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«Civis romanus sum». La protezione diplomatica degli investimenti stranieri, di Virgilio Ilari “
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«Civis romanus sum»
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di Virgilio Ilari
«Quiconque maltraite un citoyen, offense indirectement l’Etat, qui doit protéger le citoyen. Le Souverain de celui doit venger son injure». Vattel, Droit des Gens, 1758, II, VI, §. 71.
«Contracts between a nation and private individuals are only binding on the conscience of the sovereign and have no pretension to a compulsive force. They confer no right of action, independent to the sovereign will. To what purpose would it be to authorize suits against States for the debts they owe? How could recoveries be enforced? It is evident, it could not be done without waging war against the contracting State, and to ascribe to the federal courts, by mere implication, and in destruction of a preexisting right of the State governments, a power which would involve such a consequence, would be altogether forced and unwarrantable».
Publius [A. Hamilton], Federalist No. 81, 1788
«as the Roman, in days of old, held himself free from indignity, when he could say Civis romanus sum; so also a British subject, in whatever land he may be, shall feel confident that the watchful eye and the strong arm of England, will protect him against injustice and wrong». Lord Palmerston, The Don Pacifico Speech, House of the Commons, 27 June 1850
Vattel, Vattel, combien de crimes on commet en ton nom!
La «diplomazia delle cannoniere» (gunboat diplomacy) è una forma della «diplomazia coercitiva» o «compellenza» teorizzata nel 1966 da Thomas Schelling (1921-2016). In generale l’espressione si riferisce alla prassi delle potenze liberal-imperialiste di appoggiare i negoziati diplomatici con dimostrazioni – basate principalmente sulle forze aeronavali – della propria capacità di «proiettare» a scala intercontinentale
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una schiacciante potenza militare1 .
E’ però usata anche nei testi giuridici come metonimia del principio – teorizzato nel 1758 da Emmerich de Vattel (1714-1767) – che uno stato ha il diritto di proteggere, anche con la minaccia o l’uso della forza, i diritti dei propri nazionali qualora la loro tutela non venga efficacemente garantita dal sovrano territoriale. Principio oggi esteso agli stessi stranieri asseritamente angariati o non protetti dalle autorità dello stato di appartenenza (giurisdizione universale e «Responsibility to protect», che segnano il passaggio dal principio della nazione più favorita a quello dell’individuo con maggiori diritti).
La più antica applicazione pratica del principio di Vattel ha però riguardato il diritto internazionale della proprietà straniera («alien property»), una delle ricadute giuridiche della rivoluzione industriale borghese che, producendo crescenti profitti a salari costanti, incentivò gli investimenti diretti all’estero, pari già nel 1914 a oltre un terzo degli investimenti internazionali a lungo termine, generando la giustificazione liberale dell’imperialismo dal volto umano.
Secondo due collaboratori del prestigioso studio legale americano Covington & Burling, l’impiego diretto della forza a tutela degli investimenti esteri corrisponde alla prima fase «ottocentesca» (1794-1914) del moderno diritto internazionale della proprietà straniera2, in cui le Potenze occidentali
1 James Cable, Gunboat Diplomacy 1919–1991: Political applications of limited Naval
Force, 3rd ed., Palgrave Macmillan, 1994 (1st 1971, 2nd 1981). Kenneth J. Hagan, american Gunboat Diplomacy and the old Navy, 1877-1889, Greenwood Press, 1973. Miriam
Hood, Gunboat Diplomacy 1895-1905: Great power Pressure in Venezuela, Allen & Unwin, 1975. David Healy, Gunboat Diplomacy in the Wilson era: the U. S. Navy in Haiti, 1915-1916, University of Wisconsin Press, 1976. Andrew M. Dorman, Thomas G. Otte,
Military intervention: from Gunboat diplomacy to Humanitarian intervention, Dartmouth, 1995. Andrew Graham-Yooll, imperial Skirmishes: War and Gunboat Diplomacy in latin america, Oxford, Signal Books, 2002. Nicolas Willimann, Gunboat Diplomacy and Cooperation: the Sakaku/Diaoyu islands Dispute Between Japan and China Under the lens of Complex interdependence, 2014. 2 O. Thomas Johnson, Jr., and Jonathan Gimblett, «From Gunboats to BITs: The Evolution of Modern International Investment Law», in Karl P. Sauvant (Ed.), Yearbook on international investment law & Policy, Vol. 2010-2011, pp, 649-692. Contestato nel 1868 dal pubblicista argentino Carlos Calvo (1824-1906), poi sfidato dalle rivoluzioni sovietica e messicana, durante la guerra fredda il principio del minimo standard e dell’indennizzo integrale fu fortemente limitato dai principi terzomondisti sanciti dall’Assemblea generale
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affermarono il dovere di protezione diplomatica degli investimenti diretti all’estero dei propri nazionali e l’obbligo dello stato ospite non solo di indennizzare integralmente le lesioni delle proprietà straniere, ma anche di garantire agli investimenti stranieri uno standard pari a quello accordato agli indigeni, o anche superiore qualora i parametri nazionali fossero inferiori ad uno standard internazionale minimo.3 Tutela estesa sino all’imposizione coattiva di «aperture» e «penetrazioni» del commercio e dei sistemi giuridici occidentali a Cina e Giappone, anche se in seguito la politica britannica da Hutkinson a Lloyd George fu improntata al pragmatismo e all’ideologia del laissez faire e contraria all’odierna idea geo-economica che la funzione primaria della politica estera sia di sostenere l’espansione commerciale4 .
Nel 1738, vent’anni prima del principio di Vattel, la Camera dei Comuni aveva approvato la guerra al commercio spagnolo sull’onda emotiva delle asserite «Spanish Depredations upon British Subjects» [ne seguì la «Guerra de Asiento» o «War of Jenkins’ Ear» del 1739-42, come fu chiamata nel 1858 da Thomas Carlyle5]. La prassi degli interventi diplomaticomilitari occidentali a tutela dei propri nazionali è però posteriore di un secolo, e tutt’altro che lineare.
Thomas Baty (1869-1954) – il fine ed eccentrico giurista britannico che dal 1916 al 1945 visse a Tokyo sostenendo la piena legalità internazionale dell’imperialismo nipponico come reazione a quello occidentale – elencò [in un saggio del 1909 fortemente antiliberale] più di venti casi, fra il 1821 e il 1848, in cui Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti non intervennero a
dell’ONU nel 1962 (sovranità permanente sulle risorse naturali) e 1974 (nuovo Ordine
Economico Mondiale e Carta dei diritti e doveri economici degli stati). Il principio è stato però reintrodotto dai trattati di commercio bilaterali e multilaterali moltiplicatisi dopo la fine della guerra fredda. 3 Todd Weiler, the interpretation of international investment law: equality, Discrimination and Minimum Standards of treatment in Historical Context, Martinus Nijhoff,
Leiden-Boston, 2013. 4 Desmond Christopher Martin Platt (1934-1989), Finance, trade, and Politics in British
Foreign Policy, 1815-1914, Oxford, Clarendon Press, 1968. Michael Waibel, Sovereign
Defaults before international Courts and tribunals, Cambridge U. P., 2011. 5 Harold W. V. Temperley, «The Causes of the War of Jenkins’ Ear», transactions of the royal Historical Society, vol. 3, 1909, pp. 197-236. Google books segnala inoltre Abraham Sol, the london Public and the war of Jenkins’ ear, 1938.
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tutela dei reclami di privati nazionali contro sovrani stranieri6. Anzi il 4 novembre 1824 il segretario di stato Lord Canning (1770-1827) faceva rispondere ad una richiesta d’intervento presso Madrid «that he does not consider it as in any part of the duty of the Government to interfere in any way to procure the repayment of loans made by British subjects to foreign Powers, States or individuals»7. E il 25 marzo 1830 Lord Aberdeen (1784-1860), pur dando istruzioni agli inviati britannici di interporre i propri buoni uffici per la risoluzione delle controversie, ribadiva che i governi «are not, in strictness, called upon to interfere in operations (…) which are of a purely private nature and upon which, as a matter of right, they cannot claim to exercise any authoritative interference with foreign States»8 . L’interventismo liberale britannico si affermò infatti solo dopo il 1840, con motivazioni valoriali e geopolitiche autonome rispetto alla spinta puramente economico-finanziaria, e fu comunque costantemente contrastato dai settori conservatori e protezionisti.
Anche se poi la diplomazia delle cannoniere è divenuta una metafora dell’imperialismo britannico, fu la Francia ad inaugurare, nel 1831, la protezione dei nazionali all’estero, bloccando il Tago per rappresaglia contro la fustigazione di un francese. La prassi sembrò generalizzarsi nel 1838-40, con lo sbarco francese a Vera Cruz9, il blocco francese del Rio della Plata10 e la Prima guerra dell’Oppio11. Nel 1840 vi fu pure una meno nota dimostrazione navale britannica nel Golfo di Napoli in margine alla controversia
6 Thomas Baty, international law, New York, Longmans, Green & Co.; London, J. Murray, 1909 (rist. an. The Lawbook Exchange Ltd, Clark, N. J., 2005), pp. 91 ss. 7 British and Foreign State Papers, vol. 28, 1839-1840, London, Harrison & Sons, 1857, p. 961; Baty, op. cit., p. 92. 8 British and Foreign State Papers, cit, p. 967; Baty, op. cit., p. 92. 9 Jacques Penot, «L’expansion commerciale française au Mexique et les causes du conflit franco-mexicain de 1838-39», Bulletin Hispanique, vol. 75, 1973, N. 1, pp. 169-201. Nancy Nichols Barker, The French Experience in Mexico 1821-1861: A History of Constantly
Misunderstanding, University of North Carolina Press, 1979. 10 Un Officier de la Flotte, «Affaires de Buénos-Ayres», revue des Deux Mondes, 4e série, vol. 25, 1841, pp. 301-370. Baty, op. cit., pp. 107-108 11 V. Julia Lovell, the opium War: Drug, Dreams and the Making of China, London, Picador, 2011. Ead., the opium War: Drugs, Dreams, and the Making of Modern China, New
York, The Overlook Press, 2015. Mao Haijian, the Qing empire and the opium War. the
Collapse of the Heavenly Dynasty,
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sul monopolio inglese del commercio degli zolfi siciliani, conclusa, grazie alla mediazione francese, con la sostanziale conferma del trattato del 1816 e con l’indennizzo, da parte del governo borbonico, delle parti inglese e francese12. Seguirono poi il secondo blocco anglo-francese del Rio della Plata (1845-50), il blocco inglese del Pireo (1850), la seconda guerra anglo-birmana (1852), gli interventi americani del 1853-54 in Asia (le «nere navi» del commodoro Perry in Giappone e la River Patrol dello Yang-tze Kiang durata fino al 1949), la seconda guerra dell’Oppio e, nel 1863, i bombardamenti euro-americani di Shimonoseki e Kagoshima e l’intervento anglo-franco-ispano per costringere il governo messicano a revocare la sospensione del pagamento degli interessi agli stranieri (che fu poi spunto e pretesto per l’avventura di Napoleone III e Massimiliano d’Austria).
Da queste vicende Lord Palmerston (1784-1865) emerse come il principale assertore della protezione diplomatica degli investimenti esteri di privati britannici. Segretario di stato agli esteri nel 1830-41, lo fu di nuovo nel 1846-51 e 1852-55, per poi guidare il governo dal 1855 al 1858 e dal 1859 alla morte, il feroce decennio della ribellione dei Taiping, della guerra di Crimea, della guerra anglo-persiana, dell’Indian Mutiny e della guerra di secessione americana, senza contare un’altra mezza dozzina di «Queen Victoria’s ‘little’ wars».
L’interventismo di Palmerston fu comunque sempre selettivo e ispirato più dalla geopolitica che dai principi generali. Fra il 1830 e il 1865 furono decine gli incidenti diplomatici motivati da lesioni alle persone e ai beni di sudditi britannici, ma la Royal Navy intervenne solo in quattro casi (Canton, Napoli, Plata e Pireo). Nel caso di Bushehr (Persia), dove nel 1838 un
12 «Lo zolfo di Sicilia. Questione tra l’Inghilterra e Napoli», in annali universali di statistica, economia pubblica, storia, viaggi e commercio, Milano, Società degli editori degli annali universali delle scienze e dell’industria, vol. 63, gennaio-marzo 1840, pp. 194-201. «Dispute with Naples – Sulphur Trade», House of the Lords Debate, 02 June 1840, Hansard’s
Parliamentary Debates, vol. 54, cc. 816-29. Lodovico Bianchini, Della storia economicocivile di Sicilia libri due: da far seguito alla Storia delle Finanze di Napoli, Napoli, dalla
Stamperia reale,1841, vol. I, pp. 259-267. Baty, op. cit., p. 103. Vincenzo Giura, «La questione degli zolfi siciliani (1838-1841)», Cahiers internationaux d’histoire economique et sociale, No 2, 1973, pp. 278-392. Dennis W. Thomson, The Sulphur War (1840): A Confrontation between Great Britain and the kingdom of the two Sicilies in the Mediterranean, Michigan State University, 1989.
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moto popolare distrusse la distilleria del residente britannico13, non vi fu alcuna reazione, mentre l’analogo e meno grave moto di Atene del 1847 provocò il blocco del Pireo e un memorabile dibattito parlamentare che segnò la contrastata affermazione del principio liberale di protezione dei cittadini all’estero14 .
Il celebre Don Pacifico Speech pronunciato in quell’occasione da Palmerston riguardava la Grecia, oggetto oggi di interventi neo-liberali che sono apparsi «stupidi» dal punto di vista geopolitico e hanno fatto scrivere, sia pure per iperbole, di «ritorno alle cannoniere»15, ma che in realtà sono piuttosto forme di controllo finanziario dei paesi in default per un esorbitante debito estero. Condizione in cui la Grecia versa di fatto sin dall’indipendenza, tanto che il commissariamento internazionale del 2010 è stato istruttivamente comparato con quello del 189316 .
Il Don Pacifico Affair
Sia pure indirettamente, il debito greco verso le tre Potenze protettrici [Gran Bretagna, Francia e Russia, intervenute nel 1827 a Navarino e garanti del trattato del 183217] fu però davvero all’origine del Don Pacifi-
13 Farhang Mehr, a Colonial legacy: the Dispute over the islands of abu Musa, and the Greater and lesser tumbs, University Press of America, 1997, p. 116. Cfr. Baty, op. cit., p. 105. 14 Geoffrey Hicks, «Don Pacifico, Democracy, and Danger: The Protectionist Party Critique of British Foreign Policy, 1850–1852», international History review, vol. 26, 2004, No. 3, pp. 515-540. Id., Peace, War and Party Politics: The Conservatives and Europe, 184659, Manchester U. P., 2007, pp. 38-66. 15 Karl Whelan, «Greece, the euro and Gunboat Diplomacy», online at Medium, 20 June 2015. Wolfgang Alschner, «The Return of the Home State and the Rise of ‘Embedded’
State Investor Arbitration», in Shaheeza Lalani and Rodrigo Polanco Lazo (Eds.), the role of the State in investor-State arbitration, Martinus Nijhoff Publishers, 2014 (Koninklijke Brill NV, Leiden, 2015), pp. 293-333 (p. 298-99 cfr. 247 e 436). 16 Alessandro Albanese Ghinammi e Giampaolo Conte, «La Grecia e le commissioni finanziarie internazionali del 1893 e del 2010: una prospettiva comparata», Processi Storici e Politiche di pace, vol. 8, N. 15/16, 2014: Idd., «Breve storia del lungo debito greco», Limes, N. 7, 2015; Idd. «Greek Bailouts in Historical Perspective: Comparative Case
Studies, 1893 and 2010», the Journal of european economic History, 2, 2016, pp. 51-86. 17 Elpídas Vogli, «Οι ‘προστάτιδες Δυνάμεις’ και το ελληνικό βασίλειο: από τον Αγώνα της Ανεξαρτησίας μέχρι το επεισόδιο Pacifico» [Il Regno di Grecia sotto la protezione delle Grandi Potenze: Dalla guerra d’indipendenza al Don Pacifico Affair], in Υποτθεση
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co Affair. Tutto cominciò infatti a causa della visita ad Atene, nell’aprile 1847, di Mayer Amschel “Muffy” de Rotschild (1818-1874), per discutere di un possibile secondo prestito dopo quello di 60 milioni di sterline concesso dai Rotschild nel 1832. Ricorrendo il 4 aprile la Pasqua ortodossa, il governo proibì l’usanza di bruciare l’effigie di Giuda Iscariota per non offendere l’illustre ospite ebreo. Sdegnati dal divieto, e convinti che fosse stato ispirato dal capo della comunità israelita di Atene, il console portoghese David Pacifico (1784-1854), duecento facinorosi – inclusi soldati, gendarmi e i figli del ministro della guerra greco – ne assalirono la residenza, saccheggiandola, malmenando moglie e figli e soprattutto distruggendo i titoli cartacei di ingenti crediti di Pacifico verso il tesoro portoghese. Tre giorni dopo Don Pacifico chiese il sostegno del ministro britannico ad Atene, sir Edmund Lyons (1790-1858), facendo valere la cittadinanza britannica di cui godeva essendo nato a Gibilterra. Il 20 maggio Lyons ne scrisse a Palmerston, e su sue istruzioni chiese a Pacifico di stendere una lista dei danni18, trasmettendola poi il 22 febbraio 1848 al governo greco. Non avendo ottenuto risposta, il 31 agosto e il 15 ottobre Pacifico tornò a chiedere un’iniziativa britannica, facendo anche presente di essere stato sloggiato come misura precauzionale durante la Pasqua 1848, e accennando a gravi episodi di antisemitismo verificatisi in passato (uccisione di due ebrei a Patrasso e incendio della sinagoga di Negroponte)19 .
Antico filelleno, nel 1832 Palmerston aveva appoggiato la scelta di affidare il regno all’adolescente Ottone di Wittelsbach (1815-1867), ma in seguito gli aveva manifestato una crescente avversione, non solo per non aver mantenuto l’impegno di emanare una costituzione e per incapacità di governo, ma pure per l’inclinazione a privilegiare gli interessi russi e francesi rispetto ai britannici. C’erano poi tra i due paesi contenziosi geopolitici (gli isolotti di Cervi e Sapienza reclamati dalla Gran Bretagna
Πατσίφικο τα πάρκερικα του 1850 και η διεθνείς ταπείνωση της Ελλάδας [Il Don
Pacifico Affair del 1850 e l’umiliazione internazionale della Grecia], Athena, Eleuterotipía Istoriká, 2011, pp. 37-68. 18 Incluso un contributo di 7.500 dracme da parte delle Comunità israelitiche italiane per la costruzione della sinagoga di Atene. 19 Dolphus Whitten, «The Don Pacifico Affair», Historian, vol. 48, 1986, No. 2, pp. 255-267.
Derek Taylor (1932-1997), Don Pacifico: the acceptable face of gunboat diplomacy, Vallentine Mitchell, 2008.
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come pertinenze delle Ionie, protettorato britannico dal 1816 al 1864) e il reclamo del bisbetico scozzese George Finlay (1799-1875), compagno d’arme di Lord Byron e storico della guerra d’indipendenza greca, che dal 1836 accusava re Ottone di aver sconfinato nel suo giardino. Tanto che già l’8 marzo 1847 Palmerston aveva incaricato Lyons di ammonire il primo ministro greco Ioannis Kolettis (1774-1847) dei rischi di ostinarsi a tergiversare difronte alle sacrosante richieste britanniche.
Il reclamo di Don Pacifico aumentò lo scarno dossier, ma passò altro tempo prima che Palmerston decidesse di brandirlo. Ciò avvenne infatti solo il 30 novembre 1849, quando, scavalcando l’ignaro primo ministro, il segretario di stato ordinò direttamente al comandante in capo della Mediterranean Fleet, vice-ammiraglio William Parker (1781-1866), di dirigere sul Pireo in appoggio al nuovo ministro Thomas Wyse (1791-1862), incaricato di ottenere soddisfazione per Don Pacifico, Finlay e altri tre minori contenziosi20. Parker, che si trovava ai Dardanelli in appoggio al rifiuto turco di consegnare ad Austria e Russia i rifugiati ungheresi del 1849, si presentò l’11 gennaio 1850 in rada con una squadra di 15 navi e Wyse intimò al governo greco 24 ore di tempo per indennizzo e scuse, dopodiché si imbarcò sulla flotta e Parker, impadronitosi delle poche cannoniere greche, cominciò a sequestrare per rappresaglia tutti i mercantili greci in transito da e per il Pireo, aggravando la crisi economica e finanziaria del Regno. Il 22 gennaio Parker riferiva che la resistenza del governo greco era incoraggiata dal ministro francese e dall’incaricato d’affari prussiano.
Le reali motivazioni del blocco sono controverse. All’epoca fu messo in connessione con le due rivolte contadine di Cefalonia (settembre 1848 e agosto 1849), la cui severa repressione da parte del nuovo alto commissario sir Henry Ward aveva suscitato forte indignazione e imbarazzato il governo whig di Lord John Russell (1792-1878); e interpretato come un monito al re Ottone, supposto sponsor della megali idea (Grande Grecia), a non interferire negli affari interni del Protettorato. Che il vero motivo fossero le Ionie fu sostenuto da Disraeli e Aberdeen nei loro discorsi
20 Gli altri pretesi abusi riguardavano il fermo, nel 1848, di due marinai del brig-sloop
Fantôme sorpresi in atteggiamento sospetto dalla polizia di Patrasso, una rapina piratesca a danno di pescatori delle Ionie e il maltrattamento di due delinquenti corfioti (Baty, op. cit, pp. 85 e 116-17: Hannell, op. cit., p. 497).
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parlamentari sul Don Pacifico Affair. Ottone, i governi russo e francese e Aberdeen supposero anche l’intento di imporre la cessione dei due isolotti contesi, peraltro non menzionati nell’ultimatum proprio per non urtare gli altri due membri della Troika. Secondo David Hannell, invece, lo scopo era di ribadire la supremazia britannica nei confronti delle altre due potenze, dare una lezione di intransigenza liberista ai governi assolutisti del Continente e screditare il re presso l’opinione pubblica greca, facendolo apparire come l’unico responsabile dei danni economici del blocco, se non addirittura provocare un colpo di stato della fazione anglofila, come temette il governo greco21 .
Proprio i supposti retroscena del blocco – battezzato da Palmerston, con spiritoso eufemismo, «pacifico»22 – provocarono una seria crisi diplomatica con Francia e Russia. In particolare l’ambasciatore russo a Londra Philipp von Brunnow (1797-1875) e il ministro degli esteri Karl Vasil’evič Nesselrode (1780-1862) contestarono la mancata informazione preventiva degli altri due governi e la «disproportion manifeste» tra una misura così rigorosa e l’esiguo valore delle riparazioni intimate23. Costretto da crescenti pressioni e ostilità, il 12 febbraio Palmerston accettò la mediazione francese e sospese il blocco (arrivato nel frattempo a 40 mercantili pignorati). Il 26 marzo il ministro francese ad Atene, barone Jean-Baptiste Louis Gros (1793-1870), presentò una bozza di accordo favorevole alla Grecia, respinta da Wyse la cui controproposta dell’8 aprile fu a sua volta respinta da Gros. L’ambasciatore francese a Londra Edouard Drouyn de
21 David Hannell, «Lord Palmerston and the ‘Don Pacifico Affair’ of 1850: The Ionian Connection», european History Quarterly, vol. 19, No. 4, 1989, pp. 495-508. Cfr. Id, «A Case of Bad Publicity: Britain and the Ionian Islands, 1848-1851», ibidem, vol. 17, April 1987, pp. 131-143. Gerassimos D. Pagratis, «The Ionian Islands under British Protection (1815-1864)», in Carmel Vassallo and Michela D’ Angelo (Eds), anglo-Saxons in the Mediterranean. Commerce, Politics and ideas (XVii-XX Centuries), Malta U. P.,
Malta 2007, pp. 131-150. Annitas Prassa, «Η υπόθεση Πατσίφικο οι αγγλοελληνικές σχέσεις επιδενώνονται» (Il Don Pacifico Affair peggiora le relazioni anglo-greche), in
Υποτθεση Πατσίφικο, cit., pp. 69-120; Poules Kokkore, « ‘Και Ενώθηκαν όλο το έθνος εναντίον τους…’. πως είδε ο τύπος την υπόθεση Πατσίφικο» (‘E tutta la nazione era contro di loro …’. Il caso Pacifico visto dalla gente), ibidem, pp. 121-176. 22 Albert E. Hogan, Pacific Blockade, Oxford, Clarendon Press 1908, pp. 105–114. Cfr. Baty, op. cit., pp. 253-262. 23 Baty, op. cit., pp. 261-62.
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Lhuys (1805-1881) presentò allora il 15 una nuova proposta, accettata il 19 da Palmerston. Tuttavia, di proposito o no, il segretario di stato ne ritardò la comunicazione a Wyse. Questi, persuaso ormai di non poter superare l’impasse con Gros, il 26 ordinò a Parker di riassumere il blocco, e a quel punto, terrorizzato, il governo geco capitolò accettando di presentare le scuse e pagare un indennizzo di 330.000 dracme (11.479 sterline), di cui 180.000 a estinzione dei reclami e 150.000 per i titoli di credito di Don Pacifico distrutti nel saccheggio. Offeso, il Principe-Presidente Luigi Bonaparte richiamò Drouyn, che partì il 15 maggio. Il 16 Palmerston smentì in Parlamento la notizia della protesta diplomatica, nelle stesse ore in cui, alla Chambre des Députés, il ministro degli esteri francese stava declamando la lettera di richiamo.
Cherchez la femme
Nonostante avesse tenuto riservato il negoziato, Palmerston ne aveva incautamente parlato a cena allo Star and Garter Hotel di Richmond con la moglie Emily Lamb (1787-1869) e la vecchia amica di lei Dorothea von Benckendorff (1785-1857), vedova dell’ambasciatore russo Christophor Andreevič von Lieven (1774-1839). Amica di Castlereagh, ex-amante di Metternich e forse pure di «Cupido» Palmerston, l’intrigante e altezzosa principessa baltica (in gioventù davvero bella) aborriva le aperture progressiste del segretario agli esteri e soprattutto non gli perdonava di aver provocato nel 1834 il richiamo del marito in Russia. Non si peritò perciò di tenere al corrente Aberdeen delle confidenze del suo successore al Foreign Office e delle notizie che l’ex-premier francese François Guizot (17871874) le scriveva da Parigi – comportamento che le costò poi l’amicizia di Emily e gli epiteti di «Mad Lieven» e «Tambour-Major of Paris» affibbiatile da Palmerston [lei lo chiamò a sua volta «a pickpocket»]24 .
Informata da Aberdeen, la regina Vittoria suggerì la sostituzione di Palmerston, ma Russell, temendo di provocare così la caduta del governo, preferì difendere il suo segretario di stato e denunciare invece «a foreign
24 Judith Lissauer Cromwell, Dorothea lieven: a russian Princess in london and Paris, 1785-1857, Jefferson, NC, McFarland, 2006.Cfr. Jasper Ridley, lord Palmerston, London, Constable, 1970, pp. 177-79.
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cabal» per screditare la politica estera britannica, Così Lord Derby (17991869), capo dell’ala protezionista dei conservatori, presentò una mozione di sfiducia, approvata il 17 giugno alla Camera dei Lord con 37 voti di maggioranza. Da notare che la mozione condannava il blocco solo perché nel caso specifico riteneva i reclami «doubtful in point of justice or exaggerated in amount», ma riconosceva pienamente «the right and duty of the Government to secure to Her Majesty’s subjects residing in foreign states the full protection of the laws of those states»25. Proseguito per quattro notti, dal 24 al 28 giugno, il dibattito alla Camera fu dominato da Palmerston, che parlò cinque ore, poi contestato dai conservatori moderati, sir Robert Peel (morto il 2 luglio) e il suo seguace William Gladstone (18091898), costante censore di Palmerston e già oppositore della prima guerra dell’Oppio26. Alla fine non si votò sulla risoluzione dei Lords, ma su una generica mozione di fiducia presentata inaspettatamente da John Arthur Roebuck (1802-1879), un deputato radicale che in genere votava contro tutti i governi e disprezzava i whig, «demagoghi in piazza e aristocratici al governo»27. Il governo prevalse per 310 a 264, con un margine di 46 voti.
Civis romanus sum
Il discorso di Palmerston affronta invece il vero nodo giuridico della questione, ossia il conflitto tra il principio westfaliano di sovranità e non ingerenza e la natura «romana», ossia sovra-sovrana, del concerto delle «nazioni civilizzate» di cui la Gran Bretagna [come oggi USA e EU] rivendicava all’epoca la leadership morale e politica.
Palmerston esordì infatti contestando il principio sancito dalla risolu-
25 House of the Lords Debate, 17 June 1850, Hansard’s Parliamentary Debates (3rd Series),
CXI, c. 1332. Evelyn Ashley, The Life of Henry John Temple, Viscount Palmerston: 18461865, with selections from his Speeches and Correspondence, London, Richard Bentley, 1876, I, p. 210. 26 Testi dei discorsi di Palmerston, Peel e Gladstone in John Alden (Ed.), representative British orations, G. P. Putnam’s Sons, 1900, IV, pp. 125–224; the Speeches of the late right
Honourable Sir robert Peel, Bart, London, Routledge, 1853, IV, pp. 846-855; George
W. E. Russell, the right Honourable William ewart Gladstone, New York, Harper 1891, pp. 102–110. 27 life and letters of John arthur roebuck, P.C., Q.C., M.P.: With Chapters of autobiography, London, E. Arnold, 1897
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zione dei Lord che il diritto-dovere di tutela dei nazionali all’estero non potesse comunque eccedere l’ordinamento giuridico del sovrano territoriale. Lo giudicava «totalmente incompatibile con gli interessi, i diritti, l’onore e la dignità» della Gran Bretagna, discostante («variant») dalla prassi delle «civilised countries» e «contrario ai pareri dati in numerosi casi dai consiglieri giuridici della Corona». La questione della tutela diplomatica dei propri nazionali si poneva infatti proprio nei confronti dei paesi con sistemi di governo «arbitrary or despotic» dove, non essendoci un potere giudiziario indipendente, «justice cannot be had»; ma anche di quelli con un governo solo «nominally constitutional», perché lì «the tribunals are corrupt». Si doveva perciò valutare caso per caso il rispetto di uno standard accettabile di equità, funzione necessariamente esclusiva e discrezionale del governo britannico.
Nel caso specifico, la Gran Bretagna era l’unica delle potenze garanti dell’indipendenza greca ad essersi preoccupata di tutelare il diritto del popolo greco a non ricadere sotto un governo altrettanto assolutista di quello contro il quale si era ribellato. E ne aveva pagato il prezzo, discriminata da re Ottone rispetto ai suoi mentori cinici (Francia) o assolutisti (Austria, Prussia, Russia) per non aver mai rinunciato a ricordargli l’impegno di emanare la costituzione una volta raggiunta la maggiore età.
Com’era impossibile far quadrare i conti in un paese «desorganised» e corrotto come la Grecia, così era impossibile ottenere giustizia [chi osava insinuare – tuonava virtuosamente Palmerston – che ci inzuppasse il pane pure Lyons, piazzando i suoi clienti negli organigrammi amministrativi greci?]. Lì il brigantaggio era endemico e la polizia praticava «barbarity of the most revolting kind» [ce l’aveva in particolare con un tal «Tzino», ossia Theodoros Tzinis (1798-1869), mammasantissima di Patrasso, ma non diceva che era stato l’eroe di Missolungi]. Magari i Britons in senso stretto non osavano toccarli, ma il dominio delle onde aveva i suoi oneri e Sua Maestà doveva proteggere un sacco di gente, lì soprattutto maltesi e corfioti. Si sarebbe forse dovuto discriminare Don Pacifico sol perché era Gibraltarian, ebreo28 o magari non proprio adamantino (sempre che fosse-
28 Palmerston sorvolò sulla questione dell’antisemitismo, allora ben radicato nella classe dirigente britannica. Nel 1840, insieme al cancelliere austriaco Metternich, aveva denunciato l’iniquo processo di Damasco contro sedici ebrei ingiustamente accusati del preteso
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Francis Cruikshank (1825-1881), Henry John temple, 3rd Viscount Palmerston, 1855.
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ro vere le storie che raccontavano su di lui)? E poi, l’onore della «British Navy» offeso dagli sbirri di Tzino? No, non si trattava di bagatelle, come pensavano i Lord: ma di massimi principi. Ossia il diritto del suddito britannico, come un tempo il Civis romanus, di sentirsi ovunque protetto dal proprio paese. Un appello che Lord Robert Cecil Salisbury (1830-1903) giudicò poi quasi sempre di sicuro effetto «upon an English audience»29 .
Così è se vi pare
Il caso Don Pacifico fu chiuso con la convenzione anglo-greca del 18 luglio, che limitava l’indennizzo dei titoli di credito alle sole somme effettivamente documentate negli archivi portoghesi. Nel febbraio 1851 una commissione composta dai ministri inglese, francese e greco a Lisbona poté accertare appena 150 sterline, contro le 21.295 chieste da Don Pacifico e le 5.217 intimate il 26 aprile da Wyse30 .
In aprile Gladstone pubblicò la prima delle sue due lettere ad Aberdeen, in cui definiva quel che aveva visto nelle carceri napoletane «the negation of God erected into a system of government». Il primo ministro napoletano, Giustino Fortunato senior (1777-1862), fu licenziato da Ferdinando II per non averlo informato delle lettere, ampiamente pubblicizzate da Palmerston. In dicembre Palmerston fu costretto a dimettersi per la nota a sostegno del colpo di stato di Luigi Bonaparte inviata all’insaputa del governo e della regina, ma nel febbraio 1852 si vendicò votando coi conservatori la caduta del governo whig. Le elezioni di luglio videro l’affermazione dei
«omicidio rituale» di un frate cappuccino. Mentre papa Gregorio XVI aveva rifiutato di intervenire, il sultano prosciolse gli accusati superstiti. 29 Cit. in Joseph H. Park, British Prime Ministers of the Nineteenth Century: Policies and
Speeches, New York U. P., 1916, p. 153. V. Jan Paulsson, Denial of Justice in international law, Cambridge U. P., 2005, p. 16. Sul paradigma romano o ateniese nell’ideologia imperiale britannica dell’epoca, v. V. Ilari, «We, like the Romans? Per lo studio del paradigma romano nella rappresentazione e nell’interpretazione della Pax Americana», Civiltà romana, 2, 2015, p. 318. 30 Don Pacifico ebbe dunque in tutto 5.126 sterline (4.476 per danni materiali, 500 per danni morali e 150 per i crediti). Altre 1.066 furono pagate a Finlay, 200 ai pescatori e 20 ai marinai dell’HMS Fantôme (Baty, op. cit., p. 118). Katerinas Papakostantinou, «Η Άρση η του αποκλεισμού και λύση του ζητήματος» (la fine del blocco e la soluzione della questione), in Υποτθεση Πατσίφικο, cit., pp. 177-192.
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conservatori, ma il governo di minoranza di Lord Derby cadde a dicembre, e fu la volta di Aberdeen con una coalizione di liberisti (Free Traders), moderati (Peelites) e whig in cui tornarono al governo Palmerston e Russell. Intanto il pretesto della protezione dei privati all’estero si generalizzava: i conservatori la avallarono contro la Birmania, Palmerston la estese ai coolies delle ditte inglesi contro la Cina. Richard Cobden (1804-1865), rappresentante del capitalismo industriale e teorico del pacifismo liberista, si oppose ad entrambe le guerre31 e nel 1856 ottenne la caduta del governo. Ma perse il seggio nelle elezioni dell’aprile 1857, stravinte da Palmerston.
31 Cobden denunciò in un pamphlet (How Wars are Got Up in india: the origin of Burmese
War, London, W. F. G. Cash, 1853) le tendenziose reticenze del governo e dello stesso Parlamento sull’imbarazzante intervento in Birmania, ordinato dal discusso governator generale dell’India Lord Dalhouse (1812-1869) e condotto in modo assurdamente provocatorio dal commodoro Lambert, oltretutto centuplicando l’indennizzo intimato al governo di
Rangoon rispetto al modesto importo (920 sterline) dei danni privati liquidati da Dalhouse.
Cfr. Nicholas C. Edsall, richard Cobden, independent radical, Harvard U. P., 1986. Wendy Hinde, richard Cobden: a Victorian outsider, Yale U. P., 1987.
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