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Le sanzioni alla Russia. Economic Cold War 2.0?, di Alessandro Vitale “
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Le sanzioni contro la Russia
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Economic Cold War 2.0 ?
di Alessandro Vitale
Le sanzioni come gioco a somma zero
Arma economica per antonomasia, le sanzioni sono uno strumento dell’influenza, parte integrante dell’aspetto relazionale del potere/ potenza. Scopo dell’influenza è interferire nel policy making di un altro stato, per dissuaderlo, persuaderlo o costringerlo a mutare politica o governo; o anche modificare il contesto decisionale.1 È questo lo scopo delle sanzioni unilaterali adottate dagli Stati Uniti contro la Russia a partire dal marzo 2014, a cui si sono aggiunti Unione Europea, stati del Commonwealth e Giappone, come ritorsione e pressione sulla Russia per l’annessione della Crimea e l’appoggio ai separatisti del Donbass. In linguaggio clausewitziano, le sanzioni sono «war by other means», una semplice modalità tattica2 finalizzata ad uno scopo politico. Sarebbe quindi fuorviante analizzarle con criteri puramente ‘economici’, basandosi sul fatto che anche chi sanziona subisce un danno e che entrambe le parti guadagnano accordandosi. Il gioco però non è a somma positiva, come nei negozi economici, bensì a somma zero, come in guerra, dove la vincita dell’uno consiste nella perdita dell’avversario. Infatti la cooperazione non è offerta, ma imposta: quel che si chiede è la resa e lo scopo del negozio sanzionatorio non è economico, ma politico. Lo stesso scrive Clausewitz della guerra, quando la definisce «parte del commercio umano», e quando sottolinea che ogni atto di forza è in primo luogo un messaggio al nemico. L’interruzione del commercio fra i belligeranti è del resto il tratto distintivo delle guerre ‘mondiali’, come quelle del 1793-
1 Susan Strange, What about international relations? in Id. (cur.), Paths to international
Political economy, London, Allen & Unwin, 1984, p. 91. 2 Kalevi J. Holsti, international Politics, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 19885, cap. VI.
Holsti in questo capitolo formula una scala di influenze che comprende l’impiego della forza (fonte ultima di influenza), le sanzioni non violente, le minacce di sanzione, la promessa di ricompensa, l’offerta di ricompensa e la persuasione.
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1814, le due del XX secolo e la guerra fredda. Le sanzioni, infatti, sono la fissazione di limiti politici che investono anche l’attività commerciale e lo scambio: sono pertanto l’espressione e il segnale dell’approssimarsi a un livello di intensità molto elevata nelle relazioni politiche internazionali, capace di diluire il carattere ‘non-esclusivo’ del rapporto di scambio e reimponendo il carattere esclusivo (ed espulsivo) dei rapporti politici, che investe anche le relazioni di scambio fra privati.3 In altri termini, con questi strumenti torna a prevalere il peso dell’appartenenza e dell’inclusione in un raggruppamento politico e in un’alleanza politico-militare, annullando il carattere ‘non-esclusivo’ del rapporto di scambio.
L’efficacia delle sanzioni
La natura politica delle sanzioni produce effetti tipici della coercizione punitiva. Le capacità economiche di imporre sanzioni - cercando di evitare effetti di feedback - vengono impiegate per raggiungere determinati obiettivi politici. Il problema è che il successo di questo tentativo di influenza dipende dal grado di vulnerabilità dell’attore colpito. Inoltre, il successo deve essere misurato sulla base degli obiettivi che ci si pone: dalla riduzione dell’attore alla conformità, al regime change, alla dissuasione, al peso simbolico, nazionale e internazionale che quelle perseguono. Sul piano economico-commerciale le sanzioni funzionano solo se un attore target è totalmente isolato, mentre sono inefficaci qualora quest’ultimo riesca a stipulare nuove alleanze e a trovare altri partner commerciali. Centrale infatti è la questione della sostituibilità.
Fin dagli studi degli anni Sessanta4 era stato rilevato che le condizioni di efficacia delle sanzioni dipendono dal grado di sostituibilità dei partner commerciali e delle merci non più raggiungibili. La principale strategia difensiva, il ricorso all’autarchia, nel periodo post-bipolare e della globalizzazione - interdipendenza, appare ancor più obsoleta, con l’aumento di probabilità che si possa ricorrere alla sostituibilità (market substitution) e
3 V. Gianfranco Miglio, lezioni di Politica, vol. 2 Scienza della Politica, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 173-176. 4 In particolare, a partire da Joan Galtung, «On the Effects of Economic Sanctions, with Examples from the Case of Rhodesia», World Politics 19 (1967), pp. 378-416.
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a altri partner. Soprattutto qualora manchino legami di stretta dipendenza da coloro che mettono in atto sanzioni5, l’efficacia di queste può essere molto ridotta e in effetti la misurazione delle capacità specifiche per il raggiungimento dei fini politici induce a considerare le sanzioni come nella maggior parte dei casi sovrastimate nella loro efficacia. È vero che Stati privi di risorse economiche strategiche e diversificate sono più vulnerabili alle influenze economiche. Tuttavia, una market substitution è quasi sempre possibile.6 Inoltre, va considerato lo stimolo per l’attore target a ristrutturare il proprio sistema economico per assorbire la perdita provocata dalle sanzioni, riducendo inoltre le proprie necessità di beni derivanti da fonti sbarrate. Spesso poi le sanzioni, per la loro natura politica (di prestigio, di immagine di breve periodo) trascurano il calcolo costi-benefici: infatti lo Stato o la coalizione di Stati che le impone può ignorare questo calcolo per ragioni politiche immediate, così come la sostituibilità.
Tutto ciò indica le difficoltà delle sanzioni e dell’influenza economica in campo internazionale. Inoltre, non esiste un rapporto diretto e scontato fra sanzioni economiche, indebolimento economico di uno Stato e riconduzione di quest’ultimo sulla via di un cambiamento della sua politica interna o estera.7 Le variabili in gioco, infatti, sono innumerevoli. Come hanno dimostrato quelle contro l’Iraq dopo l’invasione del Kuwait e quelle del 1991 contro il Sudafrica per ottenere l’abolizione dell’apartheid, si può solo dire che esiste un rapporto di proporzionalità diretta fra il numero di Stati che adottano sanzioni multilaterali, la compattezza del loro schieramento e il grado di incidenza delle sanzioni stesse. È raro che queste assicurino la conformità dell’attore target, la sua sottomissione o
5 È stato il caso dell’embargo petrolifero del 1973, che ha piegato i Paesi dell’Europa occidentale, a causa della loro dipendenza da una fornitura continua di petrolio a basso prezzo dai Paesi dell’OPEC. 6 La vicenda di Cuba in termini di esportazione (lo zucchero di canna) e di importazione (il petrolio) rimane il caso più paradigmatico della possibilità di market substitution, a partire dalle sanzioni imposte dalla Presidenza Eisenhower, anche in seguito controbilanciate da import-export con l’Unione Sovietica. 7 Gary Clyde Hufbauer (Ed.), economic Sanctions reconsidered, Washington DC, Peterson
Institute, 2009, p. 127.
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l’obbedienza.8 Solo la dissuasione e il valore simbolico, con effetti interni e internazionali, possono ottenere parziali risultati. Indurre il regime change, invece, mediante sanzioni economiche che provocano il crollo del way of life (fine tradizionalmente presente nella politica estera americana), si è rivelato possibile in casi rari: quelli di un piccolo Stato nel quale il governo sia già delegittimato e instabile. È del tutto inefficace, invece, in attori di grandi dimensioni, per i quali i costi dell’autarchia sono più contenuti e che utilizzano il nazionalismo interno come collante fondamentale per compattarsi e stimolare il consenso. In questo caso, anzi, il risultato sarà l’opposto: coloro che impongono le sanzioni saranno ancor più agevolmente additati come ‘il nemico’, ottenendo in tal modo nell’ambito dello Stato target un’ancor più solida coesione interna, stimolare dalla contrapposizione verso il nemico esterno.
Le sanzioni contro la Russia: un mix di armi vecchie e nuove
Nella guerra fredda le relazioni commerciali con il nemico sono state la regola. Tuttavia, gli Stati Uniti avevano già impiegato sanzioni ed embargo nei confronti dell’Unione Sovietica nel 1980, in seguito all’invasione dell’Afghanistan. L’amministrazione Carter ripristinò l’embargo sulle forniture di grano, nel tentativo di influenzare l’URSS. In quel periodo storico le sanzioni economiche puntavano proprio sul fatto che l’unica strategia difensiva per opporsi alle sanzioni sarebbe stata il ricorso all’autosufficienza. Con la timida ripresa della globalizzazione alla fine del periodo bipolare, la compressione degli spazi nei commerci internazionali e l’aumento dell’interdipendenza - diversificazione negli scambi, non-
8 Diversi studi degli anni Ottanta sull’applicazione di sanzioni nel secolo XX avevano consentito di determinare che queste presentano circa un 30% di probabilità di successo. Solo nel caso, molto raro, di limitati cambiamenti politici interni, il tasso di successo può salire fino al 40%. Tuttavia l’utilità delle sanzioni come deterrente si è rivelata limitata. Se si pensa al caso delle ambizioni nucleari di Iran e Nord Corea si può rilevare un generale insuccesso. Più elevato è il grado di influenza che possono esercitare in quanto strumenti simbolici e dimostrativi di pressione politica, sia internazionale che interna. Essendo meno rischiose rispetto all’impiego aperto della forza militare, possono contribuire a far percepire una certa assertività nella politica estera. Cfr. James M. Lindsay, «Trade and Economic Sanctions as Policy Instruments: a Re-examination» international Studies Quarterly 30 (June 1986), pp. 153-173; Gary Clyde Hufbauer et al., economic Sanctions reconsidered: History and Current Policy, Washington DC, Institute for International Economics, 1985.
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ché l’erosione della netta coincidenza fra spazi politico-territoriali e spazi economici, quella strategia difensiva è diventata però obsoleta, poiché la ‘sostituibilità’ è più facile, indebolendo lo strumento delle sanzioni tradizionali. La consapevolezza di questi problemi, unita a quella del fatto che le sanzioni sono pagate principalmente dalla gente comune9, ha portato al ricorso a mezzi più sofisticati e parzialmente ‘nuovi’: le smart sanctions, che in un primo round hanno colpito esponenti politici e dell’amministrazione russa, individually targeted, responsabili di aver supportato o promosso l’annessione della Crimea. In seguito sono intervenute la sospensione della Russia dal G8 (24 marzo) e le «sanzioni settoriali», contro il business, la finanza, l’industria militare, il technology transfer, l’esportazione in Russia dell’high-tech, ecc. per rispondere al sempre più evidente ruolo militare del Cremlino nell’Ucraina orientale e all’abbattimento del volo MH 17 (17 luglio 2014). Ad esse si sono aggiunte misure statunitensi contro le banche e le aziende russe. L’unico settore evitato è quello energetico e degli idrocarburi, cosa che rivela la natura di un’autentica ‘guerra economica limitata’. Le nuove sanzioni contro la Russia pertanto – introdotte fra aprile e settembre 2014 e rinnovate fino a oggi - si presentano come un conglomerato di misure composite, sia vecchie che nuove, anche per la natura complessa dell’attore target, al quale non si possono applicare misure da Paese in via di sviluppo. Giunte in un momento in cui l’economia russa doveva già fare i conti con serie debolezze strutturali10 e in cui è precipitato il prezzo del petrolio, le sanzioni hanno però fatto da catalizzatore, rinforzandone gli effetti, all’inflazione, al declino del PIL e alla recessione, al calo delle esportazioni, al crollo del budget statale, alla disoccupazione, al sempre più ingente brain drain, alla perdita di capitale umano, alla paralisi degli investimenti stranieri, al crollo di fiducia nei confronti dell’economia russa, al declino della capitalizzazione, all’instabilità finanziaria, alla fuga dei capitali, al peggioramento del livello di vita interna. Basate sulle finalità dichiarate di mandare segnali politici di disapprovazione, di essere un deterrente per il futuro, di forzare la politica estera russa a cambiare decisioni e comportamenti, in particolare le smart
9 Uri Friedman, «Smart Sanctions; a Short History», Foreign Policy (April 2012). 10 V. Mau, «Vožidanii novoj modeli rosta» (in attesa di un nuovo modello di crescita), Voprosy ekonomiki 2 (fevral’ 2014), pp. 3-42.
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sanctions, il blocco dell’accesso diretto ai finanziamenti occidentali e all’international capital market11 , il blocco dei joint projects delle compagnie petrolifere e la ricerca-modernizzazione (soprattutto nel fracking e nello shale oil e gas in Siberia, nonché nella ricerca petrolifera nell’Artico) necessaria per far fronte al futuro declino dell’output petrolifero, hanno prodotto un forte disagio nella classe politica russa, pur non riuscendo a ottenere i fini politici prefissati alle sanzioni. Oltre alle controsanzioni del Cremlino12, quelle occidentali hanno anche stimolato il military spending della Russia, quadruplicato dal 2000, che ha innescato gravi rischi di crisi fiscale, deprimendo l’economia produttiva. Un continuato e accresciuto finanziamento del complesso militare-industriale e il sostegno artificiale all’occupazione in vasti settori improduttivi, in un’economia basata sulle risorse naturali gestite da una rent-seeking élite abituata alla sordità nei confronti delle sofferenze della popolazione, non possono che far presagire l’avvio di un lungo periodo di de-industrializzazione (e non certo di ‘industrializzazione dall’alto’) e di depressione.
Nonostante la ridotta sostituibilità dei prodotti occidentali (con l’India e la Cina, che assorbe solo il 7% dell’export russo)13, le sanzioni – sempre che questo fosse il loro vero scopo – non solo non hanno indotto il Cremlino a mutare politica, ma hanno accresciuto la popolarità di Putin, sia in patria che tra i movimenti populisti occidentali di destra e di sini-
11 Nel campo finanziario sono rimasti utilizzabili altri strumenti, misure incrementali di financial warfare, particolarmente distruttivi, quali l’esclusione delle banche russe dall’uso dell’international payment system e dei codici SWIFT: sanzioni devastanti, in Russia ritenute violazioni degli accordi del WTO. 12 Ukaz o primenenii otdel’nyč spetsial’nyč ekonomihčeskič mer v tselja obespešenija bezopasnosti rossijskoj Federatsij (Decreto sulla presa di misure economiche speciali finalizzate a garantire la sicurezza della Federazione Russa) n. 560, del 6 agosto 2014, contro
UE, USA, Canada, Australia, Norvegia. 13 L’import substitution è stata tentata rivolgendosi ai Paesi dell’America Latina quali Brasile e Argentina (per la carne), Cile (per i salmoni), l’Ecuador (molluschi), ma anche a Paesi
Europei e asiatici quali la Belarus (latte, mele, patate), le Repubbliche dell’Asia Centrale (frutta e vegetali), la Turchia e l’Armenia, ecc. Tuttavia il 10% dei prodotti agricoli della
UE era diretto alla Russia e se si aggiungono le contro-sanzioni a Ucraina e Moldova il bilancio non è stato pareggiato.
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stra14 che riafferma l’interpretazione patriottica della storia nazionale, che recupera Stalin e santifica lo Zar assassinato, e rivitalizza la narrativa vittimista dei siloviki, basata sulla self-fulfilling prophecy della volontà occidentale di isolare e punire la Russia, per provocare una nuova catastrofe come quelle del 1917 e 1991. Sono state incentivate pure le correnti protezioniste, convinte che il vertiginoso deprezzamento del rublo possa aiutare ad aumentare le esportazioni e a rendere i beni russi più competitivi.15 Ciò ha agevolato le ri-nazionalizzazioni dell’economia, del sistema bancario, il rafforzamento dell’allocazione politica delle risorse, con conseguenti paralisi delle riforme interne e ripresa dell’economia sommersa e del mercato nero e riduzione dell’influenza della nuova generazione di business leaders sulla politica interna. Le sanzioni, poi, hanno favorito l’allontanamento di soluzioni cooperative internazionali e la ripresa dell’influenza russa sul near abroad (bližnee zarubeže), grazie ai mai smantellati legami interrepubblicani di interdipendenza progettati nell’era staliniana, con il risultato di rafforzare il dominio russo sull’economia regionale, rivitalizzando di fatto il modello sovietico mediante la dipendenza accresciuta delle ex Repubbliche rimaste fedeli e la punizione di quelle che hanno reciso il legame di fedeltà.16 Infine, le sanzioni, giunte in un periodo di vulnerabilità dei Paesi occidentali, hanno anche danneggiato le economie di questi ultimi.17
Chi, al contrario, considera politicamente efficaci le sanzioni, sottolinea che i settori maggiormente penalizzati dall’esclusione dal mercato economico e finanziario occidentale potrebbero premere per un cambio di
14 Nonostante le illusioni dei policy makers americani. M. Rostovskij, «Teflonovyj Putin» (Putin di teflon), Moskovskij Komsomolets, 16 dekabrja, 2014). 15 M. Leontjev, «Istorija s sankcijami dol’go žit’ ne budet’» (la storia con le sanzioni non proseguirà a lungo), Kommersant FM , 25 ijul’ 2014. Fra gli economisti conservatori e a favore dell’autarchia: S. Glaz’ev, «Nužno opirat’sja na sobstvennye sily» (È necessario basarsi sulle proprie forze), Profil, 12 maja 2014. 16 I premi comprendono investimenti e prestiti, incentivi economici in genere e le punizioni il boicottaggio, minacce alle minoranze interne, la chiusura di aziende ecc. Si veda, unitamente alla vasta bibliografia riportata, R. Newnham «Russian Economic Sanctions as Carrots and Sticks in the Near Abroad», russian analytical Digest 157 (December 2014), pp. 13-16. 17 È il caso dei maggiori Paesi esportatori in Russia: Germania e Italia in testa. Le esportazioni agroalimentari italiane hanno subito un danno di oltre 250 mln di euro.
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politica o di regime (in fin dei conti lo zar Paolo I fu assassinato dai commercianti ‘europeisti’ penalizzati dall’embargo inglese). Veri effetti politici sono attesi solo dalle sanzioni finanziarie, dove la vulnerabilità della Russia è massima. Né va trascurato l’effetto deterrente, perché certo le sanzioni hanno contribuito a contenere il separatismo filorusso nel Donbass.18 Infine va ricordato che la guerra economica è per antonomasia guerra di logoramento, la cui efficacia emerge in tempi medio-lunghi. Del resto i sondaggi d’opinione registrano una crescente insofferenza, almeno nelle due capitali russe, per la tesi ufficiale che scarica la colpa della crisi interamente sul complotto amerikano. Il feedback delle contro-sanzioni russe ha pesato molto più sulla Russia che sul blocco sanzionatore. In molti settori, specie alimentari, la Russia dipende dai paesi contro-sanzionati, e sostituire i fornitori non è facile né a buon mercato. Circa un ottavo della popolazione russa (16 milioni) vive al di sotto della soglia di povertà (e il 28% sono minori di 15 anni).19
Resta il fatto, comunque, che le sanzioni non hanno prodotto un riorientamento della politica estera del Cremlino e non hanno convinto le autorità russe a cambiare corso, dimostrando che Mosca era pronta a ingaggiare un conflitto economico pur riconoscendo le asimmetrie economiche con l’Occidente già in partenza. Il ritiro dalla Crimea rimane inimmaginabile. La deterrenza nei confronti dell’aiuto al separatismo nell’Ucraina orientale sembra fallita. Di concrete concessioni politiche non se ne sono viste. Le sanzioni non riescono infatti a intaccare la causa fondamentale del conflitto, connessa con la natura stessa del sistema politico russo, della sua ambigua natura post-imperiale e del legame con le aree ex imperiali scivolate da sotto i consolidati legami di dipendenza. Un’Ucraina realmente indipendente e sganciata dall’orbita del Cremlino, magari membro UE e NATO, diventerebbe un fattore destabilizzante anche per il siste-
18 In realtà la seconda ondata di sanzioni può aver avuto l’effetto deterrente di frenare l’ulteriore espansione territoriale basata su elementi etno-nazionali fedeli, fino a Mariupol’,
Odessa e così via. Si tratta però di un’ipotesi basata su un unico effetto possibile: quello derivante dalla segnalazione, mediante sanzioni, che il processo tendenziale era stato notato. Ian Bond, Christian Odendahl, Jennifer Rankin, Frozen: the Politics and economics of
Sanctions against russia, Centre for European Reform, Carnegie Moscow Center, march 2015, p. 3. 19 The World Bank, World Development indicators, February 22nd, 2015.
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ma politico russo. Comprensibilmente la Russia ha sempre considerato vitale avere dei Pufferstaaten, possibilmente profondi, tra sé e i propri nemici storici (Svezia, Polonia, Germania, Turchia)20 .
Ancor più utopistico si è rivelato lo stimolo a un regime change interno alla Russia, sebbene la leadership russa comprenda la gravità della situazione e sia alla ricerca di tattiche più flessibili e di exit dalle pressioni contingenti, nonostante la capacità di sopportazione della popolazione, abituata a quasi un secolo di privazioni e di cronica paralisi della produzione e della distribuzione. Le sanzioni, i cui effetti sono stati correttamente equiparati a quelli di un bombardamento strategico, non hanno tuttavia favorito una soluzione politica.
Uno sguardo in prospettiva
L’interesse russo all’elezione di Trump stava soprattutto nella speranza di una revoca delle sanzioni americane, che avrebbe provocato anche quella delle sanzioni europee. Il Russiagate complica la revoca e quanto meno la sposta molto in avanti. Il prolungarsi delle sanzioni può avere esiti imprevedibili, non solo sulla Russia, ma pure sulla compattezza del fronte sanzionatorio, che ha già ripetutamente dimostrato difficoltà di tenuta. Non si può neanche escludere un terzo collasso della Russia dopo le catastrofi del 1917 e 1991, che potrebbe trascinare con sé l’intero Occidente. Basti pensare al solo arsenale militare russo. D’altra parte, una revoca senza contropartite incentiverebbe la tendenza della Russia a recuperare influenza nel suo storico spazio geopolitico, di cui non mancano i segni nella retorica del Cremlino e nell’amento delle spese militari (e come è avvenuto per la mancata reazione occidentale all’intervento in Georgia nel 2008). In caso di nuove espansioni, l’efficacia di nuove sanzioni sarebbe compromessa e il rischio di guerra maggiore.
L’efficacia declinante delle sanzioni, altra faccia del declino della deterrenza nel tempo, può tuttavia essere contrastato con un lifting e un riadeguamento degli obiettivi politici e con l’aggiunta di altri mezzi,
20 Intervista: «Glava Stratfor Dzhordzh Fridman o pervopričinach ukrainskogo krizisa» (Il capo della Stratfor George Friedman sulle cause della crisi ucraina) Kommersant.ru, 19.12.2014.
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anche innovativi, in campi differenti. In particolare va ripensata la politica nei confronti della popolazione civile, finora eccessivamente penalizzata nonostante l’introduzione parzialmente innovativa delle smart sanctions. Per contrastare la propaganda putiniana21, il fronte sanzionatorio deve attuare policies che, pur bloccando beni e capitali, consentano alle persone di viaggiare e stabilirsi in Occidente. Mantenere la porta aperta ai cittadini russi comuni infatti è cruciale per devitalizzare la guerra economica e iniziare la de-escalation della conflittualità attuale, che fa il gioco del Cremlino. Il potenziamento dei programmi di scambio accademici e scientifici, il supporto alla diplomazia dal basso22 o la semplice abolizione di restrizioni (ad esempio nella politica dei visti), la promozione degli sforzi informativi e di controinformazione, consentono di far percepire alla gente che il contrasto alla politica putiniana non costituisce un’interferenza negli affari interni e tanto meno un vulnus alla sicurezza e all’unità nazionale russa. In caso contrario, il consenso al regime non sarà davvero incrinato. Le sanzioni vengono scelte quando ‘qualcosa dev’essere fatto’, ma le minacce militari o l’intervento diretto sono troppo pericolosi. Tuttavia gli effetti politici voluti sono spesso irraggiungibili e le concessioni rimangono un miraggio. Su queste basi, invece, avendo un’idea condivisa dei fini da perseguire, è possibile riattivare il dialogo e prefissarsi concrete finalità politiche, eliminando gli effetti non-intenzionali e delle sanzioni.
21 Nella «dottrina Gerasimov» la propaganda non è mero soft power ma parte della guerra ibrida [A. Vitale «La propaganda come strumento di politica estera: il caso della Russia di
Putin», Commentary iSPi, 19 gennaio 2017. (ispionline)]. 22 L’efficacia della «diplomazia dal basso» era già stata dimostrata nel corso degli anni Duemila, proprio nel caso russo-americano. La cooperazione fra associazioni, basata su una strategia di win-win outcomes, sembrava aver aperto un’era nuova di relazioni fra le rispettive società civili, in grado di connettere la cooperazione attiva e materiale con un nuovo paradigma di non governmental diplomacy. Sul tema rimane di enorme interesse il poco noto D.V. Makarova, F.D. Stewart (Eds), Ssha i rossija: novaja paradigma nepravitel’stvennoj diplomatii. Rossijsko-amerikanskie otnošenija s točki zrenija graždanskogo obšestva, (USA e Russia: il nuovo paradigma della non governmental diplomacy. Le relazioni russo-americane dal punto di vista della società civile), Rosspen,
Moskva 2006.
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L’impatto economico delle sanzioni sulla Russia23
Anche non considerando l’effetto boomerang dell’embargo russo (controsanzioni) ai prodotti occidentali e il fatto che l’economia russa fosse già strutturalmente indebolita prima dell’annessione della Crimea, il bilancio dell’impatto delle sanzioni sulla Russia è ingente. Gli effetti diretti sono: l’inflazione, il declino del PIL e della crescita, la paralisi dell’approvvigionamento finanziario (con scarsa sostituzione cinese), il peggioramento del livello di vita nelle campagne e il calo di quello nelle città russe, la caduta del salario reale, il blocco dell’afflusso di capitali stranieri, la fuga dei capitali (circa 280 miliardi di dollari, ¾ dei quali come risultato diretto delle sanzioni: la più massiccia nella storia della Russia post-sovietica), la paralisi del technology transfer e dell’importazione di know-how necessario per la modernizzazione e la creazione di un’economia hightech, la paralisi delle joint-ventures con imprese occidentali, il blocco dell’innovazione nella ricerca estrattiva24 (soprattutto nell’Artico), il freno al military export, l’erosione delle riserve federali, l’emigrazione del capitale umano, la destabilizzazione del sistema fiscale, la necessità di finanziare il settore bancario, affetto da più di 250 miliardi di dollari di debito e gli interventi tampone della banca centrale, il blocco dell’accesso al credito occidentale. Gli effetti indiretti sono: il controllo dei prezzi, forme di razionamento, politiche autarchiche e protezioniste, l’aumento dei tassi d’interesse, le perdite nel settore aereo, l’aumento dei costi per i viaggi dei russi all’estero, l’indebitamento delle famiglie, il declino dei consumi. Le sanzioni finanziarie occidentali, sebbene mirate a colpire individui e attori economici selezionati, hanno danneggiato l’economia russa nel suo insieme. La stima complessiva è difficile. Il Ministero delle Finanze di Mosca ha stimato che il costo annuale delle sanzioni è stato di 40 miliardi di dollari a partire dal 2014. Anche se non sono la fonte principale dei problemi dell’economia russa, le sanzioni sono riuscite a indebolire significativamente la capacità di neutralizzare le conseguenze della crisi mondiale del 2007-08, del crollo del prezzo del petrolio e dell’accumularsi di problemi strutturali nell’economia russa. Le risorse si stanno riducendo a causa della recessione e sono allocate principalmen-
23 A cura di A. Vitale 24 Diretta conseguenza delle sanzioni è stata la sospensione della cooperazione fra le companies russe e occidentali nei progetti di produzione di gas e petrolio, in particolare dei seashelf projects di Rosneft con Exxon Mobil, Statoil (Novegia) e Eni, così come della cooperazione fra Lukoil e Total nella Siberia occidentale. Si sono avute invece sanzioni USA dirette nei confronti della produzione di Sakhalin. Rosneft aveva già chiesto aiuti di stato nel 2014.
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te per far fronte al debito, piuttosto che agli investimenti necessari. Inoltre, gli imprenditori non sono incentivati a investire, a causa dell’incertezza complessiva, politica ed economica, nonché di un modello economico ancora molto primitivo, fragile e vulnerabile e tutto questo - unitamente all’espandersi dell’interventismo statale e all’inefficacia del modello di governance – sta minando le prospettive di crescita. Senza nulla togliere alla resilienza in condizioni avverse e alla capacità di sopravvivere dell’attuale economia della Russia.
Uno studio dell’analista finanziario italiano Max Marioni per un think tank inglese (The Bow Group) coordinato dall’anglo-polacco Adriel Efraim Kasonta, stima i costi delle sanzioni alla e delle controsanzioni della Russia, sottolineando che gravano molto più sull’EU che su Canada e USA e potrebbero superare di gran lunga non solo i 125 mld $ di compensazioni all’agricoltura stanziati dall’EU ma pure il volume dell’interscambio (350 mld) e del turismo (150) anteriore.25
25 Max Marioni, «The cost of Russian sanctions on Western economies», in Bow Group Research Paper, Sanctions to Russia, August 2015, pp. 16-31.