CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
' UNIVERSITA E ISTITUTI MILITARI LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE
ATTI
Torino, 27-28-29 Novembre 1996
Il Convegno Nazionale di Studi promosso
dali 'Ispettorato delle Scuole d eli 'Esercito si è svolto a Torino presso
la Scuola di Applicazione il 27-28-29 Novembre 1996
Direttore responsabile: Giovanni Cerbo ©
1997
Proprietà letteraria anìstica e scientifica riservata
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CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
' UNIVERSITA E ISTITUTI MILITARI LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE
ATTI
Torino, 27-28-29 Novembre 1996
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APERT.URA DEL CONVEGNO utorità, Signore e Signori. Sono particolarmente onorato, n el rivolgere a tutti vo i il mio cord ial e e grato saluto per quanto avete [atto e farete per il successo di questo convegno, oserei dire unico nel suo genere. Un vivissimo, grato sentimento di riconoscen za va al Capo di Stato Maggiore dell'E sercito, che con la sua presenza per l'intera durata dei nostri lavori, non solo conferisce particolare r ilievo all'avvenimento, ma con ferma quanta attenzione egli abbia voluto r iservare a questo nostro incontro per i possibili futuri sviluppi. Il mio riconoscente pensiero va anche a tutti i relatori per il loro prezioso contributo culturale. Un particolare ringraziamento rivolgo ai moderatori Prof. Del Negr o e Gen . Buscemi, al Prof. Bravo, preside della facoltà di scienze politiche, ai Professori Bonana te e Antoniotto che ci illu s treranno quello che c'è di nuovo nei
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rispettivi settori di competenza che possa rives ti re un effettivo interesse per le Forze Armate. Un grazie sincero al magnifico rettore, Prof. Bertolino, ch e seppure appena insediato ed alle prese con le incombenze del suo oneroso mandato, ha assicurato la sua presenza ed ha acco lto con entusiasmo e squ is ita sensibilità la partecipazione dell'Università alle nostre attività. Un plauso infine al padrone di casa, Generale Orofino, ed ai suoi collaboratori che, n onostante i loro pressanti impegni, hanno accolto, con vivo entusiasmo, l'invito ad organizzare il convegno. Perché è nato questo convegno e cosa si prefigge? In una società dinamica, come quella in cui viviamo, il mondo militare ha bisogno, forse più di altri , di an alizzarsi e quindi di adeguarsi continu ame n te alle nuove realtà culturali, sociali e politiche del mondo contemporaneo. Questa esigenza è divenu-
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ta vieppiù pressante dopo i in possesso di p1u a mpi a recenti avvenimenti interna- preparazione tecnico-profeszionali e le d ecisioni politi- sionale di quanto avveniva che di ris trutturazione globa- in passato. È, quindi, indilazionabil e le che tanto ci riguardano e e necessaria, oltre che opporci coinvolgono. Ma di queste cose parle- tuna, una radicale revisio ne remo nel prosieguo del con- dell'attuale iter degli s tudi. vegno. Tal e adeguamento non È certo, comunque, che può prescindere da un'attenda alcu ne riflessioni fatte e ta revis ione dei programmi sollecitazioni ricevute siamo di formazione di tutti gli Ufstati indotti a c hied erci: è ficiali, dai gradi più bassi, l'Ufficiale italiano pronto e in c he non potranno limitars i grado di affrontare le sfide ad una mera esecuzione di del presente e di fTonteggiarc ordini ma che dovrann o i nterpretare il proprio ruolo le possibili emergenze? L'obiettivo, ormai conso- con una più attiva c responlidato e irrinunciabile, di sabile partecipazione, a i fuavere Ufficiali laureati, per turi dirigenti, consapevoli di ripristinare una «gerarchia dover dirigere esecutori procultura le», per costituire un fessionalmente più prepararichiamo utilitaristico, per ti, disponendo di risorse offrire anc he una p ossi bi - sempre più conten ut e, in lità di reinserimento in caso ambienti tecnologicamente di abba ndono forzato, at- più sofisticati. traverso il co n seguimen to Nella continua ricerca di di una laurea civile, ci ha un miglioramento volto a imposto un riadeguamento rendere più aderente a tali nel ca mpo della formazione esigenze l'iter formativo, lo tecnico-professionale e del- Stato Maggiore dell'Esercila pratica di quelle materie to, l'Ispettorato delle Scuole specifiche deJla funzione e gli stessi Istituti di formamilitare. z ione hanno avv i ato un L'attuale iter formati vo . complesso ciclo di stud i c he prese nta quindi talune ca- tie ne in debito conto anche renze che è necessario co l- le es perienze di altr i Paes i mare, dopo la laurea, presso a ll eati cd amici e di ciò che i reparti d'impiego che de- avviene nelle altre strutture vono assumere pertanto an- educative del Paese, non che la funzione di enti adde- trascUJ-ando anche le possistrativi. b ili evoluzioni legate a ll a Ma se ciò era possibile in multimedialità e a ll 'insegnapassato, quando la pratica s i mento a dis tanza. inseriva su una teoria matu Nella consapevolezza che rata nel corso del ciclo for- nessun a organizzazione può mativo, appare oggi di pro- effi cacemente r innova rsi se blematica attuazio ne, tanto non dispone di un adeguato più che i giovani subaltern i livello dir-igenziale, abbiamo si troveranno ad operare inteso estendet-e la discussiocon Sottufficiali e volontari ne i n questa sede a tu LLO il
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processo formativo dell'Ufficiale, dalla sua nascita professionale a M odena, a lla· sua più compiuta espressione presso l'I stitut o Stati Maggiori Interforze e il Centro Alti Studi per la Difesa, anche se l'analisi si accentrerà esse n zia lm ente sulla prima fase: Accadem i a e Scuola di Applicazione. Ciò non solo perché Scuole di formazione di base, ma soprattutto perché stre ttamente collegate con le città di Modena e Torino. I n sostanza il programma del convegno prevede, in strett a si ntesi , il seguente sviluppo: • nel primo giorno, t'analisi dei rapporti storici esistenti tra l'università e le Forze Armate; • nel secondo, le esigenze di ordine formativo dell'Esercito e le possibili rispos te da parte del le Università; • nel terzo giorno, le conclusioni che saranno tratte dal Capo di Stato Maggiore. I n quest'ultimo giorno avrem o l'onore e il piacere di ascoltare anche gli interventi di autorevo li ss imi esponenti del mondo ecclesiastico, politico e dell'in formazione che daranno u lteriore lustro alla cerimonia di in augu razione dell'anno accad emico della Scuola di Applicazione. Graz ie per l'attenzione e, con il permesso del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, invito il Professore Pi ero De l Negro a dare inizio ai lavori. Gen . C.A. Roberto Altina
·Prima sessione - - - - - - - - - - - , Moderatore: Prof. Piero Del Negro
CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
UNIVERSITÀ E ISTITUTI MILITARI
Università e Forze Armate italiane .
(secoli XVIII -XX)
Pro[: Fabio Degli Esposti.
GLI STABILIMENTI MILITARI DI TORINO ' NELL'ETA DELLA RESTAURAZIONE E DEL RISORGIMENTO he r a ppo rto esis te fra università e is tituzio ni militari durante la Restaurazione ed il Risorgimento? Questa comunjcazio ne sugli s ta bilimenti mili tari sardi no n risponde in modo diretto a ques ta d o ma nda . Si tra tla in fa tti dell a sintesi di una ricerca compiuta sug li aspe tti econo mi ci e tecno logic i della vita degli a rsena li piemo ntesi,
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da .cui però si possono prendere le mosse per a pprofond ire a lcuni aspetti del rapporto. Su questi aspetti cerch erò di soffermarmi nell a parte finale di questo in tervento. Per il mom ento basterà ricordare c h e la s to ri a degl i arse na li rappresenta uno degli aspetti da indagare dei legami Cra industl"ia belJi ca, ricerca scientifi ca e sv ilupp o eco n o mi co .
Rapporti che sono sta ti s tu diati, per il caso italiano, sopra llullo per il periodo postunita ri o. Ma, pur nella modestia dello sviluppo industri a le del nostro Paese nei decenni a cava ll o dell'Unità, ess i sono già comunque esistenti . in questi anni. È in questa prospettiva che ho cercato di stud iare gli stabi lime nti militari dell'arca torinese. Nella pt·i ma parte d ell'Ottoce nto era n o attivi a Torino i seguen ti impia nti: le Offi c in e di Costruzione o O ff ic ine di Maestranza, (po i divenute l'Arsenale di Costruzione), la Fabbrica Polveri e Raffineria Nitri, la Fabbrica d'At·mi, il Laboratodo Bombardieri, la Fondet·ia e Trapano e il Laboratorio Chimi co-Meta llurg ico. Di questi s i sono presi in consideraz ione le Offici ne di Costruz ione, la Fonderia e la Fabbrica d'Armi. Le Officine di Costruzione, ospitate nel palazzo dell'Arsenale e poi, a partire dal 1854, nella zona di B.go Dora, sede fino a ll'incidente del 1852 della Po lverie ra, si occupavano della costruzione e riparazione d el ma teria le d'artiglieria: a ffu sti di ogni tipo, retTotren i ed avantreni per l'artiglieria da campagna, carriaggi vari, fucine da campo. La Fonderia, origina ri amente dislocata nella Piazzetta Rea le, durante la R estaurazione funzionava presso l'Arsenal e e si dedicava alla produzione di pezzi di artiglieria in bronzo e di parti c congegni j n bronzo e g hisa necessari a i lavori delle varie
Direzio ni d 'Artig li eria. Infine la Fabbrica d 'Armi. S i Lrallava di un nu c leo produllivo che, pur esiste ndo fin d a l Seicento, alla Res ta urazione poteva essere cons ideralo per molti aspetti nuovo, essendo stato completamente riorgan izzato nel periodo dell'amministrazione francese. Il nucleo principale era localizzato ne ll a regione di Valdocco, a nor-d -ovest d el centro urba no d ell'epoca, mentre alcune fasi de lla produzione, c he in epoca francese si svolgevano nell'ex convento di S. Maria Maddalena, in via di P.ta Nuova, vennero concentrate a partire dagli anni Venti in alcuni locali dell'Arsenale. La localizzazione degli stabilimenti dipendeva in primo luogo dalla disponibilità di risorse e nergetiche . Mo lte macc hine potevano benissimo essere azionate a braccia, ma quelle più grandi dovevano essere mosse da una forz;a più potente e continua, e a ll o stesso tempo economica: l'acqua, in so mma. I principali opifici militari dell'area to rinese erano posti lungo i canali che attraversavano o la mbiva n o il nucleo urbano, a l imentati dalle acque della Dora Riparia. Per la vita economica di Torino il sistema idrico più importante era quello ol"iginato dal ripartitore del Ma rtine tto (zona di P arella, fu o ri P.ta Susa), t·eali zza to fra il 1763 ed il 1769 dall'in geg ne r Domenico M ic he lotti. Era d a qui che partiva il canale principale, quello detto «del Martinetto» o «della Pe ll cri -
na ». Uscito dal la Dora, esso si divideva d opo un breve percorso in du e rami: qu ello eli destra, de llo ca na le di Torino, entrava nel cen tro della città, dividendosi a sua volla in diversi rami, uno dci quali alimentava le officine poste nell'edificio dell'Arsenale; il ramo principale, quello di sinistra, co n servava il no m e di Martin et to, ed attraversava prima la zona di Va ldocco, 'dove si trovava la Fabbrica d'Armi, e s u ccess ivam e nte quella di B.go Dora, dove era situata la R. Polveriera c Fabbrica Nitri. Anche quando a lcuni opifici cominciarono, dopo la prima guerra d'indipendenza, a fare uso di macchine a vapore, l'importa nza d e ll e ri so r se idri c he per il buon andamento delle lavorazioni rimase fondamentale. Negli stabilimenti lavoravano tanto operai militari, inquadrati nelle diverse compagnie di maestranza del Corpo R eale d'Artigliet·ia, quanto operai borghesi. È difficile dare una valutazione sull'entità della forza lavoro. La fonte p iC1 utile, a ques to proposito, è rappresentata dal Regolame11to per gli operai dei laboratori ed officine m.ilitari emanato i l 23 marzo 1844.. Fino a quel momento le diverse direzioni avevano goduto di una certa libertà nel fissare le paghe dei lavoranti , servendosenc pe r mantenere al proprio servizio g li indi vi dui più capaci. Con il Regolamento il quadro numerico degli operai assegnati, nei tempi ord inari, alle diverse officine
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veniva fissato in 662 elemen ti. La giornata di lavoro, scandita dal sorgere e dal calare del sole, variava fra le otto ore dei mesi invernali e le dodici dei mesi eslivj, con una durata media, nel corso dell'anno, di dieci ore. Il Regolamento s tabiliva anche l'ammontare delle paghe. Gli operai militari percepivano compensi assai più bassi rispetto a quelli borghesi - anche perché essi disponevano già del vitto, deJl'alloggjo e di un proprio soldo - e questo spiega la scelta d i impiegare di preferenza gli operai militari. Per quanto riguarda le paghe degli operai ci vi h , l'i mpressione è che esse fossero mediamente più e levate d i quelle pagate presso l'industria privata, ma esse erano fissate una volta per tutte, indipendentemente dalle condizioni del mercato di lavoro. Nei momenti di grave necessità -esempi numerosi esistono in proposito per il periodo 1859-'60 - gli stabilimenti militari fecero fatica ad assicurarsi gli operai specializzati da impiegare nell'esecuzione delle commesse urgenti. Di estremo interesse, per-· ché senza riscontri nel panorama dell'industria privata, sono le norma li ve relative agli infortuni ed alla giubilazione dei lavoratori. In caso di infortunio avve nuto su l lavoro gli operai estern i avrebbero ricevuto per un periodo massimo di tre mesi un sussidio pari a lla metà della paga giorna liera. Nel caso di assoluta inabilità al lavoro, per infortunio o decadenza fisica, gli operai avrebbero ricevuto un sussid io annuo qualora avessero oltre 15 anni d i servizio o, in 12
caso diverso, una somma versata in un'unica soluzione. Per coloro che potevano vantare un servizio di 30 o più anni era possibile ottenere, se inabili o ormai anziani, la giubilazione, così calcolata: considerata la paga media giornaliera degli ultimi due anni di servizio, essa sarebbe stata conteggiata per 300 giornate lavorative. Un opera io del le Offic ine di Maestranza o della Fabbrica d'armi avrebbe avuto diritto ad un assegno annuo pari acl un quarto della somma così calcolata e della metà se fosse stato impiegato presso la Fonderia o a ltri stabil imenti come la Polveriera o il Laboratorio Bombardieri. Passiamo ora a prendere
vorazioni eseguite, esse non si staccassero in misura evidente - se non per dimensioni _.!... dalle falegnamerie ed officine meccaniche presenti in città. Forse anche per questo le Officine di Maestranza hanno ricevuto da parte degli studiosi minor attenzione rispetto ad altri stabilimenti, ad esempio la Fonderia, pure di dimension·i assai più ridotte. Passando alla Fonderia ricorderemo che, fino alla Restaurazione, l'attività produttiva non era gestita direttamente dal personal~ d'artiglieria, bensì da un capo fonditore borghese, secondo un sistema ad impresa. Il Governo concedeva l'uso della fonderia e delle macchine, e forniva le ma-
brevemente in considerazione
terie prime necessarie. A cari-
l'organizzazione produttiva. Le Officine di Maestranza impiegavano oltre 200 operai [,-a mi litari e borghesi. Il cuore delle officine era costituito da una grande ruota idraulica in ferro progettata dal D i Sambuy nel 1833 e realizzata dalla compagnia di maestranza nel 1836. Essa serviva a mettere in moto le diverse macchine che operavano nello stabi limento: la sega a più lame, la sega circolare, due torni per la lavorazione del [erro, due per quella del legno, un trapano ed altre macchine minori. È interessante osservare che d iverse di queste macchine erano basate su progetti inglesi, riportati da Ufficiali piemontesi a conclusione di loro missioni a ll'estero. -rimpressione che si ricava da una r-apida analis i delle dotazioni di strumenti e macchine a disposizione dello stabilimento è tuttavia che, per le la-
co e rischio del fonditore erano le spese derivanti dalla fusione, trapanatura e tornitura dei pezzi. Nella fonder ia dell'Arsena le si s uccedettero vere e proprie dinastie di fonditori; gli ultim i furono quelli della fam iglia B ianco, ancora attivi all'epoca della Restaurazione. Il ritorno dei Savoia coincise con un mutamento nel sistema di conduzione dello stabilimento, che venne gestito direttamente dal Corpo Reale d'Artiglieria, tanto per le questioni tecniche quanto perqu~lle economiche. Intorno al 1845 la Fonderia disponeva di tre forni a riverbero dotati di una capacità variabile Era le 2 e le 21 tonnellate. Accanto a questi forni principali ne esistevano alcunj altri per le fusioni minori. Gli a ltri reparti di lavorazione erano rappresentati dall'Officina dci formatori c modellatori, in cui venivano pre-
Il Palazzo dell'Arsenale (da una stampa del 1842, che riporta il progel t o del Capilano Devi11centi).
parate le forme ln terra per il getto delle artiglierie, e dall'Officina dei Lrapanatori c tornitori, che disponeva dì due trapani orizzontali alimentati con energia idrica e due torni sp inti a forza di braccia. Un'analisi dei costi di produzione mostra che essi dipendevano in misura preponderante dal prezzo delle materie prime, in particolare del rame· e dello stagno. Nel l 840 il direttore della Fonderia, il Maggiore Picco, calcolava c he la spesa per la realizzazione di un cannone derivasse per i quattro quinti da] prezzo del bronzo. Non sorprende dunque l'interesse c he, fin dagli anni Venti, i verlici dell'artiglieria piemontese mostrarono per la possibilità di sostituire l'assai più economica gh isa al bronzo nel gelto delle artiglierie, soprattutto di quelle di grosso calibro destinate alla difesa fissa. In campo navale, ad esempio, le artiglierie fuse in ghisa erano g_ià nettamente prevalenti. Il problema venne affrontato, nel 1825, da una commissione di Ufficiali, che, ritenendo opportuno il passaggio alle artiglierie in fe1Taccio, auspicava la creazione di una fonderia che svincolasse il Piemonte dalla dipendenza dall'estero. Un auspicio che rimase tale per oltre trent'anni. Parlare della sostituzione della ghisa al bronzo signi Eica parlare di un personaggio di grande rilievo come Giovanni Gavalli . Cavalli è a tutti noto per gli studi compiuti sulle bocche da fuoco r igate e sul-
l'adozione della retrocarica. Oggi vorrei tuttav ia proporre un'immagine diversa di questo personaggio: non solo un teorico o un tecnico, ma anche un «imprenditore», così convinto della bontà delle sue intuizioni da assumere spesso atteggiamenti assai poco diplomatici ne\ confronti dei superiori. Cavalli imprenditore, che fu a capo della Fonderia fra il 1850 ed il 1860, awiò la trasformazione di questo stabilimento da modesta officina ad impianto capace di prestazioni paragonabili a quelle dei maggiori opifici europei. Non ho ovviamente la possibilità di riassumere se non per sommi capi i temi trattati nel voluminoso carteggio fra Direzione della Fonderia e organi superiori. Basterà ricordare che nell'arco di dieci anni Cavalli presentò diversi progetti generali sulla rifonna
dello stabilimento, che doveva essere messo nelle condizioni di awiare una produzione su larga scal a di artig li er ie e proietti in ghisa. In queste mem01ie Cavalli considerava sia l'aspetto degli impianti - proponendo un rinnovamento totale tanto dei forni quanto delle macchine per la lavorazione delle fusioni - sia quello, per lui vitale, della formazione di una manodopera e di quadri tecnici preparati, sia, infine, sebbene le sue competenze esulassero da ciò, i mezzi finanziari necessari p er la riforma della Fonderia. A quest'ultimo ri guardo, ad esempio, si può ricordare la sua proposta, spregiudicata dal punto di vista della legalità nei confronti delle leggi di bilancio, di vendere la maggior parte delle artiglierie in bronzo e delle scorte di q uesto materiale e di
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impiegare i fondi così ricavati per il potenziamento dello s tabili mento. Per diversi anni, tuttavia, i suoi sforzi non approdarono a ris ul tati concreti. Le diverse commissioni riunite per esaminare i progetti di r iforma della Fonderia stabilirono che questo impianto sarebbe· stato il nucleo delle fut ure produzioni di artiglierie in ferraccio, ma ht solo nel 1857 che venne emanato u n primo provvedimento legislativo inteso a finanziare il potenziamento della Fonderia: si stabiliva un organico d i 64 elementi fra personale direttivo ed operai, 1itenuti sufficienti per una fabbricazione normale annuale di 12 artiglierie in bronzo, 36 in ferraccio, 140 tonnell ate di proietti, ed una quarantina di tonnellate di lavori in bronzo e ghisa. La Fonderia stava completando la propria trasformazione quando intervenne la seconda campagna d'indipendenza ed una congiuntura di attività eccezionale: nell'ottobre 1859 Cavalli ne riassumeva i risul tati in q uesti termini : 132 artiglierie in ghisa, 27 cannoni in bronzo da 8, molt{ dei quali rigati, e oltre 220 tonnellate d i proietti. Ai buoni risultati tecn ici, si aggiungevano quelli economici. La nuova Fonderia, costata appena 300 000 lire, dava già e avrebbe continuato a dare grossi vantaggi aJ l'e t~ario. Nei mes i successivi le necessità immediate della difesa del Paese avrebbero vinto tutte le perplessità ed i dubbi sull'opportun ità d i un ulteriore ingrandimento deiJa Fonderia, che, nonostante l'accresciuto
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ricorso alle formture estere ed i primi timidi tentativi di coin volgere d itte nazionali nelle formture dell'artiglieria, rimaneva il principale nucleo produttivo all'interno dei R. Stati. Verso la fine de] 1860 la Fonderia impiegava q u asi 300 operai, avviandosi a divenire uno stabilimento di grande rilevanza industriale. Nel Piemonte del Settecento esisteva già una manifattura per la produzione delle armi da fuoco portatili. Negli anni convulsi delle prime campagne napoleoniche in Italia e della provvisoria r iscossa a ustro-russa del 17991800 la fabbrica torinese era con ogni probabilità fortemente decaduta, e quindi il successivo intervento riorganizzatore fTancese può essere interpretato come una vera e propria fondazione. Dovendo provvedere all'armamento delle proprie truppe di stanza in Italia, il governo napoleonico incaricò alcuni dei suo i maggiori esperti in materia di studiare le risorse del territorio piemontese per la produzione di armamenti . Responsabile per la fabbricazione delle armi portatili Eu il Colonnello d'Artiglieria Herman Cotty. Elemento propulsore decisivo Eu l'arrivo a Torino dalla Francia di un buon nucleo di controllori e di operai specializzati, estremamente versati nei metodi produttivi allora praticati oltralpe. Attivata nel 1806, la fabbrica conseguì ottimi risultati : il gettito d'armi progredì costantemente, passando dai 6000 pezzi iniziali a 27 300 nel 1813. Con la caduta dell'Impero essa subì tu ttavia una pe-
sante intemJZione produttiva: abbandonand o Torino, i francesi condu ssero con sé no11 solo t utta la produzione realizzata fino a quel momento, ma anche gran parte delle attrezzature dello stabilimento. Non era tuttavia venuto meno il fattore più importante, la formazione di un buon nucleo di operai specializzati . I.:organizzazione produttiva si basava in pratica su un cottimo: il prezzo delle diverse parti di arma costruite nella manifattura era fissato da apposite tariffe compilate dagli organi direttivi dello stabilimento, ed era formato dal costo delle materie prime impiegate nelle lavorazioni sommato alla retribuzione stabilita per gli artefici per ogni singolo lavoro. Gli operai erano insomma impresari di se stessi, per cui erano i garanti migliori della propria solerzia e della precisione del proprio lavoro. Il restaurato Governo piemontese pose la fabbrica sotto il controllo della ricostituita Azienda di Artiglieria: ciò ebbe come prima conseguenza l'adozione dei suoi regolamenti economici. Gli approvvigionamenti di materie prime dovevano avvenire mediante pubblici incanti: variabile di scriminante diveniva in tal modo il prezzo, a scapito della bo'ntà del prodotto. Materie prime d i qualità scadente portavano a pessimi risultati produttivi, e quindi ad un indebitamento degli operai e alla paralisi produttiva. La soluzione adottata fu quella di un disimpegno dalla gestione dello stabilimento; nell'agosto 1822, un congresso d i Ufficiali d'Artiglieria sta-
bilì che le diverse parti delle armi da fuoco sarebbero state provvedute mediante imprese della durata di nove anni, mentre la connessione, composiziolle e finimento d e lle ormi s i sa reb bero svo lte ad econom ia. In pratica lo Stabilimento d i Valdocco veniva concesso gratuitamente agli impresari che fornivano agli operai le materie prime c ne ritiravano il lavoro, pagato secondo apposite tariffe. L'Azienda di Artig lieria conservava funzion i di controllo. Le im prese Funzionarono fino a l 1848. A partire dal 1843 esse venne1·o adclirittura riunite in un'unica impresa. Fu fra l'altro con questo sistema di gestione che le Forze Armate piemontesi avviarono il processo di completo rinnovamento dell'armamento leggero, con il passaggio delle armi da fuoco dal sistema a pietra focaia a quello a percussione. Ciò non vuoi dire che, soprattutto d alla direzione della fabbrica, mancassero critiche, talvolta assai aspre, al sistema ad impresa. Critiche tanto d i ordine tecnico_ quanto di ordine economico. Dal punto di vista tecnico s i esprimevano forti timori sulle condizioni in cui sarebbero stati restituiti alla fin e dell'impresa gli stabilimenti con le loro dotazioni di macchinario, dal momento che gli imprcndi tori si sarebbero guardati dall'effettuarvi spese ingenti difficilmente recuperabili. Ugualmente importante era Ja questione del personale: i lavoratori migliori, attivi ~pesso fin dall'epoca francese, erano morti o comunque molto invecchiati. Solo con il ri-
tomo ad una gestione direlta da parte del Corpo Reale d'ArLigl ieri a si sarebbe potuta attuare una progressiva riqualifi ca~ione del personale, riattivanc.lo il Laboratorio di precis ione, c ui i tecn ic i frnnces i avevano sempre dedicato grande attenzione in consider·azione del suo ruolo di scuola permanente teorico-pratica. Inoltre, secondo il Consigl io di amministrazione della Fabbrica, il sistema delle imprese mal si adattava alle condizioni economiche del Regno sa rdo. Un semplice parallelo con due Paesi come la Francia cd il Belgio bastava a chiarire meglio la situazione. In Belgio, dove la fabbrica governativa di Liegi era geslita da un impresario, le armi da fuoco rappresentavano un fi orente ramo del commercio d'esportazione. La produzione destinata al Governo era solo una parte modesta del totale, e lo Stato realizzava così grossi vantaggi dallo sfruttamento che ven iva fatto delle sue macchine. Gli stabiliment i francesi, c he lavoravano solo su commesse governative, adottavano il sistema dell'impresa unica solo per le fabbriche più lontane dalla capitale. Le cond izioni industriali del Paese erano inoltre tali da garantire che parecchie persone cercassero di aggiudicarsi l'appalto, realizzando una vera concorrenza. Ben diversa era la situazione piemontese, nella quale le imprese erano sempre state assunte da pochi individui, s pesso facenti parte di una stessa società. Ma solo nel luglio 1848, nel pieno della campagna contro
l'Austria, venne decisa la ripresa della gestione diretta a partire dall'inizio dell'anno successivo. A favore di questa decisione giocavano con ogni probabilità i forli ritardi accumLJiati dall'impresa ne ll'esecLJzione dei lavori. Da l 1849 la Fabbrica d'armi venne gestita direttamente da Ufficiali del Corpo d'Artiglieria. Si trattava di un esperimento stabilito su base annuale, ma che venne prorogato diverse volte. Sebbene la Direzione della Fabbrica d'armi ritenesse c he i ri·sultati tecnici cd economic i fossero estremamente lusinghieri, ancora nel 1851 s i osservava che le circostanze straordinarie in cui la Fabbrica si era trovata ad operare non avevano consentito eli elaborare un parallelo con la gestione ad impresa, c si proponeva una prosecuzione della gestione sperimentale. Fin qu i abbiamo tentato di tracciare un quadro dello sviluppo dei principali arsenali dell'area tori n es e. Questo non sarebbe tuttavia completo se non parlassimo brevemente anche dei viaggi compiuti a ll 'estero da Ufficiali piemontesi in caricati di studiare tutto quanto di nuovo si stava facendo ne i maggiori Paesi europei nel campo della produzione degli armamenti, e più in generale sull'evoluzione dei settori ad esso connessi - metallurgia, meccanica, chimica. Non si tratta di un argomento sconosciuto a Jla storiografia sull'industria degli Stati Sabaudi. Ad ess i ha, ad esempio, dedicato grande attenzione Mario Abrate. I casi più famosi e citati
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sono quelli di due Uffic ia li d'Artiglieria, Spirito Nicolis di Robilanl ( 1749-'52) e Carlo Antonio Napione ( 1787-'90) e quello dell'ingegnere delle miniere Pietro Motta (1829'34). Un viaggio fra l'allro ispirato da un a ltro Uffi ciale di Artiglieria, il Colonnello Carlo Sobrero, a ll 'epoca Ispettore de lle M i n iere. Vogliamo qui ricordare a ltre tre missioni. La prima vide protagon isti il Maggiore Omode i e il Capitano Di Sambu y, inv iati ne l 1828-'29 in Ing hilterra per l'acquisto di artiglierie di ferro. Fra le numerose memorie riportate a l termine della loro lunga miss ione la più interessante è senza dubbio quel la suJ le fonderie dì ferro in Gran Bretagna, i n eu i si cercava d i mettere in evidenza i fattori che avevano consentito il prodigioso aumento nella produzione della ghisa. Ben colto era ad esempio l'uso del coke che g ià nel 1796 aveva soppìantato comp letamente il carbone dì ]egna. Il nuovo s is tema stava conoscendo c resce nti success i anche in Ft"a nc ia, c questi dovevano rappresentare un o s ti molo all'inlensificazione delle ricerche anche su l suolo piemontese c a l mi glior s fruttamento dei g iac imenti della Savoia . I.:esito di questi tentativi poteva essere di grande im portanza per le esigenze ruture dì Esct·cìto c Marina, che attualmente dovevano invece scontare una pesante dipendenza dall'estero. La seconda missione vide protagonista Giovanni Cavalli, che nel 1845-'47 fu inviato in Svezia - Paese che era dive-
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nuto il principale forrutore del R egno Sardo - per seguire l'esecuzione ili una commessa ili artiglieria di ferraccio. Una missione dura ta quasi ven ti mesi, durante i quali Cavalli visitò non solo le fonderie svedesi, ma anche quelle francesi e belghe: in particolare la fonderia di Liegi e la Cockerill. Visite che probabil mente ebbero una grande in flu e nza ne i suoi successivi progetti per la Fonderia di Torino. Ma i rilievi più interessanti rig uardano forse la missione del Capitano Giuseppe Rosset. Inviato nel settembre 1856 in missione in Svezia per trattare la costru zione di una nuova partita di artiglierie ili grosso calibro, il Comando dell'Artiglieria lo incaricava di visilat·e tutte le più importanti fonderie, t-accogliendo informazioni sui metodi di fabbricazione dei proietti e sulla cost.-uzìonc dei fornì e delle macchine per la lavorazione delle artig li erie e cercando di reclutare per la F onderia di Torin o un capo fonditore di provata abi lità. Due episodi della missio ne di Rosset meritano d i essere ricordati. Il primo è relativo alle visile co mpiute in Svezia, ne ll a regione di Uppsala, nel corso della quale aveva avuto occasione di assistere aJle prove di un'apparecchiatura in co t·so di sperimentazione presso la fonderia di Dot·msjo per la fabbricazione dell'acciaio secondo il metodo ideato poco tempo prima dal Bessemer. A Rosset non poteva certo sfuggire la potenziale convenienza del sistema, che prometteva di realizzare un'economia del
l 00% pet· la produzione del ferro e add irittura del 700% per l'acciaio, se n za uso d i combustibile. Sopt·attutto per il Piemonte, paese che soffriva di una quasi totale assenza di combustibili fossili, il sistema Bessemer poteva divenire la via per ottenere ferro ed acc ia io a basso prezzo, e limin a nd o un a grave debolezza s trategica. Nel giugno 1857, Rosset lasciava Stoccolma alla volta della Pruss ia renana, inviando in Pi e mo nte la prima me moria sulla fabbricazione dei cannoru c dei g1-andi pezzi in acciaio fuso, realizzata dallo stabilimento Krupp di Essen. E fu Rosset a stabilire i primi rapporti con un'impresa che sarebbe divenuta una delle principali fornitrici del Regno d'Italia. Questo intervento si conclude, come promesso, con il tentativo di collegare finalmente quanto detto con il tema della nostra discussione. L'analisi del funzionamento di alcuni stabilim enti e di a lc une mi ss io ni a ll'es tero mi ha porta to a ll'individuazione di un nu c leo di Ufficiali del Corpo Reale d'Art iglieria che, pure rima ne ndo uomini d'arme - no n pochi di essi vennero decorati nelle campagne risorgimentali - si ca lavano nello stesso tempo nei panni dell'imprenditore, del tecruco, dello scienziato. Ho individuato, come prima approssimazione, una quindicina di e lementi (vds. tabella). Ovviamente non si può affermare che si tratti di un camp ione s ig nifi cat ivo, ma sono forse passi bi l i alcune considerazion i:
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• sulla formazione: vengono in buona misura dall'Accademia, o più precisamente dalla Scuola di Applicazione (Carlo Sobrero viene dalla Scuola pplitecnica di Parigi), quindi da un ambiente comple tamente aperto alle istituzioni scientifiche della Torino del tempo, l'Università e l'Accademia dell e Scienze. Basterebbe sfogliare i fogli matricolari dell'Accademia, o anche solo un comune Calendario generale del Regno, per evidenziare quanti professori univers itari e/o accademici insegnassero nella scuola militare torinese; • sulla carriera: essa è generalmente brillante. La totalità raggiunge il livello
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di Ufficiale superiore, e diversi di essi divengono pure Ufficiali Gene rali. • sull'attività scientifica: parecchi Ufficiali sono, a loro voi ta, docenti all'Accademia militare, e dunque in quotidiano contatto con professori e studiosi delle altre istituzioni. Ad esse questi uomini portano anche se qui siamo ancora allo stadio di ipotesi - un importante contributo pratico sulle idee e s ulle esperienze che si andavano facendo nell'Europa della metà dell'Ottocento. Sebbene nessuno di essi diventi professore universitario, almeno tre divengono membri dell'Accad e mia delle Scienze e quattro
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pubblicano intervenli sulle Memorie, in qualche caso
-Cavalli e Saint Robertpiuttosto numerosi. Sono insomma uomini con una buona preparazione di base, ma che a questa hanno aggiunto lun ghi ann i di esperienze pratiche, conservando una grande curios ità intellettuale, almeno da quanto si deduce dalla loro corrispondenza con gli uffici centrali di Torino e dalle loro note caratteristic he. Si tratta ovviamente solo di considerazioni preliminari, dettate forse più dal buon senso che da un'indagine dettagliata, ma che comunque credo sia interessante appt·ofondire. Prof. Fabio Degli Esposti 17
Pro{ Cia11 Paolo Ro11wg11a11i.
ERCOLE RICOTTI E IL PRIMO INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO DI STORIA·MILITARE sattamente centocinquant'anni or sono, il 27 novembre 1846, il professore e Capitano del Genio Ercole Ricotti, indossa ndo la toga accademica sopra l'uniform e militare, inaugurava a poche centinaja di metri da qui - nell'anfiteatro di c himica del palazzo universitario di via Po, di fTonte ad un pubblico numeroso co nvenuto da
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tutta la cillà- il primo corso di ,:storia Militar·e d'Italia» istituito nell'Università di Torino per espressa volontà di Re Carlo Alberto. Con un a me mo rabile «Prelczionc», poi pubblicata co n il titolo: Dell'indole e dei progressi degli studi storici i11 ltcdia, Ri cotti tracciava il suo programma di lavoro esponendo, al tempo stesso, la propria concezione
della stori a e de ll a storiogt·afia. Egli era ben consapevole della responsabilità non solo culturale, ma politica, che si era assunto accetlando la cattedra d i u na d isc ipli na così strettamente legata a ll e passioni degli uomini cd il ~uc ccsso riscosso dalla «Prelezione» fu una conferma del nuovo interesse che la storia, ormai, suscitava non solo all'interno d i un'élite co lta, ma ' tra larghi strati della popolazione ed in particolare nel ceto medio. Alla posizione particolm·e che egli assegnava alla storia della milizia «come arte e comc ist i tuzionc», nel quadro del la storia ital iana, egli dedicò la seconda parte de lla sua lezione, dopo aver annunciato, per gli anni successivi, l'attivazione di un vero e proprio corso di Storia dell'I talia moderna. Alla fine del 1847, la denom inazione dell a cattedra venne infatti cambiata, su richiesta de!Jo stesso Ricotti, in «Storia moderna» e tale è rimasta da allora fino ad oggi. Scppure durato un solo anno accademico, l' insegnamento d i Storia m ilitare - che negli ultimi anni viene riscoperto e riattivato in numerose università italian e - fu dunque alJ'originc della «modcrnistica» italiana e, più in generale, della s to ri ogra fi a u n i vers i ta r ia ottocentesca. Ma c hi Fu E rcole Ricotti e come giunse lui, ingegnere e militare, a ricoprire il primo insegnamento storico in un'università italiana? Nato il 12 ottobre 18 16 a Voghera- città «lombarda» per tradizione e passata al Piemon-
te solo nel1743- Ercole Ricotti abba/lei in un programma di era figlio di w1 medico di idee concorso bandito dalla classe liberali, già assistente all'Uni- sLOrica della R. Accademia delle versità di Pavia, che aveva in- Scie11ze, circa le origini, i protCtTOtto la carriera accademica gressi ccc. delle compagnie di in quanto sorvegliato dalla Po- ventura in Ita li a. Cou licenza liz ia austliaca. Dopo aver com- de l caffettiere portai quel nupiuto gli studi primad cd il li- mero a casa e lo copiai in un ceo nella sua città, Ercole si era quaderno destinato a raccoglietrasferito, nel 1833, a Torino re le cose il1lportanti della per iscriversi alla Facoltà di In- stampa periodica>>. Ricotti gegneria, divenendo in breve stesso sottoli nea la casualità tem po uno dei pitt promettenti dell'ep isodio, forse con un po' a ll ievi del suo conterraneo Gio- ·el i c ivetteria «Fu questo l'accivanni Plana, professore d i fis i- dente determinativo della mia ca c eli astTonomia. Law·eatosi vita, la quale, probabilmente brillantemente nel 1837 in in- avrebbe preso un altro indiri~ gegneria idraulica cd ottenuto zo, se quel giomo 11011 fossi enun posto gratuito di allievo del trato in quel caffè, o 11012 mi Gc n io c ivile- inca ri co assai fossi abbattuto in quello sporn1odesto, ma primo gradino co pezzo di carte/>>. Consegui to per entrare nei r·anghi dcll'atn- il diploma di ingegnere, Ricotministrazione pubblica- Erco- ti t·ipcnsò a quel foglio solo le consumò in pochi mesi il suo durante l'estate, che trascorse «tradimento» nei confTonti del a Voghera nella tranquillità maestro- che a lungo gli serbò del la sua casa natale. Procurara ncore per questo- passando tos i a lc u n i libri d i storia e agli studi di storia italiana ed in sfruttando la discreta biblioteparticolare di storia militare. ca paterna, oltre a quella del La conversione ebbe dun- suo parroco, il giovane Ercole que inizio nella tarda prima- si gettò a capofitto nello stuvera del 1836, nella buia salet- d io della storia d'I talia propota d i un caffè d i Torino. È Ri- nendosi l'obiettivo di risponco tti stesso a ri cordare, co n dere a l quesito accadem ico estrema vivacità, l'episodio entro la scadenza fissala per il che segnò la grande svolta del- 30 settembre 1837. Divorando la sua vita: «Essendo capitato con voracità i classici della nel caflè che sta in principio di storiografia - Plutarco, VoltaiDoragrossa (l'attuale via Gari- re, Muratori, ma soprattutto baldi ) ed era dal suo padrone Machiavell i leggendo eli giordenominalo Calosso, avea tro- no e d i no tte ed a nche a cavalvato in un angolo oscuro della lo, con il r ischio d i rompersi il prima sala un foglio sudicio collo, il giovane ingegnere riu(era la Gazzetta Piemontese o scì a completare il manoscritUfficiale che usciva tre volte to del suo saggio sulle compasoltanto nella settimana con gnie d i ventw-a giusto in teme lega n ti a ppen d ic i d i Fe lice po per consegnarlo a l segretaRomani) . Nello scorreria m i rio dell'Accademia nella tarda
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serata del30 settembre. Quan- a far parte del la Deputazione do poi, l'l l gennaio 1838, la dj storia patria nel giugno del commissione giudicatrice aprì 1839 ed eletto socio ordina1io la busta sigjJiata per conosce- dell'Accademia delle Scienze re chi fosse l'Autore del mano- nel maggio del 1840; a soli 23 scritto cui era stato assegnato anni, egli entrava a far parte, il premio, si trovò dì fronte al anche ufficialmente, dell'élite nome di un giovane, poco più culturale della capitale subalc he ventenn e, assolutamente pina. Consigliato soprattutto sconosciuto negli ambienti da Cesare B albo, eg li rieladella Torino intellettuale. borò completamente il manoChiamato a presenziare alla scritto presentato al concorso, seduta solenne dell'Accademia consegnando nel 1844 all'edidelle Scienze - alla cui presi- tore Pomba il nuovo testo deldenza era stato da poco eletto la grande Storia delle Compail Conte Alessandro Saluzzo, gnie di Ventura che- anticipaAutore dj una celebre Histoire ta da due ampi saggi pubbliMilitaire du Piémont - e pro- cati sulle Memorie dell'Accaclamato vincitore del concor- demia delle Scienze nel 1839 e so , Ricotti fu accolto poco nel 1840 - uscì in quattro vote'Tipo dopo fra i soc i della lumi tra il 1844 e il 1846, prostes:;a Accade mia, lutti ben prio a ll a vigilia dei moti quapiù ant-iani ed autorevoli di rantotteschi, con una signifilui- fra i ·1uali figuravano stu- cativa dedjca a Carlo Alberto. dio<;i come Cesare Balbo, FeSoffermjamoci ora un morlerko Sclopis, Luigi Cibrario mento su quella che fu al tem- cb.~ lo incoraggiarono a propo stesso l'opera piu celebre dj ,(.. .1 i• e gli stuu i storici. Nono- Ricolti - insieme con la Storia della Monarchia piemontese st~l lll~ c iò, sbalza to da una p ro fessione a ll 'a ltra -dal ma anche l'unica sua opera dj 1110 udo delle scienze esatte e storia militare, grazie alla qua•d ia tecnica a quello delle le ottenne la cattedra nel 1846. ~cicnze umane e delle lettere La Storia delle Compagnie Ricolti visse un momento di di Vel1lura contribuì notevolcrisi dal quale però seppe sol- . mente a formare in Piemonte levarsi rapidamente. [] presti- una coscienza storica naziogio del premio, purtroppo, nale e raccolse i maggiori connon gli evitò il rancore del sensi, tra il 1848 e il 1849, Plana, maestro tradito, il qua- proprio negli ambienti liberali le impedì che gli fosse affidata moderati che vedevano nell'Euna cattedra di matematica sercito sabaudo l'avanguardja presso l'Accad e mia Militare. de l Ri sorgimento na zionale Fu invece Cesare Balbo che gli italiano. L'opera non è infatti consentì di sopravvivere e di una semplice storia militare, proseguire g li studi di storia, ma un ampio affresco che asconcedendogli generosamente sume la guerra come punto un prestito «a fondo perduto». d'osservazione privilegiato, Ormai la nuova via era come chiave di lettura per ritracciata: la storia e non altro percorrere ed inte rpre tare le sarebbe stata, d'ora innanzi, la principali vicende politiche e sua ragione di vita. Chiamalo sociali dell'Italia e dell'Europa
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dal medioevo agli inizi dell'età moderna . L'assunto fonda mentale della visione storica. di Rkotti è che risolvendosi le grandi vicende politiche in avvenimenti bellici, la storia della guerra e dell'esercito (non già delle battaglie ma delle tecniche, delle forme e delle strutture assunte dall'arte militare) non è altro che storia politica compendiata, la forza militare di una Nazione essendo la naturale conseguenza della sua forza politica e morale. La storia degli ordinamenti militari è dunque da lui collegata strettamente alla storia delle istituzioni civili. Nelle Compagnie di Ventura, sorte in un momento di decadenza politica e morale del Paese (crisi delle autonomie comunali, invasioni straniere, crescente corruzione delle corti, ecc.), egli vede infatti cela vera, anzi l'unica milizia d'Italia durante due secoli». L'afferma;done degli eserciti mercenari è vista giustamente come una dsposta alla crisi dei Comuni, le cui milizie erano ormai state stravolte e rese inefficaci dalle continue lotte di fazione. Con le Compagnie nasce dunque una nuova figura sociale: il soldato di professione, autonomo e indipendente, privo di legami con una patria o un partito, ma padrone èsclusivo di un solido patrimonio di competenze tecni che. La professionalizzazione delle funzioni militari si afferma nel corso di due secoli parallelamente aUa crisi della soc ietà feudale, al risorgere dell'individualismo nella società tardo-medievale ed a l formars i di nuove aggregazioni in campo politico-militare (ordi-
ni cavallereschi), religioso (nuovi ordin i, movimenti pauperistici cd ereticali), culturale (università) e civile (gilde e co rporazioni, partiti urbani, ecc.). Le Compagnie di Ventura, no n ca ttive in sé, ma util izzate in modo «smoderato e avvilitivo)>, furo no dunque «in Italia la esterna espressione del suo stato politico durante il XIV e il XV secolo» . Uno stato politico da cui l'Italia era ormai uscita definitivamente. Infatti Ricotti poteva così concludere la sua trattazione s torica: «La (... ) conseguen za, Cl eu i potrebbe servire di prova ogni pagina della presente istoria, ~ che ad ogni onesto cittadino spetta l'obbligo e il dirillo di cooperare attivamente alla difesa e all'incremento della propria patria». Vale la p ena di ricordare inoltre che, nella dedica al Sovrano, Ri co tti auspicava la creazione a Torino di una grande «Scuola generale della guen'a>) neJJa quale i giovani potessero, anche in tempo di pace, trovare «Un vasto campo dove studiare e perfezionarsù>, contribuendo così al vantaggio ed all'accrescimento dello Stato. Pubblicata la sua opera d'eso rdio, Ercole Ricotti - che no nostante i riconoscimenti accademici era pur sempre un Capi tana del Regio Ese•·ci to si dedicò, a partire daJ 1845, a l progetto di una grande storia militare d'Italia in più volumi, che però non andò mai al di là dell'abbozzo e che finì per essere dimenticata in seguito ai suoi nuovi impegni universitari. Il suo awio alla docenza si deve probabilmente anch'esso (anc he se indirettamente) all'amico Cesare Balbo. Fu infat-
ti lui a suggerire il suo nome al Ministro Cesare Alfieri di Sostegno, impegnato nel 1846 a ridisegnare la pianta delle cattedre de ll'Ateneo torinese. Tra le più importanti riforme promosse da Carlo Albe rto prima del 1848 vi fu infa tti quella deg li ordinamenti uni versitari, della quale fu autore materiale l'Alfi eri, dal 1844 Presidente del Magistrato della Ri forma. Dopo aver riformato e riaperto l'antico Collegio delle Province (che era rimasto c hiu so per vent'anni) ed aver is tituito su tutto il territodo pi e mo ntese scuole tecniche di base e scuole serali per adulti, c he otlennero uno straordinario successo popolare, tra il 1846 e il J 84 7 Alfieri si dedicò al riordino dell'Università, aumentando gli anni di corso, sostituendo i concorsi con esami pubblici, is tituendo nuove cattedre e svecchiando co mpless ivamente l'insegnamento. Nella facoltà di Giurisprudenza vennero istituite le cattedre di Dir itto pubblico ed Economia p olitica, affidate a Pasquale Stanislao Mancini ed Antonio Scialoja, entrambi esuli napole tani; mentre nella Facoltà di Let tere venne •·o istituite le nuove cattedre d i Is tituzioni di belle lettere, Grammatica greca e Grammatica generale, Letteratura greca, Letteratura latina, Storia antica ed archeologia, Storia moderna, Storia della filosofia antica, Metodica. Per la cattedra di Storia moderna - la prima in assoluto ad essere istituita in un'università italiana - la scelta cadde su Ricotti il quale però accolse l'annuncio con un certo imbarazzo; nella primavera del 1846 egli era infa tti tutto
preso dagli studi di storia militare e non avrebbe voluto esserne distolto: l'accomodamento f-u subito trovato dall'Alfieri -in pieno accordo con il Sovrano - c he mutò prontamente il tito lo de ll 'insegnamento in «Storia militare d'Italia», «per allettare allo studio della storia l'u[Jìzialità»- annota Ricotti nelle sue memorie «e forse per riguardo alla mia p rofessione dell'armi)>. Infatti l'incarico, retribuito 1500 lire all'anno, non sarebbe stato incompatibile con il grado e la funzion e di Capitano dell'Esercito che Ri co tti in quel momento ricopriva. Lungi dall'essere un ripiego, l'idea di istituire nell'Università di Torino una cattedra di Storia militare si inseriva perfettamente nel progetto che Carlo Alberto aveva concepito fin dai primi anni del suo regno - ma che aveva incominciato a prendere corpo fra il 1835 e il 1837 -volto a creare a Torino un polo culturale e museale dedicato alle arti della guerra ed alla formazione degli Ufficiali dell'Esercito. Un'intera ala del Palazzo Reale e precisamente la Galleria del Beaumo nt - ossia la manica che collegava gli appartamenti del Sovrano con il palazzo delle Segreterie di Stato fu interamente ristrutturata per accogliere al piano terra la Biblioteca R eale (fondata nel 1831) ed il Regio Medagliere ed al primo piano l'Armeria Reale (inaugurata nel 1837), il cui allestimento - già a quel tempo assai criticato - fu studiato per impressionare emotivamente il visitatore, giocando sull'effetto scenografico e spettacolare, e per sollecitare il patriottismo dei sudditi sabaudi. In un pri-
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mo momento il Sovrano propose di ampliare l'Armeria occupando anche il piano ten·a della Galleria, ma poi - forse anche per non urtare la suscettibilità dei Comandanti della Scuola d'Artiglieria il cui museo, destinato all'istruzione degli Ufficiali dell'Esercito, era in fase di riordino - rinunciò al progetto per lasciare spazio alla nuova sede della Biblioteca Reale. Anche la Biblioteca, del resto, rienLrava nel suo progetto e avrebbe dovuto rispondere ad esigenze ana loghe a quelle dell'Armeria, esse ndo s tata concepita come «biblioteca per i militari e gli uffiziali sntdiosi», oltre che per il servizio della famiglia reale. Le due raccolte rappresentavano quindi un degno completamento del progetto di Carlo Alberto vollo a far apparire la monarchia sabauda in una luce nuova, ma soprattutto ad esaltarne le virtù militari. Tr-a le numerose iniziative promosse a Torino fra gli anni Trenta c gli anni Quaranta questa è infalli la sola la cui paternità si possa attribuire unicamente al Sovrano c c he non incontrò mai il pieno consenso degli inte llcLLuali de ll'Accade-. mia delle Scienze. Ma torniamo a ll a cattedra di Ercole Ricolti; come abbiamo visto fu lui stesso, ne l 1847, a modificare in Storia moderna il titolo del suo insegnamento, affiancando lo a quello di Geografia c Statistica che assunse a titolo gratuito per r·cndcrc più completa la f01mazionc degli studenti della Facoltà di Lettere. Nato come storico militare, il neoprofessore non intendeva chiuder·si in un ambito troppo angusto e specialistico, ma voleva
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fare del suo insegnamento universitario anche un momento di testimonianza politica e civile, capace di sollecitare nei giovani un maturo spirito patriottico fondato sulla conoscenza critica del passato. In quegli stessi anni, infatti, Ricotti si stava sempre più impegnando nella vita politica piemontese, militando attivamente nello schieramento liberale-moderato guidato da Cesare Balbo. Nelle prime elezioni del 1848 h.r eletto deputato nel collegio di Voghera, ma immediatamente dopo tornò a vestire l'uniforme d i U[[ici a lc deiJ'Esercito per partecipare a lla prima guerra d'indjpendenza nel corso della quale Fu fatto prigioniero dagli austriaci. Durante la sfortunata campagna del J 849, sul cui buon esito egli aveva fin dall'inizio manifestato perplessità, Rkotti restò invece a Torino ricoprendo importanti incarichi per conto dello Stato Maggiore ed in particolare lavorando acl un progetto di riforma de11'istruzione militare, articolato in quattro livelli progressivi, dalla Scuola di Reggimento fino alla Scuola Superiore di Guerra. In questo progetto, che ricomponeva le lince di un lavoro interro tto nel 1846, Ricotti auspicava particolare attenzione alla preparazione del personale docente, da ollenersi in apposite scuole per Ufficiali e Sottufficiali, e alla riforma dell'Accademia Militare e della Scuola eli Applicazione, concepile come sedi di alta qualificazione c specializzazione per Quadri dell'Esercito e dei Corpi speciali (Artiglieria e Genio). Ricandidatosi nel suo collegio di Voghera, fu sconfitto
nelle elezioni della seconda legislatura, ma fu rieletto deputalo nel 1849 nel collegio di Ventimiglia. Il suo allontanamento dalla politica attiva ebbe luogo solo dopo il 1853, in seguito alla morte dell'amico Cesare Balbo, che suggellava la definitiva crisi del gruppo poli lico cd intellettuale liberale-moderato che aveva guidato la vita piemontese dai primi anni del regno di Carlo Alberto. La stessa sconfitta subita sul ca mpo dall'Esercito piemontese nel 1849 e la conseguen te perdita di prestigio del corpo degli Uflìciali indusse Ricolti ad abbandonare l'Esercito per l'insegnamento e ad allontanarsi definitivamente dalla storia militare. Egli non voleva rimanere uno storico eminentemente militare: nei suoi studi e nelle sue oper-e successive - in particolare nei fortunati ssimi manuali Breve storia d'italia dall'anno 476 al 1849, pubblicato per la prima volta nel 1850 e ristampato ininterrottamente fino alla fine del secolo (da un'inchiesta promossa dal Ministro Ruggero Bonghi nel 1875 su tutlo il territorio nazi onale, basala sui dap rorn iti da l 03 ginnasi e 80 lice i, il manuale di R icoLti risu lta dominare saldamente il mercato con 37 adozioni) e Breve storia generale d'Europa (prìma edizione: Torino 1851 , quindiccsima edizione accresciuta: Mil ano 1891), nella fondamentale c per molti aspetti ancora utile Storia della Mo11archia pie1110111ese (Firenze 1861-'69), nelle monografie, derivate dalle lezioni univet-sitaric, Brevissima s toria della Costituzione inglese (Firenze 1871) c Della R.ivolll';.iOile Pro-
Scuola di Cavalleria (opera di Gontero, S c11ola di Applicazione, Torino). 1es1ante (Torino 1875) - egli
riuscirà infalli a darci un esenlpio, per· molti anni insuperato, di storiografia politica attenta ai fatti sociali, alle trasformazioni istituzionali e a lle strutture economiche. Lo stesso successo delle sue dispense universitarie e dci suoi manuali di storia generale - i primi nel loro genere in Italia diffusi c letti anche al di fuori dell'ambiente scolastico, è una conferma eloquente del ruolo nuovo che la storia andava assumendo nella cultura media nazionale della seconda metà del secolo scorso. L'avvio dell'attività didattica
della cattedra torinese eU Storia Moderna conisponde del resto all'apertura di una nuova fase nella storia deiJa cultura e dei gruppi intellettuali subalpini: con la fine degli anni Quaranta il centro motore della Torino colta si sposta inf-atti dalla prestigiosa, ma ormai troppo elitaria e conservatrice Accademia delle Scienze all'Università rinnovata, dove convergono le energie nuove degli esuli politici meridionali come Mancini, Scialoja e De Sanctis. Nel decennio compreso fra il 1850 e il 1860 si pongono le basi per lo sviluppo successivo della storiegrafia piemontese, affidata a personalità come Nicomede Bianchi - anche lui medico convertito alla storia -, Domenico Carutti e Costanzo Rinau-
do (allievo di Ricotti), come il veronese Carlo Cipolla (successore di Ricotti sulla cattedra eU Storia moderna), o come Ferdinando Gabotto (fondatore della Società Storica Subalpina), nessuno dci quali potrà prescindere dal lavoro di ricerca, eU raccolta di fonti, di impostazione di problemi, avviato tra gli anni Trenta c gli anni Quaranta dai maestri di Ercole Ricolti, ovvero dagli storici-funzionari legati a Cesare Balbo (come Sclopis, Cibrario, BaucU eU Vesme, Manna) l"iuniti attorno all'Accademia delle Scienze e alla Deputazione di storia patria. Per evita•·e che la figura eU Cesare Balbo fosse dimenticata insieme con la sua opera politica e letteraria, Ricotti stesso volle scriverne una bio-
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grafia, che vide la luce nel 1856 per i tipi dell'editore Le Monnier di Firenze, al quale fu affidata anche la riedizione delle opere dello storico e statista scomparso. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, Ricotti dedicò la maggior parte delle s u e energie (e parte dci suoi corsi universitari) all'opera che è ancor oggi ricordata come il suo capolavoro: la Storia della Monarchia piemontese in quattro volumi, da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele II, costruita interamente su documenti inediti e pubblicata a Firenze fra il 1861 e il 1869. Non è senza significato che, proprio nel momento in cui la poLitica cavourriana si apriva decisamente all'Italia c a ll'Europa, portando il Piemonte ad affermarsi come potenza di ampio respiro, Ricotti scegliesse la dimensione dello stato regionale come terreno di ricerca: «Sembromm.i - egl i scrive nell'introduzione al primo volume - che la storia moderna della monarchia piemontese afferisse la condi~ione di un buon soggetto: indipendenza nazionale e 11ovità di ricerche (. ..). Perché veggeudo intorno al Piemonte raggrupparsi le speranze e gl'interessi di tull'ltalia, credetti e credo importantissimo costituire a' vari elementi del nuovo stato U/1 fondo comune di tradi zioni 11011 meno politiche e militari, che ci vili, religiose, fì nanziarie, giuridiche, delle quali si abbia motivo di rispettare quanto il passato ha di buono, e lume a per{ezionarlo in ciò che è d'uopo». Mentre la Deputazione di s toria patria si al largava alle province lombardc c dava vita 24
alla Miscellanea di storia italiana, aprendosi a nuovi stimoli storiografici ormai deci samente italiani , l'uomo che prima di altri aveva saputo collocare le vicende piemontes i in un contesto nazionale ed europeo, rinunc iava all'ambizione di essere lo storico della nuova Italia per dedicarsi al compito, forse più modesto, ma non meno impegnativo, di illuminare con ricerche ancor oggi, per alcuni aspetti insuperate, le vicende de lla formazione de llo Stato sabaudo moderno. Come ha osservato l'attuale titolare della caltedra che fu di Ercole Ricotti, Giuseppe Ricuperati, eg li «Si era accorto di aver scrilfo un'opera che era nata con la volontà di essere, se non la poesia epica, almeno la prosa pedagogica su cui fare i nuovi italiani, con un rispetto del passato tipico di w1 conservatore illuminalo. Si era reso conto invece che tale discorso passava ormai per altri temi storiografìci, che comunque c'era una volontà immediata di uscire dal Piemonte per ita/ianizzarsh>. Purtroppo l'opera di Ricotti ebbe scarsissimo risco ntro a livello nazionale e ciò fu causa di profonda amarezza per· il suo autore. Pur stimato come storico e dspettato per il suo rigore c la sua integrità morale, Ercole Ricotti finì tuttavia per essere considerato ben presto - anche a causa delle sue posizioni politiche - come un uomo del passato, che poco aveva da comunicare alle giovani generazioni della nuova Italia: «Co nservatore », << municipali s ta », furono gli aggettivi con cui spesso - c non sempre
con ragione -lo si qualificò. Nomina to R et tore dell'Università di Torino nel 1862 e membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione- spesso in conflitto con il Ministro Matteucci -, affrontò il difficile compito di rimettere ordine in un'amministraz ione gravata dai debiti e caratterizzata dal burocratismo: allontanato un economo disonesto e cambiati tutti i fornitori dell'Ateneo, egli riuscì in due anni a ridurre le spese inutili ed a restituire autorità ai Presidi, soffocati dai funzionari del Ministero. Nel l 864 egli dovette anche affrontare alcune agitazioni studentesche. Nominato Senatore nel 1862, riprese a frequentare le sedute parlamentari, ma solo finch6 le due Camere rimasero a Torino. Nel novembre 1864, infatti, egli pronunciò in Senato un duro discorso contro il u·asferim e nto della capitale a Firenze, sostenendo, da storico militare oltre che da politico ed in polemica con il collega e storico siciliano Michele Amari, la necessità vitale di mantenere un avamposto stt"éllcgico al Nord, per essere pronti ad intervenire contro l'Austria (e a riconquistare il Veneto), mentre era un grave errore spostare la capitale a Fit·ènzc, difficilmente difendibile, immobilizzando una parte dell'Esercito nel centroItalia c scoprendo di conseguenza il Fronte nord orientale. Argomentando con erudizione storica la propria tesi, Ricotti rovesciava l'intera impostazione politica del problem a: «La stessa questione ro111ana cui si dà tanta gra-
Palestro: La presa di due cannoni (opera di Gontero, Scuola di Applicazione, Torino).
vità, e che non voglio discdnoscere, pure è una questione accessoria; direi quasi non è nemmeno una questione dinnanzi alla grande questione di Venezia; posciaché se la questione romana, a mio avviso, può avere uno scioglimento, ques to scioglim ent o non lo può avere se non dopo l'acquisto di Venezia. A mio avviso 110n si può andare a Roma se non da Venezia>>. Dopo la votazione del 9 dicemb•·e 1864, c he approvò con 134 voti co ntro 47 la linea de l Governo, confermand o lo s postamento della capitale da Torino a Firenz~, Ri cotti lasciò per sempre i banc hi del Senato dedicandosi totalmente all'insegnamento c a ll o studio. L'attivi tà didatt ica svol ta da Ercole Ricotti a ll'Università di Torino per quasi quarant'anni è ancora in gran parte da r icostruire. Sappiamo comunque che fi no a l 1869, visto il livello piuttosto basso degli studenti, egli tenne unicamente corsi di storia generale, alternando, di anno in anno, )a storia medievale con quella mode rna; dal 1870 decise invece d i tenere solo cors i monografici d i a m p io
respiro europeo, i ncominciando con la «Storia della Costituzione i ng lesc» (1869'70), proseguendo poi con le «Cause deUa Rivoluzio ne francese» (1870-'71 e l 87 l -'72) e con «la Riforma protestante» (1872-'73), in seguito r itornò a ll a s toria m e di eva le con i cors i su «il medioevo fino a Carlo Magno» (1873-'74) e su «le riforme di Carlo Magno» (l 874-'75) . Nell'autunno de l 1871, dopo aver rifiutato la nomina a professore el i Storia moderna nell'Un iversità d i Roma, accettò tuttavia di ten e re un ciclo di lezioni alla «Sapienza» per l'inaugurazion e de lla Facoltà di Lettere. Ne l .1878, dopo la morte di F e derico Sclopis, fu el etto Presidente de lla Deputazione di s to1ia patria e nel 1879 Pres ide nte dell' Accadem ia delle Scienze di Torino. Ammalatos i alla fine del 1882, morì a Torino il 24 febbraio 1883. Uomo el i trans iz ione - e forse anche per ciò troppo pres to dimenti ca to, nono stante i quasi quarant'anni di in segnamento universitario - Ercole Ricotti rappresenta in u n certo senso i l trail-d'union fra la genera-
z ione dei politic i-s to riografi di matrice romanti ca, protagonis ti del prim o Ri sorgi me nto, e quella de i professor i ed eruditi di scuola positivis ta che avrebbe dominato l'Ita lia umbertina e g io litliana fino a lla vigilia della prima guerra mondiale. Discepolo di Cesare Balbo e predecessore di Carlo Cipolla, il Cap itano R icotti da Voghera se non riuscì acl essere un grande s torico, fu qua ntomeno un «artigiano della storia» serio e rigoroso, capace più di molti altri di interpretare il passato ne llo s pirito del suo tempo.
Prof. Gian Paolo 'Romagnani
NOTE - Ercole Ricotti, Ricordi, a cura di A. Ma n no, Tori no l 886. - Giuseppe Ricuperati, «Lo stato sabaudo e la storia da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo Il. Bilancio di studi e prospettive di ricerca•. in Afli del convegno: Swdi sul Piemome. Sraro auuale, merodo/ogia e i11diri::.zi di ricerca, fascicolo speciale di S wdi Piemonlesi, Centro Studi Piemontesi, Torino 1980. - Gian Paolo Romagnani. Sroriografìa e polirica culwrale nel Piemollle di Carlo Alberro, Deputazione Subalpina di Storia patria, Torino J985, pp. 341-388. - Wa lter Barberis, Le armi del Principe. La tradizione militare sabauda, Einaudi, To rin o 1988, pp. 327-330. - UmberLO Levra, Fare gli iraliani. Memoria e celebrazione del Risorgimemo, istituto per la storia del Risorgimento italiano, TOI-ino, 1992. -Gian Paolo Romagnani, «Et·cole Ricotti•, in L'Università di Torino. Profilo s rorico e isLiLu zionale, a cura di F. Tr a nicl lo, Pluri verso, Torino, 1993, pp. 420-423.
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Pro{ Giuliano Lenci.
MEDICINA E MILITARI. ' L'UNIVERSITA CASTRENSE DI PADOVA NELLA GRANDE GUERRA ])'Università di Padova, e qu indi anche a ll a città, è legata una singo lare istituz ione didattica, sperimentata nel corso della prima guerra mondia le dalla Facollà di Medicina e Ch irurgia: l'« Un iversità castrense». Benché molto nota in passato, col tempo se ne è perduta la m emoria, anche nel la stessa Padova, c he tra il di -
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cem b re 1916 e la primavera 1917 ospitò centinaia d i studenti di medicina d i ogn i parte d'Italia, sottratti a l fronte o ai servizi territoriali per consegujre una laurea, oltremodo necessaria per le contingenti straordinarie esigenze di ordine sanitario. L'Un iversi tà di Padova vide pertan1·o ripopolarsi le sue aule, diventate quasi deserte du-
rante la guerra, di una folla di studenti in divisa militare delle più d iverse regioni, tanto da assumere, in quel breve periodo di tempo, gli aspetti di una vera c propria «Università nazionale italiana». Ln precedenza, nel genQaio 1916, a San Giorgio di Nogaro, sede d ell'Intendenza della 3~ Armata, il Comando Supt·emo aveva istituito una «sezione un ivet·sitaria», autonoma nei confronti delle is tituzioni universitarie del Regno, per gli studenti degli ultimi due anni di medicina e chirurgia. Ma non era mancata dagli ambienti universitari e dai corpi accademici una elevata, seppur dignitosa, protesta per que l che in verità costituiva un fatto del tutlo contrar·io alle norme che avevano disciplinato l'insegnamento e il conferimento della laurea nell'ambito di istituzioni propriamente universitarie, governate da un personale qualificato e professionale, derivato dalla secolare tradizione scientifica c didattica. Un decreto luogotenenziale del 26 novembre 1916, pertanto, stab iliva c he gli istituti di San Giorgio di Nogaro diventassero una sezione della Facoltà medico-chirurgica di Padova, con l'obbligo, per gli studenti con oltt·e quattro anni di frequenza, e già con il grado di «aspirante sottotenentc mcdiCO», di essere sottoposti all'esame d i laurea soltanto nell'Università padovana. Con lo stesso decreto venivano costituiti a Padova altri corsi universitari, a partire dal
4 dicembre 1916. Vi alnuirono 1332 studenti in medicina provenienti da ogni zona di gucr·ra c territoriale, raccolti in un battaglione, che ebbe il nome d i «Battaglione degli Studenti di Medicina e Chirurgia», più brevemente chiamato «Ballaglione universitario». A differenza della sezione di Facoltà di San Giorgio di Nogaro, che si limitava a studenti isct·itti a l so c 6° anno in pari con gli esami, c pertanto idonei a rivestire il grado eli «aspirante», a Padova connuirono studenti degli ultimi 4 anni della facoltà medica di tullc le università del Regno, di qualsiasi Arma e grado militare, mentre i corrispettivi student i già iscritti a Padova, ma esenta li dall'ar·r·uo.lamento o non appartenenti a Corpi non mobilitati, vennero trasferiti a ll'Univers ità di Bologna. Il «Battaglione universitario», comandato da un eroico mutilato, il Maggiore Carlo Salvaneschi del 36° reggimento di Fanteria, rimase, agli effetti amministrativi e disciplinari, sotto ]a giu risd izione del Comando Supremo. Il Battaglione era acquartierato in padiglioni già adibiLi acl ospedali militari o negli edifici della nuova cillà universitaria in Via Loredan e nella scuola elementare «Robet·to At·digò». Per la didattica ve n nero assegnati diversi edifici, in parte nel fabbricato ospcdaliero di via Giustiniani o nei suoi annessi, in parte nella Scuola eli Medicina a S. Mattia (fisiologia, anatomia pato-
logica, materia medica, medicina legale). Oltre all'Ist ituto a natomico ordinario di via Gabel li, fu realizzato un nuovo grande «Istituto anatomico» nei locali dell'ex macello di Giuseppe J appelli nel viale Loredan, già dal 1910 diventato la sede della scuola di disegno «Pietm Selvatico». Questo edificio era dotato di 4 sa loni di circa 100 mq c iascuno per la medicina operatoria c l'anatomia patologica c eli una singolare sa la anatomica (la <<Rotonda») di 280 mq per l'anatomia descrilliva. Il Rettor·e Ferdinando Lor·i, uditi i membri della Facoltà di Medicina, propose al Ministro della Pubblica Istruzione il personale docente di questa singolare isti tuzionc uni versitaria: col rango eli Maggiore Generale il Pt·esicle Luigi Lucatello, patologo medico di Padova, pioniere dell'indirizzo metodologico del Laborawriumsmediz.in c poi clinico medico dopo la morte, il 9 dicembre 1916, del Senatore Achille De Giovanni; 24 professori ordinari, di cu i 9 provenienti da altre Università; 5 professori incaricati. Numerosi aiuti c assistenti universitari c alcuni primari ospedalieri, tutti forniti di adeguato grado eli Ufficiale, furono ugualmente comandati a Padova per questo straordinario insegnamento, concordemente al parere dei Ministri della Guerra e della Pubblica Istruzione. L'insegnamento fu sdoppiato in due corsi (A e B), a
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Al centro: Ufficiale medico in gran moruura (acquareLlo di Q. Cenni).
c ui fu assegnato un conveniente numero di docenti, molti dei quali «liberi docenti», con un grado di Ufficiale medico di regola riferito alla diversa posizione accademica. Serventi ord inari o soldati di Sanità comp letavano l'organico. Da una relazione dell'Università di Padova del 1917 è possibile ricavare i nominativi e le attribuzioni riguardanti le singole discipline, e inollre l'orario delle lezioni, la sede delle au le, le modalità di funzionamento del Battaglione, a lcuni dati statistici e infine un
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prospetto degli esam i speciali, includente l'indicazione delle materie, la quantità di promossi e di rimandati(!>. È interessante, pur a distanza di tempo, riconoscere nel personale docente dell'« Uni versi tà castrense» prestigiosi professori ordinari di varie università italiane: il Senato•·e Achille De Giovanni, clinico d i Padova, sostenitore della dottrina costituzionalistica; Edoardo Maragliano clinico medico a Genova, pioniere dell'immunologia; Arrigo Tamassia medico lega le e Edoardo Bassini clinico chirurgo Famoso nel mondo per la c ura dell'ernia inguina le, che sarà Senatore e cittad ino
onorario di Padova; Luigi Sabbatani, il maestro di Egidio Meneghetti, che all'inizio del secolo già applicava i procedimenti della chimico-fisica al.la farmacologia; Augusto Bonome che nel corso di Batteriologia a Padova illustrava i suoi originali studi su ll'immunità; Oddo Casagrandi, l'igienista da poco nella cattedt·a padovana ed ora gravato di altri compiti per la Sanità Militare; Achille Breda fondatore della Clinica dermosifilopatica padovana; l'anatomico Bertelli; Alberto Pepere anatomopatologo nell'Università di Cagliad; Cesare Sacerdotti patologo generale nell'Università di Siena.
Al centro: pers01wle sanitario in gran montura (acquarello di Q. Cenni). Tra gli altri nomi di docenti, figurano Andrea Pari , aJlora ai uto della Clinica medica e Amatore Austoni, aiuto della Clinica chirurgica di Padova; l'anatomico Angelo Bruni dell'Università di Torino; Bindo De Vecchi anatomo-patologo dell'Università di Bologna; Giovanni Cagnello primario anatomo-patologo a Venezia; Ernesto Be lmondo promotore della legislazione dei manicomi, in posizione pionieristica nell'abolizione della contenzione meccanica in psichia-
tria, direttore dell'ospedale psichiatrico di Brusegana; Antonio Berti, giovane assistente di Clinica medica, noto a lpinista, Capitano di complemento nelle Dolomiti ed ora dirigente del Gabinetto di Radiologia e di ricerche e lettrodiagnostiche, con insegnamento, per la prima volta a Padova, di «Radiologia medica». Tre donne erano comprese nel personale docente: Carmelita Ross i, aiuto dell'Istituto universitario padovano di Igiene; Giulia Vastano aiuto di Clinica pediatrica; Maria Pelanda, Sottotenente assimilata, preparatrice in Anatomia Patologica.
Questa «Università di guerra» padovana ebbe una certa risonanza nella stampa italiana per la singolarità della rappresentanza studentesca. Si incontra tra l'altro su La lettura del l 0 agosto 1917: «Ne convennero da tutte le armi e furono riuniti in un (<battaglione universitario», il più colto battaglione che mai abbia avuto w1 esercito. Il vecchio Studio della Serenissima rivisse i bei tempi del Cinquecento e del Seicento, quando esso era l'« Universi las studiorum» per eccellenza, rinomata in tutto il mondo e centro del sapere, a cui traeva a frotte la gioventù d i tutte le genti d'Europa che si racco-
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glieva in altrellanle corporazio/li studentesche dette « Nazioni»; quesLa volta però lo studio patavino fu l'<<UI1'iversitas ilalica.» per eccellenza, perché ebbe per scolari i figli di tutta la Patriat21 ». I corsi si chiusero i l 30 marzo 1917, dopo 4 mesi di lezioni, con una solenne cerimonia nella storica Aula Magna, slipata dai ploloni in g•·ig ioverde. Un laureando in med icina, il Cap itano Doni, prese per tutti la parola: « ... Quest'anno passa. per l 'Università padova11a una singolare corporazione di studenti; essa è tutta vestita in grigioverde ed ha per stemma goliardico la bandiera d'Italia ... E quando negli anni avvenire la poesia dei ricordi ci canterà nell'animo Le note liete e tristi, il saggiamo in questa Padova doua e gent ile e la memoria dei Maestri di qu.esto Ateneo saranno tra i ricordi della nostra vita i più belli e più cari». Il Preside Luigi Lucatello, futuro Rettore dal 1919 al 1926, agli studenti militari rispondeva con commosse parole di comp iacimento e di· augurio: « ... Tutto voi trovaste qui, anche quella giusta. esigenza nelle prove (perché n011 dirlo?), che è doverosa in chi ha la responsabilità dell'insegnamento ed è utile per chi studia. Una cosa sola 11011 abbiamo potuto darvi: il tempo! Giovani a miei! Gravi sono i doveri del medico verso la società, più gravi ancora saranno i doveri vostri verso i fra te lli in armi. Ebbene in quest'ora degli auguri e degli addii, in cui 11el memore i11tel-
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letto ricomponiamo i ricordi della breve e pur intensa vita di lavoro trascorsa insiem.e, possiate, io vi dirò, essere atti al nobilissimo ufficio così come ne siete degni: questo è l'augurio mio! Noi dei vostri successi godremo una gioia ineffabile perché ricorderemo superbi di essere stati i vostri Maestri>>(l) . Nel discorso conclusivo il Rettore Lori presentò infin e ai conven u ti una vecch ia e gloriosa bandi era di Trento, che i Lrentini residenti a Padova nel J 866, nel momento in cu i e1·ano annesse al Regno d'Italia le province venete, avevano adoltato, giurando di farla svenlolare in tutte le feste nazionali , sim bolo del loro irreden ti smo . La sezione ordinat·ia degli esam i specia li s i prolungò fino a l 4 aprile 1917 con il complessivo numero d i 62 15 esam i a Padova e 2336 a San Giorgio di Nogaro. Le lauree in medicina e c hirurgia raggiunsero il cosp ic uo numero di 534. Per l'esame d i laurea fu data facolLà, per decreto luogotenenzia le, di omettere la presentazione della tes i scritta, sosti tuendola co n la d isc uss ione ora le di un tema assegnato dalla commissione esam in atrice pochi g iorni prima dell'esame finale. Ritornat i a lle zone di proveniem.a, molti di ques li giovani mililar i, ancora falc idiati n e ll e baltagli e eslive, fumno poi coinvolli nella rilirata di Caporello. Il corso accelerato della Facoltà di medic in a c ch irurg ia non venne rinnovato a Padova, da cui anz i furono trasferiti
a Bologna alcuni serv.1zt e istituzioni sanitarie, essendo la nostra città troppo vicina a lla linea de l Piave e ormai d i ventata l a «capitale al fronte», con altri compiti di rilevanza nazionale. Ma già il 6 settembre 1917 il M inistro dell a Guerra, General e Gaetano Giardino, aveva es presso al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito un parere negativo su lla prosecuzione dell'insegnamento accelerato in Corpi speciali i n zona di guerra, ritenendo invece opportuno un provvedimen lO che restituisse alle Università del Regno tutti i militari sludenti degli ultimi 4 anni della Facoltà di medicina, in qualsiasi zona essi si r itrovassero e per un lempo non superiore ai 4 mesi, collocandoli temporaneamente in li cenza. Il 13 ollobre 1917, pochi giorn i prima della rilirala di Caporelto, il Sottocapo d i Stato Maggiore dell'Esercito, Car lo Porro, in accordo co l Ministro della Guerra, r i Feriva di aver conven uto con la Pubblica Islruzione di r inunc iar e a corsi acce lerati di qualsiasi specie, al di fuori degli sludenli del 3° e 4° anno, co nsenlendo loro l'intero corso normale presso le risp_ett ivc Università, pur lenendoli alla diretta dipendenza dell'autorità mil itare, in modo da poterli promuovere, ave nd o superato gli esam i del le palologie speciali med ica e ch irurgia, «aspiranti Sottotencnli medici», nell a p.-imavera del l918. L'Un ivers ità «cas trense>> ebbe dunque così la sua fin e. Riferin'lenti a questa espe-
Reggi111e11to Lcwcieri di Vii/ orio Rlllan uele Il, 186 1-1871. Il Reggi111e11to viene passato i11 rivista dal Colo11nel/o Comandante; del suo seguilo {a11110 parte tm Uflìciale Medico ed 1111 Veteriuario ((Jcquarello di Q. Cettlli}.
rienza unive1·s itaria s i ritrovano oltre c he ne lla c itata relazione dell'Università di Padova, corredata tra l'altro di interessanti fotografie, in a ltre segnalazi o ni lontan e nel tempo<~,. Nell'attuale Ministero della Difesa ho po tuto rintracciare soltanto una pratica riguardante il momento co nc lu sivo d e ll'«Unive T·s ità castrense»15,. Nell'ufficio per il rilascio dci diplomi di-laurea a Padova è consu ltab ile il volume degli atti della consegna degli stessi ne ll'anno L9 17. In particolare n e ll'es tat e di quell'a nno fi g ura una lunga serie di laureati in medicina, il cui diploma risulta inviato per posta con raccomandata in ogni parte d'Italia, dal Piemonte alla Sicilia, all'indirizzo dei familiari: un diploma ve rosimilme nte accollo co n part icolare commoz ione, mentre il n eodottore era al fronte e non certo per festeggiare quel tr·aguardo di vita professionale<•,.
Nel settore de lla Facoltà di medi c ina dell'arc hi vio di Leg naro dell'Università di Padova si può consu ltare un vasto materiale relativo a i «Co •·s i per s tude nti mi litari», svolti s ia a San Gi o rgio di Nogaro che a Padova nel 19 16- 1917m. Una rubrica raccoglie i nominativi dei laureati ne ll'april e 1917, con la data d i laurea e il re la tivo punteggio. Negli scaffali n. 8 e n. 9, nume rose custodie col titolo «Corsi di medi c ina in zona di guerra» co ntengono, in ordine a lfabetico, i fa scicoli scolas tic i s ia degli s tude nti c he poi conseguirono la laurea a Padova, avendo per gran parte frequentato in precedenza a ltre Univers ità de l Regno, sia di quelli che ebbero un percorso scolastico non completato nell'Università padovana. Tali fasc ico li sono dis ti nti nell'arc hi vio con il termine di «fascicoli castrensi ». Alcuni volumi raccolgono ino ltre i p1·ocessi verbali degli esami speciali, co n l'indica-
zione de i quesiti estratti , con i nomi el c i tre membri de lla co mmi ss io ne interve nuti all'esame c co n la votazione conseguita. Altri conten itori raccolgono la corrispondenza del R e ttore intercorsa con gli organi minis te riali cd o perativi dei Mini steri de ll a Guerra c della Pubbli ca Is tmzione, in pa.-ticolare re lativa a ll'assunz ione de l perso nal e doce nte proveniente da alt1·e Uni versità ital iane. È dunque da sottolineare l'intet·esse che può t·appr esentare questa docume nt azione a nc he a l fin e di un approfondi lo s tudi o cl i questa ecceziona le sperimentazione didattica, condotta in uno straordinario mome nto della storia ital iana nel l'U ni versità eli Padova.
Prof. Giuliano Lenci NOTE '" Relazione dell'Università di Padova, Corsi accelerati della Facoltà di m edici/W e chimrgia, Pado,·a. Draghi, 1917. ''' lvi. "' l vi. " ' Si ved a Ira gli allri G. Soli11·o, Padova nella Guerra ( 1915- 1918), Padova, Draghi. 1933. ''' Ministero della Guemt, Urficio Sanitario, 6 sett. 1917; Esercito italiano, Comando Supremo, 28 genna io 19 18. ••• Università d i Padova, Pulazzo S to· rione. Urficio r ilascio dip lomi d i laurea. '" Documentazione dell'Archido di Legnaro dell'Università di Pado,a, settore di Medicina e Chirurgia.
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Prof Andrea Curami.
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SCIENZIATI DELL'UNIVERSITA ESFORZO BELLICO NELLE DUE GUERRE MONDIALI l motivo di questo mio breve intervento n asce dall'esigenza di analizzare la situazione delle Forze Armate italiane alla fine della seco nda guerra mondiale, cioè alla data dell'armis tizio, confronta ndone lo sviluppo o la situazione con l'entrata in guerra nel giugno del 1940 e le analoghe s ituazioni dell e Forze Armate italiane al ter-
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mine della prima guerra mondiale, confrontandone le forze e la struttura all'ingresso in guerra nel 1915. Di fatto i periodi so no confrontabili e la prima considerazione d guarda Ua tecnologia e l'armamento delle Forze Armate ita liane nel 1943, soprattutto del Regio Esercito e della Regia Aeronautica. Orbene, negli a nni dal 1940 al 1943 poco è cam-
biato per quanto riguarda il Regio Eset·cito e l'armamen to, di fallo, non differisce neanc he in quei setto ri di più avanzata tecnologia. La meccanizzaz ion e non presenta grosse novità: al carro •• M 11/39)) del 1940 è subentrato l'«Ml3)) e l'••M 14))' dèrivati da questo e senza notevoli cambiamenti. Un discorso analogo si può fare per l'Aviazione: il bombardamento e· la ricognizione rimangono con gli stessi mezzi; per quanto riguarda la linea caccia, i velivoli entrati in linea in piccolo numero nel 1943, e parlo del «Macchi 205)), sono in realtà dei velivoli del 1940 ai quali è stato sostituito solamente il motore stellare del «Macch i 200)), motore in linea di concezione tedesca. Orbene, la situazione è di · apparente immobilismo, fondamentalmente di in capacità di adeguare i mezzi della seconda guerra mondiale. A questo stato di cose si contrappone una situazione, a ll'iniz(o della prima guerra mondiale, in eu i le Forze Armate italiane erano cond izionate da una realtà industriale sicuramente pressoché primordiale, da una si tuazione di difficoltà genera le e da un'impreparazione sulla carta ben maggiori: per averne un'idea basti pensare al grado di alfabetizzazione della popolazione italiana nel 1915, che imponeva gross issime difficoltà nel crea t·e in tempi brevi operai specializzati in grado di lavorare nelle fabbriche, o
s i pensi alla struttura em- due epoche. È chiaro, a quebrionale della nostra indu- sto punto, c he il volerne ristria: all'epoca il sellare mc- cercare le cause porta sicula l meccanico era in gran ramente a riconoscerne alcuparte s uddito delle industrie ne, di carallere generale, acestere, soprattutto di quelle cennate già da molti altri regermaniche. Se ana li zziamo, latori prima di me, nei produnque, l'Aviazione italiana blemi di natura economica alla fine della prima guerra che hanno indubbiamente mondiale, questa è perfella- reso difficile la preparazione mente in linea ed adeguata delle Forze Armate italiane con le altre aviazioni com- dal 1935 in poi. Infatti le ballenti, e come rife.-imento spese da esse sos te nute per abbiamo quella tedesca, in ·partecipare a ll e g u e rre di minor misura quella austro- Etiopia e di Spagna hanno ungarica nonché importan- finito per assorbire molti dei tissima, all'epoca, l'Aviazione fo ndi a loro disposizione. francese. Analogamente, se Questo, però, non ha minisi prende in considerazione mamente impedito una polil'armamento dell'Esercì t o, tica di nuove commesse. notiamo che vi è stata intro- Non ci si deve nascondere il dotta una rniriade d i i n nova- fatto che, soprattulto nel pe, zioni a causa delle con tinue, riodo che va dal 1930 fino almutevo li condizioni della la fine del 1943, l'industria gu erra. Si registra, infatti, italiana ancora produce moll'introdu zione degli aggressi- te commesse soprattutto per vi chimici, di certo non un'i- la Regia Ae•-onautica ed il dea italiana, ma che comun- Regio Esercito. Esse avevano que tutti gli eserciti rapida- una natura più assistenziale mente adoperano, dei lancia- che di reale rinforzo dell'apfiamme, delle armi automa- parato militare ed è evidentiche di reparto, dei fucili te, quando si esamina l'andamitragliatori (la mitragliatri- mento delle commesse, che ce esisteva già) ovvero di ar- ancora nel 1943 si ordinavami automatiche da fianco. no, in numero non trascuraInoltre, alla fine della prima bile, apparecchi ormai obsoguerra mondiale l'industria leti solamente pet· continuabellica italiana era in grado re a garantire una continuità di pmdurre fucili automatici di lavoro e quindi non creare che erano i padri del ••MAB)) problemi di natura sociale. c he molti di noi conoscono. Questo disco•·so richiama È chiaro che un'indagine co- chiaramente un altro probleme questa, presentata in ter- ma ovvero un'altra causa, di mini molto grossolani, lascia questo mancato svi luppo delpiuttosto perplessi, sop rat- le Forze Armate che poi si è tutto perché tiene conto del- imputato anche a problemi l e condizioni industriali di natura politi ca. Vi fu una completamente diverse delle certa riluttanza ad imporre 33
Jsemovenli M 13175 dell"'ArieLe" a Bir Hacheim (opera di A/berLO Parducci).
sacrifici, sicuramente impopolari, e questa ricerca spasmodica de l consenso del popolo fu una de lle cau se per c ui, probabilm e nte , non s i imposero rea li leggi di razionamento e di tesseram e nto. È un discorso che non coinvolge solo l'Italia ma anche la Germania soprattullo p e r i primi anni del secondo conflitto mondiale. Diversamente avvenne in Gran Bretagna, dove s i scelse una certa politica, sicuramente impopolare, sicuramente diffi c ile, ovviamente imposta ma alla lunga produttiva. Qu es to spiega anche , in molti casi, un minor gettito de lla nostra industria, s ic uramente più avanzata nella seconda guerra mondiale, rispetto a quello avuto durante la prima. Se si esaminano, infatti , le ore di produzione owero i temp i di lavoro nell'ambito dell'industria, questi sono di gran lunga infer iori ne lla seco nda gu erra mondiale •·ispet to a quelli nella prima, vis to c he non si vo ll e fondam e ntalme nte imporre un orario di
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lavoro superiore alle di ec i ore giornaliere c limitare i l numero degli s traordinari. Vi fur-ono grossi problemi, grosse diatribe a ll'epoca, ma di fatto il potere politico non permise ques ti tipi di impos izioni e sembrerebbe si possa addirittura dire c he vi fu una sca•·sa capacità, nei confronti delle industri e, ne ll'imporre certe scelte . Difatti s i continuò ad acquistare quello che l'industria produceva e no n vi f11rono grosse possibilità di impo t-re all'industda la produ zione di certi pezzi o mezzi c he erano ri c hi es ti dall e Fo•·ze Armate. Siamo di fron te ad un paradosso: confrontando lo sforzo globale fatto dal Paese e dalle s ue Forze Armate nelle due guerre non s i può fare a meno di notare c he un Paese industrializzato sola me nte a li vello embrionale , qual era l'Italia nel 19LS, in realtà reagisce e s i adegua m o lto megli o alle es igen ze belliche de ll a prima guerra m o ndial e di quanto abbia fatto ne lla seconda. Prima h o dato alcun e
spiegazioni, sono quelle riconosciute dagli storic i. Vorrei ora analizzare, e qui entro nell'argomento che mi ero propos to di trattare, quello che succede anche dal punto di vista scientifico ovvero i rappo•·ti tra Forza A•·mata o industria b ellica e ricerca scientifica. Fatto s icuramente importante, come vi dicevo, è c he nella prima guerra mondiale s i devono fonda mentalmente i n ventare le tecniche di produ zione, i process i produttivi , s i deve cercare di c reare da zero una macchina c he produca, c he so ddi sfi le esigenze della guerra. È c hia•·o c he, a ques to punto, d iventi s ignificativo il fallo c he un importante professore di Napoli, il prof. Piutti, noto c himico dell'epoca, ini zi a studiare i problemi di produzione de lla cloropicrina. E malgrado tutli riconosca no all'industria tedesca la pri o rità nella costruzione c ne lla produ zione di aggressivi c himici, per alcuni c!i qu es ti , come appunto la cloropicrina, fu il prof. Piutti c he riuscì a s tudiare i meccanismi di produzione in termini eco no mici ed a fomire qùesto prodotto c h e venne poi massicciamenle utili zzato nel corso del 19 17. Inoltre, se nza il prof. An ge li , a ltro c himico, no n si sarebbero risolti i probl e mi de lla s tabilità e del potenziamento delle cariche di lan cio e degli esplos ivi. Soprattutto il settore d ell a c himica era particolarmen te indietro in quan-
Le AB 41 del ReCo "Lodi" in azione nel Maretl! (opera di Il/berlo Parducci).
Lo non vi era stato a monte un grosso sviluppo di industrie di colori. Ci i era sempre affidati a ll'indu stria tedesca per cui, a ll o scop pio della guerra, la produzione dei derivati chimici e dci colori sono stati i settol'i che si sono trovali maggiormente in difficoJtà. I rapporti fra Università e Forze Armate e industria b e llica, a ll'epoca, sono documentabili anche in altri settori, infatti già stamattina si è parlato del contributo di Cavalli in periodi precedenti ovvero del (atto che gli Ufficiali superiori, gli Ufriciali di Forza Armata, di fallo per motivi di preparazione, conseguendo molti di essi la laurea, eccellono anche nell'u niversità, soprattutto negli studi scientifici. Sicuramente bisogna riconoscere che i grossi sviluppi nel campo della meccanica razionale, della matematica applicata nonché della meccanica applicata, che è il mio settore disciplinare, arrivano proprio da queste es igenze, che da un lato crea la Forza
Annata e dall'alu·o vengono risolte in stretto connubio fra professori Ufficiali ovvero Ufficiali professori che lavor·a no in Università. Vorrei ricorda r·e, ad esemp io, che Ettore Cavalli, fu uno dei grossi teorici per quanto dguarda i problemi relativi alla balistica esterna ed interna e con lui diciamo tutti gli allievi di Francesco Siacci, cattedratico, i quali, e cito nomi a voi molto noti quali il prof. Picone, il prof. Fubini , Giovanni Bianchi, Giuliano Ricci, Giovanni Burzio e Francesco Saveri, costitu irono quello staff d i persone, in parte militari, in parte professori, che contribuirono a risolvere, nella prima guerra mondiale, i problemi di artiglieria, in primo luogo quelli •·clat ivi alla cos truzione e alla creazione d i nuove tavole d i tiro. Si tenga presente, infatti, che molto del materiale entrato in uso nel Regio Esercito era materiale che non esisteva all'inizio delia guerra per cui vi era l'esigenza fondamentale di preparare le tavole di tiro
adeguate. D'altro canto a cariche di lancio che via via miglioravano le proprie caratterisliche seguì, con il contributo di altri professori, l'invenz ione di nuovi prodotti c himi c i per lanciare più lontano i proiettili. Un altro tipo di problema, sottova lutato dagli stessi austro-ungarici, era legato al fatto che la guerra non si svolgeva più in · pianura ma in alte quote, per cu i le tavole di tiro, calcolate in pianura, risultavano non corrette per il tiro in alta montagna o a media costa, qui n di c'era il problema di produrre questa enorme quantità di dati per soddisfare immediatamente la nuova esigenza presentatasi. Vorrei ricordare un ailm nome, anche perché fu poi il Presidente del CNR, il prof. Vito Volterra, illustre matematico, i cu i studi sono legati a problemi strettamente bellici. Fu lui , ad esempio, a studiare e ad introdurre l'elio per il riempimento dei dirigibili e, atlraverso importanti esperimenti di laboratorio, fu il primo a studiare e a dare una ragione tecnica alla fonotelemetria facendo sì che l'Italia, in questo campo, fosse all'avanguardia, poich é gli studi di Volterra f·urono proseguiti in Francia, dal Volterra stesso, ed anche in Gran Bretagna. I suoi studi dell'epoca sono stati la base fondamentale di tutto il problema fo notelemetrico owero di tutto il problema legato a l tiro antiaereo, quindi alla valutazio-
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Centro di fuoco della "Folgore" (opera di Alberto Parducci).
ne della velocità d i un mezzo brione di galleria a vento p er e della quota alla quale que- la precisione, fu voluta dalsto mezzo si muove, proble- l'allora Generale Croceo proma che Volterra riuscì a ri- prio a Monte Celio per iniziasolvere in modo estremamen- re, qualche anno prima tanto te brillante. Direi che se vi è di Prandi quanto di Von Karstato questo grosso contribu- man, gli stucli eli aerodinamito, il passaggio di informa- ca applicata. Diciamo che si zioni da Università a Regio potrebbe citare anche DemeEsercito e da Regio Esercito trio Elvig, il primo a provare a Università, non si deve as- i tessuti impermeabili a ll 'isolutamente pensare ad un drogeno, elemento fondacontributo unidirezionale, in m enta le per la costruzione cui la ricerca viene solamen- dei dirigibili nonché il prof. te fatta in sede universitaria. Pistolesi e gli studi sulle el iTutt'altro, in quanto, ad che e sull'aerodinamica. Queesempio, per il pmblema le-. sti ultimi sono rimasti fino gato all'Aeronautica, l'Uni - alla metà degli anni Trenta i versità ricevette importantis- più avanzati in tutta Europa simi con tributi proprio dai tanto da essere oggetto di nobattaglioni specialisti che il tevole attenzione anche da Regio Esercito aveva creato, parte della NASA in America. all'epoca, a Roma e da persoInfine, non si dovrebbe dinaggi come il prof. Croceo, menticare la soluzione dei preceduto dal prof. Dal Fab- problemi degli a liscafi: fra le bro e dal Colonnello ovvero il idee di Croceo c di Forlanini prof. Bruno Finzi, c he furono vi fu l'idea idrodinam ica, i primi a studiare i problemi frutto dell'esperienza in vaconnessi a lla resistenza dci sca idrodinamica con le aletcorpi in un fluido in moto c i te portanti, che è il principio p•·oblemi di aerodinamica. fondamentale con cui oggi s i Vorrei anche ricordare che la utilizzano gli aliscafi. Mi perprima ga lleria a vento, em- metto di aprire una breve pa-
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rentesi: molte cose furono· scoperte da questo estremamente fattivo contributo e scambio di esperienza e poi furono dimenticate e quindi riprese ancora, come, ad esempio, le alette portanti di Croceo. Il radar ebbe stessa sorte: innovazione del 1909 da parte di un noto tecnico di una compagnia olandese, dimenticata e poi ritrovata nel 1933 e utilizzata per misurare la distanza tra la Terra ed i pianeti del sistema solare, quindi riscoperta in grande segreto alla fine degli a nni Trenta. Credo si possa dunque affermare che la ticerca scientifica non abbia reg istrato progressi durante gli anni Trenta proprio a causa del mancato interscambio di informazione, ovvero del fatto c he le F orze Armate rendessero note le proprie esigenze ed il mondo scientifico s i interessasse alle stesse. Proprio in quell'epoca, infatti, sono stati creati Enti comc il CNR che di fatto dovevano cercare di dirigere le ricerche e finalizzarle agli scopi applicati. Come si è visto perciò non vi è stato più un intervento diretto della Forza Armala nella fase della produzione ovvero questo non poteva più esistere in quanto motivi politici lo impedivano e quindi, probabilm e nlc per questo motivo, l'industria ha conti nuato a svilupparsi secondo le proprie idee riman e ndo sorda a l progresso scie n ti fico. Prof. Andrea Curami
Seconda sessione - - - - - - - - - - - .
Moderatore: Gen. C.A. Mario Buscemi
CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
UNIVERSITÃ&#x20AC; E ISTITUTI MILITARI
Preparazione culturale e professionale degli Ufficiali del 2000
Gen. C.A. Roberto Altina.
L'UFFICIALE DEL 2000. e qualità deii'Ufl/ciale devono rical({ care quelle di 1111 ge ntleman, tale che, svestito del grado dell'assise militare ed abbandonato, per così dire, al proprio peso specifico, egli vada 111aterialmente posto fi'a le genti più colte e rispettabili». Così alla fine del secolo scorso, scriveva Felice Sismondo, Capitano di Stato Maggio1·c.
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Qu esta descrizione sembra· racchiudere c risolvere il problema che ci stiamo ponendo, dal momento che appare del tutto rispondente ai canon i di una lunga, consolidata tradizione. Tuuavia, in un mondo in così rapida evoluzione, non è possibi le acceuarc stcrcotipi generici, a ncorché validi, senza una conti nua vcl"ifica critica del
mondo professionale e culturale che ci circonda ed adeguare costantemente e a ragion veduta l'iter formativo dell'Ufficiale, perché egli possa inserirsi in questa realtà dinamica. Solo in questo modo l'Ufficiale potrà far valere la propria pro [essiona li tà, dando è o sì senso compiuto e arricchendo di vitalità la propria missione. Formare Ufficiali pronti ad affrontare queste nuove situazioni è un esigenza prepotente che emerge dalla modernjzzazione dello strumento militar·e in tutte le sue componenti di uomini, di mezzi, di dottrine d'impiego e dall'evoluzione del contesto geostrategico in cui sempre più spesso s i è chiamati ad operare. La trasformazione graduale deHe Forze Armate in una Forza più professionale, il nuovo ruolo strategico assunto dalJ'Italia richiedono l'apporto di un Ufficiale moderno: un professionista esperto, responsabile ed aggiornato, in grado di offrire sicurezza a tu t ti. Quale dunque la formazione culturale, quale quella professionale, quali le motivazioni che devono connotare l'Ufficiale del 2000? Cercheremo, i miei collegru ed io, di esporre le nostre idee nella speranza ru avere consensi ma soprattutto di avere nuovi impLÙsi, idee nuove, critiche salutari per procedere oltre.
LE SFIDE «!l sistema formativo militare - c ito il Prof. Carlo Maria Santoro dell'Università di Milano - è, all'interno della Pubblica
Amministrazione, probabilmente quello che, più sistemclticantenLe e con perìodicità, obbliga i suoi Ufficiali a. ù~vestire in conoscenza. e apprendùnenlo. Si tratta di un metodo importante, che si integra con le esperienze ripetute presso ist itu zio n i militari e civili straniere» . I fattori che più di altri rendono attuale questa esigenza di modernizzazione sono sostanzialmente i seguenti: • primo fattore: il mutato quadro strategico in cu i l'Italia è chiamata ad operare; • secondo fattore: il passaggio dalla tradizionale forma di reclutamento basato sulla coscrizione obbligatoria al reclutamento dei volontari; • terzo fattore: il contesto socio-culturale nel quale l'Ufficiale assolve al suo compito. Esaminiamoli brevemente. Con la fine del bipolarismo, l'Italia ha oggettivamente acquisito un ruolo strategico al confine geos torico e culturale Fra Est e Sud, come la guerra in Bosnia ha dimostrato. Il quadro strategico mondiale, poi, si caratterizza per un tipo di conflittualità sostanzialmente nuovo e diverso da quello classico, che si rifaceva ad una netta e precisa contrapposizione dei due bloccru. Ad una linea di demarcazione che divideva chiaramente i possibili contendenti si è sostituito un articolato «Confine», spesso indecifrabile ed in continua evoluzione. Da comportamenti, nel primo caso, basati swl'applicazio-
ne di procedimenti di impiego ampiamente standardizzati, metodicamente riproposti, connotati da sistematicità e, soprattutto, da un criterio di scelta reso facile da un numero limitato eli opzioni, si è passati acl una ben diversa condizione che pone costantemente in dubbio situazioru ritenute chjare che impongono invece, per la loro solu zione, decisioni e scelte non solo immediate ma, spesso, non paradigmatiche. [n altri termini, le operaz ioni che da qualche anno s i svo lgono sullo scenario mondiale vedono sempre più frequenti g.li interventi in aree di cdsi contraddistinte da contesti Jocali complessi, viziati da rivalità di ogni tipo, razziali, religiose, tribali; interventi che richiedono una elevata capacHà di immediata comprensione, di mediazione, di «colloquio» e, quando necessario, di dosaggio, non sempre facile, ttra azione di convincimento ed uso della forza. Queste situazioni, cosl diverse da quelle tradizionali, devono essere necessariamente a(frontate dai Comandanti. E sono proprio loro, i Comandanti - a tutti i livelli -, non solo quelli di rango più elevato, ma soprattutto i Quadri minori, a dover possedere, accanto ad una professionalità eli prim'ordine nel campo tecnico-militare e ad uno spiccato «Spirito di guerra», qualità e conoscenze di ordine culturale, sociologico e psicologico tali da podi in condizione eli instaurare un rualogo continuo e convincente non
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soltanto con i propri uom1n1 di scuola media superiore e di ma anche con popolazioni una spiccata professionalità. tanto diverse per razza, cultuQuesti saranno gli interlora, religione. cutori quotidiani sia del giovaAd onor del vero, nelle cir- ne Ufficiale, appena uscito dalcostanze in cui i nostri Uffi- le nostre Scuole di Formaziociali sono stati impiegati fuori ne, sia dei Comandanti più andai confini Nazionali hanno ziani, ai quali spetta l'onere di gestire, in modo globale, uno dato una buona risposta. In un suo intervento, il strumento così ridisegnato. Gen. Loi, che ricordo è stato Perché un Uffic ia le, q uaper 5 mesi il responsabile del- lunque sia il grado rivestito, l'operazione «IBIS» in Soma- trovi adegu ata collocazione in lia, parla di stupefacente sen- una struttura così cara tterizso pratico e gran de capacità zata, è indubbio debba possedi movimento, e con il massi- dere una preparazione tecnimo tatto, dei nostri ragazzi, in co-professionale di li vel lo siuna situazione operativa con- curamente elevato, ma a nc he traddistinta da elevata Ouidità una base culturale decisamenche ha imposto il conferimen- te superiore ai propri subordito della più ampia autonomia nati al fine di poterli indiriza tutti i livelli di comando. zare, sostenere ed educare. I nostri Ufficiali ne hanno Altrimenti potremmo trosaputo fare un ottimo uso varci di fronte - come afferma mettendo in luce spirito di ini- il Gen. Buscemi in un suo arziativa, disciplina e coraggio. ticolo pubblicato sulla Rivista Può essere mancata ai più Militare - a sensibili e delicati giovani qualche cosa nel campo squilibri nella struttura geraraddestrativo per lacune in un chica e funzionale delle Un ità settore operativo diverso da quel- e dei Cdmandi. E veniamo al terzo punto, lo tradjzionale, come quello di peace-keeping, ma nel complesso il contesto socio-culturale nel la preparazione generale, le mo- quale l'Ufficiale è inserito. tivazioni profonde, l'elica profesIn primo luogo occorre consionale sono state rispondenti al- . siderare la più larga diffusione le esigenze, confermando la degli studi universitari, che sobontà della preparazione di base. no cond izione indispensabi le Il secondo aspetto riguarda, per svolgere funzioni dirigenzialo ricordo, la nuova fisionomia li nella burocrazia dello Stato. che l'Eserc ito va assumendo Inoltre, la sempre più su·etcon la presenza dei volonta.-i e, ta integrazione tra mondo mia partire dal 2000, di Mare- litare e società civile ha comscialli Comandanti di plotone. portato indiscutibilmente la Si tratta di una vera c pro- necessità di un pari livello di pria rivoluzione struttur·ale cultura fra militari e civili, per con la quale l'Ufficiale dovrà evitare una condizione di suconfrontarsi: soldati di pmfes- bordinazione psicologica e di sione, con elevata e radicata prestigio, certamente ingiusta. esperienza; Marescialli CoSarebbe, altresì, poco ragiomandanti di plotone, tutti in nevole non tendere ad acquisire, possesso di un titolo di studio anche formalmente, una quali fi-
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cazione di valenza superiore, quale que!Ja conf-erita da un titolo di laurea, solo in ragione eli. un malinteso senso di autosufficienza, giustificato in passato dagli studi intrapresi nel corso della vita militare, spesso più onerosi di quelli universitari, sia per durata sia per ampiezza e varietà di tematiche. Siamo spesso usi dire: nove ann i di studi tra Accademia, Scuola d i Applicazione, Scuola d i Guerra, Istituti Stati Maggiori I nterforze e poi CASD non valgono forse una laurea? Però dopo 9 anni di severi stud i quando còmpiliamo il «740» dobbiamo scrivere alla voce titolo di studio, «matudtà scientifica». Un Ufficiale, destinato a ricoprire un ruolo di guida e di indir-izzo ed al quale sono richieste prestazioni di elevata qualificazione sia neU'impiego dci mezzi e dei mate.-iali sia, soprattutto, in quello degli uomini, non può non avere le stesse connotazioni culturali di altri che, nel mondo senza steUette, svolgono fun7.ioni analoghe. Prima di trarre le conclusion i, ritengo opportuno dare uno sguardo a quello che nel settore specifico fanno gli Eserciti allea ti cd amici con i quali ormai sempre più frequentemente, veniamo in contatto. STAT I U N IT I
La preparazione si basa su una forte componente tecnico-professionale cui se ne somma una culturale di grandc spessore. lnfatti, il principio posto a base della formazione degli Ufficiali presso l'Accademia dj «West Poi n t» è quello che l'Istituto non deve preparare
Allievi dell'Accademia a colloquio co11 il Coma11dante di plotone.
soltanto professionisti delle arm i, ma anche una classe dirigente pronta ad inserirsi ad alto li vello intellettuale e cu lturale in tutti i settori della vita nazionale. GRAN BRETAGNA
La formaztone è eminentemente militare. Coloro che accedono all'Accademia sono in possesso di un diploma di scuola media s uperiore e del corso di amm issione all'università della durata di un anno o di un titolo di law·ea (circa illS%). Le Autorità Militari guardano con grande considerazione ed interesse al possesso di una laurea da parte degli Ufficiali. Infatti, dopo il corso di formazione, i p iù dotati usu[Tui scono di borse di studio per arriva•·e al conseguimento della laurea, dopo un certo periodo di attività presso i reparti.
FRANCIA
La preparazione tecnicoprofessionale e quella cu lturale, integrate, hanno un peso rileva n te. ln[atti, l'a ccesso a lla Scuola di formazione richiede che i giovani aspiranti abbiano frequentato un biennio universitario. Una volta immessi nella Scuola di Saint Cyr, o ltre all'acquisizione del bagaglio tecnico-professionale, la preparazione viene indirizzata e finalizzata al successivo conseguime nto della laurea seguendo diverse opzioni di formazione scientifica o umanistica (socio-economica). GERMANIA
L'Ufficiale accede alla professione delle armi da soldato semplice e attraverso l'acquisizione di tutti i grad i intermedi, dopo un periodo di 36 mesi, viene nominato Sottotcnente. Qu esti, dopo almeno tre mesi di comando di plotone
presso un reparto operativo, può accedere all'Università lnterforze ove consegue dopo quattro anni di studi un vero e proprio diploma di la urea. CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI Da questo rapido esame, il modello di riferimento dell'Ufficiale del 2000 - chiamato ad operare, lo ricordo, in un ambiente geostrategico molto dinamico, ad impiegare professionisti e mezzi sempre piLJ sofisticati, in un contesto socio-economico anch'esso in rapida evoluzione - deve essere quello di un professionista, specificamente motivato; consapevole delle problematiche di una società postindustriale, in cammino verso la globalizzazione dell'economia, della politica e del sociale. Quindi, un professionista con capacità di in serirsi nel mondo moderno, s uperando steccati di tipo c ulturale e pregiudizi che ci hanno- talvolta - collocati sullo sfondo della
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Cadei/i del r amw in sala scrittura.
vita nazionale c che spesso, come sostiene il proL Santoro, hanno generato una forma di sottostima del ruolo svolto. Questo modello di riferimento, ancora, è que llo di un UITicia le con competenza specifica in un campo s igni fi cativo dcll'atlività umana (Managelllent of violence), disponibile cd aperto all'evoluzione continua ed incalzante specie nel campo tecnologico, c orientato verso una sempre maggiore specia lizzazione, dotato di capacità di stabilire e gestire rapporti parilctici nei più svariati contesti internazionali. [n stretta sintesi, stabi li ta el i l'allo a cinque anni la dura- . ta del ciclo iniziale d i formazione, le esigenze di pt·eparazione culturale per ottenere questo «prodotto» ci sembrano essere le seguenti: • consolidamento della motivazione su l pia no e ti co. (Per inc iso, informo che già da quest'anno è stata in~tituita pt·csso l'Accademia una cattedra di Etica e Arte Militare); • formazione di un bagaglio cu lturale d i base, con studi di tipo universitario, a carattere giuridico-ammini-
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stra livo-umanis ti co e tecnico-scientifico; • conseguimento della specializzazione nei campi di attività professionale (giuridico, amministt·ativo, economico, scienti fi co) con studi -sempre di d ignità universitaria - propl"i dell'indirizzo desiderato; • f01·mazione del combatlenLc, con studi militari, istn.tz ioni pratiche c con addesu·amento ginn ico-sportivo. • conoscenza profonda di a lmeno una seconda lingua. Vi sembra troppo ? A me non sembra. Basta dosare c razionalizzare gli sforzi. Respinta o accantona ta la laurea in Scienze Militari o della Difesa, il nostro impegno di riorganizzazionc del settore scolastico deve essere indirizzato lungo due direttrici, le stesse che costituiscono lo scopo principale di questo Convegno: • 1·iconoscimen Lo de iure oltre che de facto del ruolo di vere c pmprie Università Militari delle nostre due principali Scuole di formazione: Accademia c Applicazione; • r iconoscimento de lla piena dignità univers itaria eli alcune nostre matcdc lcori-
che, svolte da insegnanti aventi vesti di docente universitario. Quale allora il piano o i piani di studio da segu ire? l Comandanti delle Scuole e noi dell'Ispettorato stiamo lavorando già da tempo. L'ipotesi più percorribile, ma che richiede l'approvazione dci responsabi li dci Dicas te ri della Difesa, dcl l'Univet·si tà c della Ricerca Scien tifica c delle Università interessate, sembra essere quella di adaltare tutti e cinque i corsi di laurea (Giurisprudenza, Sc ienze Politiche, Ingegneria, Economia e Commercio, informa ti ca) alle nostre esigenze con un'operazione di mixage fra i val"i indirizzi di tulte le Facoltà. l n prali ca si tratterà di definire, ripeto, d'intesa con le Un iversità: • le docenze itTinunciabili di ciascun corso di laurea; • le materie rispondenti alle esigenze di specializzazione militare; • i corsi eli studi o che integrano il bagaglio cu lturale di base, che vogliamo costituisca patrimonio comune a tutti gli Ufficiali del 2000. ' La strada è lunga c irta di ostacoli. Per q uesto c i piace. Non vogliamo essere «Luttologi». Non ci interessa. Desideriamo solo, contribuire a formare una classe dirigente d'élite indispensabile per lo sviluppo morale c c ivi le di un gra nd e Paese come l' lt a.lia. Ccn. C.A. Roberto Altina
Pro( Gia11 Mario Brm•o.
LE SCIENZE POLITICHE NELLA CARRIERA MILITARE a Facoltà di Scienze Politiche è nata negli anni Settanta dcii'Ouocento, a Fi r·cnze, come scuola superiore per la formazione del peronale diplomatico. Si è consolidata, su sollecitazione di quei polit ici, studios i c politologi, che si interessano della «funzione pubblica», quale istituto rivolto a giovani che avessero completato il ciclo universitatio
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e scuola di preparazione i tituzionalc c amministrativa. Sarebbe Stata c hiamata a formare -sulla scìa d i quanto andavano facendo in Francia le g randi scuole di ((amministrazione pubblica•• (la più importante sarà l'E.N.A.)- f1.mzionari capaci di affTont.arc i problem i della eterogenea c vasta gamma del pubblico impiego, che si venh·a articolando dopo l'Unità. Fra le
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questioni preliminari, ci fu l'u- (pedagogico, umanistico, tecnificazione e l'omogeneizzazio- nico- sc ientific o, militare, ne dei separati sistemi burocra- ecc.)? Oppure, in qualunque tici, che, prima del 1861, aveva- ufficio, struttura, organo o enno caratterizzato i piccoli Stati te debba agire, il funzionario regionali preunitari e ne aveva- dello Stato, oltre alla preparano contrassegnato politica e zione s p ecifica, ovviame nte arnminjstrazione. necessaria , deve posse d ere Scienze Politiche assunse la una cultura politica e istituziosua veste de finitiva nel 1925- nale generale, anzi, universale, 1926, dopo svariate discussioni tale da renderlo ncssibile e caparlamen tai-i, nelle Università pace di affrontare una moltee nell'opinione pubblica, col- plicità di situazioni diverse, l'attivazione a Rom a e subito che sempre più s i differe nziadopo a Pavia e a Padova eli Fa- no, man mano che la società coltà autonome, che si affian- politica e civile progreeliscc, si carono a quelle di Giurispru- sviluppa e diventa più comdenza e s i diffusero nell'intero plessa? La risposta dei «riformatoPaese. Dopo un travaglio durato parecch i anni, lega to alla ri» era implicita nelle questiocrisi delle istituzioni centrali, ni sollevate. Il processo coinvennero ricostituite nel dopo- volse le Facoltà di Scienze Poguerra, fino ad assumere, nel litiche, c he sembrarono il luo1968, connotati simili a quelli go scientifico e cultura le piLJ presenti, con la divisione inte•·- atto a fornire le essenzia li nona in indirizzi e la laurea con- zioni di base, rapportate a lle istituzion i amministrative, ne i Ferita nel l'ambito d'essi. La breve ricostruzione pro- molteplici campi del sapere: il posta potrebbe apparire super- diritto pubblico e privato, la ficiale e di esclusivo interesse storiografia non solo ital iana, accademico . In realtà, il dibat- la storia delle teorie politiche e tito, lungo più di un secolo e delle relazioni internaziona li , pur importante, vide protago- l'economia, la statistica, la sonisti personaggi dell'establish- ciologia e, citata per ultima ment scie ntifico c istituziona le . ma prima per interesse- a l-per cita rne solo alcuni, Carlo meno negli ultimi decenni - la Cattaneo e Carlo Alfieri eli So- scien za della politica e delstegno, Gaetano Mosca e Aldo l'amm inistraz ione. La sce lta Moro, Al essa ndro Passe rin gradualmente convinse le amd'Entrèves c Giuseppe Mara ni - minis trazioni de llo Stato, c he ni, pe•· arrivare fino a Gi an- -con lentezza -cominciarono franco Miglio -, cd ebbe moti- a cambiare. Oggi, se ancor vazioni fondate, rispondenti a non sono pienamente visibili, interrogativi precisi. s i intui scono però i risultati La formazione del persona- della grand e trasformazione, le dello S t ato deve passare culturale e ne i fatti, che rawiesclusivame nte a ttraverso una c ina e assimila la nostra gep repar azio ne giuridica o prc- s tione pubblica a quella di a lp onderata m e n te g iuridica, tri Paesi, che seppero anticipaalla quale si accostano poi mo- re la modernizzazione, utilizdelli formativi - specialistici zando nella pratica quotidiana
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n on tanto mezzi form a listici, legati a obsolete concezioni del diritto pos itivo, quanto i . metod i delle scienze sociali. Da questi presupposti concettuali è nato il rapporto fra l'Università, avente in prima fila, ma in modo non esclusivo gli insegnamenti collegati alle scienze della politica, e il mondo militare. Questo, alla luce eli una tradizione plurisecolare - si rammenti la storia della torinese Scuola di Applicazione - aveva sviluppato suoi elabora ti e sofislicati canoni di preparazione tecnica e settoriale, li poneva al centro delle attività pedagogic he ed ed ucative delle accademie e li usava per la formazione dei giovani nelle carriere direttive dell'Esercito. I risultati ai quali si è pervenuti - ma esprimo solo l'opinione della parte universitaria -sono lu s in ghieri. Naturalmente tutto è perfettibile ed è collegato a i progressi della società, ai cambiamenti dell'Università e alle esigenze e trasformazioni, di cui è percepibile l'ampiezza, degli apparati di difesa dello Stato. Con rapidi cenni , ill ustro come si sia pervenuti a lla collaborazione intensa e fattiva fra la Facoltà di Scienze Politi c h e e il m o nd o militare: quèlle Forze A•·mate, in cui tulti s i riconoscono non solo co me s imbolo ma in quanto es pression e d e ll a co n c re ta uni tà dello Stato nazionale. TI lavoro comune è stato intrapreso da a lc uni ann i ed è cominciato - per la Facoltà di Scienze Politiche- grazie a un conta tto awiato nei pt;mi mes i del 1989 per iniziativa del-
l'allora Comandante della Scuola di Applicazione, Generale Mario Buscemi, e condotto i n prima persona, insieme ad alcuni collaboratori, dall'indimenticato Colonnello G iovanni Bussolini, di cui amo rammentare, oltre alle indubbie capacità, la costanza nel perseguire .i fini, che in breve sarebbero diventati comuni, con la volontà di risolvere i problemi e di superare gli ostacoli. Da parecchi anni gli am bienti militari stavano discutendo sulla possibilità di attivare una laurea in «Scienze M.ilitari», non ulteriormente configurata. D'altra parte, la comunità accademica incontrava - o sollevava - non secondarie difficoltà e talora resistenze d'ordine normativa e amministrativo ad accogliere, coi loro curricula didattici pregressi, i giovani Ufficiali, che, ul timati gli studi negli appropriati Istituti di formazione e all'inizio della carriera quali Tenenti, chiedevano, in quanto privati cittadini, l'iscrizione all'Università. In effetti, gli Allievi Ufficiali all'Accademia di Modena indi Sottotenenti alla Sc_uola di Applicazione seguivano sì corsi tenuti da docenti universitari e sostenevano i relativi esami ai sensi dell'art. 105 della D.P.R. 382/80, ma ciò, benché awenisse entro un quadro regolamentato, restava lontano da quanto richiesto dalla puntigliosa normativa universitar ia, che - sebbe ne non sempre appaia chiaro all'esterno - era ed è, giustamente, rigida. Inoltre, anche quando le etichette d i singoli insegnamenti sembravano coincidere, i oontenuti erano spesso distanti, disomogenei e lontani. Si trattava dunque di forni-
re agli Allievi di Modena e ai neo-U((iciali di Torino un se rvizio accademico omogene o con l'oUerta d idattica degli Atenei, sottoposto alle medesime rego le e condiz io n i, da svolgersi in parallelo e in modo da prevedere, al termine della frequenza negli Istituti mi li tari, un riconoscimento totale - o quasi - tale da consentire l'accesso all'Università, l'iscrizione alle Facoltà e, per Scienze PoJitiche, l'ammissione a un anno di corso a lto, con la possibilità di elaborare e presentare entro tempi ragionevoli una dissertazione. Il confTonto locale fu accompagnato, di fatto, dalla conclusione dell'ite r parlamentare e dall'approvazione di u na normativa adeguata a r ispondere alle esigenze dei Corpi militari e a garantire all'Un iversità il pieno controllo, assumendone in prima persona la responsabilità, di quelli che possiamo definire gli «studi civili » degli Ufficiali . La Legge n. 169/1990 ha ribaltato la legislazione preesistente. È servita per avviare un lavoro organizzativo coordinato fra le Scuole dell'Esercito e la Facoltà di Scienze Poli tiche, che ha assicurato a tanti giovan i il conferimento del titolo accademico, non inventato grazie a una qualche ope legis ma ottenuto in virtù di studi superiori. Congiunto al ricordato Decreto dell'SO, che prevede il conferimento di insegnamenti nelle Scuole militari a docenti dell'Università, il testo del '90 rende ob bligatoria l'approvazione d e i programmi e d ei piani, «di concerto dal Ministero della Difesa e dal Min istero dell'Università e della Ri-
cerca Scientifica e Tecnologica» . U comma chiave, rivoluzionario, è quell o che sancisce che il riconoscimento d.i corsi ed esami avviene quando essi «si siano svolti con modalità analoghe a quelle previste per le Università e gli Istituti di istruzione universitaria» (art. l, C, 1.169/90). Dalla nuova normativa si è partiti per avviare nella pratica la collaborazione, fino ad allora ipotizzata, utilizzando le st:rutture esistenti degli Istituti militari, adeguando corsi, insegna·menti, piani di studi- sia a Modena sia a Torino - ai programmi e ai piani di studi che la Facoltà di Scienze Politiche torinese, con riferimento a l proprio originario Statuto del 1969 e alla coeva norma sulla <<liberalizzazione» degli ordinamenti didattici, si era dati ed erano stati confermati da esperienze ormai ventennali. D all'anno accademico 1990/'91 gli Allievi di Modena e di Torino sono considerati a tutti gli effetti anche studenti universitari, benché la loro immatricolazione accademica sia ritardata finché, ultimati i corsi alla Scuola di Applicazione, vengono iscritti individualmente, con la registrazione e il riconoscimento delle votazioni di profitto otten ute nei quattro anni precedenti, alla Facoltà di Scienze Politiche (la nom1a del 1990 prevedeva che rientrassero in una sorta di sanatoria anche coloro che avevan o frequentato i corsi a Mo dena a partire dall 986/'87). Si tratta di stude nti particolari, con autonome esigenze e curricula, che li differenziano sul piano burocratico, ma per alcuni anni soltanto, dagli
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studenti regolari, e che invece sono assim iliati a questi ultimi nella sostanza dei contenuti e degli apprendimenti. La loro posizione è infine regolarizzata con l'iscrizione al IV anno di corso della Facoltà di Scienze Politiche attaverso una serie di procedure amministrative e burocratiche complesse, che salvaguardano la carriera universitaria precedente, capacità e votazioni dei singoli . Gli Ufficiali-studenti vengono parallelamente impegnati per un «q uinto anno>> dal Ministero della Di fesa a Torino, e seguiti, ma solo sul piano amministrativo, dalla Scuola di Applicazione. Sperimentano così in prima persona la vita accademica nel la sua quotidianità . Sono indirizzati lungo una serie di canali, o aree culturali e disciplinari: ciascuno propone un piano di studi individuale, omologa bile ai piani d i studi dei restanti isc1itti (aperto, anzi, a tutti gli studenti della Facoltà) . Discutono infine la tesi e conseguono la laurea. Il piano di studi non è stato aprioristicamente inventato : è stato costruito con gradualità, a ttraverso discussioni· e confronto costanti, ta lora anche con qualche piccolo dissenso; è stato spesso modificato, nel tentativo di rapportarlo viep più alla realtà universitaria, a lla società civile e alle necessità del la formazione militare, lenendo presente l'impulso innovativo impresso in Italia in tempi recenti alla Formazione s upe t·iore. li piano di studi, con i suoi sbocchi negli indirizzi della Facoltà, prima l'Economico e poi l'Internazionale (o entrambi gli indirizzi congiun tamente), è stato
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arricchito via via da diversi apporti, alcuni sul piano sostanziale - si pensi a l caso degli insegnanti antropologici altri su quello istituzionale, didattico e scientifico insieme. La Facoltà è stata coinvolta e sollecitata a modificare e a integrare il suo Statuto con l'inserimento di d iscipline finalizzate, aventi come destinatari non solo gli Ufficiali ma Lutti gli studenti: così è accaduto per la Sociologia Militare, g li Studi Strategici, i l Diritto Penale Militat·e, la Storia del le Istituzioni Mi litari (ora cattedra presso la Facoltà) . La collaborazione tra la Facoltà e la Scuola si è ancora estesa. Dopo alcuni anni di gestazione interna (a Modena e a Torino), dall'a.a. 1993-1994 i Tenenti hanno cominciato ad affollare fisicamente le aule univers itarie, cambiando con l e loro divise anche visivamente il panorama di quell'obso leto e squallido edificio c h e, a Torino, viene impropriamente denominalo Palazzo Nuovo ma inserendosi in modo tutt'afratto normale e piano neUa vita studentesca d'ogni giorno, forse disordinata ma pulsante e spesso so llecilatrice eli acute riflessioni. Si sono compiuti u lteriori passi. La Scuola di Applicazione s i è dichiarata sempre più aperta al dialogo. All'interno dell'Università, grazie all'autonomia - una conquista recente e ancora in {ieri - e a l recente cambiamento tabellare degli ordinamenti didattici, sono state apportate e sono previste radicali modificazioni. La principale è consistita nell 'aver individuato un percorso disciplinare in Stud i
Strategici, tale da consentire ai giovani non soltanto di recepire le conoscenze di baS'!:! comuni a tutti i pubblici dipendenti laureati dello Stato, ma anche di approfondire discipline non solo profess ionali, che servono come scavo di temi che, negli Istituti militari, sono affrontati più sul piano pratico e sperimentale che su quello teorico. La tesi di laurea, infine, ha spinto tanti giovani a svolgere argomenti di ricerca nei più svariati campi, alla pari di quanto fanno tL~tti gli studenti: e con maggiore rapidità e incisività degli altri discenti, seppure con votazioni leggermente piC1 basse nella media generale per la dissertazione (come comprova la r icerca di M. Montinaro e A. Scagni, Scienze Politiche a Torino. lndagi11e statistica sulle carriere degli studenti e dei laureati, UTET, 1995, pp. 15-16 e 136-140). Il dato di maggior rilievo è che dalla sessione estiva del luglio 1994 [i t te schiere di giovani Ufficiali hanno sostenuto la cliscuss.ione delle tesi e s i sono laureati. All'Univet·sità, alla Scu o la di Torino e al Ministero della D ifesa sono stati espressi largo consenso, e rallegramenti per l'evento: dimostrazione palpabile che dagli avvii incerti ~i è giunti a una meta positiva, ambiziosa ma reale. Non c1·edo sia opportuno fare concessioni al trionfalismo ed elargire plausi indifferenziati per c iò che si è costwi lo. Ritengo anzi che sia preferibilc essere perennemente a utocrilici e cercare di migliorare c iò ch e non ha funzionato c che megli o avrebbe potuto procedere. In futuro, si potranno e si
dovranno ant:ora operare cambiamenti: basti pensare che dal prossimo a nn o accadem ico la Facoltà attiverà la nuova laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, che su~cita molta aucnt.ione, anche nel mondo mil itare. Tuttav ia, si è sempre lavorato co n se ri e tà c a nc he con passione da entram be le parti, Università c lslitLùi militati di formazione. Ho presentato in sintesi quanto è avvenuto negli scorsi ann i nei rapporti fra Scuola di App licazione e Un iversità di Torino, identificata prevalentemente ma non esclusivamente con Scienze Poli tiche. Propongo qualche conclusione generale. on viene affacciato solo il problema della fo rmazione civile dci militari: sarebbe - c sarebbe stato toricamente - un modo erroneo di affrontare la questione. È stata invece avanzata la possibilità, grazie a l rapporto fra didattica e indagine sc ientifica, propri dell'Università, di fomirc, accanto a un titolo di laurea spendibile sul mercato del lavoro e della cultura, degli strumenti analitici integrativi di una formazione specialis ti ca e fin alizzata, qual è quella militare. È parimenti opportuno tener presente che il nostro sistema istituzionale, le t-elazioni fra i cittadini a ll'interno degli Stati e le relaz io ni fra gli Stati cambiano a ritmi assai celeri , mentre le nostre strutture sociali, economiche, politiche, le organizzazioni private, gli enti e in genere le istituz io ni devono adeguarsi con pari agilità e rapid ità a lle trasformazioni e con visio ni che,
se devono restar ancorate all'appa rte nenza a llo Stato nazionale, non devono però esser improntate a provincialism: né a residui egoismi localistici: ma sempre, hanno da esser critiche. L'Università melle a dispos iz ione, ne l campo della formazione dell'Esercito, competenze, 01·dinamcnti didattici, una consolidata capacità di far ricerca, strutture - per quanto i n fine possano essere - e soprattutto conoscenze collcllivc. Arreca con c iò il suo contribut o, autonomo ma coordinato c, com'è richiesto da una normativa sensibile ai bisogni collettivi, mirato al completam e nto critico c unitario della formazione specialistica milita re, c he a sua volta, a ll'interno, si diversifica c si ripat·tisce in tanti canali destinati a rimanere spesso disgiunti. Tramite la collaborazione auivata, sono portali alla laut·ca degli «Studenti» (pongo ora il termine fra virgolette), che hanno compiuto altrove gran parte delle loro esperienze cognitive e del1e loro pratiche p.-ofessionali. Propdo in questo sta l'originalità di quello c he, fin dagli inizi, certo fu ed è anc he un tentativo di svecchiamcnto del sistema universitario, ollecitato a confrontarsi con un ambito della vita sociale così e traneo alla tradizione accadem ica. Ci furono remore, ma poi si è affermata la convinzione c he si stava operando nel modo migliore, pervenendo a un duplice risultato. ln primo luogo si è percepito, nell'ente universitario, composto di inclividui aventi ciascuno idee e mode lli precisi, che la collaborazione con le Forze Ar-
male rappt·escntava un tentativo di rcinserire la sovente troppo astratta vita accadem ica nel vivo della società, anzi, di una parte fra le più vitali c apctte al progresso, pecie tecnologico. di essa, quale appunto la componente militare. Ln secondo luogo, le Forze Armate hanno desunto vantaggi ·ensibili dalla collaborazione. on mi riferisco solo alla «laurea» in sé, conseguita da tutti o qua i tutti quegli Ufficia li destinati ad assumere funzioni di comando c, con una sorta di ricaduta continua. di nuova formazione nei confronti di tanti altri giovani di leva o volontari o subalterni. Richiamo invece un più generale collegamento fra Eserc ito c sociel~l, fra i giovan i di tutti i ceti e d i Lutti g li ambienti, uniti per fini diversi alI'Univcn;ità a studiat-e sui medesimi testi o a frequentare le ·tesse biblioteche. Con fenomenn di fTatern izzazionc e di com unanza spirituale, c he fino a qualche tempo fa sarebbero apparsi inattendibili e perfino estranei a l pen are della «gente comune». Scuole militari e Università hanno contribuito e guardano in s ie me a lla formazione del cittadino della nuova Europa. TI quale sarà veramente tale, quanto più saprà conservare, colle sue conoscenze tecniche e teoriche, colle capacità proress iona li, colle a bilità gest iona li , con sensibilità critica ma anche con autonomia di giudizio, la propria adesione all'identità nazionale. Che dal nostro lavoro comune trae c continuerà a produrre linfa. Prof. Gian Mario Bravo
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Prof Alberto A111oniotto.
LE ESPERIENZE DEL PEACE-KEEPING ED IL RUOLO DELL'ANTROPOLOGIA ·CULTURA· ingrazio il Gen. Buscem i per avermi concesso la parola e sono grato a ll a Scuola di Applicazione e a l s uo Comandante per avermi affidato il compito di sviluppare questo tema su cui mi sto impegnando proprio nell'ambito di quella collaborazione, testè citata dal Preside prof. Bravo, tra la Facoltà di
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Scienze Politiche di Torino e l~ Scuola di Applica.zione. Volendo parlare della preparazione culturale e profess ionale dell'Ufficiale del 2000, non posso prescindere da quelle nuove funzioni e competenze che sono richieste alle Forze Armate nelle operazioni di peace-keeping ove accanto al convenzionale uso della forza richiedono nuove capacità
e ne definiscono nuovi compiti in scenari c ullurali, sociali e politici diversi dai propri. In tal senso mi propongo, a fronte delle esperienze di peace-keeping italiane, di mettere in evidenza il r uolo c he l'antropologia culturale di tatto assume e come può essere proficuamente utili zzata s ia nel teatro delle operazioni sia nella formazione della profess iona lità militare s ull'esperienza del rapporto esisten te fra l'Università di Torino e la Scuola di Applicazione. Alla caduta del passato Ordine Mondiale garantito dal bipolarismo contra pposto, oggi sempre più si manifestano scenari di crisi, spesso di dimensione regionale, caratterizzati dall'insorgere di nuovi soggetti politici e dove anche il fattore etnico e religioso caratterizzano in termini nuovi la geopolitica. In Africa, ma non solo in tale continente (per molti versi è comune alla situazione creatasi nella ex Iugoslavia) assistiamo al collasso istituzionale dove più che in altre aree geopolitiche, il fa ticoso percorso di decolonizzazione per scrollarsi di dosso il retaggio di una storia altrui porta con sé l'emergere dell'incongn1enza politica e culturale dello S tato Nazione modellato su una visione eurocentrica del mondo. La crisi istituzionale è generata, e nello stesso tempo genera un collasso dell'economia e della società facendo esplodere conflitti interni e regionali con centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, pericolosi vuoti di potere.
A fronte di tali situazioni, dove chiaramente esistono responsabilità a diversi livelli e dimensioni sia delle par·ti direttamente co involte sia di Paesi c he agiscono nel loro specifico interesse politico ed economico, la comunità internazionale ha legittimato l'intervento di Forze Armate straniere in operazioni di peace-keeping (m i sia concesso usare qui il termine di peace-keeping in senso lato, comprendente quindi le sue varie accezioni di peace-building, peace making, peace-enforcing). Numerose so n o state le miss ioni di tale ge ne re a ll e quali l'Italia h a partecipato; le più sig nifi cative in Liba no, Somalia, Moza rnbico, Bosnia. Oggi ancora si sta dibattendo su un . intervento, comunqu e tardivo, in Africa Equatoriale. Dal 1987 si sono svolte ben 18 missioni di peace-keeping a c ui l'Italia ha partecipato. Ogni missione è stata di per sé atipica costituendo un unicum per il tipo di legittimazione, di impegno, di Regole di Ingaggio. Purtuttavia la fondamenta le caratteristica che le ha contraddistinte, rispetto alle operazioni conven z ionalmente militari, è stata quella di un operare all'interno della popolazione civile e in continua interazione con essa. Questo ha comportato innanzitutto di dover approntare nuovi strumenti per definire con precisione i comportamenti individuali e collettivi, sul piano tattico ed operativo, a fronte di situazioni del tutto nuove per la preparazione formale del militare e nuove per
lo scenario culturale da CLÙ tali situazioni traevano origine e in cui si manifestavano. Non si trattava solo di dover affrontare donne e bambini, ma di concepire la controparte non necessariamente come il nemico verso cui indirizzare l'uso delle armi, bensì persone con cui dialogare e per cui e con c ui operare per costruire la pace. Si trattava quindi di instaurare un rapporto con la po·polazione, individuare i suoi bisogni, intervenire spesso come mediatore tra fazioni in lotta. Il Contingente italiano impegnato nella operazione «IBIS» in Soma lia, accanto al convenzionale uso della forza (ne sono testimonianza le diverse azioni militari e i suoi cad uti sul campo di battaglia), non solo ha saputo andare incontro ai bisogni della popolazione aprendo i suoi ospedali militari, crea ndo scuole, mettendo in moto un seppur rud imentale apparato produttivo, ma ha saputo anche instaurare all'interno di un vuoto politico istituzionale un dialogo con leader legittimati da quella cultura, dai capi religiosi a quelli cianici, agli elders tradizionali. Questo ha contribuito in modo fondan1entale a creare un'immagine positiva dell'Italia e del soldato italiano, a gar-anti1-e Lma situazione di relativa sicurezza entro cui poter operare e a portare e fficacemente a compimento le missioni assegnate. La lettura di quella esperienza ci dice anche che si è saputo approntare nuovi str'"LIment i, nel contempo manca-
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vano le precise competenze professionali. In una certa misura si è potuto fare affidamento sulla buona disponibilità del soldato italia no a interagire con la popolazione ma indubbiamente si è messa in risalto l'esigenza di nuove modalità per leggere e decodificare situazioni culturali diverse e pertanto nuove. La stessa importanza che hanno rivestito ieri in Africa come oggi in Bosnia i repart i G2 (inLelligence) e G6 (a ffari socia li ) dimostra che per l'efficace svolgimento della missione occorre sviluppare una approfondita conoscenza e interpretazione antropologica anche dello scenario sociale c culturale entro cui si svolge sia l'operazione di tipo militare sia quella umanitaria. All a luce del.l e brev i note esposte, anche se il quadro politico e militare che sovrintende all'uso delle Forze Armate italiane in operazioni di pace all'estero è ancora alquanto conf1.1so (faccio riferimento a quanto dice il Gen. Jean in «I.:uso della Forza))) non si può sottovalutare l'importanza degli impegni che potranno svolgere le Fo•-.w. Armate in scenari di cdsi fuod dal territorio nazionale. D'altronde, il delinearsi di un nuovo scenario geoeconomico entro cui si ven·anno a ridefinire gli interessi nazionali italiani, propone un nuovo modello di d ifesa c quindi con nuove competenze e professionalità militari. Son profondamente convinto che l'antropologia, al pari di altre discipline (e per questi altri aspelli vari sono i contributi già espressi, ricordo fra gli altd quelli del prof. Sc•·to-
so
rio, del Gen. Marcheggiano, del Gen. Jean), possa svolgere un ruolo fondamenta le per la costruzione dell a professionali tà del nu ovo mili tare, c, in pa•·ticolare, che l'antropologia applicata possa dare un fondamentale cont1ibuto per un efficace operare in missioni di peace-keeping, individuando e costruendo un rappo•·to sinergico fra l'Un iversità, gli Istituti di formazione militare c voglio aggiungere i contigenti d irellamcnte impegnati. Essen do l'a n tropo log ia quella d isciplina che studia le culture dell'uomo nella loro diversità e complessità, essa può innanzitutlo contribuire a percepire che esistono delle diversità cultur·ali e che gli attori sociali po litici e chiaramente anche militari con cui c i s i trova ad interag irc so no innanzi tutto mossi da conce~ioni del mondo e de ll a vita diverse dalle nostre. Concezioni del mondo e dell'uomo ben spiegate nei valori, nei miti e che pertanto determinano e influenzano il comp01·tamcnto degli uomini e li indirizzano verso obiettivi e fin i non universali ma relativi ad ogn i specifica realtà cultura le. Gli stessi valori che noi diamo per scontati assumono toni e significati diversi a seconda del contesto cu lturale ent.-o cui si esp.-imono. Chi deve affrontare una realtà culturale diversa deve innanzitutto acqu is ire concettua lmente al di là d i schemi etnocentrici l'alterit à. Tale bagaglio intell ettua le ed educativo deve, a mio parere, entrare a far parte della preparazione del dirigente militare, (basta solo considcnlrc
le perplessità e le difficoltà di interpretazione che hanno i giovani Ufficia li che esconQ da ll a Scuo la c affrontano la complessa rea ltà socio-cu lturale dei «Vesp•·i S ici lian i» o quell i che hanno operato in SomaHa, Mozambico, Bosnia). Si tratta quindi di sviluppare un approccio antropologico e di definire un nuovo lessico che ancora non fa del tutto parte del militare italiano. Inoltre occorre avvalersi di un metodo c he permet ta d i penetrare a fondo le situazioni culturali e le motivazioni dei comporta me n ti: Nel peace-keeping non si può infatti pretendere di essere oggettivamente efficaci senza preoccuparsi di costruire un processo di conoscenza e di in ter-pretazionc delle realtà sociali e cu lturali in cu i si va ad agire. In dc fi n i ti va ogni missjone si impernia attorno al carattere rigoroso anche di questo approccio. È compito dell'ant.-opologia quindi: definire quell'apparato concettuale adatto alla particolare dimensione dell'agire costituito dal peace-keeping e forn ire gli appropriati metod i e stmmenti di conoscenza basati s u conoscenze tcorico-concettuaH e metodologiche quali: • dimensione culturale entro cui si va ad oper·are: · •• sistemi cultumli (sistemi dei valo.-i, modi di concepire la vita, ideologia, mod i di pensiero, cosmogon ie); •• sistem i sociali (forme di agg r·egazione cianica, identità etniche, religiose, stratificazioni, strutture elementari e complesse di par·cntcla);
modo tale da poter orienta-
Sotlli/Tìciale della Brigata «Garibaldi» con 1111 commilitone del conti11gente (ra11cese.
•• sistemi politici (organizzazione politica tradizionale, struttura e legittimazione della leadershipr forme e modalità di formazione del consenso, espressione dei poteri carismatici, ruoli e status politici formali e infonnali); •• sistemi religiosi (sistemi di credenze, organizzazioni e forme di aggregazione, legi t ti m azione e manifestazione della leadership religiosa); • strumenti conoscitivi atti a individuare i bisogni culturali primari e sostenibili dall'ambiente socio-economico-culturale locale (in
r-c l'intervento su obiettivi
effettivamente prioritari); •
uso di categorie interpretative atte a comprendere l'agire collettivo nel campo economico, sociale, politico, militare.
Sono solo alcuni aspetti che l'approccio antropologico può mettere a di spos izione del militare. E ancora qui si manifesta l'effettiva e significativa collaborazione fra l'Università e le Forze Armate mettendo a disposizione quelle competenze e quel sapere di cui l'Università è la sede di elezione. L'antropologo si costruisce all'interno di strutture e in percorsi che sono essenzialmente accademici. È un lungo processo di formazione. Mi si permetta di usare una espressione an-
tropologica: è un percorso iniziatico che va dai primi studi nei diversi settori antropologici a ll a ricerca sul campo (mom ento sempre e com unque fondamentale) quindi alla professionalizzazione del suo sapere che può essere la docenza come la ricerca applicata. Sulla base di queste considerazioni, per dare risposta concreta alle istanze non solo intellettuali ma anche operative di comprensione degli scenari delle operazioni di peacekeeping, si è costituito presso l'Università di Torino un gruppo di lavoro sul Pea.ce-Keeping a.nd Conflict Resolution. Nato sulla base di un iniziale approccio antropologico stimolato dalle intuizioni e da un confronto intelJet:tuale con il Gen. Loi all'indomani della sua esperienza quale Comandante del Conlingente italiano in Somalia
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Militari italiani impegnati in Bosnia per la missione di peace-keeping.
(ricordo il primo incontro del Generale con i miei laureandi che allora preparavano le loro tesi su aspetti poli tici della leadership in Somalia) si è via via aperto ad altre discipline che già affrontavano, nel loro ambito specifico, temi e aspetti inerenti al peace-keepi11g: oltre all'antropologia, la sociologia generale e militare, le relazioni internazionali, le storie e che erano presenti presso l'Università e già per la maggior parte (con gli stessi docenti) anche presso la Scuola di Applicazione. Questo gruppo iniziale ha formulato una proposta per la costituzione di un Centro di Studi c Ricerche sul Peace-Keeping con le seguenti finalità: • aggregare competenze, fornire conoscenze e affTontare le tcmaliche del peace-keeping nell'ambito degli insegnamenti pre enti presso la
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Scuola di Applicazione all'intemo di un quadro organico di formazione del militare; • fornire quelle conoscenze di fondo atte a comprendere e analizzare gli scenari in cui si svolgono operazioni di peace-keeping ; • fornire quelle competenze e professionalità da utilizzare quale cellul a operativa all'interno di contingenti impegnati in missioni di peace-keeping per contribu ire a svo lgere con efficacia la missione assegnata. Mi sembra di particolare importanza la portata innovativa e operativa di questo ultimo pLmto. Dalle esperienze dei contingenti italiani all'estero si è potuto evincere la necessità di avere una consulenza presente su l campo per conoscere la complessa e pe1· molti aspetti nuova realtà di tipo storico, culturale sociale che si parava innanzi al m Uitare c la cui conoscenza gli avrebbe permesso di agi1·e con maggio1· incisivi là e efficacia.
Se i contingenti al momento dell'impiego devono essere messi in condizione di poter operare al meglio, sono fondamentali tali conoscenze di base e la verifica puntuale dell'evolversi della situazione e del delinearsi di nuovi scenari di azione. Ma questa capacità non può essere come ben si sa solo frutto del nu11c, occorre aver lavorato allora per ora. La proposta di costituzione di tale Centro è stata presentata al Comandante della Scuola di Applicazione, Gen. Orofino che non solo l'ha accolta con molto entusiasmo ma, facendola prop.-ia, ha messo a disposizione presso la Scuola le struttLtre necessarie per la sua attuazione. Ora occorre che il progetto sia sostenuto nei vari ambiti istituzionali per poterlo rendere effettivamente operativo. Questo è quanto ho voluto esporre cogliendo l'invito c gli slimoH di questo convegno. Prof. Alberto Antoniotto
Pro( Luigi Bo11a11ate.
GLI STUDI POLITICO-STRATEGICI. IL PERCHE DI UN NUOVO INDIRIZZO l
l mio intervento, questa mattina, potrebbe essere telegrafico: basterebbe - se non fosse di cattivo gusto - che mi citassi; anzi, dovrete poi concedermelo, per la semplice ragione che le osservazioni che vorrei svolgere ora sono esattamente le stesse che ebbi modo di presentare non in una sede qualsiasi, ma proprio nel-
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l'ambito delle attività del Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) nel 1993, con il Rapporto di ricerca «Strategia della ricerca internazionalistìca ». La ragione per cui mi concedo questo pizzico di narc.isismo mi sarà subito perdonata, non appena si sarà visto che la r agione per cui lo faccio non è altro che quella di mo-
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strare il sostanziale fallim ento di quelle c he, allora, erano state le mie proposte. Ma andia mo per ordine. Io ho qui o •·a l'onore di illustrare, dapprima, il cammino fatto nell'intersca mbio tra la Scuola di Applicazione e la Facoltà di Scienze Politic he. Sotto questo primo profilo (anche alla luce delle considerazioni già svolte dal nostro Preside, il prof. Gi a n Mario Bravo, al quale g ran parte del merito de i risultati raggiunti va attribuito; ma mi s i consenta in questa circostanza di ricordare, accanto al Gen. Buscem i, e subito dopo di lui , c non me n e vogliano i Generali Ta mbuzzo, Vannucchi c Orofino, l'allora Col. Giovanni Bussolini, con il quale la maggior parte dci miei contatti furono intrallcnuti, e al quale devo gran parte d e JI' entu s i asmo c h e egli mi trasmise e con cui mi dedi cai a questa avventura), siamo orma i ent1·a ti nella seconda fase della realizzazione di un pia no di integrazione c ultura! c-scie n li fico -professionale dci g iova ni che frequentano la Sc uola di Applicazione. Avendo la Faco ltà di Scienze Politiche dapprima ge ttato una tes ta di ponte che si agga nciava a lla Sc uola di Applicazione, scppurc con qualche apprensione causa ta dalla n on universalistica cond ivision e del progetto da parte di n o n poc hi colleghi di Facoltà, un po' pessimisticamente timorosi che il tutto ·Si trasforma sse in una pura e semplice corsia p1·cferenziale (e privilegiata) per una rinata ca tegoria di studenti-lavoratori che avrebbero mera-
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mente svalutato il pres tigio del titolo di studio, s iamo passati a quella che e ra la ragione principale per c ui io stesso avevo accettato di assumere un in seg nam e nto presso la Scuola di Applicaz ione , cioè la costituzione progress iva di un percorso di studi che fos se s pecifi camente ritagliato sulle esigenze di un Ufficiale Superiore di un Esercito moderno della fine del XX secolo. Insisto sulla precisazione: «Specifi camente ritagliato», perché i n essa sta i l cuore del problerna c - se mi consentite il poco felice calambour - del mio <<mal di cuore>>, prodotto dall'insoddisfazione che devo ammettere di provare per gli esit i finora raggiunti. Non mi r ire risco, tuttavia, agli esiti scolastici, a i pochi «tre nta>> concess i agli stud enti o a l numero di bocciat i; ma a quella - per ora almeno - quasi in vinc ibile inerzia orga ni zza tivoburocratica che pesa su ll e nos tre ini ziati ve. P er essere c hiari: se ciò c he la Scuola di Applicazione ci chiedeva era sempli cem e nte di laureare un certo numero di Ufficiali all'anno, ebbene sarebbe sta to s uffi c ie nte c he li mandassero a Pa lazzo Nuovo a frequentare i nostri cors i (conosco le perplessità logistiche nei confronti di questa eventual it à, ma mi si concederà c he non erano insuperab ili ); ma se c iò c he essa ci eh ied eva era d i as um e rci il co mpil o di dare impulso a ll a formazione di Ufficiali che fossero in grado eli fronlegg iare un ambiente internazionale con le cono-
scenzc necessarie per svolge· re il loro compito- produr-re quel particolare bene pubblico c he s i c hiama s icurezza (sia nazionale, sia internaziona le) - ebbene, a llora, da questo obiettivo siamo ancora ben lontani. La mia idea era in sostanza che noi (Università) avremmo dov ut o avere di mira un «percorsO>> che configurasse, nei fatti se non anche nella legislazione vigente, un qual c he cosa di p iù c h e una laurea in Scienze Polili c he, seppurc q ual che cosa d i m e no (e"mi permetterei di aggiungere: «di meglio>> o almeno di p itJ amp io) di c iò c he, in termini eli professiona lità , può offrire la Scuola di Guerra. Temo che, a tutt'oggi, non siamo riusciti quasi per nulla, in questo progetto, non essendo riusciti no n dico a «militarizzare>> gli insegnamenti universitari (ci mancherebbe!), ma a introdurre n e i nos tri corsi conoscenze e saper i direttame nte utilizzabili a li vello di professione militare: non vedo, finora, che due piccoli seg ni in questa direz ione, d e i quali tu t la via l'uno ha ancora da concretizzarsi (e ne avete ascoltato le intenzion i dal prof. Anloniotto) e l'altro rischia invece di inaridirs i ben presto, quello dell'insegnamen to di Studi strategici. on me ne vogliano i co ll eg hi c he materialmente svo lgon o questo co •·so; non potranno comunque negar·e c h e n ess un o h a ancora la preparaz ione adatta per svolgere questo tipo di insegname nto; ma dovranno anc he ammcttc•·e i dirigenti di
questa Scuola c he la sens ibilità per la dimensione s u·ategica è drammaticamente lalente anche ne ll'ambito degli insegnamenti profess ionali che vi sono impartiti. Come ho cercato di mos tJ"a J·e r ecentemente nella «Prefazione» a una raccolta di scritti di balistica di Filippo Burzio (lo ricordo perché egli era un ben più prestigioso c no to docente di questa Scuola di qua nlo non possa sperare di di ventarlo mai io), a nc he specialistici e co m pl ess i s tudi r e lativi alle traiettorie d c i pt·o ic llili richi edo no, per acq ui s ta re un se nso e a nc he un a profondità storiografica, di essere inse1· iti nell'ambito di un a p iù comp lessa e a 1·ticolata dimension e s trateg ica che offra a ch:i deve pre nde re decisioni o p erative la ca pacità di valutare in te1·m ini globali la po1·tata della s ingola operazione, le sue difficoltà così come le s ue valenze non soltanto militari, ma s trategiche appunto e ad dirittura politiche. Conc1udevo la «Sintes i» del mi o R apporto (ecco finalmente la citazione):
«Le raccomandazion i operative che co11cludono il Rapporto vertono principalmente sulla prornozione di un 'innovazione nella politica culturale dei sellori coinvolti nella vita internazion ale- strullure della politica estera e della politica militare - invitandole a prendere coscienza della situazione particolarmente favorevole che caratterizza le relazioni internazionali del momento, non tanto perché un ingenuo ottimismo debba prevalere su più
prudenti considerazioni, ma c he io abbia di mira qualche perché straordinarie t rasfor- genera li ssimo o qualche promazioni sono intervenute ltel- fessoro ne; tult'altro, il prola struttura stessa della vita blema è essenzia lme nte quelinternazionale, alla luce delle Io delle nostre umane risorquali una politica della sicu- se. Mi sp iego: ci troviamo di rezza, che sia allo stesso te111po fronte a un paradosso, che fautrice di procedure democra- mi sembra in vincibile. Come tiche nell'elaborazione degli sviluppare gli studi strategici obiettivi della politica estera, (sto fermo su questo caso ha oggi delle prospettive senza non perché sia l'unico, ma precedenti nella storia moder- p erc h é è e mbl e mati co) se na. Naturalmente, per adattare non abbiamo professori di strutture organizzative e buro- s lra leg ia? Ma da dove vercratiche a innovazioni di così ranno mai dei c ultori di stragrande importanza si richiede tegia se n es s u no t iene corsi la consapevolezza culturale ·d i s trateg ia? Il problema è della necessità di offrire nuovi ovv ia mente molto più amstrumenti di conoscenza e d i pio, e riguarda la gius tappoLavoro che solo possono essere s izio ne tra sa peri diversi, la utilizzati da una professiona- gius ta miscela tra questi, e lità originale e adegua ta alle ciò c he più conta - la loro rinuove condizioni. Per questo compos izione ; intendo dire si insiste in conclusione sull'e- che co n il passar dei tempi sigenza di ripensare le (or111e ca mbiano anche le esigenze stesse di preparazione del per- c ultu1·a li e ciò che un tempo sonale operativo e di istituire e ra consi dera to dominio ri forme di interdipendenza stret- sen rato di qualche tecnico, in ta e senza precedenti tra i set- un a ltro momento assume tori della difesa e della politica un a importan za che va ben estera» (pp. 11-12). al di là dello s pecialismo: pro prio nel mio ambito un Svo lgevo inol tre alcune esempio vistoso mi aiuta. La considerazioni di carattere s trategia nucleare fu, per il operativo, che vertevano sul s uo primo decennio d i vita, rapporto tra d emocrazia e fatto esclus ivo e riservato dei cu ltura della sicu rezza, su m ili tari (e tra i militari, di quell o tra politica della dife- pochi ssimi tra loro); ma con sa e politica estera, sulle co- la fin e degli anni Cinquanta noscenze internazionalisti- e l'attività innovativa di stuche, su una diversa profes- dios i come H. Kissinger, Th. sionalità e sui nuovi approc- Schelling, e altri, la ricerca ci alla realtà, rivolte nel loro strategica nu c leare abbaninsieme a prefigura re invece donò gli uffici de l Pentagoche un «Nuovo Mode ll o di no, almeno negli Stati Uniti, Difesa » un «Nuovo Mode ll o per trasferirsi n elle aule unidi Ufficiale»! versi tarie (e cosi ne g)i anni Che cosa è stato a imped i- Sessanta e Settanta, chi volere alla mia illusione illumini- va occuparsi di relazioni instica di realizzarsi? Sgombro te rnazionali , doveva sapere s ubito il campo dal dubbi o anche di teot·ia strategica) .
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Le condizioni del mondo po- mente che- proprio per sovlitico-internazionale oggi im- venire alle difficoltà di reclupongono, mutatis mutandis, tare personale giuridicamenun movimento dello stesso te idoneo all'insegnamento tipo, c he porti gli «operatori presso la Scuola di Applicadella s icurezza» (se così pos- zione - tale norm a venisse so chiamare i militari) a un estesa anche a quest'ultima; livello di conoscenze integra- la risposta? Che in rea ltà i te tra politica internazionale, rapporti tra Università e Acscienza politica, strategia, cademie militari sono regoche li guidi nell'affrontare lati dall'art. 105 del D.P.R. problemi nuovi e diversi dal 382 del I 980, il quale non passato, come quelli d e ll e prevede i ricerca to ri come guerre interne invece (o più) supp le nti, e dunqu e a n cora che internazionali, del peace- oggi non possiamo rico•·rere keeping (come abbiamo sen- a questa figura docente per tito), dell'intervento o arma- specificare e approfondire la to o pacifico, umanitario o preparazione degli Ufficiali restaurativo delle libertà ci- con corsi specialisticamente vili che sia, e così via. loro rivolti. Prossimamente la Facoltà Persona lmente ho visto nel rapport o tra Facoltà di di Scienze Politiche torinese Scienze Politiche e Scuola di andrà incontro a una signifiApplicazione l'embrione di caliva innovazione: l'apertuun processo di superam e nto ra di un nuovo corso di la udi saperi separati e contrap- rea nelle cosiddette Scienze posti a favore della loro inte- Internazionali e diplomatigrazione; ma vedo che po- che (absit iniuria verbis: che chissimi sono stati finora i cosa significa questa vuota passi avan ti. E nutro forti formula?), che almeno in dubbi che ne possiamo fare parte fini rà per incidere andi più e più in fretta in futu- che sulla Scuola di Applicaro. È vero ch e il corso di stu- zione, specie per alcune diffidi che abbiamo «in appalto» coltà tecniche c he in sorgepresso Ja Scuola di Applica- . r·anno, ma non è con queste zione ha (aLto qualche passo c he voglio annoiarvi; preferiin direzione di una p•·ofes- sco richiamare l'atlcn;cione siona li zzazione originale dc- di tulli noi sul fatto che angli Ufficiali, ma questi sono che questo nuovo corso nastati finora pochi, come ho scerà - per così d ire - con già detto, e la anelasticità una gamba sola, quella della delle nostre strutture buro- limitazione del già esistente, cratiche e decisionali (sia per la sempl ice ragione che universitarie s ia militari) l'innovazione cu ltura le è ternon lascin intrawedere a lcun ribilmente difficile da a lTermutamento. Un ese mpi o? mare c le risorse fin anziarie Una legge di tJ·e anni fa con- necessarie per imporla sono sentiva che i ricercatori con- nulle; non mi sento minimafcnnati fossero titolari sup- mente profetico se aggiungo plenti di insegnamenti uni- che esso andrà incontro alle versitari. Chiesi insistente- stesse difficoltà che segnala-
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vo prima con riferimento alla Scuola di Applicazione. Non vorrei c he pensaste • che - sotto formule oscure o nobilitanti - la mia perorazion e fosse interpretata meramente come la sollecitazione per nuovi posti di professori e per l'allargamento di uno spazio culturalmente egemonico sia all'Università sia alla Scuola di Applicazione: in questione è la sopravvivenza, neppure ancora lo sviluppo. Mi riferisco a ll'importantissimo c delicato compito della cosiddetta «riproduzione disciplinare»: se non hai prospettive lavorative, con quale onestà i ntellettuale metterai a rischio la dignità di giovani possibili studiosi che potrebbero essere aw iati a specia li zza7.ioni ric hieste d ai tempi? S ia ben ch iaro, non sto scontrandomi con la classica questione della mancanza di nuovi posti di lavoro nel nostro Paese, ma con l'inerzia devastante delle nostre strutture scientifiche che prediligono di gran lunga l'ampliamento dei confin i del noto all'avventura del la scoperta di nuo_vi orizzont i c di nuovi confini. Che cosa conclude1·cmo da tutto ciò? Fo1·se - e cosl il mio impenitente ottimismo può essere ancora una volta solleticato- che mettendo insieme queste due nostre diverse, ma vic ine, gambe riusciremo a fare qualche passo avanti? Il nostro progetto è quello di costr uire una c lasse di «operatori della sicurezza)), ma siamo sicuri di riusci•·ci? Prof. Luigi Bonanate
Gen. C.A. Giuseppe Oro(ino.
L'UFFICIALE INFERIORE l mio inte. rvento si inquadra a l piĂš basso livello nel problema della formazione d ell'Ufficiale e dell'Ufficiale inferiore in particolare alla quale contribuisce, come a voi certamente noto, l'Accademia Militare. L'Ispettore delle Scuole, che mi ha preceduto nella trattazione, ha parlato del pro6lo teorico dell'Ufficiale. Il
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prof. Bravo ha trattato delle Scienze Politiche nella carriera militare; il professar Antoniotto ha sottolineato un aspetto particolare che sta assumendo sempre maggiore importanza tanto che ho proposto allo Stato Maggiore la costituzione, presso la Scuola, di un Centm di Ricerca, Raccolta ed Elaborazione sulle Tematiche del Peace-Keeping; 57
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il prof. Bonanate ci ha illustrato un nuovo indidzzo nell'amb i to della Facol tà eli Scie nze Politiche, q uello internazionale-d iplomatico. Prima eli entra1·e nell'argomento, c he ricordo è que llo della formazione dell'Ufficiale inferiore, desidero pon·e alcuni punti fermi del ragionamento. Punti fermi che so no condizionanti e la cui vaHclità dcve rimanere indisc ussa altrimenti le co nclusion i non saranno completamente valide. l prcsupposli di base sono i seguen ti. L' iter di formazion e de ll' Uffic iale, ma la stessa cosa vale per qualsiasi altra professione, è un processo che dura per tutto l'arco della carriera dell'individuo. Cosa voglio dire. Affermo un conccllo mo lto sempl ice: inna nz itutto la formaz io ne di un professioni s ta no n può limi tarsi agli s tudi propedeutici per l'ingresso nella professione ma si sviluppa per tutto il periodo di tempo nel quale quella determinata professione vie ne esercita ta. Ed, ino ltre, ne l definire questo ite r professiona le è indispensabile un a progressione coerente c he n o n prese nti, n e i m omenti formativi più significativi, divergenze di indiri zzo ma sia ri vo lta ad un unico obieu ivo. Una co nqui sta recente: il diploma di la urea, c he fino ad oggi è stato conseguito da circa 500 Uffic ia li, di cui 287 in Scie nze Politiche, 135 in Informatica, 44 in Economia e Commercio c 25 in Ingegneria Civile. È un obietti vo di grande rilevanza che, sebbene criti-
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cato da qualcun o, è un trag u ardo irrinunciabile se si vuoi s tare al passo coi te mpi, r ispettare le aspettative del l'opin ione p ubblica e le es igenze sociali, evitare di essere relegati in serie "B" o, addirittura, essere messi da parte come un corpo separato cd obsoleto della società. LI provvedimento c he ha consentito di conseguire il diploma di laurea, pe1·ò, ha co mportato a lcuni probl e mi dci quali è d overoso prende re atLo, ce rcare di riso lvcrl i c, qu a nto meno, e liminare g li aspetti negativi. La com binazione dci due punti fondamentali testé citati ci porta ad affermare alcuni corollari. Primo L'iter formativo deve essere esa minalo nel s uo comp lesso c deve essere defi nilo, a lme no negli aspetti salienti, per tutto il periodo di servizio con lo scopo, auspicabile, di formare i cap i, ovvero la classe dirigente della Forza Armata. Secondo È nccessa do adottare tulti i provvedimenti leg is lativi e n or mati vi per adeguare la progressione di carriera a ll e esigenze degli obiettivi che l'iter formativo si prefigge. (Pe1· esempio ri vedere la permanenza nei grad i, segna lamentc in quello di Tenente.) Te r zo È necessario impostare l' ilc r forma ti vo in mani e ra ta le da non creare sq uilibri c he potrebbero derivare da una errata va lutaz ione di s itua zioni contingenti che, a lun-
go andar·e, potrebbew comportare ripercussioni negative su ll a F orza Armata (ad esempio favorire alcune Arm i rispetto ad a ltre). Quarto È necessario definire quale debba essere l'esatto profilo dell'Ufficiale inferiore, del quale tratterò nel particolare, dell'Ufficiale su pcrio 1·e e di quello incaricato di funzio n i interforze. Quinto È necessario te nere con to delle esigenze peculiari della professione milita1·e nel bilanciamento delle matel'ic oggetto di studio nelle varie scuole di formazjone, non per c1·earc una nuova laurea militare ma per cercare di a deguare i piani di s tudio di una laurea g ià previs ta dalle Facoltà universitarie. Se sto I:indil'izzo di laurea a l quale fare ri [eri me n t o dovrebbe essere que llo c he consente, nel quadro delle diverse es igenze, d i non so ttrarr e per molto te mpo gli Ufficial i a i reparti. In prima approssimazione la durata del corso di la urea non d ovrebbe eccedere i 4 a nni. Settimo L'indirizzo di lau1·ca dovJ·ebbe essc1·e unico per con sentire econom ie di risorse, una pia nificazione piC1 agevole dei perio d i c de lle materie di studio e la poss ib ilil à el i sLi lare, in maniera equa, la gradualo ria unica delle varie Armi. Ottavo È necessario che venga riconosciuta a livello Univer-
sità, con disposizione legisla tiva, la peculiarità della professione militare c l'esigenza di poter disegnare, nell'ambito di una facoltà da definir-c, una laurea che preveda, in maniera bilanciata, parametri umanistici e parametri scientifici. L'iter in vigore comporta una strana situazione. Si parte da una base comune, aspit·ante in Accademia, per giungere, teoricame nte, ad un vertice uni co: Capo di Stato Maggiore de ll'Eserc ito. Per tale fa llo è s tato definit o un ruolo unico c qu indi una graduatoria unica. Ma, st ran amen te, a questa quasi ass iomatica unicità, corr isponde una diversa preparazione di base che si ripercuote per tutta la durata della catTiet·a. Infatti, come a tutti noto, fin dall'Accademia , si fo t·mano due grossi contingenti: quello giut·idico-amministrativo c quello scientifico. Alla Scuola di Applicazione le cose si complicano e da due, gl i indirizzi diventano a lmeno quattro e cioè: Scienze Politi che, Economia c_ Commercio, Informatica ed Ingegneri a Civile (no n tratto d e l Corpo Tecnico e del NEASM [ Veterinario che ri spondo no ad altri requisiti e che riprender-ò più avanti). ' Questo s tato di cose porta ad alcuni in convenienti dei quali desidero sottol ineare almeno due c he, a mc sembra, possano produrre effetti negativi nella Forza Armata, a lungo andare. n primo è connesso al fatto che per essere certi di immettere nel filone scientifico personale c he sia in grado di pw-
seguire con s u ccesso c nei tempi stabiliti g li stud i, nell'am bito della selez ione per l' ingresso in Accademia, ne viene fatta una success iva quasi a «Scremat·e» i corsi scegliendo i migliori da avviare a ll'indiri zzo sc ien tifi co c a quello di Ingegneria in partico lare. Primo risultato: teoricamente i migliori del corso so no assegnati all'Arma del Genio. La selezione ultcriot·c è vero c he non filtra i migliori in assoluto, perché è probabile ch e c i s iano a lli evi valid i c he non supe rano l'esame d i mate n1atica e c he possono riuscire molto bene nell 'indirizzo giuridico-amm inistrativo. È senz'aJtro vero, però, c he in questo modo vengono selezionati i migliori tra quelli che possono essere avviati ag i i studi scientifici e, con buona approssimazione, elimina i peggiori del corso ed eleva il valore medio del rendimento del blocco prescelto. Il secondo inconveniente, strettamente connesso al primo del quale ne amplifica le conseguenze, riguarda la formazion e della graduatoria unica . Come noto, ma cerco di sp iegarlo breve m e nte , la formazione della graduatoria viene fatta con un sistema c he vuo l te ner con to delle di(Ticoltà degli s tudi scientifici ris petto a quelli umanistici. Il risultato e c he agli Ufficial i che seguono l'indirizzo scientifico viene assegn ato un bonus, con un s istema c he non sto a spiegare, da aggiungere a lla loro media stud i. In sostanza, l'istituzione agevo la due volte coloro che vengono assegnati all'iter scientifico. Come è facile vedere i due
fenomeni comportano, in ultima analisi, che la maggio1· parte degli Ufficiali del Gen io s i colloca in testa alla graduatoria. Ho fallo riporta1·e su assi carte iani l'andamento percentuale del fenomeno per gli ultimi corsi. Dal l'esame, per esempio del 174° corso, si nota che, tenuto conto degli attuali parametri di pwmozione, nei primi 27 in gradua toria: • il 48% appa1·tie nc all'Arma di Fa nteria; • l' i l% all'Arma d i Cavalleria; • il l5% all'Arma di Artiglieria; .. il 19% all'Arma del Ge nio; • il 7% all e Trasm ission i. Per dimosll·are la mi a affermazione è forse opportuno valut are, ad esempio, il 19% a cosa corrisponde nell'ambito dell'Arma del Genio: esso rappresenta il 26% degli Ufficiali del cor o mentre le altre percentuali rappresentano: • il 13% dci fanti; • il 14% dci cavalieri; • 1'8% degli artiglieri; • il l 0% dei trasmettitol'i. Se somm iamo le percentuali dell'indirizzo scie ntifico e di quello giuridico-amministra tivo, vediamo che nei primi 27 in graduatoria sono presenti il 36% degli Ufficiali del Gen io c delle Trasm issioni e il 35% d i Fante ria, Cavalle ria e di Artiglieria. Come s i può fac il me nte imm aginare questo s ta to di cose, teoricamente, porterebbe, nel lungo termine, ad una colorazione d'Am1a molto accentuata del vertice della Forza A1·mata. Non voglio affermare che tale fa tto debba essere cons iderato un aspetto negativo perché l'esame è stato condotto in maniet·a asettica, scevra da cons id eraz,ioni
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di pati:e. Certo però che bisogna tenerne conto e valutare se questa nuova situazione sia accettabile o meno. Osservo, però, che il fenomeno va in controtendenza alla politica di bilanciamento dei corsi, che prevede la suddivisione in tre fasce e l'assegnazione percentuale a ll e Armi nell'ambito delle fasce stesse. Con il sistema attuale, non è possibile eliminare l'inconveniente. Mi se mbra giunto il mo mento di effettuare una verifica e porci la domanda di quali siano i compiti che l'Ufficiale delle varie Armi deve svolgere nel periodo di tempo che intercorre tra l'arrivo a i reparti c la frequenza della Scuola di Guerra, che rappresenta la seconda tappa importante delJ'iter formativo quando la fo•·mazione dell'Ufficiale viene vista con connotazioni preminentemente di tipo socio-manageriale. A questo traguardo si presentano sempre i due grossi scaglioni: • quello d ell'indirizzo giuridico-amministrativo, per il qua le non vi sono grosse . novità; si tratta di un ampliamento e di un approfondimento delle tematiche già studiate, in linea con il d i ploma di laurea di Scienze Politi che; • quel lo scientifico, per il quale invece le novità sono maggio•·i ed addirillura antitetiche alla preparazione ricevuta nelle cuole di formazione. A questo punto per lo «scaglione» scientifico s i pone un dilemma: cont inuare nel settore scientifico o immettersi
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ne l nuovo fi lone, quello cioè socio-manageriale. Nel momento di effettuare questa scelta, si sono già verificati alcuni inconvenienti. Pens iamo a cosa è successo prima della frequenza della Scuola di Guerra. L'Ufficiale «scientifico» è uscito da Torino dopo 5 o 6 anni di studio con una laurea in Informatica o in Ingegneria Civile. Arriva ai reparti dove gli viene affidato il compito di Comandante d i plotone e, dopo qualche anno, quello di Comandante di compagnia. Rimane in tale incarico fino alla frequenza della Scuola di Guerra (a meno della possibilità c he venga imp iegato presso il Comando di battaglione o reggimento). In questo periodo, i suoi problemi sono legati, essenzialmente, a l comando degli uomini che gli sono stati affidati c a ll'impiego delle unità corrispondenti. La sua laurea scientifica ha poca influenza pe•·ché gli viene richiesto solo di impiegare, al meglio, i materiali c non di progcttarli. Certo che la s ua preparazio ne scientifica gli è uti le perché gli da la conoscenza molto approfondita degli strumenti di cui dispone ma, ritengo, dal punto di vista pt·atico, non vi s ia una grossa differenza rispetto a colui che è stato preparato per lo stesso incarico magari con lo studio di specifiche materie pt·ofcssionali senza bisogno di laurea. Terminata la prima fase della Scuola di Guen·a s i presenta, come ho g ià detto, il dilern ma della scelta. Ammettiamo il caso che l'Ufficiale vo-
gli a contin uare nel filone scientifico. Ed allora, è valsa la pena che egli sia stato im-. piegato in reparti operativi dove, per evidenti e noti motivi, non ha potuto aggiornare la sua preparazione o, addirittura, l'ha vista affievolire non avendo avuto occasioni per rnetterla in pratica? Non sarebbe stato forse meglio che l'Ufficiale in questione, laureato in materie scientifiche, fosse stato impiegato, da sempre, nella sua specializzazione senza fargli perdere esperienze e tempo? Supponiamo", invece, che l'Ufficiale voglia o debba sceg li ere l'iter socio-manageriale che, a l momento, gli consente d i acq uisire maggiori vantaggi di carriera. Ed allora, è valsa la pena che abbia ottenuto una laurea scientifica che ha poco utilizzato c ad un certo punto deve abbandonarla e rivedere la propria preparazione in c hiave diversa? Può una Forza Armata piccola, verso la quale stiamo inevitabilmente andando, permettersi il lusso di disperdere e nergie e risorse finanziarie? Non è forse meglio che la scelta e la definizione della figura dei vari componenti di una organizzazione venga effettuata fin dall'inizio per utilizzare gli stessi con maggiore efficacia e minore dispendio di risorse? Qualcuno a questo punto potrebbe obbiettare e chiedere come ci si dovrà comportare quando ci sia bisogno di tecnici esperti per affTontarc probl ema ti che che non so no stre ttamente legate a ll'impiego delle minori unità plotone
Operazio11e " Vespri Siciliani». Uflìciale in attività di controllo de/territorio.
e compagnia. La risposta mi sembra ovvia: per queste esigenze che, immagino, non sono e non saranno molto frequenti, s i dovrà fare ricorso ad Uffi ciali laureati in Ingegneria che non è detto facciano parte delle unità operative. In questi casi ci si awatTà di laureati in Ingegneria Civile che esercitano quotidianamente la professione e di laureati in Ingegneria Elettronica costantemente aggiornati. Da quanto fino ad ora illustrato si deduce che la soluzione, in prima approssimazione, "sarebbe quella di prevedere una laurea unica per gli Ufficiali destinati ai repat"ti opera-
tivi, lasciando le lauree speciali o specialistiche, che necessariamente saranno poche e diversificate, ad un non meglio definito corpo di Ingegneri. Questo da un punto di vista teorico-analitico. Passiamo ora su un piano pratico. La Scuola, in questo momento, deve confrontar-si a lmeno su sette indirizzi di studio che l'icordo sono: • indirizzo economico di Scienze Politiche; • indirizzo str-ategico-internazionale di Scienze Politiche; • indirizzo di Economia e Commercio; • indirizzo di Ingegneria Civile; • indirizzo di Informatica; • indirizzo di Vetetinal'ia;
indirizzi vari di Ingegneria per gli Ufficiali del Corpo Tecnico. A parte le difficoltà obiettive per far fronte alle più disparate esigenze, ci sono degli inconvenienti connessi con aggiornamenti o vere e proprie modific he apportate alla struttura dei vari indirizzi. A dimostrazione di quanto ho affermato, con recente provvedimento, la Facoltà di Informatica, ad esempio, ha modificato la durata del corso di laurea da 4 a 5 anni. Non solo . Ha riarticolato le materie suddividendone il programma in fasi. Ciò ha determinato un maggior impegno dei già scarsi docenti della Facoltà, per cui la Scuola si trova in grande difficoltà per assicurare lo s\·olgimento dei
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corsi di Informatica, con l'aggravante che mentre fino ad oggi, durante il Corso di perfezionamento, g li Uffici ali delle Trasmissioni dovevano sostenere un solo esa me ed elaborare la tesi di laurea, da quest'anno gli esami saranno 4 o 5, da frequentare presso l'Università, pill l'ela borazione della tes i: con molta probabilità si dovrà andare ad un ulteriore sesto anno a n che per gli Ufficiali delle Trasmissioni. Tutto ciò malgrado un encomiabile sforzo da parlc della Facoltà di Informatica che si sta adoperando, o ltre ogni limite, per venire inco ntro alle nostre esigenze. È facile immaginare quali comp li cazioni d i carattere pratico ta le fatto può comportare sia nella organizzazione della Scuola per quanto riguarda la pianificazione delle va ri e attività (ad esempio la frequenza di lezioni presso l'Università) sia nell'ambito dei reparti per quanto concerne l'afflu sso e la dispon ibilità degli Ufficiali per un eventuale sesto anno e per l'elaborazione della tesi. Dobb iamo anc he mettere . in conto che, senz'altro, si verificherà una diminuzione del numem dci laureati. Un altro aspetto importa nte che occorre rilevare è l'esigenza tempo. Fino ad ora l'Istituto è riuscito a far laureare il 100% del personale a mmesso al Corso citi Perfez ioname nto entro i limiti di tempo stabiliti: • so anno per Scienze Polit iche, Econom ia c Commercio c Informatica (sessione di luglio: 70-75%; sessione dj dicembre i rimanenti); • 6° anno per Ingegneria Civile.
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Per questa esigenza è stato necessario re peri re un discreto nume ro di docenti disposti a seguire, quali relatori, i singoli Ufficiali che devono preparare e discutere le tesi di laurea. Questo è un altro problema del quale bisogn a tener conto se si vuole rimanere negH attuali limiti di tempo teorici altrimenti, a lm eno per la discussione della tesi , bisognerà andare ben oltre. È evidente che pill le Facoltà sono piccole e dispongono di un numero di docenti limitato pill vi saranno difficoltà per la Scuola nel repcrire insegnanti. Olt1·e a quanto già dello, è necessario tenere presente che la Scuola funziona, in pratica, come un college. Di consegue nza ha delle regole organizzativc che deve rispettare c non può, come potrebbe succedere, far frequentare le lezion i presso la sede universitaria; le lezioni devono essere svolte nella sede della Scuola che possiede a nche labora tori e strutture idonee a llo scopo di elevato livello tecnologico e all'avanguardia. Contravvenire a queste regole comporterebbe un grave problema non solo organizzativo ma, cosa piì:J importante, no n co nse ntirebbe di provvedere alla forma zio ne spirituale e profess ionale dei frequentatori. Da tutte queste considerazion i, a mio avviso, di scende la necessità di rivedere in senso l'iduttivo il numero delle Facoltà con le quali confrontars i scegliendo quelle che rispondono a due requisiti fondamentali: • durata del corso di laurea
di quattro anni; • e levata disponibilità di materie da inserir e n e i. p iani di s tudio per diUerenziare la scelta delle tesi di laurea e, di conseguenza, la poss ibilità di un elevato numero di docenti disponibili, soprattutto come relatori. Facendo un 'anali si mo lto s intetica della si tuazione attuale, ritengo che la stTada per giungere ad una soluzione logica e praticabile possa essere così delineata. Economia e Commercio
Sono del parere che sia una Facoltà da mantenere per le esigenze dei Corpi di Amministrazione e Commissariato (ruolo sussistenza) che a mio awiso, a questo punto, potrebbero anche essere fusi. Finora non si sono presentate grosse difficoltà anche se mi è giunta voce che, a breve, la durata del Corso di Laur·ca passi da 4 a 5 anni. Scienze Politiche È la Facoltà con la quale ab-
biamo i maggiori contalli per numero di studenti. È la Facoltà la cui durata del Corso m La urea è di quattro a nni. È la Facoltà che per numero di materie c di indirizzi consente un'ampia scelta ed ha un numero relativamente eleva to di doècnti per l'esigenza di J'Cpelirc i rclatoti di tesi. È la Facoltà pill affine alla carriera militare. Infonnatica
Ne ho già parlato e non mi ripeto. Ingegneria Civile
Viene svolta, come noto, presso il Politecnico. Fin ora
non ha dato eccessivi problemi se non quello della durata che è stabilizzata su almeno sci anni. Ma la s ituazione, lo ricordo, è tale perché i frequentatori di questa Facoltà sono stati selezionati due volte.
Altri indirizzi di Ingegneria Riguar-dano gli Ufficiali del Corpo Tecnico rcclutali .con biennio d i rngegneria già svolto. Costoro frequentano direttamente le lezioni universita rie alla stregua d i stude nli civ ili. Veterinaria È un problema ad esa uri me nto, come noto, ma a nche costoro frequentano le lezioni universitarie presso la Facoltà con qua lche problema per la loro formazione spirituale c professionale. Spero di avere illustr·ato la situazione c verso quali problematichc stiamo andando. Soprattutto, credo di aver messo in evidenza quali sono i lisch i per l'Esercito che, oltre agli altri ben noti problem i, potranno derivare d a un a scarsa allenzione alle esigenze della formazione. Io ritengo c he non si possa p iù proc r as tina re una presa di coscienza c l'adozion e di un provvedimento definitivo e durevo le che dia s tabilità all'Esercito del terzo millennio, c he dovrà csser'c completamente diverso da quello attuale, come da tutti viene aus picato, e come tutti siano convinti debba essere. Non voglio scendere in particolari che non spetta a me ana lizza-re ma una cosa è incontrovertibile: sa t·à di dime nsioni ridotte rispetto a quello attua-
le . Conseguenza: minori risorse di uomini c di mezzi finanziari; imposs ibilità di man tenere strutture ridondanti; economia in tulti i ettori possibili; elevata professionalità. A questo pun to mi sembra giunto il momento di andare alla parte concreta del discorso. Premesso quanto finora detto in melito alle di[{icoltà e ai rischi dell'attuale situazione, è necessario riconoscere, con estrema franchezza, che la preparazione di base dell'U ffi ciale inferiore presuppone una ga mma di co nosce nze c h e vanno dal campo sociologico a quello scientifico. :LUfFiciale é soprattutto un Comandante ma deve possedere anche preparazione tecnica perché i mmerso in una organizzazione che utilizza strumenti tecnologici di avanguardia. E ciò è vero anche per fanti, cavalieri ed artiglieri. Chi può affermare, ad esempio, che i mezzi delle trasmissioni siano più sofisticati o più tecnologicamente avanzati dei sis temi d'arma dell'artiglieria controaerea o dei componenti dei nuovi mezzi corazzali? Il prob lema è sempre lo stesso: definire l'esigenza cd il livello di conoscenze scientifiche tenendo presente che l'Ufficiale deve essenzialmente essere Comandante di uom ini e poi deve sapere utili zzare, al meglio, i mezzi tecnologici ma non progettarli. In altri termini l'Ufficiale deve avere una preparazione scientifica ma non necessariamente a livello universitario specifico. Ma allora, mi si potrebbe c hiedere: vogliamo eliminare la componente scie n ti fica
dalla preparazione deii'U((ic ia le de ll 'Esercito mentre il mondo va verso la specializzazionc più spinta? La mia ris posta è, evidentemente, no. 11 problema è di scelta, di affidare, cioè, a qualcuno - e non potranno essere molti la com ponente dec isamente tecnico-scientifica. Tale inco mbenza potrebbe essere devoluta, ad esempio, a quel Corpo degli Ingegneri al quale ho già fallo cenno. D'a ltro ca nto, non credo di a fferma re qualcosa di nuovo. Basta fare r·ifc rim e nlo alle Forze Arma te sorelle, Marina cd Aeronautica, c he hanno già una organizzazione del genere c he, io credo, s ia stata dettala proprio dalle dime nsioni dello s trumento, dalla necess ità di non sprecare risorse e dalla volontà di eliminare compiti ridondanti (Corpo Automobilistico, Co•·po Tecnico, Genio, Trasm issioni). Se la situazione è questa e si concorda su l ragionamento fin qui esposto, si dovrà procedere ad esami nare qual è la la urea più idonea per la preparazione degli Ufficiali delle varie Armi. A mc sembra, per motivi che ho già esposto, che il diploma di la urea che risponda in pieno alle nostre esigenze non esista ma quello che più si avvicina è quello in Scienze Politiche con i dovuti adattamenti. Di questo diploma e della sua valenza per la carriera militare ha ampiamente parlato il prof. Bravo, ed il p•·of. Bonanate ci ha illustr-ato che cosa c'è di nuovo e di molto interessante per noi nello specifico settore. Per inciso, desidero fa•· conoscer-e che ormai verso
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una laurea unica ci stiamo andando forzati dalla realtà. Con il 177° corso, in(atti, non è stato possibile immettere ne ll'ind irizzo scientifico un numero di Ufficiali tali da soddisfare le esigenze delle Armi del Genio e delle Trasmissioni. Conseguenza: o rinunciano all'alimentazione dei reparti o devono accettare, e lo dovranno fare, Ufficiali laureati in Scienze Politiche. Ora vengo a trattare un aspetto c he va un po' al di fuori di quelli che potrebbero essere i provvedimenti interni. L'esigenza di una laurea a prevalenza socio-manageriale ma con risvolti scientifici, induce a stilare un piano di studi nel quale debbano essere insedtc matcdc scientifiche a livello di ((fondamenlÌ» (per· quello c he ho detto prima). Sebbene es ista la possibilità, prevista dalle norme universitarie, di definire un piano di studi nel quale siano ripor·tate le matedc fondamentali dell'indirizzo più un certo numero di materie (per raggiungere il numero totale degli esami) attinte da altre Facoltà, quando si parla di materie scientifiche nell'ambito di Scienze Politi che la cosa non sembrerebbe realizzabile. È probabile che esaminando a fondo il problema con la comprensione ed il buon senso dell'attuale vertice accademico la soluzione possa essere trovata. Mi risulta che ci abbiano provato anche Marina cd Aeronautica c he sono partite dopo di noi, dire i sul nostro esempio, ma che hanno fallo passi da gigante. Entrambe le due Forze Armate, c non mi dite che non abbiamo esigenze tecnologi -
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che, hanno stabilito che il diploma di laurea rispettivamente per Stato Maggiore c Ruolo Naviganti sia quello di Scienze Pol itiche con alcuni ((fondamenti» scientifici. Tutti questi avvenimenti ci dovrebbero indurre a non temporeggiare oltre e ad uscire dal guado nel quale siamo fermi. E inoltre, poiché, non è possibile dover dipendere dai responsabi li pro-tempore e dalle situazioni contingenti, se vogliamo dare stabilità alla preparazione professionale, è necessario chiarire le nostre esigenze con l'Università e con la classe politica. Con l'Università perch6 deve riconoscere la nostra presenza e deve considerarci, se non un settore privilegiato, senz'altro un settore speciale del mondo universitario cd esam inare i nostri prob lem i con il dovuto approfondimento. Mi rendo conto che difficoltà interne al mondo universitario potr-ebbero creare inconvenienti a questo processo di normalizzare ma esse potrebbero essere superate con: • un prowedimento legislativo c he preveda chiaramente la possibilità di inserire nel piano di studi di Scienze Politiche «fondamenti» scientifici; • una volontà di collaborazione da parte nostra nei riguardi dell'Università; • la proposta, che potrebbe trovare la giusta co llocaz ion e nel provvedimento legislativo di cui sopra, di ampli are la pianta organica dell'Università di Torino-Facoltà di Scienze Po litiche per tenere conto del maggior· onere rappresen-
tato dagli studenti della Scuola. Ma un ch iarim ento dobbiamo averlo anche con la classe politica alla quale c hiediamo di risolvere, nel senso auspicato, questo problema perché deve decidersi e dirci due cose: • se intende prestare la dovuta attenzione ai problemi militari dei quali quello della formazione riveste particolare importanza; • se veramente inte nde adottare i provvedimenti per consentire di realizzare un Esercito piccolo quanto si voglia ma compatto, amalgamato ed efficiente. Anche in questo caso la formazione dei Quadr-i ha la sua grande valenza. Un ultimo argomento desidero sottolineare. È stato da più parti autorevo lm ente affermato che il problema della cultura e della formazione della classe dirigente è un aspetto che l'Italia deve affrontare. Questa è un'esigenza molto sentita che altri Paesi europei, quali Francia e Gran Bretagna, hanno già risolto. Affrontare e tentare di portare a soluzione questo problema, cioè quello di formar·e una élite da inserire nella classe dirigente nazionale in tutti i settod: politico, economico, industriale e, perché no, militare, è un obiettivo irrinunciabile. Il prestigio c he ne deriverebbe alle Istituzioni consentirebbe di attrar-re i giovani più brillanti delle loro generazioni e i costi, che potrebbero essere completamente copcr·ti da borse di studio e/o stipendi, non
Il Co111andante di un'autocolonna duran te i preparativi per la partenza.
sarebbero e lemento di esclusione delle clas~i meno abbienti. In altri termini si recluterebbero i migliori senza distinzioni di censo e classe sociale. Poiché il sistema universitario italiano non annovera istituzioni di élite e poiché uno dei compiti del nuovo governo e di quelli che verranno, se vogliono risolvere il problema della dasse di rigente (soprattutto quella pubblica che viene costantemente e pesantemente messa in discussione da tutti per la presunta inefficienza), è quello di affrontare la questione; quas i inevitabilmente, dovr anno definire tem-
pi, modalità e sedi pe r la formazione della classe dirigente. Se non lo faran no, saranno le industrie, le banche, le multinazionali che surrogheranno le inadempienze governative. Se le forze politiche si muoveranno in questo senso non possiamo non tenerne conto. Il provvedimento legislativo che s i auspica non deve comportare una separazione delle Scuole Militari dalle Istituzioni univers itarie bensì un riconoscimento della nostra rea ltà c ulturale pe r· entrare a far parte, a buon diritto, dell'élite del mondo della cultura. Sono s tati effettuati sforzi enor·mi per presentare all'opinione pubblica e a coloro che contano, la realtà e le capacità della classe dirigente militare.
Non possiamo geltare al vento quanto realizzato c non dobbi amo aver alcun ti more a con[Tontarci. È così: non dobbiamo aver alcun timore, se necessario, di sederci sugli stessi banchi universitari con coloro che tra 30 anni gestiranno la cosa pubblica. Se noi riteniamo, a buon dir-itto, di essere una Istituzione rappresentativa della realtà italiana, non possiamo rimanere passivi. Se lo facessimo consentiremmo a settori ideologici, produttivi, industriali o economici, di monopolizzare la classe dirigente. Entrare nel sistema quando è in fase avanzata di realizzazione o a regime è pericoloso, se non impossibile. Ge n. C.A. Giuseppe Orofino
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Gen. C.A. Alberto Ficuciello.
L'UFFICIALE SUPERIORE '
con vero piacere, oltre che con p iena e consapevole responsabilità, che mi inoltrerò nel tema: «L'Ufficiale del 2000. La formazione superiore». Questo tema, di grande attualità, infatti, è stato lungamente dibattuto ed è oggetto eli approfond imenti nell'ambito eleJla Scuola eli Guerra, tanto da generare compiute proposte
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di riforma dell'iter formativo dell'Ufficiale in servizio di Stato Maggiore ma più in generale dell'Ufficiale in servizio permanente clelJa Forza Armata. La mia esposizione toccherà, nell'ordine, i seguenti aspetti: • le esigenze e l'iter; • i contenuti della formazione e la struttura formativa; • considerazioni conclusive.
LE ESIGENZE E L'ITER Vediamo innanzitullo i [atti che h.anno reso urgente l'esigenza di rivedere gli iter formativi. Con un provvedimento, per molti aspetti lungamente atteso, il Governo della Repubblica ha, congiuntamente con l'unificazione dei Vertici, ridefinito la preparazione professionale degli Ufficiali delle Forze Armate, destinati ad incarichi di rilievo in ambito nazional e o internazionaJe, ampliandola ed arricchendola con la frequenza di un Corso Superiore di Stato Maggiore Intet-forze sostitutivo dei precedenti Corsi di Forza Armata. Questo passo nella direzione giusta, notevole in sé, perché ha dalo risposta ad esigenze indHazionabili di completezza ed ammodernamento nella preparazione professionale dei Quadri dirigenti delle Forze Armate, ha, peraltro, indotto la necessità di ristrutturare gl i iter formativi di Forza Armata allo scopo di renderli coerenti con lo sbocco finale interforze, garantendo al contempo le specificità di Forza Armata. Occorre, peraltro, affermare subito un principio e delineare un campo di competenze. La formazione di Forza Armata - proprio per salvaguardar ne le specificità non può essere delegata ad alcun altro. Essa è, e deve rimanere, un fatto di Forza A•-rnata, sia pure in un quadro di riferimento e di prospettiva interforze più ampio.
Detta formazione, articolabile in un momento iniziale (o di base) ed in più momenti successivi, deve sodd isfare Je molteplici e diversificate es igenze - dei vari livelli ordinativi - riconducibili, comunque, alle funzioni: • di Comando; • di Staff; • specialistiche o particolari. Fatto salvo, dunque, i l dominio della formazione di base, assegnato alla Accademia Militare e alla Scuola di Applicazione e il dominio della formazione i n terforze, riservato all'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze e al Centro Alti Studi per la Difesa, tutto il resto non può che riguardare la cosidde tta formazione «Superiore» di Forza Armata, che è così chiamata a svo lgere il fondamentale compito di costruzione del professionista di Forza Armata, dal rango più modesto all'alta dirigenza (sia di Comando e Staff, sia specialistica). Il disegno formativo dovrà, allora, necessariamente essere unitario, per raccordarsi armonicamente con la formazione int erforze, ma anche per soddisfare più efficacemente esigenze sempre più pressanti di maggio•-e specializzazione, e per mantenere in valore il patrimonio professionale della Forza Armata ed alta la motivazione di tutti gli Ufficiali. In accordo con ciò, la Scuola di Guerra dell'Esercito ha fornito il suo contributo avanzando una proposta com-
plessiva di formazione che abbraccia tutta la vita professionale dell'Uflìciale dell'Esercito, dalla formazione di base (trattata in aJtra sessione del convegno) alla formazione dirigenziaJe, ben conscia del fatto che la funzione scolastico-addestrativa svolge un ruolo fondamentale - anche se non esaustivo - nella preparazione dei Quadri c nella definizione dei loro profili professionali. Ancora una volta, occorre però ribadire c he l'e[(jcienza dei futuri professionisti deJJe armi sarà il prodotto non solo della loro competenza e capacità professionale, ma dell'intero sistema sociale in cui opereranno, dei suoi valori di riferimento, del «riconoscimento» pubblico e delle gratificazioni che ne ricaveranno. Per definire l'iter eU formazione professionale dell'Ufficiale, è stato esaminato un percorso tipo- dall'uscita dagli Istituti di formazione ai massimi gradi della gerarchia - allo scopo di individuare le esigenze formative/informative relative ai vari incarichi ricoperti, a ll a luce dei compiti assegnati alla Forza Armata, delle nuove tipologie d'impiego, delle nu ove tecnologie, delle tecniche, delle procedure e della sempre più diffusa e spinta connotazione multinazionale ed interforze delle strutture e delle operazioni. L'esame condotto ha prodotto, o meglio conferma, due rilevanti risultati; da un lato la formulazione di proposizio ni a valen za generale da noi definite «Capisaldi della 67
formazione>>; dall'altro, la configurazione di un iter formativo con una concezione unitaria ma variamente cadenzato ed articolato. Tra i capisaldi (princìpicriteri-metodi) più rilevanti è emerso quello della formazione permanente<n perché sancisce l'indi ssolubile nesso, cioè la necessità del legame costante e dinamico, tra la forma zione degli Ufficiali e la loro professione in un rapporto di mutuo scamb io che arricc hi sce entramb i i termini di sempre aggiornate capacità e conoscenze. D'altronde questa è una nota prerogativa del mondo mil itare (ricordata da molti) che tuttavia ora riteniamo debba essere più penetrante. Infatti, la necessità di fornire adeguati strument i profess ionali- nei possibi li incarichi da ricoprire- determina l'insorget'e di una esigenza addestrativa praticamente continua, richiede cioè l'azione di una «Struttura scolastica professionale>>, che differenziando dultilmentc la sua «offerta formativa/in formativa)), soddisfi la domanda pro- . fessionale per ogn i step significativo e/o per aggiornamento dell'utenza. Occorre qui, peraltro, enfatizzare il carallere professionale che detta Scuola dovrà possedere; cioè sollolineare la capacità reale di fornire ai discenti «verificabili>> capacità e conoscenze professionali, indi spensab ili cd aggiornate. Quanto precede trova più soddisfacente ed analitica espressione nella definizione d i Formazione Permanente e
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nella formulazione dei seguen li cri te t'i: • addestramento per obiettivi: concretare c verificare capacità e abi li tà di forn ire prestazioni professionali nell'adempimento degli incarichi affidati agli Ufficiali al termine dci corsi; • progressività e precedenza: anteporre corsi/stage informativi ad hoc in funzione di incarichi da dcoprire ed esigenze da soddisfare; • modularità e fl essibilità: costituire «moduli didattici>> (personale e materiali) componibili, snelli ed altamente qualificati, in grado di soddisfare molteplici e variabili esigenze formative/infom1ative, anche a domicilio; • specializzazione: utilizzare lo strumento eli corsi «brevi ma intensivi>> per attribuire specializzazioni nelle bt,anche operative e funzionali. Criteri che devono trovare un efficace complemento c un fattore incrcmentalc d'efficacia, in un metodo didaltico-addcstrativo che - attraverso l'intensa partecipazione individua le, la dialogica c le attività applicative- stimoli le capacità ragionative e creative d ei s ingoli, utilizzi il patrimonio professionale di Lutti ed indu ca autonomo c reciproco apprencl ime n Lo. Alla luce dei suddetti criteri la Scuola di Guer-ra ha formulato una proposta organica di iter formativo sviluppabile in due varianti peraltro in sinLonia generale tra loro. Il concetto fondamentale (da noi) posto alla base del fu -
turo iter è, come sottolineato in precedenza, quello della formazione permanente per cui ogni gradino di competenza e· responsabilità è cru·attcrizzalo da una fase, di varia durata, di preparazione ai successivi compiti. Di volta in volta, detta preparazione potrà avere carattere formativo generale ovvero di spccializzazionc. La differenza tra le due varianti proposte è essenzialmente incentrata sulla collocazione temporale di quello che sarà il pilastro della formazione superiore di Forza Armata: il Cor-so di Stato Maggiore. Nell'un caso, esso è collocato a ridosso dell a promozione ad Ufficiale Supet·iore (e del Cor o Superiore di Stalo Maggiot·e lnterfot·zc) cd è riservato a Capitani anziani o Maggiori; nell'altro, mantiene la posizione attuale a metà strada, circa, tra la promozione a Capitano e quella a Uff-iciale Superiore. Il primo iter formativo è completato da un Corso di Abilitazione alle funzioni esecutive di Staff per Capitani che abbiano effettuato il Comando di compagnia. Il secondo prevede, per contro, un corso di Aggiornamento Professionale alla vigilia della promozione a Maggiore, cio'è del Comando di battaglione o unità equivalente. Entrambi gli iter contemplano, inoltre, corsi più brevi, generali, specialistici, specializzati o particolari, allo scopo di mantenere al massimo livello possibile la professionalità e l'efficacia degli Ufficiali della Forza Armata nei vari gradi e nei vari scllori d'impiego.
U/fìciale Superiore impegnato nel nostro co11tinge11te i11 Bos11ia.
Lasciando l'esame comparato e completo delle due soluzioni ad altre sedi, mi limi terò qu i ad evidenziare le peculi arità delle due varianti. In de fi nitiva, si può affermare c he nella prima: • l'istituzione di un C01-so per abilitare i Capitani alle f1.mzioni esecutive negli staff, dà la possibilità agli stessi dì inserirsi armoniosamente nel lavoro di un collettivo dopo il Comando di compagnia (o altra esperienza simile) operando, peraltro, in • un ruolo adatto al grado e campa ti bile con la loro esperienza professionale;
ciò renderebbe quindi disponibili giova ni Capitani per l'impiego in ogn i livello di Comando naziona le e se necessar io mcd i ante brevi stage ad hoc - a nche in amb ito internazionale (ONU, NATO, UEO, ... ); • la collocazione del Corso di Stato Maggiore - i n prossimità del Comando di battaglione e/o in previsione dell'impiego con comp iti di Staff di medio livel1o -consente di fornire a ll a quasi totalità dei Capitani de ll a Forza Armata una prepat·azione professionale aggiornata e pertinente al grado e
all'incarico da ricoprire; • lo svi lupp o de l Corso di Stato Maggiore a r idosso dell a promozi o ne ad U[[icia le Superiore, s icuramente più avanzato nel tempo r ispetto a ll'a ltra soluzione (med iamente 3-4 anni dopo), fornisce un adeguato e mirato stimolo al miglioramento professionale e consente di mantenere piLt a lu ngo e più eleva t o l'i n te r esse per la professione c per le prospettive di impi ego future. Nella seconda variante: • la collocazione del Corso di Stato Maggiore, praticamente coincidente con l'attuale - cioè dopo tre anni dalla promozione a l grado di Capitano - , consente una successiva, più eleva ta, flessibilità d'impiego dei Capitani rispetto a lla solu zione precedente, ma potrebbe generare precoce disinteresse per la professione e per le prospettive di impiego future, particolarmente se continu erà a sussistere l'attua le s is te ma dei vantaggi, condizionante- in misura rilevante - lo sviluppo successivo di carriera; • l'istituzione di un Corso di Aggiornamento per prossimi Ufficia li Superiori della F orza Armata consentirà loro di completare, ma soprattutto aggiornare in modo economico e mirato, la preparazione professionale in vista de l Comando di battaglione (o equivalente) e di incarichi di Staff di adeguato livello.
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zione dell'Ufficiale, nella fattispecie la sua formazione «superiore», dovrà puntare a coinvolgere completaAlla Scuola di Guerra sia- mente l'uomo, in tutte le sue mo dell'avviso che i contenu- potenzialità, avendo particoti, prima di tutto, debbano lare riguardo - oltre c he alla essere funzionali all'eserci- sua dimensione «tecnica» zio della professione di Uffi - alla fondamentale dimensiociale cioè d i un capo milita - ne etico-comportamentale. re. Inoltre, devono in cre Alla luce di ciò, la Scuola mentare la sua capaci tà di di Guerra- massimo Istitu to gestire, in modo ottima le, le per la formazio ne superiore risorse disponibili (manage- degli Ufficiali della Forza Armenl) e la sua capacità di mata - ha provveduto a comando (leadership) in di - «rifocalizzare» i suoi compiti verse condizioni di ruolo e formativi di Comandanti e di incarico, ma anche in Uf{iciali di Staff, proponenoperazioni estremamente di- dosi innanzitutto di arricversificate tra loro. chirne ed attualizzarne le diPer rendersi conto di ciò e mensioni: di quanto questo implichi in • etico morale, con il richiamo ai valori di fondo, termini di ampiezza di patrimonio professiona le da poscon partico lm·e riferimensedere e/o da trasmettere, to all'efficienza, all'identibasta cons iderare la distanza ficazione e senso di ap- e non solo concettuale partenenza al «gruppo esistente tra un a operazione vincente» e al conseguen«classica» di guerra guerregte riconoscimento sociale; giata ed una d i mantenimen- • tecnica, con un s is tem a to della Pace, pe•· la quale il addestrativo - aperto ai requisito della militarità contributi dell'alta cultunella conoscenza ma sopratra civile - che utilizzi al tutto nella capacità e nell'apmassimo le innovazioni proccio ge neral e - appare . co no scitive, tecnologisempre più necessario ma che, didattiche e com uni non sufficiente. cative, con particolare riEcco a ll ora la necessità ferimento a quelle che di fornire nuovi ed aggiorfavor·iscono l'autoap nati strumenti professionali prendimento, l'incremen(conoscenze e capacità) ad to s uccess ivo dell a conohoc, ma anche di stimo lare scenza professionale e al massimo la capacità di consentono relazioni più autoapprendimento, di creeffic ie nti al l' interno e/o scita complessiva c di rcatall'estemo della struttu •·a tività immediata per risolvemilita•·e. re i problemi, a ll o scopo di I n accordo con ciò c ritefronteggia r e le più disparate nendo la multidisciplinarietà situazion i c dominare i sem- c il coordinamento disciplipre mutevoli evenli. Appare nare fondamenta li nella mechiaro, allora, che la forma- todologia, nell'impo tazionc I CONTENUTI DELLA FORMAZIONE E LA STRUTTURA FORMATIVA
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e nello sviluppo delle problematiche professionali, la Scuola di Guerra - già strut- • turata secondo un mod e ll o universitario - ha provveduto ad «attualizzarsi» ridistribuendo le sue risorse didattiche in nuovi Dipartimen ti/Centri finalizzati al conseguimento di s intesi professionalmente rilevanti. In particolare sono stati creati e/o potenziati i se gu enti Dipartimenti: • delle Scienze Politiche e mana g eriali , di sup porto generale alla for mazione dei "Comandanti e degli Ufficiali di Stato Maggiore; • di C3 l e di Organizzazione delle Forze, con partico lare special izzazione nei sistemi automatizzati di Comando e Controllo; • di Impiego de lle Forze, per ottimizzare l'approccio e la l"isoluzione dci problemi operativi. E dci seguen ti Centri: • d e l Diritto Umanitario d e i Conflitti Armati, espandibile in Centro per le O.O.T.W., per la preparazione del personale della Forza Armata ad Operazioni particolari e nel settore specifico del Diritto Bell ico ed Umanitario nei Conflitti Armati; Didattica e Comunicazione, per la formazione degli insegnanti, il migli oramento dell'insegnamento c l'inc•·cmento dell'efficienza/efficacia delle com uni cazion i interne e/o esterne alla Forza Armata. Conscia dell'alta funzion e c h e compie, nella prepara-
• ai
zione professionale degli Ufficia li della Fona Armata, la Scuola di Guer ra opera, continuamente, per migliora1·si e aggiornarsi, per rimane1·e al passo con i tempi, anzi - se possibile - p r ccorrerli. In q uesto senso van no: • lo sviluppo c le app licazioni di n uove tecnologie per iJ Comando e Controllo di Comandi ed Unità; • le nuove tecniche didattiche, docimologiche e comunicative impa1·tite ai frequenta tori di Corsi di Stato Maggiore, ma soprattutto agli insegnanti della Forza Armata; • la costituzione di una task force p er la revisione e l'aggiornamento dei programmi di insegnamento; • la defi nizione di un'intesa costante e di coJJegamen ti permanenti con lo Stato Maggiore dell 'Esercito e con gli Alti Comandi periferici, per s tabilire capacità e conoscenze professionali da conferire agli Ufficiali frequentatori, all'uscita dai Corsi; • la costituzione di un servizio/sistema di «COntrollo qualità» avente come compi to preci p uo i l miglioramento delle prestazioni dell'Is ti tuto, con particolare r iferimento al settore della formazione. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE L'Ufficiale del 2000 dovrà essere un profes s ionista delle armi a tutto tondo, in grado di comprendere a fondo la real tà che lo circonda, in possesso di tutti gli stru-
menti professionali (capacità vazionale. Esso merita più e conoscenza) per affrontare di un accenno, ma è essenmolteplici situazioni d'impie- z ialmente riconducibile alla go e dotato di una forte cari- spinta etico-morale e al proca motivazionale. pellente ideale che l'UfficiaA ciò occorre aggiungere le deve mettere a base delle che il suo bagaglio profes- sue azion i nell'espletamento sionale dovrà essere con- di un in carico, d i u na fungruamente incrementato (ed zio n e e/o nell'assolvimento incrementabile) a llo scopo di un comp i to. Anche in di poter operare - sempre questo campo la Scuola più frequentemente - a nche darà - come ha dato e dà - il in complessi di forze combi- suo insostituibile contributo nati e congiunti in Patria e in qua n to essa è, prim a di all'estero. tutto, a lto Istitu to di formaLa formazione di dattico- zione etico-professionale. addestrativa su peri ore, c ioè ·Dovrà, però, in questa fonl'azione della Scuola di Guer- damenta le e delicatiss ima ra, dovrà, quindi, assicurare funzione, essere affiancata tutto questo, traendo dal da a ltre istituzioni e da una complesso delle risorse di- n u ova sensibilità e cultura sponibili cioè quelle proprie, politica, che dovranno creama anche da quelle costituite re le più adeguate condizioda expertise settoriali o d'im- ni per l'affermazione di un p iego, reperibili in ambito forte sentimento nazionale Forza Armata. di consapevolezza e responOccorre peraltro aggiun- sabi lità per il ruolo delle gere che la cultura professio- Forze Armate nella vita del nale dei futuri Quadri supe- Paese e per l'opera dei proriori non potrà disgiungersi, fessionisti m ilitari: solo qui, né tantomeno isolarsi, dalla questi potranno trovar e il corrispondente o affi ne e le- fertile humus per lo svilupvata cultura civile, per non po della motivazione indiviperdere la capacità di capire d u ale e per la crescita proed in terpretare la realtà. fessio n a le ed istituzionale. A q u esto fine è a ltamente Solo cosl, con una c hi ara a u spica b ile che si i n cre- un itaria visione del «Sottosimentino i legam i della stema Difesa», il «Sistema Scuola d i G uer r a con i l Ilalia» potrà onora re il pomondo univers i ta r io, ma sto di grande rilievo c he cerpiù in generale con tutte le ca tra le Nazio n i più progreorganizzazion i nazionali dite su questo pianeta. produttrici di cultura. Questo fatto favo r irà, Ge n . C.A. Albe rto Ficuciello inoltre, la conoscenza reciproca e l'osmosi tra cultura militare e civile, produttrice N OTE d i benefici effett i per en- "' Formazione Permanente: assicurare progressività e continuità nella trambe le parti. formazione de1l'Ufficiale, affidandoRimane ora ultimo ma si anche a11a personale responsabile non minore, il fattore moti- panecipazione.
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Geu. C.A. Carlo Jeau.
IL DIRIGENTE INTERFORZE. DIVAGAZIONI SUL TEMA DELLA FORMAZIONE ·MILITARE o n il mio intenren to spero di destar·e interesse, non sco ncerto. Guardando l'ordine degli interventi di questo Convegno, non posso tuttavia fare a meno di notare come iano stati po tj in rigida sequenza secondo le varie fas i della for·mazione militare attua lmente co ncepita e svolta in Italia. L'ordine è slrettamente gerarch ico c conse-
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quenziale. Anche l'argomento chè mi è stato assegnato l"isulta quindi in linea con tale criterio. La formazione del dirigente inter{orze, in questa logica dida-
scalica, viene dopo quella dell'ufficiale superiore e ovviamente ancora dopo quella dell'Ufficiale inferiore. NLtlla da e~cepi re solto il profilo organizzativo, ma mi si consen ta di approfittare di questo approccio classi-
co per puntualizzare alcuni pa-
ra metri del problema della formazione nel suo complesso. La ca tena di montaggio
La formazione degli ufficiali e quella delle istituzioni militari in genere, come la scaletta di questo convegno, è concepita come u na catel'la d i m o111aggio. Esistono laboratori successivi e robot che plasmano la ma teria prima. Ognuno dei la bora tori modella il prodotto che comunque è sempre un semilavorato, fi no ad arrivare al "reparto fìn iwra" con la formazione del dirigente interforze. Se si trattasse di un'auto sarebbe la ma no di cera sulla vernice. Ad ogni tappa di questo percorso schema ti co corri spondono d iversi istituti di formazione ed il supera me nto di ognun a di esse comporta il conseguime nto di un liro/o accademico. Nella logica di tale processo vi è anche la J; gida fi nalizzazione della formaz io ne: l'Accad e mi a e la Scuola di Applicazione devono fornire la preparazione di base per rullo quello che può setv ire dopo, la Scuola di Guerra deve forn ire le conoscenze per forma re un dirigente a tutto campo e dulcis in fundo l'ISSMI e il CASO devono preparare il dirigente interforze. Questo schematismo è superato e non è più assolutamente valido. La formazione così ottenuta risulta rigida e senza la capacità di adeguarsi al repentino cambia mento di situazion i sia in senso orizzontale che verticale. Inolt1·e, essere dirigente significa bilanciare autorità e re-
sponsabilità e, in questo pa rti- formazione c impiego, la formacolare periodo, nelle FA emra m- zione diventa un fine e non un be le prerogative sono mol.to li- mezzo. Se per realizzare il fine è mita te. Speriamo c he qualcosa necessario il m ezzo laurea, ben cambi in futuro, specie se ve1Tà venga, ma non per motivi che rea li zza ta l'in tegrazio ne in - mascherano sostanzialmente la tcrforze. Ma per ora non possia- professione militare. mo dire di formare veri dirigenL'a ttribuzione di titoli accati interforze. Si è anzi rilevata demici, o il consegu ime nto di una forte di fform ità di prepara- titoli scolastici, che ad ogni paszione di base nelle varie Forze so fo1mativo sono a ncora perviArma te per cui è sta to ritenuto cacemente perseguiti, appaiono necessario costituire un corso invece come segni di una vecpresso l'Is tituto Supe ri ore di . c hia co ncez io ne second o la Stato Maggiore lnterforzc (IS- quale solta nto co n il titolo s ì SMI). Non siamo tuttavia a nco- può accedere al posto. ra riusciti a consegu ire la vera Come tutti sappiamo, questa unificazione dei corsi superiori prassi in Italia è degenerata neldi Stato Maggiore e il risulta to la ricerca del «pezzo di carta» ed immediato raggiunto, c he a u- è in questa logica che si sono inspico sia il più transitorio po si- seriti gli isti tuti forma tivi di base bile, è che, nonostante la cri tica delle forze rum a te e che hanno s ituazione delle risorse d i fo r- prodotto per l'Esercito l'inguacma tori, anzichè riduJTe le Scuo- chio di lau1·ee e corsi così bene le di Guen-a da tre a una, le ab- illustrato dal Comandante delia Scuola di Applicazione. Da noi il bia mo porta te a quattro. La formazione, ad ogni suo corrispettivo del Mister inglese o passo, non può prete ndere di del Monsieur francese è diventapreparare per il wuo ipotizzabi- to il «Dottò» e per raggiungere le successivo. Le compe tenze questo status non basta la capaimpartite oggi ad un livello di- cità di confe1;re il titolo a ttribuiventano obsolete nel giro di po- ta al parcheggiatore a bt:Jsivo, ma chissimo tempo e non servono si sono coinvolte istituzioni bene ppure p er amplia r e qu ell a nemerite come le un ivers ità e che un tempo si chiamava "cul- fi ordi docenti. I n Euro pa e nel mondo la rura generale" e c he serviva a tendenza è esattamente di senso giustificare la turtologia. Oggi occorre valutare quali opposto. Per o ttenere il posto sono i contenuti di professiona- occorre dimostrare di saper fare. lità che devono essere dati a que- Non è più nemmeno questione sti cicli interforze che sono svolti di sapere: è esclusivamente propresso l'ISSMI e il CASO. Esi- blema di avere gli strumenti cogenze di professionalità che de- noscitivi e funzionali per assolvono essere legate all'incarico da vere il compito. Il sapere per saricoprire. Parlare d i forma zione per fare e saper essere. In ambito senza parlare di gestione e impieeuropeo, e in I talia s tessa dai tempi di Luigi E inaudi , esiste go del personale è parlare a vuoto. Se non c'è collegamento u-a già un movimento per l'abolizio-
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ne dei titoli cti studio ed accademici come requisito indispensabile all'impi~o. Saranno necessari, per ogni incarico o funzione, esami di abilitazione tendenti ad accertare la reale competenza del candidato. E la selezione potrà awenire in base a criter-i oggettivi comparativi, ma non nel senso del "compare". In questa ottica l'impiego deve essere inteso come espressione di competenze professionali e non come ruolo impiegatizio. A mio avviso, questo anelito di fare tutti dottori ha purtroppo indotto a modifiche molto forti nella formazione degli Ufficiali dell'Esercito e adesso mi sembra che la Marina e l'Aeronautica seguano la stessa strada. Ci si è progressivamente dimenticati che il militare deve essere un militare e basta. Egli ha già una caratteristica di professionalità specifica che rappresenta il motivo per cui il contribuente mantiene le Forze Annate. Ufficiali e dirigenti Da questa situazione si rende evidente la necessità di una riforma totale della formazione, non solo di quella militare. Ma. ritengo che il problema della formazione degli Ufficiali debba essere visto in funzione di quello che si richiede alle Forze Armate, a quello che devono saper fare e cioè: combattere. Si parla spesso di soldat i della pace, a cui si danno anche le colombe della pace (di staliniana memoria), e stiamo dimenticando e mascherando così le loro funzioni fondamentali : quelle in grado di esprimere capacità di combattimento. Riconosco che ciò non è semplice perché non esiste un solo prodotto
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finale cui tendere, ma tanti prodotti quanti sono gli impieghi operativi. In questo senso. però, la catena di montaggio non ha più significato ed è anzi deleteria, dispendiosa e dispersiva. Lo stesso prodotto finito del Dirigente interforze è un equivoco. Chi è il dirigente interforze? Esiste? Come si distingue dal dirigente eli forza armata, da quello tecnico o da quello dei settori logistici? La conoscenza degli strumenti d'impiego intedon:e può essere patrimonio esclusivo dei dirigenti impiegati presso gli organi interforze tipo Stato Maggiore della Difesa, Segretario Generale e Comandi NATO? La risposta è owiamente: no. Non esiste un d irigente interforze come grad ino superiore a quello di forza armata semplicemente perché la professionalità richiesta ad un qualsiasi dirigente militare non può più escludere la dimensione interforze, quella internazionale e quella interdisciplinare. Esiste invece la necessità di una correlazione sempre più forte tra dirigente impiegato in ambito forza armata, dirigente tecnko e dirigente presso organi interforze o internazional i. I.:autotità degli organismi interforze è sempre maggiore, soltanto perché la dimensione dell'impiego professionale è sempr·e più insistentemente multidisciplinare e così la responsabilità è sempre più ampia. Ecco, se proprio si volesse individuare una nicchia per il dirigente intcr-forzc si potrebbe individuare nella diversa calibratura e giusto dosaggio tra autorità e responsabilità del proprio livello d'impiego. La preparazione di oggi è però ancora molto rigida. Gli at-
tuali impieghi richiedono invece una fortissima flessibilità sia in campo orizzontale che verticale. Nel senso che un Comandante può avere a disposizione forze ad hoc anzichè complessi organici. I.:Esercito va sempre più avvic inandosi ai criteri g ià noti in Marina delle Task Forces e Combined Task Forces, con la complicazione che quasi di regola le formazioni sono internazionali. In senso verticale, perché spesso i livelli, specie quelli in supporling, devono svolgere compiti un tempo affidati ai livelli superiori. Le organizzazioni stesse non sono più soltanto verticalizzate, sono sempre più a rete, sempre più orizzontali. Questa esigenza di orizzontalità, e quindi di specializzazione, contr-asta con l'idea di gerarchizzazione militare, ma dovrà essere incorporata nella formazione degli ufficiali. Po iché nell'estremo passaggio che è stato definito dalla sciabola al missile, la diversificazione e la specializzazione tendono ad aumentare. Il vero dirigente è colui che riesce a dare w1itarietà alle varie specializzazioni. In queste condizioni rinunciare ad un alto numero di Ufficiali è una follia perché con lo sviluppo della cooperazione internazionale, con l'allargamento delle alleanze e con la sempre maggiore diversificazione degli impieghi saranno necessari sempre nuovi organi di comando e controllo e sarà sempre più awcrtita l'esigenza di Ufficiali specializzati e conoscitori di lingue. Il gettito degli ufficiali italiani (250 all'anno). che embra qualcuno voglia ridurre, è già ora ridicolo rispetto a tedeschi e francesi (rispettivamente 1500 e 700). Per stemperare il rischio di ovel:'itaffìng, si pone anche l'esi-
genza di impiegare un certo numero di Ufficiali al di fu01i delle FarLe Almate. Questo problema non può essere affrontato aspettando dspetto e riconoscimento dall'esterno, ma soltanto migliorandosi all'intemo. Cioè offrendo professionalità, capacità di gestione delle emergenze e dell'imprevisto, capacità di gestione dei supporti logistici integrati. All'estero di regola dopo 12-25 anni gli Ufficiali cambiano metierc. In Italia questo già succede nel settore civile ed accorTe che quello militare vi si adatti. Vediamo quindi di quali prodotti hanno veramente bisogno le FA e, in questa sede, in panicolare che cosa serve all'Esercito e da tali esigenze ricaviamo gli obiettivi, vale a dire le caratteristiche di professionalità, che la formazione deve conseguire. È opportun o sottolineare che la formazione di base è una cosa e altra è quella permanente. Facciamo pure che la pdma duti 5 a nni, ma non tiduciamo troppo il periodo da Tenente al Corpo, come è stato accennato durante questo convegno. Ricordo con molto piacere il mio periodo di Comandante di Plotone all'8° Reggi mento alpini, ed è stato un periodo altamente for·mativo. Rite ngo che tal e esperienza sia tuttora valida almeno per gli ufficiali di fanteria. Forse in artiglielia, dal punto di vista tecnico, si potrebbe fare a meno dei tenenti, ma non si può rinunciare o comprimere oltre un certo limite la prima esperienza di comando e d'impiego nei gradi inferiori. Ad ogni modo bisogna dare più imponam.a alla formazione pennanenie che 11011 al lungo periodo di fonnazione iniziale. Dalla formazione di base l'E-
sercito ha bisogno di guerrieri. Ha bisogno di giovani Comandanti in grado di condurre operazioni d i comballimento. SuJ campo, sui vari campi, non dietro scrivanie o al riparo dai rischi dell'azione. Ha bisogno di leader di uomini altrettanLo professionalmente qualificati, ma con diversa calibratura dell'autorità e della responsabilità. Non tragga in inganno l'apparente riduttività dell'obiettivo. Essere guen:ieri oggi è ben diverso da quello che poteva essere solta nto cinque anni fa'. E per il h.rturo sarà ancora ulteriorn1ente modificato per cui anche il concetto della formazione a lungo tennine varrà sempre di meno. tufficiale che serve oggi è un guerriero e la specificità e la professionalità di tale molo sono tali da non richiedere alui titoli accademici, scolastici od onodfìci. Ma c'è di più: la professione del gucn·iero è diventata quanto mai complessa ed articolata. Dopo la fine della gue rra fredda il ruolo dei milita ri si è ampliato. La sicurezza, plima prevalentemente militare e contrapposta ad una minaccia diretta, è divenuta multidirezionale e muJtidimensionale. Non si conosce né quale sarà il prossimo awersario né il teatro oper-ativo in cui si dovrà ope1-are. Gli aspetti propriamente militari della sicurezza vanno coordinati con quelli economici, politici, psicologici, amministrativi, umanitari ecc., in modo da conferire coerenza all'insieme e da mantenere l'unità di comando e di direzione. La forza militare non è più un mezzo di ultimo ricorso, ma va spesso impiegata, effettivamente o allo stato potenziale, nella gestione delle crisi e come
mezzo di diplomazia preventiva. Nel pensiero e nelle valutazioni strategiche le discipline umanistich e ( «Saft») hanno assunto un'importanza eguale c talvolta superiore a quella degli aspetti tecnologici («hard»), che dominavano invece nella dissuasione nucleare. Alla difesa dei tenitori dell'Occidente, fatto che mantiene la sua essenziali tà contro le minacce residue - come in caso di proliferazione o di conllitti re· gionali maggiori che modifichino l'ordine e gli equilibd internazionali -e di fronte all'imprevedibilità dell'evoluzione degli equilibri intemazionali, si sono affiancati interventi che vanno dal sostegno di opcrnzioni umanitarie, al peace keeping, al peace making, al peace building e alla gestione delle cdsi. Tali interventi, che non coinvolgono gli interessj vitali dei nosLti stati, assumono delle caratter·istiche particolari, che sottopongono a nuove sfide le Forze Annate e quindi la prepamzione dei quadri. Alla figura del militare guerriero si sta affia ncando quella del «guardiano,, dell'ordine, della stabilità e del diritto internazionale, la cui azione è legittimata non dalla difesa degli interessi nazionali, ma di interessi dell'intera comunità internazionale. Spesso le Forze Annate ricevono poi mission i, che non sono tipiche del soldato, ma che solo il soldato può assolvere efficacemente e tempestivamente, data la strunma dell'organizzazione militar·e e la sua capacità di fronteggiare le emergenze e l'imprevisto. È stato ad esempio il caso degli interventi in Albania, in Cambogia e in Mozambico. Accanto alla figura del militare guerriero sta affermandosi quella del militare pacificatore,
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amministratore e talvolta anche samaritano. Taluni parlano anche di << ufficiali-d iplo ma tici», dato che i compiti affidati non richiedono una vittoria militare, che renda possibile una soluzione politica favorevole, ma piuttosto il raggiungimento di una situazione di pace sostenibile e stabile, attraverso il negoziato, il compromesso e la mediazione Era le faz ioni in lotta. Lo hanno fatto, i vari comandanti dell'UNPROFOR, a nc he ai live lli inferiori, ad esempio per rende re possibili gli aiuti umanitar-i. L'Ufficial e deve possedere doti di diplomazia no n solo per assolvere i compiti che gJi vengo no a ffid a ti , ma anche per mantenere la coes ione delle coalizioni di cu i fa parte il consenso delle opinioni pubbliche, interna, inter-nazionale e locale. Le for.Ge militari devono operare anche con agenzie civili governative o internazionali, con organizzazion i non governati ve, in complessi multinazionali costitu iti da contingenti forniti da vari paesi, con diversa cultura, o rganizzazione, addestrame nto cd equipaggiame nto, a contano con leader locali, con condizionamenti politici (rego-. le d'ingaggio molto limitative, come «Operazioni a zero morti ») e con un a pcrvasività dei media sconosciuta nel passato. Qua nto meno le opc•·azioni sono tradizionali, tanto più diminuisce l'importanza delle dimensioni propriamente militari e tecnologiche c tanto più aumenta quella degli aspetti politici, economici c psicologici. l concetti di vitloria, di centro di gravi tazione, di punto culminante della vittoria, c così via sono profondamente trasformati. l livelli politico-strate-
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gico, operativo e tattico, c he nelle operazioni tradizionaH sono ben distinti, subiscono una compressione. La tattica finisce ad avere un impatto strategico e politico superiore a quanto avviene nelle operazioni tradizionali. Nei conflitti civiH, etnici ed ide ntita ri dominano gli aspetti psicologici, ampiamente inOue nzati dai media, c he seguono una loro logica amplificando awenimenti praticamente ins ignificanti e attribue ndo ad essi un importanza strategica e poHtica. Basti pensare agli e ffe tti de lla ucci s ione de i 18 rangers americani a Mogadiscio o alla Uberazione del pilo ta americano abbattuto in Bosnia. Dal punto di vista matclialc il successo e l'insuccesso sul campo di per sé hanno un signHìcato olamente tattico, non uno strategico. D significato strategico si itua sempre più frequentemente a Livello psicologico e mediaticocomunkativo. Per questo si richiede ai comandanti, anche ai minori livelli una profonda comprensione dei problemj politici, psicologici, antropologici, ccc., sia generali che locaU. Diventa evidente l'esatlczza dell'espressione del maresciallo Lyautey <<Chi è solo milita1·c è un cattivo militare». In un certo senso, si Jiscopre l'esigenza che gli ufficiali possiedano profcsionalità che erano proprie dci loro predecessod delle gucn·c di coloruzzazione e di decolonizzazione o degJj ••ufficiali politici» della Compagnia delle Indie, impiegali nel «Great Game» fra gli imperi britannico e 7..arista in Asia Centrale e in Afganistan. La strategia diretta, in cui sostanzialmente la vittmia aveva un significato strategico e gli obiettivi militari veni vano definiti in
rapporto a quelli politici, ma possedevano rispetto ad essi una loro individuaUtà, è sostituita da una indireua. Essa comporta un coordinamento assai stretto fra azioni militari, azioni umanitarie, e processi di pacificazione e di ricostruzione delle strutture politiche, amministrative e sociali Non è che gli ufficiali si debbano mettere a fare i diplomatici. Anzj ocCOJTe semma i stabilire nuove regole c competenze non solo per il ricordo dei Caschi Blu, appartencntmalle unità di élite dell'orgoglioso Occidente, vincitore della guerra fredda, ammanettati ed umiliati in Bosnia, ma anche per la considerazione che ••a ciascuno il suo mestiere». I militari facciano i militali, e i diplomatici facciano i diplomatici. mondo moderno è fatto di specializzazioni. Quella militaee è incentrata sull'uso della forza e sul combattimento. L.:unico modo con cui i militali hanno sempre concorso alla pace è quello di sape•· fare la guen"a e di fru~a quando la politica glielo richiede. Guen'a beninteso sempre limitata e solo in casi eccezionali di annientamento. È evide nte che nel concetto di limitazio ne è intrinseco quello di tra nsazione, di negoziato, di scarnbio, di gioco a somma diversa da zero. La simbiosi fra militare e diplomatico è evidentemente essenziale per ogni concetto di limitazione e pc1· la gestione e utilizìazionc delle for.Ge. Lo si è visto l'estate scorsa in Bosnia con il duo «Smith» da un lato e Richarcl Holbrooke dall'altro. Ma in tal caso i militrui hanno fatto i militari c i diplomatici i diplomatici. E le cose sono andate bene. Altre volte le co e onp state meno chiare, come nel caso del generale MoriiJon a Srcbrenica, che ha fauo sia il militru·e sia il
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diplomatico. Il problema si presenta quindi in modo ambiguo. E un dubbio so•·ge spontaneo: non è quello del militare-diplomatico un semplice alibi dei politici c he, incapaci di definire una soluzione politica c obicu.ivi militali capaci di rcnderla fattibile, otto l'impulso della ((CNN - politics» inviano reparti militari con compiti irrealistici e s i aspettano che i militari trovino poi una sol uz io ne sul cam po, adattandosi alle circostanze? Due, a parer mio, sono i rischi da evitare. Il primo rischio è c he, noi militari, giustamente gelosi della nostra specificità, oppure i politici, incapaci di individuare soluzio ni politiche accettabili da tutle le parti in loua, considelino che s ia possibile una soluzione pwcunente militare. Essa è impraticabile, nei conDirti intemi in cui le forze d'intervento dei nostli paesi ono chiamate ad intervenire. taffermazione che un conflitto sia vinto rnilitatmente c perso politicamente non ha alcun significato. Qualsiasi vittoria ha un signHkato polilico, non militare. Il centro di gravitazione della strategia delle fo rze di intervento non è costituito dalle fazioni in lotta, ma si situa nel raccOJ·do fra esse e la società. D punto culminante della vittoria (o della sconfitta, il che è sostanzialmente la stessa cosa leua in modo diverso, come un bicchiere può essere definito mezzo pieno o mezzo vuoto) si situa sempre più spesso nella capacità di tenuta del consenso dell'opinione pubblica intema, locale della zona di intervento e internazionale. Il secondo risch io è quelJo della smilitalizzazione dei rnilitaJi e della perdita della specifi-
cità della professione e della ca- indicativo a l riguardo <<Stringi pacità eli combattimento. Si ri- forte la pada e nasconcUla dieschia eli trasformare le forze ar- tro un sorriso». La consapevomate in forze di polizia potente- lezza dclJe fazioni in lotta che la mente armate, con I'afferma •-si spada possa piombar· loro sulla di valori incompatibili con quelli testa all'improwiso, costituisce militati. Gli interventi sono u-a- l'elemento fondamentale per sfotmati in operazioni di polizia raggiungere i lisultati fissati dalinternazionale. I condi ziona- la politica impiegando una forza menti politici incidono sull'effi- compatibile con il mantenimencienza militare. Il gusto della to del consenso delle fazioni in mediazione e della ricerca del lotta, per ricercare una situazioconsenso ad ogrti costo, induce i ne di !abilità conveniente a tutmilitari a far politica e acl utiliz- te, per una pace sostenibile aczare i media per proprio conto. cettala da tutte le pat-ti in lotta, In tal modo, tra l'altro, viene di- oltre che da parte dei paesi alleastrutta la reale unità di comando . ti che partecipano all'intetvento. di una coalizione mLÙtinaziona- È anche premessa per non imle. Per questi motivi l'espressio- piegare cffeltivamente la forza, ne ((soldato diplomatico» suscita fatto che tra l'altro ottimizza il in molti notevoli risenre, come rapporto efficacia-costo di ogni d'altronde lo fanno anche espres- intervento. La maniet-a più utile sioni, come quelle di «Soldati di utilizzare la forza è infatti della pace>> o di «fare guerra alla sempre quella eli impiegarla solo guen·a>> o di <<guerra umanita- potenzialmente, con ruoli di Jia». Si tende a sacrificare l'effi- <<detetTencc» c di <<compellence» La situazione che affrontano cienza militare alla ricerca del cor'J)i di spedizione ad esempio i consenso o della popolalità o del facile applauso nonchè, aiJa mo- in Bosnia, come quelli in Libano, in Cambogia, in Somalia o in da prevalente nei media. Nella formazione degli uffi- Mozambico, è ben diversa da cia li diventa perciò centrale il quella delle campagne di coloproblema di come porre i co- nizzazione o di decolonizzaziomandanti in condizione di assol- ne. È diversa anche da quella vere i nuovi compiti che vengono delle campagne di controguerriloro affidati, senza deformare la glia che gli eserciti occidentali loro natura e la loro etica di base, hanno combattuto nelle guerre che devono rimanere essenzial- controt-ivoluzionarie e di decolomente militari, fondate sull'in1po- nizzazione. AJ!om si trattava di sizione della propria volontà sul- acquisire un dominio sulla popol'awersario e non sulla mediazio- lazio ne e sul territorio e di imne, sul compromesso, sulla coo- pone le proprie regole e la proplia paciocazione. Ora le colonie perazione e sul negoziato. Il soldato deve rimanere sol- non si licercano più, si rifiutar1o. dato, anche quando fa il pacifi- Gli strumenti della geoeconomia catore, l'amrninistrntore e il di- consento no di avere gli stessi plomatico. Nelle operazioni di vantaggi delle colonie senza sobpeace-keeping l'imparzialità non barcarsi l'onere di un'occupazione permanente. Le nostre opideve trnsformarsi in neuti-alità. Un detto di Musashi Myamo- nioni pubbliche d'altronde non to, il Clausewitz giapponese, è le accetterebbero più.
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Occorre porre gli ufficiali in condizioni di agire in ambienti strateg ici caratterizzali da complessità, ambiguità ed incertezze. Occorre stimolare la creatività e ampliare la conoscenza generale dell'ambiente in cui si opera. Solo essa può provocare l'accellazione delle diversità delle differenti logiche delle varie forze con cui si deve cooperare, ad esempio dell e NGO e dei media, e a superare le ban·iere culturali c istituzionali. Occorre stimolare l'iniziativa, rivedendo l'iter formativo, compri mendo la formazione iniziale di base per fare acquisire esperienze sul campo, soprattutto con corsi presso scuole straniere e con scambi di ufficiali fra i vari eserciti. La multi nazionalità, che è tanto di moda nella NATO c nell'UEO, ha un effetto positivo sopt·a ttutto perché aumenta la flessibilità mentale degli ufficiali. Dovrebbero essere poi previsti pe.-iodi sabbatici co n corsi presso le università, anche per far cadere le bar-riere culturali fra milHari e civili, e a umentare le capacità di comprensione e di dialogo. In sostanza occorre ripensa-. re la professione militare c modificarne il contenuto in base alle nuove esigenze, facendo in modo però che i mili tari rimangan o fedeli a se stessi c c he la tendenza al compromesso, necessario per il mantenimento o l'acqu isizione del consenso, non snaturi la professione, ma sia strettamente connesso con l'impiego sub-limitato della forza, in un contesto strategico carallerizzato da ambiguità, imprevedibilità, complessità c strettissim i condizionamenti politici all'impiego della forza.
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Formazione e professionalità
Come tradurre le nuove, e le vecchie, professionalità richieste al militare in programmi formativi. Quale rapporto o quale peso specifico occorre attribuire alla dimensione disciplinare e a quella interdisciplinare? In linea teorica è facile definire gli obiettivi a cui tendere: capacità globale di valutazione dei fattoli militari e non militar i; immagi nazione; creatività; spitito di iniziativa; flessibilità; rapidità di reazione; capacità di t·eagire rapidamente a situazioni impreviste, di interagire con i politici, con i diplomatici e con i responsabili amm inistrativi interni, di contlibuire alla gestione di crisi di natura diversa, di comunicare con i media, di comprendere l'impatto delle nuove tecnologie nell'assolvimento dei compiti più svariati. In sostanza, l'élite militare dovrebbe possedere una professionalità globale di gestione delle varie crisi. Dovrebbe esprimere dirigenti globali, specialisti delle emergenze. In tale ottica dovremmo investire quasi esclusivame nte su lle eli tes, perché portatrici di una professionalilà e di una CLÙtura così preziosi e così costosi da conseguire da dover giocoforza essere considerate patrimonio di pochi. Però è difficile tradun·e questi obiettivi generali in programmi di formazione, tenendo conto delle risorse finanziarie e temporali disponibili, delle esigenze di cotTelare i metodi didattici e gli argomenti di insegnamento con gli obiettivi, la formazione di Forza Armata con quelle interforze e con quella internazionale, la prepara.zione finalizzata al breve termine con quella di
più lungo petiodo, il sapere con il saper fare e con il saper essere e, infine, la flessibilità con l'effi-. cienza ed iltigore logico. Sicuramente esistono al riguardo talune tendenze «forti», come quelle di un maggior spazio dato alle «scienze umane», di una maggiore integrazione con le Urùversità, di una maggiore collaborazione internazionale nel campo della formazione, dell'essenzialità della conoscenza delle lingue straniere e, nel campo della didattica, della genet-aUzzazione di sistemi interattivi di fot·mazione, di lavoro in piccoli gruppi e di stimolo all'autoformazione. A tale proposito condivido le posizioni espresse dal Prof. Bonanate. Noi ci appoggjamo alle università, ma queste, per complessi motivi di inerlia, di isteresi interna, di discipline consolidate, di numero di ricercatoti, non hanno assicurato una cartiet-a ed un cursus honorum adeguati a coloro che si dedicano agli studi strategici. Un provvedimento di sblocco potrebbe essere innescato da parte del Ministero della Difesa con un accordo con il Ministero dell'Università e della Ricerca scienti fi ca per l'adeguamento dei posti. Sarà anche necessario costituire in tutti gli istituti militari d i formazione, come le Accadem ie e le Scuole di Guerra dei centri di ricerca in cui forma're i ricercatori garantendo l'apporto di discipline esterne e relative posizioni d'impiego. La formazione va quindi sottoposta a cambiamenti profondi: da statica deve diventare dinamica; da pr'evalentemente nazionale deve diventare multinaziona le; occorre accelerare i tempi della lt-asformazione perché non soltanto politica e stra-
tegia cam biano velocemente, ma anche le scienze sociali e soprattutto le tecnologie cambiano continuamente. La formaz ione esclusivamente militare non basta più perché l'impiego dei militari non è più esclusiva del loro ambito, per molti versi fatto di certezze e di regole consolidate. La preparazione deve anche consentire la mobilità laterale (tra vari incarichi e funzioni non sempre di natura espressamente militare) e quella verticale (vale a dire assolvere funzioni anche di livello operativo diverso da quello strettamente ordinativo). In sostanza la formazione, dal concetto di istruzione iniziale, immutabile nel tempo, finalizzata ad uno status di carattere impiegatizio deve diventare formazione pennanente di professionisti delle armi nel senso più ampio. Da form azione di massa deve diventare personalizzata da svolgere essenzialmente da parte eU chi e presso gli organi che conoscono profondamente la materia. Potranno essere quindi gli istituti scolastici, le università, le agenzie di formazione nazionali ed internazionali, ma occorre rivalutare anch~ la pote nzialità fo rmativa d elle stesse unità d'impiego, creando un collegamento diretto e a doppio scambio tra formazione ed impiego e, soprattutto, occon·e rivalutare il lavoro individuale, l'aggiornamento spontaneo non guidato condotto anche durante i periodi sabbatici. Tale tipo di didattica è impossibile con cicli standard . Ma occorre convertire i nostri quadri da «dottò» tradizionalmente tuttofare in una molteplicità di specialisti. In un simile contesto esiste il pericolo della eccessiva frammentazione della formazione. Se però
alla diversificazione in termini funzionali della formazione corrisponde un coordinamento centnùe degli obiettivi e dei controlli di qualità della fom1azione stessa, la framme ntazione temporale può diventare addirittwa mezzo di ottimizzazione delle risorse di docenza. 11 s istema può forse comportare una fo1mazione non unifo1me, ma ciò non deve essere necessariamente considerato un fa ttore negativo. Può diventare, anzi, un ulteriore fattore positivo e che le eventuali difficoltà di valutazione per l'avanzamento (la carri era ha le sue regole, per quanto perverse siano) devono essere superate basando i giudizi suJJa base dei risultati ottenuti nell'impiego e non nella qualità o quantità di corsi effettuati o dei titoli conseguiti. In sintesi La preparazione eU base deve essere breve perché diventa obsoleta nel giro di pochi anni e perché le unità hanno bisogno di comandanti. Per l'Esercì to credo ancora nella fun zione operativa e formativa del comando di plotone che però non può awenire per un breve periodo o per approssimazione. Bisogna poi uscire dal vicolo cieco delle lauree con·endo anche il rischio che il posteggiatore abusivo ti chiami Colonnello piuttosto che <<dottò». Occorre evitare che le etichette, che ritengo troppo rigide dei titoli di studio e delle lauree, diventino un fine proprio nel momento in cui con l'integrazione europea già se ne prospetta la sostanziale perdita di valore. Per le preparazioni successive gli u (ficiali devono acquisire specializzazioni spinte nei campi di diretto interesse
d'impiego. Formazione finalizzata all'impiego e non in senso lato ma in funzione del compito e poiché la funzione delle Forze Annate è di esprimere capacità di combattimento la fmmazione del militare dovrebbe tendere esclusivamente a tale obiettivo. Le conoscenze specialistiche militari devono essere consider-ate un pau;monio non soltanto individuale ma di tutla la collettività e perciò non si deve escludere l'impiego degli ufficiali anche in altri settod o altre amministlctZioni in cui tali specializ·zazioni diventino necessarie. Il conce tto di forrnaz.ione permanente, attinta lacldove esiste specifica competenza, implica iJ collegamento b·a tutti gli enti di formazione e le università. Queste ultime devono essere in grado di trasferire la loro competenza, finalizzandola agli obiettivi di formazione, ma devono anche garantire l'osmosi completa con il mondo esterno. Per questo le facoltà di più stretto interesse per la formazione dei militari devono dispmre di un adeguato numero di docenti e assistenti dedicati alle particolari esigenze. Più volte nel nostro ambito militare sentiamo i lamenti di coloro che vorrebbero maggior rispetto e più frequenti riconoscimenti esterni. La cosa può essere genuina e talvolta giustificata, ma alla lunga diventa una specie di alibi morale per non fare ciò che invece si deve. Bisogna tendere al miglioramento interno per migliorare la professionalità ed essere in grado di effettuare cambiamenti di lavoro durante la carriera. E questo dipende esclusivamente da noi. Gen . C.A. Carlo Jean 79
Gen. D. Giuliano Ferrari.
TECNICHE E TECNOLOGIE DIDATTICHE PER LA FORMAZIONE ·MILITARE
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evol~zione della situaziOne geostrategica in generale - e d ei suoi aspetti militari in particolare - ha determinato, tt·a l'altro, la necessità d i un •~a dical e adegu amento delle strutture, delle procedure funzionali e, di conseguenza, d e lla formazione degli strume nti militari. Da ll'analisi dei cambiamenti pii:t di-
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rettamente in fluenti s u tali aspetti si cerch erà pertanto di dedurre le nuove esigenze in tennini di contenuti, metodologie e tecnologie didattiche utili a formare, effi cacemente ed econom icamente, le Unità destinale ad operare nel quadro del Nuovo Modello nazionale d i.Di fesa n egli anni iniziali del ventunes imo secolo.
LA FINE
DEL VECCHIO MONDO
tiva delle Forze Armate e della pt·ofcssionalità dei loro Quadri, sia in Occidente sia in Oriente, co me le esperienze d e l Vietnam, dell'Afghani tan e de lla Cecenia hanno successivamente dimostt-ato, a danno sopt-attutto delle forze ten·e td.
n crollo dell'impero sovietico ha segnato la rine della guen-a fredda e della strategia della di uasione atu-avcrso la deten·e nza. È rinita così la grande partita a poker tra le superpotenze, c he aveva pro- IL NUOVO MONDO gressivam e nte alzato l'e ntità Dopo il 1989, la depolarizdel piatto in gioco a valori talmente e leva ti da rendere im- zaz.i one delle linee d i forz a possibi le pe r c iasc uno dei che congelavano le spinte conflittuali - di origine e tnica, contendenti di «vedere »: non rimaneva quindi a ltra poss ibi- storica, religiosa o econo mica lità e no n quella di continua- - ha però riportato la gue rra re a rilanciare livelli assurda- ne l mondo de l possibi le. La mente c rescenti di overkil/iug, dissuasione ha smesso di funpuntando fì.clzes di valore no- z ionare. Saddam Hussein, Aidid e MJadic non hanno chicmina le sempre più a lto. Oltre che dai sistemi d'arma sto di quante Divisioni l'Amenucleari, tali fì.ches erano costi- rica potesse dispon·e in totale, tuite soprattutto da lle Unità prim a di dare il via a i loro militari c he pos cdcvano i re- . tentativi di conquista. La n equisiti, di fatto mutuamcnte l'i- cessità di vincere sul campo cono ciuti da a lleati c avversa- hic et mmc ha t;pristinato l'efri, per essere considerate ope- ficienza e l'efficacia operatirative: ad esempio, trovarsi a va quali obiettivi primari detet·minati livelli percentuali de ll'addestramento militare. Nella nuova situazione mondi forza rispe!to agli o rganici e avere superato un certo nume- diale, anche le piccole e medie ro di a de mpimenti a ddestra- potenze regionali, come l'Italia, tivi, indipendenteme nte dal li- riscoprono la necessità di difenvello delle prestazio ni in com- dere i propri interessi vitali a battime nto che sarebbero sta- tutto campo, in un approccio te in grado di fornire e che nes- strategico che in passato era suno aveva la minima inten- proprio delle superpotenze o delegato alle politiche di alleanza. zione di verificare sul campo. Lo scopo era ormai quello di Questo nuovo approccio, anche rendere la guetTa impossibile, nell'affrontare un conllitto, non tende alla semplice vittoria milinon di vincerla. Malgrado i correttivi intro- tare ma a un end state definito dotti da alcuni eserciti, quello in termini politic i, economici, statunitense innanzitutto, c iò sociali e globali. Da ipotesi di impiego soha costituito un determinante fattore della generalizzata de- stanzialmente de finite e in nucadenza della capacità combat- mero limitato, nel quadro di
una strategia nazionale vincola ta, con tempi di preavviso e di sviluppo d c i conflitti maggiori compatibili con la mobilitazione, si pas a così a un ventaglio di eventualità incerto e diversificato, ma sop1-atlutto rapidamente mutevole e con scarso preavviso , in c ui la strategia glo bale di difesa degli interessi nazionali dovrà essc•·c compresa, interpretata e applicata inte lligentemente an. che ai livelli pil'1 bassi. Contemporaneamente, gli interventi mi litari ricercano la loro legitlimazione nella partec ipazione multinazionale e nel dichiat-ato ruolo di polizia internazionale, in esecuz ione di decisioni di for·i intemazionalmcnte ricono ciuti. Le sole mi s ioni militari ammissibili diventano quelle dichia•·atamente miranti a lla stabilità e, soprattutto, al ripristino/mantenime nto della legalità internazionale: operazioni di supporto a lla pace che tullavia possono in ogni momento tt-asformat'Si in opet-azioru di peace-en(orcillg, cioè di vera guerra. Le Un ilà devono perciò essere pronte e addestrate a combauere, con un alto grado di interop e r a bilità tra le forze coopera nti di a lleati in gran parte non identificabili a priori, in un quadro giuridico in buona mi sura inadeguatamente determinato di fronte alle leggi nazio nali e a l diritto internazion a le (con le loro inalluali defini zioni di stato di pace e di guerra c le incongruenze tra i vari diritli di bandiera) e in un vasto spettro di potenziali compiti e scenari sostanzial-
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mente imprevedibili e che lichiedono un discernimento, ad esempio nell'applicazione e nell'interpretazione delle regole di ingaggio, molto più delicato e complesso di quelle della guerra tradizionale. La diminuita percezione della minaccia e la contingenza economica producono intanto un calo dras tico delle risorse disponibili per la Difesa, e quindi anche per l'addestramento: meno tempo e meno denaro, insomma, per compiti addestrativi aumentati e diversificati, in un ambi e nte tecnolo gicam e nte sempre più sofisticato e a fronte di una pretesa di sempre m a ggiore sicurezza da parte di un'opinione pubblica ogni giorno meno disposta ad accettare incidenti e perdite, soprattutto tra il personale di leva e tra i non combattenti. In più, le crisi e le operazioni militari si svolgono sotto l'occhio onnipresente dei mass media, che amplifica ogni aspetto e dà dsonanza strategica anche ai comporta m e nti di singoli individui, quand'anche di r·ango non elevato, compri mendo di fatto i livelli di responsabilità ed esaltando il ruolo della leadership e della comunicazione inte rna ed esterna alle unità e ai Comandi di ogni livello. In compenso, v'è da prendere atto dell'accresciuto livello di scolarizzazione, di cultura e di familiarità con le tecnologie - specie elettroniche e infonnatiche - sia per i giovani Quadri Ufficiali e Sottufficiali, sia per il personale di truppa, almeno per i militari di leva. I volontari di truppa, a ferma più o meno pro-
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lungata, pongono problemi diversi nel campo della selezione, della socializzazione e della formazione, essenzialmente in relazione al livello culturale di base, a lla maggior durata della ferma e alla motivazione. LA TRASFORMAZIONE NE CE SSARIA
R iepilogando, da questa evoluzione della situazione discende la necessità di una importante trasfonnazione della struttura e dei procedimenti di impiego - e quindi, come vedremo più avanti, della formazione e dell'addestramento - delle forze militari e, in particolare, dell'Esercito. Le strutture militari basate su un velo di forze di copertura e un grosso di unità completabili su preavviso solo alla mobilitazione dovranno trasformarsi in uno strume nto di pronto impie go, proiettabile e compe titivo. I reparti dovranno essere quindi mantenuti a or ga nici completi (con un margine di riserva per compensare i prevedibili cali fisiologici e le assenze permanenti determinate dall'itet· formativo dei Quadri). compatti e omogenei (e pertanto, almeno i battaglioni con truppa di leva, monoscaglione, perché non debbano essere costituiti con rimpasti affrettati e costosi alla vigilia dell'impiego, che facilitino la rotazione dei reparti per moduli interi e che non presentino problemi di affiatamento tra Comandanti e gregari né tra l'altro- per costruzione - rischi di «nonnismo»). Simili reparti dovranno essere addestrati con e d ai loro Comandanti,
per m oduli di Posto Comando e di Unità e non solo per singoli individui (non si può al- • lenare una squadra di calcio di otto persone, magari che ruotano a turno, per poi completare il team il giorno della partita e sperare di vincere). AnzicM per la sola ipotesi di impiego in Patria e in ambito di forze quasi esclusivamente nazionali (eccetto le poche unità alleate previste in tinforzo e comunque sotto comando FrASE), l'Esercito deve essere ormai preparato per l'eventualità di operazioni diversificate, fuori area e nell'ambito di forze multina zionali, affrontando le accresciute es igenze eli proiettabilità, compatibilità e interope r a bilità tecnica (in termini di linguaggio, procedure, comunicazioni, logistica, ecc.), ma anche di standard di efficienza, sia per assolvere il compito, sia per conservare prestigio di fronte ad alleati e controparti. Cura specifica dovrà essere dedicata alla saldezza ps ic osociologica d e lle unità, in buona misura fondata sullo s pirito di corpo (e quindi, ancora, suJla stabilità delle strutture organiche). pe1· superare tra l'altro, nell'atmosfera estranea delle missioni aJl'estero, quella «sindrome da trasferta» che tante difficoltà crea anche àUe squadre sportive. Dalle condizioni di isolamento operativo, sociale e informativo (segretezza. censura) del campo di battaglia tradizionale, stiamo passando alla p e rma n e n te pro mi scuità, nell'ar ea d e lle operazioni di supporto della pace o comunque «diverse dalla
guet·ra», tra le forze militari e la vita sociale «normale» . S i molliplica così l'intreccio dei r a pporti civili-militari, esaltando ed espandendo il ruolo de l GS-COCIM. È inoltre sempre maggiore la pe rmeabilità della zona di oper a zioni ai mezzi di informazione . onniprescnti, c he condizionano e definiscono il significato della missione. È il cosiddetto «effetto CNN», che crea l'esigenza di una gestione efficace della comunicazione, e non solo di quella esterna, perché ogni si ngolo m ilitare, di qualsiasi grado o incarico, può d ivenire di fatto portavoce della Forza in cu i opera. Nel carnpo delle procedure, occorre anzitutto -come si è visto - passare da un sistema di a dempime nti a uno di prestazioni, cioè ad un ma nagement per obie ttivi misurabili. Cadozione di indicatori quanti-qualitativi dei rapporti costo/efficacia dovrebbe portare tra l'altro ad un sistema valuta tivo oggettivo e trasparente dei rendimenti e delle capacità degli uomini_ e dei reparti, a sua volta strumento di motivazione alla sana emulazione e di formaz ione a i valori della rettitudine e dell'onestà intellettuale, della libertà interiore e della parità morale di capi e subordinati nella partecipazione ai fini dell'Istituzione. Onde veder perseguiti con convinzione gli obbiettivi del cambiamento, si dovrà ricreare una mentalità vincente e di aspirazione all'eccellenza (come processo continuo di revisione dei traguardi e delle procedure e non come r isulta-
to conseguibile definitivamente una tantum), in un approcc io alla professione delle armi meno occupazionale e ipocrita (oggi soltanto gli Stati Uniti osano dichiarare che le Forze Armate servono a vincere le guerre del Paese), anche a costo d i inasprire selezione, formazione, politica dei trasferimenti, limiti di età e •·equisiti per l'impiego. Contemporaneamente, vanno potenziati valori e leader s h ip , riscoprendo le radici dell'etica eroica e dell'etologia militare, anche per riprendere l'iniziativa nel confronto con le ideologie dell'obiezione di cos cienza e del pacifismo uto pico, che ci sottraggono consenso e risorse, e per gettare un ponte attraverso il gap comunicazionale che spesso separa i dirigenti militari dalle giovani generazioni. Mentre per anni abbiamo vissuto in un quadro di disponibilità praticamente costante, va pronunciandosi una chiara tendenza al drastico calo delle risorse che il Paese può e vuole dedicare alla Difesa. Con queste minori disponibilità dobbiamo però affrontare più numerosi e onerosi interventi, che richiedono nuovi mezzi costosi e sofisticati (poiché ormai le tecnologie intermedie di cui finora si disponeva non sono più adeguate, specie in settori come l'intelligence, la difesa antimissile, le «armi intelligenti» e quelle non letali, ecc.) e più elevati livelli addestrativi del personale. Ciò può essere affrontato soltanto riducendo di pari passo i rapporti costo/efficacia di ogni attività (formazione inclusa), economizzando su
quanto non è indispensabile e sulla «quantità» che non possiamo permetterei, ma contemporaneamente investendo sui settori a maggior rendimento specifico - in ossequio ai princìpi della Qualità Totale - a cominciare da quello della progettualità e soprattutto, appunto, della formazione. Da quanto si è visto fin qui, emerge un'irnpellenle esigenza di accrescimento e aggiornamento della preparazione profess ionale del personale. Contemporaneamente, l'elevazione della base culturale dei Quadri (una volta media su periore per gli Ufficiali e media inferiore per i Sottufficiali e oggi rispettivamente laurea e d ip.loma) impone una revisione di contenuti e metodi di formazione/addestramento, per eviLare sovrapposizioni e ridondanze e capitalizzare sul migliorato livello di partenza. Intanto, l'introduzione della consistente aliquota di volontari e la specializzazione dei loro compiti richiede che i Quadri sappiano gestire un diverso approccio addestrativo, che meglio utilizzi la motivazione iniziale e la possibilità di progressività offerte dalla prolungata permanenza in servizio, evitand o però che il necessario e funzionale training 011 the job si deteriori per l'assenza o la latitanza degli istruttori qualificati- in un ritorno ad un più o meno formalizzato addestramento per imitazione, fata lmente condannato a veder affievolirsi contenuti e livelli qualitativi in un malinconico «passa-parola» tra le successive generazioni. Piuttosto, occorrerà tro-
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vare i modi e gli spazi per farsi carico anche della preparazione per il loro impiego al termine della ferma, ispirandosi nei limiti del possibile al modello ben riuscito del Genio Ferrovieri. In prospettiva, per inciso, dovranno essere affrontati , sperabilmente in modo pragmatico e non ideologico, anche i problemi dell'adeguamento alla eventuale presenza femminile nei ranghi. La somma di questi fattori di mutazione si traduce in una serie di esigenze di cambiamento anche nei contenuti, nei metodi e negli strumenti della didattica militare, soprattutto di quella da applicare nella formazione dei Quadri. Ciò riveste particolare importanza per gli Ufficiali, che dovranno essere capaci di imparare continuamente, sempre pronti alla revisione e aJ rinnovamento del loro bagaglio cuJturale e professionale. Nei Dirigenti e nei Comandanti dovrà essere inoltre alimentata scientemente quella creatività che sola rende competitivi e che è figlia di una formazione aperta e non intellettualmente oppressiva, ma anche di una fertile cultura del tempo libero, di quell'otium fecondo e vocazionale recentemente riscoperto dal prof. De Masi come efficace strumento di autoforrnazione e di innovazione. n Capo sommerso dal lavoro produce poche idee! I CONTENUTI
I principali mutamenti dei contenuti didattici riguardano di conseguenza il maggior peso da conferire, ol tre c he al-
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l'irrinunciabile preparazione a] combattimento, di cui si è già detto, a: • educazione fisica (tornata strumento professionale di immediata utilizzazione); • lingua inglese (per interoperatività in forze multinazionali, impiego all'estero, tempestivo e diretto accesso alle fonti di aggiornamento culturale); • informatica (ormai applicata ai settori pill diversi e specialmente nel C3I); • psicologia e sociologia (recuperandone un approccio operativo alla leadership e al governo del personale, ma anche alle relazioni con il contesto ambientale in guarnigioni e in operazioni in Italia e all'estero, ripercorrendo origini c motivazioni dei comportamenti basati su valori ed emozioni, pill che suJia razionalità economicistica, per riscoprire «scientificamente>> il se nso della marzialità e perfino delle cerimonie, della camaraderie e dello spirito di Corpo, adottando anche le moderne tecniche di team builcling c h e il mondo della produzione va reinventando e ri-esportando a quello militare); • tecniche di comunicazione (scritta e orale, verbale e non verbale, interna e d esterna, personale e mediata dagli strumenti di informazione di massa) e di negoziazione (sempre pill spesso compito e responsabilità anche dei minori livelli); • diritto bellico inte rnazionale e di bandiera (diritti umani, trattamento di prigion ieri, combattenti legit-
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timi e non, profughi e vittime della guerra, salvaguardia dei beni culturali e ambientali, esercizio dei pote-· ri civili da parte dei militari, coordinamento delle competenze giurisdizionali all'estero e in forze ONU e/o multinazionali, compatibilità tra regole di ingaggio e léggi nazionali, ecc.); conoscenza delle strutture pol itico-amministrative nazionali, europee e mondiali (per gestire al meglio le aumentate interrelazioni col contesto «civile» e con gli organi e le autorità responsabili dell'ordine pubblico e della sicurezza, anche in Patria, nonché con la catena di comando dell'Alleanza e delle organizzazioni inter- e sovra-nazionali); storia e strategia (ma anche antropologia culturale, di peso crescente per l'area dei rapporti civili/militari-GS, e non solo nel caso di missioni all'estero), che hanno riacquistato la loro runzione di diretto strumento di comprensione e intervento di fronte a realtà e conflitti locali le cui conseguenze devono essere prontamente interpretate e gestite spesso anche a livelli gerarchici molto ba si); dottrine e organismi all eati e ONU , ma anc h e struttura e campo d'azione d elle principali NGOs, con i quali sono semp re pill probabili interventi e attività congiunte, nel campo s ia dei connitti armati sia delle opet·azioni diverse dalla guerra; logistica p er la proiezio-
ne delle forze (trasponi, intcrmodalità, autonomia, . ccc.) e logistica di manutenzione (per l'indispensabile riduzione d ei costi e de lla frequenza de lle r iparazioni, tanto meno sostenibili quanto più c i s i a llontana dal territorio nazionale, e per migliorare la fruibilità dei materiali, essenziale tanto ai fi ni dell'e[[icienza quanto a quelli dell'immagine); • antinfortunistica civile e militare (per il mass im o contenimento delle perdite e dcgJi incidenti, c ioè dei costi morali e materiali, ma anche dell'impatto negativo su un'opinione pubbHca attenta, ipersensibile all'argomento e spesso strumentalizzata dai media). Queste nuove materie e questi approfondimenti di contenuti u n a volta cons ide r a ti marginali devono essere introdolli nelle varie fasi dell'iter· formativo dei Quadri tenendo co nto del loro sviluppo pregresso e d ella necessità di omogeneizzare progressivamente la preparazione d e i vari gradi, con una serie d i <<prowedimenti ponte». Si dovrà inoltre prestare continua attenzione a superare e comporre, sul piano delle tecniche di impiego delle forze ma anche su quello delle mentalità, la <<Schizofrenia» tra la necessità di perseguire l'indispensabile incremento di operatività <<tradizionale» e quella di imparar·e le nuove abilità <<chirurgiche» dell'uso minimale e imparziale della forza , proprie della funzione constabularia di polizia internazionale. Tutto c iò alla luce di una
rivisitazione del continuum tra addestramento e formazione (ossia tra conoscenze, a bilità, motivazione, leadersh.ip e valor i), per la rifo ndazion e d e ll a scuola professionale militare ne lla sua accezio n e più ampia e più alta, quella che prepara uomini e istituzioni per una professione totale come la n ostra, che prati came nt e non ha ambiti di dis inte resse in alcuna disciplina dello scibil e umano. L' Uffic ia le non può perciò aspirare a divent a r e un <<tutto logo)) in un· ca mpo scien tifico sconfinato, né può fermarsi a l li vello di erudizione teorica: d eve essere un utente illuminato de i più avanzati ri t rovati specialistici, per saperli utilizzare nella prati ca, e fficacemen te e innovativamente.
LE METODOLOGIE Nel quadro di una formazione permanente dei Quadri militari, oggi più che mai indispensabile in situazioni in perenne, vorticosa evo lu zione, l'accento si sposta dall'insegnamento (spesso attento soprattutto al completamento d e i programmi) all'apprendimento risultante. Il compito principale della didattica per adulti diventa allora quello di insegnare a imparare e soprattutto a imparare a fare, di più, più rapidamente e a costi inferiori. A questo fine, l'Esercito può adottare varie più o meno moderne metodologie didattiche: • addestramento per obiettivi materializzati da una azione (es.: colpire una sagorna quadrata di m.Jxl) da compiere ad un misura-
bile livello di sufficienza (es.: col 30% dei colpi) e in condizioni chiaramente definite (es.: da 100m. di distanza, sparando con l'arma individuale, di giorno, da posizione a terra). Tale metodologia, per sua natura interd isciplinare, è perfettamente applicabile anche a i campi normalmente considerati di conoscenza <<astratta)) e sostituisce gli adempimenti prettamente temporali e formali de l s is tema tradizionale co l r aggi un gi mento degli standard misurabili di prestazione. Si tratta in sintesi di un quadro di riferimento oggettivo e condivisibile, in cui gli obiettivi addestrativi vanno dedotti dalle capacità concretamente n ecessarie per svolgere le mansioni proprie dei vari incarichi operativi a cu .i ve rranno destinati i discenti. Malgrado la sua apparente owietà, costituisce la più importante innovazione da introdurre nella metodica addestrativo/formativa ed è in grado da sola di rivoluzionaria ab imis. Una did a ttica per obiettivi, nella s ua comprensibilità, concretezza e possibilità di autovalutazione dei risu lta ti , offre uno scopo immediatamente percepì bile e tangibi lmente p erseguibil e anche per i Quadri della Line di basso Livello, perfino indipendentemente da lla chiarezza della mission de ll e Istitu zioni. Inoltre, è solo la coincidenza tra gli obiettivi didattici e le prestazioni operative che giustifica l'impiego - ai fini
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dell'avanzamento - del giuquello della formazione); dizio sul rendimento scola- • addestramento collettivogroup training (addestrastico come equipollente alle mento per interi reparti, o valutazioni di rendimento per «pacchetti» di Stati «Sul campo». Maggiori e Comandi, la cui Tra l'altro, senza un siffatto efficienza è molto di più che sistema di riferimenti concreti e misurabili, ha poco la semplice somma aritmetica delle prestazioni indivisenso parlare di controllo duali dei singoH componendella qualità o dell'efficienti, condizionata com'è dalla za operativa, e perfino ogni loro capacità di interagire dibattito sull'entità delle forze o sulla durata della ferma sinergicamente, secondo le di leva (o di ogni iter formacorrette procedure); livo di qu alsiasi livello), è • s imulazione di ruoli-role playing (eserc itazioni per oggi fatalmente condannato a ridursi a un negoziato lePosti Comando, esercitaziovantino, in cui le esigenze ni di Funzionamento dei non convincentemente e imComandi, in cui ciascuno si cala nella realtà dei compiti mediatamente dimostrabili propri e dei colleghi, in convengono altrettanto superficialmente confutate o ignodizion i c he riproducono rate e, alla fine, brutalmente realisticamente quelle opee indiscriminatamente potarative - ad es. nella Scuola di Guerra è allestito a tal fite sul letto di Procuste delle disponibilità, come peraltro ne un prototipo del siste ma dimostra quanto sta accainformatizzato di Comandendo da molti anni (in altre do e Controllo SIACCON parole, chi può dire quali rie favoriscono la condivisiosorse di tempo, munizioni, ne delle expertise possedute ecc. richiede un addestradai singoli, in qualcosa di simile alla cosiddetta «scuola mento al tiro, se non si stabilisce qual è il risultato mia mosaico»); nimo da raggiungere per • risoluzione di problemicase s tu dy, pro blem s olconsiderarlo concluso?). Al . v ing (esercitazioni per i nostro Esercito rimane da Quadri), secondo una visiofare ancora molto lavoro per ne capovolta rispetto a quelidentificare e aggiornare la della scuola tradizionale questi obiettivi, dal livello del combattente individuale (che è in buona sostanza di a quello collettivo delle esegesi della teoria e di eruUnità e dei Comandi; dizione preminentemente declaratoria) e che parte in• a pprendime nto per pavece dalla prassi per condronanza-mas tery learn ing (che tende a massidurre ai prindpi, senza mai mizzare il rendimento meperdere di vista lo scopo dio e a conferire il livello di professionale del saper fare, di creare cioè non il «dotto» sufficienza nelle capacità richieste alla totalità dei dima il «Campione» in quescenti, separando il mosto nostro sport terribile e mento della selezione da difficilissimo, in cui chi
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aniva secondo muore; • attività congiunte, visite e sca mbi di esperie nze con organismi internazionali, Forze Armate di altri Paesi, ma anche istituzioni nazionali militari e civili, stataH e private, per mantenere l'indispensabile contatto con la .realtà esterna; • va lidazione continua dei ris ulta ti dell'attività didattica, con uno stretlo, aderente controllo della qualità dell'insegnamento e del grado di apprendimento, nonché della sua rispondenza al contratto formativo iniziale e alle esigenze dei dis centi e dei loro utilizzatori, anche con interventi di follow up successivi all'atto didattico. S i tralta in gran parte di metodiche, propde della didattica per gli adulti, da sempre utilizzate dalle Forze A•·mate di tutto il mondo, ma più spesso per la preparazione della truppa e delle unità c he per la formazione dei Quadri. Oggi però devono essere impiegate più estesamente anche nell'ambito dell'i n segnamento «scolastico» agli Ufficiali, verso i quali si deve inte nsificare - come dice la prof.ssa Alessandrini - la componente riflessiva connessa a ll'agire, r iducendo lo spazio per l'insegnamento «Conferenziale» a una via, che per molto tempo è stato il più usato. GLI STRUMENTI Il rendimento d i queste metodiche può e deve essere potenziato daiJ'utilizzazione deiJe
più efficaci tecniche e tecnologie moderne disp onibili , pet· accelerare l'appre ndimento, facilitando la comprensione e la memorizzazione, per prolungare i te mpi di oblio e ridurre i costi. A tal fine, occorrerà anzitutto avvalers i dell e più aggiorna te tecniche a ndragogiche (es.: Programmazione Neurolinguistica, analisi transazionale, interventi psicosociologici sull'apprendimento delle organizzazioni, ecc.) ma anche della informatica e della dida matica, (cioè della dida ttica che utilizza il collegam e nto telematico ve ico la to su lle reti civili, come INTE RNET, o mili tari come il SOTRIN). La necessità di contenere tempi e costi spinge verso una gestione sempre più automatizzata della formazione, basata su banc he dati, bibliografie e manuali elettronki on fine, collegamenti con docenti e consulenti, an che di altri Istituti nazionali e internazionali, ecc.), della multimedialità e in genere della didattica interattiva computer assisted, a nc he per attività di insegnamento asiqcrono e «a distanza)) , integrativo e/o propedeutico ai corsi residenti degli Enti addestrativi (per omogeneizzare la preparazione di ingresso, contenere durate e spese, guidare e a lime ntare l'autoapprendimento) o per fornire più efficaci strumenti per l'autoapprendi m e nto. Un cenno a parte meri tano i simulatori, per lungo te mpo strum enti monopolizzati dall'addestramento militare non so lo per palesi ragioni di economia: essi risparmiano infatti soprattutto vite umane, producono operatività tecnica in tem pi
brevi e la fa mil iarità con la realtà virtuale da essi prodotta facilita l'ambientamento a nche psicologico nelle fasi iniziali delle operazion i , c h e so n o quelle ch e esigono il più alto tasso di perdite. Il loro impiego può essere esteso anche a lla trattazione di problematiche complesse e «teoriche», come ben dimostrano le versioni sofisticate dei videogiochi Risiko e Simcity impiegate daJia Fuerungsakademie delle Forze Armate tedesche, o il programma di arbitraggio degli scontri in uso per le esercitazioni a parti-· ti contrapposti, aiJa Scuola di Guerra italjana. IL CENTRO DI DIDATTICA
E COMUNICAZIONE Di fronte a ll a riduzione delle durate dei corsi di formazione, alla tumultuosa evoluzione delle tecniche e delle t ecnologie didattiche , a ll a cronica insufficie nza qua lilquantitativa del p ersonale docente e al suo troppo rapido turnover, cu i si contrappongono le crescenti esigenze di preparazione a compiti più vari e complessi, per una platea di discenti di più elevato livello culturale, e vista la discutibile fattibi lità/opportunità di un corpo permanen te di insegnanti militari, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito ha deciso, nel 1994, l'istituzione del Centro di Dida ttica e Comunicazione della Scuola di Guerra, c he s i facesse carico di una più effi ciente formazione didattica degli insegna nti dell'Ese rcito, della diffusione deiJe ormai indispensabili tecniche di efficace comunicazione interna
ed esterna, anc he nei confronti dei m ezzi di pubblica informazione, e che coordinasse contem pora neamente l'insegnamento della psicologia e della sociologia militare, in quanto str·ettamente interconnesse con gli altri due settori e di vitale importanza per una leadership efficace e per una consapevole gestione del personale, nonché di molti aspetti delle moderne missioni operative. In ade mpimento al mandato, il Centro ha svolto e svolge le seguenti a ttività: • nel ca mpo della didattica a ndragogica , un corso di tecniche di apprendimento (organizza.zione dello studio, memoiizzazione, lettura veloce, etc.) agli Allievi Ufficiali dell'Accademia di Modena, estensibile in un prossimo futuro ad altri Istituti di formazione; t ie ne inoltre corsi di didattica per istruttori (agli Ufficiali allievi delle Scuole di Applicazione, prima del loro avvio ai reparti) e di didattica e docimologia per Ufficiali destinati quali insegnanti alle varie Scuole militari, nonché seminari annuali di aggiorna mento per Ufficiali che già occupano una cattedra di insegnamento. D Centro cura inoltre l'insegnamento degli elementi essenziali della rudattica militare neiJ'ambito dei corsi di Stato Maggiore, APUTL e d'Istituto per Ufficiali dei Carabinieii, alla Scuola di Guerra. P ratica infin e un'intensa partecipazione a convegni e conferenze e mantiene il collegamento con associazioni, enti e aziende che agiscono
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nel settore (AIF, DIDAFOmunicazione, attività di studio e collegamento con la RUM, Università, etc.), da cui ricava stimolo e riferìrealtà esterna, nazionale e menti per· la sua attività d i internazionale; progettaz.i one e studio. In • nel settore della psicosocioquesto quadro, s picca soIogia milita re , il Centro prattullo il mandato, confecoordina e impartisce l'insegnamento della materia in ritogli dalla Direttiva Adeletutti i corsi tenuti dalla strativa dello Stato MaggioScuola dj Guerra ed dfettua re deii'Eser·cito n. 4496, di (s u mandato d e ll o Stato definire e diffondere la nuoMaggiore dell'Esercito) riva m etodologia didattica cerche e rilevamenti neldell'Esercito essenzialmente l'a mbito dell'intera Forza basata, co m e s i è d e tt o, s u l l'adde stra m e nto p e r Armata. Le pil.t recenti indagini hanno ri g u a rda to la o biettivi e sulle filosofie del leadership, la coesione c i Mast e r y Lea rning e del Group Training, nonché su livelli di co nflittualità inun dnnovato impulso all'au t erna in un signi fi cativo ca mpione d ei reggimenti tofo rmazione permanente; nel campo della comunicadell'Esercito e le aspettative, le percezioni e gli atteggiazione, il Centro svolge l'insementi dei partecipanti a lle g namento nell'ambito de i corsi di Stato Maggiore, con missioni oltremat·e, inclusa progressivo li vell o di apquella in corso in Bosn ia. GU esiti sono stati resi noti profondi mento degli elementi essenziali delle tecnkhe di a llo Stato Maggiore dell'Ecomuni cazio n e, s cri tta, sercito e ai Comandi de lle o rale e non verbale (discorunità interessate ed hanno so persuasivo, e loq ui o in cos ti tuito oggetto di approfondim ento didattico pubblico, negoziato) e per i rapporti con i mass media. per i corsi di Stato Maggiore Infine, il Centro ha elaborato Cura l'addeso-amento indiviw1a ridefinizione integrata duale alle tecniche di interdegli obiettivi a ddestrativi vista giornalistica, radiofo- . per le materie di pertinenza nica e televisiva, per gli Uf(cioè didattica, psicosocioloficiali freq uenta tori del Corso Superiore di Stato Maggia c tecniche di comunicagiare c per i Generali partez ion e) secondo un'ottica u·ettamente opei-aliva e micipanti al seminario annuarata ai n·aguai·di formativi le di aggiornamento in vida per-seguire nelle successista dell'assunzione di incarive fas i della carriera dcll'Uffic hi di comando. Coadiuva inoltre l'Ufficio Documentaciale. Il progetto è stato sot:tione c Attività Promozionali to posto a l vaglio dell'Ufficio dello Stato Maggiore dell'EAddestramento dello Stato scrcito nella pr·eparazionc Maggiore deiJ'Esercito c deldegli Ufficiali Addetti Stam11 pettor-ato delle Scuole. pa deUa Forza Armata e svolge, anche nell'ambito delle Per l'as olvimento dci comdiscipline connesse a lla co- piti attribuitigJi, il Centr·o deve
naturalmente utilizzar·e personale qua lifica to. Purtroppo, sussisto no ancora grosse diffi ... coltà per reperire persona le in possesso de ll'ad egua ta, indispensabile preparazione spec ialistica (lall1·ee in psicologia, sociologia, scienze delle comunicazioni o si m ili, che non fanno parte del ventaglio di titoli universitari forni ti dal norn1ale iter form ativo di base) tra gli Ufficiali delle varie Anni, mentre esisterebbe una certa djsponibilità di Ufficiali medici specialisti in psicologia o psichiatria, che però non è facile allontanare dai com piti di istituto del Corpo. In realtà, al momento, non si r·iesce nemmeno a coprire numericamente i posti previsti da un organico già risicato, neppure con personale pur privo dei titoli richiesti ma che per a ttitudini , disponibilità e stab ilità nell'incarico possa acquisire, nel tempo a lmeno, una accettabi le preparazione empirica. Occon·e che la priorità altribuita in enunciato dal Capo dj Stato Maggiore dell'E ercito alla formazione (come invc timento a massimo t-cndimento, in linea con i princìpi della Qua li tà Totale) venga tradotta in disponibilità concreta di ris orse m a te riali e umane , in qua n tità e qualità adeguate , con incentivi (non necessariamente soltanto prospettive di caJTicr-a) anziché penalizzazioni per gli Ufficiali insegnanti, loro severa sele zione (concor o) ed efficace a bilitazion e (cor-si di didattica). Perché ai docenti, che formano i dir·igenU c he la rappr·esenteranno e guider-anno, è affidato il fUtltrO della no tra f tituzione. Gen . D. Giulia n o Ferrari
Pro{ Luciano Benadusi.
L'APPRENDIMENTO NELL'ESERCITO C i s i amo occupati di for m azion e militare per la prima volta, in occasio ne di una breve .-icerca co mmiss i o n a tac i dallo Stato Maggiore dell'Esercito, in occasione della pubblicazione di un volume dedicato appu nto a questo tem a . Il nostro incarico prevedeva un abbozzo di valutazione delle Scuole dell'Esercito, c he ab-
biamo compiuto effettuando sostanzialme nte dci pre-studi di caso in a lc une d i tali Scuole. Poco piÚ di un primo assaggio, data la limitatezza di mezzi e di tempi, ma sufficien te a formarci delle idee, o se vole te delle imp1¡essioni, ed a permetterei di formulare delle ipotesi suscellibili di esser e discusse con gli interessa ti e di essere verificate
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con eventuali ulteriori indagini. Nell'ins ie m e, a bbi a m o rite nuto di po ter espr im er e un giudizio positivo o a lmeno parzialme nte positivo, anche se a rticola to d iversame nte per i divers i as pe tti consid erat i ; r ico rdi a m o c h e lo schema di valutazio ne da noi im piegato era piuttos to analitico, ingloba ndo quattro dimensioni, a loro volta suddivise in a mbiti più s pecifi ci, dimensioni c he erano : i contesti, le risorse, i processi, i .-i sul ta ti. Avvalendoc i di confr·o nti fra il modello della formazione militare e i modelli della formazione scolastica, univers itaria e ma nageri ale, abbiamo rilevato che il primo a ppare caratterizzato da una certa promiscui tà di tra tti organ izzativi, che abbiamo credu to di poter mettere in relazione con la fase d i transiz ione nell a quale, non solo le scuole ma l'intera organizzazione militare, sta vivendo. Uno dei fa ttori c he o rie nta no la tt·a ns izione è il cambiame nto, in a tto nella missiOI7 delle Fo rze Arma te, nella direzione di una c rescente . compl ess ità . Me ntre pe rmane il compito tradi zionale di d ifesa-offesa in fun zio ne di salvagua rdi a d egli inte ress i nazio nali o di all eanza inte rnazionale, s i sviluppa no fun zio n i nu ove, a ncora lega te all'uso d ella fo rza (<d' impiego legittimo della vio le nza», di c ui pa rl ava We be r· ravvisandovi il com p ito pdma rio degli Sta ti ) s ia pure in termini di po li z ia a n z ic hé di guerra -com 'è nei cas i d i interve nti di peace-keepi ng in altri Paesi o di anti-crimin a-
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lità all'interno -, ovvero sen-
za uso della forza e con utili zzazion e, piuttost o, d elle capacità orga nizzative delle Forze Armate- com'è nel caso di interve nti di s upporto a ll a protez io n e c iv il e. Le nu ove fun z io ni impli ca n o non solo nuovi modi di operare, bensì anc he 1'opera re i n a mbienti d iversi, caratte rizzati da un m aggior grado di compless ità , di ince rtezza, perfino talora di ambiguità . Men tre l'ambien te operativo tradizionale è ra pprese ntabile con lo sch ema amico-n em ico , i nuovi ambie nti sono s pesso d iffici lmen te decifrabili. Pens ia mo ad interve nti come quello dell'ONU e della NATO in Bosnia: non vi sono né amici né nemici, ma ta nti a tto ri ch e, a seco nd a d ell e ci rcostan ze, possono rimanere ne u tra li , ovvero diveni re a mic i o ne mici. E ciò dipe nde anch e dal le decisioni c he, in specifici contesti, sono ass unte da s ingole unHà operati ve, a volte senza la possibi1i tà di co ns ulta r si con i comandi. Si tratta di una situazione a mb ie ntale c he ric hiede n uovi modelli organi zza Livi: il taylorismo e la centralizzazione mal vi si accordan o, m e ntre s i impon go n o fo r·m e d i coordina me nto e di controllo più decentrate, più vicine a quella c he le scienze o r g ani zzati ve c hiam a n o s tr utt u ra «o logr afica», pe r indicar e un assetto nel quale le s in gole uni tà o p erat i ve debbon o r iprodu rre a l propri o in terno la co mpless ità delle fun zioni e delle com pete nze proprie dell 'orga nizzazio ne c ui a pparte ngono. Ne i casi o ra in esam e occorrono
inoltre compe tenze nuove: di conoscen za d ei co ntes ti socio-poli t ici in c ui s i o pera~ m a anche ca pacità d i d ecisio ne s tra tegica, relazionali, di gestione delle r isorse. Son o a lt re tta n te sfid e pe r la form azio ne c he d eve a nc h e essa d iveni re più complessa . Un a ltro fa ttore c he inOui sce sulla fase d i trans izion e è il mu ta m e nto del r app o rto fra le Fo rze Armate e la socie tà civile. Come è stato n o t a t o d a l mio c o lle ga Battistelli (F. Battis telli , Soldati , F. Angeli, 1996), l'Esercito è indo tto, "da una serie di c i rcos ta n ze , a di ve nire un'or·ganizzazione ape rta ma n e ll o s tesso te mp o esso s i trova a fron teggiare una società civile ove i valori tradiz io n a l i, in q u a lc h e modo «pre-mode mi )), c he g li son o propri - va lori improntati d a un'eti ca d el sacri fic io, dell'a bn egazio ne, del coraggio, dell'obbedie nza - sono s tati p rim a so ppi a ntati d a una cultura «mode rna)) intessu ta d i .i ndi vidu a lis m o, di m a teri alis mo, di s pirito acquisitivo, p oi cos tre tti a fa r·e i conti co n le d ege ne raz ioni b u roc ra tic he della mode rn ità, ed infi n e c hia mati a mis urarsi con u na cu ltura post-moder n a c he pu ò o ffrire «inedite o ppo rtunità)> a ll 'o rgani zzaziò n e mil ita re. Ma a p a tto c he q ues ta s ia ca pace dj effettu a re una no n fac ile operazio ne d i mediazione cultura le ne i co nfron ti d i va lo ri non pi ù m aterialis tici, e tu ttavia a ncor·a e teroge ne i rispe tto ai pro pri valo ri tradiz io na li. Inte ndo rife rirmi a que l la ga mm a d i a tteggiam e nti « pos t-m a teria li s tici »
(Ingle hart, La rivoluziolle silem.iosa, Rizzoli, tr. it. , 1983) - indirizza ti all'auto-realizzazio ne, alla soddi s fazion e di bisogni di ide ntità, al desiderio di intrapre ndere esperie nze nuove e significative c he la già citata indagine sociologica di Battis telli ha verificato essere prevalenti fra i militari c he hanno chi~s to di partecipare alle missioni di peace - keeping. Il problema per l'Esercito - proble ma c he riguarda la sfera delicati ssima delle motivazioni del suo pet·sonale oltre c he que llo d e ll a s ua legittimazion e ne ll a soc ie tà c ivile - è dun que di non aprirs i indiscriminatamente, appiattendosi - per cosl dire - sulla società civ il e s tessa, n é trincet·arsi orgogliosamente ma velle itariamente in una propri a ir riduc ibile diversità, ma combinare aper tu ra e chiusura, di fesa de i s uoi valori tradizionali e m e diaz ione di valori nuovi. Da questo punto di vista la dicotomjzzazione, c he in una prima ver sio ne d e l nostro rapporto di ricerca quella pubblicata nel volume sulle Scuole - avevamo individuato nell'ethos e nel modello organizzativo dell'Esercito - dicotomizzazione fra tradizione ed innovazione non appare una raffigurazione dell'attuale fase di trans izi one de l tu tto cohvincen te, né del tutto convincente appare l'equazione tra innovazio ne e managerialismo. Più appropriata m i se mbra la rappresentazione m u lti-di m e n s ionale che abbiamo proposto ne ll'ultima versione del ra pporto, dove si ind ividuano diverse modalità di
innovazione: s upera m e nto evolutivo (n ella co ntinuità), rottura radicale in senso manager ialistico, d eco mpos i:l.ione in senso s indacai-buroc rati co . In qua lch e mi s ura tutle queste moda lità di innovazione so n o prese nti ma soprattutto la pdma e la te rza - come è pure pt·esen te la tendenza alla pura e sem plice salva g ua rdia de lla tradi z io n e. La compless ità e d anche l'ambiguità c he cara tterizzano la cu ltura organizzativa dell'Esercito in questa fase di transizione, rappresentano p e r le s ue s trutture di formazione un fattore d i co mpli c azi o n e, ma a n c h e un'opportunità. Non s i tratta infatti, per esse, di adattarsi semplicem ente ad un contesto (il sistema organi zzat ivo di riferimento e la sua cultu ra) univoco c h e non c'è, quanto di esercitare un ruolo di pilotage - ovviamen te s u m a ndato d el vertice de ll 'orga ni zzaz ion e - ve r so es iti d e lla transizi o ne più vicini ad un modello un ivoco, c he - a mio avviso - dovrebbero comportare non la rottura o la decomposizione, ma quello che ho chiamato un superamento evo l utivo (ne lla continuità) della tradi zione. Molto importante a tal fine è c he le Scuole rafforzino il proprio impegn o - c he è già rilevante, sp ecie se confrontato con quello profuso dalle istituzioni scolas tic he ed universitarie c ivili - in funzione dell'educaz ione e tica e della motivaz ione degli a llievi, a partire da una r iflessione di ordine s tra tegico s ui suoi o bietti vi e s u lle sue modalità, c he c hia ma no
in causa non solo e no n ta nto gli in segna men ti , quanto gli aspetti re laz io nali e comportame n tali. La ma ggiore e nfatizzaz ione degli aspetti etic i - im p rontati a nzitutto da un 'etica de ll a res ponsabilità - è del res to c iò c he dovrebbe continuare a dis ting uere il m o d e llo form a tivo militare da quello de lla formazion e man ageria le c ui pure, com e abbiamo sostenuto n el nostro rapporto, le Scuole de ii'E set·c ito dovre bbero in una certa m is ura avvicinarsi , attenuando il proprio grado di iso morfis mo rispetto ai mode lli scolastici ed universitari. Da lla formazion e m anageri a le dovrebbero soprattutto recepire l'orie ntame nto ai r isul tati piuttosto che a ll e proced ure, le metodologie a ttive, l'atte nz ion e al lavoro di g ruppo e l'individualizzazi o ne dell'insegname nto, caratte ri questi c he sono peraltro g ià prese nti più o m e no inte n s amente a seco nda d e i cas i, ma c h e p o treb b ero essere rafforzati e gene ralizzati. Un altro problema che si pone p er le Scuole de ll'Esercito è que llo del rapporto fra generalismo e special ismo, problema conn esso anche a quello de l rischio di sovraccarico funzionale derivante dalla complessificazione della mission e da a ltri fattori, quali la crescita dei livelli di istruzione de lle ultime generazioni che ha portato con sé la necessi tà pe r l'Esercito di garan tire , anche ai suoi Quadri in formazione, u na serie di percors i verso la laurea. La compresenza, c he si verifica soprattutto (ma non so-
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lo) in qu e ll o c h e abbi a m o class ifi cato il primo live ll o del s istema formativo de ll'Ese rcito (l ' Acc ad e mi a, la Sc uo la di Applicazion e di Torino, ecc.), di molte pli c i obiettivi - di is truzione unjversitari a, di formazio ne tecnico-milita i-e, ru educa zione etica - p resenta obi e t tivamen te il r ischio di overload. Il dibattito sviluppatos i qualche tempo fa attorno a ll'ipotesi di sos tituire alle lauree a ttualm e nte insegna te ne lle S c uol e un ' uni ca lau 1·ea in Sc ie n ze militari rifl e tt eva proprio qu es ta preocc upazione. La mi a opinione a riguardo è c he la complessificazione dell a mission e l'elevam e nto d e i livelli di is truzio ne ne l1 a socie tà ita li a na, co me pure il processo di inte rnaziona l izzazion e d e ll e Forze Arm a te, ri c hi e d o n o uno zoccolo d i cultura generale più a lto negli Uffici ali , e c iò mal si concilier e bbe con un ritorno a d un curriculum in centrato sull a form az io ne tecnico-s pecia lis ti ca. D'a ltra parte s i può ragionevolm e nte dubitare c he la c ultura generale ri c hi es ta all'Uffi c iale. de ll'Ese r c ito de l futur o s ia esa urita d a curricula a nc he essi s pecialis ti c i, s ia pure in un a ltro se n so, qu a li so no quelli di un a laurea in g iuri sprudenza o in ingegne ria o in econo mi a. Occorre re bbe una base c ultural e più a mpia, compre ns iva di disc ipline insegnate so ltanto in alcune di ques te Facoltà ovvero in altre Faco ltà non pl·evis te da ll 'atLUa le assett o de ll e Sc u ole d e ll ' E se r cito, qu a li ad es e mpi o ps icolog ia, soc iologia, sc ie nze dell ' info r-
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m az io n e . Rite n go dunqu e c h e qu es to s i a a n cora un proble ma aperto. M a un s oddi s facen te equilibrio fra gen eralismo e sp eciali s mo no n pu ò essere raggiu nto, a mi o avvis o, se no n con un'ape r tura più radicale delle Scuole dell'Ese rcito a l principio della form az io n e continua. Oggi la formazione milita re si s noda su tr·e livelli: un livello di ingresso e due - quelli ubi ca ti presso la Scuola di Gue n -a - che corris pondono a d a ltrettanti passa ggi c m c ia l i n ella carri era. Ma la form a zione co ntinua , in un'organizzazion e co mpl essa, non può Iimita1·si ad un p a io di mom e nti ne llo sv ilupp o d ella ca ni e ra. E ssa d eve accompagn a r e più s is te m a ti cam e nte l' individu o ne i s uoi percors i de ntro l'o rga ni zza zion e, fo rniJ·gli i necessa ri aggio rn a m e n ti de lle co n osce n ze e d e ll e comp ete nze già a cqui s ite e conse ntirg li di appre nd e rne d e ll e nuove in relaz io ne a nuovi co mp i t i e r esp on sa bilit à, siano o non co nnessi a prom o zioni inte rn e. Un più ampio ri co rs o a tec no logi e d i fo rm az io n e a cl is ta n za p otrebbe perme ttere di accrescere le occas io ni di form azione continua, senza dover e necessari a m e nte allontan a r e c hi di qu es te frui sse d a i s uo i compiti o perati vi. Un'a ltra te nd en za , che va diffo nd e ndos i ne ll e organ izzazioni complesse , e c he a pp a l-e pa rti co lar m e nte c on gru e n te con le es igenze de iI'Eser·c ito, è que ll a di co llocare la form a zi one continu a ne ll a pill a mpia pros pe ttiva
dell'apprendimento OJ·ganizzativo. Di questo tema s i occ uperà p iù s peci fica m e nts dopo di m e la collega Alessandrin i. Farò dunqu e solo a l c uni acce nni , prima di conclude re il mio inte rvento. Appr-e ndim e nto o rganizza tivo s ignifica appre nde re per le organizzazioni - e non solo pe1· gli individui c he ne fanno pa rte - e significa anc he appre nde re attraverso le organi zzazioni, cioè no n s olo con la frequenza di corsi di forma zio ne bensì, più ampiamente, grazie al p ote nziale formati vo ch e in mi s ura minore o maggiore è sempre implicito ne lle esperi e nze di lavoro. Da qu esto punto di vista, tutte le organi zzazioni so no learning organisations, ma lo so no in misura d iver sa a second a c he le esperie nze di lavoro e di forma zione s ul lav oro s ia n o orga ni zza te co ns apevo lme nte a llo scopo di massimi zzare il pote nziale di appre ndim e nto in esse implicito . Co minc ian o, pe r ese mpi o, a d esse r e s pe rim e nta te me todologie d i for mazione-inte rvento o- come s i u sa dire - di acti011 lear- ning c h e so no is pira te ad una logica di appr-endime n to organizza ti vo e c he, m agari, sono precedute da verifi c he s ui process i di appre ndime nto' info rmali ne ll'orga n izzazio ne (il cosidde u o learning audit ).Credo che in un ipo teti co pi a n o di sviluppo de lla fo rma zi o ne continua ne ll'Ese rcit o, a n c he qu es t o a p procc io co n le s u e di ve r se m e to dol og ie s are bbe util e c he trovasse un s uo s pazio. Prof. Luciano Benadusi
Pro{ssa Ciudiua Alessanclriui.
VERSO L'APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO onsiderare l'istruzione e la forma (( zione in relazione con il problema dell'occupazione non significa che l'istruzione e la formazione debbano ridursi ad un'offerta di qualificazioni. La funzione essen~iale dell'istruzione e della formazione è l'inserimento sociale e lo sviluppo personale, mediante la condivisione dei valori comuni,
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La trasmissione di w1 patrimonio culturale e l'apprendimento dell'autonomia». (Libro Bianco, 1995, pag. 7) Questo Convegno avv iene in un momento particolarmente s ignificativo per chi si occupa di formazione, per la nuova enfasi che la comunità civile sembra assegnare all'istanza for·mativa. U tema dell'investimento in
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formazione può essere visto come condizione per la realizzazione di quelle istanze che delineano il profilo professionale dell'Ufficiale dell'anno Duemila. Il mio contributo sarà articolato in tre punti. Dopo aver dedicato alcune riflessioni al tema della «SOcie ta c onoscitiva», focalizzerò l'attenzione sul significato, in termini formativo-organizzativi , del concetto di apprendimento organizzativo; inCine, prenderò in considerazione alcuni possibili trend che consen tono di ridisegnare un piano strategico per lo sviluppo delle risorse u mane nel contesto del sistema formativo dell'Esercito. COMPETENZE E «SOCIETÀ CONOSCITIVA» 11 dibattito più recente sulla formazione ed il cambiamento organizzativo ha enfatizzato, in modo particolare, l'a ppro ccio p e r comp etenza, come una nuova soglia di accesso al problema di definizione della professionalità e del ruolo sullo sfondo dei processi d i cambiamento che. interessano attualmente il lavoro c le connesse forme organizzative. Tra le principali finalità dei sistemi di formazione professionale - in qualsiasi comparto produttivo o di servizio - la gest ione dell'offerta di un «mercato de ll e competenze» dov•·ebbc essere adeguato a lle nuove esigenze che emergono da cambiamenti relativi amodelli e strutture organizzative, nonché verso forme a carattere innovativo. Il fatto che la domanda di
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personale sia espressa in termini di ruoli professio n a li, anzicché di competenze, rende difficile non solo l'i neontra di domanda e offerta di competenze, ma anche la formulazione di previsioni di tale domanda. Accade, inoltre, che gli standard di qualificazione all'interno del sistema di formazione professionale sono defin iti in termini curricolari (contenuti didattici, obiettivi, slandard di certificazione correlati alle prove d'esame) e mal si prestano ad identificare il corredo di capacità effettivamente richiesto dalle imprese, nel loro evolversi. Alcuni fattori in particolare vanno considerati: • la rapida obsolescenza delle conoscenze e competenze acquisite in ambito scolastico universitario (alcune ricerche, ad esempio, hanno mostrato che il 50% delle cognizioni tecnologiche d i un ingegnere e lettronico diventano obsolete nel giro di quattro anni); • lo sviluppo di esigenze legate alle cosiddette situated knowledge correlate all'area professionale ed al sistema prodotti/mercati o, nel caso del settore pubblico, relativo all'utenza; • l'esigenza di competenze per l'azione, caratterizzate da forte flessibilità e plasticità a qualsiasi livello organizzativo, come core capabilities necessarie per il
della p e rson a attraverso percorsi «discontinui» di svilupp o delle capacità e delle conoscenze. I m utamenti di cui siamo testimoni in questo scorcio epocale conducono, chi si occupa di formazione, ad elaborare nuovi approcci al problema di definizione della professionalità. È chiaro che questo compito sfidan te si incastona in un quadro in cui sono molti i «tasse lli» da reinventare: una nuova cu ltura del lavoro, una nuova sensibilità per una visione congiunta della qualità della vita lavorativa e della cultura organizzath·a, un approccio ad un'apertura internazionale dell o sviluppo del Paese, la visione di una filosofia dello sviluppo economico e sociale che possa portare a quella «quadratura del cerchio» ta le da conciliare esigenze di solidarietà e recupero della reddittività da parte del settore produttivo. È su questo piano composito che si pronuncia un documento d i grande dlievo nel panorama del dibattito sul tema del disegno d i una nuova progettualità in campo formativo e socio-organizzativo: il Libro Bia11co e u ropeo su «Istruzione e Formazione» del novembre '95. Lo svilu ppo della componente educativa e professionale è legato in modo rigoroso all'inserimenlo sociale ed
.
manteni mento del vantag-
a llo svi luppo personale; que-
gio competitivo. Fa da cornice a tali istanze, l'idea della fo•·mazione continua intesa come p ro cesso g loba le di crescita
sto aspetto va so tto l ineato come elemento di eccellenza della filosofia che il Rapporto esprime. Il discor o si inquadra in
Particolare dell'intemo della stazio~1e di Comando e Comrollo delle missioni del Mini RPV «Mirach 26».
una geografia c he vede, come eleme nto carattel'izzante l'evolu zione socio-economi ca, la dimensione conoscitiva della società del fu turo. Defini zio ne d ell a professionalità e forma zione divèntano e leme nti g uida d e ll a trans izione verso una nuova fo rma di soc ie tà, la socie tà delJ'i n formazione. Comm e ntand o il portato strategico del documento, per quanto concem e i nostri fini, occorre sottoli neare in par·ticolare i seguenti punti: • il primato della ricerca della nessibilità, come obie ttivo d e lle organizzaz io ni d'impresa; • l'emergere di nuovi modelli di produzione del sapere; • la c rescita di complessità c he caratte rizza il problema dell'interpretazione della società pe r il lavoratore; • il bisogno d i una l'iquali ficazione professionale centrata sulla capacità di combinazione -di conoscenze e di acqu isizione continua di competenze. LE KEY WORDS DELL'AP-
PRENDIMENTO ORGANIZZATIVO L'appre ndimen to organi zzativo è divenuto uno dei temi di maggior ril ievo nell'ambito della letteratu ra sulla formazione nelle organizzazioni: quest'approccio vuole offrire un contributo in ordine al d ibattito s ui processi di creazione, scambio e
condivisione della conoscenza nelle organizzazioni, secon do un'otti ca allargata che vede non solo le organizzazioni di impresa, ma anc h e le scuole operanti n e l settore pubblico in funzio ne di divers i scopi e finalità. Intendiamo l'apprendimento prevalentemente come pratica cognitiva di tipo riflessivo co n una forte conn otazione a livello di gruppo, piuttosto che di individuo. L'apprendimento delle organizzazioni non è la mera somma dei singoli appre ndi me nti individuali (quali patrimoni di saperi e saper fare che hanno gli individui quan do e ntrano in una struttura), ma è il risultato cumulativo dei processi di interazione
del le per·sone impegnate nella realizzazione degli obiettivi organizzativi. In parti colare tali studi ha n no focalizzato l'attenzione su processi di tipo esplicito (codi fi cato/s tandardi zzato) o di tipo tacito (cioè implicito, personalizzato e contestualizzato). Le pr ime forme riguardano l'espressione di competenze codificate, legate all'esecuzion e di attivi t à o al loro coo rdinam e nto e co n trollo (ad esempio, dagli ordini di servizio ai documenti strategici), le seconde riguardano p rocess i di sedimentaz ione di competenze di tipo individuale ed interattivo, ma forte me nte contestualizzati. Le conoscenze esplicite so-
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no quelle facilme nte comunicabili e condivisibili sottoforma di regole codificate, norme o brevetti; le conoscenze tacite sono di tipo personale, di fficili da formalizza re e tras me ttere, legate a dimens ioni informali spesso non descrivibili in modo sta ndardizzato. Un modello inte rpreta tivo di particola re r ili evo nel più recente pe nsie ro orga nizzativa (Nonaka, '93) ha descri tto con molta effi cacia i processi di traduzion e tra le diver se form e di con osce nza inte rpre tandoli come ele menti di una <<S piral e» (di un mov ime nto circolare, ma caratteri zzato da un a c rescita progressiva) c he produce di fa tto fo rm e di ve r se di a r r icc hi mento del pa tr imo nio cognitivo degli individu i. Qu es t e forme so n o d cscritte come socia lizzazione, esternalizzazione, interazione e combinazione. In un a mb ie n te co n finali tà edu ca tive bi sogne re bbe ince nti va re qu es te fo rme di <<creazio ne» della conoscenza di diverso livello cd inte ns ità, c he di fallo inc re me ntano il patrimonio colle tti vo c he è la ri sorsa cognitiva disp onibile · nel tessuto organizza ti vo. Nella ~radizi o n e dell a vita milita re il va lore dell'esempio e del modcll a mc nto nei processi ed ucativi dci giova ni ha da sempre costituito un punto di rife rimento in questa direzione. Gli studi sull'apprendime nto organizzativo cercano, pertanto, di comprendere le modalità con le quali tali conoscenze e competenze possono trasformarsi in innovazione.
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Un secondo ordin e di conside razioni ci porta a veder e il concetto di a pp•·endime nto o r ga ni zza tivo co m e fattore di in cr em ento d ella dimensione comunicazionale d ell'organi zzazio ne a ll'interno ed all'esterno.
QUALI POSSIBILI RIFE RIMENTI PER INNOVARE LA FORMAZIONE NELLE SCUOLE MILITARI Anche per le organizzazioni militari - ed in particola re per le Scuole - si pone l'esigen za di ampliare la supe•-ficie di conta tto con l'a mbie nte es te rno , secondo un a p proccio di forte atte nzione ai fe nomeni che in esso a vvengono: la socie tà civile e l'a mbi e nte c he c i•·co nd a l'organizzazio ne. Il riorientamento della lll issioll dell'Esercito, verso compiti di salvaguardia del ci ttadino e di tutela della socialità e della sicurezza, indubbia mente è un fa ttot·e di s pinta ve•·so questa direzione. Occorre, dunque, <<aprire le porte» dell'orga nizzazione militare verso la comun ità civile, sviluppando occasioni per vcicoJa r e un'imm agine piLJ moderna ed adeguata a l Nuovo ModeiJo dj Difesa. Occorre interrogarsi su come cambiano i fabbisogni di co mpetenze d e lle perso n e c he lavo ran o in esse e nell e strutture c he cooperano. Un' ul teriore conside razione ci po rta a sotto linear e il segue nte punto: l'ottica della leaming organ ization postula l' in c r e m e nto d a pa n e d e l soggetto di process i di <<co ntroll o» s ull'agire indi vidua le
nel contesto professiona le. Il concetto chiave è quello de l s upc ra me nto di un fare. separato dal pensare. Un a ute nti co processo di a ppre ndime nto implica l'esigenza di p.-omuovere la diffus ione d elle conoscenze, non solo secondo un asse curricolare s ta nd ardizza to (lezioni centra te sulla didattica fronta le), ma a nc he nello svolgime n to di a zioni concor-.-e nti all'es ple ta mento dei ruoli ed alla p a rtec ipazione a d attività, e tc .. Seg ue ndo un 'interpretazio ne in c hiave cognitivis ta d e ll e o r ga ni zzaz io ni , una nuova compe te n za vie ne ad esse•·e foca lizza ta come parti cola rme nte connessa a [a tto ri m e tacogniti vi ce nt r ati s ull'a uto diagnosi degli errori. In r ife r·imento alla problemat ica de ll'en ·o re, l'approccio cogniti vis ta, ad esemp io, ela bora to all 'in terno de l paradi g ma della leaming orgallizati on, d à rili evo a nc he al conc.e tto dei modelli me nta li: la nu ova e n fas i da ta a questo aspetto ri c hi a ma il co nce tto d e lla do ppi a presen za deUe teorie in uso e dell e teorie professate . rn s intesi, si può .-icordare c he ognuno di noi vive e lavo•·a s ia rife re ndosi a modelli in 'ti o (c ioè fa ttu a li ), s ia a m o d e lli di c hi a r-ati ma n o n << usa li » (le teorie professate). I compo rta me nti media mente s i is pi ran o a ll e teorie in u so, piuttosto c he a que lle professate, indicate coscie nte me nte come pro fil o di valor i funziona nti come una busso la p e r l'azione. So ttili mistificazioni incon-
.-
Tr
Ce111ro Correlazio11e Dati di Lm Gruppo di Artiglieria (CCD CA ). -
sce portano gli indhddu i a misconoscere le t·eali ed effettive fonti ispiJ·atrici dei loro comportamenti. Si tratta di barrie re dife nsive che ingab-biano la reale capacità di innovare delle persone. Il cos i ddetto «inquinamento da difese organizzative» nasce in defini tiva dalle motivazioni profonde che sottostanno alla pratica inveterata dell'enore: l'ipotesi da cui parte Argyris, confcr-
.,.,
mata dalla ricerca empirica, è che gli errod vengano intenzionalmente d issimuJati e contraffatti come azioni per l'appunto non erronee, al fine di evitare ai membri delle organizzazioni potenziali pericoli. Alcuni autori, che hanno elaborato contributi significativi nell'amb ito delle teorie dell'apprendimento organizzalivo, sottolineano l'idea di ignoranza volontaria. L'errore intenzionale è in genere sempre connesso ad un'azione di dissimulazione realizzata su basi razionali. Ma veniamo alle conse-
guenze di un approccio interpretativo di tal tipo al discorso sulle competenze. Nell'ottica di una visione cognitivista, anche lo svi luppo delle strategie è visto come area critica per sviluppare forme di apprendimento dai collaboratori, dagli «ambienti» (tecnologie, sistem i strategici dei competitori, ecc,) e dai mercati. L'attuazione delle strategie è per il 111arzageme11t e per le stesse organizzazioni occasione di elaborazione di processi cognitivi. Gli spazi nei quali si elaborano le strategie in questa prospettiva chia-
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mano in causa lo sviluppo dei modelli di decisione individuali e collettivi. Una categoria di abilità particolarmente critica è, pertanto, la capacità di risolvere problemi; diventa cruciale come area da presidiare la capacità decisionale. Non si tratta di mera esecutività, ma di consapevolezza e comprensione dei meccanismi che sottostanno le proprie d ecisioni. Solo ]addove si è consapevoli del come si decide, si riesce a raffinare la compete nza ed a modificare atteggiamen ti costanti scarsamente funzionali e produttivi rispetto ai con testi. L'approccio cognitivista si misura anche con le teorie della leadership. Il capo gestionale può definirsi catalizzatore di processi cognitivi: a lui competono molti ruoli relativi al personale direttivo a margine del processo di diffusione della cu ltura d i impresa. È suo compito, infatti, la definizione dei margini di libertà e di a uton omia dei gruppi, la sottolineatura de-. gli eleme nti ri levant i per quanto concerne il presidio della cultura organizzativa attraverso la predispos izione di supporti a lle aree per la conoscenza e la formu lazione del piano di attività coerentemente agl i obiettivi ed alla vision diffusa all'interno delle organi zzazioni . Il concetto di visione, come elaborazione cognitiva da costruire, deve essere a lungo termine e richiede l'impegno della gente a realizzarla; conseguentemente esige assun-
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zione di rischi e sperimentazione continua. Nell'ambito dei nuovi modelli organizzativi, saranno ad esempio richieste intercambiabilità dei ruoli, lavoro di team, capacità di condividere più cu lture , modelli mentali caratterizzati in una parola da più flessibilità e condivisione delle problematiche globali che concernono l'organizzazione. L'idea di profili inviduali a forte specializzazione e caratterizzati da nicchie operative e professionali consolidate, predefinite e routinarie, è indubbiamente in notevole decalage se occorre aumentare la superficie di contatto con il mercato e garantire una professionalità diffusa. Le conoscenze individuali dovrebbero diventare patrimonio comune e tradursi in visione condivisa ed il capitale sarà investito solo se tradotto in valore spendibile sul mercato. U che significa, fuor di metafora, che dovrà convertirsi in maggiore posizionamento sul mercato. Se in una visione di tipo fo1·dista, centrato su lla predefinizione dei compiti, la formazione poteva definirsi prevalen temente come offerta di opportunità per adeguare le persone alle esigenze di tipo sta ndardizzato r ilevate dall'impresa in un contesto definito, secondo un'ott ica postfordista alla formazione deve essere attribuito un ruolo molto più complesso. Si tratta, infatti, di fornire condizioni per l'attivazione di processi di creazione, diffusione e scambio di processi co-
gnitivi di diverso tipo . In sintesi, dunque, l'idea di formazione continua e d! apprendimento organizzativo consentono anche all'interno delle istanze proprie del sistema formativo dell'Esercito di «uscire» dal modello razionalistico-deterministico ed incorporare i valori della flessibilità e dell'innovazione. La disponibilità di paradigmi di ispirazione cognitiva offre un nuovo reticolo concettuale alla definizione del rapporto formativo. Non si trattcr di una spinta obbligata, ma di un orientamento auspicabile: ci sembra infatti che l'investimento in sede di progettazione dei curricola, come dello sviluppo di analisi dei fabbisogni, possa costituire un elemento di miglioramento strategico dell'azione formativa. L'idea di apprendimento organ izzativo viene, di fatto, ad enfatizzare la dialettica tra conoscenza ed azione, cosl come tra decisione e d informaz ione, secondo una schematizzazione non deterministica, ma circolare e ricorsiva. Prof.ssa Giuditta Alessandrini
-.NOTE G. Alessandrini insegna presso la Terza Università di Roma cSociologia dell'organizzazione• ed opera come consulente di sviluppo organiz.zativo e di formazione. t autrice di numerosi saggi sui temi della formazione c del cambiamento organiz7.ativo. Cfr. G. Alessandrini: Appreudimemo OrgalliU.alivo: la via del kanbrein. U11icop/i, Milano, 1995.
.Terza sessione - - - - - - - - - - - - - - - ,
CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI
UNIVERSITÃ&#x20AC; E ISTITUTI MILITARI
Conclusioni
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INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO
LA FORMAZIONE MILITARE E IL NUOVO MODELLO DI DIFESA esidero _in pri~o lu~ go espnmere 1 sentimenti di gratitudine dell'Esercito al Presidente della Camera de i Deputat i per aver voluto onorare, con la sua presenza, questa cer-imonia tradizionale, ma sempre 1·icca di alti contenuti spirituali. Porgo inoltre un ca loroso saluto a Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Casaroli, già Segretario di Stato del Vaticano, ed al Sottosegretario di Stato alla Difesa, Onorevole R ivera. Un benvenuto, infine, al dottor Bruno Vespa, illustre rappresentante del mondo giornalistico. Un affettuoso saluto alla città di Torino, culla e custode della storia dell'Esercito, che ospita, nel segno di un continuo rapporto di reciproca stima e collabora-
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• Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Bonifazio l11cisa di Camerana.
zione, questo prestigioso Istituto. A tutti gli intervenuti, il mio più sincero e cordiale benvenuto, nella convinzione che la loro presenza costituisca concreta testimonianza di attenzione e di fiducia nei confronti dell'Esercito ed, in particolare, della Scuola di Applicazione. E da ultimo, ma solo per ragioni formali, il mio affettuoso saluto agli Ufficiali Allievi che sono i protagonisti e i destinatari di questa giornata. La cetimonia di inaugurazione dell'Anno Accademico assume quest'anno una particolare importanza in quanto conclude un interessantissimo convegno dedicato alla formazione della classe dirigente militare. Nelle due scorse giornate, ho seguito con molta attenzione i lavori del convegno. Intervenire in chiusura non è certo un compito 101
facile, tenuto conto dell'andamento delle discussioni, della profondità con la quale i temi sono stati affrontati e trattati e, soprattutto, dell'autorevolezza degU oratori che hanno preso la parola. Per altro, siamo ancora in una fase di approfondimento per la revisione dell'iter formativo dei Quadri. Nessuna decisione definitiva è stata ancora presa in materia e non dobbiamo quindi stupirei d'aver udito opin ioni anche difformi su taluni specifici aspetti. Oggi non intendo riassumere concetti che sono stati ampiamente esposti, ma vorrei piuttosto sottoporvi alcune riflessioni sulla nuova dimensione dell'Ufficiale del2000 (o post), centrate soprattutto sul ruolo che la form azione militare può e deve svolgere in tale ambito. In particolare, foca li zzerò l'auenzione sulle due componenti fondamentali della for mazion e militare. La prima si riferisce al sis te m a che d e ve p rovvedere alla preparazione, ossia non solo ai docenti ed agli istruttori, ma anche all'intera organizzazione che li supporta. La seconda riguarda coloro che devono apprendere, nei va-. ri momenti della caniera. Si badi bene che ho parlato intenzionalmente di seconda componente, proprio a voler soLtolineare l'indispensabile partecipazione attiva che i discenti devono assicurare nel loro processo di formazione. Nell'attuale situazione, se da un lato siamo costretti a dilazionare in tempi oltremodo lunghi, al limite dell'efficacia, il completo rinnovamento dei mezzi, dall'altro non possiamo assolutamente rinunciare a preparare uomini consapevoli ed addestrati. Uomini la cui formazione professiona-
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le deve essere costantemente monitorizzata, ampliata ed aggiornata, per muoversi in sintonia con l'evoluzione del progresso tecnologico, delle dottrine e delle società. Ecco perché, tra l'altro, a &-onte di un continuo ridursi delle unità operative, gli Enti scolastico-addestrativi non vedono, per ora, mutare la loro entità numerica, che è rilevante. Ecco perché, inoltre, è necessario insistere sulla strada della «formazion e p erm a n e n te », ispirata ai concetti di progressività e di aderenza ai valori dello status militare, riproducendoli e rivitalizzandoli per scongiurare il declino della cultura militare che, nei secoli passati, ha svolto un ruolo trainante e di avanguardia nei riguard i della società (vedasi primo giorno). Infatti, se è vero che nessuno è responsabile delle azioni dei propri avi, è anche vero che non si può e non si deve rinunciare a vantarne la discendenza se quelle azioni sono meritevoli d'essere ricordate. Voglio cioè richia mare, ad o nore degli attuali Istituti militari di formazione, le benemerenze ed il prestigio delle Scuole presenti al momento dell'unificazione nazionale c he, a loro volta, erano il prodotto di quelle esistenti negli Stati preunitari. È un modo per legittimare l'orgoglio delle o dierne Scuole de!J'Esercito che da quella cultura traggono molta della loro a ttual e fisionomia in fatto eli conformazione e, soprattutto, di stile e valori morali. Da qui la profonda soddisfazione di scoprire che la nomenklatura nazionale aveva in gran parte profonde radici nelle Scuole militari dei singoli Stati, avendo goduto delle non disinteressate pre-
mure dei rispettivi sovrani: fra i tanti un solo nome, il Conte di Cavo ur, allievo di questo Istituto. E voglio sottolineare, inoltre, che gli Istituti di formazione militare non eccellevano esclusivamente nelle materie tecnico-professionali, in quanto molte fra le discipline di insegnamento erano di can1ttere generale e, quindi, comuni alle istituzioni civili. Forti di queste premesse, gli Istituti di formazione dovranno evitare che la professionalità dei Quadri decada rispetto al recente passato. Un mezzo moderno ed all'avanguardia, se ci sono le risorse finanziarie, 1o si può acquisire in poco tempo, all'emergenza. La formazione di base è Erutto invece di un processo lungo e può awenire solo in sedi che dispongano di un sedimentato bagaglio di esperienze nella formazione dell'individuo. Sedi, peraltro, nel cui ambito dovranno awenire gli interventi tesi ad aggiomare e rende re la formazione e ffe tti vamente permanente. La necessità di intervenire con sempre maggiore intensità e su argomenti sempre più vari, impone l'adozione di nuove modali tà didattiche che potrebbero co n fig urars i in un a serie di provvedimenti innovativi come ad esempio: • corsi di aggiornamento di breve durata; una sorta di piccolo «periodo sabbatiCO» per consentire ai Quadri di limanere al passo con l'evolversi di dottrine, tecniche c problematiche di diretto interesse; • costituzione di «cattedre itineranti» per l'aggiornamento del personale presso enti e reparti. Su un piano più elevato per quaJill.à e livello dei discenti, le Scuole potrebbero attivare, uni-
tamente alle Università, seminati e brevi corsi per i Quadri da destinare ad incarichi particolari. Inoltre, potrebbero gestire scambi e attività congiunte con analoghe Scuole estere, per verificare, periodicamente, contenuti e procedure operative comuni. Quindi, gli Istituti eU formazione dei futuri Quadri Ufficiali giocheranno un ruolo sempre più importante nell'ambito del definitivo e completo recupero di efficienza e capacità operativa dell'Esercito. Dato per scontato che nei nostri Istituti i docenti civili sono quanto di meglio il mondo accademico possa offrire, di importanza determinante sono e saranno i docenti militari che hanno l'arduo e fondamentale compito di addestrare gli allievi nelle specifiche discipline tecnico-professionali. Ma, soprattutto, essi devono poter trasfondere con continuità i plincìpi e i valori morali alla base della nostra militarità. Questo perché sono fermamente convinto che il «Sapere valido» non è solo quello che nasce dagli approfondimenti teorici, peraltro assolutamente indispensabili, ma anche quello che scaturisce e si évidenzia attraverso la prassi quotidiana, che si dispiega e si vive giorno per giorno. In una pruula: l'esempio. Gli insegnanti militati quindi devono e dovranno possedere caratteristiche di eccellenza in quanto a preparazione professionale, capacità didattiche e qualità morali: è riposto in buona parte nelle loro mani il successo della futura dirigenza militare. Appare chiaro, dunque, che la problematica relativa alla prima componente della formazione, ossia a quell'insieme integrato composto da inse-
gnanti ed Istituti militari intesi che quell i culturale e motivacome organizzazioni di sup- zionale. Settori questi che conporto, è molto complessa. corrono a formare il «profilo Proptio per tale motivo e per ideale» dell'Ufficiale e che dola rapida evolu zione dei pro- vranno essere presenti, alcuni grammi di insegnamento, per la in egual misura, altri con medidattica ed i rapporti con la tro diverso, in tutti i compoPubblica Istruzione, si rende or- nenti dell'Esercito, a qualunmai necessario istituire una que categoria appartengano e struttura, Comando per la Dot- qualsiasi grado rivestano. Ecco, allora, che la ricerca di trina e l'Addestramento ovvero un Comando delle Scuole, una maggiore professionalità rinche svolga le irrinunciabiJi fun- nova e riempie di ulteriori signifizioni di studio ed elaborazione cati il processo di selezione del dottrinale, nonché di guida e personale e lo pone alla base di coordinamento di tutti gli Istitu- un nuovo approccio, che trascen. de la mera verifica dei parametri ti militari, con visione unitaria. Tale ipotesi è allo studio psico-fisici, per delineare una gradello Stato Maggiore delJ'Eser- duatoria ideale che prescegJie i cito e quanto prima troverà migliori, coloro cioè che più possono offrire alla comunità nazioidonea soluzione. Passo ora a trattare il secon- nale, in termini di professionalità, do soggetto del problema for- lealtà, dedizione e solidarietà. mazione: i futuri Quadri diriQuesta nuova professionagenti dell'Esercito ed anche )jtà dovrà costituire la sintesi delle Forze Armate, visto che fi- di una serie di qualità e di canalmente stiamo muovendo i pacità, che consentano alla cUprimi passi verso una concreta rigenza militare di avere relaintegrazione interforze. zioni cUrette anche con il monCome si è avuto modo di do deUa produzione e della riverificare, la formazione mili- cerca universitaria per: tare, nell'attuazione del Nuovo • recepire dati utili ad adeModello di Difesa, sarà deterguare lo strumento militare minante per l'affermazione ai compiti da svolgere e alle potenzialità della Nazione; della figura dell'Ufficiale del 2000. Questa sfida al rinnova• testimoniare la non estraneità mento può essere ben accolta del Corpo militare ai problemi in forza eU una tradizione culoccupazionaJi e alle vicissituturale, come ho ricordato, prodini economiche del Paese; pria di molti Istituti militari, • attestare l'awenuta cancellazione della locuzione «corpo antica ormai di secoli, che li ha già r esi artefici del mutaseparato» dal biglietto da vimento nel campo della didattisita della società militare; loca, della ricerca e della spericuzione a cui si devono ancora molte incomprensioni mentazione in altri momenti pubbliche e moltissime strucruciali della storia nazionale. mentalizzazioni. Il tipo d i professionalità In definitiva, voglio dire che il moderna deve soddisfare una serie di esigenze non comuni risultato da conseguire è quello di che coinvolgono molti aspetti: superare l'annoso dualismo fra quelli psichico e fisico, ma an- Ufficiale dotto e Ufficiale com-
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battente. Esigenza imposta, peraltro, dalla sempre più stretta integrazione tra mondo militare e società civile, che comporta la necessità di un pari livello di cultura. Se così non fosse, si verificherebbe una pericolosa condizione di subordinazione, inaccettabile non solo suJ piano psicologico e del prestigio, ma anche profondamente ingiusta in termini di competenze e n~sponsabilità. È evidente, qLtindi, che vanno incrementate nei programmi di studio tutte quelle attività che favoriscono la m igliore conoscenza di c iò che si muove nel mondo del lavoro, di «quanto bolle nella pentola dell'Università e della ricerca», di quello che anima il dibattito CLÙturale. Sono, perciò, validi strumenti di approfond imento e dj socializzazione, ad esempio, le conferenze, i sem inari d i studio, le tavole rotonde e i gruppi di lavoro. Un «armamentario», questo, tutt'altro che nuovo per le Istituzioni militari, il cui impiego, ad esempio, già nel secolo scorso rivoluzionò gli studi della unziatella per virtù di un illuminato Ufficiale. Quel Tenente Colonnello G iuseppe Parisi che formulò un metodo educativo fondato, fra l'a ltro, sulla interdisciplinarietà degli insegnamenti. Ulteriore elemento di novità rispetto a lla figura tradizionale dell'Ufficiale sarà l'impiego in repatti costituiti da personale il cui grado d'istruzione non sar-à certamente di basso livello. Mi riferisco in particolare ai nuovi Marescialli, i ftttttr i Comandanti di plotone, tulti con djpJoma d'istruzione superiore. Infatti, il passaggio da un Esercito di leva ad uno largamente professionale, qualitalivamente efficiente, co ì come pre\~sto nel uo104
Modello di Di fesa, richiederà un alto livello di preparazione. Ciò implicherà tre caratteristic he che dovre mo ritrovare nell'Ufficia le del doman i: • la conoscenza specializzata e l'abilità di gestire l'uso delta forza in uno dei campi più significativi dell'attività umana, quello dello scontro di interessi e volontà opposte; • la responsabilità di operar·e per la sicw·ezza militare, elemento oramai imprescindibile della nostra società; • il desiderio e l'orgoglio eli a ppartenere ad un gruppo sociale funzionalmente atipico ma nello stesso tempo integrato e fondamentale per la sopravvivenza ed il progresso della società. E questo perché l'Esercito, come già awenuto, potr-à essere costretto ad intervenire in arce caratterizzate da elevata conflittualità e pericolosità. I nuovi compili, infatti, coprono una vasta gamma di interventi, estendendosi dalle missioni d i supporto alla pace alle operazioni d'alta intensità e richiedono elevata flessibilità ed autonomia dcci ionale anche a i minori livelli. L'obiettivo fina le sarà costituito dal raggiungim c nto di una pace sostenibile atLravcrso il negoziato, il compromesso e la mediazione fra le parti in lotta ( iano Nazioni o etnie). Proprio in questa tipologia di interventi, l'Ufficiale d0\11-à dimostrare di posseder·e doti di diplomazia, per far sì che la coesione delle coalizioni di cui fa parte cd il consenso dell'opinione pubblica non possano venir meno. C'è bisogno cioè d i doti culturali di notevole rilievo, fondate su cono cenze sicLtre e certe, inerenti al panorama stmico-economico intemvionale in cui si interviene. \ 'O
Egli sar-à chiamato infatti ad operare anche con agenzie civili governative o internazionali ed a contattare leader locali. Quanto m eno le operazioni sono tradizionali, tanto più diminuisce l'importanza delle dimensioni propriamente tecnologiche, tanto più aumenta quella degli aspetti politico-sociologici. Nelle operazioni fuori dai confini, che costituiscono e costituiranno l'aspetto forse più interessante e qualificante delle missioni assegnate all'Esercito, sat"à richjesta ai futuri Comandanti una profonda comprensione di tali problemi, soprattutto per le potenziali ricadute «politiche» che la loro condotta comporta. E cco perché oggi il riconoscimento di un titolo di studio di livello universitario è indispensabile per l' Uffic ia le del Ruolo m·male. Vo rre i pera ltro precisare che la laurea «civile>>, in quanto tale, non contribui ce, da sola, a caratterizzare e dare forza a quell'atipicità militare di cui i ente tanto il bisogno e a cui ho fatto prima cenno. In altri termini, pen o che la pre parazio ne dell'Ufficiale debba avere fond amen ta li peculiarità e che la priorità formativa debba essere sempre attribuita agli aspetti professionali. Semplificando con uno logan: prima Ufficiale, poi Dottore. Questo non vuole dire che si è sbagliato nel volere perseguire, quale traguardo, il con cguimento di una laurea riconosciuta in a mbito accademico. Al contr·ario, tenuto conto sia delle preclusioni da sempre avanzate da settori esterni alle Forze Armate, in merito aJ ricono ·cimento di un titolo di law·ea in Scienze della Difesa, s ia della assoluta neces-
sità di adeguare il livello eli preparazione degli Urriciali a quelli a na loghi d e i corri s po nde nti QuadJ·i del Paese, questa era l'unica trada percorribile. Resta comunque inteso che l'obiettivo dell'E erci to rimane il riconoscimento, per gli Ufficiali che abbiano superato con successo i corsi normal i, di una laurea mHitare equivalente a l pari titolo di studio civile. Ciò, di certo, comporterà la me a in atto di predisposizioru organizzative non semplici. Come, ad esempio, citando solo alcune ipotesi eli lavoro da veriEicare, aprire a i giova ni c ivili la frequenza di alcuni dei nostri corsi. Ma questi sono problemi tutto somm ato minori rispetto ai vantaggi, n on solo d'immagine, che la Forza Armata potrebbe tram~ da un'iniziativa del genere. In sostanza, e fermo ,-estando il conseguimento della laurea quale punto di pat"tenza per chi lascia questo palazzo, mi sembra che i quasi cinque anni di iter formativo, fina lizzato, in massima parte, al conseguimento di un titolo civile, rischino di portarci un po' f·uori strada. E questo almeno per due ordini di motivi. Innanzitutto, per ragioni giuridiche connesse con il periodo di comando da completare nel grado eli Tenente per essere valutati al grado superiore. n corso eli perfezionamento frequentato al termine del quadrienruo di Accademia e Applicazione lascia infatti poco spazio al periodo di comando minimo previsto per gli Ufficiali con il grado di Tenente. Con questo Yoglio eli re che possono anche andar bene i quattro anni più il corso di perfezjonamento, con i programmi eli studio opportunamente rivisti, ma,
allora, la nuova legge LùJ'avanzamento dovrebbe prevedere di far perman ere gli Ufficiali nel grado di Tenente per almeno cinque anni, anziché i quattro attuali. E aggiungo che questi dovrebbero permanere a livello plotone, Vice Comandante di compagnia, per almeno tre anni, al fine di acquisire e consolidare quelle cono scenze tecnico-pratiche ed umane che un iter oggi finalizzato alla laurea fmnisce necessariamente olo in modo abbozzato. In secondo luogo, per motivi etici. L'Esercito non ha bisogno di Ufficiali che vivano la realtà del reparto con spirito «occupazionale», ma di giovani che aderiscano pienamente, con apevolmente e senza ri erve ai \·alari tipi ci del nostro status . Ci ò impli ca, tra le a ltre cose, ch e nel la formazione di base dell'Ufficiale dovranno continuare ad essere impartite le nozioru fondamentali della cultUJ<l militare di cui parlavo all'inizio. Quindi, in sintesi, dobbia m o g uardare a tre o bietti vi: cu ltura d i base, istruzione mili tare ed esperienza pratica. Infatti, se si va cercando una maggiore professionalizzazione della Forza Armata, la preparazione e la formazione dell'Ufficiale del Ruolo Normale dovranno sì tendere aJ conseguimento della laurea, ma intesa come sostegno e complemento alla professionalità militare. Ed è anche vero che il ruolo che svolgerete molto presto, cari Ufficiali Allievi , c ioè quello di Comandanti, n on è spiegato in alcun libro. Esso si apprende e si acquisisce con il tempo e l'esperienza, vivendo gomito a gomito con i soldati - eli leva e professionisti - per 24 ore al giorno e per 365 giorni l'anno. In questo sen-
so, l'assimilazione delle nostre regole con quelle della Pubblica Amministrazione non può correttamente consentire di operare quali Comandanti responsabili. Ma ncJI'attesa c con la sper·anza di riuscire a per eguire l'obiettivo finale del riconoscimento della laurea in «Scienze della Difesa», attagliata in misura o ttimale aJJe nostre specifi che c igenze, dobbiamo essere icuri che i cambiamenti che abbiamo apportato e che stiamo per apportare oggi risultino fondamentali un domani. Una delle cose che non dovremo mai dimenticare è che, quando saremo c hiamati ad operare, dobbiamo essere certi che siamo addestrati e pronti a compiere la missione affidataci nel migliore dei modi. I n questo no n dobbiamo fallire. Ma ricordatevi, giovani Ufficiali della Scuola di Applicazione, che prima di essere dei veri professionisti, dei validissimi soldati, dovrete essere «uomini», per comprendere che la vera educazione va comunque al di là del concetto utilitaristico ed è un vero e proprio valore formativo; ossia, come diceva Seneca, «Impariamo per la vita, non per la scuola ». Con questi senlimenli, auguro a tutti voi buon lavoro e buona fortuna, dò atto all'Ispettore delle Scuole ed a] Generale Orofino di aver splendidamente organizzato questo interessantissimo convegno ed invito il Sottosegretario di Stato alla Difesa, a l termine degli a ttesissimi interventi che seguiranno, a voler dichiarare ufficialmente aperto l'Anno Accademico 1996-1997 della Scuola d'Applicazione.
Gen. Bonifazio Incisa di Cam erana
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LA COMUNICAZIONE NELLA FORMAZIONE DELL'UFFICIALE Dott. Bruno Vespa.
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arlare di comunicazione è un compito abbastanza complicato, perché gli Ufficiali sono abituati ad una formaz ione scientifica e qui parliamo in una sede che, ormai da secoli, è consacrata alla scienza nei suoi livelli più eminenti. L'Ufficiale è abit u ato al «due più due fa quattro» e, nella comunicazione, questo
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non sempre è vero. La comunic'azione è impalpabile e, quindi, per questo, può essere pericolosa, molto pericolosa. Una comunicazione sbagliata, imprecisa, sia pure fatta in buona fede, può avere conseguenze molto spiacevoli. La comunicazione è importante, e qui stiamo pàrlando in un scuola, anzi in un'alta scuola. Io mi permetterei,
se mi è consenlito, di suggerire ai vostri Comandanti di inserire questo insegnamento controverso e impalpabile tra le vostre stabili materie di insegnamento. Perché uno fa un'eccellente carriera, poi basta una scivolata e addio. Le Forze Armate non nanno, in Italia, una straord inaria tradizione comunicativa, e il fatto di aver perso la guerra non ci ha aiutato, ·anche se la dittatura curava in maniera molto professionale la propria immagine. Magari trascurando altre cose più sostanziali. Nei primi decenni del dopoguerra si è creato una specie di spartiacque: da un lato avevamo una fetta «antimilitarista)) della popolazione, dall'altro una «non militarista)). I milltari, dal loro canto, vivevano in un loro ghetto e aspettavano di rilegittimarsi. Fu la Marina la prima a porsi il problema di uscire dal ghetto e lo fece per ragioni di necessità, come spesso capita. Cioè: ad un certo punto, si è accorta che di lì a qualche anno non avrebbe avuto più navi e quindi lo scioglimento della Marina sarebbe stato piuttosto imbarazzante. Allora ci fu una apertura comunicativa molto forte che avrebbe portato poi, nel '75, alla legge navale e quindi, se non proprio alla ricostituzione della flotta, al tamponamento che poi, di volta in volta, ha interessato le diverse Forze Armate. Alla fine degli anni Settanta fu l'Esercito a muoversi in
maniera direi più stabi le e più professionale in questa direzione, e la svolta ci fu nel 1982, con la nostra sped izione in Libano, che naturalmente, dopo a lcuni decenni di antimilitarismo e non militarismo, partì sotto gU auspici peggiori. Qualcuno di voi si ricorderà ancora deUe prime notizie. Poi fummo sfortunati, le navi si fermarono in alto mare e tutti dissero che natw·almente le navi italiane non potevano non fe1·marsi. Poi gli inglesi videro i bersaglieri e non capirono bene a cosa servissero quelle penne. Loro che certe volte, nei reggimenti trad izionali, portano la gonna. Ma insomma la gonna è una cosa seria, le penne lo sono meno. E allora, i nostri colleghi e i nostri cronisti si avviarono a celebrare un disastro. E invece di un disastro fu un assoluto e, per le circostanze direi probabi lmente, un irripetibile successo. Perché intanto si scoprì che i nostri soldati possono essere bravi, molto bravi. Tra l'altro i giornali scoprirono, con assoluto stupore, che eravamo bravi non soltanto in qualche reparto di arditi ma, per esempio, in una cosa assolutamente straordinaria come le comunicazioni, in cui dimostrammo di essere persino più bravi degli americani. La novità è che i giornali lo scrissero e fummo molto fortunati. Perché, adesso, se un soldato italiano sciaguratamente muore in una mis-
sione all'estero, siamo abituati a questa eventualità. Ma all'inizio degli anni Ottanta non eravamo affatto abituati a ciò. Io sono rimasto sempre della convinzione, non so quanto giusta, che se a noi fosse capitato qualche attentato come quello che colpì i francesi e gli americani, il Presidente della Repubblica Pertini, uomo d i grandi sentimenti e di decisioni repentine, ci avrebbe rimpacchettato nel giro di 24 ore. Quindi fummo anche fortu nati. Avemmo la fortuna di avere un Ufficiale come il Gen . Angioni, non sempre amato, come tutte le personalità forti, ma certamente un uomo che conosceva la comunicazione. Poi ci fu uno straordinario lavoro di comunicazione, fatto dal vostro attuale Ispettore delle Scuole, che allora si occupava di rapporti con la stampa e che riuscì a coinvolgere tutti i giornalisti italiani in quella che era la nuova avventura delle Forze Armate . Giocando a carte scoperte, non nascondendo le cose, che è sempre una pessima abitudine con i giornalisti, ma duscendo a corresponsabilizzadi anche negli aspetti più delicati. Dal Libano l'immagine dell'Esercito, ma direi l'immagine delle Forze Armate italiane, ebbe una svolta sulla quale si è a lungo campato di rendita. Adesso la situazione comunicativa tra le Forze Armate e il Paese è nettamente migliore di venti anni fa, ma 107
Il Check-Poim «Banca», nelle vicinal1::.e del porto di Mogadiscio.
ho la sensazione che si stia attraversando un periodo di stalla che alla lunga può essere pericoloso. E noi italiani siamo gente straordinaria, qualche volta anche un po' curiosa. Per esempio diamo per scontato che noi, quando ci chiamano a livello internazionale a partecipare ad attività che impegnano parecchi Paesi , fa cc iamo una splendida figura. Si dà per scontato che noi abbiamo reparti perfettamente addestrati come quelli degli altJ-i. Guai se noi si dicesse c he gli italiani sono meno bravi dci francesi o degli ingles i. Di conseguenza, poiché questo è il periodo dei tagli, Dio solo sa quanti ce ne servano, il cittadino comune trova as olutamente normal e che i primi capitoli sui quali tagliare s iano quelli della Difesa, poiché, come noto , la Difesa non serve a niente. Allora il primo problema comunicativo è di nuovo quello di ristabi lire un ide111ikit delle Forze Armate. Se il servizio militare deve
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essere di 18 mesi, di 15, di 12, di l O, di 8, di 4 è diventato una specie di lotteria e il ragazzo che deve prestar-lo non capisce pitt perché ci va e per quanti mesi deve andare, se è giusto andarci per 2 anni o per 4 mesi, e non riesce più a capi re qual è il s uo reale contributo. Soprattutto adesso che il servizio civile si è molto allargato. Un altro punto, ed è quello credo c he per ora interessi di piCt g li allievi di questa Scuola, è di convincersi che la capacità comu nicativ a, mentre prima e ra una comunicazione strategica che interessava i Vertici, oggi, invece, interessa tutli quanti voi. La comun icazion e è importante a tutti i livelli. Quando uno compare su un giornale, o peggio compare in televisione, il nume.-o di stellette non conta. La comunicazione di un Tenente può essere efficace o non efficace per l'Esercito quanto quella di un Generale. Di questo sono stato sempre convinto anche fuori dell'ambito militare.
Nell'estate scorsa, facendo una gita sulle Dolomiti, ho visto una trincea con una piccola iscrizione: per recuperare quei sassi un Tenente e i suoi soldati erano morti e avevano guadagnato una medag lia d'oro. Quante medaglie d'oro hanno guadagnato gli Ufficiali di livello più basso e quanto hanno giovato all'immagine delle Forze Armate Tenenti e Capitani: non c'era bisogno di arrivare al grado di Generale di Corpo d'Armata. La s tessa cosa, in tempi più fortunati, va le per la comunicazione. È valida a tutti i livelli. Quindi quando voi assu merete il primo incarico o la prima responsabilità di comando, sappiate che se fate brutta figura la fate fare a tutto l'Esercì to c se fate bella figura la fate fare a tutto l'Esercì to. Anche perch é, nel nostro mestiere di cronisti, c'è la ricerca, evidentemente, del testimone non del superiore gerarchico. Noi vogliamo parlare con chi è stato responsabile di una certa azione non con chi comandava gerarchicamente un'az ione alla quale non ha partecipato. È allora necessa rio che vi si fàccia riflettere deliberatamente - non uso la parola vi si insegni perché queste sono regole precise solo fino ad un certo punto- sulla nece s ità di conciliare la franchezza e l'affidabilità, di uscire dai burocratismi tipici di og ni mcsLicre, eli conciliare la sinceriLà con l'autocontrollo. L'ultimo elemento è la co-
Distribuzione di pasti caldi alla popolazione soma/a da parte dei 111ilitari del Contingente «Ibis».
municazione di vertice, alla quale probabilmente bisogna preparare le !lUOVe generazioni, perch é arrivano aU'improvviso momenti nei quali, come si d ice nel linguaggio militare, bisogna essere pronti a gettare il berretto sul tavolo. Dico le cose che sto per dirvi perché le ho dette già, in occasioni simili a questa, ai diretti interessati. Noi abbiamo avuto due momenti molto delicati per la vita del nostro Paese, in c ui a mio giudizio c'è sta ta una forte carenza di comunicazione nelle Forze Armate. Il primo caso è stato Ustica, il secondo è stato il ruolo della
Guardia di Finanza in tangcntopoli. Per quanto riguarda Ustica, noi siamo arrivati ad insinuare, nella stessa televisione di Stato, che l'aereo fosse caduto perché colpito da un missile italiano. Voi capite che, se di fronte ad insinuaz ioni che non sono poi propriamente leggere, sta te zitti - al di là delle necessità di cautela, del rispetto del segreto istruttorio, delle gerarchie e dei ministri - oltre un certo limite la situazione diventa difficile. Esistono momenti in cui la onorabilità di una Forza Armata va salvata. Se lo fa il ministro, bene; altrimenti lo deve fare il responsabile delle Forze Armate. Se non lo fa, diciamo, usando un eufemi smo, che c'è un difetto di
comunicazione. L'altro problema ancora più delicato è stato quello di tangcntopoli . Vi sono stati momenti in cui, a mio giudizio, cert i interventi di vertice sono mancati. In una certa fase sembrava e non era vero, e sapevamo tutti che non lo era, che l'intera Guardia di Finanza fosse corrotta. Bene, vi sono momenti in cui bisogna pur mettere il cappello sul tavolo e chiarire quali sono i confini di certe situazion i. Come vedete, la com unicazione può essere pericolosa quanto una battaglia, e, quindi, se le conseguenze sono delicate, è meglio pensarci per tempo. Dott. Bruno Vespa
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LA FORMAZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE: UN P.ROBLEMA ITALIANO na classe dirigente de- italiana ha ritenuto che l'oneve ispirarsi a due valo- stà delle classi dirigenti fosse ri fondamentali: l'ade- una variabile priva di effetti sione ad un'etica pubblica e la · sul piano dei risultati. capacità di costntire futuro. Negli anni Ottanta il debilo L'etica pubblica comporta pubblico è raddoppiato, pasresponsabilità, senso dello sando da 532 500 miliardi a l O13 198 mHiardi; ma a queStato, competenza ed onestà. Il senso di responsabilità è sta straordinaria spesa di dela coerenza tra doveri e com- naro pubblico non ha corrisposto un incremento né portamenti. Il senso dello Stato com- quantitativo né qualitativo dei porta la netta distinzione tra servizi per i cittadini. Dove sola sfera del pubblico e quella no finiti questi soldi? Ce lo stanno dicendo le indagini di del privato. La competenza comporta Tangentopoli che si occupano non la conoscenza diretta di proprio delle corntzioni pubtutto ciò che è utile conoscere bliche negli anni Ottanta. La capacità di costruire fuper dirigere, cosa che è praticamente impossibile, ma la turo è legata al primato della capacità di mantenere un rap- scuola e della formazione, alla porto permanente con gli spe- capacità di indicare le certezze fondamentali per i cittadini cialisti dei settori di interesse. L'onestà è un preciso dove- e per le imprese, alla capacità re di chi appartiene alla classe di tutelare i diritti delle genedirigente in un Paese demo- razioni future, alla capacità di cratico. La crisi che ha inve- motivare coloro che lavorano stito l'Italia negli ultimi anni attorno ad un progetto facenha rivelato una crisi delle eti- doli sentire partecipi e protache pubbliche, ma anche una gonjsti della realizzazione. preoccupante corruzione delle Una classe dirigente deve saper orientare i propri cometiche dei privati. È evidente infatti che non portamenti in quattro princici sono corrotti se non ci sono pali direzioni: • ascoltare e consultare; corntttori . Per troppo tempo una par- • decidere; te considerevole, anche se non • costruire; maggioritaria, della società • comunicare.
U
•
On. Dott. Luciano Violante, Presidente della Camera dei Deputati.
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Ogni classe dirigente, infine, deve essere capace di trasmettere valori. Se la formazione della classe dirigente ha questa importmna, si comprende come, nel processo dii modernizzazione del Paese, le riforme istituzionali siano soltanto uno degli obbiettivi. L'altro è costituito dalla formazione di una nuova classe dirigente politica e amministrativa che abbia la forza e la capacità di far funzionare le istituzioni riformate. Parlo dii «classe dirigente politica e amministrativa», perché è p roprio all'interno della sfera pubblica che esiste, a mio giudizio, un vuoto da colmare. Il sistema economico ha una sua classe dirigente. Lo dimostra la vitalità e la capac i là di innovazione, di svi lu ppo, di competitività, espresse soprattutto dalle piccole e medie imprese. Le forze produttive, pur tra alcuni gravi difetti, hanno saputo far crescere la ricchezza nel nostro Paese, ed hanno saputo esprimere uomini in grado di misurarsi con la concorrenza internazionale e con la sfida tecnologica. Di fronte a questa capacità del mondo economico, il mondo poli tico fa fatica a tenere il passo, ad affermare il proprio pri m ato, ad assumere una incisiva funzione di direzione nelle scelte fondamental i per la vi la del Paese. In estrema sintesi, il nostro s is tema politico è stato costruito su due colonne portanti. Una era rappresentata dai partiti politici e l'altra dalle istituzioni. I partiti avevano ricevuto
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una fortissima legittimazione dalla vittoria contro il nazifascismo e dalla conseguente restituzione delle libertà ai cittadini; avevano costituito la Repubblica ed avevano approvato la nuova Costituzione. Le istituzioni democratiche erano fragili perché nuove e non sperimentate; venivano, ino ltre, da un ventenni o n el corso del quale avevano perduto qualsiasi rappresentatività. I partiti, per la Loro forza, si attribuirono il compito di decidere; alle istituzioni fu demandato il compito della rappresentanza e del confronto. La crisi dei partiti politici comincia ve n ti anni fa con l'assassinio di Aldo Moro. Moro mise in campo una pro spettiva di soluzione della crisi italiana, dopo la fine dell'esperienza di centro-sinistra, che prevedeva iJ r icorso a1le stesse forze ed a lle stesse intese che avevano dato vita alla sconfitta del nazifascismo, alla Repubblica ed alla Costituzione. I1 suo assassinio bloccò questa strategia e da a ll ot-a quelle forze politic he sono entrate sul viale del tramonto. La crisi politico-istituzio nale sfocia, nei primi anni Novanta, nella d issoluzione de1Ja
mostra il fatto che dal 1990 ad oggi, in sei anni, si sono sueceduti sei Governi. Oggi nessuno dei partiti storici è più presente in Parlamento. Il ricambio dei parlamentari dalla XI alla Xll legislatura è stato pari al 69% alla Camera e al. 60% al Senato ed è rimasto elevato nella xrn legislatura, nella quale si è avuto un ricambio del 50% alla Camera e del 55% al Senato. Gli apparati dei partiti sono stati drasticamente ridotti. In molti casi è la stessa forma dei movimenti politici ad aver assunto caratteristiche del tutto nuove. È sempre più frequente il reclutamento di figure manageriali e professionali che non hanno precedenti esperienze politiche. La percentuale dei funzio nari e dei dirigenti d i partito presenb in Parlamento è crollata dal 26% della XI legislatura al 4,6% della XII legislatura fino a raggiungere il 2% nell'attuale legislatura. In questo quadro assistiamo a forme inedite di selezione del corpo politico, basate proprio sul rifiuto della figura del «poUtico professionista».
vecchia classe dirigente politi-
Ma sì può oggi pensare che
ca ed azzera un sistema di formazione collaudato per decen-
le società complesse possano fare a meno di una classe politicà professionale? Di una classe cioè preparata a guidare i processi di trasformazione della società, capace d i mettere ins ieme competenza tecnica ed esperienza profonda, viva dei bisogni nuovi della comunità? È una vecchia illusion~ reazionaria che si possa governare facendo a meno della politica.
ni.
Si è cosi creato un vuoto, un deficit di direzione p ol itica, che ha r iguardato tanto la quantità q uanto, e soprattutto, la qualità delle decisioni, e che ha portato al prevalere di quella che ho chiamato in a ltra occasione «repubblica g iudiziaria», nonché ad una condizione di instabilità, come eli-
Non è possibile. L:esperienza del governo richiede qualità e competenze che si acquistano con la conoscenza del Paese, con la padronanza e il ripello dei meccanismi istituzionali, con la capacità di dirigere, di ottenere risultati. Queste qualità s i costruiscono; non sono innate. P er questo è necessario pensare ai luoghi di formazìone della futura classe dirigente politica. A me sembra che la recente esperienza positiva dei comuni possa costituire un efficace modello di selezione. È p1·oprio nella esperienza degli enti locali che sta emergendo un ceto politico dirigente capace di superare le difficoltà di gestire la cosa pubblica e di creare futuro. Non c'è solo la leva dei sindaci. Alla Camera, questa è la mia esperienza, lavorano, in diversi gm ppi parlamentari, almeno cento giovani deputati che costituiranno, per il loro impegno e le loro qualità, l'ossatura della futura classe dirigente. È necessario che si ponga mano alla riforma complessiva dell'università. Il mondo dell'università deve entrare nel mondo del lavoro e viceversa. Questo scambio può moltiplicare i punti di incontro tra domanda e offerta di lavoro, con grande vantaggi0 per l'occupazione. Una formazione maggiormente or-ientata all'inserimento pt·ofessionale consentirebbe inoltre ai laureati di utilizzare meglio il propri o -titolo di s tudio. Una recente ricerca ISTAT ri vela che solo il 30, l% dei
laureati giudi ca adeguata la preparazione ricevuta ai fini dell'i nserimen lo lavorativo. Esiste, quindi, fra formazione offerta dall'univers ità e formazione richiesta dal mercato del lavoro, uno scarto c he deve essere colmato. In questo pmcesso l'università deve avere un ruolo più attivo r-ispetto al passato. È necessario integrare meglio gli s tudi universitari nella realtà cultura le e produttiva del Paese. L'insuffic ienza di canali di comunicazione fra università e imprese impedisce all'università di mettere i risultati, spesso altissimi, delle prop.-ie ricerche al servizio delle allre istituzioni. Non consente a queste ultime di rivolgere a ll'università le richieste di approfondimento e di studio che sono funzionali aiJa soluzione di problemi concreti. Questa mancanza di s inergia determina rallentamenti nella costruzione di un tessuto connettivo nazionale fondato sulla capacità di pensare e di produrre, di guardare strategicamente al futuro, di comportarsi come classe dirigente del Paese. Qui c'è una questione nodale: nelle università si deve formare la classe dirigente, ma questa cla sse dirigente non può formarsi se non c'è sinergia tra l'università e il resto del Paese attivo, quello che pensa, lavora, produce. I partiti politici, dal canto loro, devono recuperare la loro fondamentale funzione di interpretazione dei bisog ni profondi della società, proponendosi come for ze capaci di
indicare le priorità nazionali, le scelte strategiche per il futuro, i valori costitutivi della identità naz ionale e, insieme, i valori che segnano l'appartenenza all'una o all'altra forza politica. Ma, per costruire una classe dirigente pubblica all'altezza di un Paese moderno e complesso, non basta formare nuovi dirigenti politici. Occorre anche costru ire una nuova classe dirigente amminjsu·ativa. Nessuno, negli ultimi decenni, si è davvero preoccupato di formare una classe amministra·tiva dirigente legata non a valori di appartenenza politica, ma alla competenza professionale. Quando, e per fortuna non si tratta di casi sporadici, si è manifestata co mpetenza e professionalità questo è avvenuto o per qualità interne di specifici settori della amministrazione pubblica o per particolare impegno dei singoli. L'amministt·azione si è così spesso ripiegata sulla propria organizzazione, ponendosi quasi come sistema <<auto-giustificante», in cui è prevalsa la logica della correttezza formale degli atti, a scapito del raggiungimento degli obiettivi. La riforma deve consentire la trasformazione del potere pubblico, inteso come organizzazione amministrativa, in potere pubblico inteso come funzione per la vita quotidiana dei cittadini. Al centro delle relazioni istituzionali, e di quelle tra istituzioni e società, deve essere messo il cittadino o comunque la persona dell'utente non la persona dell'erogatore del servizio. Il cittadino ita li ano attraverso impegni, sforzi e lotte si è conquistato
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i diritti di cittadinanza, ed il potere pubblico in w1a democrazia avanzata non è depositario di valori in sé, estranei e diversi rispetto a quelli della società, tranne quelli che gli derivino dalle sue specifiche funzioni. Deve necessariamente dirigere ed organizzare, perché questa è la sua funzione, ma non può imporre comportamenti irragionevoli o eccessivamente costosi o non erogare servizi indispensabili. Il potere pubblico ha un costo per il cittadino e deve rendere servizi in relazione ai costi che impone. Passare dallo Stato persona allo Stato funzione: questa mi sembra la strada più diretta per modernizzare lo Stato. Si cita sovente il caso della Francia, dove l'École Nationale d'Admin.istration ha svolto fin dal secondo dopoguerra un ruolo determinante nella formazione della classe dirigente nazionale. Ma anche l'Inghilterra, che ha un sistema istituzionale e amministrativo completamente diverso da quelli continentali, ha creato un rapporto di stretta continuità tra alcune prestigiose università Oxford e Cambridge, in particolare - e gli apparati amministrativi, e ha istituito scuole di preparazione dei dirigenti pubblici di alto livello, come il Civil Service College. L'Italia deve seguire questi esempi. Già oggi esistono buone sedi di formazione: pensiamo alla Banca d'Italia o ad alcune Università pubbliche e private. C'è l'intento di rafforzare l'attività della Scuola Superiore della Pubblica Amministra-
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zione e sta maturando il dibattito sulla istituzione di una Scuola della magistratura, che fornisca ai magistrati non solo un ulteriore bagaglio tecnico rispetto agli studi wùversitari, ma anche la consapevolezza del ruolo e degli effetti del proprio agire. La stessa Scuola di Applicazione di Torino costituisce un modello di selezione dei dirigenti pubblici, non solo per la qualità dei mezzi che offre agli allievi in formazione, ma anche per la capacità di scegliere in modo rigoroso i militari migliori. Rimane, tuttavia, il bisogno di una visione strategica più ampia, di un grande progetto per la formazione di una nuova generazione di dirigenti, che sia orgogliosa del proprio ruolo e consapevole del servizio che rende alla comunità. Jacques Attali in un libro pubblicato quest'anno (Chemin. de sagesse, Fayard) per spiegare lo sviluppo e la complessità del mondo in cui viviamo, dopo la saturazione del moderno, e per spiegare il dramma dell'uomo contemporaneo, suggerisce di abbandonare la figura di Cartesio, la fTeccia vettoriale che avanza impavida nella foresta, e di far ricorso invece a]]a figura del labirinto. Il viaggiatore di questo labirinto, prosegue Attali, avanzerà quando crederà di arretrare; si perderà quando crederà di essere giunto al traguardo, due punti che gli sembreranno lontani saranno in realtà vicinissimi e viceversa. Sul pavimento della cattedrale di Chartres, costruita nel XIII secolo, la difficoltà
dell'uomo di raggiungere Dio, lo scopo ultimo della sua vita, secondo la teologia. dell'epoca, è raffigurata attraverso un grande labirinto. La stessa figura per simboleggiare la stessa difficoltà si ritrova in altre trenta chiese della stessa epoca italiane, francesi e. inglesi. È singolare che sette secoli dopo si possa ricorrere alla stessa figura, poi scomparsa dalla simbologia ricorrente, per rappresentare le difficoltà dell'uomo nell'affTontare la storia del suo tempo, nel cercare un senso alla vita del mondo in cui egli stesso vive. In realtà, la questione posta dai teologi del XIII secolo non è molto diversa da quella posta dai filosofi del XX secolo. Gli uni e gli altri si pongono la questione del significato della vita dell'uomo e, avendo meno fiducia nelle capacità della ragione rispetto a quante ne aveva Cartesio, rappresentano a distanza di sette secoli lo stesso problema con la stessa figura. In pieno medjo evo, il filo per orientarsi in quel labirinto era rappresentato dalla fede. Qual è il filo che aiuta ad orientarsi nel labirinto laico dei nostri tempi? In un mondo come quello attuale dominato dalla velocità, dalla interdipendenza, dagli intrecci più complessi, dove gli sviluppi della scienza pongono via via interrogativi sempre più drammatici, che si sostanziano nel capire che non tutto quello che si può tecnicamente fare si può eticamente fare, come si trova il filo della ragione, della gerarchja dei valori, del bene e del male se si può ancora usare questa anti-
Torino, palazzo dell'Arsenale sede della Scuola di Applica zione.
ca e difficile dicotomia? U disperdersi tra le merci e i messaggi, la relatività globale per cui tutto è uguale a tutto, il trionfo della moda e quindi del trans itorio: tutto ciò è una soluzione o una illusione? E tutto questo relativismo non può far emerger e con la prepotenza di sempre gli egoismi dei forti? Ma allora come le classi dirigenti recuperano un ordine non tradizionale, moderno, appunto, ma di un moderno che non sia già saturo e quindi che si esprima su valori e non su tecniche? Le classi dirigenti devono oggi guidare nel labirinto, ripercorrere il mito di Teseo,
devono sconfiggere il Minotauro della violenza, della irrazionalità del relativismo e dell'incertezza. Per questo obbiettivo devono uscire dai loro palazzi ed entrare nel labirinto della società contemporanea. Ma non c'è nessuna Arianna pronta ad aiutarle o, forse. ce ne sono troppe e non tutte sono sincere. Ma la società italiana ce la può fare. La società italiana ha una sua formidabile vitalità, che ci ha consentito di d iven ta r e la quinta o sesta potenza del mondo. Che ci ha consentito di superare fasi che avrebbero schiacciato qualunque altro Paese, da l terrorismo, alle stragi mafiese, all'inflazione. Questa vitalità va assecondata, orientata, sviluppata. Alla base, come radice ed
ala di una nuova fase della vita politica, ci deve essere l'etica della responsabilità, la coerenza, come ho cercato di dire all'inizio, tra doveri, poteri e comportamenti di ciascuno, amministratore o politico o comune cittadino. Anche del comune cittadino, perché la società civile ha una sua quota di responsabilità per le degenerazioni che s i sono verificate nel nostro Paese, perché non ci può essere vero rinnovamento senza un coinvolgimento dei cittadini e perché la linea di marcia di un Paese può essere definita solo da alcuni grandi valori morali sostenuti dall'azione politica e condivisi attivamente dalla maggioranza dei cittadini. On. Dott. Luciano Violante
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LA FORZA, IL QIRITTO, LA PIETA l bin?mio forza-diritto è lo la forza regolava i rapporti, contmuamente esposto già all'interno delle singole coal rischio di contrasti munità dove pure i legami di spesso insanabili. · sangue e la comunanza di inChe la forza crei il diritto, teressi potevano addolcire l'acome fu sostenuto in passato sprezza dei contrasti, crescenda qualche filosofo in vena d i ti con l'aumentare degli indiparadossi, nessuno, penso, vidui e dei gruppi che ne faceoserebbe oggi affermarlo su l vano parte. A maggior ragione piano teorico. Nessuno ose- ciò valeva nei rapporti fra le rebbe affe•·mare apertamente diverse comunità che andavache in rea ltà il diritto - non no a mano a mano organiznel senso di diritto «positi - zandosi e moltiplicandosi, ora vo», fatto di cod ici, leggi, de- affron La ndosi, ora un endosi creti, circolari e documenti per esser più for li contro gli del genere, ma dei princìpi di altri. Ma gradatamente, per gli giustizia che ne sono, o dovrebbero esserne le basi uomini, le cose incom inciaronon esiste, è una {ictio me11tis no a modificarsi, graz ie a e solo esiste o vale la forza. quella scintilla luminosa che Diversamente stanno le la Divinità ha come nascosta cose se dalla teoria si passa nell'involucro opaco di un coralla pratica. po che li accomuna agli altri L'umanità moderna si rico- membri della grande famiglia noscerebbe difficilmente in animale. quelle preistoriche e protostoL'autore de I Sepolcri rievoriche comunità che nelle fore- ca nel suo poema il «dì che ste dei vari Continenti com- nozze e tribunali ed are - diero battevano, non solo contro le all'umane belve esser pietose resistenze e le violenze di una di sé stesse e d'altrui». natura non ancora imbrigliaL asciamo stare quelle ta, o contro la ferocia delle uma11.e belve e se 11.ozze e tribelve, ma anche contro altre bunali ed are siano le cause o com unità, loro concorrenti non piuttosto le conseguenze nella lotta per la sopravviven- del progressivo cambiamento za e per la d eli mi tazione delle dei comportamenti dell'umarispettive aree di insediamen- nità: del passaggio, cioè, dal to. In quel tempo, dawero, so- dominio della legge della
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S.E.R. Cardinale Agostino Casaro/i.
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giungla al lento avvio verso quel sistema di costumi , di tradizioni, di norm e scritte che è andato costituendo nei secoli il corpus del diritto, interno e internazionale. Ma, quel che è più, il nostro poeta sembra limitare il movente e la finalità della rinuncia degli uomini a far nonna della loro convivenza esclusivamente al bisogno o al desiderio di risparmiare se stessi risparmiando gli altri. Un legittimo interesse (come un «non fare agli a ltri quel che non vuoi - anziché vorresti -che sia fatto a te»), valido senza dubbio, per spiegare la formazione e lo sviluppo del diritto nella società umana. Valido, ma non completo. Esso sembra dimenti care la ragione più profonda e più alta, allo stesso tempo, dell'affermarsi del diritto, in contrapposizione a lla forza, nella vita del genere umano: la consapevolezza, cioè, dell'esistenza di doveri di giustiz.ia, legati ad un a legge superiore - che quasi naturalmente gli uomini riferivano alla Divinità di fronte ai quali deve fermarsi rispettosamente anche la forza più potente. A tale superiore giustizia è necessario che si ispiri, o almeno non si contrapponga, il diritto positivo che ho sopra ricordato, se del diritto non vuoi accontentarsi di portare soltanto il nobile nome. Ed ecco un primo possibile contrasto fra forza e diritto, che da sempre accompagna il cammino dell'umanità. Troppo spesso, infatti, chi ha il potere - particolarmente quello tirannico, ma qualche 118
volta anche quello democratico - è portato a tradurre la sua volontà in strumenti giuridici che, da una parte, le diano una base «legale» e, dall'altra, le assicurino possibilmente una proiezione nel futuro (i tiranni, naturalmente, fanno anche qualche altra cosa ... ). Non si potrebbe affermare in modo assoluto che il fatto di far oggetto di una legge garantisca senz'altro l'armonia di una disposizione con i princìpi obiettivi del diritto c he molti chiamano e considerano «naturale». Ciò appare normalmente indiscutibile pet· molte leggi o altre disposizioni di regimi dittatoriali o totalitari. Più discutibile, o almeno assai più esposto a discussioni, quando si trattasse di disposizioni che abbiano avuto approvazione da una maggioranza parlamentare democraticamente eletta. Sarebbe lungo e superfluo entrare in particolari, riferìbili anche a ben noti casi recenti o contemporanei. In linea genera le, è da ritenere che una superiorità numerica non basti a garantire la giustezza di una disposizione di legge o di certe posizioni teoriche o pratiche. D'altra parte, il potere legislativo, politico o giudiziario, non è l'unica forza che può venire in contrasto con il diritto nel suo senso genuino sino a prevalere su di esso. Che dire dei molti altri poteri che, non per loro natura, ma per l'uso che se ne può fare, tendono e tanto spesso riescono ad imporsi apertamente od occultamente nella mente, neUc convinzioni, nei costumi dci popoli? Bambini, giovani, adulti ne so-
no beneficiari, ma possono anche diventarne vittime quando questi poteri esercitano il lorQ influsso incuranti o poco rispettosi delle esigenze della verità e della giustizia. In tal modo, essi deformano, anziché formare, un'opinione pubblica che pesa poi sui destini della società, anche se in maniera normalmente più lenta e quasi nascosta, lavorando neUe profondità del tessuto sociale. Non è il caso di dilungarsi troppo. Ciò non significa però voler attribuire a questi poteri un'importanza minore, nei confronti di altri che agiscono, determinandola, nella storia dell'umanità. Non minore - ed è questo il punto sul quale desidererei soffermarmi un momento, anche per l'ambiente militare cui ho l'onore di rivolgermi, - è l'influsso sulla storia di quella che è considerata la «forza» per eccellenza: la forza delle armi. Questa forza, per le proporzioni alle quali è andata quasi tumultuosamente arrivando a partire dall'ultima Grande Guerra, ha assunto l'aspetto di un vero e proprio incubo per la sopravvivenza stessa dell'uomo e per la sua civiltà. Lun go è stato il cammino dell'umanità nello sviluppare questa forza, parallelamente agli sviluppi in altri campi del suò sforzo per dominare e porre al proprio servizio le possibilità offerte dalla natura e le forze nascoste nel suo seno. A cominciare dai primi rudimentali aiuti cercati per accrescet-e le proprie personali capacità di attacco, con il ricorso a pietre o bastoni (ma non vorrei troppo sminuire l'efficacia di certi primitivi
strumenti, diciamo così, bellici pen ando alla fionda con la quale Davide prevalse contm il più armato e ben protetto Golia; ma erano altri tempi, c non si potrebbe molto insistere sul valore tattico, non certo strategico, delle pietre: ridotte ora prevalentemente ad armi della guerriglia urbana!). Il fen-o e il bronzo hanno poi per molti secoli fomitÒ all'uomo mezzi assai più forti, ma ancora limitati, di offesa c di difesa: fortunatamente, pcrch6 la voglia di usat·c i primi suppliva abbondantemente alla loro relativa insufficienza offensiva. Né tale voglia diminuì, parve anzi accresciuta dopo il salto di qualità introdotto dalla scoperta della polvere pirica, che contl'ibuì non poco al diffondersi di conflitti sanguinosi. Questi divennero poi sempre più sanguinosi, per lo sviluppo che conobbero progressivamente i mezzi dj attacco e di distruzione. Le punte anti-umanitarie così raggiunte spinset·o gli Stati a cercare qualche freno, almeno sul piano del dirittQ: ad esempio con le Convenzioni dell'Aja del J 899 e del 1907 e soprattutto con il ProtocoJJo di Ginevra del 1925 contro l'uso di gas asfissianti, venefici o di altro genere e di atmi batteriologiche. Ma la svolta veramente epocale sulla scena degli armamenti, come è ben noto, sopravvenne con la scopet·ta della possibilità di usare a scopi bell ici l'energia atomica. Impiegata per la ptima volta dagli Stati Uniti d'Ametica nell'agosto del 1945 ad Hiroshima e a agasaki, essa mise fine alla guerra contro il Giappone. Do-
po di allora non fu più usata co- suasione che rappresentava la me strumento di guerra, ma t-c- pur discussa c discutibile giustò come ombra minacciosa per sti6cazione della loro esistenza le orti dell'umanità e come og- e deJJe enormi spese sostenute, getlo di competizione fra le due da una par·te c dall'altra, per superpotenze vincitrici della costruirle c, per cosl dire, «perguen"a. Nel 1949l'Unione Sovie- fezionarlc)). D'altra parte però, tica aveva la sua prima bomba come fu osservato, l'arma nunucleare, rompendo il monopo- cleare, una volta inventata, lio degli Stati Uniti. Nel 1952 è non può più essere «disinvenprodotta la ptima bomba ame- tata>>. E questo costituirà certo ricana a fusione (o bomba H), uno dei più grossi problemi seguita nel 1953 da quella sovie- per la vita c la soprawivenza tica. E da allora è una corsa af- dell'uomo nel futuro, van ififannosa agli am1amenti, sia ato- cando quasi gli enorm i sforzi mici sia convenzionali: è stotia comp iuti dagli Stati Un iti e meglio conosciuta a voi che a · dall'Unione Sovietica, a partire eh i vi parla. dagli anni Sessanta, per trovaPer quel che r iguarda le re accordi sulla limitazione e armi nucleari, quasi tutti era- riduzione dci rispettivi ar·senati no - e sono - d'accordo che nuclerui. Sforzi tanto più lodeesse sono costruite, non pet· voli quanto più difficili, diretti usarle, ma per impedire che a diminuire con la for-L.a di un l'altra parte sia tentata di far- dititto consensuale i pericoli di lo. È il noto principio del la un confronto di forze incondeterrenza o del la dissuasio- t.rollato. Tutto questo fa sì che il dine: al quale qualcuno disse che b isognerebbe erigere un scorso del rapporto forza milimonumento. In realtà al- tare-diritto, che fu già oggetto l'«equilibrio del terrore)) si deiJo studio di teorici come il deve se nessuno dei due mon- Grazio nel l 600, o di tentativi di contrapposti dalla «guen·a di governi preoccupati per lo fredda», anche nei momenti sviluppo delle armi moderne, di maggior tensione (come a partire dal secolo XIX, debnella crisi dei missili sovietici ba oggi esser visto in una nuoa Cuba), osò varcare le soglie va prospettiva. di un confl itto armato. Quasi a coro namento del Sicché le armi atomiche, lungo e tormentato cammino per la loro evidente pericolo- percorso nei secoli dall'umasità per quelli stessi che inco- nità, questa, riunita nella Orgaminciassero a impiegarle, sono nizzazione delle Nazioni Unite, apparse in certo senso meno al termine del conflitto forse pericolose di altre pur terribil- più tragico della s u a storia, mente distruttive. Sono appat·- bandiva solennemente la guerse; ma lo sono ancora? Infatti ra quale mezzo per risolvere la relativa faci lità della lot·o co- even tuali future controversie struz ion e potrebbe doman i fra gli Stati. E nel cercare di tutelare il metterle in mano a chi potrebbe poi irresponsabilmente far- manten imento della pace inne uso: perciò esse verrebbero ternazionale, la Carta delle a perdere quel potere di dis- Nazioni Unite ha stabilito nor-
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mc e procedure, alle quali non sarebbe giusto negare il merito della serietà, anche se non sempre, purtroppo, i risultati co1-rispondono alle buone intenzioni dello statuto. Questo, però, pur nella ricerca di composizioni pacifiche per le possibili controversie, contempla, in caso estremo, la possibilità che il Consiglio di Sicurezza intraprenda, «Con for-;.e aeree, navali o terrestri, ogni a::.ione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza intemazionale» (art. 47). La parola «guerra» non appare, appena nascosta sotto l'espressione «altre operazioni» (oltre «dimostrazioui» e «blocchi»). La Carta dichiara poi che non vuole p1·egiudicare «il diritto naturale di autotutela ... nel cc1SO che abbia luogo un attacco armato contro w1 Membro delle Na::.ioni unite» (art. 51). È l'ipotesi della «guerra di difesa» c he, pw· fra qualche contestazione, è generalmente l'iconosciuta come una guerra, non solo «giusta», ma i n certo se nso quasi doverosa c inevitabil e. Intervento delle azioni Unite ed autodifesa si richiamano al medesimo principio: respingere un'aggressione che lede i diritti della parte aggredita e mette in pericolo la pace o la sicurezza intcrna:l.ionale. In entrambi i casi è chiaro da che parte stia il Dirillo. La questione si sposta, quindi, su lla forza c he deve sostenere le ragioni del Diritto; c qui possono presenta1·si diversi problemi, non solo di ordine politico-militare, ma anche- ed io non posso certo taccrnc l'importanza- di carattere etico. Non penso sia possibile 120
trattare esaurientemente, in questa sede, un argomento così complicato e difficile. Mi limiterò a toccare qualche aspetto essenziale che m i sembra meriti particolare attenzione e riflessione: soprattutto da parte di chi può avere, oggi o domani, una responsabilità di decisione. Sotto l'aspetto politico-militare, che solo sfioro non avendo alcuna speciale competenza in materia, si impone senza dubbio un serio bilancio sulla consistenza delle rispettive forze. Certo nessuno, nonostante il bilancio sfavorevole, oserebbe portare un giud iz io negativo su una Nazione che, aggredita da un avversario militarmente molto più forte, preferisca esser schiacciata con onore che soltrarsi ad un impari combattimento. Penso quasi naturalmente alla Polonia del l 939, aggredita dalla Germania hitleriana. (È vero che essa si sentiva ostenuta dalle forze della Franc ia e dell'Inghilterra che poi, con l'entrata in guerra degli Stati Uniti d'America al loro fianco , vinsero la sfida; ma quanto coraggio le ci vol le al principio!). Oggi, con l'impegno delle Nazjoni Unite a favore di uno dei suoi Membri (o anche di un non-Membro che ricorra ad esse; dì~ a11. 35,2) ingiustamente aggredito, la questione del rappol·to delle forze si presenta eli per sé in a ltra maniera. Ma, nella concretezza delle valie situazioni, le cose possono presentare grossi problemi (che dir·e della ipotesi estrema- puramente teol"ica, naturalmente! che l'aggrcs ore fosse una Po-
tenza in grado e con la volontà di affrontare, anche se non di superare, le forLe che le Nazio; ni Uni te riuscissero a mettere in campo? Quali distruzioni, e quante sofferenze ne sarebbero la conseguenza!). Sono solo domande, che non possono però essere trascurate e che, comunque, si imporrebbero al momento delJe decisioni. Es c ottolineano in ogni caso, in maniera drammatica, il dovere - che è anche obbligo altamente morale - di percon·ere sino all'estremo le vie indicate dalla Carta dell'O U o suggerite dalla saggezza politica pet· prevenh·e catastrofi che, anche se limitate terr-itorialmente, i mezzi moderni di guerra renderebbero (e, purtroppo, rendono) veramente di asn·ose. ella sua Enciclica Pacem in ten·is Giovanni XXIII scriveva che «riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere wili-;.::.ata come strumento di giustizia». Il Papa si riferiva a ll'ipotesi, o al pericolo, di una guerra con l'impiego dell'arma nuclea•·e. Ho già accennato a questo pcl'icolo che sembrava e speriamo continui ad c sere escluso daUa forza della <<dissuasione», ma che oggi non lo è forse tanto più sicuramente. Di fronte a simile anche lontano pericolo non l'Csta, mi sembra, che studiare tutli i modi possibili per prevenire il passaggio. La Chiesa Cattolica , nel Concilio Ecumenico Vaticano Il (costi tuzionc pastorale Caudiw11 et spes, n. 80), dichiara,•a: «Og11i auo di guerra che indiscriminatamenre mira
alla disrru;.ione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto co111ro Dio e contro la stessa umanità, da conda1111are COli {erme;.-::.a e sen-::.a esita-::.ione». Tutti compl·csero il riferimento all'uso di a1·mi nucleari; ma non sono esse gli unic i strumenti di distruzione di massa moralmente e gravemente inamll)issibili. Come resta moralmente e gravemente inammissibile il ricorso a quelle armi «partico larmente crudeli»(penosa espressione: ma così vengono chiamate!) che la comun ità civile ha cercato di esor·cizzare in varie Convenzioni, troppo spesso violate. Di fronte alle p1·ospettive di un conflitto moderno si comprende il grido del Papa Pio Xll nel suo Messaggio del 24 agosto 1939: «Nulla è perduto con la pace; tutto può esser perduto con la guerra». Grido che, nell'ipotesi di un conflitto atomico, dovrebbe esser modjficato tornando al testo che per il Papa aveva preparato l'allora Mons. Giovanni Battista Montini: «Tutto è perduto con la guerra». Purtroppo, mentre per conseJ'Va re la pace è necessaria l'intesa di tutte le parti interessate, basta talvolta la proterva volontà di una sola di esse per far scoppiare una guerra: di aggressione, da una parte, di difesa dall'altra. Tanto più necessario è moltiplicare sforzi e saggezza per un'opera efficace di prevenzione. Ricordando una frase, non di un politico o di un diplomatico, ma di un militare, iJ Generale Hoyt Vandenberg il quale, guardando ai possibili ca mpi di battaglia dei giorni nostri, affermava: «L'unica
guerra che si vince realmente è quella che non si incomincia» («The only 1var you really 1vin is the war that never starls» ). Vi f- sempre sta t o nelle guerre, e vi è oggi soprattutto, un aspetto che giuristi, militari e politici sono portati a tra sc urare, presi da altri aspetti, anch'essi molto importanti: ed è l'aspetto delle sofferenze che, ai nostri tempi più che mai, le guerre causano alle popolazioni ( «popolazioni civili», si dice abitualmente; ma io trovo ingiusto che si escludano così i combattenti, i quali generalmente sono sul campo di battaglia, non per una propria scelta pc1·sonale, ma per il compimento di un dovere). Oggi, fotografie dei Paesi vittime di guerre, c soprattutto la televisione, presentano a tutti scene di distruzioni e di sofferenze impressionanti. La Carta delle Nazioni Unite, nel suo freddo linguaggio burocratico, parla delle «indic ibili afflizioni» portate dalle due grandi guerre di questo secolo. Più abbondanti e più calde sono le espressioni della Chiesa, dei Papi in particolare, che ancor oggi deplorano ed esortano. Non è solo, quindi, il problema della giustizia o del Diritto, ma il senso della pietà che deve richiamare la nostra attenzione parlando di guerre: ed è bello e confortante vedere divise militari impegnate, non in opere di distruzione, ma di aiuto a popolazioni, famiglie, città sanguinosamente colpite ad opera di altre divise militari (o anche di nemici senza divisa). U dovere umano della pietà non può limitarsi a fasciare e a
curare ferite già inferte. t:umanità se nte sempre p ill la volontà, anzi il dovere, di prevenire il ripetersi di certe esplosioni collettive di odio- quale che ne sia la causa -, di ferocia, di mancanza di ogni rispetto per la dignità, la persona, la vita stessa d.i alb·i uomini. Vo lontà, dovere: ma in quale modo esercita rli ? Si è parlato talvolta, in questi ultimi tempi, di <<ingerenza umanitaria». Il Diri tto internazionale genera le, per la verità, non ha ancor·a definito "questo aspetto, che può tuttavia essere oggetto di Patti e di inte e particolari. In atto è anche l'intei'Vento del Tribunale I nternazionale di giust izia per l'esame e la punizione di cri mini contro l'umanità. Ma, mentre non sono ancora concretate le linee g iuridiche che pet·mettano di procedere con sicurezza in questo campo, specia lmente per even tuali ricorsi a misure di forza, resta forte l'esigenza e chiar·o il dovere della comunità internazionale di adoperarsi attivamente in tutti i modi consentiti -e non sono pochi - affinché nei rapporti fra i popoli sia rispettata, al di là del Diritto, la pietà. Nel lungo viaggio dell'umanità verso una piena c completa civiltà, è questa una tappa che essa deve percorrere e supc1·are, se vuole vedere assicurate, non solo la sua permanenza sulla terra, che la guerra moderna potrebbe mettere in pericolo, ma anche la dignità e la felicità a lle quali ha diritto e che le forze dell'odio von·ebbero distruggere. S.E.R. Cardinale Agostino Casaroli
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CHIUSURA DEL CONVEGNO ono lieto di portarvi il Al Comandante della saluto del Governo Scuola, Generale Orofino, al nella giornata che quadro permanente cd al conclude l'intenso dibattito ·personale tutto va un sinces ulla didattica militare e sul ro complimento per la loro profilo professiona le degli costante dedizio ne al lavoro Ufficiali del futuro. che mantiene alto il profilo Con particolari sentimen- dell ' I stituto e garantisce ti di gratitudine mi rivolgo a un'ottima formazione ai fuSua Eminenza Monsignor turi Ufficiali. Illustri ospiti, Signori UfCasaroli che con le Sue considerazioni di alto valore ficiali, la professione mi litamorale ci ha offerto interes- re, dopo i lunghi decenni del santi ed attualissimi spunti confronto ideo logico, oggi ritrova la sua giusta considi riOessione. Ringrazio il Presidente derazione nel panorama soViolante c he con la Sua pre- ciale e eu l turai e del Paese. senza ed il Suo contributo ha Le Forze Armate vengono testimoniato l'attenzione del- percepite pet· quello che dele Istituzioni al mondo milita- von o essere: uno strumento re ed alla formazione dei suoi necessario per la tutela della nostra sicurezza nazionale futuri Quadri dirigenti. Al Generale Incisa ed allo ed una componente insostiStato Maggiore dell'Esercito tuibile per il pieno successo va un sincero plauso per la dell e politiche di pace e di perfetta organizzazione del cooperazione che l'Italia deconvegno e per· la sensibilità mocrat ica sostiene nel condimostrata verso le temati- sesso internazionale. Caduto il confronto ideoche trattate. Al dottor Vespa ed a tutti logico, il lavoro dei mil itari i relatori delle passate gior- oggi trova pieno riconoscinate confermo la mia perso- mento da parte di tutti i cittanale stima ed iJ pieno ap- dini con atteggiamenti che fiprezzamento per i loro con- nalmente si avvicinano a tributi e per i loro suggeri- quelli di Paesi di più antica menti che non mancheranno tradizione statuale. Viene di essere tenuti in debita cioè visto come una professione di grande resp onsabiconsiderazione.
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On. Gianni Rivera, di Stato alla Difesa.
Sotcosegreta~io
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lità ed importanza che consente alla comunità nazionale - a tutta la comunità nazionale - di vivere in sicurezza, di vedere gm·antito il libero sviluppo della vita civile e delle attività economiche, di essere parte attiva nella costruzione della sicurezza internazionale e della pace. L'addestramen to all'uso disciplinato ed accorto della forza non costituisce, perciò, di per sé, una forma di violenza o di esaltazione della forza tout-court, come una catti va l ettura del1a realtà militare implicitamente afferma. Vi è, anzi, un valore morale nella professione militare perché, nell e moderne democrazie industrializzate, gli eserciti nazionali non sono strumenti per il confronto o per i l sostegno a politiche di potenza, come è stato nei secoli passati fino al secondo conflitt o mondiale. Anzi oggi gli eserciti naziona li costituiscono un pilastro a difesa del la libertà e della democrazia, si oppongono all'arbitrio della v iolenza indiscriminata e pongono la loro forza nell'a lveo d i una normativa giuridica che, via via, acquista un a valenza internaziona le di sempre pii:1 larga condivisione. Le Forze Ar·mate hanno davanti a loro una stagione di grandi mutamenti. Con la fine dei totalitar ism i s i è chiusa un'epoca, s ia dal lato politico-militare che cu ltu r·ale; ma sono a nc he sfumate, in pochi ann i, quel le aspetta tive verso i «dividcnd i della pace» maturate su124
bito dopo il crollo dei totalitarismi dell'Est. Il mondo appare, sì, liberato dall'olocausto nucleare, ma crescono la confusione ed il caos in molte regioni del pianeta . Crescono le conflittualità .l ocali ed i rischi di proliferazione di armi di dis truzion e di massa, anche rudimentali . La minaccia alla nostra sicurezza è mutata, s icuramente attenuata, ma non scomparsa. Non possiamo essere indi [ferenti alle con[littualità locali vuoi per la loro potenziale carica di instabilità, regionale e globale, vuoi per i drammi di intere popolazioni che spesso le accompagnano. Le missioni di pace oggi rappresentano la nuova lì·ontiera delle Forze At·mate, italiane e di altri Paesi. Rappresentano l'impegno più visibi le a favore della pace e della stabilità del pianeta e l'occasione in cui, sotto gli occhi spesso impietosi dei media, occorre dare concreto seguito a lle capacità d .i coord inamento . E, al contempo, costituiscono un impegno per gli eserciti e le diplomazie poiché l"ichiedono a uomini di diversa estrazione professionale, e di diversa nazionalità, di lavoral-e fianco a fianco per un comune obiettivo. Ma le missioni di pace non rappresentano l'un ico impegno per le Forze Armate nazionali. Resta il comp ito, principale, d .i difendere la sicurezza del Paese in un mondo che non è d iventato s icuro solo perché è finita la guerra fredda. Ed anche in questo
contesto solo il rafforzamento della cooperazione internazionale può consentire l'ottimizzazione delle risorse, consentendo lo sviluppo di nuovi, sofisticati s istemi d'arma oggi necessari per prevenit·e e contrastare ogni tipo di minaccia. La col laborazione interalleata all'interno dell'Alleanza Atlantica resta elemento fondamentale per la nostra sicurezza e per la sicurezza dell'intero Continente. Ma noi vogliamo anelare oltre e proseguire sulla strada del rafforzamentò della cooperazione militare europea anche a ll'interno dell'Alleanza stessa - con l'obiettivo di contribuire in modo concreto a llo sviluppo dell'Identità Europea di Sicurezza e Difesa e di disporre di strumenti adatti ad affrontare missioni di natura umanitaria e di gestione delle crisi. A corollario di quanto eletto in precedenza emet·ge la necessità di una sempre piLI avanzata integrazione interforze a livello nazional e. I nterforze sono, nella quasi totalità dei casi, i raggruppamenti interalleati e multinazionali nei quali siamo stati chiamati ad inserirci . Interforze deve essere la nostra cultura militare, la nÒstra capacità di coord inarci, di organizzarci, direi a del i1·i llura di pensare. È con questo spirito che guardo al disegno di legge per la Riforma dei Vertici e spero che il Padamento saprà interpretare l'urgenza di condurre in porto i l comp lessivo ammodernamento delle Forze Armate, di cui
Entrare all'Accademia Militare di Modena signi{ìca vivere 1111'esperienza esalta11te.
questo prov,·edimcnto rappresenta uno dci tasselli centrali. In un mondo che cambia, illustri ospiti, signori Ufficiali , anche il pronto dci Quadri militari è destinato ad ev_olver i e ad ammoder·narsi, come ben messo in luce nelle due giornate passate. Come prima cosa ritengo che si debba favorire in ogni modo la crescita tecnologica delle Forze Armate e quindi del loro patrimonio umano, ad iniziar e dagli Ufficiali. Il campo di battaglia è oggi coperto da una plurali tà di sensori c le informazioni di ogni fonte c natura s i integrano e si diffondono grazie a sistemi informatici sempre più avanzati ed affidabili. Chi non sta al passo con questa rivoluzione esce dal novero dei Paesi g uida dell'Occidente; ma il rischio - dirò di più - è che nessuna azione di media grandezza abbia l!'! capacità per essere autosufficiente nell'industria deJJa Difesa e quindi nello sv iluppo di adeguati sistemi di comunicazione e controllo del campo di battaglia. Fr·a Europa e Stati Uniti sta poi matw·ando un gap tecnologico, pur se gli investimenti europei nella Difesa sono, in definitiva, ben il 60% di quelli americani: quindi cosa non da poco. Ma la forte «nazionalizzazione» di questi investimenti fa sì che l'efficacia glo bale degli stru menti militari europei non equival-
ga al 60% di quella statunitense, ma a molto meno. E nell'arco di un decennio, o poco più, è legittimo pensare c he il divario potrebbe crescere fino a compromettere l'interoperabilità fra forze europee e statuniten i. E se vogliamo allora avere eserciti di alto profilo e rendere minime le possibilità di perdite di vite umane i n qualunque missione, la via è solo quella della crescita qualitativa delle forze alla cui base vi è certezza di investimenti e sempre più salda cooperazione internazionale. E vi è la qualificazione del personale. Il crescente impegno a tutela della pace in scenari diversificati richiede agli Ufficiali anche un nuovo tipo di prepar-azione che nelle giornate precedenti i relatori non hanno mancato di illustrare. Parlare di antropologia culturale e di scienze politiche nell'ambito della didattica militare è oggi quantomai. opportuno. La conoscenza delle r·ealtà
locali, delle problematiche interctniche, delle dinamiche regionali di natura economica, culturale ed amb ie ntale è uti le- c talvolta basilare- per un fecondo risultato. ln Somalia i nostri sforzi per riuscire ad avvicinare le etnie erano basati sulla conoscenza degli uomini, delle loro concezion i della vita e della politica c non sull'imposiz ione di un modello cultura le a loro estraneo. È poi importante che i Quadr·i Ufficiali posseggano la capacità di comprendere le dinamiche della diplomazia. Credo perciò, che un iter formativo apposito s ia di estrema utilità soprattutto se capace di far matur·are un intreccio di conoscenze persona li fr·a mondo militare e mondo della diplomazia, che sempre di più saran no destinati a lavorare insieme. In questo quadro la collabor·azione fra Scuole militari e mondo accademico assume particolare rilevanza. L'Università italiana ha tante aree di eccell enza per
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quello che riguarda la ricerca scientifica e tecnologica così come nel settore delle scienze sociali e politiche; con ricercatori preparati e con fecondi rapporti con i più prestigiosi istituti mondiali. La didattica militare, allora, non può che trovare grande giovamento da più stretti legami con il mondo della ricerca, veramente essenziali per garantire quel necessario, cos tante innalzamcnto del sapere di tutto il personale, Ufficiali in testa. Illustri osp iti , s ignori Ufficiali, il profilo professionale dei futuri Quadri dirigenti dell'Esercito deve infine arricchi1·si di sempre maggiol'i capacità nella ges ti one del personale. Nel futuro, infatt i , l'elemento umano non sa1·à piLJ «numeroso e a buon mercato» - se mi perdonate l'espressionecome negli anni o nei decenni passati. Il volontariato può tmvare piena gratificazione in un contesto caratterizzato da alta efficienza operativa, pena una demotivazione dei. giova ni ed una scarsa presa di questa oppor tunit à nel corpo sociale. Certo, le motivazioni econom iche saranno sempre prevalenti ma vi sono anche aspettative verso l'Istituzione militare, la sua serietà c le capacità dei suoi Comandanti, che non vanno deluse. Nella leva, infine, vi sarà un a componente di scelta volon t aria che non potrà più essere trascurata. Chi sceglie la via del servizio militare c non del suvizio 126
civile ha il diritto di vedere, anche lui, confermate le proprie aspettative e, alla fine, valutare che i dieci mesi dati alla Patria non sono stati sprecati. I:Ufficiale, allora, nel suo profilo professionale, dovrà addirittura rafforzare le sue capacità di «Comandante», i n grado di governare e motivare i suoi uomini in qualunque tipo di missione. In definitiva l'Ufficiale del futuro sarà chiamato a coniugare tutti gli aspetti propri del militare, ad iniziare dall'arte del comando, con le altre conoscenze necessarie per le particolari contingenze operative. Non sarà un diplomatico, non sarà un tecnico od uno scienziato, non sarà un accademico. Sarà un militare capace di lavorare con i diplomatici, capace di utilizzare al meglio la tecnologia e la scienza, capace di comprendere, su larga scala, le problematiche politiche, geopolitiche, antropologiche e cui turali. L'Ufficiale dovrà essere tutto questo: penso che qui stia il bello del mestiere che tanti giovani scelgono ogni anno entrando con entusiasmo nelle Accademie militari. Ed essere Ufficiale vuole infine dire - tanto per parafrasare uno dei nostri più grandi attori di teatro - che «gli esa mi n o n finiscono mai ». Perché la formaz ione dell'Ufficiale sarà continua e le recenti r i forme delle Scuole di Guerra e la ct·cazione dell'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interfor-
ze, a Palazzo Salviati, testi moniano che tutto il percorso della vita militare sarà un alternarsi fra momenti operativi e periodi di approfondimento professionale spesso svolti in stretto contatto con il mondo accadem ico e della ricerca. Eminenza Monsignor Casaroli, Presidente Violante, Generale Incisa, illustri ospiti e relatori, signori Ufficiali, oggi la Scuola di Applicazione di Torino avvia un nuovo Anno Accademico. Ag~i Ufficiali frequentator i rivolgo l'invifo al massimo impegno negli studi, certo che ognuno di loro è ben consapevole del ruolo che andr·à ad assumere e delle responsabilità di cui si troverà investito. el corso dei decenni questa Scuola si è sempre rivelata all'altezza dei propri compiti. In questo Istituto ora si farà tesoro delle riflessioni, delle proposte, deJie critiche c degli stimoli matut·ati in questi giorni. La didattica militare si dimostrerà certamente capace di definire nuovi profili di studio, d i migliorare i propri corsi, di modernizzare schemi e metodologie d1 insegnamento. In definitiva si dimos trerà capace di assolvere ai propri compiti mer·itando per questo il plauso sincero di tutta la Nazione. Ed è con questa certezza che dichiaro aperto l'Anno Accad cm ico 1996-1997 della Scuola di Applicazione delI'Escrci lo. On. Gianni Rivera
INDICE
Apertura del Convegno
6
(Roberto Altina)
Prima sessione. Università e Forze Armate italiane (secoli XVIII-XX) Gli stabilimenti militari di Torino nell'età della Restaurazione e del Risorgimento
1O
(Fabio Degli Esposti) Ercole Ricotti e il primo insegnamento universitario di storia militare
18
(Gian Paolo Romagnani) Medicina e militari. I.:Università castrense di Padova nella grande guerra
26
(Giuliano Lenci) Scienziati dell'Università e sfm-lo bellico nelle due guerre mondiali
32
(Andrea Curami)
Seconda sessione. Preparazione culturale c professionale degli Ufficiali del 2000 I.:Ufficiale del 2000. Il profilo
38
(Roberto Altina) Le scienze politiche nella carriera militare
43
(Gian Mario Bravo) Le esperienze del peace-keeping ed il ruolo dell'antropologia culturale (Alberto Antoniotto) Gli studi politico-strategici. U perché di un nuovo indirizzo
48
53
(Luigi Bonanate) I.:Ufficiale inferiore
(Giuseppe Orofino)
57
:LUfficiale superiore (Alberto Ficuciello)
66
D dirigente interforze. Divagazioni sul tema della formazione militare (Carlo Jea11)
72
Tecniche e tecnologie didattiche per la formazione militare (Giuliano Ferrari)
80
:Lapprendi mento nell'Esercito (Luciano Benadusi)
89
Verso l'apprendimento organizzativo (Giuditta Alessandrini)
93
Terza sessione. Conclusioni La formazione militare e il Nuovo Modello di Difesa (Bonifazio Incisa di Camerana)
100
La comunicazione nella formazione dell'Ufficiale (Bruno Vespa)
106
La formazione della classe dirigente: un problema italiano (Lucia110 Violante)
110
La fOl-La, il diritto, la pietĂ (Agostino Casaroli)
11 6
Chiusura del Convegno (Gianni Rivera)
122
Fi mto do ' tampan: nel mc'<! di rcbbruio 1997 STILGRAFICA S r l â&#x20AC;˘ ROMA . Tol 06/43588200