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di A. Roberta La Fortezza “
L’embargo del 1973
l’oro nero che divenne arma, l’arma che amplificò la sconfitta
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di A. Roberta La Fortezza
Il 6 ottobre 1973, giorno dello Yom Kippur ebraico, gli eserciti siriano ed egiziano diedero il via all’operazione Badr1, colpendo simultaneamente i territori conquistati da Israele nel precedente conflitto, quello del 1967, nel Golan e nel Sinai. La nuova guerra che si imponeva a Israele era una guerra su due fronti: a nord saranno i siriani ad attaccare tenendo così impegnate le forze aeree e gran parte delle riserve israeliane mentre gli egiziani, a sud, attraverseranno il canale di Suez con l’obiettivo di arrivare al Sinai2. Nelle prime 72 ore gli arabi ebbero uno slancio militare
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1 Nome in codice dell’operazione siro-egiziana contro il Golan e il Sinai, Badr ricorda la primas vittoria di Maometto nel 624. Sulla guerra dello Yom Kippur v., tra gli altri, Benny
Morris, Vittime, BUR Rizzoli, Milano, 2010; Mohamed Abdel Ghani El-Gamasy, The October War: Memories of field Marshal el-Gamasy of Egypt, American University, Cairo, 1993; Gad Ya’Acobi, Sul filo del rasoio, Idanim, Tel Aviv, 1989; Michael Brecher e Benjamin Geist, Decisions in Crisis: Israel, 1967 and 1973, University of California Press,
Berkeley, 1990; Hassan El Badri, The Ramadan War, 1973, Fairfax, Va, T. N. Dupuy Associates Books, 1979; Ahron Bregman Israel’s Wars: A History Since 1947, Routledge,
Londra, 2002; Trevor Nevitt Dupuy, Elusive victory: The Arab-Israeli Wars, 1947–1974,
Harper & Row, San Francisco, 1978; George Gawrich, The Albatross of Decisive Victory:
War and Policy Between Egypt and Israel in the 1967 and 1973 Arab-Israeli Wars, Greenwood Publishing Group, 2000; Chaim Herzog, The War of Atonement: The Inside Story of the Yom Kippur War, Greenhill Books, Londra 2003; Herzog Chaim, the Arab-Israeli
Wars, Random House, 1982; Edgar O’Balance, No Victor, No Vanquished: the Yom Kippur War, Presidio Press, novembre 1996; Abraham Rabinovich, The Yom Kippur War: The
Epic Encounter That Transformed the Middle East, Schocken Books, New York, 2005. V. documenti online sul sito della Jewish Virtual Library – A project of AICE nella sezione
«guerra dello Yom Kippur». 2 Sulle operazioni militari v., tra gli altri, Simon Dunstan, Centurion Vs T-55: Yom Kippur War 1973, Osprey, 2009; P. R. Kumaraswamy, Revisiting the Yom Kippur War, Routledge; Simon Dunstan, The Yom Kippur War 1973 (2): The Sinai, Osprey Publishing; Otto Hans-Dieter, Gli errori militari che hanno cambiato la storia, Newton Compton Editori, Roma, 2014
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tale che, per la prima volta dal 1948, Israele sembrò essere realmente in pericolo. Il 13 ottobre il Primo Ministro israeliano, Golda Meir, scriveva al presidente Nixon che il suo paese era sull’orlo del collasso e a corto di armamenti; dalle sue parole trapelava chiaramente la possibilità, rebus sic stantibus, di trovarsi davanti ad una clamorosa vittoria araba3. Ma già il 10 ottobre, di fatto, le Forze di difesa Israeliane (IDF) avevano cominciato a reagire, spezzando la resistenza siriana sul fronte settentrionale. Gli israeliani, ripresisi dallo shock e dall’iniziale «atmosfera apocalittica»4, recuperarono nel giro di pochi giorni tenacia, forza e capacità di resistenza, morale e militare. Virtù, queste, che vennero rinvigorite quando Nixon autorizzò l’Operazione Nickel Grass5: un ponte aereo per consegnare armi e rifornimenti all’alleato oltreoceano. Il 14 ottobre, il primo aereo militare da trasporto c5-Galaxy con gli aiuti americani volava nei cieli di Israele. A quel punto gli israeliani ritrovarono definitivamente la fiducia di poter concludere con successo questa nuova guerra, cosa che effettivamente avvenne il 25 ottobre6 .
Se sulle linee del fronte in quei 19 giorni di guerra si scontrarono le armi classiche della tradizione bellica contemporanea, fu al di fuori dei confini puramente geografici del campo di battaglia che si ebbe la vera novità nel sistema d’armamento arabo il quale si arricchì di una nuova e pericolosa arma: il petrolio. Fu proprio l’uso dell’oro nero come arma a supportare l’idea che alla guerra sul terreno, quella combattuta sulle alture del Golan e nel Sinai, si affiancasse un’altra guerra, diversa ma parallela, avente medesime finalità politiche ma differenti modalità: la guerra eco-
3 La notizia è così riportata in Leonardo Maugeri, l’era del petrolio, Feltrinelli Editore, Milano, 2006, p. 134 4 Otto Hans-Dieter, op. cit., p.212 5 v. Chris J. Krisinger, Operation Nickel Grass - Airlift in Support of National Policy, Aerospace Power Journal, 1989. 6 Un primo cessate il fuoco entrerà in vigore alle 18.52 del 22 ottobre secondo i termini della
Risoluzione n. 338 del Consiglio di Sicurezza delle N. U.. Fin da subito non sarà rispettato da entrambe le parti. Il giorno successivo il Consiglio di Sicurezza dovrà approvare una seconda risoluzione, la n. 339, per ribadire i termini del cessate il fuoco. Le ostilità cesseranno soltanto il 25 ottobre.
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nomica7. Un concetto dalle dimensioni multiple8, quello della guerra economica, che ha giocato un ruolo fondamentale nel caso della guerra del 1973, tingendosi di una chiara finalità politica. Il ricorso all’embargo, ai tagli alla produzione e alle variazioni nel prezzo del petrolio furono alcune delle armi strategiche9 scelte deliberatamente nell’arsenale a disposizione degli Stati arabi. Tramite queste armi i paesi arabi intensificarono prima e continuarono poi la propria guerra volta non tanto ad annientare Israele quanto, in una prospettiva più realistica, a raggiungere l’obiettivo politico di isolare Israele creando una frattura tra Tel-Aviv e il suo principale alleato, l’America, nonché i vari alleati europei.
La guerra economica era stata preparata, escogitata e concepita esattamente come una guerra militare; ed anzi la sua definizione si affiancò nei due anni precedenti al conflitto alla predisposizione dei piani militari. Mentre lo Stato Maggiore egiziano e il Generale Mohamed Abdel Ghani el-Gamasy preparavano la campagna militare su due fronti, alla fine dell’agosto 1973, il presidente egiziano Sadat si recava, inaspettatamente, in Araba Saudita per incontrare re Faysal. L’obiettivo di Sadat non era tanto
7 Sul concetto di guerra economica v., tra gli altri, David Allen Balwin, Economic Statecraft,
Princeton U. P., Princeton, 1985; Henry Bienen (Ed.), Power, Economics and Security,
Boulder Co., San Francisco, Westview, 1992; Richard N. Haas, Economic sanction and
American Diplomacy, Council on Foreign Relations, New York, 1998; Guex Sebastien et Jakob Tanner (Hsg.), Kriegswirtschaft und Wirtschaftskriege. Économie de la guerre et guerres économiques, Schweizerisches Jahrbuch für Wirtschafts-und Sozialgeschichte
Annuaire suisse d’histoire économique et sociale (vormals Schweizerische Gesellschaft für Wirtschafts-und Sozialgeschichte – Société suisse d’histoire économique et sociale),
Band 23, 2008, pp. 87-98; Daniel Thomson Jack., Studies in Economic Warfare, London,
P. S. King and Son, 1940.; Paul Enzig, Economic Warfare, New York, Macmillan, 1940;
Tor Egil Førland, «Economic Warfare and Strategic Goods: A Conceptual Framework for
Analyzing COCOM», Journal of Peace Research 28 (1991), No. 2, pp. 191-204; Benjamin Harrison Williams Economic warfare and economic intelligence, Volume 15, ICAF, 1954. Williams è inoltre autore del capitolo «V. Economic Warfare. Nature and History» in Harold J. Clem, United States Foreign Economic Policy, Volume 12, ICAF, 1965, pp. 67 ss; Neil H. Alford, Modern Economic Warfare: (law and the Naval Participant), U.S. Government Printing Office, 1967; R.T. Naylor, Economic Warfare: Sanctions, Embargo
Busting, and Their Human Cost, UPNE, 1999, Northeastern U. P., 2001; James R. Norman, The Oil Card: Global Economic Warfare in the 21st Century, Trine Day, 2008 8 Carlo Jean, Manuale di Studi Strategici, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 235 9 Robert P. O’Quinn, a user’s guide to economic sanctions, The Heritage Foundation, Washington D.C., n. 1126, 1997
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quello di informare il re saudita dei piani di guerra segreti contro Israele quanto piuttosto quello di assicurarsi l’aiuto e la collaborazione dei sauditi, tramite una gestione ben precisa dell’arma petrolifera, nel caso in cui l’Egitto avesse attaccato Israele.
Nella strategia di guerra del presidente Sadat, infatti, l’embargo petrolifero avrebbe rappresentato l’elemento cruciale, l’asso nella manica, nella guerra che si stava preparando ai danni di Israele. Il presidente egiziano era fermamente convinto che soltanto impugnando l’arma del petrolio, i paesi arabi sarebbero riusciti a convincere gli Stati Uniti a restare fuori dal conflitto, lasciando così il loro alleato israeliano alla mercé dell’azione militare araba. Ma Sadat sapeva anche quanto il re saudita fosse poco propenso, dopo la disastrosa esperienza del 1967, ad utilizzare l’arma del petrolio. I fatti del giugno 1967 avevano dimostrato la pericolosità di una simile arma che se mal gestita e mal utilizzata, avrebbe potuto causare più danni che vantaggi. In quel giugno del 1967 i ministri del petrolio dei paesi arabi avevano utilizzato per la prima volta la nuova arma del petrolio decretando un embargo sul greggio verso i paesi accusati di aiutare e sostenere Israele. Benché la produzione araba complessiva risultò ridotta del 60%, il mondo industriale superò in brevissimo tempo e con grande disinvoltura questo primo impiego dell’arma del petrolio10 .
In poche settimane i paesi sotto embargo, Stati Uniti e Gran Bretagna in primis, erano di nuovo forniti di petrolio, dimostrando l’inutilità di un gesto che aveva avuto come unico risultato quello di privare i paesi produttori arabi dalle vitali entrate derivanti dall’estrazione e dalla vendita del greggio. Non solo, dunque, l’arma del petrolio si era dimostrata inefficace contro quei paesi che seguivano una politica filo-israeliana, ma aveva provocato un danno enorme alle economie dei paesi arabi, nuocendo a loro molto più che a Israele o ai suoi sponsor. Eppure, nonostante i chiari segnali dell’ambiguità e della pericolosità dell’arma petrolifera, i paesi arabi, soprattutto dopo la catastrofica e umiliante sconfitta del 1967, avevano preso coscienza della loro assoluta inferiorità militare rispetto al nemico;
10 Del resto nel 1967 Libia e Iran avevano continuato a vendere il petrolio senza alcune restrizioni e il Venezuela, addirittura, aveva aumentato in quei mesi la produzione del greggio. Di fatto l’embargo fu un fallimento anche per le differenti scelte fatte dagli stessi paesi arabi.
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di conseguenza, la maggior parte dei leader politici cominciò a credere nella possibilità, all’apparenza più realistica, di sconfiggere Israele tramite sistemi di guerra economica piuttosto che con i tradizionali mezzi militari. Di questo parere era sicuramente l’allora consigliere petrolifero del colonnello libico Gheddafi, Abdullah al-Turayqi (1919-97)11, il quale fu tra i primi a intuire «quanto potesse essere utile il petrolio al fine di ridisegnare la geopolitica del Medio Oriente»12. Alcuni mesi dopo la guerra del giugno 1967 al-Turayqi aveva pubblicato un saggio nel quale definiva il petrolio «un’arma nella battaglia»13 .
L’esperto di questioni petrolifere riteneva, infatti, che ciascun paese fosse libero di scegliere i mezzi più adeguati per esercitare pressione sui suoi nemici: armi e mezzi andavano ponderati cioè in base alle caratteristiche proprie di ciascun sistema paese. Agli occhi di al-Turayqi i paesi arabi possedevano «una delle più potenti armi economiche»14 che si potessero impiegare contro il nemico: essi disponevano, infatti, del 58,5% delle risorse petrolifere mondiali conosciute. Il mondo occidentale, per l’altro, si trovava in una chiara condizione di dipendenza in materia di approvvigionamento nei confronti dei paesi arabi produttori di petrolio. La logica seguita dal consigliere per le questioni petrolifere era chiara quanto elementare: «per quale ragione gli arabi devono continuare a rifornire l’Occidente mentre Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Italia e Olanda aiutano il loro nemico Israele? […]»15 .
Il fallimento del 1967 aveva condizionato, per certi versi, pure Washington: l’amministrazione USA non credette mai fino in fondo alle minacce del mondo arabo, che si susseguivano almeno dal 1972. Il presidente Nixon e il suo Segretario, Kissinger, le ritenevano mera propaganda, convinti che gli stati arabi fossero ben consapevoli che il petrolio era un’«arma a
11 La formazione e la carriera di al-Turayqi sono ampiamente trattate in Eugene Rogan, Gli arabi, Bompiani, Milano, 2012, cap. 12 12 Rogan, op. cit., p. 505 13 La definizione del petrolio come «un’arma nella battaglia» si ritrovava nel titolo stesso della pubblicazione: Al-Bitrul al-‘Arabi: Silah fi-l-ma’raka cioè il petrolio arabo: un’arma nella battaglia; v. Abdullah al-Turayqi, Al-Bitrul al-‘Arabi: Silah fi-l-ma’raka, PLO
Research Center, Beirut, 1967 14 Rogan, op. cit., p. 505 15 Riportato in Rogan, op. cit., p. 505
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doppio taglio»16 e che un embargo sarebbe stato un boomerang sulle loro deboli economie.
L’occasione del 1973, però, appariva molto diversa da quella del 1967. Nel 1950, il petrolio copriva circa il 29% del consumo mondiale di energia; alla vigilia della guerra dello Yom Kippur sfiorava il 65%17. Col passare del tempo apparve chiaro che le potenze mondiali erano sempre più dipendenti dall’oro nero. Il tentativo del 1967 aveva fallito per varie ragione tra le quali, forse la principale, era proprio stata la soltanto parziale dipendenza dei Paesi Occidentali dal petrolio.
Nel 1973 l’indipendenza aveva abbandonato i livelli della parzialità per diventare pressoché assoluta. Parallelamente a questo movimento della curva di dipendenza dei paesi industrializzati dal petrolio, vi era stato un altro fondamentale cambiamento riguardante questa volta il mondo arabo. L’Arabia Saudita aveva rimpiazzato il Texas come produttore di compensazione18, quello cioè che poteva compensare eventuali spostamenti della curva di domanda del petrolio semplicemente aumentando o diminuendo la propria produzione e dunque la propria offerta di greggio sul mercato. Nel 1973 gli Stati Uniti importavano dai paesi arabi il 28%, il Giappone il 44% e i paesi europei dal 70 al 75% del loro fabbisogno nazionale di petrolio19. Dal combinato disposto di questi due dati emerge chiaramente un elemento inconfutabile: i Paesi industrializzati dell’Occidente dipendevano ormai dal petrolio mediorientale e ciò implicava una loro pressoché totale vulnerabilità circa l’approvvigionamento e l’importazione del greggio. Sadat coglierà questi cambiamenti e capirà di poter sfruttare proprio «i pieni e i vuoti»20 generati dalla dipendenza mondiale dal petrolio. Sarà dunque
16 «Il Petrolio Arma a doppio taglio» è il titolo di un articolo di Massimo Riva comparso sul
Corriere della Sera l’8 ottobre del 1973 17 È possibile trovare una serie di dati storici in riferimento all’andamento della produzione, dei prezzi e dei consumi del petrolio su James D. Hamilton, Historical oil Shocks, University of California, 2010, online; Morris Albert Adelman, the World Petroleum Market,
Johns Hopkins U. P., Baltimore, 1972 18 Rogan, op. cit., p. 511 19 El-Rayyes, Ryad Najib e Nahas Dunia, the october War: Documents, Personalities, analyses and Maps, An-Nahar, Beirut, 1973, p. 63; Rogan, op. cit., p. 511 20 Il riferimento è a Sun Tzu (l’arte della guerra, Newton Compton, Roma, 2010, cap. VI –
Il vuoto e il pieno).
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proprio Sadat a spingere affinché i Paesi arabi, abbandonato ogni timore, riprendano in mano quella forza politica, geo-economica e geostrategica data dalla propria ricchezza petrolifera. Quello stesso oro nero che per anni aveva imprigionato i paesi arabi nelle maglie di un neo-colonialismo energetico, ora dava loro una nuova e potente arma da utilizzare non solo con fini politici ma anche e soprattutto militari21. Oltre all’isolamento politico di Israele, avrebbe costretto gli Stati Uniti a interrompere il sostegno militare, riequilibrando il rapporto di forze arabo-israeliano.
Vincendo lo scetticismo, Re Faysal si fece infine convincere della potenza dell’arma petrolifera e finì per acconsentire alle richieste di Sadat: avrebbe utilizzato le proprie risorse petrolifere in modo efficace nel caso in cui l’Egitto avesse attaccato Israele22. Così quando il 6 ottobre scattò l’offensiva militare si mise in moto anche la macchina della guerra economica. Nelle stesse ore i cui le forze siro-egiziane attaccavano Israele, i membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC)23, il cartello nato nel tumultuoso processo di decolonizzazione, erano impegnati a Vienna in un nuovo negoziato con le compagnie petrolifere. I vertici
21 Carlo Jean distingue tra guerre economiche con finalità politiche e guerre economiche con finalità militari. Le prime avrebbero l’obiettivo di influire sul comportamento di un altro
Stato; le seconde mirerebbero ad incidere sulle capacità belliche dell’avversario (Manuale di studi strategici, cit., p. 235 – 236). 22 Secondo Yergin, il re impose però una condizione: che la guerra non finisse in 6 giorni come nel 1967, senza dare tempo all’embargo di produrre effetti. più lunga delle precedenti.
«Non vogliamo usare il nostro petrolio in una battaglia che duri due o tre giorni e poi fermarci. Vogliamo una guerra che duri il tempo necessario per mobilitare l’opinione pubblica mondiale», Daniel Yergin, The Prize: The Epic Quest for Oil, Money, and Power, Simon & Schuster, New York, 1991, p. 597. 23 L’OPEC venne fondata il 14 settembre del 1960 durante la Conferenza di Baghdad su iniziativa del Venezuela. I membri originari furono 5: Venezuela, Iran, Iraq, Kuwait e Arabia
Saudita. Oggi l’OPEC conta 12 paesi: oltre ai 5 membri fondatori, Libia, Qatar, Emirati
Arabi Uniti, Indonesia, Nigeria ed Equador. La ragione della nascita dell’OPEC deve ritrovarsi nella difficile gestione dei rapporti tra i Paesi produttori di petrolio e le Sette Sorelle. Creando un’organizzazione di paesi esportatori, questi ultimi speravano di resistere alle pressioni da parte delle compagnie petrolifere occidentali. Inizialmente gli obiettivi dell’OPEC furono principalmente di tipo economico: i paesi esportatori speravano di guadagnare quote maggiori sui guadagni relativi alla produzione e alla vendita del petrolio.
Nei primi anni Settanta, tuttavia, l’OPEC ha cominciato ad esercitare un ruolo sempre più politico; emblematiche le decisioni politiche prese nel 1973 nei confronti degli sponsor di
Israele.
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OPEC erano giunti a Vienna con l’obiettivo di ottenere un aumento del 100% del prezzo ufficiale del petrolio (da tre a sei dollari). Il sistema dei rapporti vigenti tra i paesi produttori e le compagnie petrolifere straniere, le Sette Sorelle come Enrico Mattei le aveva ribattezzate24, seguiva la regola del fifty-fifty per la distribuzione degli utili calcolato, ovviamente, sui prezzi di vendita. Un aumento del prezzo di vendita, dunque, avrebbe di conseguenza comportato un incremento degli introiti dei paesi produttori. A Vienna le compagnie petrolifere si limitarono ad offrire un aumento del 45% contro il 100% richiesto dai paesi OPEC.
Il 14 ottobre, diffusasi la notizia relativa ai rifornimenti statunitensi di armi e materiale bellico agli israeliani, gli Stati arabi interruppero le trattative di Vienna: ma a questo punto i vertici OPEC avevano ben compreso le nuove possibilità che si stavano aprendo davanti a loro grazie al nuovo conflitto arabo-israeliano e al suo indissolubile legame con la questione petrolifera. Il 16 ottobre una delegazione dell’OPEC si riunì a Kuwait City decidendo unilateralmente di aumentare il prezzo ufficiale del petrolio del 70%, portandolo da 2,90 a 5,11 dollari al barile, allineandosi così al prezzo del mercato libero. Si trattò di una «presa di posizione storica»25 poiché per la prima volta erano i soli paesi produttori a prendere, senza neanche consultare le compagnie petrolifere, una decisione relativa al petrolio: «Ora siamo finalmente padroni del nostro prodotto» dichiarò in quell’occasione il ministro del petrolio saudita Ahmed Yamani. Il giorno successivo, il 17 ottobre, i ministri del Petrolio di quei paesi appartenenti all’OAPEC26 , organizzazione parallela all’OPEC composta esclusivamente dai produttori arabi di petrolio, concordarono un taglio immediato della produzione pari al 5% calcolato sui dati della produzione del settembre precedente, cui avrebbero fatto seguito altri tagli mensili di uguale entità qualora e fintantoché Israele non si fosse ritirato dai territori occupati nel 1967. Nel comunicato finale i paesi OAPEC precisavano, inoltre, che vi sarebbe stata
24 La locuzione Sette Sorelle venne coniata da Enrico Mattei per indicare le compagnie petrolifere mondiali che, sotto la forma di un cartello, dominavano il mercato petrolifero nel secondo dopoguerra. 25 la crisi del 1973 – Parte i su cronache dal Novecento Blog, 20 gennaio 2009 26 L’OAPEC, Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio, è un’organizzazione con sede in Kuwait, nata in seno all’OPEC per coordinare le politiche petrolifere dei paesi arabi membri dell’OPEC
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una differenziazione nelle forniture di petrolio in base alla posizione dei vari paesi consumatori rispetto al conflitto arabo-israeliano. In sostanza, le decisioni relative ad una riduzione degli approvvigionamenti di petrolio previste dall’OAPEC avrebbero colpito esclusivamente gli Stati “amici” di Israele. Una clausola segreta, infine, stabiliva che «gli USA venissero sottoposti ai tagli più consistenti»27; del resto erano proprio gli USA il più importane alleato di Israele. Le decisioni del 16 e del 17 ottobre e più in generale l’atteggiamento minaccioso dei paesi arabi non intimorirono il presidente Nixon che anzi continuò ostinatamente a seguire la stessa linea politica filo-israeliana: il 19 ottobre il Presidente chiese al Congresso statunitense uno stanziamento di 2,2 miliardi di dollari di aiuti di emergenza a favore di Israele, compresi 1,5 miliardi di dollari di contributi a fondo perduto28 .
La reazione araba fu immediata: lo stesso giorno, proprio in risposta al piano di aiuti militari a favore di Israele, l’Arabia Saudita e la Libia proclamarono l’embargo totale verso gli Stati Uniti. Di lì a pochi giorni altri paesi arabi seguirono l’esempio saudita e libico. L’embargo venne poi allargato a Canada, Giappone, Paesi Bassi e Regno Unito. Nel conflitto entrò così, in gioco, inaspettatamente, l’arma del petrolio, con conseguenze che andarono ben oltre le sorti di quella guerra iniziata il 6 ottobre. La guerra dello Yom Kippur durò solo 19 giorni; quella petrolifera sei mesi e lasciò un marchio indelebile sull’economia mondiale. L’embargo fu, infatti, mantenuto in vigore fino al 18 marzo del 1974 quando gli arabi, accontentandosi di una promessa israeliana relativa ai territori del Sinai29 , decisero di cancellare l’embargo. Molto più probabilmente il prezzo di queste autoimposte limitazioni nell’esportazione del petrolio cominciava a sostituire ai motivi della guerra quelli della pace30 .
27 la crisi del 1973 – Parte ii su cronache dal Novecento Blog, 9 febbraio 2009 28 Edmund Ghareeb, the US arms Supply to israel During the War, Institute for Palestine
Studies, vol. 3, n. 2, 1973 - 1974 29 Il 18 gennaio 1974 il segretario di Stato Kissinger negoziò il ritiro delle truppe israeliane da parte della penisola del Sinai, promettendo una soluzione anche per la questione delle alture del Golan che toccava in particolare i rapporti siro-israeliani La promessa di una soluzione negoziale tra Israele e la Siria fu sufficiente a convincere i produttori di petrolio arabi a togliere l’embargo. 30 «Due cose si sostituiscono, nella realtà, come motivi di pace, alla impossibilità di conti-
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Secondo molti31 l’embargo del 1973, sebbene venga ricordato come meno fallimentare di quello del 1967, ebbe un successo soltanto apparente raggiungendo solo in parte gli obiettivi economici prefissati e non raggiugendo affatto quelli politici. Gli americani pagarono indubbiamente il prezzo dei razionamenti e i paesi arabi si arricchirono con gli aumenti vertiginosi del prezzo del petrolio. Tuttavia l’aumento del prezzo del petrolio32 generò una spirale inflazionistica che produsse un aumento drammatico del prezzo di molti altri prodotti, aumento che finì per incidere anche sulle deboli economie arabe in un momento in cui lo sforzo bellico richiedeva sempre maggiori fondi. Ma ancora più importante, l’embargo non riuscì a raggiungere quello che era il suo principale obiettivo politico: gli Stati Uniti non si allontanarono mai da Israele e di conseguenza Israele non rimase isolato, continuava anzi a ricevere aiuti dall’alleato oltreoceano.
Nel lungo termine si può dire che l’embargo abbia finito per cementare, anziché far crollare, l’alleanza tra gli Stati Uniti e Israele. A prescindere dai risultati politici e militari concreti, tuttavia, la realtà dell’embargo del 1973 e le conseguenze economiche (shock petrolifero33) che tale embargo ebbe nel contesto di un sistema economico già surriscaldatosi negli anni precedenti34, palesò al mondo quello che apparve come un nuovo dogma di
nuare la resistenza; la prima è l’improbabilità del successo, la seconda, l’eccessivo prezzo che dovrebbe esser pagato per conseguirlo», Clausewitz, Della guerra, Oscar Mondadori,
Milano, 2009, p. 44 31 John Quiggin, Embargoes: an effective political Weapon?, The National Interest, 16 marzo 2014 32 Entro la fine dell’embargo nel marzo del 1974 il prezzo del petrolio passò da 3 dollari al barile a 12 dollari. Il balzo dei prezzi petroliferi alla fine del 1973 ebbe il ruolo di acceleratore e diffusore dell’inflazione già messa in moto dalla rapida espansione simultanea di tutti i maggiori paesi industrializzati nel 1972. 33 Si fa riferimento alle conseguenze sull’economia reale di una variazione brutale dell’offerta del petrolio dovuta a un aumento dei prezzi, un aumento dei consumi e/o una riduzione della produzione. 34 In realtà l’embargo del 1973 aggraverà ma non creerà la crisi petrolifera mondiale dovuta al raggiungimento dei picchi mondiali di produzione petrolifera pro capite. Le dimensioni dell’embargo infatti furono in realtà molto contenute. Nonostante ciò, esso finì comunque per avere un effetto diretto sull’economia reale più ampio delle aspettativa poiché si mise in moto il meccanismo dell’irrazionalità nelle scelte di consumatori e di governi. L’impatto psicologico dell’embargo fu tale che i vari governi furono spinti a tagliare i consumi di
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politica estera: la dipendenza e la conseguente vulnerabilità di un modello di sviluppo industriale che basava la propria produzione su una materia prima quasi interamene importata e estratta, per di più, in paesi che si erano dimostrati spesso ostili. Il mondo industriale si accorgeva nell’ottobre del 1973 di quanto fosse ormai diventato eccessivamente dipendente da un gruppo di paesi quali era stata lasciata, quasi senza precauzioni, un’arma che si sarebbe potuta rivelare micidiale. Fu proprio tale constatazione a spingere le amministrazioni dei paesi industrializzati, e soprattutto degli USA, a varare nuovi piani energetici con l’obiettivo di allentare quel pericoloso cordone che legava l’Occidente ai paesi arabi. Proprio seguendo questo dogma gli Stati Uniti avrebbero raggiunto nei decenni successivi la quasi completa autosufficienza energetica35 .
Il fatto che i paesi arabi non raggiunsero l’obiettivo politico sperato tuttavia, non significa che le decisioni arabe del 1973 non abbiano avuto conseguenze politiche e geopolitiche, come del resto ogni altra guerra mi-
petrolio oltre le reali necessità dovute all’embargo. Le lunghe file di auto in attesa davanti alle stazioni di servizio statunitensi rimaste a corto di carburante; i programmi di austerity adottati in Europa e in Giappone, non fecero che creare fenomeni di panico diffusi che finirono per scalfire la fiducia occidentale in un futuro di crescita economica alimentando sentimenti di ostilità nei confronti di quei paesi colpevoli di aver attuato l’embargo. 35 Il processo di raggiungimento dell’indipendenza energetica si mise in moto proprio nel 1973 ma si sviluppò negli anni successivi con una serie di istituti e di nuove amministrazioni aventi l’obiettivo di garantire nuove fonti. Il 7 novembre del 1973, Nixon lanciò il
Project Independence con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza energetica entro il 1980 mediante un mix di risparmio (Energy conservation con limite di velocità sulle autostrade a 89 km/h, conversione degli impianti petroliferi in carboniferi, completamento del gasdotto Trans-Alaska) e di sviluppo di energie alternative e del nucleare. Nel 1974 il processo continuò con la creazione, in ottobre, dell’Amministrazione ricerca e sviluppo energetico con l’obiettivo di rispondere alla crescente esigenza della nazione di ottenere nuove fonti di energia. La nuova Agenzia avrebbe dovuto coordinare tutti i programmi relativi all’energia, precedentemente divisi tra varie agenzie federali. La riorganizzazione e la ricerca di soluzioni alternative che rendessero gli Stati Uniti meno dipendenti dal petrolio e dunque dalle decisioni politiche dei paesi produttori, continuò anche con le successive presidenze. Oggi gli Stati Uniti hanno sostanzialmente raggiunto una completa autonomia nella produzione di fonti energetiche. In relazione alle politiche volte a raggiungere l’indipendenza energetica v., tra gli altri, Alice Buck, A History of the Energy Research and
Development Administration, U.S. Department of Energy, Marzo 1982; Robert Bamberger, The Strategic Petroleum Reserve: History, Perspectives and Issues, CRS Report for
Congress, 3 aprile 2006; Strategic Petroleum Reserve Plan, Office of Petroleum Reserves,
U.S. Department of Energy, giugno 2007
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Economic WarfarE - L’arma Economica in tEmpo di pacE
litare. Da un lato, l’embargo, mostrando agli Stati Uniti la loro dipendenza dal Medio Oriente, ha comportato una variazione nella strategia politica e militare della superpotenza nel contesto mediorientale generando molte delle linee statunitensi di politica estera seguite negli anni successivi: «The oil crisis set off an upheaval in global politics and the world economy. It also challenged America’s position in the world, polarized its politics at home and shook the country’s confidence»36 .
Dall’altro, se delle conseguenze politico-relazionali vi furono, infatti, non si trattò di un allontanamento tra gli USA e Israele quanto piuttosto di una nuova ridefinizione dei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa. La vera vittima della crisi del 1973 fu infatti l’Europa, dipendente quasi totalmente, dalle esportazioni di greggio mediorientali. Mentre gli USA continuarono comunque per tutta la crisi a ricevere segretamente petrolio saudita, nel resto dell’Occidente l’embargo provocò una recessione e una conseguente stagflazione che spinse Giappone e alleati europei a dissociarsi dalla politica mediorientale degli USA. Così la guerra economica che si combatté nel 1973, ebbe come principale conseguenza politica la ridefinizione degli equilibri nell’Atlantico: l’America ne uscì rinforzata; l’Europa, invece, uscì come la vera sconfitta, colpita profondamente dall’embargo e dalle restrizioni arabe. In una già difficile gestione dei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico nel precario contesto della guerra fredda, gli eventi del 1973 e la scarsa considerazione americana nei confronti della maggiore vulnerabilità europea sul fronte energetico, determinò una definitiva frattura nei rapporti USA-Europa.
La crisi del 1973 è istruttiva sull’interconnessione tra fattori economici e politico-militari. La crescente globalizzazione esaltò il potenziale del boicottaggio petrolifero da parte dei paesi produttori. Obiettivi strategici che in passato avrebbero richiesto necessariamente un intervento militare sembravano ora attingibili «by other means» presi in prestito dalla prassi economica37. Sembrò possibile concepire una guerra economica in tempo di pace, un modo di combattere di per sé; almeno teoricamente alternativo
36 Daniel Yergin, «Why OPEC No Longer Calls the Shots», Wall Street Journal, 14 ottobre 2013 37 «La forza si arma delle invenzioni delle arti e delle scienze per misurarsi contro la forza»,
Clausewitz, op. cit., p. 19 – 20
L’embargo deL 1973 343
all’uso della forza armata, in grado da solo di conseguire lo scopo politico della guerra38 .
La potenza dell’arma economica equivale per intensità e conseguenze a quella della forza armata: l’economia può essere un’importante arma dell’arsenale politico ma come per altre armi strategiche dagli effetti spesso incontrollabili caratterizzati dallo sviluppo di un meccanismo di moltiplicazione delle conseguenze nefaste, ogni decisione deve ricevere il massimo grado di meditazione e ponderazione da parte degli organi politici atti a prendere tali decisioni.
Nella pagina seguente: Datsun saves about a gallon of gasoline a day. Pubblicità della casa automobilistica giapponese Datsun per la Datsun Sunny, poi Nissan Sunny, molto popolare negli Stati Uniti. L’embargo fu un potente incentivo al risparmio energetico.
38 «La guerra è dunque un atto di forza che ha per iscopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà», Clausewitz, op. cit., p. 19
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