Aperiodico Indipendente Gratuito
Attualità: -Urban Desert uno spaccato del nulla fiorentino Musica: -“People have the power” RV incontra Patti Smith
Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707
Speciale mafia: -Intervista a Pino Maniaci “Se mi vogliono fermare, mi devono sparare” -Le mafie in Toscana
Ottobre 2009 - N°4
#04 - Ottobre 2009
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Foco Club via dell’oriuolo 19/ rosso - Firenze
Gli eventi di Ottobre:
Ven. 16 family dog crew(hip hop) Sab. 17 consorzio diggèi indipendenti dalle 19.00 Mer. 21 Hai qualche problema? monologo a cura di Mauro Stagi Ven. 23 Buon compleanno Riot Van! Sab. 24 Consorzio Diggèi Indipendenti dalle 19.00 Ven. 30 Jury dj (rock) Sab. 31 Consorzio diggèi indipendenti dalle 19.00 Per tutto l’inverno ogni sabato sera sarà SERATA POPOLARE con la partecipazione dei Diggèi Indipendenti. Inoltre verranno trasmesse le partite della Fiorentina. Tutti i martedì (quando non c’è la viola) c’è il Cineforum.
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Editoriale
Mafia, politica e libertà Cos’hanno in comune la libertà di stampa e la lotta alla mafia? Cosa accomuna i giornalisti e i pubblici ministeri? Il silenzio e il potere. O meglio, la lotta contro il silenzio del potere, politico e mafioso. Difficile capire chi abbia utilizzato prima questo potente strumento, se il potere politico, o la criminalità organizzata. Per il primo si concretizza nel celebre bavaglio, per l’altro nello spettro dell’omertà. Ma chi imita chi? Se le strategie del potere, attraverso cui questo agisce e si legittima, assomigliano sempre di più a quelle tramite cui la criminalità organizzata si ramifica e si radica all’interno dello Stato, allora forse la politica si è spinta troppo in là. Sembrano le ultime fermate di una democrazia che già da tempo non si assomiglia più, stenta a riconoscersi. Quell’intricato groviglio di interessi politici, economici e criminali, ha sempre accompagnato la storia del nostro paese. Proprio nel tentare di districare quel groviglio si sono distinti quei personaggi che fanno grande il nostro paese: giornalisti, politici, poliziotti, magistrati. Tante categorie professionali, un’unica categoria sociale, quella di cittadini e persone. Gli oscuri giochi di potere che decidono le sorti del nostro paese, come probabilmente accade da altre parti, non sono quindi una completa novità. Ma spesso bastano pochi anni per rassegnarsi, per smettere di cercare la verità, accettando una condizione di parzialità. Una cosa rende diversi i sudditi dai cittadini: il diritto alla verità. Veniamo violentati da questo clima fumoso e reticente. Violentati come cittadini, nelle nostre libertà e nei nostri diritti, privati degli strumenti necessari ad agire come protagonisti di un vita che sia davvero libera e democratica.
SOMMARIO Speciale mafia.................Pg4
Papelli, ricatti e pentiti di Mauro Andreani Resistere a Corleone di Martina Miliani Mafia, Chianti e Fiorentina di Andrea Lattanzi Intervista a Pino Maniaci di Andrea Lattanzi
Cinema............................Pg16 Lucas Moodysson v.m. 18 di Chiara Morellato e Edoardo Calamassi
Cultura.............................Pg18
Attualità...........................Pg9 Non basta morire per essere eroi di Iacopo Aiazzi Urban desert di Niccolò Seccafieno e Giulio Schoen
Musica.............................Pg12 Tao love bus experience di Giuseppe Di Marzo People have the power di Giovanni Macca Melt festival di Francesco Guerri The rent di Martino Miraglia
Intervista a Vanni Santoni di Daniele Pasquini Alla scoperta del calcio storico fiorentino di Lapo Manni
Misticismi......................Pg20 Tutto quello che mi fa girare gli ingranaggi di Bastiano Il cerchio delle bestie de “il bugiardo”
Il cruciverba...................Pg22 di Filiman
Mauro Andreani
Direttore responsabile: Michele Manzotti Direttore: Niccolò Seccafieno
---Produzione--Grafica e Impaginazione: Tiziano Berti, Michele Santella & Mattia Vegni Redazione: Mauro Andreani, Andrea Lattanzi, Giuseppe Di Marzo, Giovanni Macca, Giulio Schoen, Lapo Manni, Francesco Guerri, Fabio Ferri
---Collaboratori--Jacopo Aiazzi, Daniele Pasquini, Chiara Morellato, Caterina Bianchini, Edardo Calamassi, Bastiano, Martina Miliani, Malia Zheng, Stefano Lascialfari, Martino Miraglia Cruciverba a cura di Filiman Illustrazioni: Mattia Vegni, Francesco Calcinai Fotografi: Valeria Franci E-mail: redazione@riotvan.net Sito web: www.riotvan.net Stampa presso la “Polistampa”, Scandicci Tiratura 3.000 copie in carta ecologica - Numero finanziato dall’Università degli Studi di Firenze Sono stati fatti tutti gli sforzi per segnalare e allocare correttamente i crediti fotografici. Ricordiamo che il diritto dell’immagine fotografica resta dell’autore.
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Speciale mafia
Papelli, ricatti e pentiti Importanti nuovi elementi sulla guerra di Cosa Nostra allo Stato. Le possibili collusioni politiche e la necessità di far luce.
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insieme ad altri per le bombe di Firenze, Milano e Roma. Interrogato dai pm fiorentini Alessandro Crini e Massimo Nicolosi, Spatuzza ha fatto riferimento agli intrecci tra la famiglia Graviano e alcuni politici ed imprenditori del nord. In particolare, i Graviano avrebbero intrattenuto rapporti con Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Queste dichiarazioni potrebbero risultare plausibili alla luce di una recente scoperta dei pm di Palermo. Tra le carte dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, definito “la più esplicita infiltrazione della mafia nell’amministrazione pubblica”, è stata ritrovata una lettera in cui Bernardo Provenzano chiedeva a Silvio Berlusconi la disponibilità di una delle reti Fininvest, minacciando altrimenti di ucciderne il figlio. La mediazione sarebbe avvenuta proprio attraverso Dell’Utri. Da tempo si parla del famoso “papello” scritto da Riina, un foglio contenente le richieste di Cosa Nostra allo Stato. È evidente che se c’è stata una trattativa tra mafia ed istituzioni per fermare l’attacco allo stato, devono esserci stati anche dei contatti precedenti che hanno indotto la mafia ad adottare la strategia stragista. È bene tenere sempre presente che queste stragi avvennero in un periodo estremamente delicato per il nostro paese. Un periodo di transizione dopo lo scandalo di Tangentopoli. L’attentato a Maurizio Costanzo in via Fauro, il primo di quelli “in continente”, è avvenuto appena 2 giorni dopo l’insediamento del governo tecnico di Ciampi. Un clima di profonda incertezza ed instabilità che rischiava di creare problemi anche alla criminalità organizzata, interessata alla stabilizzazione di un assetto politico più sicuro e affidabile. La mafia, forse, temeva di perder i suoi interlocutori a Palazzo. Le connivenze tra politica e criminalità organizzata sono il cancro del nostro paese, la nostra serpe in seno. L’operato delle istituzioni dovrebbe essere rivolto a svelare ed impedire sinergie di questo tipo. È assurdo additare la riapertura di queste indagini come “dietrologia”. La ricerca della verità non può essere considerata una dietrologia. Se c’è qualcosa di cui si dovrebbe parlare, su cui i cittadini dovrebbero non chiedere, ma esigere chiarezza e verità, è proprio questo. Se esistono questioni che dovrebbero occupare la scena mediatica e del sistema informativo, questa è una di quelle.
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Che dietro le stragi del 1992 e 1993, gli anni della guerra della mafia allo Stato, si celassero delle misteriose presenze, era un’ipotesi che era stata sollevata più volte durante le indagini e i processi. Varie piste, tutte scartate nel corso delle indagini. Dopo poco più di un anno dalla loro chiusura, avvenuta all’inizio del 2008, le inchieste sui fatti di quegli anni sono state riaperte. Nei primi anni ‘90, Cosa Nostra sferrò il suo attacco allo Stato: far strage di innocenti per colpire le istituzioni. Una vera e propria strategia del terrore. Dopo gli attentati di Capaci e di via d’Amelio, vennero fatte esplodere bombe a Firenze, Milano, Roma: dieci morti, centosei feriti, danni per miliardi di lire. I responsabili sono stati arrestati, processati e condannati quasi 10 anni dopo. Ma l’analisi delle responsabilità non si riduce all’individuazione degli esecutori materiali. La domanda più complessa è sempre un’altra. Non è chi, ma perché. Perché Cosa Nostra attaccò lo Stato così a viso aperto? Quali interessi aveva? Qual’era il messaggio dietro le bombe? Nel corso dei processi, le sentenze hanno individuato il movente delle stragi. L’obiettivo era l’abolizione del regime di 41 bis per i mafiosi oltre all’eliminazione della legge sui collaboratori di giustizia e sul sequestro dei beni dei boss. Nonostante il forte impatto sull’opinione pubblica che questi eventi hanno avuto, la strategia mafiosa sembrerebbe essersi rivelata perdente. Nessuno degli obiettivi è stato, almeno in apparenza, raggiunto. Perché fermarsi allora? È stata aperta un’inchiesta sui “mandanti a volto coperto”, sono state formulate diverse ipotesi, raccolti dati, informazioni. Prima un rapporto della Dia ricostruisce i legami tra gli ambienti della mafia siciliana e il mondo dell’imprenditoria milanese, poi alcune dichiarazioni di pentiti come Salvatore Cancemi, relative ad accordi tra Riina e “certa gente dei piani alti”. Dopo le dichiarazioni di Giovanni Brusca nel ‘96 sulle trattative tra la cupola e alcune personalità dei servizi, più niente. Dodici anni di silenzio che hanno spinto gli inquirenti a chiudere le inchieste nel 2008. Confermati dalla Cassazione 15 dei 16 ergastoli, caso chiuso. «Per riaprirle, però, ci vogliono nuovi elementi» aveva detto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. E questi nuovi elementi sembrerebbero essere arrivati a luglio, con le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, killer della mafia e capo del mandamento di Brancaccio, condannato
via Palestro dopo l’attentato
Mauro Andreani
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Speciale mafia
Resistere a Corleone Dove l’antimafia ha tutti i sintomi di una sana pazzia
“Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli”. Le parole di Antonino Caponnetto sono il biglietto da visita per chi varca la soglia del circolo arci di via Crispi, a Corleone. Un immobile di tre piani le cui mura un tempo tutelavano gli affari dei Grizzafi, nipoti di Totò Riina. Da quasi due anni invece, sono state assegnate alla cooperativa “Lavoro e non solo” e hanno visto passare più di 800 giovani, provenienti da tutta l’Italia, per lavorare proprio sui terreni dove cresceva la fortuna dei clan corleonesi. Per “LiberArci dalle spine”. Modalità di promozione più efficace della cooperativa: il passaparola. Sembra, infatti, che chi abbia vissuto qua 15 giorni della sua vita, non li scordi più. Arrivati all’ultimo giorno di quest’esperienza, capisco perché. La sveglia suona alle sei, ma è l’odore di caffè a farci scendere dai letti. Finita la colazione è già ora di salire sui furgoni, diretti verso il campo di pomodori di Torre dei Fiori. Dal finestrino scopriamo un altro mondo. Il verde delle campagne siciliane è come lavato dal sole: sembra di tornare all’origine, all’essenza. Qui si realizza in pieno il verbo siciliano “travagliare”, lavorare: la nostra fatica condivisa con quella dei soci, assume un nuovo valore. Il lavoro diviene così un segnale per i contadini corleonesi, ai quali si può dimostrare che con un po’ di sacrificio “la legalità, paga”. E questo messaggio sembra sia arrivato al cuore di qualcuno. Da qualche anno alcuni ragazzi corleonesi partecipano ai campi di lavoro proprio qui, a casa loro, dimostrando un impegno ancora più profondo e concreto. Ma non è sempre stato così. La cooperativa nasce a Canicattì, nella provincia di Agrigento. Nel 1998, Arci e DSM (dipartimento di salute mentale) danno vita a “Lavoro e non solo”, una cooperativa agricola, di tipo B, che provvede cioè al reinserimento di soggetti aventi disagio psichico. Tre anni dopo, la scommessa: la cooperativa riesce a farsi assegnare i primi terreni e fa della lotta alla mafia il suo principale obiettivo.
“La cooperativa dei pazzi”, così li chiamavano. I soci hanno visto allontanarsi amici e conoscenti sentendo il solito ritornello: “ma chi glielo fa fare”. “Vogliamo cambiare la Sicilia” ci ha detto Calogero Parisi, presidente della cooperativa, “Ma solo se ognuno di noi dà il suo contributo, solamente insieme, sarà possibile”. Ecco dove vogliono arrivare. All’appellativo di pazzi sono affezionati e la loro follia è arrivata a contagiare centinaia di giovani. L’obiettivo è la costruzione di un ponte, ben diverso da quello sullo stretto. Un ponte fatto di quei volti, di quelle voci, di quelle braccia che da quattro anni sostengono i soci con il loro entusiasmo. Lo stesso entusiamo che il primo giorno ha mosso le nostre gambe e le nostre mani. Il sole è alto. E’ l’ora di tornare in via Crispi. Qui hanno cucinato per noi i volontari del Sindacato Pensionati Italiani. I loro racconti hanno arricchito la nostra permanenza, favorendo quell’incontro tra generazioni che la quotidianità frenetica va consumando via via. Pulita la cucina, si riparte in direzione Bagheria, la città delle ville. Oggi è il 3 settembre: a colpi di kalashnikov 27 anni fa venivano uccisi il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie Emanuela e Domenico, membro della scorta. Sul luogo della tragedia, qualcuno ha lasciato un cartello affisso al muro: “Qui è morta la speranza dei siciliani onesti”. Quel qualcuno fortunatamente si sbagliava. Oggi a Bagheria viene inaugurata una pizzeria, appartenuta al boss Pietro Lo Jacono. Dopo cinque anni la cooperativa “Lavoro e non solo” può iniziare a gestirla. Ma è solo l’inizio. Calogero ci spiega che il fine ultimo è quello di vedere la pizzeria gestita dagli stessi abitanti di Bagheria. L’ennesima scommessa. Le difficoltà non sono state soltanto burocratiche. I soci hanno dovuto sopportare diverse intimidazioni, compreso il dono, puntuale, che i mafiosi regalano ai futuri assegnatari delle terre, tant’è che sui terreni occorre lavorare almeno un paio di anni, prima che possano ridare i loro frutti. A ricordare il generale Dalla Chiesa, oltre all’Ar-
ma dei Carabinieri, interviene il figlio Nando. Poi è il turno di Gaetano Paci, che riconosce le responsabilità dello Stato: esso deve essere presente, perchè ha il dovere di gestire al meglio i servizi che spettano di diritto ai cittadini. Quel diritto che i mafiosi spacciano per favore. Rivendica i nomi dei mandanti occulti delle stragi dei giudici Falcone e Borsellino, isolati dalle istituzioni, e delle stragi sul continente. Ci chiama a riflettere: “ la lotta alla mafia non è solo un compito di magistrati e forze dell’ordine, ma di ogni cittadino”. Le parole pronunciate dagli ospiti di questa serata, non sono i soliti discorsi da cerimonia. Sono invece parole critiche, che puntano al cambiamento. In questi giorni abbiamo avuto la possibilità di incontrare persone come il giudice Paci, che sono riuscite a resistere e a non cedere la propria libertà neanche di fronte ad attentati, lutti ed intimidazioni: Pino Maniaci, direttore di Telejato, i sopravvissuti della strage di Portella delle Ginestre, Salvo Vitale, compagno di Peppino Impastato. Persone che non sono rimaste indifferenti, perchè è proprio dell’indifferenza della gente che la mafia si nutre. Il viaggio per Corleone è lungo e sfiniti torniamo in cooperativa. Le ultime forze rimaste le impieghiamo per scrivere il diario che invieremo a Maurizio Pascucci di Arci Toscana, il coordinatore del progetto. Ogni giorno viene documentato dai ragazzi stessi, proprio perché ogni giorno, ogni piccolo passo assume la sua grande importanza nella sfida dell’antimafia. Quello di stasera termina con queste parole: “Consapevoli del nostro dovere di nuovi custodi di una memoria che ci apre gli occhi sul valore delle nostre attuali possibilità. Memoria che racchiude anche gli esempi di come il coraggio è riuscito a prevalere in una terra spesso impaurita e indifferente. Ed ecco sconvolti i nostri parametri. Nasce un nuovo modo di costruire la nostra società, consapevoli del peso delle nostre decisioni e delle nostre azioni, che se condivise possono realmente fare la differenza. Ripartiamo con un nuovo desiderio, quello di vivere, sempre, dalla parte buona della vita.” Martina Miliani
i soci della cooperativa “Lavoro e non solo”mentre racocolgono i pomodori #04 - Ottobre 2009
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Speciale mafia
Grafica Riot Van
Mafie, chianti e fiorentina uno sguardo sulla mafia in Toscana
Il silenzio è il miglior alleato della mafia. Lo dicono in molti. Lo dico io, ad esempio, ma lo dicono anche mafiosi, giornalisti e magistrati. Un giudice fuori dal comune, infatti, diceva: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Quel giudice era Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio del 1993. Lo diceva perché è con il silenzio che la mafia costruisce le sue fortune. E’ con il silenzio che si organizza, che fa affari, che uccide e che rimane impunita. Alcune settimane fa, una voce d’onore si è levata dal carcere di Ascoli Piceno, per riferire proprio sull’omicidio di quel giudice: “Lo hanno ammazzato loro” ha detto colui che fu il Capo dei Capi, Salvatore Riina, detto Totò u Curtu. Loro chi? Difficile dirlo adesso. Solo ipotesi. Sul fatto però, capitato non a caso nei giorni in cui si annunciava la riapertura di alcuni fascicoli riguardanti le stragi del ‘93, potremo dire che si è registrata una certa reticenza informativa, soprattutto in termini di minutaggi televisivi e pagine di giornali. Non ne hanno parlato loro, non ne abbiamo parlato noi. E così, un’altra occasione di aumentare consapevolezze, è andata persa. Ma non è solo nello specifico della mafia siciliana, di Cosa Nostra, delle sue collusioni con esponenti vicini all’attuale politica di palazzo, che mancano cognizione e lucidità in questo paese. È più in generale, che si respira una pesante aria di silenzio attorno alle vicende malavitose. Sappiamo più delle scarpe di Alberto Stasi, ad esempio, che delle navi partite da Livorno, La Spezia, Carrara per andare ad annegare chissà dove chissà per mano di chi, tonnellate di rifiuti da smaltire. Le associazioni a delinquere penetrano al nord, nella Milano “da bere” come nell’Emilia Rossa. Nelle Marche come in Umbria, all’estero come nel quartiere a pochi isolati da casa. Un quadro della situazione, anche impreciso ma in grado di rendere l’idea, si fa perciò necessario, quantomeno per la regione Toscana.
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“La Toscana non è terra di mafia, ma la mafia c’è e gode di ottima salute”. Questo è l’incipit dell’annuale rapporto della Fondazione Caponnetto sulla mafia nella regione Toscana. Niente di apocalittico, poiché manca il consenso sociale alle organizzazioni criminali organizzate ed esiste tra i cittadini una forte identità antimafiosa, però “la situazione negli ultimi mesi è piena di campanelli d’allarme che non vanno sottovalutati”. Tra questi campanelli, si può ravvisare senz’altro la presenza, in costante aumento, di infiltrazioni nell’economia da parte della mafiya, la mafia russa e delle triadi afferenti alla mafia cinese (per le quali vi rinviamo alle prossime uscite di Riot Van). Per quanto riguarda la presenza di mafie italiane, la Toscana, riferisce ancora la Fondazione Caponnetto “è un territorio economicamente ricco che per sua stessa natura risulta permeabile alle infiltrazioni finanziarie mafiose”. Nel 2008, si è comunque registrato che la mafia siciliana è in calo, a fronte però di un rafforzamento di altre organizzazioni criminali, estere o di stampo camorristico e ‘ndranghetista. In ogni caso, sul fronte Cosa Nostra, non c’è da abbassare la guardia, come ricorda la Direzione nazionale antimafia, che ha sottolineato nel suo rapporto come essa “tramite imprese proprie o di soggetti contigui all’organizzazione, ha penetrato la realtà economica toscana, ove le indagini hanno consentito di appurare che essa ha condizionato le gare per gli appalti di lavori pubblici con le stesse modalità illecite utilizzate in Sicilia”. In queste attività emerge anche il coinvolgimento di soggetti formalmente estranei ai contesti criminali e per questo motivo intestatari fittizi di beni, e interlocutori delle pubbliche amministrazioni. Imprenditori collusi che funzionano da scudi, sostanzialmente. A questo proposito, è interessante notare come la Toscana diventi una sorta di zona demilitarizzata per le cosche siciliane. Fra queste, infatti, anziché scatenarsi faide sanguinarie, nascono alleanze impossibili sull’isola. Un esempio su tutti, la stretta collaborazione fra la fazione del boss deceduto Tano Badala-
menti – indicato come capo di Cosa Nostra nel 1970 e in relazioni “amichevoli e talvolta dirette” con il senatore Giulio Andreotti - e quella dell’area delle Madonie, vicina ai corleonesi, “da anni nemiche”, come ha dichiarato il procuratore di Palermo Francesco Messineo a seguito degli arresti del maggio scorso ai danni delle due cosche. L’alleanza era stata resa possibile da un imprenditore edile siciliano, trapiantato da anni in Toscana. L’uomo in questione, Gaspare Ofria, quarantaquattrenne abitante a Camaiore (Lu), aveva contatti con le famiglie delle Madonie ed è legato ai Badalamenti da rapporti di parentela (fonte, Corriere Fiorentino 22 maggio 2009). Ofria risulterebbe titolare dell’impresa edile Edilnaf di Firenze, di cui è stata sequestrata la sede in via delle Mantellate - tra via San Gallo e viale Spartaco Lavagnini. La società stava costruendo un agriturismo a Polizzi Generosa (Palermo, area Madonie) finanziato, secondo gli inquirenti, da denaro riciclato frutto di truffe compiute a banche estere. Truffe di cui si ha il sentore anche dalle intercettazioni fra Ofria ed il figlio del boss Badalamenti, Leonardo, arrestato in Brasile. Parallelamente l’edile siculo, a detta dei carabinieri del Ros, ha finanziato lo stesso agriturismo emettendo false fatture per le spese in uscita, così da ottenere maggiori finanziamenti dalla regione Sicilia. E questo di Ofria, è solo uno dei casi di infiltrazione mafiosa in Toscana. Ma se la mafia si organizza e prospera, la camorra non sta certo a guardare. Sono anni che ormai diversi clan camorristici operano sul territorio toscano. Come i Formicola, storica famiglia partenopea, che grazie a qualche emissario ben protetto, utilizzavano tre alberghi nella zona di Montecatini come depositi di lavaggio per il denaro sporco. Oppure come i Terracciano, radicati in Toscana da oltre un decennio, le cui attività si sono distinte per acquisizione di locali notturni con metodi mafiosi, gioco d’azzardo, sfruttamento della prostituzione, ed usura con tassi fino al 1000%. Ma anche i Casalesi, i Giuliano, gli Esposito e altri stanno sbarcando nella nostra regione e #04 - Ottobre 2009
Speciale mafia
Provincia
Firenze Lucca Pistoia Arezzo Massa-Carrara Livorno Prato Pisa Grosseto Siena
dizioni favorevoli per farlo e, laddove non le trova, le crea, lenta7 mente ma inesorabil8 mente. 2 4 E così è stato per 2 la Toscana, dove la 2 ‘ndrangheta sta capil1 larizzando le proprie ra1 mificazioni anche attra0 verso, come suggerisce 0 la direzione investigativa antimafia, legami sempre più diretti con altre mafie. L’espansione ‘ndranghetista è testimoniata anche dal recente arresto, nei dintorni di Lucca, del pericoloso latitante Giuseppe Spagnuolo, detto “Peppe ‘u banditu”. E le ‘ndrine sono pure numerose, almeno a quanto si può rilevare dall’attività della magistratura su questo fronte. Nomi come quello di Domenico Mancuso, controllore del night club “Cadillac” vicino Foiana della Chiana (AR), sequestrato dalle forze dell’ordine perché probabilmente utilizzato per finalità illecite, oppure come quello di Carmelo Iamonte, figlio del superboss Natale, che in meno di dieci anni di Toscana aveva creato – prima di essere arrestato - una collaudata rete per la gestione dello spaccio di stupefacenti, in collaborazione con i clan camorristi presenti sul territorio regionale. Non va dimenticato, infine, che la Toscana è
Famiglie - Cosa Nostra - Camorra - Ndrangheta 22 15 12 9 6 4 4 3 2 1
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maggiormente essi si concentrano, maggiore è il rischio di guerre di camorra. Infine, è più che mai necessario dare uno sguardo all’ndrangheta. Nel febbraio dello scorso anno, la commissione parlamentare antimafia ha approvato all’unanimità una dettagliata relazione su tale organizzazione criminale. Un evento di portata storica, poiché nulla di simile era mai uscito dalla commissione a riguardo della malavita calabrese. E ciò, dà anche il senso di come la ‘ndrangheta sia diventata potente sul piano nazionale e europeo, basti pensare alla strage di Duisburg dell’agosto 2007. Essa viene definita come dominante nel traffico internazionale di stupefacenti. E lo è grazie al suo carattere di liquidità. Un’organizzazione reticolare che si adatta, si modella e si inserisce a livello mondiale ovunque trovi le con-
Prato e provincia Cosa Nostra: Nicotra - Riina - Madonia ‘Ndrangheta: Libri
stata coinvolta nelle operazioni di polizia transnazionali “Decollo” e “Zappa”, durate anni, che hanno sgominato traffici di droga internazionale. Ad un convegno sulla legalità organizzato dalla Regione Toscana alcuni mesi fa, il vicepresidente Federico Gelli, ha ricordato come le organizzazioni criminali sembrino esercitare, nella nostra regione, una presenza silenziosa, concentrata soprattutto nel traffico di stupefacenti. E’ Il silenzio il miglior alleato della mafia. Con il silenzio la mafia si crea e sull’omertà essa si regge. Ma è con la parola che la si distrugge. In Toscana, finora, tranne sporadici tentativi, non sono emersi rapporti tra criminalità organizzata e sistema politico in grado di condizionarne le scelte. Evitare il silenzio, è il miglior modo per far sì che ciò non accada. Andrea Lattanzi
Firenze e provincia Cosa Nostra: Spadarò, Calò, Rinzivillo, Barbella, Cavallo, Cavataio, Madonia, Corleonesi, Miano, Virga, Famiglie di Corso dei Mille Camorra: Franzese, Casalesi, Iaiunese, Nuova Camorra, Cozzolino, D’alessandro ’Ndrangheta: Pesce e Bellocco, Mancuso, Alvaro, Nirta, Cordì, Gallace, Novella, Locale di Corigliano
Pistoia e provincia Cosa Nostra: Santapaola, Pulvirenti, Greco, Corleonesi, Graviano
Fonte grafici: ricerca sull’infiltrazione delle mafie in Toscana a cura della Regione Toscana e di Avviso Pubblico, presentata il dicembre scorso, a Firenze http://www.viaroma100.net/ notizia.php?id=17181
Camorra: Cozzolino, La Torre, Casalesi, Formicola, Nuvoletta ‘Ndrangheta: Piromalli, Cordì #04 - Ottobre 2009
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Speciale mafia
“Se mi vogliono fermare,
mi devono sparare”
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Giuseppe Maniaci detto Pino, un giornalista contro la mafia. Dagli schermi di Telejato, tenace emittente locale, rivela la mafia ai cittadini. E con lui, un’iniziativa popolare a suo sostegno: “Siamo tutti Pino Maniaci”. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.
Buongiorno signor Maniaci, in cosa consiste la sua attività di giornalista antimafia, e quali sono le finalità della sua emittente, Telejato? Sono dieci anni che ho rilevato l’emittente televisiva Telejato. Questa piccola televisione che copre venticinque comuni, definiti ad alta densità mafiosa, opera fra Cinisi, Corleone, Partinico e le zone limitrofe Palermo. Il nostro mestiere è diventato una lotta alla mafia senza se e senza ma. Ma con questa sua lotta crede di La libertà di poter arrivare a liberare la Sicilia stampa è in dalla mafia? È un’impresa che neanche lo Stato sembra poter pericolo vincere. Cosa la spinge a farlo? La Sicilia è una bellissima isola, ricca di storia e cultura. Uscire da questa terra e sentirsi dire Pino Maniaci che la Sicilia è terra di mafia fa molto male. Il Ritratto di Mattia Vegni nostro obiettivo, è quello di liberare la Sicilia dalla mafia ed in parte ci stiamo riuscendo. Il tre ottobre ho partecipato alla manifesta- con le forze dell’ordine, soprattutto a livello Il pizzo dalle nostre parti non si paga quasi più, zione della Fnsi in favore della libertà di stam- di collaborazione e scambio di notizie. Inoltre in quanto abbiamo contribuito a convincere i pa, visto che essa è in pericolo: la legge sulle vivo sotto tutela, quindi ci vediamo ogni giorcommercianti e gli artigiani a non pagare. intercettazioni è una minaccia concreta. Ma no continuamente. Diciamo che c’è comunE in questa sua battaglia ha mai ricevuto ri- ci sono anche altri problemi. Io vorrei vedere que un rapporto sinergico fra tutte queste torsioni da parte di mafiosi? forze nel territorio. Si hanno dei un ordine dei giornalisti riformaLa ritorsione è una cosa che sin dall’inizio to. Le figure degli addetti stam- Credo che i risultati, come ad esempio l’arabbiamo messo in conto. Gomme e freni ta- pa, ad esempio, non necessitaresto di Salvatore Bagliesi, perigliati, vetri spaccati ed una macchina brucia- no di un tesserino. Il tesserino mafiosi abbiano coloso latitante del clan Vitaleta. Ma anche un’aggressione fisica, ricevuta dovrebbe averlo solamente chi i loro addetti Ferdazza, il 19 di settembre. da me personalmente, da parte del figlio di batte il territorio, non certo coSul fronte degli ostacoli occorre un boss (il boss in questione è Vito Vitale, loro che fanno parte delle segre- stampa misurarsi invece con la collumembro di spicco del mandamento di Parti- terie, o che, scusate il termine, sione fra mafia e politica. Ma nico ndr). Abbiamo avuto diverse esperienze leccano il politico di turno. anche politica e informazione s’intrecciano negative, ma non ci siamo lasciati intimidire. Anche alla luce di quel che ha detto sull’ope- spesso in maniera poco chiara. E mafia e inAndiamo avanti perché ho detto più volte che rato di questo governo verso i giornalisti, formazione, che tipo di rapporto hanno? se mi vogliono fermare, mi devono sparare. che cosa pensa delle riapertura dei fascicoli Credo che anche i mafiosi abbiano i propri addetti stampa. Spesso ci troviamo davanti Ci racconti dell’esperienza che ha avuto a del ‘93? riguardo della doppia denuncia ricevuta Quelle sono pagine oscure della storia d’Italia ad informazioni sbagliate. È anche impensadall’Ordine dei Giornalisti, riguardo il suo che dovrebbero essere chiarite, se non altro bile, ad esempio, che un giornale riceva dal presunto esercizio abusivo della profes- per il loro carattere pubblico. Ma abbiamo carcere una lettera di un boss mafioso e che sione. visto che da parte di chi governa, di chiun- la pubblichi. Non sappiamo come abbia fatOvviamente qui da queste parti, per denun- que governi, la lotta alla mafia è diventata un to ad averla e poi addirittura a pubblicarla. ciare le nefandezze della mafia, non ci voglio- optional. I tagli alle forze dell’ordine ed alle Giorgio Bocca è stato oggetto di critiche perno gli attributi ma ci vuole il tesserino. È an- intercettazioni, sono il mezzo con cui si vuole ché ha scritto che in Sicilia, in un paese, c’è la dato a vuoto anche questo tentativo, anche spegnere l’ultima voce che ci faceva sapere caserma dei carabinieri, la chiesa e la cosca maperché la redazione di Telejato è fornita di cosa accadesse all’interno dell’organizzazio- fiosa. Ha suscitato tante polemiche, ma io invito coloro che hanno polemizzato a venire qui un direttore di testata che si chiama Riccardo ne mafiosa. Orioles, giornalista professionista, che è stato Perché il tentativo di ristabilire la legalità e constatare che tutto quello che ha detto lui, riesca, giornalismo, magistratura, e forze è effettivamente reale e corrisponde a verità. collaboratore di Pippo Fava. Sappiamo che lei non è un giornalista pro- dell’ordine devono agire in maniera sinerAndrea Lattanzi fessionista. È stata, come si è detto, una gica. Quali sono i vostri rapporti con questi questione di tempo, o la sua è una presa di attori istituzionali? Noi di Telejato abbiamo un ottimo rapporto posizione, un messaggio che vuole dare?
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Grafica Riot Van
Attualità
NON BASTA MORIRE PER ESSERE EROI Tra spari di armi da fuoco e cantieri irregolari
Il 17 Settembre sei militari italiani sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in Afghanistan. Un attentato kamikaze ha colpito un convoglio della Nato sulla strada che porta dal centro cittadino all’aeroporto della capitale, Kabul. L’opinione pubblica si divide tra chi considera eroi i militari caduti e chi contesta questa presunta eroicità volgendo la propria attenzione sull’aumento delle morti bianche, considerando eroi gli operai che muoiono per vivere. “L’eroe, nell’era moderna, è il protagonista di uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune.” Questa la definizione di eroe data da Wikipedia. In base a questo principio non si può quindi considerare eroe né un militare né un operaio nella generalità dei casi. Entrambi vanno ad incrementare quell’insieme di morti bianche già troppo affollato. Esiste una lieve distinzione tra militare caduto in missione per mano nemica e operaio morto in fabbrica per trascuratezza delle norme; al primo spettano riconoscimenti al valore oltre alle lacrime, all’operaio soltanto le seconde; entrambi sono un dolore per il proprio paese, ma l’eroicità è un’altra cosa. Nel Novembre del 2007, Kabul è stata teatro di un vero e proprio atto eroico. La vittima si chiamava Daniele Paladini, maresciallo capo dell’Esercito, del secondo reggimento pontieri di Piacenza. L’attentatore suicida era stato visto dagli stessi militari mentre cercava di risalire a piedi il greto del fiume su cui sorge il nuovo ponte ed è stato intercettato prima che raggiungesse il punto in cui si concentrava il grosso della folla. Alla vista dei militari, da quanto si è appreso, si sarebbe fatto esplodere, coinvolgendo nella deflagrazione le persone che si trovavano in quel momento #04 - Ottobre 2009
più vicine a lui. L’intervento dei soldati, che ha impedito al terrorista di raggiungere il centro del ponte, ha evitato che l’attentato causasse una vera e propria carneficina. Un commerciante ambulante di Latina è morto annegato nel pomeriggio al Lido di Latina per salvare un padre e il figlio che stavano per essere inghiottiti dal mare mosso. Davide Santucci, di 43 anni, era al mare con un amico quando si è accorto di una persona e di un bambino in difficoltà. Erano circa le 17, sembra che avesse appena mangiato un panino ma si è istintivamente gettato in acqua, i conoscenti dicono che sapesse nuotare molto bene, nel tentativo di salvare la vita ai due che stavano facendo il bagno all’altezza di Rio Martino. Santucci, secondo una prima ricostruzione della polizia, è riuscito a raggiungere l’uomo di 63 anni che stava annegando aiutandolo a tornare verso la riva, ma il gesto eroico gli è costato la vita perché non è più uscito dal mare. Questi esempi di sacrificio per l’ altrui vita fanno capire quanto l’ appellativo di eroe non possa essere concesso senza una specifica e
oggettiva motivazione. Non siamo qua a dire che i militari morti in Afghanistan non sono eroi, ma questo termine deve essere usato con coscienza e non come premio di consolazione per le famiglie. Esistono eroi ed esistono vittime, cosi come i due protagonisti delle vicende sopraccitate sono degli esempi oggettivi di azione eroica, non tutti i militari caduti nel tentativo di esportare la pace e la democrazia con le armi possono essere considerati eroi tanto meno i lavoratori morti in fabbrica per negligenza. Invece di esaltare l’eroicità, le famiglie delle vittime hanno la necessità che lo Stato gli stia vicino economicamente e moralmente non soltanto durante e poco dopo il funerale; nonché della modifica o riformulazione di leggi in materia della sicurezza sul lavoro o maggiore attenzione nelle scelte delle missioni militari all’estero. L’eroe dell’epoca romantica sta morendo sotto i colpi dell’individualismo. Jacopo Aiazzi
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Attualità
Urban Desert “Le città del futuro, il futuro della città”. La quarta edizione del Festival della Creatività, dal 15 al 18 ottobre alla Fortezza da Basso di Firenze, sarà dedicata agli scenari urbanistici futuri. La creatività come motore di innovazione e sviluppo: architetti, designer, artisti di urban e street art... Di Niccolò Seccafieno e Giulio Schoen
“Lo sguardo dei creativi di tutto il mondo è puntato sulle metropoli del futuro” La speranza è che questa attenzione sia rivolta anche alla città che ospita il festival. Perché a Firenze, di creatività, ne sentiamo proprio il bisogno. Senza neanche allontanarsi troppo dalla sede del Festival, se ne può avere la conferma. Piazza dei Bambini di Beslan è un deserto creativo, sotto-attraversato da un fiume carsico di auto. Futuristico eh? Questa sarebbe dovuta diventare completamente pedonale, ma gli estrosi architetti hanno commesso qualche errore nel realizzarla. I numerosi autobus provenienti dalla stazione, curvando alla fine di via Valfonda non riescono ad entrare nel sottopassaggio e sono costretti a mangiare parte della piazza. Dopo anni di lavori e immensi disagi alla viabilità nel realizzarla, il minimo pretendibile (cioè che venga progettato bene) è stato disatteso. Tant’è. Di pedoni se ne vedono comunque pochi, visto che non v’è traccia di una panchina, di un albero, di una siepe o di una fontana. Ci viene in mente un non-luogo sociale, una zona di solo passaggio. Chissà perché. Ma fermi tutti, forse qualcosa c’è. Uno sprazzo di creatività, patrocinato “addirittura” dalla Provincia. I “Geni fiorentini”, schierati in cima ad una gradinata, contemplano questo dolce nulla. Alcune sedie (sghembe e irraggiungibili) sembrano schernire dalla loro altura gli astanti (pochi), che si vendicano sedendosi sull’opera, malamente recintata. Come dargli torto, visto che è l’unico luogo dove poter riposare le terga. Potrebbe essere l’unica défaillance della “metropoli del mondo artistico” (nel vocabolario DeMauro online, Firenze viene usata come primo esempio nel definire il concetto di metropoli in un determinato ambito). Invece no. La città offre svariati esempi di “lande non-creative”, che non esiterebbero a fare inorridire Poincaré, il quale definì la creatività:
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“l’unione di elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. P di piazza come P di parcheggio Largo Annigoni, 6000mq (l’ampiezza di piazza Santa Croce), non è utile a nessuno. Tranne che ai giocatori di frisbee, che hanno fatto di questo soffitto-di-parcheggio-sotterraneo il loro tempio. Ci fu chi provò, con un’istallazione più creativa che artistica, “A non tutti piace l’erba”, a dar loro un soffice manto dove giocare. È bastato coprire lo strato di pietra con un tappeto di erba vera per creare la vita in un luogo altrimenti desolato, anche se solo per un mese. Qui lo scenario è quello visto in precedenza: zero panchine, zero fontane, zero verde, zero vivibilità. In Piazza D’Azeglio,
così come in tanti altri giardini pubblici vicini a scuole, sempre invasi da mamme e bambini, non vengono sostituite le panchine che si rompono (cosa che accade abbastanza facilmente). Numerose in città anche le “piazze parcheggio” come piazza Mentana, piazza dei Giudici, piazza Vittorio Veneto, bellissime terrazze sull’Arno, dove però gli unici elementi presenti sono auto e motorini. Pedala che ti passa “Firenze è ciclabile”, recitano i manifesti sparsi per la città. Meglio dire che potrebbe diventarlo. Si iniziano finalmente a vedere i primi segnali, quali la creazione di nuove piste e il potenziamento delle postazioni per il bike sharing. Peccato però che di notte e nei #04 - Ottobre 2009
Attualità
di questo sviluppo? Considerando che molti scienziati concordano nel sostenere che nel 2050 oltre il 75% della popolazione mondiale vivrà in contesti urbanizzati, sarebbe anche l’ora di rendere le piazze elemento imprescindibile e poliedrico del vivere sociale. Non ci sembra di chiedere la luna, basterebbe un posto dove sedersi e qualche fontana.
Da sinistra: Piazza dei bambini di Beslan, Piazza del Carmine, Piazza Mentana, Piazza Alberti, Largo Annigoni
giorni festivi queste ultime siano inutilizzabili, perché ancora controllate da un custode, a differenza di Parigi e Milano dove le bici vengono noleggiate (tramite carta di credito) da rastrelliere automatizzate. Aumentano anche le rastrelliere pubbliche, anche se gli ultimi modelli (cinque tubi a U rovesciata uno accanto all’altro) possono ospitare soltanto 10 biciclette. Viene da chiedersi: ma in Comune sono a conoscenza di un paese chiamato Olanda dove le rastrelliere sono un elemento onnipresente, costruite con ingegno, facendo stare in poco spazio il maggior numero di bici possibile? Con poche piste (che a volte sono solamente un marciapiede con una striscia nel mezzo come divisorio dal passaggio pedonale) che sfociano in zone ad alta densità #04 - Ottobre 2009
di traffico, con un manto stradale che ricorda quello della Parigi-Dakar, è ancora difficile poter sostenere la tesi di una Firenze a “misura di bici”. Il 2009 è l’Anno Europeo della Creatività e Innovazione (European Year of Creativity and Innovation – EYCI). L’obiettivo è “accrescere la consapevolezza dell’importanza della creatività e dell’innovazione in quanto competenze chiave per lo sviluppo personale, sociale ed economico”. E dunque, cosa meglio di una piazza, luogo d’incontro cittadino per antonomasia, dovrebbe essere utile, innovativo, fruibile? E quale città se non Firenze, che per secoli ha mescolato nelle sue vie creativi d’ogni sorta e grandezza, dovrebbe essere esempio
Creatività non fa rima con Università A Firenze il binomio infatti stride. Il polo universitario di Novoli, ultimato pochi anni or sono è infatti una mera colata di cemento, priva di qualsiasi elemento creativo, di verde (eccezion fatta per un pratino scarno, per altro irraggiungibile, incastrato in un cortile dello studentato), men che mai funzionale. Certo, accanto è stato creato il parco di San Donato, ma è anche vero che uno studente frequenta e passa il suo tempo all’interno del polo, non nel parco. I vialetti pedonali interni al polo non hanno conosciuto aiuola o fontana; le strade adiacenti, oltre alla sosta selvaggia alla quale sono sottoposte, sono oltretutto dimezzate dagli onnipresenti panettoni, spesso usati anche a mo’ di spartitraffico. Le piazze sono totalmente vuote, piazza Spadolini in primis, dove l’elemento di spicco è un idrante rosso. Alienante. Non tutto però è da buttare. Sono state modernizzate e possono dirsi creative – o perlomeno funzionali – piazze come Giorgini, Santa Maria Novella, San Marco ed i cortili interni dell’ex carcere delle Murate. E meno male, perché dopo tanti anni di vuoto creativo, Firenze meriterebbe qualcosa di meglio. Non sarebbe male se la creatività uscisse dalle mura della Fortezza e contagiasse anche il resto della città.
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Musica
“Tao love bus experience” il concerto che va dalle persone Abbiamo intervistato Tao, cantautore milanese ideatore del progetto “Tao love bus experience”. A bordo del famoso pulmino wolksvagen anni ‘70, Tao porta in giro con la sua band il primo tour in movimento, registrando più di 200 concerti in 100 città in giro per l’Italia e percorrendo più di 70.000 km. Un tour atipico dove il palco è l’interno dello stesso furgoncino perfettamente arredato in stile hippie, completo di illuminazione ed impianto di diffusione degno dei migliori sound system. Un progetto che fa rivivere le emozioni e lo spirito degli anni del vero rock.
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cosa, dai festini agli acid test. Facevano anche musica pero’ e, mettendo da parte i festini e gli acid test, ho pensato si potesse fare la stessa cosa. Ho iniziato a cercare persone che mi appoggiassero con questo progetto e trovai subito Giuseppe “Pepè”, il bassista; successivamente trovai il batterista che ci lasciò poco dopo. Cosi venimmo a conoscenza di Luca, l’attuale batterista, il cui soprannome è Magic, che iniziò a suonare con noi e magicamente, appunto, iniziammo a fare una lunga serie di concerti. Buona parte del merito pero’ va al fonico Andy che ha addestrato un esercito di tecnici che manda a turno in tour con noi a fare lo sporco lavoro. Lui è stato il primo a non ridermi in faccia quando gli ho proposto il progetto ma molto seriamente, mi ha guardato e mi ha detto “sì, sì. si può fare”. da li in poi ci è cambiata la vita. Con il Tao love bus non sono più le persone ad andare al concerto ma è il concerto stesso che va dalle persone. Qual è il vostro pubblico di riferimento e che reazioni ha quest’ultimo quando assiste ad una vostra performance?
La reazione è strana, la gente è folgorata, incredula. Poi si appassiona; si diverte; se rimane a vedere il concerto, lo segue; se rimane fino alla fine, magari si commuove anche. Per me non esiste un target, al contrario di come pensa la maggior parte delle case discografiche, è una stronzata. A dimostrazione di ciò vi è il fatto che quando noi suoniamo c’è gente, che va dal bambino di 6 anni al signore di 70, che si emoziona, apprezza. Forse anche la formula originale che abbiamo utilizzato, ma alla fine se vali poco la gente dopo un po’ molla il colpo. Ma a livello pratico, com’è suonare in un pulmino: eccitante, divertente, sfibrante? Suonare è senza ombra di dubbio una delle cose più belle che si possa fare. Sono i viaggi ad essere un po’ snervanti. Il pulmino, purtroppo, fa i cento all’ora in discesa con il vento a favore ed è anche un po’ scomodo. Ma ormai siamo abituati: per arrivare a Campobasso da Milano ci abbiamo messo 14 ore! Ma quando vi ha fermati la polizia cos’è successo, cosa vi hanno detto? Quale delle 300 volte? No, scherzi a parte, la prima volta non è stato bello, dato che siamo stati scambiati per manifestanti. Eravamo a ridosso di piazza Duomo, a Milano, e in modo del tutto involontario abbiamo bloccato il traffico, era arrivata talmente tanta gente incredula che abbiamo bloccato tutto. Sono arrivati i vigili, in particolar modo c’era una vigilessa molto incazzata. Si avvicina a me con il manganello in mano e mi fa: “hey mr beatles, stacca tutto e seguici in centrale”. Li è stata brutta la cosa perché l’atteggiamento dei vigili è stato molto duro, ci hanno trattato un po’ come dei delinquenti. Poi sono diventato amico con questa vigilessa, siamo usciti a prenderci un caffè, abbiamo chiacchierato e ora è una nostra simpatizzante. Le cose cambiano, si ribaltano, bisogna avere l’atteggiamento giusto nell’affrontarle, bisogna crederci. Per concludere, il tuo progetto in tre aggettivi. Atipico, personale, caldo. Giuseppe di Marzo
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immagini dal sito www.taovox.com
Ciao Tao, per prima cosa volevo chiederti da dove nasce il tuo nome d’arte e perché Tao. Il senso della parola è strada, cammino, percorso, mi sembrava un bello pseudonimo da utilizzare, anche perché considero il fatto che spesso il cosiddetto percorso, è molto più godurioso della meta finale. Nel senso che se tu, per raggiungere un obiettivo, non soffri o non provi piacere o se non ti godi il viaggio non ti gusterai mai la meta. Dopo l’uscita del disco, “L’ultimo James Dean” del 2007, hai avuto l’idea di fare il “Tao love bus experience”. Come ti è venuta un’idea simile e com’è suonare in un furgone? Comprai il pulmino nel 2005 e non avevo ancora chiaro cosa ci avrei fatto, però, sapevo che qui dentro doveva succedere qualcosa. Ho avuto questa folgorazione anche leggendo un libro scritto da Ezio Guaitamacchi, “Peace and love”. Guaitamacchi è il boss di “Jam”, una bellissima rivista di musica. Il libro è ambientato nella San Francisco degli anni ‘60, nella quale erano molto di moda i cosiddetti school bus. Un pulmino scolastico in stile hippie girava in lungo e in largo la California e all’interno di questo un gruppo di ragazzi faceva qualsiasi
Patti Smith in Piazza Santa Croce. Foto di Valeria Franci
Musica
PEOPLE HAVE THE POWER Patti Smith meets the students in Florence
Poetessa. Sacerdotessa. Eroina femminista. Icona del rock. Mistica. Certamente per pochi altri artisti sono stati scomodati così tanti aggettivi o definizioni. E forse a ragione. Perchè Patricia Lee Smith rimane ad oggi la più importante ed eclettica artista donna in attività nel panorama mondiale. A trent’anni esatti da quel suo storico concerto allo Stadio Franchi, Patti Smith torna a Firenze per il suo tour ‘I was in Florence’, che si è concluso giovedì 10 Settembre in una gremita Piazza Santa Croce. Riot Van l’ha incontrata, insieme a studenti di varie nazionalità, nella splendida cornice della Limonaia di Villa La Pietra. La sacerdotessa Patti siede tra le due statue di Atena e Venere con un sorriso rilassato. Parla lentamente e con l’espressione amorevole di una madre, mentre racconta le meravigliose storie della sua gioventù.
immagini dal sito www.lastfm.com
In passato hai detto che Firenze è stata la tua Woodstock. Probabilmente Firenze è stata la città più importante per me, in questa città ho trovato una bellezza ed un misticismo che non è possibile ritrovare, per esempio, a New York, dove tutto è distrutto e rinnovato ogni settimana. Respiri ancora l’aria delle più grandi menti di sempre. E poi, non ci trovi quelle odiose gigantografie di mutande Calvin Klein di quaranta metri ad ogni angolo della strada. Quella è roba inutile, perchè non esistono donne di quaranta metri, capite? Capiamo. Inoltre, Firenze per me rappresenta qualcosa di più di una bella città che mi ha accolto calo-
Una giovane Patti Smith #04 - Ottobre 2009
rosamente. Certo, fu probabilmente il concerto più eccitante che abbiamo mai fatto, ma quella notte rappresentò per me la fine di un periodo della mia vita e l’inizio di un altro. Capii di avere raggiunto quello che volevo come cantautrice, e che per qualche tempo mi volevo concentrare su nuovi passaggi della mia vita, come la maternità, l’amore, la poesia. Per me fu l’inizio di una nuova stagione creativa, e la gente di Firenze fu fantastica con me in quel momento particolare: alla fine del concerto ragazzi e ragazze saltarono sul palco per cantare con me, gli regalai chitarra, microfono, persino ciocche di capelli. Fu incredibile. Hai sempre fatto della performance dal vivo il cardine delle tua arte. Esattamente, ho sempre fatto arte per la gente, prima che per me stessa. Devi sempre cercare di essere comunicativa nel modo più accessibile ed efficace, non scrivere poesie e testi solo per accademici o letterati. L’artista secondo me è sempre lo schiavo di qualcuno, sia esso il pubblico, il committente o chi volete voi. Ma è solo la mia opinione; probabilmente Karl Sandberg potrà dire che sono tutte cazzate. L’impressione che dai al tuo pubblico sembra essere centrale per te. Il giorno che smetterai, che ricordo vorrai lasciare? Smetterai? Non credo che smetterò mai (ride). In realtà, come cantante, cerco di apparire al mio pubblico come un’amica ed una ‘hard worker’. E, ovvio, anche di dargli un’ispirazione. Hai scritto ‘Gesù Cristo è morto per I peccati di qualcun’altro, non i miei’. Qual è il tuo rapporto con Dio? Bè, io sono cresciuta Testimone di Geova, ma ho smesso di praticare quando ho iniziato a non condivdere l’interpretazione che viene data ai testi sacri. Voglio dire, cosa direbbe Gesù Cristo se venisse in terra e vedesse le crociate, o i tesori del Vaticano? Quindi, credo che ci sia un solo modo per dare un senso alla propria religiosità, al giorno d’oggi, e cioè cercare sempre di fare il bene del tuo prossimo e di essere un esempio per chi ti segue. Come è nata la tua ‘vocazione’ di salire su un palco? Sai, credo sia nata alle scuole medie, durante una lezione su Moby Dick, il mio libro preferito che a dodici anni avevo già letto più volte. La professoressa stava annoiando a morte tutta la classe con una spiegazione dei simboli religiosi nascosti nel libro. Vedendo come ero distratta, mi ha chiesto: ‘Patti Lee, vuoi andare avanti tu?’.
Io subito pensai ‘Evvai!’, e per due ore spiegai il libro ai miei compagni. Non li ho mai visti così interessati. Da quella volta, credo sia nata la mia passione per insegnare. Provai a diventare maestra elementare, ma non passai i test! E quindi, eccomi qua. Cosa ti ispira maggiormente, nel processo creativo? La vita stessa. Tutto e niente, perchè probabilmente potrei farti una poesia anche su un pezzo di carta igienica appallottolato. Non sto scherzando, essere un artista è una condizione interiore, non esteriore. E non c’è bisogno di niente di particolare, ogni cosa può ispirarti a scrivere l’opera della tua vita. Per questo, l’artista deve tenere occhi, orecchie, e naso, sempre aperti. Io per esempio mi porto sempre dietro un taccuino, su cui riversare liberamente le mie idee appena le concepisco. Sì, io sono quel tipo di deficiente che si ferma per strada all’improvviso e passa un’ora a scrivere appoggiata contro una ringhiera. Mi tocca… sai, a vent’anni potevo fumare erba tutto il giorno e scrivere quando volevo. Poi, con la maternità e tutti gli impegni, ho imparato a creare un po’ ovunque. Oramai a sessant’anni inoltrati, Patti Smith è una incredibile ispirazione per tantissimi. “Bisogna cercare di essere la spina nel fianco della corruzione. Giorno dopo giorno, nel nostro piccolo, pungere, e pungere, e pungere. Consapevoli che un giorno, assieme, la dissangueremo.” Intelligente, rilassata e sicura di sé, mette a nudo l’anima con grande senso dell’ironia. Mentre parla suona un telefono, lei si interrompe , “Hello?”, finge di rispondere ad un cellulare invisibile e sorride benevola al ragazzo che nel frattempo ha assunto un colorito vermiglio. Conclude l’incontro con una interpretazione acustica di “People have the Power”, ripresa da una selva di telecamere e cellulari. La sacerdotessa Patti si avvicina alla telecamera di un ragazzo, e con grande dolcezza gliela toglie di mano. “Voglio vedere i tuoi occhi, non il tuo obiettivo” gli dice, ed invita tutti a cantare con lei. Niente microfoni o amplificatori, solo un’immensa passione. “Alzate la voce, siete giovani, no? Non vi rendete conto che non c’è cosa più cool che scendere in strada e mandare a fare in culo il governo?” Giovanni Macca
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Musica
A venti anni dalla sua rinascita dopo la caduta del muro, un assaggio della città più giovane e piena di energia, partecipando ad uno dei suoi innumerevoli festival musicali.
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Un assaggio degli ottimi Kasabian prima del gruppo più atteso, forse, dalla maggior parte del pubblico: gli Oasis. Ma l’attesa non è commisurata alla loro performance, piuttosto piatta e fredda. A mezzanotte giunge il momento del dj set di Tiga, il set conclusivo del Melt. Che dire, è una festa nel festival. Si sono riuniti tutti lì, sotto al tendone del gemini stage con bandiere, ombrelloni da spiaggia levati sulla calca che grida, balla e sventola qualsiasi cosa si trovi per le mani. Il canadese fa suo quel clima e lo imprigiona dentro i giradischi, proponendolo sotto forma di techno elettronica ed house, alla folla che si dimentica di ballare da due giorni e deflagra ad ogni nuovo disco! Alle 2:00 il festival si conclude e la gente torna alle tende esausta e con gli occhi pieni di luce. Non è un semplice festival musicale il Melt, è molto di più. Una vera esperienza artistica e culturale. Non credo che all’estero siano tutti più buoni, esiste però in Italia un problema a livello di sistema, delle grosse falle nell’educazione, che possono aprirsi in quella scolastica, per non chiudersi sicuramente in quella civile e morale di cui possono avere bisogno gli adulti. Vorrei far riflettere sul fatto che in Italia c’è un decadimento morale e culturale e che non è così ovunque. I vizi e le virtù dell’essere umano possono essere plasmati dall’ambiente in cui vive e, in questo senso, l’Italia odierna è un pessimo ambiente. Invito tutti gli italiani amanti della musica elettronica in genere ad andare al Melt Festival il prossimo anno o comunque ad altre manifestazioni tedesche che sono sicuro costituiranno, come per noi il Melt, non soltanto un occasione di folle divertimento, ma un autentico insegnamento di come si può essere davvero alternativi, non seguendo la dottrina dell’esagerazione ma quella dell’equilibrio. Francesco Guerri Andrea Nocentini
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Immagini promozionali e locandine dei film
Ferropolis, 100 Km a sud di Berlino, conosciuto anche come “the city of steel”, è un vecchio stabilimento per l’ estrazione del carbon fossile, chiuso dai primi anni ’80. Gli enormi macchinari presenti, di quasi 2000 tonnellate, fanno da sfondo al più grande festival di musica elettronica: il Melt, che propone vari palchi, sui quali, nei 3 giorni passeranno i nomi più noti dell’elettronica e del rock. Impensabile non organizzarsi prima: in solo tre giorni più di trenta tra concerti e dj set da seguire. L’organizzazione è impeccabile: campeggio nel verde, bagni puliti e sempre riforniti (cosa che stupisce i cultori delle feste italiane), molte specialità culinarie tedesche e tutto ad un chilometro dal delirio di suoni. Ad aprire le danze il dj set dei Radio Slave, con accenti fortemente tech-house, intrattengono la folla con un ritmo monotono e continuo, quasi ipnotico. Viene da pensare che sarebbe più interessante sentirli suonare live i loro innumerevoli successi. A seguire, il concerto dei Travis, conosciuti in Italia soprattutto per la canzone “Sing”. Molto bravi, forse un pò malinconici. Alcuni pezzi sono da vivere con l’amata accanto, comunque energici. Molto bella “Closer”. Vera sorpresa della giornata sono stati i Gossip: hanno emozionato e fatto scatenare la folla, un inno all’omossessualità suonato in modo travolgente. Gente che saltava, ballava, si emozionava. C’era chi si faceva trasportare dall’onda della folla a tempo di “Heavy cross” e “Pop Goes The World”. Davvero un bello spettacolo. L’attenzione poi, si è spostata sul piazzale del
main stage, dove a far ballare il pubblico ci pensano Aphex Twin e Hecker, con il loro live di elettronica acida e techno. A momenti sembrano avvicinarsi a generi come la drum’n bass e la breakcore. La giornata si conclude con il dj set techno minimale di dj Koze, interrotto sul finale dalla pioggia. Il giorno successivo, sabato, al tramonto è già tutto pronto e l’atmosfera inizia a scaldarsi. Inaugurano la serata i The Whitest Boy Alive, band di casa che ricorda una sorta di Simply Red. Il ritmo si fa sempre più incalzante, ad alternarsi sul palco anche Critical Mass, Whomadewho e i più celebri Phoenix, famosi per la loro “If i ever feel better”. Tutti e tre molto interessanti e divertenti comunque. L’energia esplode del tutto con il concerto più atteso del festival: a salire sul palco del main stage finalmente i Digitalism, accompagnati da un eccellente batterista. La gente è in delirio, non sta nella pelle, vengono sparati nell’aria miliardi di coriandoli da due cannoni giganti al lato del palco. Il concerto può iniziare. Suonano i pezzi migliori, da “Zdarlight” a “Idealistic”, un fiume di emozioni che sfoga tutta la sua energia nel pezzo finale e, forse, il più bello: “Pogo”. Concerti bellissimi ma senza dubbio la cornice è anch’essa fantastica: gente da ogni parte del mondo vive tre giorni di musica e divertimento. Puoi leggere nei loro volti sentimenti di spensieratezza e gioia che rendono il tutto un’ esperienza senz’altro formante a livello culturale e musicale. L’ultimo giorno è molto più tranquillo, ma sempre con tanta musica da vivere. Al tendone del Gemini Stage da segnalare la presenza di uno dei più grandi dj tech house, il francese Yuksek, che accompagna il pubblico con la sua musica per oltre un’ora, mescolando sapientemente tastiera e sintetizzatore con voce dal vivo.
Grafica Riot Van
Melt festival
Immagini dal sito dei The Rent
Musica
Intervista band emergenti: Quattro ragazzi fiorentini, classe 1992 (Nicola Guerrieri – basso e voce, Giacomo “Jack” Mottola – chitarra e voce, Metello Giordani – chitarra e cori, Gregorio “Cigno” Fornaciai – batteria e cori), compongono questa band dal sound multicolore, tinteggiato in passato da note rock e jazz, ma approdato definitivamente a suoni di chiara impronta brit-pop e new wave. Amici d’infanzia, fondano il gruppo nel settembre del 2006, a partire da allora riescono a tenere più di cinquanta serate in tutto il territorio toscano e non solo. Provando costantemente in un garage della Firenze industriale sono in grado di migliorare il loro stile, riuscendo a farsi apprezzare da un pubblico sempre più vasto e giungendo ad incidere ben quattro demo. Per iniziare, vorrei porvi una domanda che potremo definire “classica”, ossia perché avete deciso di fondare la band e soprattutto perchè avete eletto il brit-pop come genere vostro prediletto. Dopo le prime esperienze Rock e Jazz, in cui la formazione del gruppo era un po’ diversa, abbiamo deciso di fondare i Rent perché sentivamo il bisogno di riunirci, di iniziare tutti assieme un nuovo percorso musicale. Pian piano siamo riusciti a creare un nostro stile che è sfociato in suoni brit-pop probabilmente perché siamo sempre stati un po’ influenzati dai nostri primi ascolti, da quegli album che per primi ci sono stati regalati e che hanno finito per segnare tutto il nostro cammino in senso musicale. Perché The Rent? Da cosa è nato questo nome? Come accade spesso le idee vengono da sole, senza volerlo. Nel settembre del 2006 io (Ni#04 - Ottobre 2009
The Rent cola) stavo cambiando casa e sentivo costantemente i miei genitori parlare di affitti troppo alti, di case e traslochi. Durante i primi giorni di scuola, invece di seguire le lezioni, mi divertivo a fare disegni e scritte sul banco e venne fuori il nome The Rent. Mi sembrava carino, lo proposi agli altri e così nacque il marchio della band. Il ricordo del primo concerto, della prima serata ufficiale. Consideriamo come prima consacrazione della band la serata alla festa del liceo Machiavelli -Capponi alla Flog del giugno del 2007 ma in realtà il primo vero concerto dei Rent si tenne per la celebrazione delle nozze d’argento dei genitori di Gregorio dove però erano presenti solo cinquantenni sfavati, che applaudivano unicamente perché eri il figlio dei festeggiati. Per quanto riguarda la serata alla Flog, oltre all’immagine di Jack con le dita insanguinate perché suonava senza plettro, il ricordo è quello di momenti di tensione e tremore anche se infine ne uscimmo gasati e soddisfatti ,soprattutto grazie al grande appoggio delle persone venute lì per ascoltarci. Tra le tracce da voi scritte e poi registrate nei quattro demo quali sono le più importanti, quelle che vi rappresentano meglio e che hanno avuto maggior presa sul pubblico?
The Rent in concerto al Viper
Sicuramente da ricordare è “This Is Not Rock’n’Roll”, prima canzone del primo demo. (Nicola) L’ho scritta ai tempi delle scuole medie guardando fuori dalla finestra della mia classe, riflettendo così sul mondo intorno che in quel periodo appunto non era rock’n’roll anche se adesso, per nostra fortuna, un po’ lo è diventato. Fondamentali per noi sono poi “Jasmine” e “Another Day – Another Way” che segnano un po’ il punto di maggior maturazione del gruppo. Infine la canzone maggiormente apprezzata dal pubblico è stata senz’altro “Lisa”, che parla del cane di Nicola. Anche se è stata spesso fraintesa poiché molti pensavano parlasse di una ragazza, ci ha reso molto orgogliosi di noi stessi in quanto vedevamo e vediamo tuttora le persone cantarla ai concerti, a volte anche canticchiata da qualcuno per strada, magari qualcuno di cui non hai neanche mai visto la faccia. Durante il percorso di crescita e maturazione della band qual è stato per voi il momento più bello sul piano musicale. Senza dubbio il momento in cui “ce la siamo tirata” di più, in cui ci siamo sentiti importanti, è stato il 4 luglio del 2008 quando, al Marea Festival di Fucecchio abbiamo aperto il concerto dei Joe Lean & The Jing Jang Jong, un gruppo inglese molto in voga in questo ultimo periodo. Fondamentale sul piano della crescita musicale ma anche personale è stata poi la registrazione dell’ultimo demo, che ha marcato la definitiva consacrazione del nostro stile e che ci permette farci sentire come un vero gruppo, un gruppo di professionisti. Per terminare come abbiamo iniziato, un’altra domanda “classica”: come vedete il vostro futuro? Due cose ci auguriamo come band: non finire a suonare ai matrimoni ed essere pieni di escort. Martino Miraglia
Copertina EP
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Cinema
Al cinema coi fichi secchi. Tornano anche quest’anno le “Giornate del Cinema Europeo”. Undici giorni dedicati totalmente al cinema del vecchio continente, undici giorni, come gli organizzatori tengono a sottolineare, di condivisione culturale profondamente “europeista”. Una selezione di opere altrimenti “invisibili” nel nostro paese, che riescono a fare giorno dopo giorno una panoramica abbastanza precisa delle tendenze cinematografiche dei giovani autori dell’Unione Europea. Il festival quest’anno si è diviso in tre macro sezioni: la prima denominata “Orizzonti europei” con il compito di illustrare i film più interessanti della scorsa stagione, la seconda per commemorare l’anniversario dei vent’anni dalla caduta del Muro a Berlino , mentre l’ultima dedicata esclusivamente alla retrospettiva integrale delle opere del cineasta svedese Lukas Moodysson. Interessante ed ironica poi l’introduzione del premio-non premio “Nozze con i fichi secchi”. Grazie all’aiuto di Luca Enoch, autore e disegnatore di fumetti di successo, è stato possibile realizzare una versione “povera” della famosa statuetta dell’Oscar che, come si legge nel comunicato stampa dell’organizzazione, è stata consegnata ai principali ospiti del festival per sensibilizzare sulla costante crisi di supporto e appoggio a tutto il settore della cultura in Italia. Le Giornate del Cinema Europeo 2009 infatti sono state realizzate con un budget effettivo di 40.000 euro a fronte di un impegno economico,supportato dal volontariato e dai molti partner, di circa 70.000 euro, riuscendo comunque a far pagare il biglietto per l’intero festival la somma di soli cinque euro. Poca cosa, quindi, rispetto alla grande eterogeneità di geneti e titoli presentati dalla rassegna. Film per tutti i gusti, insomma. Da opere d’ambientazione storica di forte impegno civile come “Katyn” del polacco Andrezj Wajda, incentrato sul massacro di migliaia polacchi d a parte dell’esercito russo, ad opere decisamente più scanzonate stile “JCVD” e “Falco”, due biografie su personaggi eccentrici e sopra le righe come la pop star anni ‘80 Falco (Rock Me Amadeus) e il re dei film d’azione, ovviamente dopo Chuck Norris, Jan Claude Van Damme. Non mancano le opere più classicamente autoriali, di respiro più intimista, quali l’acclamato “La mertitude des chose” di Felix Van Groeningen o “Somers Town” del regista Shane Meadows (This is England, 2006). Assolutamente da citare l’interessante tentativo da parte di alcuni registi, tra cui Hannes Stoehr, di raccontare l’avvenimento epocale della riunificazione tedesca scegliendo vie apparentemente laterali che vanno al di là della mera rappresentazione storica. Piccole storie di una Berlino post-muro, intervallate da sinfonie espressioniste di puro montaggio, capaci di raccontare la Berlino unita.
Lukas Moodysson V.M. 18 Regista svedese appena quarantenne, ritenuto un talento fin dai suoi esordi, con tanto di lode ricevuta dal tesoro nazionale Ingmar Bergman. Inizia nel 1998 con il pluripremiato e campione di incassi in patria “Show me love”, film con il quale inizia ad indagare una tematica a lui cara quale il mondo adolescenziale. Storia di due ragazzine quattordicenni e della loro relazione amorosa con le sue ovvie problematiche. Dopo un così travolgente ed inaspettato successo, ed una parentesi apparentemente più leggera con “Together”(2000) , Modysson sceglie una strada più difficoltosa, allontanandosi dal pubblico, verso territori decisamente più sperimentali. Qui incontriamo gli episodi forse più crudi ed ostici della sua opera, “ A hole in my heart”(2004) e “Container”(2006), due film che è arduo definire narrativi , interessati principalmente all’aspetto visivo e che puntano, se non proprio a scioccare lo spettatore, sicuramente a metterlo in difficoltà con sequenze disturbanti (sesso in tutte le salse,morte e vomito sicuramente creano un mix di non facile digeribilità) ed uno stile registico più vicino alla video arte che non al cinema tradizionale. Nel 2002 esce “Lilja 4-ever” (2002) esplora , con uno stile tra l’onirico e il realismo più crudo, la storia di una ragazzina russa costretta alla prostituzione dalla fine scontatamente tragica. Quest’anno è arrivato il debutto Hollywoodiano con “Mammut”. Quasi un trauma, come confessato dal regista, l’arrivo ad un film, rispetto ai precedenti, fin dal titolo mastodontico. Il budget di ben altro spessore, oltre a grandi star (Gael Garcia Bernal e Michelle Williams) porta con sé grandi problemi in fase realizzativa a causa della limitata libertà che questo
Oscar povero del Cinema Europeo
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Cinema
genere di film comporta. Accantonata quindi definitivamente, o almeno così sembrerebbe, l’esperienza hollywoodiana si prospetta per il futuro di Moodysson un ritorno ad un cinema, citando le sue stesse parole, più “piccolo”se non nelle aspirazioni sicuramente nel budget. Pochi fidati attori ed una piccola macchina da presa.
La parola al regista …
Abbiamo avuto la possibilità di incontrare il cineasta svedese Lukas Modysson per una breve intervista che ci ha gentilmente concesso durante il suo soggiorno fiorentino. Ecco cosa che ne è uscito fuori … Il suo primo film è stato un grandissimo successo sia in Svezia che a livello internazionale. Come ha reagito a tutta questa improvvisa attenzione nei suoi confronti? Ed è per questo che successivamente si è orientato verso un cinema più “sperimentale”? Innanzitutto è stata una grossa sorpresa perché non immaginavo neppure che questo film uscisse dalla Svezia. Però devo dire che non amo parlare del mio lavoro in termini di successo o fallimento, anzi cerco proprio di evitare di pensare a quello che la gente pensa dei miei film. Trovo che sia abbastanza pericoloso. Fondamentalmente dopo aver fatto un film non ho mai pensato : adesso devo fare una cosa diversa. Cerco di fare quello che credo di voler fare, mai avendo troppa premeditazione rispetto a come verrà ricevuto ma piuttosto cercando di essere onesto e curioso. E’ questo che mi interessa. Lei è stato definito più volte un cineasta credente e per certi versi moralista. Quanto ha influenzato tutto questo la scelta di ricercare un forte impatto a livello narrativo e estetico, in riferimento a film quali “Lilja 4-ever” e “A Hole In My Heart”? Ha avuto un intento sociologico o piuttosto morale, una sorta di “Memento mori”? (Sorride) Non saprei se è giusto definirmi un regista moralista o cattolico o quello che è, e neppure so se questi aggettivi possono essere applicati a “Lilja 4-ever” e “A hole in my Heart” , ma la cosa che accomuna questi film direi essere piuttosto la difesa dei valori umani, o meglio vogliono difendere il valore di ogni vita umana in quanto sacra. Non so se questa è un’idea di tipo sociologico o morale ma fondamentalmente è quello che tenevo a dire in questi film. Secondo lei questo suo intento è stato compreso? O piuttosto ha rischiato di spaventare ed in un certo senso allontanare il suo pubblico? Non lo so sinceramente, non ho idea di come il pubblico abbia inteso questi film, sicuramente ci sono state varie interpretazioni, vari pubblici e vari sentimenti. Qualcuno avrà sicuramente frainteso e qualcun altro invece credo avrà capito. Siccome , come dico spesso, non sono né un #04 - Ottobre 2009
politico né un giornalista, quello che scrivo è aperto a discussione e all’interpretazione. Anzi è proprio quello che mi interessa. In molti dei suoi film è presente l’immagine di un ponte dal quale i suoi personaggi si affacciano in momenti di disperazione. Si tratta di un elemento casuale o viceversa ben studiato? Con ciò cos’ha voluto rappresentare? Ecco questo è proprio un tipico esempio di quelle cose che sono aperte a varie interpretazioni. Comunque sì, in effetti è vero che mi interessano i ponti, i ponti come “link”, come strutture che collegano un posto ad un altro, come elemento di connessione. E’ quindi un posto dove ti senti in mezzo a qualcosa, in mezzo a due luoghi e due scelte diverse, e tu devi scegliere questa o quella direzione. Non tutti i suoi film sono ambientati in Svezia, quale rapporto ha col suo paese d’origine?
Anche lei, come i giovani protagonisti dei suoi film ha desiderato scappare? (sorride) Bé ci penso sempre a queste cose, di andarmene o meno, perché mi sento proprio come un albero, ho le mie radici lì ma ogni giorno mi domando se quello è il posto in cui vorrei vivere. Comuque l’unico film in cui manca completamente la Svezia è mammut. Alcuni altri, nonostante la lingua e l’ambientazione all’estero, sono comuque particolarmente “svedesi”. Per esempio in “Lilja 4-ever” il ponte dal quale salta la protagonista è vicino a casa mia, quindi sento una vicinanza emotiva oltre che fisica. A cura di: Chiara Morellato Edoardo Calamassi
“Lilja 4-ever”, a sinistra una scena di “A hole in my heart”, in alto il regista Lukas Moodysson
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Cultura
Gli interessi in comune
Intervista all’autore Vanni Santoni
Vanni Santoni è nato nel 1978 a Montevarchi. Laureato in Scienze Politiche, inizia a scrivere in rete. Ha pubblicato “Personaggi precari” (RGB, 2007) con cui ha vinto il “Gran Premio Scrittomisto”, un libro sperimentale in cui i brevissimi racconti sono semplici presentazioni di personaggi; Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), romanzo che racconta dieci anni di disavventure di un gruppo di ragazzi della provincia toscana. Premiato come “Scrittore Toscano dell’anno” nel 2008 è finalista Premio Zocca 2009, collabora con il Corriere Fiorentino. È ideatore e curatore del progetto “Scrittura Industriale Collettiva”.
Gli interessi in comune, il romanzo che ti ha portato al grande pubblico, parla di giovani e droga: la cosa più scontata del mondo, la storia dell’ennesima gioventù bruciata. Eppure hai trovato il modo di raccontare qualcosa di nuovo. Il tentativo era proprio evitare di raccontare quelle banalizzazioni che si trovano sui giornali. Partivo da quello che è un dato oggettivo sociologico: il consumo di sostanze è endemico, ed avviene in un contesto quotidiano di assoluta normalità. Eppure evidentemente siamo di fronte ad una sorta di psicosi collettiva, perché c’è una forbice incredibile tra ciò che avviene realmente e la rilevanza mediatica che si dà ai casi in cui siano provate conseguenze negative. Un motivo che mi ha spinto a scrivere questo romanzo è stata un’esigenza letteraria di – potrei dire – controinformazione. Gomorra ad esempio, al di là della bontà del libro, credo abbia avuto successo perché ha saputo parlare di camorra in modo forte ed interessante,
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coprendo un vuoto informativo. Gli interessi in comune nasce anche dalla volontà di riparare ad una lacuna dei media. A questo va aggiunto il fatto che essendo cresciuto tra i bar del Valdarno possedevo un vasto bagaglio di “tradizione orale”, di leggende da circoli di paese. Queste storie avevano bisogno di essere condensate in un numero minore di personaggi e di essere collocate in un luogo unico (il “bar Miro”, N.d.R.) per guadagnare dignità letteraria. Dall’incrocio di questi fattori è nato Gli interessi in comune. Gli interessi in comune, ma un po’ tutto ciò che scrivi, sta lì in bilico tra la tragedia e la commedia. È solo uno stile narrativo? Mi chiedi se in un certo senso la mia visione del mondo si avvicina a quella del mio lavoro letterario? Spero che la direzione sia quella. Senza dubbio c’è sempre la voglia di raccontare la tragedia con gli strumenti della commedia. Volendo è proprio un filone toscano, che va, la butto là, da Boccaccio ai film di Monicelli. Una cosa che senza dubbio è vera è che la vita inquadrata in una prospettiva a lungo termine è sempre una tragedia, mentre osservata nei suoi particolari, nei suoi episodi, fa crepare dalle risate. È difficile e meraviglioso tentare la via di mezzo. Tra i tuoi progetti ce n’è uno molto innovativo ed ambizioso, la “Scrittura Industriale Collettiva”. Scrittura e Collettività (e ancor più Industria!) sono termini generalmente difficilmente associabili. Di cosa si tratta? Il nome è una provocazione. “Scrittura Collettiva” avrebbe fatto drizzare il pelo a molti, “Scrittura Industriale Collettiva”,ancor di più. In rete la letteratura sta vivendo un momento di vitalità, con nuovi siti e riviste, e noi doveva-
mo trovare “qualcosa da fare”: abbiamo unito due nostre passioni. Io sono sempre stato cultore di giochi di ruolo e Gregorio Magini è un genio di Internet. Da queste esperienze è nato il metodo SIC. Fino ad allora la scrittura collettiva era una somma di processi individuali. Noi volevamo un metodo che generasse veri processi collettivi. Ad oggi la SIC ha prodotto cinque racconti. Ora stiamo portando avanti il progetto di un grande romanzo collettivo, ad oltre cento mani. Tu ormai vivi e lavori a Firenze, e per il Corriere Fiorentino tieni una rubrica che si chiama proprio “le strade di Firenze”. La nostra città a volte però sembra schiacciata dal peso della sua storia e dei suoi monumenti… Credo che l’aggettivo più adatto sia “fossile”: è più che morta, ma allo stesso tempo suggerisce l’idea di una vita passata. Ciò che più dispiace è pensare che Firenze ha in sé tutte le caratteristiche e le risorse per rifiorire. È piena di giovani, di studenti provenienti da tutto il mondo. Verrebbe da chiedersi: “cosa diamo loro?”. Firenze, gli stranieri, li usa come un bancomat. Dovremmo riuscire a catalizzare le energie giovanili, a dar loro qualcosa – anche in termini di spazi – che permetta la condivisione. Stiamo invece andando in senso contrario: basti pensare al fatto che molte facoltà, un tempo centrali, adesso sono state spostate fuori: Novoli, Sesto Fiorentino, Viale Morgagni...blocchi lontani dall’anima della città. L’università adesso somiglia ad un “esamificio”. Firenze è talmente bella che riesce sempre a ripagare esteticamente le proprie mancanze. A volte mi basta passare su Ponte Vecchio. Ma questo forse vale per me che ho molto meno tempo di quanto ne avessi da studente. Non mi pesa poi molto non avere qualcosa da fare alla sera. Mi ricordo che in effetti mi piaceva fuggire a Bologna: quella sì che era una città, almeno prima dell’arrivo di Cofferati. Riparte l’anno accademico, i corsi, gli esami e le file davanti alle segreterie. Ci consiglieresti tre libri da leggere per sopravvivere a questo autunno? Un italiano, uno straniero, ed un giovane. Tra gli esordienti direi Giorgio Vasta, autore de Il tempo materiale (Minimum Fax, 2008). Mi sembra tra i più convincenti in questo momento. Ancora tra gli italiani, almeno tra quelli usciti recentemente, consiglio Ultimo parallelo di Filippo Tuena (Rizzoli, 2007). È un romanzo, nonostante il tema magari non attraente (la tragica spedizione al Polo Sud di Scott), assolutamente straordinario. Tra gli stranieri ho letto recentemente un libro di racconti di Donald Ray Pollock che si intitola Knockemstiff (Elliot, 2009) e l’ho trovato davvero ottimo. Poi se si vuole andare a colpo sicuro e leggere qualcosa di meraviglioso, consiglio incondizionatamente Meridiano di sangue di Cormac McCarthy (Einaudi, 2006). E Adesso? Un nuovo romanzo? Sì, il nuovo libro è a buon punto. La carne c’è, bisogna lavorarci. Devo creare una struttura #04 - Ottobre 2009
Titolo Sezione Cultura
Tra risse e figuranti le origini del calcio moderno Alla scoperta del
calcio storico fiorentino. Datare il calcio storico o capirne le origini è quasi impossibile, in quanto le pratiche di sport che usano corpi più o meno sferici sono antichissime e presenti in ogni cultura. Sicuramente nella seconda metà del Quattrocento il “calcio” era già diffuso tra i giovani fiorentini ed era praticato per le strade e nelle piazze. Con il passare del tempo, per motivi di ordine pubblico, ci fu una maggiore organizzazione ed iniziò ad essere praticato solo nelle principali piazze e principalmente da nobili. Solitamente le partite venivano organizzate nel periodo di Carnevale, ma non c’era una data fissa. La partita più famosa è quella del 17 febbraio 1530, con Firenze sotto assedio da parte delle truppe di Carlo V. I fiorentini decisero di giocare lo stesso, noncuranti del pericolo, in Piazza Santa Croce, in modo che i soldati imperiali che erano appostati sulle colline li potessero vedere. Proprio a questo evento si ispira la moderna rievocazione del calcio storico. A partire dal Settecento il calcio storico andò piano piano in declino, fino a sparire come evento organizzato. In occasione del quattrocentenario dall’assedio di Firenze, il gerarca fascista Alessandro
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Pavolini, nel Maggio del 1930, organizzò il primo torneo tra i quattro quartieri storici della città che da quel momento viene puntualmente riproposto ogni anno, fatta eccezione per il periodo delle guerre mondiali. Il Torneo è preceduto da un corteo, detto anche “corteggio”, che sfila, tra il rullare dei tamburi che intonano la Marcia, dall’antico convento domenicano di Santa Maria Novella fino al campo di gioco. Il corteo è composto da 530 figuranti, tutti rigorosamente vestiti in costume tipico con le “livree” dei calcianti (le cinquecentesche divise dei nobili fiorentini), che si dispongono secondo un ordine ben preciso. I primi a sfilare sono i “Sergenti degli Otto di Guardia”, poi il Maestro di Campo con uniforme di velluto nero e la spada, la Scorta del Maestro di Campo. Segue il Bandieraio dell’Araldo in uniforme azzurra con l’insegna personale dell’Araldo, il Capitano di Guardia del Contado e del distretto e i Bandierai fiorentini. Poi arrivano i rappresentanti dei vari quartieri, con il nobile Commissario di Quartiere, le insegne, i Capitani e i Fanti di ciascun distretto. Dopo ogni rappresentanza vengono i rispettivi calcianti con il Capitano e l’Alfiere. Poi ecco il Maggior Generale Sergente delle Milizie, nobile Comandante di tutta la Milizia fiorentina, sia a piedi che a cavallo, le Lance Spezzate con due nobili di scorta al Maggior General Sergente, i Colonnelli ed i Capitani delle bande a Cavallo con i nobili cavalieri gli Staffieri ed i Bombardieri addetti alla manovra ed la tiro delle quattro colubrine. Chiudono il corteo i Bovari con la vitella, ambito premio della squadra vincente. Una volta arrivati al cam-
po di gioco, le squadre entrano in campo al ritmo dei tamburi, secondo l’etichetta militare in vigore nel XVI secolo, si schierano con il resto dei figuranti ed effettuano il “saluto alla Voce”. Dopo la presentazione delle squadre, l’Araldo della Signoria annuncia la partita leggendo la “Grida”: immediatamente dopo lo stesso Araldo darà l’autorizzazione al Maestro di Campo, prima vera autorità del calcio storico, ad iniziare l’incontro. I quattro quartieri che partecipano sono: Santa Maria Novella (rossi), Santa Croce (azzurri), Santo Spirito (bianchi) e San Giovanni (verdi). Le squadre sono composte da 27 giocatori che si dividono in: 4 Datori Indietro (portieri), 3 Datori Innanzi (terzini), 5 Sconciatori (mediani), 15 Innanzi o Corridori (attaccanti). La partita ha inizio con il lancio del pallone da parte del Pallaio sulla linea centrale e la seguente “sparata” delle colubrine che salutano l’apertura delle ostilità. Da questo momento in poi i calcianti delle due squadre cercheranno (con qualunque mezzo) di portare il pallone fino al fondo del campo avversario e depositarlo nella rete segnando così la “caccia” (goal). Qualora la palla finisse, in seguito ad un tiro sbagliato o ad una deviazione dei difensori, al di sopra della rete, verrebbe assegnata la segnatura di mezza caccia in favore dell’avversario. Ad ogni segnatura di caccia le squadre devono effettuare un cambio di campo. La vincitrice sarà la squadra che al termine dei 50 minuti di gioco avrà segnato il maggior numero di cacce. Al quartiere vincitore oltre al palio, mentre i musici intonano l’inno della vittoria, il Maestro di Campo consegnerà una vitella di razza Chianina per concludere a tarallucci, vino e bistecche dopo due giorni di scazzotate. Lapo Manni
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RV ha aderito alla manifestazione per la libertà di stampa, svoltasi il 3 Ottobre a Roma.
IL CERCHIO DELLE BESTIE Ariete (Dal 21 marzo al 20 aprile) Verrete rapiti da un redattore di UniversitArea, legati ad una sedia e costretti a mettere un divaricatore per palpebre mentre davanti a voi, su di uno schermo, verranno proiettate le pagine del suo opinabile giornale. Svariati mesi di sevizie vi renderanno adepti del male delle grafiche orripilanti, nonché incapaci di godervi il vostro Ludwig (riot) Van… Toro (Dal 21 aprile al 21 maggio) Vi prenderanno per le corna.
Introduzione L’oroscopo che state per leggere è una rubrica di compagnia per quando siete al cesso.
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Gemelli (Dal 22 maggio al 21 giugno) L’ingresso di Urano nel vostro segno vi renderà assai riflessivi, ecco perché sarete tormentati
da una domanda ricorrente e cioè perché “Chi visse sperando, morì non si può dire?”. Cancro (Dal 22 Giugno al 22 Luglio) Come potete notare questo Oroscopo non vi da mai consigli banali sulla vostra salute. Per prima cosa non ce ne frega niente della vostra salute, seconda cosa odiamo i consigli banali, terza cosa… terza cosa uhmm…. “Il tempo si fa più freddo, non dimenticate la maglietta della salute”. Leone (Dal 23 Luglio al 22 Agosto) Marte nel segno vi rende più violenti del solito. Balzerete alla giugulare di quell’idiota il quale vi ha rivelato che l’ultimo film di Quentin Tarantino, Bastardi Senza Gloria, finisce con la morte #04 - Ottobre 2009
Misticismi
Tutto quello che mi fa girare gli ingranaggi Mi fa girare gli ingranaggi il fatto che se sono qui a raccontare puttanate significa che è finita l’estate. Vabbè. Mi fa girare gli ingranaggi Moggi (sì, si chiama ancora così e lo fanno ancora parlare): il fatto di garantire la buona fede di Briatore è già di per sé fonte di sorrisi. Che poi il garante sia proprio Luciano Moggi - il guru di Calciopoli, per gli ignoranti - è un esplosione di ilarità. Ti garantisco che L’Italia intera ti vuole appeso per le palle. Se ti fa piacere, accanto a Flavio. Inerzia dei miei ingranaggi rotanti, il buon Brunetta. Robin Hood degli stacanovisti, ci regala sempre più spesso piccole idee intelligenti: perché dunque non privare della paga completa chi va a donare il sangue, ma ridurla al 30%? L’ultima sua trovata. Comunque, ricoperto di legittimi insulti, il ministro ha ritirato questa ennesima statuetta di cacca. Vampiro. Mi fa girare gli ingranaggi (e mi deprime) l’uso che facciamo in Italia della parola “Eroi”. Eroe è chi fa (ogni giorno) il proprio dovere, mettendosi in gioco per le proprie idee e per il bene comune. Non ci sono mestieri più “eroici” di altri. Non ci sono categorie che meritano i funerali di stato. Allo stesso modo non si fischiano i morti, anche se militari: molti
di loro non vanno in guerra per ammazzare i bambini e sparare a randello, molti di loro sono semplicemente ignoranti e si devono guadagnare la pagnotta, qualcuno (pochi) addirittura benintenzionato. Non basta il pirla fanatico e fascista per mettere al muro tutta la categoria. Argomento molto delicato. Tutto il mio disprezzo va comunque alla Curva Nord (quella della Lazio), “Onore Ai Caduti Per La Patria”: nessuno muore per la “Patria”, anche se qualcuno di voi ignoranti lo meriterebbe. Mi fa girare gli ingranaggi la Santanchè, anche se la trovo inoffensiva (offensiva eccome, ma non pericolosa). Vederla circondata di sbirri che la difendono da (legittimi) ceffoni mi fa perdere un po’ il senso dell’orientamento: Chi protegge cosa e perché? Con che coraggio si può pensare di levare il burqa ad una donna musulmana il giorno della fine del Ramadan? E’ come se (parafrasando un simpatico articolo letto sull’Unità) un arabo flippato entrasse in Chiesa la Domenica delle Palme e svestisse il prete, davanti alle nonnine intente a recitare il Rosario in prima fila, magari dandogli pure delle infedeli: immaginate la scena. Il burqa non è certo una pratica civile: anche se, Santanchè, non è questo (se c’è) il rimedio. Concludo con un aneddoto estivo che ha fatto girare i miei ingranaggi. Voi avete un biglietto Patrasso-Brindisi. La tratta include uno scalo, l’isola di Cefalonia. Avete cambiato idea, e preferite (sempre con la vostra prenotazione) partire da Cefalonia anziché da Patrasso. Tutto fila! Non è dello stesso avviso la responsabile dell’imbarco passeggeri di Brindisi, cui prontamente telefono, aspirando al suo patrocinio. Appena inteso il tono interrogativo della telefonata e fiutato il pericolo (cazzo, oggi mi tocca lavorare!) subito la s’infiamma: “Io non ne so niente: queste cose le fa il computer, e il computer non le sa fare”, scaricando la colpa sull’hardware. Non si preoccupi signorina, non volevo disturbarla, buon lavoro! Bastiano Vignetta di Francesco Calcinai
di Hitler e Goebbels in un cinema parigino per mano di Eli Roth. Vergine (Dal 23 Agosto al 22 Settembre) Anche se vivete in Toscana vi verrà ricordato con una certa insistenza: «Dal 24 settembre nelle provincie di Cuneo e Torino è partito il passaggio integrale alla TV digitale». Bilancia (23 Settembre e il 22 Ottobre) Raccoglierete un Quaderno della Morte caduto ad uno shinigami ed otterrete il potere di uccidere persone semplicemente scrivendone il nome sul quaderno. Scorpione (23 Ottobre al 22 Novembre) #04 - Ottobre 2009
Seguirete la Moskva giù al Gorky Park ascoltando il vento del cambiamento, un’estiva notte d’agosto. Porterete qualcuno alla magia del momento in una notte di gloria, dove i bambini di domani condivideranno con voi i loro sogni: nel vento del cambiamento. Sagittario (Dal 23 novembre al 21 dicembre) Con il vostro quadrifoglio portafortuna in tasca e dopo aver toccato la gobba ad uomo, riuscirete ad intravedere la fine dell’arcobaleno dove un simpatico nanetto irlandese vi aspetta con un biglietto vincente del Win for Life. Capricorno (22 Dicembre e il 20 Gennaio) Con Mercurio nel segno è il momento di provare a battere Usain Bolt.
Acquario (Dal 21 Gennaio al 19 Febbraio) Roberto Baggio, Fabrizio De Andrè, John Belushi, Michael Jordan, Boris Pasternak, Totò e Jules Verne: tutti questi geni sono nati nel segno dell’Acquario. Come mai voi fate così schifo? Pesci (20 Febbraio al 19 Marzo) Storte alle caviglie, distorsioni alle ginocchia, una mano rotta, multe e bollette da pagare, stitichezza, la macchina parcheggiata alla Coop rigata da un SUV… va male, ma consolatevi: va peggio al Milan. Il “Vostro” Bugiardo di fiducia
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Il Cruciverba(Filiman)
Orizzontali: 1. Tessera n°1816 della loggia massonica P2 – 10. Organizzazione internazionale nata in Italia moltissimi anni fa – 15. Compiono azioni straordinarie – 16. Usato dai musulmani londinesi – 17. Punti vitali – 18. Levigazione di pavimentazioni in legno o anche trattamento per intonaci – 20. Calciatore camerunese – 22. Scienza che studia la mente umana – 23. Il Ponzi investigatore(iniz.) - 25. Una lamina che non ha fili – 26. La prima gre-
ca…senza la prima – 27. Tifare non pensando agli estremi – 29. European University Association – 30. Coro da stadio – 31. Serrato,chiuso – 34. Così si abbrevia Schutzstaffeln – 35. Relativa ad una patologia anorettale – 37. Mio non è , tuo neanche – 38. Lasciando bagnare poco a poco – 40. Operaio che lavora in una solfatara – 41. Famoso pub in Piazza Duomo a Firenze – 42. Segue le fasi lunari – 43. Uno dei più grandi gruppi bancari italiani – 45.
Istituto Tecnico Regionale – 46. Dialettale errore nell’indicativo presente alla 3° persona del verbo storcere – 47. Lo è tutto il resto – 48. Precedente – 49. Case fredde – 50. Noto Giovese italiano – 51. Dal 1959 è uno stato americano. Verticali: 1. Era considerata l’italia – 2. Progetto Universitario all’interno della comunità europea – 3. Moglie di Carrisi – 4. Celiaca non dall’inizio – 5. Sempre presenti se parliamo di politica – 6. Balsamo con effetti potentissimi – 7. Prelibato pesce – 8. Sodio – 9. Precede gli Illimani – 10. Espressione di dubbio – 11. Associazione Tecnica dell’Automobile – 12. Movimento elettronico fiorentino che organizza serate nelle discoteche – 13. Non del tutto imitato – 14. La Ivanocic tennista(iniz.) - 19. Interpretò Cast Away (iniz.) - 21. Gaetano trequartista del Mantova – 24. Se avessi un’idea migliore la… - 27. I“Teen”...famosa band hardcore punk – 28. Porta da Firenze a Faenza – 30. Mangiatore di carne prelibata – 31. Tipo di whiskey – 32. Tipici siciliani – 33. Cantava “Ma che freddo fa” - 35. Matematico e fisico svizzero allievo di Bernoulli – 36. Acido Ribonucleico – 37. Stato federale della Micronesia in Oceania – 39. Più che saccenti – 40. South America Tabacco Group – 42. Partito della destra nazionale – 44. Tsavong singore della guerra degli Yuuzhan Vong – 47. L’Ammaniti scrittore(iniz.) - 48. Warhol artista della pop art.
Eventi
Saschall:
Cristiano De Andrè 28/10/2009 Simple Minds 05/11/2009 Big One 08/11/2009
Paolo Nutini 27/11/2009
Nelson Mandela Forum: Corrado Guzzanti 7/11/09 Renato Zero 26/10/09
Teatro Verdi:
Vinicio Capossela 07/11/2009
Auditorium Flog: Horrors 19/11/2009
Skunk Anansie 16/11/2009
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#04 - Ottobre 2009
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Anno nuovo, loggia nuova Il vicinato lancia le prime minacce dopo una settimana scarsa di convivenza... La redazione dovrà dotarsi di feltrini per le sedie. Elefante in una cristalleria, il direttore ha già suscitato le ire della signora del piano di sotto. Riempirle i geranei di cenere non è stata una bella idea. Lo hanno già detto, ma è bene ricordarlo: succede sempre qualcosa alla fine. “Alla fine questa volta è morto Mike. Dispiace. Ma si sa: si muore. Anche in guerra si muore. E ultimamente anche in casa, per non parlare al lavoro. Cose che si sanno insomma” - una voce si leva da un divano grigio. “E poi, Mike Bongiorno, diciamocelo, ha fatto più danni che regali in gettoni d’oro”. “Riina in copertina no”, “I grassetti?”, “Ma Pino Maniaci è pronto?”, “Questo fa cahà”, “Il prossimo numero si fa così, così e così...” La redazione parla. Si discute di libera informazione, di copertine, di linee editoriali. Il direttore dice che sente che qualcosa sta per succedere, succederà. Il lavoro va avanti, ma la missione nei Paesi Bassi di due grafici, ha stretto i tempi. La loggia si riempie di parole. Picchiettii di polpastrelli e click di mouse le trascinano elettronicamente ai monitor. Ma le ore si accorciano e il tempo passa.Qualcosa si inceppa. Il Saggio di loggia non arriva, non c’è. Si fa sentire, però non è la stessa cosa. Prova a rivelare un titolo: “Saranno Capaci”. Ma è già stato detto. Ne prova un’altro, ma è fiacco. Poi, il grande colpo di giornalismo. Ma nella concitazione lo perdiamo subito. Dov’è quel pizzino? Nessuno lo sa, nessuno dice niente. Persa l’idea, persa la fatica, persa la lotta. Lo sostituiamo, ma non ha la stessa Luminescenza. La stanchezza arriva. Prime defezioni. Qualcuno chiude gli occhi e aspetta. Poi nessuno ricorda più nulla. Arriva l’alba del giorno dopo. La decisione è chiara per tutti: si aspetta domani. Il lavoro ricomincia, più sereno. Si deve sacrificare qualche cosa, ma si trovano errori e imprecisioni. Nel frattempo, “Un giorno in più - dice il Saggio - fa miracoli”. Il direttore sapeva sarebbe successo qualcosa. Che si riferisse proprio al giorno di tempo in più? O c’è dell’altro? Misticismi. Compiamo un anno, auguri Riot Van.