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La guerra economica sui mari. Blocco e dominio delle SLOCS, del C.A. Ezio Ferrante “
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Nella sua celebre opera Some Principles of Naval Strategy (1911), Sir Julian S. Corbett, in un rapido consuntivo con intenti didascalici, faceva il punto su quel concetto di “blocco” che, come strumento di strategia marittima indiretta, nella sua tradizionale duplice accezione, aveva dominato oltre tre secoli di storia navale, oggetto di ampie analisi in sede storico-critica1 e di altrettante condanne in sede politica2 . «Il blocco può essere sia navale che commerciale. Con il blocco navale cerchiamo o di impedire alla forza armata del nemico di lasciare il porto, o di accertarsi che la stessa sia costretta alla battaglia prima che possa portare a termine lo scopo ulteriore per il quale esce in mare – e in questo senso – il blocco navale può essere considerato come un metodo per assicurarsi il dominio del mare e come una funzione delle squadre da battaglia – mentre, d’altro canto – il blocco commerciale ha come obiettivo immediato quello di interrompere il flusso del commercio marittimo nemico, sia che sia trasportato da bastimenti suoi o neutrali, negandogli l’uso delle linee di comunicazione commerciale»3 .
1 In particolare, nel mare magnum della bibliografia relativa ai blocchi navali in rapporto alla strategia e alla politica (ne sono stati censiti otto nell’antichità classica e nel Medioevo, 13 nell’età moderna e 33 in quella contemporanea), oltre ai sempre preziosi spunti storico–critici che possiamo cogliere nelle opere maggiori di Mahan, si segnala lo specifico studio «Blockade in Relation to Naval Strategy» in rUSi Journal, November1895 e USNi
Proceedings, December 1895, e quindi, in particolare, le analisi storico-critiche di Bruce A. Elleman and S. C. M. Paine (Eds.), Naval Blockades and Seapower Strategies and
Counter-Strategies, 1805–2005, Routledge, London, 2006 e Lance E. Davis and Stanley
L. Engerman, Naval Blockades in Peace and War. An Economic History since 1750, New
York, Cambridge U. P., 2006. 2 Come nel decreto napoleonico di contro blocco del 21 novembre 1806, in cui si denuncia l’abuso mostruoso del diritto di blocco ad opera dell’Inghilterra. 3 Trad. it. a cura del compianto amm. Antonio Flamigni, Alcuni Principi di Strategia Marit-
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Quando Corbett scrive dietro le spalle ha mezzo secolo di sforzi normativi a livello internazionale volti proprio a disciplinare, nello jus in bello navali, il diritto di blocco salvaguardando il commercio neutrale4. La Dichiarazione di Parigi del 1856 sul «diritto marittimo europeo in tempo di guerra»5, imposta da Napoleone III alla storica rivale ora alleata contro la Russia, intendeva superare la devastante guerra al commercio del 17931814. La Francia rinunciava alla guerra corsara (privateering)6, risorsa soprattutto delle potenze continentali, e la Gran Bretagna al «blocco a distanza», accettando di riconoscere l’antico principio che «I blocchi per essere obbligatori devono essere effettivi, cioè mantenuti da una forza sufficiente per impedire realmente l’accesso al litorale nemico». Altro principio, già sancito dalla pace di Utrecht del 1714 ma poi violato dall’Inghilterra e ribadito nel 1856, era che «la bandiera neutrale protegge la mercanzia nemica» e «la mercanzia neutrale non può sotto bandiera nemica essere dichiarata in sequestro», se non in caso di contrabbando di guerra. Dopo i blocchi attuati a cavallo tra il XIX e XX secolo (come quelli statunitense di Santiago del Cile, giapponese di Port Arthur ed europei del Venezuela e di Santo Domingo)7, il quadro giuridico internazionale viene completato
tima, Roma, Ufficio Storico della Marina, 1995, pp.64 ss. 4 In breve, dalla Dichiarazione di Parigi del 1856 alle varie Convenzioni dell’Aja del 1907 d’interesse marittimo, dalla IX (Restrizioni all’esercizio del diritto di cattura nella guerra marittima) alla VIII (Mine sottomarine a contatto non ancorate, che invita «a prendere tutte le precauzioni possibili per la sicurezza della navigazione pacifica»), dalla IX (Bombardamento di forze navali in tempo di guerra, che vieta il bombardamento da parte di forze navali di porti e città indifese) alla XIII (Diritti e Doveri delle Potenze neutrali in caso di guerra marittima) e infine alla Dichiarazione di Londra del 1909 (Diritto della guerra marittima). Per l’evoluzione del diritto marittimo di guerra rimane fondamentale Constantine
John Colombos (1888-1968), The International Law of the Sea, (1943), 6th rev. Ed,. London, Longmans, 1967, pp. 811 (trad. it. Edizioni dell‘Ateneo, Roma, 1953). 5 La Dichiarazione sarà ratificata da 56 Stati, tra cui tre Stati preunitari italiani (Regno di
Sardegna e Ducati di Modena e Parma) ma – si badi bene – non dagli Stati Uniti con le conseguenze che si sarebbero viste, di lì a poco, nella Guerra di Secessione, in merito David J. Murphy, Naval Strategy during the American Civil War, Air War College, Report
Research, April 1999. 6 per la distinzione canonica tra ‘corsari’ e ‘pirati’, cfr. p. Alberto Guglielmotti, Vocabolario
Marino e Militare, Torino, Voghera, 1989 (2a Milano, Mursia, 1989), ad vocem p. 526 e 1320 7 Edmund Morris, «‘A Matter Of Extreme Urgency’. Theodore Roosevelt, Wilhelm II, and the Venezuela Crisis of 1902», Naval War College Review, vol. 55, No. 2, 2002, pp. 73–
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con la Dichiarazione di Londra del 1909 (non ratificata però dai firmatari) e dal Manual of the laws of Naval War del 19138. In estrema sintesi, il sistema giuridico marittimo alla vigilia della Grande Guerra si presenta nei termini seguenti: rispetto assoluto da parte delle Potenze belligeranti delle acque territoriali dei Paesi neutrali nel riconoscimento della loro sovranità, in termini consuetudinari «controllabili dalla costa fino a una distanza corrispondente alla portata media delle artiglierie costiere, ubi finitur armorum vis», delle loro navi e merci trasportate. Il blocco dei porti/ coste nemiche deve essere effettivo, imparzialmente applicato alle diverse bandiere e la cattura stessa delle navi neutrali violatrici del blocco «non può essere effettuata se non nel raggio d’azione delle navi da guerra incaricate di assicurare l’effettività del blocco». Nei confronti della navigazione mercantile neutrale e del loro carico, alle Potenze belligeranti è riservato il diritto di fermo, visita e, infine, di cattura (in caso di contrabbando di guerra9 o assistenza ostile o resistenza alla visita), fermo restando che le navi neutrali che viaggiano in convoglio sono esenti da visite, perché «il comandante del convoglio, su richiesta della nave da guerra belligerante, fornisce tutte le informazioni sul carattere delle navi e del loro carico che la visita consentirebbe di ottenere». Da notare che una nave neutrale «catturata e soggetta confisca» non può essere distrutta dal catturante, a meno che non comprometta la sicurezza della nave da guerra che l’ha catturata, «ma deve essere condotta in un porto appropriato dove si deciderà in via di diritto sulla validità della cattura» da un apposito tribunale delle prede, da costituirsi, in assenza di un accordo internazionale che pur era stato ventilato, dalle singole potenze belligeranti nelle proprie leggi di guerra10. Ga-
85.Henry J. Hendrix, «Overwhelming Force and the Venezuelan Crisis of 1902-1903», in
Bruce A. Elleman and S. C. M. Paine (Eds.), Navies and Soft Power: Historical Case Studies of Naval Power and the Nonuse of Military Force, Naval War College Newport Papers 42, 2012, pp. 21-46. 8 In particolare sul trattamento delle marine neutrali e dei suoi equipaggi in tempo di guerra, cfr. Section IV (Stopping, visit, and search procedure), V (On the rights and duties of the belligerent with regard to individuals), VIII (On the formalities of seizure and on prize procedure), in http://hrlibrary.umn.edu/instree/1913a.htm. 9 Per quanto riguarda le liste generali di merci considerate di «contrabbando», in dettaglio le disposizioni della Dichiarazione di Londra, artt.22-44. 10 Per esempio la Legge italiana di Guerra approvata con R.D. 8 Luglio 1938, n.1415 (Titolo
III, artt. 132 – 227, Disposizioni speciali per la guerra marittima).
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ranzie per gli equipaggi mercantili neutrali (che non sono trattenuti come prigionieri di guerra)11e per la corrispondenza postale catturata, nullità del trasferimento di bandiera di una nave nemica sotto bandiera neutrale dopo l’apertura delle ostilità. In estrema sintesi, in tempi di guerra marittima altrui, la navigazione mercantile neutrale, in linea di diritto, può continuare «a meno che non prenda parte diretta alle ostilità, quando si trovi agli ordini o sotto il controllo di un agente collocato a bordo dal Governo nemico, quando è destinata al trasporto truppe o alla trasmissione di notizie nell’interesse del nemico». Si ribadisce così, in maniera invero ottimistica e per molti aspetti, direi, addirittura idilliaca, «il concetto liberistico dell’internazionalità dell’alto mare e della parità del diritto di valersene da parte di tutte le bandiere», anche in tempo di guerra. Era la «grande illusione», non sfuggita ai pessimistici commenti del Mahan12, ma che assai presto sarebbe stata però di fatto inficiata dal carattere spietato che nella Grande Guerra avrebbe assunto la lotta per il controllo delle comunicazioni marittime. il dominio delle Slocs nelle due guerre mondiali
Il grande economista marittimo Epicarmo Corbino (1890-1984)13 offre una lettura dei differenti problemi geoeconomici derivanti dalle scelte di campo dell’Italia nei due conflitti mondiali.
1.
«Nella prima guerra mondiale – scrive Corbino –l’Italia aveva la certezza di rimanere collegata con tutto il resto del mercato mondiale per quello che attiene ai rifornimenti di generi alimentari e materie prime occorrenti per le esigenze civili e per i bisogni milita-
11 Come i membri dell’equipaggio cittadini dello Stato nemico «a condizione che essi si impegnino, sotto la fede di una promessa formale scritta, a non assumere, per la durata delle ostilità, nessun servizio che sia in rapporto con le operazioni belliche». 12 In merito gli articoli militanti tipo «The Question of Immunity of Belligerent Merchant
Ships» e «The Hague Conference and the Practical Aspects of the War» (National Review,
June and July, 1907), «The Immunity from Capture of Private Property at Sea» (The New
York Times, November 4, 1910) e infine «Deficiencies of Law as an Instrument of International Adjustments» (North American Review, November 1911), invero assai poco noti. 13 V. E. Ferrante, «Epicarmo Corbino ufficiale di porto e storico navale», Rivista Marittima, fasc.6/1983 e, a vent’anni dalla sua scomparsa, il ricordo biografico di Duccio Cavalieri online nel sito xoomer.virgilio.it.
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ri. Ad un certo momento sorsero delle preoccupazioni per la novità che derivò dall’impiego su larga scala dei sommergibili e per le sue conseguenze sullo svolgimento del traffici mercantili»14 .
Nella Grande Guerra sui mari il blocco domina sovrano! Così l’Inghilterra per bloccare i porti tedeschi ha finito per bloccare tutto il Mar del Nord e il Baltico con forze in crociera nella Manica e nella zona tra Scozia e Norvegia15, mentre nel Mediterraneo centrale e orientale («zona proibita B», secondo la dichiarazione alleata del 21 novembre 1917) il blocco veniva effettuato sempre da forze navali inglesi, francesi e giapponesi, mentre gli italiani, che pattugliavano le zone costiere nazionali e libiche, ‘chiudevano’ letteralmente l’Adriatico col Barrage di otranto. Il blocco del canale d’Otranto, dapprima costituito da uno sbarramento mobile di drifters inglesi, chalutiers francesi e vedette italiane che trascinavano reti a grandi maglie, lunghe un migliaio e profonde una quarantina di metri, venne poi sostituito da uno sbarramento fisso di ben 66 km coast-to-coast. Una specie di sipario di reti ancorate sul fondo e sostenuto da boe affioranti, vigilato a vista da unità navali e aeree – anche se un tale complesso dispositivo non impediva completamente ai sommergibili tedeschi di transitare dall’Adriatico al Mediterraneo e viceversa – divenendo peraltro il bersaglio privilegiato delle pur scarse sortite dell’imperial-regia marina austro-ungarica che, in genere, si limitava a giocare il ruolo di fleet in being nelle proprie basi. Ma la battaglia dei convogli nel Mediterraneo, attraverso cui sarebbero affluite in Italia 49 milioni di t di merci da Gibilterra e due da Suez, indispensabili allo sforzo bellico della nazione, è ovviamente subordinata a quella principale che si svolge nell’Atlantico dove, alla strategia d’assedio alleata, i tedeschi oppongono il controblocco sottomarino, dapprima con la Dichiarazioni di guerra sottomarina del 18
14 Economia di guerra italiana alla luce delle esperienze dell’ultimo conflitto, Conferenza
CASM, a. a. 1949/1950, p.18. 15 Lieut. Louis Guichard, Histoire et résultat du quasi blocus naval, 1914-1918, Paris, Payot, 1929[The Naval Blockade 1914-1918, translated and edited by Christopher R. Turner,
New York, D. Appleton, 1930]. Hugh Ritchie, The ‘Navicert’ system during the World
War, Washington, D. C., Carnegie Endowment, 1938) (Monograph Series, Division of International Law, No. 2). W. Arnold Foster, The Blockade, 1914-19, Oxford, The Clarendon Press, 1939. Paul G. Halper, «World War I: The Blockade», in Bruce A. Elleman and
S. C. M. Paine (Eds.), Naval Blockades and Seapower: Strategies and Counter-Strategies, 1805-2005, New York, Routledge, 2007, pp. 81-104.
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febbraio 1915 (limitata alle acque intorno alle isole britanniche) e poi, il 1° febbraio 1917, con quella indiscriminata, comportante l’affondamento senza preavviso di tutte le navi, fossero adibite al trasporto passeggeri o merci. Il tutto pur nella consapevolezza che tale decisione estrema avrebbe spinto gli Stati Uniti a gettare tutto il peso della loro potenza sulla bilancia della guerra contro la Germania. Ancora una volta, sintetizzerà Corbino, «la lotta navale si palesava come l’estrinsecazione di una rivalità economica, commerciale e industriale, che aveva come campo il mondo intero e, di conseguenza, il dominio delle sue vie di comunicazione, che sono soprattutto marittime, portando i Paesi rivali a concentrare nella costruzione delle proprie flotte i portati della più evoluta e perfezionata tecnica industriale»16 .
All’impero britannico dei mari celebrato alla sua acmé da sir Halford Mackinder nel saggio Britain and British Seas (1902)(«La geografia aveva dato all’Inghilterra una parte unica nel dramma del mondo, consentendole di diventare ‘signora dei mari’ e di sviluppare un impero nato dal mare, di potenza senza uguali e di autorità mondiale», dapprima con la politica del two powers standard e poi, dal 1909, con quella del two keels for one), la Germania guglielmina aveva opposto il suo risikogedanke («la propria marina doveva essere talmente forte anche per la maggiore potenza marittima, sicché una guerra con la Germania avrebbe implicato rischi tali da mettere in pericolo il prestigio inglese nel mondo»). Una lotta che progressivamente (e drammaticamente) avrebbe presto mostrato tutti i limiti della capacità di resistenza della Germania17, nonostante gli straordinari risultati
16 La battaglia dello Jutland vista da un economista (1935, 3a ed. Napoli, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1960) da leggere magari in controluce con «The Impact of the Battle of
Jutland on Economic Warfare» (online al sito defenceindepth.co del 1° giugno 2016) di
Greg Kennedy, curatore di Britain’s War at Sea, 1914-1918: The War They Thought and
War They Fought (Corbett Centre for Maritime Policy Studies Series, New York, Routledge, 2016). . 17 V. A. E. Zimmern, the economic Weapon in the War against Germany, London, 1918,
C. Paul Vincent, The Politics of Hunger: The Allied Blockade of Germany, 1915-1919,
Ohio U. P., Athens, 1985; Osborne, Eric W., Britain’s economic blockade of Germany, 1914–1919, Frank Cass, London, 2004; Nicholas A. Lambert, Planning armageddon.
British economic Warfare and the First World War, Harvard U. P., 2012.Alan Kramer,
«Blockade and Economic Warfare», in Jay Winter (Ed.), the Cambridge History of the
First World War, vol. 2 the State, Cambridge U. P., 2013, pp. 460-490. Joseph Zeller,
«British Maritime Coal and Commercial Control in the First World War: Far More Than
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della guerra sottomarina18.E ci fu addirittura un momento – e siamo nell’aprile del 1917 – quando, con 516mila t di naviglio britannico e 336mila di alleato e neutrale “sprofonda[ti] nella tomba liquida del mare», sembrò che la guerra potesse risolversi sul mare a vantaggio della Germania, in una situazione aggravata anche dalla «riluttanza del naviglio neutrale a correre il rischio di recapitare merci a un cliente del genere» (con la Gran Bretagna che aveva scorte sufficienti solo per sei settimane!). L’aspetto marittimo, o più esattamente economico della guerra, ha scritto Basil Henry Liddell Hart19, mostrava così tutta la sua potenza proprio nel «rapporto tra pressione dei sommergibili tedeschi e resistenza inglese». Ma si trattava soltanto del punto culminante dell’offensiva tedesca a partire dal quale, come insegna Clausewitz (VK,VII,5), la forza materiale dell’attaccante è destinata a esaurirsi a poco a poco. La minaccia sottomarina, attraverso i provvedimenti inglesi sistematicamente adottati, sia diretti che indiretti20 , già alla fine del 1917 poteva dirsi sostanzialmente arginata, mentre per la Germania si profilava inevitabilmente la sconfitta con gli U-boote che, «scacciati dai bacini minori, lo furono anche dall’Atlantico, loro interdetto da un gigantesco sbarramento di 70mila mine, deposte in gran parte dalla marina americana, nel tratto di mare, largo 180 miglia, che separa la Norvegia dalle isole Orcadi, mentre le operazioni più a breve raggio provenienti dalla costa belga furono praticamente paralizzate dalla chiusura dello Stretto di Dover, sempre mediante analogo sbarramento di mine». E alla fine, la demoralizzazione degli equipaggi tedeschi fece il resto.
Mere Blockade», Canadian Military History, Vol. 24, issue 2, Summer/Autumn 2015, pp. 37-57. 18 In cui, ricordiamo, gli U- boote affondarono complessivamente 5.234 mercantili degli Alleati per 12.185.832 t. 19 The Real War 1914-1918, trad. it Milano, BUR Storia, 2004, p. 399 e segg. 20 In sintesi il ‘sistema dei convogli’, che sostituisce quello del ‘pattugliamento’, l’impiego massiccio di caccia e subchasers americani nei servizi di scorta, più largo uso di aerei e mine di nuovo tipo, ridussero infine all’1% la perdita del naviglio, fortemente potenziato nella produzione cantieristica mercantile su entrambe le sponde dell’Atlantico, mentre
«sommergibili ed equipaggi addestrati in un numero troppo limitato rispetto all’entità del compito loro assegnato» marcarono il declino della campagna sottomarina tedesca, che costerà alla fine la perdita di 193 battelli.
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2. «Nella seconda guerra mondiale – continua Corbino - noi avevamo invece a priori la certezza dell’isolamento, avendo scelto uno schieramento a carattere esclusivamente continentale, che avrebbe potuto, entro certi limiti, darci delle garanzie di integrazione dei nostri mezzi, ma che non aveva le larghe possibilità alle quali si sarebbe potuto far ricorso mediante il collegamento con tutti i mercati transoceanici. La seconda caratteristica che distingue l’economia di guerra 1939-45 da quella della guerra 1914-18 è data invece dall’impiego dell’arma aerea, che ha sconvolto l’assetto economico dei paesi belligeranti da quando entrarono in azione i campi di lancio creati dagli anglo-americani sull’Africa del Nord. L’intensificazione dei bombardamenti del nostro paese porta a una crescente fase di scompiglio della vita economica, fino a determinarne, a metà del 1943, il collasso vero e proprio. Distruzioni formidabili, impossibilità di organizzare una vita civile e, quindi, una vita economica corrispondente; disorganizzazione totale o quasi dei trasporti ferroviari, mentre la graduale eliminazione della marina mercantile per le necessità di alimentazione del fronte africano, portava pure alla scomparsa di qualsiasi possibilità di rifornimenti interni per via marittima».
Invero il principale dramma della marina mercantile italiana si era verificato proprio quel maledetto 10 giugno 1940 quando, per effetto stesso della dichiarazione di guerra, si registrava la perdita secca di 212 unità mercantili, cioè il 35% della stessa flotta italiana pari a 1.216.637t di naviglio21, quanto di più moderno e tecnologicamente avanzato offriva la nostra marina in giro per il mondo che lucrava con i ricchi traffici offerti dalla «non-belligeranza». Le navi venivano così tagliate fuori da Mediterraneo e costrette a riparare in porti neutrali, dato che nessuno, nella fase finale del tormentato iter decisionale mussoliniano, si era premurato di richiamarle nei porti nazionali in tempo utile. Così la ‘diaspora’ delle navi italiane e dei suoi equipaggi si consumò in un teatro vastissimo, dall’Estremo Oriente al Golfo Persico, dai porti del Mar Nero e, soprattutto, delle Americhe (con 28 unità riparate negli Stati Uniti, 16 in Argentina, 13 in Brasile e 10 nel Messico)22. E poco mancò che al danno si aggiungesse la
21 Perdita invero superiore a quella che gli inglesi avevano subito nei primi nove mesi di guerra al traffico, cioè 182 unità per 696.430 t. 22 Per la vicenda delle navi italiane rimaste fuori dagli Stetti, cfr. Archivio storico – diploma-
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beffa, come si evince dalla vicenda dell’ammiraglio Alberto Lais (18821951), addetto navale a Washington. Il lend-lease act statunitense infatti, approvato dal Congresso l’11 marzo 1941, inaugurando formalmente la politica di «affitti e prestiti» a favore della Gran Bretagna, non solo aveva finito per marcare da parte di Washington una precisa linea politica, con buona pace della legge di neutralità proclamata il 4 novembre 1940, ma minacciava di avere una pericolosa ricaduta nei confronti dell’Italia proprio mediante la ventilata utilizzazione delle navi italiane riparate negli Stati Uniti opportunamente (anche se illegalmente) reflagged. Per sventare il colpo di mano l’ammiraglio Lais, con l’autorizzazione delle superiori autorità navali e diplomatiche, muovendosi abilmente attraverso la fitta rete dei controlli dell’intelligence anglo-americana (e non era un caso che Lais aveva diretto prima della guerra i servizi segreti della Regia Marina!) mette a punto le contromisure del caso consistenti nell’auto-danneggiamento delle navi, dopo aver preso gli opportuni accordi con i comandi di bordo. La «Beffa delle Navi» viene così attuata tra il 19 e il 29 marzo 1941 con pieno successo23. Durissima la reazione americana: l’ammiraglio Lais, dichiarato persona non grata, veniva espulso; le navi italiane, poste dapprima in custodia protettiva, vennero poi definitivamente requisite e gli equipaggi, subito sbarcati, furono o internati per violazione sulla legge dell’immigrazione ovvero inquisiti per reato di sabotaggio, sulla base dell’espionage act statunitense del 1917, base legale in entrambi i casi assai claudicante. Come del pari surrettizio fu il richiamo a istituti consuetudinari come la «legge di Vattel» ovvero il controverso diritto d’angheria24, il tutto con buona pace del diritto internazionale pattizio. Ancora una
tico, Affari Politici, Italia (1940), c.74/3; (1941), c-78/2; (1942), c.79/1 e Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Archivio contemporaneo, cc.32, 33/bis, 34/bis, 36- 39 bus;40, 50-51 e 62. Tra la bibliografica critica, la mia relazione «La marina mercantile italiana e la lotta per le comunicazioni marittime nel secondo conflitto mondiale» in Commissione italiana di storia militare, L‘Italia in Guerra. Il Primo Anno - 1940, Roma, 1991. 23 Per una ricostruzione puntuale dell’intera vicenda, il mio saggio con ampia appendice archivistica, «L’ammiraglio Lais, Roosevelt e la Beffa delle navi»,Storia delle Relazioni internazionali, a. VII, fasc.2, 1991, pp. 376-397. 24 Secondo la Legge di Vattel (dal nome del grande giurista svizzero, Emmerich de Vattel, autore del celebre Le droit des gens, 1758) «se una nazione (belligerante) ha pressante bisogno di navi, carri e cavalli, li può requisire mediante il pagamento di un equo indennizzo», mentre il diritto d’angheria prospettava l’eccezionale facoltà di uno Stato, sempre belligerante, di requisire, e sempre dietro compenso, le navi mercantili neutrali, che si tro-
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volta la ragione giuridica soccombeva di fronte a quella strategica e agli interessi nazionali in un paese peraltro, come gli Stati Uniti che, formalmente, in quel marzo del 1941, era ancora neutrale. Anche se, già il 3 ottobre 1939, tutti gli Stati americani, su pressione di Washington, avevano firmato una dichiarazione collettiva in base alla quale le acque territoriali dalle canoniche tre miglia venivano estese a ben mille miglia dalla costa per creare una zona di sicurezza intorno al continente americano «dentro la quale avrebbero considerato violazione della neutralità americana qualsiasi atto di belligeranza, cui si sarebbero opposti anche con la forza». Tanto più che il 7 settembre, dichiarando il blocco del Mare del Nord, l’Inghilterra aveva non solo incluso nel bando molte categorie di merci, ma, come osservava l’Ammiraglio Fioravanzo, anche quelle dirette a paesi neutrali che si presumeva proseguissero per via terrestre in Germania («viaggio continuo»), suscitando le energiche proteste di Russia e Italia, ancora neutrali. Sembrava infatti che «tutti i porti del mondo abbiano finito per essere bloccati», con l’aggravante che l’aviazione, consentendo l’offesa diretta dei porti, complicava la situazione del naviglio neutrale, esposto di fatto agli stessi rischi delle navi belligeranti. La guerra marittima, scrive Carl Schmitt25, «non è affatto una semplice guerra di combattenti, ma si basa su un concetto ‘totalitario’ del nemico, che considera come tale anche chiunque abbia rapporti commerciali col nemico e ne favorisca l’economia». Con l’entrata in guerra dell’Italia, la Royal Navy cercava quindi di bloccare tutto il Mediterraneo, da Gibilterra a Suez, ma a sua volta, di fatto, veniva bloccata dalla Regia Marina nelle proprie linee di comunicazione logistica. La strategia navale nel Mediterraneo – scriverà in piena guerra Fioravanzo26– è caratterizzata dall’incrocio, nel centro del Mediterraneo stesso, di due grandi direttrici operative e logistiche ad un tempo: la longitudinale Europa–Africa, che ha le sue salde radici in Italia e la trasversale britannica appoggiata a Suez–Malta–Gibilterra, che spezza
vavano nei suoi porti o nelle sue acque territoriali «quando ciò sia imposto da un’assoluta necessità dello Stato». Al riguardo non v’è chi non veda come entrambi i casi di specie non si attaglino alla situazione degli Stati Uniti nel marzo 1941! 25 «Sovranità dello Stato e Libertà dei mari», Rivista di studi politici internazionali, gennaio–giugno 1941, p.69, concetto sviluppato poi in Terra e Mare, (1954), trad.it. Milano,
Adelphi, 2002, p. 90. 26 Il Mediterraneo, centro strategico del mondo, Roma, Ministero della Marina, 1942.
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da circa un secolo l’unità geopolitica del continente ‘eurafricano’. Ebbene, almeno nel Mediterraneo, «la guerra sarebbe stata vinta da quella dei due parti che avesse, con la propria, spezzata la direttrice dell’altra». Dello stesso parere Corbino che, sempre nel 194227, si spinge addirittura oltre coi dati a sua disposizione (ma non molto lontani dal vero). Con la diminuzione degli affondamenti da parte dell’Asse e l’aumento delle navi prodotte ormai in serie dagli Alleati, arriva infatti a prevedere che, nel 1943, costruzioni e perdite si sarebbero bilanciare, determinando gradualmente un plus di tonnellaggio sempre più consistente a favore degli Alleati che – sottolinea il Nostro – vincendo la battaglia dei trasporti, avrebbero inevitabilmente vinto la guerra! E così fu, come si evince anche dalla riunione straordinaria tenuta a Palazzo Venezia il 10 marzo 1943, alla vigilia della caduta dell’ultima testa di ponte tunisina. Di fronte al ministro delle Comunicazioni (allora responsabile della marina mercantile) conte Cini, che pronuncia un vero e proprio epicedio della marina mercantile italiana28 , Mussolini, ormai allo stadio terminale di quella brinkmanship che l’aveva spinto all’azzardo della guerra, si limita ad affermare che «pensare a un capovolgimento della situazione sarebbe un sogno, si tratta di galleggiare, di durare»29. Intanto, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, si svolgeva nell’Atlantico la battaglia dei convogli, attaccati dalla forza subacquea tedesca nelle zone non coperte dal raggio delle forze aeree alleate, con la sistematica violazione delle regole della guerra sottomarina, contenute nella parte IV del Trattato di Londra del 22 aprile 193030, firmato pure dalla
27 «Gli effetti della seconda guerra mondiale sul naviglio mercantile e previsioni per il dopoguerra», Giornale degli Economisti e Annali di Economia, marzo–aprile 1942, fascicolo subito sequestrato dall’occhiuta polizia fascista. 28 Nel senso che, dalle 3.300.000 t della consistenza della marina mercantile all’inizio della guerra (alle quali si erano aggiunte altre 560mila nel corso della stessa), le perdite erano state 2.200.000. In particolare negli ultimi otto mesi del 1942, ogni mese si era persa una media di 50-55mila t di navi, che erano diventate 80mila nei primi due mesi del 1943, sicché il naviglio utile si era ridotto ormai solo a 583mila t, peraltro di efficienza ridottissima, in quanto erano rimaste le unità più vecchie e più lente, una situazione ormai ai limiti della sostenibilità. 29 Resoconto della seduta in F. W. Deakin, The Brutal Friendship: Mussolini, Hitler and the
Fall of Italian Fascism (1962), Torino, Einaudi, 1963, vol. I, pp. 283 ss. 30 Per le quali, in sintesi, «i sottomarini, nella loro azione verso le navi mercantili, dovevano uniformarsi alle regole del diritto internazionale, cui sono soggette le navi da guerra di superficie» e, in particolare, «non potevano affondare né rendere incapace di navigare una na-
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Germania, e della Conferenza di Nyon del settembre 1937, con cui si era tentato di porre un freno agli attacchi sottomarini indiscriminati al traffico mercantile durante la Guerra civile spagnola31. Inizialmente la campagna sottomarina sembrò funzionare: «Ma il tonnellaggio affondato dai sommergibili venne sopravvalutato, il numero delle navi di nuova costruzione tenne in un primo tempo quasi il passo e superò già nel 1942 il numero delle navi affondate dai soli sommergibili e, a cominciare dal luglio del 1943, il numero delle navi affondate da tutte le forze armate dell’Asse»32 .
Mentre aumentava in maniera esponenziale da parte degli Alleati il ‘coefficiente di protezione’, concetto chiave nella guerra dei convogli, cioè «il rapporto tra il dislocamento totale standard della flotta da guerra e il tonnellaggio globale di stazza lorda della flotta mercantile». La «guerra alle tonnellate» doveva considerarsi anche stavolta irrimediabilmente persa dalla Germania33, laddove le forze in campo altro non erano che l’espressione dell’apparato industriale e delle risorse dei belligeranti. Emerge da ciò come
ve mercantile senza aver messo in luogo sicuro i passeggeri, l’equipaggio e i documenti di bordo». A Norimberga Dönitz e Raeder furono incriminati per la sistematica violazione del protocollo del 1936 da parte degli U-boote. La difesa dei due ammiragli eccepì invano che i mercantili alleati erano armati e scortati e quindi in grado di fare resistenza. L’argomento non fu ammesso e Dönitz fu ritenuto colpevole, ma per questo capo non gli fu irrogato un supplemento di pena perché l’ammiraglio Nimitz, comandante in capo della Flotta del Pacifico, certificò di non essersi comportato diversamente (anche l’Inghilterra dispose il siluramento senza preavviso di mercantili tedeschi nello Skagerrak). Cfr. Howard S. Levie, A.
W. Lowe and Dieter Fleck, «Submarine Warfare: With Emphasis on the 1936 London Protocol», in R. J. Grunawalt (Ed.), The Law of Naval Warfare: Targeting Enemy Merchant Shipping, Naval war College, International Law Studies, vol. 65, Newport, 1993, pp. 28-85. Paul
G. Halpern, «“Handelskrieg mit U-Booten”: The German Submarine Offensive in World
War I», in Bruce A. Elleman and S. C. M. Paine (Eds), Commerce Raiding, Historical Case Studies, 1755-2009, Newport Papers 40, Naval War College Press, 2014, pp. 135-150. 31 Peter Gretton, «The Nyon Conference – The Naval Aspect», The English Historical Review, vol. 90, No. 354, January 1975, pp. 103-112.Carl Schmitt, Posizione e Concetti in lotta con Weimar–Ginevra –Versailles 1923 -1939, a cura di Antonio Caracciolo, Milano,
Longanesi, 2007. 32 Cajus Bekker, Storia della Marina del Terzo Reich, Milano, Longanesi, 1971, p.342. 33 In estrema sintesi evoluzione della guerra sottomarina nel sito il caffè geopolitico , B.H.
Liddell Hart, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale, Milano, Mondadori, 1970 e
O. Baldacci, «La guerra sottomarina», in Storie di Guerra. Le strategie, gli uomini, le armi, febbraio–marzo 2016.
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«la libertà dei mari sia morta per tutta la durata del conflitto, senza nessuna osservanza di alcuna convenzione umanitaria, per opera di navi, sommergibili, aerei e mine, posate dovunque dal naviglio marittimo e aereo – quella libertà dei mari che, per dirla sempre con le parole dell’ammiraglio Fioravanzo, appare sempre più come – una dicitura eufemistica che sta a indicare la schiavitù dei mari imposta dai più forti ai più deboli»34 .
Prassi e prospettive del dopoguerra
Le misure di «embargo» (interruzione parziale o totale dei rapporti economici)35 e «blocco»36 ricompaiono nella Carta delle Nazioni Unite (Cap. VII, artt. 41-42) come provvedimenti, rispettivamente non implicanti ovvero implicanti l’uso della forza, che il Consiglio di Sicurezza può decidere di adottare contro uno Stato che si sia reso colpevole di minaccia o violazione della pace ovvero di un atto di aggressione o ancora per reprimere gravi violazioni dei diritti umani (secondo la più recente, anche se discussa, dottrina del r2P, responsibility to protect)37. Malgrado i ‘paletti’
34 La Libertà dei Mari, Roma, Ed. Latium, 1942 e il mio articolo «La Libertà dei Mari. Le parole i fatti», Limes, n.6/2006. 35 Secondo il Dizionario di Diritto internazionale delle N. U., si intende per embargo: «l’atto di potere di uno stato [o collettivo] che restringe, interrompe o dà per terminate le sue relazioni economiche e finanziarie con un altro paese. L’embargo totale o parziale sulle importazioni e/o esportazioni di tutte o alcune merci, armi o valute, il trasferimento di informazione tecnico-scientifiche, diritti d’autore o di altra indole, determinati tipi di attività commerciali ed economiche; si applica nelle relazioni internazionali contemporanee come strumento di pressione economica o finanziaria, di coercizione e rappresaglia». A titolo esemplificativo, in relazione all’embargo di armi nei confronti dei paesi dell’ex-Jugoslavia, ricordiamo la missione Sharp Guard (1993 -1996), in esito alle risoluzioni 713, 757, 787, 820, 943 del Consiglio di Sicurezza delle N. U. – alla quale chi scrive ha partecipato come capo nucleo ispettivo con sede nella Capitaneria di porto di Brindisi – unificando sotto un’unica catena di comando le precedenti missioni Maritime Guard a guida NATO e Sharp Fence a guida UEO. Cfr. Kathleen M. Reddy, operation Sharp Guard: lessons learned for the Policymaker and Commander, Naval War College, Newport, 1997. 36 All’uopo l’art.42 recita che «Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite». 37 Al riguardo la mia relazione «Problematiche degli Interventi Umanitari», in Quaderni del
Dip. di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano, n. 4/2012.
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posti dal diritto umanitario dei conflitti armati, soprattutto col divieto di affamare la popolazione civile e con le disposizioni della IV Convenzione di Ginevra del 194938 e il I Protocollo addizionale del 197739, il blocco40 rinasce sotto i nomi di cordone sanitario, zona di operazioni, zona di sicurezza, «maritime quarantine», tipo quella proclamata il 23 ottobre 1962 dagli Stati Uniti in occasione della crisi dei missili a Cuba ovvero Zona di esclusione proclamata dalla Gran Bretagna durante il conflitto Falkland–Malvinas del 1982. Misure dichiaratamente cautelative negli intenti, quando debitamente notificate e applicate, ma invero sempre restrittive della libertà di navigazione del naviglio neutrale e la storia ci ha insegnato chi sia destinato a perdere quando entrano in rotta di collisione la ragione strategica con quella giuridica. Grandi certo sono state le speranze legate alla redazione del Manuale di Sanremo sul Diritto applicabile ai conflitti armati sul mare41, elaborato tra il 1988 ed il 1994 da un gruppo di esperti di diritto internazionale e di diritto marittimo che, a titolo personale, hanno partecipato a una serie di tavole rotonde organizzate dall’Istituto di diritto internazionale di Sanremo, una sorta quindi di equivalente contemporaneo del citato Manuale di oxford, adottato nel 1913. Nella sua complessa articolazione (sei Parti, 28 sezioni, 183 paragrafi) il Manuale ci propone, alla
38 Ex– art. 23, cioè il libero passaggio che deve essere accordato per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile di un’altra Parte contraente, anche se nemica, unitamente al passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere (sic). 39 Ex – art. 70, cioè il passaggio rapido e senza ostacoli di tutti gli invii umanitari, materiali e personale di soccorso, anche se l’assistenza in questione è destinata alla popolazione civile della Parte avversaria. 40 Definito dal Commander’s Handbook on the Law of Naval Operations americano «a belligerent operation to prevent vessels and/or aircrafts of all nations, enemy as well as neutral, from entering or exiting specified ports, airfields or coastal areas belonging to, occupied by, or under control of enemy nations». 41 San Remo Manual on International Law Applicable to Armed Conflicts at Sea, Prepared by
International Lawyers and Naval Experts, convened by the IIHL, Adopted in June 1995,
Edited by Louise Doswald -Beck, Cambridge U. P., 1995. Martin David Fink, «Contemporary views on the lawfulness of naval blockades», Aegean Review on Law Sea, 2011,
No. 1, pp. 191-205. Phillip Jeffrey Drew, An Analysis of the Legality of Maritime Blockade in the Context of Twenty-First Century Humanitarian Law, Thesis, Queen’s University, Kingston Ontario), March 2012.
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luce dei principi della Carta delle N. U., del diritto consuetudinario marittimo e di quello umanitario nonché della Convenzione sul diritto del mare (in ordine agli spazi marittimi) un vero e proprio restatement della guerra sui mari42.Il fine, trattandosi di una soft law (che non ha quindi ancora l’enforcement of law) è quello di incoraggiare gli Stati «a prendere in considerazione, ogni qual volta possibile, le disposizioni del Manuale, quando redigono manuali o altre istruzioni per le loro forze armate». Una finalità che non si può non condividere pienamente anche se, rebus sic stantibus, nella perenne dialettica tra le aperture e le speranze, direi, panglossiane del diritto e la realtà effettuale dei conflitti, vorremmo sempre guardare ad esso «con l’ottimismo della volontà e non col pessimismo della ragione».
Nella pagina successiva: «Wie unsere Ostafrikaner Munition erhielten» (Come i nostri in Africa Orientale ricevono le munizioni; in brochure 1 marco, rilegato 2 marchi). Pubblicità (4 dicembre 1914) di un libro sul rifornimento di munizioni per l’Africa Orientale Tedesca effettuato dai violatori del blocco alleato (Blockadebrecher) durante la grande guerra.
42 In particolare per quanto attiene al blocco, alla visita e cattura di navi neutrali e di merci, rispettivamente para. 92-104 e 118-124.