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«Anaconda Plan». Come vincere senza distruggere, di Gastone Breccia “
«Anaconda Plan»: come vincere senza distruggere
di Gastone Breccia 171
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Una nobile illusione
Il generale Winfield Scott (1786-1866), comandante in capo dell’esercito degli Stati Uniti allo scoppio delle ostilità, era un anziano ed esperto combattente, veterano della guerra contro l’Inghilterra del 1812, di varie campagne indiane e della guerra messicana del 1848. Consapevole di non essere più in grado di guidare truppe in battaglia, il 17 aprile del 1861 Scott offrì il comando delle truppe al colonnello Robert E. Lee, virginiano come lui, «di gran lunga il miglior soldato» che avesse mai conosciuto; ma lo stesso giorno la Virginia si pronunciò per la secessione e Lee, a malincuore, scelse di restare fedele al proprio Stato d’origine. La scelta cadde allora sul generale Irvin McDowell, un altro diplomato di West Point, più giovane ma certo molto meno brillante del futuro comandante dell’armata della Virginia Settentrionale.
La proposta di Scott e il rifiuto di Lee sono rivelatori della grande incertezza, dei dubbi e delle contraddizioni di una generazione di ufficiali divisi tra il forte legame con la terra d’origine – dove molti di loro avevano proprietà e interessi – e la lealtà all’Unione. Si prospettava una guerra tra fratelli: per questo Winfield Scott era riluttante a pianificare una lotta all’ultimo sangue, e si mise invece all’opera per elaborare una strategia capace di piegare la volontà dei secessionisti senza che fosse necessario sconfiggere le loro forze sul campo e conquistare ampie porzioni di territorio.
Scott espose le proprie idee al presidente Lincoln all’inizio dell’estete del 1861. Il suo piano – più tardi soprannominato anaconda – puntava a soffocare la ribellione senza grandi battaglie, ed era basato su un presupposto fondamentale: Scott era convinto che la scelta di separarsi dall’Unione fosse da ricondurre a pochi personaggi privi di sostegno popolare, e che sarebbe stato quindi sufficiente esercitare una forte pressione militare, bloccando le fonti di approvvigionamento degli Stati del Sud, per deter-
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minare un crollo del morale interno, costringendo anche i secessionisti più accesi ad ammettere l’errore politico e intavolare trattative per il ripristino dello status quo ante. Scott formulò il suo piano con molta chiarezza: bisognava combinare il blocco navale delle coste della Confederazione con una duplice azione offensiva lungo il Mississippi, da nord e dal Golfo del Messico, «to clear out and keep open this great line of communication in connection with the strict blockade of the seaboard, so as to envelop the insurgent States and bring them to terms with less bloodshed than by any other plan.»1
Purtroppo l’anziano comandante in capo delle forze dell’Unione era in errore: una volta iniziate le ostilità, infatti, la gente del Sud avrebbe mostrato una irriducibile dedizione alla causa secessionista, non lasciandosi «indurre a discutere i termini di resa», ma affrontando per quattro anni sacrifici enormi pur trovandosi in condizioni di oggettiva inferiorità. Il suo anaconda Plan venne comunque scartato per un motivo diverso: l’opinione pubblica dell’Unione era convinta che i ribelli potessero essere facilmente sconfitti con una breve campagna che puntasse senza esitazioni sulla loro capitale Richmond, distante appena un centinaio di miglia da Washington 2. Perché mai impegnarsi in una lotta prolungata e logorante quando si poteva ottenere il massimo risultato con un gallant dash, un «eroico slancio» per il quale i volontari accorsi sotto le bandiere unioniste sembravano ideali, e che chiedevano a gran voce politici e opinionisti in tutto il nord? La strategia di soffocamento era intrinsecamente antieroica; la vittoria andava strappata al corpo vivo del nemico sul campo di battaglia, come insegnavano l’ombra di Napoleone e il manualetto di Jomini
1 U.S. National Archives, Civil War. Official Records of the Union and Confederate Armies,
Series 1, vol. 51, part. 1, p. 369. Su «Anaconda» v. il IV capitolo della Storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi. 2 «Scott’s strategy in 1861 had several major flaws. First, while it aimed at achieving a reunion without the damage an invasion of the Confederacy by Union armies, would incur, it also depended on waging a sustained struggle. In 1861 the North’s population was simply not willing to consider, much less engage in a long war, especially when most Northerners believed that an immediate invasion of Virginia would result in a quick and decisive victory, followed shortly thereafter by the Confederacy’s collapse» (Williamson Murray and
Wayne Wei-siang Hsieh, A Savage War. A Military History of the Civil War, Princeton ,
Oxford, Princeton U. P., 2016, p. 77).
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che tutti i bravi ufficiali del 1861 – unionisti e confederati – conoscevano a menadito 3 .
Un fallimento «napoleonico»
Al generale McDowell venne dunque ordinato di attaccare in direzione di Richmond, ma le sue truppe subirono una sanguinosa battuta d’arresto nella prima battaglia di Bull Run (21 luglio 1861). McDowell fu rimosso dal comando; il generale Scott ripropose l’anaconda Plan al presidente Lincoln, ma si rese conto che le sue idee continuavano a essere impopolari e il primo novembre rassegnò le dimissioni. Al suo posto Lincoln scelse come nuovo comandante in capo il generale George McClellan: giovane, ambizioso, convinto sostenitore di una strategia aggressiva che mirasse alla distruzione delle forze armate nemiche, McClellan si mise all’opera per vibrare un colpo mortale all’avversario. Il primo insuccesso venne attribuito alle scarse risorse messe in campo e all’inesperienza delle truppe: restava l’illusione di poter spezzare la volontà di combattere dei «ribelli» grazie a una grande offensiva terrestre, che portasse a una battaglia campale «decisiva». Non accadde nulla del genere: McClellan, in realtà molto meno risoluto come condottiero di quel che amava affermare in pubblico, procedette con estrema cautela nell’esecuzione del suo attacco verso Richmond, e venne poi sconfitto dall’armata della Virginia Settentrionale – passata nel frattempo agli ordini del generale Lee – in una serie di scontri sanguinosi passati alla storia come «la battaglia dei sette giorni» (25 giugno – 1 luglio 1862), che permisero ai sudisti di salvare nuovamente la loro capitale e prolungare la guerra. I caduti si contavano nell’ordine delle decine di migliaia, ma la resistenza dei confederati si era fatta ancora più tenace, e attorno alle
3 Il Précis de l’art de la guerre di Jomini, apparso per la prima volta nel 1837, fu il testo più studiato nelle accademie e applicato (purtroppo) sui campi di battaglia post-napoleonici, fino alla riscoperta di Clausewitz da parte di Helmuth von Moltke il Vecchio circa trent’anni dopo. «Jomini riesce a dare forma compiuta alla complessità della guerra post-rivoluzionaria. E’ questo al tempo stesso il suo maggior pregio e il suo limite, perché lo rese popolarissimo tra gli ufficiali superiori per più di mezzo secolo, ma lo costrinse da un lato a mantenersi sulla superficie della realtà che descrive, senza la capacità di mettere a nudo i caratteri profondi della guerra, dall’altro a costringerla in schemi troppo rigidi, se presi alla lettera, per sopravvivere sul campo all’urto della casualità» (L’arte della Guerra. Da Sun
Tzu a Clausewitz, a cura di G. Breccia, Torino, Einaudi, 2009, pp. CXXXV-CXXXVI).
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vittorie conquistate sul campo si stavano creando un’identità e un orgoglio nazionale che avrebbero reso più difficile la vittoria dell’Unione.
l’«anaconda» sopravvive
Nel frattempo la grande strategia del generale Scott non era stata del tutto abbandonata. Il «piano Anaconda» prevedeva operazioni coordinate ma distinte: il blocco marittimo dei porti confederati, da affidare alla marina da guerra e a corpi di spedizione da far sbarcare sulle coste nemiche, e la conquista del corso del Mississippi, che avrebbe permesso di tagliare in due il territorio della Confederazione. Fin dal primo anno di guerra venne istituito a Washington il Blockade Strategy Board – «ufficio strategico del blocco marittimo» – con il difficile compito di raccogliere e coordinare l’impiego delle forze necessarie a isolare i porti nemici. All’Unione, nonostante il grande potenziale delle sue industrie, mancavano le risorse necessarie per mettere in atto in maniera davvero efficace l’anaconda Plan: troppo estese le coste confederate, troppo numerosi i porti, troppo limitate le capacità operative dei vascelli da guerra disponibili, troppo abili e audaci i blockade runners nemici 4. Il Board dovette chiedere aiuto all’esercito, che tentò ripetutamente di espugnare le fortificazioni costiere ribelli: particolarmente dura, prolungata e sanguinosa fu la lotta per Charleston, ai cui moli attraccava la maggior parte dei vascelli capaci di forzare il blocco. Il 7 aprile 1863 l’ammiraglio Samuel Du Pont tentò l’attacco contro Fort Sumter, che controllava l’imboccatura del porto, ma fu respinto perdendo una nave; l’11 luglio successivo venne lanciata un’operazione anfibia contro Fort Wagner, all’estremità meridionale della rada di Charleston, ma i difensori confederati – comandati da un oriundo italiano, il generale William Taliaferro – fecero strage della fanteria unionista, respingendo un secondo e ancor più violento assalto una settimana dopo. L’anaconda di Scott sopravviveva, ma non riusciva a soffocare la preda.
Almeno non sul mare: perché la conquista dell’intero corso del Mississippi venne invece portata a termine con successo dalle forze dell’Unione
4 Sull’epopea dei forzatori di blocco sudisti e il loro ruolo nel contesto del conflitto resta fondamentale lo studio di Stephen R. Wise, Lifeline of the Confederacy. Blockade Running
During the Civil War, Columbia, S.C., University of South Carolina Press, 1988.
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durante il terzo anno di guerra. Fin dall’inizio Lincoln aveva condiviso pienamente questo aspetto della strategia di Scott: il Mississippi era «la spina dorsale della Confederazione», aveva osservato anche il presidente degli Stati Uniti, e certamente il controllo della grande via d’acqua interna sarebbe stato «la chiave dell’intera situazione militare» 5. Il 29 aprile del 1862 le cannoniere corazzate del commodoro David Farragut forzarono le difese di New Orleans e costrinsero la città alla resa: la flottiglia unionista prese a risalire il corso del fiume «through a landscape of willful destruction. «The most of the planters between here and New Orleans have obeyed Jeff Davis’ instructions in regard to destroying their cotton», observed a bemused William H. Smith aboard the Winona. ‘They seem to think they are doing us a great injury by destroying their own property. As we came up along the river it was for two hundred miles covered with cotton which had been thrown into it. Along the banks was a continuous bonfire’». 6
L’anaconda Plan otteneva i suoi primi effetti, danneggiando l’economia degli Stati nemici che si affacciavano sul grande fiume. Le navi unioniste avanzarono senza incontrare opposizione fino alla grande piazzaforte di Vicksburg, ultimo caposaldo sudista, che venne raggiunta il 18 giugno
5 Cfr. William L. Shea and Terrence J. Winschel, Vicksburg is the Key. The Struggle for the
Mississippi River, Lincoln – London, University of Nebraska Press, 2003, p. 1. 6 Shea & Winschel, op. cit., p. 15. La lettera di William H. Smith è del 16 giugno 1862.
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del 1862, ma non poté essere superata sotto la minaccia delle sue artiglierie 7. Era necessario un attacco anche da terra: il generale Ulysses S. Grant – che dal luglio 1862 guidava le forze dell’Unione nel teatro di guerra occidentale, tra i monti Appalachi e il Mississippi – riuscì ad aggirare le posizioni confederate sulla riva sinistra, tra Vicksburg e Jackson: il 4 luglio del 1863, dopo oltre due mesi di manovre e combattimenti che costituiscono una delle più brillanti operazioni militari dell’intero conflitto, la guarnigione del generale Pemberton, ormai completamente isolata, depose le armi. Con la conquista di Vicksburg le armate del Nord acquisivano una libertà di manovra eccezionale, mentre lo sforzo bellico della Confederazione subiva un colpo tremendo: almeno una delle grandi campagne previste dalla strategia di Scott aveva finalmente raggiunto il suo scopo.
Col ferro e col fuoco
L’anaconda Plan fu una strategia più moderna della guerra e del nemico cui doveva essere applicata. L’idea di strangolare la Confederazione bloccando i suoi commerci con l’estero e tagliando fuori una parte del suo territorio, infatti, sarebbe stata più efficace nei confronti di un’economia sviluppata: la società agraria degli Stati del Sud riuscì invece a sopravvivere grazie alla sua stessa arretratezza, redistribuendo le proprie limitate risorse e facendo tesoro di quelle importate nonostante il blocco marittimo.
Era difficile prevedere l’eccezionale resilience della Confederazione, capace di mantenere le proprie armate in condizione di combattere per più di quattro anni nonostante l’evidente sproporzione di forze. L’avventura dei blockade runners costituisce un capitolo a parte del lungo conflitto, la cui importanza è stata talora sottovalutata: basti pensare che le merci introdotte dagli agili piroscafi sudisti, spesso specificamente concepiti per sfuggire alle navi dell’Unione, furono distribuite alle truppe ribelli fino agli
7 Sull’alto Mississippi lo scontro decisivo tra la flottiglia di cannoniere corazzate unioniste e la River Defense Fleet confederata venne combattuto davanti a Memphis il 6 giugno 1862, e si concluse con il completo successo delle navi dell’Unione al comando del commodoro
Charles H. Davis: cfr. John D. Milligan, Gunboats Down the Mississippi, Annapolis, U.S.
Naval Institute Press, 1965, pp. 79-83. Da quel momento solo la fortezza di Vicksburg impediva il ricongiungimento delle forze unioniste provenienti da nord con quelle che risalivano il fiume dalla sua foce.
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ultimi mesi di guerra. L’armata della Virginia Settentrionale del generale Lee, trincerata a difesa di Richmond e Petersburg, benché non contasse ormai più di 70.000 effettivi, tra il luglio e il dicembre del 1864 ricevette 167.000 paia di scarpe, oltre 350.000 capi di vestiario e un flusso costante di munizioni – ovvero quanto bastava per restare efficiente sul campo di battaglia – soprattutto grazie ai rifornimenti trasportati nelle stive dei blockade runners che raggiungevano i porti di Charleston e Wilmington 8. E’ giusto chiedersi, naturalmente, quanto altro materiale sarebbe stato sbarcato nei porti confederati se la marina da guerra unionista non avesse posto il blocco: sembra comunque innegabile che la Confederazione non venne strangolata dall’anaconda Plan, come sperava Winfield Scott 9 .
Lo studio della guerra civile americana offre uno dei più chiari esempi di una legge confermata anche da casi molto più recenti: l’efficacia di una strategia basata sull’isolamento dell’avversario dai mercati esteri è direttamente proporzionale alla complessità e ricchezza dell’economia e della società che si vogliono colpire. Essere al riparo dagli effetti peggiori
8 Cfr. Wise, Lifeline of the Confederacy, cit., p. 7: ancora nella seconda metà del 1864 i porti di Charleston e Wilmington, principali scali dei blockade runners, «were still receiving supplies from Europe […]: over 500.000 pairs of shoes, 300.000 blankets, 3,5 million pounds of meat, 1,5 million pounds of lead, 2 million pounds of saltpeter, 50.000 rifles, 43 cannons plus huge amounts of uniform cloth, medicine, and other essential supplies. From these imported goods came supplies that were forwarded to Confederate field armies. In the heartland of the South, the remaining 25.000 soldiers of the shattered Army of the Tennessee were each sent a blanket, jacket, two shirts, and four pairs of pants, shoes, and drawers. The Army of Northern Virginia, huddled in the trenches around Richmond and Petersburg, received 100.000 jackets, 140.000 pair of pants, 167.000 pairs of shoes, 170.000 pairs of drawers, and 150.000 shirts, all for an army of 72.000 men. These supplies, plus an unbroken flow of munitions, provided the Southern troops with the equipment needed to resist the Federals» (il corsivo è mio). 9 La valutazione sugli effetti del blocco navale è controversa: se Stephen Wise, come si è visto, sottolinea la capacità dei blockade runners di «mantenere in vita la Confederazione», recentemente Lance Davis e Stanley Engerman hanno sottolienato invece il crollo delle esportazioni di cotone verso l’Europa tra il 1861 e il 1865 (cfr. L. E. Davis and S. L. Engerman, Naval Blockades in Peace and War. An Economic History Since 1750, New York,
Cambridge U. P., 2006). Ma la prima causa del crollo delle esportazioni fu la cosiddetta
King Cotton Strategy del presidente sudista Jefferson Davis, che già nel maggio del 1861 dichiarò un embargo informale sulle esportazioni di cotone verso l’Inghilterra per costringere il governo britannico a intervenire in guerra al fianco della Confederazione. Una scelta rivelatasi poi disastrosa, visto che Londra rifiutò comunque di cedere al ricatto economico e di farsi coinvolgere nel conflitto, procurandosi la materia prima altrove.
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dell’anaconda Plan fu comunque una magra soddisfazione per i sudisti, perché fu proprio la struttura economica agraria arretrata a piegare infine la Confederazione: la più vistosa causa delle privazioni che riducevano alla fame i soldati sui vari fronti non era il blocco, ma il collasso del sistema ferroviario meridionale per cui gli eserciti erano a razione mentre le derrate marcivano nel profondo Sud; conseguenza inevitabile della primitività e dell’arretratezza dell’industria sudista. 10
Alla fine, dunque, furono cause economiche a segnare la sorte degli eserciti del Sud, quali che fossero le qualità militari dei loro capi e il valore dei loro soldati. Ma la vittoria non arrivò grazie al lento soffocamento pianificato da Scott: fu piuttosto una coltellata al petto, perché l’Unione dovette portare un esercito nel cuore del territorio nemico, devastandolo spietatamente – proprio quello che la strategia di Winfield Scott avrebbe voluto evitare ad ogni costo 11. L’anaconda Plan, mai del tutto abbandonato, contribuì senza dubbio a indebolire lo sforzo militare degli Stati secessionisti: l’inaspettata, eroica resistenza dei «ribelli» dovette però essere piegata col ferro e col fuoco.
10 Raimondo Luraghi, Marinai del Sud. Storia della marina confederata nella Guerra civile
Americana 1861-1865, Milano, Rizzoli, 1993, p. 498. Il «sostanziale fallimento del blocco come arma per concludere rapidamente la guerra era ormai ammesso, se pure privatamente, dallo stesso ministro della Marina unionista Gideon Welles: “Wilmington sembra quasi un porto aperto”, confidava egli il 30 agosto 1864 al suo diario», ecc. (ibid.). 11 Solo la celebre «marcia fino al mare» del generale William T. Sherman, che nel tardo autunno del 1864 condusse le sue truppe da Nashville al porto di Savannah, riuscì a infliggere un colpo mortale alla Confederazione. Sherman aveva le idee molto chiare sugli effetti psicologici e politici, non solo economici, della sua avanzata attraverso il territorio confederato, e della distruzione sistematica delle risorse nemiche: «“I propose to act in such a manner against the material resources of the South as utterly to [Jefferson] Davis’ boasted threat and promises of protection. If we can march a well-appointed army right through his territory, it is a demonstration to the World, foreign and domestic, that we have a power that Davis cannot resist. This may not be War, but rather Statesmanship.”» (in Murray & Wei-siang Hsieh, A Savage War, cit., p. 446).
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Una delle lettere di marca e rappresaglia concesse dal presidente confederato Jefferson Davis ai corsari sudisti, al duplice scopo di forzare il blocco attaccando il commercio nordista e di ottenere il riconoscimento internazionale della Confederazione. Gli Stati Uniti infatti non avevano aderito alla Dichiarazione di Parigi del 1856 che dichiarava illegale la guerra di corsa, ma Washington non riconosceva i «ribelli» come hostes legitimi, pur applicando nei loro confronti il diritto di guerra. L’equipaggio del corsaro sudista Savannah, catturato dalla marina unionista, fu processato per pirateria da una corte distrettuale di New York, ma si preferì chiudere la faccenda scambiandoli con soldati unionisti catturati dai confederati. (A. F. Warburton, Trial of the officers and crew of privateer Savannah, on the charge of piracy, Washington, GPO, 1862. William Morrison Robinson, Jr., the Confederate privateers, Yale University, 1928).