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Le sanzioni del 1935-36 contro l’Italia e l’autarchia, del Gen. Luciano Luciani (†) “
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del Gen. GdF Luciano Luciani (†)
Il caso delle sanzioni economiche comminate dalla Società delle Nazioni (SdN) all’Italia per l’aggressione all’Etiopia1, continua ad essere citato come prova dell’inefficacia di questa misura «short of war». Se però lo confrontiamo con l’effetto economico devastante che nel 1941 ebbe l’embargo petrolifero americano contro il Giappone, emerge che il successo delle sanzioni dipende dal peso economico e dalla determinazione politica di chi le irroga. Il caso italiano fece emergere infatti la contraddizione intrinseca della SdN, che, sotto l’apparenza universale era in realtà una coalizione incentrata sull’intesa tra due potenze coloniali in declino minacciate da Germania, Giappone e Stati Uniti, per giunta irrigidita dai propri principi etici non negoziabili e dal peso crescente dell’opinione pubblica sulla politica estera.
1 Arnold J. Toynbee, «Italy and Ethiopia», Survey of International Affairs:1935, II, p. 184.
Albert E. Highley, The First Sanctions Experiment: A Study of League Procedures, Geneve, Geneva Research Centre, July 1938. Herbert Feis, Seen from E. A.: Three International Episodes, Indiana University, New York, Alfred A. Knopf, 1947, pp. 193-306 («Oil for
Italy: A Study in the Decay of International Trust», con una «Supplementary Note on the
Effectiveness of the Sanctions Against Italy and the Part Played by American Trade»).
Lowell R. Tillett, «The Soviet Role in League Sanctions against Italy 1935-1936», American Slavic and East European Review, 15 (1956), pp. 11-16. Margaret P. Doxey, Economic Sanctions and International Enforcement, Royal Institute of International Affairs, 1971 (1980), pp. 45-55. George W. Baer, «Sanctions and Security: The League of Nations and the Italian–Ethiopian War, 1935–1936», International Organization, 27, pp 165-179;
Id., Test Case: Italy, Ethiopia, and the League of Nations, Hoover Institution Publication,
Hoover Press, 1976. R. J. Q. Adams, British Politics and Foreign Policy in the Age of Appeasement, 1935-39, Stanford U. P., 1993, (cap. 2: 1935: Rearmament and Abyssinia, pp. 16-34). Hyun Kyu Kim, «The Economic Boycott against Italy Declared by the League of Nations: Why it Failed», Korean Minjok Leadership Academy International Program,
Term Paper, AP European History Class, April 2008; G. Bruce Strang, «“The Worst of all Worlds:” Oil Sanctions and Italy’s Invasion of Abyssinia, 1935–1936», Diplomacy &
Statecraft, vol. 19, issue 2, 2008, pp. 210-235. Gaynor L. Johnson, «Philip Noel-Baker, the League of Nations and the Abyssinian Crisis, 1935-1936», in G. Bruce Strang (Ed.),
Collision of Empires. Italy’s Invasion of Ethiopia and Its’ International Impact, Farnham,
Ashgate, 2013, pp. 53-72; Jason Davidson, «Italy, British resolve and the 1935-1936 Italo-Ethiopian War», Cahiers de la Méditerranée [En ligne], 88 | 2014.
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Le sanzioni all’Italia come ultimo test di credibilità della SdN
L’art. 16 dello Statuto (Covenant) della SdN (11 aprile 1919) impegnava gli Stati membri a rispondere collettivamente e solidalmente alla guerra d’aggressione, rompendo le relazioni commerciali e finanziarie pubbliche e private con l’aggressore e prestandosi reciproca assistenza per attenuare le perdite, gli inconvenienti e gli effetti delle ritorsioni dello stato colpito. Le «financial and economic measures» o «sanzioni economiche internazionali»2, pur potendo arrivare al blocco «pacifico» (ossia svincolato dallo stato di guerra), consistevano soprattutto negli embarghi, ossia limitazioni del commercio col paese colpito e coi neutrali, per indurli a coalizzarsi. Inoltre, diversamente dalle attuali sanzioni euro-americane, si prevedeva che fossero irrogate in misura graduale e progressiva.
Da notare che l’idea della SdN e delle sanzioni anti-aggressione era in origine americana. La bozza di Covenant fu infatti predisposta dal famoso ‘colonnello’ Edward Mandell House (1858-1938), consulente personale di Woodrow Wilson alla conferenza di pace di Versailles, e il Presidente, che riduceva le sanzioni al «boicottaggio», ne enfatizzò i presunti effetti dissuasivi nel suo Western Tour del 3-25 settembre 1919 a favore della ratifica del Covenant3. Tuttavia proprio il carattere vincolante delle sanzioni fu tra gli argomenti che convinsero il Congresso a bocciare l’adesione alla SdN. Considerato il peso determinante degli Stati Uniti nel commercio mondiale, il fatto di non poter contare sulla loro cooperazione minava alla base l’efficacia dissuasiva della SdN. I successi degli anni Venti furono per lo più ottenuti in via negoziale (Isole Åland, Alta Slesia, Memel, Saarland, Mosul), mentre alle sanzioni si fece ricorso solo contro Jugoslavia (per lo smembramento dell’Albania, 1921) e Grecia (per imporre il ritiro dal
2 «The severance of all trade or financial relations, the prohibition of all intercourse between their nationals and the nationals of the covenant-breaking State, and the prevention of all financial, commercial or personal intercourse between the nationals of the covenant-breaking State and the nationals of any other State, whether a Member of the League or not». 3 W. Wilson, Address at Coliseum, St. Louis, Mo., September 5, 1919 (Addresses of President Wilson, Senate, Document No. 120, Washington, Government Printing Office, 1919, p. 45: «A nation that is boycotted is a nation that is in sight of surrender. Apply this economic, peaceful, silent, deadly remedy and there will be no need for force. It is a terrible remedy. It does not cost a life outside the nation boycotted, but brings a pressure upon the nation which, in my judgment, no modern nation could resist».
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territorio bulgaro, 1925)4. Nel 1932, per la guerra del Chaco, la SdN approvò l’embargo sulle armi ai paesi belligeranti (Bolivia e Paraguay), ma la sua impotenza emerse di fronte alla crisi mancese. Condannato come aggressore, il Giappone uscì dalla SdN senza subire conseguenze: i membri più importanti avevano infatti troppi interessi commerciali per comminare sanzioni o anche il semplice embargo sulle armi.
Il caso mancese fece molta impressione sull’opinione pubblica inglese. Sostenuta dai partiti di opposizione, dai sindacati e da mezzo milione di volontari, l’Unione della Lega delle Nazioni (LNU) condusse un sondaggio da cui risultava un vasto consenso non solo alle sanzioni contro l’aggressore (96%) ma addirittura alla risposta militare (74%)5. Iniziato a fine 1933, il «Ballot of Peace» fu pubblicato nel maggio 1935, quando sul tappeto c’era ormai la crisi italo-etiopica, di cui la SdN fu formalmente investita il 3 agosto6. In quel momento la priorità dei governi Laval e Baldwin era mantenere Mussolini nel «Fronte di Stresa» contro il revanscismo di Hitler: l’Italia aveva reagito all’assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss e stipulato un accordo con la Francia consentendo il trasferimento di 17 Divisioni francesi dalle Alpi al Reno. Pure i vertici militari britannici e lo stesso Churchill consigliavano prudenza: considerato che l’85% del commercio italiano era marittimo, le sanzioni avrebbero dovuto comportare il blocco navale, senza contare la chiusura di Suez ai convogli militari italiani, atti di guerra che avrebbero aggiunto un fronte mediterraneo alla crescente minaccia tedesca e giapponese, con un concorso navale francese
4 D. Mitrany, The Problem of International Sanctions, London, Oxford U. P., 1925. Rita
Falk Taubenfeld and Howard J. Taubenfeld, «The Economic Weapon. The League and the
United Nations» Proceedings of the American Society of International Law at Its Annual
Meeting (1921-1969), vol, 58 (April 1964), pp. 183-205. 5 Dame Adelaide Livingstone, The Peace Ballot: The Official History, London, Gollancz, 1935.Martin Ceadel. «The First British Referendum: The Peace Ballot, 1934-5», English
Historical Review vol. 95 (1980), No. 377, pp. 810-83. 6 In agosto il Congresso degli Stati Uniti approvò una legge di neutralità. In ottobre il ministero degli esteri italiano minacciò ritorsioni in caso di sanzioni americane. L’unica misura americana fu l’embargo militare verso Italia ed Etiopia, e malgrado gli appelli a limitare le esportazioni americane verso l’Italia, queste in realtà crebbero, in particolare di petrolio, rottami di ferro e acciaio, camion, rame, torni e macchine da taglio. Del resto la crociata antimperialista dei due residui imperi coloniali non scaldava il moralismo americano, mentre Washington stava finalmente raggiungendo lo storico obiettivo di strappare al vero nemico il dominio dei mari.
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esiguo e insicuro7. Così il 10 settembre, mentre la Home Fleet era già in viaggio per Gibilterra, il ministro degli esteri britannico, sir Samuel Hoare, rassicurò Pierre Laval che il suo governo non avrebbe agito unilateralmente e avrebbe fatto tutto il possibile per evitare la guerra contro il «mad dog». L’intransigenza di Mussolini era però meno irrazionale di quanto temevano Hoare e Laval: infatti il duce conosceva perfettamente il bluff anglo-francese, perché la Sezione P («Prelevamento») del SIM aveva infiltrato propri agenti nelle ambasciate britannica e francese a Roma.
La cautela di Londra e Parigi fu però scavalcata dal clima che si era creato a Ginevra, dove il test italo-etiopico era percepito come l’ultima chance di salvare la credibilità della SdN. Ne era convinto lo stesso ministro britannico per la SdN, Anthony Eden, che, non bene informato della reale posizione del suo governo, interpretò fino in fondo la parte che le altre delegazioni si attendevano da lui. Il 7 ottobre, cinque giorni dopo l’inizio delle operazioni italiane, l’assemblea condannò, su denuncia dell’Etiopia, l’aggressione italiana, considerata un atto di guerra contro tutti gli altri membri8. La quasi unanimità9 celava tuttavia posizioni molto diverse circa le misure da prendere. La prima fu l’embargo militare nei confronti della sola Italia, già adottato unilateralmente dalla Gran Bretagna, a cui l’Italia rispose abilmente sottoponendo a licenza l’importazione di 128 generi, allo scopo di dividere il fronte avversario. Un secondo gruppo di sanzioni, elaborate da un Comitato ristretto (dei Diciotto), presentate all’assemblea il 9 novembre e approvate il 15 con tre astensioni (Austria, Ungheria e Albania), prevedeva: a) l’embargo su prestiti e crediti al governo e alle imprese italiani (ma con riserve di alcuni paesi, in particolare la Svizzera, circa il pagamento di prestiti internazionali);
7 Steven Morewood, «‘This silly African business’: the military dimension of Britain’s response to the Abyssinian crisis», in G. B. Strang, cit., cap. 4. 8 La tesi italiana esposta alla SdN dall’ambasciatore Aloisi si limitava a invocare la «legittima difesa» contro l’«aggressione etiopica», evitando la retorica propagandistica interna (la missione civilizzatrice e la liberazione del popolo etiopico da un regime semifeudale e schiavista). MAE, I documenti diplomatici italiani. Ottava serie: 1935-39, II (1 sett.-31 dic. 1935), p. 212. 9 Votarono contro, oltre all’Italia, solo Austria e Ungheria, bisognosi di appoggio contro l’Anschluss e contro gli altri stati successori dell’ex-Impero asburgico.
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b) il boicottaggio totale delle merci italiane allo scopo di anemizzare l’afflusso di valuta pregiata (le riserve auree italiane erano ritenute insufficienti a sostenere una guerra prolungata); c) l’embargo alle esportazioni di alcuni beni strategici (come gomma e minerali, ma pure cavalli e muli) scelti tra quelli che in passato l’Italia aveva importato soprattutto dai membri della SdN la cui cooperazione appariva certa; d) l’assistenza economica reciproca tra i membri della SdN per ripartire e minimizzare le perdite economiche derivanti dalle sanzioni, in particolare a favore di Jugoslavia e Romania, danneggiate pure dal vantaggio assicurato ad Austria e Ungheria.
Pur riservandosi di varare in seguito altre misure, per il momento il Comitato accolse l’opinione francese di non estendere l’embargo ai beni che l’Italia poteva procurarsi da stati non membri (Germania, Stati Uniti) o meno sicuri: ma in questo modo furono esclusi proprio i beni di maggior valore strategico, come petrolio, cotone, rame, carbone e ferro, e gli stessi macchinari per i cantieri navali e le fabbriche di munizioni.
La fermezza di Eden, apprezzata sia dalla sinistra internazionalista che dalla destra nazionalista10, contribuì alla vittoria elettorale dei conservatori, confermati il 14 novembre con 432 seggi contro 174, ma intanto proseguiva il negoziato e il 9 dicembre il governo Baldwin approvò il piano segreto Hoare-Laval, accettato da Mussolini, che dava all’Italia l’Ogaden e il Tigrai garantendo all’Etiopia l’accesso al porto di Assab. La notizia fu però rivelata il 13 dicembre da un giornale francese, costringendo Baldwin a sconfessare l’accordo e Hoare a dare le dimissioni, sostituito il 22 dicembre da Eden. Lo stesso Laval dovette dimettersi il 22 gennaio 1936. Churchill, contrario alla crociata anti-italiana, scrisse nel 1948 che il compromesso avrebbe potuto trattenere l’Italia nel campo anglo-francese, modificando il corso degli eventi che portarono alla seconda guerra mon-
10 Secondo i diplomatici italiani, una delle ragioni dell’intransigenza di Eden era il timore ‘geopolitico’ che l’Italia potesse usare il potenziale militare etiopico (materie prime e ascari) per minacciare le colonie inglesi o tentare avventure in Europa. Le legazioni italiane segnalavano inoltre l’attivismo dei colleghi britannici per sollecitare l’adesione e l’effettiva applicazione dell’embargo da parte dei membri della SdN, anche adombrando possibili ritorsioni. MAE, I documenti, cit. Tonino Fabbri, Colonie e carbone. Le origini della politica dell’Asse Roma-Berlino nei documenti diplomatici, Libreria Universitaria, Roma, 2012.
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diale11. Il suo fallimento dimostrò peraltro che la politica estera era sempre più vincolata dalla coerenza coi principi proclamati e dal peso determinante dell’opinione pubblica.
Si mise così in cantiere un secondo pacchetto di sanzioni, calcolando che in primavera la stagione delle piogge avrebbe impantanato le forze italiane e la guerra sarebbe durata almeno due anni. Al centro delle nuove misure c’era l’embargo petrolifero, approvato dal gabinetto britannico il 26 febbraio 1936. L’applicazione fu peraltro procrastinata per consentire nuovi negoziati con Roma, e nel frattempo la resistenza etiopica crollò. Il 5 maggio Badoglio entrò in Addis Abeba, il 9 Mussolini proclamò l’Impero e il 7 luglio le sanzioni furono revocate. «Sanctions – commentò Churchill il 26 giugno 1936 – have been dropped with a dull thud. An inglorious chapter in British foreign policy has closed».
L’incidenza delle sanzioni sulla bilancia commerciale italiana
Il 17 gennaio 1935 il senatore Paolo Ignazio Maria Thaon di Revel (1888-1971), nipote del Grande Ammiraglio, aveva sostituito al ministero delle finanze12 l’imprenditore Guido Jung (1876-1949), fondatore dell’IRI. La congiuntura economica presentava un elevato indice di disoccupazione, una bilancia commerciale e dei pagamenti in deficit e lo spettro di una spirale inflazionistica prodotta dall’imminente guerra contro l’Etiopia. Già strutturalmente debole, l’Italia era da sei anni coinvolta nella grande depressione e penalizzata dal protezionismo americano, dalla svalutazione della sterlina e dalla scelta di restare nel blocco aureo, mantenendo una parità di cambio che sopravvalutava la lira rallentando l’ammodernamento e l’espansione industriale13. Benché il raccolto del frumento fosse stato eccezionale nel 1933 e normale nel 1934, il forte ribasso internazionale del grano aveva imposto misure di sostegno dei prezzi interni (aumento dei dazi doganali e potenziamento degli ammassi). Il carico tributario nominale e soprattutto reale era perciò aumentato, mentre restavano notevoli differenze fra gli indici dei prezzi dei prodotti agricoli e quelli dei prodotti industriali acqui-
11 Winston Churchill, The Gathering Storm, cap. 10 «Sanctions against Italy» [Houghton Mifflin, Boston, 1986, pp. 148-168]. 12 Che aveva le stesse competenze dell’attuale Ministro dell’economia e delle finanze. 13 Paolo Baffi, Studi sulla moneta, Giuffrè, Milano, 1965, p. 226.
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stati dagli agricoltori14. La crisi del sistema produttivo limitava le risorse finanziarie, ma al tempo stesso incentivava, pur se in modo frammentario e non sempre coordinato, l’intervento pubblico nell’economia e l’incremento della spesa pubblica sul PIL. La stessa decisione di «conquistare» l’Etiopia fu del resto determinata dal tipico calcolo imperialista di dare lavoro alla mano d’opera eccedente e trovare materie prime per l’industria.
Entrate in vigore il 18 novembre, sulle prime le sanzioni ebbero scarso effetto, perché già all’inizio dell’anno la stretta autarchica rispetto alla importazione di materie prime aveva spinto tutti i settori industriali ad accaparrarsi ingenti scorte di materie prime, provocando peraltro fortissimi rialzi dei prezzi (in marzo lo stagno era quasi raddoppiato)15. Raffrontando i dati relativi agli otto mesi di applicazione delle sanzioni col periodo corrispondente del 1934-35 (v. tab. 1), emerge però un calo del 22% delle importazioni. Ciò dipese solo in minima parte dall’embargo, sufficientemente compensato dal maggior interscambio coi neutrali (Germania, Giappone, Brasile, Svizzera e Stati Uniti) e coi membri della SdN dissenzienti o trasgressori16. La riduzione fu invece determinata dalla limitazione dei consumi, dalle controsanzioni italiane per riequilibrare la bilancia dei pagamenti17 e dalla priorità data all’approvvigionamento delle industrie strategiche. Il problema non era dunque la carenza di beni, ma come pagarli. Infatti il boicottaggio delle merci italiane e le difficoltà ed
14 Epicarmo Corbino, L’economia italiana dal 1860 al 1960, Zanichelli, Bologna, 1962, p. 271. 15 Toniolo, L’economia dell’Italia fascista, pp. 280-281; Guarnieri, op. cit., I, pp. 345-349.
Inoltre, una volta consumate le scorte, si rischiava di dover proseguire a lavoro ridotto o sospendere l’attività [Felice Guarneri, Battaglie economiche tra le due guerre, Garzanti,
Milano, 1953, II, pp. 64-65]. 16 Non solo Austria, Ungheria e Albania, ma pure alcuni Paesi che avevano votato le sanzioni fornirono all’Italia prodotti strategici. Già l’11 ottobre, mentre il Comitato dei Diciotto approntava le sanzioni, le miniere inglesi inviavano offerte di carbone alle ferrovie italiane a prezzi e condizioni di pagamento di favore. Poco più tardi Renault e Citroen offrivano autocarri consentendo lunghe dilazioni di pagamento. Un’industria francese forniva perfino, attraverso una triangolazione con la Svizzera, motori per aerei e lanciabombe [F. Guarneri, op. cit., I, p. 390. Howard Jack Taubenfeld, Economic sanctions. An appraisal an case study, Columbia U. P., 1958. Shepard B. Clough, Storia dell’economia italiana dal 1861 ad oggi, Cappelli, Firenze, 1971, p. 39]. 17 Le importazioni dai paesi sanzionisti furono più che dimezzate sospendendo gli accordi commerciali e sottoponendole a controlli e licenze. Guarneri, op. cit., p. 24.
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i costi degli spostamenti di mercato, ridussero le esportazioni del 35%, aggravando il passivo della bilancia dei pagamenti e limitando fortemente l’acquisizione di valuta estera18 .
Tab. 1 - Commercio estero italiano 1934-1936 (milioni di lire)
(periodi novembregiugno)
Importazioni Esportazioni Saldo 1934/35 1935/36 1934/35 1935/36 1934/35 1935/36
Materie prime Semilavorati prodotti finiti alimentari 2.514.6 1.266.0 1.116.7 815.6 1.828,5 1.214.3 911.5 507.7
469.0 767.4 1.157.5 1.058.1 282.9 484.8 591.2 856.8 -2045.6 -498.6 +40.8 +242.5
-1.545.6 -729.5 -320.3 +351.1 totale 5.712.9 4.460.0 3.452.0 2.215.7 -2.260.9 -2.244.3
Fonte: L’industria dell’Italia Fascista, Roma, 1939, p. 106.
La sospensione delle transazioni finanziarie con l’Italia, soprattutto sulla piazza di Londra, il maggior polo finanziario dell’epoca, fece emergere la debolezza della bilancia commerciale nazionale, perennemente in deficit e, quindi dipendente da finanziamenti internazionali per importare materie prime essenziali. Due settimane dopo l’inizio delle sanzioni, la stessa Germania sospese la fornitura di carbone finché l’Istituto nazionale per i cambi non fece una congrua rimessa di valuta estera alla Reichsbank, in un momento in cui il clearing19 italo-tedesco presentava un debito italiano di circa 300 milioni di lire20 .
Felice Guarnieri il «dittatore delle valute»
Per coordinare le contromisure commerciali e valutarie21, nel maggio 1935 fu creata la Sovrintendenza agli scambi e valute, elevata nel gennaio 1936 a sottosegretariato delle Finanze e nel 1938 a dicastero autonomo22. Il nuovo organo fu creato e diretto fino al 1939 dal cremonese Felice
18 Relazione annuale della Banca d’Italia, anno 1936, p. 22. 19 Accordo bilaterale per compensare debiti e crediti derivanti dallo scambio di merci, attraverso un conto tenuto dai rispettivi istituti di compensazione. 20 F. Guarneri, op. cit., p. 393. 21 F. Guarneri, op. cit., I, p. 21. 22 Istituito con RD 29 dicembre 1935, n. 2186, fu organizzato con RD 27 gennaio 1936 n. 71
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Guarneri (1882-1956), un tecnico di scuola liberale di grande spessore, già segretario generale dell’Assonime (Associazione Nazionale delle Società per Azioni), che nel 1931 aveva guidato una delegazione confindustriale in Unione Sovietica, e che Mussolini finì per chiamare «il dittatore delle valute»23. L’accentramento del governo delle riserve auree e valutarie e della regolazione degli scambi e dei pagamenti, fu imposto anche dal crescente protezionismo dei partner commerciali (aumento dei dazi, permessi di importazioni e di esportazioni, contingentamenti, monopoli e clearing pubblici e privati). Ovviamente la riforma era coerente con una linea di politica economica che affiancava la pianificazione autarchica del commercio estero e dell’industria bellica attraverso le partecipazioni statali. I responsabili di questa politica, tutti tecnici non politici, rispondevano direttamente al duce, consolidando il processo di accentramento, depoliticizzazione e tecnicizzazione della macchina statale.
Quali effetti avrebbe avuto l’embargo petrolifero contro l’Italia?
Il giudizio di Eden che il fallimento della SdN dipese da una applicazione tardiva e parziale delle sanzioni all’Italia, è ormai accettato come verità storica. Secondo i calcoli econometrici di Cristiano Ristuccia24 le scorte industriali di carbone erano sufficienti per un anno, ma quelle di oli minerali si sarebbero esaurite in quattro mesi (tab. 2), e quindi una sospensione completa delle importazioni di petrolio avrebbe portato in sei o sette mesi alla paralisi produttiva.
unificando la soprintendenza con alcuni servizi dei Ministeri delle Finanze (dazi doganali, rapporti finanziari con l’estero, contenzioso valutario) e delle Corporazioni e dell’Istituto per l’esportazione. Articolato su 3 direzioni generali (Affari generali, Scambi e Valute) con 14 divisioni, con RDL 23 aprile 1936 n. 656 il sottosegretariato assorbì pure gli Uffici geografici d’informazioni, l’Ufficio dogane, l’Ufficio speciale dei permessi e nulla osta d’esportazione dell’Istituto nazionale fascista per il commercio estero e il Servizio sovraintendenza dell’Istituto nazionale per i cambi con l’estero. Con RD 20 novembre 1937, n. 1928 il sottosegretariato fu elevato a ministero e organizzato con RD 14 marzo, n. 643 e 2 aprile 1938, n. 269 su 4 DG (aggiungendo la DG per i Servizi delle importazioni). 23 Luciano Zani, Fascismo, autarchia, commercio estero. Felice Guarneri un tecnocrate al servizio dello «Stato nuovo», Il Mulino, Bologna, 1988. 24 Cristiano Andrea Ristuccia, «1935 Sanctions Against Italy: Would Coal and Crude Oil
Have Made a Difference?», Oxford, Linacre College, European Rewiew of Economic History, 2000, No. 1.
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Tab. 2 - Produzione italiana e importazione di carbone e olio minerale greggio (migliaia di tonnellate) Anno Carbone coke Olio minerale greggio Prod. % Import. % totale Prod. % Imp. % totale
1934
1935
1936 783
989
1.576 6,2 6,8 15,3 11.781
13.536
8.720 93,8 93,2 84,7 12.564
14.525
10.296 20
16
16 12,4 6,8 5,1 143
220
301 87,6 93,2 94,9 163
236
317
Fonte: Ristuccia, op. cit., p. 10
Alla diversa entità delle scorte delle due fonti energetiche bisogna inoltre sommare la loro diversa incidenza nel sistema produttivo: il carbone era infatti impiegato prevalentemente in settori industriali o dei trasporti suscettibili di forti economie (tab. 3), mentre ciò non era possibile per il petrolio.
Tab. 3 - Utilizzo del carbone nell’industria nazionale - 1937 Sottoclasse % Sottoclasse % Trasporti e comunicazioni Vetro e materiali non metallici Metallurgia Tessile Prodotti Chimici Alimentari 29.56 17.87 11.51 11.35 7.65 5.57 Produz. e distr. energia elettrica Macchinari Altre industrie Industrie della carta Altri 3.16 3.10 1.91 1.84 7.48 -
Fonte: elaborazione dati Istituto Centrale di Statistica. Bollettini di vari anni
E’ comunque opportuno ricordare che, per essere precisi, bisognerebbe includere nel conto il petrolio albanese, che in forza del protettorato italiano restava comunque disponibile. Inoltre la dipendenza della produzione industriale dal petrolio, pur incisiva sull’operatività delle forze navali25 e
25 Già nell’ottobre 1935, l’ammiraglio Cavagnari, sottosegretario e capo di S. M. della Regia Marina, segnalava che, ipotizzando un (peraltro assai improbabile) impiego continuativo di tutta la flotta, le scorte sarebbero bastate per appena due mesi (Robert Mallett, The Italian navy and the fascist expansionism, 1935-1940, Frank Cass, 1998, p. 81, n. 9). Del resto la dipendenza italiana dal petrolio non impedì poi le operazioni aeree e navali nella
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aeree, non implicava certo la paralisi delle operazioni in corso. Il tasso di motorizzazione delle forze in Africa Orientale era infatti relativamente basso, tanto che il loro consumo petrolifero mensile era di 20/30 mila t a fronte di 7/800 mila t di scorte.
La tesi che biasima la titubanza anglo-francese e il cinismo americano sull’embargo petrolifero all’Italia, non tiene poi conto della legge di neutralità approvata dal Congresso il 31 agosto 1935 proprio per impedire a Roosevelt di comminare embarghi selettivi né della struttura privatistica e multinazionale del mercato degli oli minerali che consentiva di aggirare qualsiasi restrizione, incluso il blocco delle petroliere con bandiera nazionale26. La logica del profitto era tale che perfino durante la seconda guerra mondiale l’Italia continuò a ricevere petrolio sufficiente per continuare la produzione, sia pure con difficoltà ed a ritmo ridotto.
In realtà l’unico deterrente efficace all’aggressione italiana sarebbe stata la chiusura preventiva del Canale di Suez. Malgrado il bluff della Home Fleet, il governo britannico non la prese in considerazione, non tanto per tema di una reazione militare dell’Italia, ma soprattutto per non spingerla a coalizzarsi con la Germania. A ciò furono però sufficienti le pur moderate sanzioni, non solo perché produssero in Italia un soprassalto d’orgoglio nazionale rafforzando il consenso al regime fascista27, ma soprattutto perché accelerarono, fino a renderla irreversibile, la svolta autarchica della politica economica italiana.
All’opposto della globalizzazione, l’autarchia consiste nel ridurre il più possibile la dipendenza economica nazionale dagli scambi con l’estero, incentivando la produzione interna almeno nei settori vitali. Da Colbert a Napoleone, dagli Imperi Centrali all’Asse, dall’Urss alla Cina comunista, l’autarchia è stata la risposta tipica delle potenze continentali che si sento-
guerra 1940-43 (Ringrazio il dott. Fabio De Ninno per suo il contributo su questo punto). 26 G. Bruce Strang, «A sad commentary on world ethics’: Italy and the United States during the Ethiopian crisis», in Id.(Ed.), Collisions of Empires, cit. 27 Ancora nel dopoguerra restò lunga memoria dell’«oro alla patria» (il dono delle fedi nuziali nella «giornata della fede» del 18 dicembre 1935), delle lapidi affisse in molti comuni a «perenne infamia» delle «inique sanzioni» e ancora di recente ha avuto successo la riedizione di Pippo Franco della famosa filastrocca «sanzionami questo, Albione rapace».
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no in stato di dipendenza, di blocco o perfino di assedio nei confronti delle potenze commerciali e marittime e che cercano perciò, anche con l’imperialismo e il militarismo, di conquistare uno «spazio vitale», mai però sufficientemente adeguato ai crescenti bisogni sociali e tanto più insicuro e meno redditizio quanto più esteso nello spazio e nella durata.
Certo il maggior rendimento si ottiene con la divisione internazionale del lavoro, basata sulla specializzazione produttiva e l’interscambio28. Ma alla crisi della prima globalizzazione contemporanea (1870-1914) seguirono trent’anni di guerra economica e valutaria, di depressione, protezionismo e autarchia sfociati fatalmente nella seconda guerra mondiale29. E’ in questo contesto che vanno interpretate la chimerica conquista italiana del «posto al sole» e la svolta autarchica, accelerata ma non determinata unicamente dalle sanzioni. Nel discorso del 23 marzo 1936 all’assemblea delle corporazioni Mussolini fissò l’obiettivo di «realizzare nel più breve tempo possibile il massimo possibile di autonomia nella vita economica della nazione, soprattutto nel settore delle difesa». Sia per garantire il massimo possibile di flessibilità in politica estera, sia per preparare la nazione al conflitto ritenuto «ineluttabile»30. Sostenuta da una martellante propaganda, la ricerca dell’autosufficienza si tradusse in definitiva nel passaggio all’economia di guerra, accentuando il controllo burocratico dell’economia31 e la politica degli ammassi agricoli. Dal 1934 al 1939 il reddito nazionale aumentò di un quinto e l’indice della produzione manifatturiera da 80 a 109. Inoltre, per la prima volta la quota dell’industria nella forma-
28 Ciascuno si dedica alle produzioni in cui eccelle e che gli vengono richieste dal mercato e si procura a sua volta il necessario sul mercato. Peraltro in pratica ciò produce spesso un dumping sociale a livello planetario, protezionismo agricolo e commerciale, delocalizzazione e speculazione finanziaria. C. Napoleoni, Elementi di economia politica, La nuova
Italia, Scandicci, p. 307. 29 La speranza di ristabilire il Gold standard e la pace doganale svanì presto di fronte alla questione insolubile dei debiti e delle riparazioni di guerra seguita dal crollo di Wall Street e dalla Grande Depressione. Anche Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, per non parlare di Unione Sovietica e Germania, adottarono un esasperato protezionismo. Dazi proibitivi, preferenziali, antidumping; contingentamenti; manovre monetarie, controlli valutari e consimili bardature economiche, sovvertirono profondamente i rapporti di scambio e di pagamenti internazionali e spinsero le nazioni a chiudersi sempre più in se stesse, verso forme di economia autarchiche. [F. Guarneri, op. cit., II, p. 36]. 30 F. Guarneri, op. cit., II, p. 1. 31 Corrado Scibilia, L’Olimpiade Economica. Storia del Comitato Nazionale per l’indipendenza economica (1936-37), FrancoAngeli, Milano, 2015.
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zione del prodotto lordo superò quella dell’agricoltura.
Il successo era però solo apparente. L’economia nazionale restava infatti ben lungi dagli standard dei paesi industrializzati, perché la difesa autarchica della produzione nazionale presentava enormi dispendi ed elevati costi di produzione che mettevano il sistema in perenne squilibrio. L’apparente tenuta poggiava su un insieme di fattori che fornivano un sostegno artificiale al mercato interno, dove gli alti costi di produzione producevano un livello dei prezzi altrettanto alto. Il costo del lavoro era molto basso e a esso si affiancava un processo di frammentazione del mercato attraverso intese fra produttori costituiti in consorzi. Contemporaneamente si assisteva ad un’alta concentrazione di aziende industriali intorno a nuclei oligopolisti che ruotavano attorno a pochissimi personaggi (Agnelli, Cini, Volpi, Pirelli, Donegani, Falk).
Nel medio termine l’autarchia impedisce infatti al sistema produttivo di beneficiare dei progressi tecnico-scientifici collettivi, riduce inevitabilmente il tenore di vita di buona parte della popolazione; limita talune correnti di traffico e sposta una parte dei consumi; alloca notevoli risorse finanziarie sulla ricerca di materiali autarchici, con perdite di capitale in caso di fallimento e perdite ancora maggiori in caso di riuscita, perché tutti i surrogati sono più costosi e qualitativamente inferiori rispetto ai prodotti originali. Per di più la sopravvivenza delle imprese nate in regime autarchico necessita di costanti sovvenzioni pubbliche32 .
E oggi?
Mutuato dallo Statuto delle Nazioni Unite, lo strumento delle sanzioni collettive è stato a lungo paralizzato dal sistema decisionale del Consiglio di Sicurezza che prevede l’unanimità dei membri permanenti. Durante la guerra fredda solo Rhodesia e Sudafrica sono stati sanzionati dalle N. U. e dal 1988 a oggi vi sono stati solo altri 16 casi di sanzioni internazionali. In compenso, a partire dalle sanzioni del 1938 contro il Messico, gli Stati Uniti hanno irrogato sanzioni unilaterali in oltre 120 casi, mentre i loro alleati li hanno sempre appoggiati nell’embargo sui trasferimenti di tecnologie «a doppio uso» militare e civile al Blocco comunista e agli «stati canaglia». L’efficacia delle sanzioni (e più in generale della guerra eco-
32 G. Federico (cur.), Il dizionario del fascismo, cit, v. «Autarchia», I.
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nomica) è controversa. Generalmente si osserva che penalizzano solo la popolazione e non il sistema di potere; che favoriscono reazioni patriottiche, offrendo un comodo capro espiatorio per l’erronea politica economica dei governi; che raramente producono i desiderati mutamenti di comportamento e/o di regime; che sono aggirabili attraverso triangolazioni internazionali, alimentando e incentivando così la criminalità organizzata; che spingono i paesi sanzionati o minacciati a coalizzarsi in blocchi geopolitici antagonisti.
Quel che è certo, però, è che il rodato sistema sanzionatorio americano consente il ricorso alla guerra economica in un’economia globalizzata che tende alla completa eliminazione delle tariffe. Senza contare che i complessi risvolti legali del sistema non ammettono neutralità da parte degli alleati, danneggiati non solo da costi maggiori (senza che ne sia prevista la ripartizione) ma anche dalla perdita permanente di quote di mercato a favore degli Stati Uniti. Basti pensare che le sanzioni euro-americane attualmente in vigore colpiscono un terzo dell’economia mondiale e hanno consentito ai tribunali americani di infliggere multe esemplari a qualche colosso industriale e bancario europeo.
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