati qualche volta “mille foglie”. Questo timballo veniva preparato con un ragù di pollo e funghi, ma le varianti in seguito sono state numerose: c’era chi vi aggiungeva i profumati tartufi della zona oppure il prosciutto. Il biologico Le Marche, e per primo il nostro territorio, hanno raggiunto livelli di eccellenza anche grazie al radicarsi già dai primi anni ’70 di alcune aziende e cooperative biologiche leader nel settore. Queste aziende rappresentano senza dubbio la nascita del biologico in Italia. Hanno mediamente un indirizzo produttivo cerealico - foraggero - zootecnico. Alla coltivazione dei cereali (grano duro, grani antichi o orzo) alternano la coltivazione di leguminose da foraggio (erba medica, favino o pisello proteico) o leguminose da granella (ceci, fagioli, lenticchie). Produttori - "Alce Nero a.r.l." Isola del Piano - Tel. 0721 720221 - "Guerrieri Dott. Luca" Piagge - Tel. 0721 890152 - "I Lubachi" Fratte Rosa - Cell. 338 2329247 - "Il Farneto" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776469 - "La Terra e il Cielo” Soc. Agr. Coop - Tel. 0731 981906 - "Luzi Gianluigi & Andrea" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776213 - "Monterosso" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776511 - "Valentino prodotti biologici" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776850


tipicità

FORMAGGI Una provvista preziosa Nell’antica società rurale il formaggio era risorsa importante nelle dispense contadine. Nata come stratagemma per tesaurizzare il latte prodotto in eccesso l’arte casearia forniva provviste appunto conservabili a lungo, alimento semplice ed anche importante ingrediente di cucina. In secoli più recenti, quando la chiesa ammise il consumo anche di latticini durante i giorni cosiddetti “di magro” poteva costituire anche una provvista strategica per quando andava osservato il regime di astinenza dalla carne, ossia in quaresima ed in avvento, nei venerdì e nelle vigilie. Nelle memorie raccolte da anziani ricorrono spesso merende e colazioni con pane e formaggio. Nelle case contadine era frequente autoprodursi anche solo piccole forme di cacio, o altrimenti un quantitativo minimo di formaggio rappresentava una di quelle provviste irrinunciabili da acquistare alle fiere o ai mercati. Espedienti per la conservazione del formaggio Tra gli stratagemmi adoperati per mantenere a lungo in condizioni ottimali il formaggio ottenuto, in genere custodendo le forme in cantina o in ambienti freschi ed ombreggiati su mensole di legno, ricorre la tecnica di spalmarlo di olio. Nella raccolta di fonti orali si registrano poi altre espedienti come ricoprire i caci con cenere, o anche nel grano (come anche le uova), e avvolti in foglie di noce, in una soluzione che non è affatto casuale, poiché ha la facoltà di prevenire la flora batterica e di tenere lontani gli insetti dannosi, e che nel tempo si codifica in una produzione casearia caratteristica. Produzioni di formaggio tradizionali e odierne Il pecorino (o anche il caprino, riscontrato particolarmente ad Orciano ) stagionato in foglie di noce o di fico (e tenuto dentro botti), rappresenta una delle tipicità di questo territorio, come ad esempio a Orciano, Pergola, Montemaggiore al Metauro, Fossombrone e Serrungarina. La tradizione si è poi nel tempo intrecciata con sensibilità e sperimentazioni organolettiche e gastronomiche più moderne: si confezionano pecorini

al peperoncino, al pepe ed al tartufo. Ad Orciano un produttore ha poi proposto un formaggio nuovo e peculiare, concepito come un recupero virtuale reinterpretato dal passato, secondo la nobile memoria di un fondamento storico della cultura gastronomica italiana: da un documento basilare del tardo rinascimento, ossia il monumentale ricettario del cuoco papale Bartolomeo Scappi è stato estrapolato il riferimento ad un “cascio romagnolo in forma di limoncello”, ideando così un formaggetto profumato con la buccia dell’agrume. Nel tempo si è anche avviata una caseificazione con latte di mucca: attualmente vengono segnalate le produzioni di caciotta vaccina a Isola del Piano, anche aromatizzata al peperoncino a Montemaggiore al Metauro, dove la si confeziona anche con un peculiare caglio vegetale, preparato con l’infiorescenza del carciofo Cynara scolymus L. (attraverso i pistilli essiccati del fiore macerati in acqua tiepida); ovunque poi si producevano e si producono ancora naturalmente formaggi con latte misto. Nel territorio della provincia pesarese un altro riferimento epocale al Cinquecento viene per la “casciotta d’Urbino”, formaggio apprezzato anche da Michelangelo Buonarroti, che ha ottenuto il marchio Dop. Altra produzione tipica locale è la ricotta. Il liquido residuale della preparazione del formaggio rimesso a ribollire nuovamente, era tra gli alimenti più apprezzati e frequentemente e variamente impiegati in cucina: oltre che essere semplicemente consumata a crudo con sale e magari pepe, poteva arricchire la frittata, essere impiegata come condimento della pastasciutta o ripieno per certi formati di pasta all’uovo confezionati per le feste. Poteva diventare anche una merenda dolce mescolandovi zucchero e magari qualche goccia di liquore. Produttori - “De Pau Luigi” Pergola - Tel. 0721 773071 - "Fattoria della Ripa” Orciano - Tel. 0721 977605 - "Fattorie Marchigiane" Montemaggiore al Metauro - Tel. 0721 87981 - "Sotgia Cadoni" Pergola - Tel. 0721 735789

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tipicità

LIQUORI E DISTILLATI C’era di sicuro un’aurea cordiale da convento femminile in molti di quei liquori dolci preparati nelle case borghesi, conservati con cura nelle bottiglie smerigliate delle credenze, e preparate spesso con ricette custodite gelosamente. Vanno ricordati ad esempio i nettari zuccherini su base alcolica narrati e descritti dalla studiosa di Fossombrone Adele Rondini, come il rosolio, il liquore di cedrina, il “latte di vecchia” bianco o scuro (al cioccolato). Un riferimento dichiarato all’esperienza monastica e poi presente in un prodotto di Serrungarina che cita un passaggio della Divina Commedia dove Dante decanta la figura di San Pier Damiani e l’eremo di Fontavellana: si parla di “cibi di liquor d’ulivi” facendo riferimento all’olio di oliva, condimento di costante “magro” che contraddistingueva la dieta ed il modello di mensa monastica. Il “Liquor d’ulivi” che ora si confeziona in particolare a Tavernelle di Serrungarina, dopo accurate ricerche, si ottiene dall’infusione di foglie e corteccia d’ulivo in alcol, con l’aggiunta di zucchero e di soli aromi naturali, attraverso un processo di lavorazione tradizionale che dura alcuni mesi. Un confronto con la cultura monastica è stato utile anche nella recente ideazione del particolare “Amaro di San Lorenzo”, creato per macerazione con 24 tra erbe e spezie, tra cui la vugola chiamata anche, appunto, “erba di San Lorenzo”, ed anticamente usato secondo sapienza dei frati come vulnerario o liquore da archibugio, ossia balsamo non da ingestione ma da cura delle ferite. Anche i droghieri e rivenditori di generi alimentari hanno sperimentato ricette, come ad esempio quel particolare liquore dolce e profumato che a Pergola era impiegato da molte famiglie per aromatizzare la tradizionale crescia dolce di Pasqua. L’esperienza contadina ha invece perpetuato preparazioni più convenzionali, come le varie grappe e distillati prodotti con l’anice, ed il nocino tradizionalmente preparato con i malli di noci verdi raccolti nella notte di San Giovanni in prossimità del solstizio d’estate. Ma la preparazione caratteristica in proposito della tradizione rurale di questo territorio è la visciolata. È una bevanda dolce ed intensamente aromatica che è

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riscontrata anche in trattati a stampa e ricettari manoscritti del Seicento. Si ottiene per macerazione in vino con zucchero dei frutti della visciola, sorta di amarena selvatica del genere Prunus cerasus. Conosciuto anche con l’impropria definizione di “vino di visciole” ha colore rosso intenso e una buona gradazione alcolica (mediamente 14°-15°), dal gusto prevalentemente dolce e pertanto utilizzato come vino da dessert, consentendo oltre che il consueto abbinamento con dolci secchi e pasticceria fresca anche per un possibile felice, e decisamente raro, connubio con il cioccolato. Il frutto del prugnolo (prunus spinosa) è all’origine di un ulteriore liquore. Le denominazioni sono diverse: “Prunus di Valle Rea” o “Lacrima di spino nero”, ma c’è anche chi l’ha denominato “Ratafià di prunus”. Ottenuto per macerazione di queste bacche nel vino, in genere vernaccia rossa di Pergola, con l’aggiunta di zucchero, per far rifermentare il tutto per 4-5 mesi, e quindi filtrare, e lasciar riposare per altri 4-5 mesi trascorsi prima di imbottigliare. Produttori - "Erboristeria San Lorenzo in Campo" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776426 - "Fiorini Valentino" di Fiorini Carla Barchi - Tel. 0721 97151 - "Gentilini" di Gentilini Cesarino e Daniela" Pergola - Tel. 0721 735802 - "Giuliano Berloni” - Serrungarina Tel. 0721 891202 - "Guerrieri Dott. Luca" Piagge - Tel. 0721 890152 - "I Lubachi" Fratte Rosa - Cell. 338 2329247 - "La Collina” Serrungarina - Tel. 0721 893001 - "Mariotti Cesare" Montemaggiore al Metauro - Cell. 333 2727594 - "Massaioli Michele" Pergola - Cell. 347 1737939 - "Rovelli Pietro” Pergola - Tel. 0721 736545 - "Speranzini Giampaolo" Isola del Piano - Cell. 338 8611149 - "Storoni Giuseppe" Fratte Rosa - Cell. 347 7436813 - "Tonelli Corrado" Pergola - Tel. 0721 734105


tipicità

MIELE E CONFETTURE Miele Nelle vallate del Cesano e del Metauro la produzione del miele si è perpetuata nel tempo con sapienza artigianale tramandata per generazioni. Il miele marchigiano possiede una qualità elevata, particolarmente per il prodotto proveniente dalle zone dell'alta collina e montane, dove viene ancora praticata un'agricoltura estensiva, dedita alla coltivazione di piante foraggere quali la sulla, la lupinella e l'erba medica, che sono anche ottime piante nettarifere. Il miele prodotto nel nostro territorio è dolce, poco aromatico e di colore chiaro, spesso ricercato anche per ingentilire altre varietà di miele meno pregiati. Ha colore da extra bianco ad ambra chiaro (secondo la classificazione impiegata nel commercio internazionale), di odore di debole o di media intensità, vegetale e/o fruttato e/o floreale, e/o vinoso e/o di leguminose e/o di girasole, e/o poco fine. Il sapore è variabile da delicato a mediamente intenso, vegetale e/o fruttato, e/o di miele di leguminose e/o di girasole, e/o leggermente aromatico, e/o poco fine (presenza di crucifere e/o cipolla). Oltre al millefiori, nel territorio si producono anche mieli uniflorali quali: acacia, castagno, girasole, lupinella, melata, le cui caratteristiche chimico-fisiche, organolettiche e microscopiche rispondono ai requisiti previsti dalla normativa vigente e dalle schede di caratterizzazione dei mieli uniflorali. Confetture e Marmellate Accanto all’essiccazione della frutta era espediente ricorrente e laborioso quello di cuocerla: i trattati latini parlano di marmellate fatte con l’impiego di mosto. Del resto bisogna ricordare come il succo d’uva bollito e fatto ridurre e concentrare, come nella sapa o nel mosto cotto (chiamato in questo territorio “vin cotto”) rappresenta una delle più antiche tipologie di conserva di frutta essa stessa. Non solo costituiva un particolare e goloso condimento per la polenta, ma rappresentava anche anticamente un ingrediente per le marmellate stesse. Nelle famiglie contadine in effetti le marmellate erano anticamente frutta cotta con l’ausilio di pochissimo

zucchero (risorsa costosa, da comprare e non autoprodotta), o in alternativa anche miele o sapa. Per le marmellate si prediligevano in genere qualità di frutta zuccherina difficilmente conservabile, come more o fichi, oppure si perpetuavano soluzioni millenarie come la cotognata. Altre preparazioni utilizzavano ingredienti anche meno nobili come le bucce di melone. La marmellata di visciole è una delle marmellate più popolari della zona. La visciola è infatti un frutto molto antico, di natura spontanea, molto diffuso in tutto il territorio. Altra marmellata tipica è quella di bacche di rosa canina. Tutto il nostro territorio è ricco di queste bacche che crescono allo stato spontaneo. Il prodotto lavorato si presenta come una purea di un rosso vinaccia con riflessi arancioni/dorati; il sapore è moderatamente dolce. Le bacche si raccolgono dopo la prima gelata, si lavano e si vuotano della peluria interna e dei semi. Si mettono sotto zucchero o miele e qualche goccia di limone, lasciando riposare tutta la notte. Il giorno successivo si fa bollire il tutto fino a completa perdita dell’acqua. Una vera e propria rarità, nonché prelibatezza è rappresentata invece dalla confettura di pera angelica. Questa è prodotta appunto con la pera angelica, frutto coltivato esclusivamente in una ristretta area attorno al Comune di Serrungarina. Produttori - "Fattoria San Michele" di Paola Fabbri Mondavio - Tel. 0721 979977 - "Gentilini" di Gentilini Cesarino e Daniela" Pergola - Cell. 339 2961931 - "Guerrieri Dott. Luca" Piagge - Tel. 0721 890152 - "I Lubachi" Fratte Rosa - Cell. 338 2329247 - "La Collina" Serrungarina - Tel. 0721 893001 - "La Mieleria" San Lorenzo in Campo - Cell. 339 1744616 - "La riserva del miele" Mondavio - Cell. 333 4133761 - "Nicoletti Rodolfo" San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 775297

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tipicità

OLIO Un’antica coltura in questo territorio Nell’Alto Medioevo in tutta Italia ci fu una forte contrazione della coltivazione degli uliveti. Per dare un significativo recupero ed un nuovo impulso a questa produzione saranno determinanti i monasteri, che non solo necessitavano dell’olio come condimento - base per una dieta in origine esclusivamente vegetariana, ma impiegavano questa risorsa anche per l’illuminazione indispensabile negli scriptoria e per l’unzione sacra nell’impartire i sacramenti. Non a caso i documenti registrano un ruolo determinante in questo territorio dei monaci dell’eremo di Fontavellana, parlando di donazioni di terre con olivi ed uliveti nei pressi di Monteporzio, Castelleone di Suasa e Corinaldo. La regione è stata per secoli costellata di frantoi oltre che di mulini ad acqua; e nulla è per secoli cambiato nel sistema di estrazione dell’olio, fino al sopraggiungere dei moderni frantoi meccanici. I più numerosi si trovavano nella zona di Cartoceto, ma ogni centro ne contava più di uno: fino agli anni Settanta dello scorso secolo, con l’antico sistema dei fiscoli (sorta di cesto morbido con foro centrale che veniva riempito con la pasta di olive schiacciate dalla macina) lavoravano i frantoi di Serrungarina, Saltara, Montemaggiore al Metauro, Fossombrone, Isola del Piano, Montefelcino, Piagge, Sant’Ippolito, Barchi, Fratte Rosa, San Lorenzo in Campo, Frontone, Serra Sant’Abbondio e numerosi altri. Tra le memorie raccolte a riguardo un signore anziano di Montemaggiore al Metauro ricorda come in autunno, quando si cominciava la molitura delle olive, ai frantoi si gustava l’olio novello con lo stoccafisso. Olio Extravergine di Oliva Cartoceto DOP Terra di un olio DOP è Cartoceto, che gli storici inquadrano come in origine centro abitato fondato dai Cartaginesi sopravvissuti alla battaglia sul Metauro (e non a caso i punici assieme ai greci contribuirono a far conoscere ai romani l’ulivicoltura). Un documento del XIII secolo testimonia la più antica produzione olearia di Cartoceto, che reca anche nella toponomastica tracce di questa coltura (una frazione si chiama Frantoio),

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mentre l’amministrazione comunale si è fatta ambasciatrice di questa coltura/cultura fondando recentemente un Museo dell’olio, ed organizzando ormai dal 1977 un’importante mostra mercato, che si svolge nei due primi week end di novembre. Il Comune è poi tra i trenta soci fondatori dell'Associazione nazionale Città dell'Olio che dal 1994 ha definito il proprio ruolo di tutela, di promozione e valorizzazione sia dell'ambiente e della cultura dell'olivo, che della qualità, dell'immagine e del piacere dell'olio. La zona di produzione dal comprensorio comunale di Cartoceto si estende anche a Saltara, Serrungarina, Mombaroccio e parte del comune di Fano. Nel tempo l’olio extravergine di oliva Cartoceto DOP ha dimostrato di possedere tutte le qualità solitamente riconosciute ad un buon extra vergine, il suo sapore inconfondibile rende irresistibilmente appetitosa anche una semplice fetta di pane tostato. Produttori - "Berloni Giuliano” Serrungarina - Tel. 0721 891202 - "Bonci Marco e Marcello" Serrungarina - Tel. 0721 898270 - "Casa degli Olivi" Isola del Piano - Tel. 0721 720364 - "Casa Merlaro" Mondavio - Cell. 333 7141822 - "Falcioni Roberto" Orciano di Pesaro - Cell. 338 3017715 - Frantoio "Olive Contardi" San Lorenzo in Campo - Cell. 333 3854209 - "Giardini Denis" Cartoceto - Tel. 0721 899539 - "Guerrieri Dott. Luca" Piagge - Tel. 0721 890152 - "I Lubachi" Fratte Rosa - Cell. 338 2329247 - "La Collina" Serrungarina - Tel. 0721 893001 - "Mariotti Cesare" Montemaggiore al Metauro - Tel. 0721 891370 - "Pagliari Giancarlo e Gabriele" Montefelcino - Tel. 0721 729335 - "Storoni Giuseppe" Fratte Rosa - Tel. 0721 777198 - "Tanfani Nello" Orciano di Pesaro - Cell. 338 3175897


tipicità

SALUMI L’inevitabile macellazione del maiale con il primo vero freddo dell’inverno veniva vissuta come momento luttuoso: una celebrazione quasi rituale, un sacrificio duro e cruento. Dell’animale sgozzato si raccoglieva il sangue, che veniva cucinato quasi al momento con cipolle, o adoperato per la preparazione di dolci oggi pressoché scomparsi, come “migliacci” o “sanguinacci”. Dell’animale macellato di fresco si mangiavano anche le interiora, cucinate nella “padellaccia” o come condimento della polenta, chiamata così “con la robba”. Qualcuno poteva concedersi lo sfizio di mangiare anche qualche taglio nobile cotto al momento sul fuoco, come braciole o bistecche ma quasi tutti raccoglievano i pezzi destinati a pratiche di conserva grazie all’arte del norcino (“pista” o “salata”). Conserve suine di casa tra dispensa e cucina Le salsicce preparate dal norcino o mazzarino venivano all’inizio cucinate fresche e poi messe via per il resto dell’anno, custodite sotto chiave, da qualcuno conservate sott’olio o anche nello strutto in un barattolo di vetro; arricchivano la polenta e le preparazioni di legumi. Nelle cucine più umili e guardinghe si conservava anche un osso di maiale nei dintorni del camino, comunemente chiamato “osso cunditor”, perché condiva ed insaporiva. Riguardo alle cotiche a Isola del Piano si ricorda che “si attaccavano su, e anche se diventavano rance d’estate si mettevano nel sugo con i fagioli”. Tra le provviste di maiale era poi fondamentale il lardo, la cui durata era pressoché eterna. Pratiche norcine e prodotti di salumeria Tra le molteplici preparazioni di norcineria esisteva una gerarchia dei prodotti comunemente riconosciuta: un posto di primissimo piano nell’apprezzamento collettivo lo avevano i prosciutti, da sempre considerato il taglio più pregiato. Oltre ai prosciutti vengono appunto citati i “lombetti” (assimilabile a quel salume suino di solo magro oggi universalmente conosciuto come “lonzino”), ed i “capomazzi”, ancora oggi individuati come tipicità di San Lorenzo in Campo (carne del capocollo salata per

quarantotto ore, poi lavata con acqua e vino, ben pepata, condita con aglio, e poi insaccata nel budello di toro). Naturalmente va poi ricordata la lonza, marmorizzata del rosso del magro e del bianco del grasso, insaccato aromatizzato e lavorato con cura, considerato per pregio secondo solo al prosciutto. In tutte le Marche si produce il salame cosiddetto lardellato. Tra gli altri salumi caratteristici del territorio va ricordato il soppressato di Pergola, confezionato con carne magra di spalla ed il venti per cento grasso di maiale, il tutto macinato e condito con sale, pepe macinato ed aglio tritato, per poi essere insaccato, lasciato una settimana al caldo e poi infine stagionato per tre mesi. Vanno poi ricordati gli strozzafegato, dove al posto della carne magra si mette del fegato accuratamente tritato, più pepe del solito e finocchio selvatico a piacere. Particolare menzione spetta al salame di "Frattula", dall'antica denominazione medioevale dell'area posta sulla sponda destra della bassa valle del cesano, in cui, dalla sapienza dei monaci avellaniti antichi proprietari delle terre, nasce la storia dell'omonimo insaccato che si caratterizza per l'impiego di erbe aromatiche particolari quali timo e serpillo. Tra i salumi, da ricordare sono quelli confezionati con parti tutt’altro che nobili, come ad esempio i cosiddetti “ciambudei”. C’era un utilizzo appropriato anche per alcune parti del cranio del maiale: gli abitanti di Pergola erano chiamati “mangiamusetti” per questa loro predilezione, e nella cittadina come un po’ in diverse parti di questo territorio viene chiamata “testacotta” quel particolare insaccato chiamato nel resto delle Marche “coppa di testa”, ossia le carni ricavate dal capo cucinate a lungo con vari aromi ed ingredienti nobilitanti. Produttori - "Bonci Marco e Marcello" Serrungarina - Tel. 0721 898270 - Corte marchigiana soc. agr. - Tel. 071 74441 - Salumificio "Bartera di Saudelli e Cardinetti s.n.c." Orciano di Pesaro - Tel. 0721 976232

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tipicità

TARTUFO Cenni storici Il tartufo ha nelle Marche radici storiche antichissime, e per certi particolari territoriali rappresenta un elemento più che distintivo addirittura identitario. Documenti recano la memoria del banchetto ricco di portate guarnite con tartufo nero, offerto ad Acqualagna a Lucrezia Borgia nel 1502 durante il viaggio verso Ferrara per raggiungere il terzo marito Alfondo D’Este. Nella medesima Acqualagna quattro anni dopo è attestato un altro illustre e sontuoso convito, con piatti al tartufo bianco, imbandito per papa Giulio II che si recava in guerra contro Bologna. Dovendo assolutamente ricordare anche nella storia più recente la passione risaputa di Mussolini per le uova con lamelle di tartufo che gustava voracemente nella trattoria del Furlo, sosta obbligata per i suoi viaggi da Roma verso Nord, si delinea appunto un’ideale via dei tartufi che seguendo la direttrice della vallata del Metauro giunge fino a Fossombrone, dove le memorie della scrittrice Adele Rondini riportano ricette varie, tra cui i crostini Candiracci, storico ristorante al Passo del Fuelo, o preparati “alla parmigiana” secondo una ricetta dello storico di Piobbico Delio Bischi, ed anche il ricordo di quella “vecchietta che scendeva dalla Cesana con due fazzoletti a scacchi bianchi e turchini legati incrociati” con dentro i tartufi. Tipologie Da Serra Sant'Abbondio per giungere a Fossombrone, il tartufo si trova in grandi quantità: in montagna, data la presenza di querce, per quanto riguarda le specie arboree, e di calcare, per quanto riguarda la composizione dei terreni, è particolarmente facile trovare tartufi neri; più a valle, sempre grazie a specie arboree quali querce, salici, pioppi ecc, ed i relativi terreni marnosi e marnoso-argillosi si trova il tartufo bianco. Le quote più favorevoli per lo sviluppo dei tartufi vanno dai 200 ai 700 metri sul livello del mare. Per questo la terra dell’alta valle del Cesano costituisce un ottimo habitat naturale dove si possono trovare tutte le varietà di tartufo: il “bianco” (tuber magnatum Pico, il più ricercato)

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raccolto da ottobre a dicembre, il “nero pregiato” (tuber melanosporum) da dicembre a febbraio; lo “scorzone” (tuber aestivum). Impieghi tradizionali e moderni Nelle case modeste, contadine o piccolo-borghesi, chi aveva la fortuna di trovare un tartufo lo metteva a conservare nella scatola del riso, aspettando il momento migliore per consumarlo ed intanto preparando minestre e risotti con un aroma inconfondibile e prezioso. Nella nostra regione a codificare impieghi nobili in cucina per il tartufo sono stati, sulla scia dei raffinati modelli gastronomici d’Oltralpe, i primi ricettari a stampa, tra cui il testo settecentesco di Antonio Nebbia “Il Cuoco Maceratese”, di cui è conservata un’edizione originale alla biblioteca Guazzagli Marini di Pergola. Oggi alcune aziende utilizzano quelli di piccole dimensioni per la produzione di creme di tartufo, burro e olio al profumo di tartufo, confezioni di tartufi estivi trifolati, creme miste di funghi, olive e tartufi, fondute di formaggi al tartufo. Produttori Centro raccolta tartufi "Isidori di Isidori Paolo" Pergola - Tel. 0721 735790


tipicità

VINI DOC Anche nel bel mezzo di vicende che avrebbero segnato il corso della storia, le qualità tonificanti dei vini marchigiani non passarono inosservate. Come ricorda lo storico Polibio, ai Cartaginesi i vini marchigiani piacquero così tanto che nell’afosa vigilia della battaglia del Metauro (207 a.C.) l’esercito di Asdrubale si prese una solenne sbornia, che forse provocò la sconfitta cartaginese e la salvezza di Roma. Da allora sono cambiate tante cose, anche i vini marchigiani sono cambiati, o meglio sono evoluti. Oggi la viticoltura è una delle attività di maggior successo, sempre più aziende di piccole e medie dimensioni stanno emergendo nel panorama dei vini più apprezzati dal pubblico. La produzione vinicola registrata nel territoro è varia e ampiamente riconosciuta: si va dal Bianchello del Metauro, ideale come aperitivo e per accompagnare pietanze a base di pesce, al Vino dei Colli Pesaresi nelle versioni bianco, Trebbiano e Biancame (ancora per accompagnare il pesce) e nelle tipologie rosso e Sangiovese (per le carni), e naturalmente il Pergola Rosso Doc. BIANCHELLO DEL METAURO Cenni storici e area di diffusione Il Bianchello del Metauro prende il nome dal vitigno Biancame con cui è prodotto e dal fiume Metauro, lungo le cui rive viene coltivato. Si tratta di un vino dalla storia molto antica : Tacito ritiene addirittura che il Bianchello abbia avuto un ruolo importante durante l'invasione dei cartaginesi. Secondo lo storico latino, infatti, l'esercito di Asdrubale venne sconfitto proprio a causa del troppo vino bevuto. Per quanto riguarda i nostri giorni, l'inizio della sua valorizzazione risale al 1969 con l'ingresso tra le DOC d'Italia. Nonostante la zona nord della Regione Marche sia la meno vocata alla produzione di vino in termini di terreno, morfologia e microclima, ciò non ha impedito agli enologi locali di ottenere vini con una personalità tutta loro e non copie di altri più conosciuti. Da qualche anno a questa parte il Bianchello del Metauro è riuscito a ricavarsi una fetta di mercato abbastanza

rilevante, che ha permesso alle aziende nuovi investimenti ed una conseguente crescita della qualità. BIANCO E ROSSO DEI COLLI PESARESI SANGIOVESE Cenni storici e area di diffusione La denominazione DOC dei Colli Pesaresi è nata nel 1972 grazie all'impegno dei produttori locali, che volevano fortemente dare un'impronta vitivinicola al loro territorio. Nonostante non si sia in presenza di un vino dal passato molto conosciuto, recentemente si è avuta una valorizzazione grazie soprattutto alla versione rosso sangiovese. Relativamente al Rosso dei colli Pesaresi è il caso di sottolineare la singolare disputa avvenuta tra pesaresi e romagnoli per fregiare la DOC con il termine Sangiovese. Disputa che è stata vinta poi dalla provincia marchigiana grazie all'istituzione della DOC Colli Pesaresi. La zona di produzione dei Colli Pesaresi comprende una vasta area della provincia di Pesaro. Produttori - “Cantina Terra Cruda" Fratte Rosa - Cell. 333 4798915 - "Fiorini Valentino" di Fiorini Carla Barchi - Tel. 0721-97151 - "Guerrieri Dott. Luca" Piagge - Tel. 0721 890152 - "La Collina" Serrungarina - Tel. 0721 893001 - "La Morciola” San Lorenzo in Campo - Tel. 0721 776180 - "Mariotti Cesare" Montemaggiore al Metauro - Cell. 333 2727594 - "Metauro vini" Montemaggiore al Metauro - Tel. 0721 895101 - "Pagliari Giancarlo e Gabriele" Montefelcino - Tel. 0721 729335 - "Savelli Elio" S. Andrea di Suasa - Mondavio - Tel. 0721 828265 - "Speranzini Giampaolo" Isola del Piano - Tel. 0721 729207 - "Villa Ligi" Pergola - Tel. 0721 734351

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www.ricercazione.it o Azione Loc ale upp

Gr

INFO: FLAMINIA-CESANO S.r.l. V.le Martiri della LibertĂ , 33 61045 Pergola (PU) Tel. 0721 740574 - Fax 0721 742203 gal.flaminiacesano@provincia.ps.it

Supervisione e redazione dei contributi di carattere storico di Tommaso Lucchetti in collaborazione con Ecstra. Gli elenchi dei "produttori" inseriti in questa brochure sone relativi alle sole aziende che hanno aderito al bando per la mostra "perle di terra" del Gal "flaminia Cesano.


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