1800
Massimo O/doni
se non bastasse, arrivano i ravioli fritti: « Se tu voy fare rafioli friti per XII persone toy tre libre de lonza de porco è due caci freschi, e toy venti ova, tre once de uva passa, alquante cime de petrosemolo, quatro onze de zuchero. Fay un trito e un battuto e fane rafioli picoli e sotili e mitili a sofrizere nell'unto; quando sono sofriti polverizage del zuchero»;
GIANNINA PASTORINO
Il Nobile Collegio Caccia
infine, il dolce: le «fritelle magnifiche da imperatore»: «Toy la chiara de l'ova _e fete de fromazo frescq, batile cum la chiara. de l'ova, mitige un poco de farina e pignoli mondi. Toy la padela cum assay de unto, falo bolire e fay le fritelle. Quando son cocte, polverizale cum zuchero». I
I Regimina sanitatis si sono mutati nella crapula della gola fino al malessere da golosità. Forse il Medioevo stesso è diventato un'altra cosa, quasi finito con l'arrivo di questi piatti e questi sapori sulla mensa dove forse nemmeno più si prega, prima. L'utopia dell'uomo sano e moderato nei suoi regimi alimentari è cambiata in una realtà ipercalorica e colesterosa tipica del mercante; alla tavola preparata frugalmente in campagna s'è sostituito, con il trascorrere delle stagioni e degli anni, il rito del festino, la gozzoviglia che già prelude alla satira- delle feste dei folli. Molti secoli ancora per arrivare ad oggi, a giorni in cui abbiamo scoperto che dieta mediterranea e misura nel bere e nel mangiare convengono a tutti. Quasi un antico messaggio di semplicità arrivato fino a noi dai Regimina sanitatis medievali. Le corti dei signori, i palazzi delle feste hanno cambiato abitudini e anche i potenti d'oggi hanno capito che occorre mangiare poco e naturale, passeggiare parecchio, praticare Venere secondo l'età, muoversi all'aria aperta. La lezione dei Regimina sanitatis sembra aver partita vinta nel tempo contro tutti gli eccessi della ricchezza, della lussuria, delia gola. Ma .qui, si sa, nel degrado ambientale che riguarda il tempo nostro e non quello medievale, ha inizio una nuova fase, più amara e difficile della stessa utopia della salute venuta. da secoli lontani eppure ancora intatta.
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1. - Il conte Giovanni Francesco Caccia, con testamento del 30 agosto
1616' stabiliva doversi destinare tutti i suoi beni alla erezione di un . coll~gio in Pavia, quando fosse stata estinta la propria discendenza diretta .. Con due posteriori codicilli prevedeva anche le tavole di fondazione del Collegio e le poche regole essenziali che ne guidarono l'attività 1• Quando, nel 1670, morì l'ultimo suo figlio naturale, Gerolamo, senza discendenti maschi, quattro dottori (avvocati) nominati dal proprio Collegio, presero in mano le sorti dell'eredi~à. Ottennero in ~reve tempo dal Senato di Milano l'assenso aH'erez10ne del Colleg10 ed acquistarono a Pavia la casa Malaspina, già dimora di una nobile famiglia, per destinarla a sede del Collegio. Ma l'effettiva apertura del Collegio agli studenti ~vvenne solo nel 1719, con i primi sei allievi. Pure a quell'anno risalgono i primi regolamenti interni per gli allievi. Il Collegio doveva favorire gli studi universitari di giurisprudenza e medicina e quindi mantenere, in numero proporzionato alle sostanze, giovani che in primo luogo dovevano essere .scelti fra quelli della famiglia Caccia e poi fra quelli delle altre famiglie nobili dell~ città di Novara in ultimo fra i giovani nativi delle terre del Contado di Novara. Con '1a prima anti:essione del Novarese ai domini sabaudi (1738) il Collegio mantenne la sua sede all'estero, in Pavia, e ivi restò fino alla Restaurazione. I beni costituenti la fondazione erano situati nel Novarese ed a Novara pure si provvedeva alla. loro amministrazione. Solo la direzione del Collegio era affidata a .un rettore che risiedeva a Pavia. 1 Notizie sulla storia del collegio in Il Nobile Collegio Caccia e la formazione del ceto dirigente novarese, Novara 1991,... Gli atti istitutivi del collegio si trovano in Testamento e codicillo del conte Giovanni Francesco Caccia, giureconsulto novarese, a cura di L. BAZZABI - A. TADINI - B. BussER, Novara 1902.
1802
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Giannina P astorino
Il Nobile Collegio Caccia
Ma con patenti 14 gen. 1820 il Collegio fu trasferito a Torino, dove ebbe sede in un altro palazzo signorile, quello dei conti Capera di Salasco. Qua furono accolti anche studenti di belle arti che poterono frequentare l'Accademia torinese, che poi sarà chiamata Albertina; e si aprì la possibilità per gli studenti più meritevoli di un soggiorno a Roma per perfezionarsi. Artisti famosi quali Alessandro Antonelli e Daniele Ranzoni studiarono a spese del Collegio Caccia. Gli amministratori del Collegio dovevano, secondo le tavole di fondazione, essere nominati dal Collegio dei dottori di Novara; quando esso scomparve in seguito all'incorporazione del Novarese al regno di Sardegna, gli amministratori furono scelti dapprima con il metodo della cooptazione e poi dal Comune di Novara, secondo lo statuto organico adotta,to il 15 agosto 1863 ed approvato con regio decreto del successivo 3 settembre. Ogg1 il Collegio Caccia si limita a distribuire borse di studio.
e somministrazioni di cucina straordinarie», 1800-1801 ed un frammento di registro per gli anni 1801-1802. Essenziale per comprendere il regime alimentare di questo singolare gruppo sociale, gli studenti nobili di un collegio, è un documento,. non datato, ma collocabile intorno al 1719, anno di apertura del Collegio. Si tratta dei «capitoli da concertarsi e stabilirsi fra li signori amministratori del venerando Collegio Caccia di Pavia et li signori rettori del medemmo Collegio per la manutenzione della cibaria et servitù alli collegiali studenti» (b. 83). Lo si trascrive per la parte relativa alla dieta:
2. - L'archivio comprende documentazione dalle origini al 1950 in 366 cartelle. Comprende pure atti anteriori relativi alla famiglia del fondatore. L'archivio fu ordinato nel 1857 con uria struttura a categorie aperte. In questo dopoguerra andò in gran parte scompaginato. Secondo l'ordinamento del 1857 esso era articolato in 16 categorie: Araldica; Fondazione e erezione; Legati; Collegio e convitto; Amministrazione gentilizia; Privilegi; Tenimento di Panzana e Risciolo; Tenimento della Prealba; Tenimento della Motta; Tenimento di Monticello; Tenimento di_ Tornaco; Case; Stabili; Patrimonio; Contabilità varie; Miscellanea 2. Si è limitato l'esame alle serie che si ritenevano contenere documenti interessanti per la storia dell'alimentazione. Trl:1- essi spiccano i Libri di cucina, _in serie continua dal 1859 al 1871 (b. 78). Annotano p~r ogni giorno dell'anno scolastico il numero dei commensali ed il cibo somministrato a pranzo e a cena. Si riporta un esempio relativo al 31 dicembre 1859: commensali n. 11 ; pranzo: minestra, pasta asciutta, anguille con polenta fritta, carni al forno con frittata, crema alla cioccolata con biscottini. Per gli anni precedenti troviamo il «libro di cucina, spesa di piazza, vivande giornaliere, numero dei commensali
;1
«Nei giorni di grasso il signor Rettore in tutte le settimane, cioè al giovedì et domenica, darà un antipasto competente di fegato e lachietto di vitello alla mattina, minestra, due pietanze quali saranno bollito di vitello e rosto a"lternativamente, cioè o polastri a suo tempo, o stuffato pure di vitello, o caponi, e per dopo pasto formaggio o frutta, et al tempo de spargi, questi si daranno invece della· frutta. Nelli altri giorni grassi della settimana invece del fegato e lacchietto per antipasto dovrà essere salame o salciccia; a' suoi tempi, per il rimanente come sopra. Nei giorni di digiuno fuori Quaresima, si darà un antipasto alla mattina, minestra, due pietanze di pesce, cioè una di pasta di Genova, o altro, mine.stra, due pietanze, cioè una di pesce fresco buono e l'altra d'altra qualità. Alla sera formaggio, _insalata e frutta come sopra. Alla Quaresima si darà alla mattina un antipasto, minestra, due pietanze di pesce fresco, o pure una di pesce fresco et l'altra di salume buono, con il dopo pasto, il che si praticherà anche alla sera delle domeniche in detto tempo di Quaresima. Alla sera poi fuori delle domeniche, insalata, amandole et fichi sechi o pure pignoli . o uva passa volgarmente addimandata zibebbo. Pane e vino alli pasti quanto li bisogna, a riserva delli giorni di digiuno. Alla mattina il primo bicchiere sarà di vino bianco in tutti i tempi, il rimanente rosso · e alla se'ra tutto rosso. Non si darà collazione, né merenda. Dal giorno di S. Cuore sino alla fine della terzaria di S. Giovanni Battista, si darà al dopo pranzo un bicchiero di vino bianco fresco».
Utile per comprendere il regime alimentare del Collegio l'elenco delle suppellettili trovate in cucina, dispensa e cantine, redatto nel 1757, in occasione della nomina di un nuovo rettore (b. 22); lo si riporta in piccola parte: .
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Il fondo è conservato nel!' Archivio di Stato di Novara. Notizie su di esso. iij G. SILENGO, Osservazioni sull'archivio del Collegio Caccia,in Il Nobile Collegio Caccia ... cit., pp. 99-108.
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«( ... ) n. 100 tondini di stagno; n. 4 fiamenghine piccole di stagno; n: 8 fiamenghine mezzane di stagno; n. 8 piatti da capone di stagno; n. 2 suppere stragrandi di stagno; n. 4 sottocoppe senza piede di stagno; una caffettiera di stagno fino
1804
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Giannina Pastorino
Il Nobile Collegio Caccia
ottagonale di peso libre 4; un ramone da cucina di rame di peso libre 9 e m~zza; due cazzarole grandi di rame con manico di ferro di peso libre 13; due · tortere grandi di peso libbre 11 e mezza; una padella di rame grande di peso libre 3; una cazzarola per gli ovì da sei di rame con manico e piedi di ferro di peso libre 4; un pairolo grande di rame di peso libre 13; una marmita con suo coperto di rame di peso libre 14 e mezza; due pignattine di rame di peso libre due e. mezza, con suoi coperti di ferro; n. 20 bicchieri da vino di cristallo con il piede; n. 27 altri bicchieri con piede di cristallo per il vino forastiere; n. 23 altri di cristallo con piede per il rosoglio; n. 24 tazzini e suoi tondini di maiolica fina per il caffè; due zuccarere di maiolica fina; una mezzena di lardo; n. 52 tra salami di testa e bondiole; n. 5 file di salami crudi; n. 4 lingue salate; n. 4 fiasconi d1 vetro pieni di vino».
mo anche un documento davvero singolare, che elenca i cibi acquistati il 26 maggio 1796 per il pranzo del generale Bonaparte, dopo la conquista di Pavia. Segnaliamo pertanto alcune delle liste esaminate:
Notizie per la storia dell'alimentazione si trovano pure nella serie dei libri della con.,tabilità dei rettori (debito~credito). Si sono individuati sette registri che contengono, fra le altre, annotazioni di spese per cibarie, con quantità e prezzi. Il più antico di essi ricopre gli anni 1736-1741 (b. 120), ed è relativo alla contabilità del rettore Francesto Antonio Vandoni. Esempi: a carta 2 è annotata la spesa per il 24 novembre 1736; fra le altre vi si legge: « anguille marinate, fidelini, asprella e pomi, peri, vitello, fruttura, peppe, canella e gar~foli, capponi, limone e insalata». A carta 14, per il giorno 5 giugno 1737, «manzo e vitello, robiolini, formaggio, tonne, cinameno, capari, acetto, limoni, riso, amandole, pasta, marene, magiostre, frutta, uccelli». A carta 21 sono annotate molte spese per il vino e anche quelle per «due bottiglie di vino per il giorno delle laurea». Un secondo registro ricopre gli anni 1757-1786 (b. 119). Seguono diverse altre annotazioni per gli anni 1808-1830, contenute in 5 registri (bb: 164-166). Notizie utili si trovano pure nei Libri dei conti (scosso e speso) dei tesorieri, 1721-1737 e 1759-1765 (bb. 108 e 120). Nel libro dei conti per l'anno 1724, ad esempio, sono annotati i debiti del tesoriere verso il Collegio per aver venduto grani, riso bianco, frumento, noci e segale (ricavati dalle possessioni del Collegio). Nel libro dei conti per gli anni 1761-1765 è invece annotata a c. 36 la somma pagata all'«ofellaro per n. 12 donzine biscotini con sua scatola, mandatili a Pavia per il pranzo delli adottoramenti» (b. 120). Una serie interessante, con molti dati curiosi, è quella delle pezze giustificative, di cui sono pervenuti numerosi pacchi datati dal 1647. Troviamo in queste carte sciolte testimonianze molteplici sui generi alimentari acquistati per il vettovagliamento degli studenti, del rettore e degli inservienti e liste di pranzi per ricorrenze particolari. E travia-
a) Liste di cibi.
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Carne: la lista 13 aprile 1748 delle somme spese dal tesoriere Tommaso Varese riguarda l'acquisto di agnelli, di cui si indicano peso e prezzo (b. 102). Vino: lista del vino somministrato da un fornitore al Collegio dall'ottobre 1784 all'aprile l786: distingue tra vino bianço malvasia, vino da tavola, vino per la famiglia, vino rosso fioreto dolce, vino bianco fioreto, vino grosso rosso (b. 124); lista del vino somministrato da Giuseppe Maria Tonna ad uso dégli alunni e servienti, dal novembre 1794 al maggio 1795: dà la quantità, in brente, e il costo del vino bianco acquistato, una sola voce registra invece l'acquisto di aceto (b. 119). Olio: lista dell'olio fornito al Collegio di Pavia dal novembre 1784 al febbraio 1786: distingue tra olio olivo da friggere con «benediga», olio grosso e olio fino con benediga, olio di Nizza, olio mezzo fino, olio mezzo grosso, olio di noce: dà le quantità ·ed il prezzo (b. 124). Frutta: libretto della frutta somministrata a Pavia al Collegio dal dicembre 1784 all'aprile 1786: annota soprattutto castagne e mele, «frutta per la tavola»; solo una volta compare la dizione «pomi per cucina»: dà quantità e costi (b. 124). Pane: libretto del pane somministrato al Collegio dal giugno 1785 al giugno 1786 (b. 126). b) Liste di forniwri.
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Fondachiere: lista del fondachiere per fornitura di zucchero e droghe, 1785: registra zucchero bianco di Lisbona, zucchero fiorente di Francia, canella fina, vaniglia fina (b. 124); lista 30 giugno 1794, che· annota fra le altre spese per caffè martinica e per zucchero (b. 119); lista delle forniture dello zucchero, caffè, cioccolata dal novembre 1800 al giugno 1801, con l'indicaz1one delle quantità e dei prezzi (b. 126). Pizzicagnolo: libretto delle spese giornaliere fatte dal pizzicagnolo, dal dicembre 1800 al giugno 1801: compaiono spese per salzizza, lardo, cervelato, formaggio stravecchio, budrro, merluzzo, zampino cotto, olio grosso, salame crudo (b. 126). ·
1807
Giannina P astorino
Il Nobile Collegio Caccia
Speziale: lista dei medicinali somministrati dallo speziale al direttore del Collegio Caccia nel gennaio 1800: vi si legge, fra l'altro, man_p.a di Calabria, decotto di China, acqua di canella (b. 126).
3. - Il Collegio si alimentava con i proventi di diverse tenute della bassa Novarese. Esiste nell'archivio documentazione sulle derrate prodotte nelle tenute, condotte in affittanza. Si tratta delle possessioni denominate Tornaco, Panzana, Rizzalo, Prealba, Motta e Monticello. La documentazione comprende registri e carte sciolte. Tra i primi meritano di .essere segnalati i Libri provinciali, ossia i conti generali del dare-avere dei fattori; sono strutturati ad anno. Fta l'altro, indicano anche le quantità ed il valore dei beni esistenti nei magazzini: Libri provinciali di Tornaco, 1819-1828, regg. 10 (b. 201 e 202); di Panzana e Rizzalo, 1819-37, regg. 18 (bb. 203-205); di· Prealba e Motta, 1824-1838, regg. 15 (bb. 206-209): annotazioni relative a bulla, pistino, riso bianco, capponi e pollastri, noci, vino, risone, meliga, miglio, fagioli, avena, ceci, sègale, frumento, ravettoni, fave, si rilevano, ad esempio, nel libro di Tornaco per l'a~no 1819. Ricordiamo anche i «libri giornali del fattore» di Panzana e Rizzalo, 1818-24 (b. 203), e di Tornaco, 1819-25 (bb. 201-202), nonché i registri di cassa del fattore di Panzana e Rizzalo, 1833-1864 (b. 205). Tra i documenti sciolti, segnaliamo gli stati dei magazzini delle possessioni Tornaco, Panzana, Rizzalo, Prealba e Motta, 1820-1831 (bb. 95 e 96): danno le quantità dei generi raccolti nelle diverse possessioni, la rimanenza di essi a una certa data, l'annotazione dell'avvenuta vendita col ricavo. Ricordiamo pure i «conti del raccolto» di Panzana, Rizzalo e Prealba, 1819-1832 (b. 95), nei quali le quantità sono indicate generalmente in sacchi. Nei conti del valore attribuito agli «appendizi» a carico delle possessioni di Panzana, Tornaco è Monticello, 1819-28 (b. 95) figurano indicazioni sulle varie qualità di appendizi, consistenti, ad esempio, per Tornaco in agnelli, formagge di sbrinzo, piccioni di colombaia, pollastri, maggenghi, anitre, riso schiuma e un animale porcino. Nell'inventario delle scorte vive e morte esistenti nelle possessioni di Panzana e Rizzalo, rilevato il 28 marzo 1828, figurano buoi, manze, vacche e cavalli (b. 95).
1806
c) Pranzi speciali di amministratori e funzionari. Lista 23 aprile 1680 delle spese sostenute da Gerolamo Caccia, amministratore del Collegio da erigersi a Pavia, «nell'andare, come nel stare e tornài:e dalla città di Milano»: annota costi di cene e banchetti (b. 100); lista del «vitto del rettore rientrato in collegio per farne seguire le riparazioni nei due mesi di ottobre e novembre 1800, cioè dal 1° ottobre sino all'8 dicembre 1800, giorno in cui si aprì la cucina del Collegio e il refettorio», datata Pavia 26 gennaio 1801: vi si legge, tra l'altro, che dall'1 dicembre sino all'8 dicembre 1800 il rettore si fèce servire giornalmente dall'Albergo Lombardia «d'una minestra, due pietanze per la mattina ed un'altra pietanza per la sera a conto del Collegio, convenùtò però ciascun pasto in lire 2 cadauno» (b. 126); «parcella delle spese fatte da Carlo Tarantola, d'ordine degli amministratori del Collegio Caccia, in occasione della riconsegna della possessione di Tornaco, per il mantenimento degli ingegneri, del delegato del. Collegio signor Varesi ed altre persone intervenute per la medesima, cioè estimatori degli edifizzi di campagna è scorte tanto vive che morte, agrimensore per la misura dei fieni, uqmini pratici per fare li buchi nel medesimo e altre persone di aiuto e vetturini, tanto a venire da Novara a Tornaco, che da Tornaco a Novara», dal 16 al 30 novembre 1818: annota spese per pane, spinaci, uova, anatre, pepe, caffè, olio, anguille e altro, in data 7 dicembre 1818 (b. 133); due fatture emesse dal Grand Hotel de Londres et d'Europe di Torino, datate 24 maggio 1820: annotano,· oltre alle spese per i pernottamenti, anche quelle per «café à la crème» consumati giornalmente dal tesoriere e dal rettore (b. 134). d) Il pranzo di Napoleone dopo la battaglia. Lista del cuoco per i pasti somministrati ai Francesi a Pavia il 25 e 26 maggio 1796: annotate spese per salame, zuchero, butiro, uova, vitello, olio, pane, formaggio, insalatta; c'è pure la lista delle spese per il pranzo del generale dopo il saccheggio di Pavia (b. 110) 3.
3
Sul documento cfr. Pane e potere. Istitt1zioni e società in Italia dal Jnedioevo a/J'età 111oder11a, a cura di V. FRANCO - A. LANCONELLI - M.A. QUESADA, Roma 1991, pp. 3 e 116-117.·
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L'Ospédale di S. Giuliano di Novara
GIANNINA PASTORINO
L'Ospedale di S. Giuliano di Novara
Non si ha notizia di quando fu istituito l'ospedale di S. Giuliano, ma dai documenti del suo archivio consta che esso fu amministrato fin dall'inizio del secolo XIII dal Paratico o Università dei calzolài, ai quali se ne deve presumibilmente la fondazione 1• L'Ospedale sfuggì alle concentrazioni di tempo in tempo previste 2 • Solo in età napoleonica, per un breve periodo (1810-1817), fu incorporato nell'Ospedale maggiore di Novara 3. L'amministrazione dell'ospedale di S. Giuliano rimase nelle mani della Corporazione dei calzolai fino alla seconda metà del '700 4• Col governo sabaudo, nel 1787, l'Ospedale ebbe il primo regolamento disdplinare; questo fu stabilito dal conte Antonio Maria Caccia di Romentino, che su incarico del sovrano aveva compiuto un'ispezione del pio luogo 5• Il regolamento venne in parte modificato dieci anni dopo dal reggente del Consiglio di giustizia di N avara; le modificazioni
1 Sulla Corporazione dei calzolai, A. VIGLIO, I Paratici novaresi e ii Paratico dei calzolai, in «Bollettino storico per la provincia di Novara», 1929, pp. 107-134. 2 Papa Sisto IV ne aveva previsto l'unione all'Ospedale di S. Michele (poi Ospedale maggiore della carità), con bolla 12 nov. 1492; Vittorio Amedeo III ne stabilì invano la sottoposizione alla Congregazione di carità (patenti 6 giu. 1769); durante la Repubblica cisalpina ne fu ordinata la concentrazione nella Commissione delle pie istituzioni (b. 211). 3 L'incorporazione fu stabilita con decreto 24 apr. 1809 del ministro dell'interno del regno d'Italia (lettera del prefetto del 'dipartimento dell'Agogna 30 apr. 1809, in b. 214), Lo scorporo fu stabilito con r. biglietto 2 sett. 1817, ibidem. 4 La corporazione nominava gli amministratori ·(reggenti), che governavano i beni dell'Ospedale, esigevano i crediti e potevano agire in _giudizio; tra i reggenti erano scelti i sindaci, col compito di rivedere i conti del tesoriere (atto n. I.15 per l'anno 1476, atto n. I.22 per il 1580, atto I.23 per il 1581, atto II.24 per il 1607, atto I.31 per il 1621). _ 5 L'incarico fu conferito con patenti 7 nov. 1786; il regolamento del 1787 è in copia in un volume contenente i principali atti normativi dal 1787 al 1848 (b. 215, cc. 50-6-4).
.(
1809
erano approvate .con patenti del 20 marzo 1798 da Carlo Emanuele IV; salvo ritocchi stabiliti in seguito dall'amministrazione con convocati, il regolamento restò in vita fino all'unità 6• L'amministrazione dell'Ospedale era affidata a cinque reggenti scelti nella classe dei calzolai, nativi di Novara o abitanti in città da almeno -dieci anni. Essi erano coadiuvati da un segretario, un tesoriere, un economo, ciascuno con funzioni determinate. Il reggente ael Consiglio di giustizia poteva assistere alle sedute dell'amministrazione; approvava la nomina degli amministratori, dell'economo e degli altri funzionari; sanzionava gli atti di maggior rilievo, come i pagamen~i anticipati e i mutui; annualmente dovevano essergli presentati i conti per l'approvazione; quando il Consiglio di giustizia fu soppresso, le sue prerogative passarono all'organo che gli subentrò, il Tribunale di prefettura 7 • I conti a partire dal 1820 furon~ sottoposti alla Congregazione di carità 8• L'ingerenza -governativa sùll'attività del luogo pio divenne ancor più incisiva con l'editto 24 dicembre 1836, con il quale Carlo Alberto dette una regolamentazione generale alle· opere pie 9 • Da ultimo va ricordata la prima legge organica sulle opere pie (1.. 3 ago. 1862, n. 753}, che dette una disciplina uniforme per tutto il territorio nazionale. In conseguenza di essa l'amministrazione dell'ospedale di S. Giuliano non restò più esclusiva per i soli calzolai; il nuovo regolamento organico, approvato con r.d. 28 giu. 1863, affidava infatti l'amministrazione dell'Ospedale a una commissione, compo~ta da un presidente di nomina governativa e da altri sei membri eletti dàl consiglio comunale di Novara; solo quattro di essi dovevano appartenere alla società dei calzolai, ed esser nativi della città o in essa abitanti da almeno dieci anni. Fin dai tempi più antichi nell'Ospedale venivano ricoverati infermi _ poveri, ai quali si somministravano «lenzuola, letti, pane e altro» 10; 6
Nella· citata b. 215, nel volume di memorie, a cc. 64-71. Con lettera- 26 clic. 1823 il senatore -a capo del Tribunale di prefettura informava di esser stato designato dal re a sovrintendere all'Ospedale, in sostituzione del senatore reggente il cessato Consiglio di giustizia (b. 215). 8 Cfr. lettera 20 apr. 1820 della Congregazione _generale di carità (b. 215). 9 L'editto dettava norme per la formazione dei bilanci, per i conti dei tesorieri ed altro ancora; all'autorità sovrana era riservata l'autorizzazione ad accettare eredità e donazioni.· IO Così in deposizioni del 1476 (atto n. I.15 e_ I.16). 7
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Giannina Pastorino
L'Ospedale di S. Giuliano di Novara
nell'Ospedale c'erano poi due camere destinate a predicàtori e religiosi itineranti 11 • Nel 1434 figurano affidati in consegna alla cùst9de, tra l'altro, 24 letti con lenzuola e materassi 12• A fine '700 la dotazione era di 14 letti per le donne e di 4 per gli uomini 13 • I malati ricovera bili non dovevano essere infettivi; solo in casi eccezionali l'Ospedale poteva accogliere «figlie state rese incinte, per far loro scansare l'onta del loto mancamento ( ... ) trattenute fino a che ebbero partorito e rimesse dal puerperio». Il· regolamento organico. del 1863 cbnfermava. questi princìpi antichi: l'Ospedale era destinato essen. zialmente agli infermi poveri, con preferenza per i calzolai, i loro familiari e i poveri che collaboravano alla coltivazione dei poderi dell'Ospedale stesso. L'archivio comprende tre parti distinte: là prima, con documenti dal 1357 al 1816 (in copia dal 1229), consta di 213 tra buste e volumi; il riordinamento secondo il criterio per materie fu compiuto nel 1810 · da C.F. Frasconi, cui si deve anche l'inventario analitico. ~a seconda parte, con documenti dal 1810 al 1890, comprende 70 cartelle; il riordinamento risale al 1886; fu opera di A. Polastri, estensore di un inventario dettagliato. La terza parte è formata da 28 cartelle con documenti da fine '800 al 1931. La ricerca è stata ·condotta sulle prime due parti. Vengono qui di seguito segnalati alcuni documenti più significativi per la storia dell'ali~entazione. I documenti sono presentati sotto l'esponente .delle categorie cui appartengono.
2. 1731 aprile 6. Decreto del Magistrato .di Milano di far somministrare all'Ospedale di San Giuliano staia 3 e quartari 3 di sale corrispondente al numero di 15 bocche tra infermi e inservienti (b. 2, n. 53).
APPENDICE
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3. 1761 marzo 18. Convenzione dei reggenti dell'Ospedale col macellaio G.B. Negro · per la somministrazione della carne (b. 2, n. 65). II. Donazioni, testamenti ecc. 4. 1554 agosto 31. Testamento di Alessandro Taegio, che lascia un reddito annuo agli amministratori dell'Ospedale con l'obbligo di provvedere riso, farro e ali:ri legumi per fare minestre da distribuire ai poveri ricoverati (b. 4, n. 9) . VIII. Eredità De Carli 5. 1613 luglio 1Q. Delegazione fatta al giureconsulto Andrea De Carli, vicario generale dello. Stato di Milano, di trasferirsi nelle terre del lago Maggiore per informarsi degli «sfrosi» di grani e procedere contro i colpevoli (b. 59, n. 5). 6. 1747 aprile 26. Nota degli «appendizi» dell'Abbazia dei SS. Nazario e Celso di Biandrate, vacante per la morte dell'abate commendatario (sono annotate quantità e prezzi dovuti dai massari all'abbazia per capponi, pollastri, uova, anatre, burro ecc.) (b. 63, n. 115). IX. Eredità Ramazzo 7. 1733 febbraio 21. Ordinanza del podestà ·di Novara che condanna l'oste di Confienza a pagare a Carlo Antonio Ramazzo, arciprete di Tornaco, una somma per residuo prezzo di vino (b. 77, n. 32). 8. 1772 giugno ·18. Soccido per quattro anni di una vacca data da Giuseppe Ramazzo a Giovanni Sala di Vignarello (b. 78, n. 52). 9. 1775 novembre 4. Mutuo di somma di denaro fatto da Giuseppe Ramazzo a Gaudenzio Binasco che si obbliga a restituire la somma entro 8 anni, con interesse annuo di sacchi 2 ed emine 4 di segale (b. 78, n. 54).
PARTE PRIMA
XI. Eredità A ntenusio
I. Chiesa e speda/e
10. 1715 gennaio 8. Obbligazione di lire 871, parte per grani ricevuti e parte per fitto di un prato (b. 87, n. 51). ·
1. 1476 agosto 6. Deposizioni diverse davanti al vicario del podestà di Novara, da cui risulta che il Paratico dei calzolai ha sempre retto l'Ospedale di San Giuliano somministrando letti, lenzuola, pane, carni e altro ai malati (b. 1, n. 16).
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12 13
Ibidem. n. I.2 bis. Cosi nel regolamento. del conte Caccia citato.·
. Atto
XIII. Amministrazione dei redditi dell'Ospedale 11. 1593 dicembre 22. Mandato al tesoriere di esigere il legato fatto dall'abate Amico Canobio (fondatore del Monte di pietà di Novara) nel suo testamento 11 febbraio 1591, consistente in 4 sacchi di frumento, 2 sacchi di fagioli e 1 sacco di riso bianco ogni anno per fare pane e minestre per i poveri dell'Ospedale (b. 94).
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Giannina Pastorino
L'Ospedale di S. Giuliano di Novara
12. 1591-1595. Due confessi di Flaminio Rocca, speziale, di aver ricevuto dal tesoriere del Paratico dei calzolai acconti sul debito per generi forniti all'Osp~dale di San Giuliano (ibidem.).
26. Reg. 1779-1784: registrazioni di esaz10m in· natura (grano e segale) per fitti e livelli dovuti all'Ospedale (b. 170).
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13. 1615-1516. Varie liste di pane somministrato mensilmente ai poveri dell'Ospedale (ibidem). 14. 1616 settembre 9. Confesso per acconto pagato per carne fornita a:i poveri dell'Ospedale (ibidem). 15, 1649 ottobre 13. Mandar~ al tesoriere di pagare a Domenico Bertoli, prestinaio in Novara, una somma per pane fornito all'Ospedale da maggio a ottobre 1649 (b. 97). 16. 1680-1689. Liste mensili di uova fornite agli infermi poveri dell'Ospedale (b. 103). 17. 1688 settembre 30. Confesso di un inserviente di ave~ ricevuto dal tesoriere dell'Ospedale una somma per olio di oliva (b. 104). 18. 1720-1729. Tre registri di conti del tesoriere Giuseppe Antonio Pagano con varie notizie, tra cui: 1728 maggio 31, spese per vino; 1729 febbraio 12, spese per olio di oliva (b. 110).
27. Reg. 1782-1783, «Redditi e spese per l'eredità Ramazzi»: con annotazioni, per i redditi, relative alla vendita· di segale, meliga, noci, fagioli, granaglie ecc. (b. 176). 28. Reg. 1784-1785: annotazioni di spese anche per generi alimentari compràti per l'Ospedale (salami, sale, riso bianco, verze, formaggio, carne, burro, merluzzo, lardo) (b. 179). 29. Reg. 1785-1786, «Libro per mas&aro e pigionanti dell'Ospedale» con annotazioni · relative a segale e meliga (b. 180). XVII. Volumi diversi
30. Reg. 1743-1774: annotazioni per acquisto di carne (1758), per vendita di vacca (1765), pagamento in frumento (1772) (b. 188). 31. Reg. 1628-1701 di «scossa» fatta da tesorieri diversi: annotazioni per segale (1618), per carne (1649) (b. 191).
PARTE SECONDA
XIV. Mandati dei sindaci al tesoriere per pagamenti
19. 1775 maggio 4. Mandato di pagare lire 311 di Milano per prezzo di brente 16 e mine 3 di vino servito agli infermi dell'Ospedale (b. 140). 20. 1775 maggio 22. Mandato di pagare somma a infermiere per spese da lui fatte per provvedere uova, latte e altri commestibili (ibidem). 21. 1777 settembre 16. Mandato di pagare lire 268.11.3 per «cibaria _di magro» somministrata all'Ospedale (ibidem). 22. 1791 febbraio 22. Mandato di pagare somma per olio di oliva mezzano e fino fornito all'Ospedale (b. 144). XV. Giornali e ,nastri per I' atntninistrazione dell'Ospedale
23. Reg. 1582-1612: nota 1611 aprile 6 di spesa per acquisto di due «formagge» (b. 148). 24. Reg 1736-1737: nota 1736 aprile 23 per carne; nota 1736 dicembre 20 per 4 formaggi forniti ai Cappuccini; nota 1736 agosto 17 per frumento (b. 160). 25. Reg. 1778-1785, «Libro delle spese»: annotazioni in ordine cronologico delle spese fatte da un reggente, tra cui quelle per alimenti (merluzzo, formaggio, vino, uova, rane, verze, stracchino, lumache, fagiolì, fave, olio di oliva, limoni, spinaci, cardi ecc.) per i malati dell'Ospedale (b. 168).
. 32. Sotntninistranze cotntnestibili Convenzioni tra l'Ospedale ed appaltatori di carne e pane, 1852-1866 (b. 295). 33. Gestione dell'economo
Qtiietanze di pagamenti per forniture di diversi generi alimentari: 1819 uova, burro, sale; 1820 latte; 1821 riso, vÙ)_o bianco, sale (b. 320); 1838 olìo di oliva; 1839 frutta e formaggio, salame, zucchero, caffè, latte, cioccolata, pesce, pollo, lardo (b. 325); 1841 verdura, polli, salame, frutta, fidellini, limoni, passeri, lingua, dolci, semolino, pepe ecc. (b. 326). Regolamenti
34. Un volume (cc. 88) databile .alla metà del sec. XIX contiene in còpia i principali atti normativi dell'Ospedale, a partire dal regolamento del .1787, fino alle integrazioni degli anni 1843-1848. Particolarmente significative sono le parti seguenti: a. «Stato del personale addetto al Pio stabilimento e della mercede annua che si corrisponde sia in contanti, quanto in natura». (cc. 3-9). È prevista l'erogazione come strenna natalizia di capponi a 5 addetti: al segretario, al ragioniere, all'economo, al tesoriere ed al cappellano. Gode del vitto il personale di servizio, con razioni diverse a seconda delle qualifiche (infermiere capo, infermiere, prima infermiera, -servente alle infermerie, cuciniere, portinaio). Riportiamo i dati della mensa più. ricca, quella dell'infermiere capo: «oltre
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Giannina Pastorino
l'alloggio fuori dello stabilimento per sua famiglia, vitto giornaliero consistente in ettogramma 8 di carne di manzo, vino litri 1 e decilitri 5; pane ettcigratnma 8; per la minestra di riso decilitri 2 di riso; per la minestra di pasta, ettogramina 1 di pasta; e nei giorni di magro, a vece di ettogramma 8 carne di manzo, centesimi 54; a titolo di strenna ,alle feste natalizie un paio capponi in natura; razione doppia di vino e riso alle feste di San Giuliano, Pasqua di Risurrezione, San Crispino e Natale».
b. «Nozioni principali sui doveri delle persone di servizio» (cc. 10-12). In particolare è stabilito che le persone di servizio debbono «far bollire la loro carne di manzo con quella di vitello, all'oggetto che il brodo per gli ammalati possa essere più sostanzioso»; alla pulizia settimanale del peltro si provvede con la lisciva.
TULLIO PERFETTI
Il vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi del! '800. Un confronto a tavola: le carceri e le dispense dei conti di Spi!imbergo
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c. «Sistema dietetico» (cc. 13-16). Sono previste 4 ·distinte diete, differenziate secondo lo stato di malattia. Riportiamo come esempio la dieta n. 4: «L'ammalato in dieta 4 ha la zuppa alla mattina; al così detto pranzo la minestra di riso o pasta, una pagnotta di pane .del peso di ettogr. 2, una porzione di carne di vitello o manzo e decilitri 3,5 vino; e alla sera il pancotto, una pagnotta di pane del peso di ettogr. 2, una porzione carne di vitello o manzo, e decilitri 3,5 di vino ... ».
d. «Tavole per la distribuzione del vitto giornaliero» (cc. 17-20). . Sono 6 tavole che indicano i quantitativi di alimenti (pane, pasta, vino, riso, latt_e e carne) da distribuirsi per ogni malato, con le ovvie distinzioni in rapporto alle diverse diete. e. «Tavole per la distribuzione del vitto giornaliero alle persone di servizio» · (cc. 21-25). Sono analoghe alle precedenti, ovviamente con quantitativi diversi: mentre per la minestra si prevede la somministrazione di 1 .etto di pasta uguale per ciascuna unità, per la carne si prevedono 8 etti al giprno per l'infermiere capo, 6 etti per l'infermiere, 4 per l'infermiera, il cuciniere e la guardarobiera; per il vino le razioni sono ancor più diversificate (litri 1,5 per l'infermiere capo, 1,2 per l'infermiere e il cuciniere, 0,8 per l'infermiera, 0,5 per la guardarobiera). Rispetto ai malati figura una voce in più: la distribuzione di denaro sostitutivo della pietanza nei giorni di magro, con 54 centesimi per l'infermiere capo e 36 centesimi per ciascuno degli altri addetti.
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Fra le numerose carte notarili che, più o meno direttamente, riguar- · dano l'alimentazione, ne abbiamo scelte due che sono sembrate particolarmente interessanti, sia perchè piuttosto · fuori dal comune, sia perchè riflettono due situazioni diametralmente opposte: una è 1ò specchio degli acquisti per rifornire la dispensa di una famiglia nobile, l'altra registra il vitto giornaliero di una carcerata che per molto tempo è rimasta rinchiusa nelle prigioni' di quegli stessi signori. Ma esaminiamo più da vicino questi due documenti . Il primo è _stato redatto dal notaio Giovanni della Giusta di Spilimbergo 1 e con esso il conte Enea di Spilimbergo, nominato dai fratelli titolare della «paronanza e direzione della casa», decide di saldare il ·debito di 2. 706 lire venete che la famiglia ha nei confronti del bottegaio Girolamo Maiolla per acquisti di ogni genere fatti dal 1741 al 1750. Il pagamento viene fatto mediante la ces~ione al Maiolla di una rendita annua di quattro staia di frumento (lo staio, deto «star», ·nello Spilimberghese, equivaleva a litri 89,35 ed era diviso in quattro quarte o in 16 quartaroli). Nell'atto notarile è inserito l'elenco delle merci acquistate che, benché a tratti riassuntivo, occupa ben diciotto fittissime pagine. Purtroppo sembra che, ad un certo punto, i conti di Spilimbergo abbiano incominciato a rifornirsi presso' qualche altro commer,. dante perché, mentre per i primi quattro anni gli acquisti sono numerosi e regolari, in seguito i generi alimentari si fanno più tari e saltuari; è evidente, inoltre, che questo elenco non può dare un quadro com-
1 ARCHIVIO DI STATO DI PORDENONE,
Spilimbergo, 1750 ago. 6.
Archivi 11otarili, Giova1111i della Giusta, vol. 8.861,
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Tullio Perfetti
Il vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi del!' 800
pleto del regime alimentare della famiglia sia perché, pet certi·-cibi, essa era logicamente autosufficiente (così, per esempio, certamente i conti non avevano bisogno di comperare, se non in casi eccezionali, · carne, vino, frutta, granturco o ortaggi), sia perché, per poter giudicare sull'entità dei consumi, occorrerebbe conoscere l'esatta composizione del nucleo famigliare. Fra i generi di mag~ior consumo·, o almeno di maggiore e costante acquisto, troviamo senz'altro il riso ed il formaggio. Del primo· risulta un consumo di 51 ·libbre nel 1741, di 138 libbre e 6 once nel 1742, di 7 libbre e 6 once nel 1743 e di 91 libbre nel 1744, cioè, rispettivamente, di circa 18, 60, 5 e 33 chilogrammi, ricordando che una libbra sottile corrispondeva, in Friuli, a 360 grammi ed era divisa in 12 once, Il costo del riso si mantiene pressoché costante a 5 soldi la libbra con un calo a 4 soldi soltanto a metà del i 744. Più articolata è la situazione per quel che riguarda il formaggio, in quanto si consumavano formaggi di diversi tipi. Oltre, infatti, al formaggio senza ulteriori specificazioni, probabilmente di produzione locale e di medio invecchiamento, venivano acquistati formaggio fresco, formaggio salato e formaggio <<asino>> (caratteristico e rinomato prodotto della zona di Vito d' Asio .in val d' Arzino, che veniva espor~ato fino a Venezia e Trieste) tutti a 12 soldi la libbra, il formaggio «plezan» e «montasio» a 15 soldi la libbra ed il pecorino ad 1 lira la libbra. Tutti i prezzi si mantengono costanti, soltanto il pecorino scende a 16 soldi la ljbbra nel corso del 1744. I consumi globali risultano di 23 libbre e 3 once dall'agosto al dicembre 1741, di 71 libbre e 7 once nel 1742, di 139 libbre ed 1 oncia nel 1743 e di 84 libbre e 8 once dal gennaio all'agosto del 1744. Il pesce doveva fare spesso la sua comparsa sulle mense imbandite. Con maggior frequenza troviamo le «sara1ele», cioè le sardine, ·più di rado le anguille (che se pesavano meno di _3 libbre l'una erano dette «bisati»), sia fresche che salate, gli sgombri, i gamberi, le aringhe (dette «cospetoni») e, tocco di estrema raffinatezza, il caviale («caviaro») che si pagava a 5 soldi l'oncia_ (cioè 30 grammi di caviale costavano come. un uovo o come 5 aringhe), ci sfiora, però, il sospetto che si trattasse non di uova di storione, ma di qualche altro pesce più nostrano! Per ciò che riguarda i grassi nel 1741 e 1742 viene acquistata un'imprecisata quantità di burro («butiro») per un totale di 5 lire ed
8 soldi, solo in due occasioni compare la sugna («songja di temporale»), mentre più frequente e costante risulta l'uso di lardo con 7 libbre e 6 ~nce nel 1741, 1 libbra e 10 once nel 1742, 50 libbre e 4 once nel 1743 e 10 libbre nel 1744; esso costava circa 1 lira la libbra e veniva comperato quasi· costantemente negli ultimi me~i dell'anno, mesi in cui tradizionalmente si macellavano i maiali. Sempre restando in tema di prodotti suini, doveva essere abbastanza largo il consumo di prosciutto, anche se il nostro elenco ne fa menzione soltanto nel 174~ e, una volta, nel 1743, ma è probabile che, come risulta da molti contratti d'affitto e di mezzadria,. i signori di Spilimbergo venissero riforniti di tale alimento direttamente dai loro contadini in conto di affitti od «honoranze». Anche un elemento basilare come il sale non è molto ben documentato, ma dalle pur scarse apparizioni (due volte nel 1741 e tre nel 1742) sembrerebbe di poter arguire un consumo costante e regolare; si tratta, infatti, ogni volta dell'acquisto di sale per il valore di 1 lira, ma le indicazioni sono troppo poche e per di più senza alcun riscontro quantitativo. In un tempo· in cui non esisteva il frigorifero ne 1 conservanti, erano notoriamente molto usate le spezie che servivano, oltre che a stuzzicare l'appetito, anche a mascherare odori non troppo gradevoli di pietanze che avevano perduto il pregio della freschezza... ed ecco allora spiegato il frequente acquisto di cannella (6 once nel 1741 ed addirittura 22 once .nel 1742), di pepe (2 once nel 1741, 15 once nel 1742 e 16 once nel 1743), di chiodi di garofano e di spezie in generale. La cannella· costava 10 soldi l'oncia ed il pepe 4 soldi e mezzo. Lo zucchero, «fino», «basso», «fioreto» o «verzino», costava intorno ad 1 lira la libbra ed è testimoniato l'acquisto di 3 libbre nel 1741 e 15 libbre e 4 once nel 1742. Frequentemente appaiono le uova, pagate sempre un soldo l'una, con una media approssimativa di 30 al mese, ma anche qui · vale il solito discorso che, assai probabilmente, molte uova arrivano in casa direttamente dai pollai dei fittavoli. Più che not~vole, invece, risulta il consumo di uva passa, che veniva · largamente usata non soltànto per la preparazione dei dolci, ma anche nella cottura di carni ed intingoli; ne vengono acquistate, al prezzo di 6 soldi la libbra, 3 libbre e 6 once nel 1741, 14 libbre e 2 once nel
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Ttrllio Peifetti
· Il vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi del!' 800
1742 e 6 once, ma di «uva di Calabria», nell'aprile del 1743. Una sola volta viene comperata una libbra di pinoli per 16 soldi, un'altra yolta 220 noci per 10 soldi e due volte, nel luglio e nell'agosto del 1741, una imprecisata quantità di «condito», che sembra essere la frutta candita. Anche le verdure fanno la loro comparsa in questo elenco ma limitatamente a pochi prodotti evidentemente scarsamente coltivati in loco e cioè aglio, cipolla e, soltanto nell'agosto e settembre 1742, fagioli e fagiolini. Vengono, infine, acquistati artche dei cereali e precisamente 3 staia e 2 quarte di segala, a 14 lire_ le staio, e due staia di frumento nel giugno del 1742; 5 staia di frumento rispettivamente nel luglio del '46, nel novembre del '.47, nell'ottobre del'48 e nel novembre del '49. Il suo prezzo, dalle 18 lire e 5 soldi lo staio del primo anno, scende a 15 lire nel 1746, per salire a 20 lire nei due anni successivi ed arrivare alle 22 lire del 1749. Questo è quel che · risulta esplicitamente dalla lettura del nostro documento ma, per avere un'idea completa delle abitudini alimentari dei signori & Spilimbergo, a tutto ciò andrebbe aggiunta, come già detto a più riprese, la produzione di frutta, verdura e· carni dei loro notevoli possedimenti terrieri e la selvaggina derivante dall'esercizio della caccia. Essa doveva essere praticata piuttosto intensamente come è testimoniato dalla presenza frequentissima, in questo stesso elenco, di acquisti di polvere da sparo e « balini», tant'è vero che proprio polvere e pallini, assieme ai chiodi ed al tabacco, sono senz'altro fra gli articoli di generi vari più spesso citati: dalla metà del 1742 al 1744 risultano acquistati ben 35 chilogrammi e mezzo di polvere da sparo. E rivolgiamo ora la nostra attenzione alla poverà carcerata. Il documento, datato 24 aprile 1806, è stato redatto nel castello di Pinzano 2, dove si trovavanò le carceri, dal notaio Pier Mattia Simoni di Clauzetto. Dalla sua lettura non si apprende molto sulla vicenda che· ha portato alla detenzione: si sa solo che donna Lucrezia de Girolomis di Panna, moglie di Bonaventura di Bernardo
di Meduno, era da tempo imprigionata in quelle carceri e che, a se.:c guito della presentazione di un suo memoriale al Giudice criminale di prima istanza di Pinzano, aveva ottenuto la scarcerazione a piede libero alla condizione di pagare a Gio. Batta Sora, custode delle carceri, 281 lire, somma corrispondente al costo del vitto che le era stato somministrato durante la sua non certo volontaria. permanenza nelle celle del castello. È da notare una certa contraddizione fra quel «attrovandosi da molto te?J-po in queste carceri donna Lucrezia», come si afferma nell'atto, ed il conto presentatole per ottenere la libertà e che va soltanto dal 18 marzo al 23 aprile del 1806, ma probabilmente questo è soltanto l'ultimo debito che le è rimasto da pagare, mentre precedentemente, come del resto suggerisce un residuo di 53 lire e 2 soldi riportato all'inizio della parcella, saranno state pagate altre rate. Considerata la non eccessiva lunghezza del testo, ci sembra conveniente trascriverlo integralmente in appendice. La lunga elencazione di pasti ci appare senz'altro sorprendente. Infatti meraviglia il fatto che, in un tempo che viene da tutti e da sempre descritto di miseria e di fame, specialmente per quel che riguarda il Friuli, il vitto in un carcere, per di più non certo fra i più importanti, sia stato così vario e tale da prevedere non solo pranzo e cena ma, a volte, anche colazione mattutina e merenda pomeridiana: nulla di simile a quanto ci abbiano suggerito le immagini di un conte· Ugolino o di un conte di Montecristo, larve umane che disputano poche briciole di galletta ammuffita a topi e ratti e che succhiano avidamente le gocce d'umidità stillanti dalle pareti. Viene da pensare che, nel nostro caso, più che di una prigione si stia parlando di un albergo ·o di una casa di convalescenza per ritemprare il fisico! Peccato che per la cena non venga quasi mai specificato in che cosa consista (una sola volta sappiamo che comprende pane, insalata e uova), ma già· i cibi che compongono i pranzi sono abbastanza indicativi. In 11 dei 36 giorni compresi nell'elenco, il «pranso» non trova specificazione delie vivande; negli altri 25 giorni il primo piatto consiste, per ben 19 volte, in una non ben precisata minestra, probabilmente di verdure, che manca soltanto quando c'è la polenta. Il secondo è rappresentato dalla carne (una volta addirittura dall'arrosto, anche se, a sentire alcuni esperti, in passato era più raffinato
2
Ibid., Pier Mattia Si111011i, vol. 2.151, Pinzano, 1806 apr. 24.
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Tullio Petfetti
il bollito), presente per 11 volte, da sola o assieme al _companatico, che, anche se ne manca la riprova diretta, deve essere stato 'ii sal~me o il formaggio, dal pesce o dalla frittata, entrambi presenti due sole volte ciascuno. Il pane, a parte le sei volte nelle quali c'è la polenta, è costantemente presente nelle razioni giornaliere, così come il vino, mentre molto frequente è il consumo dell'aèquavite. Una sola volta è citato .il caffè, mentre per 11 volte la prigioniera consuma anche una merenda pomeridiana, che a volte si riduce ad un boccale di vino, ma altre volte esso è accompagnato da pane e salame o da altre non ben identificate «cibarie». Assai largo è, poi, il consumo di tabacco. Da notare che una volta donna Lucrezia riceve la visita della figlia, che pranza con -lei a base di pane e frittata. Da queste poche note che abbìamo a disposizione, anche se non· c'è modo di sapere se le porzioni erano abbondanti o appena sufficienti al sostentamento ci se, addirittura, esistevano solo sulla carta, è evidente, come già accennato, una notevole varietà nel vitto, contrariamente alla convinzione comune ed a ciò che si legge sulle condizioni alimentari del tempo. In generale va ·rilevato l'uso dei tre ed anche quattro pasti quotidiani ed in particolare colpisce la frequenza della carne e, sopni.ttutto, del pane a scapito della polenta che, qui in Friuli, è sempre stata indicata come la «regina» della tavola e come principale responsabile di malattie e disfunzioni. In conclusione, questa fugace occhiata indiscreta gettata sulle tavole dello Spilimberghese, sembra poter dare lo spunto ad una certa revisione delle convinzioni finora sempre condivise da tutti sull'estrema povertà del vitto friulano. Se ciò è scontato e comprensibile per quel che riguarda i ceti più abbienti (ed anzi, non dimenticando però il carattere parziale del documento in nostro possesso, forse ·1e m~nse dei signori di Spilimbergo sembrano essere meno fastose di qud che ci si poteva aspettare) lo è certo ·meno di fronte ad una situazione come quella di una prigione dove l'alimentazione avrebbe dovuto essere, a rigor di lògica, all'estremo gradino, oltre il quale la stessa sopravvivenza diventa problematica. Sarebbe dunque int_eressante allargare la ricerca per verificare se tale situazione debba sfatare, almeno in parte, convinzioni ormai date per scontate o se, più semplicemente donna Lucrezia godeva, per ragioni che non ci è dato di sapere, di una situazione di privilegio.
Il.vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi de/1'800
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APPENDICE Documento in Archivio di Stato .di Pordenone, Archivio notarile, Pier Mattia Simoni, vol. 2.151, Pinzano, 1806 aprile 24.
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::.c.. ...
«Pinzano, addì 18 marzo 1806 Ristretto il conto di Lucrezia di Bernardo. con il suo Procuratore Marco Campeis, ad essa retenta, onde resta debitrice di L. L. 19 detto Pranso la sera cena e letto L. L. 20 detto Acquavita e pranso la sera cena, letto et acquavita L. L. 21 detto Acquavita e Caffè L. Pranso. minestra, pane, carne ·e vino L. là sera cena e letto L. 22 detto Pranso, minestra, pan e carne L. La sera cena e letto L. 23 detto Colazione e pranso L. dopo pranso merenda L. Cena, letto e _tabacco L. 24 detto Colazione L. Pranso polenta, bisatto marinato e vino L. vino dopo pranso, cena tabacco e letto L. 25 detto Pranso e tabacco L. Merenda, cena e letto L. . 26 detto Acquavita e pranso L. dopo pranso vino una bozza e la sera cena e letto L. Acquavita L. 27 detto Acquavita,- a pranso minestra con companadego L. dopo pranso merenda e cena con letto L. 28 detto Acquavita e pranso L. cena e letto L. 29 detto Acquavita e pranso L. cena e letto L. 30 detto Pranso menestra,pane e companatico L. Dopo prànso cena e letto L. 31 detto Minestra, pan, carne e letto L. a cena letto, tabacco et acquavita L. 1° AprileA pranso minestra, pane, ·carne e vino una bozza L. dopo pranso merenda, cena e letto
53: 2 - :12 3:06 2:04 2:06 - :11 2:10 2:04 1 :_12 1: 18 2:10 1 :07 2:03 - :10 1:10 2:13 2:07 2:14 2:08 2:02 - :18 2:10 2:07 1 :10 1 :12 1:10 2:08 2:08 2:08 2:02 3:05 2:09 2:08
1822
2 detto Acquavita pranso la sera· cena e letto 3 detto Minestra e pane Tabacco, cena e· letto 4 detto Polenta, bacalà e vino cena, tabacco e letto 5 detto Polenta e companatico Cena, letto e tabacco 6 detto Pranso, minestra e companatico Dopo pranso vino, cena e letto 7 detto Colazione e pranso Dopo pranso pane, salame é vino Cena e letto 8 detto Pranso minestl'a, pane, companatico e vino Dopo pranso vino una bozza e 1/z pane e salame la sera cena, letto e tabacco 9 detto Acquavita· e pranso minestra e carne cena e letto ·10 detto Acquavita, minestra, pane e carne cena, letto e tabacco 11 detto acquavita, polenta e frittata cena, letto e tabacco 12 detto pranso, minestra pane e vino e cena con letto 13 detto Pranso minestra, pane, companatico· e carne cena, tabacco letto 14 detto Acquavita e a pranso minestra, pane e carne cena e letto 15 detto Pranso, companatico; vino e carne cena e letto 16 detto Minestra, companatico, carne e vino cena e letto 17 detto Pranso menestra, pan e companatico vino una bozza Dopo pranso cibaria Cena, letto, vin e tabacco 18 detto Pranso minestra e pane Vino una bozza La sera cena e letto 19 detto Pranso polenta e frittata Vino una bozza Sua figlia pane e frittata
1823.
Il vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi del/' 800
Tullio Perfetti
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. La sera pane, insalata, vovi e letto L. 20 detto Pranso minestra, pane ed arrosto L. Vino una bozza L. .. L. La sera cena e letto L. 21 detto Pranso polenta, minestra e companatico L. Vino una bozza L. Cena e letto L. In due poste tabacco L. 22 detto Pranso L. Vino una bozza L. Cena e letto 23 detto Pranso L. Vino una bozza, tabacco e letto L. Per conto di custodia, così accordato con essa per non essere in prigione a soldi dieci al giorno L. L.
Per contati in più volte alla detta retenta Somma . . .
1:10 1:10 - :12 1:10 1 :04 - :12 1:- :10 1 :02 - :12 1 :04 1 : 12 1: 13 27 : 10 51 :03
L. 281
L'alimentazione nelle fonti letterarie della Biblioteca nazionala marciana
1825
Non è questa la sede per affrontare la complessità della questione, mi limiterò dunque a qualche breve considerazione, prima di passare alla descrizione ed analisi delle specifiche fonti letterarie utilizzate nella realizzazione del catalogo. Tali considerazioni non potranno che essere a favore dello studio di questo materiale, non certo per opporsi ad un approccio di tipo archivistico, ma per contrpbilanciare quello esclusivamente archivistico: punti di vista diversi ma egualmente pregni di valore e di significanza e tra essi non contrastanti bensì conviventi in una pratica che può conoscere, come accade nelle convivenze, momenti più o meno armonici. Le molteplici valenze assunte dall'alimentazione umana sono state messe in :t;ilievo ormai da molti studiosi, tanto da non dover esser qui più che ricordate, così come è solo da rammentare la necessità dei rapporti di questa ·storia con altri campi di indagine, a partire da quello antropologico, filosofico, psicoanalitico; ma non sembra superfluo qui ribadire questa interdisciplinarietà quale caratteristica peculiare e specifica di una materia che a volte rischia, forse a causa. di ciò, la frantumazione o la genericità. A rendere ingombrante l'argomento è il coinvolgimento diretto del corpo, con tutte le sue implicazioni e l'impossibilità di ridurre l'individuo, con la sua boc_ca ed il suo ·ventre, a delle dinamiche di entrate-uscite, ad analisi dietetiche o caloriche. Il corpo è infatti macchina desiderante, in un rapporto col cibo che si colora di tonalità affettive; così la famosa frase di Feuerbach «l'uomo è ciò che mangia», potrebbe essere modificata anche in «l'uomo investe di sè ciò che mangia». D'altronde sarebbe impossibile affermare il contrario se. si prest_a attenzione all'inizio_ della storia alimentare nella vita di ogni singolo individuo: il primo flusso nutritivo è quello materno, ciò che dunque fonda tale dimensione all'interno di una relazione, dunque di uno spazio condiviso e di conseguenza sociale, fuod da sè, dove la sostanza nutritiva non è un oggetto inerte ma, a sua volta, soggetto, in un rapporto immediato con l'altro, o meglio l'altra, la madre. Evento incontestabilmente plasmante, ed invece di gran lunga rimosso nonostante, o proprio per questo, le sue implicazioni si estendano rion solo nella scelta alimentare, ma nella relazione e scambio con il proprio o l'altro sesso e nel legame del cibo con la dimensione erotico-affettiva.
TIZIANA PLEBANI
Le fonti letterarie: appunti e suggestioni a partire da «Arte. della cucina e alimentazione nelle opere a stampa della Biblioteca nazionale marciana» *
Voce dissonante, o meglio, diversa, questa mia. E non potrebbe essere altrimenti. L'ambito archivistico, che ospita quest'intervento, fa riferimento ad un panorama, quello documentario, che pare in grado di testimoniare, certamente attraverso un giusto sistema valutativo, il reale o quel segmento del reale connotato dal tempo e dallo spazio di quel documento o di quell'insieme di carte. Statuti, libri di entrate e uscite, atti e disposizioni delle varie magistrature sono voci narranti con timbro per lo più collettivo che sembrano essere al riparo dalle bizzarie o comunque dal ridotto campo visivo di un singolo osservatore. Ciò che invece identifica l'ambito del mio interesse e della ricerca portata a termine, insieme ad altre colleghe bibliotecarie, con Arte della cuèina e alimentazione nelle opere a stampa della Biblioteca nazionale marciana dal XV al XIX secolo 1, mette in campo differenti orizzonti: le fonti letterarie, che paiono meno in grado di ricostruire il quadro storico mentre forniscono, più spesso, già u.n'interpretazione del rapporto che donne e uomini hanno instaurato con il cibo all'interno di una data società. L'ordine dei problemi da esse sollevato non è semplice: quale valore attribuire, con quale metodo fare loro ricorso per utilizzarle corret_tamente all'interno di una ricerca sulla storia dell'alimentazione?
* Desidero ringraziare la d~tt. Maria Francesca Tiepolo; all'epoca direttrice dell'Archivio di Stato . · di Venezia per aver voluto seg/Jalare la mia. ricerca. 1 BIBLIOTECA NAZIONALE MARCIANA, Arte della cucina e a/zìmntazione _nelle opere a sta1npa della Biblioteca nazionale tnarcim;a dal XV al XIX secolo, a cura di A. ALBERATI-M. CANZIANT. PLEBANI-M. BRUSEGAN, Roma 1987: il lavoro è stato ideato e realizzato da Anna Alberati, Mirella Canzian e Tiziana Plebani; nella fase editoriale è intervenuto Marcello Brusegan.
30
·,
1826
Tiziana Plebani
Di tale legame, ribadito ormai da molti autori per potercene _sorprendere ma di cui l'origine nello scambio con la madre o la nu~rice è reso spesso invisibile, mentre ricompare in tutta la sua centralità nella patologia alimentare (si pensi solo all'anoressia) facilmente si può trovare traccia o respirarne la presenza nelle fonti letterarie, più difficilmente invece nel materiale archivistico. Basti citare, solo per fare i casi più esplic;iti e conosciuti, Folengò, , Rabelais, i rimatori burleschi della scuola del Berni, testimoni ognuno in maniera diversa, di un'ostentata vitale e forse squisitamente virile, rappresentazione del rapporto cibo/corpo, in un tempo, quello cinquecentesco, non ancora oppresso dallo spirito della Controriforma, poco propensa all'espressione del corpo e dei suoi bisogni. Dunque, storie nella storia ed infatti le fonti letterarie hanno questa caratteristica: non ci narreranno de «ìl cibo del ricco ed il cibo del povero» (secondo il noto titolo dell'opéra di Anna Maria Nada Patrone) ma ci permetteranno chiavi di lettura per l'interpretazione del vissuto alimentare, ci forniranno le coordinate dell'immaginario corporeo dei vari periodi storici. Guai quindi a leggerle così come esse si offrono: poco attendibili nell'affrescare il quadro dei reali consumi alimentari, esse corrono il rischio di rappresentare maggiormente livelli sociali elevati, com'è prerogativa - anche se non sempre in maniera così netta ed automatica - della cultura scritta. Esse sapranno però affiancarsi ai risultati della ricerca storica su altre fonti, lasciando trasparire la complessità delle stratificazioni culturali collegate al cibo, riuscendo a far risuonare il pulsare del corpo. E attraversò questo legame corporeo, seguendo lo scorrere dell'editoria «gastronomico-alimentare», ci si può sorprendere ad interpretarla, in maniera certo (fin troppo) semplicistica, come un rincorrere un'idealità di equilibrio, una possibile/impossibile armonia tra bisogni del ventre e del corpo tutto e la loro razionalizzazione e ritualizzazione in una dimensione sociale accettabile. Bisogni inquietanti perchè richiamanti sempre un'animalità pericolosa sia nel senso di una sua non facile controllabilità ed inquadrabilità, sia soprattutto perchè vissuta nella cultqra occidentale e cristiana, spesso, se non sempre, come degrado dell'essere, ostacolo alla creaziop.e di un'immagine «ideale o virtuosa» dell'umano.
L'alimentazione nelle fonti letterarie della Bibliotera nazionale marciana
:~
1827
E di questa ricerca di momenti di equilibrio, di una «dieta» codificata tale da rappresentare, più che un insieme di norme alimentari, un modello di vita, in cui possano rientrare _tali bisogni, più o meno purificati, si trova traccia in epoche diverse nella letteratura presa in considerazione. In tal modo può venir letto il Regimen sanitatis, frutto dell'elaborazione dei dotti medici della Scuola di Salerno, non a caso influenzati dalla scienza e dal pensier9 arabi, meno affannati dal dualismo corpo-anii;na/bene-male del mondo cristiano. Nei loro aforismi, precetti per una vita sana e aggiungerei - felice, che saranno alla base di tutti i successivi trattati De tuenda bona valetudine, trova spazio e legittimità la ricerca di un piacere gustativo e sensoriale, con una «naturalezza» che meno facilmente potrà trasparire, qualche secolo più tardi, nell'opera di Bartolomeo Sacchi detto il Platina o in quella di Alvise Corner, per nominare solo qualche autore conosciuto. Se dunque l'interesse per la complessità del rapporto uomo/cibo può trovare, più che delle. risposte, degli stimoli e delle possibili chiavi di lettura nelle fonti letterarie, tale indagine ristretta nell'ambito di una singola biblioteca, com'è il caso di questo lavoro, necessita di una ulteriore legittimazione. Ed essa non può non identificarsi nella verifica- di un'ipotesi che vede il materiale conservato nella Biblioteca in grado di rappresentare, se non certamente l'interezza, assoluto utopico, buona parte della produzione a stampa relativa a quest'argomento, in modo tale da offrire al lettore la possibilità di percorrere un itinerario editoriale. Creazione dunque di uno strumento che vuole porsi, almeno in parte, sul piano della bibliografia pur rimanendo sempre un catalogo, seppur speciale, di una singola biblioteca, anche se prestigiosa come la · Biblioteca nazionale marciana. Il riscontro con le bibliografie, esistenti, tutte straniere, a partire primariamente da Lord Westbury, Handlist of Italian Cookery Book (Firenze 1963), e proseguendo con Georges Vicaire, Bibliographie Gastronomique (Paris 1890), André Simon, Bibliotheca Gastronomica (London 1954) e, dello stesso, Bibliotheca Bacchica (London 1932), ha messo in evidenza tale rappresentatività, mentre l'abbondanza di autori non compresi da tali repertori e scaturiti dalla ricerca, ha suggerito l'attuabilità di un ampliamento del quadro da essi disegnato.
Tiziana Plebani
L'alimentazione nelle fonti letterarie della Biblioteca n~zionalè marciana
La ricchezza del patrimonio marciano, che sta quindi alla base: di questo lavoro, può sorprendere del resto solo a patto di dimenticare. il ruolo trainante svolto nell'età moderna dalle stamperie veneziane, non solo relativamente al resto d'Italia, ma in realtà all'intero Occidente, soprattutto per quanto riguarda . i secoli XV e XVI. Periodo che coincide con l'età d'oro dell'arte cclinaria italiana legata indubbiamente, anche se non solo, alla magnificenza delle sue corti. E così Lucien Febvre e Henri- Jean Martin ci ricorda11,o che «Venezia in virtù della posizione geografica, della ricchezza e anche dell'attività ·intellettuale, è diventata la capitale degli· stampatori» 2 ed elencano, per gli anni 1480-1482, le 156 edizioni contro le 82 di Milano, le 67 di Augusta, le 53 di Norimberga; mentre per il '500 Tiziana Pesenti conclude: «Ipotesi quantitative ormai classiche stimano la produzione veneziana nel corso del secolo a 15.000 titoli, con una media di 150 · l'anno: si sarebbe stampato un libro ogni due giorni, e da Venezia proverrebbe circa la metà dei libri italiani del '500» 3 • Tornando allo . specifico . del nostro tema, il ruolo di Venezia in questo campo editoriale è testimoniato dalla stampa dei maggiori testi dell'arte gastronomica e, solo per segnalare alcuni tra gli esempi più significativi, si può qui ricordare che se l'«editio princeps» del Platina, De honesta voluptate et vdletudine, fu stampata a Roma intornò al 1474, quella veneziana di Lorenzo dell'Aquila e. Sibellino Umbro la rincorre di appena un anno, e che comunque spetta alla città lagunare e alla sua crescente sensibilità per il volgare il merito della prima traduzione dell'opera apparsa nel 1487 per i torchi di Girolamo e Cornelio· de Sanctis. . Proseguendo con i testi classici della cucina, L' Epulario di Giovanni Rosselli compàre per la prima volta a Venezia nei primi anni del '500, mentre il De re coquinaria, la «summa» della grande cucina romana attribuito alla figura quasi leggendaria di Apicio, dopo la prima stampa di Milano del 1498, esce a ridosso sulla piazza veneziana nel 1503 per Giovanni Tacuino.
Ma l'incontestato primato di Venezia si impone con la prima uscita· dello Scappi che il Faccioli ben descrive:
1828
L. FEBVRE - H.J MARTIN, La nascita del libro, Roma-Bari 1977, pp. 229-230. 3 T. PESENTI, S ta111patori e letterati nel 'industria editoriale a Venezi; e in Terrafer,11a, in Storia
2
della cultura veneta, Il Seicento, I, Vicenza 1983, pp. 93-94.
1829.
. « Quant~ a Bartolomeo Scappi, la sua Opera ha nel titolo medesimo un· significato d1 perentoria assolutezza chè insieme con la materia trattata sembra investire anche lo spirito the la informa, nella sua dimensione umana e nei suoi termini morali ( ... ) Meglio che un'enciclopedia del sapere gastronomico l'Opera dello Scappi si configura così nelle forme di una «summa», di un sistema globale di vita (... )»4.
La sua ~tampa è a cura, nel 1570, di quel Michele Tramezzino che aveva fatto uscire nel 1560 l'opera di Domenico Romoli detto Panunto, La singolar dottrina, «editio princeps» anch'essa, e dalla cui bottega nel 1581, per la fatica dei su.oi eredi, verrà sfornato inedito Il Trinciante di Vincenzo Cervio s. Diffusa struttura imprenditoriale 6, l'editoria a Venezia si curava di soddisfare le esigenze di un pubblico vario, in un concetto di varietà che deve ovviamente tenere presente le caratteristiche di drcolazione e diffusione libraria del tempo 7 • La letteratura·. gastronomica rientrava sicuramente iti un genere di successo soprattutto quando, ed è il caso dei maggiori trattati di quest'arte, oltrepassava la forma di semplice . ricettario ed ambiva un modello di vita noh solo alimentare . Il caso del Platina ' a definire . poi, sembra poter essere assimilato al moderno concetto di bestseller ' per le ben 9 edizioni uscite tra il 1474 e il 1500. Se era necessario offrire una breve spiegazione della quantità: del materiale riscontrato nella Biblioteca nazionale marciana (che ha goduto dei benefici della «prima disposizione legislativa di uno Stato ·italiano che preveda il deposito obbligatorio delle opere a stampa» 8, avvenuto nel 1603) e la sua relazione con l'editoria veneziana, è tempo ora di passa:e alla descrizione della tipologia delle fonti analizzate nel catalogo. Prima fra tutte, in parte già accennata, quella specificamente culinaria, composta da. ricettari, trattati e manuali di organizzazione ed
4 E. FAcc1ou, L'arte della cucina in Italia, Torino 1987-1988, p. XIX. 5 A., TINTO, Annali tipografici dei Tramezzino, Venezia 1968. 6 G. Luz.ZATO, Storia economica di Venezia dall'XI al XVI secolo, Venezia 1961. 7 A. PETRUCCI, Introduzio1re a libri, editori e pubblico nel/' Europ; moderna, Roma-Bari, 1977. 8 M. ZORZI, La Libreria di San Marco, Milano. 1987, p. 207.
.i I
1830
1831
Tiziana Plebani
L'alimentazione nelle fonti letterarie della Biblioteca nazionale marciana
articolazione dei banchetti e della vita di corte, del galateo della· tavola, in una sessantina di edizioni descritte, che attraversano l'arco cronqlogico che va dalla Grecia classica di Archestrato fin quasi ai nostri giorni e che possono essere considerate vere strutture portanti dell'arte gastronomica, ùn'atte poco apprezzata, come spiega Jean-Paul Aron:
produzione e distribuzione, arrivando così a riflettersi sulle strutture economiche e commerciali. Altro elemento da considerare, attraverso lo sviluppo dell'arte culinaria come suggerisce J ean-Louis Flandrin, è il gusto e la sua evoluzione, che egli asserisce «determinato non soltanto dalle abitudini alimentari, ma anche dal sistema culturale nel suo insieme» 12• Se qualche rischio interpretativo è comunque presente nella materia culinaria, esso può essere compensato utilizzando un'altra tipo di fonte che offre un punto di vista più intimo e quotidiano: la tradizione dell'«Economica» 13, dell'arte cioè di governo della casa., con la sua relazione con l' agricoltur.a. Testi fondamentali sono le opere degli « Scriptores rei rusticàe», (Catone, Varrone, Columella, Palladio), interpreti del mondo latino con il suo interesse per i ritw della- terra e delle stagioni, le .conoscenze dei processi di conservazione delle sostanze alimentari. Essi cÒstitueranno la base di questo tipo di sapienza per tutto il Medioevo e là loro «editio princeps» apparirà ben presto, nel 1472, a Venezia, come, sempre a Venezia, era uscita la prima Historia naturalis di Plinio, in quel lontano 1469 che vedeva insediarsi in città i primi torchi e punzoni per merito del tedesco Giovanni da Spira. Le 18 edizioni del Plinio che si succederanno, da quel momento alla fine del '400, confermano l'importanza di questa specie di enciclopedia, dove ampio spazio è dato all'analisi di cibi e bevande e alle tecniche per la loro produzione, come una delle fonti storiche più rilevanti non solo per l'età classica e medioevale ma anche per il mondo che si affaccia sull'età moderna. Questi autori, nella rielaborazione del ·grande agronomo trecentesco Pietro de' Crescenzi in un testo fondamentale per questa disciplina - Ruralia Comoda - rinsalderanno il loro status con le sue prime edizioni a stampa. Di autori contemporanei sulla loro scia sono ben ricchi i secoli XV e XVI, dal padovano Africo Clementi a Gallo, a Bonardo, a Bussato, ai successivi Barpo, Tanara, Trinci fino all'ottocentesco Padre di famiglia dell' Albertazzi, · per citarne solo alcuni.
«Benchè sia stata recentemente riabilitata dalle scienze umane, la cucina non ha ancora ottenuto le sue credenziali fùosofiche. Non ci si è accorti che tra i fornelli e la sala da pranzo avviene un vero e proprio dramma ontologico, che l'identico si contrappone al diverso, l'uno al molteplice, il possibile al reale (... ) Come un'opera· d'arte, sciogliendo, eliminando essa promette più di quanto non mantenga» 9•
Troppo grande e del resto non del tutto ingiustificato, è stato il sospetto che tale disciplina si interessasse solo della tavola e dell'alimentazione di strati sociali elevati. Se non si può rifiutare apriorìsticamente quest'opinione, pare tuttavia che l'analisi di Emilio Facciali possa riequilibrare tale punto di vista, mettendo in luce aspetti prima sottovalutati: «Un'arte della cucina esiste oggettivamente come esercizio di ordine pratico, come oggetto di operazioni che si svolgono secondo un ritmo determinato e in accordo con norme generale e particolari, relative all'approvvigionamento dei prodotti, alla confezione dei cibi, alla preparazione delle bevande e ai molteplici servizi della mensa. Essa prevede un'esatta distribuzione dei tempi operativi e un elevato grado di specializzazione in rapporto ai compiti singoli (... ) Non diversamente, tempi e modi della pratica culinaria sono scanditi secondo un ordine non meno rigoroso anche quando le diverse mansioni .siano concentrate in una sola persona, impegnata nella preparazione quotidiana del desinare di famiglia (... ) Nell'esercizio della cucina è dunque implicito, a ogni livello, un intervento intellettuale che valga a razionalizzare l'attività empirica degli operatori manuali» 10•
Inoltre c'è qui solo lo spazio per ricordare _i significati ideologici e sociali espressi da mense sia ricche che parche, come Anna Maria Nada Patrone ha illustrato nella quinta parte del suo importante lavoro 11 , per non parlare della realizzabile lettura, anche attraverso complicate ricette ed elaborati menù, delle possibilità di app~ovvigionamento di sostanze sia «normali» che esotiche che incidevano sulla
·-q~
9 J.P. ARoN, C11cina, in Enciclopedia Eina11di, IV, Torino 1978,
p. 215. E. F ACCIOLI, L'arte... cit., p. VII. 11 A.M. NADA PATRONE, Il cibo del ricco ed il tibo del povero. Contrib11to alla storia q11alitativa dell'alimentazione. L'area pedemontana negli 11/timi secoli del Medioevo, Torino 1981, pp. 437-475. 10
J.L. FLANDRIN, Per tilla storia del g11sto, in «La mcina e la tavola», Bari 1987, p. 11. Cfr.. D. FRIGO, Il padre di famiglia. Governo della casa e governo civile nella tradizione de/I'« Econo11;ica» tra Ci11q11e e Seicento, Roma 1985. · 12
13
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Tiziana Plebani
L'alimentazione nelle fonti letterarie della Biblioteca nazionale marciana
Un patrimonio di conoscenze e tecniche ricchissimo, tra l'empirico e lo scientifico, dove la cucina svela il suo stretto legame con. la dispensa e con il ciclo produttivo, in un quadro regolato da norme sociali ed etiche. La medicina, e più precisamente la dietetica, costituisce l'altra fonte indispensabile del catalogo, un'altra delle storie che narrano un difficile equilibrio tra piacere e salute, in un rapporto vecchio come il mondo,· conflittuale e difficile, che ·nasce forse appena sopra la soglia della sottoalimentazione. Ce n'é testimone il pensiero greco, così attento ai riflessi degli alimenti sull'intero organismo, creatore di tipologie umane a cui con- . sigliate e destinare diete, sonni, veglie e «veneri» specifici, in una globalità di visione iri cui anche gli astri trovavano il loro posto. Dal . regime di Ippocrate ai consigli di Galeno sin fino all'ottocentesco Pasquali ed agli altri suoi contemporanei, paiono esser qui i medici a dettar legge, e non a torto, ma l'approccio scelto nel selezionare le opere; escludendo il taglio prettamente fisiologico, ha preferito l'occhio filosofico e più tollerante, a volte del tutto narrativo com'è il caso del Pisanelli, del Savonarola, famoso medico di Borso d'Este. Ma fanno irruzione in questo settore voci non strettamente allineate con la medicina, sor~e, per esempio, dell'opera di un Alvise Corner 14. . Problematico personaggio nato alla fine del XV secolo, veneziano ma anti-veneziano, nobile· senza nobiltà ed erudito senza laurea, egli fu sperimentatore di una dieta composta_ da cibi semplici e _senza condi- . menti, un moderno e un po' triste regime in bianco, che affermava avergli ~alvato la vita, dopo che era stato ormai dato per morto. E, a conferma e propaganda di ciò, il Corner rendeva nebulosa, se non falsa, la sua data di nascita 15 • Opere a carattere più strettamentç: filosofico e morale sono inoltre quelle del Ficino, di Erasmo,· le questioni sul «vitto pittagorico» affr~ntate da Cocchi, Odoardi e Zullati o le considerazioni sulla durata della vita umana ed i mezzi per prolungarla:, di cui ci parla il Lapasse, per giungere infine al grande Brillat-Savarin. Di morale alimentare,
ovviamente, si interessano i Padri della Chiesa, che· spess~ oppongono alla crapula il «piacere» del digiuno; la ricerca, in questo caso vastissima, si é 'limitata agli autori già segnalati dai repertori. Nel catalogo sono inseriti in una sezione a parte, come si può osservare · nell'indice per materie costituito da venti voci, i trattati riguardanti gli alimenti, alcuni raggruppati in particolari categorie (pane-panificazione; latte e formaggio; carne e pesce), altri relativi alle singole sostanze nutritive. Sguardo particolare é stato attribuito alle piante esotiche ed a caffé, té, cacao e cioccolata presenti, prima nei racconti dei viaggiatori, Benzoni, Gemelli Carreri, poi, -al loro radicarsi nel V ecduo mondo, nei dibattiti, talvolta a~cesi, sulla loro utilità o nocività. Dopo l'analisi dei trattati sulle bevande, in cui anche la neve, da antico costume romano, trova spazio, si fa largo la cospicua e affascinante editoria vinaria, che sembra proporre il vino come alleato dell'uomo, compagno indissolubile nel cammino della vita, ristoro alle sue fatiche e mediazione col divin·o (si pensi all'equazione sangue di Cristo-vìno nella religione cristiana). Si alza certo qualche voce, se non contraria, preoècupata, com'é . quella del De Amicis con Il Vino, ma la numerosità di trattati, s.onetti, poemi, tra cui il Bacco in Toscana del secentesco Redi, ad esso dedicàti, convince senza alcun dubbio della calda familiarità e dell'importanza della bevanda cara a Dioniso sulla tavola di ogni giorno, in un rapporto che dall'antichità prosegue senza interruzioni. Oltre ai testi dedicati ai mestieri ed alle tecnologie collegati alla culinaria, dal Garzoni de La Piazza universale di tutte le professioni del mondo, al Dizionario delle arti e de' mestieri del Griselini, vi sono quelli dedicati alla storia della gastronomia che svelano di conoscere le connotazioni ideologiche del cibo; già il greco Ateneo nel D_eipnosophiston rimproverava Omero di aver nutrito forzatamente i suoi eroi solo di carne arrostita, ancora sanguinolenta, p~r rafforzare un'immagine di virilità e integrità, poco avvicinabile alle tenerezze dei vegetali, alle bianche mollezze del cacio,. che avevano un ruolo predominante nella dieta dei suòi antenati. Ultima tra- le fonti analizzate é stata la produzione letteraria, dove si sono scelte quelle opere che rappresentano una maggiore specificità gastronomica, o, per meglio dire, una creazione più decisamente ispirata al gusto ed al piacere ad esso collegato.
14
A. CORNER, Trattato 15 G. GULLINO, Corner
pp. 142-146.
della vita sobria, Venètia [sec. XVI] .. Alvise, in Dizionario biografico degli italiani, XXIX, Roma 1983,
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Tiziana Plebani
RENATA RIZZO PAVONE - ANNA MARIA IOZZIA
Dopo i classici, dell'antichità; Petroniò, Marziale e Macrobio, _sono gli autori cinquecenteschi che itr1pongono il loro primato, sia quantità che varietà di stili e generi utilizzati. Già troppo conoscmt1 per dilungarci, Folengo. e Rabelais rappresentano qui la «summa» dell'oralità rinascimentale. Una breve considerazione pare tuttavia necessaria, quasi a mo' di conclusione: la complessità del rapporto uomo-cibo, con tutte le sue implicazioni e ramificazioni, di cui si é fatto cenno; ha reso difficile, discrezionale, se non a volte arbitraria, la selezione delle opere, arduo il definire rigidamente campi e settòri d'indagine, quasi argini che si . sgretolano ad ogni sussulto. Un lavoro di tal genere presta dunque il fianco inevitabilmente a critiche per le possibili esclusioni od al contrario per inserimenti a volte discutibili. Chi credesse del resto, attraverso un lavoro di catalogazione e classificazione di dominare completamente la materia, quasi ad esorcizzarla, ne uscirà deluso, perchè essa tenderà a sfuggirgli dalle mani e a rendere difficile uno sguardo asettico. Se é necessario un metodo d'indagine scrupoloso e paziente, è· indispensabile tuttavia, per una maggior conoscenza dell'argomento, appassionarsi alle vicende del cibo ed alle storie del corpo, rispettandone i segreti che vanno sussurrati a fil di labbra.
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Comunità monastiche catanesi tra '700 e '800 *
Tra le fonti per la storia dell'alimentazione conservate presso l' Archivio di Stato di Catania una delle più interessanti ai fini di uno studio relativo alla cultura alimentare è costituita dalla documentazione delle corporazioni religiose soppresse, documentazione che offre materiale omogeneo e seriale per un'indagine sui prodotti del catanese, sui consumi, sui prezzi nonché sui costumi alimentari degli ordini religiosi. La nostra ricerca, volendo cogliere un aspetto caratteristico della cultura alimentare in senso antropologico, e cioè il tipo di alimentazione in uso nelle comunità monastiche catanesi nei secoli XVIII. e XIX ' ha preso innanzi tutto in esame i registri Ordinari 1 del monastero di S. Nicolò l'Arena dell'ordine benedettino, congregazione cassinese 2 • In essi infatti, per un arco di tempo abbastanza consistente che va dal 1711 al 1814, anche se con lacune, venivano esclusivamente riportate le spese
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* Si ringraziano Serafina Picciolo, Renata De Simone e Gennaro Messore per la collaborazione prestata nella ricerca. · 1 ARCHIVIO DI STATO DI CATANIA (d'ora in poi ASCT), Benedettini, regg. 694-710, 712-715, 717-718, 722, 725 e 727-729. · 2 Per l'alimentazione dei monaci benedettini cfr. SAN BENEDETTO, Regula Sanctissimi Patris Benedicti cu,n notis, Napoli 1659; Regola · di S. Benedetto Abate e patriarca dei. Monaci coÌ/e dichiarazioni e costituzioni dei Padri della congregazione cassinese, Ma~tova MDCCXXIII; H. D'ARBOIS DE JUBAINVILLE, De ·la nourriture des Cisterciens, principalement à Clairva au XII• et au XIII• siècle, in «Bibliothèque de l'Ecole des Chartes», XIX (1858), pp. 271-282; G. ALBERTI, <<Diaeta parca» e salute. Lineamenti psicofisiologici nelle antiche regole religiose, Milano 1942, pp. 79-87 e 139-142; G. PoucASTRO, Catania nel Settecento, Torino 1950, pp. 54-55; A. DE VoGUÉ, Travail et alin1entation dans /es Règles di Saint Benozt et du Maztre, in «Revue Bénédictine», LXXIV (1964), pp. 242-251; M. MONTANARI, L'alimentazione contadina nelfAlto Medioevo, Napoli 1979, pp. 163, 284, 338-339, 383 e 405; A. D'AMBROSIO, Per·una storia del regime alitnentare nella legislazione monastica dall'Xl al XVIII secolo, in «Benedictina», XXXIII (1986), pp. 429-449; F. DE ROBERTO, I Viceré, Milano 1986, pp. 177-179.
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sostenute giornalmen_te per il pranzo e per la cena, con le indicazioni non solo del tipo e della quantità del cibo ma anche del numero . dei commensali. Quest'ultimo dato risulta assai prezioso, perché permette di ricavare i consumi pro capite di determinati generi alimentari. Le annotazioni però non possono ritenersi esaustive in quanto mancano spesso quelle riguardanti i proventi dell'orto, del frutteto e del pollaio, utilizzati quotidianamente per la tavola. I dati riportati negli Ordinari sono integrati da quelli contenuti nei registri Straordinari 3 che forniscono informazioni interessanti sulla preparazione delle vivande, in quanto vi erano segnate le spese per diversi ingredienti delle pietanze. Dallo studio di tali fonti è emersa la sistematicità con cui veniva gestita l'alimentazione sia giornaliera che di particolari occasioni nonché la persistenza nel tempo· di determinati comportamenti alimentari. Infatti in merito al vitto quotidiano sono stati rilevati quattro schemi relativi al susseguirsi delle portate a pranzo e a cena, schemi che venivano utilizzati a seconda dei giorni e degli obblighi in materia di astinenza e di digiuno previsti dal diritto canonico e dalla regola. Nella lor<;> formulazione si è mantenuto per le singole pietanze l'ordine riscontrato nei registri. Il primo schema comprendeva divèr_se portate a base di carne il cui consumo l'abate, secondo le dichiarazioni dei padri della congregaziorie cassinese, poteva concedere ai fratelli <<tre volte per ciascuna seuimana di tutto l'anno nei dì non vietati per alcuna causa ragionevole» 4 in deroga all'astensione dalla carne dei quadrupedi prevista dal cap. XXXIX 5 della regola di san Benedetto. Era seguito generalmente nei giorni di domenica, martedì e giovedì ed era così articolato:
PRANZO
CENA
Carne Minestra Antipasto Arrosto Frutta ·
Minestra Pesce «Terza cosa» Frutta e/o foglia
ASCT, Be~1edettini, regg. 711, 719-720, 724, 726, 731-732, 735, 738-739 e 741-742. Regola ... cit., p. 113. 5 SAN BENEDETTO, Reg11la ... cit., p. 163: «Carnium vero quadrupedum omni modo, ab omnibus abstineatur comestici». 3
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Relativamente al pranzo, per la prima poi:tata, cioè la carne (il cui quantitativo pro capite si aggirava sul mezzo chilo), non ne viene specificata la qualità né il modo di cucinarla. L~ seconda pietanza era generalmente costituita da pasta o riso (in ragione di circa g. 140-150 · a persona) e carne (in genere nella misura complessiva di tr.e rotoli, cioè di kg. 2,380); da minestre di carne e verdure con aggiunta di pasta (circa g. 50 a testa); da minestre di fave e lardo; zucca, prosciutto e carne; cavoli, carne e riso; da couscous con carne e da melinfante ' minutissime palline di semolino impastato con uova e cotte nel brodo di carne. L'antipast9, pietanza abbastanza elaborata da .collegàre ai tornagusto· della cucina baronale, era molto vario. Fra i tanti si segnalano: sfogliatine con rognonata e carne _conciate con uova, dal gusto dolce, come risulta dagli altri ingredienti segnati negli Straordinari 6 e cioè farina, miele, zucchero, uva passa, pinoli e conserva; lingue con prosciutto e carne; «granatine», polpette di carne dal volume inusitato, tanto da far attribui.re loro il nome di granatine, cioè piccole melagrane ripiene di dadini di soppressata ad imitazione dei chicchi di tale frutto; · «mortaretti», pasticci con carne, ricotta e caciocavallo, o con riso, caciocavallo; erbette e pomodori; antipasto grosso, composto da ortaggi come cavoli,· carciofi, pomodori, sedani e carote, e/o da legumi come fave, e/o da frutta come pere e pomi e da lardo, il tutto conciato con uova; «frusoloni» con carne, prosciutto e uova; «impanata» con pasta, lardo, salsiccia e soppressata; «raù» di carni diverse, talora farcite di prosciutto e uova; polpettoni con carne, lardo e ricotta e, talvolta, cacciagione. La quarta pietanza, cioè l'arrosto, era generalmente costituita da salsiccia 7, più raramente da filètti non meglio specificati. Qualche volta come «carizza» veniva aggiunto il fegato. Per la frutta, il cui consumo pro capite era di circa g. 150 8, nettissima era la prevalenza delle pere, seguite a breve distanza dalle mele 9• Assai forte era lo stacco 6
ASCT, Benedettini, reg. 741, c. 14. Le annotazioni di spesa si riferiscono in genere ad un quantitativo· di 5 rotoli (equivalente a circa kg: 4) che costituivano un piccolo assaggio oscillante tra g. 50 e 100· a persona. 8 Il consumo pro capite è stato calcolato in base ai quantitativi di frutta acquistata con esclusione quindi di quella di propria produzione. · 9 Sia per le pere che per le mele ne vengono specificate le diverse qualità: bergamotti, botiri, cavalieri," falconi, gambe di. donna, ghiaccioli, reaHper le prime; appi, cola,, gelati, meladeci, per le seconde. 7
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con l'altra frutta e cioè, nell'ordine, ciliegie, uva, prugne, mandòde, fichi, castagne, datteri, albicocche e uva passa 10• . La cena si apriva con una minestra di verdure, generalmente di un solo tipo, in prevalenza cicoria, «giri» (o bietole), «scalora» (o indivia), cavoli, crescione, spinaci, lattughe e talli di zucca, le ultime due con aggiunta di uova. Ad essa seguivano il pesce (quasi sempre di due qualità, in ragione di un quarto di rotolo a persona, cioè di circa g. 200) 11 e la «terza cosa», pietanza molto varia, dolce o salata. Come esempio della terza cosa si segnalano: ricotta; c_aciocavallo; pane fritto 12 con uova; pasta con finocchi; cavolo bastardo con alici o «surra» ; pomodori con uova e alici; caponata con asparagi, cavòli, sedani, melanzane, broccoli, alici e uova di tonno; ravioli di ceci; frittelle di zucca; pasta siringata; pasta cotta nel mosto; fave e cardofi; sciroppata di mele; «pomi gilippati» (cotti con sciroppo di zucchero); lasagnelle o crispelle di uova; crispelle o sfingi di ricotta; pasticci di sfoglia ripieni di ricotta e, in fine, riso dolce 13 • A conclusione veniva servita la frutta, accompagnata o sostituita dalla foglia che di frequente consisteva in finocchi d' Aci o cavoli. Il secondo schema, utilizzato generalmente per il pranzo e la cena del lunedì, prevedeva un num~ro ridotto di portate ed era così artico-
si è già visto, nella misura di tre rotoli) se ne aggiungeva dell'altra, in ragione di g. 130-150 circa a testa. Un'ulteriore integrazione di carne veniva fornita dalla «terza cosa», costantemente costituita, dalle sfogliatine di carne (g. 200 circa a persona) e rognonat~ (g. 70. circa a persona). A cena la presenzà della «terza cosa» era assai sporadica, per cui le portate si riducevano a tre. Il terzo schema, the riguardava i giorni di astinenza dalla carne, e cioè il venerdì (giorno che, secondo le dichiarazioni sopracitate, doveva invece essere di digiuno per tutto l'anno) 14. e il sabato, frequentemente seguito anche il mercoledì, si articolava in ,tal modo:
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lato: PRANZO
CENA
Uova
Minestra
Minestra
Pesce
«Terza cosa»
«Terza cosa»
Frutta
Foglia
Per quanto riguarda il pranzo, le uova, nella misura di un paio a persona, ne costituivano la pietanza principale. La minestra, quasi sempre di pasta, talora unita a verdura, a fini compensativi, si arricchiva di carne. Infatti a quella usata per sostanza (generalmente, come 10
Va sottolineata la manc;anza quasi totale di annotazioni di spesa relative ad agrumi per
tutto il '700. 11 Talora il pesce è sostituito dalle uova, un paio a pe_rsona. 12 Pancia del tonno, sia· fresca che salata. 13 ASCT, Benedettini, StraordinaÌ·i, reg. 741, c. 22v: era fatto con miele, mandorle, cioccolata, cannella, garofano e zucchero.
PRANZO
CENA
Primo pesce
Minestra ed insalata 15
Minestra
Pesce
Secondo pesce
Frutta o foglia
Frutta
La minestrà era a base di verdura o pesce, come ad esempio zuppa di ceci, pesce ed erbette o zuppa di pesce, tellinè e pasta oppure minestra di broccoli «giummati» o di cavoli e zucca o di fave e piselli. Le due pietanze di pesce si diversificavano, oltre che per la qualità, anche per la quantità: più abbondante la prima (g. 280 circa a persona), leggermente inferiore la seconda (g. 200 circa a persona) 16 • Tra i pesci di fiume che comparivano sulla tavola dei benedettini vi erano il luccio, la tinca, la « varvitta» (o barbo) e l'anguilla; tra quelli di mare l'aguglia imperiale, l'«aricciola», l'alalunga, il capone, il dentice, il dotto, il pesce luna, la «linguata» (o sogliola), il «luvaro» (o pagello), il merluzzo, il «mucco» o «nunnàta» 17, il «muletto» (o cefalo), la murena, l'ombrina, l'occhiata, il tonno, la «picara» (o razza), lo sgombro, la sarda, il pesce spada, la spigola, il salmone ·e la triglia; tra i crostacei e i molluschi vi erano gamberi e calamari. La preparazione
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Regola ... cit., p. 115. L'insalata figurava solo il venerdì. 16 Talora il secondo pesce era sostituito dà uova (un paio a persona), da crispelle o da sfoglia di ricotta con uova e caciocavallo. 17 Minutissimi pesci appena nati appartenenti a diverse specie. 15
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Comunità monastiche catanesi tra '700 e '800
più usuale del pesce era la frittura, come risulta dagli StraoÌ:dirtad,che riportano quasi quotidianamente ·la spesa della farina per pesce· fritto mattina e ,sera. Esso veniv~ accompagnato frequentemente da salse di ~rbette, pomodori ed alici oppure di mandorle e miele. Ricorrente era anche la preparazione ad «impanata», sfoglia di pasta che racchiudeva pesce e verdure diverse: particolarmente caratteristica !'«impanata» di «aricciola» e merluzzi con.. finocchi, cavoli, funghi e asparagi. Piuttosto raramente; nel corso dell'anno, in alcuni giorni di astinenza precedenti l'inizio della Quaresima e dell'Avvento ed· in talune festività, tra cui S. Placido e S. Martino, quando cadevano di mercoledì, venerdì o sabato, veniva seguito in alternativa lo schema dei giorni di lunedì, ovviamente con pietanze di magro. Il pranzo era infatti costituito da · una prima portata di uova, nella misura di due a persona, da minestra di pasta o riso con caciocavallo e uova, da una «terza. cosa» a base di pesce, come baccalà ripieno di mandorle, o a base di. ricotta e formaggio, come ·maccheroni alla pisana o «ravazzate» di uova, con ricotta, caciocavallo e piacentino. A cena la «terza cosa» era costantemente presente. Il quarto schema, infine, relativo al digiuno e all'astinenza dalla carne, osservati nella Quaresima, neli' Avvento e nelle vigilie delle · feste più importanti, rispondeva a quanto prescritto dalle dichiarazioni le quali, a tal riguardo, stabilivano che alla refezione del mezzodì dovesse darsi una « quantità dei cibi, che sia alquan1'o maggiore di quella, che si dà, quando non si digiuna, serbato però in tutti i luoghi e tempi l'uso, e la parsimonia monastica» 18 • Prevedeva due soluzioni per il pranzo e U:na sola per la cena, e cioè_:
La prima soluzione era seguita nei giorni di martedì, mercoledì e venerdì, la· seconda nei giorni di lunedì, giovedì e sabato. n quaq.titativo di pesce pro capite era rispettivamente di g. 280. e g. 200 circa per la prima variante 19 ; di g. 280 circa per la seconda. Tipiche del lunedì e del giovedì erano rispettivamente la minestra di pasta e ceci e quella di «triaca» (fagioli) con castagne e uva passa; così come caratteristico era il· ripetersi costante, a seconda dei giorni, della «quarta cosa», che era costituita da crispelle di riso 20 il lunedì, lenticchie il martedì, pasta fritta il mercoledì, riso dolce il giovedì, fave il venerdì, crispelle di panè il sabato. La minestra della sera non veniva mai specificata; la colazione si basava generalmente sul caviale, «cibo scelto per i digiuni della cristianità fino in Abissinia» 21 , o su pesce di qualità poco pregiata, come <<mucco», alici, telline, sarde, uova di tonno, aringhe, «morsello» 22, «surra» e pescicoli, dato in quantità. inferiore rispetto al normale e cioè in misura di g. 40 circa durante la Quaresima e in alcune vigilie e di g. 120 circa nel periodo d'Avvento. Anche il sopratavola, cioè la frutta, veniva dato in misura ridotta e precisamente g. 60 circa per la frutta secca come i «passoloni» (fichi seéchi) e g. 100 circa per la frutta fresca. In tali periodi, di domenica, il pranzo seguiva la seconda variante, quella delle due minestre, con la presenza costante di riso con <<,mendolata», cotto cioè nel latte di mandorla, come prima minestra e sfoglio di erbe con tonnina e uva passa o «imbanatelli» ripieni di pesce come «quarta cosa». La cena risultava più abbondante perché la minestra era seguita da una pietanza di pesce nella misura di g. 200 circa a testa, da una «terza cosa», per lo più pasta, e dallà foglia. V a sottolineato come, generalmente, nelle cene del martedì e del giovedì dei periodi di digiuno, ai giovani ed ai vecchi (per la cui debolezza la regola, al cap. XXXVII 23, raccomandav.a di avere sempre
CENA
PRANZO
Primo pesce
Pesce
Minestra
Minestra
Minestra
Colazione·
Secondo pesce
Seconda mine,stra
«Quarta cosa»
«Quarta. cosa»
Frutta
Frutta o verdura
·'.!:·
19
18
Regola ... cit., pp. 111-112.
. Sopratàvola
Esso era uguale a. quello dei giorni di astinenza. Per tali crispelle, che nella tradizione gastronomica catanese vengono chiamate proprio «crispelle alla benedettina», si riscontra (ASCT, Benedettini, Straordinari, reg. 741, c. 24r) l'uso di un 'ingrediente, le. mandorle, che non compare nella ricetta attuale. 41 F. BRAUDEL, Civiltà materiale, econon1ia e capitalismo (sec. XV-XVIII). Le strutture del quotidiano, Torino 1982, p. 189. 22 . Pezzetti di carne di tonno disseccata e salata. 23 SAN BENEDETTO, Regula ... cit., p. 154: «Et nullatenus eis districtio regulae teneatur in alimentis». 20
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riguardo, evitando di applicare ai loro pasti la severità prèvista cialla regola· stessa) fosse riservato un trattamento particolare: infatti veniv3:no loro serviti, in aggiunta, pesce,. in ragione di g. 200 circa a testa, pasta e broccoli. I comportamenti alimentari sintetizzati nei quattro schemi sopra esposti sono stati rilevati costantemente per l'arco di tempo compreso tra il 1768 e il 1794. Tali schemi devono considerarsi come il risultato di· un graduale assestamento nel tempo che viene incontro ad una ben precisa esigenza di un'alimentazione sempre più abbondante e varia, pur nella ricerca di un certo equilibrio e nel rispetto di determinate abitudini. Infatti agli inizi del secolo era talvolta minore il numero di portate nei giorni in cui era concesso l'uso della carne; mancavano la seconda pietanza di pesce nei giorni di astinenza e la «quarta cosa» nei giorni di digiuno 24 ; la cena, infine, era costantemente a base di uova ed insalata. Alla fine del '700 l'evidenziata tendenza ad un'alimentazione più abbondante porterà ad adottare il primo schema anche il lunedì e ad aggiungere una quarta pietanza, dolce o salata, nei pranzi dei giorni di venerdì e sabato. Tuttavia, ai fini di un maggiore equilibrio, la cena subirà una riduzione di portate, con l'abolizione della «terza cosa». Nei giorni di festa il pranzo si arricchiva in misura proporzionale all'importanza attribuita alla festa stessa. Ricorrenze particolarmente privilegiate erano quella del· fondatore dell'ordine, S. Benedetto, e quella del santo a cui era dedicato il monastero, S. Nicolò. In tali occasioni, che cadevano in periodo di digiuno e di astinenza, infatti si aggiungevano una quinta pietanza (fagioli con castagne e uva passa), il dolce, frutta di più tipi 25 e la cosiddetta «colazione dop-
pia» 26 , a base di salume, pesce salato od essiccato, come alici, «surra», «morsello», caviale, aringhe e uova di tonno. Questa colazione doppia, insieme a frutta di più tipi, tra cui arance, veniva consumata anche nel pranzo del Venerdì santo. In altre feste, come il Corpus . Domini, l'Assunzione e la Pentecoste, il pranzo era invece integrato soltanto dal dolce. Tra i dolci ricorrono, con particolare frequenza nella seconda metà del '700, il gelo di cioccolata e il gelo di cannella 27 • Caratteristico era il loro alternarsi nei giorni di lunedì e martedì di carnevale e in quelli di S. Nicolò e dell'Immacolata Concezione. Dolce tipico della festa del Santo Chiodo (14 settembre). era invece la sciroppata di pere. Vanno sottolineati per la loro ripetitività i menu dei pranzi nei giorni di Pasqua e Natale. Nella prima ricorrenza il pranzo comprendeva una pietanza di carne, minestra di pasta con carne, antipasto di sfogliatine, galline, capretti in fricassea, uova benedette, dolce bianco, frutta e foglia 28 • Identico era quello del giorno di Natale, eccezion fatta per le uova benedette che venivano sostituite dall'arrosto 29 • Pranzi ancora più ricchi, che si ripetevano con costante regolarità, secondo un unico schema, erano poi quelli del mercoledì e della
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Il secondo pesce comparirà sulle mense dei benedettini dapprima soltanto il venerdì e, in prosieguo di tempo, anche il sabato, mentre la «quarta cosa», presente inizialmente solo in maniera saltuaria, diventerà poi una componente costante del pranzo. Tali processi possono · considerarsi conclusi intorno alla metà del '700. 25 Si citano come esempi i pranzi del 21 marzo 1792 (S. Benedetto) e del 6 dicembre 1792 (S. Nicolò). Il primo (ASC'i', Benedettini, Ordinari, reg. 714, cc. 140v-141) era così costituito:. «aluzzi>i ed «aricciola», come primo pes~e; piselli con.cipolle e lattughe come prima minestra; merluzzi e palamiti ad «imban~ta» con finocchi, asparagi, broccoli, «surra», alici e passala; pasta con alici come seconda minestra; fagioli, passala e castagne come «quinta cosa», gelo di cannella come «sesta cosa»; carciofi, passala, fichi, noci e colazione doppia. Il secondo (Ibid., reg. 722, cc. 242v-244r) comprendeva: anguille ad ·«impanata» con asparagi, sedani, finocchi, cavolo bastardo, «surra» ed alici come primo pesce; riso con «mendolata»; pesce luna
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e «nonnato» come secondo pesce; broccoli «giummati» come «quarta cosa»; fagioli, passala e castagne come «quinta cosa»; gelo di cioccolata come «sesta cosa»; pere, pomi, foglia, mandorle, fichi e noci. 26 Mentre nella ricorrenza di S. Benedetto la colazione doppia veniva consumata a pranzo in ossequio al digiuno serale, per S. Nicolò era invece servita a cena in quanto, secondo le dichiarazioni dei padri cassinesi, tra le feste in cui si era dispensati dal digiuno vi era anche quella del «titolo del luogo» (Regola ... cit., p. 116). , 27 ASCT, Benedettini, Straordinari, reg. 741, cc. 21, 36v, 38v.. Era preparato, oltre che con zucchero, cannella e amido, anche con «cucuzzata» (zucca gialla candita), pistacchi e garofano, ingredienti questi che non compaiono nella ·ricetta tradizionale. 28 A conferma della sopraccennata tendenza ad un'alimentazione più ricca è significativo il confronto con i menu dei giorni di festa degli inizi del '700. Ad esempio il pranzo del, giorno di Pasqua del 1712, che si ripete inalterato per un certo numero di anni, era composto (ASCT, Benedettini, Ordinari, reg. 697, c. 52r) da una minestra bianca conciata con uova; dal «ciucello» (polpettine di pangrattato impastate con uova, aglio, prezzemolo e formaggio e cotte nel. brodo di ·carne), uova benedette, tartara e ricotta .con uova. 29 Naturalmente, se Natale cadeva in giorni di astinenza, il pranzo, sempre ricco di portate, era di magro. Il pranzo di Natale del 1784 (ibid., reg. 700, c. 65v) comprendeva una minestra di pasta con pesce; gamberi come primo pesce; merluzzi e pesce luna· con salsa di erbette e alici come secondo pesce; cavolo bastardo e «surra» come «quarta cosa». Dolce bianco, insalata e frutta varia cioè mele, fichi e noci, concludevano il pasto.
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Renata Rizzo Pavone - Anna Maria Iozzia
Comunità monastiche catanesi tra '700 e '800
domenica che precedevano il periodo quaresimale e quello ·del giovedì antecedente l'inizio dell'Avvento. Tali pranzi 30 erano così articolati: minestra «oglia», cioè una minestra di origine spagnola a base di carne di «genco » (giovenco), maiale e salsiccia; «entragnos » con fegato · di maiale come primo antipasto; galline; sfogliatine con carne e rognonata come secondo antipasto; galli d'India, capretti, porcelli~ gelatina di maiale, frutta e dolce bianco. Sul finire del '700 la mmestra «oglia» viene sostituita da pasticci di riso conditi sempre con carne di «genco», maiale e salsiccia, mentre viene meno l'antipasto a base di «entragnos» e si verificano alcune variazioni nel piatto dolce. Tali cambiamenti, insieme ad altre innovazioni che nello stesso torno di tempo si sono venute introducendo nei menu dei giorni festivi; rivelano un'esigenza. di maggiore ricercatezza ed elaborazione nella· preparazione dei cibi, che troverà piena realizzazione agli inizi dell'800, anche non in coincidenza con ricorrenze particolari. Compaiono infatti sulla tavola dei benedettini 31 «riso in cagnò», « barrachiglie» di riso e cacid'cavallo, «cutumè» di ri~o o di ricotta, «sorciccelli di pasta brugnè» con caciocavallo e piacentino, gnocchi alla tedesca, pasticciotti di pasta frolla con caciocavallo, lardo e prosciutto, pasta alla « braciamela», geli di pistacchi e di mandorle, torte ripiene di conserva di «vercòca» (albicocca), tartarette di mandorle con crema di latte _o crema di cioccolata, torte ripiene di «persiche» (pesche) o di ciliegie, pani di spagna ripieni di latte e cioccolata con «meringola», «teste di turco» farcite di crema di cioccolata o di conserva di pistacchi, «rizzale» di conserva di mandorle, -pistacchi e pomi. · La persistenza nel tempo di determinate abitudini alimentari, rilevata per i benedettini del monastero di S. Nicolò l'Arena, trova riscontro, soprattutto a livello _di particolari occasioni, anche nella documentazione delle altre comunità monastiche catanesi, e cioè i monasteri femminili benedettini di S. Placido, di S. Giuliano e della Ss. Trinità. Infatti nei registri contabili di tali comunità, per le quali non si conservano purtroppo i libri del vitto giornaliero, ritornano con cadenza sistematica le spese, a seconda delle ricorrenze, per generi
alimentari sempre uguali. Ad esempio l'acquisto di meloni per la festività di mezzagosto, annotato nel Libro d'esito del 1720-1723 32 del monastero della Ss. Trinità, si rinnova costantemente negli anni sino agli inizi dell'800 33 , così come l'abitudine delle religiose del monastero di S. Giuliano di privilegiare la festa di S. Martino con pollame, confetti, noci, castagne, pomi di più tipi (agrodolci, meladeci, appi e ranette) e pere 34, riscontrata nel Libro d'esito del 1735-1737 35 , si mantiene sostanzialmente inalterata 36 fmo alla metà dell'800 37 • Le stesse monache consumavano sorbetti di fragole per il Corpus Domini, di meÌone per la fiera d'agosto, di cioccolata e pistacchi per la festa delle Quarantore. Nel monastero di S. Placido, piatto caratteristico dei giorni di festa 38 era il riso cori uova, ricotta e «scaldati» (formaggio giallo senza sale), mentre per Pasqua e Natale veniva effettuata fl.bitualmente la «caliatura» dei ceci 39 • Durante le feste assai cospicuo era inoltre, per tutte le comunità, il consumo di dolci 40 tra cui«cannoletti» a base di riso, uova e latte 41 , biscotti di mandorle ricoperti di «liffia» (glassa di cioccolata) 42, «mostazzole» 43 , cassate di ricotta per Pasqua, «fastu-
30 Per il periodo che va dal 1784 al 1801 questi pranzi sono segnati sotto la voce «Infirmaria straordinaria». 31 Ibid., regg. 695 e 717.
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ASCT, Corporazioni religiose soppresse, Ss. Trinità, Contabilità, reg. 516, c. 5(2). Ibid., reg. 511, c. 48v (anno 1812); reg. 584, c. 47v (anno 1814). 34 L'acquisto di frutta di più tipi per la festa di S. Martino si rileva anche per il monastero della Ss. Trinità. 35 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Giulia~o, Contabilità, reg. 132, c. 23r. 36 Tranne la sostituzione nel corso degli anni dei confetti con il torrone e l'aggiunta del dolce bianc9. 37 Ibid., reg. 185, c. 30r (anno 1861). 38 Epifania, Giovedì grasso, Carnevale e Pentecoste. 39 Ceci tostati, insieme a riso dolce e «moletti», venivano consumati nel monastero della Ss. Trinità per la cena del Giovedì santo. ASCT, Corporazioni religiose soppresse, Ss. Trinità, · Contabilità, reg. 519, c. 4(1); reg. 581, cc. 94r e 97v. 40 Spesso tali dolci venivano regalati a persone di riguardo come re Ferdinando III durante la sua venuta ; Catania il 19 aprile 1806 (ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Placido, Contabilità, reg. 89, c. 216(2) e Ss. Trinità, Contabilità: reg. 580, c. 17r), il vescovo, i religiosi che tenevano le prediche e i procuratori del monastero. Nella loro preparazione una cura particolare era posta dalle monache della. Ss. Trinità con l'uso di carta stagnola per· la decorazione e la confezione. 41 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, Ss. Trinità, Contabilità, reg. 541, c. 54(2). 42 Ibid., reg. 519; cc. 69(2) e 70(1); reg. 541, c. 54(1). 43 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Placido, Contabilità, reg. 88 bis, c. 164(2). Biscotti di sottile sfoglia di. farina «roccella» farciti con mandorle e nocciole abbrustolite, noci, buccia · d';irancia legate con vino. cotto e miele. · 33
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Renata Rizzo Pavone - Anna Maria Iozzia
Comunità monastiche catanesi tra '700 e '800
cata» 44' «combaita» 45 e dolce bianco. Altrettanto rilevante era . il consumo di cioccolata. Basti qui ricordare come il 7 giugno 1796 46 la badessa del monastero di S. Giuliano, al termine di una ricreazione a base di pollame, lingue, midolli, filetti, sorbetti e gelati, offra ad ogni religiosa ben 12 libbre di cioccolata, equivalenti a circa kg. 3,700. Ritornando alla visione del quotidiano, ai fini di una migliore comprensione dell'alimentazione dei benedettini, la ricerca è stata allargata a quelle comunità religiose la cui documentazione, anche se quantitativamente inferiore, offrisse la possibilità di un confronto. Per quanto riguarda due comunità, il convento di S. Maria dell'Annunziata · dell'ordine dei carmelitani regolari osservanti ed il convento di S. Caterina al Rosario dell'ordine dei domenicani sono stati utilizzati rispettivamente l'unico Esito ordinario e l'unico Libro del vitto quotidiano che, alla stessa stregua degli Ordinari dei benedettini, riportano esclusivamente le spese sostenute giornalmente per il prànzo e per la cena; per altre due, il convento di S. Maria del Gesù dell'ordine dei minori riformati e il convento di S. Francesco di Paola dell'ordine dei minimi, sono stati esaminati i Libri d'esito che possono essere assimilati ai registri prima menzionati in quanto, insieme a spese varie, riportano le spese sostenute giornalmente per il vitto 47 • Non è stato possibile tuttavia effettuare un riscontro puntuale e sistematico perché i registri contabili di tali comunità, pur appartenendo alla stessa fonte tipologica, forniscono indicazioni· meno significative. Infatti la genericità di certi termini come · minestra, pietanza, post-pasto, sopratavola ecc., non
permette di avanzare considerazioni di rilievo sul contenuto di talune portate e sulla varietà delle vivande; mentre l'assenza, il più delle volte, dei dati necessari per il rilevamento dei consumi pro capite impedisce gli opportuni accostamenti. Infine la mancanza, in qualche caso, di upa precisa separazione tra mezzogiorno e sera e delle annotazioni~ per i conventi che vivevano di elemosina, dei cibi pervenuti a tal titolo non sempre consente di avere una chiara visione del niodo in cui si articolavano effettivamente il pranzo e la cena. Rispetto a quello dei benedettini, il pranzo delle altre comunità religiose era èomposto da un numero più o meno ridott(') di portate e precisamente quattro per i domenicani (minestra, pietanza, antipasto e soprapasto), tre per i carmelitani e i minori riformati (minestra, pietanza e antipasto) e per i minimi (minestra, pietanza e sopratavola). Molto vaghe sono in genere le annotazioni relative alla minestra, che era a base di pasta o riso, il cui quantitativo giornaliero per i carmelitani (per i quali soltanto è possibile ricavare i consumi pro capite) si aggirava intorno a g. 100 a persona. Tale quantità, alla fine del periodo esaminato (1830-1843), si attesta intorno a g. 140 circa nei giorni di astinenza e digiuno, di cui caratteristica era la_ minestra dolce di riso, condita con zucchero e cannella. Sia la pietanza che l'antipasto erano generalmente costituiti da carne, nei giorni in cui ne era consentito l'uso. La carne di giovenco era quella che compariva con maggiore frequenza sulla tavola dei minori riformati i quali ne riducevano il consumo, abolendo l'antipasto, nei giorni di lunedì e mercoledì 48 • Abbastanza vari sono gli antipasti riscontrati nel Libro del vitto quotidiano dei domenicani di S. Caterina al Rosario: agnello, «costi», caccia, « ballotti», trippa, piedi di maiale, « cucuzza» ripiena, antipasto con foglià, « capoliato » (carne tagliat~ minutamente), fegato, antipasto grosso, tonnina, salume. Il «quadume», cioè le frattaglie e le interiora di animali, cibo in uso presso le classi più povere, è invece uno dei pochi antipasti riscontrati per i carmelitani e i minori riformati: questi ultimi lo consumavano abitualmente ogni martedì. Il quantitativo giornaliero di c~rne pro capite per i carmelitani
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44 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Giuliano, Co11tabilità, reg. 146,. cc._ 18(2), 33(2) e 67(2). Dolce a base di pistacchi legati da zucchero vanigliato e spolverati con cannella. 45 ASCT, Corporazio11i religiose soppresse, Ss. Tri11ità, CotJtabilità, reg. 539 bis, c. 12(1). 46 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Giuliano, Contabilità, reg. 146, c. 132(2). 47 La documentazione si riferisce ad un arco di tempo piuttosto limitato. Infatti il Libro d'esito ordinario di S. Maria dell'Annunziata (ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria dell'Annunziata, reg. 894) è relativo agli anni 1830-1843; il Libro del vitto quotidiano di S. Caterina al Rosario (ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Caterina al Rosario, reg. 451) riguarda gli anni 1831-1835; i Libri d'esito di S. Maria del Gesù, pur abbracciando, anche se con lacune, il periodo dal 1728 al 1866 (ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria del Gesù, regg. 1.020-1.021 ter, 1.022, 1.024 e 1.026-1.027), solo per gli anni 1840-1849 (reg; 1021) contengono indicazioni significative; quelli di S. Francesco di Paola (ASCT, Co,porazioni religiose soppresse, S. Francesco di Paola, regg. 1.038, 1.040-1.042, 1.044-1.045 e 1.046 bis-1.046 ter) si riferiscono infine agli anni 1834-1866 ..
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Il quantitativo di carne annotato in tali giorni sotto la voce «pietanza» è in genere la metà di quello segnato nei giorni di domenica e giovedì sotto la voce «carne per pietanza e antipasto» e nel giorno di martedì sotto le voci .«carne per pietanza» e «interiora».
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si aggirava intorno a g. 300 circ.a per pietanza e antipasto 49 •. Nei giorni di astinenza la pietanza era generalmente costituita da pesce, di cui la frittura era una delle preparazioni più ricorrenti. Di g. 150 circa a persona era la porzione di pesce consumata dai carmelitani, i quali, talvolta, lo sostituivano con tre uova a testa o con ricotta e uova. In tali giorni inpltre, mentre la terza portata dei domenicani, cioè l'antipasto, era sempre a base di pesce, quella dei carmelitani 50 era costituita o da pesce, in quantità leggermente più ridotta di quella della «pietanza» (g. 130 circa a persona) o da legumi o da verdure o da uova, nella misura di due a persona. Tale portata manca invece nel pranzo dei minori riformati. Nei giorni di digiuno i domenicani, alla stessa stregua dei benedettini, integravano il pranzo con un ulteriore piatto, lo «scotellino», a base di legumi (fagioli o ceci) o di verdure (broccoli o carciofi). Per tutte le comunità la cena era composta da urta minestra, per lo più di verdure, e da una pietanza, prevalentemente a base di pesce, cui si aggiungeva, per i carmelitani e per i minimi, una terza portata (il post-pasto o sopratavdla) non meglio specificato. Cibi alternativi alla pietanza di pesce erano interiora, fegato, cacio fresco o caciocavallo vecchio per i minori riformati; uova, ricotta o turna per i domenicani; due· uova a persona per i carmelitani. Nelle sere di digiuno il quantitativo di pesce, più vario e di maggior pregio rispetto a quello che i benedettini utilizzavano nella stessa circostanza, ovviamente diminuiva: per i carmelitani passava infatti da g. 130 a g. 90 circa a persona. In tale occasione i domenicani, al posto del pesce, consumavano talvolta frutta come mandorle, passala e castagne 51 • I pranzi dei giorni di festa vènivano privilegiati con l'aggiunta generalmente di una pietanza di carne o di pesce, più raramente con il
dolce, salvo ricorrenze particolari in cui il numero delle portate a-umentava ulteriormente. Notevole rilievo era dato, ad esempio, dai minori riformati alla festa di S. Francesco, in cui a pranzo, oltre alla minestra e a tre pietanze di carne, veniva servito un «piattino» a base di pesce salato 52 • I pranzi di ricorrenze particolarmente significative 53 venivano arricchiti dai domenicani con una s~conda pietanza, un secondo antipasto e il dolce. In tali occasioni piatto caratteristico era in genere la pasta «incasciata», cioè al forno, con carne, melanzane, cannella e garofano; mentre assai cospicuo, specie a Pasqua e a Natale, era il. consumo di carne di gallina. Addirittura nella Pasqua del 1832 54, oltre ad una minestra di riso con uova, ad un antipasto di «ciarelli» (capretti) e al gelato, furono· serviti antipasto, prima pietanza e seconda pietanza a base di carne di gallina. Sulla mensa dei carmelitani a Natale e Pasqua comparivano, oltre alla minestra, alla pietanza e all'antipasto, galline e fegato, cui si aggiungevano nella ricorrenza pasquale le uova benedette; pietanza tipica di S. Giuseppe erano poi le crispelle con alici o le crispelle dolci di riso 55 • Ovviamente meno varia· era l'alimentazione dei minimi del convento di S. Francesco di Paola, costretti dalla loro regola ad una perpetua vita quaresimale 56 • Dai Libri d'esito di tale convento emerge appunto un regime alimentare basato essenzialmente su pane, pasta, vegetali e pesce. Quest'ultimo, oltre ad essere spesso presente nelle m}nestre di pasta o in quelle di verdure, era alla base delle pietanze del pranzo e della cena. Raro è invece il consumo di tartarughe, di cui i minimi potevano cibarsi perché considerate cibo di magro per le loro abitudini acquatiche, in virtù della concessione di Adriano VI con la bolla
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Per tale comunità l'antipasto era prevalentemente a base di carne perché è assai frequente l'indicazione «pietanza con antipasto carne» accanto alla quale è annotato un quantitativo di carne sensibilmente superiore a quello ripor'tato accanto alle voci «pietanza carne» e «antipasto di· convento». · 50 Tale portata era denominata «scotellino». 51 I domenicani nel giorno del Venerdì santo osservavano un più stretto digiuno con l'abolizione, oltre che dell'antipasto e dello «scotellino» a pranzo, del pasto serale (ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Caterina al Rosario, reg. 451, cc. 44v, 94v e 149r), a differenza dei benedettini che. arricchivano invece il pranzo con salumi e frutta di più tipi.
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52 Se tale festa però capitava in giorni di astinenza e di digiuno, in ossequio alla regola, non venivano fatte concessioni significative, .ma era aggiunto soltanto un quarto piatto di pesce o di formaggio. 53 Natale, Pasqua, S. Martino, S. Caterina, S. Domenico, la Madonna del Rosario. 54 ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Caterina al Rosario, reg. 451, c. 44v. 55 ASCT, Corporazioni religiose soppi-esse, S. Maria dell'Ann11nziata, reg. 894, cc. 29r e 177r. 56 G. ALBERTI, Diaeta· ... cit., p. 111: «Dunque a tutti essi è proibito sotto ogni riguardo ed inesorabilmente di cibarsi, dentro e fuori del convento, di· carne di grasso, di uova, di butirro, di formaggio e di ogni specie di latticinii e di qualsiasi altro prodotto o derivato dalla carne» (cap. VI, 25).
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Universis et singulis del 14 aprile 1524 57 • Va sottolineata tuttavia-per ess"i la tendenza a migliorare ed arricchire la propria alimentazione. Con il passare del tempo, infatti, il pesce diventa sempre più . vario e pregiato: mentre intorno al 1839 ricorrono nell'ordine di consumo cefali, baccalà, sgombri, alici, capone, merluzzi, razze e sarde, verso il 1865 si riscontrano una prevalenza del merluzzo e una cospicua presenza di cernia e pesce spada. · Altresì significativo è il fatto che le integrazioni dei pranzi dei giorni di festa, che prima si limitavano all'aggiunta di una seconda minestra o di una seconda pietanza, diventano via via sempre più rilevanti. Davvero ricco è il pranzo del 22 . aprile 1860, festa di S. Francesco di Paola, in cui vennero serviti 58 una minestra di pasta, una minestra di fave e piselli, tonnacchio, pesce luna, carciofi, sopratavola doppio, piatto dolce e un «piattino» a. base di pesce salato. Tra i piatd dolci ricorrono la crema di mandorle, le fragole con zucchero e la cedrata servita, insieme con le nocciole, per Natale. Notevolissimo era. infine il consumo di «scacciu», cioè frutta secca, come nocciole, mandorle e noci, che durante la «conversazione» si accompagnava al vino. Dal confronto effettuato sono emersi diversi elementi che accomunano l'alimentazione degli ordini religiosi presi in esame, quali la frequente presenza nel pas~o del mezzogiorno di due pietanze di carne, il consumo pressocché costante a cena di una pietanza a base di pesce, il ripetersi nel tempo di certe abitudini sia a livello di alimentazione quotidiana (come l'uso delle interiora per i minori riformati ogni martedì o della minestra di fagioli con uva passa e castagne per i benedettini nei giovedì di digiuno) che di quella dei giorni di festa, la tendenza a privilegiare determinate ricorrenze con pranzi più ricchi di portate, il consumo di pesce salato o essiccato (la «colazione doppia» dei benedettini, il «piattino» dei minimi e dei minori riformati) in occasioni particolari. Tuttavia i benedettini, ferme restando le considerazioni avanzate sulla carenza di indicazioni dei registri contabili degli altri ordini, assumono indubbiamente una posizione di rilievo nei confronti di tali· comunità religiose. Infatti la loro alimentazione, · gestita tra l'altro in maniera più articolata e sistematica, risulta senz'al57
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Ibid., p. 114.
ASCT, Corporazioni religiose soppresse, S. Francesco di Paola, Libri d'esito,_ reg. 1.045, c. 43v.
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tra superiore. Relativamente ai· consumi pro capite assai significativo è, ad esempio, il confronto tra il loro quantitativo giornaliero di carne, g. 500 circa, senza tener conto della carne usata per l'antipasto e per l'arrosto, e quello dei carmelitani, g. 300 circa 59 • Altresì significativo è il fatto che nei giorni dì astinenza la quantità della pietanza principale di pesce dei carmelitani fosse quasi la metà di quella dei benedettini, sulla cui mensa, fra l'altro, compare pesce di gran lunga più pregiato. Inoltre l'integrazione del pranzo con una quarta pietanza, attuata da questi ultimi nei giorni di digiuno per compensare la ridotta alimentazione della sera, trova riscontro solo nei domenicani. Né è certo un caso che le altre comunità religiose preferissero arricchire i pranzi dei giorni di festa con una pietanza di carne o di pesce più che con il dolce. Oltre che per l'abbondanza e la ricchezza, l'alimentazione dei benedettini si distacca dalle altre anche per la presenza di una cucina che nel tempo diventa sempre più varia ed elaborata, cucina che risente dell'influenza di quella francese, molto forte in Sicilia soprattutto nella seconda metà del sec. XVIII, per opera dei «monsù», cioè dei cuochi francesi che venivano a prestare la loro opera presso le migliori famiglie siciliane. Chiaramente tale superiorità deve essere ricondotta al ruolo di spicco che i benedettini occupavano nell'ambito della società siciliana sia per la loro appartenenza alle famiglie più nobili di tutta l'isola, sia per le notevolissime possibilità finanziarie derivanti dai numerosi benefici e privilegi, ricevuti nel corso dei secoli, che li avevano resi p~oprietari di vasti possedimenti terrieri. Piace ,a questo punto, per concludere, ricordare che i benedettini, come riferis~e A. Dumas padre, godevano «la reputation ( ... ) de posséder ( ... ) le meilleur cuisinier de toute la Sicile» 60 •
59 Per i consumi delle. comunità religiose di Palermo cfr. M. AYMARD-H. BRESC, No11rritt1res et consommation en Sicife entre XIV• et XVIII' siècle, in «Annales E.S.C.»,. XXX (1975),
pp. 592-599. 60 A. DUMAS, Impressions de voyage. Le speronare, Calmann Levy 1888 (N.E.), I, p. 182.
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
PATRIZIA SCHIAPPA CASSE
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
1. - Scopo della presente ricerca è quello di illustrare un particolare tipo di fonti documentarie, i cosiddetti «libri di cucina» o «libri del cuoco», il cui studio, integrato da qaello condotto su altre fonti,, di natura contabile e non, può contribuire, almeno in parte, a chiarire gli interrogativi riguardanti i consumi alimentari e l'alimentazione delle famiglie patrizie genovesi e, più in generale, della società genovese in età modèrna. Le famiglie nobili sono i gruppi detentori del potere politic9 ed economico, le casate che si sono arricchite, hanno introdotto mutamenti nell'assetto politico e hanno contribuito a cambiare il volto stesso della città· con la costruzione degli splendidi palazzi, che ancora oggi si ammirano. Non è solo frutto di curiosità, dunque, far luce sui loro «investirrienti alimentari». A questo proposito bisogna dire che sono stati già condotti studi sui consumi alimentari delle famiglie a Genova in età moderna in documentazione risalente agli inizi del secolo XVII e, sulla base dei dati risult~nti dai libri del cuoco e da altri registri, si sono operati confronti, utili a evidenziare le differenze sostanziali tra l'alimentazione di gruppi sociali diversi e la struttura dei consumi alimentari delle famiglie. Pertanto, nel «quasi» silenzio delle altre fonti, questo tipo di documentazione acquista una rilevanza particolare. Dai diari e dalle lettere e me.morie dei viaggiatori stranieri in Liguria e a Genova nel secolo XVIII emergono giudizi non sempre lusinghieri sulle abitudini alimentari delle fart1iglie genovesi: si rimprovera la scarsità di inviti a pranzo e a cena e la si attribuisce a un esagerato senso di parsimonia, che sembra trovare un valido interprete nell'economo, specialmente nel caso in cui quest'ultimo sia un
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prete. È probabile che queste impressioni siano state turbate da pregiudizi, duri a morire, sugli usi e costumi della terra ligure e in special modo della gente della « Superba», · pregiudizi · ripetuti da ex-viaggiatori nei loro racconti ai novelli viaggiatori. Tuttavia queste riflessi_oni galleggiano alla superficie del problema· di come si alimentavano le classi sociali a Genova, ne restano al di fuori, così come restavano fuori dalle porte dei palazzi e delle case patrizie i visitatori forestieri, che, quantunque spesso personaggi famosi o almeno noti a una certa élite, non solo non erano invitati a partecipare al desco familiare, ma a fatica riuscivano nell'intento di visitare le stupende collezioni di quadri 1• Per sapere qualcosa di più sull'alimentazione e sui consumi alimentari delle famiglie occorre quindi indirizzare la ricerca sulle testimonianze fornite dai registri, in cui sono annotate, giorno per giorno, le spese minute di cucina. Queste fonti rivestono particolare interesse per la
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Cfr. M. NOVELLI, Bilanci alimentari in Lig11ria all'inizio del Seicento, in ·«Rivista internazionale di scienze economiche e commerciali», 1955, 1, pp. 2-26; e inoltre L. FoRNASARI, Contrib11to alla storia dei cons111J1i alimentari a Genova nei secoli XVII e XVIII, Tesi di laurea, Università di Genova, Facoltà' di economia e commercio, 1969-1970; M. DEL LUNGO, Un sondaggio sulle razioni di co1111mità a « n11tri1J1ento collettivo>> e sui cons11111i privati ,:z Genova in età 111odema: dati su qualità, q11a11tità e prezzo, in Atti del convegno «Cultura e storia dell'alit11entazione», Imperia 1983. Sugli usi alimentari dei Genovesi nei secoli precedenti cfr. L.T. BELGRANO, Della vita privata dei Genovesi, Genova 1875, pp. 151-193; M. MONTANARI, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Bari 1988, pp. 164-174. Sulla _problemetica riguardante le fonti e il loro utilizzo cfr. F. BRAUDEL, Ali111entation et catégories de l'hi:rtoire, in Pour 11ne histoire de l'alùmntation, Recueil de travaux présentés par j.-j. HEMARDINQUER, Paris 1970, pp. 15-19; F. SPOONER, Régit11es ali111entaires d'a11trefois: proportions et calmls en calories, ibid., pp. 35-42; W. KULA, Problemi e 1J1etodi di Storia Eco110111ica, Milano 1972, pp. 219-261; M. AYMARD; Histoire de l'alitmntation.: l'Italie, in «Mélanges de l'Ecole française de Rame, Moyen Age, Temps modernes», LXXXVII (1975), pp. 455-460; Io., Po11r l'histoire de l'alÌIJJe11tation: q11elq11es mnarq11es de 111éthode, in .«Annales E.S.C.», XXX (1975), 2-3, pp. 431-444; B. BENNASSAR-G. GoY, Contribution à l'histoire de la cons~1m11ation ali,;,entaire d11 XIV• a11 XIX• siècle, ibid., pp. 405-429; in particolare per l'Italia cfr. G. FINTO, Le fonti documentarie bassomedieva/ì, in. «Archeologia medievale», VIII (1981), pp. 39-58. Sulla problematica riguardante lo studio dell'alimentazione a Gen~va cfr. E. GRENDI, Introduzione alla storia moderna della Repubblica di Genova, Genova 1976, pp. 34-40. Sui giudizi espressi dai viaggiatori stranieri in Liguria cfr. V. VITALE, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, p. 434. Pareri negativi sono espressi da C.L. de Montesquieu nel 1728 (Viaggio in Italia, Bari 1971, pp. 116-117) e da Charles de Brosses nel 1739, che pure ... trovava «divini» i sorbetti (Viaggio in Italia, lettere fa111Ìliari, Bari 1973, pp. 32-35). Per i giudizi di Ch. Dupaty e di Stendhal si veda G. MARCENARO, Viaggiatori stranieri in Liguria, Genova 1987, pp. 47 e 68-69.
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie· patrizie genovesi in ètà moderna
storia economica e sociale, per lo studio della civiltà materiale e della cultura alimentare a Genova in età moderna e contemporanea: Sono conservate negli archivi privati di famiglie - i Doria di Montaldeo, i Brignole Sale, gli Spinola - , nella serie Manoscritti e nel Fondo «famiglie» dell'Archivio di Stato di Genova. Sono tutte in ottimo stato di conservazione e poco studiate. In genere i libri del cuoco sono attribuiti a una famiglia e spesso direttamente a uno dei suoi membri. Le scritture riguardano le spese per l'alimentazione sostenute a Genova, ma, tra i registri, ve ne sono alcuni contenenti registrazioni contabili di permanenze all'estero, a Parigi, Roma, Vienna, Piacenza, Milano, a cui si devono aggiungere quelle a Novi e Montaldeo. Si riferiscono ai secoli XVII, XVIII e XIX 2• .,
La conservazione di queste fonti è dovuta al caso: in effetti l'interesse per ·la loro archiviazione veniva meno, una volta che i totali delle spese, in essi contenuti, erano stati registrati nei mastri delle entrate e delle uscite delle famiglie o nei libri di cassa. Di qui deriva l'esiguità e la frammentarietà di queste sottoserie, esclusi ·i registri della famiglia Doria di Montaldeo, numerosi soprattutto per i secoli
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L'At"Chivio Doria contiene le carte della famiglia Daria di Montaldeo ed è conservato pre~so l'Istituto di storia economica della facoltà di economia e commercio dell'Università degli studi di Genova. Dall'inventario risultano 59 libri di spese giornaliere di cucina, compresi tra il secolo XVII e il XIX, così ripartiti: di Ambrogio Daria: regg. 665 (1639-41), 666 (1687-88), 667 (1690-91), 668 (1695-97), 669 (1697); di Giorgio Daria: regg. 714 (1704-11), 715 (1712-14), 716 (1715-16), 717 (1726-28), 718 (1729-31), 719 (1730-31), 720 (1730-33), 721 (1736-39), 722 (1739), 903 (1710-12); di Clemente Daria: regg. 802 (1700-1701), 803 (1716), 804 (1738); di Ambrogio Doria: reg·. 817 (1742-45); di Isabella de Mari in Daria: reg. 834 (1750-52), 835 (1753-58); di Stefano Daria: regg. 723 · (1744-46), 892 (1748); di Clemente e Giorgio Daria: reg. 1030 (1745-47); di Giorgio Daria: regg. 1031 (1756-~8), 1032 (1759-60), 1033 (1760), 1034 (1760-61), 1035 (1762-63), 1036 (1763-64), 1037 (1764-65), 1038 (1785-86), 1039 (1804--05), 1040 (1805), 1041 (1806); di Ambrogio Daria: reg. 1056 (1805); di Giorgio Daria: regg. 1293 (1835), 1295 (1820-26), 1296 (1832), 1297 (1832-34), 1298 (1834-36), 1299 (1838-39), 1300 (1843-44), 1301 (1844--46), 1302 (1846-48), 1303 (1848-49), 1304 (1848-50), 1305 (1853-55), 1306 (1855-56), 1307 (1858-61), 1308 (1864-66), 1309 (1868-71), 1310 (1870-71), 1311 (1870-73), 1312 (1871-73), 1313 (1873), 1814 (1874--75), 1315 (1877), 1316 (1877-78). I registri riguardano acquisti di generi alimentari effettuati a Genova, in quanto qui la famiglia risiedeva abitualmente e solo per brevi periodi si assentava per la villeggiatura a Montaldeo: cfr. G. DoRIA, Uotnini e terre. di un borgo collinare, Milano 1968, p. 83. Solo in alcuni registri sono scritte spese fatte altrove: a Palermo (reg. 665), a Piacenza (regg. 723, 1039, 1040), a Milano (reg. 1040-41), a Vienna (reg. 804), a Novi (regg. 802, 1035), a Montaldeo (reg. 1035), a Zoagli (reg. 892). L'Archivio Brignole Sale - De Ferrari, conservato presso l'Archivio storico del comune di Genova, ci ha tramandato 10 libri del cuoco, che si presume siano della famiglia Btignole. Essendo l'archivio in corso di riordinamento, si preferisce indicare i registri con l'anno cui si riferiscono. Il più àntico risale al 1719 e riguarda le spese per l'alimentazione fatte a Genova. Seguono, in ordine cronologico, due libri di spese di cucina e di viaggio, che si riferiscono al periodo della legazione a Parigi di Antonio Brignole Sale negli anni 1737-39. Dei registri del secolo XIX solo uno, quello per gli anni 1832-34, riporta registrazioni di acquisti di generi
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alimentar~ d~ran~e il soggiorno genovese della famiglia. Gli altri, uno per gli anni 1827-29, uno p~r 11 ?1enn10 1829-30, uno per il 1838, un altro per il periodo 1840-43, gli ultimi due per gli anm 18~~55 e 1858-59, scritti in francese, contengono annotazioni delle spese delle permanenze pang1ne. L'Archivio Spinola, conservato nell'omonimo palazzo in Genova, conserva un solo libro di cucina: il «Giornale di spese minute di Paolo Francesco Spinola del 1784», numero provvisorio d'inventario R 294. L'Archivio Durazzo, conservato nel palazzo Durazzo Pallavicini di Genova pu_ò cons_entire ~icer~he sull'~limentazione della famiglia nelle serie dei registri contabili, pe; cm. cfr. 11 relativo 1nventano, L'Archivio dei Durazzo, Marchesi di Gabiano, in «Atti della Società ligure di storia patria», n.s. XXI (1981), 2, pp. 284-89, 514-518. . ~, ARc~1v10 DI S:ATO DI GENOVA (d'ora in poi ASGE) conserva libri di spese gio~naliere di cucma nel seguenti fondi: Manoscritti biblioteca, n. 784 (1614-15), Nota delle spese giornaliere del govematore di Savona - in realtà trattasi di spese del commissario Giorgiò Spinola - , cfr. M. NOVELLI, Bilanci ... cit.; nn. 900 (1792-1793) e 901 (1794-96), Famiglia Carrega, Libri di cucina; Fon.do fa1:1iglie: _A 18 (1?33), ~amiglia Armirotti, libro delle spese; F 14 (1730-31), Giorgio Panna_, _libro- d1 spese g1ornahere, P 69 (1668), Camilla Pallavicina ; P 195 (1675), famiglia Pallav1c1no; S 152 (1724), Antonio Spinola , Libro di spese; S 262 (1729) famiglia Spinola; s_ 4~8 (_1690 e 1768-69); S 444 (1732); S 452 (1767-68). Gli ultimi tre registri, saprà indicati, s1 nfenscono, con ogni probabilità, alla famiglia Spinola. Nello stesso Fondo Fatniglie si conservano altre unità archivistiche, soprattutto registri di rivenditori di merci che hanno attinenza con l'alimentazione e i prezzi delle.derrate: C 15 (1722); C 72 (1780); e 115 (1704-06); F .21 (1805-28); F 22bis (1828-31); G 91 (1791-1805); G 92 (1791-1803); O 19 (164~); R 33 (1788-93); V 3 (1747-49); Z 2 (1763-72); Z 8 (1784-85). Sui prezzi delle derrate cfr. 1noltre, nello stesso fondo i nn. B 102 (1754); C 12 (1652-58); C 27 (1795-1802); F 15 (1788-1803); F 16 (1827-31); G 76 (1751-54); L 17 (1744-46); L 104 (1640-41); M 19 (1703-04); P 91 (1804-11); P 92 (1792-1800); P 93 (1785-1807); P 94 (1807-08); P 95 (1801-07); p 101 (1809); P 109 (1808-09); P 119 (1811-29); P 147 (1749); P 149 (1751); R 19 (1816-17); R 23 (18.07) .. In ASGE, Ordini religiosi, sono conservati i seguenti registri, che riguardano l'alimentazione: regg. 118 (1769-70) e 630 (1794-98) del monastero di S. Gerolamo sfi Quarto; i regg: 198 (1664--70), 2?3 (1696-1707), 204 .(1707-16), 201 (1727-35), 212 (1735-44), 218 c (1629-39) del monastero di S. Margherita di Marassi; il n. 262 (1721) delle monache dei SS. Giacomo e Filippo; il n. 267 (1763-69) di S. Maria dei Servi; il reg. 227 (1636-39) delle monache di S. J\ndrea; il reg. 286 (1763-91) delle monache di S. Spirito; il reg. 289 (1786-88) del Monastero d1 S. Bernardino da Siena; il reg. 354 (1770-98) del convento di S. Teresa in Taggia; i regg. :79 (1743-56), 383 (1703-43) e il reg. 403 (1683-1703) del convento di S. Nicolò in S. Remo; 1 regg. 388 (1754--90), 389 (1749-61), 390 (1761-69) e 392 (1745-46) del convento di San Francesco di Triora; il reg. 400 (1795-1809) dei Frati Cordiglieri di Ventimiglia. Nello stesso fondo altre unità archivistiche possono fornire notizie sull'alimentazione e sui prezzi dei
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I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi ili età •moderna
Patrizia Schiappacasse
XVIII e XIX. I libri documentano .le spese giornaliere soÌo di al<:une delle famiglie nobili e offrono quindi una testimonianza parziàle, .ma ugualmente preziosa, sui consumi alimentari della nobiltà. Alcuni sono dovuti a una sola mano, altri a mani diverse. Le loro scritture sono ora più posate, ora più corsive e sono dovute di solito al cuoco o all'economo; spetta a quest'ultimo, di solito, rivedere i registri e correggere eventuali errori di conto. Una diversa sensibilità si nota nella compilazione di queste liste di generi alimentari, alcune delle quali sono scarne, prive di specificazioni che vadano al di là della semplice denominazione dell'alimento, mentre altre, soprattutto dalla fine del secolo XVII, permettono di indi_viduare gli ingredienti principali di molti piatti. Alla funzione propr:amente: contabile, allora, sembra sovrapporsi quella di diario, utile a ricordare i piatti preparati e a garantire un loro avvicendament_o. ·. . Per quanto riguarda la storia economica o'ccorre precisare .c~e que~t~ registri non testimoniano con completezza le spese delle famiglie nobili per l'alimentazione e, quindi, rendono impossibi~e un calco~o, a?ch~ approssimativo, delle calorie consumate. In essi sono reg1st~at1 gl~ acquisti giornalieri di generi alimentari, ~a spesso n~n sono npo1:at1 gli acquisti all'ingrosso delle derrate, quali, ad esemp10, grano, farm~, vino, che poi l'economo consegnava di volta in volta al cuoco. S_ol? ~ alcuni libri sono annotati, nelle prime o nelle ultime pagine, acquisti, m notevoli quantità, di generi di largo consumo. Di conseguenza i dati dei· libri di cucina devono essere integrati, qualora sia possibile, con quelli desumibili da altre fonti, quali i già citati mastri e i libri di cassa.
generi alimentari, in particolare i regg.: 117 (1765-74), ·194 (1588-1792); 273 (1769-72); 274 (1664-1724); 275 (1766-69); 276 (1788-90); 280 (1756-60); 293 (1793); 295 (1535); 302 (1782); ~10 (1725); 321 (1794); 325 (1782-85); 335 (1757); 359 (1686-96); 369 (1753-76); 416 (1637-1704); 461 (1761); 489 (1786-92); 492 (1689-1783); 493 (1731-94); 497 (1790-91); 502 (1721-63); 504 (1667-1794); 520 (1681-1757); 534 (1787); 540 (1767-71); 597 (1688-1704); 604 (1754-63); 608 (1785-88); 609 (1716-18); 631 (1557-1802); 645 (1752-70); 648 (1739-45); 655 ·(1781-94); 674 (1634-48); 675 (1729-72); 676·(1754-55); 680 (1698-1718); 685 (1_71:-44). Per quanto riguarda l'alimentazione di famiglie «più ampie» si possono far ncerc~e, ltm1tat~ment~ agli ultimi decenni del secolo XVIII e alla prima metà del secolo XIX, nei se?u~nti fond~ dell'ASGE, Fondo famiglie: I 5 I SA (1775-1838), filze di ricevute e di pagamenti nguardantl il Collegio Invrea; Fondo Università: regg. 127 (1816), 161-177 (1813-16), 178-189 (1814-48), 192 (1814-15), 201 (1813-15), 203-215 (1812-1823, 1843-44), 247 (1822-31), 259-265 (1818-35),
267-268 (1812-20), 270 (1838-46).
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Un altro problema, posto dai libri del cuoco, è quello della provenienza delle derrate alimentari. Le famiglie possedevano feudi e aziende nell'entroterra ligure e quindi potevano usufruire, almeno in parte, dei prodotti agricoli delle loro proprietà. A questo tipo di approvvigionamento si opponevano però problemi di trasporto e di deperibilità delle merci. Dai registri si desume che'" la maggior parte degli acquisti è fatta in città e che frutta e verdura provengono direttamente .dalle vicine coltivazioni in villa: sono specificamente nominate, in alcuni registri, le località di Sestti e di Cornigliano. Per alcuni generi alimentari, sempre gli stessi, ·i registri - esclusi pochi libri di cucina, particolarmente poveri per questo tipo di notizie - precisano le quantità dei cibi ed ·è perciò possibile indicare il loro costo unitario: si tratta soprattutto di carne, pesci, uova, burro, olio, spezie, etc. Per altri gen~ri, quali, ad esempio, la frutta e la verdura, la quantità non è quasi mai specificata, anche se vi sono eccezioni: sono queste le voci che inddono meno sui costi dell'alimentazione familiare, mentre per le altre si rendeva necessario forse un certo controllo. Per questa via ci sono state -tramandate notizie utili sui prezzi al consumo 3 • Ai generi alimentari di cui non sono specificati i costi - quali i «piccioni di casa», le «quaglie di casa», le «uova di casa» etc. - si devono aggiungere pure le tartarughe, prodotto di un allevamento casalingo. Le spese per l'alimentazione degli animali allevati in casa sono comprese nelle scritture dei libri del cuoço. Nelle liste gionaliere ' r . insieme a queste ultime voci, ve ne sono elencate altre, alcune delle quali più o meno direttamente connesse alla cucina e ai consumi alimentari - spese per utensili di cucina, per libri di conti, etc. - , altre completamente estranee, ma di uguale interesse per lo studio della cultura materiale: spese per posate, spese postali, per medicinali, etc. Nei registri si trovano annotate anche le spese per l'alimentazione della servitù: minestra e companatico quasi giornalieri, più rari la carne e il formaggio, rarissimi piatti più ricercati, quali i ravioli, le
3
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Cfr. Appendice, pp. 1916-1923.
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
torte di verdura, gli arrosti, riservati ai domestici solo in· partic()lari circostanze 4 • Un altro problema è posto da queste fonti: non è quasi mai spécificato il numero dei commensali, se non in pochi casi, e lo si deve ipotizzare, calcolandolo sui presumibili membri della famiglia al momento della compilazione dà registro, integrandolo con elementi desunti dalle scritture del libro stesso. Per il numero dei commensali notizie più precise sono fornite dalle liste di generi alimentari, acquistati in occasione di grandi pranzi, tutte risalenti alla metà o alla seconda metà del secolo XVIII. Un registro della famiglia Daria precisa il numero di invitati per pranzi meno solenni e più modesti all'inizio del '700. Sono notizie da tenere in considerazione per determinare i consumi «pro capite». È più facile che nei registri sia indicato il numero dei servi: così un libro della famiglia Brignole del 1719 fornisce, nell'ultima pagina, un elenco di nomi, compresi quelli del cuoco e del sottocuoco, riferentisi alla servitù 5•
2. - I pregi e i limiti delle notizie fornite da questo tipo di fonti si evidenziano, quando si cerca di operare un confronto tra i èonsumi alimentari di gruppi sociali diversi: è quanto si è tentato di fare, utilizzando i dati ricavati da un libro di cucina della famiglia Daria di Montaldeo - ramo collaterale dei Doria, famiglia che ha avuto un ruolo di tutto rilievo nella vita politica della Repubblica -. limitatamente all'anno 1765, e accostandoli a quelli desunti da un registro del monastero di S. Gerolamo di Quarto per l'anno 1769, anche se quest'ultimo non è propriamente classificabile come libro del cuoco, ma piuttosto come libro nel quale le spese delle derrate so.q.o registrate sotto diverse voci e ripartite. mensilmente entro ciascuna di esse 6• Una caratteristica accomuna le due fonti, la loro incompletezza nel fornire dad definitivi sull'alimentazione, e una differenza fondamentale le divide: mentre il registro del monastero ha carattere generale e riepilogativo delle spese, il libro della famiglia Daria - pi'ù precisamente del suo cuoco, Domenico Costa - riporta le spese giornaliere per l'alimentazione dei suoi componenti e offre uno spaccato delle abitudini alimentari nell'ambito domestico.
4 Ad esempio il registro 1037 (1765) dell'Archivio Doria, preso in esame più avanti, riporta nelle liste giornaliere di spesa le seguenti voci, prive dei relativi importi: acciughe (apr.), anatre (nov.), asparagi (apr., mag.), antipasto di Torino (gen.), beccacce (nov.), berodi (dic.), bianco (feb.), burro (feb.), caponi (gen.-apr., nov.-dic.), canelotti (nov.), colombacci (nov.), ceci (feb.-apr., set., nov.), cima (ago.), colombacci (nov.), corzetti (feb.-lug., nov.), dindone (nov.), falsa (mag.), fideli (mar.-apr., dic.), funghi (gen., mar.-apr.), funghi salati (apr.), galline (lug.), galotti (feb., ott.-nov.), gamberi (nov.), lardo (dic.), lasagne (gen.-mar., lug.), lenticchie (genn.-mar., nov.), lepre (feb., nov.-dic.), lingua (nov.), lingua di vitello (dic.), maccaroni (nov.), minestra mischia (mag.), montone (nov.),. musaro (nov.), nottolani (mag.-lug.), pane (giu.), panettini (ago.), pernice (feb., nov.), pesce generico (nov.), piccioni (apr.-mag.), piselli (nov.), pollastri (giu.-ago., nov.-dic.), polenta (gen.-feb., dic.), quaglie (set.), ravioli (gen.), rossetti (nov.), starna (nov.), sugo di pesce (feb.), tagliolini (gen.-giu.), tomaselle (dic.), torta con prescinsola (nov.), trifoli (nov.), trota (nov.), tartarughe (nov.-dic.), uova (gen.-mag., lug.,-set., dic.), vitello (gen., dic.), zuppa (feb.,-mag., nov.-dic.), zucchero (mag.). Lo stesso registro riporta spese che non riguardano propriamente gli alimenti, comprese nella voce «varie» della tabella I: amolatura cartelli (gen., giu.-ago.), «bambacio» per lumi (nov.), carta (mar., giu.-lug., set.), carta per-rosta (mag., ago., nov.), cucchiai di legno (ago.-set.), pentole di terra (giu.), pignatte di terracott,t (giu., set.), scope di brugo (ago., dic.), spago (giu., lug.), stoppino e zoldo per lumi (gen., mar., mag., lug.). Sempre lo stesso registro riporta le spese per l'allevamento di uccellini (mar., giu.), di nottolani (mag., giu., lug.), di pollastri (giu., set.), di quaglie (set.), di polli e di capponi (nov.). Dalle sue scritture risulta inoltre che certi cibi, più raffinati, sono destinati raramente alla servitù: lasagne (gen.), frutta (mar.), torta di erbe (apr.), ravioli (feb.). 5 Il registro 802 dell'Archivio Doria contiene liste di spese per pranzi con pochi invitati, 2 o 3 persone al massimo: cfr. le spese dei giorni 8 e 17 luglioi 25 e 29 agosto, 3 settembre,
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8 ottobre 1700 e quelle dei giorni 1, 16 e 23 gennaio, 6 febbraio, 9 e 14 maggio 1701.. Per la metà del secolo XVIII nei libri del cuoco si trovano liste di generi alimentari acquistati per pranzi con numerosi invitati. Così nel registro 835 dell'Archivio Doria alla data del 29 dicembre 1754 figura un elenco di spesa per un pranzo di 29 persone; sempre nello stesso registro un inserto al 1 agosto 1753 ci tramanda la nota di spesa per un pranzo di 36 persone in data 3 febbraio 1755; nel registro 1031 figurano due conti di spese per pranzi della signora Isabella Daria, uno al 1 febbraio 1756 e l'altro non datato, nei quali però non è indicato il numero dei commensali. Nel registro 1.034 dell'archivio Daria in data venerdì 13 febbraio 1760 è trascritta una nota di spesa per un pranzo di 17 persone. 6 Il libro di cucina della famiglia Daria preso .in considerazione è il reg. 1037 dell'Archivio Doria (copertina in pergamena; intitolazione copertina «Libro ·di cucina/ 1764 a primo Genaio»; cc. 166), contenente le spese di cucina dal 1 gennaio 1764 al 19 dicembre 1765. Il registro del Monastero di S. Gerolamo di Quarto è conservato in ASGE, 0rdini re.ligiosi, reg. 118 (copertina in pergamena; intitolazione copertina «Olivetani di Quarto/ Giornale 1769-1770»; cc. 193). Quest'ultimo riguarda le spese per gli anni 1769-70, sostenute non solo per l'alimentazione, ma anche per motivi diversi, come risulta dalle voci, entro le quali sono ripartite, riportate nell'indice all'inizio del registro: «bonificamenti; carne; carta, condotte; cose diverse; cortesie di natale a secolari; frutti ed ortaglia; granato entrata-uscita; grascina; latte e formaggio; legna e carbone; le_ttere; limosine e cortesie; liti e scritture; libraria; medicinali e chirurgo; viaggi; orto entrata-uscita; olio entrata- uscita; ova; paste e legumi; pesce; sagrestia entrata - uscita; salariati; sale e salumi; zappone; speziaria; sussidi e tasse; vestiari e scarpe; vetri; cristalli e terre; vino entrata - uscita».
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età 'moderna
Dalle scritture non risulta la composizione del nucleo familiare, .che doveva constare di circa 4 o 5 persone. Il registro dà invece raggm.i.gli sul numero dei servi e ne fa ammontare il totale a 19 unità, cifra peraltro confermata dalla testimonia~za di un altro libro dell'archivio Doria, up libro di cassa, che ne indica nomi e funzioni. Nelle prime carte del registro del monastero, invece, Benedetto Raimondi, vicario e «pro cellario», al quale è affidato l'incarico di tenere le scritture contabili, indica i componenti della «famiglia» monastica, in .tutto sedici unità, con i rispettivi nomi, provenienza e funzioni 7 • Riguardo al libro del cuoco sono da rilevare altre part~colarità. Non è stato scritto da una sola persona, ma, attraverso le differenze di scrittura, si sono individuate le grafie di almeno cinque persone diverse. Questo contribuisce, in parte, a spiegare i continui mutamenti riscontrati nella tenuta dei conti: se è sempre calcolato. il totale giornaliero della spesa, i riepiloghi sono ora· mensili, ora settimanali, ora quindicinali o computati ad altra scadenzà. Questa mancanza~ almeno apparente, di un diretto responsabile nella tenuta delle s_crlt~ure h~ altri riflessi. Nei totali giornalieri di spesa si nota una sene d1 errori di calcolo, che hanno modificato di conseguenza anche i riepiloghi: si è resa pertanto necessaria la loro revisione e correzione. In questi
sbagli potrebbe profilarsi un intento di natura ·fraudolenta, però le differenze, in positivo e in negativo, tra i totali errati e quelli corretti dimostrano che in realtà ci si trova di fronte a errori di calcolo, in genere a danno di chi ha tenuto di volta in volta la contabilità, anche se non è, naturalmente, esclusa la possibilità da parte del cuoco di gonfiare a bella posta i totali, per raggiungere, almeno. sulla carta, la cifra che · periodicamente gli era assegnata per le spese di cucina. Quest'ultima ipotesi, però, sembra abbastanza inverosimile, se si considera il numero piuttosto elevato di persone che è intervenuto nella compilazione del libro. Chi ha riveduto i calcoli - si ritiene che sia stato l'economo - ha rilevato talora gli errori, indicando il totale corretto accanto a quello errato, sia nei totali giornalieri che nei riepiloghi mensili 8• Un particolare curioso è da notare: le cifre di
7 Per la famiglia Doria ~ ramo di Montaldeo ~ cfr. ASGE, Manoscritti biblioteca, Alberi genealogici, n. 491, c. 89; N. BATTILANA, Genealogie delle fatJJiglie nobili di Ge~~va, ~enova 1825-1833 (rist. anast. Bologna 1971): «Doria», tav. 29. Di sicur? al desco _familiare si~don~ Giorgio Doria, figlio di Ambrogio, la madre Isabella De Man, la moglie Lella. Gnmaldi e una delle sorelle, chiamata semplicemente «figlia della Signora»: Inoltre dal registro 1034 dell'Archivio Doria risulta che nel 1761 siedono mediamente a tavola 4 o 5 persone. Il numero dei servi della famiglia Doria è di 19 unità, come risulta da scritture del registro 1.037 alle date 1 gennaio; 24 febbraio; 14, 17, 18, 19, 21, 28 e 31 mar~o; 1 e 3 a_prile. Un libro di cassa deIFArchivio Doria, il n. 942 (copertina in cartone; intitolaz10ne copertina «1761 in 1763 in 1764/G.D./Giornale»; cc. 94) precisa i loro nomi e le loro fun?ioni in data 17 aprile e 19 dicembre 1765, alle cc. 74s, 77d. La carta ini~iale del r~gistro del mo~astero, dopo l'invocazione, così recita: «In questo libro, detto giornale, d1 carte 384, s1 notter~nn~ distintamente da me don Giuseppe Benedetto Raimondi del Finale, vicario e pro cellano d1 questo Monastero di San Gerolamo di Quarto, tutte le spese che giornalmente si f~rann~, incominciando dal primo gennaìo 17 69, essendo Generale della nostra Con?regaz1one reverendissimC'l padre abbate don Eustachio Serenelli di Verona ed abbate d1 governo 1Il questo monastero il reverendissimo padre abbate don Mariano Pensa di Genova». Segue l'elenco dei nomi e delle qualifiche dei componenti la «famiglia».
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Alla prima mano sono dovute le scritture di gennaio, alla seconda quelle dei mesi febbraio-giugno, alla terza quelle di luglio-agosto, alla quarta quelle di settembre, alla quinta quelle di ott~bre-dicembre. I riepiloghi sono mensili a febbraio, marzo, settembre, ottobre, novembre; a gennaio si hanno due riepiloghi, uno per i giornl 1-21 e l'altro J_Jer i giorni 22-31; i riepiloghi di maggio e giugno sono settimanali, quelli di luglio-agosto quindicinali; il riepilogo di dicembre è calcolato al 19, data in cui si arrestano le scritture nel registro. Sono stati rilevati i seguenti errori nei computi giornalieri: 5 gen.: lire 7 .09 .04 da correggersi in lire 7.05.04; 18 gen.: lire 6.03 da correggersi in lire 7.01.08; 24 gen.: lire 20 da correggersi in lire 19.19.08; 28 gen.: lire 12.12.08 da correggersi in lire 12.11.08; 2 feb.: lire 4.02 da correggersi in lire 4.06; 3 feb.: lire 10.10 da correggersi in lire 10; 4 feb.: lire 10,02.08 da correggersi in lire 10.04.08; 8 feb.: lite 10.04 da correggersi in lire 10.03.08; 10 feb.: lire 33.07.08 da correggersi in lire 33.08.08; 11 feb.: lire 11.11.04 da correggersi in lire 10.11.04; 13 feb.: lire 36.16.08 da correggersi in lire 36.18.08; 14 feb.: lire 8.08 da correggersi in lire 8.08.04; 22 feb.: lire 8.05.04 da correggersi in lire 10.16.08; 1 mar.: lire 12.00.08 da correggersi in lire 13.00.08; 8 mar.: lire 9.08.04 da correggersi in lire 9.11.04; 11 mar.: lire 7.01.08 da correggersi in lire 8.01.08; 14 mar.: lire 13.01.04 da correggersi in lire 13.14.04; 16 mar.: lire_ 15.02 da correggersi in lire 15.01; 17 mar.: lire 8.16.08 da correggersi in lire 8.12.08; 20 mar.: lire 13.18.08 da correggersi in lire 13.16.04; 12 apr.: lire 28.18.08 da correggersi in lire 26.16.08; 28 mag.: lire 33.08 da correggersi in lire 33.10; 3 giu.: lire 34.16.08 da correggersi in lire 34.12.08; 4 lug.: lire 21.10 da correggersi in lire 22; 23 lug.: lire 11.10.04 da correggersi in lire 11.10; 29 lug.: lire 12.17.04 da correggersi in lire 12.13.04; 31 lug.: lire 83.05 da correggersi in lir~ 87.05; 12 ago.: lire 17.10.04 da correggersi in lire 18; 19 ago.: lire 12.14 .da correggersi in lire 13.14; 20.ago.: lire 18 da correggersi in lire 17; 27 ago.: lire 35.10.08 da correggersi in lire 35.06.08; 28 ago.: lire 13.12 da. correggersi in lire 13.11.08; 29 ago.: lire 12.15.04 da correggersi in lire 12.01.04; 31 ago.: lire 12.01.04 da correggersi in lire 10.14.08; 3 set.: lire 26.16.08 da correggersi in lire 26.17.04; 6 set.: lire 6.06.08 da correggersi in lire 6.14.08; 30· set.: lire 3.17.04 da correggersi in lire 4.07.04; 3 ott.: lire 20.05 da correggersi in lire 20.06; 6 nov.: lire 15.03.08 da correggersi in lire 15.01.08; 13 nov.: lire 63.19.04 da correggersi in lire 63.17.04; 22 nov.: lire 11.08.08 da correggersi in lire 11.12.08;
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età ·moderna
spesa terminano quasi tutte ai denari con le cifre 4 o 8. Si puq ·forse pensare, in questo caso, di essere in presenza di un espediente· di natura contabile, che tiene conto solo di certe frazioni di soldi, per facilitare e arrotondare i conti o, con ogni probabilità, di un ritocco agli importi di spesa che permette piccoli, ma più nascosti e sicuri guadagni. Qu('.:sto espediente fa sì che, nel caso in cui sia espressa la quantità delle derrate, cioè quando sia possibile calcolare i costi unitari, questi ultimi, computati ai denari, presentino dei resti 9• Con i dati ricavati dai registri si sono compilate le tabelle 1, 2 e 3: nella prima si sono evidenziati, mese per mese, i costi delle derrate alimentari, i totali delle spese mensili per l'alimentazione familiare e per tutte le altre spese, risultanti dal registro, che hanno attinenza, più o meno diretta, con l'amministrazione della casa e della cucina. La seconda e la terza tabella seguono lo schema della prima e forniscono i prospetti della struttura della spesa per l'alimentazione della servitù e del monastero. Nella tabella 1 i totali mensili oscillano tra un m1mmo di lire 153.03.08 di marzo · e un massimo di lire 473.01.04 di luglio: le differenze sono dovute in parte a variazioni dei prezzi unitari delle derrate e in parte alle spese per pranzi con molti invitati, ma non sono imputabili ad acquisti all'ingrosso di derrate di largo consumo, quali vino e grano, le cui registrazioni non trovano posto nel libro. Nei mesi di ottobre e dicembre si registrano minori importi di spesa,
dovuti nel primo caso all'assenza di gran parte della famiglia da Genova per la villeggiatura di Montaldeo e nel secondo caso al fatto che le registrazioni si arrestano al 19 dicembre. Nella tabella 2 ai dati, ricavati dal libro del cuoco, si sono aggiunti quelli risultanti dal libro di piccola cassa, sopra menzionato, e più specificamente, i costi complessivi delle razioni di pane e vino, distribuite alla servitù nel periodo da gennaio a metà maggio. Le diminuzioni dei costi per il mantenimento dei domestici, riscontrabili nei mesi di settembre-novembre, sono indicative del trasferimento di una parte della servitù a Montaldeo in occasione della villeggiatura della famiglia 10•
24 nov.: lire 10.05 da correggersi in lire 9.05; 4 dic.: lire 30.07 da correggersi in lire 30.03; 8 dic.: lire 15.10.04 da correggersi in lire 15.11.04; 10 dic.: lire 24.04 da correggersi in lire 23.04; 18 dic.: lire 8.15.08 da correggersi in lire 8.17.08. Scritture indicano una revisione e una correzione dei totali alle date 2, 6, 7, 22, 23, 30 settembre, 2 e 3 ottobre e 10· novembre 1765, nonché nel riepilogo del mese di novembre. Segni di spuntatura nei totali di luglio-settembre. 9 Cfr. gli importi del manzo (6 gen., 19 mar., 30 apr., 14 mag., 11 set.), della carne salata (21 apr., 8 mag.), del prosciutto (12 mag., 4 dic.), dei pollastri (3 nov.), dei tordi (13 nov.), del figaro (10 mag.), del loasso (19 apr.), del baccalà (10 dic.), dei fichi (8 set.), del musaro (27 ago.), del pesce organo (16 mar.), del pagaro (15 nov. e 22 nov.), della palamita (28 mag.), del pesce spada (16 nov.), del rondanino (9 ago.), dei sagari (16 e 23 mar.), del pesce trulla (12 lug.), delle uova (10 feb., 3 e 6 lug., 15 set.), della crema (10 nov.), del formaggio per servi (30 apr., 1 ott.), del formaggio per tavola (21 gen., 13 e 21 apr., 8 e 30 mago., 20 giu., 19 lug., 1, 15 e 26 set., 10 ott., 4 nov., 13 dic.), del burro (13 gen.), del lardo (2, 13, 26 gen., 6 e 13 feb., 9 e 24 giu., 8 lug., 5 e 18 ago.), del sale (20 nov.).
10 Per i termini dialettali di Appendice I e delle tabelle cfr.: G. CASACCIA, Dizionario genovese - italiano, Genova 1876 2 ; G. FRISONI, Dizionario 111oderno genovese-italiano e italiano-genovese, Genova 1910 (rist. anast. Bologna 1969); A. PAGANINI, Vocabolario do111estico genovese-italiano, Genova 1857 (rist. anast. Bologna 1977). Nella tabella 1 sotto la voce «varie alimentari» si sono riunite le spese per piatti indicati genericamente come «frittura», «polpette», «pasticciotti», «pietanza», «pietanza per la sera», «torta pasqualina», «piatti freddi», «bigné fritti» etc. Sotto la voce «minestra e sugo» sono state raccolte le spese che riguardano le voci generiche «minestra» e «sugo» o «ragù», sia che quest'ultimo sia di carne oppure «magro», preparato con il pesce. La voce «servi» riguarda le spese per l'alimentazione delle servitù, mentre per quella «utensili» cfr. nota n; 4. I «servizi» riguardano le spese di trasporto di generi alimentari, mentre le «varie» sono registrazioni di spese di acquisti di generi alimentari per Montaldeo, per le monache, per il prete, per inservienti, per gente venuta da Montaldeo, per forestieri, per la balia etc. Se si ·esaminano i totali di spesa del registro n. 1037, si nota che gli importi più elevati si riscontrano in occasione di acquisti di generi alimentari per pranzi, esclusi naturalmente i giorni in cui i detti totali aumentano per l'acquisto di formaggio oppure per generi destinati a Montaldeo. I pranzi più dispendiosi sono alle seguenti date: lunedì 8 luglio lire 137.05; domenica 28 luglio lire 43.05; mercoledì 31 luglio lire 87.05; domenica 10 novembre lire 66.02.04; mercoledì 13 novembre lire 63.17.04. Pranzi con un numero ridotto di invitati, con ogni probabilità, si hanno alle seguenti date: domenica 6 gennaio lire 22.12.08; domenica 10 febbraio lire 33.08.08; mercole&13 febbraio lire.36.18.08; domenica 7 aprile lire 28.04.08; lunedì 8 aprile lire 25.01.08; venerdì 12 aprile lire 26.16.08; domenica 12 maggio lire 21.18; martedì 28 maggio lire 33.10; mercoledì 3 luglio lire 34.12.08; martedì 27 agosto lire 35.06.08; martedì 3 settembre lire 26.17.04; sabato 16 novembre lire 25.16; mercoledì 4 dicembre lire 30.03. Dai dati mensili si sono sottratte queste spese e si sono divisi gli importi, così ottenuti, per i restanti giorni, ricavando la media giornaliera di spesa: gennaio lire ·6.00.09; febbraio lire 5.00.10; marzo lire 4.18.10; aprile lire 5.11.06; maggio lire 6.07.07; giugno lire 6.03.01; luglio lire 7.02; agosto lire 7.17; settembre lire 5.09.02; novembre lire 8.12.10; dicembre lire 7.12.01. Non si è computata la media per il mese di ottobre, perché è troppo anomalo a causa della villeggiatura a Montaldeo; la maggior parte delle spese di questo mese sono per il vitto della servitù e del cuoco, rimasti a Genova, esclusi pochi giorni all'inizio del mese stesso. Nel registro non si trova alcun acce'.1fiO ad
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Nella tabella _3, oltre ai generi alimentari, si sono riportate le voci «servizi» e «varie», .la prima riguardante il trasporto di derràte ,da Genova a Quarto e la seconda la distribuzione di razioni a lavoranti, giornalieri o meno, adibiti a varie incombenze nelle terre del monastero. L'acquisto di derrate non è fatto solo_ a Genova, a differenza di quanto accadeva per la famiglia Doria, ma anche nelle riviere e in particolare a Vernazza per la pasta; a Novi si acquistava il grano 11 • Le variazioni dei totali mensili di spesa, oscillanti tra un mini_mo di lire 162.18.04 a luglio e un massimo di lire 276.07.04 a ottobre sono
dovute agli acquisti all'ingrosso di derrate, come, ad esempio, nel caso della frutta per il mese di ottobre, quando si sono acquistate libbre 1.875 di mele, provvista per l'inverno, o nd caso del pesce per i mesi di febbraio, marzo e settembre e in quello delle uova per i mesi di novembre e di dicembre. Dalle tabelle 1 e 2 è impossibile ricavare i consumi complessivi dei generi alimentari, perché nel libro di cucina della famiglia solo saltuariamente sono espressi i loro quantitativi e il variare dei costi unitari da un mese all'altro rende oltremodo difficile il loro computo; occorrerebbe inoltre una conoscenza più approfondita sull'andamento dei prezzi, per poter azzardare dei calcoli anche approssimativi sulle quantità di derrate consumate e quindi sulle ·calorie assunte. Per il monastero, invece, il calcolo è più facile, perché le quantità sono sempre espresse - sia pure con le riserve dovute - come risulta dalla tabella 4. È quindi impossibile un confronto tra le calorie assunte dai componenti della famiglia, del monastero e della servitù. Del resto un tale calcolo, basato unicamente sulle quantità delle derrate consumate, sarebbe inesatto, perché sull'apporto calorico dei cibi influisce molto la preparazione. E il registro della famiglia fornisce dettagli sulla preparazione dei cibi, che fanno propendere per un alto contenuto calorico delle portate: una predilezione pa~ticolare si ha infatti per il fritto e per i piatti ricchi di intingoli. Ci si può limitai;e pertanto al calcolo delle percentuali dei costi dei generi alimentari, scelti dalla famiglia per l'alimentazione sua e della servitù e dal monastero 12 • Si evidenziano così nelle tabelle 5, 6, e 7 le strutture di spesa, strutture che, pur non rispecchiando del tutto i consumi reali, possono tuttavia essere considerate indicative, anche se occorre tener .presenti alcune considerazioni. Nel caso della famiglia si èonoscono solo le spese per il consumo del vino usato in cucina, ma non di quello consumato a tavola e sfuggono al computo della spesa generi alimentari che, pur essendo annotati giornalmente nel registro, non sono affiancati dai relativi costi, o perché provenienti- da quantitativi di derrate acquistate all'ingrosso e accumulate nei magazzini di casa o perché forniti diret-
acquisti di grano; per quanto riguarda il vino, nelle liste figura solo quello destinato alla cucina. Il registr·o n. 942 dell'Archivio Doria fornisce dati incompleti per quanto riguarda le quantità di generi alimentari, acquistati negli anni precedenti: ad esempio, riguardo al 1762 riporta gli acquisti di grano nella quantità di mine 6 (13 ago.) e di mine 4 (24 nov.), per un totale di mine 10; per il 1763 sono registrati gli acquisti di mine 2 (19 lug.), e di mine 6 (7 ago.) per un totale di mine 8, che sale a 14 mine, se si aggiungono mine 6 di grano trasportate nel granaio in data 4 gennaio. Nello stesso libro per il vino e gli altri generi di largo consumo, quali il sale, la farina, lo zucchero, il computo delle quantità non è per nulla costante da un anno all'altro. Del resto è impossibile identificare gli acquisti fatti annualmente con gli effettivi consumi, dal momento che si pone il problema delle scorte, che continuavano ad essere usate anche nell'anno successivo. Un dato, seppur incompleto, emerge dalle scritture del registro n. 942: il fornaio, al quale si portava il pane, fatto in casa, per cuocere, era pagato trimestralmente e nelle date 30 giugno 1762 e 24 marzo 1763 si ricava che in tre mesi ha cotto rispettivamente mine 11 e mine 12 di pane, con tutta .probabilità pane per la famiglia e per la servitù, anche se non sono precisate le relative quantità. Il registro n. 942 riporta, per l'anno 1765, le spese per il vino e il pane somministrati ai servi: cfr. cc. 71-74. Nel computu dei costi dei singoli generi alimentari il registro n. 1.037 ha presentato alcuni problemi, nel senso che talora di due o più derrate è indicato un totale unico di spesa: quest'ultimo, allora, lo si è dìviso tra Ìe due o tre voci, in esso comprese, rifacendosi alla spesa media ricavabile dagli importi dei generi alimentari, nei casi in cui compaiono come voci singole nelle liste. I nomi dei domestici presenti a Montaldeo, al servizio della signora Isabella, in numerò di 8, risultano dalle scritture del registro 942, c. 76, riguardanti i loro salari. 11 Nella voce «varie» sono compresi il pane fornito al muratore, ai «fittabili» che hanno travasato il vino in cantina, al beccamorto, e uomini che hanno refilato le piante di limoni scavato nell'orto, battuto il grano e le fave, a un uomo che ha provveduto a cavare l'acqua e a far irrigare le piante di limoni, a coprirle con paglia, a uomini che hanno fatto l'olio nel Piano, ai fittabili che hanno fatto «pagliarine» per coprire le piante di limoni, che hanno tagliato gli alberi e apprestato le fascine nel bosco. Se ne deduce che il monastero ha un orto, coltiva piante di limoni nel chiostro, riel giardino e nella villa. L'olio è prodotto nelle terre del mona~tero, <Jr. cc. 232-233 del registro n. 118: una parte è destinato alla cucina e una parte a essere venduto (cfr. cc. 241-242). Vino e aceto sono prodotti anch'essi nelle ville del monastero, cfr. c. 374: sono venduti e costituiscono una fonte di guadagno per i monaci, cfi. c. 379. Per quanto riguarda la pasta cfr. cc. 261-263.
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Cfr. le Tabelle 4, 5 e 6.
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tamente dall'allevamento casalingo, come la farina di granturco, i.capponi, i polli, le uova, ecc. Nel caso della servitù le percentuali si modificano sostanzialmente, se si considerano i totali di spesa complessivi per il vino e il pane, che il già citato libro di cassa ci fa conoscere limitatamente al periodo compreso tra gennaio e metà maggio. Si sono così computate le nuove percentuali per il periodo gennaio-aprile; risulta che la spesa più elevata per l'alimentazione dei servi, oltre il 60% della spesa totale, è quella del pane e del vino 13 • Anche nel caso del monastero è impossibile .conoscere i costi del grano e del vino effettivamente consumati. Da notare inoltre che il registro non riporta i consumi di quei cibi che erano donati ai monaci, ma si limita a indicarne le spese di trasporto, né riporta i consumi dei cibi prodotti nelle terre del monastero stesso: si tratta soprattutto di verdura, frutta, grano e vino 14 • Dalle percentuali risulta che la famiglia destina alla carne di vitello le sue preferenze in fatto di «investimenti alimentari»: a breve distanza seguonò il manzo, il pane, la verdura, la frutta, i grassi, il formaggio, la carne salata e le frattaglie. Un confronto tra le percentuali di spesa della famiglia Doria nel 1765 e quelle riportate da Mario Novelli (cfr. nota 1), riferentesi alle spese della famiglia del commissario Giorgio Spinola nel 1614-1615, anche se le prime tendono a essere più alte, perché sono incompleti i computi per certe voci, quali, ad esempio, farina e vino, rileva tuttavia un aumento notevole nella spesa per la carne nel secolo XVIII. Il calcolo delle percentuali di spesa degli alimenti della servitù vede al primo posto il vino e il pane, anche se non è possibile precisare le relative proporzioni, seguiti dal manzo, dalla minestra, dal companatico e dal formaggio. Occorre tener presente che la servitù poteva rifarsi sugli avanzi della mensa dei padroni e riceveva inoltre un salario, con il quale poteva integrare eventuali carenze alimentari 15 • Le spese del monastero invece vedono al primo
posto le uova, seguite da manzo, vitello, pasta _e riso, formaggio, verdura e frutta. La famiglia privilegia quindi l'acquisto dei generi più costosi, mentre gli acquisti del monastero mirano a derrate più a buon mercato. È quello che risulta anche dall'esame dei costi unitari delle derrate, ricavabili dai due registri. Nella compilazione delle tabelle 1 e 3, 5 e 6 i generi alimentari si sono raggruppati sotto voci generali quali «pasta e riso», «pesce», «frutta», «verdura», etc. allo scopo di facilitare confronti tra le registrazioni delle spese della famiglia e quelle del monastero. Ulteriori raffronfr sono possibili, tenendo presente la tabella 7 dei prezzi dei generi alimentari e un'analisi più dettagliata delle percentuali dei generi in costi. Nella tabella 7 viene evidenziata la ricchezza dell'alimentazione familiare, la cui varietà è dovuta in gran parte alla ricerca della qualità e a scelte raffinate. La farina di grano è acquistata per la preparazione di piatti ricercati torte di verdura o per la confezione casalinga di paste più gustose - tagliarini, ravioli, canelotti, pansarotti - . Riguardo alla voce «pasta e riso» la famiglia riserva alla pasta il 67,8% e al riso il 32,2% della spesa, invece il monastero riserva alla prima il 74,48% e al riso il 25,6%, nonostante che quest'ultimo sia di minor costo rispetto alla prima: il riso, però, è alla base di piatti più raffinati. Tra le paste, la famiglia predilige quelle più versatili, come i «maccaroni» e le .trenette, usate in una gran varietà di minestre e di piatti asciutti, mentre il monastero opta per i «fideli fini» e i «vermicelli», usati per lo più in minestre o brodi. Così l'acquisto del vitello significa maggiori spese per la famiglia rispetto a quello del manzo, mentre per il monastero la situazione è inversa: il vitello è più costoso e gli è preferita la carne di manzo. Per il pollame e le frattaglie sono quasi le stesse le voci che figurano in testa alle spese - nel caso della famiglia i capponi erano allevati in casa-; tuttavia le voci, che dal libro del cuoco risultano rispondenti a percentuali di spesa inferiori, denotano scelte particolari per la preparazione e l'ornamento delle portate. Nei giorni di magro - venerdì e sabato - il consumo del pesce fa lievitare la percentuale di spesa per l'acquisto di questo alimento. La
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Cfr. il registro dell'Archivio Doria n. 942, cc. 71-74, la nota n. 4 e la tabella 2. Anche per il monastero, riguardo ai prodotti di largo consumò, si presenta il problema delle .scorte. Il grano, oltre ad essere acquistato a Novi, è prodotto nelle terre del monastero, come del resto l'olio, il vino e l'aceto, nonché i prodotti dell'orto e la frutta. 15 Sul salario percepito dalla servitù cfr. il registro 942, cc. 74-77,. da cui risulta che ai servi era corrisposta _anche una strenna natalizia. ·
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famiglia però non impronta le sue scelte a criteri di economicità e compera i pesci più cari, i cui prezzi oscillano da un minìmo di soldi 15-20 a un massimo di soldi 46-50 per libbra, anche nelle stagioni in cui i prezzi sono più elevati: dentice, figaro, leccia, lingua, loasso, lucerna, pesce spada, storione, triglie, trulla. In stagione di bassi prezzi, invece, sono acquistati quei pochi, tra questi ultimi, che figurano nella lista del monastero: dentice e triglie. Se la famiglia preferisce il pesce fresco, il monastero riserva una percentuale maggiore- di spesa a quello salato o affumicato:
MONASTERO
FAMIGLIA DORI A
%
% acciughe salate merluzzo
4,7 1,5
0,7 0,06
baccalà arenghi
7,36
10,9 1,4
merluzzo arenghi acciughe
2
musciame
0,7 0,7 0,6 0,7
salmone caviale baccalà
17,0
La stessa ricercatezza nei gusti familiari si nota nel caso della verdura e della frutta: pomodori, asparagi ed altre verdure non sono registrati nel libro del monastero, dal quale risulta però una tendenza accentuata all'uso dei legumi secchi:
MONASTERO
FAMIGLIA Do RIA
%
% lenticchie
0,7
ceci
0,5 1,2
piselli d'Olanda - fagioli secchi ceci lenticchie
2,6 4,9 1,9 2,9 12,3
I tartufi e ì funghi in olio non figurano nelle spese del monastero, che destina all'acquisto dei funghi freschi e secchi cifre ben inferiori rispetto a quelle della famiglia. E lo stesso avviene nel caso delle spezie. Si tratta di generi considerati di lusso. Nella tabella 8 un raffronto diretto tra i generi consumati dalla famiglia Doria e dal monastero evidenzia le scelte operate dai due gruppi sociali e i periodi in cui si sono effettuati gli acquisti. Dai registri è possibile ricavare i prezzi unitari dei generi alimentari con una certa approssimazione, considerata la probabile esistenza di una percentuale, seppur minima, di guadagno da parte. del cuoco o dell'economo, se non di entrambi. Nelle tabelle 9 e 10 si sono indicati i prezzi ricavati dai registri della famiglia Doria e del monastero di San Gerolamo di Quarto, che, se pure non riguardano la totalità delle derrate, si riferiscono a una parte notevole dei generi acquistati. 3. - Le informazioni fornite da questi registri sui consumi alimentari utili per la storia sociale ed economica, si possono utilizzare anche per lo studio della cultura alimentare e della gastronomia. Se le leggi suntuarie del periodo precedente colpiscono soprattutto gli sfarzosi pranzi, preparati in circostanze eccezionali, vere occasioni di ostentazione del conseguimento di una certa . posizione sociale, dalla fine del secolo XVI in poi queste disposizioni si ripetono sempre più stanèamente nella consapevolezza crescente di non essere osservate. È probabilmente da questo periodo che le famiglie nobili genovesi, ricche di mezzi, adottano un nuovo stile di vita, coincidente con l'amore per la dimora in splendidi palazzi, ornati di capolavori di pittura, stile che influenza anche l'alimentazione e introduce alcune novità. Lo storico Filippo Casoni (1662-1723) parla dell'alimentazione delle famiglie e dalle sue parole si desume che è tenuta in somma considerazione la qualità dei cibi piuttosto che la quantità, che le famiglie genovesi mangiano due volte al giorno, a pranzo e a cena, e che la struttura tipica del pranzo è articolata su due o tre piatti al massimo: minestra, carne arrostita e carne lessa. A queste portate si aggiungono nelle case dei più ricchi antipasto e frutta. Già nel secolo XVII si è affermata infatti l'idea di un piatto conclusivo del pranzo, a ba.se di frutta e, più raramente, di dolce, sostituiti
Patrizia S chiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
entrambi, talora, da un piatto di verdure: troviamo infatti. nei registri le voci «piselli per frutta», «carciofoli per frutta» etc. e questa abitudine perdura nel secolo successivo. La cena si articola al massimo in due piatti: è d'obbligo la minestra, seguita da poca carne. Il secolo XVII ha quindi una sua cultura dell'alimentazione, di cui altri aspetti sono evidenziati dal Casoni. Ad esempio, la moderazione nel cibo, come il consumare carni molto cotte e stagionate, e, soprattutto, l'alimentazione a base di vegetali sono accorgimenti che si ritiene favoriscano la longevità. La digestione deve essere aiutata, evitando di coricarsi subito dopo i pasti, ma lasciando trascorrere un intervallo di un'ora o due almeno. Quindi sfarzo nei pranzi ufficiali, ma moderazione nell'alimentazione quotidiana 16 •
Dai libri del cuoco tuttavia emerge un altro aspetto, la varietà nell'avvicendamento dei piatti e delle derrate, varietà sempre più ricercata nel prosieguo del tempo, nonostante gli ostacoli frapposti dalle vicende stagionali all'approvvigionamento di generi alimentari, e favorita dalla consuetudine, scrupolosamente seguita, di mangiare di magro al venerdì e al sabato. Alla base del pranzo e della cena è la carne, sotituita in questi due giorni dal pesce, ma accompagnata da un'estrema varietà nella scelta stessa delle carni, nei modi di prepara· zione e nell'accompagnamento con altri piatti. Nel secolo XVII rari sono gli antipasti e rari i dolci, preparati prevalentemente con uova e latte, mandorle, polvere di riso, colla di pesce, consumati una_ volta alla settimana o intervallati da più ampi periodi di tempo. Molto usata è invece l'insalata, d'obbligo con il lesso: «insalata e lesso», un binomio inscindibile della lista giornaliera. Comunque anche in questo periodo la cucina è abbastanza ricca: minestre fatte con differenti tipi di verdure, ripieni, torte di verdura, uso di salumi diversi - mortadella e salamone di Bologna - canestrelletti e altro 17• Alla fine del secolo XVII nei libri di cucina si notano alcuni mutamenti significativi, ai quali già si è accennato: in genere sembra diventare inconcepibile l'idea di elencare semplicemente le derrate e si precisa il modo di cucinare i cibi; a poco a poco le liste si trasformano in elenchi di piatti, in menù, i cui ingredienti sono indicati insieme o separatamente, ma comunque sempre abbastanza bene individuabili. Il fare riferimento al piatto e non ai semplici generi alimentari è un qualcosa di più: l'associazione di ingredienti a costituire piatti e l'accostamento di portate diverse sono indici di una sensibilità del tutto nuova, che investe l'organizzazione alimentare e la combinazione stessa degli alimenti. È ricercata non solo l'estrema varietà deÌ cibo, ma anchè l'estrema varietà di abbinamenti di generi alimentari. È una sensibilità che sarebbe riduttivo confinare al campo della compilazione di questi registri, quindi, ma che investe direttamente l'alimentazione e i suoi modi di essere. Nel secolo XVIII gli antipasti sono preparati con carne, pesce, uova, verdure, salse - è del tutto nuovo il gusto per la salsa che
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16 Cfr. W. KULA, Problemi ... cit., pp. 225-227; per alimentazione intesa come sistema di comunicazione cfr. R. BARTHES, Pour une psycho-socio!ogie de l'alimentation co11te111porai11e, in Pour u11e histoire ... cit., pp. 307-315. ASGE, Manoscritti biblioteca, Leggi n. 60, (1571-1616), estratto dai «Capitoli sopra il vestir delle donne approvati dal Gran Consiglio a 2 febraro e publicati a 4 di detto 1583», c. 661·; «Che dall'istesso primo giorno di quadragesima in poi, nelli pasti o conviti di nozze, che si fanno, così in casa del padre, come del sposo, quando la sposa va a marito, e che poi occorrono farsi per un mese appresso in qualsivogli altro luogo, dove intervenghi detta sposa, non si debba fare se non una sorta di tavola, in modo che le tavolette, o sia tavolini (così chiamate comunemente) sieno proibiti, e circa le vivande, in ogni parte della tavola si debbano ugualmente servare gli ordini o sia tariffa, de' quale sarà copia appresso il Magistrato delle Pompe, sotto pena alli contrafacienti in ogn'una delle dette cose di scuti cento per ogni volta che si contrafarà, e di più alli cuoqui, servitori o famegli, che intervenissero in detti conviti di qualche una di dette contrafattioni, di scuti diece, per la prima volta, di venti per la seconda· e di trenta per la terza e poi per ogni altra volta di scuti trenta d'ora in oro, come sopra». Alle cc. 66v-67r: «Meta ossia tariffa da servarsi come sopra nei conviti e pasti di nozze, approvata e stabilita dalli due Serenissimi Colleggi questo giorno X di febbraro 1583. Il vino et aqua per bere in detti conviti si metta in tavola in amole di vetro insìeme con li gotti parimente di vetro e ciò per evittare la confusione de' servitori. Che serva a sei persone per piato fra di dentro e di fuori la tavola. La prima misia sia di qualunque sorte di frutta, secondo la staggiane, compreso biscotti, biscotelli e canestreletti, escluso sempre zuccata, pignocata, marzapani e zenzari verdi, come cose di molta spesa senza proposito. La seconda misia sia di tre sorti di rosti al più, esclusi sempre fagiani et pavoni, et di pastizzetti di medolla et d'insalata et di salsa et di salato. La terza misia sia l'aggiongere in taula sino in due sorti di minestra et sino in due sorti di lesso, esclusi sempre fagiani et pavoni, come sopra, et di più l'aggiongere come sopra, uno salato et insalata ·cotta. La quarta sia di borbonese, olivè et frutte, secondo la stagione, escluso terre truffale. Et all'ultimo confecioni, cioè cinamomi, amandole, nocciole, pignoli et altre simili più minestre et solite». Per quanto riguarda il giudizio di Filippo Casoni sugli usi alimentari dei Genovesi cfr. ARCHIVO STORICO DEL COMUNE DI GENOVA, Ma11oscritti Brignole Sale, n. 110 bis E.14 (secolo XVII, carteggio: F. CASONI, Costumi dei Genovesi).
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Cfr. i libri di cucina del secolo XVII.
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età tttoderna
si accompagna con i più svariati cibi - e per i cibi «falsiti». (farciti). Gli antipasti,· inoltre, sono molto più frequenti. Se· già un secolo prima il semplice nome «minestra» stava ad indicare minestre e zuppe preparate con diversi ingredienti, nel '700 il loro elenco, ancora abbastanza cohtenuto nei primi decenni, si allunga incredibilmente. Manzo e vitello, polli ed altre carni, cucinati lessi o arrostiti, fegato, laccetti, cervello fritti, cioè i piatti tramandati dal secolo XVII, sono sempre presenti ma è senza dubb10 più vario il modo di cuocere le carni, che ora sono anche grigliate, ripiene, al cartoccio. Per certi piatti sono ricercati tagli particolari di carne bovina. Il libro del cuoco della famiglia Doria del 1765 elenca nelle liste di spesa anche la farina di mais, mentre un registro più tardo, il n. 1.038 dell'archivio Do ria, degli anni 1785-1786, testimonia l'u~o della patata per la preparaziòne del « budino o dolce di patate con crema», nelle scritture alle date 2 e 6 marzo 1785. Si fa più frequente l'uso del formaggio. Non è più servito il solo piacentino, ma an~he altri tipi di latticini: la ricotta, il formaggio salato, il parmigiano, il formaggio di Olanda e quello di Ungheria. La «prescinsola», specie di formaggio locale cagliato, continua ad ess~re adoperata, come un secolo prima, per i ripieni e per le torte di verdura e formaggio. Tra i condimenti preferiti sono il burro e l'olio; il lardo è impiegato soprattutto per gli arrosti; in febbraio con lo strutto si friggono le frittelle di Carnevale. Perde terreno la «grascia», di uso molto più generalizzato nel secolo XVII. Le spezie sono acquistate ancora con una certa frequenza, almeno nella prima metà del secolo. Si allunga l'elenco dei dolci. È un cambiamento inevitabile in un secolo che ha affinato il gusto per lo zucchero, il cacao e· il caffé. Ma a Genova la rivoluzione dolciaria ha percorso strade particolari. Nei libri di cucina del '600 i dolci menzionati sono a base di latte, uova e ·farina, mandorle e polvere di riso, compreso naturalmente lo zucchero; la frutta è usata per i sorbetti. Per il secolo XVII non si hanno testimonianze di dolci a base di frutta. Se ciò non esclude del tutto l'esistenza di questi tipi di dessert, tuttavia si può dire che fin dagli inizi del secolo XVIII la frutta fa il suo ingresso trionfale nelle ricette come ingrediente che dà sapore a torte e tartelette.
Dal registro del 1765 non risultano i consumi, da parte della famiglia Doria, di cioccolato, caffé e té, le tre «novità» del secolo XVIII, ma il loro uso è testimoniato dal libro di piccola cassa, già menzionato, ~er gli anni 1762-1763 ls. Delle abitudini alimentari di una famiglia genovese alla metà del secolo XVIII ci informa più puntualmente il registro della famiglia Doria del 1765. Attraverso l'indicazione dei singoli piatti è possibile verificare, giorno per giorno; l'esistenza di schemi prestabiliti, uno per il pranzo e uno per la cena, tali da garantire un avvicendamento di generi alimentari alquanto vario, ritenuto ottimale per un'alimentazione completa. Le uniche eccezioni sono costituite dai pranzi con molti invitati. Il pranzo si articola in cinque o sei portate, una minestra, una zuppa, sostituibili entrambe con un piatto asciutto, alle quali seguono due o tre piatti di carne, di cui· uno quasi sempre di vitello o di manzo, e infine un piatto di ·formaggio·, di frutta o di dolce. SÙ questa struttura sono inserite varianti, che ne smorzano la rigidezza: se sono presenti uno o ·più antipasti, allora in lista figura la sola minestra o la sola zuppa oppure si riducòno di numero le. tre portate successive. 1:o stesso schema si ripete nei giorni di magro o anche in altri giorni della settimana, quando si sostituisce la carne con il pesce oppure con altra pietanza nelle tre portate sopra indicate, specialmente qualora il pesce sia. già rappresentato nell'antipasto. Due piatti, in ·genere, costituiscono la cena, una zuppa o una minestra o, più spesso, brodo e fideli e una pietanza a base di vitellò oppure di uova e verdura 19 • Gli elementi insostituibili nell'alimentazione quotidiana, che improntano di sé lo schema o, meglio, gli schemi di preparazione e assunzione dei cibi, sono quelli, le cui voci si ripetono con costante regolarità negli elenchi giornalieri di generi alimentari: i farinacei - pane e pasta
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Cfr. in generale i registri dei secolo XVIII; per i dolci cfr. in particolare i registri dell'Archivio Doria nn, 8021 817, 834 ecc. e, più avanti, la nota n. 24; cfr. il registro di piccola . cassa 942, cc. 83086. 19 Basta scorrere gli elenchi giornalieri di spesa per accertare !;esistenza di questo schema. Per quanto riguarda· i pranzi cfr. la nota n. 10. Da tutti i registri risulta· lo scrupoloso rispetto per i giorni di magro - il venerdì e il sabato - con consumo esclusivo· di pesce, uova, verdure. ·
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- la carne, soprattutto quella bovina, ovina, il pollame, il pesce, e la verdura e· le uova. Il pane è di uso quotidiano e, di solito, è preparato in casa, ma è portato a cuocere dai fornaio e, come ingrediente, serve a render• più denso il . brodo della zuppa o è immerso in essa a pezzetti. Della pasta acquistata le trenette e i maccheroni sono adoperati .nelle minestre di verdura o sono serviti asciutti, soprattutto gli ultimi; i fideli, invece, si accompagnano al brodo e costituiscono spesso una delle portate della cena. La pasta confezionata in casa - corzetti, ravioli, tagliatini - è servita nella minestra o asciutta. Il riso è un altro ingrediente spesso presente nelle minestre di verdura e, asciutto, è servito come «riso a rosto» o «riso falsito» 20 • Per quanto riguarda la preparazione dei. secondi, la preferenza va alle carni arrostite - di vitello, pollo, cappone, piccioni, quaglie, tordi, beccacce, pernici, e starne - , mentre il manzo è cucinato a stufato o è lesso. Le carni ovine si prestano ad essere arrostite, fritte, «falsite» o ripiene. Anche se si sono indicati i modi prevalenti di cucinare le carni, rientranti ormai in una consolidata abitudine, si deve segnalare una certa versatilità, a cui si prestano alcune di esse, soprattutto il vitello, ad essere preparate in altri modi: Fegato, laccetti, cervello, filetti, granelli sono in genere fritti, se cucinati da soli; il fegato si presta, però, alla preparazione di altri
piatti. Di solito le frattaglie, e in special modo la «tettina», sono usate come ingredienti per «bonetti>>, cima, «gobeletti», «pasticciotti», ravioli, canelotti. I granelli sono fritti; le trippe sono alla base della zup~a, mentre il «regio» serve come involucro per le «tomaselle», per la cime e per il «regio pieno». La carne di maiale, arrostita, è usata come piatto singolo, servito raramente, mentre più spesso in forma di salciccia, «mondiola», .mor~ tadella e prosciutto serve per insaporire e cl.are sostanza alle mi1;1estre di verdura e per condire i piatti 21.
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20 Per la cottura del pane presso il fornaio cfr. il registro n. 942 dell'Archivio Doria alle cc. 79 e 83; dal fornaio sono. cotti anche i dolci, cfr. il n. 1.037 in data 10 novembre 1765, giorno in cui è registrata la spesa per la cottura di un pan di-Spagna. Nel registro n. 1037 non si sa che peso e che forma abbia il pane servito a tavola: solo sporadicamente sono menzionate le «michette». Il pane grattugiato serve per friggere i cibi e· per preparare ripieni. I maccheroni, usati in minestra e, alla sera, anche in brodo, s.i accompagnano soprattutto con i funghi e, in misura minore, con i legumi, in particolare i piselli. Le trenette sono usate in minestra, con i legumi, soprattutto piselli e fagioli, ma anche con ceci, lenticchie e fave: Il riso è sovente una componente delle minestre di verdura e delle zuppe, ma è servito anche a «puré» con i piselli (20 febbraio), è'alla base del «risotto alla milanese» (17 febbraio), è servito al sugo (15 iuglio), «a rosta» (ad es. 23 settembre), «falsito» (ad es. 29 gennaio) e serve per preparare i canelotti insieme a cervello e fegato (8 gennaio) e. laccetti e cervella . (22 agosto). La minestra «mischia», ossia la minestra di verdura, usa tutte le 'verdure, in particolar modo sono ricordati nelle liste i cavoli neri, i cavoli lombardi, la zucca. Le zuppe sono .a base. di legumi e di verdure - lattughe, erbe, finocchio, rapacavoli - , di carne, soprattutto rane, gamberi, piccioni, trippe e anche di mandorle.
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21 La carne di vitello è cucinata prevalenteme.nte arrosto, ma il vitello è utilizzato anche p~r la ~repar~zione della cima ripiena, di polpette, tomaselle; costole e petto sono grigliati. Il vitello e ser:1t~ al cartoccio, è stufato, pasticciato_ ed è ingrediente per la preparazione di un «bonet~D>>, insieme a laccetti e carciofi (16 aprile); serve per la preparazione di brodo, di f~lsa, di sugo, d~l colì e. d~l fricandò; è «falsito», impanato e fritto oppure «a figaretto» (15 dicembre). La h~gua ~1 v1t~llo è alla base di piatti freddi, arricchiti con altri ingredienti, ver~.ur~ o laccettl,, ed e bollita, ma anche salata. La carne di manzo serve per preparare il ragu e il .sugo ed e usata anche in zuppe e minestre. Come portata a sé, il manzo è cucinato a stufato o bollito, arrostito o a «giardinetto». Il cappone è servito prevalentemente arrosto ma anche bollito, in cotolette e in «fricassea». I pollastri sono prevalentemente arrostit/ bolliti, «falsiti» marinati, in cotolette, ma serviti anche fritti, in «fricassea» e sono alla bas~ di piatti freddi, come i cappa~. Il gallotto è servito arrosto o in pasticci~; l'anatra invece a stufato. I piccioni sono arrostiti, bolliti, a «fricassea» e p~eparati in «bonetto». Tordi · pernici, quaglie, beccacce, · starne sono per lo più arrostiti; i colombacci sono preparati a stufato, la lepre al sangue, arrosto e a stufato. La luganega da sola è servita per «entremé» oppure con il vino; è un ingrediente per i ravioli e per insaporire le minestre. Del montone ~e parti ~sate sono le lingue,_ le cotolette, le coste, le code, il cervello, il gigotto; dell'agnello 1 lacce~tl, _le cost~lette, la coda, i piedi, questi ultimi per lo più «falsiti»; del capretto le orecchie, 1 l~ccettl, le cotolette e la spalletta ripiena. Il cinghiale è usato come ingrediente · della <'.testa~ casce~t~» (26_gennaio). n_fegato è servito in forme come paté, è preparato. in stecchi con 1 laccetti, e servito come antipasto o, altrimenti, è usato per i canelotti di riso, le tomaselle. Il cervello è falsito, è servito in «bonetto», in antipasto con laccetti e carciofi è fritto ~1s~e~e a la~cetti _e ~tlet~i; come ingrediente di altri piatti serve per la preparazione di canelotu di_ r1s~, ~ ~ast1cc1~tt1, di canestrelletti, della cima di vitello. I laccetti in genere accompagnano 1 piatti freddi e sono ingredienti dei canelotti di riso e dei pasticciotti. La . tettina è usata nei gobeletti, nelle tomaselle, nei ravioli, nei canestrelletti, nei ripieni di ~erdura, ~e~a «falsa». I ~tletti sono, in genere, fritti: sono anche ingredienti della cima e della spalletta np1ena. I pesci prevalentemente bolliti sono: dentice, lingua, loasso, merluzzo, gamberi, pagaro, l~cerna, f.alamita, ombrina~ trota, pesce spada. I pesti fritti sono: triglie, lingue, alici, sagaro, bianchetti, pagaro, rondanino, totani, rossetti. Il sagaro è servito con salsa ed è alla base della preparazione della «falsa», come il budego, e d~l colì. Le alici sono salate. Dalle list~ giornaliere emergono altre preparazioni: le triglie nel piatto, il baccalà «alla gesuita» e «m bonetto», le alici al cartoccio, il merluzzo «alla gesuita» e «alla cappuccina», gamberi in zuppa, gamberi per marinata, alici «falsite», aragosta piena, p_esce per colì.
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Patrizia S chiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Le verdure, giornalmente usate nelle minestre e zuppe e presenti ogni giorno in lista, èomprese nella voce generica «insalata>~,· che sottolinea ·generi diversi, variabili stagionalmente, accompagnano . i piatti freddi e quelli di carne come contorni ed entrano in composizione con altri ingredienti nella prep.arazione di ripieni e torte salate. Il formaggio da tavola - il piacentino, prn pregiato, e le formaggette .di mongiardino, meno raffinatè e più economiche -_- è gustato come piatto a sé; per i ripieni e Ìe torte è usata la varietà locale, la prescinsola 22• Dagli elenchi giornalieri di spesa prendono corpo e si evidenziano certe associazioni costanti di generi alimentari, tendenti a ripeters1, dalle più semplici alle più composite. Nel caso della pasta, l'associazione più frequente è quella farina-uova, alla base della preparazione della pasta fatta in casa -- lasagne,· corzetti, tagliarini - e, tra le più semplici,, vanno ricordate quelle pasta-verdure e pasta-legumi, molto. ricorrente quest'ultima, e infine. quella n:.. so-verdure, ingredienti pressoché costanti di zuppe e minestre 23 •
Per le pietanze un binomio inscindibile è quello uova-verdure; alla base della preparazione della farinata, della «panizza» e del «castagnaccio» stanno la farina di ceci o di castagne, in composizione con olio e acqua. · Le associazioni più complesse fondono i gusti dei vari generi, che le compongono, in un sapore nuovo, reso magari più omogeneo dall'aggiunta di altri elementi, le spezie. È il taso dei ravioli e delle torte salate, i cui ingredienti, farina, uova, burro o altri 'gtass1, formaggio, verdura, si spersonalizzano nella preparazione del ripieno, per ricomporsi in un nuovo aspetto e in una nuova fragi;anza. È curioso come gli stessi ingredienti, . dagli ultimi decenni del '600, si ritrovino nelle torte dolci attraverso la sostituzione dello zucchero, della «sucata» o della frutta al formaggio e alle verdure 24•
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Le verdure accompagnano la carne, come, ad esempio, i cavoli con la mortadella (21 maggio), carciofi con il piatto freddo di laccetti (13 maggio), i carciofi con i fegati di pollo (29 maggio). Spesso sono usate come piatti a sé: i carciofi sono bolliti, serviti con i funghi, con la panizza o al fuoco. Tra le pietanze a base di verdure sono da annoverare il « bonetto con i cardi»: i ripieni di carciofi, lattughe, melanzane, zucchette, cavoli e le verdure «falsite», come cavoli, carciofi, zucchette, cocomeri; i navoni «alla crema», gli spinaci «all'antica»; il selaro al parmigiano; i cardi alla parmigiana. Carciofi, lattughe e melanzane si accompagnano con le uova. Al «colì» sono preparati j cardi, i fagioli, i piselli, il sedano. Per la preparazione di salse sono adoperati gli spinaci, i piselli, le fave, i cocomeri, le scarole, i pinoli, i navoni, il sedano. Alcune verdure sono fritte - carciofi, melanzane, zucca, cardi - , altre sono servite in insalata, come i broccoli, i cavoli neri, gli spinaci e l'erba agretta; i rapacavoli sono serviti al sugo, la scorzonera si accompagna con i funghi e con i fagioli, i navoni con i pomodori. I funghi sono serviti fritti, salati, sott'olio, con le uova, al «funghetto», «falsiti», ripieni. I trifoli sono serviti con le uova, al burro o con i pinoli. Verdura da insalata di vario tipo, · a seconda delle stagioni, è compresa nella vòce «insalata», che appare giornalmente _nelle liste '· di spesa. 23 Per le lasagne cfr. il 1S gennaio, per i corzetti il 10 marzo, per i tagliarini il 25 febbraio. Le verdure, menzionate nei conti giornalieri, usate in minestre con la pasta sono i cavoli neri, i ~avoli lombardi, i c;ardi; il cavolfiore, i navoni, la zucca, le rape, il crescione e natu~almente i legumi, soprattutto piselli, fagioli, lenticchie, ceci e fave. Il riso nella minestra mischia è_ associato spesso alle verdure e legumi sopra citati e inoltre ai · carciofi e lattughe, alle zucchette e melanzane.
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24 Le pietanze più semplici sono composte da un ingrediente prevalente: è il caso delle focaccette di pasta di pane, dei «frisuoli» di zucca e di quelli di panizza, dei funghi fritti, dei «coccolli» di zucca oppure dei cocchetti di riso. Pietanze più complesse sono quelle a base. di due ingredienti predominanti, come il caso del «biscotto condito», cioè galletta servita con pesce, oppure quello delle uova, servite con crema o salsa oppure· «alla prussiana». Si sono già visti alla nota n. 22 i piatti a base di verdura e di uova, a cui si possono aggiungere la frittata con uova ed erbe, con uova e carciofi, le uova al colì con cocomeri. Abba·stanza usate sono la polenta e la panizza, cucinata, quest'ultima, anche sotto forma di «frisuoli», la farinata di farina di ceci e quella con farina di castagne, il cosiddetto «castagnaccio». Passando alle ricette con una pluralità di ingredienti, ci si sovviene dei ravioli, i cui ingredienti sono farina, uova, erbe o borragini, ptescinsola, tettina, midolla e luganega, e le torte salate, · preparat.e con riso e uo_va, con carciofi e prescinsola, oppure con .erbe e prescinsola, con cipolle e prescinsola, con funghi e prescinsola. Ì piatti sopra menzionati vedono tra 'i loro ingredienti anche 1a farina, le uova e i grassi. La cima di vitello annovera tra i suoi ingredienti le uova, il filetto, il cervello. Gli altri piatti compositi, rientranti nella tradizione ligure, ricordati nel registro n. 1.037 e negli altri libri di cucina, in cui è adoperata anche la carne, sono: i «gobeletti» preparati con vitello, tettina, pistacci, pinoli; i «canelotti di riso» con uova, cervello, fegati e laccetti; il «riso falsito» con uova, ragù, luganega, piccioni, cervello·, e fegato; le «tomaselle» preparate con fegato, ragù, tettina e regio, midolla; i «pasticciotti» con burro o grascia, ragù, laccetti, cervello, midolla, riso, filetti,. regio, laccetti; le <<granate di riso» con ragù, laccetti, cervello; i «canestrelletti» con laccetti e cervello; i «pansarotti» con ·zucca, sucata; zucchero, zafferano e mandorle. Per quanto riguarda i dolci, gli ingredienti base delle torte sono le uova, il burro e la farina, a cui si aggiungono le ciliegie (reg. 802); spesso la farina non è menzionata nelle liste di spesa, ma solo le uova e il burro, associati ad amarene (regg. 802, 817), sucata e pesche (reg., 817), mele (ibidem), canbella e persicata (ibide111); spesso nelle liste appare solo il burro, a cui si aggiungono farina, merelli e pe~sicata (reg. 802), mandorle, cannella e persicata-(reg. 817), amarene e sucata (ibidem), pesche (ibidem), amarene, zucchero, cannella e persicata (reg. 834), pesche, pere e zuccherò (ibidem).
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Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
La carne non entra a far parte dei piatti composti, ma, tutt'al. pi-µ, le frattaglie sono ingredienti del ripieno della cima· di vitello, Ìn~ieme a tutti gli altri generi alimentari sopra nienzionati, esclusa la farina. E nella cima la carne è impiegata come involucro edibile, · come contenitore, così come nel regio ripieno, come profilo esteriore che delimita e dà forma alla fetta, servita nel piatto. Del resto nella cucina genovese, di tipo mediterraneo, la carne non ha molta parte, in quanto la natura prevalentemente montuosa del suolo non favorisce l'allevamento bovino e suino, ma piuttosto quello ovirto e un allevamento di tipo domestico, dal quale provengono in abbondanza le uova, base di tutti i ripieni tipici della cucina ligure. La natura del suolo e il suo adattamento a fasce permettono invece la coltivazione delle verdure dell'orto, la produzione dell'olio e della frutta. Le castagne sono, invece,. prodotti tipici dei boschi dell'Appennino, mentre i pesci provengono dal mare prospiciente le coste. È una cucina povera, che hà saputo sopperire in modo disinvolto e brillante alla mancanza di alimenti completi dal punto di vista nutritivo, come.il latte, o energetici; come la carne e i grassi animali, unendo insieme il poco o il non molto in piatti, che risultano essere
la somma di tutti i generi alimentari a disposizione 25 • E ii persistere di questo carattere composito del cibo, anche a livello inconscio all'epoca dei nostri registri, lo si avverte nel modo in cui sono scritte le règistraziohi del libro di cucina: dei singoli piatti genovesi non è indicata la spesa complessiva, comprensiva di tutte le componenti, ma ciascuno di essi è scomposto nei suoi elementi, che figurano come voci a sé stanti, portanti, a mo' di richiamo, l'indicazione della preparazione, di cui sono ingredienti. È un modo di cucinare che si scompone e si ricompone nelle combinazioni accennate, adattabile alle situazioni più diverse, essenzialmente pratico. Proprio per questi caratteri le famiglie genovesi, fra cui i Doria di Montaldeo, lo hanno conservato. çome risulta dal libro del cuoco, la famiglia Doria noti rinuncia alla cucina genovese, non tanto per motivi di ordine economico, ma per un uso alimentare ormai consolidato, vantaggioso, perché offre un'estrema varietà non solo di gusti, ma anche di preparazioni, che sono un concentrato di principi nutritivi, tale da ·garantire un'alimentazione pressoché completa. E !a famiglia alterna con disinvoltura queste portate ai piatti di carne. E in questi ultimi, meno tradizionali, !Ila divenuti nel '700 più frequenti, che si fa sentire l'influenza straniera. Se nel secolo precedente l'influsso estero era limitato ai grandi pranzi e s1 manifestava èon la ricerca di squisitezze esotiche, di ornamenti
Non si può stabilire se queste differenze siano dovute a diverse ricette oppure alla semplice dimenticanza nel nominare gli ingredienti. Altre torte ricordate nei libri di cucina sono quella di «agratio» con agratio e zucchero (ibidem), e la focaccia dolce con pesche e zucchero (ibide1JJ). Accanto a queste novità del. secolo XVIII si trovano altri tipi di dolci: cannoni con· la crema (regg. 817, 834), canestrelletti (regg. 802, 817, 834), can.estrelletti con riso (reg. 834), bianco di mandorle (regg. 802, 817, 834), latte cotto (regg. 802, 817), latte a rosta (reg. 834), gobeletti dolci con burro, zucchero, uova e midolla (reg. 802), pasticciotti con burro, uova, cui si aggiungono sucata e cannella, oppure latte e polvere di riso, oppure strutto, midolla e sucata, oppure merelli e persicata, oppure mele (reg. 817), zuppa di amarene (ibide1n), pasticcio di riso (ibide1JJ), ·sfogliatelle di uova e burro oppure di uòva, burro e mele (ibidem), sorbetti di amarene, frutta mista, limoni, mandorle amare e cannella, merelli, merelli e cannella (regg. 817, 834) tartelette con amarene, albicocche, merelli e pesche (reg. 834), marmellata di mele; pesche e pere (ibidem). Il cio~colato è servito con pane abbrustolito (reg. 802), con il sale e freddo (reg. 817), con la cannella (reg. 834). Dal registro n. 1.037 dell'archivio Daria risulta che i dolci consumati siano le torte di amarene, mandorle, fragole, quelle di «agratio», zucche. e sucata, la torta alla francese. Inoltre nelle liste del registro figurano le sfogliate con sucata, le paste di burro e mandorle, il latte a rosta, il latte alla spagnola, i canestrelletti, la crema al forno, le tartelette con 1 merelli. ·
25
1879
Fin dal Medioevo la cultura alimentare ligure è una cultura degli alimenti vegetali in contrapposizione alla cultura continentale nordica: cfr. M. MONTANARI, Ali,ncntazione ... cit., p. 166. E questo suo carattere è mantenuto anche nel secolo XVIII. I prodotti tipici del territorio ligure sono: ortaggi, legumi, vino, olio, frutta. I tratti del paesaggio che nel secolo XVIII colpiscono i viaggiatori forestieri sono le distese di piante di olive, di· arance, di limoni di alberi da frutta che ricoprono i declivi: cfr. G. MARCENARO, Viaggiatori ... cit., pp. 30:32, 36, 44, 47 e 49-50. Tobias George Smollet nel 1765 afferma: «Si potrebbe credere che in una regione montana come questa abbondino le capre; infatti ne scorsi molte. greggi pascolare negli anfratti delle rupi. Eppure non potei mai procurarmi mezzo litro di latte per il nostro té, anche se l'avessi pagato a peso d'oro. Qui la gente non si sogna nemmeno di adoperare il latte puro come ·alimento e, quando ne domandate ai pastori, vi si mettono davanti a guardarvi con una stupida espressione di stupore, che vi fa saltar la. mosca al nasq. Fa meraviglia che l'i~tinto non insegni ai contadini di nutrire i loro bambini con latte di capra, tanto più salubre e àggradevole del misero cibo con cui si sostentano», cfr. G. MARCENARO, Viaggiatori ... cit., p. 45. Sui problemi riguardanti lo sfruttamento agricolo-pastorale del territorio ligure cfr. E. GRENDI, Introduzione ... cit., pp. 15-35 e 89-142; M. QUAINI, Per la storia del paesaggio agrario in Liguria, in «Atti della Società ligure di storia patria», n.s. XII (1972), pp. 203-360.
1880
Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età _moderna
nelle portate e di ostentazione nell'argenteria e nella biancheria da tavola, elementi pronti ad appagare soprattutto la vista, nel secolo · XVIII entrano a far parte delle biblioteche delle famiglie quei manuali di cucina, provenienti dalla Francia, che si prefiggono come scopo quello di proporre al lettore e al cuoco ricette abba~tanza ·semplici ed economiche, tali da poter essere utilizzate non esclusivamente dalle famiglie nobili, ma anche dal ceto medio 26 • Nella prima metà del secolo XVIII comincia a entrare nell'uso la terminologia del servizio aJla francese ~ voci come «entré» o «entremé» sono attribuite a piatti ttadizionali; dalla metà del secolo in poi invece sono introdotti i veri e propri piatti francesi. Questi ultimi nelle liste di spesa della famiglia Daria non sono scomposti nei loro elementi, come quelli genovesi, ma ciascuno è subito individuabile come unità a sé stante ed è no.minato con il sùo nome, comprensivo di una pluralità di ingredienti che non è possibile determinare . da quanto risulta o, meglio, non risulta dalle scritture del libro del cuoco. Per la preparazione dei piatti francesi ci si serviva, con ogni probabilità, di un manuale di cucina, al quale si poteva sempre far · rimando per gli ingredienti usati, mentre l'inesistenza di ricettari nel caso della cucina genovese - il primo manuale di cucina risale alla seconda metà del secolo XIX - faceva sì che al carattere pratico-economico si unisse una certa libertà di scelta di ingredienti e di varianti, perfettamente rispondente alle diversità stagionali e di possibilità di spesa. ' · Nell'alimentazione quotidiana la cucina genovese continua quindi a sostenere bene il confronto con quella francese: il tramandarsi orale
delle ricette, patrimonio culturale e professionale dei cuochi, introduce, pur sempre nell'ambito della tradizione, una possibilità di innovazione parziale, che le garantisce una freschezza e un'attualità e semplicità tali da assicurarle la sopravvivenza nell'alimentazione quotidiana; Anche nei grandi pranzi si assiste a un compromesso: cucina genoye~e e cucina francese si fronteggiano e si alternano con equilibrio, proprio in un carri.po in cui la tradizione locale avrebbe potuto essere svantaggiata. Del resto, in questo periodo, la vitalità della tradizione genovese è testimoniata dai trattati italiani di cucina, in· cui figurano diverse ricette di «zuppa alla genovese», bocconetti, insalatine, panizze, timballi, tutti piatti della migliore tradizione ligure. · Quella genovese è una tradizione viva, che perdura anche nel secolo XIX: in casa Brignole, negli anni 1832-1834, pur vivendo la famiglia più in Francia che a Genova, cucina 1,1n cuoco che prepàra i cibi esclusivamente alla maniera genovese 27 •
... -~
...;·
1881
._·:t
'
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26
Cfr. Costu111i dei Genovesi del Casoni, citato nella nota 16. La biblioteca Brignole Sale, conservata presso la .Biblioteca civica Berio di Genova, annovera testi francesi di cucina, risalenti ai' secoli XVII e soprattutto XVIII: Sieur de la V ARENNE, Le cuisinier français, Lyon 1663; Les delices de la ca,npagne, suite d11 Jardinier français où il est enseigné aux cuisiniers, boulangers, patissiers et autres personnes à preparer pour l' usage de la vie tout ce qui eroi! sur la terre et dans !es eat1x, Amsterdam 1655; M. MASSIALOT, Cuisinier royal et bo11rgeois, Paris 1737; Nouvelle instmction po11r /es i:011fitt1res, /es liq11e111-s et /es fmits, ·Paris 1734; Les dons de Co,nus 011 l'art de la cuisine reduit en pratiq11e, Paris 1750; La science d11 111attre d' h6tel ct1isi11ier, Paris 1773; La cuisinière bo11rgeoise st1ivi de l'office, Paris 1793. I libri di cucina non hanno tramandato ricette tipiche della cucina ligure,· ma offrono testimonianza degli ingredienti usati per la preparazione dei piatti più tipici. Una ricetta del pollo a fricassea, invece,- ci è stata riferita nel 1739 da Charles de Brosses, cfr. G. MARCENARO, Viaggiatori .... cit., p. 38. Il manoscritto Mr. IV 1.42 della Biblioteca civica Berio ci ha conservato. una ricetta del «bianco di latte o amandole».
27 Cfr. L'arte della c11cina in Italia, a cura di E. FAccrou, Torino 1987, pp., 756, 768, 782-783, 787 e 795-796; cfr. anche ARCHIVIO STORICO DEL_ COMUNE DI GENOVA, Archivio Brignole-De Ferrari, Libro di cucina degli anni 1832-34.
TABELLA
Gruppi alimentari
Pane ... Farina Pasta e riso Vitello Manzo Pollame Ovini Frattaglie Carne suina Selvaggina Pesce Uova Latticini Grassi Verdura Frutta··. Funghi Spezie Sale etc. · Zucchero etc. Varie alimentari ; Vino Minestra e sugo
,·
TOTALE
Servi Utensili Servizi Varie· Animali Neve
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia S chiq_ppacasse
1882
'
..
di cucina per· il 1765 (in lire genovesi)
1 - Famiglia Daria. Spese Marzo
Aprile
Febbraio
6.08 0.12 3.18.08 38.04.08 16.00.08 7.06.04. 5.06 13.18 9.04.08 3.08 15.13.04 9.14 15.11 15.09.08 11.12 2.11.04 4.00.04 4.06 3.12 1.08.08 3.00.08 0.06 5.16.04
7.18 0.02.08 6.13.08 22 8.07 11.12 3.18 8.04 4.04 5.08 26.14 10.06.04 15.15.04 11.15 21.16.10 4.17 5.19 3.06
5.04 1.07.04 6.11.06 14.06 7.05.04 11.12
1 2.06.08 5.01.08
0.05 0.06 0.04 7.00.08
197.08.04
187.05.02
153.03.08
207.16
228.14
177.00.08 1.04 7.08 3.10
-150.15.08 0.06 6.07.02 8.01.04.
146.17 0.19.04 6.07 9.05.08 0.08
155.15.04 0.06 8.14 16.09
156.00.04 1.01.04 20.11.04 6.00.04 4.16
6.08 4.04.08 40.02.10 3.14.08 10.06.08 4.10 25.00.04 1.14 0.08 2.12.08
6.12.04 0.04 6.14.02 29.03 15.02.08 17.08 7.03.04 11.17.08 5.02 3.04 20.17.04 1.10 15.01 11.09.08 29.13.04 4.03.04 1.02.10 3.12 4.12 3.11.04 0.14 0.04 8.14
Giugno
Maggio
Gennaio
1883
3.16 0.02 3.14 5.08 2.06 6.02
23.04 5.06 14.03 11.15.08 18.03 41.05.04 10.04.08 2.03 7.16 3.16 4.00.08 0.04.08 4.15.04
184.14
473.01.04
257.1,6.08
181.06.04
61.13.08
140.10;08 2.08 5.19.04 13.16.08 9.12.08 1.00.08
163.12.08 9.02 6.04 15.05 7.04 5.06.04
159.08 1.06.08 5.18 17.03 0.06 5.14
92.06.08 0.12 B.09 16.09 0.14 3.03
45.19.04 0.06 2 2.04 0.16 0.09
358.02
679.15.04
447.12.04
5.10.08 25.02.04 11.08 14.02 1.14 7.13.08 1.04
26.01 1.12 14.05.08 11.12.08 24.14.08 18.18.08 6.05 4.04 5.18 2.15 1.04 0.08 8.15.08
14.06 4.16.04 11.16.08 7.00.10 18.05 28.01 3.18.06 1 4.13 2.12.08 0.18 6.12.08
15.03.04 4 2.08.08 26.17 11.09. 13.05.04 2.06 6.18.08 1.13 3.12 · 16.03.08 5.03.08 11.05 7.04 10.12 26.03 6.02.04 2.04 2.19 0.15 1.07.08
Ottobre
44.14.08 9.16.08 17.19 29.04.04 30.17.08 51.13 12.01.04 9.13 4.14.08 3.08 1.05 1.18.08 10.04.04
5.14 28.06 12.06 20.18 5.16.08 14.07.04 5.04
'
Settembre
21.13.04 7.04.08 5.04 34 15.06.08 4.06 4.08.08 15.09.04 3.06.08
13.18.08
:
Agosto
29 4.10 7.01.08 73.19 33.06.08 40.11 9 28.08 19.14.08
9.07.08
t
Luglio
3.14
4.00.08 0.18 6.12.08 1.02.08 5.09 1.18 , 5.17 5.07 0.05.04 3_.12 1:04 2.08 0.08 1.03.04
Novembre
Dicembre
18.03;08 5.12.04 2.17.08 30.07.04 9.03.08
·ToTALE
GENERALE
4.12 10.12.08 6.08 3.14 16.01 6.09 7.03 3.10.08 11.03.08 4.16.08 2.10 4 2 0.15 2.04 0.12 5.13.04
171.13.08 34.15.04 61.03 355.04 153.13.04 170.09.08 51.16.08 141.12 61 35.14.08 293.01.10 76.14.08 163.11 164.06.10 228.05.02 215.11.08 66.13.04 46.07.08 43.03.04 27.05 19.14.08 7.08.04 71.16
369.13
158.09.08
2661.01.10
112.08 1 4.12 35.16.04 3.16 5.08
102.02 0.02 5.08 14.17
1602.16.04 18.13.04 92.17.10 158.17.04 27.12.08 21.01
532.13.04
280.18.08
4583.00.04
34.08.08 11.00.04 4.14.04 27.10.08 11.11.08 23.07 7.12 13.14 4.01 12.04 42.11.04 17.03.04 24.15.08 48.16.04 20.09.08 26.01.04 13.16 5.15 5.14.08 4.10.04 2 3.11 4.04.08
, TOTALE
386.11
352.15.04
317.00.08
389.00.04
417.03.04
',
'
., . . .
308,
113.08
1884
TABELLA
2 - Servitù della famiglia Doria. Spese
},
.
....-----------------.-----"T"""---"""T'"------r-----r-.a-----,--.:V Gruppi alimentari
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
'
Maggio
di cucina per il 1765 (in lire genovesi) Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
'·
39.05
Minestra . . . : . . . .
35.09
39.05.04
38
38.05.04
32.08.08
37.16
37.04
21.02.08
15
29.11.04
22.16
105.16
64.16
20.05
86.16
95.11
84.10
99.12
Companatico .. .
15.04
26.10
49.10
9.12
12.08
13.18
15.12
Formaggio .. .
10:05.04
10.09.04
9.04
18.10.
9.12
Manzo . . . . . . .
9.01.04
10
1.04
Burro . . .
0.13.04
0.04.04
Verdura .
0.08.04 ·
. 63
0.06 TOTALE .
Pane e vino . . . . . TOTALE .
1.17 .04
1.00.08
843.12 ,
56.10
19.14
57.02
. 19.10
9.02
4.16
15.04
8.14
200
11.04
5.12
4.10
10.10.08
7.12
116.10.08
90
0.07.04
1.05.04
2.16.08
0.06
0.14
2.06 27.12 ·
27.12
Frutta . Spezie .
386.03.04
11.14
11.14
Ravioli . . . . . . .
TOTALE
GENERALE
6
6
Lasagne . . . . , .. .
1885
I consumi alimentari delle j amiglie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia Schiappacasse ·
1
0.04
177.00.08
150.15.08
148.01
154.11.04
156.00.04
244.18
221.04
244.18
236.10
118.10
421.18.08
371.19.08
392.19
391.01.04
27 4.10.04
-~
·.:,'.fl.-
I, ..
~
·1
I '---------------------------------1ìt ·ili.
0.12.08
0.94.04
140.10.08
163.12.08
6.01.08
0.16.08 159.08
92.06.08
45.19.04
112.08
102.02
1602.16.04
1886
TABELLA
Gruppi alimentari
Pane
3 - Monastero di S. Gerolamo di-Qùartq. Gennaio
0.18
Farina
Febbraio
Marzo
1
1
2.06.08
1.10.04
Aprile
Maggio
1.08
11.13.04
23.18
11.09.04
23.03.04
11.01.04
Vitello
30.06
13.01
13.13
29.14
40.13.04
Manzo
34.08.04
10.10
25.06.04
29.03.04
Pollame
10
11.04
Ovini
4.02
8.02
5.02.08
1.16 8.06.04
Spese di cucina per il 1769 (in lire genovesi) Giugno
Luglio
1.04
1.16
Agosto
3
Settembre
6.02
8.01.04
1.10 14.19.04
Novembre
Dicembre
2.14
1
.
0.04
3.04
8.01.08 200.02.08
23.00.08
20.16
10.16
10.16
21.10
23.14
32.11
35.17
30.19
31.13
33.06
24.09
339.16.04
28.04.08
31.00.08
32.08.08
36.05
65.10
40.11.08
32.13.04
371.04.08
7
5
4.12
8.06
1.16
4.10
2
0.13.04
3.10
3.05
15.15 1
1 17.18.08
Uova
45.07.04
Latticini
6.09.04
59.10.08
74.04
15.17.04
24.16.04
50.01
32.04
29.12
40.16
14.06.08
12.18
15.07.04
16.09.04
20.14.08 52.10
21.06
24.18
39.14.04
17.10.04
21.13.04
38.16
46.15
26.10
31.08.04
0.12 6.19.04
18.00.08
16.15.04
Frutta
2.14
20.01.04
2.16.04
Funghi
1.04
Spezie
.0.06
0.12 9
Zucchero
5.16.08
173.14.04
Utensili
1
Servizi
3.18
178.12.04
6.10.08
13.04
5.15
9.08 10.09
247.18.08
0.06 13.03.08 9 11.13.04
1.04
4
7.02.08
182.05.04
0.12
211.05.08
213.08.04
162.18.04
12.08
347.03
70.06
90
544.10.08
3.15
31.13
194.19
0.14
0.05
2.09
10.12.08
12.03.08
10.04
140.03.04
46.03.04
2.19.04
1.10
114.12.04
12.13.04
26.10.08
6.13.04
12.15.04 5.16.08
5.16.08
6
2.04
163.11.04
18.04.08
6.05
10.05
7.05
209.19.04
223.02
276.07.04
215.04.04
0.18
2
248.16.08
184.05.04
2.08
3.06
3.02
0.02.08
169.01.04
214.14.04
1.17.06
17.16.08
6.18.02 222.04
191.03
27.16
13
42.11.08
15.12
27.06
262
2541.15
11.08
10.08
Varie ToTALE
10.15.04
2.06
1.04 TOTALE
18.14
1
Sale
Varie alimentari
6.16
28.17.04
33.14.08
Grassi Verdura
55.14 47:01.08
3.10.08
Selvaggina Pesce
J
21.02.08
7.14.08
0.08
20.02
0.08
2 ,-
TOTALE . GENERALE
10.16
Frattaglie Carne suina
Ottobre
0.12.08
Pasta e riso
.
1887
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderµa
Patrizia Schiappacasse
0.06
4.14
5.02
1.11
5.05
49.02.02
0.16
1.05
3
1
1.16
17.19.10
211.01.04
229.01
284 .. 09.04 217.15.04
269.01
2620.05
1888
5 - Stuttùra delle spese di cucina della famiglia Daria (1765) e del monastero di S. Gerolamo di Quarto (1769) (in lire genovesi)
4 - Monastero di S. Gerolamo di Quarto. Quantità di derrate alimentari acquistate nel 1769
TABELLA
TABELLA
Generi alimentari
Unità
di misura
Generi alimentari
Quantità
Unità di rr:iisura
unità
Farina Fariria ,di castagne Farina di ceci Farina di granone
libbre libbre · libbre
Pasta Riso
libbre libbre
671.06 381
Manzo Vitello
libbre libbre
1.609 1.123.06
Capponi Piccioni Pollastri
libbre unità unità
15 14 44
Agnello Capretto
unità libbre
Salumi
libbre
Pesce Pesce salato Arenghi
libbre libbre unità
4
3 6 62.06
105 80.06 30 715.03 202.02 60
Uccelletti
unità
24
Grascia Olio
libbre quarti
8 25
Latticini
libbre
Uova
unità
Carciofi Ceci Cipolle Fagioli
Fave fresche Favetta
468.11 11.587
unità gombette resta gombette libbre
144 6 1
gombette gombette
20 5
3_4Yz 23
Lenticchie Melanzane Navoni Piselli freschi Piselli d'Olanda Scarole Bricocoli
Castagne Castagne secche Ciliegie Fichi secchi Mandorle
Mele Meloni Noci Nocciole Pere Pesche Pinoli Pistacci Zibibo
MONASTÉRO DI S. DOMENICO DI QUARTO
FAMIGLIA DOR!A
Quantità
' Generi alimentari
Biscotti
1889
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età m_oderna
Patrizia Schiappacasse
gombette unità unità gombette gombette unità
7 180 177 22y, 8 24
libbre unità
31 84
-gombette libbre libbre. libbre libbre unità
23'/2 3 171V, 13 25 1.200
libbre 1.875 unità 4 8 gombette gambette 4 189 libbre 66 unità libbre 5 o,10 libbre 15.06 libbre
Funghi Funghi secchi
libbre libbre
47 8.08
Spezie
libbre
2.19
Sale
libbre
312
Sucata Zuccherò
libbre libbre
3 86
Canestrelli Cedro candito Confettura bianca
unità libbre libbre
20 5 32
' ·'I!
Sl'esa
Percentuali
Pane Farina Pasta Riso Farro
171.13.08 34.15.04 41.03.10 19.12.02 0.07
Vitello Manzo Pollame Ovini Frattaglie Carne salata Carne suina Selvaggina Pesce
355.04 13,3 153.13.04 5,8 170.09.08 6,4 51.16.08 2. 134.18 5,1 6.14 0,2 61 2,29 35.14.08 1,3 293.01.10 11
;
76.14.08 163.11
2,9 6,1
Grassi
164.06.10
6,2
Verdura Frutta
228.05.02 215.11.08
8,6 8,1
Funghi
66.13.04
2,5
Spezie
46.07.08
1,7
Sale
38.19
1,5
Agratio
,.
Zucchero
3
0,1
1.04
0,04
17.13.08 · 0,66
Succata
9.11.04
0,4
Vino
7.08.04
0,3
Minestra _Sugo Varie alimentari TOTALE.
34
%
6,5 1,3 1,6 0,7 0,01
Uova Latticini
Aceto
TOTALE
54..08
2
17.08
0,7
19.14.08
0,7
12661.01.10 ~00,00
10,11
47,39
}
9
Spesa_
Percentuali
Pane Farina Pasta Riso
20.02 8.01.08 148.18.08 51.04
0,7 0,3 6 2
Vitello Manzo Pollame Ovini Frattaglie Carne suina Selvaggina
339.16.04 371.04.08 55.14 47.0L08 2 15.15 1
13,4 14,6 2,2 l,8 0,1 0,6 0,1
Pesce
347.03
13,6
Uova Latticini
544.10.08 194.19
21,4 7,7
2.09
0,1
Verdura Frutta
140.03.04 114.12.04
5,5 4,5
Funghi
26.10.08
1
Spezie
12.15.04.
0,5
Sale
27.16
1,1
Zuc'chero'
42.11.08
1,7
Varie alimentari
27.06
1,1
Generi alimentari
Grassi } 16,7
-
TOTALE . . •
2541.15
11.oo,oo
TOTALE
%"
9
46,4
} 29,1 } 10
1890
Patrizia Schiappacasse
TABELLA
6
S.ervitù della famiglia Doria. Struttura delle spese di cucina per il 1765 (in lire genovesi) GENNAIO-APRILE
GENNAIO-DICEMBRE
Generi alimentari
Spesa
Percentuali
Generi alimentati
Spesa
TABELLA 7 - Struttura in dettaglio delle spese di cucina della famiglia Doria (1765) e del monastero di S. Gerolamo di Quarto (1769) (in lire genovesi)··
Pasta Manzo
386.03.04
24
17.14
1
843.12
53
Companatico
200
Formaggio
116.10.08
12,5
Minestra
151.19.04
Pasta Manzo
7
Formaggio
17.14
1,1
277.13 .
17,6
100.16
Companatico
9,6
48.08.08
6,38 3,1
Burro
2.16.08
0,2
Burro
Verdura
2.06
0,1
Verdura
27.12
1,8
Frutta
27.12
1,7
0,4
Spezie
4.04
0,3
947.10
60,1
.,
1.04
0,07
0.17.08
0,05
Spesa
Pane Biscotto TOTALE Farina di Farina di Farina di Farina di Semola
grano ceci granturco castagne
TOTALE Frutta Spezie
6.01.08
Pane e vino . TOTALE
1602.16.04
100,0
TOTALE
1577.18.18
100,0
MONASTERO DT S. GEROLAMO DT QUARTO
FAMIGLIA DORTA
Percentuali·
Generi alimentari
Minestra
1891
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età o/oderna
Maccaroni Fideli Trenette Corzetti Ravioli Gnocchetti Tagliarini Canelotti Panserotti Vermicelli TOTALE Vitello Manzo TOTALE Polli Piccioni_ Tordi Quaglie Galotti Anatre Polanche Capponi Galline
•,
TOTALE
Percentuali
166.00 5.13.08
96,7 . 3,3
171.13.08
100,0
31.09 1.12 0.18.04 0.12 0.04
90,5 4,6 2,6 1,7 0,6
34.15.04
100,0
11.09.10 9.08.08 7.06.08 7.02 2.14 1.02 0.14.08, 0.12 0.10 0.04
27,8 22,9 17,8 17,3 6,6 2,7 1,8 1,4 1,2 0,5
41.03.10
100,0
355.04 153.13.04
69,8 30,2
508.17.04
100,0
73.12 36.06.04 20.17.04 13.16 10.14 5.16 5.12 2.10 1.06
43,2 21,3 12,2 8,1 6,3 3,4 3,3 1,5 0,7
170.09.08 · 100,0
Generi alimentari
Spesa
Pane Biscotto . TOTALE Farina di granturco Farina di ceci Semola Farina di castagne
.
TOTALE.
tuali
19.06 0.16
96 4
20.02
100
4.19.04 2.11.04 0.06 0.05 8.01.08
61,4 31,8 3,7 3,1 100
113.02.08 22.10.08 13.00.08 0.04.08
76;1 15,7 8,2
TOTALE.
148.18.08
100,0
.,
371.04.08 339.16.04
52,2 47,8
TOTALE
711.01
100,0
21.08 19.08 14.18
38,4 34,9 26,7
Fideli Vermicelli Pasta di Sardegna Pasta ordinaria
Manzo Vitello
Percen-
Polli Capponi Piccioni
TOTALE.
o
55.14.14 100,0
1892
Patrizia Schiappacasse
segue:
TABELLA
7
segue:
MONASTERO DI
FAtHGI.IA DoRTA
S.
TABELLA
Montone Agnello Capretto TOTALE Laccetti Fegato Cervello Granelli ·Tettina Filetti Carne salata Midolla Regio Trippe TOTALE Prosciutto Salciccia Arrosto di maiale Mondiola Sanguinaccio Salame Mortadella TOTALE Uccelletti Beccacce Colombacci Lepre Rane Pernici· Tortore TOTALE ..
Spesa
Percen-
tuali
35.13.04 9 7.03.04
68,8 17a4 13,8
51.16.08
100,0
40.10.08 32.13.04 26.14 11.10.08 8.19.04 8.15.08 6.14 3.13 1.06.08 0.14.08
28,6 23,1 18,9 8,1. 6,3 6,2 4,7 2,6 1.
141.12 40.03 8.16.08 6.04 4.14.08 0.11 0.06.08 0.04 61
Spesa
Generi alimentari
26.05 2Ò.16.08
Agnello Capretto
TOTALE
47.01.08 1.10 0.10
Laccetti Fegato
tuali
55,8 44,2
100,0 75 25
65,8 14,5 10,2 7,8 0,9 0,5 0,3 100,0
15.02.08 12.16 2.04 2 1.12 1.08 0.12
42,5 35,8 6,1 5,6 4,4 3,9 1,7
35.14.08
100,0
Mortadella· Salciccia Maiale Prosciutto
•·
TOTALE. Selvaggina
2 7.14.08 4.02 3.05 0.13.04
15.15 1
100,0 49,1 26 20,7 4,2
100,0 100,0.
Spesa
Generi alimentari
.-3-
(•
TOTALE.
Pesce generico Loasso Nasello Acciughe Rondanino Frutti di mare Pesce salato Pagaro Lingua Triglie Pesce spada Gamberi Ombrina Dentice Sagaro Figaro Merluzzo Besugo Mormora Rossetti Cernia Trulla Storione Totfini . Palamita Bianchetti Aragosta Baccalà Leccia Organo Budego Bottarega Ostriche Arengo
•·
·- ~.
TOTALE Formaggio da tavola Prescinsola Crema Latte TOTALE
.1
MONASTERO DI
S.
GEROLAMO DI Q.UARTO
Percen-
0,5 100,0.
7
GEROLAMO DI QUARTO FA,HGLTA DoRTA
Generi alimentari
1893
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
42.02 24.08.04 21.12 19.03.02 18.05.04 17.08 13.13.04 1:3.11 13.04.04 · 10.17 10.14.08 10.02.08 10.02 8.13.04 6.17 6.06.08 5.14 5 4.04.08 4.03 3.18 3.11 3.02 2.19 2.08 2.07 2.06 2.01.04 1.10 1 0.13 0.10.10 0.10 0.04
P.ercentuali
14,4 8,3 7,4 6,6 6,2 5,9 4,7 4,6 4,5 3,7 3,7 3,5 3,4 3,1 2,3 2,1 1,9 1,7 1,5 1,4 1,°3 1,2 1,1 1 0,9 0,8 0,8 0,7 0,5 0,34 0;2 o;t 0,1 0,06
293.01.10
100,0
142.05 8.02.04 7.02.08 6.01
87 5 .4,3 \7
Generi alimentari
Nasello Acciughe Bughe Merluzzo Rondanino Pagari Seppie Bianchetti Sardine Occhiate Muggine Tonno Razza Aragosta Arengo Rossetti Triglie Cappone Sarago Baccalà Musciame Salmone Caviale Dentice Orate Laxerti Collari Frutti di mare Scorpene Arselle
Spesa
49.16.04 48.06 41.17 r 37.14.04 22.11.04 19.03 15.12.04 15.00.04 14.198 12 9.02 8.10 6.os· 6 5 5 4.19 4.02.08 3.06.08 2.08 2.08 2.08 2.02 2 1.10 1.08 1.04 1.02 0.16 0.08.04
Percen-
tuali
14,3 14 12,2 10,9 6,5 5,5 4,5 4,3 4,3 3,5 2,6 2,5 1,9 1,7 1,4 1,4 1,4 1,2 1 0,7 0,7 0,7 0,6·· 0,5 0,4 0,4 0,3 0,3 0,2 0,1
. TOTALE Formaggiq di Olanda Formaggio di Chiavari Piacentino Pecorino
347.03 146.10 .O! 17:03 15.17 15.08.04
100,0 75,1 8,8 8,1 8
100,0 TOTALE
163.11
100,0
TOTALE.
194.19
100,0
segue:
TABELLA
Spesa
Generi alimentari
Burro Lardo Olio Grascia Strutto TOTALE
Percentuali
80.09.06 49.15 26.12 5.12.04 1.18
49 30,3 16,2 3,4 1,1
164.06.10
100,0
segue:
7
MONASTERO
FAMIGLIA DORIA
DI S.
Generi alimentari
Grascia
TOTALE
GEROLAMO
DI
;
28,41 64.17.10 12,13 27.14 12 27.07.10 12.18.08 . 5,7 9.12.04 4,22 3,63 8.05.04 3,07 7 6.18.Ò8 3,03 2,6 5.18.02 2,3 5.04.04 2,1 .4.15.08 2,03 4.12.08 1,97 4.10.04 1,85 4.04.08 1,5 3.05.08 1,4 3.03.10 2.15 1,2 1,13 2.11.08 2.13.08 1,2 1,1 2.10 0,81 1.17.04 0,81 1.17.04 1.14.08 0,75 0;73 1.13.08 1.11.06 0,69 1.06 0,56 1.06 0,56 0,54 1.05 1.02.08 0,49 0.09.04 0,2 0.08 0,17
Cavoli .. Scarole Lattughe Cavolfiori Piselli Spinaci Carciofi Fagioli secchi Navoni Fagioli Fave Lenticchie Radici Piselli d'Olanda Melanzane Cipolle Selaro Ceci Favetta Aglio Rape Carote Insalata Olive Scorzonera Zucche Bietole
Spesa
P~rcentuali
2.09
100,0
2.09
100,0
•
25.03 15.15.08 11.06.08 9.06 8.06 8.04.08 7 6.17.04 6.07.08 6.07.04 6.06.08 4 3.14.04 3.12.08 3.12 3.09 2.19 2.14 2 0.10 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.06 0.05
TABELLA
17,94 11,2 8,1 6,63 6 5,8 5 4,9 4,6 4,5 4,5 2,9 2,7 2,6 2,56 2,4 2,1 1,9 1,4 0,4 0,3 0,3 0,3 0,3 0,3 0,2 0,17
Spesa
Generi alimentari
.,
Passerina Borragini Crescione Basilico secco Finocchio Gierave Olive Costetti Zucche secche Basilico Rape Trifoglio Erba agretta
:
TOTALE
Frutta diversa Fichi Limoni Merelli Ciliegie Bricocoli Pistacci Pinoli Castagne Pere Pesche Noci Uva Mandorle Mele Cetroni
0,17 0,17 0,13 0,13 0,1 0,08 0,08 0,06 0,06 0,04 0,04 0,04 0,02
228.05.02
100,00
66.13.04
TOTALE
..
Percentuali
0.08 0.08 0.06 0.06 0.05 0.04 0.03.04 0.03 Ò.03 0.02 0.02 0.02 0.01
41.03.04 20.10 4.08 0.12
Funghi Trifoli Funghi secchi Funghi in olio
7
.MONASTERO
FAMIGLIA DorµA
QUARTO
.
Insalata Piselli Carciofi Cavoli Cipolle Erbe Zucca Scarole Cardi Aglio Fagioli Carote Selaro Tapani Melanzane Cavolfiori Broccoli Asparagi Scorzonera Lattughe Cocomeri Baggiane Bertorelli Sapori Lenticchie Scialotte Spinaci Navoni Ceci Rapacavoli Tornate
1895
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia Schiappacasse
1894
61.09.10. 37.00.08 36.19 15.07 11.15.04 7.19.08 7.12 7.06 6 5.17.04 3.18.08 3.14.02 3.11 3.06 2.03 0.14
60 32 7 1
DI·S.
Generi alimentari
TOTALE. Funghi Funghi secchi
GEROLAMO
DI
QUARTO
Spesa
140.03
Percentuali
100,00
18.13.04 7.17.04
70,4 29,6
100,00
TOTALE
26.10.08
100,00
28,5 17,27 17,13 7,1 5,5 3,7 3,52 3,4 2,8 2,72 1,82 1,71 1,64 1,5 1 0,3
Mele Pere Mandorle Ciliegie Castagne Bricocoli Fichi secchi Pinoli Noci Nocciole Uvetta Pesche Pistacci ·• Fichi Meloni Castagne secche
43.10 15.17.08 15.14 12.01.04 6.05 4.01 3.10.08 2.08 2.07.04 2 1.13.04 1.11.08 1.09.04 1 1 0.03
37,9 13,9 13,7 10,5 5,4 3,5 3,1 2,1 2,1 1,7 1,5 1,4 1,3 0,9 0,9 0,1
1896
Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età 'moderna
8 - Periodi di acquisti dei generi alimentari per la famiglia Daria (1765) e per. il monastero di S. Gerolamo di Quarto (176.9)
segue:
TABELLA
Generi alimentari Generi alimentari
DI
di di di di
castagne ceci granone mais
Farro Orzo Semola
luglio-dicembre marzo gennaio-aprile gennaio - febbraio, novembre - dicembre agosto novembre febbraio-marzo
Canelotti Corzetti Fideli Fideli fini
maggio, novembre febbraio-luglio, novembre gennaio-dicembre
Gnocchetti Lasagne Maccaroni Pansarotti Pasta di Sardegna Pasta ordinaria Ravioli Tagliarini
marzo gennaio-marzo, luglio gennaio-dicembre marzo
settembre gennaio - marzo, maggio-agosto,' ottobre, dicembre
Agnello :!.{_
·~· i marzo
-·
'-.~'. ·1
.t
Capretto Montone
Carné salata Cervello Fegato Filetti
gennaio-febbraio, aprile-dia cembre
Granelli
';'!
Laccetti Midolla
marzo, giugno-luglio luglio
Vermicelli Riso
gennaio-dicembre
febbraio, aprile, giugno, agosto, novembre
Manzo Vitello
gennaio-dicembre genn~io-dicembre
gennaio-dicembre gennaio-dicembre
Anatra Capponi
luglio-agosto, novembre gennaio - aprile, novembredicembre. novembre luglio febbraio, luglio, ottobre, novembre maggio-luglio
Nottolani
Palanca Pollastri Quaglie Tordi
marzo febbraio~marzo, novembre febbraio, aprile, dicembre
gennaio-aprile gennaio-giugno, agosto-settembre novembre
Dindone Galline Galotti
FAMIGLIA DORIA
DI
MoNASTBRO S. GEROLAMO
S, GEROLAMO
Piccioni
Farina Farina Farina Farina Farina
8
MONASTERO
FAMIGLIA DoRTA
marzo-giugno gennaio-dicembre
Biscotto Pane
TABELLA
1897
Regio febbraio-marzo
gennaio - febbraio, novembre-dicembre
Tettina Trippe Berodi Carne di maiale Ll.)ganega Mondiola Mortadella Prosciutto Salato
gennaio-settembre, novembre marzo-aprile gennaio-dicembre luglio; settembre, novembre gennaio-febbraio, novembre gennaio - febbraio, aprilemaggio, luglio. aprile-giugno gennaio - febbraio, aprile, dicembre gennaio, aprile-settembre, novembre gennaio-dicembre gennaio:dicembre gennaio, matzo-settem_bre, novembre maggio, luglio-agosto, dicembre gennaio-dicembre ·gennaio-febbraio, aprile, luglio-agosto, novembre-dicembre
gennaio, aprile-luglio
giugno-ottobre
gennaio-aprile aprile-giugno
ottobre
ottobre
febbraio, giugno, luglio, dicembre gennaio-febbraio, 'aprilesettembre, dicembre marzo, agosto, settembre novembre-dicembre aprile - maggio, novembredicembre gennaio - febbraio, aprile, novembre-dicembre maggio-agosto, ottobre, dicembre maggio gennaio~febbraio, aprile-ottobre, dicembre · luglio
dicembre gennaio - feqbraio, novembre
maggio ottobre
ì
I
·, I
1898
Patrizia Schiappacasse
segue: Generi alimentari
novembre-dicembre febbraio-marzo, novembre febbraio, novembre-dicembre febbraio, novembre marzo, novembre marzo, novembre novembre gennaio-aprile, settembre, novembre-dicembre
Pernici Rane Starne Tortore Uccelletti
Acciughe
,·.
Aragosta Arenghi Arselle Baccalà
gennaio - maggio, luglio, settembre febbraio, aprile marzo
.. febbraio, novembre-dicembre novembre febbraio-aprile febbraio-marzo maggio, dicembre
Besugo . Bianchetti Bottarega Budego Bughe Cappone Caviale ; Collari Dentice Figaro Frutti .di mare
gennaio, agosto-settembre febbraio, maggio, agosto febbraio, aprile-maggio, luglio-agosto febbraio-aprile, giugno-novembre
Gamberi
segue: DI
MONASTERO S. GEROLAMO·
Ge.neri alimentari
'·
'
giugno febbraio-marzo, novembre gennaio, marzo, novembre-dicembre marzo-giugno, agosto-set~ tembre, novembre aprile-maggio marzo-aprile
TABELLA
luglio-agosto, novembre
gennaio, marzo~luglio, settembre, novembre
Occhiate
aprile-agosto agosto, .dicembre febbraio-marzo· settembre febbraio-marzo
marzo-aprile, settembre
febbraio-marzo, luglio marzo, maggio, ottobre febbraio-marzo dicembre gennaio settembre
febbraio-marzo, settembredicembre
Ombrina Orate Organo Ostriche Pagari Palamita Pesce generico Pesce spada Razza Rondanino Rossetti Salmone Saraghi Sardine
Scorpene Seppie Storione Tonno Totani Triglie
DI
MONASTERO S. GEROLAMO
maggio-luglio maggio-luglio
novembre
,)
ottobre
1899
8
FA,nGuA DoRIA
Mormora Muggine Musaro Musciame Nasello
luglio
Laxerti Leccia Lingua Lingue
Lucerna Merluzzo
8
FAMIGI.TA DoRIA
Beccacce Colombacci Lepre
Loasso
TABELLA
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in ~tà ,°noderna
febbraio gennaio-maggio, luglio-settem bre, dicembre maggio-giug!).o, settembrenovembre
maggio, luglio
.~.
agosto marzo febbraio marzo - aprile, giugno - settembre, novembre maggio gennaio-settembre, novembre-dicembre giugno, novembre-dicembre gennaio-febbraio, giugno-agosto, novembre gennaio, marzo, novembre-dicembre marzo, settembre
gennaio, maggio, ottobredicembre
febbraio settembre marzo marzo maggio gennaio, aprile-maggio, agosto-settembre, novembre settembre gennaio-marzo, luglio
aprile maggio-giugno, ottobre
Trota Trulla
marzo, novembre-dicembre gennaio-febbraio, maggio; luglio, settembre, novembre-dicembre novembre luglio
Uova
gennaio, dicembre
gennaio, aprile, ottobre
gennaio, dicembre
1900
I consumi alimentari delle jamig/ie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia Schiappacasse
segue: Generi alimentari
TABELLAS FAMIGLIA DORIA
pecorino per servi per tavola piacentino
Latte Prescinsoht
Burro Grascia Lardo Olio Strutto Aglio Agretta Asparagi Basilico Basilico secco Bertorelli Boragini Broccoli
Carote
Cavolfiori Cavoli
febbraio, giugno, agosto, ~ttobre-dicembre gennaio - maggio, luglio - agosto, novembre gennaio, aprile-settembre, novembre
febbraio-agosto, dicembre ottobre marzo-maggio marzo, giugno dicembre febbraio-marzo, dicembre· aprile, novembre gennaio - febbraio, novembre-dicembre gennaio-aprile febbraio-marzo, agosto, novembre- dicembre gennaio - febbraio, aprilesettembre, novembre-dicembre febbraio-marzo gennaio-marzo, maggio-luglio, settembre, dicembre
Ceci
Cipolle Cocomeri Costetti Crescione Erbe Fagioli freschi Fagioli secchi
agosto, dicembre
gennaio aprile-maggio
Fave fresche Favetta Finocchio Gierave Insalata Lattughe Lenticchie
Melanzane Navoni Olive Passerina Piselli freschi
maggio
Piselli d'Olanda Radicchio Rapacavoli Rape Sapori Scarole
febbraio-aprile gennaio, giugno-dicembre
TABELLA
8 MONASTERO
FA1nGLIA DoRIA DI
Cavoli lombardi Cavoli neri
gennaio-dicembre gennaio-dicembre
gennaio-dicembre febbraio, luglio, settembre gennaio-febbraio, aprile-dicembre novembre-dicembre luglio
Generi alimentari
MoNAST!lRO S. GEROLAMO
gennaio-febbraio marzo-agosto, ottobre, dicembre aprile, giugno, agosto
Formaggio di Chiavari Formaggio di Olanda
Carciofi · Cardi
DI
gennaio - febbraio, luglio.settembre, novembre-dicembre
Crema
Formaggio Formaggio Formaggio Formaggio
segue:
8
Scorzanera
1901
S.
GEROLAMO
_gennaio-febbraio, dicembre gennaio, novembre-dicembre febbraio-aprile, agosto-settembre, novembre-dicembre febbraio febbraio-agosto, novem- gennaio-marzo, settembre bre-dicembre giugno-agosto febbraio settembre-ottobre gennaio-settembre, novembre giugno-settembre giugno-ottobre gennaio-febbraio, novembre-dicembre aprilemaggio-giugno marzo giugno-novembre novembre gennaio-dicembre aprilt, luglio febbraio-maggio marzo, maggio febbraio-aprile, agosto-set- febbraio, dicembre tem b re, novembre-di. cembre luglio-settembre luglio-agosto agosto-settembre, novem- ottobre-dicembre bre-dÌcembre agosto marzo febbraio-settembre, novem- maggio-giugno bre febbraio-marzo -febbraio-marzo, ottobre-dicembre maggio-giugno maggio giugno, settembre giugno, novembre marzo, maggio-agosto gennaio-marzo, settembredicembre· febbraio-marzo, luglio-ago- settembre sto, novembre
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età zyoderna
Patrizia Sch[appacasse
1902
segue:
TABELLA
segue: .TABELLA 8
8 MONASTERO
Generi alimentari
FMnGLIA DoRTA
Spinaci Tapani Tornate Trifoglio Zucca
febbraio, maggio gennaio-aprile, giugno-settembre
Zucche secche
dicembre
Funghi Funghi Funghi Funghi Funghi
DI
S.
gennaio-ottobre in olio màsini salati secchi
febbraio-marzo aprile-maggio aprile febbraio-marzo, novembredicembre
luglio, settembre-ottobre
gennaio, ottobre
giugno-luglio settembre-gennaio marzo
maggio-luglio giugno-novembre
giugno-luglio agosto-settembre
Mandorle
Aceto
febbraio
febbraio, novembre settembre maggio-giugno
gennaio-agosto, novembre luglio gennaio-febbraio, aprilemaggio, luglio gennaio-maggio, luglio, settembre, novembre febbraio; novembre-dicembre
Zafferano
Agratio
...
Sale
Sucata
Vino ._:;.
Zucchero
febbraio, luglio-agosto ottobre
gennaio agosto-ottobre giugno-settembre, novembre
DI
MONASTERO S. GEROLAMO
febbraio luglio-ottobre
agosto-settembre luglio-settembre gennaio-agosto, novembre _febbraio-marzo, settembre gennaio-agosto, novembre gennaio, settembre-ottobre febbraio, settembre-noverobre febbraio, settembre marzo
Spezie
luglio settembre giugno-luglio novembre-dicembre marzo lugli.o-novembre
Limoni
·,
Pinoli Pistacci Uva
Cannella Garofano Pepe
Anici Axarole Bricocoli Castagne Castagne se·cche Cetroni Ciliegie
luglio-dicembre gennaio, aprile-agosto, novembre-dicembre aprile, giugno-agosto, novembre
Noci Pere Pesche
giugno
Trifoli:
Fichi Fichi secchi Frutta diversa
FAhfiGLTA DORIA
Nocciole
Uvetta Zibibbo
aprile, novembre
Mele Meloni Merelli
Generi alimentari
GEROLAMO
gennaio - febbraio, aprile, .lu- gennaio, ottobre-novembre glio - settembre, novembre-dicembre gennaio-febbraio, settem- febbraio-marzo bre-novembre febbraio-aprile, luglio-agosto, no~embre luglio-settembre, dicembre
Selaro
1903
gennaio, . maggio, giugno, novembre giugno-settembre gennaio, aprile-dicembre
maggio, ottobre maggio, ottobre febbraio, maggio, luglio, ottobre gennaio
febbraio, settembte-9ttobre, dicembre
gennaio-febbraio, aprile- settembre, novembre-dicembre gennaio, marzo-maggio, luglio-agosto, novembre-dicembre
luglio, dicembre·
gennaio-marzo, maggio-settembre, novembre-dicembre
febbraio,. aprile, l_uglio-set. tembre, "dicembre
Cedro candido
luglio gennaio, luglio; dicembre
Confettura bianca
novembre-dicembre
Acqua di fiori d'ara~cio
P~trizia Schiappacasse
1904
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
9 - Famiglia Doria. Prezzi dei generi alimentari per l'anno 17 65
TABELLA
segue: Generi alimentari
Unità ·
Generi alimentari
di misura
Piccioni Biscotto Farina
unità libbra
3.04 4
Corzetti Maccaroni
foglio libbra
3 4.04
ottobre giugno
libbra
6.08
maggio, luglio, settembre, novefbre aprile . ' genna10 aprile marzo novembre maggio aprile settembre aprile novembre aprile aprile maggio ottobre aprile marzo aprile, dicembre giugno luglio dicembre luglio, settembre luglio maggio gennaio, aprile, ottobre gennaio gennaio luglio novembre aprile-maggio . dicembre
~
Vitello
libbra
Vitello-lingua Carne salata
unità libbra
Granelli Laccetti di agnello Laccetti di vitello
unità unità unità
;
libbra
Prosciutto
. Montone-coda Montone-lingua
_unità unità
7 7.02 7.04 7.05 4.08. 8 9.08 10 20 7.04 8 8.10 10.09
0.11 1 6.06 10. 11 17.06 11.06 12 13 13.01 14 16 18 22 4 3.04 3.06
Unità di misura
unità
Anatra Cappone
unità unità
28 24
Prezzi in soldi
11
12 13 13.04 14 15 · 16 18 Pollastri
unità
Pollastri-fegati Galotti
unità unità
Beccacce
unità
Colombacci Quaglie
unità unità
Rane ]'ordi
libbra unità
Uccelletti
dozzina
Acciughe
libbra
Aragosta
libbra
.........,
...
9 Mesi
Mesi
Prezzi in soldi
ottobre novembre
Manzo
TABELLA
luglio rtovembre
35
-~·-
7.06 14 16 17 18 20 21 22 24 30 1 30 34
novembre novembre .novembre settembre marzo, ·luglio; agosto gennaio marzo, aprile, giugno luglio novembre settembre febbraio,· maggio, luglio maggio giugno luglio maggio aprile, maggio aprile, maggio aprile . luglio luglio luglio
20 29 30 8 10 19.08 5 4 4.06 5 6 6.01 16 18 20
novembre dicembre novembre marzo novembre luglio novembre novembre novembre novembre febbraio gennaio marzo marzo, settembre settembre
5;04 7.04 12 10 12
maggio, luglio aprile marzo, maggio dicembre aprile
1905
segue:
Baccalà Besugo Budego Dentice
di misura
-·
.
Figaro
-,
TABELLA Unità
Generi alimentari
libbra libbra libbra libbra
libbra
Gamberi
libbra
Leccia Lingua
libbra libbra
libbra
Loasso
·-.
Lucerna
libbra
Merluzzo Musaro Nasello
libbra libbra libbra
Ombrina
libbra
Organo Pagaro
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi ·in età moderna
Patrizia Schiappacasse
1906
•,
libbra libbra
segue:
9
Prezzi in soldi
5 20 10 20 24 26.08 28 12 15.08 36 6 8 25.08 18 24 29.04 30 31 32.08 36 37.01 20 24 26.04 30 30.01 36 40 20 24 6.08 6.07 16 18 20 24 24.08 14.01 13.10 14 18.08 19.06 24
dicembre novembre dicembre settembre agosto gennaio gennaio agosto maggio febbraio novembre febbraio, novembre giugno gennaio marzo marzo ma_rzo giugno diçembre dicembre novembre novembre giugno, agosto-settembre maggio marzo aprile marzo, maggio marzo maggio aprile ottobre agosto settembre giugno marzo luglio maggio marzo novembre settembre novembre giugno aprile, agosto
Unità
Generi alimentari
Mesi
di misura
9
Prezzi in soldi
Storione Tonno Totani
libbra libbra libbra
Triglie
libbra
Trulla
libbra
9.07 12 14 16 18.08 20 24 40 9.02 10 10.08 12 14 16 24 20 15.08 20 46.01 46.06 12 14 20 12 16 28 40 50.01
Uova
unità
0.08
Palamita
libbra
Pesce generico
libbra
Pesce spada
libbra
Pesci salati
libbra
Rondanino
libbra
_Rossetti Saraghi
..
TABELLA
-, ,-
libbra libbra
0.09 0.10 1
Uova fresche
unità
1907
1.01 1.04 1 1.04 1.06 · 1.08 2.08
Mesi
maggio marzo dicembre novembre novembre dicembre novembre giugno ottobre novembre agosto novembre luglio, novembre novembre febbraio dicembre marzo marzo marzo aprile aprile marzo novembre settembre novembre gennaio febbraio luglio aprile, giugno, agosto, novembre settembre, novembre luglio, settembre, novembre gennaio-marzo, novembre-dicembre gennaio-febbraio novembre luglio luglio luglio, ottobre giugno gennaio, novembre-dicembre
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età 'moderna
Patrizia Schiappacasse·
1908
segue:
Unità
Generi alimentari
Crema
di misura
,·.
Latte Formaggio per servi
.,
amola libbra fiasco libbra
Prezzi in soldi
Mesi.
10 10.03 1i.08 7.10 8
luglio novembre novembre aprile, ottobre gennaio, aprilecsettembre, novembre-dicembre aprile gennaio gennaio, giugno aprile gennaio, maggio, séttembredicembre aprile, giugno-luglio, settembre febbraio-luglio, ottobre-dicembre maggio, novembre agosto dicembre luglio gennaio, aprile, luglio aprile luglio àprile, dicembre gennaio gennaio-marzo, dicembre febbraio gennaio gennaio agosto novembre maggio giugno · luglio gennaio-febbraio, agosto giugno, agosto ·· febbraio settembre gennaio, maggio, luglio, ottobre aprile
10.08 Formaggio da -tavola
libbra
9 10:08 10.09 10.10 10.11 11
libbra
Burro
8 8.06 9 10 10.08 11
libbra
Lardo
'
segue:
9
TABELLA
11.02 11.04 11.07 12 13.04 18 20 7.02 8 8.06 8.07 8.08 8.10 9 9.01 9.02 9.04 9.06
Unità di misura
Generi alimentari
Zucchero
Neve Sale
•·
Broccoli Carciofi
Cipolle Fagioli Fave
,·
'
.
Piselli
TABELLA
Funghi secchi Trifoli
Bricocoli
.).
.'
7.08 1.10
novembre novembre
mazzo unità
1 0.080.09 1 1.04 1.08 2.02 5 6.08 6 2 6 3.04 4.08 3.03 8.08 10.06 12
dicembre maggio aprile aprile aprile aprile marzo gennaio dicembre maggio aprile aprile _ agosto aprile febbraio marzo ottobre febbraio
6 8 12 13.04 14 14 20 24 30
agosto luglio maggio maggio. maggio dicembre gennaio novembre febbraio, novembre
resta libbra libbra
libbra
libbra libbra
unità
libbra
·,
]~~/
.
novembre marzo, novembre luglio febbraio
libbra libbra
.......
Funghi freschi
Mesi
9 10 • 10.08 12
libbra libbra
Scialotte Tapani
Prezzi- in soldi
libbra
libbra
;
9
0.06 0.07 1 5.04
luglio giugno giugno giugno
1909
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia Schiappacasse
1910
segue:
Unità
Generi alimentari
di misura
10 - Monastero di San Gerolamo di Quarto. Prezzi dei generi alimentari per l;anno 1769
TABELLA
9
TABELLA
Mesi
Prezzi in soldi
Unità
Generi alimentari
Ciliegie Fichi
,
..
.
libbra dozzina
'·
'
libbra Limoni
dozzina
1.09 2.09 6 7.02 8 9 10 14 16 .1 4.08 6 6.04 6.06 6.08 7.04 8 10 12 13.04
di misura
Prezzi in soldi
Mesi
maggio settembre luglio luglio agosto giugno luglio. luglio luglio giugno aprile gennaio, aprile-maggio dicembre maggio maggio, dicembre gennaio maggio-giugno, ottobre-dicembre giugno-luglio, settembre luglio, novembre settembre
unità
4
Fideli fini .
libbra
Vermicelli
libbra
4.04 4.08 4.04
aprile-dicembre gennaio febbraio marzo
2.04 2.07 2.09 4
aprile aprile, giugno', novembre febbraio marzo
libbra libbra libbra libbra
4 4 4.08 6 6.08
settembre settembre-ottobre gennaio-dicembre gennaio-dicembre maggio
libbra libbra libbra
5 10.08 6.08 8
dicembre maggio novembre gennaio
unità
30 32 7 10 10 12 16
febbraio, dicembre gennaio gennaio giugno giugno-settembre luglio ottobre
Riso
ò
..
Carne scottona Manzo nostraleo Manzo Vitello Carne di maiale Mortadella Salciccia Capponi Piccioni
libbra
2
novembre
Pere
libbra
4
novembre
dozzina
16
Agnello
libbra
libbra
Semola
I-·· ,j
settembre
Biséotto
.,
unità
.'.
unità
Pollastri Mele
Pesche
1911
...
libbra
3.04
febbraio
Capretto
Visciole
libbra
5.04
giugno
Acciughe
.
libbra
4 4.08 5 6.08 4.08 5
gennaio-febbraio febbraio-aprile febbraio-marzo marzo aprile-giugno maggio
libbra
3.04 4 4.04. 4.08
giugno giugno giugno aprile-maggio, luglio giugno-agosto maggio aprile-agosto giugno-àgosto aprile, agosto
agosto-settembre
Uva
I
5 5.04 6 6.08 8
1912
Patrizia Schiappacasse
segue:
TABELLA
. Unità di misura
Generi alimefitari
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
1O
segue:
Prezzi in soldi
Mesi
Generi alimentari .
TABELLA
Unità di misura
1913
1O
Prezzi in soldi
Mesi
,.
• \
Aragoste Arenghi Baccaià Bianchetti
Bughe
libbra dozzina libbra libbra
. ..
libbra
12 20 4 6 6.08 8 10 5.04 8 9 10
8 10 12
febbraio-marzo marzo aprile marzo marzo, settembre luglio gennaio marzo febbraio-marzo marzo marzo maggio ottobre marzo febbraio dicembre gennaio luglio febbraio marzo · settembre-novembre-dicembre luglio maggio giugno febbraio aprile marzo, maggio agosto febbraio, aprile, settembre, dicembre febbraio, maggio, luglio-agosto giugno settembre,. novembre ottobre maggio
6.08 8 10 12
agosto maggio ottobre-dicembre dicembre
11
libbra
Cappone
Caviale Collari Dentice Laxerti Merluzzo
·,
libbra libbra libbra libbra libbra libbra
Muggine
.12 8.08 10 20 20 5.04 8 5.04 4 4.08 8 10
libbra libbra
Musciame Nasello
12 12 6.08 8 8.08 10 12
Occhiate
Orate Pagari
.
·,
libbra
libbra libbra
agosto, dicembre
6
·(,, '.,.'".~-1 !
.,,
·~·
I
Razza
libbra
Rondanino
libbra libbra
Rossetti Salmone Saraghi Sardine
liqbra libbra libbra libbra
" .'
i
-".!.
.._. 1 11 ,.•,-1
8 6.08 6.08 8 9.04 10 8 6.08 · 8.08 10 5.04 6.08 8 10 10 14
febbraio febbraio settembre settembre settembre settembre marzo marzo maggio agosto aprile-maggio, novembre setteffibre settembre settembre gennaio febbraio febbraio-marzo, luglio marzo giugno giugno ottobre ottobre aprile giugno aprile-maggio maggio, luglio-agosto aprile, agosto settembre marzo febbraio, settembre-ottobre novembre novembre-dicembre gennaio. dicembre gennaio gennaio
8 10 10 10 12 14 10
Scorpene Seppie
libbra libbra
Tonno
libbra
Triglie
libbra
Uova.
dozzitp
8.04 8.07 9.01 9.07 10.09 11 12 12.05 14.01 14.04 14.10 15.07 16
Formaggio di Chiavari
libbra
Formaggio d'Olanda
libbra
8 8.08 8 8.08
0
gennaio febbraio '• marzo-aprile · maggio-giugno, agosto, ottobre-dicembre
J I
.
Patrizia Schiappacasse
1914
segue:
TABELLA
Unità di misura
Generi alimentari
libbra libbra
Formaggio pecorino Formaggio piacentino
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genouesi in età moderna
10
segue: Mesi
Prezzi in soldi
5 11 11.04 12
Unità
Generi alimentari
giugno, agosto febbraio, agosto ottobre novembre-dicembre
Piselli freschi
agosto ottobre maggio maggio febbraio giugno maggio, ottobre
TABELLA
di misura
Grascia
libbra
Cannella
oncia
Pepe Spezie
libbra oncia '
6 22 26 34 4 6 6.07
Zucchero
libbra
9.04 10
Cedro candito· Confettura bianca Sucata Uvetta Zibibbo Sale
libbra libbra libbra libbra libbra rubbo
12 12 12 6.08 2.08 30 58.04
gambetta
9 9.04
Radicchio
mazzo
Spinaci
mazzo
6.08 8 12
Funghi freschi
libbra
,·.
dozzina
10 14 9 4 4.04 4.08 6.08 8.08
Funghi ·secchi
libbra
'.
libbra
Bricocoli
dozzina Castagne
gambetta
;
libbra
Castagne secche Ciliegie
libbra centinaio
Mandorle Carciofi
gambetta resta gambetta
Ceci Cipolle Fave fresche
Favetta Lenticchie Melanzane Navoni
. ,, ·'
gambetta gambetta dozzina libbra·
8 8 4 0.07 0.09 0.10
maggio maggio febbraio settembre giugno maggio maggio maggio marzo febbraio, dicembre luglio novembre. novembre ottobre
Prezzi in soldi
6.08 8 8.08
Piselli d'Olanda
febbraio aprile, luglio, settembre, dicembre gennaio dicembre dicembre febbraio, settembre ml\_rZO febbraio . ottobre, dicembre
1O·.
gomb~tta
'
1~·
Mele
,,,
Melone Noci
'·
Pistacci
unità gambetta libbra
Pere
.Pesche Pinoli
rubbo
•·
dozzina libbra libbra
1915
6.08 9.08 12 20 1.05 1.08 5 4.10 5 5.08 6 1 1.04 1.08 5 6 16 22 5 5 6 1.04 1.08 2 3.04 4 8 10 32 40
Mesi
giugno maggio giugno febbraio inarzo febbraio dicembre febbraio ottobre settembre gennaio ottobre giugno luglio luglio novembre settembre-ottobre, dicembre ottobre _gennaio, novembre marzo giugno giugno-luglio luglio-agosto agostq ottobre ottobre agosto febbraio febbraio settembre luglio, settembre agosto settembre· settembre settembre febbraio-marzo gennaio, 'settembre ottobre
1916
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
Patrizia Schiappacasse
1917
bronco: nn. 668, 834, 1.030, 1.035;
APPENDICE
budego: nn. 669, 834, 1.030, 1.033, 1.037, 1.038; bughe: nn. 666, 668, 669, 720, 834, 1.030, 1.031, 1.034, 1.035; burro: nn. 665-669, 714, 717, 718, 720, 817, 834, 835, 892, 903, 1.030-1.038; .
Da uno spoglio dei registri della fa~iglia conservati nell'Archivio Doria relativi ai secoli XVII-XVIII, scelti perché offrono una testimonianza più continuata nel tempo, risulta che sono rilevabili i prezzi dei seguenti generi alimentari, dascuno corredato dall'indicazione dei libri di cucina, nei quali sono trascritti:
caciocavallo: n. 892; caffé: n. 723; calamari: n. 665;
acciughe: nn. 666-669, 714, 717, 720, 721, 817, 834, 835, 892, 1.030-1.032, 1.034-1.038;
canestrelletti: n. 666; cannella: nn. 665-667, 669, 716, 834, 903, 1.030-1.032, 1.035, 1.037;
acciughe salate: nn. 665, 666, 834, 1.030, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037;
cannoni dolci: nn. 669; 720-72_2; capponi: nn. 665, 714-716, 834, 835, 1.0'.50-Ì.032, 1.034, 1.035, 1.037;
aceto: nn. 668, 892, 1.037; atqua di noce: n. 668;
capretto: nn. 668, 714, 720, 835, 1.030, 1.034; 1.035, 1.038;
aglio: nn. 665~667, 669; 717, 835, 1.032~1.034;
carciofi: nn. '665-669, 714, 717, 718, 720-723, 817, 834, 835, 903, 1.030-1.037;
agnello: n. 1.037;
carciofi da salare: nn. ·666, 1.031;
agoni: nn. 666,. 667, 669, 714, 721, 1.032, l.035;
carciofi da seccare: n. 1.037;
amarene: n. 668;
carciofi da porre sott'.olio: nn. 720, 722;
amarene per conserva: n. 1.030;
cardi: nn. 666, 668, 835, 903, 1.034, 1.035;
anatre: nn. 720, 721, 1.032, 1.034, 1.037 ;·
carne salata: nn. 1..030, 1.034-1.037;
andarini: nn. 665-668;
carote: n. 1.034;
anguille: nn. 665, 834, 1.035;
castagne: nn. 665, 668, 669;
aragoste: nn. 666, 667, 669, 714, 717, 720, 721, 834, 903, 1.030, 1.032, 1.034, 1;035, . 1.037, 1.038;
castrato: n. 668 ;'
arenghi: nn. 665-667, 835, 1.035;
caviale: n. 665;
arselle: nn. 666, 667, 669;
cavolfiori: n. 1.033;
asparagi: nn. 666-669, 834, 835, 1.030, 1.032, 1.034, 1;035;
cavoli: nn. 666, 1.038;
baccalà: nn. 665, 717, 817, 1.035, 1.037;
ceci: nn. 666, 1.031;
baggiane: n. 667; beccafico:. n. 1.031; beccacce: nn. 720, 722, 834, 835, 1.031, 1.032, 1.034, 1.037; · berodi: nn. 834, 1.032; besugo: nn. 1.035, 1_.037; bianchetti: nn. 666, 714, 1.030, 1.035, 1.038; biscotti: nn. 665°667, 669, 714, S35, 1.033-1.035, 1.037, 1.038; buonboconi: nn. 666, 669; bottarega: nn. 666, 717, 718, 720-722, 835, L030; brenno: nn. 668, 1.030;
i.
. .;.t,,
cervello: nn. 892, 1.037;
.:Jt
cetroni: n. 666; ciliegie: nn. 665-669, 717, 720, 1.030, 1.034-1.037;
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cima: nn. 834, 1.030, 1.033;
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i:.·· ·;~,f1 ,
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cinghiale: n. 1.037; cipolle: nn. 834, 892, 1.034, 1;035, 1.037; coratella: n .. 892; corzetti: nn. 892; l.037, 1.038·; costigliole: nn. 666, 669; crema: nn. 666, 717, 721, 722, 834, 1.034, 1.037;
bricocoli: nn. 666, · 669, 717, 722, 834, 1.030, 1.034, 1.035, 1.037;
damaschine: nn. 666, 667, 721, 1.030;
broccoli: nn, 666-669, 720, 1.033, 1.037;
datteri di mare: nn. 1.031, 1.032, 1.034;
1918
Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in età moderna
dentice: nn. 666, 717, 720, 834, 835, 1.030, 1.031, 1.035, 1.037; dindone: nn. 835, 1.031;
funghi sott' olio : n. 1. 031 ;
droghe: nn. 834, 1.031; fagi.oli: nn. 1.035, 1.037; farina: nn. 668, 714, 817, 1.030, 1.035-1.038; farina con crusca: n. 892;
gallina: nn. 665-667, 714, 717, .720, 1.031, 1.034, 1.035, 1.037; galotto: nn. 720, 721, 834, 835, 903, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037; garbusi: nn. 1.036, 1.037;
gamberi: nn. 668, 834, 1.034, 1.035, 1.037;
garofani: nn. 716, 834, 835, 1.030, 1.035; granelli: nn. 1.037, 1.038; grano: n. 668;
farina di granturco : n. 834; farrq: nn. 668, 721-723, 1.037; fegato: nn. 668, 834, 835, 892, 1.030, 1.031, 1.034, 1.035;
grascia: nn. 665-669, · 892, 1.031, 1.035, 1.037, 1.038; insalata: n. 1.034;
fichi: nn. 666-669, 714, 721, 722, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037; fideli: nn. 666-669, 718, 720, 721, 835, 1.031, 1.032, 1.035-1.037; fideli fini: nn. ?66-669, 903; fideli ordinari: nn. 667, 903; figaro: nn. 666, 669, 714, 720, 817, 834, 1.031, 1.033-1.035, 1.037, 1.038; finocchio : n. 668;
laccetti: nn. 666, 667, 669, 714, 720, 721, 834, 835, 892, 1.030, 1.031, 1.035, 1.037; lardo: nn. 666, 667, 718, 834, 835, 1.030-1.038; latte: nn. 666, 668, 721, 722, 1.032, 1.035, 1.037; lattughe: nn. 666, 668, 1.037; leccia: nn. 666, 669, 834, 903, 1.030, 1.030, 1.035, 1.037, 1.038; lepre: nn. 1.036, 1.037;
formaggette di Mongiardino: nn. 666, 668, 834, 1.030, l.034, l.035, 1.037; formaggio di Chiavati: n. 1.030;
limoni: nn. 665-669, 717, 723, 834, 835, 1.030-1.035, 1.037, 1.038; lingua di bue: n. 835;
formaggio di Gallura: nn. 667, 668, 716; · formaggio di Olanda: n. 718; formaggio di Roma: n. 1.030; formaggio grasso: n. 665; formaggio inglese: n. · 720;
,--"..--':"
.:...•,
lingua: nn. ·666, 834, 835, 892, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038; lingue: nn. 667, 720, 1.030, 1.033, 1.035, 1.037;. lingua di bue salata: rui.. 1.030, 1.031; lingua·affumicata: n. 1.030;
'formaggio lodigiano: n. 1.033;
lingue marinate: h. 1.034;
formaggio parmigiano: nn. 669, 1.033;
loasso: nn. 666, 667, 669, 714, 720, 722, 817, 834, 835, 903, 1.030-1.038; lucerna: nn. 666, 834, 835, 1.031, L035-1.038;
formaggio piacentino: nn. 665-669, 714-718, 720-723, 817, 834, 835, 903, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038; formaggio per cucina: nn. 1.031, 1.032, 1.034; · formaggio per servi: nn. 666-668, 834, 835, 892, 1.030, 1.031, 1.035-1.038; formaggio salato: nn. 665, 666, 669, 714, 715, 718, 720, 892, 903; formaggio sbrinso: nn. 834, 1.030; . frutta: n. 722; fanghi: nn. 666-669, 721, 834, 835, 1.030-1.035, 1.031, 1.038; funghi da porre sott'olio: n. 714; funghi funghi funghi funghi
da salare: nn. 715, 1.030; da seccare: nn. 721, 835; in addobbo: n. 1.038; secchi: nn. 835, 1.034, 1.036-1.038;
1919
4t _:
luganega: nn. 714, 715, 834, 1.030, 1.032, 1.034, 1.035; lumache: nn. 666, 669; maccaroni: nn. 667, 668, 1.037; maiale: nn. 817, 1.031, 1.034, 1.035, 1.038; mandorle: nn. 665-669, 720, 721, 834, 835, 903, 1.030~1.032, 1.034, .1.035; manzo: nn. 665~669, 714, 717, 718, 720-723, 834, 835, 892, 1.030-1.035, 1.037, 1.038; manzo per servi: nn. 1.030, 1.037; melanzane: nn. 666, 667, 669, 717, 834, 1.030, 1.038; mele: nn. 668, 714, 715, 720, 721, 1.030, L033, 1.036, 1.037; mele granate: nn. 667, 6§9; mele da cuocere: nn. · 722, 723; mele fior di Cascia: n. 718;
1920
Patrizia Schiappacasse
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in ètà moderna
mele pipine: n. 718; meloni: nn. 834, 1.031, 1.032, 1.034, 1.035; merelli: nn. 1.034, .1.036, 1.037; merluzzo: nn. 835, 1.035, 1.037, 1.038;
1921
pasta fma: nn. 716, 892; pepe: nn. 665-667, 669, 716, 718, 720, 721, 723, 834, 835, 903, 1.030-1.032, 1.034, 1.035; pere: nn. 665-669, 720, 892, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037;
miglio: nn. 666, 668, 714; mirabolani: nn. 667-669;
pere brutebone: nn. 668, 669; pere comogline: n. 668;
mispersiche: nn. 1.031, 1.035; mondiola: nn. 665-668, 721, 834, 1.032, 1.035, 1.037;
pere reali: n. 668;
pere da cuocere; nn. 666-668;
~ontone: nn. 1.030, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038;
pere spadone: nn. 666, 668, 721 ;
mormore: nn. 666, 834; morone: nn. 834, 1.031, 1.034; musaro: nn. 666-669, 714, 720, 834, 1.030, 1.031, 1.034, 1.035, 1.038;
_ pere spine: n. 668; pere zuccotte: n. 668; pernici:, 715, 716, 718, 721, 722, 834, 835, 1.030-1.03~, 1.034-1.037; persicata: nn. 665, 721;
musciame: n. 1.031; nasello: nn. 666-669, 714, 71'8, 720, 721, 817, 834, 835, 1.030, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038;
pesce cappone: nn. 666, 667, 1.034, 1.035; pesce generico: nn. 665-669, 714, 717, 718, 720, 721, 834, 835, 892, 903, 1.030-1.035, 1.037;
navoni: n. 1.035; neve: nn. 666-669, 714, 716-718, 720-722, 817, 834, 835, 903, 1.030, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037; noce moscata: nn. 716, 721, 834, 835;
pesce San Pietro: nn._ 668, 834, 1.031, 1.035; pesce spada: nn. 666, 667, 720, 817, 834, 835, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038; ·-"·;-,,
noci: nn. 668, 1.037;
pesche: nn. 666-669, 721, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037;
·
piccioni: nn. 666, 668, 669, 714, 717, 718, 720-722, 834, 835, 903, 1.030-1.037;
nocciole: n. 668; nottolani: nn. 665, 666, 721, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035;
pinoli: nn. 665-669, _716, 717, 720, 721, 723, 834, 835, 1.030, 1.031, 1.034, 1.035, 1.037;
occhiate: n. 666; olio: nn. 666, 668, 669, 717, 718, 722, 817, 835, 892, 903, 1.031, 1.034, 1.037;
piselli: nn. 666-669, 716, 721, 723, 903, 1.030, 1.031, 1.034-1.038; piselli secchi: n. 834;
olive: nn. 666, 669, 1.030, 1.031, 1.035, 1.036;
pistacci: nn. 666, 715, 717, 718, 720-723, 834, 1.030, 1.034, 1.035, 1.037; polanca: nn. 721, 834, 835, 1.031, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037;
olive di Spagna: n. 666; ombrina: nn. 718, 834, 835, 1.030, 1.031, 1.033, 1.035-1.038;
pollastri: nn. 665-669, 714, 718, 720-722, 817, 834, 835, 892, 903, 1:030-1.038;
orata: nn. 834, 1.035, 1.038;
polpo: n. 666; polvere di riso: nn. 666, 668;
organo: nn. 1.037, 1.038; orzo: n. 723;. ostriche: nn. 666, 669, 714, 717, 718, 720-722, 835, 1.031, 1.032, 1.038;
prescinsola: nn. 666, 834, 1.034; 1.035; \
-~·
"':\11 ,·
prosciutto: nn. 834, 835, 1.030-1.038;
pagaro: nn. 666, 667, 669, 720, 722, 834, 835, 892, 1.030, 1.034, 1.035, L037, 1.038; palamita: nn. 666, 667, 669, 714, 720, 834, 835, 1.030, 1.034, 1.035, L037, 1.038;
prosciutto di Parma: n. 1.032; -
pampano: n. 1.038; pane: nn. 665-669, 720, 817, 834, 835, 892, 1.030, 1.032-1.035;
rapalline: n. 669; radicchio:· nn. 666-669;
panico: n. 666; panizza: nn. 666, 669, 1.034, 1.035;
rane: nn, 1.031, 1.034, 1.035;
quaglie: nn. 718, 722, _834, 835, 1.030-1.035, 1.037;
rapacavoli: n. 667;
36
Patrizia Schiappacasse
1922 rape:
I consumi alimentari delle famiglie patrizie genovesi in etĂ moderna
.
n. 835;
tordi: ruĂŹ. 665-667, 714, 717, 720~722, 817, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038; tortore: nn. 1.034, 1.036; totani: nn. 666, 667, 714, 720, 1.030, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038;
razza: nn. 668, 1.032, 1.035; ricotta: nn. 666, 668, 669, 714, 892, 1.030; riso: nn. 666, 668, 1.030, 1.035; romaniatta: nn. 666, 718, 720, 721, 1.031;
trenette: n. 1.035_; trifoli: nn. 667, 717, 718, 720, 721, 835, 1.030-1.032, 1.034-1.037;
rombo: nn. 834, 1.038; rondanino: nn. 666-669, 714, 720, 834, 835, 892, 1.030-1.035, 1.037, 1.038;
trifoli per conserva: n. 834; triglie: nn. 666, 667, 669, 718, 720-722, 834, 1.030-1.035, 1.037, 1.038;
¡ rossetti: nn. 666~669, 714, 720, 834, 1.030, 1.032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038;
trippe: n. 666; trulla: n. 1.037; uccelletti: nn. 666-669, 834, 835, 1.030, 1.031, 1.034, 1.035, 1.037; uova: nn. 714, 717, 718, 720-723, 817, 834, 835, 892, 903, 1.030-1.038;
salato: nn. 716, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.038; salato di Bologna: nn. 834, 1.031; sale: nn. 665-669, 714, 717, 720, 721, 817, 834, 835, 1.032-1.034, 1.036-1.038; sale bianco: nn. 666-669, 718, 720, 721, 723;
uva: nn. 1.035, 1.037;
sale fino: nn. 716, 723, 903, 1.031; sale grosso: nn. 666-669, 817, 1.030;
uvetta: n. 668; vescia: nn. 666, 835;
sapone: n. 666; sarago: nn. 666, 669, 1.035, 1.037, 1.038; sardine: nn. 666, 667, 669, 714, 721, 903, 1.030, 1.034;
vino: nn. 666, 1.037; vino di Corsica: n. 668; visciole: nn. 666-668, 714, 1.030, 1.031, 1.037; vitello: nn. 665-669, 714, 717, 718, 720-723, 817, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034-1.038;
scagliola: nn. 666, 718, 720, 721; scialotte: nn. 835; 1.033, 1.034, 1.037;
vitello pasticciato: n. 834;
sciroppo: n. 666; semola: nn. 669, 1.030; seppie: nn. 1.030, 1.034, 1.038;
zenzero: n. 834; zibibbo: nn. 666, 669, 1.030; zucche secche: nn. 666, 667, ¡121, 722, 1.035; zucchero: nn. 665, 666, 668, 669, 723, 817, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034-1.038;
sfogliate: n. 714; spezie: nn. 666, 668, 716, 718, 721, 1.035, 1.037; starna: n. 665; storione: nn. 834, 835, 1.031, 1.037; strutto: nn. 665-667, 669, 717, 718, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.037; sucata: nn. 665-667, 1.034-1.038; sugo: n. 666; sulla: n. 666; tagliatini: nn. 668, 1.030; tapani: nn. 667, 716, 721, 722, 834, 835, 1.030-1.032, 1.034, 1.035, 1.037; tartarughe: nn. 1.031, L034; tettina: nn. 892, 1.035; tonnina: 'nn. 665, 666, 668, 669, 720, 834, 835, 1.030, 1.031; tonno: nn. 666-669, 714, 715, 717, 718, 720, 721, 817, 834, 835, 903, 1.030-L032, 1.034, 1.035, 1.037, 1.038;
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La storia dell'alimentazione nell'archivio dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava
MICHELINA SESSA
L'abbazia della Ss. Trinità di Cava tra produzione, consumo e commercio alimentare (secoli XI-XVIII)
L'abbazia della Ss. Trinità di Cava de' Tirreni fu fondata nell'XI secolo dal ~onaco Alferio, nobile salernitano ed uomo di corte del principè di Salerno Guaimario III, nella grotta detta «arsicia», lungo le falde del monte . Falerzo nel luogo dove scorreva il corso del Selano; già da tempo la grotta era _servita da rifugio per ~sperienze eremitiche, quale quella del monaco di Montecassino Liuzio che, di ritorno nel 1011 da un viaggio in Palestina; vi soggiornò per qualche anno 1 • il piccolo cenobio ben presto si arricchì, grazie al favore dei
1
L'op~ra di riferimento per la storia dell'abbazia di Cava resta ancor oggi P. GUILLAUME,
Essai historique sur l'Abbaye de Cava, Cava dei Tirreni 1877. La prima testimonianza storiografica è rappresentata dalle Vitae quatuor priorutn abbatum Cavensi111n Alferii, Leonis, Petri et Constabilis auctore H11gone abbate VenusinÒ, ed. L. MATTEI-CERASOLI, in Rerum Italicarum Scriptores, VI, 5, Bologna 1941; ad essa.segue l'Historia Sacri Monasteri Ss. Trinitatis Cava dell'abate Alessandro Ridolfi, manoscritto inedito, in ARCHIVIO DELLA BADIA DI CAVA (d'ora in poi AC), Arca XIV, 5, la cui prima parte fu terminata nel 1582, mentre l'edizione definitiva è del 1611; nell' Ar-
chivio cavense di conservano varie copie, con varianti significative. Approfondimenti su particolari aspetti della storia abbaziale; e sulle sue dipendenze sono in: G. ABIGNENTE, Le consuetudini inedite di Salerno, Roma 1888; N. AcoCELLA, Il Cilento dai Longobarditti Normanni (secoli X e XI): Struttura amministrativa e agricola, in In., Salerno medievale ed altri saggi, Napoli 1971, pp. 321-487; A. ADINOLFI; I principi Guaimario ed ì monaci cavmsinel Vallo di Diano, in «Archivi e cultura» X (1976), pp. 47-60; P. EBNER, Econoinia e società nel Cilento medievale, Roma 1979;.In., I.rapporti economico sociali della Badia di Cava IIBI XIII secolo attraverso il suo più antico codice cartaceo, in «Ricerche· di storia sociale e religiosa», I (1972), pp. 1~85; F. GUERRIERI, Possedimenti temporali e spirituali dei Benedettini' di Cava 11Clle Puglia, Trani 1900; L. MATTEI-CERÀSOLI, La Badia di Cav~ e i ·monasteri greci della Calabria superiore, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania» VIII (1938), pp. 167-182 e IX (1939), pp. 265-318; G. PORTANO· VA, I, Sanseverino e l'Abbazia Cavtnse, Badia di Cava 1977; D. VENTIMIGL!A, Notizie storiche del castello dell'abate e de' suoi casali nella Lucania, Napoli 1827; G. VITOLO, Insediammti Cavmsi in Puglia, Galatina 1984; In., San Pietro di Polla nei secoli XI-XIV. Contributo alla storia dell'i11sediame11to medievale nel Vallo di Diano, Salerno 1980.
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principi di Salerno, dei territori coltivati e dei boschi che circondavano la grotta detta anche «la cava»; nel giro di pochi decenni si cominciò a costituire il primo nucleo di un ingente patrimonio fondiario che avrebbe toccato nel sec. XIII il suo culmine: il dominio temporale del cenobio si estese infatti su circa 120 tra città, borghi, castel~i, oltre ad 8 porti sulle coste del basso Tirreno, mentre il dominio spiritl!ale riguardava circa 480 tra abbazie, monasteri, obbedienze, parrocchie, chiese e priorati 2 • Il monastero, in virtù dell'opera dei suoi fondatori e primi abati risentì fortemente dello spirito di riforma cluniacense 3, . rappresentando ben presto il modello della grande abbazia esente dalla giurisdizione· vescovile, dotata di una serie di monasteri dipendenti oltre a solidi legami con il poter<=: politico. Ma. lo splendore ben presto diede il passo alla decadenza che investì l'ambito spirituale e temporale del dominio abbaziale: tra il XV e il XVI secolo l'abbazia della Ss. Trinità vive, dopo quattro secoli di splendore, la prima grande crisi della sua storia, in coincidenza con la creazione della Commenda. Per gli storici dell'abbazia. tutta la responsabilità della crisi è da attribuirsi alla lontananza dal ~onastero degli abati commendatari, determinata dalla loro posizione di cardinali che li costringeva a nominare vicari' generali che «cherchaient plutot à faire leurs affaires» 4 • La questione delle cause della crisi della proprietà ecclesiastica tra il XV e il. XVI secolo è un prnblema storiografico aperto 5 e non è questa la sede per affrontarlo, ma nel caso dell'abbazia di Cava sono da condividere le riflessioni di Chittolini 6, che non valuta in termini personalistici l'attività di queste nuove figure di prelato, gli abati commet?-datari - molto lontani da una ideale figura di ascetici uomini 1
2
P. GurLLAUME, Essai... cit., pp. 221, .LXXIV-LXXVI, LXXX-LXXXIX. G. VITOLO, Cava e Cl11ny, in S. LEONE-G. VITOLO, Minima Cavmsia. Studi in margine al IX vol11mè del Codex diplo1i1atims ,Cavensis, Salerno 1983 (Iter Campanum, 1), pp. 19-44. 4 . P. GUILLAUME, Essai... tit., p. 219. . 5 C.M. CIPOLLA, Une crise ignorée. Co1111nmt c' est perd11e la propriété ecclesiastiq11e dans I' Italie d11 Nord mtre la XI e le XVI iiècle, in «Annales, É.S.C.», II (1947), pp. 323 e seguenti. 6 G .. CHITTOLINI, Un problema aperto: la crisi della proprietà ecclesiastica, in «Rivista storica italiana», LXXXV (1973),. pp. 353-393. 3
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di chiesa 7 - rrìa più in generale le collega alla ridefinizione del ruolo delle comunità monastiche, ormai inserite in una realtà sociale · che sembra togliere loro ogni ragion d'essere, oltre che al superamento della loro organizzazione della proprietà. È proprio questo l'aspetto che nell'ambito della storia dell'alimentazione vale la pena di sottolineare: dal secolo XV le nuove forme di gestione e di sfruttamento della proprietà rendono ormai obsoleti i tradizionali, secolari, sistemi di gestione del patrimonio delle abbazie, che scontano inoltre la carenza di un controllo efficiente, come nel caso degli abati commendatari e loro vicari, e quindi aprono il fianco ~d assalti e 'manomissioni di agenti esterni. Nel caso dell'abbazia cavense l'assenza di un controllo sia sui diritti di proprietà che sulla resa produttiva e le rendite èonnesse ai domini · periferici, provoca un esaurimento progressivo di molte · fonti di reddito, che, correlato ad un aumento dei consumi «signorili» da parte degli abati commendatari e delle proprie corti, ingenera il tracollo economico della struttura gestionale. La rinascita spirituale e patrimoniale viene dagli storici dell'abbazia collocata in coincidenza dell'entrata del monastero nella congregazione di S. Giustina di Padova, maturata nel 1497 sotto il governo di Oliviero Carafa, ultimo abate commendatario. Se dopo quattro secoli di vita scompare l'Ordo Cavensis, inizia però un'opera di rigenerazione che, riel versante che qui ci interessa - quello della gestione patrimoniale - si concretizza in una fase di rivendica di diritti di posst;sso e proprietà, preceduta ed accompagnata da una fervida attività di ricerca su antichi privilegi, concessioni, esazioni di rendite. Viene così a crearsi, tra la fine del secolo XV ed il cinquantennio successivo, un consistente nucleo di inventari, registri, platee 8•
7
I quattro abati commendatari dell'abbazia di Cava furono tutti 1mportanti figure di cardinali, protagonisti· della· vita politica di quegli anni: il primo, Angelo de Fuscis, fu creato cardinale del titolo di S. Marco da papa Eugenio IV; il secondo fu Luigi Scarampa (cfr. P. GUILLAUME, Essai... cit., pp. 233-336); il terzo fu Giovanni d'Aragona, figlio del re di Napoli Ferdinando· (P. GUILLAUME, Essai... cit., pp. 236-242) e l'ultimo fu Oliviero Carafa (P. GUILLAUME, Essai... cit., pp. 248-251). Sul periodo della Commenda v. anche D. AMBRASI, Le vicende dell'età moderna, in La Badia di Cava, a cura di G. FIENGO e F. STRAZZULLO, I, Cava dei Tirreni 1985, pp. 47-117. 8 Tra i secc. XV e XVIII furono compilati inventari e libri di censi relativi a po;sedimenti siti ad: Atripalda, Avellino, Atena, Polla, Teggiano, Tramutala, Brienza, Pertosa, Cadossa,
La storia del!' alimentazione nel!' archivio del!' abbazia della Ss. Trinità di Cava
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Rinviando ai già citati storici dell'abbazia la cronologia degli eventi sino ai nostri giorni~ resta comunque da accennare alla successiva crisi dell'istituzione ecclesiastica, che dalla fin.e. del XVI secolo in poi conobbe un lento stillicidio di risorse umane e materiali che culminò, in senso negativo, nel 1662 quando l'abbazia fu retrocessa a priorato; il purgatorio durò soltanto un anno e nel 1663 riacquistò il titolo, a costo però di ingenti vendite per pagare i debiti. Si devè comunque sottolineare che mai la vita comune abbandonò il monastero e che la rinascita del sècolo XV,-III è soprattutto culturàle, con la creazione di accademie e l'impulso dato all'insegnamento nel seminario,. tutte attività capaci di far superare, senza molti danni alla comunità benedettina la crisi del Decennio francese, che vide l'abbazia trasformata in Stabilimento nazionale. Sempre nell'ottica che qui perseguiamo bisogna accennare ad una iniziativa della comunità cavense, quella della fondazione nel 1867, per opera di Guglielmo Sanfelice, di un istituto di istruzione in seguito parificato 9 , con annesso collegio, tuttora funzionante; questa nuova attività del.la comunità benedettina cavense, oltre a contribuire alla creazione di un potente strumento egemonico, ha generato un nucleo di materiale documen~ariò che ci fornisce la possibilità di studiare l'impostazione di regimi alimentarl di una collettività - quella dei convittori - diversa da quella benedettina. L'abbazia della Ss. Trinità di Cava de' Tirreni è oggi monumento nazionale e la conservazione del suo notevole ed antico patrimonio culturale, frutto della sua esistenza plurisecolare, è affidata alla piccola comunità monastica ivi residente. Le collezioni museali, bibliografiche ed archivistiche, in quanto patrimonio dello Stato, sono però affidate
Picciano, Auletta, Saponara <<Grumento Nova», Padula, Caposele, Lauria, Balvano, Perdifumo, Montecorice, Ceraso, Matonti, Nocera, Sarno, Roccapiemonte, Mercato San Severino, Sal~rno, Vietri, Maiori, Montoro, Solofra, Napoli, Capua, Bari, Molfetta, San Giovanni Rotondo, Rocchetta Sant' Antonio. Un elenc~ in M. SESSA, J n1anoscritti. di interesse archivistico nella collezione dei-<<Codices Cartacei» dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava dei Tirreni: progetto di edizione ed indicizzazione computerizzata, in «Documenti e ricerche», II (1986), p. 147-158. 9 Il decreto è del 9 ago. 1894, ma l'attività educativa ha origini remote: il Seminario. abbaziale fu fondato dall'abate Manso nel 1591. Nell'abbazia esisteva anche un altro istituto . ecclesiastico di educazione, l' Ahmnato e Noviziato monastico; A. MmLA, Racconto storico della Badia cavense in continuazione dell'Essai Historique di P. Guillaume, dattiloscritto s.d. (ma 1950), AC, arca XIV, 19.
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alla vigilanza e tutela degli organi periferici del Miajstero per i beni· culturali ed ambientali competenti per territorio; nel caso dei l>èni archivistici, l'Archivio di Stato di Napoli e la Sovrintendenza archivistica per la Campania per quel che concerne gli archivi privati ivi depositati 10• In base a quanto accennato_ precedentemente, la documentazione custodita nell'archivio monastico riguarda territori dell'Italia meridionale che. hanno fatto parte per lungo' tempo, a volte sin dall'alto Medioevo, del patrimonio fondiario dell'abbazia: si pensi ad esempio ai territori del circondario di Cava, alle zone del Cilento (quali Castellabate, Perdifumo), ai domini pugliesi, lucani, dell'Irpinia 11 • La documentazione concernente questi territori, oltre a coprire nella maggioranza dei casi un notevole arco cronologico, offre soprattutto una ampia tipologia: atti privati, atti pubblici, registri di censi, rendite ed opere dovute al monastero, visite pastorali, registri parrocchiali, ecc.12. Per valutare la ricchezza. dell'archivio cavense bastano poche cifre di riassunto, rinviando all'appendice l'illustrazione più particolareggiata: 15.297 pergamene latine (792-1834) 13, documenti cartacei raccolti in 8.618 unità archivistiche (cartelle, registri, ecc. per la maggior patte non inventariati e schedati), fondo marioscritti pergamenacei 65 unità, fondo manoscritti cartacei 500, visite pastorali 29 yolumi (1500-1934), bolle papali 8 volumi (1607-1927), registri di atti compiuti dagli abati cavensi in qualità di amministratori della diocesi . dell'abbazia . ' detti «Registri communi» 17 registri (1498-1944). .
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Si tratta degli archivi Talamo, Atenolfi, ·Brancaccio, Abignerite, oltre ai fondi pergamenacei de Caro di Roccagloriosa (Salerno) e Rubini di Capaccio (Salerno); la notifica di interesse storico per i predetti archivi è stata emessa nel 1986. È inoltre custodito presso l'archivio abbaziale il fondo Mansi: cfr. U. ScHWARZ, .Scala. A·rchivio Mansi, in Guida alla storia di Salemo e della sua provincia, a cura di A. LEONE-G. VIToLo, Salerno 1983, III, pp. 932 ss.; A. CARUSO, Le scritture pergamenacee e cartacee raccolte da Gaetano Mansi, in «Rassegna del Centro di cultura · e storia amalfitana», IV (1982), pp. 101-121. La Sovrintendenza svolge funzioni di tutela anche della documentazione della Curia abbaziale. I documenti furono versati in archivio dopo essere stati recuperati dall'alluvione di 'acqua e fangò che nel 19.56 colpì i piani ba~si dell'abbazia. 11 P. GUILLAUME, Essai... dt., e supra n. 1. 12 In appendice a questo intervento sono indicate le fonti più interessanti per la storia · dell'alimentazione. 13
I documenti membranacei sono così riparti~i: 3 del sec. VID, 1Ò8 del sec. IX, 417 del sec. X, 1.519 del sec. XI, 3.550 del sec. XII, 2.105 del sec. XIII, 1.960 del sec. XIV, 1.030 del' sec. XV, · 1.883 del sec. XVI, 1.080 del sec. XVII, 176 del sec. XVIII, 5 del sec. XIX; G. VITOLO, L'archivio della badia della Ss. Trinità di Cava, in S. LEONE-G. VIToLO, Minima cavensia... cit., pp. 191-200.
La stor:ia del!' alimentazione nel!' archivio del!' abbazia della Ss. Trinità di Cava
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Le caratteristiche dell'archivio cavense hanno permesso di affrontare un tema come quello della storia dell'alimentazione da molteplici punti di vista, di cui si intende fornire in questo intervento soltanto un saggio, facendo particolai;mente riferimento a due ipotesi di lavoro: la · prima guarda all'abbazia, ed alla comunità benedettina in senso lato, come centro di consumo di risor_se alimentari, analizzando e storicizzando i diversi modelli comportamentaH; la. seconda, be11 più vàsta, riguarda l'attività della comunità benedettina cavense nella produzione, gestione e commercio di risorse alimentari, nel suo essere «azienda» capace di· istituire rapporti particolari di produzione e commercializzazione, modificando anche il paesaggio agrario. · Le due ipotesi di lavoro enunciate hanno in primo luogo comportato il reperimento delle fonti archivistiche necessarie allo studio: le varie fonti archivistiche saranno illustrate in appendice, ma nel presente · intervento si cercherà di delinearne l'importanza ai fini della verifica · delle ipotesi di lavoro su esposte. La prima delle ipqtesi di lavoro permette di accennare alle molteplici indicazioni che lo stesso san Benedetto dettò nella sua Regola 14, permeata, anche per quel che concerne l'alìmentazione dei monaci, di concretezza e misura 15 : molti sono i capitoli in cui il santo dedicò la sua attenzione all'assunzione di cibi e bevande, fissando limiti e qualità dei cibi 16 e non· trascurando nemmeno l'organizzazione del servizio di cucina e del refettorio 17 •
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San BENEDETTO, La Regola, a cura di A. LENTINI, Montecassino 1980. «Unusquisque proprium habet donum ex Deo: alius sic, alius yero sic; et ideo cum aliqua scrupulositate a nobis mensura victus aliorum constituitur»; ibid., p: 362. · 16 San Benedetto stabilisce categoricamente pranzo e cena: «da pasqùa a pentecoste» pasto principale a mezzodì e la sera pasto leggero, seguito dal riposo (il pasto leggero la sera costituiva un'ottima misura igienica); «da pentecoste al 13 settembre» digiuno sino a nona (le 14.30 o le 15.00) il mercoledì ed il venerdì, gli altri giorni pranzo a sesta (mezzogiorno), con le doVÙte eccezioni in caso di debilitanti lavori nei campi; «dal 13 settembre a quaresima» unico pasto a nona, escluso le domeniche e le festività," dove si compivano i pasti a sesta ed era prevista una leggera cena. In uÌtimo la «quaresima»,. durante la quale era previsto un solo pasto al vespro, ma con la luce diurna. Nella Regola si vengono quindi ad identificare tre diversi modi di assumere· il cibo, legati· alle celebrazio~i liturgiche, ma nel contempo temperati dalle esigenze di lavoro e di clima: 1) giorni senza digiuno, con pranzo e cena; 2) giorni di digiuno moderato con unica refezione a nona; 3) giorni di digiuno grave con unica refezione a vespro; ibid., p. 353-375. 17 «Fratres sibi invicem serviant, ut nullus excusetur a coquinae officio, nisi aut aegritudo, aut in causa gravis utilitatis quis occupatus fuerit»; ibid., p. 322. 15
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Nella Regola molti capitoli riguardano la qualità del cibo, indièa_ndone anche la quantità: privilegiati nella trattazione il pane ed il vino, anche per la religiosità di cui la liturgia cattolica riveste i due alimenti. Per il pane esisteva un peso in bronzo di circa gr. 1,055 18 ; per il vino, cui si mesceva acqua generalmente calda,, si prescriveva una emìna 19 • Si può condividere l'affermazione del Montanari 20 che le quantità di vino consumate dai rp.onaci sfa.no notevoli, e d'altra parte la stessa affermazione di san Benedetto che «licet (... ) vinum omnino monàchorum non esse», viene immediatamente temperata dalla considerazione che «quia nostris temporibus id monachis persuaderi non potest, saltem vel hoc . consentiamus, Ùt non usque ad satietatem bibamus, sed parcius » 21 • È indispensabile accennare al terzo elemento alla base dell'alimentazione benedettina: gli ortaggi. Essi costituivano infatti l'ingrediente fondamentale · della zuppa che la regola di san Benedetto pone alla base dell'alimentazione della comunità monastica: il «pulmentum» o «pulmentarium» 22 • I prodotti dell'orto assumono così un ·rilievo particolare, sia dal punto di vista ideale, per .1'astinenza dal consumo di carne, sia per la preponderante dimensione produttiva che l'orto viene ad assumere per assicurate l'autosufficienza al monastero, insieme con l'acqua corrente ed il mulino. È da sottolineare altresì che prevedere orti,· mulini, peschiere e varie officine artigiane all'interno del recinto monastico era una efficace norma volta ad impedire il nomadismo 23. Per quel che r,iguarda l'abbazia cavense, la planimetria· del monastero, la prima che si conosca 24, suggerisce interessanti osservazioni: accanto alla cucina ed al forno, per il pane è previsto un piccolo
18 La reale corrispondenza con pesi moderni della razione di pane rimane ancora .incerta (ibid., pp. 356-357); il par{e veniva pesato crudo,_ poiché era più fa~ile divi~erlo, e nel. mus~o dell'abbazia di Cava si conserva ancora il peso m bronzo che veruva applicato alla bilancia. 19 Il riferimento non è all'emìna romana, pari a litri 0,27, ma ad una tnisura benedettina che doveva raggiungere 1. 0,75; san Benedetto afferma altresl che condizioni particolari di clima o di lavoro possono aumentare la razione: ibid., pp. 362-367. 20 M. MONTANARI, L'alimentazione contadina nell'alto Medioevo, Napoli 1979. 21 San BENEDETTO, La Regola ... cit., pp. 362-367. 22 Ibid., pp. 352-355. 2 3 Allo ·stesso effetto tnirava la• norma che proibiva assolutamente ai monaci di mangiare fuori dal monastero, se· non autorizzati espressamente dall'abate: ibid., pp. 448-451. 24 È c~ntenuta nel manoscritto inedito dell'abate Ridolfi (AC, arca XIV, 5, tta la c. 18v e la c. 19r) ed è corredata da un'ampia didascalia; nel disegno planimetrico non è _per_ò indi~ata l'orografia del. terreno e non sono quindi evidenziati i diversi livelli dei corpi di fabbnca.
La storia dell'alimentazione nell'archivio dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava.
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orto pensile,- mentre all'esterno delle fabbriche compaiono l'orto recintato, il gallinaio, la regimentazione delle acque per il funzionamento del mulino e del vivaio 25 • Interessanti spunti sono contenuti nel lavoro della Carelli 26 , soprattutto per quel che riguarda le sopravviventi strutture architettoniche delle vecchie cucine, delle cantine e degli enormi granai, della foresteria e dell'ospedale. Tornando alla Regola, grande attenzione san Benedetto dedicò alle funzioni del cellerario, figura tipica dell'istituzione benedettina: definirne le funzioni- sarebbe arduo, poiché con l'andar del tempo esse vennero ad aumentare sempre più 27 • Dalla primitiva funzi_one di dirigere la cella, nel suo significato originario di cantina e m~gazzino del monastero, luoghi dove si custodivano cibi in genere e vino, da una funzione quindi di addetto, diremmo oggi, alla sussistenza-economatb (forni, cantina, cucina), il cellerario passò nei secoli a svolgere anche funzioni di amministratore e tesoriere del monastero, divenendo la vera guida economica dell'abbazia, accentrando su di sé le funzioni di prestito e di deposito per le popolazioni circostanti. E proprio sulla figura del cellerario, val la pena di notare una particolarità del monastero cavense, il cui cellerario, detto Gran cellerario, risiedeva lontano dall'abbazia, a Vietri sul Mare, più vicino quindi alla città di Salerno, ricca di attività economiche e di commerci 28 • Notevoli, quindi, le suggestioni che la lettura della Regola di san Benedetto induce, soprattutto con la descrizione del consumo dei cibi nel refettorio, che rappresenta uno dei luoghi più importanti nella vita della comunità: l'assunzione dei cibi è sempre accompagnata dalla lettura di testi sacri, il servizio a tavola è minuziosamente prescritto ed una delle punizioni più temute è proprio la scomunica a mensa 29 •
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Il corso del ruscello Selano si divideva in due ratni, di cui uno andava ad alimentare il mulino, l'altro penetrava nell'orto e nel giardino del monastero, fino alla pescheria, e poi, attraverso cunicoli e meandri, giungeva ai laboratori. 26 E. CARELLI, L'immagine nel tempo, in La Badia di Cava, pp. 251-278. 27 San Benedetto dedica l'intero capo XXXI all'argomento: «Quale debba essere il cellerario del monastero»; inte~essanti riflessioni in P. GRossi, Le abbazie benedettine nel/' alto medioevo. italiano; Struttura giuridica, ·a,mninistrazione e giurisdizione, Firenzè 1957, pp. 95-96. 28 Ibid., p. 96. 29 «( ...)non pertnittatur ad mensae communis partecipationem, sed sequestratus a consortio omnium, reficiat solus, sublata ei portione sua de vino, usque ad satisfactionem et emendationem», SAN. BENEDETTO, La Regola ... cit., pp. 392-394.
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Passando alla comunità cavense, indubbiamente i primi secoli di vita -furono improntati dallo spirito della Regola, ·anche se alçuni correttivi furono naturalmente- apportati: maggiore presenze delle pietanze a base di pesce, che abbondava nelle dispense del monastero, grazie alla vicinanza del mare ed alle decime che l'abbazia percepiva dai pescatoti 30 • A questo riguardo una chiara influenza cluniacense è rilevabile n~ll'uso attestato nelle vite di Ugo di Venosa di distribuire una pietanza in più di pesce ed un bicchiere di vino detto caritas nell'anniversario della morte dell'abate 31 • M:;i. nel corso dei secol,i la situazione si modificò, ed il costume alimentare dei monaci mutò- sensibilmente, adottando modelli di consumo diversi; si può qui accennare alle abitudini signorili del suo secondo abate commendatario,_ Luigi Scarampa, detto «cardinal Lucullo»: «Di servi e donzelli aveva numeroso corteggio, alimentava cani e cavalli (... ) Amava i conviti ed i giuochi; ebbe animo ai piaceri disposto» 32, oppure a quanto avveniva nel 1788, nella rettoria di Roccapiemonte, dove, come si desume dai libri di cucina 33 , oltre 50 varietà di alimenti costituivano il regime alimentare dei monaci lì residenti, non trascurando generi di lusso quali sorbetti, cioccolato, mostaccioli, susamelli, acquavite, chicchere d'Inghilterra, ecc. L'analisi dei modelli di consumo alimentare della comunità cavense è ancora tutta da affrontarè e la documentazione si presenta ricchissima ed inedita: basti accennare ai libri di cudna, agli inventari dei- cellerari,
La storia del!' alimentazione nel!' archivio del!' abbazia della S s. T rinita di Cava
fino a giungere alla documentazione ottocentesca dello Spoglio dell~ cartelle dei consumi giornalieri 34 ; ma si può fare riferimento anche ad · una doéumentazione meno specifica ed al tempo stessO ricca di spu~ti: i libri di amministrazione 35 • I pochi saggi effettuati_ sulle varie tipologie di documenti hanno permesso di delineare, per ora, soltanto una so~ta di «istant'anee» della comunità benedettina, che ad esempio usciva indenne dalle pesti del 1648 e del 1656 non solo grazie alle mfracolose reliquie di S. Felicita, ma anche per il fatto che il regime alimentare non era stato che in minima parte modificato dalla orrenda fame che affliggeva il territorio circostante; o quanto avveniva tre secoli prima, _nel 1340, quando il re Ludovico e la regina Giovanna «fanno presente all'abate che non può in nessun modo molestare o trattenere i suoi fedeli per la decima degli olivi -o degli altri alberi» 36 ; ed, infine, il vero e proprio bozzetto del P. Giacomo de' Vicariis, quale ci viene consegnato dal suo inedito _Librò dei ricordi del viaggio 37 al capitolo generale di Perugia, nel quale elenca minuziosamente i generi alimentari che reca con sé ed annota anche le spese per beni voluttuari, quali «taratufoli» e «biscottini», acquistati nel lungo viaggio. Emerge soprattutto, è costantemente, la funzione di assistenza alimentare ai poveri del circondario, ininterrottamente svolta dalla comunità benedettina cavense 38 , come ancora alla fine del XIX secolo, la testimonianza di
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30 Il diritto alla decima dei pesci pescati nel mare tra Salerno e· Cetara risale alla bolla di papa Urbano II del 1092 (AC, arca C, 31), su cui però gi:avi sono i dubbi di falsità (C. CARLONE, I falsi nel 'ordinamento degli archivisti salernitani, cavensi e verginiani del sec. XIII, Salern~ . 1979, pp-. 4-5; ID., Falsificazioni e falsari cavensi e verginiani del sec. XIII, Salerno 1984); il diritto alla decima dei pesci era stato confermato ed esteso nel 1441 da Alfonso d'Aragona (AC, P, 29). Un'altra interessante concessione fu quella di Nicofaus qui dicitur Mariconda, che nel settembre 1238 donò la metà dello ius acuum, cioè della decima sui pesci chiamati ·aguglie pescati nelle grotte tra Salerno e Palinuro (AC, A_rca M, 37). _ . . · 31 Vitae ... cit., pp. 10 e 34; G. VITOLO, Cava e Clutry, tn A. LEONE-G. VITOLO, Mmzma Cavensia ... cit., p. 27. 3Z L. Tosn; Storia 'della Badia di Montecassino, Napoli 1843, III, p; 159; vedi anche } PALATIUS, Gesta Pontificum Romanorum ab Innocentio IV usque ad Leonem X, Venetiis 1688, coll. 635 s. _ 33 La raccolta dei libri è giornali di cucina è attualmente in fase di inventariazione: il più antico ftnora individuato è il Libro della spendaria del Monistero dal 1730 sotto il governo del Rev. Ab. Filippo Maria de Pace.
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Si tratta di cinque registri {1 gen. 1833-30 apr. 1835, 1 ott. 1837-31 clic. 1839, 1 gen. 1840-31 clic. 1843, 1 mag. 1848-30 nov. 1849, 1 clic. 1849-18 giu. 1853) nei quali, pur con qualche•variazion~, si segue lo schema del giornale di cucina, indicando i prelievi dalla dispensa, dalla cantina, dall'orto e, soprattutto, il numero delle persone da sfamare, distinte tra padri, frati, seminaristi, famigli; sono indicate separatamente. le forniture per la foresteri~, l'infermeria e per i prestatori d'opera (falegnami, muratori, barbieri, organista, pipernieri, ecc.). 35 Le ·possibilità di ricerca offerte da questa fonte sono state ampiamente ·dimostrate da S. LEONE, No tizie ·s11 artisti ed opere d'arte del· sec. XVI estratte dai registri di amministrazione della Badia di Cava, in «Benedictina», 1977, 24, pp. -333-381. 36 Regestr11111 Domni Abbatis Maynerii, AC, ms. XI, 7, c. 10v. Nello stesso Regestr11m, alla c. 8, è contenuto I' istruiJJenft1m rer11m assig11atar111JJ in 1nonasterio cavense 111agistro Iohanni coco domini abbatis. . 37 AC, ms. V.D. 12 (anno 1735). 38 Già nella Regola, san Benedetto aveva disposto: Infimwi·111JJ, i11fant11m, hospit11m pa11per11mque c11111 _01nni sollecit11di11e c11ram gerat, affidando ogni responsabilità al cellerario; SAN. BENEDETTO, La Regola... cit., p. 300. L'intero capo LIII e dedicato a come debbano essere accolti gli ospiti, che nel mbnastero non mancano mai; è da notare che la cucina ed il desco dell'abate
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un contadino prova: «(i monaci) ogni giorno davano il pane a dt1;gento di noi poveri contadini. Facevano il pane à posta per noi; era. una provvidenza» 39 • Rinviando all'appendice l'indicazione più precisa dei fondi archivistici più importanti, si vuole qui accennare ad un manoscritto inedito d~l XVI secolo 40, che costituisce una memoria della annosa questione della decima del pesce nella marina di Vietri, cui i monaci dell'abbazia avevano diritto fin dall'XI secolo 41 , e che il vescovo di Cava rifiutava di pagare: nei lunghi processi, di cui il ms. reca nota, molto spesso erano escussi come testimoni dei diritti abbaziali i p·escatori del luogo, che con le loro parole ci forniscono squarci vivacissimi di vita, come quello del p~scatore di Cetara che «è stato ed è solito piscare con· xabiche xabichelle tartaruni palangristi et altre sorte d'ingegni da poter pigliare pesci ed è stato ed è solito pigliare quantità di sarde, palamiti, cefali cornelli, lacerti, tregle et altri sorte di pesce» 42, su cui cohsuetudinariamente pagava la· decima ai monad, oltre a consegnare loro, pena la scomunica, i pesci regi (pesce spada, storione, lampreda) catturati, ottenendo un prezzo pari a cinque grana per rotolo, oltre ad un barile di vino e numerose «paneµe nigre» 43. · La seconda ipotesi di lavoro ci consente di adottare l'improprio termine dì «azienda» per indicare la funzione dell'abbazia in quanto titolare di rapporti di produzione e di attività commerciali.
e degli ospiti vengono separati da quelli dei monaci, per non recare disturbo ali~. vita co~u~e. La mensa dell'abate è individuata quindi fin dall'inizio come luogo separato: qui trova ong1ne l'arbitraria interpretazione dei secoli successivi, che intese la mensa abbatis nel senso di beneficio ecclesiastico con patrimonio proprio, distinto da quello della comunità, fornendo pretesto per abusi che influirono sulla disciplina dei monasteri. · · 39 R. BoNGHI, La Trinità della Cava, in Horae Subseczvae, Roma 1883, p. 335. Ancor più recente~ente, nel settembre del 1943, dopo l'armistizio, la comunità cavense ospitò e nutrì . circa 6.000 profughi. È da ricordare che il 17 settembre l'abate Rea ed il vescovo _di Cava furono deportati- dai tedeschi in un campo di concentramento presso Nola, da cui furono .liberati dall'avanzata degli Alleati. 40 AC, C, ms. G. 114. La segnalazione del manoscritto è dovuta alla cortesia del dott. S. Milano. 41
Vedi 1upra, n. 29. . AC, ms. G. 1.14, cc. 82-86. . 43 Sul prezzo dovuto e sui doni si veda AC, ms. XIII.170, cc. 115 e 123. La consegna del pescato avveniva in forma solenne ·con regolare verbale sottoscritto dall'archivista o dal cancelliere dell'abbazia e dai pescatori. . 42
La storia dcli' alimmtazione nel!' archivio del!' abbazia della S s. T rinit?i di Cava
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La maggiore quantità di informazione sull'inizio dell'attività dell'«azienda» monastica è deducib_ile naturalmente dagli antichi fondi pergamenacei, che no~ solo testimoniano la nascita, vita e morte . delle dipendenze periferiche - estese in tutta l'Italia meridionale nelle varie forme di abbazie dipendenti, priorati, grande, ecc. -.- ma permettono di ricostruire i rapporti giuridici con i vari affittuari, descrivendo i prodotti e le forme di pagamento. Un'analisi partico_: larmente interessante su questo versante è stata recentemente effettuata da Vitolo · sui due prodotti predominanti nel Medioevo -. nelle rendite in natura del monastero, il vino e le castagne 44 ; l'autore ha inoltre esteso la prospettiva di indagine anche ad altre colture, definendo in un certo senso le categorie fondamentali per interpretare la varietà e le modificazioni del paesaggio agrario nei territori su cuì l'influenza del monastero si estendeva 45. Pei quel che riguarda le. castagne 46 si possono ipotizzare due fasi nella coltivazione; la prima copre gli anni dall'800 al"' 1000, con la coltura del castagno già attestata, probabilmente sin dall'età antica, nelle coltivazioni, e quindi non introdotta ex novo nei campi come accade per la vite, la cui coltivazione è in questi anni intensiva. Sino all'anno mille i contratti· lasciano trasparire la volontà di conservare i castagni. esistenti sui campi, distinguendo chiaramente tra quelli spontanei e quelli coltivati 47 • La situazione si modifica nel secolo XI, quando non solo si osserva un aumento quantitativo, ma soprattutto qualitativo, selezionando i tipi migliori e propagandoli con innesti; i contratti sono in questi anni molto minuziosi e descrivono passo passo
44 G. VITOLO, I/ castagno nell'economia della Ca111pania medievale, relazione al convegno su «Il castagno nella storia della montagna italiana: produzione, commercio, consumo (secc. X-XX», Miane, 29-30 ottobre 1988 (atti in cor_so di stampa); In., Produzione e co111mercio del vino nel Mezzogiorno tmdievalli, relazione al convegno su «Il vino nell'economia e nella società italiana medievaie e moderna», Greve in Chianti, 21-24 maggio 1987 (atti in corso di stampa). 45 G. V1T0Lo, I prodotti della terra: orti·e frutteti, in Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo a cura di G. MuscA, Bari.1987, pp. 159-185. 46 Lo studio riguarda soprattutto Ìa zona pianeggiante compresa tra Nocera, Roccapiemonte, Mercato San Severino e Cava, ad una 'altezza media di 100 m. sul livello del mare. L'autore ha inoltre esteso le sue indagini ad alcune zone irpine. 47 Per i primi veniva adottato il termine castanetun,, i secondi erano invece indicati come insitetum; G. VITOLO, Il castaftno ... citata.
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gli adempimenti del coltivatore per praticare gli innesti, così come accade per i vigneti 48 • l risultati di questa politica colturale si vi.clero beh presto, permettendo di individuare sin dalla metà del secolo XI tre specie di cas,tagne: «zenzale», « robiole» e ·« granacce» 49 • Un certo rallentamento in questa attività di diffusione si nota all'in1zio del secolo XIII, quando comincia a farsi più sensibile la concorrenza dell'ulivo: Ìna anche in quest'epoca di recessione colturale l'abbazia riusciva a trarre dalle terre in affitto - su cui gravavano canoni parziali per lo più corrispondenti alla metà del prodotto ben duemila quintali di castagne, cui bisogna aggiungere le rese delle terre gestite in economia 50 • Le osservazioni più interessanti sul ruolo delle castagne nell'alimentazione, oltre ad indubbi dati di ordine quantitativo che sarà possibile allargare cronologicamente sulle fonti inedite; sono però soprattutto finalizzabili ad individuare una divisione di territori: quelli delle zone interne dell'Irpinia e del Clento in cui le castagne hanno svolto fino al secolo scorso un ruolo di sostituto del pane 51 , insieme a granone e legumi (pur se troviamo situazioni piuttosto differenziate), ed i territori no~erini _e della vallata di Cava, in cui il castagno compare come complemento in una agricoltura che tende all'autosufficienza, non costituendo perciò un alimento base e non entrando nella costituzione dei vitalizi. Non va dimenticato nelle vicende della castanicoltura nelle zone costiere il ruolo determinante svolto dal mercato, che oltre ai frutti richiedeva il legname per usi agricoli e per la costruzione di
48 Ibid.: « ( ..,. ) incipiamus ipsos tigillos ( ~ polloni) inserere de ipsa zenzala (~ varietà di' castagna), et ipso bacuum pastinemus at zappam, et impleamus eos de tigillis, et similiter insurculemus eos de ipsa zenzala, talemque curam exinde abere debeamus ut amodo et usque at completis annis decem habeamus eos totum pastinatum et presumatque insurculatum at legitinium frugium atducendum». · 49 Le castagne della varietà «zenzale» ebbero grande diffusione per la loro dolcezza; le «robiole» sono probabilmente da identificarsi con le cosidette «riggiole», dal frutto non molto dolce; per le «granacce» il Vitolo ipotizza una varietà adatta alla produzione di farina. 50 G. VITOLO, Econo1J1ia e società nal basso Medioevo, in Sto;·ia della Ca1J1pania, a cura di F. BARBAGALLO, Napoli 1978, p. 168. 51 M. STORcm,'L'alitnentazione nel Regno di Napoli attraverso i dati della statistica n111rattiana in Studi sul Regno ç/i Napoli nel decennio francese (1806-1815), a cura di A. LEPRE, Napoli 1985, pp. 149 e seguenti.
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imb~rca~ioni; va . inoltre osservato che le castagne risultano ai primi posti dei prodotti trasportati per mare sulle navi che venivano a cari~are nei_ porti_ cavensi di Vietri e Cetara, dirette probabilmente anche in Medio Onente; ed è probabilmente da riferirsi alla vicende del commercio 52 , la riconversione produttiva che vede dal Duecento nei territori dell'abbazia, preferire al castagno altre colture· infatti il ~oncen~rarsi _della mercatura a~alfitana su mercati vicini: come Napoli - in cm la presenza della corte angioina alimenta la domanda di pro~otti pregiati - induce lo sviluppo di nuove colture, quali agrumeti e rose.~ 53 • Il ~astagno però non sparì dai paesaggio agrario, poiché oltre ad utilizzare 11 legno, i frutti ormai inselvatichiti furono destinati all'allevamento di maiali: notevole nmane infatti la richiesta di carni salate e prosciutti. Non. meno interessante le osserv~zioni e gli spunti che la documentazione cavense offre sulla coltivazione della vite: all'enorme diffusione di questa coltura, anche .su terreni ad essa non particolarmente adatti, contribuirono senza dubbio «il carattere mistico-sacrale d~l vin~ nell'ambito della celebrazione della messa (il vino che diventa 11 sangue di Cristo), il suo valore terapeutico e l'impiego che se ne faceva per la preparazione di molti farmaci, ed infine il suo essere una delle poche forme di evasione iri una vita quotidiana al Sud, .non meno che altrove, tutt'altro che facile e ricca di altre occasioni. ~i distrazio~e» 54• Si tratta qui di sottolineare l'impulso che la comumta benedettina cavense diede allà coltivazione del vino che risultava indispensabile non solo per usi liturgici, ma anche ;er il not~:~le consu~o proprio ~ per quello de~ pellegrini; viaggiatori ed os~1t1 in ge_nere .. I contratti che regolano 1 rapporti con gli affittuari delineano .in pnmo luogo l'impulso formidabile che diedero alla diffusione del vigneto i contratti così detti di «pastinato», quelli
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B. FI_GLIU~LO.' Gli ~n,~lfitani a Cetara: vicende patritnoniali e attività econo1J1iche (secc. X-XI), m «Annali dell ~st1tu~o.1taliano per gli studi storici», VI (1979-80), pp. 31-82; Io., A1J1alji e il Levante nel Medzoevo, m I con1u11i italiani nel Regno crociato di Gerusale!Jlnte, a cura di G. AIRALDI e B.Z. KEDAR, Genova 1986, pp. 573-664. 53 Questi ultimi necessari alla produzione di essenza di rose. 54 G . .V"iToLo, Produzione .... citata. 55 Vedi nota 33. .
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cioè che impegnavano il concessionario non solo a curare le. viti presenti nel campo ma anche ad impiantarne delle nuove, prevede1;1do alla scadenza del contratto l'assegnazione all'affittuario di una parte del te:t;reno sottoposto a miglioria. La consegna del· vino, anch'essa indicata nel contratto, si adegua al costume diffuso nel Salernitano: il colono infatti è tenuto non solo ad ospitare in maniera decorosa il messo inviato dai monaci (per controllare la vendemmia· al fine di evitare «imboscamenti») ma anche a custodire il vino dell'abbazia in appositi «organeis a vino» 56 fornjtigli· dal proprietario, che dovevano essere mantenuti in buone condizioni: solo nel caso di rapina a mano armata e di incendio («absque de generatione et igne») l'affittuario poteva èonsiderarsi libero da responsabilità 57 • L'analisi del paesaggio agrario prosegue considerando i frutteti e gli orti, questi ultimi caratter1st1c1 sia di realtà urbane 58 che di piccoli centri, come ci rivela la toponomastica, ed i cui frutti costituivano il così detto «terratico», pervicacemente richiesto 1ai proprietari, pur se nella esigua misura di un decimo del prodotto. · Il panorama che i contratti medievali ci suggeriscono riguardo alle colture. di ortaggi è particolarmente interessante, soprattutto per il paesaggio agrario che emerge nella vallata di Cava: fitto popolamento, sia in centri rurali (gli odierni casali), che in case isolate, molto spesso costruite dagli stessi affittuari, e complete di attrezzature agricole 59 • · Gli orti raramente vengono indicati nei contratti, ma quando lo sono, appaiono sia come cinta orticola di casali, che come parte di col~iva.:. zinne all'interno di singoli fondi, testimoniando la compresenza d1 un insediamento di tipo accentrato con uno di tipo sparso 60 • Per quel che riguarda i frutteti, oltre quanto già detto per il castagno, nìe~zione speciale meritano i nocelleti, prodotto agricolo particolarmente pregiato ai fini dell'esportazione su mercati esteri: si
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G. VIToLo, Produzione .... citata. Ibidem. 58 Nella città di Salerno esisteva un intero qu.irtiere detto Hortus n1agnus. 59 Esse sono costituite per lo più da una cisterna, dal palmentum (torchio) cum· labello e dal balneum (lavatoio). Una particolarità della vallata di Cava è costituita, come ancor oggi si può osservare, dalla presenza delle plagarie, torricelle dalle quali, con una tecnica particolare, si effettuava la caccia ai colombi. 60 G. VITOLO, I prodotti.... cit., pp. 171 e seguenti. 57
La storia dell'alimentazione nell'archivio dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava
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consideri che l'abbazia nel Duecento~ solo dai territori da essa dipendenti nella valle di Cava, ·ne raccoglieva 1.000 quintali 61 • E bisogna sottolineare che oltre alla commercializzazione attraverso i suoi porti di Vietri e Cetara,. l'abbazia, nel corso del XIV secolo, cominciò ad indirizzare i suoi prodotti verso il mercato di Salerno 62 • Se per il Medioevo i lavori del Vitolo hanno indicato le fonti e la strada da seguire, per l'età moderna invece poco è stato fatto: si deve far riferimento a lavori campione su particolari territori, ma restano ancora inesplorate la maggior parte delle fonti, e precisamente il fondo cartaceo e la raccolta di inventari e platee. Per il fondo dei cartacei un valido sussidio è costituito da un accurato indice per soggetto dei soli 7.760 fascicoli inventariati; i fasdcoli sono di consistenza diversissima, poiché a volte sono costituiti da pochi fogli, altre da piccoli registri. Il repertorio che ne permette la consultazione 63 , compilato tra il 1887 ed il 1890, è un repertorio onomastico per nomi di persona e di luogo e contemporaneamente un indice per soggetti: un saggio effettuato ha permesso, ad esempio, ricercando i ndmi dei generi alimentari più diffusi, di reperire materiale· interessante, anche se con una certa difficoltà: si è dòvuto ad esempio ricercare sotto la voce «grano» 64, ma anche sotto la voce «frumento» 65 e «furnatico» (diritto di) 66 ; oppure sotto la voce «pesce» 67 e «pescatori» 68, ma anche « Varano»
61 Le nocelle risultano·al primo posto tra i prodotti che la navi venivano a caricare nei porti di Vietri e Cetara; G. VITOLO, I/registro di Balsa1110, decimo abate di C(1va ( 1208-1232), in «Benedictina», 1974, 21, p. 79-129. Importanti risultati si attendono dalla edizione, a cura di M. CASTELLANO di un altro manÒscritto, il Regestrnm D. Thomae abbatis (AC, ms. XI, ·3, a. 1261-1264). 62 Una trattazione specifica meriterebbero le coltivazioni dal «fascino di paradiso», i giardini di agrumi diffusi sul litorale amalfitano; in proposito E. SERENI, Storia del paesaggio agrario, Roma-Bari 1979, p. 102 e G. VITOLO, I prodotti... cit., pp. 181-182. 63 Index Alfabeticus Charthamm, AC, ms. XV, 238. 64 Grano; immunità concessa sopra il peso a rotola (1567), 1.395; Grano, orzo ed altre vettovaglie fatte nel tenimento di Montecorvino ed Eboli (1591), 1.874; Grano, mietuto nel campo di Sabato Vasso (1721), 7.055; Grano, in tempo di carestia-prezzo (1.721), 6.315. 65 Frumento, provisioni della regia Camera perché i compratori non mettano gabella (1626), 5. 901. 66 Furnatico, (diritto di), Tramutola (1592-1603), 2.724; nel documento si minacciano di scomunica «alcuni poco timorosi delli precetti divini ( ... ) (che) per fraudarno et usurparno le raggionj di fornatico spettanti (... ) (al) Sacro Monasterio fanno pane fuora dal territorio ( ...) e quello poi clandestinamente di notte e di giorno entrano nel territorio» .. 67 ·Pesce, per la decima (1587); Pesc·e, per la ve.ndita (1704), 6.237. 68 Pescatori, debitori (1779), 6.283.
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(lago di) 69, e gli esempi potrebbero essere numerosi. Difficoltà di altro tipo presenta il fondo dei manoscritti cartacei 70 ; la ra~~9lta è frutto infatti della· confluenza in archivio della documentazione proveniente da altre istituzioni ecclesiastiche dipendenti o in qualche modo collegate con l'abbazia: parrocchie, priorati, grande, ecc. Al momento dell'assorbimento di queste istituzioni nel dominio temporale del monastero cavense, o nel caso di loro estinzione, la documentazione prodotta da questi enti (registri, conti, platee) veniva inglobata nell'archivio generale dell'abbazia. Accanto a questo tipo di documentazione, di natura amministrativa, si è creato un altro nucleo documentario più squisitamente culturale, frutto della partecipazione dei monaci cavensi alla vita intellettuale: opere di filosofia~ botanica, araldica, diritto, logica, ecc. La genesi stessa della raccolta manoscritta· ha quindi determinato una frammistione tra manoscritti di prevalente interesse bibliografico e registri di natura archivistica: è necessario quindi in primo luogo separare il campo dell'inventariazione del materiale archivistico da quello della catalogazione del materiale bibliografico, campi di cui il Cencetti ha mostrato la profonda diversità 71 • La raccolta si presenta ricchissima 72 ed uno studio effettuato da chi scrive su un particolare territorio, tra il 1458 ed il 1542, ha permesso una discreta analisi del paesaggio agrario: lo studio 73 riguarda il territorio odierno di Montoro Superiore, in provinda di Avellino, dove l'abbazia possedeva il priorato di S. Bernardino: si tratta di una zona subappenninica, con prevalenti coltivaziot;ii di castagne (14% ), noci e nocciole (11 % ), cioè di prodotti agricoli pregiati, per cui le rendite del monastero, prevalentemente in natura, risultavano alquanto floride, poiché la
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successiva commercializzazione dei prodotti riusciva a sfruttare la congiuntura favorevole. Analisi di questo tipo o ancor meglio, lavori come quello del Vitolo per San Pietro di Polla 74, dipendenza cavense in provincia di Salerno, riescono ad aprire direttrici di ricerca molto ricche. Si tratterebbe, in definitiva, di verificare l'attendibilità della Liste alphabétique des Vii/es, Chateàux, Ports de mer; Bourgades et autres lieux, anciennement soumis à la Sainte Trinité de Cava elaborata dal ' Guillaume nell'appendice del suo volume, nel quale elenco sono individuati ben 115 località- sparse in tutta l'Italia meridionale - facenti parte del domaine temporel dell'abbazia, cui devono aggiurigersi i 480 priorati, abbazie, monasteri, obbedienze del «domaine spirituel de la Congrégation de Cava», la cui vita non è ancora stata ricostruita per intero 75 • , · . Un primo passo in questa direzione è rappresentato dal progetto di edizione ed indicizzazione c.omputerizzata di alcune fonti dell'archivio cavense, alla luce di contemporanee sperimentazioni che si stanno effettuando in tutta Italia 76 • Il progetto, attualmente in fase di esecuzione, prevede la scelta di. un territorio campione - il circondario di Cava-, l'individuazione delle fonti che lo riguardano (facendo ricorso agli attuali strumenti dì corredo) e la compilazione di una scheda di rilevazione, vera e propria scheda di spoglio della documentazione, che prevede precise aree di registrazione: dat~, nomi di persona, nomi di località particolari, tipologia del dòcumento, tipo di coltura ed altre; il numero delle aree è stato definito in modo ampio, dovendo riferirsi a tipologie documentarie diverse, ma si è creduto opportuno ' evitare descrizioni troppo dettagliate, per evitare di appesantire la · banca-dati che si intende creare.
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69 Varano, il lago, donazione della pesca (1141), 196; Varano, il lago, confirmazione della pesca (1173), 195; Varano, il lago, inibizione di pescare (1572), 829; Varano, il iago, articoli per la pesca (1621); 4.554; Varano, il lago, assenso per la vendita (1705), 6.436; Varano, il lago, affitto del pantano (1716), 6,566, ma anche la voce Frutti (del Monastero cavense) sulla metà del lago Varano (1690), 4.312. 70 M. SESSA, I manoscritti... cit., pp. 147-158. 71 C. CENCETTI, Scritti archivistici, Roma 1970, pp. 46-69. .72 Vedi nota 8. 73 M. SESSA, Il priorato di S. Bernardino di Montoro tra XV e XVI secolo: un tentativo di trattamento tneccanico dell'informazione nel campo della storia agraria, in «Documenti e ricerche», I (1984), pp. 137-161.
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G. VITOLO, San Pietro di Polla nei secoli XI-XV. Contributo. alla storia dell'insediamento tnedievale nel Vallo di Diano, Salerno 1980. 75 P. Guu,LAUME, Essai... cit., pp. LXXIV-LXXVI; LXXX-LXXXIX. · 76 M. SESSA, I 11Ia11oscritti... cit., pp. 149-151. Il progetto di edizione ed indicizzazione delle· fonti dell'archivio cavense ha avuto un prima definizione in occasione del «Colloquio su campioni sperimentali di applicazione elettronica a materiali archivistici (19-6-86)» presso la Scuola Normale Superiore di Pisa; in proposito cfr. : M. SESSA, Le platee di un priorato del Mezzogiorno d'Italia tra XV e XVI secolo: un progetto di edizione ed indicizzazione automatica, in «Centro di elaborazione automatica di dati e documenti storico-artistici. Bollettino di infor· mazioni», VII (1986) 1-2, pp. 329-341. ·
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Michelina Sessa
Proprio durante il lavoro relativo a questo progetto, e quindi nella fase di creazione di un archivio automatico - la rappresentazione ~ioè della documentazione smontata e riàggregata per successive ricomposizioni - è stato possibile trovare spunti per questo intervento sulla storia dell'alimentazione, al più significativo dei quali vale la pena di accennare in chiusura. Si tratta di un documento in pergamena dell'agosto del 1065 77, in cui una vedova, Rogata,' ed i suoi figli, vendono un castagneto sito nella valle cavense. È la testimonianza del dramma, poiché di un dramma si tratta, di Rogata, vedova di Deusdedi e orfana di Sicone, di una donna. cioè che, senza marito e padre e con ·figli minorenni, non ' riesce ad integrare il regime alimentare familiare con quei prodotti - caccia, frutti del bosco - di cui il Montanari 78 ha mostrato la centralità e quindi l'indispensabilità nell'alimentazione medievale. E pur nel rigido linguaggio notarile di una compravendita 79 , emerge lo spettro della morte per fame che costringe Rogata ed i suoi orfani a privarsi del · castagneto: «proclamabat se necessitatem maiorem habere et fame mori et volebant vendere de rebus suis qualiter vivere possint, in tantum ut se de ipsa fame liberare valerent ut non moriretur» 80 •
La storia dell'alimentazione nell'archivio dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava
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docc. pubblici, n. 730 (a. 840-1771), Sala Diplomatica, arche magne A-R, corredati da inventario con regesti; docc. del monastero di S. Francesco di Eboli, n. 114 (a. 1267-1699), Sala Diplomatica, arche CXXI-CXXII, corredati da inventario con regesti; docc. greci, n. 101 (a. 1005-1300), Sala Diplomatica, arche CXIV-CXVI, corredati da inventario con regesti, trascrizioni in greco e traduzioni in latino; docc. del monastero di Materdomini di Roccapiemonte (SA), n. 121 (a. 1025-1578), Sala Diplomatica, arca CXXIV, corredati da un indice con brevi regesti; docc. della famiglia dei baroni de Caro di Roccagloriosa (SA), n. 76 (a. 1391-1572), Sala Diplomatica, arca CXXIII, non inventariati; docc. di Capaccio (SA), n. 490 (a. 1508-1793), Sala Diplomatica, non inventariati; docc. super armariùzy et recentiorum, n. 155 (senza data), Sala Diplomatica, arche CXVII-CXVIII, non inventariati; docc. additiones posteriores, n. 11 (senza data), Sala Diplomatica, arca CXVI, corredati da inventario con regesti; docc. sine data, n. 132, Sala Diplomatica, arca CXV, corredati da inventario con regesti;· pergamene delle professi~ni di fede dei monaci dell'abbazia della Ss. Trinità di Cava n. 351 (a. 1494-1797), Sala Diplomatica, arca CXIX, corredate da indice; docc. di nuova accessione (copertine di manoscritti o di protocolli notarili restl!.urati), n. 104, Sala Diplomatica, arche CXXVI-CXXVII, senza inventario. Documenti cartacei:
APPENDICE FONTI CAVENSI PER LO STUDIO DELLA STORIA DELL'ALIMENTAZIONE. La citazione archivistica è in alcuni casi incompleta poiché i documenti sottoelencati sono solo in parte regolarmente ordinati ed inventariati. Documenti pergamenacei:
docc: privati, n .. 13.353 (a. 792-1834), Sala Diplomatica, arche I-CXIII, corredati da inventario con regesti;
77 Codèx Dip/0111aticus Cavensis, IX, a cura di S. LEONE-G. VITOLO, Badia di Cava 1984, pp. 13-16. 78 M. MONTANARI, L'ali111entazione.: . .citata. 79 È da notare che la quarta parte del castagneto era proprietà esclusiva ·di Rogata, in quanto suo morgincap, sibi dato ab ipso viro s110 alia die illoru111 copulationis; il tnorgincap (dono del mattino) presso i Longobardi era costituito dalla quarta parte dei beni del marito che, il giorno dopo le nozze, veniva donata alla m·oglie. 8 Codex.,. cit., pp. 13-14.
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Fondo cartaceo inventariato, n. 7.760 fascicoli (secc. XIV-XIX), I Sala, armadi A-C. Fondo cartaceo non inventariato, n. 174 cartelle, I Sala, armadi G-H. Registri. di copie di documenti, n. 21, I Sala, armadio G, non. inventariati. Registri di amministrazione del monastero, I Sala, così ripartiti: libri mastri, n. 3 (a. 1507-1526); giornali, n. 37 (a. 1508-1742); vacchette dei cellerari, n. 87 (a. 1618-1794); registri vari, n. 28. Protocolli notarili, n. 212 (a. 1445-1708), I Sala, armadio D, corredati da indice. Piante & mappe di terre dell'abbazia, n. 20, (sec. XVIII), Sala Diplomatica, arca CXLV, non inventariate. Docc. della comunità monastica, n. 55 cartelle, (secc. XVI-XX}, Sala Diplomatica, arca CL, non inventariati. Docc. della curia abbaziale, Sala delle Edizioni Cinquecentine, I piano, senza inventario e così ripartiti: Tramutola (PZ), n. cart. 90; Castellabate (SA), cart. 52; Roccapiemonte (SA), n. cart. 28; Santa Barbara, oggi Ceraso (SA), n. cart. 19 ..
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Michelina Sessa .''<t'
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ANNA TILOCCA SEGRETI
Docc. della parrocchia di S. Maria della Terra di Corpo di Cava, n. 9 regg., I·Sala, armadio I. · Docc. della Congregazjone di S. Vincenzo della parrocchia di S. Pietro di Dragonea (SA), n. 15 regg., in pessime condizioni di conservazione (custoditi nel d~posito librario).
L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700 e '800
Raccolta «Codices CartaceiJ>: Redditi in grano della chiesa di S. Barbara (Ceraso, SA), sec. XVIII, arca XII, 88. Polizze del sale del Cilento (a. 1725-37), arca XII, 96. Diploma Urbani Octavi de transactione frumenti et ordei inter Monastetium Cavense et moniales S. Georgii de Salerno, (1627), arca XIII, 155. Libro di spese eseguite, censi ricevuti e memorie le più diverse in un casale del Cilento ( = S. Barbara, Ceraso, SA), (1577), arm. V-D-11. Libretto di ricordi, spese ed altro che accaderà a P.D: Giacomo de Vicariis (1735), arm. V-E-12. Quinterno de li grani et orgi <che> se rescoteno in S. Matthia, del/i terragii per d. Cypriano et frà Zacharia et de quelli che se mandano per la barca· a la Marina de Veteri <ai> nostri magazeni et de quelli che se mandano in casa per li moletteri, (1541), arm. VI-D-9. Libro di ricordi, (1606), arm. VI-D-18. Libro di ricordi, (1594), arm. VI-E-16. Libro di ricordi, (1609), arca XIII, 170. Libri della spendiaria del monastero e Giornali di cucina, I Sala, non inventariati (la raccolta è stata recentemente riunita ed è in fase di inventario). Un elenco degli Inventari di beni delle dipendenze cavensi, compilati tra XV e XVI secolo e custoditi nella raccolta di manoscritti, è in M. SESSA, J manoscritti ... cit., pp. 152-158. _ .
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La scelta dell'argomento è legata alla presenza nel Sassarese di un cospicuo, per quantità e qualità, materiale specificatamente «ecclesiastico»: la documentazione infatti, consistente in 1.413 unità - tra, buste, registri e carte sciolte --- abbraccia un arco cronologico complessivo di circa tre _secoli, il che ha imposto ovviamente di orientare la ricerca verso un solo periodo, nel caso specifico quello sabaudo; ulteriori restrizioni sono derivate dalla consapevolezza della vastità di altro materiale noto, al quale sarebbe stato evidentemente difficile rinunciare in un'indagine da condurre capillarmente; si pensi a quello lato sensu ecclesiastico, che è sempre pr~sente entro la documentazione notarile, ma anche ai registri conservati presso la Bibliotèca universitaria di Sassari, fondo Manoscritti, provenienti dai conventi soppressi della città di Sassari; e, ancora, alla vasta mole di materiale documentario esistente presso le curie di Sassari e di Alghero, come ad esempio i soli libri di amministrazione. Sebbene la ricerca si limiti alle fonti presenti in archivio, va tuttavia rilevato che non è stato possibile -prenderle tutte in considerazione. Ad esempio nelle circa -duecento buste versate dall'Intendenza di finanza, il carteggio concernente il momento del passaggio allo Stato unitario, occupa insospettabili spazi. La documentazione esaminata attiene a dieci conventi dislocati ad. Algher~, Ozieri, Padria, Pozzomaggiore, appartenenti ai seguenti ordini religiosi: Agostiniani, Carmelitani, Mercedari, Francescani conventuali (Osservanti e Capp~ccini), Clarisse o Isabellirte (unico convento femminile presente, ancora notò nel territorio con tale denominazione). Quest'ultimo ordine, nato solamente per una nuova formulazione della regola di S. Chiara, dovuta alla beata Isabella di Francia, inizialmente
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Anna Tifacea Segreti
L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700 'e '800
contrastato dalle stesse monache clarisse, fu poi sostanzialmentè· approvato e confermato dai papi Alessandro IV e Urbano IV. Giacché emergeva, dalla bibliografia esistente, un netto distacco tra le due regole ed era comunque nota almeno l'obbligatorietà della regola di povertà per le Clarisse, un'indagine sul tema dell'alimentazione dell'unico convento femminile, i cui atti erano conservati presso l'Archivio di Stato, si profilava ricca di promesse per la quantità e la natura stessa· degli atti. Nel II libro dei censi del convento figura infatti, alla c. 1, la «Memoria de la fundaciò del Monastir» ove, fra l'altro, vengono spiegati i motivi che hanno portato alla creazione dello stesso. Nato sotto il titolo della «gloriosa Santa Elisabetta regina del Portogallo» per osservare la regola del III ordine del glorioso S. Francesco, inizialmente eappoggiato su un certo numero di case, in attesa del completamento della costruzione, autorizzata su dispensa del papa Urbano IV nel 1641, il convento 1 conobbe un nucleo iniziale di tre sole monache prevenienti dal convento di S. èhiara di Sassari; abbadessa fu nominata Angela Susarello y Boyl, mentre le altre due suore, Marquesa Manca de Prado e Hipolita Tavera, furono rispettivamente destinate a «vicaria di casa» e a «vicaria di cor i mestra de novissis» 2 : giurarono perpetua obbedienza al vescovo dèlla città, dopo aver dichiarato che il trasferimento da Sassari ad Alghero avveniva «de bona gana», in parole povere non forzatamente. La cerimonia dovette essere straordinariamente suggestiva: effettuata, a Sassari, l'apertura ufficiale delle porte, venne eseguito il canto del Te Deum mentre il canonico incaricato del trasporto prendeva in consegna le tre monache, che vennero fatte salire su un cocchio. Solo ad una certa distanza· dalla città, coperte di un velo nero fino a metà del volto, salirono
a cavallo, discendendone per riposarsi presso la chiesa di nostra Signora della Pietà, dove i frati riservarono loro un'accoglienza ricca di premure, accompagnandole fino al «portale reale» dove· la cerimonia acquistò carattere e toni di solennità ancora più elevati alla presenza di autorità civili ed ecclesiastiche che conferivano alla fondazione del convento il significato che essa doveva rivestire anche per l'intera popolazione. L'esaltazione della folla rapidamente si trasformò in ·tripudio, dilagando per le vie della città addobbate a festa, con scoppi di mortaretti e grande allegria, che brutalmente dovette aver termine allorché si procedette alla chiusura ufficiale delle monache entro il convento, secondo i riti e le formule stabilite. Così inizia -·- sulla traccia dei documenti conservati - la storia del convento in Alghero 3 •
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Se tuttavia l'esame del materiale non ha mantenuto le promesse nella misura in cui speravamo, almeno quanto all'alimentazione, notizie interessanti e suggestive sono comunque emerse in merito alla vita che.si svolgeva tra le mura del convento: troviamo parecchie osservazioni sulla necessità di rispettare rigidamente le regole della clausura in occasione di visite di estranei al convento, quand'anche fossero medici (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Conven,to delle Isabe!!it1e, b. 4, Registro entrate e uscite, 1680-1696, cc. 192-193, 258 ss.) ed altre da cui emerge la sfiducia con cui venivano considerati i regolari, anche osservanti; sentimento che, forse all'origine del desiderio di allontanarli «il più possibile da ogni rapporto diretto» con la cittadinanza, fu comunque fra le cause fondamentali del movimento riformatore. Ma le relazioni delle visite effettuate dai vescovi presso il convento femminile di Alghero sembrerebbero dire qualcosa di più e di diverso. Richiamandosi à capitoli e disposizfoni precedenti, il vescovo don Francesco Thomas Carnicer, ordinava, il 9 giugno 1696 (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Co11ve11to delle Isabelline, b. 4, Registro entrate e uscite, 1680-1696,. cc. 258-260) di non manifestare all'esterno del convento, colpe o difetti in esso riscontrati, non parlandone assolutamente né a secolari, né ad ec~lesiastici, anche se parenti, né al proprio confessore, se non nell'ambito del sacramento: ordinava altresì di osservare ovunque e sempre la regola del silenzio, particolarmente nei momenti più solenni, quàli la partecipazione al coro, perché se era già da osservarsi il silenzio nel refettorio e nel dormitorio; a maggior ragione la regola andava rispettata nel coro. Guai comunque a trattare di «cose di matrimonio o di altre cose mondane disdicevoli alla purezza delle spose di Cristo!>>. Nel richiamar.e poi alcune eccezioni sul trattamento concesso alle religiose inferme, per la cui assistenza si doveva toJlerare ovviamente l'ingresso di un. medico, scortato tuttavia da due religiose scelte tra le più anziane, il vescovo insisteva, a più riprese, sull'obbligo dell'obbedienza e della carità, ordinando infine all'abbadessa di tenere, sei volte all'anno, un capitolo solenne, in cui le Religiose dovevano pubblicamente «scoprire le loro colpe» attendendone i relativi meritati castighi, senza che di ciò ovviamente dovesse mai nulla trapelare. Tanta severità doveva certamente essere sollecitata dalla consapevolezza che la vita all'interno del convento non rispettava i principi fondamentalf della clausura. E ancora, allorché si concede il permesso di ricevere un confessore, in via strordinaria rispetto ai divieti sanciti nelle istruzioni del 1583, il 20 luglio 1736 si adduce a motivo validissimo che «è imminente la morte» (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento delle Isabe!/ine, Censi, b. 1, 1699-1746, vol. 3, doc. 104).
1 Nacque per la munificenza dell'illustre «Reverent Doctor Dionis Soredas», canonico della cattedrale di Alghero, che, per la sua fondazione, lasciò un complesso di beni valutati a L. 4.700 dell'epoca. 2 Qualche anno dopo le monache dovevano esser già molto più numerose se un atto del 1650 fa ascendere a 10 di esse la «magior y senior part», ARCHIVIO DÌ STATO DI SASSARI (d'ora in poi ASSS), Corporazioni religiose, Alghero, Convento delle Isabelline, Censi, vol. 1, c. 202. Dall'esame dei cognomi anche per il nostro monastero è emersa la validità dell'osservazione di Gabriella Zarri sùlla forte presenza aristocratica nei monasteri delle clarisse osservanti (cfr. G. ZARRI, Monasteri femminili e città, secoli XV-XVIII, in La Chiesa e il potere politico dà! 11Jedioevo all'età co11te111pora11ea, Storia d'Italia, A1111ali, 9, La Chiesa e il potere politico, a cura di G. CHITTOLINI-G. MICCOLI, Torino 1986, p. 368).
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Anna Tilocca Segreti
Per altri conventi invece il materiale rintracciato, scarso e frammentario, ha reso disomogenei i risultati della ricerca. Non è stato dunque facile organizzare le informazioni e confrontarle con i dati via via emergenti da indagini in corso sugli altri conventi o, addirittura, con dati di pari valore riscontrabili su altre serie di atti dello stesso convento. Per fare un'esempio applicabile a tutti i conventi, che senso avrebbe parlare dei modi dell'alimentazione monastica, una volta sceltà una tipologia di convento, se di quest'ultimo, al di là dei cibi effettivamente consumati, non si indagassero, in via prioritaria, anche l'entità numerica, le spese non alimentari, il rapporto tra entrate ed uscite, i dati sulle elemosine e sulla loro rispettiva natura; nonché sull'attività e regola del convento dalle quali scaturiscono quegli obblighi che consentono di impostare in modo corretto il rapporto tra la povertà di un ordine rispetto all'altro, ma anche la ricchezza, talvolta solo apparente, della classe ecclesiastica, rispetto a quella della popolazione media? Si comprenderà, perciò, come la sceltà del metodo, peraltro non · determinabile a priori, si sia venuta formulando lentamente, sulla base dei .dati progressivamente acquisiti, che talora ribaltavano clamorosamente alcune delle tesi in gestazione. Alcuni esempi si impongono: in mancanza di dati numerici sull' entit~ dei religiosi o delle religiose, occorreva servirsi di fonti supplementari, talora reciprocamente collegate, per esempio la quantità di paia di scarpe (o di calze) e la periodicità degli acquisti; l'uovo di Colombo? Naturalmente no, quando si giungeva a scoprire, come è accaduto, che l'acquisto o la riparazione periodica di un certo numero . di paia di scarpe erano in fondo destinati ai soli frati questuanti che, ap.dando in giro più degli altri, determinavano un maggior consumo di tale genere. Per rilevare inveée il numero delle presenze nel convento femminile, si è 'ricorsi all'attento esame delle uscite, rivelatore dell'uso di regalare ad ogni monaca 9 cagliatesi il venerdì santo ed il giorno dei morti. In mancanza di dati similari, si è fatto ricorso, per i conventi maschili, all'indicazione dei nomi· dei frati nel rapporto tra attività svolta e spesa relativa. Altro criterio utilissimo è parso, in Cl!,si estremi, il quantitativo dei ·pani consumati giornalmente o mensilmente, per quanto influenzato da ricorrenze religiose e civili e, in qualche misura, inficiato dalla presenza nel convento di elementi estranei, quali uomini di fatica, lavandaia, panettiera.
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Va inoltre rilevato,· che, pur essendo numerosi i· registri ed i conventi ove tali dati vengono esposti, l'indicazione del rapporto tra quantità di grano introitato (comprato o raccolto nelle questue, dato in conto debiti, o di proprietà) e pani che se ne sono ricavati, rinvenuta in un registro (Carmelitani, busta 5, registro di Consumo del pane, 1845-1855) ha fortunatamente fornito la chiave per ricavare · notizie analoghe dai registri di tutti quei conventi dove, come dicevamo, tale rapporto, o_ comunque quello tra entrate ed uscite, era invece assente 4• Ciò non esclude. naturalmente, a voler essere obiettivi, che un altro tipo di uscita vi fosse almeno nel caso in cui i religiosi, . non esegu~ndo personalmente certi lavori preminentemente agricoli, · quali ad esempio quelli di coltivazione degli ortaggi, o di macinazione di grano o olive, di semina, raccolto, mietitura, potatura viti, vendemmia o altro, dovevano.invece pagare operai e serve che a tali lavori provvedevano. · . Quanto affermato in merito all'uso del pane, va applicato, per analogia, agli altri settori dell'alime~tazione ove l'eventuale assenza di indicazioni, lungi dal testimoniare mancanza di varietà o talora addirittura clamorose assenze nell'alimentazione ordinaria, va interpretata ricordando solamente che il silenzio delle fonti è talvolta più significativo della loro massiccia presenza e varietà. Circa i consumi alimentari e le loro variazioni nel tempo in stretta relazione con le calamità naturali cicliche dell'isola e le relative 4
Si veda al riguardo quanto lamentato durante una visita ispettiva al convento degli Agostiniani, ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Agostino, b. 2, Libro di introito del grano, 1829-1855, cc. 5 e 12-13: vi si sottolinea l'impossibilità di Òperare alcun tipo di · confronto per la mancata o superficiale annotazione e distinzione, Wi le quantità di grano introitato per motivi diversi ed il ·relativo uso. Cosa che assai palesemente provoca .l'indignazione del padre ·provinciale, cui tuttavia sopravviene un soprassalto di tolleranza, oltreché di buon senso, per essere· il colpevole di tanta ignominia non solo già defunto, ma addirittura creditore verso il convento, motivi per. i quali si reputa doveroso soprassedere e «lasciare in riposo le ceneri del defunto». . Altro;e, quando le discordanze tra le scritture non quadrano, sempre nello stesso. convento, «perché il consumo del pane è troppo vistoso» si trovano delle scusanti, quali il possibile sbaglio di calcolo di chi effettuò le registrazio:gi, il quale viene comunque bonariamente redarguito perché in seguito «invigili come un buon padre di famiglia», ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Agostino, b. 2, Libro di introito del grano, 1829-1855, cc. 5, 12v ss. Il padre visitatore fa notare tantissimi sb~gli di aritmetica .particolarmente nella gestione del grano.
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Anna Tilocca Segreti
L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700 , '800
diversità tra un convento e l'altro, ove riscontrabili, particolarmente quelle tra conventi maschili e femminili, si è dovuto sgombrar~ il campo da alcuni equivoci che potevano indirettamente rappresentare la causa di errori interpretativi. Ad esempio la mancata menzione di alcuni generi può trovare la sua _spiegazione logica non tanto nel mancato consumo degli stessi, come sopra accennato, quanto nella superficialità delle annotazioni di cui danno esemp10 taluni conventi o taluni frati, o nella circostanza che i prodotti consumati, allorché provengono da produzione propria 5 o da attività comunque svolta nel convento 6 - come il ricavato della macinazione di• cereali effettuata nel convento delle Isabelline al quale era annesso un mulino, o come la carne utilizzata in seguito all'uccisione di animali di· proprietà 7, come le uova e i latticini, ma anche il grasso di porco - potrebbero non figurare nel registro spesa giacché, tutto som4 mato, spese nòn sono. · I dati ricavati sono rapportati ad un'area territorialmente abbastanza ristretta, dal momento· che non vi è stata compresa la. città di Sassari. Comparando i dati via via emergenti dalla ricerca sempre più approfondita, questi non contrastavano in misura rilevante· con le antic_ipazioni e gli spunti che già in precedenti occasioni erano emersi 8 : una indagine di qualche anno fa, infatti, aveva consentito di rilevare differenze, tra convento e convento, nei consumi di generi oggi ritenuti entrambi fondamentali nella nostra dieta, come la carne e le uova, differenza peraltro non dovuta, almeno non unicamente, all'insistere di un convento su una zòna piuttosto che su un'altra, né determinata esclusivamente dalla regola dell'ordine; ancora, la
documentazione ci offriva la: possibilità di individuare nette differenze tra i consumi alimentari fissi e quelli consentiti in particolari ricorrenze (non solo festività ·religiose!): di qui 1' esigenza di spingere l'indagine ad individuare le festività annue da rispettare comparando. fra loro le annotazioni figuranti nei registri dei diversi conventi. E quella di valutare con rigorosa attenzione le diversità nelle abitudini alimèntari, rispettivamente degli infermi o degli addetti a particolari lavori. Esamineremo in via preliminare il _consumo del pane, del quale ogni convento presenta analogo tipo di registrazione, più" o meno analitica (quotidiana, settimanale, mensile) relativamente alla quale, tuttavia, il convento dei Mercedari 9 ci pare già più ricco di dettagli: i registri infatti riportano da un lato le quantità di grano introitato, non solo dai salti 10 in affi,!:to, ma anche attraverso le questue nei villaggi viciniori, e, dall'altro, il consumo 11 , attraverso le consegne alla panettiera incaricata di ricavarne il pane e la pasta. Le questue del grano o il raccolto annuo del prodotto, accantonato nei depositi per la provvista, minutamente descritti 1z garantivano un afflusso costante e sicuro, a dispetto delle temute calamità.
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5 ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento delle Isabelline, b. 11, Libro di amministrazione, 1831-1834; ibid., b. 4, Libro di amministrazione, 1702-1708. 6 Ibidem. 7 ASSS, Corporazioni religiose, Convento dei Padri osservanti, b. 2, Libro di amministrazione, 1837-1847, cc. 8v, 9v, 12v e seguenti. 8 Cfr. A. TILOCCA SEGRETI, Brevi note di vita qt1otidiana dei conventi t/ella provincia di S~ssari, in «Rassegna storica del Risorgimento», I (1988), nonché il mio intervento, dal titolo Fonti per la storia di Alghero negli Archivi del Nord Sardegna presentato al Convegno sulla storia di Alghero, tenutosi nel 1985, i cui atti sono in corso di pubblicazione. Gli studi sull'alimentazione di M. MONTANARI, Alimentazione e Ct1ltt1ra nel Medioevo, Bari 1988, hanno &olo in parte modificato i risultati di queste indagini , confermando spesso. le ipotesi ivi formulate. S~ rinvia al capitolo Diete monastiche dell'opera del Montanari.
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L'ordin~ dei Mercedari, che ·aveva, tra i c6mpiti istituzionali, il riscatto dei cnstiaru catturati dagli infedeli (così come quello dei Trinitari), e risalente in Sardegna al primo periodo della conquista aragonese, venne poi confermato da Pietro IV d'Aragona nel 1336. Tale otdine restò dipendente dalla provincia d'Aragona fino al 1750, anno in cui era presente in Sardegna con 7 conventi, tra cui ·quelli di Sassari ed Aighero. In particolare il convento di Alghero denominato «de nostra sefiora de la Merced y Redenciò da catius» fu fondato nel 1654, (come risulta dall'atto rintracciato in ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei mercedari, b. 7, fase. 5, cc. 99 ss.) su parere unanime dei rappresentanti dçi convet:1ti già esistenti nella città, appositamente convocati, consistette inizialmente di 12 unità, ed ebbe sede di fronte alla chiesa di Santa Croce, nella ex abitazione del fu Francesco Rosso, appartenente alla confraternita dell'Orazione e Morte; per l'adattamento di· taie edificio agli scopi istituzionali del convento venne contestualmente redatto apposito atto, ove in dettaglio figurano i lavori architettonici e pittorici da eseguire. · 10 Territorio fuori popolato pertinente a ciascun comune. (G. PILLITO, Dizionario del linguaggio archivistico in Sardegna, Cagliari 1886, p. 63). 11 Nei libri di «esito o descargo del grano». 12 ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Francesco, Minori convenlt1ali, b. 3, Libro dell'introito del grano in magazzino, 1841-1855, cc. 12; ibid., b. -3, Esito del gr;no del magazzino, 1841-1855, cc. 14; ibid., Convento di S. Agostino, b. 2, Lib110 di introito del grano, 1829-1855. • , ·
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L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700 'e '800
Ma anche la presenza di . appositi libri yer la registra·zione delle entrate ed uscite dell'olio e del vino è sinromatica !3 • · · 14 I pani consumati ogni giorno erano due : la regolarità nella razi~ne giornaliera ha consentito di dedurre approssimativamente, ed in mancanza di altri dati, le presenze di frati nel convento dei Carmelitani, ad esempio, ma anche i vari incrementi o decrementi numerici dell'ordine, in rapporto al consumo medio giornaliero, allorché, ovviamente, lo stesso non potesse addebitarsi ad altri fattori già· noti, quali ad esempio le ricorrenti carestie o_ siccità, o meno noti ma talora figuranti nella documentazione, quali la cattiva annata o il pessimo raccolto.
La presenza dei due pani pare pienamente rispondente alla regola benedett~na che, consentendo due pasti al giorno, prevedeva tuttavia alcune giornate di digiuno, generalmente stabilito nel mercoledì venerdì e nelle vigilie delle feste principali. . ' . Quanto alla qu::tlità del pane, è logico pensate che, nei conventi della Sardegna, almeno nell'epoca che ci interessa, esso venisse ricavato esclusivamente dal grano: è possibile ricavare questo dato non solo dalla specifica. destinaz!one dei registri a tale uso, come la terminologia palesemente rivela (esito del grano, introito-descargo del triga, llibre del forment); ma, anche attingendo alla vasta bibliografia esistente o assumendo come quadro di riferimento la legislazione sabauda, molto atten_ta a valorizzare ed incrementare l'agricoltura, come peraltro testimoruano le leggi istitutive dei monti frumentari-nummari. Se tuttavia, c~me ebbe a_ valutare durante un suo viaggio in Sardegna nel 1759 un piemontese ri~asto anonimo 15, «il pane» pur essendo btllo, era di pasta dura e. non «piaceva alla gente civile» cui andava più a genio, forse, il pane di grano tenero, sempre di pane ricavato dal grano doveva trattarsi e non u~to ad alcuna _delle micidiali misture descritte nell'apocalittic~ quadro disegnato da Piero Camporesi 16 per la prima età moderna. Olt~etutto la materia prima, il grano, almeno nelle città maggiori, tra cm Alghero, cui appartiene il maggior numero dei conventi esaminati, e Sassari 17 , non doveva mai mancare 18 compatibilmente, è ovvio,
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13 Non vi è invece un. «libro della carne»; eppure in buona parte dei conventi, essa figura quasi quotidianamente, almeno come uscita di denaro per il relativo acquisto, talora contestuale a quello di pesce, ed oltretutto in giornate in cui la logica e l'etica religiosa vorrebbero che non se ne usasse! Ma di ciò parleremo in seguito. 14 Libro di spesa dell'anno 1825: per sette presenze figurano 14 pani al giorno e sette porzioni di vino. Se si considera che, come risulta dalle annotazioni presenti nei registri esaminati, da un rasiere, corrispondente a circa 170 litri di grano, si ricavavano 364 pani, se ne dedurrà facilmente che ogni pane pesava sui 450 grammi: il rasiere si suddivideva in imbuti e misure (o starelli di Sassari). Il rapporto tra grano e pane che se ne ricava non è però analogamente cakolato: presso il convento dei Carmelitani, infatti (ASSS, Corporazioni rèligiose Alghero, Convento dei cannelitani, b. 5, Registro del consumo del pane, 1845-1855) nel 1 mese di aprile 1850 si dichiara di aver consumato 426 pani che «fa in grano rasieri 2 e misure 3», il che farebbe supporre che questo tipo di pane fosse semplicemente di grandezza maggiore del precedente; presso il convento degli Agostiniani (del quale ci è tuttavia stato impossibile determinare l'entità numerica) essendo stati introitati dodici rasieri· di grano in 8 mesi, se ne dovette consumare evidentemente troppo, al punto da indurre al rimprovero il solito fiscalissimo Frate Provinciale che (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Agostino, b. 2, Libro di esito del grano, 1829-1855) infatti rilevò che se ne consumò una misura, cioè circa 25 litri ogni due giorni, il che significherebbe ~n rasiere ogni 14 giorni, ergo un consumo ipotetico due volte superiore alla disponibilità. · · Quanto· all'uso di una terminologia particolare in Sardegna (che corrispondeva evidentemente ad un modo particolare di misurare i generi), tuttora in uso in alcuni paesi sardi, ricordiamo che l'editto .1 lug. 1844 · aveva disposto e concluso l'unifièazione del sistema metrico decimale, ma la sua applicazione concreta non. dovette essere così immediata come si sperava. La lira sarda, suddivisa in 20 soldi e 12 denari, continuò infatti ad essere usata a lungo pur dopo l'emanazione dell'editto.26 nov. 1842, anche se i nostri registri testimoniano una certa volontà di adattamento nel momento in cui ne rapportano il valore a quello delle altre monete circolanti; soprattutto al re.aie e ai centesimi. Cfr. ASSS, C91porazio11i religiose, Ozieri, Convento dei cappuccini, Libro di entrata è uscita, 1840-1855). Posstamo ricordare che entro i motivi ispiratori dei moti del 1848, viene dagli storici annoverata a'hche la richiesta, specialmente _da parte c;!.ei villaggi, del ritorno all'antico. ·sistema; posto che l'adozione del nuovo fu talment~ affrettata da causare errori, gravi perdite ed iniquit~.
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ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione dell'isola di Sardegna, a cura di F. MANCONI, Cagliari 1985, p. 94. . 16 . P. CAMPORESI, Il pane selvaggio, Bqlogna 19832 • 11 I n quan,t o clt . t'a ~e?1e, . . esse go.devano d el privilegio dell'«ensierro» che garantiva in pe~manenza I approvv1g1on~':1en:o ~la p~r coercitivo, di tale genere, senza alcun rispetto, evidentemente, delle ?ec~ss1ta dei v1llagg1, fattore non unico ma certo determinante, a lunga scadenza, de! grav~ di-;a;10 tra campagna e città e dello spopolamento della prima, particolarm~~te ove s1 consideri _I ~ff~t:~ indotto, di attrazione fatale, se vogliamo, sugli altri prodotti. . Non so~o le autonta civili dovevano obbligatoriamente preoccuparsi della conservazione ed 1mn:iaga~z10~m~nto delle derrate, ma gli stessi religiosi, ad esempio la Compagnia di Gesù, erano mcancatl di procurarsi le scorte alimentari: va ad onor del vero riconosciuto che in tempi di gravi carestie; saranno proprio le scorte dei magazzini ecclesiastici a consentir; la salvezza. di tante _anim~; c?me, nei terribili anni del colera (1850-1854) sarann~ ancora le scorte d1 grano ~s1ste?t1. nei conventi che, assicurando un .organismo più resistente al morbo, per~etterann~ a1 fr~tl di ?perare con zelò e fervore a vantaggio della comunità, al punto di s~cnfica~e essi stessi la vita. Cfr. ASSS, Corporaziolli religiose, Ozieri, Convento dei cappirccini, Libro d1 entrata e uscita, 1840-1855.
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· con le calamità che ad andamento ciclico, hanno afflitto ed affliggono l'isola, andando a colpire, di volta in volta, il terreno, seminato e .non, e il bestiame che vi doveva lavorare 19 • Se· il pane era l'elemento fondamentale 20 della dieta del contadino sardo, mentre i pastori, ma anche la popolazione di m_ontagna in genere potevano ovviamente contare anche su carne. o latticini e frutti di bosco 21, in Sardegna, .eome nel resto dell'Italia, il pane usato nell'alimentazione monastica era certamente quello bianco, in contrapposizione al pane d'orzo, al pane d'albero (di castagne) o. al pane ogliastrino di ghiande e argilla. · Quanto alla carne e al pesce, la privazione della carne costituiva un principio il cui rispetto era obbligatorio per tutti gli ordini monastici; tale genere in particolare veniva escluso con inflessibilità e rigore punitivi rispetto ad altri, succedanei e non.
Senza voler scendere alla elencazione analitica delle motivazioni che, entro i vari ordini, possono aver ispirato. tale rifiuto 22, possiamo senz'altro additare tra le più importanti,· quella relativa alla «mortificazione del corpo» onde favorire «l'elevazione dello spirito verso Dio»; in ogni caso l'esclusione della carne in quanto «ritenuta il cibo più confacente a stimolare la fisicità e la sessualità dell'indivi~ duo» 23 rientrava nel più ampio concetto del «digiuno» che, con maggiore o minore elasticità a seconda degli ordini religiosi 24, resta pur sempre uno dei cardini fondamentali· su cui poggia .la vita dei monastéri .. Se è vero che le eccezioni confermano la regola, vi è quantomeno da rilevare che, a parte quelle determinate da motivazioni accettabili (gli stati di infermità, per la regola di S. Benedetto, lo furono certamente e ne troviamo continua conferma in tutti i registri ed atti esaminati) è però anche vero che l'altra serie di eccezioni, collegate alla necessità (o opportunità o desiderio) di celebrare le feste del calendario liturgico 25, ci è parsa leggermente superiore alla norma, scappatoia . sin troppo evidente per evadere dalle strette maglie di un'alimentazione non solo monotematica, ma, talora, veramente povera. Se infatti alcune feste sono ancÒra oggi diffuse e universalmente celebrate nel mondo cattolico, (come la Pasqua, il Natale, l'Ascensione, la Pentecoste, il Corpus Domini) l'attento esame delle solennità religio~e e civili nei_ vari conventi fa scendere la media mensile 26 delle stesse ad un numero oscillante fra le tre o le quattro a non voler contare le vigilie 21.
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19 Basterà ricordare, tra le più gravi di tali calamità, almeno per il periodo che ci interessa, la grave siccità del 1721, che causò la mc,ria di 200.000 capi di bestiame, la pessima annata del 1728, la carestia del 1775, la tempesta di neve che imperversò nel 1789, anch'essa causa di un'eccezionale moria di animali, specialmente da tiro; anche il vaiolo colpirà, con pari gravità, il bestiame n~l 1860; ancor più gravi danni causarono, e ne è purtroppo .ben vivo il ricordo ne~a memoria popolare, la pestilènza del 1816, le carestie del 1780, del 1812, del 1821, causa _di s~mmoss~ popolari; altrettanto gravi la fame del _1847 e quella del 1867; mentre fra gli,.al~n fl~ge_lli temutissimi dagli agricoltori sardi ricordiamo infine le cavallette, sovente causa dell ttrimediabil~ distruzione del raccolto. Una curiosità da segnalare: tra i mali inesorabili dell'isola il Benveduti . annovera infatti, nel 1746, «l'opprimente presenza di religiosi», cfr. P. BENVEDUTI, Ré/ation historique et géographiq11e d11 Rqya11me de Sardaigne et des principales i/es y adiacentes, Jaite ~ I~ fin de 1: a~né~ mi//e-sept-cent-q11arante-six, in «Nuovo bollettino bibliografico sa~do _e Archivi~ tra_diz10m popolari», XIII (1957), p. 6. Tale opinione era condivisa anche dal v1~gg1a:o~~ ano~mo _10 a!tr~ parte citato (ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., p. 29) che pochi ~nn1 ~m ta~d1, sc_nvera di aver notato «un numero grandissimo, ed ardisco dire intollerabile, di_ frati e di preti». 20 Non per niente letteratura e fonti documentarie seicentesche definivano «los panes» il risultato finale dell'annuo, estenuante lavoro contadino; e più tardi scrittoti dell'Ottocento e del Novecento, insisteranno su tale esclusiva abitudine, fatta sì di «conservatorismo», ma anche frutto di tragica a,ncestrale diffidenza verso le novità tra le quali la patata, la cui adozione soltanto consentirà finalmente di combattere le tradizionali carenze vitaminiche, sconfiggendo la fame. 21 Almeno f10o al momento in cui, venendo a mancare· anche in Sardegna (v. bibliografia già citata) i prodotti della caccia e del bosco, per la progressiva _perdita_ ~egli spazi boschivi (consuetudinariamente dati in uso gratuito o dietro versamento di canom 10 denaro o natura) dovuta non solo e non tanto alla legislazione modificatrice, quanto all'estensione della cerealicoltura, la popolazione dovette ·forzatamente adattarsi all'uso del pane come ali~en~o principale, eliminando in linea di massima, il «com-panatica» (F. CARDINI, Il terzo cavalzere, lil «Storia illustrata», 364 (1988), pp. 76-82).
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M. MONTANARI, Alimentazione ... cit., pp. 64 e seguenti. Ibidem, p. 67. 24 Ma anche delle _varie epoche e delle riforme via via intercorse. 25 Ma anche altre non necessariamente santificabili e purtuttavia celebrate e rispettate nella tradizione popolare, quali la vendemmia, la mietitura, il carnevale; per non parlare poi delle grandi abbuffate, o quantomeno delle razioni doppie, in occasione di visite di alte personalità ecclesiastiche. 26 Valga per tutti il· registro del Convento della Misericordia (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero,_ Convento dei mercedari, b. 3, Libro di spese diarie, 1839-1841, cc. 43, 49 e ss.) . 27 Tale osservazione concorda dunque perfettamente con quanto osservato da Franco Cardini (F. CARDINI, Il Cavaliere '. .. cjt.) e Piero Camporesi che già notavano come la trasgressiva possibilità di riempirsi la pancia, collegata· a giorni di festa, inducesse logicamente a moltiplicare le feste. 23
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.Se gli episodi di sovralimentazione non vanno confusi, come. sopra dicevamo, con una sovralimentazione quotidiana, (quella collegata · con le varie ipotesi di infermità) essi non possono neanche confondersi con quella legata al tipo di attività svolta: laddove pertanto i monaci svolgevano lavori particolarmente fa~icosi, quali l'andar in giro per questue, o lo zappare in vigna, appare, allora sì, perfettamente giustificabile il ricorso ad un'alimentazione più energetica secondo i canoni, già all'epoca ben noti, della necessità di recuperare le calorie consumate. Ecco allora riemergere con frequenza, accanto all'uso di doppie razioni, il consumo di carne, talora preferito ad altri generi (per quanto, a voler essere obiettivi, ci abbia non poco sorpreso il recupero di calorie, particolarmente presso conventi la cui attività lavorativa sembrava,· alla luce della documentazione esistente, quasi nulla, considerato il massiccio ricorso a lavoratori estranei al convento). Inoltre molta della carne consumata proviene dalle questue, o dall'uccisione di a,nimali di proprietà, entro i quali vanno annoverati agnelli, montoni, capretti 28 , maiali 29 , rarissimamente il cinghiale 30 senza disdegnare il vitello e, per quanto più raramente, il P<?llame. Senza dimenticare la possibilità che la provenienza di animali destinati al macello, fosse talora strettamente connessa al pagamento «in natura» di debiti verso il Convento 31 , va annotato che questa ed altre entrate erano sovente costituite da doni spontanei effettuati in tjccasione di festività o a puro titolo di d~vozione personale (elemosine). Giova rilevare anche che se il rapporto tra entrate ed uscite, non sempre analitico ed esatto, ha tuttavia consentito, in linea di massima,
28 Nel convento dei Minori conventuali sì fa particolare ricorso a tale tipo dì animale dì proprietà, raro invece presso altri conventi. 29 Da cui ricavare il preziosissimo lardo dì provvista. 3 Cfr. ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei Padri osservanti, b. 2, Registro spese, 1837-1847. 31 Le entrate in natura costituivano un'ampia risorsa alimentare per tutti i conventi: da ricordare infatti che, se gli enti religiosi sono da sempre noti ìn quanto prestatori dì denaro, l'estinzione dei debiti poteva avvenire secondo le dìsponìbìlìtà dì chi aveva chiesto il prestito, il quale sì trovava talora nella necessità di estinguerlo solamente attrayerso la restituzione, in mancanza dì denaro liquido, dì olio, grano, vino, carne.
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di formulare attendibili ipotesi sui consumi del genere di cui ci stiamo occupando, è però vero che la mancanza di annotazioni di spesa per la carne 32 può talora discendere unicamente dalla circostanza che, giacché non si verificava uscita di denaro (da parificare con le entrate, che, come ben sappiamo, erano controllate con pignole~ca severità durante le prescritte periodiche visite) poteva non ricorrere in assoluto la necessità delle relative annotazioni e quindi tale voce potrebbe venire a mancare completamente nei registri, unicamente per. tale motivo. Ogni ipotesi andava quindi formulata (e assunta) con estrema cautela; se il bestiame grosso veniva ovviamente utilizzato per i lavori agricoli come l'aratura, la mietitura, il trasporto, le operazioni di trasformazione del latte per il consumo interno del convento o anche per la vendita, questi animali dopo l'uccisione venivano utilizzati e sfruttati al tnassi~ mo, riéavandosene non solo carne per il consumo immediato ma anche carne di provvista, magari salata, o prosciutto, lardo, salsiccia, mentre la pelle veniva spesso destinata alla vendita. In alternativa, o accanto, alla carne, viene sovente menzionato il pesce che, almeno nei conventi della città di Alghero, non doveva certamente tnancare 33. 1 Né può credersi che si facesse uso solatnente di pesci modestissimi quali il baccalà o le anguille, o i tnuggini o le trote o il solo pesce di stagno, perché, al contrario 34, i pagelli, pesce prelibato tutt'oggi, tna anche le aragoste, ricorrono con frequenza nel menù in fondo non tanto insolito; né, ancora una volta, ci pare determinante la circostanza che lo stesso non venga annoverato entro l'alimentazione ordinaria laddove, per esempio, il convento dei Carmelitani registra l'uscita di denaro per l'acquisto di una «pesciera». La più straordinaria varietà di pesci l'abbiamo" riscontrata nel convento dei Mercedari 35 ove il consutno di pesce è parso addirittura
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Lo stesso tipo dì. deduzione varrà per pane, vino, olio, latte, come inizialmente annun-
ciato. 33 ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei .Padri osservanti, b. 2, Registro spese, 1837-1847, 27 lug. 1838; v. note Mercedarì. 34 Per quanto se ne riscontri un uso soprendentemente. frequente anche nel Convento dei Cappuccini dì Ozieri (ibid., Ozieri, Convento dei cappuccini, Libro dì amministrazione, 1840-1855). 35 Cfr. intervento in Atti del Convegnò sul/a città di Alghero . .. citato.
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superiore a quello della carne, ma non è da meno il convento- dei Minori conventuali 36 , le cui annotazioni hann~ consentito di ricavare anche il consumo medio giornaliero di carne per frate, ammontante a libbre 1,5. Tra i generi ricorrenti nell'alimentazione ordinaria, almeno altri due necessitano dì particolare considerazione: intendiamo riferirci all'olio e al vino. Che essi facessero parte delle abitudini alimentari di certi conventi, è indiscutibile, tanto è vero che libri appositi ne registravanò rispettivamente entrate ed uscite 37 • Trattandosi poi di prodotti tipici della terra, è ànche possibile che, in mancanza dei detti registri, il consumo non fosse necessariamente limitato, nel momento in cui, per esempiQ, non riscontriamo alcuna scritturazione specifica. Ove i frati infatti· non spendevano, e dunque non registravano uscite, avevano ·probabilmente i magazzini già pieni del prodotto, proveniente dalle proprie terre 3s: utili ed interessanti al riguardo, le informazioni che emergono dall'analisi delle voci compilate in occasione delle operazioni di vendemmia o di raccolta delle olive. Da esse si apprendono infatti l'estensione delle proprietà amministrate e le entità dei relativi raccolti 39 • Una volta accantonati nei depositi o magazzini, l'olio ed il vino venivano utilizzati con estrema regolarità: il primo, sia per la cucina che per l'illuminazione, senza distinzione di qualità (almeno non abbiamo rilevato differenze), il secondo per le messe 40 ma anche, tranquillamente, per i pasti.
Quando l'olio di provvista veniva a mancare, si provvedeva al suo acquisto, . anche_ questa volta senza risparmio 41 • Se il convento dei Conventuali ne segnala un uso massiccio per il ricorso frequente alle frittme, altri conventi usano il lardo al posto dell'olio, almeno per certi cibi, mentre il convento degli Osservanti ·utilizza talora l'olio· di lentischio 42 • Quanto al vino, se i Mercedari ne fanno un uso regoÌare 43 scarican,. clone circa 340/350 pinte al mese 44, è anche vero che esso non manca presso gli altri conventi, con· provenienza non solo dalle questue 45 , come dicevamo in altra parte, ma anche dalle proprie vigne. Ancora i Mercedari rendono conto di vari accidenti che possono capitare quando il vino di provvista è troppo 46. La razione quotidiana verrà poi raddoppiata, e chiamata talora straordinaria, non solo_ in occasione di vendemmie ed operazioni agricole particolarmente faticose, a beneficio dei lavoratori interni ed esterni al convent~, ma anche ovviamente, nelle festività. Per le be-
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Per quanto anche il convento della Misericordia (altrove definito degli Osservanti, l'ala rigida dei Francescani) ne segnali una gran varietà. 37 ASSS, Corpqrazioni religiose, Alghero, Convento dei nJercedari; ibid., Convento di S. Francesco, Minori conventuali. 38 O delle questue, o dalle elemosine, o da pagamenti in natura, come già spiegato altrove. 39 Mentre sarebbe ancora interessànte l'indagine sui salari, variabili non solo in proporzione alla faticosità dd lavori (la cui terminologia già è essa pure, a mi~ avviso; estremamente coinvolgente) ma anche, di sesso ed età di chi li eseguiva con paghe notoriamente più basse .di quelle spettanti alla classe maschile adulta. 40 Per quanto di quest'ultimo si sappia con più certezza che proveniva dalle questue.
41 Tanto ciò è vero che il convento degli Agostiniani nel mese di maggio deffanno. 1854 lo acquista per ben 8 volte, spendendo due lire globali, cioè mezza lira in più dello stipendio mensile della lavandaia e del barbiere. Cfr. ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Agostino, reg. 4 H. 42 La pianta del ientisco è molto comune in Sardegna: jl relativ~ olio, estratto dalle bacche, . veniva comunemente usato non solo per l'illuminazione, ma anche in cucina, per friggere il pesce e le frittelle, dopo essere stato· opportunamente trattato per eliminare una certa acredine. (F. CHERCm PABA, Evoluzione storica dell'attività industriale agricola caccia e pesca in Sardegna, III, Cagliari 1977, p. 353). 43 Una porzione al cli ( come è stato possibile rilevare per la precisione delle scritturazioni),. ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei mercedari, b. 2 Libro del vino, 30 aprile 1837. 44 La pinta (o mezzetta) corrispondeva generalmente a I. 1,5 (in Gallura invece a I. 2); nei nostri registri vi è un'ulteriore suddivisione in cavalli di cui, per quanto ottimamente specificata in essi, non ho trovato riscontro nella bibliografia consultata. Esempio: nel libro del vino il 31 marzo 1826 si annota, fra l'altro che «calcolati questi cavalli a pinte centoquindici per cavallo (talvolta il rapporto scende a centodieci) il totale ammonta a pinte». Cfr. ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei mercedari, b. 2, Libro del vino, 1825-1851. 45 ASSS, Corporazioni religiose, Ozieri, Convento dei cappuccini, Libro di amministrazione, 1840-1855; a fra' Paolo si offre un menù diverso per la «questua del mosto». 46 Caso in cui occorrerà gettarlo «per essere diventato aceto» mentre se è ancora buono si venderà; invece se finisce «se ne fa a meno» per quanto lasci perplessi la circostanza che, se non può esser servito a tavola, se ne dà il corrispettivo.in soldi (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento dei ?"ercedari, b. 2, Libro del vino, agosto 1829).
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L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700. e '800
vande di gradazione più elevata del vino, in particolare per l' aéqua:vite, gioverà ricordare che il suo consumo viene giustificato dalla necessità di frizioni agli ammalati. Per restare nel campo delle bevande, qualche considerazione su caffè e latte. Il primo, ovvìamente unito allo zucchero, viene consumato quasi esclusivamente nelle feste, durante le visite di alte personalità o, allorché, in pccasione di mietitura e vendemmia, i frati ne fanno largo uso anche nei confronti della folla massicciamente affluita. Circa il consumo del latte si può solo osservare che esso è raramente menzionato (tranne che nel caso di malattie) 47 • Si può forse avanzare l'ipotesi che, essendo quasi tutti i conventi proprietari di bestiame da cui ricavare il latte (il c~i uso è abbondantemente testimoniato nei prodotti di trasformazione, formaggio e ricotta) tale alimento potrebbe non essere menzionato nelle uscite in quanto non comportava una us~ita in denaro 48 • Nell'alimentazione ordinaria non potevano mancare uova, pasta, (minestra, maccheroni e riso, ma più spesso solo vagamente indicata) pietanze o contorni, spezie, antipasti, dolci, frutta (fresca e secca) 49 • Di quest'ultimo alimento si può rilevare che si effettuava scarso consumo; ricorrenti le arance, i meloni, le angurie, le ciliegie, anche fuori stagione. Giacché i frati generalmente abbondavano nella descrizione di pietanze o contorni, è stato abbastanza facile riscontrare un largo attingere ai legumi ed ai prodotti dell'orto, anche in questo caso freschi o secchi (c:on l'abbastanza ovvia e quasi totale esclusione delle patate 50, il cui uso in Sardegna si affermò molto più tardi che nel resto d'Italia).
Troviamo così usati, in rigido collegament·o con gli andamenti stagionali 51, carciofi, spinaci, pomodori, piselli, cavoli, fave, fagioli 52 , ceci, lenticchie, zucchine, melanzane e fmocchi. I legumi .secchi vengono abbondantemente utilizzati, come denota la presenza, nei depositi, di scorte difficilmente esauribili, anche per l'ampio contributo dei villaggi _in occasione delle questue. I prodotti dell'orto sembrerebbero in fondo i soli (o quasi) a testimoniare una qualche attività 53 manuale dei frati in genere, giacché difficilmente vengono annotate :uscite per eventuali estranei che lavorano al convento 54·. Se, attraverso l'attento esame della doèurrtentazione di tutti i conventi, abbiamo potuto osservare come la trasgressività ·alle regole del digiuno fosse in qualche modo connessa alla solennizzazione di ricorrenze e festività religiose, i risultati emersi dalla lettura del Libro di spese giornaliere compilato dai frati Minori conventuali di Alghero negli anni 1853-1855 55 non hanno invece consentito di effettuare alcun analogo collegamento almeno in due giornate a nostro avviso del tutto «ordinarie» che, pur capitando di domenica, non ci pare ugualmente possano giustificare gli eccessi riscontrati. Né potevamo oltretutto ritenere di provvista l'acquisto di taluni · generi che, come si vedrà, erano invece da ritenersi destinati al consumo immediato. Nella giornata del 25 luglio 1854, per la quale appare come unico possibile pretesto (oltretutto non documentato con chiarezza) la visita di «Mortsignore», dato che nelle giornate immediatamente precedenti e successive non si sono riscqntrati · riferimenti ed attività agricole da festeggiare, gli undici frati del convento si cibarono, fra l'altro, di carne, lessa e col sugo, maccheroni con salsa, un fritto di fegato
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Infatti se nel convento delle Isabelline tale aliminto energetico e disintossicante viene regolarmente fornito alle religiqse inferme, alle quali soltanto si dannoJ al contempo, le uova, tutti gli altri conventi esaminati lo nominano raramente e comunque in abbinamento al caffè, durante le predette occasioni. · 48 Sarebbe facile tuttavia smontare tale ipotesi, dal momento che invece non viene eseguito lo stesso tipo di deduzione per grano, ·olio, vino, di pari p~ovenienza. 49 Vi è un larghissimo uso di uve passe, anche di questua e di provvista, essendo le stes se tuttora molto usate in Sardegna, p_er l'alto potere energetico, nell'alimentazione contadina. 5 Che troviamo menzionate con regolarità solo presso i Conventuali. 0
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51 Quante ~teressanti considerazioni sulla 'inclemenza del tempo, siccità, alluvioni, scarsezza di granaglie e altri viveri, potrebbero trarsi da un'oculata attenta indagine su tali uscite!. 52 «Cara e manza» (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Francesco, Minori conventualt): la traduzione letteraie è «viso di suora». 53 Si aggiungano tuttavia le faticose attività connesse alla tenuta di una vigna, ampiamente documentate nelle annotazioni di spesa degli. Agostiniani, cfr. ASSS, Corporazioni religio/e, Alghero, Convento di S. Agostino, b. 2, Libro di spesa, 1853-1856. 54 Riscontrate invèce di frequente presso i Conventuali che si facevano aiutare da ragazzi. 55 ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento di S. Francesco, Minori conventuali, b. 3, . Libro di spese giornaliere, 1853-1855.
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L'alimentazione monastica nel territorio sassarese tra '700 ,e '800
Anna Tilocca Segreti
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destinavano con preferenza alle inferme; così i Mercedari) talvolta manca del tutto, a meno che ne venga contenuto l'uso, ancora una volta, alle sole festività (Osservanti: tuttavia nel convento di Padria 58 se ne nota un larghissimo uso). Circa i dolci, troviamo comè una delle trasgressioni 59 alimentari più gioiosamente diffuse ed unanimamente accettate, in ogni ordine, la preparazione delle frittelle lungo il periodo, non proprio ristretto, del Carnevale. Di altri dolci, (creme o torte o zucchero) si è detto altrove; se non ci pare straordinario l'uso unanime dei torroni a Natale, siamo stati invece colpiti dall'uso, non così raro da potersi ritenere uno sfizio casuale, della cioccolata e dei confetti. È ben vero che tali prodotti hanno una collocazione che li circoscrive alle consuete occasioni festose, ma abbiamo già precisato in che modo tali occasioni si moltiplichino. Così ancora, per quanto non possa annoverarsi del tutto tra gli extra, il tabacco 60, stante la frequenza con cui viene annotata la spesa, appare un genere di necessità primaria, almeno per i frati che svolgevano attività pesanti o particolarmente stancanti. Esso. infatti viene regolarmente fornito a chi, dovendo partire per le questue, si preparava ad affrontare lunghi faticosi viaggi, la cui stanchezza, forse, il tabacco era destinato a lenire.
e cervella, un timballo di riso, e uno di polenta, quattro gallìne ripi~ne, zucche ripiene, una frittata d'erbe, due porcetti, un piatto di frittelle, una crema, una torta, un «gattò» (gateau), ciambelle, pesce, col s~go, arrosto, ciliegie, caffè, confetti 56 • Va inoltre precisato che tutti questi cibi non erano da condividere con invitati in quanto, in tal caso, il riferimento non sarebbe certamente mancato. Non. dissimile la varietà e quantità «introitata» la domenica del 9 ottobre 1853, il cui menù annovera fra l'altro melanzane ripiene (al posto delle zucchine), triglie, una torta di conserva e una di patate ed un solo porcetto. In casi simili, oltretutto, ci si sarebbe potuti aspettare «il salto» della cena, cosa che ai nostri frati non passò neanche per la testa, se la sera delle stesse giornate mangiarono tranquillamente della carne. Non irrilevante il ricorso a spezie (o droghe) quali lo zafferano, la cannella ed odori vari, tra cui la menta ci pare, per i Conventuali, più necessaria del pane. Se poi gli antipasti vengono solitamente riservati a giornate speciali, è anc~e vero che non ne conosciamo le qualità; né potremmo non apprezzare, a riscontro della monotonia o vaghezza della generalità delle indicazioni di alcuni conventi, la fantasia culinaria dei frati dell'ordine degli Osservanti 57 che può stare alla pari solo con quella - dei frati Minori conventuali, gli unici che parlino di fritto di fegato e «cervella» o di frittate e torte di «patate» o conserva ò spinaci o ancora di melanzane e zucchine ripiene. Se per le frittate e lè torte sembra pacifico l'uso delle uova, tale importante risorsa, talora presente in misura cospicua presso qualche convento (ad esempio le Is;belline,. pur facendone un ampio uso, lo
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Senza riportare le quantità rispettive, veramente notevoli, è utile paragonare il globale importo in denaro, ivi riportato, ai salari medi (mensili o giornalieri) spettanti non tanto alle classi più povere, ma anche, ad esempio, ad un medico, il cui salario era di L. 25 (ASSS, Corporazioni religiose, Alghero, Convento delle Isabelline; ibid., Ozieri, Convento dei cappuccini, pp. 44v e 56v.). 57 ASSS, Co1porazioni religiose, Alghero, Convento dei Padri osservanti, b. 3, Libro di· spesa 1804-1808. Degli Osservanti possediamo documentazione anche per il paese di Paclria; trattasi in. verità di un solo registro, per di più privo di• denominazione, ma l'unico convento di cui abbiamo trovato traccia, nella nostra ricerca bibliografica, con sede in tal hiogo, è appunto quello degli Osservanti.. · '
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·AsSS, Corporazioni religiose, Padria, Libro di amministrazione, 1851-1855, cc. 32, 32v e 33. Tra le altre forme di trasgressività, ricordiamo i festeggiamenti per S. Antonio. e S. Giovanni, oltre che per il Santo patrono, culminati in esplosioni di fuochi artificiali preparati in convento. . 60 G. KIERNAN, Storid del tabacco, Padova 1993, pp. 61 e 129-230. . 58 · 59
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XV'lII-XIX)
MARINA V ALDÈS
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari fra '700 e '800
1. Introduzione. I percorsi della ricerca. - La ricerca sull'alimentazione delle famiglie aristocratiche cagliaritane è stata effettuata sugli archivi ·privati Amat di San Filippo e Aymerich, due fra le casate feudali più cospicue della Sardegna. Entrambi gli archivi sono conservati a Cagliari e si sono rivelati in più occasioni una fonte inesauribile di documentazione per quanto attiene sia all'istituto feudale, sia alla vita privata dei feudatari stessi dal Quattrocento all'Ottocento 1 • 1 L'archivio privato Amat di San Filippo è stato dichiarato di notevole interesse storico 1'11 dicembre 1978. È conservato a Cagliari presso l'abitazione del proprirtario ed è consultabile ai sensi dell'art. 38, lett. b) del d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409. Nelle citazioni che seguono il numero contraddistingue il singolo documento. Resta da darne alle stampe l'inventario, curato, oltre che da me, dal compianto marchese di San Filippo, avv. Vincenzo Amat, ispettore archivistico onorario, deceduto il 4 agosto 1987, a. cui va un commosso e· affettuoso ricordo. Di Vincenzo Amat sono debitrice per le notizie tratte dalle dettagliate genealogie da lui compilate, ricostruite con pazienti ricerchç e finissimo intuito archivistico. Una breve descrizione dell'archivio e del suo ordinamento in: V. AMAT, Notizie sull'archivio Amai di San Filippo; in «Bollettino bibliografico della Sardegna», 1985, 4, pp. 103-107. Quanto · all'impostazione dell'ordinamento dell' archivio, effettuato nella prima metà dell'Ottocento dal marchese di San Filippo Vincenzo Anastasio Amat Amat v. M. VALDÈS, Ordinamenti ottocenteschi negli archivi je11dali sardi: gli archivi An1at di San Filippo e Amai di Villarios, in Atti del convegno internazionale «Il futuro della memoria», in corso di pubblicazione. L'archivio Aymerich è stato acquisito in modi e tempi diversi dallo Stato e dal Comune di Cagliari. Presso l'Archivio di Stato di Cagliari sono conservate 1.256 unità cartacee dal 1405 al 1723 e 157 pergamene dei secc. XIV-XVI, acquisite attraverso .i). real patrimonio: cfr. Inventario (dattiloscritto) a cura di A. ARGIOLAS e CARLA FERRANTE (direzione di Gabriella Olla Repetto); Indù;e manoscritto delle pergamene, a cura dell'archivista P. Panizza; Archivio di Stato di Cagliari, a cura di G. OLLA REPETTO, •in MINISTERO BENI CULTURALI E AMBIENTALI; UFFICIO CENTRALE BENI ARCHIVISTICI, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, I, Roìna 1981, p. 762. Alcuni
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Pur con i necessari riferimenti all'Ottocento, la cui copiosa documentazione chiarisce non pochi aspetti della cultura e delle abitudini · gastronomiche dei ceti aristocratici anche del secolo precedente, l'indagine ha privilegiato l'ultimo decennio del '700 che, seppure più lacunoso, si è rivelato maggiormente capace di svelare i molteplici aspetti del rito conviviale. L'archivio Amat, in particolare, riflette una vita di relazi.one, quella del barone di Sorso, attiva, talvolta vivace, e una vita privata adeguata alla mancanza di pre~ccupazioni di tipo economico. Ciò è riscontrabile fintanto che lo permette la stabilità politica e sociale posta a garanzia dell'istitutq feudale. A più forti tinte si evidenziano perciò i contrasti nel momento in cui le mutate condizioni politiche si riflettono sul vivere quotidiano del foudatario. Negli anni 1795-1796 le rivolte dei vassalli nel Sassarese e le mancate esazioni dei tributi feudali 2 comportano per il barone di Sorso una revisione globale del proprio tenore di vita, che contrasta fortemente, e pertanto ne risulta maggiormente evidenziato, col passato. L'archivio Aymerich riflette la condizione del tutto particolare del marchese di Laconi che, co_me si dirà più oltre, si dibatte nella stretta di difficoltà economiche non facilmente rimediabili. La documentazione
documenti dell'archivio Aymerich fanno parte poi della collezione del museo del Risorgimento conservata presso lo stesso Archivio di Stato. La parte più consistente dell'archivio Aymerich fu acquisita negli anni Trenta dal Comune di' Cagliari ed è conservata presso l'Archivio storico comunale. Il fondo, costituito da 318 buste di documenti degli anni 1305-1890, è privo di inventario, ma ne. è stata effettuata la schedatura a cura della Sovrintendenza archivistica per la Sardegna. La catena numerica cui si fa riferimento è provvisoria ~d ~ndi:a ~a bus.ta, ~ fascicolo e il documento singolo. Ringrazio la collega Ester Gessa per le mdicaz10m formtemt all'inizio della ricerca. Una breve descrizione del fondo in A. PALOMBA, L'archivio storico del co~111me di Cagliari, in «Bollettino bibliografico della Sardegna», 1984, 1-2, p. 29. 2 Sulla situazione politica della Sardegna nell'ultimo decennio del '700 esiste una.vastissima letteratura. Un panorama ampio ed una esauriente bibliografia sono in C. SOLE, La Sardegna sabàuda nel Settecento, Storia della Sardegna antica e 1noderna, VIII, Sassari 1984, pp. 175-263 e PP· 376-382 (bibliografia).· Sui moti antifeudali un minuzioso resoconto è in S. POLA, J ,noti delle cat!lpagne di Sardegna daÌ 1793 al 1802, Sassari 1923, I, pp. 57 e seguenti. Vedi ànche i p~ù · recenti J. DAY; Profilo econo111icò dei focolai di ribellione antifeudale in Sardegna nel 1793-179~, tn La Sardegna e la Rivoluzione francese, Atti del convegno<< G.M. Angiqy e i suoi tempi», a cura dt M. PÌNNA, Sassari 1990, pp. 23-34 e G. DoNEDDU, Società rnrale e rivolta nelle campagne, ibid., pp. 43-58 (in particolare, sul feudo di Romangia, pp. 52-53).
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Marina Valdès
mostra una costante vigilanza sulle spese di casa, fatti salvi i corisumi imprescindibili per una casa aristocratica. La contemporaneità della documentaziòne dei due archivi stimola il confronto fra le due famiglie ed offre un quadro articolato della vita dei feudatari cagliaritani, seppur letta dalla prospettiva, tutta particolare, dei consumi alimentari e, pur in contesti differenziati, permette di rilevare sorprendenti analogie. Le vicende personali dei protagonisti, cui si dedica un paragrafo per essere strettamente correlate all'indagine, pur sviluppandosi su piani paralleli, mostrano infatti una larga corrispondenza di esperienze, di aspirazioni, di abitudini maturate in un ambiente ristretto com'è quello che raccoglie l'aristocrazia feU:dale cagliaritana e che non comprende, alla fine dèl. Settecento, che una decina di casate. I dati riferiti, quindi, non potranno essere estesi a tutta. la nobiltà cagliaritana, ma esclusivamente alle famiglie appartenenti a questa casta chiusa che, conservata e aggregata dall'istituzione feudale, vivrà il suo periodo di massimo splendore con il trasferimento della corte sabauda a Cagliari (1799-1815). Questo avvenimento suggellerà non solo la restaurazione avvenuta in Sardegna dopo i moti antipiemontesi, ma anche il patto di solidarietà con quella aristocrazia feudale che, legata profondamente per la sua origine alla Corona di Spagna, ha dov;uto, nel corso del '700, adattarsi all'estranea dominazione sabauda. Tale progressivo adattamento lo si rileva facilmente negli aspetti culturali, ben evidenziati nei nostri documenti.· Terreno di scontro fra la secolare e radicata cultura spagnola e l'emergente cultura di importazione, la. feudalità cagliaritana fn;quenta la corte a Torino e il viceré piemontese a Cagliari, ma nello stesso tempo parla in sardo e scrive in spagnolò, benché sappia usare perfettamente l'italiano. Tradizione e novità convivono nell'abbigliamento e nelle acconciature, soprattutto femminili, così come nei libri di lettura. Nello stesso modo non si disdegnano aperture «forestiere» anche in un campo così conservativo come . la cucina casalinga che, , pur restando alla sua base di tradizione iberica, risente già gli influssi della cucina piemontese e francese, che si manifesteranno con maggiore vigore nel secolo che sta per iniziare. · Così il barone di Sorso ha un cuoco raffinato di cui il nome, Amedeo Motta, denuncia l'origine continentale e possiede nella sua
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
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biblioteca il volume Il cuoco piemontese 3 ; il marchese di Laconi si accontenta di un cuoco locale, ma nella sua biblioteca figurano i testi sacri della gastronomia spagnola e franco-piemontese: Le nouveau cuisinier rqyal (Paris, 1734, voll. 3); Cuisinier bourgeois; Cuoco piemontese (Lausanne); Cuisinier gascon (Amsterdam, 1740); Il cuoco francese (Lion, 1746);. Le cuisinier impériàl; Il confetturiere piemontese (Milano); Lo scalco alla moderna (Napoli); Arte de cocina (Barcelona) .. A~quistati nel 1777 a Torino i primi quattro testi 4, l'elenco mostra chiaramente come l'aristocrazia cagliaritana si sia dotata con largo anticipo sugli effettivi bisogni, indotti dalla frequentazione della corte, degli strumenti necessari a mediare fra la propria cucina tradizionale ed i nuovi stimolanti apporti.
I protagonisti. _:._ I protagonisti di questa ricerca sono principalmente quelli citati: il barone di Sorso Giuseppe Amat Malliano e sua moglie, la marchesa di Soleminis Speranza Vico Zapata, ed il marchese di· Laconi Ignazio Aymerich Brancifort. Giuseppe Amat Malliano, in casa Pepi, nasce a Cagliari il 26 novembre 1741. È signore di Romangia (che comprende le ville di Sorso. e Sennori) e signore di Olmeda, ma comunemente usa l'appellativo di «barone di Sorso». Ha numerosi fratelli e sorelle: secondo la consuetudine, tre sorelle sono monache, mentre i fratelli Luigi, Carlino e Giovanni non sono sposati e seguono la carriera militare. Luigi e Giovanni risiedono in Piemonte e saranno successivamente insigniti del collare dell'Annunzia
3 ARCHIVIO AMAT DI SAN FILIPPO (d'ora in poi AMAT), Jnveiltari, n. 44, voce n. 587: si tratta dell'inventario dei beni lasciati nel 1807 dal barone di Sorso Giuseppe Amat Malliano, . redatto nel 1809 dal notaio Giuseppe Isola a perfezionamento di un precedente inventario . del 1807. 4 · ARCHIVIO COMUNALE DI CAGLIARI, Archivio Aymerich (d'ora in poi AYMERICH), b. 28, I, 302: elenco· redatto dai librai torinesi fratelli Reycenes il 10 nov. 1877, cui segue l'obbligazione del marchese di. Laconi del 30 lug. 1779 a pagare i libri entro il gennaio 1780 per un totale di 311 lire e 5 soldi di Piemonte. Gli ultimi 5 titoli compaiono invece nell'estimo, fatto dal libraio cagliaritano Pancheville il 22.10.1829, della biblioteca di Ignazio Aymerich Zatrillas (morto nel 1827), ~ertamente appartenuta al padre. Vi sono allegati diversi elenche preparatori, alcuni contenenti la data e il 1{iogo di edizione, dati riportati nel testo fra parentesi: ÀYMERICH, b. 220.
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Marina Valdès
ta 5. Carlino vive invece a Cagliari e fa vita comune con la famiglia. del fratello maggiore 6• Il barone di Sorso è sposato dal 24 febbraio 1770, con Speranza Vico Zapata, marchesa di Sol~minis ~· sign~ra del diritto « dell~ porta del Castello», o «della carra», d1 Sassari 7 ; ab1ta~o nel c_ast~llo -~1 Cagliari, nella «casa Sorso» e dal matrimonio sono nati tre figli, d1 cu11l primo, Pietro, è morto nel gennaio 1789. La secondo~~nita Eusebi~ (Bebia), nata il 3 luglio 1772, ha sposato, appena d1c1asettenne, il marchese di San Filippo e marchese d' Albis Giovanni Amat Manca, da cui ha, dal 1790 al 1796, cinque figli: Vincenzo Anastasio, Giuseppe, Maddalena, Francesco e Luigi; nel 1799 sarà nominata da Carlo Emanuele IV dama di palazzo della duchessa del Chiablese Maria Anna Carlotta 8 ; ammalatasi gravemente morirà a Napoli appena trentaseienne. La terzogenita del barone di Sorso, Teresa, è nata il 15 settembre 1775, sposerà nel 1798 il marchese di Trivigno Pasqua Pietro Vivaldi. Zatrillas e sarà dama di corte della regina 9 • Le entrate del barone di Sorso e di sua moglie sono costituite dai diritti feudali e dalle rendite dei beni privati. I feudi e le proprietà del barone di Sorso e della consorte si trovano per la maggior parte nel Sassarese ed a Sassari infatti vi è un· amministratore - che dal giugno
5 Copiosa nell'archivio Amat la documentazione sulla carriera milit~re e le on~rificen'ze ottenute da Giovanni Amat, che fu generale d'armata e Grande di Corona, ricevendo successivamente il titolo di marchese di S. Maurizio. Nel 1812 sposò la sua pronipote Maddalena Amat e morì nel 1833. AMAT, Titoli privilegiati e patenti (d'ora in poi) Titoli, nn. 99-115. Un bel ritratto ed il collare dalla Ss. Annunziata di Giovanni Amat sono stati esposti nella mostra Cagliari. Società cultura e costume nell'Ottocento, Cagliari, 15 luglio-16 novembre 1988 di cui si attende il catalogo. · · 6 quanto si deduce dalle numerose spese sostenute per lui dal barone di •~orso, ~uali _s,i ricavano dal registro n. 26 della serie AmtJJinistrazione dell'archivio Amat, che s1 descrive pm oltre particolareggiatamente. 7 Si tratta di diritti di esazione dei dazi sulle merci in entrata nella città di . Sassari. La «carra» è la porta carraia della città, detta. poi «porta Castello». Il diritto su questa porta, istituito .nel secolo XVI, fu acquistato da Francesco Angelo Vico, reggente nel supre~o consiglio d'Aragona, nel 1642, e da questi donato a suo nipote Francesco Vico insieme al feudo di Soleminis, eretto in 1I1archesato nel 1651: AMAT, Titoli, ·n. 32 e Donazioni, n. 27. 8 AMAT, Titoli, n. 117. · .. 9 AMAT, Capitoli matrimoniali, n. 19 e· Doti, n. 16. È citata, come marchesa Pasqua, da FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione della Sardegna (1812), a cura di G. BARDANZELLU, Roma 1934, p. 4, e in C. SOLE, Le <<carte Lavagna» e l'esilio di casa Savoia in :Sardegna, Milano 1970, pp. 210-211 (partecipazione della marchesa Pasqua all'Accademia Filarmonica). .
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L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
1969
1789 è il cappellano del barone, il reverendo Giovanni Battista Camilla - che provvede alle rimesse in denaro attraverso la Tesoreria generale o per mezzo di corrieri 10• I diritti feudali di' Soleminis e di Olrriedo sono pagati direttamente, rispettivamente, dal maggiore e dall'ufficiale delle ville 11 • Ulteriori entrate sono costituite dalla vendita dei prodotti delle proprietà private e, principalmente, degli oliveti che il barone possiede in ·sorso, che amministra per mezzo del suo ~egretario Giuseppe Maria Aquenza 12 • Dal 1787 il barone è gentiluomo di camera del re (e gli compete lo stipendio di 600 lire annue) 13, ma ciò gli comporta l'obbligo del servizio di corte. Parte infatti per Torino nell'agosto 1792 per tornare a Cagliari nell'agosto dell'anno successivo. Il soggiorno. a Torino, con tutti gli obblighi ad esso iqerenti, gli costerà un vero capitale (lire sarde17.781, pari a L: 28.450 di Piemonte) 14, ma la spesa non sembra incidere affatto sul suo tenore di vita, quanto invece incideranno le rivolte dei vassalli e le conseguenti mancate esazioni degli anni 1795-1796, che costringeranno il barone ad un soggiorno ~ Sassari di otto mesi (maggio 1795-gennaio 1796) 15 e ad una consistente riduzione deÌle spese . di casa. Ristabilitasi la situazione politica ed economica in breve tempo, godrà di grandi onori col trasferimento della corte da Torinq a Cagliart e avrà la gran croce dell'Ordine mauriziano 16 • Morirà nel 1807 a Cagliari, lasciando i suoi titoli ed i suoi
io AMAT, A11uJ1inistrazione, 2 bis (registro). Precedentemente al rev. Camilla, l'amministrazione era tenuta dal cappellano rev. Salvatore Quessa (Chessa) di cui, nello stesso registro sono riportati i conti dal 1781 al 15 giu. 1789. 11 Il grano di Olmeda è venduto solitamente a Sassari: AMAT, Memorie, n. 2, cc. 4 e 13v. 12 AMAT, Memorie, n. 2. . 13 AMAT, Titoli, n. 94. La concessione fu data il 4 apr. 1787; il giuramento fu prestato 20 giorni dopo per mezzo del procuratore del barone, il marchese di Conquistas Francesco Vico. 14 AMAT, Am111inistrazione, n. 26, (registro) apr. 1794. Il conto, effettuato dal barone di Sorso, mostra che la lira sarda corrispondeva a 1,6 lire di Piemonte. Sulla moneta sarda v. n. 27. 15 AMAT, MetJJorie, n. 2. Al ritorno da Sassari il barone si ferma a Sinnai sino al mese di marzo. 16 AMAT, Titoli, n. 96; in questa occasione riceve dal duca del Chiablese Benedetto Maurizio una croce di diamanti, per cui ringrazia: ibid., lettera allegata. Citato anche in C. SOLE, Le «carte Lavagna;> ... tit.,' p. 106: «Oggi [27.8.1799] S.M. ha conferito la gran Croce (... ) al capitano delle Guardie Don Luigi Amat, èd ai 4 Gentiluomini (... ) Barone Sorso». Sull'arrivo · della corte a Cagliari il 3 marzo 1799, ibid., p. 86: «La sera non vi fu luogo per tutta la Corte in Palazzo, onde alcuni princii{i furono alloggiati in casa dell'Arcivescovo, del Barone di Sorso, (... ) del Marchese Pasqua, e del Marchese Laconi».
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1970
Marina Valdès
feudi a suo nipote Vincenzo Anastasio Amat Amat (1790-1869), figl~o di Bebia che erediterà altresì i titoli e i feudi della marchesa di Soleminis, dopo la morte di questa, avvenuta nel 1812 17 • • Ignazio Aymerich Brancifort nasce a Cagliari il 10 luglio 1735 ed è il sesto conte di Villamar. Orfano di padre dall'età di otto anni, essendosi la madre risposata, viene allevato dalla nonna paterna, la marchesa di Laconi Caterina Castelvì Sanjust. Morta questa nel 1769, Ignazio Aymerich Brancifort diviene marchese di Laconi, visconte di Sanluri e barone di Ploaghe, signore di Stunnu, Lionesu, Crastu, Riutortu e Montis de Ledda, assumendo di diritto, in quanto marchese di Laconi, la carica di «prima voce» dello Stamento militare nel parlamento del regno di Sardegna 18 e il titolo di Grande di Spagna 19 • Nel 1760 sposa Maddalena Zatrillas, da cui ha otto figli: Antonio, Caterina, Ignazio , Giovanni Tomaso, Maria Tomasa, Giuseppe, Anna ' Maria e Francesco Saverio, di cui due, Antonio e Giuseppe, muoiono in giovane età. Vive nel castello di Cagliari, nella strada «dritta». Non è affatto un buon amministratore dei suoi pur ricchissimi feudi ed i suoi soggiorni a Torino, con le spese che comportano, uruti ad un tenore di vita al di sopra delle sue possibilità, lo conducono in breve tempo alla rovina economica. Nell'ottobre del 1777 si trova indebitato nei confronti del marchese Marcello Durazzo di Genova per la somma di L. 269.284 di Genova, pari a L. 184.513 di Piemonte, con un interesse annuo ~
17 Più precisamente i titoli del barone di Sorso furono trasmessi a sua figlia Eusebia che, morta l'anno successivo, li trasmise a suo figlio Vincenzo Anastasio Amat Amat (1790-1869). Questi erediterà dall'ava materna, nel 1812, il marchesato di Soleminis, con i diritti all'eredità del marchesato di Conquistas (per cui v. n. 98), ed il diritto della «carra» di Sassari; nel 1819 erediterà dal padre il titolo di marchese di S. Filippo, ed i titoli, con i relativi feudi, di marchese d'Albis, barone di Bonvehì, di Montiferru, di Ussana, signore di Austis e del «vinteno» (diritto di dazio) di Alghero, che di fatto amministrava, per cessione del padr.e, dal 1812. Nel 1826 otterà il riconoscimento dell'eredità Conquistas ed il relativo titolo marchionale. Sposato dal 1811 con Emanuela Amat di Villarios, ha sei figlie (di cui l'ultima morta bambina) ed un figlio. Uomo di grande temperamento, abile amministratore dei suoi feudi, nonché ordinatore del suo archivio, sarà capitano generale delle milizie del regno di Sardegna. e gentiluomo di ca~era del re; nel 1848 sarà nominato senatore da Carlo Alberto, tinunciando all'incarico per motivi di salute: AMAT, Titoli, nn. 118-121, 128, 129, 134, 136-143, 151 e 154-:155. 18 Sull'istituzione parlamentare cfr. A. MARONGIU, I parlamenti sardi, Milano 1979. 19 . Una copia ·del 1755 della concessione del grandato di Spagna la possiede il marchese di Laconi, prof. Giuseppe A ymerich.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVJII-XIX)
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del 5% 20 • I feudi di Laconi e di Sanluri vengono ipotecati e le rendite, sequestrate, sono amministrate da regie delegazioni che si succedono via via nel tempo per ben 22 anni. È senz'altro un uomo generoso e amato dal popolo - «uomo d'aura· popolaresca» lo definisce il Manno 21 - che nell'aprile del '94 lo acclama viceré in sostituzione del piemontese Balbiano. L'episodio'' è senza conseguenze, tant'è che con il trasferimento della corte a Cagliati, entrerà nell'entourage del sovrano, essendo gentiluomo di camera e grande di corte 22• Morirà ottantacinquenne il 7 giugno 1820, non senza aver visto risollevate le sorti economiche della sua famiglia, i cui meriti vanno a suo figlio Ignazio Aymerich Zatrillas il quale, di fatto già dalla fine del '700, ufficialmente dal 1801, amministra, per cessione del padre, sia la casa che la giustizia nei feudi 23 •
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AYMERICH, b. 13. 3: due atti debitori, del 4 e del 27 ott. 1777, furono stipulati in Genova dai notai Pescetto e Gallenga. Il prestito fu ottenuto con successivi assensi regi concessi con carta reale 11 gen. 1777, carta reale 28 giu. 1777 e r. biglietto 13 sett. 1777. La documentazione conservata permette una precisa ricostruzione dell'amministrazione del marchese di Laconi dal 1777 al 1800. Nella stessa busta si trova un atto debitorio del marchese nei confronti dei fratelli Bracchi, negozianti di mode, per la somma di 6.013 lire e 17 soldi di Piemonte; datata Torino 25 mar. 1777. Dello stesso anno il citato acquisto di libri (v. n. 4). Il marchese risulta a Torino anche nel 1773: AYMERICH, b. 1, testamento del 20 set. 1773, precedente alla partenza per Torino da cui risulta la ·nona gravidanza in atto, evidentemente non portata a termine, della marchesa. Il 5 settembre 1775, sempre a Torino, assume la governante madama Perona: AYMERICH, b. 28, I, 66. Nel gennaio 1778 entra in servizio, a Torino, il cameriere Serafino Puddu: AYMERICH, b. 28.I.143. Dettaglio dello st(lto presente della famiglia... (citato per esteso alle pp. 5-6). 21 Il Manna, nel riferire i fatti cagliaritani del 28 e 29 aprile 1794, in cui il popolo insorse cacciando i Piemontesi, scrive: «il popolo avea voluto che sedesse col magistrato, a convalidare qual~nque deliberazione, il marchese di Laconi, già altra volta da me nominato per uomo d'aura popolaresca. Anzi lo voleano acclamato per novello viceré; e alcuni popolani dopo la vittoria· erano penetrati nel suo palagio, e condottalo alle sale del magistrato come in trionfo, e fattolo sedere sopra il trono del viceré, lo aveano presentato alla folla dal maggior balcone della reggia, nel quale uno dei caporioni (...) chiedeva alla moltitudine se il voleano a viceré, e la moltitudine rispondeva, viceré sia»: Storia 1noderna della Sardegna dall'anno 1775 al 1799 del barone Giuseppe Manno, a cura di G. SERRI, Cagliari 1972, I, p. 163. 22 FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., p. 3; vedi a.nche c. SOLE, Le .<<carte Lavagna» ... cit., pp. 86 e passim. 23 AYMERICH, b. i3. 1-4: la cessione avvenne con atto del 23 apr. 1801, ricevuto dal segretario della Reale .udienza· e Real cancelleria con approvazione del delegato regio don Li tteriò Cugia; •in quel momento i debiti erano ridotti a lire 19 .116 di Piemonte. Ignazio Aymerich Zatrillas (1766-1827) che sino alla morte del padre portò il titolo di conte di Villamar, sposò nel 1801 Giovanna Ripoll Nin da cui ebbe tre figli: Cristina, Ignazio e Francesco. Fu primo scudiere della duchessa del Genevese, gentiluomo di camera del re, cavaliere d'onore della regina M .. Teresa, Gran croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
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Le fonti. - Nell'archivio Amat di S. Filippo è stato analizzato nel dettaglio il registro indicato con il n. 26 deUa serie Amministrazic:;~e, relativo alle «spese diarie di casa del barone di Sorso». Esso contiene l'elenco giornaliero delle spese sostenute per la casa, alimentari e non, dal luglio 1792 al settembre 1796, mentre dal 1797 contiene solo le spese per l'acquisto di vino 24 • Il registro, scritto in castigliano, è autografo, di mano del barone, ma, soprattutto, date le prolungate assenze di questi, della marchesa di Soleminis. I dati forniti dal registro, se permettono analisi quantitative sulla spesa assai precise, non permettono analisi altrettanto dettagliate sulla quantità e la qualità dei cibi acquistati giorno per giorno nei mercati cittadini, in quanto ne risulta soltanto la spesa totale mensile. Offre invece un quadro dettagliato delle spese fatte fuori dal mercato per il pane, il vino ed i generi voluttuari o, anche, ma più raramente, per generi di consumo quotidiano occasionalmente acquistati fuori dal mercato. Il registro offre inoltre numerosi dati sulle entrate del barone e di sua moglie, nonché sulle spese per la numerosa servitù. Quanto a questo argomento, i dati del registro sono stati integrati con quelli rilevati dal registro indicato con il n .. 2 della serie Memorie, che hanno permesso di definire in quale misura la presenza della servitù incidesse sulle spese alimentari di una casa aristocratica 25 • Ulteriori notizie sono state reperite nell'inventario dei beni lasciati dal barone di Sorso, del 1807, che ha fornito un eccellente quadro dell'argenteria e del vasellame utilizzati per il decoro della mensa nonché, dato il loro specifico e dichiarato uso, sul consumo di determinati cibi e sulle loro preparazioni. L'inventario del barone di Sorso ha inoltre restituito il titolo dell'unico testo di cucina presente nella sua biblioteca, già precedentemente segnalato 26 • L'archivio Aymerich ha fornito notizie e dati di comparazione e integrazione assai interessanti. I documenti studiati riguardano la 24 Data la necessità di citare ripetutamente questo registro, fonte principale della ricerca, Ja dicitura Registro riassumerà le indicazioni archivistiche complete. Si ometterà peraltro, ove non fosse indispensabile, l'indicazione del numero di carta, in quanto la citazione del mese' e dell'anno di riferimento non solo permette una ricerca altrettanto facile, ma favorisce una più immediata comprensione del testo. 25 . Tale registro contiene principalmente i conti ed i pagamenti della servitù, da cui si deduce in quali periodi i singoli servitori hanno ottenuto in natura il pane ed il cibo. 26 Vedi nota 3.
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situazione particolare del marchese di Laconi che, oberato dai debiti contratti nel 1777, nel 1788 si vede assegnare da una giunta di arbitri, per il mantenimento della famiglia, una somma di 3.000 scudi annui, pari a L. 7.500 27 , somministrata in rate trimestrali. Giusto del marzo 1788, e di pugno del marchese, è il «Dettaglio dello stato presente della famiglia del marchese di Laconi e nota delli stipendiati e alimentati in sua casà» 28 , che offre notizie déttagliate sul servizio della mensa e sulle persone che, di diritto o di fati:o, ricevono gli alimenti nella casa del marchese, fornendo spunti assai interessanti anche sul lavoro domestico. Esso rivela un quadro autentico delle abitudini della famiglia, non ancora toccata dalle restrizioni. Di dieci anni successivo - ·probabilmente del settembre 1799 - è l'«Estrato di quel che si spende sulla piazza per la spesa diaria un giorno coll'altro compresa la quadragesima che si fa grasso e magro» 29, che contiene, appunto, un conto ragionato delle spese trimestrali a seguito dell'aumento dei prezzi avvenuto nel corso dei dieci anni; è probabilmente di mano di Ignazio Aymerich' Zatdllas, che tiene l'amministrazione della casa, e tiene conto delle reali abitudini della famiglia, ormai adeguatasi ad una amministrazione oculata. 27
La lira sarda è una. moneta di conto. Essa si divide in venti soldi (pure moneta di conto) ed ogni soldo in 12 denari. Fra le diverse monete correnti in Sardegna le più comuni · sono: lo scudo d'argento, del valore di 2 lire e 10 soldi (2 lire e mezzo); il denaro, corrispondente ad 1/12 di soldo; il reale, corrispondente a 5 soldi; il cagliarese, corrispondente a 2 denari. 28 AYMERICH, b. 28.I.143 (d'ora in poi Dettaglio). Poiché si tràtta di un piccolo registro éli 6 carte, l'indicazione della carta si omette. La datazione del Dettaglio, pur non espressa, si ricava dal fatto che il conto dei debiti nei confronti dei servitori arriva appunto al marzo 1788 ed è ·confermata da un allegato al Dettaglio, in cui il conto della spesa annua «pel diario» è fatto sulla base di 366 giorni (11 lire al giorno per 366 giorni = L. 4.026), essendo, infatti, il 1788 anno bisestile. 29 AYMERICH, b. 5.VII.1, cc. 2-3 (d'ora in poi Estrato). Anche in questo caso si ometterà il n~me~o della carta. Il piccolo registro alla c. 1 contiene il titolo: «Plica e p(ro) m(emoria) dei b1lanc1 presentati ai cav.ri arbitri destinati per la fissazione del tanto d'assegnarsi per la manutenzione e spese. diarie e pensioni annuali per la famiglia sopra la denuncia dei redditi e dei debiti da pagarsi che rimane dai diritti feudali e prodotto dei beni liberi>;. Alla c. 1v contiene l' «Estrato dal bilancio fattp dalli arbitri sulli fissati alimenti di scudi 3 m. annuali che rivengono a scudi 750 ogni trimestre», cioè le previsioni di spesa per la casa fa~ta dagli arbitri nel 1788, ormai superate dall'aumento dei prezzi e, · si suppone, più ipotetiche che reali, non conoscendo gli arbitri le abitudini della famiglia. Vedi anche AYMERICH, b. 5.VII.3 e 4 la cui analisi, in relazione all' Estrato, ne permette la datazione ..
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L'archivio Aymerich ha restituito· inoltre numerosissimi documénti integrativi fra cui un elenco di libri di cucina acquistati dal marchèse a Torino nel 1777; elènchi e stime del 1829 della libreria di Ignazio A ymerich Zatrillas, ma appartenuta già a suo padre 30 ; una minuta non datata, ma attribuibile al primo Ottocento, di un servizio di tavola a undici e di un «secondo servizio» a tredici piatti 31 • I dati ril~vati dalla documentazione sono stati messi a confronto con alcuni testi che riferiscono delle abitudini dei ceti aristocratici cagliaritani dell'epoca ed, in particolare, con la Descrizione dell'isola di Sardegna, fatta da un anonimo ufficiale piemontese di stanza in Sardegna fra il 1755 ed il 1759 32, e con l'oper.a più famosa, seppure posteriore, di Francesco d'Austria-Este, Descrizione della Sardegna (1812) 33 • Si sono presi altresì in considerazione alcuni documenti ottocenteschi che chiariscono vari aspetti dei consumi alimentari anche del secolo precedente. In particolare è stato esaminato il « Quinterno delle pezze ossiano liste gi9rnaliere» 34 delle spese per la tavola del marchese di S. Filippo, il già dtato Vincenzo Anastasio Amat Amat, nipote del barone di Sorso Giuseppe Amat Malliano. Si tratta di ben 317 liste relative al periodo 3 novembre 1834 - 29 febbraio 1836, miracolosamente salvatesi per essere state allegate alla causa intentata dal marchese di San Filippo contro -il cuoco, evidentemente infedele, Baldassarre· Mureddu, e conservate presso l'Archivio di Stato di Cagliari. Il loro interesse riguarda sia la qualità che la quantità dei cibi consumati quotidianamente, ma anche la specificata distinzione fra i cibi per la tavola dei signori ed i cibi per la «famiglia», come è chiamata latinamente la servitù. Si segnalano inoltre alcune ricette, sempre ottocentesche, del cuoco · del marchese di San Filippò, Demetrio Casula, nell'archivio Amat 35 ; l'elenco delle provviste portate da Cagliari a Genova da Cristina A ymerich
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Ripoll nell'archivio omonimo 36 : essi costituiscono delle curiosità, ma offrono dettagli di non poco rilievo sulla cucina cagliaritana ottocentesca che si defini~ce nella sua mediazione fra elementi tradizionali e innovativi.
2. · Il cibo quotidiano. La mensa dei signori. Aspetti formali. - Sul finire del Settecento, nelle mense dei signori cagliaritani è praticato il servizio «alla francese». Diversamente dal «servizio alla russa», subentrato successivamente e tuttora in uso, in cui ciascun commensale si serve da un piatto di portata che il cameriere porge secondo l'ordine prescritto, il servizio «alla francese» è simile ad un buffet in cui diversi piatti di portata sono disposti contemporaneamente sulla mensa, in modo che ciascun commensale, dal suo posto, possa servirsi di ciò che più gli aggrada. I piatti di portata sono sempre dispari in quanto si dispongono simmetricamente rispetto ad un piatto fondamentale posto a centro tavola. L'allestimento della tavola così sommariamente descritto si dice servizio, ed ogni pasto è composto di diversi servizi il cui numero, come quello delle portate per ciascun servizio, varia in dipendenzà del numero dei commensali e dell'importanza del pasto stessq. Le nouveau cuisinier rqyal et bourgeois, uno dei testi àcquistati nel 1777 a Torino dal marchese di Laconi, proponeva, per esempio, per 6-8 coperti, una disposizione della tavola a sette piatti per servizio e, considerando tre servizi il minimo abituale, consigliava dunque ventuno piatti per un pasto ordinario, che diventavano ottantuno (ventisette per servizio) per una tavola di 20-25 coperti 37 • L'uso del servizio «alla francese» è attestato per Cagliari dal citato «Dettaglio» del marchese di Laconi in cui questi afferma che i commensali alla sua tavola sono abitualmente nove: «il. marchese, la marchesa, sei
30
Vedi nota 4. AYMERICH, b. 28.l.289. 32 ANONIMO PIEMONTESE; Descrizione dell'isola di Sardegna, a cura di F. MANcoNI, Milano 1985, trascritto dal manoscritto conservato nelt' ARCHIVIO COMUNALE DI CAGLIARI,. Libreria Bai/ero, n. 3. 33 Citato alla nota 9. 34 ARcHMO DI STATO DI CAGLIARI (d'ora in poi ASCA), Reale udienza, Cause civili (d'ora in poi RU,CC), b. 2.005, fase. 22.350. Ringrazio il dott. Carlo Pillai, dell'Archivio di Stato di Cagliari, per la segnalazione gentilmente fattamene. · 35 -AMAT, Archivio minore. 31
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AYMERICH, b. 28.I.146. Cito da J. L. FLANDRIN, La distinzione attraverso· il gusto, in La vita privata dal Ri11asci111e11to all'Il/11111i11is1110, a cura di P. ARIÈS - R. CHARTIER, Bari 1987, pp. 227-28. Segnalo tuttavia che mentre Flandrin conosce Le 11011veat1 Ct1isi11ier rl!Jal et bourgeois nell'edizione del 1742, il marchese di Laconi possedeva l'opera nell'edizione del 1734 in cui Le 11011vea11 Ct1isinier rl!Jal, in 3 volumi, è distinta dal Cuisinier bourgeois. 37
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figli e capellano», e che la sua tavola si compone «di tre portate al primo servizio e cinque di frutta diariamente, eccettuato qualche giorno chè vi concorre delle persone di qualche soggezione che si serve a cinque e sette e sette, il tutto però colla maggiore economia possibile e risparmio di tre piatti per la sera». Nell'ordinario, durique, ogni pasto si compone di due servizi per un totale. di otto portate, mentre nei pranzi di maggiore importanza i servizi sono i tre canonici ed i piatti diciannove. L'apparecchiatura della mensa è importante: grandi piatti di portata, posate, zuccheriere e caffettiere, candelabri· d'argento, cristalleria, porcellane inglesi o di Capodimonte. L'inventario del barone di Sorso 38 riporta infatti: a) argenteria: quattro ossimorti 39 , due bacili da arrosto, quattro insalatiere, due piatti da bollito, quattro piatti «d'antree», una zuccheriera, una caffettiera, una vinagriera, due portauova, cucchiaroni vari, da zuppa, da salsa e forati per maccheroni, uria paletta da pesce, undici posate e dodici coltelli, due paia di candelieri con ghirlande; b) porcellane: un servizio di piatti «a fioretti della fabbrica del re di Napoli col fondo bianco per servizio di tavola», formato da undici dozzine di piatti, oltre che da quarantacinque piatti di portata fra tondi e ovali; della stessa fabbrica dodici tazze per lo zabaione con coperchi e piattini;· un servizio di «vassella bianca fine .d'Inghilterra», composto da diciannove dozzine di piatti; un servizio da caffé, composto da «dodeci tazze di porcellana a piccoli fiori color di rosa e bleu coll'orlo dorato coi suoi piattini, caf-
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fettiera, zucchariera e scudella col. suo piatto simile»; dodici tazze «fine di porcellana di Sassonia»; e ancora salsiere, mostardiere, zuppiere grandi e piccole, piatti «d'antree», insalatiere; pepiere, portauova; c) cristalleria: dodici . bottiglie « di cristallo molate per servizio di favola»; cinque «cavagnette di cristallo a foglie»; cinque compostiere; otto piattini; cinque bicchieri molati; una «carrafina» di cristallo dorato; sei bicchieri dorati per liquore «fatti a calici»; quattro bicchieri lisci per liquore; quattro biéchieri «da vino forestiere»; una bottiglia per neve. Sull'allestimento della tavola, sulla forma e la disposizione dei piatti di portata in relazione alle vivande sovrintende il cameriere o «maestro di casa». Questi è il vero ministro della cerimonia domestica del pranzo: rie sorveglia 'l'andamento, controlla l'accuratezza del servizio dei domestici, spia il gradimento dei commensali, riferisce gli eventuali commenti al cuoco, indiscusso artefice del piacere a tavola. La spesa al mercato. - La mensa aristocratica, infatti, se è raffinata nell'apparecchiatura e nel. servizio, non lascia a desiderare quanto a qualit;ì, quantità e varietà delle preparazioni alimentari. Già l'inventario del barone di Sorso, con i suoi riferimenti, seppure indiretti, ad arrosti, bolliti, preparazioni con intingoli o fritture (i piatti «d'antree»), pesci, zuppe, maccheroni, salse, insalate, frutta, zabaione, mostra un quadro generale della mensa aristocratica sufficientemente articolato. Le fonti bibliografiche riferiscono poi del consumò generalizzato di paste, carne, selvaggina e insalate, dell'uso cagliaritano di mangiare il . pesce a cena «anche nei giorni di grasso», dell'abitudine dei «Signori» di mangiare molto· pollame e di bere molte aranciate. Francesco d' Austria-Este, rifacendosi all'Anonimo piemontese, sosteheva bensì che «i sardi in casa loro in famiglia quando non hanno forestieri mangiano (anche i signori) cose ordinarie, non troppo ben cotte: molte paste, in minestra, o minestre di semola e di pane, poco riso, paste come piettanze, carne di manzo cotta dura, polli, del pesce, un arrosto di porco, e simili cose» 40 •
38 AMAT,
Inventari, n. 44. L'argenteria vi è descritta ai nn. 392-439. Per quanto il termine sia andato in desuetuiline e venga quindi ignorato, ritengo che gli ossimorti (che il barone di Sorso possedevà in numero di 4 e del peso complessivo .di once 110 e 3/4, pari a circa 3 chilogrammi) siano i piatti di portata della forma grosso modo rettangolare con i lati •lunghi leggermente incavati. Un esempio di tale piatto si può vedere a centro tavola nella «tavola di 16 coperti servita· a 13 per ·cena» in Il cuoco pie111ontese ridotto al/'11/ti,110 gusto e perfezione, Milano. 18255, p. 39, tavola allegata. Tale edizione, di cui ho potuto prendere visione, è di proprietà del conte avv. Carlo De Magistris di Castella, che ringrazio per avermela segnalata e prestata per lungo tempo. Il cuoco pie111ontese dovette avere una larga diffusione in · Sardegna. Lo possedevano, come già segnalato, sia il marchese di Laconi che il barone di Sorso, ma· anche il marchese di Villahermosa Stefano Manca, come risulta dal Catalogo dei libri di S.E. il signor 111archese di Villaher111osa esistenti in Cagliari e fatto nel luglio 1825, conservato presso l'archivio privato Manca di Villahermosa (Villa d'Orri, Sarroch, Cagliari). Una descrizione del testo ed alcune ricette tratte dalla prima edizione (Torino, presso Carlo Giuseppe Ricca, 1766) in L'arte della cucina in Itali~, a cura di E. FACCIOLI, Torino 1987, pp.701-716 e p. XXVi della I11trod11zio11e. 39
° FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descriziom ...
4
cap. XIX, pp. 133-138.
ì
11
cit., p. 138. È interessante comunque tutto il
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Pur accettando il giudizio del duca di Modena in quanto ·si~~etizzazione di una realtà generalizzata, bisogna tuttavia osservare· che le famiglie di cui si vanno analizzando i consumi alimentari esulano da un quadro così «ordinario» come quello descritto e mostrano, invece, un'attenzione preminente verso l'alimentazione quotidiana ed una cura che si traduce, ovviamente, in costi. L'importanza attribuita al cuoco è un sintomo di tale tendenza. Il barone di Sorso ne ha utìo che probabil~ente è piemonte~e -. il già menzionato Amedeo Motta - , il cui salario, di 18 lire e 15 soldi mensili' è davvero fuori dell'ordinario 41 ; aricora, essendo rimasto per undici giorni col solo aiutante di cuciha, incarica un cuoco esterno per la preparazione di «due piatti» giornalieri, evidentemente le pietanze che il mozzo 1;1on è in grado di allestire, per una cifra ugualmente considerevole 42 • Tutte spese, queste, che riterremmo del tutto ingiustificate se il risultato dovesse ridursi davvero ad «un -arrosto di porco» o alla «carne cotta dura». L'elemento più significativo, che offre una chiave di lettura più aderente alla realtà dei consumi delle famiglie aristocratiche considerate, è costituito dalle spese fatte «nella piazza», ovverossia al mercato cittadino. Il cuoco ogni mattina si reca infatti al mercato, controll~ le merci, confronta i prezzi e, tenendo conto dei gusti dei padroni, trova ispirazione alla sua arte. Acquista dunque le materie prime e ne segna il prezzo sulla «list;i.», per essere rimborsato dal padrone una volta .
41 Nessuna persona di servizio percepisce uno ~tip~ndio così alto. Il cameriere del barone percepisce uno stipendio. di soli 4 scudi (= lire 10): AMAT; Memorie, n. 2, c. 16v; 15 lire percepisce il cameriere torinese del marchese di Laconi: cfr. Dettaglio, citato.. Che si tratti del solo salario è più volte specificato nel Registro: cfr: clic. 1792 e passim, ed è confermato dal fatto che talvolta il salario è corrisposto a Sassari alla moglie del Motta: ibidem, set. 1792 e passitn. Ciò sta a significare che il cuoco Motta è alimentato nella casa del barone di Sorso. La posizione eminen!e del cuoco è dovuta, oltre che alle sue capacità, aO:che al fatto cli gestire la spesa quotidiana. E interessante, a questo proposito, un'annotazione del marchese di Laconi presente nel Dettaglio, citato: «Al cuoco, o per meglio dire un marmitone ·che interinamente ho in mia casa da tre ap.ni incirca segli passa scudi 3 al mese e segli resterà dovendo per suo stipendio da un anno incirca, non essendo bensì ùn soggetto capace che possa rimanere per il servizio di mia tavola ne per il risparmio nell'economia per non saper spendere, ne regolarsi, sin tanto che possa e se mi deva provedere d'altro capace secondo il mio stato proporzionato alla mia numerosa famiglia». · 42 Registro, lug. 1794_-
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tornato a casa 43 • Come si puo immaginare, le liste venivano rapidamente eliminate una volta presa nota della spesa, cosicché non sapremo che cosa mangiassero giorno per giorno né il marchese di Laconi né il barone di Sorso, ma di sicuro sappiamo quanto spendevano e quhidi, conoscendo i prezzi dei vari generi al mercato, che cosa, e in quali quantità, potessero mangiare. Il caso del marchese di Laconi è il più chiaramente definibile ed esemplificabile. Il marchese di Laconi, nell'«Estrato», calcola «per la piazza» una spesa giornaliera di 6 lire, escludendo da tale cifra la spesa per provviste di grasso, lardo, formaggio, frutta e ancora per il pane, il vino, l'olio, lo zucchero, il caffé, la cioccolata, il carbone e la legna che pure servivano alla cucina. Dallo scarno, ma chiarissimo, elenco dei generi esclusi, si deduce che le 6 lite giornaliere servivano per l'acquisto di pasta, verdure, pesce e carne. Per fare un esempio, con 3 lire si sarebbero potuti comprare kg. 16 di capretto o kg. '8 di spigole: con 6 lire l'uno e l;altro 44 ; e ciò per tutti i giorni dell'anno. Questo esempio, inapplicabile alla realtà per la sua schematicità, serve comunque di orientamento verso misure quantitative di cibo quasi inimmaginabili, tanto più se si considera che, acquistando carni e pesci di qualità inferiori a quelle descritte, le quantità possono addirittura raddoppiarsi, e che tali quantità dovranno sommarsi ulteriormente a pane, vino, formaggi e frutta e a tutti i prodotti di autoconsumo, fra cui la selvaggina, la cui misura è difficilmente rilevabile. D'altra parte non si deve pensare che i consumi del marchese di Laconi siano del tutto eccezionali. Al confronto, infatti, il barone di Sorso, che non è costretto a fare economie spende in
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Nel Registro, si trovano diverse annotazioni di questo tipo: «gasto diario de la cosina de este mes segun lista de lo que he pagado cada dia al cosinero»: cfr. lug. 1792 e passùn. Esse ri_velano che i padroni (o meglio, le padrone) mantengono il controllo sulle spese di cucina, diversamente da quanto risulta dal contratto col cuoco dei marchesi Ginori di Firenze pubblicato da M. MONTANARI, Nuovo Convivio, Bari 1991, pp. 338-341. ' 44 Le tariffe dei commestibili erano fissate dal viceré o, in sua vacanza, dalla Reale udienza, viceregia potestate gubemante, e dall'amostassen o mostazzaffo, incaricato dal Magistrato civico di Cagliari per vigilare sull'approvvigionamento d~lla città e sul commercio. Per il periodo considerato cfr. i pregoni del 3 lug. 1794 e del 16 mar. 1796, in ARCHIVIO COMUNALE DI CAGLIARI (d'ora in poi ACC), Editti e pregoni manifesti e circolari a sta,npa, vol. III A, nn. 19 e 65 ;· e ACC, Bi!!etes para el amostassen, b. 305, vol. II (1784-1794) e vol. III (1797-1806). Sulle funzioni del mostazzaffo vedi in questà edizione E. GESSA, Istituzioni alimentari nella Cagliari aragonese: il 1nostazaffo, p. 590.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XV.III-XIX)
assoluto o in proporzione, anche di p1u: negli anni 1792-1795· una media giornaliera che va dalle oltre 7 lire del '92 alle 5 lire· del '95' 45 , ma la sua mensa si compone non di nove, ma di quattro persone, cioè il barone, la marchesa, la loro figlia Teresa ed il fratello del barone, Carlino. Una spesa giornaliera così considerevole si può certamente spiegare con un consumo sia qualitativo che quantitativo di gran lunga superiore a quello standardizzato ·dalla dietologia moderna ed è da mettere in relazi~ne col valore che la medicina attribuiva all'abbondanza di cibo. Tuttavia è evidente che qualunque ipotesi di consumo· resterebbe priva di un serio fondamento se non si tenessero in dovuto conto i consumi della servitù, ·che costituiscono una voce fondamentale del bilancio di una casa e di una tavola aristocratica. È necessario a questo punto approfondire il discorso sull'alimentazione della servitù domestica, in quanto incide proprio sulle spese ordinarie «per la piazza». Le tavole separate. Spes~ alimentari per la servitù. - La casa aristocratica cagliarita.na è connotata fortemente dal numero d~i suoi ser:7-i~ori. «La famiglia» è numericamente imponente e, al suo interno, _ng~damente strutturata in una gerarchia che tiene conto delle mans10m e delle capacità di ciascuno. Ai vertici stanno il maestro di casa, il cuoco, se tale è per capacità, e la governante; di seguito i domestici («lacayos»), l'aiutante di cucina (mozzo, marmittone, «galopin») e, infine, le serve · . . . («criade»). Il marchese di Laconi, nel periodo considerato, tiene m casa 16 ·persone di servizio, di cui l4 stipendiate e 2 solo alimentat_e. Il barone di Sorso tiene abitualmente 9-1 O salariati. Ai diversi gradi della gerarchia domestica corrispondono altr~sì ben differenziati regimi salariali e alimentari, descritti nel «Dettaglio» del marchese di Laconi e che· qui si riassumono : il cameriere e mastro di casa Pietro Delans, torinese, prende 6 scudi al mese «e la tavola e null'altro limitato»; la moglie del Delans, Benedetta Grassa, riceve 1 scudo al mese; quattro domestici di livrèa ricevono 2 scudi al mese,
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Vedi tabelle allegate.
«mangiare e bere, nulla però limitato» 46 ; }l cuoco riceve 3 scudi al mese; un marmittone 15 reali (lire 3 e soldi 15); la « governante savojarda Madama Perona condotta da Torino (che) esercita di governante, cameriera, frisotina e sartora della marchesa e delle mie tre figlie» riceveva, dal 1777, 1 zecchino al mese «mandandoli da mangiare distintamente dalle altre donne di casa dalla nostra tavola». Ma madama Perona ha successivamente abbandonato il marito e, avendo un figlio a carico, il marchese le ha aumentato il salario a 3 scudi al mese per cui, nel 1788, «mangia essa e suo ragazzo alla tavola delle altre donne, niente però limitato». Delle quattto serve del marchese, una «serva antichissima della casa», in servizio dal 1738, ha l'incarico di tenere tutte le chiavi della casa e riceve 1 scudo al mese; la «serva Vincenza Montis cameriera della marchesa da 21 anni» prende 1 scudo al mese e «le si permete che nella stessa loro tavola mangi il suo figlio fratello di latte del mio primogenito» 47 ; la «serva nizzarda Lucrezia Camusso» riceve 1 scudo al mese; la « serva Rosa Y ara di Laconi» svolge i bassi uffizi e riceve 8 reali (2 lire) al mese. Alimenti e stipendio di 1 scudo al mese competono inoltre ad un invalido marmittone vassallo di Ploaghe, al servizio dal 1760. Vi è dunque fra la servitù chi può, addirittura, mangiare dalla tavola del marche&e, Sì tratta di una condizione di estremo privilegio che, proprio per la sua originalità, tende ad essere riportata verso _un ambito più usuale. Così madama Perona, avendo ottenuto di mantenere suo figlio, deve rinunciare al trattamento distintivo e mangia alla· tavola delle donne, pur senza limitazioni. Inutile sottolinearlo: vi è un cibo per _la mensa e un cibo per la famiglia servile, che è ulteriormente
46 Il marchese di Laconi, nel Dettaglio, ritiene però che i quattro domestici di livrea non siano sufficienti per il suo servizio, perché --:- spiega - «sendo li padroni otto di famiglia e di necessità dovendosi ~sare due Portantine, ·vi vuole chi porti il chiaro alla sera e la Scabelletta alla Chiesa, e se si dovesse uscire in Campagna, e condurre con noi uno, o due, sarà necessario che le Dame restino in casa per mancanza di Domestici». Sull'usanza Registro, passim. Sul trattamento delle balie, ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione... cit., p. 46. 47 L'uso di tenere le balie in casa una volta esaurito il loro compito è testimoniato anche per la casa del barone di Sorso, in cuì due serve, Grazia Manis e_ Mariantonia Carta,· hanno l'appellativo di «dida». Fra le serve figura "anche la figlia di Mariantonia Carta, Anna Rosa Congiu, verosimilmente sorella di latt~ di un figlio del barone: Registro, passim. Sul trattamento delle balie, ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., p. 46.
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Marina Valdès
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimet,!tari ( secc. XVIII: XIX)
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distinta al suo interno fra coloro che sono o non sono soggetti a limitazioni. A giudicare dal «Dettaglio», sem:brerebbe, per' esclusione;. che le uniche persone ad avere limitazioni possano essere le serve, di cui si tace sempre la condizione alimentare. È vero che il silenzio copre anche il cuoco ed il marmittone, ma sembra alquanto improbabile che subiscano sperequazioni, fra i maschi, proprio coloro che hanno accesso alla cucina ed alle provviste 48 • Una cosa è certa: se discriminazione c'è, essa non riguarda il pane, che compete in uguale misura a tuttÒ il personale domestico e che non risulta essere di qualità inferiore rispetto a quello consumato dai padroni. Il pane è considerato alimento irrinunciabile ed insostituibile e costituisce la base dell'alimentazione· popolare. Il pane è, peraltro, molto costoso rispetto àd altri alimenti e, quando è a buon mercato, costa un soldo la libbra, quasi quanto la carne. Per questi .motivi la voc~ pane trova, fra le spese per la servitù, un posto di rilievo. Il marchese di Laconi distribuisce il pane fra i servitori e spende per ognuno un soldo al giorno 49 • Il barone di Sorso non sempre lo fornisce o, più precisamente, non a tutti; pertanto corrisponde a chi non l'ha ricevuto in natura la somma di 2 lire e 5 soldi mensili, che corrisponde ad 1 soldo e mezzo al giorno 50 • · Stante la variabilità dei prezzi negh anni 1792-1795, ogni servitore del barone di Sorso può acquistare da 560 a 600 grammi di pane al giorno, a seconda che per 1 soldo se ne possano acquistare 11 o 12 once. Un'altra voce fondamentale fra le spese per la servitù è quella del vino, per cui esiste una netta distinzione fra maschi e femmine.
48 Il cuoco ed il marmittone del barone di Sorso sono alimentati nella casa del padrone. A parte la situazione peculiare del cuoco Motta (per cui v. la nota 41), anche Antoneddu Escano, il marmittone elevato successivamente al grado di cuoco, riceve il cibo in natura, così come lo rìcevono i marmittoni che si succedono al suo fianco: diversamente dagli altri servitori maschi, mai compare nel loro stipendio la voce «por la comida». Ad essi spetta invece il tantum per il pane, ma raramente lo ritirano, lasciando sia questo che il salario «en fondo», cioè al padrone perché lo conservi, .segno evidente del fatto che riuscissero a procacciarsi il pane senza acquistarlo: cfr. Registro, gen. 1975 e passim. 49 AYMERICH, Estrato: «per pane alla famiglia ad •un soldo af giorno che sono n. 16 che · fanno al mese L. 24 e per trimestre L. 72». 50 Registro, passim; vedi anche la nota 48.
Le serve del barone di Sorso~ per esempio, ricevono. mensilmente o_ltre al~o stipendio ed al tantum per il pane, anche 15 soldi per il vino. S; s1 considera che il vino rosso più comune può costare da 12 a 15 soldi la quartara 51 se ne ricava che il consumo standard giornaliero può variare da 1. 0,186 a 1. 0,149 vale a dire, poco più poco meno, 1/6 di litro. Il trattamento dei maschi è decisamente più favorevole. Il barone di Sorso probabilmente, concede a tutti · indistintamente 1 O 373 d1· v1·no si' ' ' . . ' ' mentre il marchese di Laconi conc;ede tale quantitativo ai soli quattro. domestici di livrea, riservandone una quantità doppia al cuoco, al cameriere ed a «Giuseppino» (forse il marmittone) eaddirittura quadrupla «a Venceslao» (forse l'invalido marmittone vassallo di Ploaghe) s3.
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Il prezzo del. vino comune è fissato per Cagliari daU'amostassen in 12 ·soldi la quartara nel 1792; .13 soldi la quartara nel 1794; 15 soldi la quartara nel 1796: ACC, Billetes para et amostas~en, b. ~~5, vo~. I~. La quartara (che nel Registro, compare come «quarte!») è misura sarda di capacita per 11 vmo .e corrisponde a litri 4,484: v. A. MARTINI, Manuale di ,netrologia, Roma 1976, p. 122. 52 Che il barone di Sors.o dia il vino ai servitori è un'ipotesi fondata sul fatto che ai maschi non si dia il tantum per il vino, come si dà alle donne. La misura di 1. 0,373 giornaliera è calcolata su quanto vie~e dato al cameriere di Carlino: 4 lire «por el pan y vino que le passo» (Registro, lug. 1792 e pasmn). Detraendo dalle 4 lire 2 lire e 5 soldi per il pane, restano per il vino 1 lira e 15 soldi al mes~, pari ad 1 soldo e 2 denarì al giorno. Date le tariffe del vino, di cui alla nota precedente, e considerato un costo medio di 14 soldi la quartara, si è calcolato che il cameriere di Carlino potesse acquistare mediamente I. 0,373 di vino al giorno. Se i servitori maschi ricevono il vino in casa, si può calcolare che il barone di Sorso acquisti per loro I. 816 87 di vino all'anno che corrispondono a circa il 45% del quantitativo acquistato dal barone ~egli anni 1794 e 1795. II calcolo appare ragionevole, dal momento che, se si attribuissero ai servitori di casa Sorso i parametri dei servitori di casa Laconi (di cui alla nota 53), si dovrebbero cal~olare almeno ~ bottiglie e .~ezzo al gi~rno (una a ciascuno per cameriere, cuoco e marmittone, una e mezzo per i tre d~mest1~1) ~he cornsponderebbero a 1. 1226,76 annuali ( = 273 quartare e mezzo); in questo modo 1 serv1ton del barone di Sorso consumerebbero quasi il 70% dell'approvvigionamento annuo del barone che, per di più, ordina: il vino a Quartu e lo paga 3 soldi più della tariffa fissata per la città: Registro, c. 171. 53 AYMERICH, Estrato: «per vino due boteglie alle donne al giorno, 2 a 4 domestici, una al cuoco, altra ~i camerieri, altra a Giuseppino e 2 a Venceslao sono botiglie 12 che fa due qu_artare al g10r~o a s. 10 L. 1, al mese 30, per trimestre L. 90». Il testo appare, ad una pr~m~ let~ura, d1 una lampante chiarezza, ma all'analisi risulta, per certi aspetti, oscuro: non chia~1sce Il consumo delle donne (non si specifica quante -siano e se, eventualmente, siano da cons~derarsi fra queste anche i figli di madama Perona e di Vincenza Montis) e Iàscia intendere che Il numero dei camerieri è aumentato da 1 a 4, con una variazione possibile dal 1788 al . 1:99, i:ia assai improbabile. Restano tuttavia fondamentali il dato sul consumo generale g1orn~liero. (1. _8,968 divisi in 12 bottiglie da 1. 0,747) ed i dati sul consumo pro-capite di alcum serv1ton.
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Tirando le somme, il marchese di Laconi acquista ogni anno per· la servitù 3.228,48 litri di vino, per una spesa di 360 lire, e 2.304 chilogrammi di pane, per una spesa di 288 lire 54 • Tali spese incidono rispettivamente per il 6,29% e per il 7,86% sulle 4.576 lire annue che costituiscono le spese alimentari correnti di casa del marchese 55 • Se i consumi di pane e vino sono, per così dire, razionati e, quindi, definiti nella loro misura, più difficile è quantificare il consun;10 degli • altri generi alimentari che rientrano nella «comida», cioé nel «mangiare» della servitù; tanto più difficile in quanto, come si è detto, operano nette distinzioni fra chi può disporre del cibo senza limitazioni (come i servitori maschi e madama Perona nella casa del marchese di Laconi) e chi, invece, come le serve, tali limitazioni subisce. Però la mancanza di limitazioni nel cibo sembra piuttosto da attribuirsi ad una specificità della casa del maréhese di Laconi che non alla normalità dei casi. Numerose testimonianze in contrario· conducono infatti à pensare che le razioni alimentari quotidiane fossero ben definite, sia nella qualità che nella quantità, da. norme consuetudinarie. L'Anonimo piemontese offre al proposito una assai utile testimonianza quando afferma che «fuori dal capellano il quale è ammesso alla tavola de' Padroni tutti li altri domestici sorio malamente tenuti per il vitto, e non si dà vino a nessuno (... )», e soprattutto quando, nella nota, continua: «la regola generale per il mantenimento de' domestici è di prendere cadauno una libra di carne al giorno che se la da o cotta o cruda, oltre la minestra, ed un pane che chiamasi di soldo che sarà una libra e mezza circa e meno ancor secondo il prezzo del grano» 56 • Più particolareggiati sono i dati forniti dalle liste del
54 Il calcolo della spesa trimestrale per pane (L. 72) e vino (:l,. 90), quale riportato nell'Estrato, fu effettuato sulla base di 90 giorni al trimestre. Per uniformità si è pertanto calcolato su 360 giorni annui il consumo della servitù, sia di pane (kg. 2304) che di vino·
(1. 3228,48). 55 Sommando le diverse voci dell'Estrato, si ottiene la cifra di 1.144 lire al trimestre. Nel calcolo si è considerata la spesa di 52 lire e 10 s~ldi per la frutta, di cui l' Estrato, riporta solo la spesa mensile di 17 lire e 10 soldi. La spesa per l'alimentazione quotidiana risulta dunque, nel 1799, pari a 12 lire e mezzo, mentre nel 1788 era calcolata in 11 lire giornaliere, pari a L. 4.026 annue: vedi nota 28. L'aumento dei prezzi negli undici anni che separanp il Dettaglio, dall' Estrato, si può calcolare p(;rcentualrriente nel 12%. 56 ANONIMO PIEMONTESE; Descrizione ... cit., p, 40 e nota.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIJJsXJX)
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marchese di San Filippo, conservate per la causa contro il cuoco che pur riferite agli anni 1834-1836, il carattere conservativo delle tradizioni ?om~stiche rende tuttavia fruibili come quadro paradigmatico anche per 11 s_ecolo-. precedente. Il marchese di San Filippo, intanto, fa una spesa ?1or~ahe~a specifica per la famiglia servile, senza distinguere fra maschi e femmme. La specificità riguarda invece; come è ovvio, i cibi per la tavola ed i cibi per la servitù: il pesce «per famiglia~> è distinto dal «pesce fino» ed anche dal «pesce ordinario»; i piedi di bue, l'.arengata, i cavoli e le cipolle hanno sempre una destinazione ben precisa· ve~so. le cucine; la minestra talvolta è specificamente acquistata per la famiglia, ma talvolta definita «per tutti»; la carne è, più spesso, c?me mostrano i prezzi, della stessa qualità per padroni e .servi, ma diversa ne è la preparazione, bollito e ai:rosto per padroni, «stufato» per la famiglia 57. A. ~o~ferma di quanto riferito dall'Anonimo, il. menù-ba~e per la serv1tu si compone dunque di una minestra, condita forse con strutto, olio o s~lsa di P?~odoro, di una pietanza abbondante, per lo più a base d1 carne, prn raramente di pesce, e di un contorno di verdure, scelte fra· le più saporite e ordinarie. Certamente quindi i servitori, sia ~ell~ casa Sorso, che nella casa Laconi, hanno diritto ad un pasto-base s1m1.le .a qu~ll~ des~r~ttò, a: di là ~el quale c'~ spazio, comunque, per o_gru tipo d1 hberahta. Cosi come 11 barone d1 Sorso elargisce .il vino ~1 ~er~ito~i :11-aschi, il marchèse di Laconi dà il vino e non pone lim1taz1oru a1 consumi dei suoi, probabilmente intendendo che questi possono aver accesso sia alle provviste (formaggio, uova, frutta ed altro), che agli avanzi della mensa padronale, cui le serve si devono ritenere escluse; Il pasto-base, cui tutti hanno diritto, ha, peraltro, un costo che va ad incidere sulla spesa . giornaliera al mercato della casa aristocratica . che impiega una folta schiera di persone di ,servizio. Sull'incidenza di tali costi è di guida il registro del barone di Sorso, la clii amministra~
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ASCA, R?', ~C, Qumterno_ delle pezze, passim. La _lista del 7 settembre 1835 riporta: «carn<: per bo~to. libbre 8, soldi 16; carne per stufato famiglia libbre 4, soldi 8; cippolla per guarrutura famig~ia'.>. La_ lista del 10 giugno 1835: «pesce· per tavola; pesce per la padrona; pes~e p_er la famiglia'. ~nestra famiglia». La lista del 10 dicembre 1834: «pesce fino; pesce ordmano; pesce famiglia; minestra per tutti».
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zio ne pare assai pm oculata di queila del marchese di Laconi. e, soprattutto, meno condizionata da implicazioni di tipo affettivo· C? .di riconoscenza nei confronti della sua ·servitù. La fonte attesta dunque che, mentre le serve ricevono sempre il pasto dal barone, i servitori maschi, a seconda delle circostanze e dei èasi particolari, possono abitare ed alimentarsi in casa propria. In tal caso ottengono, oltre al salario, una somma «poi: la comida» di circa 5 soldi al giorno, che èomprende, beninteso, anche il pane ed il vino 58 • Detraendo dai 5 soldi 1 soldo e 6 denari per il pane ed 1 soldo e 2 denari per il vino 59 , restano al servitore 2 soldi e 4 denari per l'acquisto di carne, pesce, verdure o altro. Essendo difficilmente ipotizzabile che a casa propria il servitore mangi meglio, o di più, di quanto faccia a casa del padrone, si deve necessariamente concludere che i 2 soldi e 4 denari costituiscono anche, grosso modo, il costo pro-capite giornaliero del pasto-base per la s·ervitù, quale si è precedentemente definito. Applicando questo dato, emerso dal registro del barone di Sorso, alle spese giornaliere «per la piazza» del marchese di Laconi, che alimenta costantemente 16 persone, risulta che la spesa specifica per la servitù costa al marchese circa 2 lire al giorno e che essa incide per 1/3 sulla spesa giornaliera totale, che ammonta a 6 lire. Con questo dato si possono dunque definire con migliore approssimazion1= anche i consumi dei «signori». '
I consumi dei «·signori». Conclusioni sulla spesa al mercato. - Il marchese di Laconi spende dunque 4 lire al · giorno per acquistare. la carne, il pesce, la pasta e le verdure che compariranno, dovutamente preparate, sulla sua mensa. Quanto alla qualità, la letteratura riconosce alle mense aristocratiche un forte consumo di carne, pollame e .selvaggina 60 , confermàto pienamente dalle liste ottocentesche del marchese di San Filippo, almeno per quanto riguarda èarne e pollame. · .
58 Mentre il cameriere percepisce «por la comida» 3 scudi al mes~, pari a 5 sa'ldi al giorno, sino al 1794 i domestici percepiscono 4 soldi e 7 denari. Dal 1795 vengono corrisposti 5 soldi ai servitori di ogni grado: Registro, 1795, passini. 59 Vedi tabelle allegate. 60 Vedi nota 40.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
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Dall'esame di tali liste emerge chiaramente che la base del pranzo è costituita da due piatti di carne, normalmente il bollito e l'arrosto, di cui uno sostituito da galline e pollastri più o meno a giorni alterni. La carne è acquistata nella misura di una libbra a testa anche in concomitanza col pollame. Il piatto-base della cena signorile è invece costituito dal pesce che, a giudicare dalla spesa, è acquistato nella misura di mezza libbra quotidiana pro-capite. A ciò si aggiunge la pasta (minestra, maccheroni, farro, semola, riso) e la verdura che vede ai primi posti patate, pomodori, insalate e verdure verdi, di consumo quotidiano, oltre che melanzane, zucche, zucchine, carote, carciofi, il cui acquisto è invece saltuario 61 • Dalle liste del marchese di San Filippo emerge inoltre un dato generale, che cioè la spesa per carne, pollame e pesce incide per circa il 60-70% sul totale quotidiano (calcolato escludendo i cibi espressamente destinati alla servitù), mentre il 30-40% è destinato all'acquisto di pasta, verdure e uova. Ridefinendo su questa base la spesa quotidiana del marchese di Laconi per la sua tavola si è calcolato che con circa 2 lire e mezzo sì potessero acquistare 3 · galline (a 7 soldi e mezzo l'una) e 9 libbre di carne (a 1 soldo e mezzo la libbra) per il pranzo e 5 libbre di pesce· (a 3 soldi la libbra) per la cena 62 ; e che con la lira e mezzo restante si acquistasse una quantità rilevante di pasta, uova e verdure. Tali dati sulla. spesa sono pienamente confermati da un appunto, già ricordato, del barone di Sorso. che, nel luglio 1794, essendo rimasto per undici giorni senza il cuoco, paga ad un tale Marcanton~o per <; dos platos diarios » una somma di 15 lire e tre soldi, vale a dire 1 lira e mezzo al giorno. Si tratta evidentemente delle due pietanze fondamentali del pranzo, che il marmittone di casa non è in grado di allestire nel modo dovuto. Questo appunto si presta ad ulteriori consid~razioni. Innanzitutto conferma che la base del pranzo è costituita da due piatti «importanti» per la loro preparazione. Conferma
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ASCA, RU, CC, Quinterno delle pezze, passim. Per i prezzi della carne e del pesce vedi le tariffe di cui alla nota 44. Per il prezzo delle galline Registro, clic. 1793: «pagado (... ) por 10 gallinas L. 3,15» e novembre 1795: «24 gallinas a real y medio la una (..,.) L. 9». · 62
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Marina Valdès
altresì che il barone di Sorso, la cui tavola è composta da ·quattro persone, spende in proporzione, e quindi consuma, più del march~se di Laconi, il che lascia pensare che questi, se le sue condizioni economiche lo permettessero, spenderebbe più di ·quanto faccia e che, quindi, ciò che spende è il· giusto necessario consentito àl suo rango ed alle sue abitudini.
Le provviste « da-farsi a tempo». - I consumi che si sono ipotizzati di carne, pesce, pollame, pasta e verdure costituiscono tuttavia soltanto una parte della dieta quotidiana, cui si deve aggiungere il pane, il vino, lo zucchero, . il caffé e quelle che il marchese di Laconi chiama «provvisioni da farsi a tempo», cioè le provviste di lardo, strutto, formaggio e frutta 63. Lardo e grasso trovano un largo impiego nella cucina aristocratica settecentesca. Il marchese di Laconi calcola un consumo di 1 libbra di lardo e 1 libbra di strutto («grassa») al giorno, escludendo specificamente dal calcolo la maggiore quantità necessaria per i pranzi straordinari o per le «impanate» 64• Il burro è ancora, pr~ticamente, ignorato e non può essere certo l'alto prezzo (14 soldi la libbra nel 1790) 65 a scoraggiarne l'acquisto; semplicemente non esiste ancora l'abitudine al consumo, tanto che un acquisto di «6 potes de mantequilla», fatto dalla marchesa di Soleminis nel giugno· 1795, appare del tutto eccezionale ed isolato 66 •. Oltre ai 4 etti di lardo ed ai 4 etti di strutto, il marchese di Laconi consuma giornalmente anche poco meno di un litro di olio
63 Tutti i dati relativi alle provviste del marchese di Laconi sono estrapolati- dall'Es/rato; se ne omette pertanto l'indicazione. · 64 Anche nel Registro, per il barone di Sorso compaiono acquis_ti straordinari di lardo: set. 1793 (62 libbre); giu. 1794 (96 libbre e mezzo); ago. 1794 (69 libbre); mag. 1795 (50 libbre di lardo e strutto); giu. 1795 (40 libbre). 65 ACC, Billetes para e/ amostassen, b. 305; voi. II (1784-94). Ancora nel 1812, scriveva ·FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... , p. 35, «Si manca di buoni buttiri, anzi si manca in generale di buttiro in Sardegna e si stenta a trovarne da comperare ... », attribuendo la scarsità del buno alla mancanza di allevamenti ordinati di bestiame, cui faceva eccezione la Tanca regia «ove se ne fa, e del buono assai» per l'uso della corte . 66 . Registl'o, cit.: sei vasi sono pagati 2 lire e 5 soldi: se ne ·deduce un acquisto di circa 3 libbre.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
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«per cucina, i giorni magri, vinagriera e la quadragesima», che mostra come il consumo di olio sia principalmente legato alla cucina « di magro» 67 • Il formaggio entra in larga misura nella dieta aristocratica. Oltre al formaggio pecorino, il cui consumo si deve ipotizzare per quanto, provenendo dai feudi, non compaia fra le spese dei feudatari, si consuma una gran quantità di fontina, «pisentino>> e griviera, che il marchese di Laconi calcola, per uso di tavola e di cucina, in . una libbra al giorno 68. La frutta è il complemento essenziale della mensa aristocratica e a base di frutta sono i cinque piatti che costituiscono il secondo ed ultimo servizio della tavola del marchese di Laconi. I documenti a nostra disposizione riferiscono in particolare di arance, porto galli (o arance dolci di Cina), cedri, limoni, pere e mele e, nell'inverno, di «dolci frutti sechi», uva passa, noci, nocciole e mandorle; vanno tuttavia integrati con la vasta gamma di frutti prodotti nell'isola (nespole, albicocche, susine, pesche, meloni, fichi, uva) che il mercato e i frutteti offrivano e che sono menzionati dalla letteratura per la loro ottima qualità 69 •
67 Il calcolo è fatto sulla base del prezzo deÙ·' olio nel 1792 di 11 _ reali la quartana (corripondente a I. 4,204) e della spesa del marchese di 50 lire trimestrali: ne risulta un consumo mensile di 6 quartane pari a I. 25,224. Per il prezzo dell'olio v. ACC, Billetes para el amostassen, b. 305, voi. II. I consumi di olio del barone di Sorso non sono calcolabili ·in quanto· esso veniva prodotto in· Sorso e da lì inviato al barone che in parte lo vendeva o regalava: Registro, lug. 1794: «pagado 3: dos bastajes de la Marina para vaziar y medir ert casa la cuba del azeite. (... ), traer dos barriles de casa Zapata que eran mios y llevar otros dos barriles a casa Vodret que se lo he vendido por tener de sobre». · 68 A giudicare dal prezzo, 2 soldi e mezzo per libbra, il formaggio ~cquistato dal marchese di Laconi non è di qualità eccellente.. Fra le spese del barone di Sorso compaiono, seppure raramente, la voce «griviera» (Registro, gen. e mar. 1794) e la- voce «pisentino» (ibid., gen. 1793 e mar. 1796), ma il loro prezzo è di 12 soldi la libbra. · 69 Sulle diyerse colture praticate in Sardegna nel secolo XVIII cfr. F. CHERCHI PABA, Evol11zione storica dell'attività ind11stòale, agricola, caccia e pesca in Sardegna, Cagliari 1977, III, · pp. 190-248 che cita (p. 236) anche l'agrumeto di 240 alberi del barone di Sorso. Sul consumo di frutta e insalata v. anche FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., pp. 135-137.
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Si deve sottolineare che mai è considerata la .voce «legumi», il cui consumo sembra destinato esclusivamente ai periodi di grandi difficoltà economiche 70 • Fra le provviste si possono inserire anche quelle di zucchero e caffé, di cui si fa uso sia nell'ordinario che nello straordinario. Qualità e prezzi sorto adeguatamente differenziati a seconda dell'uso, cosicché, se lo zucchero comune si usa anche per fare le marmellate, per fare i dolci si usa «assucar bueno» e per i rinfreschi si acquista di qualità ancora migliore. Così il caffé comune si paga 10 soldi la libbra, ma anche il .doppio e addirittura il quadruplo, ben 2 lire la libbra, se deve essere offerto 71 • Per quanto riguarda il loro consumo quotidiano, da riferirsi principalmente al fatto che «per collazione i Signori prendono caffé senza latte» 72 , l'«Estrato» dell'archivio Aymerich riferisce: «per mezza libbra caffé e mezza zuchero che si consigna a V(icen)ta ed altra detta a donna Anna Maria ogni quattro giorni uno coll'altro ... fanno per trimestre lire 33». Il marchese di Laconi, dunque, consuma mezza libbra di caffé e mezza libbra di zucchero ogni quattro giorni, cioè, al giorno, 50 grammi dell'uno e dell'altro. Altrettanto caffé il marchese dà a donna Anna Maria (sua figlia o sua sorella?), il che mostra come zucchero e caffé siano considerati prodotti di pregio. Cosicché non deve meravigliare se il quantitativo giornaliero di zucchero e .caffé per la casa (che poi corrisponde ad una spesa di 7 soldi · che, è pur vero, è il prezzo di una gallina, ma è tuttavia ben poca
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
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cosa rispetto alle spese del marchese di Laconi!), è affidato espressamente alla ·responsabilità della balia Vincenza, che ne garantisce l'uso oculato con il .suo ultratrentennale fedele servizio. La cioccolata sembra essere, invece, un genere di.uso saltuario: compare nel bilancio fatto dagli arbitri nel 1788 in misura di 6 once al giorno (circa 200 grammi) 73, ma non risulta più nell'«Estrato» poiché si tratta, evidentemente, di un consumo cui non costa troppo rinunciare. Anche nel registro del barone di Sorso compare solo in occasioni particolari 74• Pane e vino per la tavola. - Il consumo di vino necessita di una più accurata analisi. Il marchese di Laèoni non dà al vino grande evidenza e' dall' Estrato risulta semplicemente che per il pane ed il vino per la tavola si spendono ogni giorno 18 soldi e mezzo, senz'altra specificazione. Il barone di Sorso sembra essere, inwece, un intenditore e compra il vino a Quartu, dal signor Perra Tranci, pagandolo 3 soldi più della tariffa fissata per Cagliari 75 • Nel 1793 ne acquista 378 quartare e mezzo (litri 1.697); nel 1794 400 quartare (1. 1.794); nel 1795 402 quartare (1. 1.803); nel 1796 322 quartare e mezzo (1. 1.446) 76 • Il consumo giornaliero corrisponderebbe dunque ·a circa 4 litri e mezzo nel '93, 5 litri nel '94 e nel '95, 4 litri nel '96, se non si dovessero considerare i consumi dei servitori, che dovrebbero ammontare a circa il 45% del totale. Per la tavola del barone di Sorso resterebbero più o meno 2 litri e mezzo di vino al giorno. Poiché l'uso di pere vino da parte delle donne .non é sufficientemente. testimoniato, ma anzi, . come afferma 1'Anonimo, «li Uomini bevono vino ma le Donne poco,
70
Nella nota opera di A. MANCA DELL'ARCA, Agricoltura in Sardegna, Napoli 1780, pubblicata in stralcio in La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra, a ·cura di C. SOLE, Cagliari 1967, pp. 121-130, è condensato tutto il sapere dell'epoca sui legumi: la fava è un legume.che «quando è fresco è cibo di nobili e plebei: poi secco è il comune companatico dei faticanti, spezialmente di quelli che lavorano la terra, ma è riputato nutrimento grosso per quelli assueffatti alla vita civile ed arti liberali»; «non si conosce legume più sano del cece, perché sendo caldo ed umido accresce il sangue>>; «i fagioli secchi accomodati e cotti son cìbo grato, ma per la sua fumosità generano vento nel corpo, ed essendo di forte nutrimento sono ottimi per faticanti»; «malgrado le opinioni di molti, che dicono essere la lente cibo nocivo allo stomaco, cagionando sonni spaventevoli, altri autori son di contrario sentimento, anzi asseriscono che è cibo grato e salutevole. a' biliosi, e a quelli abbondanti di sangue>); vedi anche FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., pp. 135 e 137. . 71 Prezzi differenti dello zucchero e del caffé nel Registro, lug. e set. 1_792, apr. 1793, giu. 1794. 72 FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., p. 137.
73
Vedi nota 29. Registro, dic. 1792, feb. e giu. 1793. Si segnala. tuttavia che il fornitore della cioccolata, cera e spezie è il droghiere Vodret, espressamente indicato nel dicembre 1792 e nel giugno 1793. A questi, successivamente, sono saldati debiti di più mesi: L. 167,8,2 nel luglio 1794 per forniture da agosto '92 ad aprile '94; L. 133,15,6 nel maggio 1795 per forniture effettuate da maggio '94 a gennaio '95; L. 148,1 nel dicembre 1795 per forniture di tutto l'anno. Si tratta di cifre. considerevoli, sotto le quali restano sicuramente occultati alcuni generi che interessano questa ricerca. 75 Registro, c. 171: «a 3 suelqos mas · de la: tassa de la Ciudad (... ) puesto en casa a sus gastos y ·dandole yo la franquesa del derecho»; vedi la n. 52. 76 Registro, cc. 171 e seguenti. 74
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e molte niente» 77 , si può ritenere che il quantitativo detto fosse quasi totalmente destinato al consumo del barone di Sorso e di suo frat~llo Carlino. Per analogia potremmo ritenere che alla tavola del marchese di L::i,èoni il vino sia destinato esclusivamente al· marchese, ai suoi tre figli maschi ed al cappellano, che essi bevl:lno con moderazione, consumando non più di un quartiere di vino al giorno, della stessa qualità e prezzo, 10 soldi il quartiere, di queilo fornito ai servitori, e che, a· giudicare dal prezzo, non è certo il migliore. Se· così fosse, detraendo per il vino 10 soldi dai 18 e mezzo cumulativi per pane e vino, la spesa per il pane ammonterebbe a 8 soldi e mezzo, vale a dire circa 1 soldo a testa. A confronto, nel registro del barone di Sorso i dati sul consumo di pane sono di assai complessa lettura, per le difficoltà obbiettive di calcolare esattamente il numero dei commensali e dei servitori, sempre in continua variazione. Vi è tuttavia un periodo, che va dall'ottobre '94 al marzo '95, che mostra un'inusitata stabilità e può essere dunque assunto come esemplare. In questo periodo il pane, il cui prezzo è di 1 soldo per libbra, si acquista per 7-8 persone (4 padroni e 3 o 4 servitori) in ragione di 7 soldi al giorno, che vengono pagati alla «panadera» a mesi anticipati, tenendo conto esattamente del numero dei giorni del mese successivo. A ciascuno spetta dunque una libbra di pane al giorno. La meticolosità del calcolo, così evidente in questo periodo, mostra la precisa attuazione d1 una norma sottesa, e sottintesa, che evidentemente . assegna a ciascuno 1 libbra di pane al giorno. E· meraviglia non poco la razionalità che sovrintende alla distribuzione del pane, in congiuntura, soprattutto, con un consumo di cibo che non conosce analoghi lÙniti: è come se tutto si potesse sprecare, ma non il pane, la cui misura è, quindi, rigidamente calcolatata. Una conferma di ciò ·è data da un appunto del marchese di Laconi circa i risparmi possibili: <<Risparmio di pane per le visite straordinarie di donne che frequentemente mangiano in casa, fattori particolari e uomini di comandamento delle ville (... ) Risparmio di pane e vh10 delle persone che non invitate
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ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., p. 40.
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favoriscono di venire a pranzo in casa con far sentire che vadino a casa loro» 78 • Il passo rende evidente che la presenza di una persona ìn più a pranzo non incide sul cibo, che basta c:omunque, ma richiede un supplemento di pane e vino, implicando un costo ulteriore, in quanto sia il pane che il vino sono misurati. Autoconsumo e doni . .- Finora si è fatto solo un rrummo accenno a tutti quei generi alimentari che provengono dai feudi o' dalle proprietà private dei feudatari stessi, che· pure meritano un'adeguata valutazione in quanto costituiscono un aspetto non marginale dei consumi signorili. In particolare si devono cònsiderare i «diritti reali», pagati m natura in proporzione alla «res» dei vassalli: il diritto di grano e orzo («llaor» di corte, «portadia»), il diritto di vitella, il «<leghino» delle pecore, dei porci, delle capre e il diritto di formaggio. A questi si deve aggiungere _il cosiddetto «diritto di gallina» che, pur essendo un diritto personale spettante ai vassalli ammogliati, che lo pagano in denaro, da parte dei pastori, dei porcari e dei caprari è pagato con un agnello, un porchetto o un capretto all'anno 79 • Molti di tali prodotti, esatti in natura, vengono venduti nei mercati, . oppure vanno ad incrementare gli allevamenti privati dei feudatari; in parte però vengono consumati, andando ad accrescere i consumi alimentari delle mense aristocratiche. Porchetti, capretti, agnelli e formaggio giungono ip abbondanza sulle mense cagliaritane e con pari dovizia giunge la selvaggina, di cui i boschi sono ricchissimi e su cui il feudatario può avere il diritto giurisdizionale delle cosiddette «cassas privada.s» 80 ,. senza contare, poi, che la caccia è lo sport d'elezione dell'aristocrazia 81 •
.. 78
A. A YMERICH, b. 5. VII. 6. Si veda in particolar modo la Denuncia del marchesato di Laconi in. AYMERICH; b. 5. III, · redatta in occa~ione del riscatto del feudo (1839), che elenca i· diversi diritti spettanti al feudatario, c·on osservàzioni di questi e del Consiglio comunitativo. 80 Dalla Denuncia, di cui alla nota precedente, risulta che il marchese di Laconi manteneva, ancora nel 1839, il diritto di proibire la caccia grossa in sette :salti.· 81 F. CHERCHI PABA, Evoluzione ... cit., p. 329: «I bracchi erano allevati nelle case feudali per la caccia dei nobili Signori che ne possedevano a mute anche di varie decine, come il feudatariò di Thiesi e il marchese di Laconi». · 79
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Un riflesso di tutto ciò si può vedere nel registro del barone .di Sorso quando la marchesa di Soleminis fornisce direttamente il grano, che non ha comprato, alla «panadera», cui paga la sola confezione del pane 82 o quando; stando a Soleminis, dà la mancia a chi le ha portato una vitella 83 • I prodotti delle proprietà private e degli allevamenti dei feudatari giungano pure sulle mense aristocratiche cagliaritane. Il barone di Sorso, per esempio, che possiede oliveti e agrumeti, riceve frequentemente dal suo amministratore sassarese olio e agrumi, oltreché formaggio, frutta (in particolare pere e mele), aceto e uva passa,· come risulta dalie note apposte alle spese per il trasporto e per lo scaricamento 84. I regali completano questo panorama, per q~anto la loro misura sia .di difficile definizione. La marchesa di Soleminis a11nota le mance date a chi le ha portato porchetti e muflone o, genericamente, i regali da Tonara e da ~oleminis 85 o ancora la spesa per i «mustaccioli» con cui ha ricambiato una torta pasqualina e le tortore 86 • Le annotazioni sono certamente episodiche, ma. rispecchiano la punta emergente di un fenomeno di ampia diffusione che spiega bene il perché delle visite frequenti di donne, fattori e vassalli, ricordate dal marchese di Laconi in un'annotazione poco sopra riportata 87 • Sembra ovvio pensare che si tratti di uomini e di donne che, venuti dai feudi non a mani vuote, ricevono in cambio non mance, ma. da mang~are insieme alla servitù.
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Registro, set.-dic. 1792. Ibid., gen. 1794. Ibid., nov. 1792; mag. e Jug. 1793; giu., lug. e clic. 1794; mar. 1795; gen. 1796. Si
riporta come esempio l'annotazione del dicembre 1794: «pagado a 4 bastajes por porte del Muelle a casa de los agtios, queso, fructa, passas y ·vinagre que Camilla me ha imbiado ·con un barco corso». 85 Ibid., ago. e clic. 1793. 86 Ibid., nov. 1792: «por una escatoia de mostachoies a quien me ha regalado la mona y las tortoras ( ... ) L. 20». La spesa ingente, che corrisponde all'acquisto di circa 105 mustaccioli (nel luglio precedente 15 .dozzine erano state pagate L. 35), mostra bene l'entità del regalo ricevuto. 87 Cfr. Den11ncia del 111archesato di .Laconi, citata alla nota 79.
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3. Spese straordinarie per occasioni particolari. I ricevimenti serali. - Quanto si è detto finora riguarda i consumi .quotidiani ordinari di famiglie aristocratiche per le quali è regola non avere estranei a tavola, se non eccezionalmente. Questa norma è espressa più volte dal marchese di Laconi, che ritiene del tutto straordinaria la presenza di ospiti alla sua tavola, ma è pure colta dai forestieri che la notano come stranezza. Scrive infatti l'Anonimo piemontese con grande immediatezza: «Non è costume della Nobiltà sarda il far conviti nemmeno l'invitarsi famigliarmente a pranzo, il che di rado accade anche fra li Parenti più prossimi. Sì li cavalieri che le Dame vanno in Casa de' Piemontesi essendo invitati, ma non rendono ad essi la pariglia scusandosi non avere cuoco per poterli ben trattare. Il fatto però stà che non sono sul piede di dar a mangiare» 88 • Il motivo della scarsa ospitalità dell'aristocrazia cittadina ilon può essere certo la mancanza di cuochi, ché sarebbe una falsità, né, tanto meno, la mancanza di mezzi. È da attribuirsi inyece alla scarsa possibilità di tessere rapporti sociali di rango esterni alla casta aristocratica cagliaritana. Cagliari, destinata all'isolamento dalla geografia e dal suo essere innanzi tutto piazzaforte, prima che capitale di un regno, seppure senza re, non è certo favorita negli scambi sociali. I forestieri che possano avere accesso ad una casa aristocratica, benchè ben accetti (così dice l'Anonimo, aggiungendo: « soprattutto alle Dame») 89 sono ancora una rarità, rappre" sentata dai nobili ufficiali piemontesi; l'entroterra è privo di risorse adeguate, Sassari e Oristano, dove pure allignano nuclei di aristocrazia feudale, sono lontane. Le scarse opportunità generano l'abitudine a non· invitare ed a risolvere i rapporti sociali all'interno del pur ampio parentado che raccoglie, a diversi livelli, tutta l'aristocrazia feudale cittadina. «Mostrarsi» a tavola diventa pertanto inutile e superfluo; più divertenti le conversazioni ed i giochi serali con i parenti stretti, mentre le visite che le dame si scambiano vicendevolmente appagano ed esauriscono il desiderio di frequentazioni sociali più allargate.
88 ANONIMO PIEMONTESE, 89
Ibid., p. 44.
Descrizione ... cit., p. 40.
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Sono queste «v1s1te» a costituire le occasioni mondane più frequenti ed ambite, in cui la padrona di casa può mostrare tuttç> . il suo savoir-faire anche nell'allestimento del «rinfresco» a base di biscotti, sorbetti, vini e liquori. La felice penna dell'Anonimo descrive così i ricevimenti delle dame: «Delle conversazioni di visita ve ne sono di più specie: cioé )e ordinarie, e quelle che diconsi di cara.pigna», continuando nella nota: «Di~onsi conversazioni di carapigna perché servono sorbetti (e) biscottini. Queste sono di molta spesa attesa la straordinaria quantità de' medesimi che vi .vuole non solo per motivo del grande concorso che per l'avidi~à della nazione per il dolce. Vi sono chi prende sino dodeci tazze di sorbetti avendo io veduto prenderne da una persona sola quindic:i in una sera. Questi sorbetti sono di limone latte d'amandole, e canella, e sono molto dolci. Li biscottini e dolci si servono in gran bacile ed in un batter d'occhio sono vuote» 90 • Il registro del barone di Sorso riporta frequenti acquisti di sorbetti · e liquori, zucchero, caffé e cioccolata per tali ricevimèriti, occasionati principalmente dai ritorni a Cagliari sia del barone che della marchesa, che soggiorna frequentemente nei· suoi feudi 91 • Così il ritorno della marchesa da Soleminis corrisponde, nell'aprile 1793, all'acquisto di caffé (a 2 lire la libbra) e di zucchero (a 18 soldi la libbra); nel giugno '94 si acquistano 60 vasi di sorbetto «para esta noche que llegò Esperansa de Serdiana», insieme a 24 libbre di caffé di Levante, 50 bottiglie di vino e 8 bottiglie di vino di Malaga; nel settembre dello stesso anno, tornata la marchesa da Sinnai, si acquistano 6 bottiglie di rosolio di Corfù e 60 vasi del solito sorbetto che il «caffettero» ha provvisto, appunto, «por la venida de Esperansa». Il ritorno del barone da Torino, nell'agosto 1793, concide con l'acquisto di ben 200 vasi di sorbetto. Non manca anche la testimonianza di un rinfa;esco
90 lbid., pp. 43-44 e nota (a). È interessante tutto il capo VII, pp. 34-47, del volume, dedicato .alle abitudini della nobiltà sarda, osservata çon divertita curiosità dall'Autore, e l'Introduzione di F. MANCONI, pp. XIII-XXVI, sulla fori;nazione culturale dell'anonimo ufficiale piemontese. 91 Alcune annotazioni sui vantaggi provenienti ai feudatari dal soggiorno nei feudi in ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., pp. 46-47; vedi anche AYMERICH, Denuncia dc/. 1JJarchcsato di Laconi ... cit., a proposito del «viaggio di corte», cui erano tenuti i vassalli proprietari di gioghi di buoi o di cavalli.
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offerto prima .di una partenza, quella di Speranza per Soleminis nel dicembre '92, cui si deve attribuire la spesa di ben 52 lire per l'acquisto di zucchero, caffé, cioccolata, nocciole, torroni di Alicante e ordinari, rosolio. Anche gli onomastici sono festeggiati con rinfreschi. Certamente lo è quello di Teresa il 15 ottobre 1793, per cui si acquistano 60 vasi di sorbetto dal confetturiere del viceré 92 ; probabilmente è da ascrivere all'onomastico del barone (19 marzo) l'acquisto di 2 ampolle di rosolio e di «platos que han hecho las monjas» nel marzo 1794, in cui viene pure acquistata una quantità di· uova veramente straordinaria (oltre· 100) 93 , · evidentemente per farne dolci e biscotti. I piatti fatti dalle suore ricorrono spesso nel· registro del barone di Sorso, senza che se ne specifichi il contenuto: si acquistano in diverse occasioni e si regalano al barone di Samatzai e alla casa Zapata 94• Per tale motivo soprattutto, si può ritenere che si tratti di dolci, confezionati dalle monache del convento della Purissima, ricordato nel registro per i «mustaccioli» acquistati nel luglio '92, o dalle suore del convento di Santa Lucia pure menzionato per aver fornito non dolci, ma «panesillos y cocois» doé panini e piccole paste dure 95 •
Gite campestri. - I piatti delle suore sono pure portati ad un pranzo alla «Escafa» nel febbraio 1794. Organizzato, forse, per festeggiare l'anniversario di matrimonio del barone e della marchesa o, più semplicemente per il Carnevale, il pranzo alla Scaffa, che indica la zona litoranea della laguna di ~anta Gilla 96 , è l'unica testimonianza documentale dell'abitudine della nobiltà cagliaritana di fare «certe partite 92
Il numero dei vasi acquistati non è riportato. dalla fonte, ma è desumibile dalla spesa di L. 8, omologa a quella del giugnp e del settembre 1794, in cui pure si specifica che ogni vaso costa 2 soldi e mezzo e che per la distribuzione del sorbetto si danno al mozzo 10 soldi. 93 Secondo la tariffa fissata nel 1794 (col pregane citato alla n. 44), le uova fresche erano vendute al mercato al prezzo di 8 denari il paio. Con la somma di L. 2,1,6 pagata all'abituale fornitore di pollame, t~le Nicola Sequi, se ne sarebbero acquistate 124; 94 Registro, giu. 1793 ·e feb. 1794. 95 Ibid., ago. 1794. L'ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ;.. cit., p. 147, afferma che il monastero di S. Lucia «porta il vanto sovra tutti li altri per li confetti, e specialmente . Mostacioli». 96 Prende il nome dai ponti di barche gettati sulle b~cche della laguna per consentire il passaggio per via di tetta da Cagliari verso il sud-ovest dell'Isola. ·
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Marina Valdès
di campagna d'andar a pranzo in compagnia in un vicino villaggio, 97 0 in una vigna» riferita da Francesco d' Austria-:Este • La marchesl;l di Soleminis possiede, nella laguna di Santa Gilla, l'isoletta di San Simone, più nota come «sa illetta», con un'antica casa di campagna, s~ppure in abbandono, ed una piccola chiesa campestre 98 • È questa, con ogni probabilità, la meta della «scampagnata». Dispiace non avere il menù del pranzo; ma, al di là delle spese straordinarie per galline, uova, vernaccia, rosolio, carne, salsiccia, pane e i detti piatti delle suore, spese indicative ma non particolarmente rilevanti, si può tuttavia notare, per quel mese, una· spesa ordinaria per la cucina ben al di sopra della media annuale. È in quella spesa che rientra infatti questo pranzo, preparato nella cucina di Cagliari e portato alla Scaffa, come è espressamente indicato nel registro, da un facchino 99 • Feste familiari. - Se le occasioni sociali sono ben testimoniate dal Registro, assai meno lo· sono le feste familiari, di cui restano solo labili tracce. Qualche indizio si può ricavare dall'osservazione delle spese straordinarie dei mesi di novembre degli anni 1792, 1793 e 1795. Nel 1792 si registra il dono di una torta pasqualina e di un numero _considerevole di tortore 100, nel 1793 un acquisto consistente di polli e uova 101 ;
FRANCEsèo D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., p. 143. Dal punto di vista giuridico non è chiaro chi, nel 1794, detenesse il possesso dell'isola .di San Simone. Essa era infatti di proprietà del marchese di Conquistas, Francesco Maria Vico Amat, zio della marchesa di Soleminis, che risiedeva però a Torino, in quanto Gentiluomo. di Camera del re e Reggente di cappa e spada nel Supremo Consiglio di Sardegna: AMAT, Titoli, nn. 56-58. Il marchese di Conquistas nel 1783 (AMAT, Testamenti, n. 41) aveva nominato suo erede universale Pietro Amat Vico, figlio della marchesa di Soleminis. Morto Pietro ·nel 1789, il marchese di Conquistas modificherà, nel 1796, il proprio testamento, nominando suo erede universale, genericamente, il portatore del titolo di màrchese di Soleminis, in capo allora a Speranza Vico. Data la situazione generale, è verosimile c~e 111 marclìesa di Soleminis, che ne acquisterà la proprietà ·alla morte dello zio nel 1801, avesse l'isola almeno in. usò. Sull'isola di San Simone come meta di gite, cfr. M. VALDÈS, L'isola di San Si111one nella laguna di S. Gilla, in <<Archivio storico sardo», XXXV (1986), p. 211. 99 Registro, feb. 1794: «al bastaje que ha llevado el pranzo ala Escafa (... ) L. 1,2,6». 100 Vedi nota 86. 101 Registro, nov. 1793: «A Nicolas Sequi por pollos y guevos (... ) L. 7, 10». Il prezzo pagato, a paragone -con la spesa di L. 3,15 per 10 galline fatta il mese successivo, rivela appunto uh acquisto considerevole di polli e uova. 97
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colpisce maggiormente, soprattutto perché avviene in un momento di crisi economica, l'àcquisto, nel novembre 1795, di 24 galline e di «macarrones de Napoles» che indica, evidentemente, un pranzo foori dall'ordinario. Le ipotesi possibili sono diverse: si festeggia la ricorrenza dei Santi o l'onomastico di Carlino o, se il regalo delle tortore è significativo, qualche ricorrenza riguardante la marchesa; da escludere è il compleanno del barone, che nel '92 si trova a Torino e nel '95 a Sassari. Nel periodo considerato nel registro, poi, nella casa del barone di Sorso non si celebrano matrimoni e, dei battesimi dei tre figli di Bebia nati nel periodo, resta un esplicito riferimento solo all'ultimo, quello del futuro cardinale Luigi. Amat,. del giugno '96, che però, a causa delle ristrettezze economiche, comporta l'acquisto di sole poche libbre di biscotti 102. Feste tradizionali. - Le festè tradizionali non trovano l'attesa corrispondenza nelle spese straordinarie. Al · Natale non corrispondono mai spese di rilievo, anzi, come evidenziano le tabelle allegate, il mese di dicembre è sempre al di sotto della media annuale, se si esclude il 1792 in cui compaiono spese ingenti, ma attdbuibili ad un rinfresco 103 • La Pasqua è altrettanto, se non maggiormente, ignorata·: nel marzo del '93 si comprano 6 libbre di formaggio piacentino; nel marzo del '96 non si acquista nulla del tutto e solo nell'aprile del '95 è testimoniato l'acquisto di oltre 45 libbre di prosciutto di Napoli e di 4 libbre di salame crudo, acquisto da ritenersi, peraltro, occasionale, in quanto fatto dal cuoco in un bastimento 104•
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Registro, giu. 1796: «biscochos por el batteo de Bebia (...) L. 2,10». Si può ipotizzare un acquisto di 7 libbre di biscotti confrontando questa la spesa con quelle per biscotti fatte nell'ottobre e nel novembre 1792, in cui vengono acquistati a circa sette soldi la libbra. Una biografia: del cardinale Luigi Amat di San Filippo è in G. TANTILLO, Amai di San Filippo e Sorso Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 666-668. 103 Si collega a quanto detto in precedenza sulle feste familiari. 104 Registro, apr. 1795: il costo, specificato, di sei soldi la libbra per il prosciutto e 10 soldi la lìbbra per il salame, mostra il più alto prezzo del salame, da attribuirsi al maggiore costo di lavorazione.
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Ma~ina Valdès
Tale carenza del registro è comunque facilmente comprensibile .. Le feste tradizionali prevedono il pranzo e questo dovrebbe incidere· sul.le spese ordinarie della cucina. Sè non incide in modo evidente, come di fatto accade, ciò si deve alla messe di doni o all'esazione di diritti feudali in natura in coincidenza con la fine dell'anno e con la Pasqua. Sono attestati invece,. fra il Natale e la Quaresima, in coincidenza con il Carnevale, acquisti di nocciole, mandorle e noci in quantità così ingenti da escluderne un consumo solo familiare' 105 • Alla Quaresima riportano poi i «moguillos», i muggini affumicati provenienti dalle peschiere dell'Oristanese, acquistati dal barone di Sorso nel marzo del 1794 106 •
Il viaggio. ~ Un capitolo a parte. meriterebbero i c~bi acquistati o confezionati in casa, da portare in viaggio o nei luoghi di destinazione, perché indicativi di una mentalità tipicamente isolana. Il viaggio del barone di Sorso per Torino, iniziato nell'agosto del 1792, è quello che richiede i maggiori preparativi. Dal mese prece. dente hanno inizio gli acquisti: 15 dozzine di <<mustaccioli» dalle suore della Purissima; 24 libbre di zucchero «b~eno por dulzes para Pepi», che avranno reso non meno di 20 chilogrammi di pasta frolla; 60 · libbre «de pasta para P~pi» e 24 libbre della stessa pasta da regalare a Luigi, il fratello del barone che risiede già a Torino 101 •· In
105 Registro, dic. 1792: 32 «selemines» (= litri 148) di nocciole; dicembre 1794: 20 imbuti (= litri 63) dÌ nocciole; gennaio 1796: 12 «selemines» (= litri 55,5) di nocciole; febbraio 1796: 12 «selemines» di mandorle e noci. Il selemin è misura iberica di capacità per aridi e- corrisponde a 1. 4,625. L'imbuto è invece una misura sarda di capacità per aridi e corrisponde a 1. 3,156: A. MARTINr; Man11ale .... cit., p. 322 e p. 122. 106 F. CHERCHI PABA, Evol11zio,;e ... cit., p. 340:. «Dopo Natale il muggine pescato nelle peschiere isolane veniva affumicato per la prodhzione del famoso «mugheddu saliu» da «mugellus» latino. Il- pesce così affumicato veniva largamente. richiesto in quaresiina, specie dagli ordini religiosi». La bottarga, altro prodotto di peschiera, è acquistata dal barone di Sorso due volte: 4 libbre nell'agosto_ 1795 e 6 libbre nell'ottobre dello stesso anno al prezzo, considerevole, di 15 soldi la libbra: Registro, ago. e ott. 1795. 101 Registro, lug. 1792. La spesa per i mustaccioli è di L.. 35 (ogni mustacciolo costa dunque 3 soldi e 10 denari). Lo zucchero buono per dolci è pagato 17 soldi la libbra. Quanto alla quantità ed al prezzo della pasta, la fonte riporta: «2 escatolas de pasta para Pepi (...) L. 15; 24 lls. de ditas pastas para Luis (... ) L. 6», da cui si deduce che per Pepi furono acquistate 60 libbre di pasta al prezzo di 5 soldi la libbra. «Paste per minestre» si trovano anche nell'elenco delle provviste di Cristina Aymerich, di cui alla p. 23.
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVI,II-XIX)
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a?osto si d_efin_isco~q le pr~vviste con acquisti di portogalli ~<para el viage para ·Pepi», di pane biscottato e di quantità inusuali di zucchero e caffé 108 • J?al canto suo la marchesa si reca nei suoi feudi con provviste varie: zucchero e caffé, «panesillos y cocois» fatti dalle monache di S. Lucia~ lardo e strutto, mentre il barone, partendo per Sassari nel maggio 1795, porta con sé 4 galline 109. · · Tutto ciò è niente se paragonato ·con le provviste fatte dal giovane marchese di _L~coni, Ignazio Aymerich Ripoll 110, nel giugno 1832 per la sorella Cristina che parte per Genova. L'elenco delle mercanzie non solo rende una immagine immediata della nave stipata di provviste, non solo amplia il quadro dei cibi « da viaggio» e delle tecniche della conservazione dei prodotti alimentari, ma fa meditare sull'uso invete:ato ~ei sar~i di passare il mare con una buona scorta di prodotti 1solan1, quasi un filo della memoria che lega alla sua· ter_ra chi viene trasportato, suo malgrado, nel «continente». L'elenco, di spessore tale da non necessitare di ulteriori commenti, riporta: · «s~rutto, !ardo: chambon, capperi, bottarga, limone, portogalli, verdura, pomidoro s~cchi, fagg10lettt, zucchette, Iattughe cappuccie, ciriegie ed altre frutte, cibo per la v1te~a, cru~ca per _le galline a _bordo e collocare le uova, pollastri, paste per minestre, buttlro, oli:'e,_ arcm~h.e, garofani ed aromati per lo scabeccio 11 \ vino bianco, pesci per scabecctare, ~erruc1, aceto, oglio d'olive, farina, vino nero, carne, semola, polenta, f~rro, ov~, ova di tonno; pane, .gallette, griviera, piacentino, _formaggio sardo, salame, riso, caffe, z~cc_her~, paste fine da minestra, spese per fare a scabeccio le pernici (._.. ) due bottiglie di Malaga, una bottiglia di rosolio, una di rum (... ) corda per la vitella a bordo, sale pesto, dolci diversi, biscottini» 11 2, ·
E pensare che la destinazione è Genova!
· · due successivi acquisti di zucchero: 10 libbre .108 R egzs. t ro, ago. 1792 : v1· sono riportati pnt~~/ e zucchero e caffé .poi, in misura non specificata e per la spesa globale di 6 lire e 5 soldi. Ibid,, gen. 1793, ago. 1794, mag. 1795. 110 • Su Ignazio 4ymerich Ripoll (1808-1881), una -delle figure. più eminenti nella storia politica ed.economica della Sardegna ottocentesca, senatore nel ·1848, cfr. G. SORGIA, Aymerich Ig~~}io,_ in Dizionario biiJ~rafico degl~ I~aliani, IV, Roma 1962, p. 732. · S1 tratta della marinatura cm s1 sottopongono i pesci, principalmente, e le pernici. Il ter~ne d_eriva dal catalano «escabetx»: F. ALZIATOR, La città del sole, Cagliari 1963, p. 279. AYMERICH, b. 28, I, 146. Il documento teca la data del 19 giu. 1832.
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Marina Valdès
Riepilogo. - La nostra aristocrazia cagliaritana settecentes·ca è f()rtemente connotata dall'eccesso nei consumi alimentari. Dosi massic<:=e di carni, pollame, frutta e verdure rientrano nella dieta-base giornaliera, che prevede altresì il pesce, la pasta, il formaggio, il pane ed il vino. Le preparazioni alimentari, assai eleborate, richiedono per la cottura una grande quantità di grassi animali (lardo e strutto in particolare), mentre l'olio d'oÌiva è utilizzato piuttosto nei giorni «di magro» e ordinariamente per il condimento delle insalate. Tale abbondanza di grassi sembra ridursi nell'Ottocento, quando bolliti e arrosti sembrano prendere il sopravvento sulle preparazioni in tegame. Il pranzo e la cena sono i pasti fondamentali della giornata, ma gli extra sono all'ordine del giorno, specialmente nei mesi estivi, in cui si consuma abitualmente una gran quantità di neve (base del sorbetto o «carapigna») e di sorbetti 113 • Un gran consumo· di frutta seccl;l si registr;. nei mesi invernali, mentre zucchero e caffé trovano utilizzo nell'arco di tutto l'anno, costituendo l'alimento-base della prima colazione. I ricevimenti serali, in cui si servono i «rinfreschi», offrono l'occasione per un ulteriore consumo di dolci, biscotti, liquori e, soprattutto, sorbetti e rosolii. Le spese alimentari sono, di conseguenza, molto elevate e arrivano a costituire oltre il 50% delle spese di casa, assorbendo una percentuale assai rilevante del reddito familiare 114 • La folta schiera della servitù domestica beneficia certamente di. tale abbondanza, ma non si può negare che esista un largo margine per lo spreco. Forse, meglio, si potrebbe affermate che, allorquando noh si
113 Al di là degli acquisti di sorbetti per i rinfreschi, di cui alle pp. 20-21, è testimoniato, nei mesi estivi, il consumo abituale di neve e sorbetti, pagati ai fornitori ogni mese o, anche, ogni due mesi. Mentre la quantità di neve non è quantificabile, i sorbetti lo sono poiché si mantiene stabile il loro prezzo di 2 ·soldi e mezzo il vaso: Registro, lug. 1793 (48 vasi); set. 1793 (44 vasi); set. 1794 (50 vasi: è specificato che li ha «presi» il barone ogni giorno da un certo Cumiana); giil. 1795 (24 vasi); ago. 1795 (60 vasi); set. 1795 (46 vasi). Per acquisti di neve, ibid., ago., set. e ott. 1793"; giu., lug., ago., set. e ott. 1795. 114 Sul rapporto fra spese alimentari, spese di casa e redditi, si vedano, per il barone di Sorso, le tabelle 2-4. Le spese per alimenti del marchese di Laconi (L. 4576 annue) assorbono il 61% delle 7.500 lire. assegnategli dagli arbitri, ma è da considerarsi come caso limite. ·
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XV~II-XIX)
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presentino difficili congiunture economiche, i consumi ordinari, e dunque le spese, sono prive di misura, o che non si intravvedono principi razionali che sovrintendano alfa loro regolamentazione.
4. L'eccezione che ·conferma la regola.
Le vie del risparmio. - La mancanza di misura nei consumi riguarda principalmente il barone di Sorso nel periodo che va dal luglio 1792 , all'ottobre 1795. Come si è già più volte sottolineato, le spese alimentari, sia ordinarie che straordinarie, raggiungono in questo periodo valori ragguardevoli, sia che si considerino in assoluto, sia che si considerino in pro_porzione alle spese generali per la casa. Inoltre, il confronto con le spese del marchese di Laconi che, pur essendo sottoposto ad un'amministrazione vigilata, non viene tuttavia limitato nei consumi ordinari, quanto. in quelli straordinari, mette in maggiore evidenza l'elevata misura dei consumi ordinari del barone di Sorso che, peraltro, appare un amministratore sufficientemente oculato delle proprie risorse. Per tali motivi è tanto più interessante ~ogliere i comportamenti del ba_rone nel momento in cui la contrazione improvvisa e drastica delle risorse economiche lo costringe a. rivedere i conti ed a razionalizzare i consumi. Ciò avviene nel periodo compreso fra il novembre '95 ed il settembre '96, in coincidenza, come già detto, con le mancate esazioni dei diritti feudali a seguito delle rivolte dei vassalli nel Sassarese. Così, mentre il numero dei servitori non subisce che un calo irrilevante 115, segno che fra le esigenze irrinunciabili dell'aristocrazia ca. gliaritana il servizio domesticÒ ha un ruolo prioritario, i tagli sulla spesa incidono pesantemente sui consumi alimentari.
115 Il numero si riduce da nove ad otto a partire dal giugno 1796, in cui pure viene sostituito il cuoco Antoneddu Escano con la «cosinera» Maria Giuseppa che percepis~e, fra: salario e vino, L.. 6,10 al mese: Registro, gen.-set. 1796. Anche il marchese di Laconi considera, fra i risparmi possibili, la sostituzione del cuoco con una cuoca .(AYMERICH, b. 5, VII, 6), ma di fatto non realizza tale possibilità.
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Marina Valdès L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
Le spese ordinarie per la cucina, che sino all'ottobre '95 si erano mantenute su una media di 196 lire mensili, scendono ad una med.~a di 84 lire, registrando una riduzione percentuale del 58% 116 • Le spese straordinarie subiscono un calo ridotto, ma la qualità dei generi acquistati mostra «in fieri» una vera rivoluzione alimentare. Negli ultimi mesi del '95, in cui le spese ordinarie sono già ridotte mediamente ad 84 lire mensili, le spese straordinarie si mantengono ancora ai' livelli precedenti, per l'acquisto di galline .e di «macarrones de Napoles» 117 • Ma nel '96 la difficile situazione si rivela in tutta la sua drammaticità, come mostrano gli acquisti di grano, fagioli, ce.ci • e formaggio ordinario, rriai · comparsi prima di· aUora. Unici lussi restano: nocC;iole a gennaio, mandorle e noci a febbraio 118 , griviera a giugno, zucchero e caffé; ma in modesta quantità, .,a maggio, giugno, agosto e settembre. Cosicché un acquisto di biscotti nel mese di giugno sembra davvero eccezionale, e tale doveva essere dal momento che se ne specifica l'occasione («por el batteo de Bebia») 119 , già ricordata. Inutile sottolineare, visti gli acquisti, che i rinfreschi sono un ricordo, come i dolci, i liquori, i sorbetti, la cioccolata, i torroni, il salame, il prosçiutto, la bottarga. Polli e galline si allevano in casa, come indicano gli acquisti di orzo e crusca. («sevada»· e «salvado») 120, mentre il pane assume un ruolo di spicco nell'alimentazione quotidiana. Il pane non si compra più confezionato, ma si fornisce il grano, comprato almeno in parte, a due «panaderas» che, per la sola fattura, ricevono complessivamente 7 lire e 10 soldi al mese 121 • Non è facile definire il quantitativo di
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VecÌi tabelle allegate. Vedi quanto detto a proposito degli acquisti. per le feste familiari nel 1795. 118 Vedi nota 105. 119 Vedi nota: 102. 1.2° Acquisti di orzo; registrati anche negli anni precedenti, sono da mettere· in relazione col · mantenimento di un cavallo e con l'ingrasso temporaneo delle galline. A proposito di questa pratica, l' ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., p. 95, osserva che «la gallina» «se si vuole mangiate buona· conviene mantenerla bene alcun tempo, H villani· mai ingrass~ndola». Nel 1i96 gli acquisti di crusca, oltre a · comparire per la prima volta, si mantengono regolari, indicando l'avviamento di un allevamento domestico di pollame: Registro, feb., apr., h;ig. 1796. 121 Registro, gen.-set. 1796: «a dos panaderas por hechura del pan (... ) L. 7,10». 117
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pane fornito dalle «panettere», dal momento che non si specifica la quantità di materia prima ad esse conferita. Sappiamo tuttavia: che nel 1792, in una situazione di grande abbondanza di grano, la marchesa di Soleminis per alcuni mesi aveva consegnato ad una sola panettera, ogni mese, 10 starelli di grano, spendendo per la fattura del pane 3 lire 122• Un rapido raffronto del costo della manodopera nei due diversi periodi, anche ammettendo un suo aumento, porta a cal~olare una panificazione, nel '96, di almeno 20 starelli di grano al mese e, ,di conseguenza, un consumo di oltrè 20 chili di parie al giorno 123 • E impossibile stabilire se parte di questo quantitativo andasse ad altre famiglie, per esempio quella di Bebia, oppure se fos~e destinato ad opere di beneficenza. È sicuramente da mettere in relazione con un aumentato consumò dà parte della servitù: in questo periodo ricevono il pane in casa le quattro serve, così come, è da credere, il cuoco ed il marmit.tone, come pure il domestico Juan Maria Congiu, questi sino al mese di aprile 124• Fra padroni e servi
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Ibid., set.-dic. 1792: «a la panadera por· hechura de 10 estarels de triga (... ) L. 3». Lo starello è misura_ sarda di capacità per aridi corrispondente a litri 50,5: A. MARTINI, Manuale ... cit., p. 122. 123 Uno starello di grano (I. 50,5)' corrisponde in peso a kg. 38. Calcolando che 1 chilogrammo di grano renda 700 grammi di farina bianca, e che ogni chilogrammo .di farina renda kg. 1,200 di pane, ogni starello di grano rende kg. 26,6 di farina e kg. 31,92 di pane. 20 starelli di grano lavorati renderebbero dunque: kg. 638,4 di pane, per un consumo giornaliero di kg. 21,28. Ciò vale, ovviamente, se si considera il pane bianco e non quello di mistura, assolutamente aborrito dai sardi, come riconosce FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., p. 133: «Il Sardo ama mangiare molto pane, e solo pane bianchissimo di frumento · puro... ne mangeranno meno, ma lo vogliono bianco... piuttosto soffrivano la fame». Il calcolo fatto dallo stesso duca di Modena sulla resa del grano sardo (1 starello renderebbe 114 libbre di pane) appare del tuttò improbabile in qu,anto non tiene conto della necessaria perdita che avviene nella macinazione: solo 38 chilogrammi di farina, non di grano, potrebbero dare kg. 45,6 (= 114 libbre) di pane. Quanto àl grano fornito dal barone di 'Sorso alle due «panettere», esso è, in. parte acquistato: 3 starelli ad aprile (a 6 reali lo starello); 4 starelli a maggio (a 18 reali); 7 starelli a giugno (a 19 reali); 2 starelli ad agosto (a 13 reali): l'aumento vertiginoso del prezzo del grano nella primavera del '96 determina un aumento · altrettanto fo:te del prezzo del pane, cui si deve attribuire la scelta di fornire il grano alle due !<panettere». E verosimile, inoltre, che il quantitativo più consistente di grano ad esse conferito mensilmente provenisse. dal feudo di Soleminis, non toccato dalle rivolte. 124 Da maggio p~rcepisce il denaro ·«por la cornida»: Registro, mag. 1796 ..
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L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
Marina Valdès
Il servizio a 13, riportato secondo lo schema della· minuta sul piano della tavola 126, si presenta composto come nella figura.
sarebbero dunque 11 persone a consumare un così forte quantitatiyo di pane. La misura di quasi 2 chilogrammi al giorn~ pro~capite sembra indubbiamente eccessiva, ma non certo impossibile, dal momento che il companatico scarseggia e che il pane deve sopperire alla carenza di una mensa caratterizzata, in tempi normali, appunto dall'eccesso. Carni, pesci, verdure e frutta, il cui consumo è più che dimezzato, sono sostituiti dunque principalmente dal pane e da cibi, come i legumi ed il formaggio ordinario, considerati poveri e fino ad allora disdegnati. Ma se ci domandassimo in quale misura la cucina della crisi abbia concorso a modificare le abitudini alimentari della famiglia, dovremmo rispondere categoricamente che essa è passata senza lasciare traccia. La crisi cioè non segna una svolta, ma costituisce una semplice, per quanto dolorosa, parentesi, supèrata la quale si torna necessariamente alla tradizione. Un convito dal marchese di Laconi. - Si è sottolineato più volte non essere in uso presso· l'aristocrazia cagliaritana «il far conviti», attribuendo tale abitudine alla mancanza del · suo presupposto essenziale, la volontà di mostrare ed ostentare il proprio potere. Di fatto per tutto il '700 gli archivi consultati non hanno restituito un solo documento che testimoniasse di un convito di qualche rilievo, se si eccettuano i pochi indizi sul pranzo «alla Scaffa» della marchesa di Soleminis. Tanto più preziosa per la completezza dell'indagine si è rivelata una minuta conservata nell'archivio Aymerich che riporta qualche esempio di servizi di tavola. Il documento non è datato, ma è probabilmente da attribuirsi al primo '800 ed alle mutate esigenze sociali sopravvenute con il trasferimento della· corte a Cagliari. Esso mostra, realizzati schematicamente, un servizio a 13 piatti,· che si specifica essere un «secondo servizio», ed un servizio a 11 piatti, con: diverse cancellature, sostituzioni ed aggiunte 125 •
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Il documento è citato alla nota 31.
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Composizione del serv1210 da tavola: A) -dindo alla dobba 127 ; B) perruc10tti rost1t1; C) lupo 128 in bianco; D) pan di Spagna; E) gelatina dolce; F) pollastri; G) pasticcetti di pulle; H) biscottini di polenta; I) fritture di bugnoli 129 ; L) caponata13°; M) frittura di pesce; N) piccioni in salsa di limone; O) giambon.
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Oltre al piatto di mezzo, costituito da un tacchino in gelatina, si evidenzia la presenza di tre piatti di carne (perniciotti, pollastri, piccioni), di tre piatti di pesce (spigola lessa, frittura e caponata) in preparazioni diversificate e numerosi intermezzi dolci e salati. Secondo le indicazioni de Il cuoco piemontese si può ipotizzare che una tavola così composta servisse per almeno 16 coperti 131 • Il servizio a 11 piatti riporta invece « bollito, pollastre con pomi d'oro, piccole impanate, fritture di volaglie, pasticcio di pernici, flan di zucca, timballa di maccheroni, fricassata e cervella, due galline con
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Il disegno che si presenta, riproducente la minuta, è stato realizzato dal geom. Antonio Venturoli della ~ovrintendenza archivistica per la Sardegna. 127 Tacchino in gelatina. La ricetta del pollo d'India" alla «daube» in: Il cuoco piemontese ... cit., p. 164. . 128 Spigola. 129 Tipica frittura del carnevale: la pasta, in· forma di piccoli choux, è fritta e farcita con crema. Sull'origine iberica di questa preparazione F. ALZIATOR, La città del sole ... cit., p. 281. 130 «Una squisitj. zuppa di galletta con pesce, capperi, olive, olio e aceto è detta caponara (catalano caponata)»: così F. ALzIATOR,!/folklore sardo, Sassari, s.d. (rist. anast. Sassari 1978, pp. 117). 131 Vedi nota 39.
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L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura èabitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
Marina· Valdès
guarnitw;a di risq ». Le diverse correzioni e sostituzioni: « budini, bottoni, sambayon, gatò 132, bollito pesce, piccioni, maccheroni, costellette, zuc~hetto; stufato, presciutto, agnolotti, porchetto», contribuiscono a rivelare il panorama quanto mai diversificato della gastronomia cagliaritana, ma mostrano con molta immediatezza come la realizzazione di. un· pranzo composito necessitasse di una lunga ed attenta .progettazione non scevra di dubbi e ripensamenti ..
« bagna» per antonomasia sia, nel dialetto cagliaritano, la salsa di pomodoro che, entrata nell'uso comune nella sua forma interpretativa piemontese, ne conserva ancora, dopo secoli,. la denominazione. , La permanenza della corte a Cagliari segna un ulteriore passo verso una piena compenetrazione fra cucina tradizionale ·e cucina franco-piemontese: si estendono colture in precedenza poco praticate, come quelle degli spinaci~ dei piselli e dei fagiolini 134; si diffonde l'uso del burro · e delle salse, si estende il consumo del vino bianco 135 • La· terminologia si adegua ai tempi ed alle nuove preparazioni cosicché, mentre il marchese di Laconi ricordava le tradizionali impanate, il cuoco del marchese di San Filippo scrive, in un italiano tutto suo, là ricetta dei «voluvan col ragù di pigioni» 136 • La tradizione non viene tuttavia abbandonata: non solo persistono nella mensa aristocratica ottocentesca la tendenza ad un largo consumo di carne, pollame, pesce, verdure e frutta ed all'esclusione dei legumi, già riscontrata nel '700, ma anche le preparazioni tradizionali. Lo «s.cabecciu» per pesci e pernici 137, la «farzitura» delle verdure,· le zuppe dorate, traduzione delle castigliane «sopas doradas» 138, mostrano ancora
5. Dal Settecento all'Ottocento fra conservazione e innovazione. La .c~cina aristocratica, come si è detto; già nel Settecento stabilìsce forti contatti con la cucina piemontese e francese importata dalla corte viceregia. Così, mentre si leggono avidamente i testi fondamentali della gastronomia di terraferma, i cuochi piemontesi, impiegati nelle case dell'aristocrazia cittadina, perfezioitano il connubio con la cucina tradizionale cagliaritana, che altro non è' alla sua ..base, che cucina catalana e castigliana. La letteratura e l'arte cuciniera di importazione rivestono un ruolo di non poco rilievo nella cucina cagliaritana, non solo per l'introduzione tout-court di novità gastronomiche, mà anche per l'interpretazione originale che viene data ai prodotti locali. In questo senso un caso emblematico è quello della salsa di pomodoro. In quanto prodotto del continente americano, il pomodoro aveva trovato in Sardegna una larga diffusione, diversamente che in Piemonte. L'Anonimo piemontese, alla metà del '700, lo conosce per la prima volta nell'isola e descrive così il «tornate»: « questo frutto è d'un rosso oscuro, la sua forma è rotonda come un pomo, il suo sapore agro; li Sardi lo fanno cuocere con la carne e lo mangiano per minest;a»; aggiungendo poi che «li cochi Piemontesi ne <:avano salse esqui~ite» 133, l'Anonimo offre una risposta definitiva al quesito filologico sul perché la
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FRANCESCO D'AUSTRIA-ESTE, Descrizione ... cit., p. 135. Qualche acquisto di vino. bianco, pure sporadico, è fatto dal barone di Sorso solo a partire dal 1799. Nell'aprile di quell'anno, immediatamente dopo l'arrivo della corte a Cagliari, il barone ne acquista 16 quartare e mezzo (circa 74 litri): Registro, c. 172. 136 AMAT, Archivio minore. L'occasione è offerta dal fatto che il marchese di San Filippo è in .villeggiatura con la famiglia ed ha richiesto al cuoco Demetrio Casula, che sta a Cagliari, alcune ricette adatte alla stagione estiva. La lettera di risposta del cuoco non è datata, ma è collocabile intorno alla metà del secolo XIX. La ricetta del «voluvan col ragù di pigioni» è essenzialmente la ricetta della pasta sfoglia e non riveste, pertanto, alcun interesse al di là di quello lessicale. Più interessante è, invee~, 1~ ricetta dei «croccoj»: «Si fanno cuocere i cervelli in bianco, si prende un po' bottiro opure strutto e si mette in una casaruola, si fa iscoaglirare, si mete i.In· po' di farina, si fa quocere quindi fà entrare del latte, come che fosse una crema dura, si fa tagliare li cervelli a piccolo e si mescola tutto insieme. Se li mette un po' di piacentino con poco sale a proposito poi si sbate 3 uova rosso e bianco assieme e si fa entrare. Si ritorna la cassaruola al fuo.co finché sta ben rill!).ito tutto. assieme. Doppo si cava e si mete in un piato . a sfredare. Dopo fredo si sbatono dette uova bianco e rosso; si tiene il pane gratatto. Si piglia con una forcheta a pacco a· pacco, si passa nell'uova, si mete nel deto pane e si metto uno separato d'altre fino che si mette a frigere. Ecco la maniera di fare i croceo». 137 Vedi nota· 111. 138 «Pane per farzitura» e «pane per zuppe dorate» compaiono nel Quinterno delle pezze, cit., . del marchese di San Filippo, alle date 26 giugno e 2 luglio 1835 e passùn. Sull'origine iberica di tali preparazioni v. F. ALZIATOR, La città diii sole... cit., p. 280 e ID., Il folklore sardo ... cit., p. 117. 135
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132 Dolce comune a tutta l'area isolana, composto di mandorle tostate e frammentate, legate con miele (o zucchero) cotto. È presentato· abitualmente in forma di piccoli rombi di sotti\e spessore, ma si presta a composizioni architettoniche di grande effotto. La descrizione in R. CICALÒ- F.R. CoNTU, J pani e i dolci, in Il museo etiJ'ografico di Nuoro, Sassari 1?87, pp. 212 e 214. 133 ANONIMO PIEMONTESE, Descrizione ... cit., p. 67 e nota (g). Sulla sals! di pomodoro, vedi anche P. CAMPORESI, Alimentazione folklore società, Parma 1980, pp. 124-126, che si segnala altresì come guida illuminante alle tendenze della gastronomia attuale.
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L'aristocrazia cagliaritana a tavola.'. cultura e abitudini alimentari ( secc. XVIII-XIX)
Marina Valdès
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nell'Ottocento una piena vitalità della cucina tradizionale. Qu.esta pèi:Ò è in grado di recepire quanto di meglio proviene dalla cucina d'importazione, in un sincretismo degno della migliore gastronomia italiana ed europea. Le minute dei servizi a 1) e 13 piatti del marchese di Laconi mostrano largamente l'avvenuta fusione delle due culture sia nelle preparazioni che nella terminologia in una convinta sintesi gastronomica, soprattutto per quanto riguarda carni, intermezzi e dolci e mentre il pesce è offerto nelle versioni tradizionali, lesso, fritto o sotto forma della .catalana caponata, le carni conoscono nuove interpretazioni, come fanno supporre il dindo alla dobba ed i piccioni in salsa di limone, che pure convivono assai bene con il nostrano porchetto. Nello stesso modo agnolotti, zabaione, budini e zucchetto si sposano sulla stessa mensa con bugnali, gattò e flan della migliore tradizione iberica. L'essenza della cucina cagliaritana rìcca è, ancor oggi, il prodotto di tale sintesi, inventata per le mense aristocratiche. e da lì trasmessa, con effetti omologanti, alle mense della borghesia cittadina.
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TABELLE DELLE SPESE PER VINO E ALIMENTI DEL BARONE DI SORSO
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(luglio 1792 - settembre 1796) AVVERTENZE
I dati sul consumo di vino si riportano in una tabella ·apposita perché non uniformabili ai dati relativi alle spese per alimenti. Le spese sono espresse in· moneta . sarda: lire, soldi, denari. Le percentuali, di cui alle colonne F e H, sono calcolate su valori arrotondati alla lira; le frazioni superiori a 10 soldi sono considerate 1 lira. Nel calcolo della media mensile non si è tenuto conto dei denari. Le spese straordinarie, di cui alla colonna D, non comprendono né le spese per generi alimentari da regalare, né le mance, né le spese per il trasporto di alimenti, evidenziate però nelle note alle tabelle II-VI. · I redditi del barone di Sorso sono quelli riportati nel Registro n. 26 della serie Amministrazione dell'Archivio Amat di San Filippo, alle cc.1-6 e 129-131, e si riferi" scono alle rendite dei fèudi e delle proprietà. Ulteriori entrate, come gli stipendi, non sono calcolate. Mancano i redditi del 1796.
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.ABBREVIAZIONI
n.s. : non segnalato, omesso dalla fonte . n.c.: non calcolabile.
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2011
TABELLA
N
o
2 - Spese del barone di Sorso
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ANNO
A
B
c
D
E
F
G
1792
Generali
Mercato
Pane
Straord. alimenti
Totale . (B+C+D)
%
Reddito
%
E:A
**
E:G
casa
H
Gennaio . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-
-
-·
-
Febbraio . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-
-
-
-
Marzo . . . . . . ·. . . . . . . .
-
-
-
-
-
~
-
Aprile . . . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-
-
Maggio . . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-
-
-
Giugno . . . . . . . . . . . . .
-
-
-
-
-
-
-
-
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-
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.:,.
Luglio . . . . . . . . . . . . . .
593,17,7
246,1,7
15
81,13 (Z)
342,14,7
57,74
-
-
Agosto . . . . . · . . . . . . . .
396,14,2
225,7,8
13,15
28,13
267,15,8
67,50
-
-
Settembre . . . . . . . . . . . .
515,6,1
205,0,8
3(1)
16,15
224,15,8
43,49
-
-·
Ottobre . . . . . . . . . . . . .
436,1
211,5
. 3(1)
21,4
235,9
53,89
-
Novembre . . . . . . . . . . .
558, 11,2
225,17,8
3(1)
230,15,8
41,32
-
-
Dicembre . . .· . . . . . . . . .
523,4,10·
228,10,10
3(1)
52
283,10,10
54,30
-
-
TOTALE . . .
3023,14,10
1342,3,5
40,15
202,3
223.13
6.15
MEDIA MENSILE . . .
**
503.19
1,18 (3)
1585,1,5
33.13
52,41
4048,2,6
-
264.3
0i:,:: -~"
39,15
-
-
semestrale.
(1) Per la lavorazione di 10 starelli di grano. . . (2) Fra le spese straordinarie compaiono 24 libbre di pasta per Luigi e «cosas tomadas» nella bottega di Nicola Puddu, omesse nella scheda. (3) Compaiono spese per il trasporto da Sassari di pere e mele e per l'acquisto di una scatola di «mustaccioli» da regalare, omesse nella scheda.
~
3 - Spese· del barone di Sorso
TABELLA ANNO
A
B
c
D
E
F
G
H
1793
Ge.nerali casa
Mercato
Pane
Straord. alimenti
Totale alimenti
% E:A
Reddito
% E:G
••
1:;·
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"
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~
i,:·
..
~
~
..,
i,:·
Gennaio .·.. · . . . . . . . . . .
485,10,6
320
n.s.
33,8
353,8
72,63
-
-
Febbraio . . . . . . . . . . . .
586,12,6
200,15
11,5
16,15
228,15
39,01
-
-
Marzo* . . . . . . . . . . . . .
326,14,.6
160
n.s.
3,12
163,12
50,15
-
-
Aprile . . . . . . . . . . . . -..
337,16,6
Maggio . . . . . . . . . . . . .
538,6,4
211,9,10 ·
Giugno . . . . . . . . . . . . . ·
669,12,8
201,17,2
Luglio . . . . . . . ·· . . . . .
520,15,6
212,15
10,10
Agosto . . . . . . . . . . . . .
466,18,8
228,15,4
~· ~
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~ ~
;,-
185,4
54,73
-
0(4)
22,3,19,10
41,63
-
9,3(5)
220,0,2
32,83
-
-
-~
13,15 (6)
237
45,48
-
12,10
45,15 (7)
287,0,4
61,45
-
-
~
225,14,6
12,10
39,10
277,14,6
63,61
-
-
n.s.
172
12,10 9
13,4
~
~
Settembre . . . . . . . . . . . .
437,4,6
Ottobre . . . . . . . . . . . . .
408,15,2
193,5,2
12,10
19,10
225,5,2
55,01
-
-
..."'%...~ t
Novembre . . . . . . . . . . .
529,2,6
211,6,4
12,10
11,15(8)
235,11,4
44,61
-
-
......,
6,15(9)
250,15,10
38,08
-
-
· Dicembre . . . . . . . . . . . . . TQTALE . . . MEDIA MENSILE . . .
* Pasqua 31 ** annuale. (4) (5) (6) (7) (8) (9)
659,3,4 . 5966,12,8 497,4
231,10,10
12,10
2569,9,2
105,15
214,2
11,15
213,2 17,15
2888,6,2 240.13
marzo.
Compare il pagamento per il trasporto da Sassari di formaggio e olio, omesso nella scheda. Compaiono due piatti regalati al barone di Samatzai e tre piatti -de monjas» per la casa Zapata, omessi nella scheda. Segpalato. il pagamento per il trasporto da Sassari di formaggio e lana, omesso nella scheda. Segnalate mance per porchetti e muflone, omesse nella scheda. Segnalato l'acquisto di «pastas .finas» per Alghero, omesso nella scheda. Se~nalati pagamento a Cordara e mance per. regali da Tonara S_oleminis, omessi nella scheda.
e
48,39
-
9880,8,8
-
29,23
-
.i.
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4 - Spese del barone di Sorso
TABELLA
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ANNO
A
B
e
D
E
F
G
H
1794
Generali casa
Mercato
Pane
Straord. alimenti
Totale alimenti
% E:A
Reddito
**
% E:G
12,10
3,10(12)
236,18,4
58,08
8,19 (l3)
252,0,4
60,57
-
-
211,13,8
. Gennaio ... : . . . . . . . . .
408,4,10
220,18,4
Febbraio . . . . . . ·. . . . . .
415,11,10
230,11,4
12,10
Marzo . . . . . . . . . . . . . .
352;19,8
Aprile* . • . . . . . . . . . . .
n.s.
182,7,2 (228,17,4) (10)
n.s.
12,10
Maggio . . . . . . . . . . . . .
n.s.
(221,4,8) (10)
n.s.
16,16,6
n.s.
60,05
-
-
n.c.
n.c.
-
-
n.c.
n.c.
-
257,17,2
48,77
-
190, 16
23,87
-
-
Giugno . . . . . . . . . . . . ,
529,9,4
175,4,8
9
Luglio_ . . . . . . . . . . . . .
800,9,4
181, 10
9,6
n.s. 73,12,6 (l4) 0(15)
Agosto . . . . . . · . . . . . . .
578,9,6
141,i6,6
9
23,8
174,4,6
30,10
Settembre . . . . . . . . . . . .
690
204,1,8
10,17
29,5
244,3,8
35,36
Ottobre . . . . . . . . . . . . .
888,7,6
213,4,4
10,10
o
223,14,4
25,22
Novembre . . . . . . . . . . .
485,3,8
194,14,6
10,17
Dicembre . . . . . . . . . . . .
603,17
196,6
10,17
TOTALE . . . MEDIA MENSILE . . .
* Pasqua, 25 ** annuale.
5752,12,8 575,3
1940,14,6 (2390, 16,6) (11) 194,1
1,5 11,4(16)
107,17
168
10,15
16,16
206,16,6
42,68
218,7
36,09
2216,11,6
38,53
9228,15,10
-
221,13
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24,02
-
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aprile.
Si tratta delle uniche spese segnalate nel Registro, cit., per i due mesi. Non sono state calcolate né nella percentuale né .nella media mensile. ~omma. comprendente le spese per il mercato dei mesi di aprile e maggio. Segnalata la mancia per chi ha portato una vitella, omessa nella scheda. Segnalati «platos de Theresa», omessi nella scheda. . Segnalati pagamenti al cameriere Juan per spese varie (L. 26,6,6) e per il trasporto da Sassari di generi vari fra cui olio, omessi nella scheda. . Segnalati pagamenti al droghiere Vodret (L. 167,8,2} per forniture dall'agosto al 17 aprile 1794; al cameriere per spese varie (L. 27,4,2); per tra.sporto da .Sassari di olio, formaggio e arance, omessi nella scheda. (16) -Segnalato pagamento per trasporto da Sassari di agrumi, formaggio, frutta, uva passa e aceto, omesso nella scheda.
(10) (11) (12) (13) (14) (15)
· TABELLA
5 - Spese del barone di Sorso
ANNO
A
B
1795
Generali casa
Mercato
r'
~-
f
e
D
E
F
G
H
Pane
Straord. alimenti
·Totale alimenti
%
Reddito
%
E:A
**
E:G
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il:·
~
~
~-
Gennaio . . . . . . . . . . . . .
732,18,8
207,17,4
9,16
Febbraio . . . . . . . . . . . .
339,5,8
185,18,10
10,17
Marzo . . . . . . . . . . . . . .
474,5,8
223,8,2
10,10
Aprile* . . . . . . . · . . . . . .
779,4,6
202,18
n.s.
Maggio . . . . . . . . . . . . .
880, 16,6 (17)
160
Giugno· . . . . . . . . . . . . .
n.s. n.s. (21)
217,13,4
29,74
-
196,15,10
58,11
-
n.s. (22) 15,3 (23)
233,18,2
49,36
218,1
27,98
23,15
186
21,11
22,10
197,5,6
57,60
10,10
239,19,10
27,97
-
-
342,0,6
147,5,6
2,5 27,10 (20)
.Luglio . . . . . . . . . . . . .
857,16,10
216,19,10
12,10
Agosto . . . . . . . . . . . . .
596,Ù . 498,3, 10 (lB)
209,17,8
12,10
17,15
240,2,8
40,26
209,8,10
12,10
12,10
234,8,10
46,98
-
-
225,8
12,10 7,10 (24)
10,5
248,3
55,60
-
-
15,1
106,13,2
47,34
-
-
2,5
93,11,8
16,40
-
-
Settembre . . . . . . . . . . . . Ottobre . . . . . . . . . . . . . Novembre . . . . . . . . . . . Dicembre . . . . . . . . . . . . TOTALE . . . MEDIA MENSILE . . . * Pasqua 5 aprile.
446,9 226,5,8 572,10,2(19) 6746,1,8 562,3
· 84,2,2 83,16,8 2157,1 179,15
7,10 125,18
129,14
2412,13
11,8
14,8
201,1
35,76
-
· 6995,0,7
-
-
-
34,49
-
** annuale. (17) Segnalato il pagamento di L. 133,15,6 al droghiere Vodret per forniture dal 13 maggio 1794 al 19 gennaio 1795, omesso nella scheda. (18) La cifra di L. 682,19,10 riportata nel Registro, cit., è stata decurtata di L. 184,16, pari all'importo del vino pagato al sig. Perra Tronci di Quartu e inserito alla tabella I, allo scopo di uniformare i dati. (19) Segnalato il pagamento di L. 148,1 al droghiere Vodret per forniture di tutto l'anno, omesso nella scheda. (20) La spesa si riferisce a forniture dei mesi di maggio e giugno. (21) Segnalato il pagamento di L. 59,7,4 al cameriere per acquisti vari, omesso nella scheda. (22) Simile al precedente di L. 85; pagamento per trasporto . da Sassari di olio, omessi nella scheda. (23) Segnalato pagamento al cameriere di L. 71 per acquisti vari, compreso caffé, omesso scheda. (24) Per la sola fattura, come nei mesi successivi.
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2016
Marina Valdès
MASSIMO MONTANARI
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Quello a cui abbiamo partecipato i!). questi giorni è stato un convegno molto importante. Non tanto per le tematiche affrontate, che, contrariamente a quanto alcuni suppongono, non costituiscono affatto una novità. La storia dell'alimentazione è infatti un campo d'indagine storiografica che vanta una solida ed illustre tradizione, nel nostro come in altri paesi 1• Già _nel secolo scorso studiosi ed eruditi si occuparono del tema, e negli anni Venti del nostro secolo era venuta a maturazione l'opera più ìmportante di uno studioso, Luigi Messedaglia, che prima e dopo di allora dedicò gran parte delle proprie energie intellettuali alla storia dell'alimentazione. Alludo al volume Il mais e la vita rurale italiana, stampato a Piacenza nel 1927, forse il libro più notevole prodotto nella prima metà del secolo in questo campo d'indagine. Anche fuori d'Italia si produssero, nei primi decenni del secolo, libri importanti. Basti ricordare la Storia dcli' alimentazione vegetale di Maurizio, pubblicata nel 1926 in Polonia e tradotta nel 1932 in francese. Attenzione ai luoghi: la 'Polonia, la Francia. Sono gli st~ssi paesi in cui prenderanno avvio, decenni più tardi, su binari assai diversi ma in qualche misura convergenti, i più forti e motivati interessi storiografici nel campo della stòria dell'alimentazione. Come a dire che nulla nasce dal nulla: ma questo lo sappiamo. Per questo, mi pare, è necessario ribadire l'importanza che un personaggio come Luigi Messedaglia ha avuto nella cultura italiana. Rara avis egli si autodefiniva, a significare l'isolamento di uno studioso 1
Cfr. M. MONTANARI, Storia, ali1nentazione e storia dell'alimentazione. Appunti di storiografia e di metodo, in Io., Campagne medievali. Strutture produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimentari, Torino 1984, pp. 129-148, a p. 129 sgg., anche per quanto segue;
42
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i cui interessi, rivolti soprattutto a indagare le vicende della nutrizione, mal si conciliavano con quelli dell'idealismo crociano, che, relegando ai margini della storia e della vita gli aspetti materiali e i « bisogni» dell'uomo, ne valorizzava solo le «opere» ossia l'intelletto, artificiosamente contrapposto al « basso» corporeo. Restava, però, quasi un antidoto, una «alternativa come è stato scritto - alla cultura ufficiale ed al crocianesimo» 2, la tradizione tutta italiana della ricerca erudita, minuziosamente documentata, puntigliosamente aggrappata al testo, àlla fonte, all'archivio. Una tradizione in cui non fatichiamo a riconoscere l'impronta illuminista, e basti menzionare la mastodontica opera di dis~odamento archivistico messa in atto da Ludovico Antonio Muratori per rendere conto di quanto intendo dire. Una tradizione conservatasi, poi, lungo l'Ottocento, e sfociata in quel positivismo che, spogliato di taluni ideologismi deterministici, dobbiamo pur riconoscere come garante di una volontà scientifica e di una serietà di ricerca documentaria che continuò a dare i suoi frutti perpetuando mentalità e metodologie erudite che rappresentavano un peculiare bagaglio tecnico della cultura italiana. L'erudizione - termine' obsoleto e polveroso, ma che mi piace richiamare perché dietro di esso si celano l'amore' per la ricerca, per il documento,' per la notizia puntuale e precisa, per· quella che i positivisti credevano essere e chiamavano la «verità» storica - costituisce in effetti il più prezioso (e originale) patrimonio della storiografia nostrana; quello che la distingue dalle scuole d'Oltralpe e la rende, a tutt'oggi, così palesemente riconoscibile. In questo· senso Luigi Messedaglia può ben essere stato una rara avis; ma fu anche un importante trait-d'union fra il mondo scientifico dell'Ottocento e quello dei nostri decenni. Certo, a risvegliare - appunto negli ultimi decenni - l'interesse degli studiosi italiani verso i temi della storia dell'alimentazione e più in generale della storia quotidiana, materiale, corporea, ha giocato un ruolo essenziale il modello trainante della storiografia d'Oltralpe: di quella polacca, impegnata fin dagli anni Cinquanta, in un quadro ideologico di coerente impronta marxista, nella ricostruzione della 2 V. FUMAGALLI, Le campagne ·medievali dell'Italia del Nord e del Centro nella storiografia del nostro secolo fino agli anni '50, in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà contadina, a cura di V. FUMAGALLI
Considerazioni conclusive
Massimo Montanari
2018
e G.
ROSSETTI,
Bologna 1980, pp. 15-31, a p. 24.
2019
cosiddetta cultura materiale; di quella francese, soprattutto, che, sulla scia di interessi avviati già nel periodo fra le due guerre da Bloch, Febvre e dai loro amici delle «Annales», ha maturato negli anni Sessanta un progetto organico di ricerca sui quadri materiali di vita e - fra l'altro - sull'alimentazione 3• Che l' enquéte lanciata nel 1961 dalla rivista francese, e proseguita negH anni successivi con importanti esiti storiografici, abbia costituito la spinta principale alla ripresa, anche da noi, di questi temi, appare fin troppo evidente. Ma a me sembra anche importante sottolineare come la storiografia italiana non abbia tardato a riprendere una sua specifica strada, a ribadire la peculiarità dei propri interessi e delle proprie metodologie. Da un lato ripercor:... rendo, come dicevo, il terreno dell'erudizione. Dall'altro mostrandosi particolarmente sensibile agli aspetti sociali del problema storico dell'alimentazione, con un'adesione - anche, mi si passi l'espressione, emotiva - che non mi pare trovi riscontro altrove, mentre costituisce, anche questo, uri dato peculiare e originale della storiografia nostrana, così diversa; ad esempio, da quella francese, che, legata per lunga tradizione alle discipline geografiche ed etnografiche, ha invece sviluppato uno spiccato interesse per la ricostruzione dei quadri ambientali (si pensi solo a quella sorta di determinismo geografico che in qualche modo è sotteso alla «lunga durata» braudeliana). Questo convegno ha pienamente confermato tali linee di tendenza. La messe di dati ~he è stata raccolta, studiata, scandagliata o anche solo individuata è impressionante. Si dirà che non poteva essere diversamente, · dato il numero di studiosi - archivisti e storici - . che vi hanno corttribuito. Ma il fatto è che solo in Italia, credo, un avvenimento del genere poteva verificarsì. Che tante decine di persone accogliessero l'invit~ ad esaminare archivi grandi e piccoli, raccogliendo materiali di così varia e molteplice natura (penso anche alla mostra Pane e potere che è stata allestita a complemento del convegno) e appassionandosi ad un lavoro così minuzioso e sistematico, questo sarebbe semplicemente inconcepibile, senza la tradizione erudita da cui la storiografia italiana continua a trarre linfa vitale. È nel solco di tale tradizione, ravv1vata e arricchita dall'odierno . affinamento delle tecniche d'indagine, che questo convegno (un convegno
3
M. MONTANARI,
Storia, alimentazione .... cit., p. 132.
2020
Massimo Montanad
«muratoriano», mi verrebbe da definirlo) ha riportato la storia d~ll'àlitn~fftazione alla dimensione che più le si addice, sottraendola -,- c?me. a13:che Alberto Guenzi faceva notare nel suo intervento - a quell ottica disto~ta ed impressionistica che l'uso esclusivo di altri tipi d~ fonti _(letterari~'. trattatistiche) inevitabilmente fornisce; sottraendola, aggmnge~ei, alle ~acili suggestioni della moda- perché ~n~ubbiam~nte quell~ dell'.a~m:nta~10ne ' t mà di moda - per restltmrlo al rigore dell analisi scientifica. e : r ~uanto riguarda le fonti, è chiaro éhe, dat~ la moltèpli~ità di coordinate (sociali, economiche, politiche, culturali) che ,la _stona d~ll'alimentazione chiama in causa, dato il carattere, per cosi dire_, totaliz~ zante della vicenda alimentare nella vita individuale e collettiva degli uomini, ogni tipo di documento può essere utile a indagare _q~esto quell'altro aspetto del problema. Fonti letterar~e, cronachis~1che, 0 giudiziarie, legislative, notarili, e via dicendo, t~tt~, 1n qu:-1che m1sura, hanno qualcosa da dirci, tutte possono contribuire a diseg_nare una parte di quel vasto affresco che è la storia de~l'ali~e~t~z10ne. · Ma altrettanto chiaro è che, in questo affres~o, le fonti arch1vistic~e ~anno na naturale priorità e restano la base insostituibile di ogni ricerca, :ontribuèndo in modo decisivo alla ricostruzione di qu~lla r:altà quotidiana· che dobbiamo conoscere nell~ sua c_oncreta articolazione nelle sue concrete dinamiche, se vogliamo giustamente collocare, :ello spazio e nel tempo, quei valori materiali e. c:U~t~rali ~el c~bo che . altrimenti rischierebbero di soffocare nella genenc1ta dell ovv10. L'importanza tutta speciale di questo conv~gno è _sta~a ~p?unto_. d1 avere puntato sul piccolo, delimitando cam~i e p~no~ d~ mdagme, individuando singole fonti e singoli problem1. ~. nsch_io. di un~ certa dispersione di energie. A rischio, da un lato, d1 moltip~care n~erche analoghe nelle metodologie e simili ne~li esiti; dall'altro,_ cli ~olver1zzare . la ricerca in una miriade di direzioni diverse. Ma sono rischi che vanno corsi; che la storiografia italiana ha sempre cors~, con P:o~tto .. P~rsonalmente mi sono molto compiaciuto del fatto che ID questi- gi?rru di lavor~ si sia badato al sodo, a fornire dati, ad illustrare fonti e P:oblem1, concedendosi poco O pochissimo (più spesso nulla)_ ~11~ «retorica della . · come l'ha chiamata Franco Cardini ID apertura trad1z1one» . . del convegno - e ai pregiudizi della «lunga durata», g~ande mve~z1one storiografica che, se male intesa, può . pr~durre eff~ttl ~evastantl su~le possibilità di comprensione dei meccarusm1 e della dinam1~a della stona.
2021
Considerazioni cÒnclusive
.
A questo rischio io preferisco di gran lunga .quello, tutto nostrano, di perdersi nel «particulare». Il luogo, il tempo «particulare». Luoghi e tempi reali, che nella vita degli uomini sono realmente esistiti; se è la vita di quegli uomini che vogliamo indagare è alla loro specifica, quotidiana situazione che dobbiamo riferirci. Altrimenti costruiremo una «metafisica del quotidiano» non meno astratta di altre deprecate costruzioni intellettuali. Con questo non voglio certo negare l'esistenza o l'importanza dei fenomeni di lunga durata: ma diamoli ormai per acquisiti, e concentriamoci piuttosto - come anche Cardini suggeriva -· sui caratteri specifici delle strutture alimentari proprie di ogni periodo e di ogni società, sulle loro variazioni e su,lle modificazioni. Del resto, anche quando certe situazioni sembrano ripetersi o riprodursi, è evidente che ·vengono ogni volta reinventate e rivissute. Ha perciò un senso ben preciso interrogarsi, ad esempio, sulle magistrature annonarie di questa o quella città in questo o quel periodo. Non menò notevoli delle costanti saranno le differenze, le sfumature, le particolarità locali; e le modificazioni nel tempo. Ben vengano allora dieci, cento, mille ricerche, tutte uguali o tutte diverse. Se quello dell'alimentazione è un elemento basilare - totalizzante, lo chiamavo - dell'esperienza umana, non potremo costringerne a priori Io studio entro binari prefissati: L'intelligenza, la fantasia dei singoli ricercatori - talora, perché no, il caso - potranno fornire sempre nuovi dati e aprire sempre nuove prospettive. La stessa eterogeneità e complessità delle relazioni che in apertura di convegno hanno tentato di inquadrare il problema del reperimento delle fonti, faticando a sciogliere il bandolo della matassa e ad individuare percorsi privilegiati, attenendosi piuttosto ad illustrare possibili tipologie documentarie, tutto ciò mi pare eloquente dimostrazione di quanto arduo sia «tenere», stringere, controllare i materiali utili per la· storia dell'alimentazione. Anche solo limitandoci alle fonti archivistiche (alle quali, come dicevo, va accordata una priorità naturale nell'indagare le vicende storiche dell'alimentazione, ma che restano pur sempre uno solo degli ambiti possibili d'indagine) appare impossibile tale mi sembra l'indicazione ·complessivamente emersa dal convegno - individuare fonti specifiche per lo studio di quel tenia. Ed è ovvio, dato che il tema stesso manca di specificità. Ma su dò torneremo fra breve. Analoghe difficoltà a controllare una materia così dilagante si incontrano per gli altri tipi di fonti, a cominciare da quelle letterarie, che
2022
Considerazioni conclusive
Massimo Montanari
hanno pure fatto qualche sporadica, abusiva comparsa in questo convegno. Basta considerare l'ampiezza, inizia~mente forse inaspettata, ·che infine ha dovuto assumere il repertorio di opere a stampa riguardanti l'alimentazione, preparato dai bibliotecari della Marciana di Venezia. Allo stesso modo, la dilatazione della tematica rende difficile la compilazione di una bibliografia sistematica sulla storia dell'alimentazione, come quella che si è tentata presso l'Archivio di Stato di Milano. Fra le molte prospettive possibili, questo convegno ha dato particolare risalto al rapporto fra sistema alimentare e pubbliche istituzioni, riservando ampio spaz~C? al tema delle magistrature annonarie (protagoniste anche della mostra che ha affiancato il convegno) e a temi quali l'approvvigionamento, il controllo del mercato, le norme igieniche, l'organizzazione sanitaria, comunque legati alla gestione del potere. Non poteva forse essere diversamente, data la massiccia presenza del «potere», appunto, ai suoi vari livelli e nelle sue varie forme, nei materiali d'archivio. In ogni caso ciò ha evidenziato, in modo quasi esemplare, il paradosso in cui si dibatte per sua natura la storia dell'alimentazione: il paradosso di un avvenimento (l'assunzione del cibo) che si può ricostruire storicamente solo in modo mediato e indiretto, con strumenti d'indagine fondamentalmente estranei alla natura dell'avvenimento stesso. Voglio dire che, a dispetto dei molteplici problemi e valori che ne sono premessa o conseguenza, l'assunzione del cibo rimane un fatto eminentemente individuale e privato, che però non lascia di questa sua peculiare dimensione alcuna memoria storica. Ecco allora gli studiosi aggirare il problema, circondarlo da ogni parte, mirando al pubblico anziché al privato, al collettivo anziché all'individuale. Eccoli indagare la storia del paesaggio, della produzione · agricola, dei rapporti di lavoro e di potere, delle forme di organizzazione sociale ed economica, della distribuzione commerciale, delle misure, dei prezzi, dei salari, del potere d'acquisto; ecco le indagini sulla contabilità di certi sovrani o di famiglie particolarmente diligenti nel registrare le spese di casa; ecco i testi di cucina e di dietetica; le leggi, i regolamenti, gli statuti, gli atti processuali, i registri fiscali ... Ecco tutta la vasta tipologia di fonti di cui si è parlato in questi giorni. Tutto, in qualche modo, concorre a posare uno o più tasselli del mosaico al centro del quale troviamo, con la sua fame o con la sua ricerca del piacere, l'homo edens. O, meglio, gli homines edentes, poiché solo le bestie (a volte) mangiano sole, e, come ricordava Seneca riprendendo Epicuro, « chi non mangia in compagnia si comporta
!
2023
come un leone o un lupo». Se, dunque, il primo imperativo di natura è_ s~~r~~ivere, e se il secondo è farlo piacevolmente assieme ai propri s~, il cibo non può non essere al centro dell'esperienza storica dell'uomo. Ridurremo tutto ad esso? Mi viene il sospetto che, così facendo ~niremo per disaggregare e dissolvere l'oggetto stesso della ~ostr; ncerca. Che, cioè, il consumo alimentare diventerà in effetti un pretesto per parlare _d'altro: di produzione agricola o di forme politiche, di folklore o di valori religiosi, o di quant'altro vorremo. Il movimento c~ntrireto (tutto serve a ricostruire l'inafferrabile storia dell'homo edens) si sara allora trasformato in un opposto movimento centrifugo (l'homo edens come homo tout-court; la storia dell'alimentazione come storia tout-court). _N~n necessariamente sto profetizzando la scomparsa di un settore di ricerca che peraltro mi sta particolarmente a cuore. Mi chiedo, solo, se non sia opportuno prevedere, a breve scadenza una riflessione anche teorica su questi temi, per delimitare in quakhe ~odo i campi d'indagine e individuarne, nei limiti del possibile, la specificità. Penso, per analogia~ ai dibattiti degli anni Settanta sulla nozione di «cultura materiale», sulla specificità, o meno, di una «storia della cultura materiale» 4• Una disciplina, forse, come àlcuni ritenevano? Piuttosto - si disse da parte dei più - un'area di ricerca interdisciplinare, a cui molti (al limite tutti) potevano in qualche modo contribuire. Lo stesso, credo, è necessario ripetere oggi per la storia dell'alimentazione, a tanta maggior ragione se siamo convinti - e credo che nessuno nutra più dubbi in proposìto - che «culturale» e «materiale» non sono affatto termini antitetici, ma due espressioni della medesima realtà. Allora credo che non avremo mai uno «storico dell'alimentazione», ma, questo sì, una «storia dell'alimentazione» costruita con l'apporto di tanti. Più volte_ n:1-i sono chiesto; in questi giorni, se non sia giunto momento di tuare qualche somma, di tentare una sintesi provvisoria dei molti problemi in gioco, di fare un punto della questione che ne ~ssi gli snodi fondamentali e serva da orientamento per le future ricerche. E ho anche pensato: qualche anno fa un'idea come questa
il
4
Cfr. M. MONTANARI, Cultura materiale e storia sociale, in «Studi medieyali», XVII (1976), . 2, pp. 969-977.
j '·'-;
2024
Massimo Montanari
sarebbe stata impensabile, perché i dati raccolti dagli studiosi erano troppo ridotti di numero e di qualità. Poche erano le aree scandagii3:te; poca: la varietà delle angolature proposte. Ora è diverso. L'ampiezza e la cpmplessità delle indagini promosse da questo convegno, che non ha precedenti in Italia né all'estero quanto a sistematicità e organicità dell'impresa, vanno ad aggiungere nuovi, preziosi materiali a quelli · raccolti in precedenti incontri scientifici o in singole iniziative di ricerca. Molti vuoti si colmano, sia dal punto di vista delle aree indagate, sia dei periodi, sia delle problematiche affrontate. Possediamo, così, dopo questo convegno, una massa imponente di indicazioni documentarie e metodologiche, a partire dalle quali sarà . possibile proporre ipotesi d'insieme e disegnare linee d'interpretazione generale. Adesso più nessuno potrà nascondersi dietro il cosiddetto «problema delle fonti» o lamentarne irritato la mancanza; se qualcosa d'ora in poi mancherà, non saranno le fonti ma le idee. E se, al contrario, ri~scirà a digerire questo boccone prelibato che le viene servito su un piatto d'argento, la storiografia avrà compiuto u~ salto di qualità, un passo decisivo verso la costruzione di una storia dell'alimentazione italiana, progetto che solo qualche anno fa sarebbe sembrato utopistico. Non posso concludere senza un ringraziamento particolare a quanti, nell'amministrazione centrale dello Stato e nell'istituzione accademica che ha allestito e ospitato il convegno, hanno promosso e coordinato l'intero lavoro di ricerca. Sia perché questo convegno ne è la palmare dimostrazione l'esistenza di una progettualità a livello centrale può costituire uno stimolo decisivo alla produzione di cultura e di strumenti di conoscenza storica. Sia perché, nello specifico, tale progettualità si è rivolta a una tematica che fino a non molto tempo fa veniva snobbata dalla storiografia ufficiale del nostro paese, mentre può oggi diventare protagonista di una grande avventura come quella che abbiamo vissuto in questi giorni. . Un cenno infine all'ospitalità squisita di cui siamo stati sommersi. Mi permetto di considerarla parte integrante delle sezioni scientifiche del convegno, ricordando con intenso piacere i numerosi incontri in cui il cibo della terra che ci ha ospitato è divenuto immagine e simbolo di una cultura. Mai come in quel momento, forse, abbiamo toccato con mano (o, se volete, con bocca; ma anche con occhi, naso e orecchie) come la cultura alimentare racchiuda in sé tutta la storia e la civiltà dell'uomo.
INDICE DEGLI AUTORI* Allocati Tramontano Elisa, II, 749 Altobella Costantina, II, 1216 Asciane Imma, II, 1235 Auciello Fiammetta, I, 302 Balani Donatella, I, 311 Baldissarro Lia Domenica, II, 1250 Bazzi Andreina, II, 1266 Beranger Eugenio Maria, II, 1283 Bergamaschi Maria Temide, I, 332 Biganti Tiziana, II, 772 Bigi Patrizia, I, 59 Bitossi Carlo, II, 800 Bogge Alfonso, II, 816 Bonella Anna Lia, II, 1302 Brogi Marina, I, 344 Bueti Serafin~, II, 852, 867, 1318 Cagliari Poli Gabriella, I, 90 Cardini Franco, I, 23 Cargnelutti Liliana, II, 1330 Caroti Paola, I, 110 . Cartechini Pio, I, 409 Castellazzi Laura, II, 879 Cau Paolo, I, 450 Celli Vincenzina, II, 894 Ciarma Tranquilli Miria, III, 1373 Coppo Andreino, I, 129 Coppola Domenico, II, 927 Corti Maddalena, II, 954 Cutini Clara, II, 961
* Il numero romano indica il tomo.
Da Nova Erne Renata, II, 1343 De Benedittis Renata, I, 470 De Cecco Anna Maria, III, 1373 Demontis Marisella, I, 135 De Negri Felicita, III, 1402 De· Rosa Luigi, II, 733 . Dibenedetto Giuseppe, I, 509 di Cieco Pasquale, I, 525 Di Felice Maria Luisa, III, 1420 Di Munno Malavasi Carla, I, 551 D'Ippolito Lucia, III, 1440 Falchi Luisa, I, 568 Fantini Francesca, II, 981 Ferrante Carla, III, 1457 Fiandra Francesca, II, 993 Fichera Carmen, II, 1002 Fiorella Adelia, II, 1002 Fongaro M.Carmela, .III, 1529 Fonseca Cosimo Damiano, I, 19 Frangipane Doimo, III, 1543 Galli Giancarlo, III, 1553 · Gentile Mauro, II, 1018 Gessa Ester, I, 590 Giuriolo Elisabetta, III, 1581 Gonnella ·Anna, III, 1590 Grillone Giovanni, I, 150 Grisoli Pietra, III, 1609 Guenzi Alberto, I, 285
2026
Indice degli Autori
Iazzetti Viviano, III, 1627 Iona Maria Laura, I, 154, 608 Iozzia Anna M~ria, III, 1835 Lai M.Bonaria, III, 1644 La Rosa Maristella, II, 1032 Leoni Fabrizio, III, 1687 Lippi Giovanna, II, 894 Lombardi Satriani Luigi, II, 1191 Lo Sardo Eugenio, II, 1044 Lume Lucio, I, 43 Mannu Alessandro, III, 1703 Manupelli Antonella, III, 1714 Maroso Gloria, I, 173 Montanari Massimo, III, 2017 Mora Valeria, I, 180 Morreale Giampietro, III, 1749 Nada Patrone Anna, I, 637 Nardella Maria Carolina, I, 648 Naso Irma, II, 1052 Oldoni Massimo, III, 1790 Olla Repetto Gabriella, III, 1457 Orefice Isabella, I, 658 Paganini Carlo, II, 1086 Panizza Gian Maria, I, 59
Parisi Paola, II, 1120 Pastore Gilda, I, 59 Pastorino Giannina, III, 1801, 1808 · Pastura Ruggiero M.Grazia, I, 568 Perfetti Tullio, III, 1815 Petrucci Angelo, II, 1128 Pillai Carlo, I, 189 Plebani Tiziana, III, 1824 Raimondi Giulio, I, 680 Rambotti Luigi, II, 1137 Rizzo Pavone Renata, III, 1835 Ronchetti Vitaloni Mirella, I, 237 -Savoja Maurizio, I, 691 Scafoglio Domenico, II, 1191 Schiappacasse Patrizia, III, 1852 Sessa Michelina, III, 1924 · Sinisi Daniela, I, 568 Spinelli Angela, II, 1156 Tilocca Segreti Anna, III, 1945 Usai Giuseppina, III, 1644
·,
INDICE Ii·
Cultura alimentare attraverso le platee dei beni del monastero di S. Domenico in Chieti ( secolo XVIII)
ANNA MARIA DE CECCO - MIRIA CIARMA TRANQUILLI,
FELICITA DE NEGRI,
1373
Pane e... companatico a Napoli tra Cin-
quecento e Seicento
1402
Pane e lavoro: alimentazione di forzati ed operai liberi impiegati ne/fa miniera di Monteponi e neffe saline di Cagliari tra i secc. XVIII e XIX
1420
L'alimentazione nei secoli XVI e XVII in un monastero femminile: S. Maria del Carmine di Putignano
1440
MARIA LUISA DI FELICE,
LUCIA D'IPPOLITO,
V aldès Marina, III, 1964 Verdi Orietta, II, 1162 Vita Spagnuolo V era, I, 255
CARLA FERRANTE - GABRIELLA OLLA REPETTO,
L'alimenta-
zione a Cagliari nel '400
1457
Alimentazione di prelati, monache e ... fattori a Brindisi nei secoli XVII e XVIII
1529
Daffe coffine alfe basse: cenni suff'afimentazione in Friuli da inediti deff'archivio Frangipane
1543
Vecchi e nuovi consumi nel patriziato comasco tra Settecento e Ottocento: fa famiglia Giovio
1553
Curare e guarire gli indigenti: forniture alimentari per gli ospedali di Cuneo e Mondovì
1581
MARIA CARMELA FONGARO,
DOIMO FRANGIPANE,
GIANCARLO GALLI,
ELISABETTA GIURIOLO,
2028
Indice
L'assistenza pubblica a Trieste: l'alimentazione nel!' Istituto dei poveri ( 1818-1918)
ANNA GONNELLA,
Vitto e « spese plateali» nelle istituzioni ospedaliere dipendenti dall'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro ( secoli XVII-XIX)
RENATA RIZZO PAVONE - ANNA MARIA IOZZIA,
159Q
PIERA GRISOU,
Cucina e pasticceria napoletane in un ricettario inedito del Settecento
1609
VIVIANO IAZZETTI,
MARIA BONARIA LAI - GIUSEPPINA USAI,
1627 1644
1835
p ATRIZIA SCHIAPPACASSE, I consumi alimentari delle famiglie genovesi in età moderna
1852
L'abbazia della Ss. Trinità di Cava tra produzione, consumo e commercio alimentare (secoli XI-XVIII)
1924
L'alimentazione'monastica nel territorio sassarese tra '700 e '800
1945
L'aristocrazia cagliaritana a tavola: cultura e abitudini alimentari fra '700 e '800
1964
MICHELINA SESSA,
ANNA TILOCCA SEGRETI,
MASSIMO MONTANARI,
Il ruolo delle castagne nel!' alimentazione zn
Considerazioni conclusive
2017
1687
Valtellina
Indice degli autori Saggio di bibliografia ragionata sulla storia del!' alimentazione con particolare riferimento alla Lombardia
· 1703
L'alimentazione nei conventi della Basilicata (secoli XVI-XVIII)
1714
L'alimentazione a Novara e nel Novarese tra fine Settecento e fine Ottocento· attraverso i documenti dell'Archivio di Stato di Novara
1749
ALESSANDRO MANNU,
ANTONELLA MANUPELLI,
GIAMPIETRO MoRREALE,
MASSIMO 0LDONI,
Comunità
monastiche catanesi tra '700 e '800
MARINA V ALDÈS,
L'alimentazione dei
frati dell'Osservanza francescana a Cagliari FABRIZIO LEONI;
2029
Indice
I « Regimina sanitatis »
GIANINA PASTORINO,
Il Nobile Collegio Caccia
GIANNINA PASTORINO,
L'Ospedale di S. Giuliano di Novara
1790 1801 1808
Il vitto nel Pordenonese alla metà del '700 e agli inizi del!' 800. Un confronto a tavola: le· carni e le dispense dei conti di Spilimbergo
1815
Le fonti letterarie: appunti e suggestioni a partire da «Arte della cucina e alimentazione nelle opere a stampa della Biblioteca nazionale marciana»
1824
TULLIO PERFETTI,
TIZIANA PLEBANI,
2025