FONTI E PROBLEMI DELLA POLITICA COLONIALE ITALIANA

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PUBBLICAZIONI DEGLI ARCHIVI DI STATO SAGGI 38

FONTI E PROBLEMI DELLA POLITICA COLONIALE ITALIANA

Atti del convegno

Taormina- Messina, 23-29 ottobr e 1989 I

MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI 1 996


UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI DIVISIONE STUDI E PUBBLICAZIONI

Direttore generale per i beni archivistici fj : Rosa Aronica Direttore della divisione studi e pubblicazioni: Antonio Dentoni-Litta Comitato per le pubblicazioni: il direttore generale per i beni archivistici, presi­ dente, Paola Carucci, Antonio Dentoni-Litta, Cosimo Damiano Fonseca, Romualdo Giuffrida, Lucio Lume, Enrica Ormanni, Giuseppe Pansini, Clau­ dio Pavone, Luigi Prosdocimi, Leopoldo Puncuh, Antonio Romiti, Isidoro Soffietti, Isabella Zanni Rosiello, Lucia Fauci Moro, segretaria. Cura redazionale : Carla Ghezzi

PRO GR AMMA

Lunedì1 23 ottobre Indirizzi di saluto RENATO GRISPO,

Introduzione ai lavori

S ERGIO RoMANO, V ideologia P IETRO P ASTORELLI,

del colonialismo italiano

Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle orzgznz

alla decolonizzazione MARIO S ERIO,

L'Archivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo : iniziative e prospettive di ricerca

Martedì1 24 ottobre I. Fonti archivistiche e storiografiche

Fonti documentarie presso gli Archivi di Stato VINCENZO PELLEGRINI, Fonti documentarie presso altri archivi storici statali. Sintesi delle relazioni di A. Biagini1 M. Cermelli1 E. Ferrante1 F. Lefebvre1 D10vidio e V. Pellegrini ELIO D ' AURIA, Problemi coloniali nelle carte Amendola ELIO LODOLINI,

© 1 996 Ministero per i beni culturali e ambientali

Ufficio centrale per i beni archivistici ISBN 88-7125-108-3

Vendita : Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello Stato Piazza G. Verdi, 10 - 001 98 Roma Finito di sta111pare nel tnese di Luglio 1996 nell'Officina Carte Valori dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Piazza G. Verdi, 10 - 00198 RotJta

PATRIZIA FERRARA,

Recenti acquisizioni dell'Archivio centrale dello Stato in materia di fonti per la storia dell'Africa italiana : Ufficio studi e propaganda del MA I

ALBERTO SBACCHI,

The archive of the Consolata Mission : toward a better understanding of Italian colonialism in East Africa


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Programma

ERMINIO lA CONA, L'archivio di Cesare Nerazzini, un ufficiale mediéo al servizio della diplomazia italiana in Africa (1883- 1897) ANTONIO GARCEA, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nel!'archivio Colosimo MARCO MoZZATI, Bibliografia computerizzata dell'età coloniale (dimostra­ zione) ALESSANDRO TRIULZI, Storia del colonialismo e storia dell'Africa GIAMPAOLO CALCHI NovATI, I convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra : evoluzione di un approccio DENIS MACK SMITH, I! colonialismo italiano nelle fonti documentarie britanniche JEAN-Lours MIÈGE, Le co!onia!isme ita!ien dans !es sources d'archives françaises GHEORGHIJ ZIPKIN, I! colonialismo italiano nelle fonti documentarie sovietiche PIERRE GUILLEN, Historiographie française de la po!itique coloniale ita!ienne

Mercoledì, 25 ottobre

Programma

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Giovedì, 26 ottobre III. Politica e ideologia

FuLVIO D'AMO]A, La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale CLAUDIO SEGRÈ, Ita!J and C!assical Theories of the << New Imperia!ism >>: the Missing Italian Case DANIEL GRANGE, Les groupes de pression expansionnistes en Italie au début du xx· siecle TOMASO DE VERGOTTINI, Fulvio Suvich e l'Etiopia GUIDO PESCOSOLIDO, Colonialismo e antico!onia!ismo nella stampa italiana da A ssab ad Adua MICHELE BRONDINO, I giornali italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

Venerdì 27 ottobre

Il. Le istituzioni

Visita di Siracusa

CARLO GHISALBERTI, Sulle istituzioni colonia/i italiane FRANCESCO CASTRO, Legislazione coloniale e diritto musu!mano GuiDo MELIS, I funzionari coloniali EMILIO GENTILE, I! partito nazionale fascista e le sue organizzazioni nelle colonie

RICCARDO SCRIVANO, Letteratura e colonialismo GABRIELLA CIAMPI, La scuola nelle colonie MARTA PETRICIOLI, Le missioni archeologiche CLAUDIO BETTI, Le missioni religiose HAROLD G. MARCUS, Haile Sellassie and Ita!J, 1936- 194 1 RICHARD PANKHURST, The Italian domination in Etiopian experience and judgement ELENA AGA Rossi, Gli alleati e il problema delle colonie italiane durante la II guerra mondiale JULIETTE BESSIS, I fuoriusciti italiani in Tunisia

FAUSTO FONZI, La Chiesa cattolica e la politica coloniale CESIRA FILESI, L'Istituto coloniale Italiano FRANCESCO SURDICH, Le società geografiche e le esplorazioni LUCIA D'IPPOLITO, L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia Visita guidata di Messina Messina, Teatro Vittorio Emanuele Inaugurazione della mostra fotografica « Colonialismo e fotografia : il caso italiano »

Sabato, 28 ottobre IV. Economia e società

LUIGI DE RosA, Va!orizzazione e sfruttamento delle colonie


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Programma

ANNUNZIATA NoBILE GOGLIA,

L'impatto della colonizzazione sulla demo­ grafia dei popoli coloniali S ALVATORE BoNO, A mbizioni coloniali e reazioni locali: la Libia otto�ana . ( 1881- 191 1) KRYSTYNA VON HENNEBERG, Il colonialismo italiano come progetto interdi­ sciplinare. Il caso della pianificazione nella Libia fascista S ERGIO I. MINERBI, Progetti di insediamenti ebraici in Libia ( 1909) , zn Etiopia ( 1936) e in Cirenaica ( 1943) EDOARDO DEL VECCHIO, Progetti coloniali in A ngola ( 19 1 1- 1934) BENIAMINO CADIOLI, Il problema delle comunicazioni postali tra l'Italia e l'Eritrea V. Militari e politica coloniale PIER LUIGI BERTINARIA,

Dottrina, tattica, strategia e logistica nelle campagne

SOMMARIO

GENERALE

Introduzione L'ideologia del colonialismo italiano P IETRO P ASTORELLI, Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione MARIO SERIO, L'A rchivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo : iniziative e prospettive di ricerca RENATO GRISPO, S ERGIO ROMANO,

15 21 31 45

coloniali MASSIMO MAZZETTI, Il

consolidamento del potere coloniale : le operazioni di

polizia nelle colonie

MARIANO GABRIELE,

La Marina militare, le esplorazioni geografiche e la

penetrazione coloniale PIERO CROCIANI, Costituzione e scioglimento della Polizia dell'Africa Italiana S ILVANO BRONCHINI, L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960) ENRICO BoRGENNI, La cartografia coloniale : L'Istituto Geografico Militare Domenica, 29 ottobre VI. La Società italiana di fronte al colonialismo RENZO D E FELICE,

Fascismo e colonialismo V BRUNELLO IGEZZI, Il liberalismo di Giolitti e l'impresa di Libia RoMAIN H. RAINERO, L' anticolonialismo italiano tra politica e cultura ENNIO D r NoLFO, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra (1945- 1952) GIANLUIGI Rossi, La decolonizzazione italiana tra politica estera e politica interna e l'amministrazione fiduciaria in Somalia

I.

FONTI ARCHIVISTICHE E STORIOGRAFICHE

ELIO LODOLINI,

Le fonti sulla politica coloniale italiana negli A rchivi di Sfato italiani P ATRIZIA FERRARA, Recenti acquisizioni dell'A rchivio centrale dello Stato in materia di fonti per la storia dell'A frica italiana : Ufficio studi e propaganda del MAI A LBERTO SBACCHI, The A rchives of the Consolata Mission and Italian Colonialism ERMINIO IACONA, Cesare Nerazzini, un ufficiale medico al servi­ zio della diplomazia italiana in Africa (1883- 1897) ANTONIO GARCEA, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nell'A rchivio Colosimo ALESSANDRO TRIULZI, Storia del colonialismo e storia dell'Africa GIAMPAOLO CALCHI NOVATI, Studi e politica ai convegni colo­ niali del primo e del secondo dopoguerra D ENIS MACK S MITH, Le fonti britanniche per il colonialismo italiano PIERRE GUILLEN, L'historiographie française de la politique colo­ niale italienne

57

77 87 113 1 49 156 1 66 196 200


10

Sommario generale

Sommario generale

MAURO D ELLA VALLE,

La chiamata alle armi per la guerra di Libia ( 191 1- 1912) dai ruoli matricolari del distretto militare di Frosinone MARIO MISSORI, Una ricerca sui deportati libici nelle carte del­ l'A rchivio centrale dello Stato CLAUDIO MoFFA, I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat SALVATORE ORTOLANI, Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà di Trento VINCENZO PELLEGRINI, Le fonti del Ministero dell'Africa italiana MARINA PIERETTI, Ripercussioni interne ai fatti di Sabati e Do­ gali dalle carte della Questura di Roma (gennaio-febbraio 1887) IRMA TADDIA, Memoria storica e testimonianza orale : colonialismo e ricostruzione del passato nell'Africa italiana G IOVANNA TosATTI, Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor

II.

· 21 1 253 259 287 294 334 349 366

LE ISTITUZIONI

CARLO GHISALBERTI,

Per una storia delle istituzioni coloniali

italiane I funzionari coloniali ( 1912- 1924) La Chiesa cattolica e la politica coloniale CESIRA FILESI, L'Istituto coloniale italiano FRANCESCO S URDICH, Le società geografiche e coloniali LuCIA D 'IPPOLITO, L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia G uiDo MELIS,

FAUSTO FONZI,

] . GRANGE, Peut-on parler au début du XX' siècle d'un "parti colonia/" italien ? ToMASO DE VERGOTTINI, Fulvio Suvich e l'Etiopia G uiDO PESCOSOLIDO, A lle origini del colonialismo italiano : la stampa italiana e la politica coloniale dell'Italia dal rifiuto di intervento in Egitto alla vigilia dell'occupazione di Massaua (1882- 1884) MICHELE BRONDINO, I giornali italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

DANIEL

379 413 438 464 477 488

III. P OLITICA E IDEOLOGIA

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547 560

566 600 627

Indice degli autori

* *

RICCARDO S CRIVANO,

Letteratura e colonialismo GABRIELLA CrAMPI, La scuola nelle colonie MARTA P ETRICIOLI, Le missioni archeologiche CLAUDIO MARIO BETTI, Le missioni religiose HAROLD G. MARCUS, To Be or not to Be Emperor : Hai/e Sellassie and Ita!J, 1936- 1939 RICHARD P ANKHURST, Resistance to Italian Co!onialism: the Case of the Ethiopian Patriots ( 1936- 194 1) ELENA A GA Rossi, Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana durante la seconda guerra mondiale JuLIETTE BESSIS, La minorité italienne de Tunisie LUIGI GOGLIA, Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940) GIACOMO MARTINA, «La Civiltà cattolica>> e il problema colo­ niale italiano MARIA ANTONIETTA MULAS, Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : Giacomo Agnesa (1860- 1919)

645 669 691 702 728 735 77 1 793 805 905 914

FULVIO D 'A MO]A,

La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale. Considerazioni su come due termini dialet­ tici si siano trasformati in un rapporto conflittuale CLAUDIO SEGRÈ, Ita!J and Classica! Theories of the << New Im­ perialism>> : the Missing Italian Case

521 536

IV. EcoNOMIA E SOCIETÀ SERGIO MINEREI,

ed in Etiopia

Tentativi territorialisti ebraici in Tripolitana

943


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L'apporto del Salento alla colonizzazione agricola e demografica in Libia alla vigilia della seconda guerra mondiale MICHELE DURANTE, Pesca, ostricoltura e ricerca idrobiologica nelle colonie italiane d'Africa attraverso le carte dell'A rchivio del regio Laboratorio di biologia marina di Taranto

. 959

997

1008

D oNATELLA LALA,

1 029

ALDO G . RICCI,

La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italo-francese del 1880- 1881

1 050

V . MILITARI E POLITICA COLONIALE P IER L UIGI BERTINARIA,

Dottrina, strategia, tattica e logistica

nelle campagne coloniali

1 063

La Marina militare, le esplorazioni geo­ grafiche e la penetrazione coloniale

1 076

MARIANO G ABRIELE, P IERO CROCIANI,

Costituzione e scioglimento della Polizia del-

l'Africa italiana SILVANO BRONCHINI,

1 1 01

L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960)

VALERIO ToccAFONDI,

La cartografia coloniale italiana

A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

1111 1116

FERRUCCIO BoTTI,

1 124

ELIANA CALANDRA,

Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca attraverso le fonti archivistiche

1 1 50

NICOLA D ELLA VOLPE,

Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego

1 1 68

NICOLA D ELLA VOLPE - FERNANDO FRATTOLILLO,

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dell' Uf­ ficio storico dello SME

RODOLFO

P ULETTI,

La cavalleria nelle

truppe

coloniali

( 1885- 1956)

G IUSEPPE BARLETTA,

L'emigrazione dal Salento in Africa orientale italiana negli anni 1935- 1940

I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro

MARIO GAZZINI,

BENIAMINO CADIGLI, Il problema

delle comunicazioni postali frà Italia ed Eritrea dall'insediamento in A ssab all'occupazione di Massaua (1879- 1885)

13

Sommario generale

Sommario generale

1 1 83

1 1 93 1 207

VI. LA SOCIETÀ ITALIANA DI FRONTE AL COLONIALISMO

Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica RoMA IN H. RAINERO, L'anticolonialismo italiano tra politica e cultura ENNIO D r NoLFO, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

1225

Indice degli autori

1 273

BRUNELLO VIGEZZI,

1 248 1 259


Non è la prima volta che gli Archivi di Stato si fanno promotori di iniziative culturali volte alla valorizzazione del patrimonio documentario. Il congresso che oggi si inaugura rientra anzi nella linea di una politica culturale condotta dall'amministrazione archivistica ormai da quasi un decennio, e che a sua volta si inserisce in un discorso sui compiti e sulla funzione culturale dei nostri istituti, che risale ad oltre un secolo fa, all'indomani cioè della proclamazione dello Stato unitario. Gli argomenti a sostegno della funzione culturale degli archivi e della documentazione in essi contenuta, come fonte storica e come strumento di ricerca, dovevano anzi rimanere pressoché costanti per oltre un secolo, attraverso dibattiti più o meno accesi sulla organizzazione e sulle strutture, sulla preparazione professionale, sui criteri di selezione del personale, sui rapporti con il mondo delle accademie, delle società di storia patria, delle università : senza peraltro mai mettere in dubbio il carattere atipico della funzione dell'archivista, in cui il momento scientifico e culturale non deve mai far dimenticare il pur importante e non trascurabile momento amministrativo. Tale rivendicazione della valenza culturale e scientifica degli A rchivi di Stato, ampiamente confortata dal consenso della dottrina, anche in sede interna­ zionale, doveva avere ampio rilancio in tempi più recenti, a partire dagli anni '60, appunto in concomitanza con il movimento per la costituzione del Ministero per i beni culturali. Ma l'approdo degli archivi al nuovo Ministero, se era il punto d'arrivo di una lunga battaglia per la rivendicazione di precise istanze culturali e di una corretta qualificazione professionale degli archivi e degli archivisti, doveva costituire anche la premessa di una nuova svolta che avrebbe in breve tempo provocato una decisa modificazione delle funzioni, delle competenze e dell'imma­ gine stessa degli archivi : una svolta da porsi in rapporto con l'accresciuta


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Renato Grispo

Introduzione

domanda di servizi culturali da parte di un pubblico sempre più àmpio e diversificato1 avido di conoscenze e di informazioni ai livelli più differenti. Per far fronte a questa mutata domanda di cultura1 nuove scelte di politica culturale erano necessarie anche per gli archivi1 in armonia con limmagine che di sé veniva dando il nuovo Ministero. Essi non potevano infatti rimanere i custodi privilegiati della documentazione1 da/laccesso riservato a pochi eletti1 i templi polverosi della storia e della tradizione; ma dovevano porsi come elementi di un nuovo processo di civiltà1 strumenti di intelligenza per un pubblico sempre più ampio al quale dovevano poter rivelare la chiave della sua storia e della sua vita. Il completamento1 ormai imminente1 della Guida generale degli A rchivi di 1 Stato - un impresa di ampio respiro1 pressoché unica nel panorama culturale internazionale - consente oggi non solo di pensare concretamente al censimento e alla Guida degli archivi non statali1 quale strumento indispensabile per la valorizzazione di tale settore fondamentale del patrimonio culturale del nostro paese; ma costituisce già il punto di partenza di tutta una serie di approfondi­ menti} di studi1 di pubblicazioni1 di proposte di ogni genere. In questo quadro vanno perciò considerate le molteplici iniziative degli ultimi anni1 e tra esse i numerosi convegni di studio i cui atti testimoniano di una presenza culturale non efif mera anche a livello internazionale. Basta ricordare La famiglia e la vita quotidiana in Europa dal '400 al '600, Fonti e problemi, Milano 1983 ; Informatica e archivi, Torino 1 985 ; Italia Judaica, I. Convegno internazionale, Bari 1 981 ; Italia Judaica, II. Gli ebrei in Italia tra Rinascimento ed età barocca, Genova 1 984; Italia Judaica. IV. Gli ebrei nell'Italia unita, Siena 1989; Gli archivi per la storia contemporanea. Organizzazione e fruizione, Mon­ dovì 1 984 ; Cartografia ed istituzioni in età moderna, Genova 1 986 ; Il Lazio meridionale tra Papato e Impero al tempo di Enrico VI, Fiug­ gi-Guarcino 1 986 ; Gli archivi per la storia dell'alimentazione, Poten­ za-Matera 1 988 ; Le fonti diplomatiche in età moderna e contempora­ nea, Lucca 1 989. Dopo /interesse dellA mministrazione per le fonti diplomatiche (pubblica­ zione degli atti del seminario di Tutzing1 Les documents diplomatiques1 impor­ tantes sources des études balkaniques) e il più recente congresso di Lucca su Le fonti diplomatiche in età moderna e contemporanea} il convegno di Messi­ na- Taormina si inserisce in un quadro di iniziative volte alla individuazione1 alla lettura ed alla valorizzazione delle fonti relative a quel momento1 diversa­ mente valutato ma comunque importante1 della storia del nostro paese che fu

lespansionismo coloniale e più ampiamente a tutta la storia dei rapporti tra Fitalia e lAfrica1 in particolare negli ultimi due secoli. Mi riferisco ai volumi di guide alle fonti per la storia del/Africa} sta curati direttamente dallA mministrazione (Guida per /Africa a sud del Sahara nel quadro del progetto UNESCO della <<Guida alle fonti per la storia delle nazioni>>) sia inseriti nella grande collana degli «Inventari delle fonti e mano­ scritti relativi alla storia del/Africa del Nord esistenti in Italia>> già diretta da C. Giglio e ora da M. Mozzati; ma penso anche ai lavori in preparazione sulla struttura del Ministero delle colonie - Africa italiana nel quadro della ricerca per la storia de/lamministrazione1 nonché alla raccolta di saggi coloniali di A lberto A quarone1 apparsa nel 1989 con il titolo Dopo Adua : politica e amministrazione coloniale a cura di L. de Courten nella collana Saggi delle Pubblicazioni degli A rchivi di Stato. La scarsità di lavori di storia coloniale italiana tante volte lamentata1 a differenza della ricchezza problematica e de/lapprofondimento critico della storiografia anglosassone1 francese e tedesca su/limperialismo1 serve d'altra parte ad accentuare l'interesse anche di sporadiche iniziative. E giustifica ancora1 credo1 lorganizzazione di questo convegno come uno sforzo inteso a proporre il ripensamento critico1 alla luce della più ampia documentazione disponibile1 di vicende e problemi che pur sempre costituiscono momenti importanti e significativi della .storia del nostro paese e dello sviluppo stesso del mondo contemporaneo. Certo nessuno meglio di noi ha coscienza dei rischi e dei limiti del/iniziativa avviata in un momento che1 se poteva sembrare propizio ad un riesame obiettivo di vicende ormai decantate1 ne vede invece qua e là riapparire i fantasmi con riflessi ancora vividi ed esiti imprevedibili. La lunga gestazione del convegno ( come già per quello dell'Istituto ifa­ lo-africano del 1985 dedicato agli «Studi africanistici in Italia dagli anni '60 ad oggi») testimonia delle molte difficoltà ed incertezze} dal mutamento della sede e delle strutture organizzative1 alle successive modifiche del programma di lavoro1 alla alluvionale sovrapposizione di relazioni e comunicazioni proposte ed offerte oltre ogni iniziale previsione. Per di più1 poiché abbiamo rifiutato di articolare i lavori in sezioni1 secondo una formula di apparente successo1 ma a nostro avviso mortificante} ne è risultato un quadro generale eccessivamente affollato1 con tempi troppo stretti per tutte le relazioni e1 purtroppo 1 per la discussione; e questo} anche se un numero cospicuo di studiosi hanno cortesemente accettato o richiesto di

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Renato Grispo

essere presenti soltanto agli atti, con un loro contributo scritto. Questo sig�ifica che non ci sono relazioni più importanti e relazioni meno importanti, a seconda della collocazione e del tempo a disposizione, come da qualcuno è -stato erroneamente ipotizzato. Perché uguale è apparso e appare l'interesse sia per le relazioni di base (e di sintesi) sia per le comunicazioni su studi di casi e problemi particolari. Il voluto rifiuto di ogni scelta ideologica aprioristica e la coscienza della utilità del più ampio dibattito storiografico hanno convinto infatti il comitato organizzatore, pur nel quadro di una rigorosa selezione della qualità delle partecipazioni, a non respingere le proposte di intervento che fossero riconosciute valide, anche quando il numero dei relatori aveva superato la soglia di guardia. L'adesione di studiosi di ogni scuola e tendenza, e non soltanto degli <<africa­ nisti>>, sembra comunque assicurare circa l'interesse dell'iniziativa e in particolare della chiave di lettura che si è voluta suggerire, nel richiamo al documento come punto di partenza per ogni ricerca anche in quei settori della storia contempo­ ranea dove la tentazione del ricorso alla stampa, alla pubblicistica, alla memorialistica, appare più forte e, in un certo senso, più giustificato. L'impostazione generale del convegno risente certo, anche per altro verso, di questa premessa. Perché, essendo le fonti qui disponibili soprattutto italiane, il bilancio che potrà derivarne sarà ancora una volta soprattutto <<dalla parte del colonizzatore» anche se passato al vaglio dell'autocritica e del più rigoroso distacco emozionale. Questo non impedisce tuttavia di individuare nel programma dei lavori un quadro generale ricco di fUggestioni e di proposte e una serie di nodi di dibattito di grande interesse. La sezione sulle Fonti archivistiche e storiografiche, oltre ad offrire un panorama della documentazione disponibile e dello stato degli studi, non può non richiamare l'attenzione sull'esigenza di un accesso agli archivi più ampio e liberalizzato, quale che ne sia la sede di conservazione, poiché unica e con valore per tutti è la legge sugli archivi attualmente in vigore. Le sezioni sulle Istituzioni e sulla legislazione contribuirà forse a meglio individuare e precisare i caratteri distintivi dell'amministrazione coloniale italiana nel quadro dei diversi imperialismi coloniali del secolo XX. La sezione su Politica e ideologia potrà illustrare il peso di certi gruppi di pressione e i riflessi della politica coloniale italiana in ambito internazionale. La sezione Economia e società esaminerà in termini generali il modello italiano di valorizzazione e sfruttamento delle colonie, con una serie, per altro,

Introduzione

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di contributi su specifici progetti di insediamenti e di colonizzazione, mentre la sezione Militari e politica coloniale consentirà di valutare il ruolo delle diverse forze armate nell'esperienza coloniale, con un significativo riferimento all'Istituto geografico militare e alla produzione della cartografia coloniale. Finalmente la sezione dedicata alla Società italiana di fronte al colonia­ lismo consentirà di trarre un bilancio dell'impatto del fatto coloniale sulla soci�tà e del dibattito su colonialismo e anticolonialismo tra politica e cultura. E evidente tuttavia che da questo convegno non ci si debbono attendere conclusioni definitive e per tutti soddisfacenti. Il modo stesso con cui sono stati suggeriti e scelti i temi delle relazioni e delle comunicazioni dimostra l'impossibilità di una panoramica esaustiva di una pro­ blematica così complessa e in gran parte ancora poco esplorata. Potremo essere soddisfatti se potranno essere individuati i nodi problematici più importanti e significativi, sollecitandone il chiarimento alla luce della documentazione esistente. Come per qualsiasi incontro di studio che sia condotto con serietà, piuttosto che conclusioni precise dobbiamo augurarci che ne vengano suggerimenti, ipotesi, sollecitazioni, ed ulteriori approfondimenti. In particolare sarà importante verificare in che misura esista in Italia una coscienza storica o una memoria storiografica del fenomeno coloniale; se sia possibile analizzare tale fenomeno senza schemi precostituiti; se sia giunto il momento di accompagnare alla storia degli avvenimenti l'analisi dei problemi e della realtà sociale nati dalla colonizzazione. Se tanto riusciremo a realizzare, questo convegno non sarà stato semplicemente un'ennesima occasione d'incontro conviviale tra vecchi amici - come è comunque piacevole che sia - ma avrà recato il suo modesto contributo agli studi e al tempo stesso riaffermata la validità di quella linea di collaborazione tra archivi, università e istituti di ricerca che costituisce la carta vincente dell'iniziativa culturale degli A rchivi di Stato. Renato Grispo Direttore generale per i beni archivistici


SERGIO ROMANO

L'ideologia del colonialismo italiano

Questa relazione non risponderà a tutti i quesiti impliciti nel suo titolo. Uno studio approfondito sull'ideologia del colonialismo italiano richiederebbe anzitutto una ricerca comparata sull'ideologia delle altre potenze coloniali e in secondo luogo un'indagine sulla diversa perce­ zione del colonialismo in Italia dalle sue prime manifestazioni, all'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, sino al dibattito nazionale sulle clausole coloniali del trattato di pace nel secondo dopoguerra. Mi propongo un obiettivo più limitato. Accennerò soprattutto alle argo­ mentazioni con cui le prime iniziative coloniali vennero giustificate dal governo e criticate dall'opposizione ; e cercherò di allargare il quadro, per meglio comprendere la portata di quegli argomenti, alle circostanze politiche internazionali in cui l'Italia prese tali iniziative. Chi si occupi del colonialismo italiano per il periodo al quale mi riferisco incontra subito sulla sua strada una personalità contraddittoria. Quando divenne ministro degli Esteri con Depretis nel 1882, Pasquale Stanislao Mancini era soprattutto un grande giurista. Aveva partecipato ai moti napoletani del 1 848 e si era rifugiato a Torino dove l'Università aveva istituito per lui nel 1 850 la prima cattedra di diritto internazio­ nale. La sua prolusione del 1 851 su « La nazionalità come fonte del diritto delle genti» gli aveva procurato grande fama, in positivo e in negativo, in Italia e all'estero. Vent'anni dopo, nel 1 873, i suoi meriti scientifici gli avevano valso la presidenza dell'Istituto di diritto inter­ nazionale, a Ginevra. I suoi studi sul fondamento legale degli Stati nazionali avevano fatto di lui la mente giuridica del Risorgimento. All'inizio degli anni Ottanta egli era insomma, non soltanto in Italia, un prezioso punto di riferimento per tutti coloro che intendevano ridisegnare la carta d'Europa secondo il principio di nazionalità. Se le sue teorie giuridiche possono definirsi, come io credo, «ideologia»,


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L'ideologia del colonialismo italiano

Sergio Romano

egli fu certamente uno dei maggiori ideologi dei movimenti nazionali che occuparono la scena politica europea per buona parte del secolo . Ma Pasquale Stanislao Mancini è anche per cert1. aspettl. uno del. «fondatori» della politica estera italiana perché a lui risalgono due decisioni, prese nel primo anno del suo ministero, che hanno p�ofon� damente marcato la posizione internazionale del suo paese negh anm successivi : la stipulazione della Triplice alleanza e la trasformazione di una « microscopica colonia» commerciale sulle coste del mar Rosso _ come egli stesso ebbe a definirla - in territorio politico del :egno d'Italia. Come poté accadere che l'ideologo dello Stato naz10nal� divenisse nel 1 882 il promotore di un trattato d'alleanza con uno del tre maggiori imperi multinazionali europei Come pot accadere che Mancini, dopo avere lungamente predicato, m cattedra e m Parlamento, il rispetto di tutte le nazionalità, divenisse in quello stesso ann� l'iniziatore di una politica coloniale che avrebbe provocato pochi. ann1 dopo la prima guerra nazionale africana contro l'invas r stra�iero Una parte considerevole dei pubblici interventi di Mancml n_e?h anm successivi al 1 882 cerca di rispondere, per l'appunto, a quest1 mterro­ gativi. Riassumerò brevemente gli argomenti c n cui egli giustificò la propria politica coloniale e rivendicò a ropna coerenza. . . Essi appartengono in parte al bagagho mtellet ual el colonlahsm . europeo nell'ultimo quarto del secolo. Come altn m1mstn degh. ster Mancini giustifica le sue iniziative - il diseg�w di egge su la la d . Assab e l'occupazione di Massaua - con un mtrecc1o d1 rag10n1 1deali e economiche. L'Italia non può sottrarsi ai suoi obblighi di paese civile e deve concorrere con le altre potenze europee al progresso morale e sociale delle popolazioni africane. Gli obiettivi che egli fissa al paese nei suoi primi discorsi sull'argomento sono q_uelli eh ricor­ rono con maggiore frequenza nella letteratura colomale dell epoca : . com­ occorre debellare la tratta degli schiavi, regolare severamente 1l mercio delle bevande alcoliche fra popolazioni indigene, tutelare l'or­ dine pubblico e le vie di comunicazione, garantire la vita e i beni de . commercianti europei, favorire i rapporti economici con le popolaz10n1 dell'interno diffondere i benefici dell'istruzione e del lavoro. La colo­ nizzazione quindi un obbligo di civiltà, il necessario «fardello » che l'uomo bianco deve portare sulle proprie spalle per il generale pro­ gresso dell'umanità. Non vi è contraddizione, secondo Mancini, fra il

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diritto dei colonizzatori e quelli delle nazionalità colonizzate. Mentre le vecchie colonie - quelle spagnole nell'America latina e quelle inglesi nell'America settentrionale - furono strumenti di dominazione e di oppressione, le nuove colonie saranno palestre di educazione e di libertà. « Noi vogliamo il bene delle- popolazioni e l'educazione loro » - disse alla Camera dopo i fatti di Dogali, il 30 giugno 1 887 - ; « dobbiamo rispettare l e loro credenze religiose e i rapporti di famiglia, i loro beni, le loro proprietà, e il giorno in cui saranno mature per godere liberamente dei frutti della civiltà, sarebbe un delitto per l'Italia pretendere di ritenerle soggette, anziché far quello che spontaneamente l'Inghilterra avrebbe dovuto fare delle colonie sue dell'America del Nord, anziché obbligarle a rivendicare con la forza la loro indipen­ denza. » A coloro che lo rimproveravano di avere tradito con la sua politica coloniale i suoi principi giuridici egli rispondeva nello stesso discorso che la colonizzazione era destinata a creare un rapporto temporaneo di protezione. « Questo rapporto » - aggiunse - « è tanto legittimo nella società internazionale, quanto è legittimo nel diritto privato quel rapporto che chiamasi di tutela : tutela degli incapaci per età, ovvero per debolezza di mente ; il quale parimenti non è incom­ patibile col principio dell'indipendenza e dell'eguaglianza di tutte le creature umane». Sin qui, ripeto, gli argomenti non sono particolarmente italiani. Divengono maggiomente tali quando Mancini cerca di collegare le sue iniziative coloniali ad alcuni presunti caratteri storici dell'economia italiana. Esprimendo una convinzione diffusa in Italia sin dagli anni in cui si era cominciato a discutere del taglio dell'istmo di Suez e della costruzione di un canale che avrebbe collegato il Mediterraneo alle Indie, egli vuole le colonie perché esse permetteranno al paese di ritrovare, con la propria vocazione marittima e mercantile, il senti­ mento della sua identità storica e della sua missione nel mondo. Le colonie sul mar Rosso non erano, in tale prospettiva, un passo nuovo e temerario su strade non ancora percorse, ma un ritorno alle origini. Nel discorso alla Camera del 30 giugno 1 887 egli disse : « L'Italia che non può dimenticare i prodigi di colonizzazione operati dai suoi semplici Comuni, come Pisa, Venezia e Genova, nel Medioevo, e le tracce luminose ed incancellabili che essi hanno lasciato nei paesi d'Oriente, sarebbe stata custode infedele ed ingrata di quella preziosa


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eredità di potenza e di gloria, se avesse essa sola ricusato di conc-orrere a codesta gara generale dei popoli civili, e specialmente delle grandi nazioni ; avrebbe, io penso, scritto il proprio suicidio nella . storia dell'avvenire dell'umanità e della civiltà». Sappiamo oggi che quelle speranze erano in gran parte infondate e che nessuna attività mercantile dal Mediterraneo alle Indie orientali avrebbe potuto assicurare il « decollo» economico di una nazione di trenta milioni di abitanti. Sappiamo in altre parole che gli argomenti di Mancini erano storici e culturali più che economici. Ma erano risorgimentali perché s'ispiravano alla convinzione, profondamente risorgimentale, che l'Unità nazionale fosse anzitutto un ritorno. E che tale ritorno coincidesse con l'apertura del canale di Suez era considerata una fortunata coincidenza, il segno di una felice congiuntura per la nuova nazione. Correggendo finalmente gli svantaggi di cui l'economia italiana aveva sofferto dopo la scoperta dell'America, il canale offriva all'Italia l'occasione di ripercorrere con successo una v1a che le era familiare. Ancor più italiano, infine, era un altro argomento a cui Mancini ricorse più volte in quegli anni. Quando dovette difendere alla Camera l'occupazione di Massaua chiese, retoricamente : «Or bene, se l'emigrazione esiste, se questo fatto non si può impedire, dappoiché sacra è la libertà dell'uomo, e, prima fra tutte le libertà, quella di vivere dove meglio piace a ciascuno ; ebbene, o signori, sarà più vantaggioso che questa emigra­ zione si disperda sulla faccia del globo; che vada a caso in lontane ed ignote regioni, dove l'aspetta il disinganno e talora la morte ; che non vi siena paesi, le condizioni dei quali siena già ben conosciute, dove il suo lavoro possa essere con certa e propizia utilità esercitato, e dove sventoli la bandiera nazionale, che tuteli e protegga le industrie degli emigranti italiani, anziché essi siano costretti a mendicare sicurezza e protezione da governi stranieri? ».

Tutte le motivazioni addotte da Mancini per giustificare la legge di sovranità sulla baia di Assab e lo sbarco a Massaua erano discutibili, e vennero aspramente discusse, infatti, durante i dibattiti parlamentari di quegli anni. Fra coloro che maggiormente si contrapposero a Man­ cini e successivamente a Crispi sul problema della politica coloniale italiana, troviamo una delle figure più intelligenti della Destra, Rug­ giero Bonghi. Anch'egli, come Mancini, veniva dal regno del Sud e si era rifugiato in Piemonte dopo il 1 848 ; anch'egli, come Mancini, aveva

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alle sue spalle una brillante carriera accademica e una importante produzione scientifica. Ma Bonghi, a differenza del ministro degli Esteri, aveva scarsa vocazione all'esercizio del potere ed era soprattutto un formidabile oratore politico, con un acume critico che conserva ancora attualità e mordente. Quando venne in discussione alla Camera l'occupazione di Massaua egli sottopose gli argomenti di Mancini ad una analisi severa. Osservò anzitutto che la politica coloniale dell'Italia gli appariva improvvisata e impreparata. Mentre la Germania - ultima fra le grandi potenze coloniali europee - aveva accuratamente scelto i propri obiettivi facendosi precedere dai propri scienzia�i e commer­ cianti, l'Italia sembrava obbedire a sollecitazioni estemporanee. Conte­ stò poi decisamente le finalità umanitarie del colonialismo sostenenendo che nessuna nazione aveva il diritto di conquistare terre governate. Ricordando le disavventure dei francesi in Tonchino e degli inglesi in Sudan, sostenne che l'iniziativa dell'Italia avrebbe suscitato contrasti e lotte, soprattutto con l'Abissinia. « Oggi (. . . )» - disse ironicamente alla Camera il 7 maggio 1 885 « i popoli più o meno barbari (e notate che i popoli sudanesi ed abissini non si possono dire a dirittura barbari) sanno ed hanno capito che gli Stati europei hanno un solo e buon mezzo per incivilirli: quello di annientarli». -

Quanto alla <<nobile gara» fra potenze europee cui Mancini aveva fatto frequente riferimento, osservò, dimostrandosi buon profeta, che altri europei, « Nemici vostri per quella fratellanza che ci stringe tutti», erano pronti a fornire armi ai «barbari».

Altrettanto infondati apparivano a Bonghi gli argomenti di Mancini sulla convenienza economica delle imprese coloniali e sulle prospettive che esse avrebbero aperto per l'emigrazione italiana. Gli sembrava assurdo che l'Italia andasse ad «incivilire un paese che non chiede punto di essere incivilito da noi, spendendo in quest'opera molti e molti di quei milioni che mancano per le opere nostre». E non era convinto che gli italiani avrebbero preferito l'Africa orientale ai paesi in cui erano soliti emigrare. « <o credo invece» - osservò - « che gli emigranti continuerebbero a dirigersi nei paesi in cui oggi vanno, e lascerebbero deserte, come le hanno lasciate per tanti anni, le spiagge


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del mar Rosso e l'altipiano abissino, ove anche fossimo in gfado di loro concedere questo o quelle». Nel 1 887, dopo i fatti di Dogali, ritornò sull'argomento delle finalità ideali e della convenienza econo­ mica con un aneddoto che dimostrava indirettamente quanto egli fosse altrettanto impermeabiie al fascino del colonialismo e a quello del ·potere. Raccontò che qualche anno prima, mentre egli era deputato in una regione di cui non intendeva fare il nome, aveva percorso la circoscrizione per vedere le condizioni dei villaggi e aveva pronunciato una frase che gli era costata la perdita del collegio : « Sono lieto di essere deputato di un collegio che mi dà qui l'esperienza della più selvaggia parte dell'Africa senza che io ci vada». Potrei citare altri protagonisti del dibattito coloniale durante gli anni Ottanta del secolo scorso, ma le voci di Mancini e Bonghi mi sembrano riassumere adeguatamente, per gli scopi di questa comuni­ cazione, i principali argomenti che vennero usati da una parte e dal­ l'altra. Commetteremmo un errore tuttavia se attribuissimo eccessiva importanza al dibattito « ideologico » e ritenessimo che le iniziative di Mancini rappresentarono la vittoria dell'ideologia coloniale sugli argomenti anticoloniali dell'opposizione. Le motivazioni della legge di Assab e dell'occupazione di Massaua sono assai meno coloniali di quanto non possa giudicarsi dal tenore dei discorsi parlamentari e come in altre circostanze della vita politica italiana il dibattito oscura la realtà. Per comprendere le decisioni di Mancini occorre fare riferimento al quadro politico e alla particolare situazione dell'I­ talia in quegli anni. La conquista europea dell'Africa aveva subito da qualche tempo una forte accelerazione, ma non tutte le iniziative europee potevano qualificarsi egualmente colonialiste. Erano coloniali lo sbarco dei francesi a Gibuti, la graduale conquista della Nigeria da parte dell'In­ ghilterra, l'insediamento dei francesi sulle rive del Congo e le iniziative di Leopoldo del Belgio per la creazione di uno Stato indipendente del Congo. Ma sino a che punto potevano considerarsi coloniali l'occupa­ zione francese della Tunisia nel 1 881 e la spedizione inglese in Egitto nel 1 882? In ambedue i casi una potenza europea con forti interessi nel Mediterraneo approfittava del declino dell'impero ottomano per estendere il proprio controllo su regioni che essa considerava vitali per la propria sicurezza. Né il protettorato francese sulla Tunisia né

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quello inglese sull'Egitto rispondevano ai criteri con cui gli uorrum politici europei giustificavano in quegli anni la politica coloniale dei loro governi. Erano manifestazioni di politica imperiale, non diverse da quelle che avevano distinto in passato la storia d'Europa. I due avvenimenti avevano completamente alterato gli equilibri politici della regione e trasformato quasi tutto il Mediterraneo in una sorta di condominio anglo-francese. Nel primo caso l'Italia si trovò di fronte a un fatto compiuto, nel secondo temette i rischi di una spedizione militare e declinò l'invito del governo inglese. Cono­ sciamo le reazioni con cui l'opinione italiana accolse le due vicende e sappiamo che una parte della classe dirigente ne fu fortemente preoccupata. A poco più di vent'anni dalla costituzione del regno e dalla sua apparizione nel « concerto delle nazioni », l'Italia assisteva impotente a due avvenimenti che la rimpicciolivano e che le preclu­ devano buona parte delle prospettive cui il Risorgimento, teorica­ mente, le dava diritto. Cairoli, che era presidente del Consiglio e ministro degli Esteri all'epoca della vicenda tunisina, dovette di­ mettersi ; Mancini, che era ministro degli Esteri all'epoca della spedi­ zione inglese in Egitto, non dette le dimissioni, ma passò il resto della sua vita a spiegare, in termini non interamente convincenti, le ragioni del suo rifiuto. La legge sulla baia di Assab e l'occupazione di Massaua sono direttamente collegate a quella duplice esperienza e in particolar modo alla mancata partecipazione dell'Italia nella spedizione d'Egitto. Con quelle due iniziative Mancini si proponeva probabilmente due obiettivi. In primo luogo cercava di dare al paese una soddisfazione morale che lo ripagasse delle delusioni subite nel Mediterraneo. In secondo luogo cercava di rientrare in Egitto dalla porta africana. Il calcolo, apparen­ temente, non era del tutto infondato. Le regioni del mar Rosso su cui l'Italia aveva deciso di estendere la propria sovranità appartenevano a una zona - dal Sudan agli incerti confini con l'Abissinia - che negli anni precedenti era stata controllata e presidiata dall'Egitto. Insieme all'Inghilterra, quindi, l'Italia stava partecipando non tanto a un' ope­ razione coloniale, nel senso ottocentesco della parola, quanto alla spartizione dello Stato egiziano. Mancini non poté evitare che il colonialismo italiano divenisse nella sua fase iniziale una sorta di subimperialismo britannico, ma sperò di avere recuperato in tal modo


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quel diritto a un rapporto privilegiato con l'Inghilterra nel rego�Ù)ento delle questioni egiziane che egli stesso aveva rifiutato .poco tempo prima. È questo, credo, il significato di una frase molto nota .che egli pronunciò alla Camera il 27 gennaio 1 885 :

renza coloniale che aveva dapprima affrontato il problema d el Congo e successivamente quello più generale d ella convivenza europea nel continente africano. L'Italia vi aveva partecipato con una delegazione composta dall'ambasciatore a Berlino de Launay, da Cristoforo Negri e dal senatore Mantegazza. La conferenza non poté prevenire i con­ flitti coloniali che sarebbero sorti fra alcune potenze negli anni successivi, ma riuscì a delineare, entro certi limiti, una sorta di società azionaria europea per l'amministrazione coloniale in cui ogni potenza aveva, per i propri territori, funzioni di procuratore. La partecipa­ zione alla società delle singole potenze dipendeva tuttavia, in ultima analisi, dall'importanza dei loro possedimenti coloniali. L'Italia, che aveva in quel momento nel proprio pacchetto azionario soltanto la baia di Assab, temette che la sua partecipazione sarebbe stata del tutto nominale e cercò di rafforzarla con l'occupazione di Massaua. Forse le dichiarazioni più franche di Mancini sui reali motivi della occupazione di Massaua sono quelle che egli pronunciò alla Camera il 30 giugno 1 887 :

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«Voi temete (. . .)»- disse in quella occasione - « che la nostra azione nel mar Rosso ci distolga da quello che chiamate il vero e importante obiettivo della politica italiana, che deve essere il Mediterraneo. Ma perché invece non volete riconoscere che nel mar Rosso, il più vicino al Mediterraneo, possiamo trovare la chiave di quest'ultimo, la via che ci riconduca a una efficace tutela contro ogni nuovo turbamento nel suo equilibrio?»

Si spiegò ancora meglio dopo i fatti di Dogali quando cercò di giustificare ancora una volta la mancata partecipazione italiana alla spedizione inglese in Egitto e aggiunse : « Politicamente, con la nostra presenza armata nel mar Rosso, e con l'occupazione di varii punti di quelle coste, alcuni de' quali sono stati fmora presidiati dall'Egitto, mentre nelle altre parti del territorio medesimo sono le armi britanniche, noi concorriamo con efficace opera e con legittima influenza alla tranquillità ed alla pacificazione dell'Egitto, ed avremo voce ed interesse nella defmitiva soluzione della questione egiziana».

Il calcolo si rivelò sbagliato perché la « definitiva soluzione della questione egiziana», che Mancini attendeva dal futuro, aveva già avuto luogo : era quella che gli inglesi avevano imposto al Cairo e all'Europa con la loro iniziativa del 1 882. Crispi, che lo aveva fortemente criticato per non avere dato una risposta positiva agli inviti di Londra, fu tra i primi ad accorgersi che le chiavi del Mediterraneo non erano nel mar Rosso. Ma la politica di Mancini, anche se discutibile e contesta­ bile, finì per prevalere. Vi era infatti nei suoi discorsi un argomento a cui tutti, anche Bonghi, finirono per arrendersi. Nel ge �naio del 1 885, rispondendo ad alcune interpellanze sulla politica coloniale del governo, egli aveva formulato un'altra domanda retorica : « (... ) come potremmo noi chiudere gli occhi a questa gara generosa che ormai si manifesta fra tutte le grandi nazioni di Europa, per associarsi in una specie d'impresa comune e solidale di mondiale incivilimento, in un'alta missione educatrice di tanta parte del genere umano che abita il vasto continente africano?»

Sulla generosità di quella gara era lecito dubitare, sul fatto che vi fosse in quegli anni una « febbre coloniale», no. Per iniziativa di Bismarck e di Jules Ferry si era tenuta a Berlino nel 1 884 una confe-

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« Ed in vero noi avevamo pensato, o signori, che, mentre in Europa non si potrebbe innalzare la nostra bandiera sopra un ettaro di terra senza versare torrenti di sangue; mentre in Asia stanno a fronte due grandi colossi, la Russia e l'Inghilterra, che non lasciano luogo ad un terzo; mentre in America la teoria di Monroe non permette ad alcuna potenza europea di parvi il piede; non c'è che l'Africa, la quale, (. ..) prima del compiersi di questo secolo, fmirà certamente per essere aperta a tutte le nazioni civili, e da esse con diversi intenti occupata».

È questo l'argomento che finì per ottenere l'adesione più o meno rassegnata della classe politica italiana e che finì per convertire al colonialismo in Africa orientale, prima o dopo, anche coloro che, come Ferdinando Martini, mantennero un atteggiamento critico sino agli anni Novanta. L'Italia non se ne poteva stare con le braccia incrociate ad aspettare che il mondo venisse spartito fra le altre potenze. Anche se apparentemente motivata da considerazioni ideo­ logiche la scelta coloniale della politica estera italiana fu vissuta dalla classe dirigente del paese come una scelta obbligata, imposta dalle circostanze, a dispetto di qualsiasi ragionevole obiezione. L'Italia non fu autonomamente colonialista o imperialista, sulla base di valu­ tazioni e interessi propri. Fu colonialista e imperialista di rimbalzo, per il desiderio di evitare che tutte le carte venissero distribuite


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prima che lei avesse il diritto di sedersi al tavolo della storia . Sono . in gran parte le stesse ragioni che motivarono il suo intervento nella prima e nella seconda guerra mondiale. E in ciascuna di . queste decisioni, sia detto per inciso, la Sinistra ebbe sempre una .parte determinante. Ho detto più sopra che mi sarei limitato a parlare del dibattito coloniale negli anni Ottanta del secolo scorso. Desidero tuttavia, prima di concludere, accennare a un particolare aspetto del coloniali­ smo italiano negli anni che precedettero la prima guerra mondiale. Con gli scrittori nazionalisti dei primi del secolo il colonialismo diventa, come sappiamo, una componente fondamentale dell'ideologia nazionalista. Conosciamo gli argomenti politici, economici e demo­ grafici con cui Enrico Corradini e Gualtiero Castellini motivarono le loro esortazioni al paese, soprattutto nel periodo che precedette la guerra di Libia. Ma il tema ricorrente dei loro interventi fu, al di là d'ogni considerazione politica, economica o sociale, la necessità di riscattare la sconfitta di Adua. Agli occhi del nazionalismo italiano Adua divenne - e tale rimase per certi aspetti sino alla guerra d'Etiopia - la ragione sufficiente per giustificare le nuove imprese coloniali della nazione. La battaglia perduta del 1 896 assunse per una parte dell'opinione italiana caratteri non diversi da quelli che l'Alsazia e la Lorena avevano allora per l'opinione francese. Accadde così paradossalmente che una sconfitta subita nel corso di operazioni coloniali le cui motivazioni erano fragili e contestabili divenisse il tema centrale della nuova ideologia. Grazie a Adua, paradossalmente, l'Italia poteva esimersi dal discutere i meriti della propria politica coloniale. Avere perso, in altre parole, era una ragione sufficiente per fare la guerra e per dimenticare che il dibattito sull'utilità del colonialismo italiano restava incompleto e insoddisfacente.

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Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle orzgznz alla decolonizzazione

1 . È gran merito di questo convegno l'aver riportato alla luce la politica coloniale italiana, dissipando l'equivoco, nato agli inizi degli anni Sessanta, allorché la disciplina accademica che aveva questo titolo, per influenza dei tempi e del modo di pensare, oltre che per un incidente occasionale, fu trasformata in storia e istituzioni dei paesi afroasiatici. In effetti non si trattò di una trasformazione, bensì di una soppressione della vecchia materia e della istituzione, o meglio della rimessa in vigore (esistendo già per talune aree, come quella del mondo islamico, una buona tradizione scientifica), di un diverso settore di studi sul mondo extraeuropeo. In conseguenza di quel mutamento di nome, non si parlò più di storia e politica coloniale, disconoscendo il fatto molto evidente che la politica coloniale italiana è un capitolo assai vasto e lungo della storia politica dell'Italia dall'Unità al secondo dopoguerra, che non può essere minimamente confuso con la storia di altri continenti. E si tratta per di più di un capitolo non marginale, ma di importanza tale da collocarsi, almeno in un momento, al centro della politica nazionale, essendo tra gli elementi essenziali determinanti la svolta subita dalla collocazione internazionale del paese nel 1 936, che ebbe, come è noto, conseguenze tragiche. Politica coloniale, dunque, che è parte integrante della storia politica dell'Italia, con l'ovvia conseguenza che anche le sue articolazioni particolari, la storia militare, quella economica, quella sociale, quella istituzionale, quella delle idee, tante appunto quante sono le sezioni di questo convegno, sono parti di tutti questi profili della storia italiana. Gli studi che alla storia coloniale generale si riferiscono sono nu­ merosi, ma non tanti quanto i volumi che trattano l'argomento, perché in questa relazione si intendono per studi quelli che sono realmente


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tali, cioè opere che sono nate con l'intento di conoscere o approfondire una pagina del passato, anche se, legate ad un interesse . contingente, e che siano state realizzate con la necessaria capacità tecnica.. Quelle che non rispondono a questi due requisiti non sono studi, ma 'libri, a volte pregevoli, di pubblicistica o di polemica che, per lo storico, si collocano tra le fonti, come testimonianze del tempo, di un modo di sentire o di pensare, cose quindi utilissime, ma non studi storici in se stessi. Desidero chiarire, essendomi stata già mossa l'o biezione, che tale distinzione non ha riferimento con la professione ufficiale dell'au­ tore. Luigi Albertini, giornalista, ha scritto una delle migliori opere in assoluto di tutta la storiografia italiana (le origini della grande guerra), mentre alcuni professori di storia, anche del passato, hanno prodotto solo pubblicistica. 2. Gli studi sulla politica coloniale italiana prendono le mosse come instant history si direbbe ora, ossia con il volume del Chiala, che è del 1 888, sull'impresa di Massaua 1 : un'opera costruita sulle molte fonti già allora disponibili ed anzi ricca, come del resto tutta la produzione del Chiala, di particolari ed episodi di cui spesso non si è più rinvenuta traccia nelle fonti. E si tratta di un'opera, certo superata, ma alla quale molti hanno attinto, anche a piene mani. Il Chiala è personal­ mente critico verso l'espansione coloniale, ma affronta l'interrogativo essenziale, aver colonie o non averne, attraverso un'esposizione precisa degli argomenti contrapposti e della loro rispondenza nel mondo politico e nell'opinione pubblica (quella piccola e ristretta di allora) senza trascurare nessuno degli elementi essenziali (economia, emigra­ zione, Mezzogiorno). E non manca infine di concludere che la mag­ gioranza, sia pure per motivi e impulsi a volte diversi, era favorevole ad avere colonie. Accanto al Chiala va collocato Giacomo Gorrini, direttore dell' Ar­ chivio storico del Ministero degli esteri dal 1 882. A lui si debbono tre studi, ·resi poi pubblici in tempi diversF, fatti per Depretis, Crispi

1 L. CHIALA, La spedizione di Massatta: Narrazione docuJnentata, Torino, Roux, 1 888. 2 G. GoRRINI, I primi tentativi e le priJJJe ricerche di una colonia in Italia, 1861-1882, in A. BRUNIALTI, Le colonie degli Italiani, Torino, Unione Tipografica Editrice, 1 897 ; Io., Tunisi e Biserta: Mnnorie storiche, Milano, ISPI, 1 940.

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e Rudinì, rispettivamente sulle ricerche di una colonia (1 882), su Tunisi (1 890) e su Bisetta (1 892), nella sua funzione di consulente storico del Ministero. Preparati anche sulla documentazione dell'Archivio per fornire al governo i precedenti storici necessari per le decisioni politi­ che, sono ottime pagine di storia su ogni singolo problema. La giornata di Adua accese ancor più le polemiche aggiungendo al quesito politico di fondo l'argomento dei mezzi occorrenti per le imprese coloniali. Sul piano storiografico Adua non ebbe allora, né poteva avere, una trattazione, ma l'intera vicenda del rapporto con lo Stato abissino sollecitò a conoscerlo meglio di quanto non consentis­ sero le relazioni di esploratori e missionari, soprattutto nei suoi aspetti politici. Di qui nacque la ricerca di Carlo Rossetti sul regno di Menelik IP : il consolidarsi del suo potere nella lotta di successione al primato del paese e la sua politica diretta all'allargamento dei confini verso il centro-Sud, politica condotta a termine intorno al 1 908. Lo studio del Rossetti è del 1 9 1 0, quando ancora Menelik II era vivo (morì il 1 2 dicembre 1913), ma l a guida politica dell'Etiopia era ormai passata, dal maggio 1 909, nelle mani del reggente Jasu. Due studi concludono la stagione storiografica dell'Italia liberale, troppo vicina ai fatti per dar luogo a risultati maggiori. Pubblicati entrambi nel 1 927, sono la conclusione di lunghe e approfondite ricerche e restano come pietre miliari di questo iter : sono il volume di Pietro Silva sul Mediterraneo \ che rappresenta la prima trattazione scientifica dei problemi tunisino e libico, e il grande manuale di Gennaro Mondaini sulla politica coloniale italiana nell'età liberale 5• Del primo, c'è solo da dire che regge ancora il confronto con la più recente sto riografia (e lo dico dopo essermici personalmente confron­ tato per il problema albanese) ; del secondo c'è da chiarire che la qualifica di manuale non gli si attaglia proprio. Nell'accezione corrente, manuale è un libro di sintesi di una storiografia più o meno consoli-

3 C. RossETTI, Storia diploJJJatica dell'Etiopia durante il regno di Menelik II, Torino, STEN,

1 9 1 0.

4 P. SILVA, Il Mediterraneo dall'unità di Ro!lla all'Unità d'Italia, Milano, Mondadori, 1927. 5 G. MoNDAINI, Manuale di storia e legislazione coloniale del Regno d'Italia, parte I : Storia

coloniale, parte II : Legislazione coloniale, Roma, Sampaolesi,

1927

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1 924.


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data. Quello di Mondaini è una ricerca originale, in cui confltiiscono tutte le �ompone�ti (politica, economica, militare, geografica, sociale) necessarie per offnre una presentazione storica precisa di un problema : una vera storia del profilo coloniale della politica italiana fino al primo dopoguerra, che conserva quindi anch'essa, come quella del Silva, la sua validità. 3 . La seconda fase degli studi sulla politica coloniale è quella che si sviluppa in periodo fascista. È storiografia ricca, qualificata, che ha tuttavia la caratteristica comune di provenire tutta da studiosi perso �almente convinti della necessità per il paese d'avere un impero coloniale ed anzi di ingrandirlo. Questa comune ispirazione si riflette in modo diverso nella produzione dei singoli autori, ma in generale non dà luogo, nelle opere qui considerate, ad altra conseguenza che quella di «datarle», senza che per questo venga meno il loro valore scientifico. La maggior parte di esse nasce in Università 0 in istituti �he, pur dipendendo dal regime, lasciano un amplissimo campo alla . hbera ncerca. Mi riferisco all'Istituto per l'Oriente, all'Istituto per la storia del Risorgimento, e all'Istituto per gli studi di politica inter­ nazionale (ISPI). Il �rimo ad offrire uno studio degno di nota è Mario Pigli, che pubbhca a Padova, nel 1 932, la sua storia dell'Etiopia nella politica europea 6, svincolando il rapporto Italia-Etiopia dall'ambito bilaterale per inquadrarlo nella trama delle relazioni tra le potenze coloniali europee, circostanza questa ormai indiscutibile dopo l'accordo del dicembre 1 906. Segue la pubblicazione a Bologna, nel 1934, del volume d�l giovane Carlo Zaghi che riprende il tema delle origini della colonia entrea 7, tema che perfezionerà in seguito, come dirò più avanti. L'ho citato qui non solo per il suo valore intrinseco ma perché è un caso che permette, con due punti di riferimento precisi, di misurare un cammino storiografico. Avevano intanto preso le mosse le pubblicazioni provenienti dai ricordati istituti. Quello per l'Oriente è editore nel 1 933 del noto

; M. PIGLI, L'Etio?�a. nella politica europea, Padova, Cedam,

C. ZAGHI, Le ongznz della colonia eritrea, Bologn:t, Cappelli,

1932. 1 934.

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volume sull'ultima fase della questione d'Oriente, con il quale il versatile Amedeo Giannini si dimostra non privo di capacità di stori­ co 8. Nel 1 935 l'Istituto per l'Oriente pubblica poi il più maturo frutto storiografico di questo periodo : lo studio di Carlo Conti Rossini sullo scontro Italia-Etiopia da Uccialli ad Adua9• È un'analisi delle cause della sconfitta del 1 o marzo '96, che considera tutti gli aspetti del problema, mettendo soprattutto in luce assai bene quale fosse la natura dell'ostacolo contro cui l'Italia aveva urtato, ossia la realtà politica e sociale dell'Abissinia. E questa sottolineatura, che è una delle chiavi per intendere l'intero problema, nasce dal fatto che il Conti Rossini è un prodotto della scuola orientalistica di Ignazio Guidi, il quale lo aveva avviato, nel solco del Rossetti, allo studio della storia e della geografia umana, diremmo oggi, dell'Etiopia, sulla quale aveva già pubblicato un primo volume nel 1 928 10, che svilupperà e preciserà poi, nel 1 937, nel libro dedicato all'Etiopia e alle sue genti 11• Dall'Istituto per la storia del Risorgimento vengono tre buoni studi : nel 1 935, quello di Angelo Piccioli, non storico di professione, sulla pace di Ouchy12; nel 1 937, quello di Eugenio Passamonti sull'acquisto di Assab 13; e infine, nel 1 939, quello di Renzo Sertoli Salis sulle colonie dell'Egeo 1\ che rimane ancor oggi la migliore trattazione dell'argomento. Tutte e tre queste opere si distinguono per la profon­ dità e la serietà della indagine. Anche quella di minor respiro tematico, la pace di Ouchy, è un contributo molto apprezzabile, essendosi valso il Piccioli delle carte Volpi, che era stato il negoziatore italiano di quel trattato.

8 A. GIANNINI, L'ultima fase della questione orientale ( 19 13- 1932) , Roma, Istituto per l'O­ riente, 1933. 9 C. CoNTI RosSINI, Italia ed Etiopia dal trattato di Uccialli alla battaglia di A dua, Roma, Istituto per l'Oriente, 1935. 10 In., Storia d'Etiopia, I, Roma, Arti grafiche Lucini, 1928. 11 In., Etiopia e genti d'Etiopia, Firenze, Bemporad, 1 937. 12 A. Picciou, La pace di Ouchy, Roma, Biblioteca del R. Istituto per la storia del Risorgi­ mento, 1935. 13 E. PAsSAMONTI, Dall'eccidio di Beilul alla questione di Raheita, Roma, Biblioteca del R. Istituto per la storia del Risorgimento, 1937. 1 4 R. SERTOLI SAus, Le isole italiane dell'Egeo dall'occupazione alla sovranità, Roma, Biblioteca del R. Istituto per la storia del Risorgimento, 1939.


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Prima di passare all'ultimo istituto, vanno ricordati tre studi di matrice universitaria. Il saggio di Mario Toscano, del 1 937,. sul pro­ blema coloniale italiano alla conferenza della pace 15, che affronta sistematicamente il problema della delusione italiana a Versailles in tema di accrescimenti coloniali nel quadro di un programma che s'era gonfiato nel corso del conflitto rispetto all'originario art. 1 3 del patto di Londra. Del 1 939 è la compiuta esposizione del problema libico nella diplomazia europea fatta da Luigi Peteani 16, che si colloca in parallelo al su ricordato volume del Pigli sul problema etiopico. Il terzo studio è la Storia coloniale dell'Italia di Raffaele Ciasca, pubblicato tra il 1 938 e il 1 940 nel senso che la seconda edizione differisce alquanto per mole e densità dalla prima 17• Nella parte fino alla grande guerra è un buon manuale, che si muove sulla traccia del Mondaini ' con maggiore informazione ma con minore originalità. Nella fase successiva, come dice il titolo, « fino all'impero », resta il mestiere, ma scade la qualità, contenendo le pagine più fortemente « datate». Al lavoro compiuto nell'ambito dell'ultimo istituto, l'ISPI, si devono ancora tre opere : lo studio di Rodolfo Sommaruga sulla politica delle potenze europee in Africa dal 1 878 al 1 9 1 9 18, buona sintesi delle linee generali seguite dai singoli paesi europei nella « corsa» all'Africa, che è del 1 938 ; l 'anno seguente viene pubblicato Il nodo di Gibuti di Francesco Salata 19, e nel 1 940 vede la luce il volume sulla conquista di Tunisi da parte francese di Alberto Giaccardi 20• Le ricerche del Salata e del Giaccardi nascono chiaramente nel clima delle rivendica­ zioni italiane verso la Francia, rese pubbliche dal discorso di Ciano del 30 novembre 1 938. Ma, nonostante ciò, si mantengono pienamente nel campo storiografico : quella del Salata, perché costruita alla Gorrini,

sulle carte dell'Archivio del Ministero degli esteri, come espos1z10ne tecnica dei precedenti di una questione sulla quale il governo doveva prendere la sua decisione politica ; quella di Giaccardi, per la seria esplorazione delle fonti e la presentazione critica e bilanciata del problema, anche se non sfugge alla conclusione che la Tunisia doveva divenire italiana. Questa fase di studi si chiude mestamente con il volume sulla crisi etiopica del 1 935-36 che Luigi Villari pubblica nel 1 94321• Le colonie sono tutte ormai perdute, o meglio si stavano perdendo quando il Villari aveva iniziato le sue ricerche su un bel blocco di carte dell'Ar­ chivio storico del Ministero degli esteri, messe a sua disposizione forse per uno scopo diverso. Dall'esame di questo materiale, Luigi Villari ne ha ricavato la prima effettiva storia della crisi etiopica che, pur partendo dallo stereotipo di Ual-Ual, mostra abbastanza bene l'intreccio politico della crisi e la parte che i maggiori paesi europei vi hanno avuto. Uno spunto assai importante da approfondire, e che è stato invece trascurato da molte delle successive ricerche. La riserva principale che si può fare sulla produzione storiografica di questo periodo, l'ho espressa all'inizio. Non mi pare che trovino conferma, nella lettura di questi studi, i giudizi totalmente negativi che sono venuti di moda su di essa negli anni Settanta, se non altro per l'argomento che tali giudizi nascevano da una ispirazione ideolo­ gica, non oso dire metodologica, ugualmente « datata». La domanda che è invece più opportuno porsi sul piano storiografico è la seguente : gli studi del periodo fascista, considerati nel loro complesso, erano di qualità inferiore a quelli della storiografia d'altro settore e soprattutto agli studi che si compivano fuori d'Italia? Alla prima parte dell'inter­ rogativo si può rispondere tranquillamente di no, ma alla seconda parte occorre riconoscere che la risposta è positiva. Il forte rinnova­ mento negli studi storici che si produce negli anni Trenta in Francia o negli Stati Uniti non tocca l'Italia ed anzi stenta ad esservi recepito, anche se non mancano giovani storici che, per ricchezza di prepara­ zione culturale, se ne sentono subito partecipi. Per restare in campo

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1 5 M. ToscANo, Il problema coloniale italiano alla conjermza della pace, in «Rivista eli studi politici internazionali», 1 937, 3-4, pp. 263-296. 16 L. PETEANr, La questione libica nella diplomazia europea, Firenze, Cya, 1 939. 1 7 R. CrAscA, Storia coloniale dell'Italia conte111poranea, Milano, Hoepli, 1 938 e 19402 . 18 R. SoMMARUGA, Le potenze europee in Africa: dal congresso di Berlino a Versailles (1878- 1919) , Milano, ISPI, 1938. 1 9 F. SALATA Ii nodo di Gibtlfi, Milano, ISPI, 1939. 20 A. GrACCARDr, La conquista di Tunisi: Storia diplomatica dal congresso di Berlino ai trattato dei Bardo, Milano, ISPI, 1940. ,

21 L. VILLAR!, Storia dipio111atica del conflitto ifa/o-etiopico, Bologna, Zanichelli, 1943.


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Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione

africano cito un solo esempio, Federico Chabod , che : fa tradurre e pubblicare nel 1 942 dall'ISP I, in una collana di cui è direttore, il classico studio del 1 935 di William Langer sulla diplomazia de!Piinpe­ rialismo, per additare un modello da seguire. Ma un confronto diretto tra la produzione italiana e quella straniera si può fare per il tema libico, sul quale uno studioso americano, William Askew, pubblica nel 1 942 un volume che è parallelo a quello del PeteanF2. Il volume di Askew è il prodotto dell'accennato rinno­ vamento degli studi, e della questione libica non dà solo la vicenda diplomatica o l'inquadramento nella situazione internazionale, come il Peteani, ma scava a fondo nella realtà della Libia e quindi nella sua storia, nella sua amministrazione, nelle sue genti, e lo stesso quadro presenta, pur se in forma più ristretta, per l'Italia, con una precisa esposizione dell'atteggiamento delle forze politiche, delle correnti d'o­ pinione, ecc. Uno studio insomma che, se fosse stato conosciuto da tutti quelli che lo citano almeno una volta, gli avrebbe fatto risparmiare molta fatica nella ricerca. Quando compose, verso la fine della guerra, la sua «impresa di Tripoli », uscita poi nel 1 946, Gioacchino Volpe non ne aveva avuto conoscenza 23. Ma 1'l suo lavoro menta ancora d'essere letto, pur dovendo essere considerato l'ultimo degli studi « datati» . La vicenda libica è conclusa, per questa fase, dall'opera di un altro studioso straniero l'inglese Edward Evans-Pritchard che, nel 1 949, in vista del ritorno a potere della Senussia, ne fornisce un'efficace sintesi storica24. ·

Ì

4. La terza fase d�gli studi sulla politica coloniale italiana è quella del nostro dopoguerra. E una fase che stenta ad avviarsi non per mancanza di cul:ori �a, sia detto con franchezza, per il clima politico del tempo, che vlVe, m materia di politica coloniale, una singolare contraddizione. Da un lato, l'opinione pubblica è ancora favorevole ad aver colonie e tutti invocano il ritorno all'Italia di quelle prefasciste ; dall'altro, sul

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Press,

W . AsKEW, Europe and Italy's A cquisition of Libya, 191 1- 12, Durham, Duke University 1 942.

23 G. VoLPE, L'impresa di Tripoli, Roma Leonard o 1946 24

E.

EvANS-PRITCHARD,

'

The Sanusi of Cyrenaica, Oxford, Clarendon Press, '

1 949.

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piano degli studi, si è reticenti sia a prendere atto della fine dell'epoca coloniale, sia, di conseguenza, ad affrontare il problema in una prospet­ tiva ormai decisamente storica senza più riferimenti con il presente. La ripresa degli studi si deve a un concorso a cattedra universitaria, l'ultimo, che io sappia, per la storia e politica coloniale. Esso dà luogo alla pubblicazione di quattro studi, tutti ovviamente dello stesso anno, il 1 955, che meritano d'essere menzionati : quello di Enrico De Leone su le prime ricerche d'una colonia e le esplorazioni geografi­ che25 ; quello di Carlo Giglio su l'impresa di Massaua, riedito nel 1 958 notevolmente accresciuto 26 ; quello di Carlo Zaghi, che tale argomento aveva già trattato nel 1 934, ora prevalentemente impostato sulla politica di Pasquale Stanislao Mancini in Africa e Mediterraneo 27 ; e, irìfine, quello di Giuseppe Vedovato sugli accordi itala-etiopici dell'agosto 1 928 28. Tutti e quattro avevano la caratteristica comune di giovarsi delle fonti archivistiche italiane, circostanza che conferiva loro un carattere di novità rispetto ai lavori precedenti, e che produceva anche il confortante risultato di presentare due interpretazioni diverse, tra Giglio e Zaghi, delle motivazioni che avevano spinto all'acquisizione della colonia eritrea. Nessuno dei quattro studi tuttavia recepiva il rinnovamento che permeava ormai altri settori della storiografia italia­ na. Né servì a rimuovere questa stagnazione, che degenerò presto in crisi degli studi sulla politica coloniale, l'ottimo esempio che veniva dalla Francia con la pubblicazione nel 1 959 dello studio di Jean Ganiage sulla controversia itala-francese per il protettorato sulla Tu­ nisia29. A questo fa solo riscontro, su altro piano, nel 1 960 il saggio

25 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI-COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA IN

L'Italia in Africa, II, Le pri111e ricerche di una colonia e la esplorazione geografica, politica ed econo111ica, testo di E. DE LEONE, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1955. 26 C. GIGLio, L' i111 presa di Massaua, 1884- 1885, Roma, Istituto italiano per l'Africa, 1 95 5 ; AFRICA,

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI-COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA

IN

AFRICA,

L'Italia in Africa, serie storica, I, Etiopia-Mar Rosso, ( 1857- 1885), testo di C. GIGLIO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1 958. 27 C. ZAGHI, P. S. Mancini, fAji-ica e il problema del Meditetmneo, 1884- 1885, Roma, Casini, 1955. 28 G. VEDOVATO, Gli accordi ifa/o-etiopici dell'agosto 1928, Firenze, Biblioteca della Rivista di studi politici internazionali, 1 955. 29 ]. GANIAGE, Les origines du Protectorat franfais en Ttmisie (1861- 1891), Paris, Presses Universitaires de France, 1 959.


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Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione

di Romain Rainero sui tentativi di colonizzazione agricola e di" papa­ lamento in Eritrea tra il 1 890 e il '95 30• Frutto di questa crisi, ch'era nella sua essenza di metodologia, di scarso interesse per questo campo di ricerca, di cui si trascurava ingiu­ stamente l'importanza nell'ambito della storia politica d'Italia, di disagio a trattare d'un tema del quale, confondendo storia e politica, la coscienza collettiva si voleva liberare, ignorandolo dopo esserne stata schiava oltre il lecito, e infine anche per beghe interne tra i pochi addetti ai lavori, furono due diverse reazioni. La prima fu il cambiamento del titolo della materia nel campo universitario, che ricordavo all'inizio, il quale portava a stemperare, nelle intenzioni di molti, in una storia dell'Africa e dell'Asia la vicenda coloniale, senza rendersi conto che con ciò, come ho detto, si apriva un altro e diverso settore d'indagine. La seconda fu il successo decretato al volume di Roberto Battaglia del 1 958 sulla ' ' prima guerra d'Africa, ossia sulle vicende che portarono ad Adua 31• Una «rilettura», come usa dire, di quelle vicende in « chiave» anticolo­ nialista. Essendo un rito espiatorio più che un libro di storia non lo avrei menzionato in questa rassegna che non contempla, come ho detto all'inizio, quei libri che sono essi stessi fonti e non storiografia. Ma sembrò a molti, giovani e non giovani, che aprisse una nuova via per uscire dalla crisi ed ebbe pertanto seguaci consci e inconsci, alcuni dei quali, tuttavia, seppero ricondurre il «messaggio», nell'ambito della storiografia, anche se con opere certamente anch'esse «datate». Tra queste meritano d'essere menzionate : la rassegna di Romain Rainero sull'anticolonialismo italiano da Assab ad Adua, del 1 971 32 ; il volume di Giorgio Rochat sul colonialismo italiano, del 1 97333 ; lo studio di Maurizio Degli Innocenti sul socialismo italiano e la guerra di Libia, del 1 97634 ; e, infine, quello di Aldo Alessandro Mola sul­ l'imperialismo italiano, che è del 1 98035•

Al superamento della cns1 si giunse, negli anni Sessanta, per il concorso di vari fattori : la fervida ripresa degli studi in generale per opera delle nuove leve universitarie intorno ad affermati maestri della storiografia, anche non specialisti del settore ; l'ingresso in questo campo di studi, ormai poco guarnito dai suoi vecchi cultori, perché parte di essi si dedicava ora alle storie dell'Africa e dell'Asia, di ricercatori provenienti da altri campi ; la diffusione sempre più larga dell'indagine archivistica e di una metodologia che arricchiva i suoi strumenti per affrontare più compiutamente i problemi considerati. La scadenza dei concorsi universitari ha finito con lo scandire, in linea generale, la ripresa di una buona produzione di studi. Li scorro in ordine cronologico. È del 1 966 lo studio di Giuseppina Finazzo sull'azione dell'Italia in Somalia fino al 1 89636 ; il volume di Enrico Serra su la questione tunisina da Crispi a Rudinì, del 1 967 37 ; lo studio di Francesco Malgeri sulla guerra di Libia, del 1 97038 ; i due volumi di Carlo Zaghi sul trattato di Uccialli e su Adua, del 1 972-73 39 ; il volume di Giovanni Buccianti sulla questione etiopica dalla conferenza della pace al 1 923, che è del 1 977 40; lo studio di Fabio Grassi sulla politica italiana in Somalia dal 1 896 alla guerra mondiale, del 1 980 41 ; lo studio di Gian­ luigi Rossi sulla liquidazione dell'impero coloniale italiano, sempre del 1 98042 ; il saggio, infine, di Gianpaolo Calchi Novati sull'annessione dell'Oltre Giuba che è del 1 98543• Nell'arco di questo stesso ventennio si è anche avuta una buona messe di studi che non è filtrata attraverso i concorsi universitari ma

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30 R. RAINERO, I primi tentativi di colonizzazione agricola e il popolmnento dell'Eritrea, 1890-1895, Milano, Marzorati, 1 960. 31 R. BATTAGLIA, La pri111a guerra d'Africa, Torino, Einaudi, 1 958. 32 R. RAINERO, L'antico!onia!is!lto italiano da A ssab a A dua, Milano, Ed. di Comunità, 1971. 33 G. RocHAT, Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1973. 34 M. DEGL'INNOCENTI, Il socia/is!IJO italiano e la guerra di Libia, Roma, Editori Riuniti, 1976. 35 A. A. MoLA, L'imperialismo italiano, Roma, Editori Riuniti, 1 980.

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36 G. FrNAzzo, L'azione dell'Italia nel Benadir : l'azione di Vincenzo Filonardi, 1884- 1896, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1966. 37 E. SERRA, La questione tunisina da Crispi a Rudini, Milano, Giuffrè, 1967. 38 F. MALGERI, La guerra libica, 1911- 1912, Roma, Ed. di Storia e letteratura, 1970. 39 C. ZAGHI, I Russi in Etiopia, l, Il protettorato italiano strll' Etiopia, II, Mmelik e la battaglia di Adua, Napoli, Guida, 1 972-1973. 40 G. BuccrANTI, L'ege!IIOnia sull'Etiopia ( 1918- 1923), Milano, Giuffrè, 1977. 41 F. GRA ssi, Le origini dell'imperialismo italiano : Il caso soma/o 1896-1915, Lecce, Milella, 1980. 42 G. Rossr, L'Africa italiana verso l'indipendenza, Milano, Giuffrè, 1980. 43 G. CALCHI NovATI, L'annessione de/1'0/tregiHba nella politica coloniale italiana, Roma, Istituto itala-africano, 1985.


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Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione

che è stata frutto, in Italia e all'estero, dell'interesse per la componente coloniale della politica italiana. Mi riferisco allo studio di Robert Hess del 1966 sulla politica seguita dall'Italia in Somalia 44; il saggio di Carlo Giglio sull'interpretazione dell'art. XVII del trattato di Uccialli, nato dalla sua polemica in proposito con lo svedese Rubenson sul « ]ournal of African History» (anno V), che è del 1 96 8 45 ; il libro di Jean Louis Miège sull'imperialismo coloniale italiano, anch'esso del 1 96846, che mi pare sia l'unico buon manuale uscito in questa terza fase ; lo studio dell'itala-americano Claudio Segrè, del 1 974 nell'edizione originale, sulla politica seguita dall'Italia in Libia dopo l'occupazione47; il volume di Sergio Romano La quarta sponda, del 1 977 48, che è la seconda tappa di una sua rilettura originale di momenti e problemi della storia d'Italia ; lo studio di un altro itala-americano, Alberto Sbacchi, sulla colonizzazione dell'Etiopia 1 936-41 , che è del 1 98049 ; i quattro articoli pubblicati da Alberto Aquarone tra il 1 975 e il 1981 e ora raccolti in volume 50, che sono centrati principalmente sulla figura di Ferdinando Martini nel periodo in cui fu governatore dell'Eritrea ; e infine, nel 1 985, il lavoro di Teobaldo Filesi sul ruolo dell'Italia alla conferenza di Berlino del 1 884-85 51. Considerando complessivamente gli studi sulla politica coloniale italiana di questa terza fase, si può notare anzitutto che non sono affatto scarsi, ma che sono anzi numerosi, nonostante l'accennata crisi. Ho finora menzionato ventisette titoli, nonostante l'esclusione di vari altri perché non rispondenti al criterio, forse un po' rigido, indicato all'inizio, di riferirmi solo ad opere storiografiche in senso

stretto, e la dimenticanza forse di altri ancora, perché non sono una bibliografia ambulante e uso parlare solo di quel che ho letto. C'è in secondo luogo da rilevare che gli studi menzionati sono in larghissi­ ma maggioranza di buona e taluni anche di ottima qualità. In terzo luogo, è ancora da notare che, a fronte al binomio Askew - E­ vans-Pritchard per la seconda fase, in questa terza fase si deve registrare un discreto concorso di studiosi stranieri, e oltre quelli citati ne menzionerò ancora altri. Infine, quanto agli argomenti trattati, essi toccano tutta la tematica più importante, salvo, a mio avviso, l'accordo tripartito del dicembre 1 906 sulla Etiopia, e, l'avrete notato, l'ultimo e conclusivo atto della politica coloniale italiana, la cosiddetta «impresa etiopica ». L'ho lasciata da parte perché nonostante l'estrema importanza del tema, esso è l'unico che non ha sollecitato molto l'interesse degli studiosi italiani, anche se questo limitato interesse lo si è giustificato con la mancanza di buona documentazione o con la difficoltà di accesso agli archivi. In rapporto al rilievo dell'argomento, ed anzi alla sua crucialità nella storia d'Italia, gli studi compiuti sono pochi dopo quello ricordato di Luigi Villari. Se ne sono occupati, nel 1 953, Gaetano Salvemini nel relativo capitolo del suo Prelude to World War II52, poi, nel 1971, Giorgio Rochat per l'aspetto della preparazione militare 53 ; nel 1 974, Renzo De Felice, anch'egli nel relativo capitolo della sua monumentale biografia di Mussolini 54 ; nel 1 978, Renato Mori e Giu­ liano Procacci, l'uno con un vero e proprio studio su la conquista dell'Etiopia 55, l'altro con un esame dell'atteggiamento del socialismo internazionale nei confronti della guerra itala-etiopica 56 ; infine, nel 1 984, Francesco Lefebvre d'Ovidio in uno studio complessivo tendente a rintracciare le origini degli accordi Mussolini-Laval 57.

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R. HEss, Italian Colonialistn in So1nalia, Chicago, University of Chicago Press, 1966. C. GIGLIO, L'articolo XVII del trattato di Uccialli, Como, Cairoli, 1967. J. L. MIÈGE, L'impéria!islJJe colonia! italien de 1870 à 1/0S jours, Paris, SEDES, 1968. C. SEGRÈ, The Fourth Shore : The Italian Colonization of Lilrya, Chicago, University of Chicago Press, 1974. 48 S. RoMANO, La quarta sponda : La guerra di Libia, Milano, Bompiani, 1977. 49 A. SBACCHI, Il colonialis1no italiano in Etiopia 1936- 1940, Milano, Mursia, 1 980. 50 A . AQUARONE, Dopo Adua : politica e alnlJJinistrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di L. DE CouRTEN, Roma, UCBA, 1989 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 14). 51 T. FILESI, L'Italia e la conferenza di Berlino, 1884-85, Roma, Istituto italo-africano, 1985.

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52 G. SALVEMINI, Prelude to World War II, London, Gollancz, 1953. 53 G. RoCHAT, Militari e politici nella preparazione della calJJpagna d'Etiopia, Milano, Angeli, 1971 . 54 R. DE FELICE, Mussolini il duce, I, Gli mmi del consenso 1929- 1936, Torino, Einaudi, 1974. 55 R. MoRI, Mussolini e la conquista dell'Etiopia, Firenze, Le Monnier, 1978. 56 G. PRocACCI, Il socialislJJo internazionale e la guerra d'Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 1 978. 57 F. LEFEBVRE D'OVIDIO, L'intesa italo-fimtcese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma,

s.e., 1 984.


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Molto più attivi sono stati invece gli studiosi stranieri con · ricerche a volte assai significative. Ricordo, in successione crortologica, solo i loro nomi : Brice Harris 58, George Baer59, Franklin Laurens 60, Arthur Barker6\ James Barros 62, Manfred Funke63, Glenn St. John Ba:r�lay64, Frank Hardie 65, Daniel Waley66, Esmonde Robertson67• I loro studi sono stati tutti pubblicati tra il 1 964 e il 1 977, e tra essi spiccano quello di Barros sulla Società delle Nazioni, quello di Funke sull'at­ teggiamento della Germania e quello di Waley sull'opinione pubblica britannica e la guerra d'Abissinia, che è il più essenziale per compren­ dere uno degli elementi determinanti della vicenda. Certamente il campo d'indagine è ancora vasto ma i risultati già conseguiti da questo rilevante complesso di studi è notevole e si sono potuti registrare significativi progressi da quando si cominciava a par­ lare dell'argomento con l'inevitabile e acritico riferimento al diario di De Bono dell'anno 1 933 e con il fatidico incidente di Ual-Ual. È stato di recente affermato che quella sulla politica coloniale italiana una storiografia « smunta». Dopo quanto ho esposto, sia circa la è produzione italiana sia circa quella straniera che non mi pare si possa trascurare in una rassegna di studi senza avere una visione storiografica parziale o provinciale, penso che di smunto possa esserci solo il viso dei ricercatori dopo le fatiche compiute, e l'espressione di quanti hanno avuto la ventura di ascoltare questa lunga chiacchierata.

58 B. HARRIS jr., The United States and the Italo-Ethiopian Crisis, Stanford (California), Stanford University Press, 1964. 59 G. BAER, The Coming of the Italo-Ethiopian War, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1967. 6° F. LAURENS, France and the Italo-Ethiopian Crisis, 1935- 1936, Paris, Mouton, 1 967. 61 A. BARKER, The Civilizing Mission: A History of the Itala -Ethiopian War of 1935- 1936, New York, The Dia! Press, 1968. 62 J . BARROS, Betrayal jro111 Within : ]oseph A venol, Secretmy Genera! of the League of Nations, 1933- 1940, New Haven, Yale University Press, 1969. 63 M. FuNKE, Sanktionen und Kanonen: Hitler, Mussolini tmd der internationale Abessinienkonflikt, Dusseldorf, Droste Verlag, 1970. 64 G. ST . JoHN BARCLAY, The Rise and Fa/l of the Nmv Romatt E111pire : Italy's Bidfor World Power, 1890- 1943, New York, St. Martin's Press, 1973. 65 F. HARDIE, The Abyssinian Crisis, London, Batsford, 1974. 66 D. WALEY, British Public Opinion and the Abyssinian War 1935-6, London, Tempie Smith, 1976. 67 E. RoBERTSON, Mussolini as E111pire-Builder: Europe and Africa, 1932-36, London, Macmillan, 1977.

MARIO SERIO

L'A rchivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonia­ lismo : iniziative e prospettive di ricerca

L'obiettivo del mio intervento è quello di dare le coordinate fonda­ mentali dell'attività e delle iniziative che l'Archivio centrale dello Stato svolge nel settore delle fonti per la storia del colonialismo. Il convegno costituisce quindi per noi un'occasione quanto mai gradita per parlare del nostro lavoro ; per presentare risultati e pro­ grammi ; per fare conoscere le fonti che conserviamo. Ma non solo questo : esso ci consente anche di confrontare le problematiche che concernono le fonti con quelle emergenti dalla ricerca storica. Un confronto quanto mai stimolante, da cui possono scaturire indicazioni utili per lo svolgimento dell'attività di conservazione della memoria documentaria prodotta dagli organi centrali dello Stato, che costituisce il nostro compito istituzionale. Ed è per questo motivo che desidero rivolgere un particolare ringraziamento alla presidenza del convegno, a Renato Grispo e Gianvito Resta, agli organizzatori, agli studiosi che presentano risultati di ricerca che attendiamo con interesse. Io non illustrerò le fonti che l'Archivio centrale dello Stato conserva 1 gli strumenti di ricerca che sono stati redatti, le guide e le edizioni di fonti pubblicate : a questi terni è dedicata la relazione di Elio Lodolini. Desidero invece formulare, su un piano generale, alcune osservazioni sull'utilizzazione di tali fonti, quale risulta dalla Bibliografia dell'A rchivio centrale dello Stato ( 1953- 1978) 2, e dai relativi aggiornamenti al 1 985. '

1 Per una descrizione dettagliata dei fondi conservati presso l'Archivio centrale dello Stato V. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Guida generale degli archivi di Stato italiani, Roma 1981, I, pp. 33-295. 2 MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Bibliografia de/l'Archivio centra/e del/o Stato (1953- 1978), Roma, UCBA, 1986 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Sussidi, 1).


Mario Serio

L'A rchivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo

Chi consulti la Bibliografia sotto la voce « Colonie e politica ·colonia­ le», può avere un quadro preciso degli studi sul coloniidismo italiano che hanno utilizzato le fonti dell'Archivio centrale dello Statp e al tempo stesso può cogliere lo sviluppo dei metodi e le prospéttive di ricerca in rapporto alla documentazione d'archivio. I dati generali si possono così sintetizzare : nella prima parte della Bibliografia (1953-1 968) sono segnalate 1 O opere sul colonialismo ; nella seconda (1 968-1 978) ne sono segnalate 47 con una proporzione tra opere monografiche e articoli di 1 a 2. Dal 1 979 al 1 985 sono state pubblicate 1 1 monografie ; 1 2 articoli ; il catalogo di una mostra. I dati così sinteticamente riportati vogliono sottolineare come in questo ultimo periodo si registri un aumento delle opere monografiche rispetto agli articoli, segno di un'attenzione storiografica che assume toni di più ampio respiro ed utilizza le fonti in modo più sistematico ed approfondito. I fondi archivistici consultati sono in prevalenza la Presidenza del consiglio dei ministri, gli archivi fascisti, gli archivi privati, i Ministeri dell'interno) della marina) dell'Africa. italiana. L'utilizzazione dei fondi varia, naturalmente, molto da un'opera all'altra. Talvolta infatti è de­ cisamente sporadico con un maggior utilizzo di altre fonti documenta­ rie o a stampa, altre volte invece è più decisamente orientato su1 documenti dell'Archivio centrale. I percorsi di ricerca riflettono gli orientamenti storiografici. La maggior parte degli studi ha carattere storico-politico ; alcune opere studiano l'aspetto diplomatico della vicenda coloniale ; altre sono rela­ tive all'azione svolta in Africa da singoli personaggi ; poche affrontano il problema coloniale sotto l'aspetto dell'organizzazione amministrativa ; altre studiano aspetti particolari o singole azioni militari ; vi sono, infine, opere sulle posizioni dei partiti politici nei confronti del colo­ nialismo, sull'opinione pubblica e sulla propaganda. Un dato che emerge dalla Bibliografia è che la documentazione è sottoutilizzata rispetto alle potenzialità che lascia intravedere. Anche se oggi non si può più parlare, come quindici anni fa, di « miniera solo superficialmente esplorata» \ non vi è dubbio che la

sottoutilizzazione perdura rispetto all'obiettivo di una completa ricostruzione del colonialismo nei suoi molteplici aspetti : non solo politici, diplomatici e militari, ma anche economici e culturali, di politica agraria, di pianificazione urbanistica, delle opere pubbliche, della ricerca archeologica. Le ragioni di tale sottoutilizzazione, che non riguarda solo la docu­ mentazione conservata nell'Archivio centrale, sarebbero riconducibili, secondo gli storici che hanno effettuato ricognizioni delle fonti colo­ niali 4, a vari fattori : alla stessa valenza, quantitativa e qualitativa delle fonti italiane rispetto a quelle coeve di altri paesi ; al carattere atipico della prassi coloniale italiana ; allo stesso stato degli studi storici su questo tema rispetto alla storiografia di altri paesi europei ed anche a problemi riguardanti la politica delle fonti. Ciò che io vorrei mettere in rilievo è però che le fonti conservate presso l'Archivio centrale possono offrire la base documentaria ad una domanda storiografica più articolata nei suoi temi di ricerca, ave le fonti non siano più considerate in quanto coloniali, ossia unicamente per la ricostruzione di una storia eurocentrica, ma siano viste anche nell'insieme più vasto delle fonti per la storia dei paesi ex-coloniali 5• La Bibliografia costituisce senza dubbio uno strumento utile per lo studioso, ma al tempo stesso rappresenta un momento di riflessione per chi ha il compito istituzionale di conservare le fonti archivistiche : suscita domande, cui la risposta non sempre è possibile o univoca ; fornisce elementi e indicazioni per lo svolgimento dell'attività istitu­ zionale, in ordine all'acquisizione delle fonti e alla redazione degli strumenti di accesso. Ciò avviene perché la Bibliografia consente di mettere a fuoco il rapporto complesso che esiste tra fonti documentarie e ricerca storica, rapporto su cui necessariamente converge l'attenzione di chi conserva le fonti, che non può non confrontare il lavoro d'archivio fatto e da fare con le tendenze della ricerca e con le esigenze di chi esercita la ricerca storica. L'esito di questo confronto può

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3 G. RocHAT, Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia. Studio e documenti: 1923-1936, Milano, Angeli, 1971.

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4 Cfr. A. Bozza, Colonialismo, in Il JJJondo contemporaneo. Gli strti!JietJti della ricerca, I, Percorsi di lettura, a cura di G. DE LuNA, Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 8-39. 5 In proposito, v. le riflessioni di N. TRANFAGLIA, Introduzione a Il 1110ndo conte111poraneo. Storia dell'Africa e del Vicino Oriente, a cura di A. TRIULZI, Firenze, La Nuova Italia, 1979.


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L'Archivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo

concretarsi in maggiore attenzione a documentazione prima tras·curata ; nell'allargamento dell'ambito della conservazione (fonti orali ecc.) ; in scelte sugli interventi da compiere per far conoscere e rendere acçessi­ bili le fonti. Le iniziative assunte dall'Archivio centrale si sviluppano in varie direzioni : redazione di strumenti; individuazione di fonti nell'ambito di progetti specifici di ricerca (nell'ambito di un progetto per il reperimento di fonti per la storia delle banche si sono individuate quelle specifiche relative agli istituti di credito nelle colonie) ; studi per la costituzione di banche di immagini per gli archivi fotografici, previa catalogazione delle fotografie. A queste si aggiungono le iniziative nel campo dell'acquisizione di nuove fonti, che ancora si trovano negli archivi di deposito dei Ministeri. È stata avviata un'azione di censimento sistematico di tali archivi, al fine di garantire un'acquisizione programmata e rendere possibili ricerche su serie che si distendono su lunghi archi temporali, anche attraverso inventari informatizzati. Nel corso di un censimento presso il Ministero del tesoro è stata individuata e poi versata all' Ar­ chivio centrale dello Stato una parte cospicua dell'archivio del Mini­ stero dell'Africa italiana, che giaceva dimenticata nei depositi. Si tratta complessivamente di circa 3000 pezzi, in un arco temporale che va dal 1 935 al 1 954, che contengono documentazione prodotta dalle Direzioni generali affari politici, affari civili, affari economici e finanziari, affari generali e del personale, dall' Ufficio militare, dall' Ufficio assistenza e danni di guerra, dall' Ufficio studi e propaganda. Essa si è aggiunta agli « spezzoni » già esistenti presso l'Archivio centrale ed indicati nella Guida : 1 45 registri di protocollo (1 940-1 953) ; 30 buste della Direzione generale affari politici (1 906-1 944) ; 4 bobine di documenti microfilmati dagli alleati. Questa acquisizione pone, evidentemente, problemi di ordinamento in rapporto con la documentazione di altre serie del Ministero dell'A­ frica italiana confluite nell'Archivio storico del Ministero degli affari esteri 6• Sarebbe auspicabile che le « disiecta membra» dell'archivio fossero

ricomposte, essendo questa condizione essenziale per l'uso cr1t1co di tale fonte di primaria importanza. L'approfondimento della storia dell'archivio nel suo complesso, alla luce di quanto emerge dalla nuova acquisizione, in rapporto al soggetto istituzionale che l'ha prodotto, l'ordinamento e la redazione di adeguati strumenti inventariali rende­ ranno possibile il pieno recupero della potenzialità di una fonte che, consentendo la ricostruzione della concreta attività del MAI, fornirà elementi per conoscere l'incidenza della sua attività nella vita dei paesi colonizzati. È appena il caso di sottolineare che un lavoro del genere non potrà non svolgersi in stretto rapporto di collaborazione con l'Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri, che vorrei in questa occasione ringraziare nella persona del sovrintendente ministro Tommaso De Vergottini, per la disponibilità che ha già assicurato. A questa acquisizione, data la sua importnza, è dedicata una rela­ zione specifica di Patrizia Ferrara. Vorrei però mettere in evidenza una circostanza. Momento cruciale per l'unitarietà di questo archivio è stata la legge di soppressione del Ministero dell'Africa italiana del 1 953. La devoluzione di attribuzioni ha comportato il trasferimento dell'Archivio storico e di altre serie presso l'Archivio storico diploma­ tico del Ministero degli affari esteri e di altre serie presso le ammini­ strazioni che ereditavano gli affari in corso (Ministero dell'interno, Ministero delle finanze, Ministero del tesoro, Commissariato per la sistemazione e la liquidazione dei contratti di guerra, Ministero della difesa, Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana presso la Presidenza del consiglio dei ministri). Il censimento sistematico degli archivi di deposito dei Ministeri interessati ha già consentito di individuare, in alcuni casi, tali parti (per esempio la serie Assistenza ai militari presso il Ministero della difesa, già versato all'Archivio centrale dello Stato ; la serie Danni di guerra presso il Ministero del tesoro) e di programmare ulteriori acquisizioni nel diverso contesto documentario delle amministrazioni cui sono state devolute le attribuzioni. Altre acquisizioni che vorrei ricordare riguardano l'archivio di un funzionario coloniale, Luigi Pintor, e del gen. Pietro Piacentini, che si inseriscono nella politica dell'Archivio centrale, tendente ad acquisire non solo le carte delle personalità politiche, ma anche quelle, che

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MINISTERO AFFARI ESTERI, SERVIZIO STORICO E DOCUMENTAZIONE,

dei Ministero dell'Africa italiana, voll. I-II, Roma 1975.

Inventario deff'Archivio storico

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spesso contengono elementi decisivi per la conoscenza del concreto funzionamento delle istituzioni, al di là dei modelli nÒ rmativi, di uomini che hanno occupato posti di rilievo nell'amministrazione. L'archivio di Luigi Pintor7, depositato presso l'Archivio centrale dello Stato insieme con quelli di Fortunato e di Pietro, si va ad inserire in un insieme di archivi privati di interesse per la storia coloniale, già assai ricco. Io vorrei mettere in rilievo che la documentazione dell'archivio Pintor, che copre un arco cronologico dal 1 9 1 5 al 1 924, va ad intrec­ ciarsi, in perfetta sequenza cronologica, con le carte di altri governatori della Tripolitania e della Cirenaica come Ameglia, Badoglio, De Bono, Graziani, ampiamente consultate e utilizzate. Le carte Pintor si possono dividere in due parti : da un lato è presente una cospicua documentazione, in copia, di corrispondenza ufficiale, so­ prattutto telegrafica, tra gli amministratori locali (non soltanto di Pintor) e l'amministrazione centrale (gli originali sono conservati presso l'A­ SDMAE) ; dall'altro una ricca corrispondenza privata (in diversi casi sono conservate anche le minute delle lettere di Pintor) scambiata con altri funzionari del Ministero delle colonie o con notabili libici. Ci sono anche appunti e relazioni sulla confraternita senussita della quale era a capo Idris (futuro re di Libia), che dimostrano il livello di conoscenza della realtà locale raggiunto da Pintor. L'archivio Pintor si caratterizza come quello di un funzionario coloniale di età liberale, la cui attività spaziava dal campo giuridico a quello politico ed amministrativo, e che si trovò ad essere uno dei più alti funzionari dell'amministrazione coloniale nel brevissimo periodo in cui questa, tra la conquista militare e l'avvento del fascismo, venne affidata interamente ai civili. L'altro archivio è quello di Pietro Piacentini, tenente colonnello, poi colonnello e infine generale dell'Aeronautica in A.O.I. dal 1 935 al 1 941 , data in cui fu catturato dagli alleati. La documentazione di interesse coloniale è in questo caso limitata alle operazioni militari compiute nelle colonie nel periodo della seconda guerra mondiale, ma il fondo è arricchito da una cospicua documentazione fotografica, interessata dal progetto, cui ho fatto cenno, di fototeca su CD Rom.

7 Cfr. a questo proposito G. Luigi Pintor, in questo volume.

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Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie :

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Ricordo ancora, tra le più recenti acquisizioni dell'Archivio centrale, quella relativa alle carte dell'Opera nazionale combattenti. In questo fondo sono conservate circa 60 buste relative all'azione svolta dal­ l'ONC nell'Africa orientale italiana dal 1 936 al 1 941 . La documenta­ zione conservata è quella prodottasi o pervenuta presso la sede centrale di Roma. Anche se il fondo presenta lacune dovute a motivi diversi (la parte ad esempio relativa ai collaudi delle opere eseguite venne inviata nella primavera del 1 940 in Africa, dove è rimasta), esso costituisce una fonte, al momento non del tutto esplorata, per lo studio della politica agraria e di colonizzazione. Un cenno particolare vorrei dedicare ad un'iniziativa che si è con� cretata in una ricerca sui deportati e confinati libici in Italia cu1 l'Archivio centrale dello Stato ha fornito il proprio apporto relativa­ mente ai fondi di sua pertinenza. Nel 1 987 il Ministero degli affari esteri ha accolto una richiesta della Libia intesa a conoscere le vicende dei cittadini arabo-libici deportati o detenuti in Italia dall'inizio alla fine del periodo coloniale e a ricevere in copia la relativa documenta­ zione conservata negli archivi italiani. Per organizzare dirigere e svolgere il lav�r� di �icerca �ei �ari . archivi italiani è stata costituita una comm1sswne mterm1mstenale archivistica, presieduta dal capo del Servizio storico e documentazion� del Ministero affari esteri, Enrico Serra, e composta dai rappresentantl del Ministero affari esteri e dell'Archivio storico del MAE, dei Mini­ steri dell'interno e grazia e giustizia, dell'Archivio centrale dello Stato e degli Uffici storici dell'esercito, della marina e dell'aeronautica e del­ l'Associazione nazionale comuni d'Italia. I risultati della ricerca sono confluiti presso il Servizio storico e documentazione del MAE, che ha redatto uno studio conclusivo e costituito uno schedario informatizzato dei deportati e confinati, contenente tutti i dati emersi dai documenti rinvenuti nei vari archivi. Questa ricerca rappresenta senza dubbio un contributo alla cono­ scenza della resistenza libica, sia pure sotto un profilo particolare. La raccolta di fonti per la storia della resistenza libica costituisce impegno primario del Centro studi libici di Tripoli che ha realiz�ato tra l'al:ro . un vasto archivio di fonti orali, raccolte attraverso mterv1ste e trascntte in lingua araba.


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L'apporto specifico dell'Archivio centrale dello Stato è oggetto di un' apposita comunicazione di Mario Missori e non è quindi iÌ caso che io illustri i percorsi della ricerca nei fondi dello stesso Archivio centrale. Ciò che invece vorrei sottolineare è come da questa iniziativa, svoltasi in un clima di dialogo e di collaborazione, siano derivati due significativi risultati. Il primo si è concretato nell'accordo raggiunto per l'invio in Libia di due archivisti dell'Archivio centrale per effettuare una ricognizione e un censimento di fonti archivistiche italiane presenti a Tripoli. La consulenza al Centro studi libici pone le premesse per l'utilizzazione scientifica di fonti finora inesplorate. Il secondo deriva dalla richiesta, da parte libica, di conoscere le sentenze emesse dai tribunali militari coloniali italiani. Richiesta che ha coinvolto l'Archivio centrale, dove erano state a suo tempo versate le copie delle sentenze emesse dai tribunali militari di guerra di Ben­ gasi, Derna, Homs, Misurata e Tripoli dal 1 9 1 1 al 1 91 5 . Le sentenze originali di quegli anni, cosi come quelle degli anni successivi, erano in possesso della Procura generale militare-Ufficio del pubblico mini­ stero dei tribunali di guerra soppressi. Grazie alla disponibilità della Procura generale militare l'Archivio centrale ha potuto acquisire le sentenze emesse da quei tribunali a tutto il 1 939, nonché quelle del tribunale speciale della Tripolitania dal 1 927 al 1 939. Si tratta di un complesso di circa 13.000 sentenze, di cui circa 6.000 relative a 9.000 civili e militari libici. Le rimanenti sentenze si iferiscono a militari italiani e coloniali (eritrei, somali, etiopici di stanza in Libia). Le imputazioni a carico dei libici riguardano reati sia comuni che connessi alla resistenza (lotta armata, tradimento, atti ostili, deten­ zione armi, ecc.). Queste sentenze hanno un valore documentario che va ben oltre le singole vicende personali degli imputati : nel loro insieme infatti, attraverso la descrizione dei « fatti» oggetto del giudizio, offrono un notevole contributo per la ricostruzione degli avvenimenti militari e civili della Libia durante la permanenza italiana. La loro acquisizione all'Archivio centrale dello Stato, pertanto, se da un lato ha permesso di esaudire la richiesta libica, dall'altro ha messo a disposizione dei ricercatori una nuova fonte documentaria utile per la storia della resistenza libica e del colonialismo italiano.

Ricordo, inoltre, un'altra iniziativa che concerne la Tunisia, maturata nell'ambito dell'incontro svoltosi a Tunisi nel 1 985 sulle fonti italiane relative al Maghreb, nel corso del quale l'Archivio centrale dello Stato ha presentato il censimento delle proprie fonti che interessano la storia della Tunisia. Da quell'incontro è scaturita una ricerca, oggetto di apposita comunicazione da parte di Aldo G. Ricci. Dai documenti concernenti i rapporti Tunisia-Italia conservati nell'Archivio di Tunisi è emerso il particolare interesse di quelli relativi alle controversie italo-francesi per la ferrovia Tunisi-La Goletta (acquistata dalla com­ pagnia Rubattino da una società inglese, con il sostegno del governo italiano in concorrenza con l'offerta francese), sviluppatesi nei mesi precedenti l'insediamento del protettorato francese sulla Tunisia (1881). Si tratta, come è noto, dell'episodio centrale intorno a cui ruota il più vasto conflitto italo-francese per l'influenza sulla Tunisia, un capitolo importante anche per la storia italiana e per l'evoluzione della sua politica coloniale. Su questo episodio centrale dell'esordio dell'Italia nella politica coloniale, la documentazione tunisina, che conserva sia le lettere inviate dal console italiano e da quello francese alle autorità locali in quei mesi, sia i verbali delle discussioni svoltesi negli organi tecnici tunisini in merito alle contrapposte richieste francesi e italiane per estendere o restringere le rispettive concessioni, fornisce informazioni che inte­ grano utilmente le fonti italiane e francesi già conosciute. La documentazione tunisina è completata da quella reperita presso l'Archivio centrale nei fondi della Presidenza del consiglio : una docu­ mentazione importante per chiarire il percorso attraverso il quale si arrivò alla scelta governativa di sostenere la società Rubattino nell'ac­ quisto della ferrovia, da cui derivò poi l'implicazione italiana nel tentativo di allargare l'influenza in Tunisia. Non avrei altro da aggiungere, dato che l'obiettivo del mio intervento era quello di illustrare le iniziative dell'Archivio centrale

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dello Stato.

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I FONTI ARCHIVISTICHE E STORIOGRAFICHE


ELIO LODOLINI

Le fonti sulla politica coloniale negli A rchivi di Stato italiani

1 . - Le << Guide delle fonti>> già redatte e pubblicate. Parlare delle fonti, su qualsiasi tema, esistenti in novantacinque Archivi di Stato, nel breve spazio di una relazione congressuale non è, evidentemente, cosa facile, né tanto meno è possibile darne un panorama completo ed esauriente. Nel caso specifico della politica coloniale italiana, poi, occorre preliminarmente delimitare il campo, e cioè precisare se si intenda parlare soltanto della «politica coloniale» in senso stretto, o più in generale dei rapporti economici, culturali, religiosi, giuridici, di am­ ministrazione, di cooperazione, ecc., intrecciati dall'Italia con territori e genti che oggi vengono designati genericamente con l'espressione di «Terzo Mondo » ; e, ancora, se si intenda parlare soltanto dell'Italia unita ovvero anche delle epoche anteriori, perché evidentemente la storia d'Italia non incomincia dal 186 1 . Nell'una e nell'altra ipotesi (in entrambi i casi propendiamo per la seconda) disponiamo però, almeno in parte, di alcune guide delle fonti archivistiche relative a quei territori, che rendono meno arduo il lavoro ; che permettono anzi - dati i limiti di tempo necessariamente ristretti assegnati a questa relazione - di rinviare direttamente ad esse, dando per note ed acquisite (come effettivamente sono da parte dei presenti, studiosi della materia) le ricche informazioni in esse già pubblicate. Ci riferiamo alle « Guide delle fonti per la storia delle Nazioni» del Terzo Mondo esistenti in Europa e nell'America del Nord : fonti per la storia dell'America latina, per la storia dell'Africa a sud del Sahara, per la storia dell'Africa settentrionale, dell'Asia e dell'Oceania. Quelle serie di Guide furono promosse dall'Unesco e dirette dal Consiglio internazionale degli Archivi - che per alcune di esse ha poi provveduto anche alla pubblicazlone - attraverso l'opera di un Comi­ tato internazionale di nove membri costituito ad hoc, il quale svolse la


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propria attività dal 1 959 al 1 979. Per l'intero ventennro l'Italia fu costantemente rappresentata nel Comitato internazionale, nella persona di chi ha qui l'onore di parlare. Complessivamente di quelle Guide sono state pubblicate alcune decine di volumi ; ma, limitando l'attenzione al contributo italiano, precisiamo che della prima Guida, relativa alle fonti per la storia dell'America latina, redatta fra il 1959 ed il 1 963, è stato pubblicato sinora un solo volume nel 1 976 1• Esso descrive le fonti esistenti a Roma, nell'Archivio centrale dello Stato, nell'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, nell'Ufficio storico dello Stato maggiore della Marina militare, nell'Archivio di Stato in Roma, nel Museo centrale del Risorgimento, nella Società geografica italiana, e ancora negli archivi della Banca d'Italia, della Società «Dante Alighieri», del Comune, della Camera di commercio, in varie biblioteche. L'opera sta per essere ripresa, per decisione del direttore generale per i Beni archivistici prof. Grispo e ci auguriamo che venga completata al più presto. Il contributo italiano alla seconda Guida, dedicata all'Africa a sud del Sahara, è stato redatto fra il 1 964 ed il 1 968 e pubblicato dal Consiglio internazionale degli Archivi in due volumi, apparsi rispet­ tivamente nel 1 973 e nel 1 9742• Vi figurano l'Archivio centrale dello Stato, l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, ivi compreso l'Archivio del Ministero dell'Africa italiana, gli Archivi degli Uffici storici dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, gli Archivi di Stato di Ascoli Piceno, Bari, Bologna, Brescia, Catanzaro, Ferrara, Firenze, Genova, Livorno, Lucca, Macerata, Mantova, Messina, Mi­ lano, Modena, Napoli, Padova, Palermo, Parma, Perugia, Pisa, Roma, ·

l CONSIGLIO INTERNAZIONALE DEGLI ARCHIVI, Guide deffe fonti per fa storia deffe nazioni, A. A nterica latina, VII, Italia, vol. I ; DIREZIONE GENERALE DEGLI ARCHIVI m STATo, Guida delle fonti per la storia dell'America latina esistenti in Italia, I, a cura di E. LoDOLINI, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1976 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXXXVIII). 2 CONSEIL INTERNATIONAL DES ARCHIVES l INTERNATIONAL CoUNCIL ON ARCHIVES, Guides des sources

de l'histoire de l'Afrique l Guide to the sources of the hist01y of Africa, voli. 5 e 6 : Guida delle fonti per la storia dell'Africa a sud del Sahara esistenti in Italia, voli. I e II, a cura di C. GIGLIO e E. LoDOLINI, Zug-London, Inter Documentation Company, 1973 e 1 974. Ne esiste anche una edizione in rnicroschede. Come è precisato nei volumi, a Carlo Giglio si deve la parte storiografica, ad Elio Lodolini quella archivistica.

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Siena, Torino, Trieste, Venezia, e le Sezioni di Archivio di Stato di Fermo e di Spoleto, archivi di enti pubblici, archivi privati, bibliote­ che e musei. La terza serie di Guide si riferisce all'Africa settentrionale, all'Asia e all'Oceania. Il lavoro è stato svolto nel decennio 1 969-79, ma i vo­ lumi che costituiscono il contributo italiano debbono essere ancora pubblicati. Ci auguriamo che ciò avvenga non appena possibile, anche per corrispondere ad un impegno assunto in sede internazionale ed alla viva attesa degli studiosi. Nel frattempo, però, per l'Africa settentrionale era stata intrapresa u�'autonoma e parallela iniziativa da parte del prof. Carlo Giglio, direttore dell'Istituto di storia e istituzioni dei paesi afroasiatici della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Pavia : la redazione di un « <nventario delle fonti manoscritte relative alla storia dell'Africa del Nord esistenti in Italia». Di questo « <nventario» sono stati pubblicati tre volumi, nel 1 971, nel 1 972 e nel 1 973, relativi rispettivamente agli Archivi del Ministero dell'Africa italiana e di quello degli affari esteri 3, agli Archivi storici degli Stati maggiori 4 ed all'Archivio di Stato in Napoli ed altri archivi della Campania, quest'ultimo frutto di una ricerca diretta da Teobaldo Filesi 5• Un quarto volume, relativo alle fonti sino all'anno 1 830 (quelle di data successiva sono di assai più facile reperimento e perciò non

3 Gli A rchivi storici del soppresso Ministero dell'Africa italiana e del Ministero degli Affari esteri dalle origini al 1922, Leiden, E. ]. Brill, 1 971, (Istituto di Storia e istituzioni dei Paesi afro-asiatici della Università di Pavia, «<nventario delle fonti manoscritte relative alla storia dell'Africa del Nord esistenti in Italia», sotto la direzione di C. GIGLIO, vol. I). Le varie parti del volume son� state curate da M. · GAZZINI, (Ministero dell'Africa italiana, Libia, 1878-1922), . dell'Africa italiana, fondi vari, e Ministero degli Affari esteri, 1 861-1922), C. GIGLIO, (Mm1stero mentre le « Cronologie» di ministri, governatori, ecc., che arricchiscono il volume sono di Mario Gazzini e Armando Cepollaro. 4 Gli archivi storici del Ministero delia Difesa (Esercito-Marina-Aeronautica) dalle origini al . . 1922, Le1den, E. ]. Brill, 1 972, (idem c.s., vol. II), la cui descrizione è dovuta rispettivamente al t. col. Vittorio Busuito, all'ammiraglio di Squadra Giuseppe Fioravanti e al ten. A. A. r.s. Giorgio Angelini. 5 Gli archivi P_ubblici della Cmnpania e in particolare l'Archivio di Stato di Napoli dalle origini al . 1922, R1�erca diretta da Teobaldo Filesi, Leiden, E. ]. Brill, 1973, (idem c.s., vol. III). Il volume e stato redatto prevalentemente dallo stesso Filesi; alcune parti di esso recano -la firma di Ferdinando Buonocore e di Giovanni Iannettone.


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sono state oggetto della ricerca) esistenti nell'Archivio di Stato di Roma, era pronto ed il testo ne era stato approvato per la pubblica­ zione, mentre un quinto, relativo alle fonti esistenti nell'Archivio centrale dello Stato, era in preparazione, quando l'improvvisa morte del prof. Giglio (dicembre 1 976) arrecò una battuta d'arresto all'ini­ ziativa. L'invio in tipografia del volume relativo all'Archivio di Stato di Roma subì pertanto qualche ritardo, e soltanto tre anni più tardi, nel 1 980, l'autrice, Carla Lodolini Tupputi, ne ebbe le prime bozze ; nelle ulteriori more della stampa la stessa autrice vi aggiuse nel 1 983 uno studio introduttivo, mentre, nello stesso 1 983, fu pubblicato il volume relativo all'Archivio centrale dello Stato, che pertanto di­ venne il quarto nella numerazione della collana 6 ; ed infine proprio questa mattina, 24 ottobre 1 989, è giunta la prima copia del libro 7, che, con felice coincidenza, vede la luce di concomitanza con questo convegno, a tredici anni dall'approvazione del testo per la stampa da parte del direttore della ricerca e della collana e a nove anni dalla correzione delle prime bozze. Nel frattempo, già da vari anni il testo ne è stato consultato in bozze di stampa ed utilizzato da altri studiosi ed il libro è stato citato come già edito in pubblicazioni che si prevedeva sarebbero apparse dopo di esso e che invece lo hanno preceduto.

suo territorio ed erano stati membri della sua stirpe. Ritenendo valido il concetto che la Roma di oggi non possa non essere considerata l'erede di Roma antica, anche se il contesto storico odierno è ben diverso da quello antico, si inizierà questo rapido profilo dei rapporti tra l'Italia e l'Africa a sud del Sahara con un cenno ai contatti avuti con questa parte del continente da Roma nell'età imperiale, cioè a partire dal 27 a. C. » B,

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Fonti di epoca preunitaria negli A rchivi di Stato italiani. I due 2. volumi italiani della « Guida delle fonti per la storia dell'Africa a sud del Sahara» sono arricchiti da una introduzione di Carlo Giglio dal titolo Cenni storici sui rapporti tra l'Italia e l'Africa a sud del Sahara da Roma antica al 1920, in cui l'autore scrive : -

« L'Italia, come Stato unitario, è nata il 1 7 marzo 1 86 1 . Tuttavia, a questa data essa era l'erede di una storia plurisecolare, i cui protagonisti erano nati sul

6 L'Archivio centrale dello Stato dalle origini al 1922, a cura di C. PIAZZA, M. MISSORI, C. FILESI, Leiden, E. ]. Brill, 1983, (idem c.s., con la variazione «sotto la direzione di M. MozzATI», vol. IV). 7 L'Archivio di Stato di Roma, a cura di C. LoDOLINI TuPPUTI, Roma, Herder, 1 989, (anziché l'Istituto di Storia e istituzioni dei Paesi afrosiatici dell'Università di Pavia, come editore della collana è indicato in questo volume il Dipartimento di Studi politici e sociali della stessa Università ; invariato il titolo della collana, diretta ora da Marco Mozzati, vol. V).

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in quanto non sembra che con l'Africa a sud del Sahara s1ano esistiti contatti in epoca repubblicana. Con l'Africa settentrionale e con il vicino Oriente, invece, i contatti risalgono a data assai più antica. Per l'una e per l'altra area geografica, però, le fonti archivistiche superstiti datano da epoca molto più recente, e cioè dal Medioevo, salvo casi assolutamente sporadici quali la « bilingue» costituita da due documenti su lamina d'oro, di contenuto fra loro analogo, l'uno in etrusco, l'altro in punico, trovati a Pyrgi (oggi Santa Severa, in provincia di Roma) durante le campagne di scavo dirette da Massimo Pallottino, i quali attestano la frequenza dei rapporti etrusco-punici nel VI-V secolo a. C. ; e la riprova ne è data dal ritrovamento, a Cartagine, di un documento in etrusco su avorio, della seconda metà del VI secolo a. C. 9• La documentazione conservata negli Archivi di Stato italiani in merito ai rapporti con l'Africa a sud del Sahara - risalente, come abbiamo detto, al Medioevo - è già indicata nella Guida citata, e ad essa facciamo rinvio, sembrando del tutto inutile ripetere cose già pubblicate altrove, anzi in una sede specifica ed affine al tema di questo convegno. Altrettanto dicasi per le fonti sui rapporti con l'Africa settentrionale, limitatamente agli Archivi già menzionati, e così pure per quelle relative ad altri continenti. Inoltre, per la redazione di questa relazione ci siamo rivolti agli Archivi di Stato italiani, chiedendo la segnalazione di fonti archivistiche non comprese nelle Guide già pubblicate. Alla richiesta hanno risposto

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C. GIGLIO, Cenni storici sui rapporti tra l'Italia e l'Africa a sud del Sahara da Ro1na antica al 1920, in Guida delle fonti per la storia dell'Africa a sud del Sahara esistenti in Italia. . . cit., I, pp. 5-77, in cui il passo qui riportato è a p . 5. 9 M. PALLOTTINO, Etruscologia, Milano, Hoepli, 19847, p. 193.


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Le fonti sulla politica coloniale negli Archivi di S�ato italiani

38 Archivi di Stato 10, che qui vogliano pubblicamente . ringraziare, anche in quei casi nei quali la ricerca è stata negativa. Per l'epoca anteriore all'Unità, la segnalazione delle fonti più antiche è giunta dall'Archivio di Stato di Pisa. Si tratta di documentazione del Comune di Pisa, dei secoli XII-XV (il documento più antico è dell'anno 1 1 57), relativa all'area maghrebina, oltre a scritture del­ l'Ordine di Santo Stefano dei secoli XVII-XVIII. Le attuali segnalazioni si aggiungono alle notizie indicate nelle più volte citate pubblicazioni ed a quelle raccolte fra il 1 969 ed il 1 979 in merito alle fonti esistenti negli Archivi italiani per la storia dell'Africa settentrionale, dell'Asia, dell'Oceania, e fra il 1 959 ed il 1 963 sulle fonti per la storia dell'America latina. Non è possibile, ovviamente, indicare qui quelle fonti, e dobbiamo quindi dare per acquisite le notizie relative, in attesa che il completamento della pubblicazione delle Guide le renda tutte di pubblico dominio ; possiamo però dire, in linea generale, che non esiste quasi Archivio di Stato che non conservi documentazione relativa ai rapporti con l'Africa del Nord e con il Levante mediterraneo, spesso a partire dal Medioevo (e ciò vero soprattutto per gli Archivi con sede in province costiere). Ricchissima per questa area geografica è la documentazione esistente negli Archivi centrali degli Stati preunitari ; cospicua anche l'analoga documentazione relativa ai rapporti con l'Asia, sino alla Cina e al Giappone, e con l'America latina ; meno abbondante quella relativa all'Oceania. Naturalmente, per l'epoca preunitaria non si può parlare di « politica coloniale» in senso proprio. Le colonie genovesi in Levante, indub­ biamente ben documentate nell'Archivio di Stato di Genova, non hanno, al di là del nome, molti punti di contatto con il fenomeno coloniale dell'età contemporanea. Se mai, nei nostri Archivi di Stato può essere reperita documenta­ zione concernente la partecipazione di italiani, spesso come protagoni­ sti, alle scoperte geografiche ed alle imprese coloniali di altri Stati :

e basti ricordare Colombo, Vespucci, i Caboto, Giovanni da Verrazza­ no e tanti altri o, in epoca più recente, Pietro Savorgnan di Brazzà o Romolo Gessi ; ovvero l'esistenza, negli Archivi di Stato italiani, di documentazione relativa all' hacienda di Hernan Cortés, conquistatore del Messico, o al Perù all'epoca del viceré napoletano Carmine Niccolò Caracciolo (1 71 5-1720) 1 1 • Ancora, nell'Archivio di Stato di Napoli potrebbe essere cercata, ad esempio, documentazione sulla partecipa­ zione di navi napoletane con reparti da sbarco e di un reggimento napoletano di fanteria alla lotta per respingere gli olandesi che avevano occupato Bahia, in Brasile, nel 1625 (il Portogallo, cui il Brasile apparteneva, era allora unito alla Spagna) 12• Ma documentazione rela­ tiva a temi di questo tipo può essere reperita in molti Archivi : altro esempio, quella relativa alla partecipazione del capitale finanziario genovese alle imprese coloniali della Spagna. Di segno opposto, può essere indicata la partecipazione di italiani alle lotte per l'indipendenza ed alla formazione del pensiero politico di paesi già coloniali : la mente corre subito, fra i tanti, a Filippo Mazzei per gli Stati Uniti d'America od all'idea di Roma nella formazione spirituale di Sim6n Bolivar. Si può, ancora, segnalare l'adesione di alcuni Stati italiani - gran­ ducato di Toscana, regno delle Due Sicilie, regno di Sardegna - alle convenzioni internazionali, stipulate nella prima metà dell'Ottocento, per la repressione della tratta dei negri, mentre del 1 839, dicembre 3, è la lettera apostolica del pontefice Gregorio XVI «De nigritarum commercio non exercendo ». Da poco più di quaranta anni era cessata nello Stato pontificio la schiavitù dei pirati barbareschi catturati in combattimento, e da assai minor tempo, cioè dalla fine della pirateria nordafricana a seguito della conquista francese di Algeri nel 1 830, la schiavitù degli italiani razziati dai barbareschi in mare e sulle coste (da

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10 Alessandria, Asti, Belluno, Bergamo, Bologna, Brescia, Brindisi, Cagliari, Campobasso, Catania, Como, Cremona, Firenze, Foggia, Gorizia, Grosseto, L'Aquila, Lecce, Massa, Ori­ stano, Pavia, Perugia, Pisa, Pistoia, Ragusa, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rovigo, Sassari, Taranto, Teramo, Torino, Treviso, Trieste, Udine, Varese, Verona, Viterbo.

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Cortés e Caracciolo di Santo Bono. G. DoRIA, I soldati napoletani nelle guerre del Brasile contro gli Olandesi (1625- 164 1) , in «Archivio storico per le Provincie napoletane», LVII, 1 932, 1-4, pp. 224-250; G. MASSA, La presenza italiana dai precusori agli inizi dell'emigrazione nel Rio Grande del Sud, in Contributi alla storia della presenza italiana in Brasile in occasione del primo centenario dell'eiJJigrazione agricola nel Rio Grande del Sud, 1875- 1975, a cura di G. MASSA, Roma, Istituto Italo-Latinoamericano, 1 975; T. DE AzEVEDO, Italianos na Bahia, Salvador, Babia, Emprensa grafica da Babia, 1 989 (Secretaria do Estado da Babia, Coleçao Terra Primaz), pp. 55-56, nota 35. 12

ARCHNIO DI STATO DI NAPOLI, Archiviprivati Pignatelli Aragona


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cui spedizioni militari contro le reggenze barbaresche dell'Àfrica del Nord, anch'esse documentate nei nostri Archivi). Il tentativo del 1608 di costituire una vera e propria colonia nella Sierra Leone, da parte del granduca di Toscana, è già indicato in una delle Guide 13, mentre non abbiamo reperito nell'Archivio di Stato di Roma documentazione in merito all'esame della proposta, avanzata nel 1 847 a Pio IX da due prelati francesi, di costituire una colonia dello Stato pontificio nella Nuova Caledonia 14• Da segnalare i tentativi di formare una colonia penitenziaria, alterna­ tiva all'invio di condannati quali « deportati» in territori extraeuropei di altri Paesi, come era avvenuto più volte : così dal regno delle Due Sicilie in Brasile15, dallo Stato pontificio in Brasile16, in Australia e negli Stati Uniti d'America 17, in U ruguay 18• Senza risultati rimasero gli studi su analogo tema da parte di una commissione nominata dal governo sardo nel 1 852, così come i numerosi tentativi di quello italiano di costituire colonie penitenziarie prima, stazioni commerciali poi, in un'i-

1 3 E. LoDoLINI, Archivio di Stato di Firenze, in Guida delle fonti per la storia dell'Africa a sud del Sahara . . . cit., vol. I, pp. 355-399. La segnalazione è a p. 366 ; quella della lettera apostolica di Gregorio XVI sopra menzionata è in C. SALVATI, A rchivio di Stato di Napoli, ibid., pp. 432-438, a p. 436. 14 Pio XI incaricò dell'esame della questione i cardinali Fransoni, Ostini, Castracane, Orioli e Altieri. Il progetto non ebbe seguito. Cfr. R. M. Wiltgen, The Fotmding rif Roman Catholic Ch11rch in Oceania, 1825, to 1850, Canberra-London-Norwalk, Conn., Australian National University Press, 1979. Il capitolo 28 (pp. 432-435) è intitolato «Pope Pius IX is asked to 1nake Ne1v Caledonia a papa! colony. 10 A ugust 1847». 15 P. ScARANo, Rapporti politici, economici e sociali tra il Regno delle Due Sicilie ed il Brasile (1815- 1860), in «Archivio storico per le provincie napoletane», n.s., XXXVI (1956), pp. 290-314; XXXVII (1957), pp. 303-330; XXXVIII (1958), pp. 231-262; XXXIX (1959), pp. 353-373. 1 6 E. LoDoLINI, L'esilio in Brasile dei detenuti politici ro!lJani ( 1837) , in «Rassegna storica del Risorgimento», LXV (1978), 2, pp. 131-17 1 . 1 7 E. LoDOLINI, Un tentativo di <<deportare>> in Australia detmuti politici dello Stato pontificio (1855), in corso di pubblicazione negli A tti del convegno di studi storici Italia-Australia 1 786- 1988 Ron1a 23-27 maggio 1988. Mentre questo volume è in corso di stampa, la monografia suddetta è stata pubblicata in : ISTITUTO PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO, COMITATO DI ROMA, Italia-Australia 1788- 1988. Atti del convegno di studio (Roma, Castel S. Angelo, 23-27 maggio 1 988), a cura di R. UGOLINI, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1 991, pp. 455-469. 18 ARCHIVIO DI STATO DI RoMA , SCUOLA DI ARCHIVISTICA, PALEOGRAFIA E DIPLOMATICA, L'A rchivio e la ricerca, Mostra didattica permanente, a cura di E. LoDOLINI e R. CosMA, Catalogo (parte I), Roma 1982 (1984 e 1988), p. 37.

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sola dell'arcipelago dei Navigatori (Samoa) nell'Oceano Pacifico, o delle isole Nicobare nell'Oceano Indiano, o nelle Filippine, o sulle coste del Borneo, della Nuova Guinea, di Sumatra 19• E con questo siamo giunti ad accennare alle fonti relative al periodo dell'Italia unita. 3. - Fonti di epoca posteriore all' Unità : a) nell'A rchivio centrale dello Stato. Per l'epoca posteriore all'Unità d'Italia, le fonti archivistiche relative alla politica coloniale italiana in senso stretto si trovano essenzialmente nell'Archivio storico-diplomatico del Ministero degli affari esteri, nell'Archivio centrale dello Stato, negli archivi degli Uffici storici degli Stati maggiori delle Forze armate. L'Archivio del Mini­ stero dell'Africa italiana è suddiviso fra i due primi. L'Archivio storico-diplomatico degli esteri e quelli degli Uffici storici degli Stati maggiori militari non rientrano nel tema affidatomi e costi­ tuiscono oggetto di specifiche relazioni in questo convegno 20• Dell'Archivio centrale dello Stato tratta sul piano generale, pure in questo stesso convegno, Mario Serio21, e di un tema particolare, relativo ad un fondo di recente acquisizione, Patrizia Ferrara 22• Esso è inoltre largamente descritto nei volumi già pubblicati delle Guide citate. Per l'Africa a sud del Sahara vi sono indicate fonti appartenenti al fondi Consiglio dei ministri, Presidenza del consiglio, Ministero del-

1 9 E. DE LEONE , Le prime ricerche di ti/Ja colonia e la esplorazione geografica, politica ed economica, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1955, (MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa, « L'Italia in Africa», vol. II), in cui cfr. specialmente il capitolo II, «Le contrastate ricerche di una colonia», pp. 31-76. . . . 20 V. PELLEGRINI, Fonti docu!IJentarie presso altri A rchivi storici statali. Sintesi delle relazzom dz A . Biagini, M. Cer111elli, E. Ferrante, F. Lefebvre d'Ovidio e V. Pellegrini; A. BIAGINI, Le fonti dell'archivio dell' Ufficio storico dell'Esercito ; M. CERMELLI, Le fonti dell'archivio dell'Ufficio storico dell'A eronautica; N. DELLA VoLPE - F. FRATTOI.ILLO, Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dello SME; V. PELLEGRINI, Le fonti del Ministero dell'Africa italiana : contributi per gli atti di questo convegno. Non sono pervenuti per la pubblicazione : E. FERRAN:�· Le font� dell'archivio dell'Ufficio storico della Marina ; F. LEFEBVRE D'OVIDIO, Le fonti del Mmzstero deglz affari esteri.

. . . . . . . L'A rchivio cmtrale dello Stato e le fonti per la stona del colomalzsmo : znzzzatzve e prospettive di ricerca, relazione a questo convegno. . . . . JJJatena dz fontz per la 22 P. FERRARA, Recmti acquisizioni dell'A rchivio cmtrale dello Stato m storia dell'Africa italiana: Ufficio studi e propaganda del MAI, relazione a questo convegno.

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l'interno, Ministero dell'agricoltura, industria e commercio, Ministero della guerra, Ministero della marina, carteggi di Agostino D�pretis, Francesco Crispi, Paulo Fambri, Ferdinando Mattini, Andrea Torre23 ; per l'Africa settentrionale quelle dei fondi Real Casa, Tribunali militari, Consiglio dei ministri, Presidenza del consiglio, Segreteria particolare del Duce, Mostra della rivoluzione fascista 24, Ministero dell'interno, Ministero dell'Agricoltura, industria e commercio, Ministero dell'Africa italiana, Ministero delle comunicazioni, Ministero della marina, Mini­ stero della pubblica istruzione25, carteggi di Giovanni Ameglia, Pietro Badoglio, Domenico Bardati, Paolo Boselli, Ugo Brusati, Luigi Ca­ pello, Francesco Crispi, Agostino Depretis, Giovanni Giolitti, Rodolfo Graziani, Luigi Luzzatti, Ferdinando Mattini, Oddino Morgari, Benito Mussolini, Francesco Saverio Nitti, Giuseppe Palumbo Cardella, Al­ berto Pisani (Carlo Dossi), Antonio Salandra, Tommaso Sillani, Pietro Tomasi della Torretta, Andrea Torre, Emilio Visconti Venosta26. Ai fondi descritti nelle due citate pubblicazioni - delle quali, ricordiamo, la prima è stata redatta entro il 1 968 e giunge sino all'anno 1 920, la seconda è stata redatta entro i primi anni Ottanta e giunge al se ne possono aggiungere altri, sia attraverso nuove ricerche, 1 922 sia per segnalare fonti di data posteriore agli anni 1 920-1 922, escluse dalle predette Guide, sia per successivi versamenti di fondi, sia per la disponibilità di nuovi strumenti di corredo, fra cui la Guida generale degli A rchivi di Stato italiani27• In particolare, indichiamo : Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti ; Consiglio di Stato ; Corte dei conti, serie «Colonie» e «Africa italiana», anni 1913-1950, buste 1 52 ; Consulta araldica, bozzetti di stemmi relativi all'Africa orientale italiana ; Ministero delle finanze, azienda monopolio banane; Ministero di grazia e giustizia, direzione generale affari penali, -

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R. GuEZE, A rchivio centrale deJJo Stato, in Guida deJJe fonti per la storia deJJ'Afi"ica a sud del Sahara. . . cit., I, pp. 85-99. 24 C. PrAZZA, Fondi centrali, in L'Archivio centrale deJJo Stato daJJe origini al 1922. . . cit., pp. 5-167. 25 M. MissoRI, Fondi Jninisteriafi, ihid., pp. 1 67-244. 26 C. FILESI, Carteggi di personalità, ibid., pp. 245-355. 27 Archivio centrale deJJo Stato, a cura eli P. CARUCCI, in MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI, Guida generale degfi A rchivi di Stato italiani, I, Roma 1 981, pp. 33-295.

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grazie e casellario, uffici primo, secondo e terzo, categoria «Africa orientale» ; Ministero della marina, divisione navale nell'America meri­ dionale, 1 865-1 875, divisione navale nel Mar Rosso, 1 885, comando marittimo di Massaua, 1 886-1 888, operazioni militari in Africa orientale; Corte di cassazione; Tribunali militari di guerra in Libia, 1 940-1942, buste 81 ; Amministrazione fiduciaria della Somalia, ufficio del magistrato ai conti, 1 950-1 960, pacchi 1 .054 : Agenzia per lo sviluppo economico della Somalia, 1 957-1960, buste e pacchi 5 8; carteggi di personalità : Emilio de Bono, Giuseppe Pinelli. Fra le accessioni più recenti di fondi di provenienza privata, quelli di Jacopo Gasparini, di Luigi Pintor, di Pietro PiacentinF8• Inoltre, fondi segnalati per una Guida possono con­ tenere materiale documentario relativo anche ad altre aree geografiche. Ancora, da ulteriori ricerche, possiamo segnalare : Ministero delle comunicazioni, direzione generale della marina mercantile, ispettorato servizi marittimi, serie «Navigazione sul mare», 1 861-1904 (fra l'altro : Africa, America latina, Cina, India, Giappone) ; Ministero dell'aero­ nautica, Africa orientale italiana, rapporti gen. Graziani, 1 936-1 937, Africa settentrionale, ispezioni gen. Pricolo, 1 940. Una ricerca specifica, intrapresa per completezza di materia in merito alla Concessione italiana di Tien-Tsin, ha permesso di reperire (Ministero della marina, Gabinetto, 1 897-1910, b. 1 5, fase. « Ritiro di truppe di terra dalla Cina») documentazione, di modesta entità quantitativa (assai più ricca è quella analoga presso gli uffici storici militari) ma che è interessante segnalare perché copre un'altra area geografica, sui reparti del r. Esercito e della r. Marina dislocati in Cina (quelli dell'Esercito furono ritirati nel primo decennio del Novecento, ed in Cina, sino alla seconda guerra mondiale, rimasero soltanto navi e reparti della Marina italiana). La ricerca è stata effettuata da Mario Missori 29.

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Cfr. anche P. FERRARA, Guida aJJe fonti docummtarie per fa storia militare presso l'Archivio centrale dello Stato, relazione al III Seminario della Società di storia militare su «Le fonti per la storia militare italiana in età contemporanea», Roma, 16-17 dicembre 1988, in corso di stampa negli atti relativi. Mentre questo volume è in corso di stampa, la relazione suddetta è stata pubblicata con il titolo Le fonti archivistiche: A rchivio centrale deJJo Stato, in Le fonti per fa storia Jllifitare italiana in età conte!Jiporanea. A tti del III seminario, RoJJia, 16- 17 dicembre 1988, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali Ufficio centrale per i beni archivistici, 1993, pp. 152-163, (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 25). 29 Altra documentazione su Tien-Tsin si trova in una parte delle Carte Amegfio confluite


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N el M �ist�ro della marina, direzione generale del persçmale e· dei _ _ uhtar , an o si trova documentazione analoga e altra su serv1z1 � � � una « Llnea d1 nav1gaz1one fra l'Italia e l'Estremo Oriente» ' progetto Ansaldo. Su indicazioni di Patrizia Ferrara è stato possibile accertare l'esistenza di fonti nel fondo « Partito nazionale fascista, Direttorio federazioni ' provinciali» (in corso di riordinamento ad opera della stessa · dott. Ferrara, assumerà la denominazione « Partito nazionale fascista Diret­ tori� nazionale, servizi vari, serie Il »). Sono presenti le Federa ioni di Add1s Abeba, Asmara, Bengasi, Derna, Gimma, Gondar, Harar Mi­ surata, Mogadiscio, Tripoli. La documentazione è per lo più sud ivisa nelle categorie « Ufficio del personale», « <spettorato amministrativo » « Pratiche divers : », « Ser:izi tecnici». Da alcuni sondaggi abbiam _ _ nlevato che nell 1nventano figurano prevalentemente le voci « Fasci dipen ��ti», « ruppi rionali», « Opera nazionale dopolavoro», « Fasci femffi1n1li», « Gwventù italiana del Littorio», «Associazione musulmana del Littorio », ecc. Della « Situazione politica ed economica delle province» del fondo PNF rimane invece soltanto la documentazione, in ordine alfabetico per provi�cia, dalla lettera G in poi. Sono quindi presenti Gimma, Harar, M1s�rata, oga iscio, Tripoli, mentre è andata perduta la documentazwne d1 Add1s Abeba, Asmara, Bengasi, ecc. Un sondaggio nello sch� dario per argomenti del fondo « Segreteria _ part1colare del Duce», sene « carteggio ordinario» limitato alle voci « Tripoli» e « Tripolitania» ha permeso di accertar la ricchezza della documentazione e dei temi trattati. Abbiamo poco fa accennato alle acquisizioni di nuovi fondi un esempio delle quali è dato da quella parte dell'archivio del Mini tero dell'Africa italiana che di recente l'Archivio centrale dello Stato ha salvato da una probabile distruzione. Come è noto, altra parte dell'ar-

nell'Archivio centrale chivio del suddetto Ministero si trovava g1a ivio storico-diplo­ dello Stato, mentre un'altra ancora è presso l'Arch perciò da condividere matico del Ministero degli Affari esteri. È relazione, che, l'augurio, espresso da Mario Serio nella sua già citata ricomposta venga dovunque le carte siano conservate, l'unità del fondo le. attraverso la redazione di un inventario unico e globa

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n�l fond «PNF Mostra della rivoluziom fascista» (debbo questa segnalazione a Gigliola F��rava�tl). Mentre questo volume è in corso di stampa, la documentazione suddetta è stata pm amprame�te descritta in : ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Partito Nazionale Fascista. Mostra della Rzvoluzrone Fascista. Inventario, a cura di G. FIORAVANTI Roma Mr·n1·s tero per l beru ' ' . . · . centrale per i beni archivistici 1990 eulturarl e ambrentali.. UfficiO · deg1·1 , p 1 70 (Pubbl1cazroru ' . A rehlvr d1 Stato. Strumenti, CIX). ·

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Stato e nelle 4. - Fonti di epoca posteriore all' Unità : b) negli A rchivi di posteriore Sezioni di A rchivio di Stato. La documentazione di epoca Stato e nelle all'Unità d'Italia conservata nei novantaquattro Archivi di in quanto quaranta Sezioni di archivio di Stato ha carattere omogeneo, inistrazione prodotta da uffici dello stesso tipo esistenti in tutta l'Amm finanza, provve­ periferica italiana (prefetture, questure, intendenze di ditorati agli studi, ecc.). colati (ad un La documentazione militare, e soprattutto i ruoli matri di Frosinone tema particolare svolto utilizzando quelli della provincia o convegno) 30, è dedicato un contributo di Mauro della Valle in quest io di leva, serviz il attestano le vicende militari di ciascun italiano, taristico fu i richiami, gli arruolamenti volontari (il fenomeno volon quan­ pero, massiccio specialmente nella guerra per la conquista dell'im larsi) 31, le ferite, do anche molti emigrati rientrarono in Italia per arruo le mutilazioni, le ricompense al valore. prefetture Le fonti di intere sse africano esistenti nei fondi delle gie. L'una si posso no essere per lo più raggruppate in due tipolo i : prima guerra riferisce agli avvenimenti bellici ed alle loro ripercussion dell'impero, sed'Africa, guerra italo-turca, guerra per la conquista

30 M. D ELLA VALLE, La chiamata alle arn1i per la guerra di Libia ( 1911- 1912) , dai ruoli matricolari del distretto t11ilitare di Frosinone, contributo per gli atti di questo convegno. 31 Gli emigrati rimpatriati per arruolarsi volontariamente furono così numerosi da costituire un intero reparto organico, la Legione «Fasci italiani all' estero», che operò sul fronte somalo, inquadrata nella Divisione Camicie Nere « Tevere». Come ho già avuto occasione di ricordare recentemente in un altro convegno (I colloquio sulle fonti per la storia del'elnigrazione : l'emigrazione italiana in America latina, 1 870-1970; Roma, 1 9-20 settembre 1989) queste fonti sono particolarmente preziose, in quanto l'archivio dell'Associazione nazionale volontari di guerra - alla quali mi onoro di appartenere - è andato completamente distrutto durante la seconda guerra mondiale.


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conda guerra mondiale. L'altro tipo di fonti si riferisce inv�ce al lavoro italiano in Africa, alle migrazioni di italiani nei nuovi territori; . allamessa a frutto di territori precedentemente desertici. Le carte delle prefetture e, in minor misura, quelle delle questure - cui è dedicato, per quanto attiene a quella di Roma, un contributo di Marina Pieretti in questo convegno32, ma con notizie che è da supporre possano estendersi a tutte le province italiane - riflettono così lo stato d'animo della popolazione, le manifestazioni in occasione di eventi straordinari ; documentano inoltre, provincia per provincia, l'emigrazione verso le colonie, la mobilitazione in periodi bellici, gli arruolamenti, l'assistenza alle famiglie dei militari ed ai rimpatriati, e così via. Per esempio, l'Archivio di Stato di Pistoia segnala, fra le carte dell'ufficio di gabinetto della sottoprefettura, poi, dal 1 927, Prefettura di Pistoia, ·

« fascicoli triennali sugli affari riguardanti il Ministero delle colonie, poi dell'Africa italiana, e in particolare disposizioni relative al suo funzionamento, affari riguardanti il personale (concorsi, nomine, informazioni). Sono poi da segnalare atti relativi alla guerra di Libia (offerte a favore degli italiani espulsi dalla Turchia e rientro di truppe, del maggio 1912 [cat. 30, b. 1 3]); ma soprattutto vi sono fascicoli riguardanti la colonizzazione della Libia nella seconda metà degli anni Trenta e numerosi fascicoli sulla guerra d'Etiopia, sugli arruolamenti, sulle sanzioni decise dalla Società delle nazioni contro l'Italia, sull'emigrazione di italiani verso l'Africa orientale».

Sono temi che si ritrovano in quasi tutti i fondi delle prefetture. L'offerta di oro alla patria durante le sanzioni fu un fenomeno generale che coinvolse tutti gli italiani, senza distinzione di opinioni politiche. Anche l'invio di coloni in Libia, in zone desertiche che il lavoro italiano rendeva coltivabili e fertili, fu un fenomeno che trovò un'ampia rispondenza nell'opinione pubblica. Alcuni Archivi hanno segnalato in dettaglio argomenti ricompresi nelle predette voci; per esempio, Treviso segnala, fra l'altro, trasferimento di famiglie, concessioni coloniche in Libia, anno 1 938 ; colonizzazione in Libia, 1 939 ; Verona segnala : limitazione dell'emigrazione in Eritrea alle sole persone certe di trovare nella colonia occupazione remunerativa,

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1 898 · richiamo di classi sotto le armi, riflessi nella pubblica opinione (ent siasmo popolare per la partenza di a p�i e be�saglie:i e vigilanza governativa per eventuali reazioni per l nchi�m d class1), 1 1 1-1912 : In alcune province la documentazwne s1 nfensce altres1 a tem1 specifici : per esempio, l'Archivio di Stato di rindisi egn la l'ingaggi o . di operai e contadini da parte dell'Ente d1 c lomz az1 ne « �ugl a . d'Etiopia» (al quale è dedicata una relazwne d1 Luc1a d Ippolit :n questo convegno) 33, Siracusa segnala l'assist nza ai p rofughi dalla L1b1a : . Altre segnalazioni sono giunte da alcum Arch1v1,. a che al d1. �uo l . . di quelle relative ai fondi di prefettura, q estu a d1 trett1 m1htan : � L'Archivio di Stato di Rovigo ha segnalato l arch1v10 d1 Adolfo Rossl (Lendinara 1 857-Buenos Aires 1 921), il quale partecipò in qualità di . giornalista, nell'ultimo decennio dell'Ottocent , all'i presa :olomal in Eritrea, dalla quale fu espulso. Fu anche d1plomat1co e sl occupo soprattutto di emigrazione (lo stesso fond è st to s gnalato el re ente convegno sulle fonti per la storia dell'em1graz10n� 1n Amer1ca lat na) . L'Archivio di Stato di Taranto ha segnalato 11 fondo dell'Istltuto talassografico di Taranto, che costituisce la fonte di uno specifico contributo di Michele Durante in questo stesso convegno34• L'Archivio di Stato di Torino ha segnalato la presenza di un piccolo fondo Toselli (tre buste), con documenti del maggiore Pietro Toselli, l'eroe dell'Amba Alagi, caduto il 7 dicembre 1 895. Il fondo è corredato da un inventario sommario redatto nel 1 988. Fra gli archivi privati conservati negli Archivi di Stato ricordiamo inoltre il ricco archivio Colosimo, nell'Archivio di Stato di Catanzaro, già descritto nella Guida relativa all'Africa a sud de Sahar 35, e che costituisce altresì l'oggetto di una specifica relazione di AntonlO Garcea in questo convegno 36•

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L. D'IPPOLITO

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' L'Ente di colonizzazione Pt�glia d'Etiopia, relazione a questo convegno.

34 M. DuRANTE, Pesca, ostricoltt1ra e ricerca idrobiologica nelle colonie italiane d'Africa attraverso

. le carte dell'Archivio de/ regio Laboratorio di biologia marina di Taranto (così modificato Il tltolo), contributo per gli atti di questo convegno. 35 I. MoNTORO, A rchivio di Stato di Catanzaro, in Guida delle fontt. per la storta dell Ajrzca a st1d del Sahara. . . cit., I, pp. 351-352. . . Colosl!JIO, relazwne 36 A. GARCEA, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nel!'archtvto a questo convegno. .

32 M. PJERETTI, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nell'archivio della Questura di RoJJia, contributo per gli atti di questo convegno.

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Alcune corti d'appello - Ancona, Genova, Roma - ebbero . , in van peno di, competenza a conoscere i ricorsi contro le sentenze dei tribunali �sis.te�ti ne�e c�lonie itali�ne e contro le sentenze dei tribunali c�.qsolari 1taliaru nell Afr1ca settentrionale e nel Vicino Oriente (quello, per inten · derc1, che gwrna li e telev�sio�e chiamano Medio Oriente) quando vigeva .1l reg1m . e delle cap1to . laz10ru . Sondaggi eseguiti vari anni or sono da Ale� sandro Mordenti e da chi vi parla negli Archivi di Stato di Ancona e di R�ma hann� permess o di accertare che nei fondi delle rispetive cortl. d appe�� e�1ste effetti_ vamente documentazione di questo tipo. G�1. _ Ar�hiv1 d1 Stato che hanno ricevuto, a titolo di deposito, gli . hanno arc�v1 d1 camere d1. commerciO, in questi documentazione relat�va a rappo rti commerciali con le colonie italiane e straniere e con paes1 del Terzo Mondo in genere. Vari archivi di camere di commercio son� �escritti nelle G_uide già pu�blicate, ma da allora il numero degli _ �rch1v1. d1 camere d1 commerciO depositati negli Archivi di Stato e _ ul�en� rme�te aumentato. A quelli già indicati nelle citate pubblica­ _ Z1oru, s� puo agg1U ngere, su segnalazione dell'Archivio di Stato di C�mo, 11 fondo della Camera comasca, ed in esso, in particolare, per g�1 anru. 1 882-1 894 «trattato commerciale con le Camere di commercio d1 Massaua e Ales� a�dria di Egitto» e per il 1 927 «Fiera di Tripo li». _ Come per quals1as1 altro argomento, anche gli archivi notarili costi­ tms�ono una fonte preziosa per la storia della politica coloniale italiana : abb1a�o, del resto, già segnalato, per esempio, l'atto notarile con cui il 26 ap_rile 1 88� fu costituita da Vincenzo Filonardi la società in acco­ �andita. s�mphce �er la fondazione di una «Casa per l'acquisto e vendita d1 �ere1 .m com�1ssione» in Zanzibar37, preludio alla successiva pene­ trazwne m Somaha della Compagnia fondata dallo stesso Filonardi. ·

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�ppendice : fonti distrutte

Infine, vogliamo aggiun­ gere, a t1tol� meramente esemplificativo, una nota relativa a materiale �ocumentano che « dovrebbe» trovarsi negli Archivi di Stato, ma che e stato oggetto di «scarti» quanto meno opinibili, ovvero che è stato . d1strutto prima ancora di essere versato agli Archivi. 5.

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o scomparse.

37 E · LoD�LINI, A 1 �htvto . d.1 Sfato dt RotJJa, m G11ida delle fonti per la storia dell'Africa a st1d del Sahara . . c1t., II, pp. 453-493. La segnalazione è alle pp. 480-48 1 . .

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L e fonti sulla politica coloniale negli Archivi di Stato italiani

Un esempio del primo caso si è verificato nel 1 942 presso l'allora Archivio di Stato di Roma e Archivio del Regno. Qui si trovavano - a quanto sembra, a titolo di temporaneo deposito - molte migliaia, o meglio varie decine di migliaia, di lastre fotografiche della Questura di Roma e della Scuola superiore di polizia, entrate in Archivio a più riprese, fra il 1 930 ed il 1 940. La data iniziale non ne era indicata; del materiale entrato in Archivio nel 1930 si precisava che era «anteriore al 1 9 1 6 »; poteva trattarsi quindi anche di documentazione fotografica piuttosto antica (ricordiamo anche la Polizia dello Stato pontificio, prima del 1 870, faceva già uso di foto segnaletiche). Quel materiale documentario era costituito da foto segnaletiche, da riproduzioni di fotografie di persone, da cartellini segnaletici e dacti­ loscopici relativi al terremoto di Messina ed a quello della Marsica ed anche da fotografie di « documenti riservati attinenti alla guerra ita­ lo-turca ed alla prima guerra mondiale» . Fu distrutto con la motivazione che si riferiva «a più di 20-30 anni» prima. Fra il suddetto materiale si trovavano « fotografie eseguite a prigio­ nieri libici», in lastre 9 x 1 3, contenute in scatole del formato 13 x 1 8, e precisamente 1 4 scatole di fotografie eseguite a Favignana, 1 8 scatole di fotografie eseguite a Gaeta, 1 1 scatole di fotografie eseguite alle Tremiti e 28 scatole di fotografie eseguite ad Ustica. Di mole cospicua, ed esistente sia in Roma che in tutto il territorio nazionale, era invece il materiale documentario che è stato pressoché completamente distrutto subito dopo la fine del regime fascista : gli archivi delle organizzazioni sindacali 38• Attese le particolari caratteri­ stiche del fenomeno coloniale italiano, mirante a creare «colonie di popolamento » nelle quali indirizzare l'emigrazione dei lavoratori che non trovavano lavoro nella madrepatria, anche questi archivi avrebbero potuto offrire materiale documentario di grande interesse per il tema cui questo convegno è dedicato . ·

38 Come è noto, i sindacati, nell'epoca fascista, rivestivano personalità giuridica di diritto pubblico ed in base alla legge archivistica (art. 32 del d.p.r. 30 set. 1963, n. 1409), «nel caso di estinzione di enti pubblici i rispettivi archivi sono versati nei �ompetenti Archivi di Stato, a meno che non se ne renda necessario il trasferimento, in tutto o in p�rte, ad altri enti · pubblici», inesistenti nel caso dei sindacati.


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Una riprova ne è data da alcune centinaia di lettere di lavora.tori italiani del periodo della guerra d'Etiopia, che sono state pubblicate nel 1938 dalla' massima organizzazione sindacale dei lavoratori39 ed il cui testo è p�rtanto sopravvissuto alla distruzione degli archivi in cui erano conservate. Da quelle lettere, quasi sempre assai semplici, traspare chiaramente lo stato d'animo dei combattenti e degli operai civili. Oltre all'unanime entusiasmo per l'impresa militare e per le realizzazioni civili, denominatore comune è il convincimento di essere portatori di civiltà, di porre fine ad un sistema ancora feudale e caratterizzato dalla persistenza della schiavitù Ne riportiamo alcune frasi : (in Eritrea) «siamo tutti amici, italiani. e neri, siano tutti una fratellanza» (2 settembre 1935) 40; (oltre il vecchio c�n�me! «_il popolo è tutto favorevole a noi» (8 ottobre 1935)4 1 ; «queste tnbu tlgrme accolgono con piacere il dominio italiano e sembra che portino, al contrario, odio e rancore verso il Negus»42; Addis Abeba, veniamo a portarti « quel benessere sociale che mai conoscesti» e «la pace, la giustizia, la vita» (28 luglio XIII [ 1935]) 43; «sono venuti nelle nostre mani 1 . 500 abissini armati che vogliono essere italiani», «anch e tutti i cristiani vogliono essere italiani» (18 ottobre 1935)44. Sembra qui di ascoltare l'eco di quella canzone che fu popolarissima negli anni dell'impresa etiopica, «Faccetta nera, bell'abissina, ti porteremo a Roma liberata (. . .)»; tanto popolare che ancora questa mattina, a più di mezzo secolo di distanza, un quotidiano locale la pone nel titolo della cronaca della inaugurazione di questo convegno45• In un certo senso sulla stessa linea, come non ricordare che la Tripolitania e la Cirenaica, unificate dall'Italia con il nome di Libia e passate dal plurisecolare, retrogrado e oscurantista dominio turco all'amministrazione italiana, dopo pochi decenni, caratterizzati da un ininterrotto sviluppo e da un rapidissimo progresso in ogni camp o =

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[Confederazione fascista dei lavoratori dell 'industria], Il cuore dei lavoratori nella guerra jasetsta, Roma, Unione Editoriale d'Italia, 1938. 40 Ibid., p. 53; lettera di Giovanni Pasutto di Venezia. 41 Ibid., p. 54; lettera di Aldo Daffare di Torino. 42 Ibid., p. 63 ; lettera di Guglielmo Burani di Genova (manca la data). 43 Ibid., p. 77 ; lettera di Regolo Balbi di Ravenna. Ibid., p. 60; lettera di Primo (alla famiglia, manca il cognome), di Padova. E cantai!IJJOJ «Faccetta nera», in « Gazzetta del Sud», 24 ott. 1989, p. 4, titolo su quattro colonne.

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Le fonti sulla politica coloniale negli Archivi di Stato italiani

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della vita civile46, furono dichiarate territorio metropolitano, con conse­ guente concessione di una speciale cittadinanza italiana ai libici, non più sudditi, ma cittadini? Ma torniamo alle lettere dei lavoratori dall'Mrica orientale, raccolte negli archivi della loro già ricordata organizzazione sindacale. Un operaio scrive: «ho l'orgoglio di essere anch'io un pioniere di civiltà, unica prerogativa e unico vanto degli italiani», 2 giugno (manca l'anno, verosi­ milmente 1935 o 1936) 47 e un altro «questa non è una guerra come quella mondiale che c'è un ammazzamento di gente, ma bensì è una guerra per portare la civiltà agli abissini» (8 ottobre 1935)48• Altro tema ricorrente è quello della fertilità del suolo, delle ricchezze naturali, delle grandi possibilità di lavoro : «Terreni fertilissimi . Grandi allevamenti di bestiame» (29 aprile 1936)49 ; «terreno vergine, di im­ mense ricchezze» (19 marzo 1936) 50; «ci siamo raffermati ancora una volta per sei mesi e se la salute ci accompagnerà cercheremo di rimanere il più che ci sarà possibile, perché già lo sappiamo che la maggioranza della massa operaia il suo pane è quaggiù»; nel bassopia­ no eritreo «bisogna lottare di nuovo col caldo tropicale, sarà un po' duretta ma non fa niente, quando si fa per la grandezza della Patria e nello stesso tempo per guadagnarci un pezzo di pane, l'uomo non avrà null'altro da temere» (13 maggio 1936) 51 • 46

Dopo lo svolgimento della presente relazione, ma ancora durante questo convegno, leggiamo quanto scrive Giuseppe Galasso in un articolo di fondo del « Corriere della Sera>> (I conti della storia, in « Corriere della Sera», 27 ott. 1 989) ; «Per il dominio italiano in Libia, vale tuttavia la pena di ricordare che esso svolse un'azione di promozione e di sviluppo civile senza precedenti in quel Paese, che da secoli e secoli la provincializzazione dell ' Islam nord-africano e l'interminabile e soporifera sovranità ottomana avevano ridotto a uno «scatolone di sabbia». Non avevano torto a definirlo così i numerosi avversari italiani della conquista. E in quello « scatolone di sabbia» gli italiani introdussero leggi e ordinamenti moderni, aprirono strade e scuole, costruirono opere pubbliche di ogni genere, effettuarono una colonizzazione agricola mirabile, svilupparono i primi sistemi moderni di comunicazione, ottenendo la fiducia e la simpatia della popolazione come non sempre è accaduto ai potenti di prima e di dopo. Ben più : gli italiani svolsero un'attività di studio scientifico del paese che fu semplicemente ammirevole». 47 Il more dei lavoratori. . . , cit., p. 82; lettera di Giannetta Catalani di Lugo. 48 Ibid., p. 41 ; lettera di Remigio Severi di Roma. 49 Ibid., p. 56 ; lettera di Mario Nicoletti di Forlì. 50 Ibid., p. 68; lettera di Carlo Bacchi di Alessandria. 51 Ibid., p. 54 ; manca l'indicazione del mittente.


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L'ambasciatore Romano ha ricordato ieri analoghe affermazioni - contestate dagli avversari politici - di Pasquale Stanislaa' Mancini 52; ma non bisogna dimenticare che Mancini parlava prima della g�ande emigrazione transoceanica di milioni di italiani in cerca di lavoro in terra straniera e che, per giunta, la prima espansione coloniale italiana nel Mar Rosso investì il bassopiano eritreo, assai poco propizio, per le condizioni climatiche, alla vita degli italiani. Ben diverse erano le condizioni dell'acrocoro etiopico, dal quale scrivevano questi operai, dopo averne constatato de visu le grandi possibilità. Di particolare interesse, poi, ci sembra - nell'ambito di quella conce­ zione della politica coloniale italiana quale componente del più vasto quadro della storia d'Italia in genere, messa in rilievo da Pietro Pasto­ relli53 - un'acuta diagnosi delle conseguenze che l'impresa etiopica avrebbe avuto in Italia non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello dei rapporti sindacali con le associazioni padronali. Un sindacalista torinese (ricordo che l'Unione provinciale dei sindacati dei lavoratori dell'industria di Torino era una delle organizzazioni di punta del sinda­ calismo del periodo fascista) scrive che «la disoccupazione in Italia è destinata a sparire, e basta solo questo, perché tutta la vita sindacale si svolgerà su tutt'altre basi, che erano impensabili prima dell'occupa­ zione di questa magnifica terra. Sia detto ben chiaro e forte, che quaggiù c'è lavoro per tutti e le ricchezze che nasconde questa terra sono immense e suscettibili di rapido sfruttamento, pronte a dare benessere e prosperità a milioni di italiani». Lo stesso sindacalista sottolinea con chiarezza «quello che sarà e farà il sindacato in seguito alle creazioni di questa nuova situazione, e dico subito che i primi ad accorgersi della mutata situazione saranno i sindacati padronali, che di colpo perdono la loro situazione di privilegio, che era costituita dalla esuberanza di mano d'opera sul mercato interno e che di tale esuberanza se ne facevano un'arma per tutte quante le questioni, dalla discussione del contratto nazionale alla controversia individuale» (21 maggio 1936) 54. 52 S. RoMANo, L'ideologia del colonialis!Jio italiano, relazione a questo Convegno. 53 P. PASTORELLI, Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione, relazione a questo Convegno. 54 Il cuore dei lavoratori. . . cit., p. 147; lettera di Bruno Miraglia di Torino.

pATRIZIA FERRARA

Recenti acquisizioni deltA rchivio centrale dello 5tato in materia di fonti per la storia dell'Africa italiana : Ufficio studi e propaganda del MAI

La recente acqms1z10ne, da parte dell'Archivio centrale dello Stato, di documentazione sul colonialismo italiano in Africa, si riconnette, nei suoi come e nei suoi perché, alle vicende conclusive della vita del Ministero dell'Africa italiana, soppresso nel 19 53 1• Per chiarire i termini di questa soppressione, sia sotto il profilo istituzionale, sia sotto quello delle conseguenze pratiche che essa determinò a livello di dispersione degli archivi, è opportuno accennare alla soppressione di un'altra amministrazione centrale, che determinò analoghi problemi quanto a dispersione dell'archivio originario : il caso del Ministero della cultura popolare, soppresso nel 1 9442. Sia il Ministero dell'Africa italiana, che il Ministero della cultura popolare ebbero una rilevanza enorme all'interno dell'ordinamento is�i­ tuzionale fascista : l'una monopolizzando tutti i servizi relativi alle colome, l'altra monopolizzando tutti i settori della cultura e della propaganda. Di conseguenza, entrambe produssero un archivio di grande rilevanza storica. Tutte e due, inoltre, acquistarono una nuova denominazione nel 1937 : il Ministero delle colonie diventò Ministero dell'Africa italiana, il Ministero stampa e propaganda diventò Ministero della cultura popolare. Mutamento formale, è vero, ma che suggellava un'importante fase di riorganizzazione dei servizi interni alle due amministrazioni, concretizzatasi, per entrambe, negli anni compresi tra il 1934 e il 1936. Infine, come già accennato, entrambe subirono un provvedimento . di soppressione : nel 1944 la Cultura popolare, nel 1953 l'Africa italiana 1 L. 29 apr. 1953, n. 430 « Soppressione del Ministero dell'Africa italiana». 2 La soppressione del ministero avvenne con d. lgt. 3 lug. 1944, n. 163.


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Le motivazioni storiche che portarono alla soppresswile furono, però, diverse per le due amministrazioni. La soppressione della Cultura popolare non fu, infatti, dovuta all'esaurimento degli affari trattati da questo ministero, come invece avvenne per l'Africa italiana, ma rappresentò una precisa scelta politica dei governi post-fascisti succes sivi, dunque, al 25 luglio 1 943. La cinematografia, il teatro, la radiofonia, il turismo, non erano certo affari in esaurimento, sotto il profilo amministrativo, al momento della caduta di Mussolini : tali affari sarebbero comunque continuati al di là della sopravvivenza o meno del ministero che flno ad allora li aveva gestiti. Bisognava solo decidere se frazionare queste comp etenze tra più m1n1steri o lasciarle, in qualche modo, accorpate3 . Prevalse, alla flne, la scelta di lasciarle accorpate, trasferendole prima in seno alla Presidenza del consiglio dei ministri e poi 4 in un dicastero di nuova istituzione : quello del Turismo e dello spettacolo. Questo comportò sia che il personale dell'ex Ministero della cultura popolare fosse assorbito, senza traumi e senza mutare le proprie competenze, nell'organico del nuovo ministero, sia che gli archivi originari non fossero frazionati, passando in foto prima, alla Presidenza del consiglio e, poi, al Ministero del turismo e dello spettacolo. Dunque gli organi dello Stato presso i cui depos iti si sta oggi concentrando l'attività di censimento, al fine della ricostituzione del­ l'archivio originario, sono due : Presidenza del consiglio dei ministri e Ministero del turismo e dello spettacolo. Altro avvenne per l'Africa italiana . Questo ministero fu soppresso, al di là di ogni scelta politica, per l'esaurimento del suo oggetto di competenza primario : l'Italia non aveva più colonie. Leggiamo insieme, a questo proposito, qualche riga della relazione allegata allo schema del disegno di legge sulla soppressione del mini3 Dopo la soppressione del ministero, molte amministrazioni dello Stato rivendicarono la propria competenza a subentrare nella gestione di alcuni degli affari trattati dall'ex Ministero della cultura popolare. In particolare gli Interni, la Pubblica istruzione e le Comunicazioni. 4 Con la sola eccezione della competenza in materia di stampa italiana, che rimase alla Presidenza del consiglio dei ministri.

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stero, perché liquidare la questione della soppressione dicendo solo che essa era legata alla perdita delle colonie, sarebbe semplicistico. « L'occupazione bellica dei territori già di sovranità italiana in Africa e la perdita di tali territori, successivamente sancita col trattato di pace, hanno privato progres­ sivamente il Ministero dell'Africa italiana della quasi totalità delle sue caratteristiche e fondamentali attribuzioni istituzionali. Altri compiti, peraltro, ( . . . ) il predetto ministero è stato contemporaneamente chiamato ad assolvere, direttamente o in collaborazione con altre amministrazioni ( ... ) e, più recentemente, quelli inerenti all'assunzione dell'amministrazione fiduciaria della Somalia ed al primo assetto giuridico-amministrativo di quel territorio. A seguito delle decisioni adottate dal­ l'Assemblea generale delle Nazioni Unite per la Libia e per la Somalia, nel novembre 1949, e per l'Eritrea, nel dicembre 1950 [il relatore allude all'assetto politico defmitivo dato alle ex colonie italiane dalle Nazioni Unite], è venuto a cessare ogni motivo di conservare ulteriormente in vita il Ministero dell'Africa italiana» 5.

Le competenze del ministero erano giunte così veramente al capolinea. Non si poneva neanche il problema se lasciarle accorpate o frazio­ narle, come era stato per la Cultura popolare. La logica voleva che fossero frazionate tra le amministrazioni dello Stato in base a un criterio di analogia di funzioni. E così avvenne. Il personale dell'ex ministero, non potendo in prospettiva mantenere le stesse competenze, al di là della gestione temporanea degli affari residui, dovette essere sistemato in altre amministrazioni e con nuovi compiti 6• Anche la documentazione del ministero venne smembrata tra le diverse amministrazioni che ne ereditarono le competenze, ad eccezione dell'archivio storico, la cui istituzione in seno al ministero stesso,

5 Il testo riportato non è quello definitivo, ma una delle elaborazioni intermedie che, pur coincidendo nella sostanza con quello definitivo, è meno sintetico di questo e, mi è parso, quindi, più funzionale allo scopo esplicativo che mi propongo ; in ACS, Presidenza del consiglio dei 111Ìnistri [d'ora in poi PCM] 1955- 1958, fase. 1 0275{1 . 1 .2 s. fase. 27.1 « Legge 29 aprile 1 953, n. 430 relativa alla soppressione del Ministero dell'Africa italiana». 6 Il problema della sistemazione del personale del MAI in altre amministrazioni dello Stato fu veramente complesso, trattandosi di un vero e proprio esodo. Il personale si organizzò persino in un'associazione, con tanto di carta intestata, per svolgere una costante azione di pressione nei confronti delle istituzioni preposte alla formulazione della legge ; in ACS, PCM 1955-1958, ibidem.


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a partire dal 1928, salvaguardò la conservazione di un corpus .omogeneo di documenti . In conclusione, nel caso del Ministero dell'Africa italiana, il proble­ ma della ricomposizione degli archivi risulta di più difficile soluzione, perché comporta il recupero di una documentazione frazionata tra più ministeri. La legge di soppressione stabilì, infatti, il trasferimento delle com­ petenze residue dell'Africa italiana alle seguenti amministrazioni : Esteri, Interni, Finanze, Tesoro e Difesa; istituì, inoltre, un «ufficio speciale» (per gli affari del soppresso MAI) per gestire il complesso problema relativo al trasferimento e alla sistemazione dell'intero organico della cessata amministrazione . Vediamo, in particolare, cosa accadde invece agli archivi . L'archivio storico, così come era stato formato dal 1 928 in avanti, venne attribuito per legge al Ministero degli esteri; la rimanente documentazione venne così frazionata : ancora agli Affari esteri andò quella relativa all'amministrazione fiduciaria della Somalia; agli Interni, la documentazione attinente all'assistenza sul territorio nazionale ai profughi delle ex colonie; alle Finanze, i documenti relativi all'Azienda monopolio banane (oggi conservati dall' ACS) ; alla Difesa la docu­ mentazione relativa all'assistenza nei confronti dei militari residenti in Africa italiana (oggi conservata dall' ACS) ; ed infine al Tesoro tutta la documentazione relativa ai risarcimenti dei danni di guerra in Africa (in parte acquisita dall' ACS) e tutta quella documentazione che risul­ tava utile ai fini della liquidazione delle passate gestioni, attive e pas­ sive, dei Governi coloniali (relativa a lavori pubblici, requisizioni, forniture e così via) ; più, tutti i fascicoli del personale del cessato ministero, dopo che era stato soppresso, nel 1 955, l'ufficio speciale che si era occupato di gestire il problema dell'organico dell'ex MAI. Molti di questi archivi vennero, col tempo, ovviamente a fondersi con la documentazione corrente dei ministeri riceventi. È quanto accadde, ad esempio, alle Finanze con i documenti dell'Azienda monopolio banane, o al Tesoro che, ancora oggi, utilizza ai fmi ammini­ strativi (per lo più pensionistici) i fascicoli del personale dell'ex MAI. Chi effettuò materialmente la suddivisione degli archivi tra i diversi ministeri che ereditarono le competenze dell'amministrazione dell'Africa italiana fu una speciale commissione presieduta da Mario Toscano,

chiamata ufficialmente «comm1ss1one per l'esame e lo stralcio degli atti esistenti nell'archivio-deposito del cessato ministero». Formata da 8 membri, in rappresentanza di tutte le amministrazioni coinvolte, venne istituita dal Ministero del tesoro nel 1 958 e lavorò per due anni nell'archivio dell'ex ministero a palazzo della Consulta, esaminando fascicoli, stendendo elenchi, costituendo pacchi di docu­ menti (divisi per materia), poi trasferiti alle amministrazioni competenti secondo il disposto della legge di soppressione. Ma veniamo alle fonti recentemente acquisite dall'Archivio centrale dello Stato in materia di colonialismo . Circa un anno fa, effettuando un censimento degli archivi in alcuni locali di deposito del Ministero del tesoro, ho individuato, in un grave stato di disordine, un cospicuo numero di documenti. Si trattava proprio di quel materiale documentario attribuito al Ministero del tesoro in conseguenza del passaggio di competenze disposto dalla legge di soppressione del MAI, nel 1 953. La documentazione, tra faldoni, pacchi, registri e volumi ammonta a circa 3.000 pezzi. Prima del versamento all'Archivio centrale dello Stato, avvenuto nel luglio 1 989, ho effettuato, con alcuni collaboratori?, nei locali del Ministero del tesoro, il rimbustamento ed il riordinamento sommario della documentazione, raggruppandola per direzioni generali e sten­ dendo un elenco sommario del materiale . Nonostante che l'archivio sia solo sommariamente ordinato è, dun­ que, possibile fornire alcuni cenni sul contenuto. È noto a tutti che nel Ministero delle colonie prima, nel Ministero dell'Africa italiana, poi, si concentrarono, relativamente alle colonie, tutte quelle competenze istituzionali che per il territorio nazionale erano, invece, ripartite tra le diverse amministrazioni dello Stato. Quindi, anche la documentazione che mi accingo ad illustrare riflette questa variegata molteplicità .di funzioni svolta dall'organo produttore. Per il settore delle opere pubbliche (circa 128 faldoni) sono docu­ mentati, tra l'altro, i seguenti lavori in Africa settentrionale : costru-

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7 In particolare hanno collaborato : Nora Santarelli, Elvira Raponsoli, Leonardo Capobian­ chi, Nadia De Concilis, Benedetto Gaetani.


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zione di pozzi e acquedotti, silos, ospedali, scuole, cimiteri, banche, alberghi, cinema, caserme e uffici, scuderie, ferrovie, impianti telefonici, stazioni radiotelegrafiche, per gli anni 1923-1 940. È presente documentazione relativa anche ai piani regolatori delle città (relazioni esplicative, cartografia) sia per l'Africa settentrionale, che per l'Africa orientale italiana, per la quale sono anche conservati progetti e perizie per la costruzione di monumenti, cattedrali, strade, alloggi, porti, teleferiche. Nel fondo archivistico sono, inoltre, presenti documenti su vertenze con varie ditte incaricate della realizzazione dei lavori, sulla costituzione dell'Ente acquedotti in AOI, sull'attività di compagnie e società elettriche, sui problemi connessi con l'espropria­ zione per causa di pubblica utilità, sugli alloggi INCIS. Sempre nell'ambito delle opere pubbliche va citato l'archivio dell'A­ zienda autonoma strade statali (AASS) dell'Africa orientale (si tratta di 42 metri lineari di documenti corrispondenti a circa 300 faldoni), comprensivo di documentazione di cantiere sulla costruzione delle strade (progetti, relazioni, lucidi e perizie) e delle pratiche del personale dell'azienda . Per quanto concerne gli affari economici e finanziari, vi sono circa 170 faldoni di fascicoli, per gli anni 1 935-1953, relativi alle miniere (attività, relazioni, esplorazioni, ricerche, mostre minerarie, mica, saline, petrolio, sebche libiche) ; fascicoli sulle importazioni e esportazioni da e per l'Africa settentrionale e l'Africa orientale italiana; sulle manifat­ ture di tabacchi; sull'Ispettorato trasporti e su quello dei servizi marittimi e portuali (costruzione di moto barche, ufficio noli, movi­ mento della navigazione, viaggi di navi, vertenze varie) ; sull'Ispettorato servizi postali e elettrici (cavi sottomarini, forniture, installazione stazioni radiofoniche, conferenze internazionali sulle telecomunicazioni) ; sulla regia Azienda monopolio banane (RAMB) ; sull'Azienda riforni­ menti Africa settentrionale (ARAS) ; sugli enti di colonizzazione; sui bilanci e resa dei conti. Vorrei inoltre citare la documentazione, anche se meno cospicua, attinente alle scuole; all'archeologia (organizzazione dei servizi archeo­ logici, convegni e congressi, relazioni, missioni, esplorazioni, scavi, musei) ; alla sanità; all'assistenza e danni di guerra; all'ufficio militare; all'ufficio legislativo ; agli affari politici (rimpatrio dalle colonie, movi­ mento ed ordine pubblico, passaporti, permessi di soggiorno, rapporti con la stampa italiana ed estera) .

Vi è poi la grossa tranche dei fascicoli del personale, che si dividono in due serie principali: una relativa al personale dell'amministrazione centrale dell'Africa italiana (circa 326 buste) con fascicoli che partono anche da epoche anteriori all'istituzione del Ministero delle colonie, fino agli anni Quaranta. Mi sono passati tra le mani, a proposito di questa serie, i fascicoli dei ministri Giovanni Amendola e Attilio Teruzzi. L'altra serie (circa 900 buste) è costituita dai fascicoli del personale del governo dell'Eritrea, da fine '800 agli anni Quaranta. C'è, per finire, materiale della Ragioneria centrale ed una grande quantità di registri e protocolli della corrispondenza in arrivo . Mi fermo qui quanto ai contenuti del fondo acquisito . Vorrei solo aggiungere che il riordinamento e l'inventariazione8 di queste carte permetterà di individuare fascicoli che, al momento, dato il cospicuo numero di pezzi, saranno certamente sfuggiti alla mia attenzione . Tra la documentazione acquisita sono presenti anche circa 40 faldoni relativi all'Ufficio studi e propaganda del MAI . Questo ufficio, oltre ad un'intensa attività di propaganda in generale in materia coloniale, promosse e realizzò accurati studi monografici sulle colonie che sono oggi conservati presso l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, e costituiscono una preziosa fonte di informazione sugli argomenti più svariati relativi alle colonie. L'ufficio si occupava, inoltre, di realizzare autonomamente : pubbli­ cazioni varie di propaganda coloniale, films di propaganda e anche mostre ; gestiva il Museo coloniale ed attuava lo spoglio dei giornali esteri per l'individuazione di articoli sul colonialismo italiano . Esso ebbe una funzione particolarmente rilevante prima in seno al Ministero delle colonie e po1, dopo il 19 3 7, nel Ministero dell'Africa italiana.

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8 Riordinamento e inventariazione che, per avere una loro solidità scientifica, dovranno tener conto sia della documentazione già da tempo conservata presso l'Archivio centrale dello Stato e proveniente da quelle amministrazioni (diverse dal Ministero del tesoro) che avevano ereditato le competenze dell'ex MAI, sia di quella conservata dall'Archivio storico diplomatico del MAE.


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È a questo ufficio che dobbiamo, infatti, la costituzione � l'organiz­ zazione dell'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana, attual­ mente conservato dagli Affari esteri. Vediamo cosa ci è possibile apprendere sulla costituzione di questo importante archivio direttamente dalle parole dal capo dell'Ufficio studi, che, nel 1 926, così scriveva al ministro delle colonie : «Ad opera del cav. Toscani, nostro vecchio e benemerito funzionario dell'Eritrea, si è iniziata la raccolta dei documenti della storia delle nostre colonie orientali ed in parte dei documenti della storia libica, i quali dopo il trasferimento del Ministero da palazzo Chigi a palazzo della Consulta erano lasciati nel più deplorevole abbandono dispersi sul pavimento di magazzini umidi e aperti a tutti. li lavoro di recupero, faticoso e paziente, non è ancora terminato, si cercherà di affrettarlo per quanto possibile a fine di evitare il danno, già verificatosi in parte, della perdita di incartamenti la cui conservazione è necessaria per la costituzione dell'Archivio Storico in senso proprio, concepito come primo passo a quel lavoro di redazione della cronistoria delle nostre Colonie che è doveroso compiere se pur si voglia che all'azione politica soccorra la conoscenza e l'esperienza sicura del passato»9•

Dunque, un archivio storico che viene a costituirsi in funzione di un ben determinato obiettivo e cioè la stesura e la pubblicazione di una storia «ufficiale» del colonialismo italiano in Africa. Ma procediamo nella lettura di questo interessantissimo appunto. « Per giungere alla costituzione di un Archivio Storico » - continuava il capo dell'Ufficio studi - « lunga è la via. È necessario anzitutto trovare i locali adatti, poi incaricare dello spoglio, delle discriminazioni, della raccolta in cartelle, della classifi­ cazione e registrazione dei documenti persone esperte di consimili lavori, ed armate di molta pazienza e di molto entusiasmo».

Dunque si parla di discriminazioni, spoglio, rifascicolazione, riclas­ sificazione : certo, un archivio storico che non nasceva nel rispetto dell'ordine originario in cui erano state prodotte le carte (che è poi garanzia per un approccio corretto della ricerca), perché il capo del­ l'Ufficio studi pensava, evidentemente, che la semplice raccolta del 9 In ACS, MAI, b. 693, fase. « Funzionamento e programma dell'Ufficio studi e propa­ ganda».

L'Ufficio studi e propaganda del MAI nell'Archivio centrale dello Stato

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materiale disperso o del materiale prodotto di volta in volta dalle direzioni generali e uffici, non potesse bastare di per sé a «costituire» un archivio storico funzionale alla stesura di una cronistoria del colo­ nialismo, ma che fosse necessaria, per la realizzazione di questo obiet­ tivo, un'ulteriore riorganizzazione del complesso documentario. Ed era, dunque, giusta l'intuizione del collega Pellegrini degli Affari esteri, col quale ci eravamo consultati su questo problema, quando, mostrandomi, qualche giorno fa, una relazione degli anni Quaranta, svolta dal capo dell'Archivio storico dell'Africa italiana, mi diceva, a proposito dell'elenco del materiale documentario ivi riportato, che a lui, più che un inventario di carte, sembrava l'elenco dei capitoli di una pubblicazione sul colonialismo italiano in Africa. Perché, in effetti, i responsabili dell'archivio storico si comportarono, con la documentazione originaria, così come ci comportiamo noi con le fotocopie dei documenti attinenti alla materia che ci interessa, ogni qual volta svolgiamo una ricerca, per scrivere un saggio o un libro : raggruppandole per argomenti in base alle nostre esigenze. Il fatto che il progetto, approvato dal ministro nel gennaio 1 927, sia stato effettivamente realizzato nei termini stabiliti fin dal 1 926, è testimoniato dallo stato attuale della documentazione dell'Archivio storico del Ministero Africa italiana conservato dagli Affari esteri, dove è praticamente impossibile ricostruire l'ordine originario delle carte : alle vecchie classifiche se ne sovrapposero di nuove, i fascicoli furono spezzati e rifascicolati e l'approccio alla ricerca è dunque, oggi, possibile sulle basi di una partizione geografica e per materia, essendosi smarrito il filo originario degli affari suddivisi per competenza delle varie direzioni generali e uffici. Presso l'Ufficio studi e propaganda operava, inoltre, il servizio statistico, relativo, ovviamente, alle colonie. I rilevamenti venivano effettuati in sede locale e le schede di rilevazione vemvano direttamente inviate all'Ufficio studi e pro­ paganda. Nelle carte recentemente versate sono appunto presenti le schede originarie di rilevazione pervenute dalla Libia e dall'Africa orientale per gli anni 1 936-1943 : censimenti e movimento della popolazione, commercio di importazione e di esportazione, movimento della navi­ gazione, agricoltura, statistiche forestali, metereologia; sanità, istruzio-


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Patrizia Ferrara

ne, mercati, prezz1 e consum1, mm1ere e cave, pesca delle spugne, occupazione operaia e così via. La raccolta dei dati, effettuata da organi rilevatori diversi a seconda dell'argomento trattato (per i censimenti della popolazione gli organi rilevatori erano generalmente i municipi; per l'import-export erano le dogane; per il movimento della navigazione e per la pesca delle spugne erano le capitanerie di porto; e così via) la raccolta dei dati, dicevo, era finalizzata, in parte, alla pubblicazione di annuari vari a cura dell'Istituto centrale di statistica, in parte all'utilizzazione interna per la stesura di opere di propaganda coloniale. Questa documentazione del servizio statistico, nonostante che i dati siano, dunque, generalmente pubblicati, risulta ugualmente interessante sia ai fini di eventuali riscontri tra dato pubblicato e dato effettiva­ mente rilevato, sia ai fini dell'individuazione dei sistemi e delle tecniche di rilevazione allora adottate e dell' organizza,zione interna dell'ufficio. Attraverso questi fascicoli è, inoltre, possibile studiare cosa avvenne, cosa mutò nel settore statistico relativo alle c�lonie per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Certamente si verificò una riduzione delle attività di rilevazione, ma anche altro. Ad esempio apprendiamo dalle carte che, nel 1941, il governatore reggente della Libia sospese tutte le rilevazioni, ad eccezione di quelle relative al movimento della popolazione, adducendo come motivo sia la distruzione delle cartiere a seguito dei bombardamenti e, quindi, la difficoltà del reperimento della carta per la modulistica, sia l'inutilità di «continuare a mandare statistiche su statistiche - sono sue parole - che non hanno nessun valore perché i dati, diciamolo francamente, sono quasi buttati giù a caso, o inventati di sana pianta (. . . ) Il ministro reagì con durezza a questa presa di posizione ed il governatore fu, così, costretto a ritirare l'ordine di sospensione. Egli, comunque, aveva messo in rilievo uno dei problemi che, da sempre, era stato alla base delle polemiche tra detrattori e sostenitori della statistica, sin da quando essa costituiva, in età liberale, una direzione generale del Ministero agricoltura industria e commercio, e cioè : la scientificità e la serietà delle rilevazioni. 10 •

Cfr. il telegramma del vicegovematore della Libia Campani al Ministero dell'Africa italiana, in data 1 1 ottobre 1941 ; in ACS, MAI, b. 693, fase. 13.1 «Ufficio studi : capo ufficio».

ALBERTO SBACCHI The A rchives of the Consolata Mission and Italian Colonialism

The Institute of the Consolata for foreign missions was founded in Turin, Italy, in 1901 , by the generai superior, Giuseppe Allamano (1 851-1926). The primary purpose of the mission is to evangelize and educate pagan peoples. Allamano believed in the benefit of religion and education when he stated that the people «will love religion because of the promise of a better life after death, but education will make them happy because it will provide a better life while on earth». The Consolata distinguishes itself for stressing the moral and secular education and its enthusiasm for missionary work. To encourage young people to become missionaries, the generai superior convinced pope Pius X to institute a world wide mission day in 1912. Allamano's originai plan was for his mission to work among the Oromo people of Ethiopia and continue the mission which cardinal Massaia began in 1 846 in South-Western Ethiopia. While waiting for the right moment the Consolata missionaries ministered among the Kikuyu people of Kenya. In 1913 the Propaganda fides authorized the Consolata mission to begin work in Kaffa, Ethiopia. In 1919 it entered Tanzania, and accepting a government invitation in 1924 the Consolata installed itself in Italian Somalia and in 1925 in the Portuguese colony of Mozambi­ que. Before the second world war, the mission also expanded in Brasil, in 1 937, and after 1947 its missionaries went to Argentina, Colombia, Venezuela, Canada, the United States, Zaire, U ganda, South Africa and South Korea. Since Allamano was never able to visit the mission territories on account of his frail health, he craved information from his religious representatives, requesting them to detail in their diaries the ideas, discussion and reactions of the local people to the missionaries, how the Africans responded to mission education and their personal expe-


A lberto Sbacchi

The Archives oJ the Consolata Mission and Italian Colonialism

riences. The diaries and his correspondence are the most imp �ttant collection of the Consolata archives because of their historical ·and scientific significance. Equally relevant are the diaries each mission kept, but they are rather official documents and lack the spontaneity of the personal diaries. Today only 1 07 personal and official diaries survive thus: 49 from Kenya, 24 from Ethiopia, 1 1 from Tanzania and 23 from Mozambique. Of the 629 missionaries who served in Africa between 1901-1940, only about one in six produced a diary that survives. Reasons far this reduced number of diaries are the destruction during the second world war, of the Generai mother house archives in Turin and the fact that the originai rule to provide the generai superior with a diary, with time was not followed with the same alacrity. The historical value of the diaries, however, is not constant because of the varying educational preparation of the writer and the type of activity of the missionary. Most of the diaries are handwritten in beautiful calligraphy, but are difficult to read because of paper erosion, while some of the words written in pencil are fading away. Another source of historical significance are the reports and personal observations written by canonical inspectors on the activities of the missionaries, their administrative problems and their investiga­ don into local conditions. The documents concerning each specific mission are also substantial. To mention just the number of mission stations one can get a glimpse of the extensive volume of archival documentation that awaits to be discovered and appreciated: in Kenya there were 49 missions, in Ethiopia 23, in Tanzania 10, in Mozambique 22. This documentation kept by the director of each mission and sent to the headquarters in Italy includes correspondence, the mission diary, personnel files and reports written by the missionaries on local condi­ tions of specific interest. Although missionaries attended to various tasks, they also found time to write. The archives preserve 925 manuscripts on various topics that although intended far publication were never printed. Their value varies, but among these are the doctoral thesis like the one by Luigi Oppio (1909-1945) L'Opera di evangelizzazione della Consolata nel Kaffa ( ... ) which, while too generai, provides the reader with one of the first observations on that region of Ethiopia. Another unpublished extremely relevant document is G. Chiomio's (1 889-1979) report of

his 1927-1 928 expediton in South-Western Ethiopia. This report was put at the disposal of the Italian invading army which opened up to Italy all Western Ethiopia in 1 935-1936. Other pieces of cultural importance are grammars, books of synonyms, vocabularies, dictiona­ ries, lexicons, collections of music, songs, poems, stories, folklore and reports on East African ethnic groups. The missionaries contributed to the knowledge of East African languages by writing manuals including kiswahili, kikuyu, kemero, amharic, kaffigna, wallomomygna, oromygna, maji, kihehe, ciyao, shiankalla, ghidale and somali. They also published 1 1 studies on the kiswahili language, 1 5 in kikuyu, 20 in kemero, 8 in amharic, 28 in kaffigna, 5 in wallomomygna, 29 in oromigna, and two on the language spoken in Maji. There are manu­ scripts dealing with African art and architecture, geography, explora­ tions of the Nile river, carthography, history of African countries, biographies of local personalities, and important African women; racism in Africa, ethnography, pedagogica! texts far primary and secondary education, Ethiopian monoliths and studies on the Mau Mau rebellion. Besides unpublished manuscripts, the archives house 426 books written by its missionaries and it has the entire collection of the order's main publication "Rivista della Consolata" from 1 899. The archives also conserve the personal folders of each missionary, beginning with the birth certificate, academic .and religious records, all their correspondence and other information reconstructing the missiona­ ry's life, activity and contributions, as well as his memoirs. Along this line, the Consolata archives also contain a copious documentation on the founder, Allamano and co-founder Giacomo Camisassa (1854-1922). The former directed the mission far 25 year (1901-1926) and his documents are useful far institutional history since they contain the records and internai administration documents of the mission, personal correspon­ dence with the missionaries, the papal curia, and cardinals. The next collection of the Generai directorate consists of documents of the generai superiors who followed Allamano. It is a sizable archival collection dealing with the development of the mission, correspondence with missions and missionaries, documents on the first and second world war, the Vatican, various government agencies, reports on missionary activities and statistica! information. The generai chapter collection are records on the elections, every 1 O years, of a new generai

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The Archives of the Consolata Mission and Italian Colonialism

superior, when all leaders meet in Rome reporting on their misslonary activities. The information contained in this collection will help scho­ lars to reconstruct institutional history and to find up to date statistics. The Consolata mission documents are contained in 1219 boxes (30 cm x 31 cm x 19 cm) a:nd placed on 1 1 5 linear meters of metal shelves in the archives of the administrative headquarters in Rome. In Turin the documents of the founder are in 50 boxes, amounting to 50 Iinear meters. In total there are 165 linear meters of documents. The archives which are contained in a three floor building are well kept, and the documents are extremely well cared for. The archives are organized into 40 main divisions, headed by Roman numerals, which in turn are subdivided into Arabic figures. Scholars will have access to documents up to 1 940. The mission follows the 50 year rule, _ and requires a formal letter of inquiry, stating . and the subject to be studied. Researchers are asked to the penod produce letters of reference and to file an application form addressed to the generai secretary, Istituto missioni Consolata, viale delle mura Aurelie 13, 001 65 Rome, Italy. The archives are open Monday through Frid�y from 9 a.m. to 12 a.m. and from 3 p.m. to 6.30 p.m. The arch1ves are closed either during the month of July or August.

of the colonizing power. Evidence of this situation is the involvement of the Consolata in Somalia and in Ethiopia to further fascism's colonia! aims. In the euphoria, in 1 936, after the occupation of Ethio­ pia, the missionaries identified their ideals with those of the State. In reconstructing the dealings of the Consolata mission with the Italian government the missionary accounts demonstrate that the Italian government used all means, including the missionaries, to its advantage and that the missionaries were willing to cooperate. The latter's position can be best explained in terms of patriotism of the catholic missionaries who seemed divided on whether humanitarian and spiri­ tua! activities or collaborating with the colonia! authorities carne first. Also to be considered is the politica! pressure of the Italian gover­ nment and materia! aid given by the fascist regime to the missionaries that might have contributed far a period of time, to blurring the Consolata missionary goals. The Consolata was not able to go to Kaffa in 1 901 because the politica! and religious authorities opposed their coming to Ethiopia. According to the Italian minister in Addis Abeba, Giuseppe Colli, the Ethiopian government did not allow Italian missionaries to enter Ethiopia since abuna (bishop) Mathews of the. Ethiopian ortodox church was against the catholic presence fearing that the Consolata mission would engage in politica! propaganda far Italy 1 • The Italian minister also pointed aut that catholics in Ethiopia were persecuted and he could not assure the missionaries any protection. Furthermore he explained that Ethiopians did not tolerate the Italian presence on account of the memories of the battle of Adowa (1 896) and that the Italian government's attempts to proclaim a protectorate aver Ethiopia were stili vivid in the mind of the people. Colli concluded that Italians were viewed with suspicion and in his estimation the time for Italian missionary presence was premature2• Besides the Ethiopian church

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The Consolata mission m Ethiopia, 1 913-1943 The rec�r� of t�e activities of the Consolata m1ss10n in Ethiopia �n� Soma�1a 1s de:1ved sole!J from information gathered by studying m lts arc�ves dunng two cursory visits to the Rome headquarters in 1 989. ��1le the account here reported does no t give a full picture of the m1ss1ons overseas w�rk it proves its importance to scholarly . research and 1t. 1s_ an md1spen sable and untapped documentation to reconstruct Italian colonialism. In spite of shortness of time and limited exposur�, one senses the eagerness of the missionaries to evangelize, and theu commitment to continue the work of monsignor Massaia among the Oromo of Ethiopia. It will be the task of the scholars to evalu�te the :eal intentions of the missionaries in East Africa, but by studymg the1r reports it becomes clear that they were children of their time and therefore their activities became intertwined with those

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To protect the privacy of persons who may be stili alive the sender and the receiver is omitted. Hence only the Consolata mission archives position is reported here, followed by the number of the document cited. E.g. archival position VI-2/1 925, document number 350. VI-2/1913, n. 342. 2 IV-5/1912, n. 1442, 1448: this fùe contains information concerning the politica! reasons for Italian presence in Kaffa.


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Thc A rchivcs of thc Consolata Mission and Italian Colonialism

the Italians were opposed by empress Taitu, the m1rust17r of State, Wolde Ghiorghis, while ras Tafari, more tolerant, did not have. the authority to support the catholic mission's request. Opposition. to -the Consolata missionaries also carne from the French and British legations which were reported to have veto power aver the decision of ras Tafari's government 3 • The Consolata likewise had to contend with competition from the French Capuchin mission headed by the mons. André Jarosseau who had the religious j urisdiction aver Kaffa, and favored French politica! and economie influence4• The Addis-Djibouti railway planned to extend its line to Jimma, hence explaining Jarosseau's efforts to preserve that region for Fran­ ce. Jarosseau wrote his ex-pupil, ras Tafari, a letter counseling him against allowing the Italians to establish themselves in Kaffa 5• To counter the opposition Allamano wrote to the pope, to queen Mar­ gherita, the duchess of Aosta and to the Ministry of foreign affairs to incite the uncooperative Italian minister Colli to use his influence in Ethiopia in favor of the Consolata mission 6• But the missionaries did not depend solely on diplomatic support, they took things into their own hands . In 1913 the attempt to enter Ethiopia from the South under the guise of merchants failed. Meanwhile in 1 9 1 6 Gau­ denzio Barlassina, first apostolic prefect of Kaffa (and generai supe­ rior of the Consolata mission after 1 933) decided to go directly to Addis Abeba together with A.C. Cavicchioni, Italian consul at Nai­ robi, who, with the permission of the Mioistry of foreign affairs, was willing to pay the cast of the caravan of 20 . 000 lire. The expedition was given a scientific and commerciai motivation, Barlas­ sina pretending to go to the Ethiopian capitai as a salesman 7• Ras Tafari knew he was a missionary and befriended him and it was only after the death of members of the anti-catholic party that Tafari allowed Barlassina to go to Kaffa. Before the official permission

however, Barlassina sent Consolata scout missions to Western Et­ hiopia to make contact with the reported catholic people converted by cardinal Massaia 8• In 1 9 1 8 two missionaries set up a wax business in Gimbi and two others went to Bonga to purchase coffee9• Finally, in 1 920, feeling politically strong, Tafari granted the Consolata a 30 years land concession at Humbi, near Sayo, of 400 square kilometers, with 30 million trees valued about 30-40 million lire. The concession was obtained by giving generous gifts to members of Tafari's court for a total of 400.000 lire of which Menen, Tafari's wife, alone received 50 . 000 lire. In addition the Ethiopian government received a percentage of the concession profits 1 0 • Even though Tafari had allowed Barlassina to go to Kaffa the Consolata fathers had to deal with the local governor's reluctance to tolerate the presence of the Italians. Ras Ghetachu contested the legality of the Humbi concession, but eventually, convinced that missionary activities were beneficiai to the community, he permitted them to stay. After 1 924 the Consolata mission's presence in Ethiopia began to be appreciated as a result of the installation of grain mills, the medicai assistance it provided to the people, the production of wood products and the gift of two chalets for Tafari and empress Zawditu which were carried by 2.000 porters from Kaffa to Addis Abeba. The Oromo noticed the efforts made by the hardworking missionaries, their willingness to learn local languages aod their ability to speak with the people, thus increasing the deference of the people toward the missionaries 11• But the opposition and suspicion of the Italian mission did not vanish: dejaz Desta, Tafari's son-in-law, forbade the Consolata in 1 927 to establish a school in Cianna, because the Ethiopian law forbade forei-gners to teach in towns near the borders, especially

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3 VIII,4f1919, n. 4.

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IV-5/1 912, n. 1442. 5 VIII-4/1917 n. 44; VIII-4/1920, n. 3. 6 VI-2/1915, n. 363-364; VI-2/ n. 375. 7 VIII-4/1915, n. 21 .

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VIII-4/1919, n. 4. VIII-4/1920, n. 3. 10 VIII-4/1920, n. 3; VIII-4/1 921, n. 3. 11 X/215, n. 3; In this category, files are not organized by year, instead follow a progressive number. 9


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the Italians who were suspected of planning the occupation of. Et­ hiopia 1 2 • As a matter of fact the establishment of schools was part of the Italian government's program to increase Italian influence . . In this endeavour the Ministry of foreign affairs assured Barlassina of its financial support 1 3. In turn the patriotic missionaries offered to the Italian government their help to establish a series of econo­ mic-religious stations from Eritrea to Somalia to expand the Italian presence and the catholic religion 1 4. Chiomio suggested the building of a railway network from Eritrea to Somalia via Jimma, Arussi, Wallamo, Sidamo to Mega 1 5. Because of their familiarity with the country and the people they worked with, the Consolata missionaries reported to Rome on the conditions of Southern and Centrai Ethiopia. They thought the Oromo were good, handsome, tall, majestic, trustful, a unique people in Africa 1 6 . The Arussi were hard-working, good cattlemen and farmers. They revered sheik Hussein of Benadir and were politically influenced from Somalia. Because they resented the Amhara domination and since they occupied a strategie position between Somalia and Ethio­ pia, they became the object of Italian attention to be used when Italy decided to acquire Ethiopia 1 7• I t is possibly as a result of Chiomio's suggestion that the duke of Abruzzi, after visiting ras Tafari in 1 928 for his expedition to the sources of the Webi-Shebeli river, requested and secretly received permission to hire Arussi labor for his plantation in Somalia. The Italian presence and influence intensified after the Consolata createci the highly publicized but ephemeral " Villaggi di Libertà" for freed slaves. When the Consolata missionaries were allowed to enter Kaffa they found that of the Massaia's vaguely estimateci 2.000.000 people only 300.000 remained, the rest had become victims of disease

and slavery 1 8 • Of these 14.000 were supposed to be catholics 1 9. Of the four Freedom villages established at Maji, Anfilo, Kaffa and Lekept, there are no reliable statistics available of the number of manumittes, except that each village imported a yearly cost of 20.000 lire. The Consolata received 36.000 lire from the Società antischiavista italiana20, and 2.500 lire from Propaganda fides 21 • In addition the Consolata cooperateci with the A ssociazione nazionale di soccorso dei missionari italiani all'estero in providing free medicai aid for the poor people through dr. Dagnino Vincenzo 22• The Consolata missionaries were also active in other scientific pursuits. The Società africana d'Italia requested information and assi­ stance for its planned expedition to lake Margherita 23• They provided guidance and hospitality to Enrico Cerulli's for his 1 927 exploration of Western Ethiopia 24, providing relevant information which was used during the Italian invasion of Ethiopia. These contacts established life long, dose professional and personal bonds between the director of the politica! office of the Ministry of colonies and the Consolata missionaries. Another geographical tour was undertaken by Chiomio between 1927-1 928 in Southern Ethiopia 25 • His reports, notes end maps were put at the disposal of the Italian army during the Ita­ lo-Ethiopian war, opening the country to the Italians. Along scientific endeavors the Consolata had a specific educational plan to educate young African P'\ople to become priests, nuns, catechists and school teachers 26• Between 1930-1935 the Italian legation in Addis Abeba provided a subsidy of 14.000 lire per year for the Consolata schools 27• Before the Italo-Ethiopian war Cerulli accepted Mario Borello's pro-

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X/207, n. 1 . VIII-4/1922, n . 7. 14 VIII-4/1 924, n. 4. 1 5 VIII-4/1 927, n. 5. 16 VIII-4f1914, n. 13. 1 7 VIII-4f1929, n. 19.

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18 X/202. 1 9 VIII-4/1920, n. 1 . 2o VIII-4/1926, n. 6; VIII-4/1926, n. 8. 21 IV-6/1 920, n. 1 544. 22 IV-2/1 927, n. 226; The same group frnanced the gathering of information in Southern Ethiopia, see VIII-6/1929, n. 19. 23 VI-2/1919, n. 425. 24 IV-4/1934, n. 757. 25 IV-4/1 935, n. 767a. 26 IV-2/1926, n. 22. 27 VIII-4/1935, n. 59.


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po sal to bui d a school in Addis Abeba for the children of Ethi pian _ _ _ chiefs, a f1rst contribution of 50.000 lire. Por politica! pr�v1 mg :easons this g1ft remained secret, with the object of increasing Italian mfluence and providing opportunities to deepen the direct con'tacts with thio�ian chiefs 28 . The Consolata also began the building of a semmary m Kaffa to train its own Ethiopian clergy which involved en estimateci cost of 1 . 500.000 lire. Before the fascist invasion of Ethiopia there is no doubt the Con­ solata �ission reported some success in converting Ethiopians to . cathohc1sm and had a striving industriai and agricultural base enjoying _ _ educational and medicai work 29. The for 1ts a favorable reputatwn Consolata was the best representant of Italian civilization and the ministe� of foreign affairs congratulateci Barlassina for supp rting the affirmatwn of the catholic religion and Italian culture30 . Por this reason the Consolata mission received facilitations: its missionaries were exempted from the military service in compensation for their patriotic work in Africa 31 . The Consolata mission was permitted to send large amounts of coffee to Italy from its plantations in Kenya, paying low _ Th� mission received discounts from maritime compa­ c�stom dut1es. mes for goods sh1pped to Africa 32 , and it was allowed to receive military surplus goods for its missions in Africa 33. On account of the mission's pro-Italian activity in Ethiopia it was permitted to acquire _ fore1gn currency without limitation 34. Likewise Consolata missionaries trevelling to Africa benefitted by discounts on trains and naval tran­ sport in :eward for the advantages they brought to Italy for " their constructlve and zealous work of colonization and civilization" 3s. Purthermore Consolata language schools were recognized by the Italian government as training centers for colonial personnel and for missio-

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IV-4/1934, n. 750 and 753. N-2/1927, n. 218; N-2/1 928, n. 380. VIII-4/1922, n. 7; VIII-4/1923, 5. VI-2/1919, n. 429. IV-4/1921, n. 982. IV-4/1921, n. 999. N-4/1918, n. 862. N-2/1 926, n. 56.

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naries who favored Italian colonial and commerciai activity36. Besides the appreciation of the Consolata's work by such persons as Cesare De Vecchi, governar of Somalia, and Cerulli, Barlassina received the praise of the explorer Raimondo Pranchetti37 for supporting the Italian colonial cause, and from engineer Mario Zambon, who installed a po­ werful radio station in Addis Abeba in 1 933. He recognized that it was thanks to Barlassina that Italy was able to win the oontract38 . On the eve of the Wal Wal incident in 1 933, Barlassina thanked Emilio De Bono, minister of colonies, for his benevolence in giving the mission a special subsidy of 400.000 lire as "an encouragement for the missionaries to work harder and to contribute toward the solving of the problem " 39 [ i.e. the Italian acquisition of Ethiopia] . Haile Selassie also complimented the apostolic prefect of Kaffa when he said that "Barlassina, in the interior of Ethiopia, was better known than himself" 40. The Italo-Ethiopian crisis, 1 935-36, found the missio­ naries divided. Barlassina reminded them that missionaries can be patriots but must not be involved in politica! activities41 . Yet missio­ nary Lorenzo Sales, invited by the Istituto coloniale italiano to give a conference in Milan, attacked Haile Selassie. Barlassina was embar­ rassed because he recognized that the success of his mission was due to the protection of the ruler of Ethiopia, who although he knew that Barlassina was a missionary had allowed him to go to Kaffa. The Italian newspapers and foreign press had published articles and pictures of Haile Selassie with Consolata missionaries, praising the catholic missionary work in Ethiopia. Barlassina and Mario Borello had written articles pointing out the emperor's support of the Consolata and his endeavour to eliminate slavery in Ethiopia42 . The Sales attack contra­ dicted the alleged non-politica! stand of the mission, but it did not

36 VI-2/1921, n. 508a. 37 IV -4/1933, n. 706. 38 IV-4/1934, n. 712. 39 N-4/1934, n. 753. 40 IV-4/1934, n. 712. 41 N-4/1936, n. 531 . 42 IV-4/1936, n. 531 ; IV-4/1933, n. 749 bis. On the slavery issue see Barlassina' s articles in «Antischiavismo», March 1933 and Barello' s in «Antischiavismo», May-June 1932.

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interfere with the personal friendship between Haile Selassie and Barlassina. The latter was called upon by the emperor to find a peace­ ful solution during the Italo-Ethiopian crisis when the Ethiopian minister in Rome, Afework Gebre Yesus, with the permission of the emperor, sought a meeting with pope Pius XI for a possible mediation between Italy and Ethiopia 43. Again in 1936 it is alleged that the Ethiopian minister in Paris, Wolde Mariam or Tadesse Meshesha, the emperor's secretary, arrived in Rome to see Mussolini to negotiate a possible Italian protectorate in Ethiopia and remained a guest of the Consolata mission, awaiting for a meeting that never took place44. Another criticai situation arose when during the Italo-Ethiopian war Consolata missionaries abandoned their mission s. This informa­ tion was disseminateci in the press by the French Capuchin missio­ naries who were interested in embarrassing their competitors. Eva­ cuation plans suggested the gathering of missionaries in less dange­ rous places such as Kaffa or Gambe lla. To preserve the good name of the mission and in order not to give the impression that missio­ naries were fleeing in time of danger, at least one mission post had to remain open, from where to relaunch missionary operations after the Italian victory 45. Instead the missionaries for politica! and safety reasons were com­ pelled to leave Ethiopia. However to maintain their presence in Ethiopia the Consolata missionaries served as military chaplains pro­ viding spiritual and physical assistance to Italian and colonia! troops46. Because of their experience and knowledge of local languages they also rendered special services to the invading Italian army. Mario Barello and Luigi Oliviero acted as interpreters and guides 47. Barello became Rodolfo Graziani's private special secretary and his personal chaplain. Graziani's trek from Somalia to Harar was facilitateci by

IV-4/1 933-1939, n. 582. Confidential information by a Consolata missionary, Rome 15 June 1989. 45 IV-4/1935 , n. 418; IV-4/1935, n. 419 and 420; IV-4/1935 , n. 515. Gimbi was abandoned by the missionaries who went to Sudan for safety. See X-212. 46 IV-4/1935, n. 508. 47 IV-4/1934, n. 757. 43

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Barello requesting his fellow missionary, Chiomio, to put at Graziani's disposal his unpublished four volume report on the Viaggio nel Sud etiopico1 1927-28 with his topographic notes and maps 48 . Because of spiritual and politica! collaboration Pietro Badoglio and Graziani held the Consolata missionaries in higher esteem favoring the return of the Consolata to Kaffa and allowing them to work in the newly formed administrative territory of Galla-Sidamo, advocating to make it an apostolic vicariate headed by a bishop49 • The occupation of Addis Abeba of May 1936 and the proclamation of the Italian empire, however, did not imply that Italy ruled all over the country. Western and Southern Ethiopia had not been occupied and general Carlo Geloso, the governar of Galla-Sidamo, requested Barlassina's information to help consolidate Italian rule and " to create a safe and serene environment for missionary work " 50 . Chiomio's geographical work guided the Italians in the conquest of Jimma 5\ and the penetration of Galla-Sidamo when the troops of the Ethiopian Southern army under ras Desta challenged Italian authority in that region. When Geloso was fighting against Desta's troops in Aghermariam and Javello and the military advance was difficult, Chiomio's maps and notes opened the door to otherwise unknown areas, making the Italian victory possible. Por his carto­ graphic work, extremely useful in the Italian conquest of Ethiopia, Chiomio received a medal. Chiomio perceived his colonia! contri­ bution " as a mcans to bring well being into those Ethiopian re­ gions" 52• Other missionaries singled out for their colonial war efforts were [ Cumer] Bruno and [ Frascati] Amedeo, whom Graziani men­ tioned for " their fervid, passionate, intelligent and spontaneous collaboration as informers, and interpreters during the march from Addis Abeba to Lekept" 53.

48 49 50 51 52 53

IV-4/1 935, n. 767a and 777. IV-4/1936, n. 436. IV-4/1 937-1939, n. 745a. IV-4/1937-1939, n. 745b; IV-4/1 933-1939, n. 176. IV-4/1936, n. 807a; IV-4/1 936, n. 787a. IV-4/1 936, n. 19.


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Perhaps the most discussed of the Consolata missionaries is Barello for his open political and military collaboration with th� fascist go� vernn:ent's colonial program. Barello is credited with having beerr an . ambltlou s an dynamic missionary who had a gift for organization and for learnmg languages. It was at his first post at Humbi (Sayo) that he learn� Oromigna. During the Italo-Ethiopian war he organi­ �ed t�e recr�ltmg of Consolata missionaries as chaplains and provided mtelhgence mformation to Graziani and Badoglio. Borello's attitude contrasts W.ith the tenets of the mission, those of apostolic prefect, . m�ns. Lmg1 �anta, who did not share his enthusiasm for collaborating wlth the Itahan government 54. Nevertheless Graziani, under pressure from Rome to end the conquest of Western Ethiopia, used his private and trusted secretary Barello, knowledgeable about the environment and o the political situatian to acquire peacefully that region of . . not clear th10p1a. It 1s yet who planned the air expedition to Lekept m 1 936. The Consolata archives have two sets of information: one is t at it w s A olfo Frasso who suggested the trek in order to go to h1s father s m1nes at Jubdo to collect platinum for the government. The other suggestion, which is the one more acceptable to Ethiopians and Italians, is that it was Barello who planned the raid. The Consolata records show that the leaders of the mission had discouraged Barello f om participating in it. While all the members of the expedition were kllled by the Ethiopian patriots, Barello saved his life. There are several versions of Borello's survival. The traditional explanation is that he was concealed by his friend, fitaurari Mossa 55 or by a lesser chief, Ajana Eughido who hid Barello for 1 5 days 56. One less credible situat on is that Borello went to visit nearby catholic villages during . t e mght. The patnot attack against the expedition took piace during h1s absence, hence he was able to save himself57. In spite of the Lekept massacre which killed 14 men, Graziani told Mussolini that "Borello's political action had made it possible to attract to Italy all

the people of Western Ethiopia 58 ". Barello was a hero among the colonial community, but leaders of the Consolata mission found it difficult to deal with him because of his independence and for not following the rules of the mission 59. Like Barello other missionaries working for the government seemed to give more importance to the colonial cause than to their spiritual vocation. The Consolata mission tried to explain that the missionaries had clone their duty as Italians in creating the Italian empire. For this cooperation Barello received a gold medal and other missionaries were awarded silver and bronze medals. Chiomio was also the redpient of the Croce della stella d'Ita!ia60• These awards embarrassed the mìssion because the motivation specifically mentioned that the decorations were bestowed on the individuals as missionaries of the Consolata and not as a military chaplains, stressing that the missionaries were rewarded for their military contributions without mentioning their spiritual assistance 61 . As far as the government was concerned the Consolata was an useful instrument of Italian colonialism and it continued to use it in the spiritual, educational and social aspects of colonial policy. But mons. Santa did not share the mission's policy of collaboration with the State because it limited the mission's independence of action 62. In Italian East Africa the missionaries were expected to care for the spiritual and moral needs of the 200.000 Italians 63, so that missionaries were not able to pursue the philanthropic and spiritual program . As a result among the missionary personnel there was abuse, acts of undiscipline, and moral discouragement64. By 1 938, twenty Consolata missionaries were serving as military chaplains mostly in Galla-Sidamo and Harar. Because of their isolation, hardships, lack of training and disenchantment with their life several considered resigning. If this was the case the Consolata mission would stand to loose because it

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n. 793. IX/1938, n. 93. N-4/ 1937-1939, n. 745b. IV-4/1936, n. 446. VIII-4/1936, n. 63. IV-4/1 936, n. 441. N-4/1933-1939, n. 1 89.

58 IV-4/1 936, 54 55 56 57

N-4/1936, n. 20. N-4/1 933-1939, n. 81; IV-4/1936, X/209, 2. VIII-4/1936, n. 45.

n.

446.

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would no longer receive the financial benefits from the Italian gover­ nment far the salaries it paid the chaplains, and secondly . because the latter would be replaced with personnel of other religious �rders. Mons. Santa realized that the missionaries independence from the mission's authorities, their fmancial autonomy, the wearing of the chaplain uniforms and lack of time to attend to their required religious duties hindered the growth of spiritual life. Thus missionaries in Ethiopia seemed to work only far the government giving the impres­ sion that they were more interested in material, commerciai, colonial and educational matters than in spiritual pursuits65• Alessandro Lesso­ na, undersecretary at the Ministry of colonies and Cerulli reported that the government and the Consolata signed a convention, putting the mission in charge of the educational system in Galla-Sidamo and Addis Abeba because they had given proof of patriotism, they had experience and had already a large number of schools. The Italian government paid the Consolata 7.200 lire far each teacher per year66• Barello was put in charge of the College far interpreters and was the director of the College far the children of Oromo chiefs, both situated in Addis Abeba. The latter included 60 students and provided the first three elementary classes at a cast of 40.000 lire per year paid by the colonial government67• The Consolata mission made other academic contributions. Barlas­ sina became a member of the editoria! board of the proposed Enciclo­ pedia Coloniale Internazionale68• Chiomio's geographical notes of Southern Ethiopia 1927-28 were used by the Consociazione turistica italiana to produce the Guida dell'A QJ69. Another activity of the Consolata missionaries was agricultural production from its old concession at Humbi (Sayo) and from newly acquired lanci at Dembidollo. Coffee was the most important product 70• ·

65 IV-4/1 938, n. 14 and 43. 66 IV-4/1 936, n. 448; VIII-4/1936, n. 68 and 70; IV-4/1938, n. 8 1 1 . 67 IV-4/1938, n . 369; VIII-4/1938, n . 31. 68 IV-4/1 938, n. 809. 69 IV-4/1 938, n. 814a. 70 IV-4/1 937, n. 335.

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The Archives of the Consolata Mission and Italian Colonialism

It was followed by experimental crops, such as tea, cotton, seed oil, lumber, wood products and cereals. Profits were used far missionary work in Ethiopia. In spite of the fact that the Humbi's concession was no longer valid because made by the former Ethiopian admini­ stration, the Italian government recognized to the Consolata mission the deed far the remaining years until the 30 years concession expired. Meanwhile the mission shared the exploitation of the forest with Compagnia per lo sfruttamento delle essenze legnose (Feltrinelli), exporting timber to Italy and sharing 10% of the profits with the mission 71 • Besides Humbi, the Consolata extended its lanci holding in Dembidollo with the grant of 8.000 hectares from dejaz Jottie Hosanna, paying him a rent of 1 5 . 000 lire per year. The mission expected the production of coffee alone of 250 tons per year would pay far the 1 .000.000 capitai needed to develop it as an agricultural center 72 • The mission proceeded with the acquisition of the lanci w1th the contract signed by Cerulli on 12 January 1938, even though the concession was contested by the local people, by the Ethiopian patriot Olika and by the resident of Ghidane, all of whom said the lanci had been stolen from the people, and J attie Hosanna had no right to it 73• In spite of Italian colonial legislation forbidding the acquisition of Ethiopian lanci by Italians, the Consolata had in Cerulli, then vi­ ce-governar generai of A.O.I., a strong supporter, who decided in their favor 74. It was no t a wise settlement on their part because it gave the wrong impression to the Ethiopian people that the mission was grabbing far more lanci. Nevertheless politica! events prevented the exploitation of the newly acquired concession. Concerned about the future of the Consolata's work, Barlassina visited all Ethiopia, when on 10 June 1940 Italy entered the second world war. As a secu­ rity measure Barlassina ordered all missionaries to gather in Addis Abeba, even though the colonial government was impotent to check patriots attacks against the capital. In March 1941, Barlassina met the •

71 V-1/1939, n. 1 1 9 and 137; IV-4/1 938, n. 268. 72 IV-4/1935-1937, n. 345. 73 IV-4/1938, n. 371. 74 IV-4/1939, n. 384.


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patriot leader [ ras Aragai] and as a result the Ethiopia:ns stopped harassing the Italians. Because of his courageous action people gave him deference, Ethiopian chiefs and religious authorities called' on him anxious to discuss the future 75• The missionaries who were unable to reach the capitai were retained by the British troops under house arrest in Jimma, and three missionaries were killed by the Ethiopian patriots, who were former catholic friends of the mission. Father Quinto Garletto, with the approvai of the local colonia! authority, tried to reach an understanding with the Ethiopian patriots, but was unable to prevail. He and sister Eliodora were shot on 9 Aprii 1 941 by fitaurari Makkonen, nephew of dejaz Mossa of Lekept who had saved Barello from the Lekept massacre in 1 936. Another loss was reported on 3 July in Jubdo when father Prato Giovanni was killed in his church 76. All Consolata missionaries were made prisoners of war. The British military authorities were anxious to expel all of what they called " Mussolini's missionaries", because their presence in Ethiopia threa­ tened allied interests. The Consolata missionaries in vain appealed to Haile Selassie to permit them to stay. Their efforts succeeded in having Barlassina, Santa and Giovanni Ciravegna delay their departure for two years. Ciravegna was used by the British military high command as an interpreter. He is credited with having read a British confidential document saying that a town, with relevant Italian population [ Jimma or Addis Abeba] would be raided by the Ethiopians. Ciravegna informed the Italian community and remonstrated against the British authorities that they had the responsibility to prevent the Ethiopian planned massacre of the Italian civil population 77 • History has no record of this attack taking place, but there are mentions of its danger ! The Consolata missionaries were sent to South Africa as prisoners, while Santa and Barlassina were allowed to stay ·

in Addis Abeba to take care of the mission's interests. The latter reassured Haile Selassie of the good treatment his daughter Romane­ work received at the Consolata mission in Turin before her death. He also reported to the emperor on the education of his grandchild�en who were housed in a special rented villa, and was presented w1th a picture of his relations in Turin. As a grateful father, Haile Se assie told Barlassina " I will never forget what you have clone and I will be grateful to you for all the days of my life " 78• The second world war, however, meant the closing of the m1sswn stations the loss of all properties but not the hope to return to Ethiopi . Thirty years later the Consolata mission returned to Ethiopia under a different name: Mission of Fatima 79 •

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The Consolata m1sswn

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Somalia, 1 925-1 930

In contrast with Ethiopia, Somalia was not a priority of the Conso­ lata mission. Instead it can be inferred that it was a means of fulfilling its aim of converting the Oromo to Christianity, entering Ethiopia from Somalia with the support of the colonia! government. Filippo Perlo, apostolic vicar of Kenya, sought and received permis� ion_ f� r his plan by promising to conducting politica! activity in Ethiop1a m favor of Italy so. Perlo's proposals attracted the attention in 1 9 1 0 of governar Giacomo De Martino, who considered the Consolat� missi� n to be an ally of the government in furthering Italian colomal pol�cy in Somalia. The Italian government favored the presence of an Itahan mission in Kaffa as counter measure to Great Britain's influence in Southern and Western Ethiopia 81• De Martino agreed with the Mini­ stry of foreign affairs that the Consolata mission must be suppor�ed in its effort to install itself in Ethiopia to coordinate the Itahan

78 VIII-4{1 941, n. 2. . . M1ss1oru Consolata, 1989, . 79 A. TREVISOL, Uscirono per dissodare il ca!llpo, Tonno, Ed!Z!Olll p. 31. 80 IV-5/1924, n. 1356, 1357, 1358. 81 IV-5/1912, n. 1442; IV-5/1 917, n. 1 502. .

75 VII/1708: Biography of Alfredo De Agostini: the latter accompanied Barlassina to Ethiopia as his private secretary. 76 VIII-4{1941, n. 2; X/209, n. 2; VII/1708 Biography De Agostini. 77 VII/1708 Biography De Agostini.

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penetration between the sources of Ganale and Shebeli r�vers and to consolidate the Italian presence in the lake regions from lake R1;1dolf to lake Margherita, thus facilitating politica! expansion from So.malia into Ethiopia. With the Consolata mission Italy would be able to establish a strong Italian presence in Southern and Western Ethiopia, stimulating commerciai relations. In return the Consolata provided Rome with information 82• With the backing of Italian authorities, Perlo set up a caravan in 1913 entering Ethiopia from the South, with Angelo Dal Canton, Anselmo Jeantet and Aquilino Caneparo pretending to be merchants. They were stopped and retained as prisoners at Burgi under suspicion for three years, during the first world war, of being spies and hiding weapons 83 • Perlo used the imprisonment of the missionaries to force a politica! decision on the Ethiopian government and on minister Colli, eventually extracting from ras Tafari permission to enter Kaffa 84. It took three years, however, for Colli to prevail over the Ethiopian government and to free the missionaries. Meanwhile governor Cesare de Vecchi calied the Consolata to Somalia. De Vecchi believed that in the colonies the army must be followed by religion and education. The border land of Somalia, he said "the land toward the west [ Ethiopia] is where the future of the greatness of Rome will come " 85• Expansion at the expense of Ethiopia and bringing civilization to Somalia was the colonia! program of De Vecchi, which he hoped to implement with the assistance of the Consolata 86 • In the governor's estimation the Consolata was indispensable for him because the mis­ sionaries were hard workers and loyal supporters of the governments colonia! policy87• De Vecchi and the Consolata made a list of priorities. Perlo saw that a church and a house for the missionaries were neces­ sary, while De Vecchi's program included an asylum, elementary and

trade schools, housing for the half-cast children, and the provision of missionary help at the government hospital 88• However, Perlo com­ plained that although De Vecchi had called the Consolata to Somalia, and the mission was under his protection operating in absolute free­ dom, his materia! help was slow in coming. On another occasion he reported that " the governor had many good words for us but he has not fulfilled his promises " 89• While the Consolata did its part in terms of religious, social, educational and medicai assistance, the Consolata felt that the governor was taking time implementing the promise for the building of a church and giving agricultural concession to the Consolata, to help the mission defray its operating cost. The colonia! administration was also slow in paying the subsidies on time. The Consolata received a yearly payment of 48.000 lire for schools, and 1 6.000 lire for the hospital. In addition the Turin headquarter provided the mission in Somalia with a 50.000 lire grant, Propaganda fides 29.000 lire and Società antischiavista italiana with 22.500 lire per year90• T o urge the missionaries to do more, De Vecchi promised to get 1 . 500.000 lire from the government for the cathedral of Mogadiscio. The building, resembling a church-fortress, would reflect the architec­ ture of the homeland of the colonialists, conveying a sense of strength to affirm the power of Italy among the people of Somalia 91 • The church was necessary for the Consolata fathers because of the sole­ mnity of worship, affirmation of the catholic faith, of patriotism and of prestige before the colonia! people92• Having erected these major buildings, the Consolata also received 200 hectares of land on the Ganale river (Merca) to be cultivated with cotton93• By the end of its five year tenute in Somalia, the Consolata mission contributions, with the generous financial contribution of the gover­ nment, were from a practical point of view relevant, leaving behind a cathedral, an industriai school, a school for half-cast children and an

82 83 84 85 86 87

VIII-4f191S, n. 1 1 and 21 . VIII-4/1914, n. 31 and 32; IV-S/1912, n. 1 442. VIII-4/1914, n. 31; VIII-4/1917, n. 44. VIII-6/1926, n. 31. VIII-6/1908-1 924, n. 13; VIII-6/1 924, n. 3. VIII-6j192S, n. 20.

88 VIII-6/1934, 89 VIII-6j192S,

n.

3; VIII-6j192S, n. 29·. 31 bis; VIII-6/1934, n. 3 ; VIII-6j192S, n. S. 90 VIII-6j192S, n. S. 9t VIII-6/1 924, n. 18. 92 VIII-6j192S, n. 1 ; VIII-6/1924, n. 18. 93 VIII-6/1934, n. 3; VIII-6f192S, n . 48. n.

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elementary school system with five classes attended by 2.000 students 94. In 1 930 the Consolata left Somalia and was replaced by the · padri Minori of Franciscan order. Officially the Consolata moved oùt of Somalia because it was involved in too many countries and did not have enough personnel for staffmg its missions 95. However, the Con­ solata was requested to leave Somalia by Propaganda fides since it did not have enough conversions on account of the fact that Somalia was a Muslim country, but above all the catholic Church wanted to limit the power of the Consolata, by concentrating its efforts only in Kenya and Ethiopia. Archival evidence, however, suggests that the ending of the Consolata operation in Somalia was motivated by financial . m1smanagement. Filippo Perlo had too much authority in his hands as generai superior of the mission. He in turn had appointed his brother Gabriele apostolic vicar of Mogadiscio and another brother Luigi, was the administrator of the mission in Kenya. Hence ther were good reasons to limit the personal rule of the Perlo clan, for the benefit of the Consolata mission !

Preliminary assessment of the Consolata mission m East Africa The Consolata mission faced politica! opposition in its attempts to go to Kaffa. It used all means, including government politica! support, to achieve its goals . The political compromise endorsing Italian ex­ pansion in Africa it worked out with Rome is a dangerous game but not unusual in mission history. However, there were also other at­ tempts to go to Western Ethiopia in an independent fashion as Bar­ l �ssina's actions with ras Tafari suggest, the latter allowing the mis­ s10nary to enter Kaffa knowing he was a catholic missionary. Ob­ viously Tafari had both economie and politica! interest in favoring t e C �nsolata. He received a share of the Humbi concession's profits, fmane1al hand-outs and two prefabricated chalets, the conversion and education of pagan population, information on the interior of the

94 IV-2{1927, n. 192; VIII-6/1931, n. 9. 95 VIII-6/1930, n. 7 and 16.

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country, extension of the centrai governments authority in Kaffa and contacts with a European power. Statistics on the philanthropic work of the mission among the slaves in " Villaggi di Libertà" are hard to come by because they were manipu­ lated by the Italian government for making propaganda against the Ethiopian government during the Italo-Ethiopian crisis. Nevertheless Barlassina contributed to Haile Selassie's anti-slavery legislation. The Italian government, however, used the questionable Consolata data that the population of Kaffa before the arrivai of the Amhara (at the end of the 1 9th century) was 2.000.000 and that it had been decimateci to 300.000 survivers, mostly the victims of slavery. The catholic believers were not 14.000 as estimateci. The missionaries had no way of producing accurate statistics and their figures are exaggerated. A more realistic data was produced in 1 938, when the Consolata declared it had about 1 1 .000 catholic members, with about 45 stations with 80 priests and 21 co-adjustors, 73 sisters and about 5.000 baptisms. The greatest contri­ bution of the mission, however, was in education. It had a seminary and a monastery, 29 elementary schools, one college for the children of Ethiopian chiefs, 3 industriai schools, 21 orphanages, 5 old people's homes, 2 leprosariums, 14 medicai dispensaries and 3 hospitals. There is no doubt that before the fascist occupation the Consolata mission was well established and rendered good services to the people of Ethiopia and also to the Rome government. Although the missiona­ ries were reminded not to mingle in politica! matters they were also patriots and favored the Italian establishment in Ethiopia by serving as military chaplains, guides, translators, and informants. Allamano visuali­ zed his mission as continuing the work of Massaia among the Oromo of Ethiopia, but although the Consolata fathers received a set back in 1 901 not being able to enter Ethiopia, they opted to experiment among the Kikuyu of Kenya, in view of later passing on to Ethiopia. They had also another aim, one that had been cherished for centuries: the union of the catholic Church and the Ethiopian orthodox Church96. An Italian protectorate over Ethiopia would facilitate the implementation of this program but Barlassina and Santa realized the negative conse-

96 VII/1 708 Biography De Agostini; A. TREvrsm, Uscirono per dissodare

..

. cit., p. 667.


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quences of a too open support and involvement of t�e Consolata missionaries in the conquest of Ethiopia deriving from patriotic zeal and ecumenica! priorities. The leaders of the Consolata mission, how�ver, could do little to refrain the enthusiasm of the missionaries, when the pope favored the Italian colonial expedition and conquest of Ethiopia. In contrast Perlo had a colonial program of expansion from Somalia into Ethiopia. Barlassina instead opposed the Italian occupation of Ethiopia. He was a friend and an advisor to Haile Selassie. The emperor requested Barlassina's aid, in preventing a war with Italy and his advice on other Ethiopian matters. Barlassina was pro-Ethiopia but was also an Italian and when, pressured by the Italian government to send his missionaries as chaplains, he defied the order, because he knew they would be used as guides for the invasion. He wanted the chaplains to take service in hospitals, like in the case of Kenya, during the first world war, when the missionaries discharged medicai assi­ stance to any one in need, regardless of color or nationality, allowing the mission to retain its neutrality. Likewise, although Santa took an uncommitted position during the invasion, he refused the Italian government's request to state that the Ethiopian persecution of the missionaries justified the military intervention of Italy. Santa shared with Barlassina the concept that the missionaries should not be invol­ ved in the war and that they would work for the Red cross. Conversely Borello and others were for the conquest of Ethiopia: Borello prepared a plan of how the Consolata missionaries could be best used providing the Italian military authorities with a list of competent personnel. For their collaboration, the Consolata fathers were decorateci and Borello received the highest military distinction receiving a gold medal for military bravery. But as such he was identified not as a military person, having achieved this honor in the fulfillment of his national military duty (obbligo di leva) but as a member of the Consolata mission. Furthermore Borello caused embarrassment to his mission by influencing the colonial and political authorities to expel the French Capuchin missionaries and mons. Jarosseau from Harar. His intent was to expand the Consolata's operation in the governorate of Harar and eliminate foreign and religious competition. Santa refused to support Borello's plan but the latter succeeded in his intent, creating tension in the relation between France and Italy.

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Strongly supported b y the government Borello might have dreamed of becoming apostolic prefect of Kaffa, and would most likely have succeeded from an administrative point of view, in being an efficient manager, but Barlassina, although on good terms with Borello, refused to give him that position because as such he would further compro­ mise the mission. As to Borello's involvement in the Lekept expedition of 1936 ensuing massacre, and his survival there is no definite expla­ nation, perhaps because he has given different accounts which do not always corroborate 97• I t is possible that the report he wrote for the Ministry of war may shed more light on these issues. Hence we have a rather contrasting picture of the Consolata activity in East Africa. Putting this information in perspective, an historical account emerges which has light and shadows, of men who had courage and zeal for their missionary work, but who also were afflicted by uncertainties, and who were willing to resort to compromise. They were influenced by the time they lived in, and at times became involved in the politica! events of their epoch. At times without experience, in a strange African environment, young missionaries only trained in a Western theological thought tried to adapt to new situations, and to understand the customs and traditions of the people they ministered to. This permitted them to better understand the people's aspirations and helped to alleviate their social, economie, medicai and spiritual needs. They became go-betweens of the people and the government. Besides being missionaries they remained Italians and in taking sides with Italy in the war of occupation of Ethiopia they intended to fulfill the duty as Italians while at the same time furthering the interests of the Consolata mission. Perlo conceived the missions as a continuous process of expansion that could not be stopped. His financial genius and investments provided needed funds for the foun­ dation of the Kaffa mission. Financial power translated into wielding too much authority into his hands and becoming the sole arbiter of the future of the mission. In spite of his dictatorial power the work of the missions had top priority and he infused with enthusiasm any

97

Confidential information by a Consolata missionary, Rome 15 June 1989.


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one he carne in contact with to the point that people tended to · forgo his despotism. Under his intelligent and firm guidance the fi\lssion progressed even though it made a number of casualties in terms of discouraged missionaries who because of his harsh rule preferred to resign. While missionary work progressed from a material point of view, the time dedicateci to spiritual activity was reduced at the expense of the loss of spiritual life98• Barlassina instead was a man of discretion. Aware of the spiritual shortcomings he tried to restare spirituality to the mission. Equally as dynamic as Perlo, he also possessed sagacity and prudence. He was excellent at public relations, understood human psychology and used it in his diplomatic and political dealings. He became a trusted friend of Haile Selassie and was the confidant of many personalities in Italy and Ethiopia. But the Consolata's reputation was tarnished during the Italo-Ethiopian war. The morality of the missionaries continued to be affected by vertiginous military activities of the conquest of Ethiopia. A return to spirituality and regular missionary life under the sage leadership of Barlassina was anticipateci, but did not materialize. Thus the Consolata missionaries demonstrate that they were children of their time, and were subject to cultural and psychological influences, which for a time distraeteci them from their spiritual goals. But the missionaries perceived the need for a change of attitude from a mate­ rialistic to a more spiritual life. They realized that soon Africans would be needed to continue their work and some were chosen as their coadjutors. The second world war interrupted this slow process of africanization. The missionaries went as prisoners to South Africa for several years. But their ideal remained alive: the well being of the mission, in spite of poor leadership, discouragement, misunderstanding, division within the mission, discomfort, poverty. They were united in one thing that counted: the missionary zeal ! After the war the work of the Consolata mission began to bear its fruits: abba Fikre Mariam, one of the first young orphans taken in at the Humbi mission in 1 935, became the first Oromo bishop of Southern Ethiopia in 1 986 99• ·

98 A. TREVISOL, Uscirono per dissodare ... cit., pp. 26, 667-668. 99 VII/1708 Biography De Agostini.

ERMINIO IACONA

Cesare Nerazzini) un ufficiale medico al servizio della diplomazia italiana in Africa ( 1883- 1897) *

È mio intendimento ripercorrere attraverso il vasto carteggio familiare di Cesare Nerazzini, medico di prima classe nella. regia Marina italiana, alcuni momenti della storia coloniale italiana (1 883-1 897), valutati nel ' privato ' con il convincimento, suffragato dall'attenta lettura delle fonti archivistiche in mio possesso, che ' l'ufficialità ' non sempre può combinare con quello che vorrebbe il ' rigore ' storico. Le carte, che si conservano presso l'Archivio di Stato di Siena, sono ' mutile ' dei documenti più importanti concernenti l'attività diplomatica del Nerazzini, in quanto essi furono presi in consegna dal Ministero degli esteri nel 1 9 1 2, alla morte del diplomatico. Ma la mancanza delle carte ufficiali può non limitarci sui fatti che vengono documentati nelle lettere alla madre e alla moglie, in quanto le stesse fanno chiaro riferimento a notizie riportate sulla stampa del tempo e in relazioni diplomatiche trasmesse, per motivi di ufficio, ai vari ministri competenti. Egli scrive settimanalmente in maniera minu­ ziosa, suggerendo l'impressione di nulla voler tralasciare sulla realtà che lo circonda. Per dare un senso logico al susseguirsi degli avvenimenti riportati dal Nerazzini e di cui egli fu parte diretta o indiretta, ho ritenuto opportuno impostare queste note con il criterio strettamente cronolo­ gico del carteggio, che è anche quello usato per riordinare l'archivio. Inoltre, ogni qualvolta è stato possibile, i singoli episodi sono stati

* Nella stesura di questo elaborato tni sono avvalso della collaborazione di Agata Poma e Lorella Valenti, che hanno riordinato la docuJJJentazioue di Cesare Nerazzini (Le carte di Cesare Nerazziui nell'Archivio di Stato di Siena, in «Bullettino senese di Storia Patria», 1991, 98, pp. 310-322).


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' letti ' alla luce del più ampio contesto storico del tempo privilegiando allo scopo di restare nell'ambito della sola ricerca d'archivio, la mi­ scellanea a stampa coeva conservata con le carte Nerazzini. Un contemporaneo del Nerazzini, su un opuscolo pubblicato a Mi­ lano nel 1 885, si chiedeva se l'Italia dovesse avere una politica coloniale e nel rispondere affermativamente precisava che « la politica coloniale di una nazione civilizzata costituita a libertà non deve mirare ad altro che ad allargare la sfera della sua attività commerciale. Rispettando in casa altrui le teorie fondamentali della propria ege­ monia, deve limitarsi ad esigere il rispetto al diritto delle genti, garantito da una regolare organizzazione civile, promuovendola ed aiutandola dove manca» 1 • L'invio del Nerazzini ad Assab, i l 1 6 gennaio 1 883, ospite del commissario Branchi, per organizzare e dirigere un ospedale coloniale, sembra avallare proprio questa teoria utopistica: al suo arrivo «la gente gli abbraccia le ginocchia in segno di gratitudine e tutti sono affascinati dagli strumenti che usa»2• Nello stesso anno si reca in visita - ufficialmente per motivi attinenti alla sua professione di medico - presso il sultano di Raheita «malato di petto che si curava con l'applicazione di un legno incandescente sulla parte malata». Nella fattispecie il Nerazzini non dà notizie di carattere politico ma è ipotizzabile supporre che abbia sensibilizzato il sultano sull'inopportunità di abbandonare il protettorato italiano, isti­ tuito quattro anni prima, contrariamente agli intenti minacciosi del governatore di Zeyla, filo-egiziano. Su questi primi contatti con la realtà africana invia rapporti detta­ gliati al ministro della Marina Genala e informa la madre sul buon operato del conte Antonelli che ha concluso un trattato di amicizia e commercio con il re dello Scioa Menelik (probabilmente si riferisce al trattato di Ancober del 21 maggio 1 883). Altre notizie su questo accordo ' commerciale' ci vengono fornite in un'altra lettera alla madre del 1 5 febbraio 1 884: «il piroscafo Corsica

1 L. PENNAZZI, L'Italia nel IJiar Rosso. Intendia!lioci sulla politica coloniale, Milano, Brigala, 1 885. 2 Per queste e le successive notizie cfr. ARCHIVIO m STATO Dr SIENA [d'ora in poi AS SI], A rchivio Nerazzini.

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Cesare Nerazzini, un ufficiale tJJedico al servizio della diplomazia italiana in Africa

della compagnia Rubattino, postale che copre la linea Aden-Ass�b,

è giunto in porto con a bordo set�emila fuci�i e quattrocentomlla .

cartucce destinati a Menelik in camb10 d1 avono, oro e �enaro » . . . Intanto, a seguito della morte del sultano di Raheita, 11 Nerazzm1 annota (6 marzo) che le relazio� �ella �olonia con l'interno �on vann? . molto bene nonostante i tentatlvl, fattl congmnta �ente �Il Antonell1, per riallacciare buoni rapporti con i capi villaggio. E prev1sto pertanto il rientro di Antonelli a Roma, accompagnato dall'arabo Abdel Braman « che in questo paese vale come un re» (18 marzo). . Ma nonostante gli impegni diplomatici egli non tralasCia la profes­ . sione medica, che probabilmente considera la migliore crede�z1ale pe� entrare nelle buone grazie degli abitanti del luogo. Lo trovlamo cos1 impegnato a curare alcuni dankali, p :ovenien�i dall'interno della re­ gione, unitamente a parecchi ammalatl sbarcatl dalla corazzata Castelfidardo (1 5 maggio) . . . In assenza di notizie più dettagliate, che il carteggw Nerazz1m non riferisce, è da supporre che la presenza della corazzata in Aden « �iena di alte personalità di terra e di mare ( . . . ) che si scannereb�ero a v1cen� ·, da» fosse legata alla notizia, che certamente doveva g1a cucolare negh uffici diplomatici europei, dello stipulando trattato Hewet� tra !' In­ . . ghilterra (rappresentante dell'Egitto) e i� negus Gw:anm, relatl�o all'abbandono delle guarnigioni egiziane d1 Cassala, Am1deb e Senahl� . Per la colonia italiana la conseguenza di tale accordo, concluso 1l 3 giugno 1 884, fu che «appena fuori da Massaua gli italiani venivano ad urtare con gli abissini»3 . Sui giornali dovettero apparire notizie amplificate e �arse anche . prive di fondamento, se lo stesso Nerazzini pensò bene d1 rasslcura: e la madre, con lettera del 1 8 agosto, suggerendole « di diffidare da c1ò che legge sui giornali a proposito di Assab ». Egli anco ra fa menz1. �ne di un non meglio precisato ricatto perpetrato dalla � oc1. ��a, �elle salm� verso il governo e conclude che sarebbe auspicab1le � m:w �l. altr� carabinieri a tutela dell'ordine pubblico, non contro gh. md1gem, bens1 contro gli italiani ivi residenti. .

3 Questa notizia e le altre successive di carattere generale sono state tratte da U. ADEMOLLO, Colonie, Roma, Accademia dei Lincei, 1 9 1 1 , passi!JI.


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Cesare Nerazzini, un ufficiale medico al servizio della diplo!Jiazia italiana in Africa

Intanto si cementano i suoi rapporti personali con Menelik éhe gli invia un dono (1 7 ottobre) e con il sultano Anfari che lo gratifica del titolo di « caro amico » (3 novembre). . Sul finire dell'anno 1 884 scrive una lettera dettagliata sulla situazione politica di Assab all'amico Candiani. In essa avanza timori per gli errori commessi dal governo (1 7 novembre). È questo forse un modo per far giungere in alto loco e per vie traverse notizie da lui reputate di estremo interesse? Nella risposta di Candiani, che ha fatto leggere la lettera al principe Tommaso di Savoia e all'ammiraglio Del Santo, traspare la preoccupazione «per la franchezza di ciò che ha scritto e la poca diplomazia usata» (1 6 dicembre) . Menelik, pur tenendolo nelle sue grazie, lo fa sorvegliare discreta­ mente (è lo stesso Nerazzini che ne dà notizia) da due suoi agenti, che nel rapporto sul suo operato lo definiscono «padre e protettore del­ l'Abissinia» (1 7 gennaio 1 885). Nel frattempo gli eventi internaziònali favoriscono l'occupazione di Massaua e il 2 febbraio 1 885 il Nerazzini così scrive alla madre:

da un opuscolo \ nel quale il Nerazzini stesso descrive in tre tappe il suo viaggio-missione, cioè Massaua-Asmara, Asmara-Beles, Teramni-Adua. Nella prefazione il Nerazzini viene presentato come un « simpatico e valente viaggiatore» nonché come il primo degli ufficiali italiani che abbia avuto incarichi governativi in Africa. Nel momento in cui parte da Massaua, insieme al cap. Vincenzo Ferrari con l'incarico di convincere Giovanni d'Abissinia a stipulare un trattato con l'Italia, il Nerazzini dipende ancora dal Ministero della guerra, che gli ha affidato anche il compito di evidenz a:e i ?�rticolari caratteri topografici, le condizioni logistiche e le not1z1e d1 mteresse militare di quei territori. Egli riesce ad assolvere ampiamente ai compiti affidat gli, in� on­ trando ras Alula sull'altipiano di Asmara e il negus Gwvanm ad Ambasciarà mentre, in merito alla recognizione dei territori attraversati, sarà in grado di fornire indicazioni valide per la stesura di una carta topografica che il citato opuscolo pubblica in allegat� . Ritornato a Massaua il 1 5 giugno riparte quasl_ sub1to alla volta dl. Assab con l'incarico di « indurre gli sceicchi dei principali paesi della costa fra Assab e Massaua ad accettare il protettorato italiano ». Egli riesce pienamen te nell'intento, tanto che a missione ultima:a « S accenna quasi come fatto compiuto, alla continuità dei possed1ment1 italiani per un tratto di costa della lunghezza di circa 600 chilometri» 5 • Rientra in Italia il 5 agosto 1 885 «per render conto della sua missione e reca lettere dell'imperatore Giovanni al re d'Italia ed è chia­ mato ancora a far parte di un'altra missione con il gen. Pozzolini» 6•

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« < bastimenti che secondo i telegrammi del Ministero e i giornali sarebbero dovuti arrivare in Assab, in realtà vanno a Massaua per prenderne possesso ( . . . ); abbiamo preso intanto possesso di Beylul fin dal 24 scorso e la Castelfidardo vi ha sbarcato 1 50 uomini e due cannoni in pieno accordo con Anfari, il quale in questi giorni mi ha mandato altri ammalati. A Massaua si divertiranno e vedranno un poco quel che è accampare dei soldati europei in questi paesi. Sarà per l'Italia una buona lezione». E nelle parole del Nerazzini sembra trasparire un certo risentimento accompagnato da una velata soddisfazione, che probabilmente affon­ dano le radici in consigli e pareri da lui fatti pervenire in alto loco, ma tenuti in poca considerazione. Una conferma indiretta di tutto questo la riscontriamo nella lettera del 24 febbraio 1 885, scritta da Massaua e sempre diretta alla madre. In essa si dà notizia di una sua prossima partenza per l'Abissinia, ma contemporaneamente si lamentano lungaggini burocratiche che rischia­ no di inficiare la sua missione presso re Giovanni. Da questo momento, e per tutto il 1 885, il carteggio si interrompe, ma possiamo coprire questo vuoto documentario con le notizie tratte

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Il 28 gennaio 1 886 così scrive: « ho letto le lettere commendatizie (portate dal Pozzolini) fatte dal nostro re, fra le quali ve ne so�o per _ me, per accreditarmi presso la corte del re di Scioa ( . . . ); sono bell1ss1me lettere. Sua maestà il re mi dà ampia facoltà di trattare».

4 C. NERAZZINI, Itimrario in Etiopia (1885), Roma, Società geografica italiana, 1 890. s F. CASINI - U. MARTELLI, Notizie africane, in «Bullettino della sezione fiorentina della Società africana d'Italia», 1 885, 4, pp. 105-144, in particolare p. 129. 6 «Pro memoria e stato di servizio del dottor Nerazzini», in AS SI, A rchivio Nerazzini, b. 1 , fase. 4.


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Sull'esito della m1sswne egli riferisce direttamente al rmrustro di Robilant il 17 maggio e subito dopo ne informa la madre da Roma: « esco in questo momento da una lunga conferenza col ministro. Sono soddisfattissimo. Piena fiducia e completi attestati e stime. Mia posi­ zione in Affrica delicatissima: ordine militare di non tentare strade nell'interno senza previa autorizzazione del ministro. Promesse di massima prudenza e circospezione. Partenza all'1 1 giugno da Napoli». La posizione delicatissima del Nerazzini in Africa è confermata anche da quanto scrive il 26 giugno 1 886: «ieri mattina arrivai in Assab, e fui ricevuto molto freddamente dal governatore che è un comandante superiore di Marina ( . . ), non mi sorprese giacché me lo aspettavo. Stamani poi mi ha detto chiaramente che la lettera con la quale il ministro accompagnava me urtava la dignità della sua posizione e che, se le istruzioni fossero state conformi a quella lettera, egli si sarebbe dimesso». Dà poi notizia di un'operazione militare nella quale sono state uccise due donne dankale e conclude che a lui «fanno più paura i bianchi che i neri». Nerazzini ha certamente ricevuto ordini diversi da quelli diramati attra verso i canali ufficiali: « qua uno tira a ponente e l'altro a levante - annota il 3 luglio - e in questo modo non si può andare d'accordo. Io propongo di fare una cosa, se mi dicono di no ho pensato di non discutere, ma informare direttamente il ministro ». L'assassinio a Margablè delle due donne dankale ha creato delle complicazioni non indifferenti e rischia di divenire una scintilla atta a turbare l'instabile equilibrio del territorio.

È questa l a situazione che egli descrive il 2 1 agosto e tra l e righe è intuibile che la politica coloniale bisognava impostarla, prima che sulle grandi linee dei trattati internazionali, sui ' piccoli-grandi proble­ mi ' che sistematicamente si presentavano. Il 4, il 1 2 e il 1 8 settembre nel dare notizie di Antonelli ancora alla ' corte di Menelik, fa rilevare la sorda opposizione dei militari all'operato del conte e segnala, a Massaua, «forti atti di indisciplina specialmente fra gli ufficiali ». Intanto sta ultimando i preparativi per una nuova missione e freme perché da Roma non giunge l'autorizzazione prevista. A questo stato di cose si aggiunge l'uccisione di un dankalo perpetrata con un colpo di bastone ad opera di un soldato italiano. Ne conseguono contrasti sempre crescenti con il commissario di Assab e a tal proposito così notizia la madre: « Ecco come vanno le cose in Africa per questi ignorantoni che non capiscono niente. I rapporti con l'Abissinia cominciarono ad annu­ volarsi per la coglioneria del signor col. Saletta; qua finiranno di far peggio. Hanno dovuto cambiare un capitano che era di guarnigione a Beylul per le bestialità che faceva! ( . . . ) è meglio che restino a consu­ mare le sciabole sulle pietre delle nostre città! » (8 ottobre). Egli è ben cosciente che nella colonia italiana sta per rompersi quell'equilibrio precario che era stato faticosamente costruito sui rap­ porti personàli suoi e di Antonelli con i capi locali e, nonostante i contrattempi, tenta di forzare la mano al ministro onde ottenere il permesso di inoltrarsi verso l'interno della regione. Ma un fatto nuovo, seppur indiretto, ' cospira ' ancora contro le sue aspettative. «Non si meravigli» scrive alla madre il 27 novembre « se in qualche giornale legge la notizia di un altro massacro Nelle vici­ nanze d'Oboh sette marinai francesi di un legno da guerra comandati da un ufficiale sono stati ammazzati tutti; ma gli uccisori non sono dankali; appartengono a una tribù di issa-somali, che sono ladroni che alle volte fanno delle escursioni per questi territori allo scopo di rubare. Se questo fatto non interessa direttamente noi, temo però che debba un poco influire sull'animo del ministro e che in relazione di molti altri fatti finirà col fargli perdere l'idea di mandarmi, nell'interno ».

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« ( . . . ) passo le mie giornate in lunghe e noiose sedute coi capi dankali che sono venuti qua per sistemare gli affari di Margablè. La cosa come avevo preveduto è molto seria e la questione imbrogliatissima anche perché Antonelli [si trovava in missione nello Scioa presso Menelik] interpretò certi ordini del governo in un modo tutto diverso, da quello che il governo voleva e ora i dankali si basano sulle pro­ messe di Antonelli. Io lotto continuamente col comandante ( . . . ); questi signori governatori credevano [che la situazione] si accomodasse presto credendo di intimorire i dankali colla presenza dei soldati. Hanno sbagliato. Come io ho scritto al ministro, i dankali non modificano le loro abitudini quanto alla vendetta del sangue e bisogna accomodare la cosa con molto danaro o altrimenti romperla del tutto con loro ».

Il 1 887 è l'anno dell'eccidio di Dogali. « Ras Alula, da Ghinda, mandava il 1 2 gennaio al gen. Genè l'intimazione di sgomberare Uà-a


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e Zula, occupate nell'ottobre 1 886; faceva incatenare ad Asmara i viag­ giatori Salimbeni, col. Piano, e ten. Savoiroux che là si trovavano; ed il 25 gennaio, con circa 20.000 uomini attaccò il fortino di Sahati presidiato da un nostro battaglione. Respinto si gettò ii giorno dopo a Dogali, su una colonna di 500 italiani che, agli ordini del ten. col. De Cristoforis, marciava in rinforzo verso Sahati e la distrusse». Così Umberto Ademollo descrive sommariamente gli avvenimenti di quel lontano gennaio 1887 nel già citato volumetto Colonie7• In questa sede è possibile però ripercorrere, più analiticamente, gli stessi fatti attraverso la piana e asciutta prosa del Nerazzini stesso. Nelle lettere alla madre, scritte da Assab tra il gennaio e l'aprile di quell'anno, è riscon trabile a mio avviso (mi sia consentita l'espressio­ ne) la tecnica di un moderno reporter da cine-giornale. «20 gennaio, parto per Aden allo scopo di far telegrammi al mini­ stro. È arrivato il corriere dall'Aussa e dallo Scioa, Antonelli mi aspetta ( . . . ), la situazione di Scioa si è fatta difficile ed è proprio necessario chiarire quali siano le intenzioni del governo italiano a proposito dell'Abissinia. Anfari ha scritto che la strada per me in particolare, come per tutti gli italiani, è aperta, che sarò ricevuto come un fratello ( . . . ) ora vedremo se il ministro mi autorizza a partire». «26 gennaio, a Massaua siamo proprio alla vigilia di fatti assai gravi, benché io ancora non lo creda. Ras Alula ha incatenato Salim­ beni, gli altri due suoi compagni con un bambino figlio di uno di questi, ed ha mandato una intimazione al gen. Genè dicendo che se dentro 24 ore non sgombra Sahati avrebbe tagliato la testa ai quattro prigionieri. Il generale ( . . . ) invece ha mandato a Sahati altri cannoni rispondendo a ras Alula che le sue minacce non lo commuovono. In Massaua non vi è più soldati, tutti hanno preso posizione in avanti. Sembra che il re del Goggiam si muova per rinforzare ras Alula [ma pare che questi] chieda al governo 100 mila talleri per liberare Salim­ beni e compagni ( . . . ). Il commissario di Assab ha mandato un tele­ gramma al ministro ( . . . ) credendo necessario che io parta subito per lo Scioa. Anche io credo che questo sia il momento. ( . . . ) re Menelik

7 U. ADEMOLLo, Colonie. . . cit., passitn.

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si è impadronito dell'Barrar ( . . . ). Con l'Abissinia oramai è impossibile tornare amici ( . . . ), ma i nostri sforzi debbono essere con più ragioni rivolti verso il re Menelik per non perderne l'amicizia ( . . . ). Se il governo capisce la situazione deve farmi partire subito ». «29 gennaio, la risposta telegrafica avuta dal signor ministro è la seguente: ( . . . ) Nerazzini deve rimanere in Assab ( . . . ). È arrivato Ab­ del-Chader con altre lettere di Anfari. Il sultano mi ha mandato 12 cammelli per prendere la mia roba e il suo segretario mi ha scritto che porti molte medicine, giacché tutti i suoi amici e parenti malati sanno che io guarisco tutti e mi aspettano per farsi curare. Che momento propizio era questo per entrare! ». «5 febbraio, ( ... ) i giornali non avranno taciuto quello che è successo ( . . . ) le raccomando di non allarmarsi, e di non dare ascolto a tutti gli apprezzamenti e alle preoccupazioni della stampa. Gli abissini hanno avuto più di 3 mila morti (. . . ), la colonna nostra che fu sorpresa da un corpo di circa 1 5 mila uomini ( . . . ) ha fatto vedere chiaramente la superiorità delle nostre armi ma certo d'ora in avanti non saranno più distaccate truppe in sì poco numero e per strade poco conosciute ( . . . ). Lo scontro è avvenuto sulla sinistra del punto dove io l'anno scorso, il 9 maggio, passai. Intanto è stata cosa prudente sgombrare Sahati che si teneva con sole due compagnie e quattro pezzi di artiglieria e che pure respinse tre assalti di ras Alula. ( . . . ) io non posso presagire quali determinazioni prenderà il governo, giacché ( ... ) alla fme di aprile, in Affrica non si possono fare guerre ( . . . ). Intanto occorre provvedere a qualunque movimento offensivo potesse fare il re Giovanni, nel senso di girarci alle spalle e sì toglierei le comunicazioni con lo Scioa, giacché teme che il re Menelik si metta dalla nostra parte. È per questa ragione che bisogna tener forte l'Aussa per qualunque eventualità, tanto più che Anfari è stato sempre nemico di Giovanni, e a tale scopo ( . . . ) è stato spedito al ministro un rapporto per ( . . . ) farmi subito partire per l'Aussa». Termina la lettera con questa precisa richiesta alla madre, che probabilmente è utile per capire ancor meglio l'uomo Nerazzini : «le raccomando di non allarmarsi e soprat­ tutto non profitti della conoscenza di nessuno per far dimandare al ministro quello che mi si farà fare. Se supponessi una cosa simile, non le scriverei più una riga e mi darebbe il più grande dispiacere che mai possa immaginarsi».


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« 12 febbraio, ( . . . ) nel caso che il governo voglia fare · una guerra a oltranza coll'Abissinia ( . . . ) per i dankali non vi è ragione di temere, essi sono nemici nati degli abissini. È arrivato un altro corriere· dallo Scioa con lettere di Antonelli che dice di partire subito dopo il ritorno del re dall'Barrar. È arrivato pure un altro corriere dall'Aussa con lettere al comandante nelle quali il sultano gli dice che mi aspetta, ma ordini da Roma ancora non sono venuti; ( . . . ) io ho spedito oggi un corriere urgentissimo al conte Antonelli informandolo di tutto [e consigliandolo] di partire immediatamente con tutti gli italiani che sono allo Scioa, a meno che non sia più che sicuro dell'attitudine che prenderà Menelik se avremo una guerra coll'Abissinia. Secondo me [tutto] dipende molto da quello che lo spingerà a fare il nostro governo che dovrebbe profittare di questa circostanza per favorire una ribellione di Menelik al re Giovanni. Questo è il nostro giuoco, se lo capiscono bene, altrimenti non saprei cosa consigliare ( . . . ) Io lavoro di giorno e di notte, corrieri a dritta e a sinistra e gente mia in giro ( . . ). Ora mi figuro che verranno fuori nei giornali gli attacchi contro il generale [Genè] . La colpa non è sua, la colpa è che non si riesce né si può riuscire a tranquillizzare e a levare i sospetti dalla mente di questi popoli con le occupazioni militari, predicando amicizia e amorevolezza colle baionette. Bisogna scegliere o danari o soldati; o conquista assoluta o semplice colonia commerciale». « 27 febbraio, sembra che in Italia il Ministero non sia ancora ricostituito e si parla nientemeno di un ministero Crispi. Non può credere quanto per me una tale ragione sia di malumore e come veda con dolore i galantuomini andarsene in un momento tanto importante ( . . . ) . Intanto dal Ministero non abbiamo nessuna lettera né privata né ufficiale, si vede proprio che sono in piena dissoluzione». «5 marzo, ( . . . ) ha sentito che insolenze per il bravo gen. Genè? I giornali lo hanno mercificato ( . . . ) . A me hanno tirato una piccola frecciola, ma di poco momento ( . . . ) . Nel fatto di Sahati vi è una circostanza molto brutta e che per fortuna ancora in Italia non se ne parla: mancano 200 persone che non si sono trovate né fra i morti né fra i feriti; forse sono dispersi e poi morti di fame o di ferite, giacché in quei luoghi tutto è deserto ». «14 marzo, ( ... ) con questa posta ho mandato un letterone lungo lungo al Ministero della marina, al mio superiore diretto al quale non .

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ave_vo scritto mai. È un rapporto dettagliato di quanto è avvenuto e d1 quanto a parer mio dovrebbe fare il nostro governo e siccome so che cade sotto gli occhi del ministro, così ho cercato . di dire chiara­ mente e coscienziosamente cosa pensavo ( . . . ) Godo moltissimo che sia caduto il ministro della guerra perché credo che la massima re­ sponsab lità per i fatti di Massaua spetta a · lui per le sue sordide e�onom�e ( . . . ) . A Massaua sono arrivati 4 o 5 corrispondenti proprio d1 quelh ross�-scarlatt� che vomiteranno fuoco Dolori! Ma ai primi : . cald1 e alle pnme febbn vedrà come scappano! E passato di qui anche Franz?1. che andava a Massaua come corrispondente, mi ha abbracciato e bac1at? , ma io sto in gamba perché conosco bene chi è; ( . . . ) le . npeto d1 non con ondersi con i giornali ( . . . ) ; quella corrispondenza . . che d1ceva che no1 eravamo mmacdati dai dankali è falsa». «20 marzo, ( . . . ) sembra che a Massaua vi siano dei forti e pesanti malumori [sulla] condotta del generale [Genè che . . . ] dietro le insi­ s �enze dei quattro prigionieri di ras Alula [il gruppo Salimbeni] si sia nsoluto a mandare 800 fucili, che erano stati comprati dal ras e che naturalmente erano stati sequestrati, per rimettere in libertà i prigionieri ( . . . ) . Ho dovuto fare per lo Stato maggiore di Massaua una relazione esatta e precisa delle condizioni topografiche della strada che da Massaua va al primo altipiano etiopico ( . . ) temo molto che il ministro specialmente dietro quest'ultimo fatto dei fucili, ( . . . ) finirà col proibir a tutti di entrare dentro ». «28 marzo, il Consiglio dei ministri ha determinato in modo assoluto di non permettere la partenza di alcuno incaricato governativo dalla costa verso lo Scioa ( . ) . Sembra che il gen. Genè sia richiamato e che lo sostituisca il gen. Saletta. A Massaua è una vera anarchia e quel che è pegg o sono gli ufficiali che gli fanno la più aspra guerra. Il governo non s1 sente forte ne di sostenerlo né di sconfessarlo ( . . . ) . . Con un popolo d1 ragazzi doveva finire così». « 11 aprile, sembra che il governo abbia ordinato lo sfratto dei giornalisti da Massaua ( . . . ) ho ricevuto ieri un telegramma di Franzoi . che m1 annunziava il suo passaggio per Assab e mi pregava di andare a bordo per abbracciarlo [ sic!] . ( . . ) Bisogna che abbia la massima prudenza e circospezione nel parlare». « 1 apr le, come avrà già sentito dai giornali il Venezia [su cui . 1l gen. Saletta] per vari giorni si è creduto perduto, e noi v1agg1ava .

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più degli altri lo temevamo, sapendo che aveva f?rti guast . �Ile ca: daie ( . . . ) ; si è avuto un continuo giro di telegrammi per tutti i port1 . del mar Rosso, finalmente ieri uno diceva ' Venezia rimorchiato a Spez con asse dell'elica rotto ' . ( . . . ) il Franzoi era accompagnato dai carabi­ nieri e il telegramma fatto a me sembra sia stato fatto appositamente per vedere se il generale lo sequestrava» . . . . . . « 29 aprile, giovedì scorso arrivarono tutte le istruzwm mmisteriah ( ). Il governo non ha creduto opportuno di farmi inoltrare nell'i�­ terno temendo di qualche capriccio del sultano Mohamed Anfan, e sopratutto poi, avendo io preso parte a tutte le trattative fatte finora con l'Abissinia, ed essendo io per tal ragione un prigioniero molto prezioso per il re Giovanni, era probabile che il re stesso ( . . . ) avesse tentato una sorpresa alla mia carovana, cercando di catturarmi appena passata l'Aussa ( . ). Nell'una o nell'altra ipotesi (sono precise parole la responsabilità del governo sarebbe gravissima e le conseguenze poi ancora più gravi, essendo io un inviato governativo ». Ma da Dogali a quel 29 aprile, come suol dirsi, ' molta acqua era passata sotto i ponti'. Il governo italiano aveva rafforzato le sue posizioni logistico-militari in Africa, come risulta anche nelle stesse lettere del Nerazzini. « Con regio decreto del 1 7 aprile, il comandante superiore in Africa passò alla dipendenza esclusiva del ministro della guerra e con re?io decreto del 14 luglio fu determinata la costituzione di un corpo speciale di Africa della forza di 5 . 000 uomini, ed a Napoli venne istituito il deposito speciale di Africa» 8• Il Nerazzini è ormai certo che presto gli verrà ordinato il rientro in Italia, e questo è anche il suo auspicio in considerazione della forzata inattività a cui è stato costretto. « Assab, 8 maggio 1 887, per ora nulla di nuovo » scrive alla madre « tace il telegrafo e tace la posta a mio riguardo ( . . . ). Lo stesso giorno in cui arrivò qua il decreto reale e il bollettino che annunziava come in Roma, al Ministero della guerra, si era costituito presso il Comando del corpo di Stato maggiore un ufficio incaricato espressamente delle .

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cose affricane, con a capo un colonnello di Stato maggiore, mi vedo arrivare una lettera del conte Dal Verme, che è proprio lui incaricato di reggere quell'ufficio. Tale lettera è stata per me una grande soddi­ sfazione, e mentre credevo di riposarmi dalla difficile occupazione di politica affricana, vedo invece che d sono chiamato in modo molto più diretto, giacché il conte Dal Verme, primo aiutante di campo del principe Tommaso, mi ha sempre voluto un gran bene e mi ha onorato sempre di grandissima stima. ( . . . ) scrivo al conte perché si diriga al Ministero degli esteri onde avere copia di molti miei rapporti. Si rammenti [qui si rivolge direttamente alla madre] che moltissimi ap­ punti debbono essere nei miei cassetti in casa, li custodisca per carità perché viene il momento di servirsene. Credo che non sarebbe strano (. . . ) che io fossi chiamato al Ministero della guerra». Questa sua aspettativa si realizza nel luglio dello stesso anno, quando con il bollettino, emanato dal Ministero della guerra il 1 6 ottobre 1 887, ottiene la carica di addetto politico al quartier generale del comandante la spedizione San Marzano 9• Durante questo breve soggiorno in Italia ' trova il tempo' di fidan­ zarsi con la ' cara Eglina ' dei conti Cadetti che da questo momento diverrà la destinataria privilegiata delle sue lettere in sostituzione della madre. Intanto la situazione del territorio africano è sempre tesa. L'Italia pretende dal negus Giovanni « riparazione ed eque concessioni » tramite la mediazione inglese di Gerald Portai e l'intervento del re dello Scioa Menelik 'ispirato ' dal conte Antonelli. « Si dice che in Abissinia non vogliano la guerra» scrive ad Egle 1'8 dicembre « staremo a vedere quello che sarà capace di concludere la missione inglese. È arrivata quella famosa lettera del negus in risposta a una lettera della regina d'Inghilterra, ma noi non possiamo saperne il contenuto ( . . ). Domani aspetto lettere ( . . ) del re Menelik per il nostro governo. Si verifica parola per parola quello che io ho presagito nella mia relazione a riguardo del contegno che avrebbe assunto il re dello Scioa in questo momento ». .

9 «Pro memoria e stato eli servizio . . . » citato.

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Cesare Nerazzini, tm ttjficiale !lledico al servizio della diplo!llazia italiana in Africa

· È strano il rapporto tra questi due uomini, che pare �on si siano ancora incontrati, eppure sembra si conoscano alla perfezione. Menelik, tramite Antonelli, lo vorrebbe come medico personale. « Una volta avrei potuto rispondergli di sì e, andarci di volo, oggi non è più il caso» scrive il 1 5 dicembre ad Egle «io mi considero come se ti avessi già sposato e conto i giorni per tornare in Italia a compiere il mio dovere e rendermi felice col farti mia per sempre ». E qui ci appare un Nerazzini certamente ben diverso da quello del passato. Ma se si può indulgere sull'uomo, non altrettanto si può fare sui tentennamenti del diplomatico, anche se l'autorità militare, investita della questione, avalla la sua rinuncia reputando «politicamente non conveniente accettare una tal posizione, [perché] il governo [ lo] aveva destinato al corpo di spedizione (. . . ) per i bisogni coll'Abissinia e basta». È il contatto diretto con i ' signori della guerra ' che sta cambiando anche l'uomo? È questa l'impressione che si ricava da ciò che egli scrive il 22 dicembre.

di esercito sia accampato tra Adua ed Acum e pare che a quest'ora sia stato raggiunto anche dall'esercito di suo figlio ras Area Selassié. Noi abbiamo ripreso i lavori della ferrovia ( . . . ) per occupare defmitivamente Sahati e così indurre il negus a fare una mossa decisiva ; ( . ) faremo dei fortini e dei trinceramenti giacché siamo assolutamente pochi di numero e sempre gradatamente diminuiremo col progredire della stagione. I malati tra gravi e leggeri ammontano già a 1 .250 ( . . ), una med a di oltre il sette per cento. Al mese di marzo non sarà più . poss�blle tenere un soldato sotto la tenda, avendo il nostro corpo di . spedizwne delle tende buone solo per i climi temperati ( . . . ). Mi dispiace di dover di�e che il nostro servizio di informazioni non è fatto troppo bene : no1. b1sognerebbe trovar modo di sapere giorno per giorno tutti i movimenti del negus e del suo esercito. Questa cosa l'ho detta e l'ho fatta capire a chi dovevo. Certe sorprese non dovrebbero mai verificarsi». E di queste sue informazioni, certamente trasmesse fuori dai canali diplomatici, dà riscontro indiretto lo stesso Nerazzini con la trascri­ zione (lettere ad Egle del 1 9 gennaio e 1 o febbraio) di due mis sive del gen. Carvelto inviategli da Roma. «3 gennaio '88, caro Nerazzini, merçì della sua lettera. Ha fatto benissimo di non andarsi a immenelihare [ chiaro riferimento al suo rifiuto di recarsi alla corte di Menelik] del resto se Ella avesse accetta­ to, noi avremmo risposto picche ( . . . ) ; mi scriva sovente ( . . . ). E nello scrivere mai reticenze ! Le sue lettere sono ad un amico. Sua Eccellenza lo saluta ed io lo abbraccio ». « 16 gennaio, caro dottore, la ringrazio della sua interessantissima delli 28, lettera che il ministro ha letto egli pure, con moltissima attenzione. Ella ci ha rischiarato parecchi punti d'importanza. Noi pure crediamo che i messaggi inglesi abbiano esagerato e parecchio ; tuttavia non è men vero che il negus vuol fare uno sforzo supremo. Dio voglia che ci assalga. Il mio timore è che visto che non siamo oltre Sahati e Wuà, [ Ua-a], come Alula gli aveva affermato, egli non si arresti e anche ritiri. Per ora tutto ci porta a credere che Menelik non si muova. Una sua del 1 o dicembre [ 1 887] al nostro re tutta affettuosa ed una di Antonelli delli 9 dicembre [ 1 887 ] , fanno supporre che egli non si muoverà contro di noi. Ma come ella dice benissimo non c'è da fidarsene. Mi scriva sovente e a lungo più che può ( . . . ) ;

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«Rioccuperemo Sahati che sarà congiunta a Massaua per ferrovia ; costruiremo delle fortificazioni e forse ci spingeremo Hno alla pianura di Ailet, una marcia che io da solo ho fatto sempre in un giorno. Ora io ritengo, quasi fermamente, che non entrando nella vera Abissinia il ras non sarà tanto matto da scendere ad attaccarci, sapendo che siamo in numero fortissimo, che abbiamo molti cannoni e una ferrovia protetta da fortini. Credo dunque che con tutta facilità non spareremo un colpo di fucile, e ciò mi secca moltissimo, perché sarebbe stato bene di trovare modo da poter dare una solenne lezione a questa gente e fargli assapo­ rare la superiorità delle nostre armi. Dopo questo, nell'eventualità di dover concludere un trattato, avremmo ottenuto concessioni maggiori». Dal gennaio al maggio 1 888 il Nerazzini esplica la sua attività politico-diplomatica (non si accenna più alla professione medica) tra il quartier generale di Monkullò e il 'poggio comando ' di Sahati. La situazione militare, che pur costringe gli italiani a rimanere sul ' chi vive ' è abbastanza statica. «<o ti confesso che vedo tanto poco chiaro nelle cose d'Africa» scrive ad Egle il 6 gennaio « che assoluta­ mente non desidero altro di finire, ( . . . ) qua la situazione per ora continua ad essere invariata. Sembra che il re Giovanni con due corpi

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qui s1 e m grande aspettazione. Le corrispondenze tel�grafiéhe ed epistolari di codesti signori giornalisti ci fanno compiangere all'estero, eppure è uno sfogo del quale abbisogna la nervosità italiana. L'oriz­ zonte europeo si oscura ogni giorno di più e la procella mugge a N.E. più ancora che a N.O. ». Ma la situazione militare italiana si interseca con le discordie interne e a volte ricava beneficio proprio dalle scaramucce tra le popolazioni locali. Nella fattispecie il Nerazzini così scrive il 1 7 febbraio : « sembra certo che gli abissini abbiano avuto una battaglia con i dervisci ai confini del Galabat e che siano stati sconfitti. Pare che, dopo questa notizia, sia venuto in mente di far eseguire alla brigata Baldissera una ricognizione con circa 2.000 uomini fino a Sabarguma e forse fino a Ghinda. Dicono pure gli informatori che all'Asmara i soldati si stiano radunando per correre dalla parte ave il confine etiopico è mi­ nacciato ; ma con la veridicità di questi informatori bisogna sempre andar piano. ( . . . ) io sarei favorevolissimo all'idea di andare fino a Sa­ barguma e meglio fino a Ghinda a patto però di rimanervi per sempre, fortificandosi come facciamo a Sahati ; ma fare una corsa lassù per poi tornare indietro, in Abissinia farà lo stesso effetto come se avessimo avuto paura a rimanervi e come se ne fossimo scappati». Dal 23 febbraio ai primi di maggio 1 888 la situazione appare caotica soprattutto per il cattivo funzionamento del servizio informazioni. E il Nerazzini, puntualmente, da Sahati ci dà testimonianza degli avveni­ menti indulgendo, a volte, a momenti di sconforto. « Ti assicuro che la politica africana mi ha proprio scorciato la vita ed ha essenzialmente modificato il mio carattere che prima era alle­ grissimo. Sento già sui giornali che si brontola molto sull'esito di questa campagna» (23 febbraio). « Sono arrivati degli informatori i quali assicurano che il negus è in marcia per Godofellasi, cioè due giorni di distanza dall'Asmara. Vedi che miseria di servizio informazioni hanno qui al comando ! Tutti asserivano che il negus era rientrato nell'interno e poi tutto ad un tratto lo fanno di nuovo così vicino a noi ! ( . . . ) in Italia hanno ragione se mettono un poco in ridicolo il modo col quale il Comando ha organizzato il servizio di informazione» (25 febbraio). « Si aspetta il negus da un giorno all'altro, avendo egli dichiarato che scendeva ad attaccarci ( . . . ) ; io non ci crederò fino a che non lo

vedo con i miei occhi ( . . . ). La nostra vita è peggiorata giacché siamo di continuo in attesa di un attacco e la notte si dorme vestiti. Lunedì notte, a mezzanotte, ci fu un allarme per causa di una sentinella che, agli avamposti, per sbaglio, tirò un colpo di fucile ( . . . ). In cinque minuti, col massimo ordine e silenzio, tutte le truppe erano pronte ai loro trinceramenti» (1 o marzo). «Domenica sera, come avrai letto nei giornali, bastò un colpo di cannone per farci rivivere tutti : ma al solito fu un falso allarme. Il telegramma mandato con la segnalazione ottica non ammetteva dubbio diceva : ' colonna nemica attacca questo momento nostro posto di ricognizione ai pozzi di Tala' ( . . . ). Tutto il campo in un istante era sotto le armi ( . . ), siamo rimasti in quel modo per l'intera notte e poi, nella mattina, abbiamo saputo che erano un centinaio di abissini che cercavano di rubare una mandria di bovi ( . . . ). A Sahati si gode un effetto veramente teatrale. L'estensione dei nostri accampamenti è va­ stissima e si vedono, in lontananza, tutti i lumi dei campi alternati da grandi fuochi che servono per bruciare i muli e i cavalli che muoiono nella giornata ( . . . ). Senza soldati e senza animali non si può fare la guerra ( . . ), l'effettivo qui a Sahati non oltrepassa i seimila uomini, ( . . . ) di due squadroni di cavalleria, [abbiamo] 60 cavalli per squadrone invece di 120, perché gli altri sono tutti morti ; ( . . . ) e con tutti i pozzi scavati e con tutta la ferrovia che porta l'acqua il povero soldato non ha più di una gavetta d'acqua al giorno per sua razione» (9 marzo). «<l nostro Comando ha creduto troppo leggermente ai soliti infor­ matori e coi telegrammi che ha mandato a Roma dicendo dimani o dopo dimani saremo attaccati, ha messo un allarme inutile nel paese che poi ci procurerà qualche ironia ( . . . ) . Io faccio tanta bile ( . . . ). L'andare in Abissinia per trattare col negus è un sogno ( ... ), se il governo mi mandasse ( . . . ) andrei a volo » (15 marzo). «Alcuni informatori cominciano a dire che il negus ha iniziato la sua marcia indietro costretto forse a recarsi ai confini del Galabat per difendere i suoi stati da una invasione dei dervisci ( . . . ). È giunta dallo Scioa qualche notizia che fa nascere qualche dubbio sul contegno del re Menelik, per cui il Ministero ha ordinato telegraficamente di sospendere l'invio dei fucili e dei regali che erano destinati per quel re» (22 marzo). Ma le notizie sui movimenti di Giovanni d'Abissinia si rivelano ancora una volta prive di fondamento : «il negus è disceso con tutta la

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sua armata» scrive il Nerazzini il 29 marzo « ed ha quasi _çompiuto un movimento di cerchio intorno a noi. Da 5 notti siamo sempre in piedi per continui allarmi ( . . . ) , il nemico si vede a piccoli gruppi sulle creste dei monti circostanti ( . . .) . Ieri notte sono arrivati due ambasciatori con una lettera rispettosissima del negus per il nostro sovrano, ma tenace sulla questione dei conf:tni ( . . . ) ; però il tono della lettera mi ha fatto buonissima impressione ( . . . ) . Il generale ha telegrafato al Ministero ( . . . ) , non so presagire niente ( . . . ) , benché ci sia questa lettera, fuori possiamo essere attaccati e poi può la risposta non contentare il negus ». « 6 aprile 1 888, ( . . . ) il negus non ha potuto accettare le nostre proposte e si è ritirato con tutto il suo esercito ( . . . ) , forte di 90 mila uomini dei quali 50 mila armati di fucile ( . . . ) . È doloroso lo spettacolo delle donne e dei bambini che fuggitivi e affamati si rifugiano al nostro campo : sono tutte quelle popolazioni della vallata di Ailet dove i soldati di ras Alula e i galla hanno trucidato molte persone, arrivando persino a tagliare le mammelle alle donne». Alla metà di aprile la corrispondenza si interrompe. Il Nerazzini rientra in Italia a maggio e vi rimane fino a metà ottobre 1 888; sposa Egle il 1 0 settembre e poi, in accordo con il ministro della guerra e con il presidente del Consiglio e ministro degli esteri Crispi riparte per una nuova missione : destinazione Barrar, dove si tratterrà fino alla metà di aprile 1 0• Questa volta si tratta di una vera e propria missione diplomatica condotta con l'ausilio della professione medica ; scrive poche lettere, ma è sempre puntuale nel dettagliare gli avvenimenti. « 1 4 gennaio 1 889, ( . . . ) passo le intiere giornate parlando, facendo o restituendo visite a tutti questi capi. Ogni momento poi viene qualcuno a farsi medicare ( . . . ) . Il governatore venne a farmi visita ( . . . ) e mi invitò al suo pranzo ( . . . ) ; che gioia mangiare coi diti per terra, della carne condita di peperoni e mezzo cruda [e] per di più [ con] uno incaricato di farmi e prepararmi i bocconi ( . . . ) con certe dita ! ( . . . ) Nell'insieme mi trattano molto bene, ma la maniera di governo è tale che un rappresentante ufficiale non può assolutamente rimanervi ( . . . ) ;

le strade per lo Scioa sono chiuse e sembra che il corriere che viene quasi settimanalmente sia stato ucciso ( . . . ) ; anche il governatore è sopra pensiero. È certissima la vittoria di ras Gobonà, generale di Menelik, sopra i dervisci ma ( . . . ) essendo rimasto ferito ( . . . ) suo figlio e ( . . . ) aggravandosi la sua salute, il ras, preso dalla disperazione ( . . . ) ha fatto sgozzare 1 . 500 prigionieri». «24 gennaio 1 889, ( . . . ) dalla mattina alla sera non faccio altro che vedere malati. Ora è malato anche il governatore e ogni momento mi manda a chiamare ( . . . ) ; desidero di trovarmi in ogni modo a maggio in Italia per non lasciare Egle sola negli ultimi mesi di gravidanza ( . . . ). In paese mi chiamano il Cavagia chebir che vuol dire il grande signore. Faccio come devo fare giacché nella mia posizione non posso fare scomparire chi mi comanda ( . . . ) , perché la grandezza e l'impor­ tanza di un individuo qua si misura dal numero dei servi che tiene con sé. Invece io per me vivo alla meglio ( . . . ) , l'unica cosa che non mi manca è la carne ( . . . ) , giacché ogni tanto mi regalano bovi intieri». «8 febbraio 1 889, ( ... ) a poche miglia fuori di Barrar ( . . . ) non vi è sicurezza alcuna. Qua le cose non vanno troppo bene e per questa ragione telegrafo al Ministero. Le vie per lo Scioa non possono essere frequentate da corrieri, giacché tutte le tribù gallas sono in rivolta e in guerra fra loro ( . . . ). Antonelli certamente non manderà più per questa strada alcuna lettera ( . . . ). Il governo qui è debole perché vi sono pochissimi soldati e, con moltissima imprudenza ha richiamato in servizio, per la riscossione delle imposte, l'antico emiro ( . . . ) . Sorge per un funzionario italiano la questione di dignità e di opportunismo sul rimanere o non rimanere ( . . . ) . Alla metà di marzo partirò per Zeyla. Altre cose per lettera non posso dire perché potrebbe smarrirsi ( . . . ) . A maggio potrei essere in Italia ( . . . ) , perché è ormai tempo che una voce coscienziosa e veritiera tolga il governo dal campo delle illusioni e ( . . . ) questa persona sarò io. Dalla mattina alla sera la mia casa è piena di ammalati». «2 marzo 1 889 ( . . . ) mi è giunto ( . . . ) un telegramma del ministro Crispi per cose gravissime. Ho risposto ( . . . ). Ho mandato stanotte un corriere allo Scioa, ora ne mando uno alla costa con telegrammi e lettere ( . . . ) . Il fatto più grave è lo sbarco dei russi sulla costa e la decisione più seria che prenderò è quella di scendere alla costa per vedere veramente quello che fanno ( . . . ) . Questa mia missione non è stata e non è niente

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facile e niente semplice. Quel bravo uomo del conte Dal Verme ini ha mandato quell'articolo che mi riguarda e confesso che mi ha arrecato un gran piacere. Più faccio e più sarò attaccato dai giornali di opposi­ zione ( ... ) ! Ma prima o poi la verità verrà a galla e chi deve riconoscerli fortunatamente riconosce benissimo i servizi che rendo». E questa sua aspirazione diviene realtà tangibile nell'agosto 1 889 nella sala del trono al Quirinale. «<l re parlò subito molto affettuosa­ mente al conte Antonelli» scrive alla moglie «poi, dopo, fece un cenno con la mano, ma io non capii e vidi che allora veniva verso di me ( . . . ). Sua maestà mi prese fortemente la mano dicendomi ' come sta, come sta ? Sono tanto contento di rivederla, bravo, bravo ! ( ... ) ' [ ... poi] quando si partiva il re strinse la mano a tutti, io ero già indiriz­ zato per andarmene, allora mi chiamò a nome e mi disse : ' Sono contento di questo giorno ( . . . ) e spero bene per il paese; lei poi la ringrazio vivamente per tutto quello che fa al servizio del governo e della nazione ' e nuovamente mi strinse forte forte la mano». Nei mesi di agosto e settembre Nerazzini è distaccato presso il Ministero degli esteri e cura le relazioni diplomatiche e di rappresen­ tanza con la missione scioana capeggiata da Maconnen. È il momento della ratifica del trattato di Uccialli (29 settembre 1 889) e della firma a Napoli (1 o ottobre), di una convenzione tra Crispi e Maconnen con la quale si riconosce Menelik imperatore di Etiopia garantendogli un prestito di quattro milioni presso la banca d'Italia. Di lì a poco tutti i possedimenti italiani sul mar Rosso verranno riuniti in una sola colonia con il nome di Eritrea 11 • Il Nerazzini riparte per l'Barrar nel novembre 1 889 con la qualifica di residente politico 1 2 • Dopo un lungo viaggio (che il tenore delle lettere fa apparire turistico), durante il quale egli tocca Jaffa, Gerusa­ lemme, Port Said, Suez, giunge a Massaua il primo gennaio del 1 890 dove trova un ambiente « contrarissimo a Menelik, Maconnen è alla politica del governo» . « Ho trovato i n Massaua» scrive i l 6 gennaio « i l deputato Franchetti che è furente contro il governo e contro Antonelli perché hanno dato

a Menelik, oltre i fucili, anche i cannoni ( . . . ), anche io sono arrabbia­ tissimo». I rapporti con Antonelli non sembrano essere più quelli di un tempo giacché « lui tiene di mira sempre l'oggi, io invece tengo di mira il domani». Intanto complicazioni di carattere militare rischiano di innescare nuove scintille con grande disappunto della burocrazia ministeriale, che da Roma sembra non riuscire a capacitarsi sui motivi di un così labile equilibrio nel territorio africano. « Gli inglesi fanno una spedizione militare a Zeyla» scrive il 1 4 gennaio « e non s i conosce la natura e l o scopo ( . . . ). Maconnen è irritatissimo perché teme che abbiano di mira l'Barrar ( . . . ) ; io ritengo che invece sia [ diretta] contro i gadaburzi», rei di aver assassinato due missionari francesi accompagnati da 1 2 cammellieri issa nemici giurati degli assalitori. Ennesimo fatto di sangue in cui sono coinvolti due europei, ma perfettamente consono alla mentalità di quelle popolazioni inferocite da odii secolari e lontani anni luce dalla diplomazia occidentale. Allo stato dei fatti quindi la strada per l'Barrar sembra preclusa e come se ciò non bastasse «il partito militare nostro, forse spinto da qualcuno dei deputati che vennero qua» scrive il Nerazzini il 26 gennaio «vuole marciare avanti fino ad occupare Adua». Tale posizione è sconsigliata da Antonelli e Nerazzini che sottopongono telegrafica­ mente a Roma la loro proposta così formulata : « Partenza di Antonelli e Maconnen soli per la via del Tigré scortati dai nostri soldati e poi dai capi, che hanno fatto adesione a Menelik fino all'incontro con lui ; partenza di Salimbeni e di Rudinì [il figlio del parlamentare giunto in Africa in quell'anno per sfuggire ai debiti e con l'interessamento paterno] da Massaua per il Tigré, dopo che tutto sarà accomodato e tranquillo, per portare sopra la grossa carovana [ con le armi? ] del re ; partenza [ di Nerazzini] fra dieci giorni con il resto delle genti di Maconnen per l'Barrar onde tranquillizzare il paese e mandare infor­ mazioni, toccando prima Aden onde prendere alcuni accordi con il governatore inglese per conto del governo scioano e in rapporto all'ultima spedizione inglese». Dal febbraio 1 890 alla metà di aprile si assiste ad un continuo 'balletto ' di telegrammi, relazioni e controrelazioni, ordini e contrordini :

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U. ADEMOLLo, Colonie . . cit., passim. «Pro memoria e stato di servizio . » citato. .

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il Nerazzini è a Zeyla come agente del governo incaricato dt sorvégliare i movimenti militari degli inglesi in guerra con gli issa-somali. Ha occasione di far rimarcare, ancora una volta, il suo disappunto sulla politica di Antonelli (è chiaro il riferimento alla fornitura di armi a Menelik) specificando (il 22 febbraio) che «è un'illusione il credere che nel popolo di Scioa e nei capi che sono intorno al re si abbia una grande simpatia e un grande interesse a rimanere alleati con noi; anzi sono sempre sospettosi della nostra alleanza e della nostra ingerenza negli affari loro ». Roma è titubante, vieta quasi subito la consegna delle armi per riconfermarla pochi giorni dopo, perché gli uomini di Maconnen incaricati del trasporto e scorta del materiale bellico si sono rifiutati di riconsegnarlo. Saranno poi gli inglesi a vietare, di lì a poco, il passag­ gio degli armamenti, ritenendoli probabilmente pericolosi per lo statu quo del territorio. Il blocco inglese ha tolto come suol dirsi ' una castagna dal fuoco ' al governo italiano e al Nerazzini stesso, che può finalmente partire per l'Barrar dove giunge nell'aprile. Sui festeggiamenti in suo onore informa con una lunghissima lettera la moglie e, da ciò che scrive, appare evidente che il tutto è dovuto a un suo successo personale a cui non è estranea l'amicizia con Maconnen, che gli ha addirittura concesso il permesso di visitare la principessa sua moglie anche in sua assenza. «Tutti sono molto remissivi ai miei consigli» scrive il 24 aprile « e oggi tutti i capi issa sono venuti da m e ( . . . ) dicendo che io sono il loro capo ( . . ) Ho pure scritto al Ministero domandando istruzioni a riguardo del marchese Rudinì, cioè se posso metterlo a conoscenza delle cose riguardanti gli affari di governo perché, a poco a poco, possa mettersi in grado di rimpiazzarmi all'Barrar ; questo potrebbe essere il primo passo per avviarsi al ritorno ( . . . ) che è l'unico bisogno che io potentemente sento nell'animo ». L'uomo Nerazzini è, a buon diritto, stanco delle cose d'Africa e aspira a «un posto dove possa vivere con la famiglia» non soppor­ tando «più lungamente una assenza che tanto lo addolora». Ma le sue aspettative saranno ancora frustrate per lungo tempo e la sua perma­ nenza all'Barrar si protrarrà fino al maggio 1891 . Intanto nel maggio 1 890 « Maconnen è stato proclamato ras, col governo del ricco e immenso territorio frapposto fra Barrar e lo

Scioa e questa nomina ha un grande significato per noi perché esprime l'approvazione di Menelik della politica fatta da Maconnen in Italia» (14 maggio). È questa una notizia che probabilmente lo gratifica molto e che gli fa intravedere la possibilità di inoltrarsi, per incontrare l'amico, nel tanto agognato territorio scioano che è sempre rimasto ' un feudo diplomatico ' di Antonelli (1 7 maggio). Ma la situazione politica ottimale venutasi a creare rischia di venire inficiata da un piccolo avvenimento che certamente non sarebbe passato negli annali dell'alta diplomazia fra nazioni, ma che attesta, ancora una volta, quanto e quale sia l'instabile equilibrio del territorio. «< quattro operai italiani venuti qua al servizio di Maconnen» scrive il 29 maggio «non solo sono rimasti delusi nelle loro speranze, ma sono trattati con poco riguardo e quando debbono riscuotere i loro stipendi trovano la più spietata malafede nelle autorità scioane ( . . . ). Ieri mattina mi volevano scappare tutti in Italia e immaginati cosa sarebbe successo al loro ritorno e quali armi in mano avrebbero dato al partito d'opposi­ zione ( . . . ). Mi sono presentato dalla moglie di Maconnen, ho fatto riunire tutti i capi e ho parlato in quei termini gravi ed energici come ne era il caso ( . . . ). La principessa mi si raccomandava che accomodassi la cosa per non far nascere questioni fra i due governi ( . . . ). Ho obbligato i capi a chiedere scusa agli operai, ciò che hanno fatto dinnanzi a me, poi ho fatto versare nelle mie mani tutti i denari che gli spettavano ». Piccola politica e, se si vuole, diplomazia spicciola, ma certamente il metodo più adatto per tenere in pugno una situazione sempre instabile. Nei mesi che seguono l'attività del Nerazzini subisce un'accelerazione legata ai ' giochi politici del governo italiano '. « So da fonti sicure che il ministero Crispi è barcollante» scrive il ' ' 7 giugno «per cui [ a Roma] debbono essere tutti in grande orgasmo e a tutt'altra cosa pensano fuorché all'Barrar ( . . . ). Pare che re Menelik sia arrivato allo Scioa con un esercito affamato dalla carestia [e] qua circolano le voci più strane sulla questione del prestito di due milioni ( . . . ) e siccome i frutti debbono essere pagati sulle dogane di Barrar, così dicono che noi italiani avremo metà paese e questo è assoluta­ mente falso ( . . . ). Sembra che Antonelli sia sempre a Massaua per la delimitazione dei confini e che i disaccordi con l'autorità militare aumentino ( . . . ) A causa di certi [miei] rapporti ( . . . ) non mi scrive più

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Cesare Nerazzini, tln 11Jjiciale n1edico al servizio della diplomazia italiana in Africa

( . . . ). Se cade il ministero Crispi, credo che anche la posizione · della politica di Antonelli ne avrà un bel colpo ; il paese è sempre . più stanco di questi affari africani». E intanto da Roma gli giungono disposizioni che «per l'importanza che si vuol dare alla residenza di Barrar» egli deve sempre trattare gli affari « di maggior riservatezza e che hanno un carattere di molta serietà per lo Stato, giacché la posizione del funzionario di Barrar è difficilissima e piena di riservatezza» ( 1 8 giugno). Da metà giugno a metà luglio invia rapporti dettagliati a Roma tracciando una situazione non certo ottimale. «Antonelli ha avuto tanti dispiaceri» scrive alla moglie il 12 luglio « e la questione dei confini pare che ancora non sia stata accomodata e che Antonelli non sia riuscito a volerli come il governo desiderava. Per me il governo ha torto e agisce malissimo nel pretendere tanta espansione ( . . . ), al solito quel maledetto partito militare deve essere sempre quello che in Africa deve guastare le uova nel paniere. Hanno tante pretese e poi prendono bastonate da orbi come a Sahati e a Dogali». Ai primi di agosto tenta un abboccamento con Maconnen che ancora non è giunto in Barrar «perché sta guerreggiando con gli arussi-galla». Il ras prende tempo perché vuole prima interpellare Menelik. « Sono cominciate le trattative degli affari» scrive il 1 5 settembre «ma purtroppo io non mi sono create illusioni e sono stato profeta nei miei precedenti rapporti ( . . . ). Ieri ebbi col ras una seduta molto burrascosa e gli parlai secco e chiaro ; lui si addolcì subito e mi disse che aveva parlato in quel modo perché con me apre l'animo suo come con un fratello. Aveva fatto una lettera per il governo, ma dopo tutto quello che io gli dissi volle farne una entrando nella linea delle mie idee». Maconnen lo apprezza e lo ascolta dunque tanto che arriva al punto di regalargli il « suo bellissimo cavallo di battaglia, proprio quello che ha montato lui nell'ultima guerra contro gli arussi». Ma l'amicizia in politica ha sempre un valore relativo. Ben presto la situazione degenera. La missione di Salimbeni [ che coadiuvava l'An­ tonelli] è completamente fallita, scrive il 20 settembre con lettera segretissima alla moglie : «il re [Menelik] sbraita contro Antonelli, che lo ha messo di mezzo, contro il governo e scrive lettere di protesta al nostro re, appellandosi alla sua lealtà. Pare che sia stata falsata la traduzione di un articolo del trattato e il re [Menelik] incolpa di ciò

Antonelli dicendo che vuole informare tutte le potenze di questo contegno del governo italiano ( . . . ). Salimbeni non era l'uomo da eseguire quella missione e fu un coglione di accettarla quando vide che Antonelli, che conosce i suoi polli, ricusava di eseguirla ( . . . ) . L'imp eratore scrive a Maconnen che se il governo italiano risponderà come egli spera, e seconderà i suoi desideri, si tenga pronto a partire per Massaua ( . . . ), in tal caso io lo accompagnerei». Nel novembre, dietro sollecitazione di Crispi, Nerazzini organizza un incontro fra Antonelli e Maconnen allo scopo di « accomodare con Menelik tutte le questioni insorte».

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«Antonelli, tanto nei telegrammi che nei rapporti, ha fatto moltissimi elogi a mio riguardo » scrive il 7 dicembre « però ho sostenuto con lui discussioni terribili ( . . . ), perché voleva in tutti i modi persuadermi a restare, ma [poi] ha scritto al Ministero proponendo un congedo di sei mesi». Antonelli ha fretta di chiudere la vertenza africana, ha ottenuto un seggio in Parlamento e conta di rientrare in Italia al più presto. Dallo Scioa dove è andato ad incontrare Menelik, informa Nerazzini che l'imperatore prima di prendere una decisione vuole incontrare Macon­ nen (1 7 gennaio 1 891). Tra gennaio e febbraio è un continuo intrecciarsi di corrieri, plichi diplomatici, rapporti, ma la trattativa si dimostra più difficile del previsto. « Antonelli, quando è passato da Barrar» scrive il Nerazzini il 16 febbraio 1 891 «ha creduto di poter arrivare allo Scioa, magnetizzare tutti e accomodare ogni cosa in un momento, tanto è vero che non aveva piacere neppure che Maconnen lo accompagnasse. Ma ora sem­ bra che abbia trovato molto osso da rodere ( . . ). Ne ha fatto perfino del mistero con me, ma io ho saputo tutto e gli ho scritto un poco arrabbiato [per avermi taciuti] dei secreti che prima o poi dovevo conoscere. Ieri difatti mi ha scritto Maconnen ( . . . ), pare che l'impera­ tore stia fermo in quei punti principali che dettero luogo alle sue proteste e ( . . . ) non ha torto. Il nostro governo, coi discorsi dei ministri e dei segretari generali, ha commesso l'enorme imprudenza di dire che tutta l'Abissinia era sotto il nostro protettorato : figurarsi l'impe.

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ratore e i suoi capi che sono superbi più di Lucifero che impressione ne hanno avuta». E ancora : «Antonelli è partito dallo Scioa 1'1 1 febbraio dirett.o . ad Barrar. Col secreto più assoluto per tutti» e sottolinea la frase tre volte scrivendo ad Egle il 22 febbraio «ti avverto che la sua missione non è riuscita ( . . . ). Temo che al nostro ritorno in Italia il pubblico fischierà credendo noi e per conseguenza anche me, fautori della politica africana». L'ultima lettera di Nerazzini da Barrar, datata 5 marzo 1 89 1 , è la conferma che <de trattative con Menelik sono rotte e [ che] per que­ stione di dignità e sicurezza Antonelli ha ritirato tutti i funzionari del governo nostro in Etiopia». Per questa decisione il Nerazzini rientra in Italia dove si trattiene fino al 22 settembre, fino a quando cioè, su nuovo incarico ministe­ riale, si imbarcherà da Messina per il Tigrai. A seguito della rottura con Menelik, questa nuova missione, capeg­ giata dal gen. Gandolfi, ha il compito molto delicato di instaurare, a tutela della tranquillità nella nostra colonia, buoni rapporti con ras Mangascià, ras Alula e con gli altri capi di quella regione. ' Ma ciò che piace a Cesare non sempre soddisfa Bruto ! ' Nerazzini sbarca a Massaua il 6 ottobre e il giorno successivo così scrive alla moglie : «L'accoglienza è stata quale [mi] immaginavo, freddissima e tutti hanno un diavolo per capello per il ritorno di Gandolfi [ e . . . ] per la nomina definitiva a segretario generale della colonia di Pio di Savoia, contro il quale erano state scritte proteste perché fosse mandato via ( . . . ) . Spero di partire domenica o lunedì per l'interno [dove] vi è stata una grande battaglia nella quale ras Alula ha ucciso il Debeb ( . . . ), un pretendente pericoloso. In tutto il Tigrè vi è una grande miseria e bisogna portare da Massaua anche la biada per i muli». Il 3 novembre la missione diplomatica del Nerazzini è già in pieno svolgimento e anzi potrebbe dirsi quasi ultimata in quanto «le [ sue] idee e i [suoi] progetti, telegrafati al generale, sono stati da lui pienamente accettati». A completare il tutto manca solo la ratifica del Gandolfi, trattenuto a Massaua per il processo Cagnassi. Nerazzini in questo momento è ad Adua « che è un vero e proprio deserto, pieno di miseria e di squallore» ospite di ras Alula che lo ricopre di « gentilezze indescrivibili ( . . . ) alla maniera abissina ! » .

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Nei contatti con i capi del Tigrai, scrive il 12 novembre, «ho ottenuto molto di più di quello che il governo dimandava ( . . . ) e ras Mangascià mi ha decorato della croce di Salomone». A quella data egli considera terminato il suo operato e sollecita di affrettare i tempi nella definizione degli accordi, sia perché teme incidenti nello Scioa, sia perché vuole ritornare in Italia per assistere la moglie in attesa di un figlio. Sugli avvenimenti di quegli ultimi giorni di novembre così scrive, ad Egle, il 20 dello stesso mese da Adua : « se i signori capi del Tigrai non mi mancano di parola e non mi cambiano le carte in tavola all'ultimo momento, tutto sarebbe stabilito molto bene. Gio­ vedì prossimo, 26 novembre, si dovrebbe partire da Adua per il Mareb [in territorio italiano ] , dove incontreremo il generale che vi arriverà sabato 28 prima di mezzogiorno. Il convegno durerà quattro giorni, con un programma da me concertato coi capi ed approvato telegraficamente dal signor generale. Anzi, oltre il telegramma di ufficio, mi fece anche il seguente telegramma che ti trascrivo per intiero : ' Cav. Nerazzini, privato personale. La ringrazio per l'accor­ gimento dimostrato nel concedere intervista con i capi Tigrai ed approvo in tutto le proposte da lei fattemi con telegramma e lettera in data 9 corrente. Gandolfi ' ( . . . ) . Tutto andando come ho stabilito, io spero di essere in tempo a prendere il vapore che parte da Massaua per Napoli 1'1 1 dicembre ». Rientrato in Italia il 5 gennaio 1 892 vi si tratterrà, a disposizione del Ministero degli esteri, fino al primo maggio 1 893, quando verrà incaricato di una speciale missione presso ras Maconnen, governatore di Barrar 13• La nuova missione di Nerazzini sembra iniziare sotto buoni auspici. Da Zeyla scrive il 25 giugno 1 893 che è «giunto il corriere dell'Barrar per avvertirmi che mi tenga pronto a partire, giacché fra 3 o 4 giorni arriverà un inviato di ras Maconnen per accompagnarmi. [ . . . per] la gran festa religiosa dei mussulmani tutti i capi del paese vennero a salutarmi e tutta la tribù degli issa-mamassan si riunì per vemre sotto le mie finestre per farmi la grande fantasia di guerra».

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Il 28 giugno gli uomini di Maconnen sono pronti a �cortarlo in Barrar : «il governo, col vento che spira, può essere contento di questo primo passo» scrive lo stesso giorno. « Quando Maconnen sentì il mio arrivo fu contentissimo ( . . . ). Speriamo bene, ma sopra un risultato politico non ci spero, ( . . . ) perché l'imperatore non ne vuole più sapere di trattati con noi ( . . . ). Spero almeno di salvare le apparenze ( . . . ). Sono commosso per queste premure di Maconnen, un padre potrebbe fare lo stesso, qui in Zeyla ne sono tutti impressionati e nessuno credeva mi trattasse a quel modo ». Sull'incontro con il ras così notizia la moglie il 1 7 luglio : «il ricevi­ mento di Maconnen è stato eccezionale ! Tutta la guarnigione era sotto le armi e mai sono stato ricevuto con tanti onori. Ma questo ha il suo perché. Molti capi, contrari all'Italia, volevano forzare il ras a non ricevermi; lui si è inquietato e così ha ordinato che mi si ricevesse in modo eccezionale, ciò che ha destato le meraviglie di tutti gli europei qui presenti. Il ras è molto buono con me, ma quando lui va via, non mi fido di restare neanche un minuto e l'ho già dichiarato per scritto al governo ». E nella stessa lettera non manca la frecciatina, ancora una volta ben motivata, contro la casta dei militari : «il comando di Massaua ricevé ordine dal Ministero di spedire in Aden 1 0 fucili con 1 .000 cartucce per armare la mia scorta personale ( . . . ). Il giorno avanti la partenza apro la cassa [ . . . e] trovo i dieci fucili con nessuna cartuccia ( . . . ). Ecco come si fanno le cose nel nostro Paese. Mi riserbo di scriverlo a Ge­ nala, per dargli campo a fare qualche riflessione sulle sorti nostre nel caso di una guerra. A Custoza si va con i soldati digiuni, a Roma si fa la spedizione con tutto il Corpo d'armata di Cadorna senza sale e poi si spendono tanti milioni per l'esercito e si pagano tanti generali». Dalle lettere che scrive nel mese di agosto appare chiaro che la missione è in fase di stalla e che la sua permanenza in Barrar è legata solamente all'amicizia di Maconnen. « Sono assassinato dal lavoro continuo per gli ammalati» scrive il 1 4 agosto « e ho fatto male a vedere il primo. Ora è una continua processione ; anche il ras e la sua signora, ogni tanto, mi mandano un biglietto per raccomandarmi qualche loro protettb. Meno male che ho fortuna e ho guarito tre o quattro casi gravi e ciò ha fatto molta impressione ( . . ). Maconnen mi ripete che, quando egli parte per lo Scioa, è bene che anch'io parta dall'Barrar». .

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Ancora il 22 agosto annota : « ho scritto un'importantissima lettera a Baratieri, che deve recarsi in Italia allo scopo di mettere in chiaro la posizione di Barrar e di sistemare le cose per la fine della mia missione [ . . . col] dimostrare che la permanenza qui di un funzionario vero è inopportuna ed ho proposto un agente ufficioso, commerciante, per mandare avanti gli affari». E mi appare assai probabile che questo suo progetto fosse motivato da quanto aveva scritto alla moglie due settimane prima (7 agosto) : « ho avuto in questi giorni una piccola seccatura, giacché per un caso accidentale ho potuto leggere una lettera privata scritta dal Traversi al sig. Felter [ rappresentante commerciale della Bienenfeld] dove ho capito che lui non mi vuole all'Barrar e probabilmente cerca di fare qualche briga, da gesuita qual'è, col Ministero. Forse dipende dal fatto che egli si trova malissimo con ras Maconnen, ha litigato mala­ mente con tutti i francesi che sono allo Scioa e non vuole forse che ' ' gli sia vicino qualcheduno che può essere bene informato di tutto quello che fa ( . . . ). Ho scritto tutto al Ministero. Sembra destino che gli affari in Affrica debbano essere in mano o di briachi, o di gente che lavora per i fini suoi ( . . . ). La persona invece che si conduce benissimo è il sig. Felter». Al 29 agosto la situazione generale è ancora statica, a parte una piccola guerra tra Maconnen e alcuni dankali che avevano invaso il territorio abissino. « Maconnen è partito per una spedizione di 1 5 giorni contro i dankali» scrive lo stesso giorno « portando con sé circa 5 mila uomini. Siccome la stagione è cattiva e il luogo dove va è pericoloso per la febbre, ha voluto che gli preparassi tutte le medicine più urgenti, con la scrittura in aramaico sul modo di servirsene». Intanto i suoi rapporti diplomatici, questa volta, hanno trovato nel ' palazzo romano ' orecchie attente. Con una lettera, iniziata il 1 0 e completata il 12 settembre, ne informa l a moglie : « da Roma mi hanno risposto tutti, il ministro ufficialmente, Malvano e Silvestrelli privatamente e tutti mi dicono che i miei rapporti sulla situazione politica sono chiarissimi ( . . . ). Ti riporto un brano della lettera di Malvano, perché ( . . . ) è molto significativo : 'il rapporto di lei, dipinse la situazione con molta chiarezza e per riflesso chiarisce anche quanto ci viene, in termini alquanto confusi, dallo Scioa. Il buon Traversi mi pare un p o chino fuori di carreggiata; speriamo che ve lo rimetteranno


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le istruzioni ministeriali di qua partite in maggio e in giugno. Di· lei si parlò domenica col deputato conte Bracci '. Malvano, che non si sbottona mai, è stato questa volta molto chiaro ». Pur nella sua genericità, il brano della lettera di Malvano ci appare per certi versi esplicativo : gli italiani coinvolti n �l grand: o pic�olo ' gioco ' africano parlano ' diverse lingue ', probabilmente m funzwne dei benefici personali che ognuno auspica di conseguire. « L'imperatore ha scritto a Maconnen che non vuole più trattare con Traversi» annota il Nerazzini il 26 settembre « perché ha perduto la testa e gli manca di rispetto. Maconnen è nero come il carbone e ha voluto che informassi subito il governo ( . . . ). È una questione per me molto delicata lo scrivere al governo. Ho mandato tutte le copie delle lettere che mi ha scritto Traversi al Ministero e le ho accompagnate con un rapporto ( . . ) . Quanto alle recriminazioni di Menelik e Maconnen contro Traversi, ho fatto un rapporto personale riservato per sua eccellenza il ministro. Ora Maconnen non vede che per i miei occhi, e mi fa certi discorsi ( . . . ) che non mi persuadono : dice che il governo non sa scegliere le persone per trattare gli affari coll'imperatore e in poche parole allude a me perché andassi io. Non lo farò mai perché la questione è già pregiudicata e troverei non un avversario solo, ma due ( . . . ). Io cerco di persuadere Maconnen che lavorerò meglio a Roma [ . . . e ] siamo rimasti [ d'accordo] che quando in seguito sorgessero nuove difficoltà nelle quali potrebbe essere chiamato Maconnen ad agire, sarò io che verrò da lui, perché lui non vuole altro funzionario governativo ». La missione Traversi è fallita come quella di Antonelli e il Nerazzini, per gettare acqua sul fuoco di possibili ' venti di guerra ' contro Menelik, così conclude, da buon toscano, una sua lettera personale al Ministero (degli esteri?) : « mi sembra perfettamente inopportuno il volersi troppo spesso atteggiare con l'imperatore Menelik, che non è Carlo VIII, alla maniera di Pier Capponi, perché prima di minacciare una sonata di campane, bisogna giudicare se valga la pena e se si possa sonarle». . Il brano, riportato nella già citata missiva del 26 settembre, s1 conclude con una salace battuta ad esclusivo beneficio della moglie : « anche Antonelli fece il Pier Capponi strappando i trattati dinanzi all'imperatore e poi non trovò neanche una chitarra». ·

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Il 3 1 ottobre 1 893 Nerazzini comunica alla moglie il suo imminente quanto agognato rientro in Italia : «approvata la mia proposta. Incari­ cato di dare per scritto al sig. Felter tutte quelle istruzioni che crederò più convenienti ed opportune [perché mi sostituisca] . In conclusione approvato il mio rientro in Italia e la mia partenza da Barrar contem­ poraneamente alla partenza di Maconnen per lo Scioa». Torna in Italia il 4 gennaio 1 894 e rientra in forza al Ministero della marina col decreto reale dell'8 febbraio dello stesso anno 14• Per tutto il 1 894 e per buona parte del '95, imbarcato sulla «Lepanto », toccherà vari porti italiani e stranieri del Mediterraneo disinteressandosi, ufficialmente, delle cose d'Africa, ma sempre in contatto diretto o epistolare con quanti erano ancora coinvolti nello scacchiere africano. Per gli avveni­ menti di questi anni si rimanda ai libri di storia o forse sarebbe meglio dire alla documentazione ufficiale di competenza dei vari Ministeri interessati, mentre per la nostra relazione riprendiamo l'iter del Nerazzini con la lettera del 1 8 giugno 1 895 scritta da Roma alla moglie Egle. « Sono venute notizie telegrafiche secretissime che Felter e altri italiani saranno espulsi dall'Barrar ( . . ). Ieri mi chiamò il ministro e mi disse francamente che, mentre gli facevo un gran comodo qui, era necessario che io tornassi laggiù. Io, preso così all'improvviso, risposi che ero pronto ad andare dovunque l'opera mia era più utile al governo. Tamburo battente mi fece fare la minuta di un certo progetto e oggi stesso scrivono al governo inglese per avvertirli che io mi reco, con incarico segreto, in un loro possedimento ». Parte da Messina il 1 o agosto, il 4 agosto transita da Alessandria e il 12 è già a Massaua. « Gran curiosità per la mia venuta» scrive lo stesso giorno « sulla quale si mantiene il più assoluto secreto, ma il comandante inglese di Aden ha detto qualche cosa al comandante della nostra nave, cioè che io ero atteso a Zeyla». Il 17 agosto è all'Asmara, dove riceve una affettuosa accoglienza da parte del gen. Arimondi e da quanti lo conoscevano anche se, annota, .

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« credo che queste missioni le vedano come il fumo agli occhi». Dopo un rientro a Massaua (il 25 agosto) così scrive da Zeyla alla moglie il 7 settembre : «pare che tutto l'esercito scioano muova contro ·di poi agli ultimi di settembre. Ma ora Maconnen cerca interporsi per "inta­ volare negoziati di pace ed io voglio istruzioni telegrafiche nel caso mi scrivesse qualche cosa in proposito. Le autorità inglesi di qua mi hanno ricevuto con molta diffidenza e sospetto ; ciò può dipendere dalle ciarle dei giornali che noi vogliamo prendere Zeyla ( . . ). Ho ritrovato qui il mio Scirna, quel prigioniero liberato da me, e tutta la gente del paese mi adora». Ma non sono certo questi ' piccoli affetti ' che possono risolvere la situazione politica che ormai appare definitivamente compromessa. E ancora una volta ci è possibile seguire gli avvenimenti di quei giorni attraverso l'asciutta prosa del Nerazzini. « Sabato mattina, 21 settembre, giunge in questo momento il corriere da Harrar : la guerra è decisa, tutte le truppe partono per raggiungere Menelik, tutti gli italiani di Harrar sono stati espulsi e oggi stesso partono per Zeyla». «28 settembre, Menelik ha respinto tutte le proposte di pace che gli erano state fatte da ras Maconnen ; ha ordinato a Maconnen di riunire tutti i soldati, di raggiungerlo allo Scioa per muovere insieme contro gli italiani alla fine della stagione delle piogge». « 6 novembre, il re Menelik è tutt'altro che morto, come si era sparsa e divulgata la voce. Egli ha mosso per il Tigrai per venire ad attaccarci con un esercito numerosissimo ed è partito dallo Scioa verso il 20 ottobre. Io spero di arrivare in tempo, col mio telegramma, per far prendere al governo indispensabili misure di precauzione ( . . . ) . È tanta la responsabilità nel mandare queste notizie, che io la notte non dormo ( . . . ) Se Menelik si muove, le truppe che abbiamo nell'Eritrea non sono bastanti». «20 novembre, Menelik con tutto il suo esercito si è fermato in Burmieda, a mezza strada, e manda nel Tigrai ras Maconnen per conferire col gen. Baratieri e dimandare la pace ( . . . ) . Ora che tutta l'azione si trasporta fuori dallo Scioa e dall'Harrar ( . . . ), Maconnen ha una grande paura dalla parte di Zeyla e nella lettera che ha scritto e che ho telegrafato al governo, si raccomanda che l'Italia, in quel tempo, non commetta cattive azioni dalla parte di Zeyla. Questa frase si riferisce proprio alla mia presenza e il governo, ora, può toccare

con mano che la mia m1ss1one in Zeyla ha pienamente ottenuto uno degli scopi principali che era quello di impaurire Maconnen». « 4 dicembre, non vedo il momento che sia accaduto questo conve­ gno con ras Maconnen nel quale prevedo che sottoscriveranno la pace ( . . ). Ma fino da oggi ti dico che facciamo una politica sbagliata, che qualsiasi trattativa di pace è un'illusione perché non ha basi, perché non risolve la questione, perché anzi la rimanda a tempo indefinito. È un errore, un fortissimo errore nel quale è trascinato il governo, per forza di un altro errore più grave commesso da quei signori di Massaua l'anno decorso, col voler occupare città e territori da provo­ care una guerra, quando dovrebbero sapere che l'Italia non ha né danari né l'opportunità per mantenere, con grossi eserciti coloniali, quello che pazzamente si conquista in certi momenti di facile entusia­ smo. [ . . . ho scritto] una relazione di 1 O fogli che, prima di arrivare al Ministero, passerà per le mani del gen. Dal Verme. Ho scritto delle grandi verità, ma rischio di procurarmi ulteriori inimicizie». « 12 dicembre, sono ansioso di avere notizie da Massaua, giacché da qualche giorno circolano, fra gli indigeni, delle voci poco rassicuranti e si dice che vi sia stata una battaglia che noi avremmo perduto. Io non ci credo affatto perché gli indigeni sempre inventano le notizie». Ma le voci questa volta sono fondate : il 7 dicembre, una colonna scioana di 30.000 uomini, comandata da ras Maconnen, aveva attaccato l'Amba Alagi distruggendo la colonna del magg. Toselli. Sull'avvenimento il Nerazzini così scrive alla moglie il 20 dicembre : «io ignoro ancora i dettagli della distruzione della colonna comandata dal magg. Toselli, ma siccome conosco i miei polli e siccome so che i militari di Massaua di pace non ne vogliono sapete, così mi nasce il dubbio che, nell'incontro di Maconnen con i nostri, sia successo qualche equivoco, qualche malinteso e che poi sia avvenuto quello che è avvenuto ». Ma i dubbi del Nerazzini vengono fugati, lo stesso giorno, da un lungo telegramma cifrato giunto da Roma, che gli farà esclamare in maniera un po' troppo melodrammatica e sempre nella stessa lettera alla moglie : « Maconnen, ci hai proprio traditi come un malfattore ! Ci rivedremo a Filippi» ! La sconfitta, come è naturale, ha lasciato strascichi, si ricercano inadempienze, capri espiatori, colpevoli o presunti tali. E, il 29 dicem­ bre, il Nerazzini così scrive alla moglie : « ricordati delle ultime lettere

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che ti scrissi ! Sapevo io cosa dicevano di me, perché mettevo paura al governo coi grossi e minacciosi armamenti di Menelik. 'Per questa ragione mi vedevano come il fumo negli occhi ( . . . ) . Ho ricevuto � ggi dal gen. Dal Verme una lettera ( . . . ) che ti trascrivo in parte : « sono rimasto tanto sbalordito », scrive il generale « dalla catastrofe di Amba Alagi ( . . . ) . Le dico subito che lei fu profeta e che se a Roma e a Mas­ saua ed anche sull'altipiano le avessero creduto, non sarebbe accaduto ciò che deploriamo e che può essere il principio soltanto di una serie di sciagure. Ho tirato fuori ed ho riletto le ultime sue lettere, una dei primi di ottobre, la seconda del 3 1 ottobre e la terza del 1 2 novembre. Le prime due le avevo comunicate a L . . . . . [ c'è solo l'iniziale del nome] che mi aveva risposto : - sta bene, siamo d'accordo -. Ma pare che non abbiano agito con Baratieri in armonia con quel - sta benissimo - . La terza non l'ho comunicata, perché c'era qualcosa che non volevo comunicare, e poi ho pensato che tanto lei aveva telegrafato, qui a Massaua, l'avanzata dell'esercito scioano poderosissimo e trovavo inutile una ripetizione molti giorni dopo. Ho tirato fuori come le ho detto quelle lettere ed ho segnato in rosso i brani che possono essere resi di dominio pubblico. E dimani l'altro, iniziandosi la discussione africana alla Camera, le porterò meco e le prometto che se qualcuno accenna qualche cosa alle mancate informazioni dal golfo di Aden parlerò e la difenderò senza riguardo a nessuno ( . . . ) . Lei continui a fare così come ha fatto fino ad oggi».

geografica della spiaggia e della rada. Però mi pare che il governo inglese ci giri, come suoi dirsi, nel manico ( . . . ) e se anche questa seconda dimanda di concessione dovesse essere respinta (. . . ) bisogna rinunziare a ogni speranza di accordi coll'Inghilterra. Temo che la stampa abbia commesso qualche imprudenza». Nonostante le difficoltà interposte dagli inglesi, Nerazzini riesce a portare a termine l'esplorazione del territorio, corredandola di piante topografiche e itinerari. « Sappi che la mia esplorazione di Dungareta e di una nuova strada per l'Barrar» scrive da Aden alla moglie il 26 febbraio « ha dato luogo a una vertenza diplomatica, molto seria, fra l'Italia e l'Inghilterra, a quanto sembra per vivaci proteste della Francia. Ho messo a rumore tutto il campo politico [ . . . ma] ho assunto di fronte al governo inglese tutta la responsabilità su me ; ( . . . ) in questo modo anche il nostro governo è più salvaguardato [ . . . ] . Oggi ho avuto il primo colloquio colle autorità inglesi di Aden ( . . . ), ho spiegato francamente la mia condotta ( . . . ) che ci permetterà di veder chiaro sulle intenzioni del­ l'Inghilterra a nostro riguardo. Il colloquio è stato cordialissimo e ne ho subito telegrafato il sunto al Ministero ». Ma tutto il suo travaglio diplomatico si infrange, il primo marzo, con la sconfitta di Adua e, quattro giorni dopo, egli, nello sconforto più profondo, così scrive ad Egle : « a meno che non mi richiamino non sarò io certo quello che dimanderà di partire nel momento attuale. Però compio un grande sacrifizio soprattutto per l'idea di essere creduto uno dei fattori di questo stato di cose ( . . . ). Ho temuto sempre una catastrofe. Ci siamo arrivati ! E più presto e più terribilmente di quello che io credevo ( . . . ). Avevo lavorato tutta la settimana per scrivere la relazione del mio ultimo viaggio ; avevo fatto uno studio politico del modo di trattare diplomaticamente la questione con l'In­ ghilterra ( . . . ). Ecco a cosa ci ha ridotto l'ambizione di un uomo che presentivo essere fatale all'Italia. . . [e qui l'allusione a Baratieri è evi­ dente] . Conserva scrupolosamente tutte le mie lettere e tutti i miei fogli che ho lasciato a casa ( . . . ). Guarda che non sia perduto nulla, perché all'occasione io voglio far vedere ogni cosa di quello che ho pensato e che ho scritto ». Ad Adua si infrangono i sogni dei ' grandi e piccoli signori della guerra ' dislocati a Roma e Massaua mentre al magg. Nerazzini (a

L'invito non poteva trovare orecchie più attente di quelle del Nerazzini che, da Zeyla, continua a tessere la sua tela diplomatica con gli inglesi. « Ora, [ se a Roma] daranno ascolto ai miei consigli» scrive alla moglie il 22 gennaio 1 896 « dovrebbero mandare qui una nave da guerra, verso la metà di febbraio, perché io ho dimandato di visitare un ancoraggio vicino a Zeyla, che forse l'Inghilterra potrebbe cedere all'Italia con minori difficoltà politiche e che per l'Italia sarebbe adattissimo nel caso di uno sbarco di truppe e di qualche operazione contro l'Barrar». « 1 2 febbraio, io parto con una piccola carovana e una scorta giacché mi è necessario fare la strada per terra, per lo studio del territorio. La nave da guerra mi raggiungerà, sul luogo, per mare ( . . . ) e farà la carta

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questa sorta di ' 007 con licenza di guarire ') verrà affidato il gradito onere, questa volta in veste di plenipotenziario, di avviare e· concludere la pace con Menelik. Il trattato, firmato ad Addis Abeba il 26 ottobre 1 896 e ratificato dal nostr� gover�o nel maggio 1 897, mette un punto a questo lungo e travagliato capitolo della storia italiana in Africa t s . ·

ANTONIO GARCEA

Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nel/A rchivio Colosimo

Lo sviluppo degli studi storici sulla politica coloniale dell'Italia comporta, senz'altro, un maggiore interesse verso quelle fonti archivi­ stiche che possono contribuire a chiarire e a meglio definire le funzioni svolte da coloro che hanno ricoperto un ruolo istituzionale di una tale portata, da renderli protagonisti di un « momento» storico. L'Archivio di Stato di Catanzaro conserva, tra l'altro, l'archivio privato dell'an. Gaspare Colosimo, donato nell'anno 1 964 dal figlio Maurizio. Personaggio di spicco, nato a Colosimi, in provincia di Cosenza, 1'8 aprile 1 859, laureato in giurisprudenza a Napoli, Gaspare Colosimo fu ben presto assorbito dall'attività politica, che lo vedrà impegnato dal­ l'anno 1 890 prima lotta per le elezioni politiche a Napoli - all'anno 1 924 ritiro dalla vita politica. È comunque, nell'anno 1 892 che egli entra in Parlamento, alla Camera dei deputati, a seguito dell'elezione nel collegio di Serrastretta, in provincia di Catanzaro, per il partito liberale. Fu successivamente riconfermato per ben nove volte, fino all'avvento del fascismo, quando decise di rinunciare all'attività pubblica. Nell'arco della sua attività ricoprì diverse cariche pubbliche: sotto­ segretario di Stato per il Ministero per l'agricoltura, industria e com­ mercio; sottosegretario di Stato per il Ministero di grazia e giustizia e dei culti ; sottosegretario di Stato per il Ministero delle colonie; ministro delle poste e telegrafi; ministro delle colonie, 1 9 giugno 1 9 1 6; vicepresidente del consiglio e ministro ad interim dell'interno, 9 marzo 1919. Si ritirò, come già detto, nell'anno 1 924, anno in cui nel mese di settembre, giorno 1 8, venne nominato senatore del Regno. Morì a Napoli nell'anno 1 946. Dopo questa breve premessa, cercherò ora di sviluppare quella che è la vera tematica di questo intervento, che mira essenzialmente a ren­ dere conto di una ricognizione delle fonti utili ai fini della ricerca. -

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L'Archivio Colosimo nell'Archivio di Stato di Catanzaro

Il fondo « Colosimo », corredato di un inventario somm�rio redatto dal dr. Lucio Lume, direttore dell'Archivio di Stato di Catanzaro nell'anno in cui l'archivio Colosimo fu dato in dono, è costit�i�o· da 1 2 buste, contenenti 64 fascicoli, per un totale di 3. 575 documenti compresi tra il 23 gennaio 1 9 1 6 e il 5 giugno 1 91 9 . La vasta documentazione prodotta da Colosimo, certamente, potrà allargare allo studioso e al ricercatore il ventaglio tipologico delle fonti, fornire validi spunti di ricerca su fonti finora inesplorate, con­ validare o meno quanto già conosciuto. Il lavoro di ricerca sul fondo « Colosimo » può certamente mirare a promuovere una conoscenza più vasta della realtà coloniale, nonché avvicinare alla complessa problematica della ricerca storica un pubblico sempre più numeroso, interessato alle valorizzazione del patrimonio documentario, la cui conservazione è determinata, nel caso specifico, dall'utilità pratica 1• Anche se già sono state fornite notizie2 delle fonti concernenti detto archivio, esso è stato sino ad oggi poco studiato dal punto di vista storiografico; sembra, quindi, offrire ampie ipotesi di ricerca su un periodo storico (1 9 1 6-1919) che si presenta di notevole interesse stori­ co-politico-amministrativo. Sono tre anni della politica coloniale che evidenziano, all'inizio della guerra, il problema della riappacificazione con la Germania e, succes­ sivamente, nel dopoguerra, quello di riassetto coloniale. Poiché alcune buste presentano documenti con caratteristiche omo­ genee, indicherò con: Serie I, quelli relativi alla pacificazione della Cirenaica; Serie II, quelli relativi al diario e ai frammenti dello stesso;

Serie III, quelli relativi a carteggi vari sull'amministrazione coloniale; Serie IV, quelli relativi a giornali vari-carteggio Orlando-Colosimo. La I Serie « pacificazione della Cirenaica»? racchiusa in 6 buste con estremi cronologici 23 gennaio 1 9 1 6-31 dicembre 1 9 1 8, per un totale di 2.41 3 pezzi, contiene minute di lettere ministeriali, telegrammi, rapporti, minute di trattati, relazioni a S.E. Colosimo. Si precisa che i documenti, fino al 1 9 giugno 1 9 1 6, riguardano il dicastero Mattini. Dalla lettura di tale documentazione, varia e complessa, si evince con chiarezza il programma politico del ministro Colosimo che, avendo capito la realtà del tempo, mira in primo luogo a mantenere in Eritrea e in Somalia e instaurare in Libia uno stato di relativa stabilità e pace, favorendo lo sviluppo delle colonie, cercando di ottenere dalle stesse colonie un fattivo contributo per i bisogni della madrepatria, in se­ condo luogo a preparare una valida base per le nostre rivendicazioni al futuro congresso della pace. Il ministro Colosimo, infatti, percependo la precarietà della situazione e continuando l'opera del suo predecessore, on. Mattini, avvia le trattative per la pacificazione della Cirenaica con sayed Idris, cercando in modo particolare di stabilire buoni rapporti con le tribù senussite nel pieno rispetto della loro religione e, contemporaneamente, di accordarsi con l'Inghilterra per evitare che il senusso, ribelle, possa contare sull'aiuto dell'Inghilterra contro l'Italia e viceversa. A tale accordo aderirà anche la Francia nel marzo del 1917. È veramente interessante e significativo, attraverso le fonti, seguire lo sviluppo delle trattative, che vedono all'inizio impegnati, sotto il dicastero Mattini, il console R. Piacentini, in qualità di delegato civile, e il ten. col. A. Villa, in qualità di delegato militare e, successivamente, sotto il dicastero Colosimo, il col. De Vita e il cav. Ancirolo, sostituito poi dal cav. Pintor. Tale documentazione illustra con chiarezza le varie fasi delle trattative che porteranno al concordato di Acroma del 1 7 aprile 1 9 1 7. Si segnalano, tra gli atti preparatori dell'accordo, un abbozzo di accordo preparato da S.E. il governatore della Tripolitania, ten. gen. G. Ameglia, nonché le varie revisioni da parte di Idris per la presentazione del suo modus vivendi, ed il raggiungimento dell'accordo definitivo nella data sopra citata, con l'accettazione del modus vivendi 3 e, in linea di massima, dell'L

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Sul nesso utilità-conservazione dei documenti, cfr. l. ZANNI RosiELLO, Spurghi e distribuzioni di carte di archivio, in « Quaderni storici», 1983,18, pp. 985-1017. 2 l. MoNTORo, A rchivio di Stato di Catanzaro, in Guida delle fonti per la storia dell'Africa a Sud del Sahara esistenti in Italia, a cura di C. GIGLIO e E. LoDOLINI, Zug Inter Documentation co., 1 973, pp. 351-352; C. GASBARRI, La politica africana dell'Italia nelle carte di Colosimo, in «Africa», 1 973, 3, pp. 439-460; P. PAsTORELLI, Le carte Colosit!lo, in « Storia e politica», 1 976, 2, pp. 363-378; V. CLODOJ\!IRO, A lcune carte del fondo Colosimo dell'A rchivio di Stato di Catanzaro, in Archivi e storia di Calabria. Stmttura, documentazione e prospettive. A tti del convegno di studi, a cura di G. CousTRA, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1987, pp. 1 99-202.


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Attraverso la corrispondenza del ministro, dal momento in� cu1 assunse la direzione del Ministero delle colonie, si evince fopera ciello stesso mirata alla restituzione dei prigionieri italiani, che avverrà .nel marz del 1 9 1 7, alla cessazione dello stato di guerra, alla libertà per i commercianti di recarsi nell'interno a trattare i propri affari, al disarmo, all'allontanamento dal paese dei fomentatori di disordini, alla istituzione da parte dell'Italia di scuole. Tale politica, nonostante l'influenza della guerra, consentì al ministro Colosimo, appoggiato dal gabinetto Orlando, di dare tutto il suo apporto appassionato alla soluzione dei problemi interessanti lo svl­ luppo delle nostre colonie. Di rilievo sono le varie missioni compiute, dopo il patto di Acroma, dai maggiori Hercolani ed Areati, che porteranno alla soluzione dell� stabilimento della linea di demarcazione dei presidi, dei problemi creat1 dalla banda Sirtica, della lotta tra Idris (che aspira a diventare gran senusso) e il cugino. Documenti finali riguardano le elezioni, da parte degli altri capi, di Idris a capo della Senussia, la richiesta di riesame del modus vivendi» 3 circa l'interpretazione, il viaggio di Redah, fratello di Idris, a Roma, per rendere omaggio al re, dopo la vittoria della guerra. Si nota principalmente nella corrispondenza del ministro Colosi­ mo con i governatori l'assoluta mancanza di polemica, voluta di proposito, appunto per non turbare il buon andamento dell'ammi­ nistrazione. La stessa cosa non si può dire nella corrispondenza col gen. Ame­ glia, il cui comportamento, sotto il dicastero Mattini, favorevole all'accordo con Idris, muta completamente, sotto il ministro Colosimo, che non può fare a meno di esprimere la sua profonda delusione anche nel suo diario. La II Serie, racchiusa in 4 buste (bb. 7-1 0), con estremi cronologici 1 8 giugno 1 9 1 6-16 giugno 1 9 1 9, per complessivi 940 pe�zi, contien� l'originale dattiloscritto del diario ( 1 9 1 6- 1919), con altn framment1 dello stesso. Il diario si rivela una fonte vastissima d'informazione, in quanto vengono riportati, quasi quotidianamente, i fatti essenziali relativi al ruolo svolto dal ministro nelle vicende della politica coloniale italiana, ed anche europea.

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Si tratta di una documentazione che permette di interpretare lucida­ mente il suo pensiero e che ripercorre tutte le tappe evolutive dello sviluppo della politica coloniale in quel periodo. 1 E appare importante che si evinca il pensiero di un personaggio, sicuramente di rilievo, soprattutto se si considera il fatto che assunse l'onere del Ministero delle colonie nel periodo in cui l'Italia viveva il momento forse più preoccupante della sua storia coloniale: cominciava a farsi strada l'idea che l'Italia non doveva farsi sottomettere nelle proprie azioni dalle altre potenze. Il diario dal 1 9 1 6 al 1 9 1 8 è molto dettagliato e preciso, a differenza di quello dell'anno 1 91 9, quando il ministro Colosimo, chiamato in data 9 marzo 1 9 1 9 alla carica di vicepresidente del consiglio sino al 1 6 giugno 1 9 1 9 (data di ritorno del presidente Orlando da Parigi), deve attendere a molteplici funzioni e, quindi, gli sfugge l'opportunità di fissare sulla carta ogni varia circostanza. Sono questi, infatti, quattro mesi di dura fatica in cui egli si limita solo a catalogare gli avvenimenti nazionali che più attraggono l'inte­ resse del mondo. Di notevole interesse è il dattiloscritto originale del diario « Colosimo », contenuto nella b. 8 ave, oltre ad essere messa in evidenza la politica pacificatrice del ministro dell'interno, V.E. Orlan­ do, e quindi dello stesso on. Colosimo, vengono affrontati vari pro­ blemi, tra i quali quelli amministrativi, quelli della politica generale sia riguardo alla Tripolitania, sia riguardo alla Cirenaica, della rioccu­ pazione di Misurata, per impedire la costituzione di una base nemica turco-tedesca nel settore orientale della Tripolitania, dell'inerzia e della politica a «zig-zag» del gen. Ameglia in merito alla stessa rioccupa­ zione, ritenuta indispensabile da Colosimo. Degni di rilievo sono la polemica, ancora una volta, tra Ameglia e Colosimo, che non può fare a meno di ritenere opportuna la sosti­ tuzione dello stesso generale, l'atteggiamento degli alleati, contrari agli interessi coloniali dell'Italia e, quindi, la proposta della tesi di equilibrio per evitare che l'Inghilterra o la Francia avviino trattative senza l'Italia. Nelle ultime parti del diario si nota che la soluzione del problema coloniale generale, soprattutto in Africa, sarà uno dei principali temi su cui lavorerà la conferenza della pace. Lo segnala, infme, una serie di lettere, indirizzate dal marchese Salvago Raggi, ambasciatore italiano


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a Parigi, al comm. Agnesa, direttore generale degli Affari politiCi del Ministero delle colonie, molto interessanti in relazione alla storia · delle trattative al congresso della pace, specie in rapporto alle questioni coloniali. Il problema del riassetto coloniale nel mondo è vissuto dal ministro Colosimo con interessamento e viva preoccupazione. Attento ai vari problemi - ferroviari, portuali, della navigazione, del personale - pro­ fondo sostenitore della tesi coloniale, nell'ultimo periodo del mandato ministeriale cercherà di rompere l'indifferenza dell'opinione pubblica italiana sul problema, invitando la stessa stampa ad illuminare i lettori sulle presenti tematiche coloniali. La III Serie, oltre a contenere appunti dattiloscritti di storia eritrea dal 1 869 al 1 9 1 9, presenta una raccolta di leggi relativi alla Somalia (1 829-191 1 ) e al trattato di Losanna del 1 91 2, un manoscritto della relazione sulle colonie, presentata dal ministro Colosimo al Parlamento il 23-28 febbraio 1 9 1 8, varie interviste sui problemi coloniali rilasciate dallo stesso al giornale « La Tribuna» e numeri di varie testate di giornali, tra i quali «<l Messaggero », «La Tribuna», « <l Mattino», «La Giovane Calabria», che commentano la relazione. La IV Serie, oltre a numerose altre interviste, contiene 85 telegram­ mi (7 maggio-5 giugno 1 9 1 9), indirizzati da V.E. Orlando, da Parigi, dove era trattenuto dalla conferenza della pace, su questioni relative alle trattative di pace e alla politica interna italiana.

II Serie « Diario e frammenti dello stesso», bb. 7-1 0 ( 1 8 giu. 1 9 1 6-16 giu. 1 9 1 9); b. 7: docc. 2 in fasce. 2 (1 0 ago. 1 9 1 6-30 apr. 1 9 1 7); b. 8: docc. 342 in fasce. 5 (18 giu. 1 9 1 6-10 mag. 1 9 1 9); b. 9: docc. 1 06 in fasce. 3 (1 2 feb. 1 9 1 7-1 6 giu. 1 9 1 9); b. 10: docc. 1 58 in fasce. 4 (2 feb. 1 9 1 8-17 mag. 1 9 1 9);

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APPENDICE I Serie « Pacificazione della Cirenaica », bb. 1 -6 (23 gen. 1 91 6-31 clic. 1 9 1 8); b. 1: docc. 136 in fasce. 4 (23 gen.-30 mar. 1 9 1 6); b. 2: docc. 334 in fasce. 6 (1 lug.-3 1 clic. 1 9 1 6); b . 3: docc. 457 in fasce. 6 (1 gen.-30 giu. 1 91 7); b. 4: do cc. 425 in fasce. 6 (1 lug.-31 clic. 1 9 1 7); b. 5: do cc. 458 in fasce. 6 (1 gen.-30 giu. 1 9 1 8); b. 6: do cc. 603 in fasce. 6 (1 lug.-31 clic. 1 9 1 8). Si precisa che ogni fascicolo presenta un inserto, scritto a penna, dove sono elencati sommariamente i relativi documenti.

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III Serie « Carteggi vari sull'amministrazione coloniale», b. 11 (1 869-1 919), ( docc. 54 in fasce. 8 (1 869- 1 9 1 9). IV Serie « Giornali vari + carteggio Orlando - Colosimo » b. 12 (giu. 1 9 1 8-5 giu. 1 9 1 9); docc. 1 68 in fasce. 8 (giu. 1 9 1 8-5 giu. ' 1 9 1 9).


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certo, per l'Italia. Anzi, la risposta di netta separazione che si è inteso dare a questa domanda fin dagli inizi dei lavori di questo convegno è, a mio avviso, parte del problema storiografico che a tutt'oggi costi­ tuisce il passato coloniale dell'Italia, e richiama quel ' disagio' ricordato da altri relatori, e che è certo mio e degli africanisti presenti, nel dover riproporre una domanda la cui risposta molti di noi ritenevano storiograficamente acquisita. Ma così ancora non è, e può forse valere la pena cercare di capire il perché. Che la domanda iniziale mantenga una sua validità di fondo, e una sua drammatica attualità, è dimostrato, ritengo, dagli stessi sviluppi storiografici dei due settori di studio oggetto di questa relazione, la storia coloniale da un lato e quella dell'Africa dall'altro, e soprattutto dalla peculiarità della loro origine a un tempo comune e insieme antagonistica. Va detto infatti che, a livello storiografico, la storia dell'Africa nasce in Europa alla fine degli anni Cinquanta in risposta, e come alternativa ideologica, alla storiografia coloniale di cui mette in discussione il forte taglio eurocentrico2• E proclama subito due verità assiomatiche : la prima, è che l'Africa ha una sua storia che non coincide e non va confusa con la storia degli europei in Africa ; la seconda è che il periodo coloniale rappresenta, come è stato efficace­ mente detto dallo storico nigeriano J.F.A. Ajayi, « un episodio», forse significativo ma tutto sommato marginale, di un più lungo cammino storico delle società africane le cui tappe andavano urgentemente ricostruite con le fonti scritte, là dove esse esistevano, e con la ricca tradizione storiografica locale, cioè le fonti orali, là dove non si potevano rinvenire altre fonti documentarie3•

ALESSANDRO TRIULZI 5toria del colonialismo e storia de!lAfrica

La prima domanda cui un africanista è chiamato a fornire una risposta, in qualità di relatore a un convegno che si propone uno « sforzo di ripensamento critico » su fonti e problemi della politica coloniale italiana, è chiarire se la storia dell'Africa e i suoi cultori espliciti, gli storici africanisti, siano parte, e quale parte, di quel capitolo che è stato qui definito «non marginale» di storia italiana, e che è rappresentato dal passato coloniale del nostro paese. Nel riproporre oggi questa domanda di fronte a un consesso di studiosi così autorevolmente riuniti, confesso di essere incoraggiato dalla presenza tra noi di studiosi stranieri perché ancora una volta è all'estero, e non in Italia, che si è fornito a tale problematica una risposta storiograficamente adeguata, tanto che lo stesso nostro ripro­ porci oggi tale quesito non può che risultare datato : storia coloniale (0 imperiale, come a volte è stata definita in passato) e storia dell'Africa hanno proceduto altrove, almeno a partire dagli anni Sessanta, lungo strade autonome ma strettamente parallele, intersecantesi in più punti e su molteplici questioni, contribuendo stimoli e spunti di ricerca reciproci a un dibattito storiografico che è stato tra i più ricchi e innovativi dell'ultimo trentennio. Altrove, e segnatamente in Francia e in Gran Bretagna, le due maggiori potenze ex-coloniali, il cammino è stato, se non comune, certo parallelo 1 • N on si può dire lo stesso,

Studies Since 1945. A Tribute to Basi! Davidson, edited by C. FYFE, London, Longman, 1976, pp. 200-208; C. CoQUERY-VIDROVITCH - B. JEWSIEWICKI, Africanist Historiography in France and Belgitw1. Traditions and Trends, in African Historiographies. What Histmy for Which Africa, edited by B. ]EWSIEWICKI - C. NEWBURY, London, Sage, 1986, pp. 139-150. Per la Gran Bretagna cfr. in particolare African Stt�dies Since 1945 . .. cit.; M. TwADDLE, Decolonization in Africa. A Ne1v British Historiographical Debate, in African Historiographies . . . cit., pp. 123-138. 2 Cfr. A. J. TEMU - B. SwAI, Historians and Ajricanist Histmy. A CritiqHe, London, Zed Press, 1981, p. 1 8 ; T. HoDGKIN, Where the Paths Began, in African Stt�dies since 1945 . . . cit., pp. 6-16. Cfr. anche B. DAVIDSON, A lle radici dell'Africa 1/tfOJJa, intervista a cura di A. BRONDA, Roma, Ed. Riuniti, 1 979, pp. 42-60. 3 Cfr. J. F. A. AJAYI, The Contùltfity of African InstitHtions Hnder Colonia/isili, in Emerging Thet!Jes

1 Vedi, ad es., Colonialist!J in Africa, 1870- 1960, edited by L. H. GANN and P. DuiGNAN, Cambridge, Cambridge University Press, 1969-1975, voll. 5 ; The Cat11bridge History of Africa, edited by J. D. FAGE and R. OuvER, Cambridge, Cambridge University Press, 1975-1986, voll. 8. Le due opere, malgrado il taglio rispettivamente ' coloniale' e 'africanistica ', com­ prendono indistintamente temi coloniali e di storia pre- e post-coloniale. Vedi ancora, per la Francia C. CoQUERY-VIDROVITCH, Changes in African Historical Studies in France, in African

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Dunque agli inizi s1 mvocava, come s1 mvoca qui oggi, la netta separazione tra questi due inconciliabili e del tutto antagonistici . campi di studio. Ma fu, altrove, separazione temporanea e fittizia. Passata la prima fase, essenzialmente « dimostrativa» (occorreva dimostrare la dignità scientifica della nuova disciplina storiografica) e fortemente ideologizzata (erano i tempi delle rivolte anticoloniali e delle indipen­ denze che si volevano ' strappate ' alla madrepatria), le alterne visioni storiografiche, quella coloniale e quella africanistica, riprendono presto un cammino che, pur operante in ambiti autonomi, da allora si nutre e si arricchisce di reciproci contributi4. Sembra anche opportuno sottolineare che a questo rinnovato, e in qualche modo comune, cammino i due settori disciplinari siano stati indotti proprio dalla limitatezza dei risultati di ricerca che gli iniziali approcci, per cosi dire, ' di posizione ' avevano prodotto (da un lato le strutture formali degli imperi coloniali ; dall'altro la ricerca dello ' stato-nazione ' ritenuto necessario per le nascenti strutture politiche dell'indipendenza, ma spesso inesistente nella tradizione storica locale), e soprattutto dalle nuove domande che l'Africa degli anni Settanta solleva in direzione delle ex metropoli coloniali, e dei suoi studiosi ed ' esperti ', nonché degli stessi leader politici delle prime indipendenze, chiamati entrambi a rispondere del fallimento economico e politico della decade, quella intercorsa tra il 1 960 e il 1 970, definita allora ' dello sviluppo ' s . Ed è proprio dal confluire degli sforzi congiunti tra storici colo­ niali e storici africanisti che negli ultimi venti anni, soprattutto

all'estero ma anche da noi, la storia dell'Africa si è conquistata uno spazio sicuro e non più contestato nell'ambito della nuova produzione storiografica. Anzi, da piccola « industria familiare», come era agli albori, essa si è estesa per qualità e quantità al rango di vera e propria «multinazionale» nella produzione di testi, risultati di ricerca e inno­ vazione di metodi storiografici. In una parola, e mi scuso per il necessano schematismo di questa veloce esposizione, è dall'innesto tra storia coloniale e storia dell'Africa, e non dal loro reciproco annullarsi, che si è potuti giungere a quella pienezza di risultati e di ricerche che hanno grandemente arricchito (si pensi alla storia orale, all'antropologia storica o alla 'nuova storia ' francese) il nostro stesso mestiere di storici 6• Questo successo storiografico, cui gli storici africanisti italiani hanno, dobbiamo dirlo, solo marginalmente contribuito, è stato conseguito anche perché è stata presto riconosciuta la valenza storiografica di frontiera che gli studi coloniali rivestivano nel dibattito tra storici europei e storici locali e il loro insostituibile contributo - per l'apporto straordinario delle fonti che essi utilizzavano e per le chiavi interpre­ tative che essi offrivano sulle società colonizzate non meno che su quelle dei colonizzatori - ai fini di un'analisi approfondita dell'impor­ tante periodo di formazione che ha preceduto e condizionato la nascita dello stato post-coloniale in Africa e il difficile e spesso estraniato

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oj African History, edited by T. O. RANGER, London, Heinemann, 1968, pp. 1 89-200. Sull'uso delle fonti documentarie non scritte nelle ricostruzioni storiche esiste una vasta letteratura. Vedi in particolare J. VANSINA, Ora! Tradition as History, London, Currey, 1985; per un aggiornato dibattito critico, cfr. la sezione The Historiography of Ora! Discourse, in African Historiographies .. . cit., pp. 50-100, con scritti di H. Moniot, J. Bazin, J. P. Crétien, D . Henige, J. Vansina. 4 Vedi T. O. RANGER, Tmvards a Usab!e African Past, in African Studies since 1945 . . . cit., pp. 1 7-30; v. anche N. NZIÈM, Ajrican Historians and Africanist Historians, in AfricatJ Historio­ graphies . . . cit., pp. 20-27. 5 Cfr. in particolare B. JEWSIEWICKI, One Historiography or Severa!? A Requie111 for Africanism ; J. F. BAYART, Populist Politica! Action. Historica! Understanding and Politica! Ana!ysis in Africa, in African Historiographies . . . cit., rispettivamente pp. 9-1 7 e pp. 261-268; cfr. anche le fonti critiche espresse in Historians and Africanist Histmy ... cit., in particolare pp. 1-17.

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6 Vedi, ad es., La nuova storia, a cura di J. LE GoFF, Milano, Mondadori, 1980, e in particolare il saggio di A. BuRGUIÈRE, L'antropologia storica, ibid., pp. 1 1 1-140; J. LE GoFF, Intervista sulla storia, a cura di F. MAIELLO, Roma-Bari, Laterza, 1982, in particolare pp. 76-79 ; In., Introduzione a M. Bloch. Les rois thatltJJaturges, Paris, Gallimard, 1983, in particolare pp. XXXIV-XXXVIII; H. MoNIOT, La storia dei popoli senza storia, in J. LE GoFF, Fare storia. Teoria e metodi della nuova storiografia, Torino, Einaudi, 1 981, pp. 73-9 1 . Vedi anche il mio Il terrmo dell'etno-storia, in La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, a cura di P. Rossi, Milano, Mondadori, 1987, pp. 240-263. Sulle fonti v. soprattutto Storia orale, a cura di L. PASSERINI, Torino, Rosenberg & Sellier, 1 978; P. THOMFSON, The Voice of the Past. Ora! History, Oxford, Oxford Univ. Press 1 9882 ; « Rassegna degli Archivi di Stato» 1988, 1-2 (n. mon. : Le fonti orali, a cura di P. CARUCCI - G. CoNTINI). Per la produzione storiografica africanistica in Italia nell'ultimo trentennio, v. in particolare T. FILESI, Gli studi storici sull'Africa subsahariana, in Gli studi africanistici in Italia dagli anni '60 ad oggi. A tti del convegno, Roma, 25-27 giugno 1985, Roma, Istituto itala-africano, 1986, pp. 55-90; In., L'Africa, in La storiografia italiana negli ultimi 20 atmi, a cura di L. DE RosA , III, Età conteJJtporanea, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 287-320.


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Storia del colonialismo e storia dell'Africa

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governo delle popolazioni già coloniali e oggi indipendenti. Dei · resto, le continue, insistite e a volte drammatiche richieste di fonti . e dati tratti dagli archivi coloniali da parte non solo di governi ma di eentri universitari, istituti di ricerca e studiosi delle ex colonie è prova manifesta di quanta parte dell'orizzonte storico africano - e non solo europeo - è stato ed è tuttora il recente passato coloniale 7• Se in Italia ciò non è stato, o lo è stato poco rispetto alla più ricca produzione europea, tanto da celebrarsi qui ancora oggi una posizione di separatezza che ha indubbiamente caratterizzato la produzione sto­ riografica nazionale, ciò è certo avvenuto non a caso ma quale riflesso storiografico preciso di impostazioni politico-culturali e di condizio­ namenti di varia natura che hanno a lungo impedito nel dopoguerra lo sviluppo delle discipline africanistiche in Italia. Li riassumo qui brevemente, insieme ai miei personali convincimenti :

1 . Da un punto di vista generale, sono d'accordo con quanti (Rainero, Rochat, Romano) hanno sostenuto che la storiografia colo­ niale italiana ha risentito più che altrove di condizionamenti di carattere ideologico-nazionalistico, derivati dagli sviluppi complessivi del sistema politico nazionale e dalle vicende stesse della sua breve parentesi coloniale, racchiusa tra il ' ritardato ' inizio di fine Ottocento e la ' perdita ' delle colonie nel secondo dopoguerra. Ciò non ha permesso a una nascente e non di rado dignitosa storiografia coloniale di affer­ marsi, così come non ha permesso forme mature di elaborazione del sistema di amministrazione coloniale entrambi prodotti' anche altrove' del secondo dopoguerra 8 • Il risultato storiografico è stato che, se produzione scientifica vi è stata, anche di qualche rilievo, essa si è concentrata massimamente

7 Ne sono prova i ricercatori e studiosi africani che affollano ogni anno la biblioteca dell'Istituto itala-africano e ancor più l'Archivio storico dell'Africa italiana conservato presso il Ministero degli affari esteri. Da alcuni anni, inoltre, i principali centri universitari in Africa hanno in corso progetti di rnicrofilmatura dei più importanti archivi coloniali europei per permettere ai propri ricercatori in loco di lavorare di prima mano sulle principali fonti coloniali dell'epoca. 8 Cfr. G. RocHAT, Colonialismo, in Storia d'Italia, a cura di F. LEVI - U. LEVRA - N. TRANFAGLIA, I, Il mondo . contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia, 1 978, pp. 107-120; R. H. RAINERO, Gli studi africanistici in Italia ... cit., pp. 93-1 1 7 ; S. RoMANO, La storiografia italiana oggi, Milano, Espresso Strumenti, 1978, in particolare, pp. 89-102.

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su t�mi �oliti�o-istit�zionali, sug i aspetti giuridico-formali o diplo­ _ matlco-m�htan del �1stema colomale, e sullo stesso sistema politico metropoht�no, anahzzando solo minimamente, e in superficie, il _ t�ssuto soc10-econom1co, quello storico-politico o quello antropolo­ giCo-culturale delle colonie e dei suoi attori sociali. È mancata quasi del tutto, cioè, un'analisi ponderata della società coloniale intesa nel suo senso più ampio di confronto e di mediazione tra due mondi con es genze di crescita � di autoaffermazione spesso divergenti ed opposti, nonche, lo studw accurato della conseguente ' situazione coloniale ', secondo la definizione di Balandier, quella cioè derivante dall'an�ma ia st�ut urale di un sistema in cui la maggioranza pura­ mente soc10log1ca dei colonizzatori sottoponeva a forme di dominio e di imposizione di vario tipo la maggioranza numerica dei coloniz­ zati. Ed è in particolare su quest'ultima, le sue manifestazioni culturali e i suoi comportamenti politici, le sue collusioni e i suoi contrasti le sue strategie di sopravvivenza e le sue forme di collaborazione di resistenza nei �onfr�nti del potere coloniale, che dobbiamo registrare un vuoto stonograf1co solo in minima parte riempito da una recente produzione storiografica di segno diverso che occorre a mio avviso incoraggiare e promuovere 9.

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2. So�o anche d'accordo sulle conseguenze nefaste che ha pro­ _ - _ dotto 11 g1a ncordato ' afro-asiatismo ' di maniera derivato dalla deci­ sione, presa nel 1 961 dall'allora ministro della pubblica istruzione di ' abol r� d'un co po dagli statuti universitari tutte le discipline di trad1z1one colomale e di riunire sotto un unico insegnamento-ponte, intitolato « Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici », le discipline di

9 Vedi, ad es., Otnar a!-Mukhtar e la riconquista fascista della Libia, a cura di E. SANTARELLI G. _R�cHA: L GoGLIA, Milano, Marzorati, 1981 ; F. GRAssi, Nazionalismo, guerriglia ed . llnpertalmno t/alzano nella Somalia del Nord ( 1899- 1905), in « Storia contemporanea», 1977, 1 , PP: 611-682; L_ TADDIA, L'Eritrea-Colonia 1890- 1952. Paesaggi, strutture, uomini del colonialismo, - .

.

Mlla�o, Angeli, 1986 : In., La tnetnoria dell'Impero. Autobiografie d'Africa orientale, Manduria,

�acalta, 1_988.' D_ella ncca produzione in lingua inglese, v. soprattutto i recenti lavori di due

ncercaton entre1 : T. NEGASH, No Medicine for the Bite of a White Snake. Notes on Nationalis!JJ and Resistance in Eritrea, 1890- 1940, Uppsala, University of Uppsala, 1 986, in particolare PP· 37-54; J. GEBRE MEDHIN, Peasants and Nationalistll in Eritrea. A Critique of Ethiopian Studies, Trenton, [N.J.], The Red Sea Press, 1989, in particolare pp. 1-69.


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carattere storico-politico e giuridico-istituzionale relative alle ex co­ lonie allora presenti negli statuti di facoltà. Ciò non vuol dire che l'attuale disciplina di « Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici)) non abbia saputo guadagnarsi negli anni, specie nelle facoltà di Scienze politiche, crescenti consensi attraverso la graduale individuazione di un proprio apparato di fonti e di metodi di ricerca e la costante difesa delle discipline collaterali. Ma ci sono voluti venti anni per risalire la china, e l'aver dilatato gli originari studi coloniali fino ad abbracciare un diffuso quanto generico terzomondismo non sorretto, se non in rare eccezioni, da specialismi areali o disciplinari ha indub­ biamente nociuto sia agli studi coloniali che a quelli relativi alla storia dell'Africa. Prova ne è non solo la limitata produzione storiografica africani­ stica in Italia degli anni Sessanta e Settanta, perlopiù disancorata dal ricco dibattito internazionale in argomento, ma lo stesso straordinario ritardo con cui sono apparse in lingua italiana le traduzioni di classici stranieri sui paesi di colonizzazione italiana. Così, per fare solo alcuni esempi particolarmente indicativi, il volume di E. E. Evans-Pritchard sulla Senussia in Libia, apparso nel 1 948, ha visto la prima traduzione italiana trenta anni più tardi, e i volumi rispettivamente dell'antro­ pologo inglese Ioan Lewis sulla storia della Somalia (1 965 ; ristampa nel 1 980) e dello storico statunitense Robert L. Hess sul colonialismo italiano in Somalia (1 966) non sono a tuttoggi stati tradotti in un'Italia ex potenza coloniale, poi potenza mandataria, oggi soggetto primario di cooperazione con i paesi del corno d'Africa e con la Somalia in particolare 1 0• 3. Ritengo infine che l'aver insistito a lungo, e da opposti ver­ santi, sulla cosiddetta ' atipicità ' 11 del colonialismo italiano abbia osta­ colato non solo un'approfondita comprensione del fenomeno coloniale italiano nelle sue manifestazioni proprie, ma lo abbia isolato, a livello

10 Cfr. E. E. EvANs-PRITCHARD,Colonialismo e resistmza religiosa nell'Africa settentrionale. l senussi di Cirenaica, Catania, Ed. del Prisma, 1979. Cfr. ancora I. M. LEWIS, A Modern Histoty of Somalia : Nation and State in the Hom of Africa, London, Longman, 1 980 ; R. L. HEss, ltalian Colonialism in Somalia, Chicago, Univ. of Chicago Press, 1 966. 11 Vedi G. RocHAT, Colonialismo . . . cit., p. 1 10.

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di studi, in un inavvicinabile limbo di esclusività che non ha po!"tato ai necessari raffronti con altri fenomeni coloniali e ha anzi favonto il prevalere di giudizi morali e di assunti ideolo?ici a scapito di i�dagini puntuali e approfondite. La conseguenza stonografica ella co�1ddet�a atipicità del colonialismo italiano si è tradotta pertanto 1n una n�unCla sistematica alla comparazione con altre espenenze europee, e m una parallela ' presa di distanza ' da quei temi, nodi o dibattiti degli studi . _ a hvello coloniali che ne hanno maggiormente stimolato la crescita internazionale ; il ' fattore locale ', elemento di forte impegno storia­ grafico negli studi coloniali di Francia, Belgio o Gran Bretagna, è così gradualmente scomparso dalla storiografia èoloniale del nost_ro pa�se _ _ _ che si è perlopiù identificata come una pagma mmore d1 stona patna, e solo di quella 1 2•

La nascente storia dell'Africa degli anni Sessanta non è stata pertanto messa in condizione, in Italia, di �ialogar� �o� gli studi . le d1sc1phne, sotto­ coloniali : scomparsi i cultori, sottratte o sv1hte valutati i temi di politica coloniale, siamo cresciuti, riconosciamolo oggi, su gambe malferme, in un vuoto storiografico che se non ci ha del tutto smunti - per usare le parole di Pietro Pastorelli - non ha nemmeno permesso quei risultati, di ricerca e di metodi, che sono stati conseguiti altrove. Eppure, la situazione iniziale non era poi così marcatamente differente : lo dimostra, tra gli altri, proprio il caso francese dove gli studi coloniali degli anni Cinquanta mostrava­ no, in analogia a quelli italiani del tempo, un forte ' etnocentrismo nazionalista ', dove le prime due cattedre di Storia dell'Africa, alla Sorbona, venivano attribuite solo nel 1 960, e i primi cultori africanisti provenivano, come nel caso dell'Italia, per la maggior parte dai ranghi coloniali. Dunque la situazione di partenza in Ital a e i� Francia presentava notevoli similitudini in questo settore d1 stud1 ; eppure i risultati sono stati diversissimi. Al contrario di quanto

12 Vedi Historians and Africanist Histoty . . . cit., in particolare, pp. 61-1 10; African Historio­ graphies . . . cit., pp. 1 12-234. Per il colonialismo italiano, v. T. NEGASH, ltalian Colo�ialism and . In., No Medtcme for the the Transformation of Social and Economie Structures. A Review Article, m Bite of a White Snake . . . cit., pp. 88-94, e il mio ltalian Colonialism and Ethiopia, in « Journal of African History», 1982, 23, pp. 237-243.


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è avvenuto in Italia, il forte collegamento mantenuto in Francia tra cultori di studi coloniali e storici dell'Africa ha recato � traordinari benefici a entrambi i settori di indagine, al punto che gli africanisti sono oggi interlocutori privilegiati della « nuova storia» fra�cese, e partecipano con vigore nelle numerose sedi di dibattito, e di stimolo, che rappresentano il quotidiano confronto tra gli storici d'oltralpe. L'ampio rilievo dato in Francia alla ricostruzione storia­ grafica delle società extra-europee è mostrato, tra l'altro, dal fatto che la storia dell'Africa, dal 1 981 , ha conquistato un suo ruolo istituzionale ben preciso quale materia di riferimento tra le discipline opzionabili nella scuola secondaria, un traguardo certo impensabile da noi 13• Se tutto ciò non è avvenuto in Italia, è, a mio avviso, perché storia coloniale e storia dell'Africa hanno seguito qui percorsi acci­ dentati e non comunicanti : gli africanisti, per paura di essere definiti ' colonialisti ', hanno a lungo esitato ad abbracciare temi di storia coloniale e ancora oggi, se pochi sono i cultori in Italia di studi coloniali, pochissimi tra essi provengono dai ranghi degli africanisti. Il divario è tuttora vistoso e non accenna a diminuire ; l'incomunica­ bilità tra questi due comparti del sapere ha nociuto non solo al pieno dispiegarsi dei due settori di studio nel nostro paese, ma ha anche limitato la loro capacità di comunicazione con discipline pa­ rallele e tradizionalmente alleate, la storia contemporanea da un lato, e le scienze sociali dall'altro. Il risultato è oggi visibile negli stessi lavori di questo convegno e nella limitata partecipazione di studiosi professionalmente impegnati negli studi africanistici : se c'è poca Africa, pochi studiosi africani, e pochi africanisti presenti qui a Taor­ mina, in un convegno che dovrebbe riguardare in misura non minore il loro apporto alla storia coloniale, è perché questo divario che noi oggi registriamo non data da oggi ma trova le sue radici in un ritardo culturale e in diffusi pregiudizi storiografici che continuano a caratterizzare il passato coloniale del nostro paese e la produzione scientifica in argomento. Eppure non mancavano, e non mancano, ·

1 3 Cfr. C. CoQUERY-VmROV!TCH - B. ]EWS!EW!CKr, Africanist Historiography in France and Befgiunt . . . cit., pp. 139-150.

Storia del colonialismo e storia dell'Africa

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i segni di un rinnovato interesse in questo settore di studi, e se la . quantità di relazioni e di comunicazioni annunciate a questo convegno è indice adeguato di ricerche e indagini in corso, è ben più di un semplice ' segno ' . M i sia permesso pertanto, a conclusione di questa breve presentazione, di insistere sull'assoluta necessità e urgenza che, anche nel nostro paese, una ricerca africanistica metodologicamente agguerrita si affianchi (non dico sostituisca, ma si affianchi) agli studi coloniali, affinché si inverta radicalmente l'attuale pervicace tendenza alla se­ parazione e all'isolamento di tematiche strettamente collegate tra loro. A mio avviso, è questa la sola strada scientificamente percor­ ribile in questo settore di studi. Gli studi coloniali, come tutti gli studi di cerniera, hanno una doppia ineliminabile afferenza di sog­ getti storici e, per così dire, di utenza : l'Europa, nel nostro caso l'Italia, e l'Africa. Troppo a lungo si è esitato a unire da noi i cul­ tori di questi studi, europei e africani, contemporaneisti e africanisti, intorno a uno stesso e comune tavolo di indagini, di percorsi sto­ riografici, di ' contaminazioni ' e, se volete, di reciproci stimoli di ricerca. Troppo a lungo siamo stati parte di una rimozione storia­ grafica collettiva che ci ha, per così dire, sottratto il nostro stesso passato coloniale e impedito ad entrambi una revisione critica pun­ tuale; troppo spesso, infine, giudizi astorici e assunti ideologici di varia natura hanno prevalso su quelle ricerche approfondite di cui si aveva e si ha ancora bisogno. Oggi che la ricerca sul passato coloniale del nostro -paese e sul ruolo complessivo che questo passato ha avuto nella formazione di quadri politici e di istituzioni statali, ad es. nel corno d'Africa, svolge un ruolo così importante nella vita nazionale di intere regioni già strettamente unite al nostro paese, dobbiamo, ritengo, non solo al dibattito storiografico interno, ma al futuro stesso di questi popoli, la messa a disposizione delle nostre risorse, e del nostro mestiere di storici, affinché altri e non meno pericolosi antagonismi e ideologismi abbiano a prevalere sull'ordinata convivenza tra i popoli e sulla inter­ pretazione del nostro recente, e comune, passato. Non sarebbe poca cosa se questo convegno serv1sse a porre la prima pietra di questo complesso ma necessario edificio.


Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra

GIAMPAOLO CALCHI NOVATI

coloniale» 1 . E questo è il lamento interessato di Orazio Pedrazzi al convegno coloniale di Napoli del 191 7 : « L'Italia subiva gli avvenimenti politici e democratici senza occuparsi troppo di studiarli e quindi di incanalarli secondo gli interessi del paese e dei colonizzatori, né dopo che tali fenomeni furono diventati parte della storia nazionale la preoccupazione crebbe e l'interessamento si fece più vivo. Voci isolate di studiosi si alzavano qua e là ad invocare una maggiore serietà di indagini e di studi nel campo coloniale, ma l'eco di tali voci rimase per lungo tempo troppo flebile, anche perché i luttuosi avvenimenti di Africa avevano fatto prendere in orrore al popolo italiano tutto ciò che si riflettesse alle terre cui pareva legata (e quanto ingiustamente!) la sventura d'Italia» 2• Normalmente il ritardo è attribuito a cause di carattere culturale o addirittura antropologico 3• Ma già nel medesimo congresso coloniale del 1 9 1 7 il presidente del comitato organizzatore diceva : «Purtroppo è doloroso dover riconoscere che una coscienza coloniale si è venuta stentatamente ed a gradi formando in Italia. Assillati dal bisogno di cementare l'unità nazionale e di superare le gravi difficoltà economiche nelle quali ci siamo dibattuti nel primo periodo del nostro risorgi­ mento, stretti dalla necessità di provvedere ai mezzi di comunicazione ed all'insegnamento indispensabile al nascente sviluppo industriale ed intellettuale del paese, non avevamo una chiara visione del paese»4• Lo sviluppo dei sentimenti coloniali nell'élite, nella classe politica e nell'opinione pubblica ha risentito direttamente dei processi reali

Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopogupr.ra *

È ampiamente condivisa l'opinione che in Italia la maturazione di una coscienza coloniale è stata tardiva, lenta e contrastata. In una relazione al congresso coloniale di Asmara del 1 905, Gino Bartolo m­ mei-Gioli scriveva : « Soltanto un'esigua minoranza di cultori di cose coloniali e d'intelligenti viaggiatori, commercianti ed industriali di. ' mostra d1 capire quali criteri ci debbono guidare nella nostra azione

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e fon principali di questo saggio sono costituite dalle relazioni, dagli interventi e dagli ord1ru de! g orno del. o gress1. o convegni coloniali, a comincia re da quello dell'Asmara del . . 1 0 . I nfenmentl_ cnt1c1 sono esse zialmente limitati agli atti dei vari simposi, che vengono . r�chiamat per sede e a o d1 svolgimento a pres indere �all'anno di edizione dell'opera che : h ra cog e . S1. d . qu1 l elenco completo del volum1 con gh atti dei convegni. A tti del congresso . colomale l altatJo 1 smara (sette1nbr�-o tobre 1905) [d'ora in poi Atti A smara 1095] 2 voli., Roma, T1p. dell _D o e Coop. Ed1tnce, 1906; IsTITUTO COLONIAL E ITALIANO, Atti del prilno congresso deglt. 1taltam ali estero (ottobre 1908), 4 voli., Roma, Coopera tiva Tip. Manuzio 1910; Is�ITUT? COL�NIAL� �TA�IA�o, Atti del secondo congresso degli italiani all'estero (11-20 giugno 191 1), [d ora m po1 A tt1 1taltam estero, V, 1911] 4 voli., Roma, Tipograf ia Editrice Nazionale, s.d. ; �ocm:A AFR�CANA D'ITALIA, A tti del convegno nazionale coloniale (Napoli, 26-28 aprile 1911), [d'ora m 01 Att1 apoli 1�11] Napoli, Trani, 1917; IsTITUTO COLONIALE ITALIANO, Atti del convegno nazzonale colomale per il dopo guerra nelle colonie (Roma, 15-21 gennaio 1919) [d'ora in poi Atti RoJJJ� !919], Roma, Tipografia dell'unione editrice, 1 920; A tti del prilllo congresso di studi colomalt {Ftren�e 8- 12 aprile 1931) [d'ora in poi, A tti Firenze 1931], 7 voli., Firenze, Centro � � di stu 1 col ruah, 1 931 ; A tti del secondo congresso di studi coloniali (Napoli, 1-5 ottobre 1934) , . [d ora m pm A tt1 Napoli 1934], 7 voli. , Firenze, Centro di studi coloniali , 1935-193 7 ; Atti del terzo congresso di studi coloniali (Firenze-Roma, 12- 1 7 aprile 1931) [d'ora in poi A tti Firen­ ze-RoJIJa :931] 9 v IL, Firenze, Sansoni, 1937; Aspetti dell'azion e italiana in Africa. A tti del : . convegno d� studl colonzal , (Ftrenze 29-3 1 gennaio 1946) [d'ora in poi A tti Firenze 1946], Firenze, � Centro d stu . col mali, 1 946; AmJJtinistrazione fiduciaria all'Italia in Africa. Atti del secondo _ convegno d� stud� coloma:l, {Ftrenze 12-15 maggio 1947) [d'ora in poi Atti Firenze 1941], Firenze C ntro dl st di c loruah,. 1 948; At i del terzo convegno di studi africani, � (Firenze 3-5 giugno 1948) . [d o a m pm A tt1 Ftrenze 1948], Fuenze, Centro di studi coloniali , 1 919. Gli interventi sono c1tat1 per steso quando hanno la struttura di una relazione -saggio; altrimenti si userà la . e lllterven locuziOn to o discorso con il nome dell'autore senza titolo.

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G. BARTOLOMMEI-GIOLI, Ordinamento degli studi agricoli e coJJJ!lJerciali in rapporto alla politica coloniale, in A tti Asmara 1905, I, p. 3. 2 O. PEDRAZZI, L'opera svolta dall'Istituto agricolo coloniale italiano, in A tti Napoli 1917, p. 337. 3 Così, per esempio, Edoardo Baccari descriveva l'atteggiamento degli italiani: « Chi esamini il contegno dell'opinione pubblica italiana riguardo alle questioni coloniali in genere e, più specialmente, l'attitudine del nostro paese di fronte alla Colonia Eritrea, noterà come si sia passati attraverso tre fasi ben distinte : dell'entusiasmo, dello scoraggiamento e della rinnovata fiducia; e mentre potrà darsi facile ragione delle due prime, non si spiegherà con pari facilità l'interessamento e la simpatia con cui gli italiani guardano ora alla loro colonia». E ancora : «Ma a quali fossero i veri bisogni d'Italia nel campo coloniale, nessuno badò, e nessuno tenne conto della natura e degli istinti e delle attitudini di nostra gente» (La Colonia Eritrea nel sentiiJlento e negli interessi degli italiani, in Atti AsJJJara 1905, pp. 277 e 278). 4 Sono parole del sen. Giuseppe D'Andrea alla seduta inaugurale, in Atti Napoli 1917, p. 8.

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. della società. Fino al compimento dell'unità dello Stato l'espansione oltremare non avrebbe potuto assumere i contorni di una �era politica coloniale. La « disattenzione» per le lontane terre d'Africa n o� .era dunque casuale. Anche le titubanze davanti alle avventure coloniali o le politiche astensionistiche delle «mani nette» o del «non interven­ to » 5, giustificate in parte con motivazioni ideologiche e in parte con ragioni di carattere pratico (molto prima di Dogali o di Adua), e che secondo gli irriducibili del colonialismo costarono la « perdita » della Tunisia e dell'Egitto 6, mentre nel mondo l'imperialismo coloniale conosceva il suo massimo slancio, si spiegano largamente con la non disponibilità «materiale» dell'Italia alle conquiste coloniali e con la maggiore convenienza per i suoi interessi contingenti di quella specie di prudente attendismo. Non appena le condizioni mutarono, l'Italia si allineò sulle posizioni delle altre potenze europee, sia pure con le sue minori risorse e scontando la sfasatura con cui era avvenuto quell'inserimento, almeno rispetto a Francia e Inghilterra. Il coloniali­ smo diverrà un tema del dibattito politico, strumentalizzato a volte per raggiungere altri fini, ma sempre orientato verso la ricerca sia di utili economici che di posizioni di potere da far valere nella competi­ zione sul piano internazionale. La diversità di prospettiva e di contesto, in Italia e nel mondo, è alla base del diverso approccio ai problemi coloniali dei convegni di contenuto coloniale che si tennero intorno alle due guerre mondiali e nel periodo fra i due conflitti. Le guerre del 1 91 4- 1 8 e del 1 939-45 ebbero profonde ripercussioni negli schieramenti coloniali, anche in quelli italiani, e possono valere come punti di riferimento convenzio-

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nali. Per il resto, le ricerche sul colonialismo e la stessa politica coloniale seguono una periodizzazione che solo in parte coincide con la storia europea ed è scandita piuttosto dalle dinamiche cen­ tro-periferia 7. Una svolta sul piano culturale e poi organizzativo si verificò con il congresso di Asmara del 1 905 e con la conseguente fondazione dell'I­ stituto coloniale italiano (ICI). La Società africana d'Italia rivendicherà <mna storia che si confonde con quella della nostra colonizzazione africana», avendo fra l'altro convocato nel 1 885 una conferenza « nella quale fu solennemente riconosciuto e deliberato che l'Italia dovesse, con tenacia d'intenti, vincere le dubbiezze e perseverare in una politica africana, degna delle sue nobili tradizioni» 8, ma di fatto prima della riunione in terra eritrea era mancato a livello nazionale uno strumento istituzionale che facesse dell'espansione coloniale il suo obiettivo pre­ cipuo e programmatico. Anche dopo la costituzione dell'ICI - e questo dà la misura dell'anomalia «strutturale» della proiezione dell'Italia nei continenti extraeuropei - il colonialismo continuò ad essere inteso più come emigrazione organizzata che come conquista territoriale. C'è una correlazione evidente fra «il problema demografico italiano, con il suo naturale corollario dell'emigrazione di massa, e l'ideologia espansioni­ stica dei primi anni del Novecento », così come qualche influenza aveva l'emigrazione di massa sulle nostre esportazioni in quei mercati, deter­ minando l'affermazione di <<Una impostazione sempre più rivolta a in­ terpretare unitariamente, in chiave di espansione politica, economica, culturale, i problemi di sviluppo interno del paese» 9• Per molto tempo,

7 Come esempio di interpretazione «periferica» degli sviluppi dell'imperialismo coloniale, v.

5 Furono due uomini della Sinistra come Cairoli e Mancini i protagonisti rispettivamente della politica delle «mani nette» e del «non intervento». Sulle ragioni profonde della politica anticoloniale, in particolare della Sinistra, v. F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 1951, pp. 550-551. 6 I processi politici che portarono alla rinuncia a difendere più attivamente gli interessi in Tunisia quando la Francia impose il suo protettorato al bey (maggio 1 881) e, poco più di un anno dopo, a lasciar cadere l'offerta inglese di partecipare alla spedizione militare in Egitto contro Arabi Pascià (luglio 1 882) sono troppo complessi e trascendono i limiti del presente studio. Si rimanda per i fatti a L. CHIALA, Pagine di storia conte11Jporanea, Torino, Roux Frassati, 1 888-1895.

R. RoBINSON - ]. GALLAGHER with A. DENNY, Aji'ica and the Victorians, London, Macmillan, 1981 .

8 Discorso D'ANDREA, in A tti Napoli 1917, p. 9. Gli atti in SociETA AFRICANA D'ITALIA, Conferenza coloniale riunita a Napoli da/1'8 al 13 novembre 1885. Atti, relazioni e voti, Napoli 1 886. La conferenza del 1 885 era stata organizzata per stimolare «le aspirazioni all'espansione della vitalità italiana» (p. 108) e si schierò risolutamente a favore di un colonialismo d'attacco chiedendo che l'Italia « rassodi e definisca i possedimenti» nel mar Rosso e provveda «ad estendere questo dominio in contrade meglio fornite di naturali ricchezze» (p. 37). 9 A. AQUARONE, Politica estera e organizzazione del consenso mli'età giolittiana : il congresso dell'AsJJJara e la fondazione dell'Istituto coloniale italiano, in « Storia contemporanea», 1977, 1 , pp. 61-62: l'articolo è apparso su tre numeri della rivista, 1-3, del 1977, ed è stato incluso nella raccolta di A. AQUARONE, Dopo Adua : Politica e a11Jtninistrazione coloniale, a cura e con un


Giampaolo Calchi Novati

Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra

le colonie di dominio diretto furono considerate alla stessa stregua delle « libere» colonie in paesi che erano assolutamente fuorì · della sovranità italiana. Sulla necessità di fornire un'adeguata tutela ·agli italiani all'estero concordavano anche gli avversari della politica colo­ niale del governo 1 0• A soddisfazione delle aspirazioni nazionalistiche o francamente imperialistiche, il colonialismo avrebbe dovuto in più permettere agli emigranti italiani di non disperdersi in terre straniere procurando loro spazi « coloniali» nei nostri possedimenti (verosimil­ mente in Africa). Il congresso che si tenne all'Asmara dal 24 settembre al 1 4 ottobre 1 905, inframmezzato da feste, ricevimenti ed escursioni, aveva lo scopo di aiutare la politica italiana e l'opinione pubblica a familiarizzarsi finalmente con i temi del colonialismo e vide scendere in campo tutti i più fervidi fautori del colonialismo. Come osserva Aquarone, la sensibilizzazione non significava necessariamente difesa del coloniali­ smo, perché la stampa e la cultura di sinistra ne trassero spunto per intensificare le critiche nei confronti degli impegni coloniali 11• Il go­ vernatore dell'Eritrea, Ferdinando Mattini, che pure sfruttò spregiudi­ catamente il convegno per magnificare la sua opera di amministratore coloniale e di facitore di imperi 12, non poté esimersi dal raffreddare gli eccessi di euforia circa le realizzazioni già operate e le possibilità effettive offerte da una colonia che esisteva da quindici anni ed in cui faticavano ad arrivare i necessari investimenti 13• L'Eritrea e le terre del Benadir (più la Tripolitania) potevano costi­ tuire «un diversivo non trascurabile alla nostra emigrazione, un campo profittevole per l'impiego dei capitali e per l'avviamento di traffici

vantaggiosi, una vera e propria palestra di sperimentalismo coloniale» 14• Ma i coloni trapiantati nelle colonie dirette erano una goccia rispetto alle colonie spontanee, che avevano tanto bisogno di cure. Nel 1 905 i nostri connazionali all'estero erano valutati in 5 milioni e l'esodo non accennava a scemare « ché anzi le condizioni economiche interne delle province più migranti e la prolificità del nostro popolo ci fanno ritenere che il fenomeno debba conservarsi per molti anni» 1 s . Da qui il compito prioritario di « collocare gli emigranti in territori e condi­ zioni che li conservino italiani e conservino il vincolo dell'italianità anche ai loro figli» 16• La confusione, e la sovrapposizione, fra colonia­ lismo ed emigrazione continuava. Le prime iniziative dell'Istituto coloniale italiano, luogo deputato del neonato colonialismo italiano, furono dedicate agli «italiani all'estero », con un riguardo speciale per gli italiani in America o nel Nord Africa e un'attenzione poco più che doverosa per i possedimenti coloniali in senso proprio 17• Tutto l'apparato coloniale fu rivalutato e rilanciato dalla conquista della Libia, che aveva il vantaggio - a confronto delle colonie del mar Rosso - di affacciarsi sul Mediterraneo (la « quarta sponda») e di collegarsi immediatamente alle idee-forza della retorica «imperiale» 18 . Il Nord Africa era sempre apparso l'obiettivo principale quantunque ancora nel 1 905 al congresso di Asmara si era dovuto constatare che l'Italia si fermava alle parole e i nostri concorrenti avevano requisito le posizioni migliori 1 9 • Fu dopo la Libia che venne costituito formal­ mente il Ministero delle colonie. Un'istituzione di studio e istruzione come il regio Istituto orientale di Napoli, per l'interessamento perso­ nale di Colosimo, presidente della commissione ministeriale incaricata

saggio introduttivo di L. DE CouRTEN, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1 989, pp. 255-410 (Pubblicazione degli Archivi di Stato, Saggi, 14). Aquarone cita a sostegno il libro di F. MANZOTTI, La polemica sull'emigrazione nell'Italia unita (fino alla printa guerra mondiale), Milano-Roma, Soc. ed. D. Alighieri, 1969, ed il lungo saggio, più ampio quanto a tematica, di G. ARE - L. GIUsTI, La scoperta dell'itnperia!istJIO nella cultura italiana del prit11o Novecento, in «Nuova rivista storica», 1 974, 5-6 e 1975, 1-2. 1 0 A. AQUARONE, Politica estera. . . cit., 1, p. 64. 1 1 Ibid., p. 107. 1 2 «Il Secolo» definì il congresso <mn'apoteosi del vice-re Martini» prevedendo peraltro che la capitale, Asmara, sarebbe restata <mn'oasi in mezzo al deserto» (22 ottobre 1905). 1 3 Il discorso di Ferdinando Martini alla seduta inaugurale, in Atti Asmara 1905, pp. S-9.

1 4 G. BARTOLOMMEI-GJOLI, Ordinammto degli studi. . . cit., p. 6. 1 5 Ibid., p. 8. 16 M . CHECCHI- L. TALAMONTI - D. 0DORIZZI, Vie commerciali di pene/razione dalla Colonia Eritrea all'Impero Etiopico, in A tti A stllara 1905, p. 106. 1 7 Nei due congressi degli italiani all'estero organizzati dall'Istituto coloniale italiano nel 1908 e nel 1911 alle colonie di diretto dominio fu riservata una sezione dei lavori, la settima nel 1908 e l'ottava nel 191 1 . 18 A . DEL BocA, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suo! d'an1ore, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 144 e seguenti. 1 9 G. BARTOLOMMEJ-GJOLI, Ordinamento degli studi. . . cit., p. 5.

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di attuare il suo riordinamento, passò dal Ministero d�lla pubblica istruzione alle dirette dipendenze del Ministero delle colonie; . assu­ mendo senz'altro funzioni « coloniali» e proponendosi come « strumento di dominio» 20• La guerra libica suscitò ovunque una partecipazione molto vasta, contagiando lo stesso Istituto coloniale italiano, che la seguì con « schietto entusiasmo » 21 • L'incombere della conquista della Libia si era fatto sentire al secondo congresso degli italiani all'estero del 1 9 1 1 , dove per impulso dei nazionalisti, e non senza contrasti, fu approvata una mozione che implicitamente esortava il governo italiano ad occupare la Tripolitania per affermare in esclusiva i suoi diritti e i suoi interessi 22• Il nuovo tono trovò una sistemazione più completa nel convegno nazionale coloniale organizzato a Napoli nell'aprile 1 9 1 7 dalla Società africana d'Italia 23 e nel successivo, più ufficiale e coreografico, conve­ gno nazionale coloniale per il dopo guerra delle colonie, che si tenne a Roma nel gennaio 1 9 1 9 a cura dell'Istituto coloniale italiano 24• L'ingresso in guerra aveva conferito alle ambizioni coloniali dell'I­ talia una sorta di legittimazione formale. Nelle finalità che venivano assegnate alla guerra l'irredentismo nazionale sconfinava di fatto nel colonialismo, un vero e proprio <<nuovo colonialismo» innervato dal nazionalismo. Savino Acquaviva parlava di «guerra imperiale» 25 e Giu­ seppe Piazza scriveva che la guerra era un « presupposto » e una « condizione necessaria per quei fini ultimi, mediterranei e coloniali, che saranno invece il contenuto della nostra politica avvenire» 26• Questa confluenza fra i filoni nazionalista e colonialista comportava

peraltro degli inconvenienti g1a m termm1 concettuali. La contraddi­ zione si focalizza nella persona del ministro Mancini, che aveva teo­ rizzato il diritto delle nazioni e che pure si troverà a giustificare l'espansione dell'Europa 27• Nelle relazioni e nel dibattito al convegno di Napoli affiora di continuo la difficoltà di conciliare il processo di indipendenza e unità italiana con i progetti espansionistici : nel discorso introduttivo, D'Andrea disse che « l'Italia ha consacrato col sangue il suo diritto di vivere senza essere mancipia di nessuno, in un mondo rigenerato nel quale, come ogni libera società, ciascuno dovrà poter respirare a pieni polmoni, provvedendo ai propri bisogni compatibil­ mente con i bisogni altrui» e si proponeva « come nazione giovane ed operosa che cerca le vie della sua espansione vitale e che vuole affermato il diritto di concorrere all'opera comune di civilizzazione e di colonizzazione »28. Di fronte alla guerra l'Italia, che « fu culla del diritto », non poteva esitare e « fu con i combattenti per la libertà e per il diritto», ma la «nostra guerra, oltre alla rivendicazione dei nostri confini naturali e l'annessione delle terre irredente ha come ' obiettivo il possesso di quei territori balcanici che ci assicurino la nostra prevalenza sull'Adriatico ed allorché saranno poste le basi della futura pace vittoriosa, l'Italia dovrà volgere la sua anima al mare, perché sul mare è tutto il suo avvenire e la sua espansione territoriale dovrà espandersi nelle colonie» 29• Al convegno del 1 9 1 9 la contraddi­ zione viene sciolta così da Colosimo : «La storia d'Italia è tutta una catena di lotte per la indipendenza, la libertà e la giustizia» e «non può non inchinarsi dinnanzi alla concezione allettatrice della Società delle nazioni», ma la Società delle nazioni deve fondarsi sulla giustizia e la stabilità e per dare prosperità all'Italia «occorre sicurezza di confmi

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MINISTERO DELLE CoLONIE, Regio istituto orientale di Napoli. Inaugurazione dell'anno scolastico 1916- 1 7, 1 dicembre 1916, Roma, 1917, pp. 4 e 28. 2I M. PIEROTTI, L'Istituto coloniale italiano. Sue origini, stto sviluppo, Roma, Ici, 1922, p. 15. 22 La mozione afferma l'urgenza di un'azione energica da parte del governo italiano che «valga a garantire sicuramente i nostri diritti e i nostri interessi in Tripolitania» (in A tti italiani estero, Il, 191 1, II, p. 549; la discussione è alle pp. 304-31 0). V. anche A. AQuARONE, Politica estera.. . cit., 3, p. 561. 2 3 V. A tti Napoli 1917. 24 V. A tti Roma 1919. 25 S. AcQuAvrvA, L'avvenire coloniale d'Italia e la guerra, Roma, Athenaeum, 1917, p. 47. 26 G. PIAZZA, La nostra pace coloniale, Roma, Ausonia, 1917, p. 6.

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Ai tempi della crisi in Egitto (1 881-1882) Mancini era ancora attaccato al principio della nazionalità e non voleva confondere l'espansione commerciale o la protezione dei nostri connazionali all'estero con l'annessionismo. La «conversione» di Mancini al colonialismo è di qualche anno più tardi, come mostrò la sua iniziativa attorno al congresso di Berlino (1884-1885). V. C. ZAGHI, P. S. Mancini, l'Africa e il problmJa del Mediterraneo, 1884- 1885, Roma, Casini, 1955 e T. FILESI, L'Italia e la conferenza di Berlino (1882- 1885) , Roma, Istituto itala-africano, 1985. 28 A tti Napoli 1917, p. 2. 29 Ibid., pp. 7-8.


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che la mettano al sicuro da nuovi attentati ed occorrono shocchi' mezzi, materie prime indispensabili, campi da valorizzar� che la. sottraggano alla servitù economica che si traduce in servitù politica» 3o. All'origine della guerra venivano poste le responsabilità dell� Ger­ mania e la sua volontà di crearsi un impero di dimensioni mondiali. L'Europa non poteva rimanere indifferente e subire quei tentativi di egemonia assoluta 31 . In considerazione della competizione in corso in Europa e nel mondo, l'Italia doveva provvedere a rafforzarsi, anche con l'accaparramento di territori coloniali. «<l problema coloniale così come fu posto dai grandi Stati dopo radicale trasformazione del vecchio colonialismo, ha interessato sempre più l'avvenire delle potenze europee, le quali nel momento attuale anche per tale questione sono indotte a proseguire con unanimità di sforzi e tenacia di sacrifici, la più formidabile guerra che la storia ricordi» 32 . Dopo la guerra, nel­ l'attribuzione dei futuri possedimenti coloniali, e cioè in occasione dell'eventuale spartizione dell'ex-impero della Germania, l'Italia dovrà veder riconosciuti i suoi interessi «per i sacrifici immensi sopportati a fianco dell'Intesa» 33. Non tutti avevano presente che l'art. 1 3 del patto di Londra in tanto dava all'Italia iJ « diritto » di pretendere dei compensi in Africa in quanto Francia e Gran Bretagna si sarebbero divise le colonie tedesche34. Con lo scoppio della guerra mondiale e le realtà che ne erano emerse, l'illusione di veder fiorire un' «altra Italia» al di là dell'Atlantico era definitivamente tramontata. Non potendo più contare sui ritorni dell'emigrazione, l'espansionismo diveniva tutto e solo « coloniale ». C'era semmai da riconsiderare le direttrici lungo le quali era stato costruito il sistema coloniale italiano, recependo in buona misura indicazioni altrui o adattandosi comunque alle pieghe della contesa fra .

30 A tti Roma 1919, p. 4. 31 Discorso D'ANDREA, in A tti Napoli 1917, pp. 5-6. 32 D. BARTOLOTTI, Il probletna coloniale e la guerra europea, in A tti Napoli 1917, p. 166. 33 Discorso D'ANDREA, in A tti Napoli 1917, p. 1 1 . 34 Il testo dell'articolo 13 è in M . ToscANO, Il Patto di Londra, Bologna, Zanichelli, 1 934, p. 1 6 1 . Sulla sua portata effettiva, v. G. A. CosTANZO, La politica italiana per l'Africa orientale, Roma, Istituto per l'Oriente, 1957, pp. 13-18 e M. ToscANO, Il problema coloniale italiano alla Conferenza della pace, in « Rivista di studi politici internazionali», 1 937, 3-4, pp. 263-296.

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le potenze maggiori. I nostri possedimenti, a parte la neocostituita Libia (allora ancora divisa in Tripolitania e Cirenaica), erano nella lontana Africa. Nella sua relazione a Napoli, Pedrazzi richiamò un suo studio da cui risultava che il commercio dell'Italia con i paesi del Nord Africa equivaleva a quattro volte quello con tutto il resto dell'Africa, Eritrea e Somalia comprese35. Anche l'ICI, prima della guerra, aveva concentrato al sua attenzione - pensando soprattutto all'espansione economica e alle imprese industriali - più sui Balcani e sul bacino orientale del Mediterraneo che sull'Africa 36. Il convegno nazionale di Napoli rivelò quanto fosse ancora attuale l'aspirazione a proporre la candidatura italiana a posizioni coloniali nel Nord Africa oltre la Libia. Un altro teatro ambito era l'Asia minore nella previsione di un disfacimento dell'Impero Ottomano. Gli « scru­ poli», come diceva Franchetti, sulla violazione della nazionalità altrui venivano accantonati con l'argomento che in Asia minore, mosaico di popolazioni e di culture diverse, non c'era una nazionalità e comunque i progetti italiani erano infinitamente inferiori alle conquiste di Francia e Inghilterra 37. La guerra aveva assunto un altro significato dopo l'intervento degli Stati Uniti, di moralità e di giustizia distributiva, ma il convegno fu egualmente invitato a evidenziare senza ambiguità le mete dell'espansione 38 . Il dibattito fece registrare una corsa al rialzo 39. Neppure !'« impreparazione» poteva essere un impedimento dirimente40• Il relatore principale, Pedrazzi, finì per apparire troppo « moderato » con i suoi appelli a tener conto dei rapporti di forza e ad escludere rivendicazioni dirette su Tunisia e Egitto, come alcuni degli intervenuti avevano chiesto 41.

. . 3s Relazwne pEDRAZZI, 1n A tti Napoli 1917, p. 23. 36 V. in proposito A. AQUARONE, Politica estera... cit., 2, p. 334, che ricorda il ruolo dell'Ici nel I congresso degli esportatori italiani in Oriente tenutosi a Venezia nell'ottobre 1909. 37 Relazione FRANCHETTI, in A tti Napoli 1917, pp. 67-68. 38 Intervento DI GERONIMO, ibid., pp. 50-51. 39 Intervento ALLEGRINI, ibid., pp. 22-23. 40 Ancora dall'intervento di Di Geronimo : «Mi permetta l'illustre sen. Franchetti che a � gr�do l'infmita ammirazione che io ho pel suo passato e la sua persona, rilevi che gl ltaham non debbano tendere ad una maggiore espansione coloniale» (ibid., p. 50). 41 s·l veda 1o scamb'10 fra Pedrazz1 e alcuni partecipanti, ibid., pp. 46-50. Materia del contendere erano l'impero tedesco, Tunisi, l'Egitto, l'Asia minore.

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con un La diplomazia italiana aveva allestito un intero dossier programma massimo e un programma minimo - a sostegno delle richieste in materia coloniale da sottoporre alle altre potenze42. · Nel suo complesso, il programma era centrato sull'Africa orientale. Il disegno era di «accerchiare» l'Etiopia e possibilmente di strappare concessioni tali da includere il regno abissino nella nostra sfera d'in­ fluenza economica e politica, senza escludere l'ipotesi estrema di un protettorato43. Essenziale era soprattutto la cattura di Gibuti, descritto come una « spina» da togliere, la « chiave» dell'Etiopia, l'anello man­ cante per valorizzare i possedimenti somali e naturalmente lo sbocco da chiudere per impedire all'Etiopia ogni alternativa 44• Le richieste stilate come un «pacchetto » politicamente ed economicamente com­ patto dal Ministero delle colonie ai tempi di Bettolini e Mattini ed assunte in proprio da Colosimo45, assistito dallo zelantissimo Giacomo Agnesa, direttore generale degli Affari politici del Ministero delle colonie, corrispondevano con molta puntualità all'elenco di cui all'or­ dine del giorno che la Società africana d'Italia aveva elaborato nel 1 9 1 5 e che venne approvato al convegno del 1 9 1 7. Fosse o no conosciuto, solo il programma massimo era in grado di appagare il convegno 46. Per l'Etiopia si chiede di ripristinare in -

42 Il programma è stato pubblicato dal Ministero delle colonie con il titolo Affrica italiana, Roma, 1917-1920, in 4 volumi, più un volume di appendice con l'indice (edizione segreta in 50 esemplari). 43 G. CALCHI NovATI, The Italian Colonia/ PrograJJJme and Claims on Ethiopia after First World War. Proceedings oj the Eighth International Conference oj Ethiopian Studies, Addis Ababa, Institute of Ethiopian Studies-Frobenius Institut, 1989, II, pp. 267-281. Di Gibuti parlò PEDRAZZI nella sua relazione sulla politica da seguire dopo la guerra, in A ttz Napoli 1917, pp. 139-140, con evidenti intenti rivendicativi, ma altri ammonirono a non �c�ntentare la Francia, che poteva riuscire utile alla nostra politica etiopica (intervento ANNONI, tbzd., pp. 27-28). Su Gibuti v. soprattutto F. SALATA, Il nodo di Gibuti, Milano, Ispi, 1 939, ma anche A. PiccoLI, Gibuti, la freccia nel fianco, in « Rassegna storica del Risorgimento», 1934, 1, pp. 73-124. 45 Gaspare Colosimo fu ministro delle colonie nei governi Boselli e Orlando dal 1916 al 1 919. Dagli scritti e appunti di Colosimo è stato ricavato il volume Opera tratta dagli scritti di Gaspare ColosÙ!lo (1916-1919), Pompei s.e., 1959. 46 La mozione approvata dall'assemblea dei soci della SAI il 24 gennaio 1915, in Atti Napoli 1917, p. 10. Al convegno del 1917 fu approvato un ordine del giorno articolato in 6 punti (ibid., pp. 52-53).

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tutta la loro efficacia i protocolli del 1 89 1 e del 1 894 così da assicu­ rare all'Italia « l'esplicazione di un'azione commerciale e politica » ; per l'Eritrea di integrare nella colonia la zona di Cassala garantendo «i secolari rapporti economici tra l'Eritrea e l'opposta sponda del mar Rosso » ; per la Somalia un ampliamento a quello che viene definito « l'intero suo hinterland geografico » predisponendo « con opportuni accordi il congiungimento territoriale, all'interno e lungo il mare, tra la Dancalia e la Somalia italiana e lo sfruttamento degli sbocchi e delle vie dell'Barrar» ; per la Libia una nuova delimitazione dei confini per « assicurare politicamente ( . . ) le vie commerciali alla regione del lago Ciad». Un richiamo esplicito al Jubaland è compreso nelle relazione di Pedrazzi 47. A parte veniva considerata l'Asia mino­ re, oggetto di un apposito ordine del giorno votato dopo una disputa piuttosto accesa sui limiti da fissare48 . La potenza necessaria allo sviluppo economico e politico dell'Italia esigeva il dominio dell'A­ driatico in modo assoluto e del Mediterraneo in condizioni eguali a quelle delle altre potenze marinare ; una « libera e sicura navigazione potrà aversi solo con il diretto dominio sulle sponde opposte »49. Tanta sicurezza derivava dai diritti acquisiti dall'Italia grazie al suo contributo alla vittoria comune. A guerra conclusa - il convegno del 1 9 1 9 si svolse peraltro quando non erano ancora chiare le tendenze che avrebbero ispirato la confe­ renza della pace - l'Italia non poteva che essere più pressante. Deposte le ultime riserve sui diritti delle altre nazionalità, il solo criterio di misura era il nostro rapporto con le grandi potenze (ed è appunto questo vero o presunto potere contrattuale la differenza sostanziale fra i convegni del primo e quelli del secondo dopoguerra, quando la sconfitta costringerà a tutt'altra impostazione). Anche le speranze o le illusioni sui vantaggi economici e commerciali della formazione di importanti colonie all'estero erano crollate o vacilla­ vano paurosamente50 . .

47 PEDRAZZI, ibid., p. 152. 48 Il dibattito e il voto sull'ordine del giorno relativo all'Asia minore, ibid., pp. 75-77. 49 BARTOLOTTI, ibid., p. 171.

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AQUARONE, Politica estera. . . cit., 2, p. 317.


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Il convegno nazionale coloniale per il dopo guerra delle coloni� · che si inaugurò con solennità a Roma in Campidoglio il 1 5 gennaio 919 aveva l'obiettivo di far sostenere da una manifestazione insieme· d studiosi, di politici e di pubblico le richieste italiane in fatto di colonie. Il convegno si trovò a fare i conti con i problemi affrontati due anni prim� a apoli nel convegno della SAL Non tutte le ambiguità rivelate dal d1b�tt1to del 1917 erano state sciolte. Restava soprattutto il contrasto fra la hbertà �he l' talia diceva di voler realizzare per sé e per gli altri . - ora che gh 1mpen centrali, con quanto di autoritario e repressivo essi a:eva�o r ppresentato, erano stati sconfitti e ridimensionati - e la pretesa . di arncc ue 11 «patrimonio » coloniale. Gli appelli del presidente ameri­ cano W1lson a favore dell'autodeterminazione, anche se di difficile trapia�to in fric o in Asia con i parametri culturali dell'epoca, _ complicavano 1nev1tabilmente i nostri piani coloniali. Il sillogismo con cui l'o n. Theodoli cercò di far collimare le riven­ dicazioni coloniali dell'Italia con i valori formulati da Wilson era che la pace doveva permettere alle singole potenze di dedicarsi alla loro opera coloniale in piena tranquillità e sicurezza. L'Italia aveva solo biso no di affermare la propria parità nel concerto delle potenze, e in part1colare nei riguardi di Francia e Gran Bretagna, alleate e nello stesso tempo controparti al tavolo della pace 51. Soddisfacendo i suoi «imperiosi» problemi di spazio l'Italia avrebbe concorso a ristabilire l'equilibrio nel continente africano e nel Mediterrane0 s2. Il diritto all'autodecisione era percepito bensì come antitetico all'e­ spans ne �oloniale53, ma si negava che tale principio - «in cima ai nostn 1de h anche in Africa» - fosse merce di facile esportazione in quel contmente54. Ad altri «il semplicismo anticoloniale di certi am-

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5 1 Relazione THEODOLI, in Atti Ro111a 1919, p. 16.

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Relazione NICOLA, ibid., p. 85. Intervento MoRI, ibid., p. 1 10. 54 Relaz one C!AMARRA, ibid., p. 95. L'ordine del giorno approvato al termine della relazione . Cla a ra dice che «la estensione d l principio di autode cisione alle popolazioni africane . _ a z1che g10:are a a gr duale loro 1nd1pen denza si presterebbe invece, nell'imminente sistema Zione colomale, al particolari fini delle nazioni europe e» e si limita ad ausp1· · = = �li� 10 " d"1gena smceramente concorde fra le nazioni interes sate nell'Africa del N or d » (l"bl·d, pp . 784-785). 53

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bienti americani ed europei» appariva « ingiusto e superficiale» e come tale veniva senz'altro respinto55• L'« ideologia» che suffragava l'espan­ sionismo si fondava sulla correlazione democrazia-capitalismo-civiliz­ zazione56 il cui saldo attivo attraverso il colonialismo soverchiava ogni possibile diritto delle popolazioni africane. Il rapporto con gli «indigeni» si proponeva a vari livelli : la loro ammissione alla cittadinanza, lo sviluppo delle colonie, la buona ammi­ nistrazione. Il problema era particolarmente sentito per la Libia. La sconfitta sul campo veniva spiegata anche con gli errori che erano stati commessi verso gli indigeni dopo le aspettative che erano state suscitate57• Ci fu persino chi chiese l'apertura di una inchiesta parlamentare, salvo far rientrare tutto con il richiamo consolatorio agli interessi superiori dell'Italia, già messi alla prova da una dura tenzone diplomatica 58 • Una questione aperta era lo « scambio » con i nostri alleati. In un intervento al convegno Tittoni spiegò chiaramente che « O domandiamo un compenso per le colonie tedesche che sono attribuite alla Francia e all'Inghilterra, o domandiamo una parte delle colonie stesse, ma non le due cose insieme» 59• Ciò nonostante, ci fu chi sollevò la questione

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Relazione NICOLA, ibid., p. 83. Intervento DI CESARò, ibid., p. 35. 57 «Ma io ricordo all'assemblea che i nostri indigeni hanno combattuto anch'essi nelle nostre trincee e per una causa che non era la loro ( . . .) Ora a questi indigeni volete o non volete, da un punto di vista generale, che siano riconosciuti dei diritti alla Conferenza della pace? E chi tutelerà questi diritti?» (Intervento Ciamarra, ibid., p. 1 69). Accenti a favore delle popolazioni arabe anche nella relazione di GioVANNI MARTIN!, ibid., pp. 267-278 (in particolare pp. 272 e 278). Nel suo intervento Schanzer auspicò in Libia « una politica di collaborazione con gli indigeni che non deve affatto implicare nessuna rinunzia al nostro prestigio» (ibid., p. 294). V. L GoGLIA, Note sul razzismo coloniale fascista, in «Storia contemporanea», 1988, 6, p. 1233. 58 L'ordine del giorno che chiedeva la costituzione di una commissione d'inchiesta, sottoscritto da G. Martini e altri, fu oggetto di violentissime polemiche, di cui si trova traccia in vari punti del dibattito, ma alla fine Martini annunciò che i firmatari accettavano le esortazioni a desistere e che l'idea era sospesa ma non abbandonata ove il ministero non si fosse conformato alla strada segnata dal congresso (ibid., pp. 311-312). Ferdinando Martini intervenne per dirsi pronto, per quanto lo riguardava come amministratore e come ministro, ad essere giudicato da una commissione d'inchiesta (ibid., p. 308). 59 Intervento TITTONI, ibid., p. 28. Dall'opera di Colosimo (Opera tratta dagli scritti... cit., p. 124) si deduce che l'esatto contenuto del patto di Londra fu tenuto segreto agli stessi ministri rendendo più complicata la politica negoziale sulle colonie durante la conferenza della pace. 56


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del Camerun per dare ai possedimenti nordafricani uno sbocco fino all'oceano 60 • Un altro modo per superare il patto di Londra poteva essere l'«internazionalizzazione» del bacino del Congo61, un riferimento forse involontario all'equivoco che si era verificato nel 1 884-85, qÙando il pretesto di disciplinare il libero scambio nel Congo aveva di fatto scatenato la spartizione dell'Africa. C'era anche una difficoltà di carattere sostanziale. Per effetto delle vicende belliche, l'Italia aveva praticamente perduto la Libia, ridotta per la parte sotto la sovranità italiana a Tripoli e a poche posizioni fortificate nelle città del litorale62, e ciò insinuava qualche dubbio sulla proponibilità e credibilità di un programma di espansione colo­ niale troppo esteso 63• Era anche evidente ormai che, almeno nelle condizioni esistenti, i possedimenti italiani non erano particolarmente adatti per quell'insediamento massiccio di « coloni» che era un po' il Leitmotiv e l'elemento qualificante di un colonialismo che si voleva determinato da problemi di « demografia» 64• Visti i suoi obiettivi, che non erano solo interni, il convegno doveva evitare di far trapelare che «noi italiani siamo incapaci di civilizzare » 65, perché l'Italia ne sarebbe stata danneggiata nelle non facili trattative

che l'aspettavano. L'ordine del giorno che venne approvato dal con­ vegno, così, copriva tutte le latitudini : alcuni wilqyet in Asia minore ; l'Africa orientale con Gibuti, il Somaliland e il Jubaland ; la Libia con spostamenti vari dei confini e il diritto di costruire nuove ferrovie verso il Ciad ; l'Arabia con le isole Farsan e se del caso lo Yemen ; uno sbocco nell'Africa occidentale 66• Il tutto nella speranza di impres­ sionare gli alleati e di rafforzare la posizione negoziale dell' t�lia �7 • . Fin dai primi incontri con Francia e Gran Bretagna i delegati 1tahan1 lasciarono intendere di volersi attenere al programma di cui l'autore «politico » era Colosimo 68, discostandosi dalle « semplici rettifiche i frontiera» contemplate nell'articolo 1 3 del patto del 1 9 1 5 . Tutto 1l programma coloniale italiano era sovrastato dal sogno segreto di prendere una rivincita sull'« onta» mai cancellata di Adua impos� es­ sandosi dell'Etiopia. E con quelle premesse il « realismo » cedeva me­ vitabilmente all'<wltranzismo », come non mancarono di rilevare i nostri rivali-interlocutori sia alla conferenza della pace che nelle trattative bilaterali 69. I negoziatori francesi e inglesi finirono per mettersi su una posizione difensiva perché quelle richieste intaccavano interessi conso­ lidati di Parigi e Londra, nelle loro colonie (Gibuti, Somaliland, Kenya,

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60 Intervento CASILLI, in Atti Ro11ta 1919, p. 33 (la striscia di terra poteva eventualmente essere trasformata in una ferrovia dal Nord Africa all'Atlantico : così G. MARTIN!, ibid., p. 67). L'ordine del giorno votato sulle colonie tedesche auspica che all'Italia venga assicurata una parte almeno uguale a quella degli alleati nella ripartizione coloniale dei territori conquistati (ibid., p . 784). 61 V. l'ordine del giorno proposto da OAMARRA, ibid., p. 103. Un richiamo al «liberalismo economico» per l'Africa centrale, accompagnato «ad una vigorosa tutela degli indigeni», � compreso nel già citato ordine del giorno approvato sulla politica indigena (ibid., p. 785). E chiaro che il «regime internazionale» è invocato dove l'Italia non ha influenza diretta e rifiutato nelle nostre colonie. 62 A. DEL BocA, Gli italiani.. . ci t., pp. 205 e seguenti. 63 « Voi stessi avete detto che in sei anni di occupazione della Libia ne avete profittato oltre che per dissipazioni, anche per irregolarità gravissime come qualcuno ha accennato, in tal modo noi ci precludiamo la strada a domandare quell'altro che avete domandato con altri ordini del giorno, cioè la partecipazione dell'Italia ai frutti della vittoria che deve consistere nell'assegnarci delle colonie che soltanto gente civile ed evoluta ha il diritto di possedere» (intervento VASSALLO, in A tti Roi!Ia 1919, p. 310). 64 Lo ammise lo stesso presidente dell'Ici e del convegno, ERNESTO ARTOM, nel discorso d'apertura (ibid. , p. 6). 65 Intervento D1 CESARò, ibid., p. 35.

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Ibid., pp. 783-784. L'ordine del giorno elencava una s�rie di presupposti �he, di fatt�, , . ricordato il contributo dell'Italia alla guerra vittoriosa, affermavano la necess1ta che l Itaha avesse un ruolo maggiore negli equilibri generali, di cui la questione coloniale era un fattore cruciale. A parte fu approvato un ordine del giorno a favore dell'assegnazione di una «vasta zona di penetrazione» in Asia minore (ibid., p. 784). Altri ordini del giorno, infine, chiedevano che venisse facilitato il « concorso della capacità produttiva e demografica» dell'Italia alla colonizzazione portoghese dell'Angola (ibid., 789) e che l'Italia fosse più direttamente coinvolta nei mercati dell'Estremo Oriente (ibid., pp. 791-792). 67 «Noi vogliamo far sentire la voce del paese, cioè la voce dei bisogni e degli teressi d'Italia nella politica coloniale», senza «equivoci né soverchie ideologie» per rest� re «m quel _ terreno pratico che possa fruttare vantaggi al nostro paese» (intervento CorrAF�VJ, tbtd., p. 104). 68 L'ultima versione delle istanze italiane prima della fme della guerra e un memorandum del 30 ottobre 1 9 1 8, modellato sul programma massimo, con l'aggiunta di una traccia per l'ormai imminente conferenza della pace (Docu!Jtenti diploiiJatici italiani, serie VI, 1, n. 436). Il 5 gennaio 1919, inoltre, fu consegnato alla delegazione italiana alla conferenza uno schema con il dettaglio delle singole richieste (ibid., n. 853). . . 69 Per decidere come applicare l'art. 13 del Patto di Londra fu istituita una commlssmne a tre nell'ambito della conferenza della pace che si riunì quattro volte nel magggio 1919. In sedi separate l'Italia negoziò con la Francia per i confini della Libia e con la Gran Bretagna per il confine fra Libia e Egitto e soprattutto per la cessione del Jubaland.


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Ciad, ecc.) e nella stessa Etiopia, per la quale valeva sempre il trattato tripartito del 1 906 (che non a caso uno dei punti del 'p rogramma coloniale italiano chiedeva di abrogare). Sui dubbi che l'Italia vol�sse stabilire surrettiziamente un protettorato sull'Etiopia c'è la testimo­ nianza dell'americano Beer, diplomatico e storico 70, e non diversa è l'opinione di Hess 71 • Al convegno del 1 9 1 9, invece, Cerulli aveva avuto parole di rispetto per l'indipendenza politica dell'Etiopia 72• Di fronte alla scarsa ricettività delle controparti, l'Italia dovette via via ripiegare. I soli risultati concreti furono alcuni ritocchi dei confini libici e l'annessione del Jubaland (Oltregiuba) alla Somalia. Il Jubaland, paradossalmente, rappresentava una posta secondaria e forse strumen­ tale. Nel progetto originario del 1 9 1 4, esso aveva pochissimo rilievo e non si parlava anzi di Jubaland ma della sola baia di Chisimaio, al più, si diceva in un altro documento, con un retroterra « ristretto al minimo possibile indispensabile» 73 • Colosimo era certamente il ministro italiano più fervoroso nel so­ stenere la causa coloniale. Scrive Costanzo che « dai primi giorni dell'assunzione delle sue funzioni di governo nel giugno 1 9 1 6 [il Colosimo] aveva sempre tenacemente lavorato per preparare e sostenere le richieste coloniali dell'Italia per il dopo guerra» 74• Il convegno in Campidoglio gli apparve un momento importante per galvanizzare l'attenzione generale 75• Già durante la guerra aveva domandato al

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70 G. L. BEER, AfricatJ Questions at the Paris Peace Conftrence, Ne York, 1923, Macmillan, p. 398. 7 1 R. L. HEss, Italy and Africa: Colonia/ Ambitions in the First World War, in «Journal of African History», 1 963, 1, pp. 106 e 1 1 1 . 72 E . CERULLI, I rapporti ila/o-abissini nel dopoguerra, in Atti Roma 1919, pp. 185-191 . L'ordine del giorno approvato sull'Abissinia si limitava a fare voti perché «l'Italia e l'Abissinia, non divise da alcun interesse nel campo politico, favoriscono con opportune intese i rapporti economici e culturali» (ibid., p. 786). Le dichiarazioni ufficiali dell'Italia che andavano normalmente nel senso di non attentare all'integrità dell'impero del negus, permettono a Costanzo di smentire progetti coloniali in questa fase della nostra politica etiopica (cfr. G. A. CosTANZO, La politica italiana .. . cit., pp. 54-81). 73 G. CALCHI NovATI, L'annessione de/1'0/tregiuba nella politica coloniale italiana, Roma, Istituto italo-africano, 1 985. 74 G. A. CosTANZO, La politica italiana . . . cit., p. 1 1 . 75 Colosimo intervenne al convegno nella sua qualità d i ministro delle colonie e vi pronunciò il primo discorso (in Atti Roma 1919, pp. 3-5). In una lettera al presidente del consiglio del 29 gennaio 1919, Colosimo scriveva che il convegno di Roma lasciava presagire un risveglio della «sonnecchiante» opinione pubblica italiana (ARcHMomSTATODI CATANZARo, Carte Colosimo, b. IV/9).

sse direttament� della presidente del consiglio che il governo �i oc�up� rollato e mcon­ qu estione coloniale sottraendola a un d1batt1to mcont e aveva dato cludente' fra tendenze «imperialistiche» e « rinuncia», . 76 • Nel febbra10 due interviste alla «Tribuna» per rompere l'indifferenza intera situa­ 1 9 1 8 presentò un'impegnata relazione al Parlamento su.ll . p �es1de�t� 1l es1 compr zione coloniale. I suoi colleghi di governo a Pang1 del consiglio e il ministro degli esteri Sonnino - e i negoziaton nque quantu �ma, erano ben poco convinti dell'attuabilità del progra quanto retrocesso allo schema minimo (in cui non era tanto il Jubaland da ente impot Gibuti ad avere la preminenza) 77 • Colosimo assistette del 1 7 Roma al tracollo del suo «grande» disegno. In una lettera i luglio 1 9 1 9 al ministro delle colonie Rossi, succeduto a Colos mo, d1 nuovo ministro degli esteri Tittoni prendeva atto della concluswne amma tutto un capitolo della politica coloniale italiana : . « <l progr e: o ; integrale di codesto ministero era certamente organ�co � compl pratlca ma, oggi, risponde a concetti teorici, più che a una s�tuazwne nostra la e 1mpon che e reale. Sfortunatamente è questa situazione reale 8• vero linea di condotta alla quale ci è giocoforza attenerci» 7 Un e proprio epitaffio . . . 1917 La mobilitazione che si era voluto ottenere con 1 convegm del a a d'Itali :ev_a e del 1 9 1 9 era u n pallido ricordo. La Società africana . twpl­ incalzato il governo affinché accendesse un'ipoteca �ull'1�pero � sulla co 79. L'Istituto coloniale italiano aveva dirottato 1 suol sforzl Libia e sulle altre colonie . Ma Colosimo era il primo a rendersi cont� quasl di muoversi in un ambiente molto incerto. La Libia aveva perso territori tutta la sua attrazione. Ci si sentiva inadempienti già nei lo sottoposti all'amministrazione diretta (i rovesci militari in Libia,

giugno 1918. Le due interviste a «Tribuna» sono del 30 gennaio e del 30 i di chi chiedeva di approcc gli fra ilità conciliab 77 Fra l'altro Colosimo difendeva la i alla lettera del atteners voleva chi di e tedesche ie ex-colon delle ne partecipare alla spartizio era d'accordo non Orlando Patto di Londra (Affi"ica italiana . . . cit., II, III, pp. 27-29), mentre con questa impostazione (ibid., pp. 56-57). 78 La lettera in F. SALATA, Il nodo. . . cit., p. 235. . . azione diretta, un nchiamo 79 Se il convegno di Roma si era astenuto da una rivendic Ieta 1n una r1uruone a NapoIi i! esplicito all'Etiopia è compreso nella mozione approvata dalla . so� . Roma, b. 1 58/2, fase. 8). t!a/zana, Afi·zca ESTERI, AFFARI RO MINISTE 5 gennaio 1 91 9 (ARCHIVIO STORICO 76

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stato di disorgazizzazione e semianarchia della Somalia, l'interrùzione delle comunicazioni con l'Eritrea). Proprio il dibattito in Campidoglio aveva provato che la corporazione raccolta dietro le bandiere dd . colo­ nialismo - combattuta fra l'entusiasmo, la delusione e l'autocritica - non attraversava un momento particolarmente fortunat9 malgrado i ricono­ scimenti ad altissimo livello che avevano gratificato il convegno. L'espansione coloniale continuava ad essere un «mito» con cui alimentare il nazionalismo, ma gli interessi che riusciva a spostare erano pur sempre limitati, in un paese che, malgrado la fierezza della «vittoria», usciva dalla guerra con i problemi gravissimi di ricostruzione. Sarà solamente dopo l'instaurazione del fascismo che il colonialismo e l'imperialismo in Italia ritorneranno in piena auge, non solo per la consonanza con l'ideologia del nuovo regime, ma come strumento di dominio oltre che come mezzo per allentare, anche attraverso l'emigrazione verso le colo­ nie, la conflittualità sociale e l'opposizione politica. Da questo punto di vista, le occasioni in cui il pensiero coloniale italiano ebbe modo di esplicarsi in tutte le sue dimensioni - politiche, culturali, economiche, scientifiche - furono i tre congressi di studi coloniali che si tennero negli anni '30 (il primo a Firenze nell'aprile 1 93 1 , il secondo a Napoli nell'ottobre 1 934, il terzo a Firenze e Roma nell'aprile 1 937). « Malgrado il nostro mezzo secolo di storia coloniale, non può dirsi che una politica coloniale vera e propria - cosi econo­ mica, come sociale, come militare - si sia avuta in Italia prima del fascismo» 80• Il giudizio, che è del 1 937, era evidentemente interessato, ma aveva pure un suo fondamento. L'Italia entrava nel pieno contesto dell'imperialismo anche sotto il profilo del dibattito, degli approfondi­ menti, dell'accademia. Con il grave difetto d'origine che il sistema nel quale era avvenuto quel salto aveva concepito e realizzato il coloniali­ smo come uno sfoggio di imperio accompagnato da una violenza rozza e incontrollata e inibiva per principio, anche in Italia, data la sua vocazione totalitaria, ogni spazio di pluralismo e libero confronto, mentre nelle altre nazioni europee gli studi coloniali conservarono malgrado tutto le caratteristiche di una disciplina critica.

Le voluminose raccolte degli atti dei tre simposi 81 forniscono una buona traccia di come si svolgeva la ricerca coloniale e di quali fossero le piste più battute per ricavare dalla presenza coloniale (nel congresso del 1 937 fu passata in giudicato anche la costituzione dell'impero) tutti i vantaggi possibili. Si era formata in Italia una scuola di sicuro prestigio per gli studi storici, etnologici e linguistici relativi soprattutto al corno d'Africa (Cerulli, Conti Rossini, Guidi, Puccioni, ecc.), che, in forme più o meno compiacenti per il colonialismo, aveva comunque permesso conoscenze valide in sé. Non sempre l'expertise era tenuta d'altronde nel debito conto e non di rado gli autori erano costretti a conformarsi alla volontà del potere. Un esempio per tutti, rivelatore perché apparentemente «innocuo », è fornito dalle dotte dissertazioni di Nallino e Cerulli sulla questione del califfato nella storia dell'Islam 82, intese in realtà a favorire i rapporti dell'Italia con quei paesi arabi che si riteneva più disponibili o a facilitare l'annessione della Libia. Re­ sponsabilità dirette comportavano gli studi che avallavano la guerra, la sopraffazione e l'usurpazione, ma erano in funzione dell'espansione e della colonizzazione anche gli studi sull'agricoltura, sulla geografia, sul sottosuolo, sulla comunicazioni, sul clima, sulla biologia, ecc. La relazione di Ernesto Cucinotta al congresso del 1 931 non ne faceva mistero e sanzionava infatti il rapporto subordinato che in quella contingenza politica avevano gli studi : « L'espansione coloniale oggi, più per noi che per altri, è una necessità ed occorre prepararla» 83• Nel discorso d'apertura del congresso del 1 937 il ministro Lessona diede addirittura il benservito agli studi coloniali : « Ora è necessario tendere alle rapide realizzazioni» 84•

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80 E. LAMA, Presupposti corporativi deltecono11Jia coloniale, in Atti Firenze-Ro1lla 1937, vm, p. 55.

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81 V. A tti Firenze 1931; Atti Napoli 1934; A tti Firmze-RoJna 1937. 82 E. CERULLI La q11estione del califf ato in rapporto alle nostre colonie di diretto doJJJinio, in A tti

Napoli 1917, pp. 217-224 e C. A . NALLINO, App11nti s111la nat11ra del califfato in gmere e s11l pres11nto califfato otto11Jano, Roma, Ministero delle colonie, 1917 (ora anche in Raccolta di scritti editi o inediti, Roma, Istituto per l'Oriente, II, pp. 387-410). 83 E. CuciNOTTA, Gli st11di gi11ridici coloniali in Italia, in A tti Firmze 1931, V, p. 36. In un'ampia rassegna bibliografica presentata al congresso del 1937, Raffaele Ciasca ammette che la ricerca storica in Italia sul colonialismo era stata «condizionata» dall'interesse politico della nazione (in A tti Firenze-Rol!la 1937, IV, p. 1 68). 84 Discorso Lessona, in A tti Firenze-Roma 1937, l, p. 62.


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Molti dei relatori e degli studiosi che animarono i con:vegni appar­ tenevano agli istituti e alle associazioni che avevano svolto . la loro opera come anticipatori o sostenitori del colonialismo e prima ancora dell'esplorazione geografica o della penetrazione economica e com­ merciale. Per le questioni connesse alla valorizzazione. della terra veniva messa a frutto, per esempio, l'opera dell'Istituto agricolo coloniale italiano che agiva a Firenze dal 1 904 85 • Il colonialismo italiano aveva imparato a sue spese che i « coloni» da soli non creano le colonie. Raimondo Franchetti dovette riconoscere nella sua relazione al congresso del 1 931 che le possibilità di potenzia­ mento della colonia Eritrea dipendevano dai capitali che vi sarebbero stati investiti 86• Il problema del capitalismo in colonia fa in qualche modo da contrappes o all'ideologia imperialista che si affida a una visione artificiale della storia di Roma o del Mediterraneo. Al con­ gresso del 1 937 Gennaro Mondaini, certamente uno dei conoscitori più solidi del fenomeno coloniale, tratteggiò una storia dell'evoluzione dell'imperialismo mondiale dall'« empirismo coloniale» al « razionalismo coloniale» , dalla colonizzazione « spontanea » a quella « riflessa» in funzione della «colonizzazione capitalistica integrale» 87 • Numerosi sono gli studi sul popolamento delle colonie. Nel 1 931 era stato effettuato il censimento 88• L'esatta gerarchia fra emigrazione e colonizzazione, che aveva a lungo condizionato il sistema coloniale italiano, è colta con precisione da Mondaini là dove dice che « la colonizzazione è sempre e comunque un'opera politica, un'azione cioè di Stato », altrimenti è, riduttivamente, « migrazione» 89• Anche Barto­ lommei-Gioli riconsiderò l'emigrazione chiamandola un « colonialismo senza bandiere»90 • Con la fondazione dell'impero affiorano i problemi

dell' «indigenato, trattati con notazioni che sconfinano nel razzismo 91 . La colonizzazione agraria dovrebbe risolvere gli effetti dell'eccesso demografico nelle metropoli e nello stesso tempo dovrebbe incremen­ tare la produttività delle colonie92 . Fra gli apporti che confluiscono nel colonialismo c'è l'opera dei missionari, a cui dedicò una relazione di spicco Agostino Gemelli nel congresso del 1 931 : «<l missionario è un uom o che applica la sua attività esclusivamente dal punto di . _ _ v1sta rehgwso», «non deve fare del nazionalismo » perché non sarà ascoltato se si presenterà come un emissario dello Stato italiano ma implicitamente «promuove la grandezza, lo sviluppo, la influenz del suo paese»93• L'esigenza di una maggiore integrazione economica fra la madre­ patria e le colonie ritorna in molte relazioni dei tre congressi. L'Italia è così debole, e così modeste sono le risorse conosciute dei suoi possedimenti africani, che può permettersi di auspicare un sistema neoliberista, nella speranza di non essere tagliata fuori dalle colonie al�rui, ec�nomicamente ben più promettenti anche per le nostre merci e 1 nostr1 mercati 94• Tanto più la libertà d'iniziativa economica do­ vrebbe essere garantita nei mandati istituiti dalla Società delle nazioni che invece sono stati « travisati» dalle potenze mandatarie impadro� _ esclusiva ed impedendo « una comune operosità econonendosene 1n . m1ca» 95 . G'mseppe Vedovato dimostrò sulla base della letteratura che lo Stato mandatario non ha alcun « diritto soggettivo sul territorio

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85 O. PEDRAZZI, L'opera dell'Istituto . . . cit., pp. 337-350. 86 R. FRANCHETTI, Possibilità di espansione della nostra colonia Eritrea, in Atti Firenze 1931, III, p. 368. 87 G. MoNDAINI, L'evoluzione coloniale nell'epoca moderna e contemporanea : dal mercantilismo al corporativismo, in A tti Firenze-Roma 1937, I, p. 107. 88 R. GALLO, Le popolazioni delle colonie e possediJmnti italiani secondo il censiJmnto del 1931, in A tti Napoli 1934, IV, pp. 237-289. 89 G. MoNDAINI, Processi spontanei e processi riflessi nella storia della colonizzazione, ibid., II, p. 273. 90 G. BARTOLOMMEI-Gmu - A. LESSONA-G. VALENSIN, L'Italia nella sua missione coloniale, ibid.,

II, p. 336.

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91 L. LIVI, I fondamenti bio-demografici della colonizzazione di popolallJe/lto, in A tti Firenze-Roma 1937, :'I�, pp. 7-24 ; SAvoRGNAN, Il contatto tra popoli civili e naturali e il problema dell'estinzione _ pp. 89-100; G. V. GIGLIOLI, Considerazioni su alcuni aspetti del complesso delle stnpt selvagge, tbtd., ((?roblema del colore» nella colonizzazione africana, ibid., pp. 121-126. Come nota Goglia (Note . . . clt., pp. 1257 e seguenti), esplicita era l'intenzione razzista del convegno Volta del 1938 (Roma, Reale Accademia d'Italia, 1 939). 92 E. MAssi, La partecipazione delle colonie alla produzione delle 111aterie prime, ibid. , VIII, pp. 14-15. 93 A. GEMELLI, Il contributo dei tJJissionari alla attività coloniale, in Atti Ft're•tze 1931 , IV, pp. 277-288. 94 G. DE MICHELIS, Le terre coloniali al servizio di un altro secolo di prosperità nel Jllondo, in A tti Napoli 1934, V, p. 304. 95 R. TRITONJ, Mandati e colonie nell'odiema politica coloniale, in Atti Firenze-Roma 1937, II, p. 37. V. anche DE MICHELIS, Le terre coloniali... cit. , p. 304

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. sottopo sto a mandato » 96• Il dibattito sui mandati antlctpa il tema centrale dei convegni del secondo dopoguerra, quando le diverse circostanze avrebbero consigliato un curioso ribaltamento delle · ar­ gomentazioni. Nel corso della seconda guerra mondiale le colonie italiane andarono perdute. Nel 1 941 l'imperatore Haile Selassie ripristinò il suo potere sul trono d'Etiopia, esattamente cinque anni dopo l'ingresso di Bado­ glio a Addis Abeba, e la Gran Bretagna occupò con la forza delle armi tutti i territori di quella che era stata l'Africa orientale italiana. Nel 1 943 seguì la sconfitta in Libia. L'Italia perse una seconda volta le colonie al tavolo del negoziato, perché il trattato di pace impose la rinuncia incondizionata a ogni diritto sulle sue ex-colonie in Africa97 • Nonostante la drasticità di quel verdetto, l'Italia - governo, forze politiche, opinione pubblica, gruppi di pressione, studiosi e funzionari coloniali - non abbandonò la speranza di un « ritorno » in Africa, almeno parziale o a termine. Le ex-colonie furono oggetto di lunghe trattative, con le grandi potenze e all'ONU98, che - non senza perduranti ambiguità e strumentalismi - segnarono il passaggio dal colonialismo al dopo-colonialismo. Il tutto sullo sfondo di un faticoso recupero da parte dell'Italia di una rete di alleanze politiche ed economiche in grado di porre fine all'isolamento dopo il fascismo e la catastrofe della guerra. Volto dichiaratamente a difendere le posizioni italiane fu il con­ gresso nazionale per gli interessi del popolo italiano in Africa, pro­ mosso a Roma il 4-6 maggio 1 947 dall'Istituto italiano per l'Africa, nuova denominazione del ricostituito Istituto coloniale italiano99 • Gli interessi che ci si proponeva di tutelare erano soprattutto quelli degli italiani residenti nelle ex-colonie, ma di fatto il congresso finì per essere una testimonianza generale a favore dell'opera italiana in Africa con un'implicita rivendicazione a livello politico. La sola 96

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G. VEDOVATO, La risoluzione dei mandati internazionali ed i trattati franco-siriano e franco-libanese, in A tti Firenze-Rol!Ja 1937, II, p. 40. 97 Il testo del trattato di pace in « Relazioni internazionali», 1947, 7, pp. 1 1 1-133. 98 G. L. Ross1, L'Africa italiana verso !indipendenza (1941- 1949), Milano-Varese, Giuffrè, 1980. 99 Un resoconto dei lavori in « Affrica», 1947, 5-6, pp. 100-102.

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limitazione era il riconoscimento dell'«illegalità» della conquista del­ l'Etiopia 1 00• Da qui la distinzione un po' capziosa fra colonie fasciste e prefasciste 1 01 . Il congresso si aprì sotto la presidenza del capo dello Stato, Einaudi. In un telegramma di saluto, il ministro degli esteri augurava che i suoi lavori potessero rendere «un servizio all'Italia e alla causa della civiltà» indicando come referenti impliciti i popoli « con cui intendiamo colla­ borare nell'interesse economico comune» 1 02• Questa scelta di campo qualificherà tutta l'azione di Sforza e la sua conduzione della questione coloniale 1 03• Fra le relazioni, quella del governatore coloniale Astuto prendeva atto dei nuovi principi della carta di San Francisco e del risveglio dei popoli arabi auspicando che, « chiusa la fase coloniale», si aprisse in tutta l'Africa per l'Italia una fase di collaborazione fondata sul lavoro ; l'oratore prevedeva la formazione nel continente africano di «comunità europee svincolate dalle rispettive metropoli» che avreb­ bero assunto « la tutela delle popolazioni native» 1 04• Molti oratori, fra cui l'on. Ambrosini, proclamarono il diritto dell'Italia ad essere desi­ gnata per l'amministrazione fiduciaria della Libia, dell'Eritrea e della Somalia 1 05• Le « rivendicazioni nazionali» trovarono consensi anche fra i rappresentanti dei partiti di sinistra 1 06, che pure partivano da un presupposto formalmente anticoloniale. Nenni superò l'aporia propo­ nendo che la soluzione fosse «in fùnzione del lavoro [italiano] e in

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A. Basso si sorprende che in sede di trattato di pace ci si sia occupati di territori «la cui appartenenza all'Italia nulla ha a che vedere con le aggressioni fasciste» (lv., Le colonie italiane, in «Relazioni internazionali», 1947, 7, p. 108). 101 È un argomento che è sottinteso in tutte le posizioni italiane e che figura già nelle _ . direttiVe trasmesse da De Gasperi il 14 luglio 1 945 (ARCHIVIO STORICO MINISTERO AFFARI ESTERI, Ambasciata Parigi, b. 337). V. anche I. NERI, La sorte delle colonie italiane, ìn «Relazioni internazionali», 1 947, 1 6, p. 254. 102 « Affrica», 1 947, 5-6, p. 100. 103 G. CALCHI NovATI, La sistet!lazione delle colonie italiane dell'Africa Orientale e i condiziona­ _ menti della guerra fredda, in Le guerre coloniali del fascismo, a cura di A. DEL BocA, Roma-Bari, Laterza, 1 991, pp. 51 9-548. 4 10 «Affrica», 1947, 5-6, p. 1 0 1 . 5 10 Ibidem. 6 10 Così viene riassunto l'intervento del comunista on. Grieco : « Qualora venisse adottata la soluzione degli autogoverni il partito comunista pensa che noi potremmo intenderei a meravigli con le popolazioni africane ma in caso contrario abbiamo i titoli per chiedere l'amministrazione fiduciaria» (ibidem).


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Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra

Giampaolo Calchi Novati

funzione di una nuova civiltà araba», ma « senza evocare . sospetti che noi nutriamo delle nostalgie» 1 07• Che il colonialismo potesse conciliarsi con il socialismo era anche il parere di Mondaini 1 08• L'ordine del giorno adottato per acclamazione alla fine del congresso può e� sere sintetizzato in tre punti : unità e integrità territoriale di Libia, Entrea e Somalia ; comprensione dell'Italia democratica per le aspirazioni dei popoli arabi ; disponibilità dell'Italia a collaborare al progresso delle ex-colonie assumendone in proprio l'amministrazione fiduciaria per conto delle Nazioni Unite 1 09• Più scientifica e attenta ai problemi giuridici internazionali fu l'im­ postazione dei tre convegni di studi coloniali che vennero organizzati fra il 1946 e il 1 948 dal Centro di studi coloniali dell'Università di Firenze diretto da Giuseppe Vedovato 11 0• Trasparenti sono tuttavia le preoccupazioni e le finalità politiche. Il secondo, che si svolse a una settimana di distanza appena dal congresso di Roma, era intitolato espressamente «Amministrazione fiduciaria all'Italia in Africa» 111 • Il convegno del 1 946 era strutturato su relazioni di argomento « tecnico » : la colonizzazione agraria, la politica indigena, gli studi coloniali in Italia, i rapporti economici fra madrepatria e colonie. Era ovvio l'apprezzamento per la politica svolta dall'Italia in Africa «in quest'opera di diffusione e di trasmissione di civiltà, che è quanto dire di elevazione sociale, l'Italia non è stata ultima» 1 1 - ma era presto, nel gennaio 1 946, per avanzare delle pretese. Gh ordini del giorno presentati dagli studiosi coloniali italiani erano concentrati doverosamente sulla necessità di preservare il patrimoio

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di studi e ricerche accumulato dall'Italia 1 13• Le velleità colonialiste riemergono nella mozione approvata dal convegno, che si articola sui seguenti punti : riabilitazione dell'insediamento coloniale dell'Ita­ lia, avvenuto « con il pieno e preventivo accordo delle grandi po­ tenze» ; individuazione delle colonie come valvola di sfogo per le « esuberanze demografiche» dell'Italia e quindi come fattore per aiu­ tare a regolare i suoi problemi sociali ; veto che sia risparmiata all'Italia l' <<Umiliazione» di essere privata delle sue terre d'Africa e che le venga concesso di restare in Libia, Eritrea e Somalia per assolvere «in modo esclusivo » il compito « sacro » che « conduce all'autogoverno» 114• La richiesta dell'amministrazione fiduciaria divenne centrale nel convegno del 1 947. La relazione generale fu tenuta da Vedovato 11 5 • Il convegno era suddiviso per il resto nelle solite sezioni tematiche : la questione sociale, il problema economico-agrario, gli studi coloniali. La mozione conclusiva non lascia nessun margine all'immaginazione : l'Italia chiedeva di negoziare con l'ONU le modalità a cui sottoporre l'amministrazione fiduciaria dei territori della Libia, dell'Eritrea e della Somalia, «per i quali [l'Italia] è pronta ad assumere gli obblighi che saranno ritenuti necessari nel campo strategico ed in quello della pacifica e sicura collaborazione internazionale» 11 6• Nel 1 948 si tornò a privilegiare lo studio rispetto alla politica. Una delle conferenze del convegno fu dedicata al trusteeship come mezzo per restare in Africa rinnovando la nostra politica 11 7• Nel suo discorso, il sottosegretario Brusasca mise in chiaro le implicazioni d'ordine internazionale dell'istanza dell'Italia per avere una o tutte le sue ex-colonie in amministrazione fiduciaria 1 1 8• La mozione conclusiva rinnovava la certezza che l'Italia avesse, sola fra le potenze, i requisiti

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Ibid., pp. 101-102. . . Jbid., p. 102. Mondaini aveva negato l'esistenza di un conflitto ,ide�le fr.a so �1ahsmo , e colonialismo fin dal lontano 1 9 1 1 , quando tenne una proluswne ali Uruvers1ta d1 Roma Mondaini, Gennaro di Ricordo MININNI, M. (v. socialismo e coloniale proprio sul tema Politica 111aestro e apostolo dell'idea coloniale, in « Affrica», 1 948, 2, pp. 45-46). 109 Il testo completo in «Affrica», 1947, 5-6, p. 102. 110 V. Atti Firenze 1946; Atti Firenze 1947; A tti Firenze 1948. 111 Sulla rivista «Affrica» i due congressi di palazzo Brancaccio a Roma e di palazzo Strozzi a Firenze furono presentati insieme derivandone conclusioni che avrebbero dovuto impegnare gli uomini politici di tutti i paesi in una prospettiva di carattere coloniale (G. CoNSIGLIO, Due congressi, in «Affrica», 1947, 5-6, pp. 93-94). 112 Discorso di apertura di GIULIANo CoRA, in Atti Firenze 1946, p. 10. 108

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V. in particolare il secondo, il terzo e il quarto ordine del giorno, in A tti Firenze 1946, pp. 1 87-188. 114 Il testo integrale della mozione in A tti Firenze 1946, pp. 1 89-191. 115 G. VEnovATo, Il problema politico-giuridico, in Atti Firenze 1947, pp. 17-54. 116 Il testo della mozione, ibid., pp. 375-376. 117 A. MALVEZZI DEI MEDICI, I/ <drtlsteeship>> come totale rùmovamento dell'azione italiana in Africa, in A tti Firenze 1948, pp. 140-152. 118 Discorso BRUSASCA, ibid., p. 185.


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Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra

per essere investita dell'amministrazione fiduciaria « singola» �19 della Libia, dell'Eritrea e della Somalia ; l'amministrazione ·fiduciaria era collegata alla promozione dei popoli interessati, riconoscendo le << giuste aspirazioni» delle popolazioni di Libia, Eritrea e Somalia 1 20 . · Gravavano evidentemente su tutto quel processo di sistemazione i condizionamenti del sistema internazionale, ma c'erano forse ipotesi la cui praticabilità non fu esplorata fino in fondo. Nonostante l'intui­ zione anche di qualche funzionario ministeriale, l'Italia non ebbe lo spazio o la volontà politica per giuocare la « carta araba» 1 21 , accettando la Libia e per estensione le colonie dell'Africa orientale come realtà umane, politiche e culturali con cui avviare un rapporto di parità effettiva. In una sede di studio, come in teoria erano i convegni coloniali l 22, sarebbe stato più facile che a livello politico, dove urge­ vano altri interessi, ma anche i convegni furono influenzati dalle tendenze politiche che stavano affermand osi. Le ex-colonie italiane erano valutate da Stati Uniti e Gran Bretagna territori di primaria importanza militare 1 23 • Dal canto suo, il governo italiano rinunciò a speculare sulla insorgente rivalità fra Est e Ovest per cercare di farsi assegnare le colonie grazie alla «neutralità ». Fu piuttosto

l'adesione allo schieramento capeggiato dagli Stati Uniti ad essere consi­ derata una premessa per ottenere qualche soddisfazione in Africa 1 24 sebbene non mancasse chi chiedeva di ricusare l'invito di entrare ne Patto atlantico se doveva significare far sparire nell'ambito di una «forzata solidarietà tra i membri dell'Ovest europeo il nostro diritto a che la questione africana dell'Italia sia risolta secondo giustizia» 1 2s. Anche nel proporsi come titolare dell'amministrazione fiduciaria, l'Italia mostrò di intendere quel passaggio - oltre che, come era pressoché obbligato ripetere, nell'interesse delle popolazioni amministrate - in funzione di un all eam��to di carattere strategico : sapendo che la Gran Bretagna e gli S�at1 Urut1 avevano basi militari nei territori appartenuti all'Italia, e am­ biVano a mantenerle, gli stessi studiosi che elaborarono le relazioni ai convegni di Firenze non esitarono a proclamare che il trusteeship italiano sarebbe stato coerente con le «aree di interesse strategico che vi sarebbero state create 1 26• Il quadro di riferimento non era una sicurezza equivalente alla salvaguardia della pace, bensì una politica di parte come il conteni­ me�to antisovietico. L'argomento delle «Zone strategiche» in Libia, che a ngore potevano apparire poco compatibili con un mandato dell'ONU (ed infatti gli Stati Uniti videro sempre con diffidenza l'intromissione

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119 In sede internazionale era stata a lungo dibattuta la possibilità di un'amministrazione collettiva, da assegnare di preferenza alle grandi potenze o a una grande potenza e all'Italia congiuntamente. 120 Il testo della mozione, ibid., p. 1 94. 121 Una strategia « di più ampio respiro» aperta a « quei paesi d'Oriente che furono nei secoli nostri naturali amici e clienti» era prospettata in un dispaccio inviato da Zoppi a Parigi il 28 giugno 1 949 (ARCHIVIO STORICO MINISTERO AFFARI ESTERI, Ex-possedimenti, b. 34). V. anche B. CIALDEA, La sorte delle colonie italiane, in « Relazioni internazionali», 1 947, 43, p. 676. 122 Non sfuggì al consueto proposito politico - favorire la restituzione delle colonie - il convegno nazionale di studi sull'Affrica indetto dalla Società africana d'Italia e tenutosi a Napoli dal 13 al 21 dicembre 1 947. Fu aperto da una discorso del sottosegretario Brusasca e da una prolusione di Mondaini. I lavori furono divisi in tre sezioni. Molte furono le relazioni di taglio strettamente scientifico ma la mozione conclusiva è centrata sulle « legittime aspirazioni all'am­ ministrazione fiduciaria dei territori italiani d'Affrica» (un resoconto dei lavori e la mozione in «Affrica», 1 948, 1, pp. 7-10). Un'altra occasione per rilanciare il tema dell'amministrazione fiduciaria sugli ex-possedimenti fu il convegno di studi giuridici sull'ordinamento coloniale italiano e sulle amministrazioni fiduciarie che si tenne all'Università di Roma nel febbraio 1949. 123 Il valore strategico delle ex-colonie italiane per gli Stati Uniti fu richiamato categorica­ mente dallo Stato maggiore congiunto in un dispaccio al segretario alla difesa del 5 agosto 1948 (Foreign Relations of United States [d'ora in poi Frus], 1948, III, pp. 933-934). Nello stesso senso v. la dichiarazione dei gruppi di Stati Uniti e Gran Bretagna, s.d., Fl'tls, 1 947,

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III, pp. 589-590. Gli Stati Uniti erano più che esitanti su ipotesi di amministrazione fiduciaria per l'�ritrea temendo che quello stattts non sarebbe stato compatibile con l'esercizio di basi · · I (H. G. MARCU�, E hiopia Gr at Britain and the United States, 194 1- 1974, The Politics oJ mthta � � � � Empue, Ber�ele� , Califorrua Uruversity Press, 1 984, p. 83). Si faceva una possibile eccezione per la Somalia, Il territorio più adatto, in quanto povero e isolato, per accontentare eventual­ mente l'Italia se tutte le altre condizioni, a cominciare dalla sua collocazione internazionale in una posizi�ne amica, fossero state adempiute. Anche nella lettera a De Gasperi del facente . funzwne di segretario di Stato americano, Lovett, del 4 dicembre 1 948, le assicurazioni a favore delle tesi italia.ne . sono vagh� salvo che per la Somalia (Frus, 1 948, III, pp. 967-968). l!n rapporto del consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti del 4 agosto 1 949 npeteva che, dato che l'Italia sarebbe stata esclusa dalla Libia e dall'Eritrea aumentavano le sue possibilità in Somalia (Fms, 1 949, IV. pp. 575-577). E la Somalia sarà i fatti la sola fra le ex-colonie a ritornare all'Italia, come mandato a termine per dieci anni. . . . 124 Storza m parucolare nteneva che fossero le potenze occidentali e anzitutto la Gran Bretagna ad avere in mano le chiavi della soluzione (C. SFoRZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, Roma, Atlante, 1952). 125 R. CANTALUPO, Blocco occidentale e Italia d'AJJ' ffrica, in « Affrica», 1 948, 3, p . 65 . . 126 G. VEDOVATo, Il problema ... cltata. La questione è ripresa nel convegno del 1 948 dove . 11 re.latore, Malvezzi dei Medici, afferma senz'altro che l'Italia potrà accettare « l'eventuale serv1tù di basi militari in Cirenaica» (in Atti Firenze 1948, p. 146).


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delle Nazioni Unite in Eritrea preferendo negoziare dir�ttamente con l'Etiopia l'uso delle basi e scongiurando una possibile smilitarizz�zione del territorio) 1 27, fu sostenuto sulle colonne di «Africa» da Pietro. Salsi piegando a una particolare interpretazione «giuridica» alcuni articoli della carta di San Francisco 128• Il ministro Sforza ebbe invece uno scrupolo e alla tribuna dell'GNU enunciò il principio della sicurezza collettiva 1 29• Se alla fine della prima guerra mondiale l'Italia aveva creduto di avere degli appigli « legali» per le sue rivendicazioni coloniali, anche se sopravvalutò la sua forza negoziale nei confronti degli alleati, dopo la seconda guerra mondiale l'Italia figurava fra le nazioni vinte e non aveva, letteralmente, alcun diritto. Per ovviare a questa debolezza, si adoperò per inserire se stessa e le colonie che eventualmente avesse recuperato in un blocco da cui ci si aspettava riconoscimenti e prote­ zione. L'andamento dei convegni coloniali degli anni '40 riflette bene questa impostazione, corroborata dalla persuasione - non si sa quanto sincera - che l'Italia avesse maturato dei meriti in Africa con una politica coloniale tutta basata sul « lavoro » anziché sui capitali. Ironi­ camente, la sola colonia di cui l'Italia rientrò in possesso fu la Somalia, dove la comunità italiana era sempre stata insignificante. Nel complesso, prescindendo qui dai risultati politici che furono raggiunti 1 30, le due pregiudiziali che condizionarono il dibattito sulle

colonie - le benemerenze della politica coloniale dell'Italia e la conve­ nienza di prender posizione a fianco delle potenze occidentali contro l'URSS ai fini della competizione globale - non favorirono un'attività di studio e di ricerca obiettiva sulle realtà dei paesi e dei popoli che erano stati oggetto del colonialismo e che stavano entrando nell'esal­ tante ma dolorosa fase della decolonizzazione. L'Italia ebbe una doppia ventura : a causa della sconfitta in guerra si evitò i traumi della decolonizzazione ma sfuggì anche a quella revisione critica del passato che, con il contributo pieno del mondo della cultura, avrebbe potuto attrezzarla meglio per affrontare le tematiche dell'incombente rapporto Nord-Sud previo un mutuo riconoscimento di dignità e responsabilità.

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Nel citato rapporto del consiglio per la sicurezza nazionale del 4 agosto 1949 gli Stati Uniti si proponevano di stipulare accordi diretti con l'Etiopia dopo la cessione dell'Eritrea per le basi nella regione Asmara-Massaua (Frus, 1 949, IV, pp. 574-575). In un documento del dipartimento di Stato del 9 novembre 1948, riferendo l'opinione dello Stato maggiore, si diceva che gli accordi con l'Etiopia per le facilitazioni militari dovevano essere scritti ma «in forma tale da non dover essere registrati all'Gnu» (Frus, 1948, III, pp. 958-959). 128 P. SALSI, Le <<zone strategiche;> in Cirenaica e Tripolitania, in «Affrica», 1 947, 3, p. 52. 129 C. SFoRzA, Cinque anni. . . cit. , p. 1 55. 13° Certamente le colonie furono un punto cruciale nell'assetto postbellico dell'Italia anche in campo internazionale. Per Quaroni fu addirittura il «problema numero uno» (P. QuARONI, Il mondo di un ambasciatore, Milano, Mondadori, 1965, p. 213). De Gasperi non diede mai molto credito alle possibilità reali di recuperare le colonie : v. AnsTANS [P. CANALI], Alcide De Gasperi nella politica estera italiana ( 1945- 1953), Milano-Verona, Mondadori, 1953, p. 223. Anche Tarchiani reputa che la difesa dell'impero fosse una causa perduta a priori (A. TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano-Verona, Mondadori, 1955, p. 171). Per un quadro generale v. P. PAsTORELLI, La politica estera italiana del dop,oguerra, Bologna, li Mulino, 1987, ed in particolare il capitolo «La crisi del marzo 1 948 nei rapporti itala-americani», pp. 123-144 (nonché la nota bibliografica alle pp. 1 59-169); E. D1 NoLFo, Le paure e le speranze degli italiani, 1945- 1953, Milano, Mondadori, 1986.

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Le fonti britanniche per il colonialismo italiano

DENIS MACK SMITH

Le fonti britanniche per il colonialismo italiano

Le istituzioni archivistiche britanniche dove poter rinvenire fonti utili alla storia del colonialismo italiano sono, senz'altro, il Public Record Office (PRO), il National Register of Archives (NRA) di Londra e quello di Edimburgo, con il compito quest'ultimi di censire i più importanti manoscritti ancora in mano private. I due NRA hanno censito fino ad oggi piu' di trentamila raccolte di documenti, fra le quali si segnala l'immenso archivio del primo ministro lord Salisbury, che contiene molte notizie sul primo colonialismo italiano. Altre raccolte sono conservate presso la British Library, delle quali esiste un repertorio a stampa. Si segnalano l'archivio di Gladstone che per cinquant'anni ha seguito le vicende politiche italiane,la documentazione del generale Gordon sull'Etiopia dopo il 1 880 e diverse lettere del negus Haile Selassie. Per le colonie italiane i rapporti dei consoli inglesi hanno un valore limitato ; molto ampia negli archivi privati e pubblici è la documenta­ zione sul Sudan, sull'Egitto, sulla Somalia e sull'Etiopia. Una ricca documentazione, conservata in 500 scatole, riguardante il Sudan si trova presso la School of Orientai Studies dell'universita' di Durham. In tale documentazione sono compresi le carte del generale Wingate sulla sua missione in Etiopia nel 1 897, i rapporti da lui stilati sulla Somalia nel 1909 e sui senussi dopo il 1912. Altra documentazione tratta dei diritti di sovranità avanzati dall'Egitto sull'Eritrea e la Somalia nel secolo scorso e delle rivendicazioni dell'Italia in Africa durante la prima guerra mondiale. Per la storia militare una miniera poco sfruttata esiste nell'Imperia! War Museum a Londra. In esso sono conservati il diario di Haslam sulla missione ai senussi nel 1 91 6 ; documentazione (1 5 volumi) del colonnello Curie in Africa

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orientale fra il 1 9 1 5 e il 1 943, con una diretta testimonianza dell'inci­ dente a Wal Wal nel 1 934 ; documenti personali di venti comandanti presenti in Libia e l'Africa orientale durante la seconda guerra mon­ diale, dei quali si segnalano un diario del generale Ò Connor, scritto durante la sua prigionia in Italia, sulla campagna in Cirenaica nel 1 940, le memorie del generale Platt sulla campagna in Africa orientale e il diario del generale Ambrosia, capo di stato maggiore. Per il secolo scorso una fonte, spesso trascurata, è l'India Office Library, dal momento che fu il governo indiano a sorvegliare gli interessi inglesi nel mar Rosso fino al 1 898. Vi è conservata molta documentazione su Assab negli anni 80 ; sui contatti con Crispi sui problemi di Zeila, Kassala e Barrar. Inoltre vi sono conservati non meno di dodicimila filze sull'insediamento britannico a Aden e sulla Somalia britannica e l'archivio di lord Curzon che come ministro degli esteri, dopo la prima guerra mondiale, trattava le rivendicazioni italiane in Africa. Altra documentazione sul mar Rosso, fra il 1 883 e il 1 896, si trova al Churchill College nell'Università di Cambridge fra le carte del visconte Esher. Molto più importanti sono le diverse raccolte conservate alla Bod­ leian Library dell'Università di Oxford, fra le quali si segnala l'archivio privato di Rodd, ambasciatore a Roma per più di dieci anni e durante la guerra libica del 1 9 1 1 - 1 9 1 2. Nel suddetto archivio è conservato un diario scritto durante una visita a Addis Abeba, quando Menelik gli parlò della supposta falsifi­ cazione del trattato di Uccialli, ed anche sull'ostilità etiopica contro i dervisci, ostilità che Crispi non seppe sfruttare. Presso l'Institut of Social Anthropoly a Oxford c'è un'esigua docu­ mentazione relativa alla fissazione dei confini dell'Eritrea. Al St. Antony's College si trovano documenti di due ufficiali, Lon­ grigg e Elkington, sulle condizioni economiche della Libia negli anni 1 941 - 1 944; e del generale Gordop che fu a Massaua nel 1 879 e dove ebbe contatti con il negus Giovanni. Lo stesso istituto conserva ancora i diari di Miles Lampson, pro­ console in Egitto in un difficile momento, dopo il 1 934, nonché documenti (300 buste) dell'archivio personale di Mussolini, molti dei quali relativi all'Africa, che sono in corso di trasferimento al PRO.


Denis Mack Smith

Le fonti britanniche per il colonialismo italiano

Il Nuffield College, sempre ad Oxford, conserva do�umenti sulle colonie italiane e le isole dell'Egeo durante e dopo la seconda . guerra mondiale. Tale documentazione è stata utilizzata da lord RenneJ Rodd per il suo fondamentale studio sull'argomento. Altra collezione fondamentale è quella della Rhodes House Library di Oxford che ha lanciato un'iniziativa per raccogliere e conservare le memorie di ufficiali inglesi che operarono nell'Africa orientale. Sono conservate, ad esempio, le carte del colonnello Moyse-Bartlett, risalenti ai primi anni del XX secolo; quelli degli ufficiali dell'Intelligence Service, uno dei quali ha potuto testimoniare che negli ultimi giorni dell'Impero molti etiopici continuavano a combattere lealmente nell'e­ sercito italiano. Alla Rhodes House c'e' anche una collezione di lord Killearn sulle relazioni fra Egitto ed Etiopia negli anni Venti e Trenta. Del Public Record Office si segnalano il carteggio di Anthony Eden, ministro degli esteri al tempo della guerra etiopica, quello di lord Kitchener che era nel Sudan durante gli anni critici dopo il 1 890 ; e, ancora più importante, quello di lord Cromer, proconsole d'Egitto fra il 1 883 e 1 907. Di quest'ultimo carteggio 900 documenti circa trattano dell'insediamento italiano ad Assab. Per facilitare lo studio dei documenti del Foreign Office (FO) al PRO esiste un catalogo a stampa, di cento volumi, per gli anni successivi al 1 920. Ricchissima è la documentazione sui rapporti fra l'Inghilterra e l'Italia per gli anni precedenti al 1 906. Dei documenti riservati, spesso, furono fatte delle edizioni a stampa, ad opera del Confidential Print, distribuite alle ambasciate più impor­ tanti : molti di questi volumi trattano dell'Africa. Per l'Etiopia indi­ pendente documentazione è conservata nella serie FO 1 ; nella serie FO 401 del Confidential Print si segnalano sei volumi per gli anni 1 894- 1 897. Un volume è dedicato a Massaua per gli anni 1 884- 1 885, un altro alla guerra del 1 91 1 - 191 2. Le discussioni a V ersailles nel 1 9 1 9 sono classificate al n. 608, i documenti relativi all'Egitto al n. 407, al n. 78 quelli relativi alla Turchia. Si segnalano, ancora, presso il PRO, le serie del Gabinetto di guerra per gli affari dell'Africa e Medio Oriente e i documenti dell'esercito,

in particolare quelli conservati nel War Office, classificati al n. 1 06 quelli relativi alla Libia per gli anni 1 91 1 - 1 912 e 1 91 5 - 1 9 1 8, nonché all'Etiopia. Altra lunghissima serie al PRO è quella dell'Ufficio colonie. Ad esempio vi sono più di cento volumi sulla Somalia fra il 1 905 e il 1 940 ; altri volumi sul Mediterraneo in genere e 1 90 volumi,a stampa, corredati da sei volumi di indici, di documenti « confidenziali» sull'A­ frica orientale ; altri, infine, sui prigionieri di guerra in Africa. Il Public Record Office ha anche pubblicato delle guidine ad uso dei ricercatori, contenenti la descrizione dei documenti dell'Ufficio coloniale, del Ministero degli esteri e della seconda guerra mondiale. In conclusione si possono offrire alcuni esempi interessanti di come una lettura attenta dei documenti conservati nel PRO sia in grado di dare una nuova interpretazione dell'operato del governo italiano in politica estera. Il ministro degli esteri, P . S . Mancini, ha lasciato credere al parla­ mento italiano che l'Inghilterra abbia spinto l'Italia all'occupazione dell'Eritrea. I documenti inglesi dimostrano, invece, che egli ha ingannato l'In­ ghilterra con formali e ripetute dichiarazioni che mai si sarebbe instal­ lata una presenza militare nel mar Rosso e che l'Italia avrebbe sempre rispettato la sovranità del sultano e del khedive egiziano. Un altro ministro degli esteri (?), in seguito, ha « stranamente» confessato agli inglesi che Mancini era in mala fede, in quanto, fin dal principio, aveva avuto l'intenzione di occupare militarmente l'Eritrea col propo­ sito di diminuire l'influenza inglese nell'Egitto e nel Sudan. Altri documenti trattano del tentativo di Crispi di occupare una parte del Sudan, di insediarsi nel Marocco e di annettere Zeila per facilitare l'invasione dell'Etiopia. È conservata documentazione riguardante Adua, la cessione di Jubaland all'Italia, il tentativo della Russia, dopo la seconda guerra mondiale, di avere l'amministrazione fiduciaria della Tripolitania e, infine, l'appoggio inglese all'amministrazione italiana della Somalia.

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L'historiographie française de fa politique coloniale itafienne

PIERRE GUILLEN

L'historiographie française de la po!itique coloniale italienne .

Dans l'historiographie française de la politique coloniale italienne l'ouvrage de J . - L. MrÈGE (L'impérialisme colonia! italien de 1870 à nos jours, Paris, SEDES, 1 968) demeure l'ouvrage de référence. Fondé sur une documentation considérable, il est l'unique livre français embras­ sant l'ensemble de l'histoire coloniale italienne, à la fois dans ses phases successives et sous ses divers aspects: politique coloniale, idéologie coloniale, mise en valeur et organisation cles territoires coloniaux donnant naissance « à un type d'administration ainsi qu'à une doctrine coloniale propres à l'Italie». Jean-Louis Miège souligne la force et la continuité du dessein colonia! de l'Italie qui est parvenue, malgré toutes sortes de difficultés, à créer un empire colonia!, auquel les Italiens ont consacré cles efforts remarquables pour sa mise en valeur. A cet égard, Jean-Louis Miège prend le contre-pied de l'image domi­ nante en France, où la politique coloniale italienne est présentée trop souvent avec condescendance, voire dénigrement. Livre pionnier lors de sa parution en 1 968, le livre de Jean-Louis Miège est demeuré sans postérité. Livre pionnier car avant lui, on ne peut guère mentionner que trois ou quatre études méritant de retenir l'attention, et encore s'agit-il d'études portant sur un sujet bien délimité. La thèse complémentaire de doctorat d'Etat du géographe Jean Despois, La colonisation italienne en Lirye. Problèmes et méthodes, soutenue à la Sorbonne en 1 935, est fondée sur le dépouillement cles publications et revues italiennes de l' époque et sur cles enquetes menées sur le terrain auprès de colons italiens. J. Despois souligne les difficultés auxquelles s'est heurtée la colonisation italienne en Libye, les efforts déployés pour le développement agricole de la Tripolitaine, où l'on est passé de la mise en valeur avec de la main d' oeuvre indigène à la petite colonisation de

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peuplement. Il insiste d'autre part sur l'originalité en Cyrénai:que d'une colonisation selon les conceptions fascistes, avec une organisation étatique de type corporatif encadrant très étroitement les familles paysannes. La thèse de Jean Despois donne une image positive de la présence italienne: mise en valeur active et peuplement rapide, importants travaux d'équipement et d'édilité publique. Mais - et ce point de vue sera repris ensuite par presque tous les manuels français - la Libye ne présente pour l'Italie, selon Despois, qu'une faible importance sur le plan économique et sur le plan démographique. Les efforts de coloni­ sation déployés en Libye auraient eu avant tout un but politique: montrer au monde que la nouvelle Italie sait etre une puissance coloniale, qu'elle en est digne; la réussite en Libye devant servir de justification pour avoir d'autres colonies. Mentionnons deux études de G. Bourgin: l'une sur la politique coloniale de Crispi, dans Les politiques d'expansion impérialiste, Paris, PUF, 1 949, très sévère pour Crispi; l'autre sur Italo Balbo, dans Les techniciens de la colonisation, Paris, PUF, 1 946, qui souligne l'importance de l' oeuvre réalisée en Libye. Le livre de M. Vaussard sur le nationalisme italien (De Petrarque à Mussolini. Evolution du sentiment nationaliste italien, Paris, Colin, 1961) contient cles passages sur la politique coloniale de Crispi, sur le mouvement colonia! au moment de la guerre de Libye, sur la « con­ version» de Mussolini et du fascisme à l'expansion impérialiste. Le livre de Jean-Louis Miège, livre pionnier clone, est demeuré sans postérité. Assurément trois thèses de doctorat d'Etat, soutenues ces dernières années, intéressent notre propos, mais elles ne sont pas centrées sur la politique coloniale italienne proprement dite. Ce sont, dans l' ordre de leur parution, l es thèses de : - P. MILZA, Français et Italiens à la fin du XIX siècle, thèse soutenue à Paris en 1 977, éditée en 1 981 par les Publications de l'Beole française de Rome. Cette thèse contient assurément cles chapitres sur les questions coloniales qui ont une incidence sur les relations entre la France et l'Italie, à propos de la Tunisie, de l' Afrique orientale, de la Tripolitaine; mais étant donné l'optique de la thèse (les rapports franco-italiens) il ne s'agit pas vraiment d'études sur la politique coloniale italienne. - ]. BEssrs, L'Italie mussolinienne et la Tunisie, thèse soutenue en 1 980 à Paris, publiée en 1 981 (Publications de la Sorbonne). Cette


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Pierre Guillen

L'historiographie française de la politique coloniale italienne

thèse se présente moins comme une étude de la politique coi oniale italienne que comme une étude de la question tunisienne dans les relations franco-italiennes, cles divers aspects de la politique ltalienne en Tunisie, de la communauté italienne et de ses activités, dans un pays qui n'a jamais été intégré dans le domaine colonia! italien. - D. GRANG�, l'Italie et la Méditerranée d'Adoua à la guerre de Lirye, , t ese souten�e a Grenoble en 1 986 et en cours de publication par l Ecole frança1se de Rome. Cette thèse comporte une série de chapitres, renouvelant la question sur bien cles points, sur les diverses compo­ santes du mouvement colonia!, sur la présence italienne et sur les éléments d'influence dont dispose l'Italie dans un certain nombre de pays coloniaux ou semi-coloniaux du pourtour de la Méditerranée. Toutefois l � sous-titre - Recherche sur les fondements d'une politique étrangère montre b1en que dans cet ouvrage la politique coloniale n'intervient que comme un élément d'un ensemble plus vaste.

Les mobiles économiques ne retiennent pas non plus l'attention. Sans doute, le Lexique historique de l'Italie (Paris, Colin, 1 977), à l'artide Empire colonia/, parle de pressions cles milieux d' affaires pour expliquer la persistance de l'idée coloniale et l'orientation vers l'Afrique du Nord. On évoque l'intéret pour le commerce et la navigation italienne de participer au partage de l'Afrique 3• Quelques-uns, peu nombreux, rap­ pellent le r6le pionnier d' explorateurs et de commerçants, notamment en Afrique orientale, le regain d'intéret pour l'Ethiopie et pour la mer Rouge à la suite de l'ouverture du canal de Suez, le r6le d'industriels et de milieux d'affaires de l'Italie du Nord fmançant explorations et éta­ blissement de comptoirs commerciaux 4• Moins nombreux encore sont ceux qui font allusion, à propos cles origines de la guerre de Libye, à l'intervention en coulisse de certains milieux économiques 5• Rarement mentionné, le facteur économique est dans tous les cas jugé très secondaire, voire négligeable. « Colonisation d'imitation», qui n'est pas motivée par la nécessité économique ou démographique, la politique coloniale italienne est présentée comme résultant d'élé­ ments plus ou moins passionnels et d'ordre idéologique: on parle de « mirage colonia!», de mythe créé par cl e s petits groupes minoritaires mais actifs, qui font passer leurs idées dans l'opinion et dans la classe politique 6• L'on met en avant les souvenirs historiques, qui fonderaient la vocation de l'Italie à un destin méditerranéen 7• Surtout on insiste sur la volonté d'affirmation nationale, présentée comme le moteur essentiel de la politique coloniale: « Elevée au rang de grande puissance, l'Italie voulut aussi posséder un empire colonia!» 8• « Le nationalisme exalté a l'ambition de faire de l'Italie une grande puis­ sance en la lançant dans l'expansion coloniale» 9• «P orter au loin la

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Le combat pourrait se terminer 1c1 faute de combattants. Pour ne pas abandonner le terrain, je vais à présent axer mon propos sur la façon dont la politique coloniale italienne est présentée en France dans les ouvrages généraux sur l'Italie et dans les manuels d'histoire d � l' �nseigne�ent supérieur et cles classes terminales cles lycées. J'étu� d1era1 successlVement la période de l'Italie libérale et la période de l'Italie fasciste. Pour l'Italie libérale, tout d'abord les mobiles. Le mobile démographique est peu mentionné. Très peu de livres écrivent que l'Italie est conduite à l'expansion par l'accroissement de sa population 1 ; on n'y voit pas un mobile véritable mais un prétexte utilisé par les nationalistes pour donner une justification aux revendications · expansionnistes; on souligne au contraire que la plupart cles Italiens préfèrent voir l'émigration se diriger vers les pays riches de l'Europe ou vers le Nouveau monde, plut6t que d'acquérir cles colonies de peuplement 2.

1 L. GENET, L'époque conte1nporaine, Paris, Hatier, 1957. 2 M. VAussARD, Histoire de l'Italie contemporaine, Paris, Hachette, 1950.

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3 G. BouRGIN, Crispi. Les politiq11es d'expansion impérialiste, Paris, PUF, 1949. 4 P. GmcHONNET, La Jnonarchie !ibérale. Histoire de l'Ita!ie, Paris, Hatier, 1 969 ; S . BERSTEIN - P . MILZA, L'Ita!ie contemporaine des nationa!istes attx Européens, Paris, Colin, 1 973. 5 Ibidem. 6 Lexiqt1e historiqtte de l'Italie, Paris, A. Colin, 1977 ; S. BERSTEIN-P. MILZA, L'Italie. . . citata. 7 P. GUICHONNET, La IIJOtJarcbie. . . citata. 8 A. MALET - ]. IsAAC, Histoire conteJJtporaine de 1815 à nos jo11rs, Paris, Hachette, 1930. 9 J.-B. DuROSELLE-P. GERBET, Histoire 1848- 1914, collection ]. Monnier, Paris, Nathan, 1961 .


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L'historiographie française de la politique coloniale italienne

civilisation, c'est assumer la vocation de nation-guide à laquelle. l'Italie . se croit dévolue» 1 0 • Bref, il s'agit d'affirmer la présence italienne sur la scène internationale, de rehausser le prestige de l'Etat itaiien qui, depuis 1 87 1 , «fait piètre figure» dans le concert européen où il ne tient qu'un « tale de figurant», exposé aux rebuffades cles autres; en se lançant dans l'expansion coloniale, l'Italie veut « donner plus de relief» à sa politique étrangère 11 • Ceci pour la période de Crispi, où l'on insiste particulièrement sur le choc provoqué par l'affaire tuni­ sienne et la volonté de s'affirmer face à la France, en acquérant cles avantages ailleurs 1 2• Pour les origines de la guerre de Libye, on privilégie également le facteur national: les nationalistes ont popularisé l'idée de conquérir la Tripolitaine et lancé cles campagnes pour dénoncer la modestie du domaine colonial de « l'Italietta » 1 3• Volonté également de laver l'hon­ neur national, de se venger cl e s échecs tunisien et éthiopien 14. Bref, une politique de sentiment plus que d'intéret, et l'on souligne le caractère fantaisiste cles pronostics sur l'intéret de la Libye pour la colonisation 1 5 • Quant aux mobiles de politique intérieure, selon le concept du Sozialimperalismus, ils ne sont mentionnés que par deux auteurs: volonté de détourner les Italiens cles problèmes intérieurs, servir de dérivatif au mécontentement cles masses et contenir la poussée révo­ lutionnaire à l'époque de Crispi; à nouveau, en déclenchant la guerre de Libye, l'Italie chercherait un dérivatif à ses faiblesses intérieures 1 6. Les appréciations portées sur la politique d' expansion coloniale sont presque toutes défavorables: tard venue et faute de ressources naturelles, l'Italie fait figure de parent pauvre dans la famille cl e s

puissances coloniales 1 7; arrivée trop tard, elle se heurte à cles rivaux déjà installés et elle indispose les puissances 1 8• D'autre part, elle veut mener une politique au dessus de ses moyens; faute de moyens financiers et militaires, faute du soutien de milieux d'affaires que pousserait la nécessité du développement éco­ nomique, l' expansion coloniale italienne apparait comme un phéno­ mène artificiel 1 9• Cela vaut tout particulièrement pour la période de Crispi: tout en esquissant un plan vague de l'impérialisme italien, Crispi n'est pas en état d'y consacrer les crédits, les hommes, l'enthousiasme collectif nécessaires, il se lance dans l'aventure coloniale de façon romantique, sans tenir compte cles possibilités de son pays 20• L'on souligne le manque de soutien de l'opinion, indifférente ou hostile, les divisions de la classe dirigeante, l'opposition contre la politique de Crispi à la Chambre, dans les milieux d'affaires de l'Italie du Nord et chez de nombreux chefs militaires, d'où une politique inconsistante, qui n'a j amais eu le soutien du sentiment public 21 • La personnalité meme de Crispi fait l'obj et de jugements très sévères: mégalomanie, manque de sérieux et d'application; Crispi engage son pays à la légère dans cles entreprises dont il n'a pas mesuré les risques. L'on parle d'amateurisme, de caractère brouillon, d'incohérence (l'Italie se montre timide quand la situation commande la résolution, et audacieuse quand la prudence s'imposait) . L'on oppose le sérieux et la constance de Jules Ferry, qui réussit à doter la France d'un empire colonial, aux contradictions et aux intempé­ rances de langage et de gestes de Crispi, responsable de ce quel'Italie a vu, de Dogali à Adoua, son reve colonial compromis et brisé 22 • C'est qu'aux yeux cles auteurs français, la politique coloniale de Crispi est frappée d'un péché originel: la gallophobie et l'appui

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10 P. GmcHONNET, La monarchie. . . citata. ]. GANIAGE, L'expansion coloniale et /es rivalités internationales de 1871 à 1914.. . , Paris, Centre de documentation universitaire « Les cours de Sorbonne» ' 1964. 12 G . BOURGIN, Cns · pt.· . . Citata. · 1 3 ]. - B. DuROSELLE - P. GERBET, Histoire. . . cit. ; P. GuiCHONNET, La monarchie. .. cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L' Italie ... citata. 14 M. VAussARD, Histoire de l'Italie ... citata. 1 5 In., De Pétrarque à Mussolini. Evolution du sentiJJient nationaliste italien, Paris' Colin, 1961 . 16 lbtd. " ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie... citata. 11

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1 7 G. HARDY, La politiq11e coloniale et le partage de la terre, Paris, Miche!, 1937. 1 8 ]. GANIAGE, L'expansion coloniale . . . citata. 1 9 S. BERSTEIN-P. MILZA, L'Italie . . citata. 20 G. BouRGIN, Crispi. . . citata. 21 M. VAussARD, De Pétrarque à M11ssolini. . . cit. ; G. BouRGIN, Crispi... cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie. . . citata. 22 G. BouRGIN, Crispi... cit. ; M. VAussARD, Histoire de l'Italie . . . citata. .


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recherché du c6té de l'Allemagne: africanisme étroit et peu réfléchi, comportant « Un coefficient gallophobe», « ttiplicisme OUttanciet» 23• Pour l'époque giolittienne, si l'on reconnait que cette fois, l'ex­ pansion coloniale bénéficie du soutien de certains secteurs de ·l'opi­ nion, dans les classes dirigeantes et dans la j eunesse notamment 24, le jugement porté est cependant sévère: au lieu de prétendre de façon précipitée à la dignité de grande puissance impériale, l'Italie aurait du se piacer au premier rang des Etats secondaires 25• Quasi-unanimité des auteurs pour condamner la légèreté des mo­ biles dans l'entreprise libyenne: le gouvernement ne sait pas résister aux poussées d'une opinion publique impatiente; sous l'effet de la coalition des groupes expansionnistes, il doit opter pour une politique agressive 26• On relève avec complaisance l'hostilité générale des puissances, qui j ugent sévèrement la politique italienne, inutilement et fàcheusement agressive, qui trouble la Méditerranée et le Moyen-Orient et menace la paix européenne 27• La façon dont l'Italie conduit ses expéditions coloniales est égale­ ment présentée sous un jour défavorable: caractère aventureux, con­ traste entre les déclarations fracassantes et la maigreur des résultats, expéditions entreprises avec légèreté et mal conduites 28• L'on souligne, à propos de la guerre d'Ethiopie, l'inconscience de Crispi et des chefs militaires qui sous-estiment l'adversaire, la responsabilité de Crispi dans le désastre d' Adoua, d'un Crispi qui ordonne l'offensive alors que l'armée n'est pas prete et dans des conditions défavorables 29• L'on oppose à l'agitation brouillonne de Crispi Menelik, « chef audacieux et prudent à la fois, toujours énergique » 30•

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L'on relève également la médiocrité de l'armée: il manque aux troupes italiennes - sous-entendu contrairement à la France - l'expé­ rience des guerres coloniales. Médiocrité des troupes - l'on écrit qu'à Adoua les Italiens s'enfuient au premier choc en jetant leurs armes - médiocrité du commandement: absence de connaissance du pays, fautes tactiques, jalousies et divergences de vues, manque d'unité de direction, initiatives aventureuses 31 . La conclusion est que l'Italie de Crispi a mené une politique erronée (elle pouvait par la négociation s'assurer une influence durable); elle aurait du renoncer au reve d'un empire en Afrique orientale, dévelop­ per par des moyens pacifiques son influence dans une région qui lui était pratiquement assurée. Et l'o n oppose aux erreurs du gouverne­ ment dirigé par Crispi, la sagesse de la politique menée ensuite par Martini: « le réalisme l'emportait enfin sur les chimères» 32• En ce qui concerne la conquete de la Libye, on souligne que cette fois, la préparation diplomatique et militaire est faite avec soin. Mais on relève aussit6t après les erreurs d'appréciation sur les capacités de résistance des populations locales, les difficultés inattendues, les sur­ prises fàcheuses, les réactions de l'opinion italienne égarée par un optimisme développé avec beaucoup de légèreté 33• L'on insiste sur le contraste entre les moyens mis en oeuvre et la minceur des résultats: l'Italie ne peut décoller du littoral et se trouve assiégée dans les places c6tières; la pacification de l'intérieur se révèle impossible. Donc un bilan négatif: guerre qui a couté très cher, qui a désorganisé le potentiel militaire italien, qui a troublé les rapports avec les puissances, et dont les effets sur les communautés italiennes et le commerce italien dans l'empire ottoman ont été très néfastes 34• Comment est présenté le bilan en 1 91 4 ? Les manuels édités après la première guerre mondiale, sous l'effet de la solidarité entre l es

P. GmcHONNET, La !llonarcbie . . . citata. M. VAUSSARD, De Pétrarque à Mussolini. .. citata.

Ibide!ll.

L . GENET, L'époque. . . cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie . . . cit. ; M. VAussARD, Histoire de l'Italie. .. citata. 27 ]. GANIAGE, L'expansiott coloniale. . . cit. ; P. GuiCHONNET, La tnonarcbie. . . citata. 28 ]. GANIAGE, L'expansion coloniale. . . citata. 29 G. BouRGIN, Crispi. . . citata. 30 L. GENET, L'époque. . . citata.

3 1 M. VAuSSARD, De Pétrarque à Mussolini. . . cit. ; P. GmcHONNET, La t!IO!Iarcbie. . . cit. ; L . GENET, L'époque. . . citata. 32 M. VAussARD, De Pétrarq11e à Mt�ssoli11i. . . citata. 33 Ibid. ; P. GmcHONNET, La IIJO!Iarcbie . . . cit. ; S. BERSTEIN-P. MILZA, L'Italie. . . citata. 34 ]. GANIAGE, L'expa11sio11 coloniale. . . cit. ; M. VAUSSARD, De Pétrarq11e à Mussolini. . . cit. ; S . BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie . . . cit. ; L . GENET, L'époque. . . cit. ; P. GmcHONNET, La 1110/Jarchie. . . citata.


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L'historiographie jrançaise de !a po!itique coloniale ita!ienne

deux pays pendant la guerre, donnent un j ugement d'ense;mble plutot positif: l'Italie a réussi à devenir une puissance coloniale et une grande puissance méditerranéenne 35 • En revanche, les manuels .édités après la seconde guerre mondiale, qui a terni en France l'image de l'Italie, donnent cles choses une vision toute différente: après beau­ coup d'efforts et d'agitation, l'Italie doit se contenter de quelques médiocres colonies, de faible valeur économique, qui coutent plus qu'elles ne rapportent; la fièvre impérialiste tombe vite et en 1 9 1 4, on peut dire que l'Italie n'est pas parvenue à « donner tournure» à ses projets coloniaux 36•

à une politique d'expansion, conversion qui demeure purement verbale jusque vers 1 934 38• Quelques auteurs parlent de l'action du fascisme en Libye. D'une part, l'achèvement de la conquete est décrit sans complaisance: bruta­ lités, déportations, destructions de cheptel, éviction cles populations de leurs terres 39• D'autre part, on met en relief le peuplement et la mise en valeur auxquels de gros efforts sont consacrés, avec la volonté de faire de la Libye « un laboratoire» de l'action coloniale italienne. Mais les résultats sont présentés camme décevants. Le régime fasciste aurait d'ailleurs surtout recherché une satisfaction de prestige, l'occa­ sion de développer en Italie une propagande pour attacher les milieux populaires au régime, et l'occasion de montrer au monde que l'Italie fasciste est digne d'avoir cles colonies, et que, surpeuplée, elle en a besoin. La conclusion généralement donnée est que l'action italienne en Libye annonce et cherche à justifier par avance la conquete de l'Ethiopie 40• C'est en effet surtout la guerre d'Ethiopie qui retient l'attention cles auteurs français, lorsqu'ils évoquent la politique coloniale de l'Italie fasciste. Volonté d'avoir enfin une vraie colonie de peuplempnt, pren­ dre la revanche de l'humiliation d' Adoua, recherche de prestige pour le régime sont les raisons généralement avancées 41 • Quelques auteurs ajoutent la volonté de Mussolini d'entrainer le peuple italien, notam­ ment la jeunesse, dans une entreprise qui doit dévélopper énergie, esprit de sacrifice, et contribuer à forger le nouveau type d'homme auquel aspire le fascisme 42• La légèreté avec laquelle Mussolini se jette dans la guerre au lieu de se contenter d'une pénétration pacifique, l'absence de préparation diplomatique sérieuse alors que l'accorci cles puissances pour un pro-

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En ce qui concerne les mobiles de la politique coloniale fasciste, les auteurs français soulignent la continuité entre la fin de l'Italie libérale et la période fasciste: Mussolini exploite les frustrations nées du non-respect par les alliés de leurs engagements envers l'Italie, à laquelle ils avaient promis cles compensations coloniales. Il y a fi­ liation entre le nationalisme et le fascisme dans le domaine de l'im­ périalisme colonia!; Mussolini cherche à assumer l'héritage du natio­ nalisme impérialiste, et ne fera qu'essayer de traduire en actes un programme développé par les nationalistes à la veille, pendant et au lendemain de la premicr e guerre mondiale; l'an dm once les « chimères impérialistes » nourries par l'Italie à la faveur de la guerre, au Moyen-Orient et en Afrique 37• Selon la plupart cles auteurs français, Mussolini a subi les pressions constantes cles nationalistes qui argumentent sur la nécessité d'assurer à l'Italie un domaine à peupler et à exploiter outre-mer; les nationalistes se sont ralliés au fascisme pour que le nouveau régime réalise leur programme impérialiste. Mussolini refuse d'abord de céder à ces pressions, et c'est seulement à partir de 1 926 qu'il semble converti

35 A. MALET - ]. IsAAC, Histoire contemporaine ... citata. 36 L. GENET, L'époque... cit. ; J. - B. DuROSELLE - P. GERBET, Histoire. . . cit. ; Lexiqt1e historiqt1e... citata. 37 M. VAUSSARD, De Pétrarq11e à Mt1ssolini. . . cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie. . . cit. ; Lexiqtle historiq11e... citata.

38 M. VAussARD, De Pétrarqt1e à Mt�ssolini... cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie... citata. 39 L. GENET, L'époqtle. . . citata. 40 G. BouRGIN, Italo Balbo. Les techniciens de la colonisation, Paris, PUF, 1 946 ; L. GENET, L'époqt1e... cit. ; J. - B. DuROSELLE - P. GERBET, Histoire. . . cit. ; S. BERSTEIN - P. MILZA, L'Italie. . . citata. 4! J. - B. DuRoSELLE - P. GERBET, Histoire ... cit. ; A. MALET - ]. IsAAC, Histoire contemporaine ... cit. ; P. MILZA, Le jascisme italien, Paris, Seui!, 1980. 42 M. VAUSSARD, Histoire de l'Italie... citata.


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tectorat aurait pu etre obtenu, les erreurs d'appréciation sur l'attitude cles puissances, la sous-estimation cles possibilités de réslstance cles Ethiopiens sont relevées avec une belle unanimité 43 . Réproba�ion également quant aux méthodes de guerre (emploi de gaz asphyxi�nts, bombardements aériens sans discrimination) 44• Le succès final de la conquete est rabaissé par les auteurs français en montrant les dirigeants italiens envahis par une griserie grotesque: poussées délirantes d'impérialisme; folles élucubrations dans les décla­ rations et les publications officielles 4s. Le bilan de la politique coloniale fasciste à la veille de la seconde guerre mondiale est présenté de façon négative: en 1 939 l'Italie dépense dans ses colonies dix fois plus d'argent qu'elle n'en retire; elle ne fait avec celles-ci que 2% de son commerce extérieur, et leur peuplement par cles familles italiennes d'émigrants est bien limité 46. * * *

On peut clone dire que la politique coloniale italienne est présentée en France, dans les manuels et ouvrages généraux, avec beaucoup de préjugés, de jugements sommaires ou malveillants. Manifestement les auteurs de ces livres en restent aux clichés traditionnels, renforcés par les effets de la seconde guerre mondiale. Un gros travail reste à faire pour que les résultats de la recherche universitaire italienne, et plus récemment française, soient pris en compte afin de présenter les choses avec plus d'objectivité.

43 Ibid. ; In., De Petrarque à Mtmolini. . . cit. ; P. MILZA, Le jascisme . . . cit. ; S. BERSTEIN-P. MILZA, L'Italie . . citata. 44 P. MILZA, Le Jascisme . . . citata. 45 M. VAUSSARD, De Pétrarque à Mussolini. . . citata. 46 Lexique historique.. . citata. .

MAURO DELLA VALLE

La chiamata alle armi per la guerra di Libia ( 191 1- 1912) dai ruoli matricolari del distretto militare di Frosinone

La ricerca sulla chiamata alle armi per la guerra di Libia copre il periodo che va alla dichiarazione di guerra alla Turchia, 29 settembre 191 1 , alla firma del trattato di pace, 1 8 ottobre 1 9 1 2. I documenti presi in considerazione sono i registri dei ruoli matri­ colati del distretto militare di Frosinone, conservati presso l'Archivio di Stato di Frosinone. L'indagine svolta su questo fondo archivistico è stata motivata dal fatto che esso permette di avere un quadro, specialmente su basi quantitative, dei servizi e delle campagne svolte dagli arruolati nell'esercito fornendo anche una serie di dati relativi a situazioni personali, difficilmente reperibili in altra documentazione. I ruoli matricolari dei distretti militari sono formati, per ciascuna classe di leva e distinti per categoria, da tutti gli uomini che sono stati arruolati, appartenenti ai circondari compresi nella circoscrizione del rispettivo distretto . Tali registri seguono un numero d'ordine, cosiddetto di matricola, assegnato per ogni categoria ad ogni chia­ mato del distretto e dato in progressione continua, a prescindere dall'anno di chiamata. La distinzione in categorie di appartenenza è la seguente : sono assegnati in 1 a categoria, e in genere sono tenuti alla ferma di due anni, tutti gli iscritti alla leva idonei alle armi. Coloro di questi che sopravanzano il contingente determinato ad ogni chiamata di leva per legge, costituiscono la 2a categoria. La 3a categoria, infine, è composta di figli o nipoti unici o primogeniti di genitori o di avoli, che si trovino in particolari stati di famiglia, o di iscritti che abbiano già un fratello in marina, o invalido, o morto per servizio. Il distretto militare di Frosinone ha, nel periodo considerato, giurisdizione sui circondari di Frosinone con 43 comuni, di Sora con 40 e di Velletri con 1 8 comuni. Nei ruoli delle classi esaminate, tranne


Mauro Della Valle

La chiamata alfe armi per fa guerra di Libia nei r11oli matricofari di Frosinone

che in quelli del 1 890, sono presenti anche matricole di residenti ip. 1 0 comuni del distretto di Gaeta che però negli anni 1 9 1 1-12' non erano ancora stati trasferiti in quello di Frosinone 1 • I ruoli per ogni pagina riportano in alto il numero di matricola progressivo degli iscritti, il loro cognome e nome, ma non in ordine alfabetico, e l'anno di nascita. Il resto della pagina è diviso in due parti. In quella a sinistra sono riportate le seguenti notizie : dati e contrassegni personali (note anagrafiche, antropometriche e fisionomiche, professione, alfabetizzazione, se ammogliato o vedovo) ; domicilio ed eventuali cam­ biamenti ; distinzioni e servizi speciali ; annotazioni per chi ha diritto a dispense dalle chiamate e, infme, il nulla osta per il passaporto per l'estero e rimpatri. Nella parte destra della pagina vi è il prospetto per le indicazioni sull'arruolamento, i servizi svolti, le eventuali promozioni, mentre in basso vi è quello per le notizie su campagne di guerra, azioni di merito, decorazioni, encomi, ferite, ecc. I registri dei ruoli matricolati, pervenuti all'Archivio di Stato di Frosinone nel 1 967 non ancora inventariati, e che sono stati a base della ricerca, comprendono gli anni delle classi di nascita dal 1 887 al

1 891, relativi ai mobilitati per la guerra, e sommano a 49 volumi per un totale di matricole esaminate pari a 24. 1 93. Il numero sarebbe però stato superiore, ma in seguito agli eventi bellici della 2a guerra mon­ diale molti documenti matricolati sono andati distrutti. D'altra parte la stessa tenuta originaria di essi ha risentito di una frequente noncu­ ranza dei redattori i quali nella numerazione delle matricole o saltavano le centinaia, o ripetevano gli stessi numeri, o tornavano indietro nella successione. Inoltre non sempre i prospetti dei ruoli sono stati compi­ lati in ogni loro parte, così che sovente non sono state registrate l'alfabetizzazione, o .la professione, o addirittura le date. Tra le carenze di redazione, infine, va rilevato che spesso, specie nel caso dei rivedibili e dei renitenti, non è riportato il richiamo a matricole precedenti 0 seguenti come previsto dalla legge. Proprio per questo, e in consi­ derazione che il lavoro di ricerca non è stato elaborato tramite com­ puter, le matricole dei rivedibili e dei renitenti dal 1 887 al 1 890 nei rispettivi ruoli non sono state qui conteggiate. Si è cercato così di evitare di sommare due o tre volte la stessa persona, anche se questo ha portato ad una valutazione per difetto dei dati. Infine si sono consderati i registri dei rivedibili e dei renitenti della classe 1 891 perché non si sono esaminate le chiamate di anni successivi, alle quali sareb­ bero dovuti essere stati rimandati. Nei seguenti prospetti si riportano per anno gli elenchi dei ruoli matricolati esaminati e relative notazioni.

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1 Il circondario di Frosinone comprendeva i comuni di Acuto, Alatri, Amaseno, Anagni, Arnara, Boville Ernica, Castro dei Volsci, Ceccano, Ceprano, Collepardo, Falvaterra, Ferentino, Filettino, Fiuggi, Frosinone, Fumone, Giuliano di Roma, Guarcino, Monte S. Giovanni Campano, Morolo, Paliano, Patrica, Piglio, Pofi, Ripi, Serrone, Sgurgola, Strangolagalli, Supino, Torre Caetani, Torrice, Trevi nel Lazio, Trivigliano, Vallecorsa, Veroli, Vico nel Lazio, Villa S. Stefano, oltre a Maenza, Priverno, Prossedi, Roccagorga, Roccasecca dei Volsci, Sonnino. Questi ultimi 6 paesi sono stati poi trasferiti al distretto di Latina nel 1927 per effetto della modificata circoscrizione territoriale. Il circondario di Sora comprendeva i comuni di Arce, Castrocielo, Pescosolido, S. Ambrogio sul Garigliano, Terelle, Viticuso, oltre ad Acquafondata, Alvito, Aquino, Arpino Atina, Belmonte Castello, Broccostella, Campoli Appennino, Casalattico, Casalvieri, Cassino, Castelliri, Cervaro, Colle S. Magno, Fontanaliri, Fontechiari, Isola Liri, Picinisco, Piedimonte S. Germano, Pignataro Interamna, Pontecorvo, Roccadarce, Roccasecca, S. Biagio Saracinisco, S. Donato Val Comino, S. Elia Fiumerapido, Santopadre, S. Vittore del Lazio, Settefrati, Sora, Vallerotonda, Vicalvi, Villa Latina, Villa S. Lucia. Questi ultimi 34 comuni sono stati trasferiti al distretto di Gaeta nel 1920. Il circondario di Velletri comprendeva i comuni di Artena, Bassiano, Carpineto Romano, Cori, Gavignano, Gorga, Montelanico, Norma, S. Felice Circeo, Segni, Sermoneta, Sezze, Terracina, Valmontone, Velletri, oltre a Cisterna, Labico, Roccamassima. Tranne questi ultimi, gli altri sono stati anch'essi trasferiti al distretto di Latina nel 1927. I comuni di Ausonia, Esperia, Pastena, Pico, S. Andrea Vallefredda, S. Apollinare, S. Giorgio a Liri e S. Giovanni Incarico sono stati trasferiti al distretto di Frosinone da quello di Gaeta nel 1927.

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ANNO 1 887 Vol. 1 °, dal 123 al 942 ; vol. 2°, dal 1 882 al 2109 ; vol. 3°, dal 34343 al 351 28 ; Vol. 4°, dal 351 38 al 35558 ; vol. So, dal 35561 al 35938 ; vol. 6°, dal 35939 al 36360 ; vol. 7, dal 36360 al 36657 ; vol. 8°, dal 36702 al 37327 ; vol. 9°, dal 37508 al 3791 9 ; vol. 10°, dal 37962 al 38828. I volumi 1 o e 2° sono costituiti da soldati di 3a ctg. I volumi dal 3o all'So sono costituiti da soldati da 1 a ctg. Il volume 9o è costituito da soldati di 1 a ctg. classe 1 887 già riformati e rivisitati nel 1 9 1 6-17. Il volume 1 Oo è costituito da soldati di 1 a ctg. classi 1 888 e 1 889, quali rivedibili della classe 1 887, e di renitenti e disertori costituiti della stessa classe. Il numero delle matricole mancanti dai volumi,


Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

dal 3° all'So, in base alla loro successione, è pari a 56 .. A queste vanno sommate n. 1 7 matricole mancanti all'interno dell'So volume. Non sono state valutate n. 1 g5 matricole al volume 1 0° per<>hé relative al distretto di Gaeta.

costituito da soldati di 1 a ctg. riformati e rivisitati nel 1 g 1 6-17. Il volume So è in parte costituito da questi ultimi, in parte da rivedibili e renitenti chiamati con la classe 1 sgo. Il vol. go è di rivedibili e renitenti chiamati con le classi dal 1 sgo al 1 Sg6. Il numero delle matricole mancanti dai volumi, dal 3° al 6°, in base alla loro succes­ sione, è pari a 210. A queste vanno sommate n. 2 matricole mancanti all'interno del 2° vol. ; n. 3 mancanti ed errate nel 4o vol. ; n. 2 man­ canti e doppie nel So vol. ; n. S7 mancanti, in bianco ed errate nel 6° · vol. Al vol. 9o la numerazione passa erroneamente dal 46840 bis al 468g1 bis. Non sono inoltre state valutate n. 212 matricole dello stesso volume perché relative al distretto di Gaeta.

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ANNO 1 SS8 Vol. 1°, dall'l al 6g4; vol. 2°, dal 2332, al 3750 ; vol. 3°, dal 3S3S5 al 3S7S4 ; vol. 4°, dal 3S785 al 3g1 g3 ; vol. So, dal 3g1 g5 al 3g7s3 ; vol. 6°, dal 3gsog al 4041 0 ; vol. 7°, dal 40457 al 40S96 ; vol. So, dal 40gg7 al 4141 0 ; vol. go, dal 4141g al 41757 ; vol. 1 0°, dal 41 756 bis al 42S61 bis; vol. 1 1°, dal 42862 al 43462 bis. I volumi 1 o e 2° sono costituiti da soldati di 2a ctg., di 3a ctg. e di 1 a ctg. passati in 3a ctg. I volumi dal 3o all'So sono costituiti da soldati di 1 a ctg. In quest'ultimo volume la maggior parte degli iscritti sono soldati riformati e rivisitati nel 1g16-17, mentre i volumi 1 Qo e 1 1 o sono composti da soldati rivedibili e renitenti della classe 1 8SS con la classe 1 ssg. Al volume 2o sono in bianco e senza numero i fogli dalla matricola 2764 alla 3667. Il numero delle matricole mancanti dai volumi, dal 3o all'So, in base alla loro successione, è pari a 1 1 g. A queste vanno sommate : n. 210 matricole mancanti, in bianco, doppie o errate all'in­ terno nel 4° ; n. 122 mancanti ed errate nel vol. So ; n. 1 5 mancanti ed errate nel vol. 6° ; n. 2 errate del 7o. Al volume 1 O la numerazione passa erroneamente dal 4232S al 42S2g. Non sono inoltre state valutate n. 264 matricole al vol. 1 1 o perché relative al distretto di Gaeta.

ANNO 1 8Sg Vol. 1 °, dal 1 3 1 1 al 1710 ; vol. 2°, dal 41 S50 al 42333 ; vol. 3°, dal 42336 al 42g35 ; vol. 4°, dal 42g36 al 43535 ; vol. So, dal 43562 al 44034; vol. 6°, dal 44217 al 44g2s ; vol. 7, dal 4501 1 al 45526 ; vol. So, dal 45531 al 4647S ; vol. go, dal 4647g al 471 05. Il volume 1 o è costituito da soldati di 2a ctg. I volumi dal 2° al 6° sono costituiti da soldati di 1 a ctg. Il volume 6° è anche costituito da soldati disertori all'estero non richiamati per la guerra. Il vol. 7o

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è

ANNO 1 sgo Vol. 1 °, dal 2201 al 2S1 S ; vol. 2°, dal 4701 al 5137; vol. 3°, dal 4571 6 al 461 22 ; vol. 4°, dal 461 30 al 46725 ; vol. So, dal 473SS al 47g31 ; vol. 6°, dal 47g3s al 4S533 ; vol. 7°, dal 48534 al 4g1 2g ; vol. So, dal 4g1 34 al 4g676. Il volume 1 o è costituito da soldati di 2a ctg. Il volume 2° costituito da soldati di 3a ctg. e di 1 a passati in 3a. I volumi dal 3° al 7° sono costituiti da soldati di 1 a ctg. Nel vol. 7° molti sono i riformati e i rivi­ sitati nel 1g1s. Il volume So è interamente costituito da riformati e rivisitati dal 1 g 1 5 al 1g17. Il numero delle matricole mancanti dai volumi, dal 3° al 7°, in base alla loro successione, è pari a 67S. A queste vanno sommate n. 1 matricola mancante al 1 o vol. ; n. 10 mancanti al vol. 3o ; n. 7 tra doppie o errate al 4o vol. ; n. 64 tra mancanti e doppie al So vol. ; n. 216 delle stesse al 6° vol. ; n. 1 3g delle stesse al 7o vol.

ANNO 1 sg1 Vol. 1 o, dal 32S4 al 3gs7 ; vol. 2°, dal 5514 al 601 6 ; vol. 3°, dal 4g634 al 50233 ; vol. 4o, dal 50314 al 50771 ; vol. So, dal 507g4 al 51437 ; vol. 6°, dal 52032 .al 52553 ; vol. 7°, dal 52554 al 5307S ; vol. So, dal 53 0SO al 535g1 ; vol. go, dal 535g4 al 54120 ; vol. 1 Qo, dal 54121 al 54650 ; vol. 1 1 o, dal 54652 al 54gso bis.


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La chiamata alle artni per la guerra di Libia nei l"tloli matricolari di Frosinone

Il volume 1 o è costituito da soldati di 2a ctg. e di 1 a passati in ja. Il volume 2° è costituito da soldati di 3a ctg. e di 1 a passati in 3a. I volumi dal 3o al 7o sono costituiti da soldati di 1 a ctg. Nel volume alcuni sono rivisitati nel 1 9 1 5 . Il volume So è costituito da riformati e rivisitati dal 1 9 1 5 al 1917. Per la ricerca tra i riformati si sono considerati solo quelli chiamati per la guerra di Libia, le cui matricole nei ruoli precedenti sono mancanti o in bianco. Anche tra questi si sono considerati quelli posti nelle stesse condizioni dette per l'So volume. Il numero delle matricole mancanti dai volumi dal 3o al 10° ' ' in base alla loro successione, è pari a 702. A queste vanno aggiunte n. SS matricole doppie o in bianco al 3o volume ; n. 9 doppie al 4o volume ; n. 69 mancanti, in bianco e doppie al So volume ; n. 3 doppie al 6° volume ; n. 79 in bianco o errate al 7o volume. Non è stato valutato il volume 1 1 o perché di matricole relative al distretto di Gaeta. Il servizio militare e la tenuta dei ruoli matricolati nel periodo interessato da questa ricerca sono regolati da vari regi decreti : dal testo unico delle leggi sul reclutamento del Regio esercito del 6 agosto 1 SSS, n. 5655 e dal regolamento del 2 luglio 1 S90, n. 6952. Seguono nel tempo altri decreti che abrogano o sostituiscono alcune delle precedenti disposizioni, fino al nuovo testo unico delle leggi sul reclutamento, approvato poco dopo l'apertura delle ostilità, con r.d. del 24 dicembre 1 91 1 , n. 1 497. Nel marzo 1 9 1 1 inoltre, quindi qualche mese prima della dichiarazione di guerra alla Turchia e in pieno clima nazionalistico, sono emessi due decreti che influiranno sulla presenta­ zione alla chiamata alle armi per la mobilitazione. Uno è il r.d. del 27 marzo n. 230 che concede amnistia e indulto per alcuni reati militari a coloro che, nati dal 1 S90 e anni precedenti, incorsero nei reati di omissione nelle liste di leva, in quelli di renitenza e di diserzione. La concessione dell'amnistia è subordinata, per i residenti in Italia o rim­ patriati dall'estero, alla loro presentazione entro il 31 dicembre 1 91 1 . Per coloro invece che sono residenti all'estero, il loro obbligo a pre­ sentarsi è spostato al 31 dicembre 1 9 1 2. L'altro decreto è quello pari data, n. 231 , che condona alcune pene disciplinari militari 2 •

Fin qui una descrizione delle fonti e un accenno alla legislazione ad esse più direttamente pertinente. Interessa ora vedere chi sono i giovani chiamati per la conquista della Tripolitania e Cirenaica i quali avreb­ bero dovuto, con l'impiego del loro corpo e con lo stimolo dell'idea nazionale, risolvere le contraddizioni del sistema politico-economico italiano di quegli anni, e così favorire il tanto ambito progresso propugnato dagli uomini che fecero l'Italia. Su 5.925 chiamati per la mobilitazione, per i quali risulta la profes­ sione, circa il 63% sono persone che vivono di agricoltura e pastorizia, il 34% sono lavoratori dell'artigianato, dell'industria e dei servizi (im­ piegati e simili), il restante 3% sono studenti. Ma la diffusa campagna nazionalista e imperialista, che in quegli anni ha propagandato ai lavo­ ratori la ineluttabilità di conquista di una terra spacciata per fertile e di facile occupazione, vede presentarsi volontari solo 1'1 ,22% tra i chiamati. Ancor meno tra essi sono quelli che da tale conquista avrebbero dovuto trarne vantaggio : gli agricoltori, che volontari ammontano allo 0,1% del totale dei chiamati e solo all'S% di tutti i volontari. Di contro, quanto questa guerra fosse frutto di una politica capitalistica è dimostrato dall'alto numero di volontari appartenenti alla classi della media bor­ ghesia, dei commercianti, o degli artigiani e proletari impoveriti, che sono pari al 92% dei volontari. Tra questi, poi, oltre il 45% sono studenti, i quali sommano il 20% degli stessi chiamati. Vero è, però, che la propaganda nazionalista, e le amnistie, hanno facilitato e permesso un rientro in patria dall'estero di molti emigrati, anche se poi tanti ripartiranno per le Americhe dopo essere stati congedati. Rientrano comunque 1 .431 emigrati, il 20% dei chiamati, pari al 57% circa dei 2.506 giovani che risultano già essere stati all'estero. Se si considerano i dati in base alle professioni, gli emigrati all'estero ammontano a 1 .391 in totale, tra i quali gli agricoltori ne costituiscono il 74% . Queste analisi richiedono per una migliore comprensione un breve cenno alla legislazione sull'emigrazione alla quale devono sottostare

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2 Nei ruoli sono spesso indicati, tra i dati relativi a disertori costituiti, una serie di regi decreti di amnistia o condono, che però non compaiono inseriti nella raccolta delle leggi

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e dei decreti del regno d'Italia. Tali decreti sono in originale indicati con i soli estremi cronologici, e sono i seguenti : 9 agosto 1912; 26 novembre 1912; 22 dicembre 1912; 1 6 gennaio 1913; 13 febbraio 1913; 23 febbraio 1913; 27 febbraio 1913; 3 aprile 1913; 8 maggio 1 9 1 3 ; 8 agosto 1913; 16 ottobre 1913; 1 6 ottobre 1 913.


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La chiamata alle anni per la g11e1Ta di Libia nei r11oli JJJatricolari di Frosinone

i nati dal 1 887 al 1 89 1 . Una è la legge del 31 gennaio 1 90 1 n. 23, col successivo regolamento emesso con r.d. 1 0 luglio 1 90 1 , n. 1 93, . che resta in vigore fino alla promulgazione della legge del 17 lugliò � 9.1 O, n. 538. Questa abroga e sostituisce però solo gli articoli 7, 1 1 , 28 e 33 della legge n. 23, nonché gli articoli 81 e 82 della legge sul recluta­ mento n. 5655. Non entrando nel merito di tale giurisprudenza si fa solo notare, per ciò che interessa la ricerca, come queste leggi ricono­ scessero possibilità di espatrio per lavoro a giovani minori di anni 1 5, per la loro tutela. Si rileva questo anche perché è risultato particolare che tra i chiamati emigrati vi fossero vari iscritti ventenni del circon­ dario di Sora di professione vetrai o suonatori ambulanti. Non essendo a mia conoscenza che in quel territorio vi fosse, in particolare, un artigianato del vetro, le indagini bibliografiche mi hanno portato a trovare notizie circa fatti legati alla « tratta» di fanciulli, nei primi del '900, nei distretti di Sora ed Isernia, «inviati a lavorare nelle vetrerie della Francia e del Belgio o a cantare sulle piazze di Londra» 3• Mà a parte queste eccezioni il problema dell'emigrazione suscita in quegli anni una diffusa illegalità in riferimento al servizio militare, ponendo i soggetti alla leva, che non si presentano all'esame definitivo per l'arruolamento o che arruolati non ubbidiscono all'ordine di chia­ mata, nelle condizioni di renitenti i primi, di disertori i secondi. Le due fattispecie sommano a 2.020 individui, pari al 29% dei chiamati. Di essi inoltre quelli che risultano essere stati all'estero sono 1 .466, cioè il 73% dei renitenti e dei disertori, mentre tra questi ultimi la percentuale degli emigrati sale all'82% . Infine, i disertori dichiarati tali alle chiamate per la guerra che si sono costituiti, risultano essere 1 . 1 65, cioè il 67% del totale di essi. È indubbio che la propaganda nazionalista fatta propria dallo Stato abbia prodotto un certo stimolo a chi, emigrato, pensava di ritornare in patria con la speranza e la prospettiva di star meglio per aver contribuito alla conquista di una terra promessa. Ma intanto si può avere un'idea della realtà sociale di queste popo­ lazioni nei primi mesi del 1 9 1 1 , scorrendo quanto è riportato nella

« Relazione periodica agraria» 4• In essa, redatta dal sottoprefetto su informazioni dei comuni del circondario di Frosinone, per inviarla al prefetto a Roma, si informa, tra l'altro, che molti di quelli che sono « atti ai lavori di campagna hanno emigrato nell'America del Nord. È però emigrazione temporanea che si prolunga da due a quattro anni. Radunati i risparmi che agognavano ritornano agli effetti delle loro famiglie ( . . . ). Continua a scarseggiare e rincarire la mano d'opera per i lavori campestri e questi proprietari non contadini trovano sempre più malagevole il modo di rendere redditizi i loro fondi rustici». Non manca, ad aggravere la situazione, « il rincaro delle derrate alimentari» o « qualche caso di colera avutosi a lamentare in qualche comune», però a parere del sottoprefetto « le condizioni eco­ nomiche si sono mantenute buone, per le continue rimesse degli emigrati nelle Americhe». Certamente i nostri emigrati non sono un fiore all'occhiello del regno d'Italia, tanto più che per lo « spirito » dell'epoca sarebbe stato più legittimo l'impiego di tale forza-lavoro per fondare un impero e dare perciò respiro al soffocato sistema capitalistico interno. Oltretutto è in questo anno 1 9 1 1 che nasce nel circondario di Frosinone la Federazione delle leghe ciociare dei conta­ dini, che raccorderà l'azione alla lotta, già iniziata anni prima, per la salvaguardia di alcuni diritti e il miglioramento dei patti agrariS. Non si ritiene di dover qui sviluppare quanto è relativo ai problemi posti da questa situazione politico-economica, perché i limiti dati dall'oggetto della ricerca non ne permettono in questa sede un approfondimento. Il quadro che fin qui si è cercato di delineare della situazione socio-economica delle popolazioni, e in particolare dei giovani soggetti alla giurisdizione del distretto militare di Frosinone, permette di poter ora avere una visione più specificamente militare dei chiamati per la mobilitazione della guerra in Tripolitiana e Cirenaica 6• Il 24 settembre 1 9 1 1 il re autorizza il presidente del Consiglio dei ministri G. Giolitti ad inviare l'ultimatum alla Turchia per la questione

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3 A. FILIPUZZI, Il dibattito Slll!'etnigrazione, poletniche nazionali e stmnpa veneta ( 1861-1914), Firenze, Le Monnier, 1976, pp. 339-349.

4 ARcHIVIO DI STATO DI FROSINONE, [d'ora in poi AS FR], Prefetttlra, b. 263. 5 A. MARTIN!, I contadini, la terra, il potere, Roma, Bulzoni, 1985. 6 Vedi gli elenchi, per anno di leva, dei chiamati alle armi per mobilitazione nel 191 1-1912, pp. 248-252 di questo contributo.


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libica. L'esercito in questo mese è costituito da militari di 1 a · :ctg. classe 1 889 ascritti alla fanteria, artiglieria da fortezza e da costa, al genio, alla sanità e sussistenza, congedati però già dal giorno 3, oltre ai militari della cavalleria, artiglieria da campagna, artiglieria a cavallo e da montagna, che saranno congedati il 25 ottobre. Vi è poi il contingente, già in servizio di leva dal 25 ottobre 1 9 1 0, dei militari di 1 a ctg. classe 1 890. Intanto già il giorno prima dell'ulti­ matum, il 23 settembre, con r.d. n. 101 1 , si richiamano per mobilita­ zione i militari di 1 a ctg. classe 1 888, tenuti a presentarsi entro il 26, di tutte le armi tranne gli alpini, la cavalleria e i pontieri del Genio 7• Quindi alla dichiarazione di guerra del 29 settembre il regio Esercito può disporre di tutti gli uomini della classe 1 890 in servizio di leva, oltre ad una parte dei richiamati della classe 1 888, permettendo così, il 6 ottobre 1 9 1 1 , con legge n. 1 1 1 2, di poter dichiarare sul piede di guerra il personale della r. Marina e le truppe del r. Esercito, desti­ nandole a compiere operazioni attinenti alla occupazione della Tripoli­ tania e Cirenaica. Cosi dal 7 al 30 ottobre 1 9 1 1 sono imbarcati a Napoli i primi contingenti provenienti dal distretto militare di Frosinone, per un totale di oltre 650 uomini, costituenti parte dei richiamati del 1 888 e di parte della leva del 1890. Ma le sorti della campagna non vanno come si sperava, e da dopo i fatti del 23 ottobre nei dintorni di Tripoli con la rivolta della popola­ zione araba alle truppe di occupazione italiane, si rende necessaria la mobilitazione di altri contingenti. Intanto il 20 ottobre è iniziata la chiamata generale per la leva della classe 1 891, i cui iscritti, ad iniziare dal 1 3 febbraio del '12, cioè con poco più di tre mesi di addestramento, cominceranno ad essere avviati per la Libia. Il 28 ottobre si richiamano, con molta sollecitudine, i militari della classe 1889 congedati il 3 set­ tembre della sezione radiotelegrafica del battaglione specialisti del genio. Il 3 novembre sono poi mobilitati gli alpini della classe 1 888, mentre il 9 si richiamano gli ascritti della classe 1 889 ai granatieri, fanteria di linea, bersaglieri, artiglieria da campagna (compreso il treno), treno di artiglieria a cavallo, genio (zappatori, telegrafisti, minatori, specialisti

7 Per le notizie sulle chiamate e sui congedamenti, cfr. MINISTERo DELLA GUERRA, Storia delle classi di leva dal 1 874 in poi, Roma 1938.

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e ferrovieri), sanità e sussistenza, appena congedati il 3 settembre. I primi 200 uomini circa inizieranno a partire dal 1 9 febbraio 1912. Il 1 6 dicembre sono inoltre richiamati gli altri militari di questa classe, con­ gedati come i precedenti, appartenenti all'artiglieria da fortezza e da costa, che partono dal 1 3 febbraio del '12. . Nel 1 91 2 iniziano intanto i primi congedamenti : il 20 marzo del richiamati classe 1 888 se erano in Italia, il 1 o aprile se erano in Libia. I richimati della classe 1 889 ottengono il congedamento se erano in Libia e in Egeo il 20 luglio, mentre se erano in Italia il 1 5 agosto. Per coprire però i vuoti di contingente necessari alla guerra, n attes� . della chiamata alla leva della classe 1 892, il 5 agosto sono r1chiamat1 tutti quelli della classe 1 889 congedati già dal 25 ottobre 1 9 1 1 , che però non risultano mobilitati dal distretto di Frosinone. Il 5 settembr� del ' 1 2 sono infine chiamati alla leva i giovani della classe 1 892, de1 quali però nessuno parte prima del 1 8 ottobre, cioè della pa�e, m� i 7 dello stesso mese sono richiamati, dalla classe 1 887, gh ascnttl all'artiglieria, genio, sanità e sussistenza, dalla classe 1 890, i militari e i volontari che fecero la ferma di un anno. Firmato il trattato di pace con l'impero ottomano il 1 8 ottobre 1 9 1 2, reso esecutivo con legge del 1 6 dicembre 1 91 2, n. 1 3 1 2, viene istituita, con r.d. 21 novembre 1 912, n. 1 342, una medaglia comme­ morativa in argento della guerra itala-turca, che è concessa su richiesta a chi, civile o militare, si fosse trovato per motivi di lavoro o di servizio nelle zone soggette alle ostilità. Saranno autorizzati a fregiar­ sene 580 reduci. I congedamenti delle classi di leva suddette, a parte i già avvenuti, continuano a svolgersi nel 1 91 3 . Il 25 gennaio è congedata tutta la classe di leva 1 890 e parte di quella del 1 89 1 . Il 26 febbraio tutti i richiamati dell'87 e di parte dell'89. Infine, scaglionati il 20 maggio e il 25 novembre 1 913, sono posti in congedo i rimanenti delle classi di leva 1 891 e quelli del 1 892. In totale i partiti prima del trattato di pace ammontano a 2. 382 uomini, quelli partiti dopo, dei chiamati prima, a 1 84. La ragnatela di date fin qui elencate, che si è cerc� to i ren e �� . meno fitta non riportando quelle relative ai movimenti de1 nved1b1h e dei renitenti, evidenzia due fatti. Uno è la conferma di come, secondo una logica militare, questa guerra non sia stata preparata

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· secondo le reali esigenze e difficoltà di occupazione. Non si può non cogliere, nel frenetico accavallarsi di congedamenti, richiami, raffer­ me, uno sbandamento di fondo tra il potere politico e quello mllitare dinanzi all'evolversi di una situazione inaspettata. Tanto più, e questo è il secondo fatto da dover evidenziare, che per questa guerra sono mobilitati giovani di vent'anni in servizio di leva delle classi 1 890 e 1 89 1 . Con la capacità propria al sistema borghese, e in apparente contraddizione con la sua ideologia, si è potuto, per la prima volta nella storia militare contemporanea dell'Italia, far fare una guerra a chi, per tempi ed addestramento, formalmente non doveva poter essere chiamato ad essa. Ma le esigenze del potere economico-politico di svuotare e indebolire da un lato il movimento socialista di conte­ nuti ideali e politici, dall'altro e nel contempo di veder rafforzata ed ampliata la struttura economica e di potere liberista, hanno fatto sì che, tramite un supporto ideologico imperativo, l'idea nazionalista, non si dovesse badare troppo al tipo di uso delle risorse umane. Questa come tutte le guerre, combattute e non, sono più veritiere della cosiddetta pace per una comprensione profonda della società, ed esprimono quanto l'aggressione allo « straniero » non significhi certo la pace civile interna. Il primo militare che paga sul proprio corpo le conseguenze di questa guerra è un contadino analfabeta di Alatri, renitente di anni 22, ferito allo scroto nel combattimento di Feshlum il 1 8 ottobre 1 91 1 , fatto rientrare e collocato a riposo. I rimanenti feriti, in altre date e in altri luoghi, sommano a 68 e l'ultimo è un caporale già pluriferito, decorato di medaglia di bronzo al valor militare, contadino analfabeta di Cori di venti anni, rientrato per malattia, che il 27 agosto 1913 viene travolto nella caduta dal cavallo che conduceva all'abbeve­ rata alla fonte di Apollo a Cirene. I primi morti e dispersi, questi rimasti tali fino ad oggi sui ruoli matricolati, sono 20, deceduti il 23 ottobre 1 9 1 1 nella battaglia di Tripoli e dintorni, Sciara-Sciat, Henni, Sidi Mesri. I restanti 29 risul­ tano deceduti in altre località e in tempi diversi fino a giungere all'ultimo morto, tra i giovani militari partiti prima della pace, un contadino di Colle S. Magno, analfabeta di venti anni, che il 14 agosto 1913 si suicida a Garian. Non tutti i morti sono però vittime del nemico : un quarto di essi lo è del colera e del tifo, «malattia infettiva

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pm o meno diffusa in tutti i paesi della Libia dal giorno dello sbarco delle truppe Italiane» s. Non è con questa ricerca, per il suo oggetto limitata ad una analisi quantitativa di dati peculiarmente sociologici, che si possa riflettere sul significato che nel primo decennio del '900 ebbe la questione coloniale. Né tantomeno si può sapere che impatto abbia avuto sulle popolazioni locali del distretto militare di Frosinone 9• Però è certo che la guerra di Tripolitania e Cirenaica ha lasciato nelle genti libiche e italiane il senso di una continuità storica tuttora sentita di conflitto e di contrapposizione, accentuata da ideologie politiche necessarie agli Stati-nazione di rispettiva appartenenza. Si rileva infine che i ruoli matricolati, per loro particolare funzione e formazione, non permettono di avere notizie sullo svolgimento della campagna di guerra nel tempo e nei luoghi, se non indiretta­ mente nelle motivazioni agli encomi e alle decorazioni, ai ferimenti o in note casuali. Ma per poter ricevere e cogliere, quasi frammenti di notizie dal fronte, un senso della guerra combattuta, si rimanda agli annessi elenchi dei morti, dei feriti, degli encomiati e decorati, dei puniti. Gli elenchi che seguono sono stati compilati sia per i partiti che per i rimasti in Italia. Le notizie riguardanti i feriti ed i decorati o encomiati sono state trascritte così come in originale sono segnalate nell'apposito riquadro dei ruoli. Invece quanto agli elenchi dei morti e dei puniti, risultando le rispettive notazioni nei ruoli inserite nel riquadro degli «arruolamenti, servizi», ecc., si è in parte dovuto elaborare dall'originale per permettere una più chiara lettura di essi.

8 Cfr. AS FR, Ruoli matrico!ari, matricola n. 44844 del 1 889. 9 Un'eco della guerra è, ad esempio, la preghiera coeva alla Madonna di Canneto in Settefrati, perché salvi dal fuoco del nemico e permetta il ritorno a casa dalla Libia di un giovane soldato. Cfr. L. G A , <<Evviva Maria»: lodi e preghiere alla Madonna di Canneto. Relazione tenuta per il convegno di studi in occasione del VII centenario del santuario di Canneto, 1 6 settembre 1 989. Si rinvia inoltre agli articoli, non consultati, usciti in quegli anni sul giornale locale «La Difesa del Contadino» che, pubblicato per seguire le lotte dei contadini, riporta anche notizie sulla guerra di Libia. Cfr. G. DE BIANCHI, «La Difesa del Contadù10JJ di Giuseppe Bai/arati. La Lega dei contadini di Patrica, in Il mondo contadino dalla subaltemità al riscatto, Patrica 1988, pp. 81-88. (Giornate di storia a Patrica, 4).

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La chiamata alle artni per la guerra di Libia nei ruoli matricolat-i di Frosinone

Tutti gli elenchi sono stati realizzati col seguente criterio : anno di . nascita dei militari, ordinati per numero di matricola e nome,_ non riportato per i punti, con le relative notizie, oltre, dove non - è t;nan­ cante, la professione, il luogo di residenza, l'alfabetizzazione, l o stato di arruolamento e gli eventuali rimandi ad altre tabelle. Nelle note dei ruoli matricolati, riportate negli elenchi, vi è in vari casi l'indicazione di località teatro della guerra, ma spesso la trascrizione in originale di esse non è fedele al toponimo, distorto con altre lettere in diverso nome, come ad esempio Sidi Bilal, tra­ sformato in Sidi o Bibal. Cosi anche alcuni altri luoghi sono di difficile o impossibile identificazione geografica come, ad esempio, sembra essere Assaba, che non si ritiene possa essere confusa con Assab in Eritrea, sia perché nei ruoli non vi è segnalato il trasferi­ mento di militari dalla Libia, sia perché non risultano in quel periodo esservi state ostilità nella città eritrea.

MORTI E DISPERSI

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ANNO 1 887 36912 Santarelli Vincenzo, di Pofi, disertore all'estero costltmto. Disperso nel fatto d'armi di Ain Zara - 4. 1 2. 1 91 1 . ANNO 1 888 36912 Santarelli Vincenzo, studente del Serrone, volontario n. 1 890. Morto nella battaglia di Fonduk el Tokar - 30.5. 1912. 38617 Coladarci Giovanni, contadino di Alatri, analfabeta. Morto nel fatto d'armi di Henni 23. 10. 1 91 1 . -

38934 Piacitelli Giuseppantonio, contadino di Pontecorvo, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23.10. 1 91 1 . 38953 Potenziani Vincenzo, boaro di Anagni, analfabeta. Morto (senza altre indicazioni) - 23. 1 0. 1 91 1 . 39015 Galli Vincenzo, contadino di Labico, alfabetizzato, rivedibile classe 1 887. Morto a Tripoli per colera - 1 3 . 1 1 . 1 9 1 1 . 39088 Fabrizi Vincenzo, contadino di Arnara, analfabeta. Morto (senza altre indicazioni). 39102 Cutonilli Cesare. Morto nel combattimento di Sciara Sciat - 23. 10. 1 9 1 1 39206 Paolella Tommaso, contadino d i Ceprano, alfabetizzato. Morto nel combattimento di Bu Setua 26. 1 0. 1 9 1 1 . -

39326 Cuozzo Domenico, contadino di S. Elia Fiumerapido, semianalfabeta. Morto nel fatto d'armi di Sidi Mesti - 23. 10.191 1 . 39472 Tagliaferri Vincenzo, contadino d i Guarcino, analfabeta. Disperso nel fatto d'armi di Sciara Sciat - 23.10.1911 39657 Bono Antonio, contadino di Sonnino, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Sciara Sciat - 23. 1 0. 1 91 1 . 39679 Tornei Lodovico, contadino di Maenza, analfabeta. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23.10. 1 9 1 1 . 39694 Incicco Eleuterio, contadino di Maenza, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Henni 23.10.1911 -

39879 Colafranceschi Aristide, contadino di Giuliano di Roma, analfabeta. Morto a Tripoli in seguito a colera - 1 .4. 1912 39964 Mastrantoni Rocco, cuoco di Boville Ernica, alfabetizzato. Morto a Tripoli per colera - 1 2. 1 1 . 1912. 40513 Simoni Pietro, contadino di Patrica, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Henni 23. 1 0. 1 91 1 . -


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La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli Jllatricolari di Frosinone

Mauro Della Valle

46683 Bucci Edoardo, contadino di Artena, analfabeta. Morto nel combattimento di Hammangi - 4. 5.1912.

40523 Panetta Luigi, contadino di Veroli, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di H.enni - 23. 1 O . 1 9 1 1 .

40796 Agostino Giuseppe, di Acuto, disertore all'estero costituito. Morto a Tripoli in seguito a colera - 6. 1 1 . 1 91 1 .

46699 Torricelli Virginio, contadino di Valmontone, analfabeta. Morto a Tripoli in seguito a perniciosa malarica - 12.12. 1 91 1 .

A NNO

46702 Felici Edoardo, contadino di Artena, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23. 1 0. 1 9 1 1 .

1 889

42804 Venditti Giuseppe Morto a Gargaresh

-

Paolo, contadino 13.6.1 912.

di

Boville

Ernica,

analfabeta.

42895 Pacitto Angelo, garzone di Cassino, alfabetizzato. Disperso nel fatto d'armi di Sciara Sciat - 23. 10. 1 9 1 1 . 42989 Saccucci Pasquale, falegname d i Carpineto Romano, alfabetizzato, rivedibile classe 1 888. Morto in servizio a Roma. 43006 Marozza Giuseppe, contadino di Segni, analfabeta. Disperso nel fatto d'armi di Sciara Sciat - 23. 1 0. 1 91 1 .

47441 Maturani Pasquale, contadino di Giuliano d i Roma, analfabeta, renitente classe 1 889. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23. 1 0. 1 9 1 1 . 47543 Sperduti Domenico, cocchiere di Ceprano, analfabeta. Disperso nel fatto d'armi di Tripoli - 23. 1 0. 1 9 1 1 . 47968 Tarittera Enrico, vetturino d i Guarcino, alfabetizzato, renitente classe 1 887. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23. 1 0. 1 91 1 . 48125 Capponi Giuseppe, contadino di S . Felice Circeo, alfabetizzato, già all'estero. Morto a Derna 2.1 1 . 1 91 2. 48284 Bufalini Achille Aristide, contadino di Patrica, analfabeta, renitente classe 1 889 giunto in ritardo. Disperso nel combattimento di Zanzur 20.9.1912. -

44032 Sarta Angelo, bracciante di Pescosolido, alfabetizzato, giunto in ritardo dall'estero. Morto nel combattimento di Tripoli - 23. 10.191 1 . 44281 La Penna Luigi, contadino di Sezze, alfabetizzato, disertore all'estero costituito. Morto nel combattimento di Tripoli - 26. 1 0. 1 91 1 . 44449 Caponera Giulio, contadino di Fumone, analfabeta, disertore all'estero costituito. Morto in seguito a ferita alla testa al combattimento di Zanzur 8.6. 1 91 2. -

44844 Vacca Loreto, di Veroli, disertore all'estero costituito già rivedibile classe 1 888. Morto a Tripoli in seguito a ileo-tifo, malattia infettiva più o meno diffusa in tutti i paesi della Libia dal giorno dello sbarco delle truppe italiane - 4.7. 1 91 2 ANNO

227

1 890

-

48286 Trocchi Arcangelo, contadino di Ceprano, alfabetizzato, renitente classe 1 889 giunto in ritardo. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23. 1 0. 1 9 1 1 . 48287 Testani Sebastiano, contadino d i Pofi, alfabetizzato, renitente classe 1 889 giunto in ritardo. Morto di colera a Tripoli - 1 . 1 1 .1 9 1 1 . 48297 Mariani Salvatore, contadino di Ripi, alfabetizzato renitente classe 1 885 giunto in ritardo. Morto a Tripoli in seguito a ferite d'arma da fuoco riportate nel combatti­ mento del 26. 1 0. 1 9 1 1 .

45988 Leone Liberato, bracciante di Isola Liri, analfabeta. Morto nel combattimento di Tripoli - 26. 10. 1 91 1 .

48701 Paniccia Sebastiano, di Torrice, disertore all'estero costituito e amnistiato. Morto dopo il rientro per malattia - ?.1913.

46046 Ciaffone Luigi Antonio, contadino di Campoli Appennino, analfabeta. Disperso nel fatto d'armi di Henni - 23. 1 0. 1 9 1 1 .

4881 4 Rossi Luigi, di Veroli, giunto in ritardo dall'estero. Morto per ileo-tifo nell'ospedale da campo di Tripoli

46213 Vitello Benedetto, di Casalvieri. Morto in servizio di leva.

48818 Pigliacelli Ercole, di Veroli, disertore all'estero costituito e amnistiato. Morto a Misurata 16.9. 1 912.

-

27.4. 1 912.

-

4631 9 Palermo Albino, ferroviere di Roccadarce, Morto dopo essere rientrato per malattia 46584 Visoli Giulio, cocchiere di Boville Ernica, Morto dopo essere rientrato per malattia

-

-

alfabetizzato. 26. 1 . 1 912. analfabeta. 8 . 1 . 1 913.

46618 De Carolis Pietrantonio, contadino di Pontecorvo, alfabetizzato. Morto nel fatto d'armi di Henni - 23. 10. 1 9 1 1 .

ANNO

1 891

49988 De Ricchis Umberto, stuccatore di Collepardo, analfabeta. Morto in servizio di leva. 50030 Montellanico Giacinto, contadino di Castrocielo, analfabeta. Morto in servizio di leva.


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Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

50052 Murro Pietro, contadino di Colle S . Magno, analfabeta. Morto in seguito a suicidio a Garian - 14.8.1913. 50147 Alfi Alfredo, contadino di Pontecorvo, analfabeta. Morto in servizio di leva. 50153 Caporuscio Alessandro, carrettiere di Pontecorvo, alfabetizzato. Morto servizio di leva.

m

50573 Leone Francesco, carrettiere di S. Donato Val Comino, alfabetizzato. Morto in combattimento a Derna 1 7.9.1912. 50649 Bruni Enrico, contadino di Anagni, analfabeta. Morto in servizio di leva. -

50728 Fava Pietro, vetturino di Sora, alfabetizzato. Morto a Tripoli per ileo-tifo 28. 10.1 912. -

50969 Di Cieco Marco, contadino di S. Elia Fiumerapido, alfabetizzato. Morto nella Regia nave ospedale « Regina d'Italia» - 1 5.7.1 912. 51 101

Di Legge Altrobrando, macellaio di Priverno, alfabetizzato. Morto in servizio di leva.

51331 Belli Bernardo Francesco, contadino di Roccadarce, alfabetizzato. Morto dopo il rientro per malattia. 52878 Marcoccia Felice, falegname di Ceprano, volontario classe 1 892. Morto in servizio di leva a Roma.

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38777 Giannitelli Antonio, calzolaio di Castrocielo, alfabetizzato, rivedibile classe 1 886. Ferito d'arma da fuoco alla gamba destra nel combattimento di Feshlum - 3 1 . 10.191 1 . V . anche Encomi, note e decorazioni. 38958 Nomirelli Augusto, carrettiere di Anagni, analfabeta. Riportò la frattura del braccio sinistro, nel mentre legava il proprio cavallo, veniva da questi sbattuto contro il tramezzino di legno della scuderia a Bu Meliana - 25.12. 1 912. 39178 Vacca Fedele, contadino di Vallerotonda, analfabeta, rivedibile classe 1 887. Riportò una lesione al ginocchio sinistro in seguito ad un calcio ricevuto da un cavallo mentre conduceva una carretta da battaglione 4.1 . 1 912. -

39279 Frabelli Romolo, contadino di Ceprano, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco alla regione nasale e emorragia in seguito allo scoppio di uno shapnels durante il combattimento di Feshlum - 31.10.191 1 . 39417 Mattei Vittorio, barbiere di Fiuggi, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco al terzo superiore della gamba destra nel combatti­ mento di Feshlum - 3 1 . 10.191 1 . 39698 Primizia Anselmo, contadino di Veroli, analfabeta. Riportò la distorsione del pollice della mano destra cadendo mentre con gli altri militari della compagnia si esercitava alla corsa veloce a Bu Meliana (Tripoli) 26.12.1912. -

FERITI

ANNO 1 887

36558 Capobianco Vincenzo, bracciante di Sora, analfabeta, disertore all'estero costituito e amnistiato, fatto rientrare e collocato a riposo. Ferito d'arma da fuoco all'articolazione del gomito sinistro nel combattimento di Zanzur - 20.9.1912. V. anche Encomi, nota e decorazioni.

39993 Bianconi Domenico, bracciante di Ferentino, analfabeta, rivedibile classe 1887. Riportò una leggera ferita in prossimità dell'occhio sinistro la sera urtando casualmente nella punta della baionetta d'un compagno nell'entrare nella baracca d'alloggiamento - 12.2. 1 912. 40098 Scappaticci Costanzo, contadino di Aquino, alfabetizzato. Rientrato a Livorno per ferita d'arma da fuoco 6.2.1912. -

40257 Pirri Pasquale, bracciante di Ceccano, analfabeta. Lesione lacero contusa alla regione frontale in seguito ad un calcio ricevuto da un mulo mentre eseguiva il governo in Gargaresh 30. 1 . 1912. 40268 Noce Sante, contadino di Torrice, analfabeta. Leggermente ferito, ritornava dopo la medicatura al suo posto di combatti­ mento, rimanendovi poi per tutto il resto della giornata. Ain Zara - 4.12.1911. V. anche Encomi, note e decorazioni. -

ANNO 1 888 38629 Marcoccia Francesco, contadino di Alatri, analfabeta. Ferito, rimaneva al suo posto sulla linea di fuoco fino al termine del combatti­ mento, dando prova di fortezza d'animo e di coraggio. Bir Tobras, 19.12.191 1 . V . anche Encomi, note e decorazioni. 38751 Leva Giuseppe, contadino di Boville Ernica, analfabeta. Malgrado il soverchiante numero del nemico e da tergo continuò a combattere valorosamente dando esempio di coraggio ai compagni, frnché cadde ferito al polso sinistro. Sidi Mesri 23. 1 0.1 9 1 1 . V . anche Encomi, note e decorazioni. -

40556 Battisti Domenico, contadino di Carpineto Romano, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco al braccio e spalla sinistra, nel combattimento di Feshlum - 23.10. 1 9 1 1 . 40771 Costantini Ambrosia, contadino d i Alatri, alfabetizzato. Ferito d'arma da fuoco alla mano destra trovandosi in riserva col rimanente della compagnia a Feshlum - 29.10.1 91 1 .


Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la gt1erra di Libia nei moli matricolari di Frosinone

41 159 Mentuccia Antonio, bracciante di Segni, alfabetizzato. Riportò una ferita d'arma da fuoco alla gamba sinistra nel combattimento ai posti avanzati di Derna - 27.12. 1 91 1 .

44745 Abballe, contadino di Monte S. Giovanni Campano, analfabeta, disertore all'estero costituito. Riportò una lesione al fianco destro causata dall'urto del pomo della baionetta in seguito a caduta nel saltare un muro durante il combattimento a Feshlum - 28. 10.191 1 .

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ANNO 1 889 43008 Porcellini Felice, contadino di Segni, alfabetizzato. Riportò una contusione alla regione anteriore della gamba sinistra terzo medio mentre lavorava col genio militare a togliere pietre da una casa posta nei pressi della ridotta n. 3 di Gargaresh - 2. 5.1 912. 43145 Lolli Luigi, contadino di Piglio, analfabeta. Rientrato per ferita d'arma da fuoco - 20.7.1912. 43188 Lusetti Giovanni, contadino di Paliano, alfabetizzato. Riportò una lesione al piede sinistro per essergli passata su detto piede una ruota di un carro che muoveva mentre accomodava l'attacco del quadrupede in Gargaresh - 4.5.1 912. 43614 Palladini Alceste, contadino di Prossedi, analfabeta, disertore all'estero costituito. Ferito d'arma da fuoco alla regione del gomito destro nel combattimento di Feshlum - 1 1 . 1 1 . 1 9 1 1 .

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ANNO 1 890 45716 Ferraglioni Giuseppe, carrettiere di Velletri, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco al piede destro nel combattimento di Zanzur - 20.9.1 912. 45740 Priori Alfredo, carrettiere di Velletri, alfabetizzato. Ferito d'arma da fuoco al 1 /3 medio del braccio sinistro con forarne d'uscita nella regione pettorale sinistra nel combattimento di Feshlum - 23. 10. 1 9 1 1 . 45950 Accettala Antonio, contadino di Sora, alfabetizzato. Riportò una ferita alla regione scapolare destra mentre si portava nelle linee di Sidi Mesiri - 1 8 . 1 1 . 1 9 1 1 . V . anche Encomi, note e decorazioni. 46001 Tuzi Giuseppe, cocchiere di Sora, alfabetizzato. Ferito d'arma da fuoco al piede sinistro nel combattimento di Bir Tobras - 1 9. 1 2.191 1 . V. anche Encomi, note e docorazioni.

43673 Andreocci Paolo, bracciante di Priverno, analfabeta, disertore all'estero costituito. Riportò lieve escoriazione della mano sinistra e distorsione del polso in seguito a caduta mentre di corsa recapitava un telegramma al comando a Sidi Bilal - 6.1 1 . 1912.

46100 Di Girolamo Vincenzo, contadino di Terracina, analfabeta. Riportò una ferita alla gamba sinistra prodotta da arma da fuoco nerruca a Tripoli - 31. 10.191 1 .

43786 Lecce Raffaele, contadino di Vicalvi, alfabetizzato. Ferito d'arma da fuoco all'emitorace sinistro nel combattimento di Zanzur - 8.6.1 912.

46266 Pietrobono Angelo, studente di Alatri. Rimase ferito alla gamba sinistra da arma da fuoco. Sidi Garba - 16.5.1913. V. anche Encomi, note e decorazioni.

44242 Nardacci Pio, studente di Roccagorga, volontario in serviZIO n. 1 892. Riportò una ferita d'arma da fuoco alla mano destra durante l'attacco nemico sul fronte orientale del campo di Ain Zara - 28. 1 . 1912.

46419 Marcocci Achille, contadino di Arnara, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco al collo del piede sinistro nel combattimento dell'oasi di Tripoli - 26. 1 0. 1 91 1 .

44376 Quaglieri Antonio, disertore all'estero costituito, di Santopadre. Ferito d'arma da fuoco penetrante al torace nel combattimento di Sciara Sciat - 26. 1 0.191 1 .

46427 Tiberia Vincenzo, contadino di Ceccano, alfabetizzato. Ferito d'arma da fuoco alla coscia sinistra nel combattimento di Derna - 1 7. 1 1 . 1 91 1 .

44385 Nardone Giuseppe, contadino di Casalattico, alfabetizzato, disertore all'estero costituito. Ferito d'arma da fuoco alla guancia sinistra nello scontro di Tripoli. - 4.12.191 1 .

4651 7 Viola Domenicantonio, contadino di Castrocielo, analfabeta. A Tripoli riportò una lesione al braccio sinistro per essere stato ferito da una pallottola nemica mentre attendeva alla costruzione della batteria - 3.12. 191 1 .

44504 Fabrizi Rodolfo, muratore di Anagni, analfabeta, disertore all'estero costituito. Ferito alla mano sinistra durante il combattimento di Sidi Bubal ( . . . ) - 20. 9. 1 91 2. V. anche Encomi, note e decorazioni.

46528 Antonelli Libero, contadino di Aquino, analfabeta. Rientrato per ferita - 9 . 1 . 1 912. 46585 Camilli Tommaso, contadino di Monte S. Giovanni Campano, analfabeta. Ferito d'arma da fuoco al 3° medio della coscia destra nel combattimento di Zanzur - 8.6.1912.


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La chiatnata alle artni per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

Mauro Della Valle

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46589 Giona Achille, contadino di Monte S. Giovanni Campano, alfabetizzato. Durante il combattimento di Sidi Alì, benché ferito, al gomit� sinistro ( . . . ) - 14.7.1912. V. anche Encomi, note e decorazioni.

ANNO 1 891

46654 Zonfrilli Andrea, segantino di Pontecorvo, alfabetizzato. Ferito leggermente ad una gamba ( . . .) nel combattimento a Sciara Zaudia - 26. 1 0.191 1 . V . anche Encomi, note e decorazioni.

50068 Di Cardilli Mariano, contadino di Cori, analfabeta, rientrato per malattia. Riportò una ferita d'arma da fuoco alla regione sopraorbitale destra in seguito ad una pallottola di fucileria nemica durante il combattimento di Dania (illeg.), Cirenaica 29.6.1913. Riportò una contusione alla regione occipitale e alla gamba destra essendo stato travolto nella caduta del cavallo mentre lo accompagnava all'abbeverata alla fonte di Apollo in Cirene - 27.8.1913. ( ... ) ferito mentre la sezione si portava in posizione ( ... ) (manca la data per foglio strappato e mancante). V. anche Encomi, note e decorazioni.

47541 Fellucca Silvino, bracciante di Patrica, alfabetizzato. Riportò una lesione al polso sinistro in seguito a caduta mentre si recava a prendere un fiasco d'acqua 3.10.1 912. -

47567 Mele Torello, contadino di Velletri, alfabetizzato. Riportò una distorsione al piede sinistro durante una marcia di trasferimento da Bu Meliana a Sidi Mesti - 6.5.1912. 47661 Carolis Giovanni Antonio, bracciante di Alvito, alfabetizzato, rientrato per ferita. Ferito nel combattimento di Sciara Sciat - 23.10. 1 9 1 1 . 47836 Marchiafava Giovanni, falegname d i Cori, alfabetizzato. Riportò contusione alla parte antero-laterale delle ultime costole di destra e commozione viscerale in seguito a calcio di mulo che conduceva ad abbe­ verare - 1 5 . 1 1 . 1 9 1 1 . 4798 Magnante Cesare, contadino d i Veroli, alfabetizzato, rientrato per ferita e col­ locato a riposo. Riportò ferite che gli produssero cateratta traumatica all'occhio destro in seguito allo scoppio del fucile nel combattimento ad Henni - 26.1 1 . 1 9 1 1 . 48258 Pagano Michelangelo, analfabeta di Cassino. Rientrato per ferita. ( . . .) ferito rimase al suo posto finché poté essere traspor­ tato all'ambulanza. Gabu Abdalla - 20.8.1913. V. anche Encomi, note e decorazioni. 48261 Caira Pietro, contadino di Villa Latina, analfabeta, giunto in ritardo dall'estero. Ferito d'arma da fuoco alla regione dorsale destra nel combattimento di Gargaresh - 18.1.1912. 48276 Dell'Uomo Giuseppe, contadino di Alatri, analfabeta, renitente classe 1 889, rientrato per ferita e collocato a riposo. Ferito d'arma da fuoco allo scroto nel combattimento di Feshlum - 18.10.191 1 . 48472 Palmisani Giulio, contadino di Alatri, disertore all'estero costituito, rientrato per ferita e congedato. ( . . .) si comportò con grande coraggio e noncuranza del pericolo in combatti­ mento ove rimase mortalmente ferito. Sidi Bilal - 20.9.1 912. V. anche Encomi, note e decorazioni.

49869 Borgetti Domenico, carrettiere di Velletri, analfabeta. Riportò una ferita alla mano destra, in seguito ad esplosione del fucile, mentre innestava la baionetta nel montare di vedetta a Tripoli - 3. 10.1912.

-

50378 Incelli Augusto, carrettiere di Bassiano, analfabeta, rientrato per ferita. Ferito d'arma da fuoco al braccio destro nel combattimento di Fonzur 20.9.1 912. -

50466 Nardone Michele, contadino di Casalattico, alfabetizzato. Riportò ferita d'arma da fuoco al dito pollice destro nel combattimento di Assaba - 23.10. 1913. 50497 Chiapponi Cesareo, barcaiolo di Terracina, semianalfabeta, rientrato per ferita. Ferito d'arma da fuoco alla regione dorsale media del piede destro con foro d'uscita alla regione piantare media a Sidi Garga - 16.5.1913. 50508 Gasbarroni Agostino Armando, contadino di Terracina, analfabeta, rientrato per ferita. Riportò ferita d'arma da fuoco alla gamba sinistra nel combattimento di Assaba - 23.3. 1913. V. anche Encomi, note e decorazioni. 50552 Ferrera Francesco, contadino di Alvito, analfabeta. Riportò una ferita alla testa in seguito ad un urto contro una fiancata di un carro mentre scaricava delle rotaie presso il blokaus n. 2 a Tripoli - 10.1.1913. 50555 Lollo Bernardo, pastore di Alvito, analfabeta, rientrato per ferita. Riportò ferita d'arma da fuoco all'avambraccio destro nel combattimento di Assaba - 23.3.1913. 50556 Lollo Luigi, contadino di Alvito, analfabeta. ( . . . ) riportò ferita d'arma da fuoco. Assaba - s.d. V. anche Encomi, note e decorazioni. 50614 Cacciotti Mariano, contadino di Carpineto Romano, analfabeta, rientrato per ferita. Riportò una ferita d'arma da fuoco alla gamba sinistra senza lesioni ossee nel combattimento a Sidi Garbaà (Derna) - 16.5.1913.


Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

50646 Coluzzi Gaetano, contadino di Norma, analfabeta, renitente classe 1890. Riportò ferita da un proiettile nemico alla gamba destra· ( . . . ). Tecniz - 28.5.1913. V. anche Encomi, note e decorazioni.

PUNITI

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50648 Bellucci Ignazio, contadino di Anagni, analfabeta, rientrato per ferite e collo­ cato a riposo per infermità. Riportò ferita d'arma da fuoco alla spalla sinistra nel combattimento di Assaba ( . . .) - 23.3.1913. V. anche Encomi, note e decorazioni. 50910 Nardoni Felice, carrettiere di Cassino, alfabetizzato. Riportò una ferita lacero contusa al naso in seguito ad un calcio ricevuto da un mulo all'abbeverata - 12.10.1913. 50945 Vizzaccaro Sebastiano, contadino di Piedimonte S. Germano, analfabeta, rientrato per ferita. Ferito d'arma da fuoco al ginocchio sinistro nel combattimento a Sidi Maha­ mei Herbey - 20.9.1912. 50994 Apruzzese Rocco, contadino di Cassino, analfabeta, renitente classe 1 888. Riportò un morso da un mulo al braccio sinistro - 5.3.1913. 51 041 Antonetti Valentino, contadino di Vallecorsa, analfabeta. Riportò contusioni con ferita al labbro superiore, contusione all'orecchio sinistro, escoriazione al mento ed alla fronte in seguito a caduta in un fosso mentre di sera conduceva un carretto carico di legnami - 16.6.1913. 51070 Palombi Angelo, contadino di Castro dei Volsci, analfabeta. Riportò una lesione alla gamba destra, posando malamente un piede su di un gradino scivolò battendo la gamba sul gradino stesso - 12. 1 1 . 1 913.

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ANNO 1 888 39894 Calzolaio di Cori, alfabetizzato. Non partito. Dichiarato disertore per essersi assentato dal corso il 27. 1 0. 1 9 1 1 . In carcere il 26. 1 . 1 912. Condannato 1'8.3.1912 a 1 5 mesi d i reclusione militare per due distinti reati di diserzione semplice. Il 28.8. 1912 è condannato alla pena di giorni 40 di reclusione per lesione con arma. Il 12.9.1912 è condan­ nato a 8 mesi per furto. Il 26.2. 1913 a 8 mesi per ratto consensuale. Il 1 5 . 1 . 1915 è amnistiato con r.d. del 31 clic. 1914 e poi posto in congedo. 41 1 1 9 Scrivano di Roccasecca (Sora), volontario allievo sergente classe 1 890. Partito è dichiarato disertore per essersi assentato dal corpo con la esporta­ zione dell'intero armamento ed equipaggiamento (artt. 132, 142, 143 del codice penale militare) 1'8. 1 . 1 912. Il 1 5.4. 1912 si dichiara non farsi luogo a procedi­ mento per inesistenza di reato.

ANNO 1 889 41936 Vignarolo di Velletri, analfabeta, rivedibile classe 1 888. Non partito. Disertore costituito il 4. 8.1912 è condannato ad un anno per questo reato il 3.9. 1912. È rilasciato in congedo il 13.2.1913 ai sensi del r.d. del 23. feb. 1913 (sic). 41997 Calzolaio di Velletri, analfabetizzato. N on partito. Caporal maggiore in carcere per abbandono di posto il 27.8.1 912, è condan­ nato a due mesi e rimozione di grado 1'8.1 1 . 1 912. Esce il 27. 1 1 .1912 di prigione.

52171 Biancone Luigi Ernesto, contadino di Segni, analfabeta. Riportò una ferita lacero contusa alla regione sopra orbitaria sinistra e alla spalla sinistra causati dalla caduta di alcuni zaini per essere spezzati i raggi della ruota della carretta sulla quale montava per sistemare il carico quale comandato ad accompagnare la carovana diretta a Tolmetta - 4.6. 1 913.

41952 Carrettiere di Velletri, analfabeta, poi partito. Condannato a sei mesi di carcere per minacce a un superiore il 17.2. 1910 durante il servizio di leva. Uscito per condono 1'1 1 .7.1910 ai sensi del r.d. 7. lug. 7.1 910. 42315 Vetraio di Arpino, analfabeta. Renitente costituito, si dichiara il non luogo a procedere per inesistenza di reato, poi è avviato in Libia. Qui il 12.8.1912 è in carcere imputato del reato di cui all'art. 103, comma 2° del codice penale militare Il 1 . 1 0. 1 912 è condan­ nato a 7 mesi di carcere e rimpatriato il 17.10.1912 per espiazione di pena. Il 22. 1 .1913 esce per condono ai sensi del r.d. 16 gen. 1913, è poi posto in congedo.

52891 Ceschi Francesco, minatore di Sora, alfabetizzato, renitente. Riportò una lesione al ginocchio destro in seguito ad un calcio vibratogli da un quadrupede davanti a quello da lui accompagnato di ritorno dall'abbeverata - 25. 10.1913.

42365 Conduttore di caldaie a vapore di Roccasecca (Sora), rivedibile classe 1 888, alfabetizzato. Non partito. In carcere il 29.2.1912 per procurata evasione, è assolto per non provata reità il 12.3. 1912.

51 393 Viola Paolo, contadino di S. Elia Fiumerapido, analfabeta, rivedibile classe 1 889. Riportò una ferita lacero contusa alla falangetta della mano sinistra presso le fonti di Caramalì in Sad Giab - 12.8.1913.


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Mauro Della Valle

42507 . . . di Pontecorvo. Partito, è messo in prigione il 10.3.1912 a Tripoli imputato dei reati di cui agli artt. 98 e 130 del codice penale militare. Il 16.4. 1912 è condannato ·ad un anno. Il 1 9 . 1 1 . 1 912 è rilasciato per condono ai sensi del r.d. 10. nov.. ·1912 e poi posto in congedo. 42722 Contadino di Labico, analfabeta. Condannato a dieci mesi di carcere per lesioni e porto di pugnale il 4.9. 1 91 0 durante il servizio di leva. Uscito il 4.7. 1 9 1 1 è poi inviato in Libia. 43147 Contadino di Piglio, semianalfabeta, rivedibile classe 1 888. Partito, è incarcerato il 22.7 . 1 91 2 imputato di furto. Il 10.9.1912 è condannato a 1 0 mesi. Rientrato dalla Libia per scontare la pena esce per condono il 3.3. 1 91 3 ai sensi del r.d. 27. feb. 1 9 1 3 e poi congedato. 43470 Muratore di Velletri, alfabetizzato. Non partito. In carcere il 13.6.1912 imputato di reato ai sensi dell'art. 79 del codice penale militare. Il 24.9.1912 è condannato a 9 mesi di carcere per uso sciente continuato di documento falso. Uscito il 1 . 12.1912 per condono ai sensi del r.d. 26. nov. 1912 è poi posto in congedo. 43635 Vaccaro di Ferentino, analfabeta, disertore costituito. Non partito. In carcere il 9.4.1 912, è condannato il 7.5.1 912 a quattro mesi per insubordinazione. Il 3.8.1 912 esce per pena scontata e poi in congedo. 43645 Contadino di Fumone, analfabeta. In carcere il 22. 12.1910 durante la leva per furto qualificato e condannato ad otto mesi. Uscito per fme pena il 1 0.8.191 1 è poi inviato in Libia. 43739 Bracciante di Artena, analfabeta. Disertore all'estero classe 1 888, costituito e amnistiato, il 1 5. 12. 1 9 1 1 è con­ dannato a quattro mesi di carcere (non è riportato il motivo). Posto in libertà il 1 .4. 1 91 2 è poi inviato in Libia. 4401 1 Sarto di Sora, alfabetizzato, rivedibile della classe 1 888. Partito, è denunciato il 1 9 .3 . 1 91 2 per il reato di cui agli artt. 1 12 e 1 13 codice penale militare Il 31 .3.1912 è condannato a 3 mesi di carcere. Il 13.5.1912 è dichiarato disertore per essere evaso. Il 21.5.1912 è condannato a 3 anni. Il 25.5. 1912 rientra al corpo per scontare la pena. Il 1 .5.1914 è posto in congedo per condono ai sensi del r.d. 1 6 apr. 1 914.

ANNO 1 890

La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

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16.8.1912 esce per condono r.d. 9. ago . . 1912 e poi in congedo. È autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa. 46098 Contadino di Terracina, analfabeta. Non partito. In carcere per furto il 13.3.191 1 . Condannato a due mesi il 2.5. 191 1 è rilasciato il 10.5. 1 9 1 1 e poi posto in congedo. 46371 Contadino di Cori, alfabetizzato. Partito, è posto in carcere a Tripoli il 20.8. 1 912 imputato di lesione e tentativo di violenza carnale. È assolto il 3.10.1912 per non provata reità. 46509 Mulattiere di Colle S. Magno, analfabeta. Non partito. In carcere per furto il 1 8.4.1912. Condannato ·a due mesi di carcere il 21.5.1912. Esce il 1 5.6.191 2 e poi è posto in congedo. 46510 Pastore di Castrocielo, analfabeta. Non partito. In carcere per furto il 5.12.1910. Condannato a sei mesi di carcere il 20. 1 . 1 9 1 1 . Esce 1'1 1 .6.191 1 . L'1 1 .3 . 1 91 2 è posto in carcere per insubordinazione con vie di fatto e condannato il 13.3. 1912 a 14 mesi di carcere. Uscito per condono il 7.4. 1 9 1 3 per il r.d. del 3 apr. 1 913 è poi posto in congedo. 46667 Muratore di Valmontone, analfabeta. Rientrato dalla Libia per malattia, è posto m carcere il 3.6.1 912 per furto e condannato ad un anno il 10.9. 1912. Esce per condono del r.d. 1 1 mag. 1 91 3 il 16.5.1913, è poi posto in congedo. 47425 Contadino di Sora, alfabetizzato. Partito, renitente della classe 1 888, è posto in carcere per insubordinazione il 24.6. 1 912. Il 26 è condannato ad un anno e quindi fatto rientrare. Il 1 7.2. 1913 esce per condono r.d. 1 3 feb. 1 913, poi è posto in congedo. 47442 Sarto di Ceccano, alfabetizzato. In carcere per rifiuto d'obbedienza il 24.8.191 1 , è condannato a due mesi il 13.10. 1 9 1 1 . Uscito il 26 è poi avviato in Libia. 47458 Contadino di Ripi, analfabeta. Renitente della classe 1 888, dichiarato disertore alla chiamata, costituito è condannato ad un anno il 10.3 . 1 9 1 1 . Esce per condono il 23.3.191 1 ai sensi del r.d. 20 mar. 1 9 1 1 , è poi avviato in Libia. 47493 Barbiere di Atina, alfabetizzato. Non partito. In carcere per furto il 21 . 1 1 . 1 910, è condannato a tre mesi il 27. 1 . 1 9 1 1 . Uscito per fine pena i l 27.2.191 1 è poi posto i n congedo.

45957 Terrazziere di Campoli Appennino, analfabeta. Non partito. In carcere il 7.2. 1 9 1 1 imputato di furto. Condannato a sei mesi il 21.3. 1 91 1 . Uscito per pena scontata il 2.8. 1 9 1 1 è poi posto in congedo.

47531 Pastore di Paliano, analfabeta. In carcere il 3.2. 1 9 1 1 per 1 3 giorni per oltraggio e violenza. Uscito il 1 6.2. 1 91 1 per pena scontata. Il 2.3. 1 9 1 1 è in carcere per associazione a delinquere e furto. Il 1 . 1 . 1 91 2 è assolto per non provata reità e poi inviato in Libia.

45986 Bracciante di Isola Liri, alfabetizzato. Partito, il 10.12. 1 9 1 1 è in carcere a Tripoli per disubbidienza ed insubordina­ zione. Condannato il 1 .2. 1 91 2 ad un anno, rientra per scontare la pena. Il

47590 Contadino di Ferentino, analfabeta. Non partito. Disertore all'estero costituito e amnistiato, il 7. 1 1 . 1 912 è denunciato per non aver fatto rientro al corpo.


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Mauro Della Valle

47629 Panettiere di Alvito, analfabeta. Non partito. Dichiarato disertore alla chiamata, si costituisce il 1 8. 1 1 . 1 91 2 ed ·è denunciato. Condannato ad un anno di carcere il 1 .2.1913.

La chiamata alle armi per fa guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

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Partito, è incarcerato il 29.4. 1 913 e condannato a 3 mesi. Il 26.7.1 913 è rilasciato. Poi rientra ed è posto in congedo.

47676 Guardafilo telegrafico di Arce, alfabetizzato. In carcere il 12.12.1910 per lesioni con pena di un anno. Esce il 1 8 . 1 . 1 9 1 1 e poi è avviato in Libia.

50396 Orologiaio di Ferentino, alfabetizzato. Partito, è in carcere a Tripoli il 1 7. 1 1 . 1912 per rifiuto d'obbedienza. Il 1 8.12.1912 è condannato a 6 mesi. Rientrato per scontare la pena è rilasciato il 6.5. 1913 e poi posto in congedo.

47751 Giornaliero di Terelle, alfabetizzato. Non partito. Giunto in ritardo dall'estero, il 13.1. 1912 è dichiarato disertore con l'asportazione di oggetti di corredo e il 26. 1.1912 è denunciato. Si costituisce il 13.6.1914 e condannato ad un anno di carcere.

50424 Contadino di Supino, alfabetizzato. Non partito. Già renitente della sua classe 1 889, chiamato non giunge perché in carcere per omicidio. Condannato a 1 8 anni 1'8. 12. 1 912 è espulso dall'esercito.

47854 Contadino di Anagni, analfabeta. Renitente classe 1 889, il 24.5.1912 è messo in prigione per rifiuto d'obbedienza e condannato a due mesi. Uscito il 6.8.1912 è poi inviato in Libia. 47890 Contadino di Cassino, semianalfabeta. Renitente classe 1 886, il 22.5. 1 9 1 1 è posto in carcere per ferimento in rissa. Lasciato in libertà provvisoria il 3.7. 1 9 1 1 è poi inviato in Libia. 48031 Studente di Frosinone. Non partito. Volontario allievo sergente, 1'8.8.1912 è posto in carcere per prevaricazione e falso. Il 1 2. 12.1913 è condannato a due mesi e retrocesso soldato. L'1 1 .2.1914 esce ed è posto in congedo. 48101 . . . di Cervaro. Non partito. Disertore all'estero costituito ed amnistiato della classe 1 888, il 30.6. 1 9 1 1 è dichiarato disertore e denunciato per essersi assentato dal distretto. Costituito il 25.9. 1 914 è condannato a un anno di pena.

48446 Suonatore di S. Biagio Saracinisco, alfabetizzato. Non partito. Disertore all'estero costituito e amnistiato, il 1 5.12. 191 1 è dichiarato disertore per essersi allontanato dal corpo e denunciato. Si costituitsce il 30. 1 0. 1912 ed è condannato ad un anno di carcere. 48671 Studente di Supino. Non partito. Volontario allievo ufficiale classe 1891, il 13.8. 1 9 1 1 è posto in carcere per rifiuto d'obbedienza. Il 22.9.1911 è rilasciato per inesistenza di reato.

ANNO 1891 49796 Contadino di Velletri, semianalfabeta. Non partito. In carcere per procurata evasione il 2.5. 1 91 2. Condannato a tre mesi, esce il 29.7.1 91 2, poi è posto in congedo. 50042 Contadino di Aquino, analfabeta. Non partito. In carcere ai sensi dell'art. 217 del codice penale militare il 13.6.1913. Condan­ nato a due mesi, esce il 20.8.1913 e poi è posto in congedo. 50381 Contadino di Sermoneta, alfabetizzato.

50545 Contadino di Boville Ernica, analfabeta. Non partito. Chiamato è poi posto nel carcere civile per rapina e minacce il 26.3. 1 91 2, condannato ad un anno e 1 5 gg. di reclusione, a 5 lire di ammenda e ad un anno di vigilanza di pubblica sicurezza. Con sentenza di appello il 1 8.6.1912 la pena è ridotta a 6 giorni di reclusione e 5 lire di ammenda col beneficio della non iscrizione sul certificato penale. Uscito dal carcere il 25 giugno è reintegrato al corpo e poi posto in congedo per rassegna. 50640 Maniscalco di Segni, alfabetizzato. Non partito. In carcere imputato di furto il 1 2. 1 1 . 1 91 2, è condannato a due mesi. Uscito 1'8. 1 . 1 91 3 è poi posto in congedo. 50679 Contadino di Acuto, analfabeta. Non partito. In prigione per furto il 13.6.1913 è condannato a due mesi. Uscito il 22. 8. 1 9 1 3 è poi posto in congedo, con i l rifiuto della dichiarazione di buona condotta. 50743 Mulattiere di Sora, alfabetizzato. In carcere il 22. 1 . 1 91 2 per scontarvi la pena di giorni 5 ai quali fu condannato dalla pretura di Sora per furto il 24. 1 1 . 191 1 . Uscito il 28.1 .1912 è poi avviato in Libia. 50752 Bracciante di Sora, alfabetizzato. Partito, è posto in carcere per ingiurie e diffamazione, e condannato a 62 giorni. Uscito il 21.8.191 2, poi rientra per congedo. 50765 Mulattiere di Isola Liri, analfabeta e rivedibile classe 1 890. In carcere il 7.3.1912 per scontarvi la pena di 7 giorni ai quali fu condannato dalla pretura di Sora per furto. Uscito il 1 4.3.1912 è poi inviato in Libia. 50964 Vaccaro di S. Elia Fiumerapido, analfabeta, rivedibile classe 1 890. In carcere il 9.6.1912 per i reati di cui agli artt. 214 e 224 del codice penale militare è condannato a 2 mesi. Uscito il 1 5. 8 . 1 91 2 è poi inviato in Libia.

51225 Contadino di Paliano, analfabeta. In prigione il 9 . 1 2. 1 9 1 1 per scontarvi 5 giorni d'arresto per il reato di cui all'art. 452 codice penale (schiamazzi notturni), con sentenza della pretura di Paliano in data 5.8.191 1 . Uscito il 12.12. 1 9 1 1 è poi avviato in Libia. 51244 Contadino di Paliano, analfabeta, rivedibile classe 1 890. In prigione il 14. 1 . 1912 per giorni 30, condannato dalla pretura di Paliano per lesioni il 27.9.1911 e in appello il 9.12.1911. Uscito il 13.2.1912 è poi inviato in Libia.


La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

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51252 Capraio di Piglio, analfabeta. Non partito. In carcere il 9.11 .1913 per ferita in rissa è condannato a due · mesi. Uscito e posto in congedo il 3.2.1 914. 51330 ... di Roccadarce. Partito, è posto in carcere il 2.9.1912 per rifiuto d'obbedi�nza e condannato ad un anno. Rientrato per scontare la pena, il 12.5.1913 esce per condono ai sensi del r.d. 8 maggio 1913 e rinviato in Libia. 51 386 Contadino di Cassino, analfabeta, rivedibile classe 1 890. Non partito. Giunto in ritardo perché domiciliato in comune infetto, il 1 0 . 1 1 . 1912 è posto in carcere per insubordinazione e condannato a 3 mesi. Uscito il 9.2.1913 è poi lasciato in congedo. 52127 ... di Pontecorvo. Non partito. Già disertore all'estero costituito e amnistiato, il 25.10.1913 è posto in carcere per insubordinazione e condannato a 4 mesi. Uscito il 24.2.1914 è poi mandato in congedo. 52307 Contadino di Alatri, analfabeta. Non partito. Giunto in ritardo perché all'estero, il 25.4.1912 è posto in carcere civile per mancato omicidio. Il 30.4. 1913 è condannato a 7 anni 6 mesi e 20 giorni, e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici. 52880 Agronomo di Santopadre. Non partito. Volontario della classe 1 893, è in prigione per furto il 29.3.1 912 e condannato a 2 mesi di carcere e alla compagnia di disciplina. Uscito il 7.6. 1912 è poi posto in congedo.

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ANNO 1 888 38629 Marcoccia Francesco, contadino di Alatri, analfabeta. Nota al merito : ferito, rimaneva al suo posto sulla linea di fuoco fino al termine del combattimento, dando prova di fortezza d'animo e di coraggio. Bir Tobras - 19.12. 1 9 1 1 . V . anche Feriti. 38751 Leva Giuseppe, contadino di Boville Ernica, analfabeta. Decorato della me­ daglia di bronzo al valor militare perché malgrado il soverchiante numero del nemico e da tergo continuò a combattere valorosamente dando esempio di coraggio ai compagni, finché cadde ferito. Sidi Mesiri 23. 10.1911 -

V. anche Feriti.

38777 Giannitelli Antonio, calzolaio di Castrocielo, alfabetizzato, rivedibile classe 1 886. Iscritto nel ruolo d'onore perché ferito d'arma da fuoco alla gamba destra nel combattimento di Feshlum - 31 . 1 0. 1 9 1 1 . V . anche Feriti. 38893 Rocca Arturo, meccanico di Pontecorvo, alfabetizzato. Venuto a conoscenza insieme ad altri militari nel mattino del 6 maggio 1912 che in uno scontro fra una pattuglia italiana e una nemica vi era stato qualcuno ferito, si offriva immediatamente per accorrere in soccorso malgrado l'operazione presentasse piena difficoltà e pericoli. Concessagli l'autorizzazione riusciva unitamente ai predetti militari a trasportare entro la linea degli avamposti due nemici mortalmente feriti, dopo essersi esposto lungamente alle offese avversarie in un terreno assai aspro ed insidioso. Ordine del giorno del Comando della 2• divisione speciale in Derna in data 1 1 .5.1912.

ANNO 1 887

39950 Del Signore Vespasiano, vignarolo di Trevi nel Lazio, alfabetizzato, rivedibile classe 1 887. Encomio : noncurante del pericolo, corse in aiuto e riuscì a tra­ sportare all'indietro un compagno gravemente ferito ad una gamba. Anrussi 4.12. 1 9 1 1 .

36283 Sterbini Mario, studente di Pofi, volontario classe 1 890 sottufficiale di leva. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : si comportò con lodevole coraggio in combattimento. Due Palme (Bengasi) - 12.3. 1912.

40268 Noce Sante, contadino d i Torrice, analfabeta. Nota : leggermente ferito, . ritornava dopo la medicatura al suo posto di combattimento rimanendovi poi per tutto il resto della giornata. Ain Zara 4.12.191 1 .

ENCOMI, NOTE E DECORAZIONI

36375 Narducci Eugenio, studente di Frosinone, volontario classe 1890, sottufficiale in servizio. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare per aver dato esempio ai propri dipendenti nell'avanzata contro il nemico. Henni 26.10. 1 9 1 1 . -

36558 Capobianco Vincenzo, bracciante d i Sora, analfabeta, disertore all'estero costituito, fatto rientrare è collocato a riposo. ( . . . ) Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : portaferiti dava bella prova di fermezza, energia ed abnegazione in combattimento dove rimase ferito. Sidi Bilal 20.9.1 912. V. anche Feriti. -

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V . anche Feriti.

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41 150 Ferrara Ettore. Encomio solenne perché si distinse per coraggio ed interessa­ mento all'arresto di Arabi armati e sgombro di case ove erano ricoverati anche Arabi feriti nel combattimento di Sciara Sciat. Tripoli - 23. 1 0. 1 9 1 1 .

ANNO 1 889 42120 Peticca Felice, molinaro di Sora, analfabeta. Soldato segnalatosi per contegno ardito ed animoso sotto il fuoco avversario in Ain Zara - 1 . 12.191 1 .


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Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la g11e1Ta di Libia nei ruoli matricolari di Frosinone

42563 Saroli Angelo, possidente di S. Vittore del Lazio, alfabetizzato. Già segnalatosi ad Henni per contegno risoluto ed animoso m�strava anche ad Ain Zara ordinamento serenità portando ordini ed avvisi sotto il fuoco nemico - 23. 1 0. 1 9 1 1 .

45771 Evangelisti Sigismondo, contadino di Velletri, alfabetizzato. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : Servente di una mitra­ gliatrice si segnalava per tenace ardimento trasportandola a braccia e ponen­ dola ben 5 volte in posizione durante il ripiegamento e in contrattacco. Gargaresh - 1 8. 1 . 1912.

43676 Polidoro Ubaldo, bracciante di Maenza, alfabetizzato, disertore all'estero costituito. Nominato caporale per meriti di guerra - 28. 1 1 . 1 913. 43887 Pennacchia Luigi, bracciante di Fontechiari, analfabeta, giunto m ritardo dall'estero. Durante il combattimento di Mesti fu di esempio ai compagni per disciplina e valore. Si distinse anche a Bu Remek nell'eseguire il fuoco e nel portare ordini durante il combattimento - 23. 10.1 9 1 1 . 43906 D'Agostino Pietro, contadino di S . Elia Fiumerapido, alfabetizzato, disertore all'estero costituito. In ripetuti combattimenti dimostrava encomiabile noncuranza del pericolo ; tanto nel servizio di portaferiti, quanto nel provvedere al rifornimento di munizioni, animando sempre i compagni con la parola e con l'esempio a Messeri - 23. 1 0. 1 91 1 . 44504 Fabrizi Rodolfo, muratore di Anagni, analfabeta, disertore all'estero costituito. Decorato con la medaglia d'argento al valor militare perché ferito alla mano sinistra durante il combattimento di Sidi Bubal si medicò da sé e continuò a sparare, finché una pallottola avversaria gli spezzò il fucile. Ordinatogli dall'ufficiale di ritirarsi, aiutò a recarsi al posto di medicazione un compagno gravemente ferito - 20.9.1 912. V. anche Feriti. 44513 Sordi Vincenzo, contadino di Anagni, analfabeta, disertore all'estero costituito. Encomiato per lodevole prova di coraggio e di zelo in combattimento. Sidi Bidal - 29.9.1912. 44536aLozzi Giuseppe, bracciante di Arnara, analfabeta, disertore all'estero costituito. Encomio solenne : nell'alluvione per tentare il salvataggio di alcuni soldati in procinto di annegare si gettava più volte in acqua e solo si ritirava quando il comandante della compagnia, visti vani e pericolosi gli sforzi, ingiungeva di desistere dall'impresa. Bu Meliana - 1 1 . 1 1 . 1 9 1 1 .

243

45950 Accettala Antonio, contadino di Sora, alfabetizzato, caporale. Durante il combattimento a Messri dava esempio di disciplina e di valore ai compagni - 23. 1 0. 1 9 1 1 . V . anche Feriti. 45956 Cianfarani Giulio, ramaio di Sora, analfabeta. Encomio solenne : nell'alluvione del 16-17 novembre, per tentare il salvataggio di alcuni soldati in procinto di annegare, si gettava più volte in acqua e solo si ritirava quando il comandante della compagnia visti vani e pericolosi gli sforzi ingiungevagli di desistere. Bu Meliana - 16. 1 1 . 1 91 1 . 46001 Tuzi Giuseppe, cocchiere di Sora, alfabetizzato, caporale. ( ... ) Distintosi in precedenti combattimenti (Henni, 23. 10.191 1 - Ain Zara, 4. 12. 1 9 1 1) teneva contegno calmo e coraggioso dando bello esempio di energia morale e di fermezza. V. anche Feriti. 4601 8 Vitale Giuseppe, carrettiere di Sora, analfabeta. Nei combattimenti con l'essere sempre fra i primi in tutte le operazioni dava esempio di calma, risolutezza e disciplina. Henni - 23/26. 10.191 1 . 46048 Cianfarani Pasquale, contadino di Sora, alfabetizzato, caporal maggiore. Durante il combattimento prolungatosi per molte ore, era sempre di esempio agli inferiori ed ai compagni per il contegno risoluto ed animoso e per la calma disciplina del fuoco. Henni - 23. 10.191 1 . 46089 Bianchi Felice Agostino, contadino di Terracina, alfabetizzato, caporal maggiore. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : tentava avanzarsi oltre la linea di combattimento sotto un violento fuoco avversario, per trasportare il proprio ufficiale morto, riuscendo a trascinarlo fmo a pochi metri dalla linea di fuoco. Sciara Sciat - 9 . 1 1 . 1 91 1 .

ANNO 1 890

46266 Pietrobono Angelo, studente di Alatri, allievo sergente, rientrato per ferita ed iscritto nel ruolo d'onore. Encomiato per la lodevole condotta tenuta in combattimento ove rimase ferito alla gamba sinistra da arma da fuoco. Sidi Garba - 16.5. 1 91 3. V. anche Feriti.

45727 Favale Antonio, carrettiere di Velletri, alfabetizzato, caporale. Nei vari sbalzi fatti dal suo reparto per assaltare o conquistare importante posizione nemica a Sidi Said, eseguiva con calma gli ordini, animava con l'esempio i propri dipendenti e dimostrava slancio, coraggio ed energia non comuni - 28.6.1 91 2.

46270 Achille Giuseppe, commesso di Collepardo, alfabetizzato, allievo sergente, promosso sergente maggiore per merito di guerra il 1 . 9 . 1 912. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : in ripetuti combattimenti disimpegnava il servizio di esploratore in terreno insidioso ed esposto al fuoco nemico con molta intelligenza e noncuranza del pericolo. Sidi Said - 27.6.1912.


Mauro Della Valle

La chiamata alle armi per la guerra di Libia nei ruoli tnatricolari di Frosinone

46487 Di Murro Serafino, carrettiere di Castrocielo, analfabeta. Incurante del pericolo portava opera volenterosa ed ardimentosa per assic�rare il servizio della sezione mitragliatrici. Henni - 23. 1 0. 1 91 1 .

48261 Caira Pietro, contadino di Villa Latina, analfabeta, giunto in ritardo dall'estero, rientrato per ferita. Encomio solenne : si comportava lodevolmente nel combattimento e ferito teneva un contegno improntato a virilità e fermezza d'animo. Gargaresh - 1 8. 1 . 1912. Regio decreto del 22. mar. 1913. V. anche Feriti.

244

46556 Di Raimo Luigi, contadino di Sezze, analfabeta. Si comportava con lodevole ardimento e coraggio in combattimento. Begdalin - 1 5. 8. 1 912. 46589 Giona Achille, contadino di Monte S. Giovanni Campano, alfabetizzato, caporale. Durante il combattimento di Sidi Alì, benché ferito al gomito sinistro, ed invitato dal suo comandante di plotone a portarsi al posto di medicazione, rimaneva al comando della sua squadra e la conduceva all'assalto.: Si era comportato valorosamente in due precedenti combattimenti: Henni, 26. 1 1 .1 91 1 e Bir Tobras, 1 9. 12.191 1 . a 14.7. 1912. V. anche Feriti. 46654 Zonfrilli Andrea, segantino di Pontecorvo, alfabetizzato. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare: Combatté con molto ordine e con molto coraggio attaccando successivamente gruppi di arabi appostati nelle case dell'oasi, ferito leggermente ad una gamba continuò a tenere il suo posto nel combattimento a Sciara Zaudia 26. 10.191 1 . V. anche Feriti. -

47455 Montale Giuseppe, manovale di Frosinone, alfabetizzato. Caporal maggiore è nominato sergente per meriti di guerra

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20. 1 1 . 1 912.

47864 Girolami Raffaele, contadino di Morolo analfabeta, renitente classe 1 889. Nota : in combattimento portava ordini sul campo con lodevole coraggio. Sidi Said - Z8.6. 1912. 47895 Vessella Vincenzo, operaio di Pontecorvo, alfabetizzato, caporale. Dava prova di grande coraggio sotto il fuoco nemico nello slanciarsi tra i primi ad occupare posizioni avanzate. Bir Tobras - 1 9 . 1 2. 1 9 1 1 . Guidava la squadra in combattimento con lodevole slancio e coraggio. Sidi Said 28.6. 1912. -

48163 Serpetti Giuseppe, calzolaio di Cassino, alfabetizzato, renitente allievo sergente. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : durante un improvviso attacco seppe con coraggio ed intelligenza mantenere il collegamento della sua squadra col plotone dal quale era distaccato. Sciara Sciat - 3. 12.191 1 . 48258 Pagano Michelangelo, rivedibile di Cassino, volontario all. sergente in servizio. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : comandò con coraggio e calma il plotone al fuoco e ferito rimase al suo posto finché poté essere trasportato all'ambulanza. Gabu Abdalla - 20.8.1913. V. anche Feriti.

245

48280 Tagliaboschi Eugenio, garzone di albergo di Anagni, alfabetizzato. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : In ripetuti combattimenti dava continue prove di valore e d'ardimento nel recapitare ordini. Ain Zara, 4. 1 2. 1 9 1 1 - Bir Tobras, 1 9 . 1 2. 1 9 1 1 . 48472 Palmisani Giulio, contadino di Alatri. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : si comportò con grande coraggio e noncuranza del pericolo in combattimento ove rimase ferito mortalmente. Sidi Bila! - 20.9.1912. V. anche Feriti.

ANNO 1 891 50004 D'Acquanno Antonio, scalpellino di Roccasecca (Sora), alfabetizzato. Encomio : col suo contegno calmo e coraggioso nell'eseguire il fuoco fu di esempio ai propri compagni che incitava anche con la voce. Sidi Alì - 1 4.7.1912. 50068 Di Cardilli Mariano, contadino di Cori, analfabeta, caporale. Decorato con la medaglia di bronzo al valor militare: Ferito mentre la sezione si portava in posizione, continuava a guidare la sua pattuglia recandosi a farsi medicare dopo ultimato il movimento ed appena medicato riprendeva (foglio strappato e mancante) - s.d. V. anche Feriti. 50508 Gasbarroni Agostino Armando, contadino di Terracina. Decorato della Medaglia di bronzo : ferito al ginocchio con il suo contegno calmo e sereno incoraggiava i compagni all'avanzata. Assaba 23.3.1913. V. anche Feriti. -

50556 Lollo Luigi, contadino di Alvito, analfabeta. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare : Fu sempre dei prtml a seguire il comandante di plotone nelle avanzate efficacemente battute dal fuoco avversario e a conquistare posizioni nemiche. Riportò ferita da arma da fuoco. Assaba 28. 12.1913. V. anche Feriti. -

50646 Coluzzi Gaetano, contadino di Norma, analfabeta, renitente classe 1 890. Encomio solenne : dimostrò lodevole coraggio elevato sentimento militare perché quantunque ferito insisté per rimanere presso il plotone. Tecniz - 28.5.1 913. V. anche Feriti.


246

Mauro Della Valle

La chia111ata alle ar111i per la guerra di Libia ( 1911-1912) del distretto di Frosinone

50648 Bellucci Ignazio, contadino di Anagni, analfabeta, rientrato pei: ferita:. Decorato della medaglia d'argento al valor militare: combatté valorosamente, ferito a morte dette prova di sublime semtimento militare. Assaba - 23.3.1913. V. anche Feriti. 50744 Nicoletti Antonio, contadino di Sora, alfabetizzato, caporal maggiore. Encomiato per la lodevole condotta tenuta in combattimento. Assaba - 23.3.1913. 51074 Rossi Angelo, contadino di Castro dei Volsci, analfabeta. Encomiato per la lodevole calma e coraggio e particolarmente per essersi adoperato pel sollecito rifornimento delle munizioni sotto il fuoco nemico. Sidi Bilal - 20.9.1912. 51398 Viola Attilio, barbiere di Cassino, analfabeta, giunto m ritardo dall'estero, non partito. Decorato della medaglia di bronzo al valor civile: per aver cooperato con manifesto pericolo alla ricerca ed al salvataggio di un operaio sepolto sotto le macerie di una casa in parte crollata e in parte minacciante rovina. Pesaro - 28.4.1913. 52755 Di Girolamo Benedetto, boaro di Vallecorsa, semianalfabeta, giunto in ritardo dall'estero, rientrato dalla Libia per malattia nel gennaio del '13. Encomio per l'azione spiegata nel trarre in salvo un compagno in pericolo di annegare - Ancona - 7.8.1913.

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52840 Galloni Giuseppe, contadino di Castro dei Volsci, semianalfabeta, renitente giunto in ritardo, classe 1890. Encomio per la lodevole condotta tenuta nel combattimento di Assaba - 23.3.1913. 52861 Macioce Luigi, muratore di Alvito, alfabetizzato, giunto in ritardo, renitente classe 1890. Decorato della medaglia di bronzo al valor militare: teneva valoroso ed energico contegno durante tutto il combattimento, si distinse particolarmente per esemplare coraggio ed energia nel portare il suo pezzo nella posizione più avanzata. Sidi Gabaa - 16.5.1913. 00

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segue: MOBILITAZIONE NEL 1911-1912: CHIAMATI ALLE ARMI PER MOBILITAZIONE NEGLI ANNI

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volontari per la partenza autorizzati fregiarsi medaglia commemorativa partiti dopo il 18 ottobre 1912

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e non giunti perché ali' estero con passaporto e dispensati di classi precedenti rivedibili » » » ali' estero » » all'estero » )) renitenti >> )) » all'estero » » omessi già disertore ali' estero )) renitente )) » all'estero )) all'estero )) volontari per la leva

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costituiti dopo il 18 ottobre 1912 e dichiarato non luogo a procedere e amnistiati e arrestati e condannati a 1 anno di carcere e alle spese poi condonati con r.d. dell'8 ago. 1913, 18 ott. 1913, 23 feb. 1913 e condannati a 1 anno di carcere e posti in congedo per rassegna e posti in congedo per fratello in armi dei quali partiti dopo il 18 ottobre 1912

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di classi precedenti rivedibili )) )) all'estero » )) )) renitenti )) )) all'estero » )) )) omessi ali' estero )) all'estero » già rivedibili )) renitenti )) all'estero giunti in ritardo perché all'estero )) )) )) » renitenti )) )) )) fratello in armi » )) )) domiciliati in comune infetto » » volontari per la chiamata morti in servizio

= presentati e poi in congedo

1889

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di classi precedenti rivedibili = e dispensati perché in carcere )) = studenti » )) )) missionario (di classe precedente rivedibile) = )) = » malato = presentati e posti in congedo per rassegna

1888

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partiti, rientrati e posti in congedo di classi precedenti rivedibili )) )) )) all'estero )) )) renitenti )) )) )) all'estero )) )) all'estero )) )) omessi )) in carcere »

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Mauro Della Valle

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Una ricerca sui deportati libici nelle carte dell'Archivio centrale dello Stato

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Nel 1987 il Ministero degli affari esteri, a seguito di contatti ufficiali con l'Ufficio popolare per le relazioni estere della Jamahiria arabo libica popolare socialista, accolse la richiesta libica intesa a conoscere le vicende dei cittadini arabo-libici deportati o detenuti in Italia. Per avviare la ricerca, il ministro degli affari esteri inviò a Tripoli, nel marzo 1988, il capo del Servizio storico e documentazione, prof. Enrico Serra, per un primo incontro con una delegazione libica presieduta dal dott. Abdussalam Arafa. La parte libica manifestò il desiderio di ricevere tutta la documentazione in possesso dell'Italia relativa ai deportati, confinati e detenuti libici in Italia dal 1911 alla seconda guerra mondiale: elenchi, luoghi di confino e di detenzione, decessi, ecc. Il prof. Serra, dopo aver preso atto delle richieste libiche, fornì alcune prime sommarie indicazioni sugli archivi italiani dove sarebbero state effettuate le ricerche. Per organizzare, dirigere e svolgere il lavoro di ricerca nei vari archivi italiani, fu nominata una commissione interministeriale archivistica, presieduta dal prof. Serra e composta dai rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell'interno e di grazia e giustizia, dell' Archivio centrale dello Stato, dell'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, degli Uffici storici dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, e dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia. La commissione, preliminarmente, decise di suddividere la ricerca in due fasi: la prima dal 1911 all'avvento del fascismo e, la seconda, dal 1923 al 1939. Nel settembre 1988 furono consegnati alla delegazione libica, in visita in Italia, i documenti in fotocopia relativi agli arabo-libici deportati e detenuti in Italia tra il 1911 ed il 1922, conservati presso l'Archivio centrale dello Stato, l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, l'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana, gli


Mario Missori

Una ricerca sui deportati libici nelle carte dell'Archivio centrale dello Stato

Uffici storici degli Stati maggiori delle tre armi e gli archi:vi di alcuni istituti di pena. Non essendo questa la sede per analizzare i risultati globaii . della ricerca, si vuole soltanto tracciare, per sommi capi, quanto è emerso dalle carte dell'Archivio centrale dello Stato. La deportazione di libici in Italia iniziò, come è noto, all'indomani della battaglia di Sciara-Sdat, quando gli italiani, per rappresaglia e per domare la resistenza, fucilarono gli arabi trovati in possesso di armi e arrestarono un gran numero di persone, tra cui vecchi, donne e bambini che Giolitti decise di deportare in Italia dandone comunica­ zione al gen. Caneva con il suo famoso telegramma del 24 ottobre 1 91 1 : 1 « Quanto a rivoltosi arrestati, che non siano fucilati costà, li manderò alle isole Tremiti, nel mare Adriatico, coi domiciliati coatti ( . . . ). Le isole Tremiti possono ricevere oltre quattrocento detenuti ( . . . ) ». Ma gli arrestati erano ben più di 400. In una relazione a Giolitti del direttore generale della Pubblica sicurezza, Giacomo Vigliani, in data 29 gennaio 1 912 2, si legge infatti che « Dopo le tristi giornate del 23 e 26 ottobre p.p. furono arrestati e deportati in Italia coi piroscafi ' Minos ' e ' Serbia ' dalla Tripolitania 1367 individui che furono inviati all'isola di Tremiti, e col piroscafo ' Romania ' altri 920 individui che furono inviati ad Ustica». Questa relazione, però, non fornisce i dati completi a quella data, perché da un prospetto agli atti risulta che al gennaio 1 91 2 erano presenti 3.053 libici nelle varie colonie di Gaeta, Tremiti, Ustica, Favignana e Ponza (3). Negli anni successivi altri arabi furono trasferiti in Italia in gruppi molto meno numerosi o singoli individui, i quali, a differenza dei primi arrestati indiscriminatamente dopo Sciara-Sciat, venivano allontanati dalla Libia perché per il loro contegno « ostile» o per la loro influenza sulla popolazione erano ritenuti una minaccia alla presenza italiana. Il numero totale dei deportati dal 1 9 1 1 al 1 9 1 8 dovrebbe aggirarsi in circa 4.000 persone. Tutti erano stati rimpatriati alla fine del primo conflitto mondiale fatta eccezione, naturalmente, dei deceduti. C'è da ricordare, a questo proposito, che fin dall'arrivo

dei primi deportati scoppiò un'epidemia di colera, sembra già manife­ statasi sulle navi, che causò nel novembre-dicembre 1 9 1 1 e nei primi mesi del 1912 circa 600-700 morti. La maggioranza dei sopravvissuti dei primi deportati fu rimpatriata dopo pochi mesi, tanto che nell'a­ gosto del 1 9 1 2 le presenze libiche erano scese a 529 unità (1 98 a Favi­ gnana e 331 a Gaeta) 3• La ricerca presso l'Archivio centrale dello Stato ha interessato le carte del Ministero dell'interno-Direzione generale della pubblica sicu­ rezza-Divisione polizia giudiziaria e Direzione generale della sanità pubblica. La prima Direzione generale era preposta all'amministrazione e al controllo delle sedi usate per il domicilio coatto degli italiani, ritenuti pericolosi per l'ordine sociale e la sicurezza pubblica, le stesse dove furono concentrati i deportati dalla Libia; la seconda dovette spesso occuparsi delle condizioni sanitarie in quelle località di confmo. Il complesso documentario, ricchissimo di dati, è indispensabile per lo studio della vicenda, anche se non ne consente, da solo, una esauriente ricostruzione. Mancano, infatti, gli elenchi completi di tutti i relegati nelle varie colonie di Ustica, Tremiti, Favignana, Ponza e Gaeta; non sempre si trovano le date di arrivo, di rimpatrio o di decesso dei deportati. Le carte, poi, riguardano anche gli aspetti di carattere orga­ nizzativo ed amministrativo delle colonie (locali, vitto, vestiario, ispe­ zioni, ecc.), utili per ricostruire la vita e le condizioni dei relegati. Contemporaneamente ai deportati venivano trasferiti in Italia, per essere ristretti nelle carceri metropolitane, i libici condannati dai tribunali civili turchi, o in attesa di giudizio, evasi o liberati dalle carceri libiche durante lo sbarco e arrestati dagli italiani. A costoro seguirono poi i condannati ed i giudicabili dai tribunali militari italiani per reati sia comuni che connessi alla resistenza all'occupazione italiana (appartenenza o favoreggiamento alla lotta armata, propaganda, spionaggio, ecc.). Per i detenuti libici in Italia la documentazione conservata presso l'Archivio centrale dello Stato è molto frammentaria risultando, quindi, assai meno interessante di quella relativa ai deportati. Si trovano saltuarie comunicazioni di arrivi, di scarcerazioni, di decessi, nonché

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1 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO [d'ora in poi ACS], Carte Giolitti, b. 22, fase. 58. 2 Ibid., Ministero dell'intemo, Dir. gen. P.S.-Div. polizia giudiziaria, 1913- 15, b. 65.

3 Ibid. , b. 69.

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alcune schede personali di detenuti. Inoltre, mentre le car�e della . Divi­ sione polizia giudiziaria - le uniche che conservino documentazione sui detenuti - si fermano al 1 91 9, i detenuti libici in Italia, al contrario dei deportati, continuarono a essere presenti anche negli anni successivi. Sugli operai libici militarizzati e avviati al lavoro in Italia, durante la prima guerra mondiale, è conservato presso l'Archivio centrale dello Stato un fascicolo, nella serie Ministero delle armi e munizioni, conte­ nente poche carte, tra cui un prospetto del marzo 1 9 1 8 sulla dislocazione dei 1 6 «scaglioni libici» impiegati in Italia, per un totale di 4.061 unità. Per gli anni 1 923-39 c'è da ricordare che era cessato il flusso di deportati degli anni precedenti. I libici ritenuti ostili venivano confinati in località della colonia stessa e solo alcuni piccoli gruppi di notabili venivano eccezionalmente inviati in Italia a trascorrervi il periodo di confino inflittogli dal governo coloniale. Questo perché, malgrado la limitazione della libertà personale, derivante dal provvedimento di confino, per la loro semplice presenza in patria erano ritenuti capaci di esercitare sulla popolazione un'influenza lesiva degli interessi italiani. Pertanto, la documentazione di questo periodo conservata presso l'Archivio centrale dello Stato è piuttosto modesta, non potendo che riflettere l'esigua presenza di confinati libici in Italia. Presenza docu­ mentata per 25 libici arrivati ad Ustica tra il 1 923 ed il 1 924 e rimpa­ triati tra il 1 924 ed il 1 928; per 40 notabili4 (38 a Ustica, uno a Tremiti e uno a Como), arrivati tra il 1930 ed il 1 931 e rimpatriati tra il 1 931 ed il 1 936; infine per un libico assegnato dal governo coloniale al confino di polizia a Noepoli (Potenza) nel 1 937 e liberato dopo la caduta del regime fascista. Nessuna documentazione è conservata nell'Archivio centrale sui detenuti libici nelle carceri italiane tra il 1 923 ed il 1 939.

Nel corso della ricerca della seconda fase, in una riunione della commissione interministeriale archivistica, il presidente informò i com­ ponenti che la ricerca andava estesa anche al trasferimento e al con­ centramento delle popolazioni del Gebel el Achdar in appositi campi attrezzati lungo la fascia costiera. Trasferimento disposto da Badoglio e attuato da Graziani nel corso della lotta contro Ornar al-Mukhtar durante la riconquista della Cirenaica. Su questo argomento sono conservate presso l'Archivio centrale dello Stato - nelle carte Graziani - soltanto alcune relazioni di carattere generale sulla « riconquista », che accennano alle vicende del trasferimento della popolazione in modo sommario e lacunoso: è vago il numero dei deportati («alcune decine di migliaia») e manca completamente il numero dei decessi avvenuti per i disagi patiti durante le marce forzate di trasferimento. Alla fine del marzo 1 989, una delegazione italiana, composta da cinque membri della commissione interministeriale, si è recata a Tripoli ed ha consegnato alla parte libica le fotocopie dei documenti conservati nei vari archivi italiani e relativi al periodo 1 923-1 939. L'incontro tra le due delegazioni si è svolto in un clima di amichevole cortesia e da parte libica non si è nascosta la soddisfazione per lo spirito di colla­ borazione dimostrato dalla controparte nell'espletamento della ricerca e per i risultati ottenuti, ponendo l'accento sull'importanza che la documentazione ricevuta riveste per la ricostruzione delle vicende del loro paese, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto umano: identifi­ cazione e vicissitudini dei loro connazionali maggiormente coinvolti nella lotta all'occupazione italiana. Nel corso dei colloqui è stato raggiunto un accordo per l'invio in Libia di esperti archivisti italiani per effettuare una ricognizione e un censimento di fonti archivistiche italiane presenti a Tripoli e sono state richieste, dalla parte libica, le sentenze emesse dai tribunali militari coloniali italiani. Quest'ultima richiesta, accettata in linea di massima dalla delegazione italiana, ha coinvolto esclusivamente l'Archivio centrale dello Stato. Qui, infatti, erano state a suo tempo versate le copie delle sentenze emesse dai tribunali militari di guerra di Bengasi, Berna, Homs, Misurata e Tripoli dal 191 1 al 1 91 5. Le sentenze originali di quegli anni, così come quelle degli anni successivi, erano in possesso della Procura generale militare-Ufficio del pubblico ministero dei tribunali di guerra soppressi. Pertanto, per poter soddisfare la richiesta libica, il

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4 Graziani, tramite il ministro De Bono, chiese ed ottenne il trasferimento in Italia di questi notabili, nell'agosto (per 32), e nell'ottobre 1 930 (per gli altri 8), « sia per ragioni politiche di ordine generale, sia per essere insorti in questi ultimi tempi ragionevoli sospetti che alcuni di essi stanno tentando la fuga». Quando, però, nel novembre successivo, propose il trasferimento di altri 120 notabili confinati a Benina, il Ministero dell'interno rispose « che S.E. il capo del governo, al quale è stata presentata la richiesta pel confmamento in Italia di altri 120 notabili della Cirenaica, non ha ravvisato l'opportunità di tale provvedimento» (ACS, Ministero dell'interno, Dir. gen. P.S.- Div. AA. GG.RR., «Confino politico-Affari generali», b. 21).

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sovrintendente all'Archivio centrale, anche a nome della commissione interministeriale, ha richiesto al predetto ufficio il vers�mento . delle sentenze emesse da tutti i tribunali militari italiani in Libia · fino al 1 939. Avendo la Procura generale militare aderito immediatamente alla richiesta, l'Archivio centrale dello Stato ha acquisito le sentenze emesse da quei tribunali a tutto il 1939, nonché quelle del tribunale speciale della Tripolitania dal 1 927 al 1 939. Si tratta di un complesso di circa 13.000 sentenze, di cui circa 6.000 relative a circa 9.000 civili e militari libici. Le rimanenti sentenze si riferiscono a militari italiani e coloniali (eritrei, somali, etiopici) di stanza in Libia. Le imputazioni a carico dei libici riguardano reati sia comuni che connessi alla resistenza (lotta armata, tradimento, atti ostili, favoreggiamento ai « ribelli», detenzione armi, ecc.). Queste sentenze hanno un valore documentario che va ben oltre le singole vicende personali degli imputati; nel loro insieme, infatti, attraverso la descrizione dei « fatti» in giudizio, offrono un notevole contributo per la ricostruzione degli avvenimenti militari e civili della Libia durante la permanenza italiana. La loro acquisizione all'Archivio centrale dello Stato, pertanto, se da un lato ha permesso di esaudire la richiesta libica, dall'altro ha messo a disposizione dei ricercatori una nuova fonte documentaria per la storia del colonialismo italiano. Un altro vantaggio, di più ampia portata, dovrebbe poi derivare dalla collaborazione e dai contatti italo-libici stabiliti nella circostanza. Il clima amichevole e disteso dei rapporti ha permesso, come già accennato, di raggiungere un accordo per l'invio a Tripoli di archivisti italiani per effettuare una ricognizione e un censimento di fonti archivistiche italiane colà esistenti. È questo il primo importante passo che viene compiuto per conoscere cosa e quanto è rimasto in loco degli archivi di quel governo coloniale italiano. È da augurarsi - e le premesse ci sono - che questa prima fase di accertamento possa essere seguita da ulteriori accordi che permettano la piena utilizzazione scientifica di quelle fonti.

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I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

La deportazione dei prigionieri libici della guerra del 1 9 1 1 - 1 9 1 2 è una pagina poco nota della storia del colonialismo italiano. Fino a poco tempo fa è stata studiata solo in termini generali, e sulla base di fonti giornalistiche o bibliografiche 1 • Questo studio relativo al solo caso della colonia penale delle Tremiti si fonda su fonti z con­ servate nell'Archivio centrale dello Stato, in particolare la documen­ tazione della Divisione polizia giudiziaria, categoria 1 1 500.4, già de­ scritta da Mario Missori nella preziosa opera L'A rchivio centrale dello Stato dalle origini al 1922, che costituisce il IV volume della collana, Inventario delle fonti manoscritte relative alla Storia dell'Africa del Nord esistenti in Italia curato anche da C. Piazza, e C. Filesi. Procederò affrontando alcuni problemi di fondo relativi all'avvenimento in questione, e cioè la questione del numero dei deportati (e parzial­ mente, l'origine regionale degli stessi) ; le condizioni di detenzione ; l'ispezione e l'inchiesta, su ordine del governo Giolitti, dell'ispettore generale di P . S . Adolfo Lutrario.

1 Vedi ad esempio A. DEL BocA, Gli italiani in Libia, Roma-Bari, Laterza, 1986. 2 Utilizzando le stesse fonti ho pubblicato tempo fa due brevi articoli, su «<l Manifesto»

del 17 novembre 1987 e su «L'Ora» del 6 febbraio 1988. il caso trattato su quest'ultimo giornale riguardava soprattutto la deportazione ad Ustica. Sullo stesso argomento vedi il saggio di M. GENCO « Studi Piacentini», 1 989, 5, pp. 89-1 13, a sua volta rielaborazione di alcuni articoli apparsi su «<l Giornale di Sicilia» nel dicembre 1 988, e basato su fonti dell'Archivio di Stato di Palermo. Infine, la vicenda delle deportazioni è stata affrontata anche dal LIBYAN STUDIES CENTER, The Libyan deportees in the prisons of the Italian islands, Tripoli 1 989, un'antologia di documenti con breve introduzione storica.

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Il numero dei deportati Le fonti utilizzate sono discordi e impediscono perciò una ricostru­ zione precisa, all'unità, del numero dei relegati libici nell'arcipelago delle Tremiti. Bisogna tener presente al proposito tre fatti : il primo è che la deportazione fu decisa dal governo Giolitti sull'onda della inaspettata rivolta di Sciara Sciat, e fu per questo condotta - come testimoniano le direttive impartite dal primo ministro alle truppe d'occupazione fra il 24 e il 25 ottobre 1 91 1 3 - in modo caotico e improvvisato. Il secondo fatto - evidentemente collegato al primo - è l'assenza nelle fonti esaminate di documenti attestanti un censi­ mento all'origine : la popolazione deportata, che comprendeva anche vecchi oltre i novant'anni e ragazzi al di sotto dei sedici, venne ammassata sulle navi d'imbarco presumibilmente senza alcuna altra preoccupazione che quella di compiere in fretta l'operazione. Accadde poi - terzo fatto - che durante la traversata diversi deportati mori­ rono : «Trasmetto lo elenco nominativo di tutti i relegati arabi morti - scriveva ad esempio al Ministero dell'interno il direttore della colonia di Ustica Cutrera, in data 1 gennaio 1 9 1 2 - ( . . . ) rassegno che

3 Direttive nelle quali il numero dei prigionieri è sempre diverso ed in costante aumento. Alle 1 6,45 del 24 ottobre Giolitti telegrafava al gen. Caneva di voler mandare «i rivoltosi arrestati» «alle isole Tremiti, nel mare Adriatico, coi domiciliati coatti», isole che «possono ricevere oltre quattrocento detenuti» (ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO [ d'ora in poi ACS] Carte Giolitti, b. 22, fase. 58, telegramma 27979 del 24 ottobre 1 9 1 1 , citato in A. DEL BocA, Gli italiani in Libia ... cit., p. 1 15). Due ore e mezza dopo un altro telegramma del primo ministro assicurava lo stesso Caneva della possibilità di deportare « qualunque numero arabi anche se fossero decine di migliaia» (Telegramma n. 1 06 della Eastern Telegraph ltd., del 24 ottobre 1 9 1 1 , citato in LIBYAN SrumES CENTER, The Libyan deportees. . . citato. Alle 1 8,45 del 25 ottobre ancora Giolitti, che evidentemente aveva ricevuto informazioni più aggiornate sulla repressione in Tripolitana, annunciava al ministro della guerra di aver « disposto che sia sgombrata colonia coatti Tremiti» e di stare per « disporre che si sgomberi anche colonia Ustica» «per collocamento 1600 arrestati arabi». « A Tremiti» - continuava il telegramma - «potranno essere inviati fmo a 1000 prigionieri. Ad Ustica i rimanenti . . . » (ACS, Ministero dell'interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Divisione polizia giudiziaria [d'ora in poi DPG], categoria 1 1 500.4, b. 69, fase. 7). Un altro esempio del carattere improvvisato della decisione di Giolitti è il cambio di rotta del piroscafo « Romania» dalle Tremiti ad Ustica (ACS, DPG, b. 69, fase. 9, doc. 9 : d'ora in poi b. 69, 9, 9).

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durante la traversata alcuni relegati morirono sul piroscafo Romania che li trasportò da Tripoli, ed il numero di essi mi è sconosciuto ( • • • )4». Anche « L'Ora» di Palermo, in una corrispondenza dell'8-9 novembre 1 9 1 1 , riferisce di « cadaveri degli arabi buttati dal piroscafo S. Giorgio nelle vicinanze della spiaggia» 5 di Ustica. Per quel che riguarda il caso delle Tremiti, la discordanza delle fonti è rilevabile in diverse occasioni. L'imprecisione riguarda il computo non solo all'origine (cioè al momento dell'imbarco in Libia) ma anche nella stessa colonia di destinazione. Così, in B 69, 9, «Affari diversi» compaiono, in fogli differenti, due cifre : 1 366 e 1 391 . In B 69, 9, 7, un appunto del direttore generale di P.S. per il ministro dell'interno fornisce di nuovo la cifra di 1 391 prigionieri, scaglionati in due deportazioni, rispettivamente di 791 e 600 unità. Ma l'«elenco degli arrestati arabi deceduti nell'isola di Tremiti dal 29 ottobre al 9 gennaio 1912»6 assicura che con la prima spedizione (del 29 ottobre) vennero sbarcati 595 arabi, e con la seconda (del 3 novembre) 772, per un totale complessivo di 1 367 prigionieri. Si può ipotizzare allora che la differenza sia dovuta parte ai decessi durante la traversata, parte agli smistamenti di alcuni prigionieri in altre sedi minori : per esempio, una ' riservata ' del prefetto Spairani alla Direzione generale pubblica sicurezza del Ministero dell'in­ terno ricorda che dalla seconda spedizione vanno defalcati in tutto 1 8 relegati, 6 morti durante la traversata e 12 trasferiti a Napoli. Senonché, in base alla stessa missiva, la cifra totale che si ottiene è di 772 più 1 8, cioè 7907• Sussiste dunque una sia pur minima differenza. In conclusione la cifra dei prigionieri libici nelle Tremiti, deducibile dalle fonti esaminate, oscilla fra le 1 366 e 1 391 unità, numero che peraltro è di gran lunga superiore a quelli delle altre colonie di depor­ tazione scelte da Giolitti : in un documento titolato «Numero degli arrestati arabi presenti nelle colonie nel mese di gennaio 1 912» la cifra totale indicata a quella data (dopo cioè che epidemie e malattie avevano

4 Ibid., b. 71, fase. 3/10 1 . 5 Ibid., fase. 7f10. 6 Ibid., b. 72, fase. 1/50 (1-10). 7 Ibid. fase. 10, 54-1, 8 novembre 1 91 1 .


Claudio Mojja

I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

falcidiato una parte della popolazione carceraria) è 3053� di cùi 654 a Gaeta, 1 36 a Ponza, 1 080 alle Tremiti, 834 a Ustica, 349 a Favignana 8•

male, 1 ; Dahra, 1 6 ; Djfara, 2 ; Fezzan, 1 1 ; Garian, 1 0 ; Ginata, 4 ; Hanchiz, 2 ; Hassadate, 1 ; Hiratem, 1 ; Kekla, 1 ; Mens(c)ia, 70 ; Mina­ date, 1 ; Mjmine, 3 ; Mserata, 3 ; Nouflia, 1 ; Oifela, 1 ; Oulad Zaid, 1 ; Rojaiate, 9 ; Rondjeh, 1 ; Sahel, 3 ; Stami, 1 ; Sudan, 1 5 ; Tarhona, 1 9 ; Tripoli, 28 ; Tunisi, 1 ; Zaujour (o Tojour), 5 ; Zlitun, 2.

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La provenienza dei deportati : alcuni dati parziali L'individuazione della provenienza regionale dei deportati potrebbe essere utile per verificare una eventuale «geografia» e articolazione etnico-tribale della resistenza libica all'occupazione italiana, che negli anni della guerriglia di Ornar al Mukthar, ad esempio, avrebbe visto chiaramente le popolazioni del deserto protagoniste principali della lotta anti-italiana e quelli della fascia costiera, invece, più inclini ad accettare il fatto compiuto dell'amministrazione coloniale. Purtroppo, le fonti esaminate sono da questo punto di vista assolu­ tamente carenti. La provenienza etnica è in effetti registrata solo per i deportati deceduti, ed è dunque scarsamente utilizzabile a fini di considerazioni generali : fra l'altro la presenza ripetuta, nelle liste dei deceduti, di questa o quella località di provenienza potrebbe voler semplicemente dire - tenuto conto dell'esistenza di un'epidemia di colera fra i prigionieri, già prima del loro arresto - che quella stessa località o etnia era stata colpita dal morbo a differenza di altre località o etnie non menzionate. I dati sono dunque assolutamente parziali. Essi ci dicono comunque che i 214 deceduti alle Tremiti fra il 29 ottobre e il 1 5 gennaio 1 9 1 2 erano così ripartiti quanto a provenienza geografica 9 : Altara, 1 ; Cho-

8 Ibid., b. 69, fase. 17, 20. D al documento è possibile così dedurre un primo approssimativo calcolo totale dei deportati: ai 3053 vanno sicuramente aggiunti a) i deportati in sedi minori (Venezia, Napoli, Livorno, ecc.) ; b) quelli già deceduti, che ad Ustica e a Tremiti, ad esempio, accrescevano le cifre rispettive a 920 e 1 366-1391 . I deportati libici dunque furono non meno di 3425, cifra questa compresa fra quelle più generiche, fondate su fonti giornalistiche, riferite in A. DEL B ocA, Gli italiani in Libia ... cit., p. 1 1 5 e R. RAINERO, Paolo Valera e l'opposiziMe democratica all'i!IJpresa di Tripoli in Quademi dell'Istituto italiano di cultura di Tripoli, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1983, p. 1 30 (da 2500 a 4/5000). 9 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/50, « Elenco degli arrestati arabi deceduti nelle isole di Tre111iti dal 29 ottobre al 9 gennaio 1912;;, Tremiti, 9 gennaio 1912; Ibid., 1J49, « Elenco nominativo dei deportati arabi deceduti in queste isole dal 9 al 15 gennaio 1912».

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Il problema dello spazio e le misure dell'autorità carceraria : l'uso di altre sedi penali e lo sgombero dei coatti. Come si è visto, i documenti esaminati impediscono un calcolo all'unità del numero dei deportati alle Tremiti. Ma, anche nella sua approssimazione, la cifra dei prigionieri libici risulta assolutamente incompatibile con le dimensioni della colonia penale dell'arcipelago. La Statistica delle carceri e delle colonie per domicili coatti, pubblicata nel 1 9 1 1 a cura della Direzione generale carceri e riformatori [d'ora in poi DGCR] del Ministero dell'interno, riferiva infatti che al 1 909 il « nu­ mero medio giornaliero » relativo al « movimento di entrata e di uscita dei domiciliati coatti » dalle Tremiti era 1 84, inferiore cioè dell'84% circa a quello dei relegati libici 1 0 • L'elenco descrittivo dei beni immobili della colonia - il documento è del 1 91 4, ma non risultano variazioni di dimensione degli edifici di detenzione nei tre anni intercorsi dalla deportazione - precisa dal canto suo che la capienza dei cameroni assommava - per tutto l'arcipelago - a 360 posti, dai quali però bisogna sottrarne almeno un centinaio, tenuto conto dei locali adibiti a servizi vari, a infermeria e a ricovero degli arabi malati 1 1 • IO

lbid., b. 68, fase. 1 0 : MINISTERO DELL'INTERNO, D IREZIONE GENERALE CARCERI E RIFOfu'viATORI, Statistica delle carceri e delle colonie per do!IJicili coatti, amto 1909, Roma 1911, p. 439. Dal volumetto si deduce che il problema dello spazio non riguardò solo le Tremiti : ad Ustica ad esempio si dovettero cercare alloggi presso privati dal momento che i cameroni della colonia misuravano complessivamente 234.89 mq, e i deportati erano circa 900. 11 Ibid. , b. 68, fase. 21, Direzione colonia coatti di Tremiti, EletJco descrittivo dei beni illi!IJobi/i, 21 luglio 1914: « ( . ) Cameroni: Tremiti: numero 1 e 2, vani 2, capienza 80; numero 3, 4, 5, 6, vani 4, capienza 60 ; numero 7, 8, 9, 10, vani 4, capienza 60 ; numero 1 1 e 12, vani 2, capienza 80. San Domino : numero 1 e 2, vani 1, capienza 50; numero 3, vani 1, capienza 25 ; cameroncino numero 4, vani 1 , capienza 5». ..


Claudio Mojja

I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

La sproporzione fra il numero dei deportati. e la capienzà . della colonia risulta perciò evidente. Per far fronte al problema il governo Giolitti e l'autorità carceraria locale esaminarono e in parte attua­ rono una serie di provvedimenti lungo tutto l'arco della deporta­ zione e detenzione, dalla fine di ottobre del 1 9 1 1 all'estate dell'anno success1vo. Inizialmente il governo Giolitti esaminò la possibile dispersione della massa dei deportati in una pluralità di sedi penali. L'ipotesi non ebbe però mai luogo : i nomi oggetto di attenzione - Civita Castellana, Gavi, Porto Ercole, isola del Giglio 12 - vennero nei fatti scartati. Eguale destino ebbe la proposta di utilizzare come sede di detenzione dei prigionieri libici La Maddalena, nonostante qui il suggerimento fosse venuto da parte dell'autorità locale interessata a usare l'emergenza come mezzo di arricchimento e di sviluppo dell'isola 13• Probabilmente verso il rifiuto di Giolitti spinsero soprat­ tutto problemi di sicurezza carceraria, che ebbero il sopravvento su ogni altra considerazione. L'unico provvedimento messo in atto subito dal governo fu invece lo sgombero dei coatti dalla colonia delle Tremiti, sgombero che però non fu totale come indicato da diversi documenti 14• Forse una parte dei coatti fu mantenuta in loco per essere adibita ai vari servizi di gestione quotidiana della grande massa di prigionieri libici. Sta di fatto che il trasferimento dei detenuti italiani aveva suscitato fin da subito proteste e ammutinamenti. « Come si rileva dall'unita lettera

documentata 31 ottobre 1 9 1 1 del prefetto di Campobasso - si legge in una missiva in data 3 novembre - i coatti delle Tremiti, provvi­ soriamente rinchiusi in quelle carceri, si lamentano del trattamento loro fatto, e vorrebbero oltre al vitto dei detenuti il solito sussidio giornaliero, ed il permesso di girare nei cortili che, per ovvie ragioni, non si può loro concedere 15». Il 23 novembre, un nuovo telegramma del prefetto di Campobasso al Ministero dell'interno « sollecita allon­ tanamento da quelle carceri coatti ivi rinchiusi seguito sgombero Tremiti, lamentandosi disordini ( . . . ) 1 6». Anche a Teramo i problemi sono simili : un telegramma del prefetto avanza una analoga richiesta fin dal 31 ottobre, « domandosi ammutinamento » dei coatti prove­ nienti dalle Tremiti, effettivamente poi dirottati a Ponza e Ventote­ ne 11. I motivi delle proteste dei detenuti sono spiegati in una «istanza del detenuto Salvatori Augusto » del 30 ottobre 1 91 1 , dal carcere giudiziario di Campobasso, al prefetto locale : « Partiti in massa dell'isola di Tremiti» - dice il Salvatori - « per disfacimento del domicilio coatti in quel luogo, venimmo rinchiusi in questo carcere ove, col trattamento da detenuti, non si sa quale sia la nostra sorte». « Si fa comprendere che ognuno ha i suoi bisogni, e ognuno ha bisogno anche di soccorrere la famiglia col proprio lavoro, ciò che non può fare stando in carcere in attesa di ulteriori disposizioni le quali, a quanto sembra, si fanno attendere». « Si prega perciò la S. V. interporre i suoi valevoli uffici presso il superiore Ministero perché sia subito decisa la nostra sorte non potendo sia per le suddette ragioni come per non aver commesso reato alcuno, rimanere in carcere. La nostra posizione è di ricoverato e come tali non cessano le nostre ordinarie competenze di coatto, per tale ragione attendiamo una sollecita risoluzione e con stima, suo, Salvatori Augusto 1 8 •

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12 Ibid. , b. 69, fase. 10/7-9. Telegrammi vari della prima decade di novembre. 13 Ibid. , b. 69, fase. 9/5-1 e seguenti : Lettera senza data allegata a una lettera di raccoman­ dazione del deputato Giacomo Pala a Giolitti, datata 3 novembre 1 9 1 1 : «( . . .) Avendo appreso che molti prigionieri turchi vengono mandati anche a Venezia» - scrive ad esempio a Giolitti il prosindaco della Maddalena Frau, un piccolo industriale che aveva chiesto (con un tempismo indubbiamente notevole) di aprire un panificio a Tripoli sull'onda dell'occupazione - «mi pare che non sarebbe fuori luogo ne mandassero a Maddalena ove in complesso potrebbero trovar posto nel locale già adibito a casa penale. Si avrebbe in tal modo un maggior introito daziario per i generi loro occorrenti ( ... ) ». Giolitti rispose negativamente a questa richiesta, così come scartò le altre soluzioni alternative. 14 La presenza di un gruppo di coatti alle Tremiti anche dopo l'arrivo dei libici risulta da più documenti (vedi ad esempio la richiesta di gratifica da parte del sottobrigadiere della guardia di città Antonio Dettoti, ibid., b. 72, fase. 1 5/15) .

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1 5 Ibid. b. 273, fase. Sgombero delle colonie (. ..) lettera della DGCR alla direzione generale di pubblica sicurezza. 16 Ibide1n. 17 Ibidem. 1 8 Ibidem.


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I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

Altre misure : l'uso di grotte e stalle e l'allestimento dì padiglioni e tende da campo.

richiesti dall'ispettore sanitario Druetti. Deciso l'acquisto, i lavori di edificazione furono poi rallentati in modo notevole dalla mancanza di personale e dalle ruberie del materiale abbandonato per diversi giorni - senza essere nemmeno inventariato - all'aperto. Legni, materassi e altre suppelletili scomparvero sotto gli occhi di una non troppo vigile autorità carceraria, presunto bottino - secondo l'inchiesta Lutrario - dell'«indole rapace di molti tremitesi» 24• Il risultato f1nale dell'operazione fu assolutamente carente se non fallimentare : un tele­ gramma della Prefettura di Foggia alla Direzione generale della sanità pubblica avanzava richiesta, in concomitanza con l'avvenuta partenza de «l'ultimo scaglione arabi», tranne « 1 3 arabi malati ( . . ) rimasti Tremiti», del mantenimento nella colonia della « ( . . . ) Guardia sanità marittima Balsamo ( . . . ) per montaggio padiglioni Docker 25». Infine il terzo espediente. Il ritardo notevole delle operazioni di montaggio di padiglioni e tende indusse l'autorità carceraria - nel momento di più acuta diffusione delle epidemie a ricorrere all'uso « transitorio» delle stalle dell'azienda agricola annessa alla colonia penale, stalle trasformate in « ospedale» : « ( . . . ) le condizioni sanitarie dei relegati arabi nelle isole Tremiti hanno assunto un carattere di febbraio alla DGCR qualche gravità» - dice un telegramma del - cosicché per porvi urgente rimedio le autorità sanitarie inviate sul luogo hanno riscontrato l'immediata necessità di sgombrare i locali occupati dagli arabi stessi nell'isola di San Nicola, trasportandone 370 nell'isola di San Domino ove già sono stati spediti i padiglioni Docker e le grandi tende Gottschak, allo scopo di ricoverarvi i detti arabi. Ma tali mezzi non essendo bastanti ai bisogni si è dovuto anche autorizzare la costruzione di appositi padiglioni ai quali provvede in tutta l'urgenza del caso la Direzione generale della sanità : nel frattempo si è reso indispensabile di occupare le stalle e le due casette adibite ad azienda agricola carceraria (. . . ) tale provvedimento fu determinato da ragioni di prevalente necessità e dal carattere assolutamente transitorio » 26•

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Poiché la carenza di spazio era strutturale, lo sgombero peraltro non totale dei coatti non risolve se non in minima parte il problema dello spazio. L'autorità carceraria locale ricorse così ad altri espedienti sicuramente inusuali e pericolosi per la salute dei detenuti. Il primo espediente fu il « ricovero » dei prigionieri nelle grotte prospicienti il mare, grotte che un rapporto dell'ispettore medico Druetti giudicherà presto inabitabili 19 e che già nella prima decade di novembre risulteranno sgombrate. Si trattava di caverne « scavate sul pendio del monte sovrastante l'isola di San Nicola» 20, che « mancano di porte ed il vento vi penetra da tutti i lati» 21 ; « buie, umide e senza scolo », e «poco adatte» persino per gli animali 22• I primi decessi avvengono proprio in questi sconfortevoli luoghi : « <eri» - avverte un telegramma del prefetto di Foggia Spairani già il 31 ottobre - «nella ricognizione eseguita in una grotta di Tremiti vi fu trovato un arabo morto, identificato per Mohamed Ben Salah di anni 60, nativo di Izhamrons. Decesso devesi marasma senile». Il secondo espediente fu l'allestimento di padiglioni e tende da campo per sfoltire le strutture carcerarie fisse. Senonché l 'acquisto e la dislocazione di un paio di tende Gottschack e dei padiglioni Docker ebbe un iter piuttosto tortuoso e difficile. Il primo ostacolo fu avanzato dal governo stesso, « atteso rilevante dispendio» che l'iniziativa avrebbe avuto per le casse dello Stato 23• I padiglioni furono così otto, quattro in più di quelli inizialmente previsti, ma molto meno dei venticinque

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14

19 Ibid., b. 72, fase. 1/55. L'ispezione del Druetti era seguente a una richiesta del Ministero dell'interno al prefetto di Foggia (Ibid., fase. 1/57, telegramma del 12 novembre n. 29826), circa l'eventuale uso delle grotte per isolare i malati. 20 Ibid., fase. 2/62- 1 . Lettera dei delegati di P.S. Damiani e Trento al vicedirettore generale della Pubblica sicurezza Di Giorgio in data 2 novembre 1 91 1 . Damiani e Trento erano i due « energici funzionari» invocati da Giolitti nel telegramma di cui alla nota 2. 21 Ibid., fase. 10/54-1 . Riservata del prefetto di Capitanata Spairani al Ministero dell'interno ' Direzione generale pubblica sicurezza, 8 novembre 1 91 1 . 22 Ibid., fase. 1/32. Telegramma della DGCR al Ministero dell'interno, 9 febbraio 1 912. 23 Ibid., fase. 1/37, risposta del Ministero dell'interno al prefetto Spairani, 2 febbraio 1 912.

24 Inchiesta a carico del direttore della colonia, a ct1ra dell'ispettore generale di Pt�bblica sicHrezza Adolfo Lutrario del 18 agosto 1912, ACS, DPG, b . 72, fase. 14/79, p. 9. 25 ACS, DPG, b. 72, fase. 1 /12-1 e 1 2/2. Telegramma della Prefettura di Foggia alla Direzione generale della sanità pubblica. Sottolineatura mia . 26 Ibid. , fase. 1 /3 1 .

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I deportati libici alfe Tremiti dopo fa rivolta di Sciara Sciat

La ' transitorietà ' sarebbe durata in realtà a lungo. La documenta­ . zwne d'archivio non è chiara circa i movimenti interni di tutti i dete­ nuti : si può ipotizzare che i malati siano stati in continuo a�mento, e dunque non riassorbibili dagli otto padiglioni Docker inizialmente previsti ; si può anche ritenere che, superata la fase più drammatica dell'emergenza sanitaria, le autorità della colonia e il prefetto di Foggia abbiano ritenuto utile continuare ad utilizzare le capienza normale dei cameroni, così alleggeriti della «prolungata agglomerazione» dei pri­ gionieri : infatti, alcuni padiglioni (delle Tremiti) sarebbero stati già pronti in data 25 marzo 27 ; mentre le stalle risulteranno sgombre solo nel mese di maggio, nonostante i reiterati reclami dell'azienda agricola. Due cose sono certe : una parte della popolazione carceraria ha vissuto nelle stalle per un periodo di circa due mesi e mezzo, quasi tutto in pieno inverno 28 ; secondo, lo sgombero delle stalle è avvenuto solo grazie al rimpatrio scaglionato dei detenuti stessi, rimpatrio suggerito dall'ispettore Lutrario e di cui si ha notizia a partire dal 1 3 aprile.

ricovero «normale», quello nei camerom, assume fin da subito un aspetto drammatico. L'ammasso è infatti egualmente inevitabile. Un medico, Tommasi Crudeli, registra a metà dicembre « la grande massa che si accumula in ogni camerone», massa che «è divisa in sette cameroni contenenti ciascuno circa centottanta arabi 30. I locali sono « rigurgitanti» : contengono in effetti, ciascuno di essi, la totalità della popolazione carceraria mediamente ospitata dall'intera colonia di de­ tenzione31. Il risultato è innanzitutto che nei cameroni - scrive l'i­ spettore generale Adolfo Lutrario nella sua relazione di metà gennaio 1 9 1 2 - « gli arabi vi stanno a disagio, a causa della sproporzione fra il numero dei relegati e la moderata ampiezza dei locali 32 ». In secondo luogo, la mancanza di spazio favorisce lo svilupparsi delle malattie e i decessi dei deportati.

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Lo spazio nel cameroni Tutti i provvedimenti e gli espedienti adottati dal governo e dal­ l'autorità carceraria non riuscirono mai a risolvere il problema struttu­ rale dello spazio, troppo forte essendo la sproporzione fra il numero dei deportati c la capienza degli edifici di reclusione29• Perciò anche il

27 Ibid., fase. 1{23. Telegramma della DGCR al Ministero dell'interno del 5 aprile 1912. 28 Il 6 aprile la risposta del prefetto di Foggia al telegramma di cui alla nota precedente avvertiva essere «le stalle azienda agricola tuttora occupate» (ibid., fase. 1{24; il 1 3 dello stesso mese un altro telegramma del prefetto avvertiva che «col rimpatrio altro scaglione, fra una settimana ( . . . ) Stalle verranno ( . . ) sgombrate» (ibid., fase. 1/21). Il 24 aprile 1912 ancora il prefetto avvertiva che il· « dott. Trincas ha fatto già sgomberare e disinfettare una di esse (stalle) ; l'altra sarà libera sabato prossimo alla partenza altro scaglione arabi». E inftne, il 3 maggio, ancora il prefetto avvertiva che il «dott. Trincas ha fatto già sgomberare e disin­ fettare stalla, che ancora rimaneva occupata da arabi isola San Domino» (ibid., fase. 1{17). 29 Un altro episodio marginale ma significativo è quello del tentato utilizzo da parte dell'autorità carceraria dell'<mnica stanza libera esistente nella palazzina dove alloggia» (ibid., fase. 1{35) il direttore dell'azienda agricola annessa alla colonia. Ma la richiesta suscita l'immediata reazione di quest'ultimo perché la palazzina «non offre stanze segregabili; avendo .

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La morìa dei deportati arabi e le sue cause : la « prolungata agglome­ razwne» La morìa dei deportati alle Tremiti fu eccezionalmente vasta. Al 9 gennaio risultavano deceduti 1 98 prigionieri, fra i quali 2 bambini di 1 O anni, 35 vecchi dai 60 ai 70 anni, 7 dai 70 agli 80 e uno di oltre

io signora sola e dovendo per ragioni di servizio trascorrere quasi l'intera giornata fuori, non posso ammettere persone in casa per evitare dicerie. Unica stanza libera è ora adibita magazzino derrate, avendo ispettore sanitario fatto sgombrare stalle e tre casette adibite deposito e magazzino» (ibidem). Reazione comprensibile, considerati fra l'altro i costumi dell'epoca. Ma lo stesso funzionario protesta anche contro l'ordine di sgombero delle stalle e il conseguente trasferimento delle bestie nelle grotte. « Esse» - lamenta il suo telegramma alla Direzione generale della sanità pubblica - «sono poco adatte ad una loro (degli animali, ndr) lunga permanenza, perché buie, umide e senza scolo (. . . ) ». Perciò «si interessa codesta onorevole Direzione generale di trovare modo di sistemare altrimenti gli arabi malati, non potendosi fare a meno delle stalle, non solo per il regolare andamento dell'azienda, ma anche per evitare possibili responsabilità del funzionario che tiene in consegna il materiale di proprietà dello Stato, nel caso di deperimenti del bestiame delle colonie» (ibid., fase. 1{32). 30 Ibid., fase. 1{54, lettera del 13 dicembre 1 91 1 . Sul numero esatto dei cameroni, vedi nota 56. 31 Confronta il numero per camerone con il numero medio di cui alla Statistica . . citata. 32 Ibid., fase. 14{94: I relegati arabi a Tremiti-Ispezione eseguita dall'ispettore generale di P.S. Adolfo Lutrario, del 21 gennaio 1 912. .


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novant'annP3. Al 1 0 giugno la cifra dei morti raggiunse . il tnt�le di 437, vale a dire circa il 31 % della massa originaria dei rdegatP4• Le malattie letali più frequenti furono, a seconda del periodo, il colera, le infezioni da freddo all'apparato respiratorio, il tifo ; casi meno diffusi il marasma, le febbri malariche, la cachessia, tubercolosi, cardiopatie varie, nefriti 35. Un documento attesta anche il diffondersi di malattie «che hanno ridotto al minimo o che hanno annullate le facoltà visive36. Una parte dei deceduti erano parte dei 1 77 vecchi oltre i sessant'anni razziati in Libia in mezzo alla massa dei deportati. Altri fanno invece parte del gruppo di 30 ragazzi compresi fra i 1 0 e i 1 6 anni, catturati anch'essi dopo la rivolta di Sciara Sciat con destinazione TremitP7• Quali furono le cause dei decessi? In ordine cronologico più che di importanza, si può cominciare a notare che un'epidemia di colera era diffusa già prima dello sbarco : ad Ustica, il piroscafo approdò fra i timori e le proteste degli isolani, battendo bandiera gialla 38 . Inoltre, una nota del 29 ottobre del Ministero dell'interno al prefetto di Foggia avvertiva potersi «temere non buone condizioni sanitarie arrestati ara­ bi»39. Il focolaio originario della prima epidemia di colera - anche se

certo le condizioni di detenzione durante la navigazione (In quali locali? Di quali dimensioni? Adibiti in precedenza a cosa?) avevano probabil­ mente influito sul suo decorso - fu dunque verosimilmente la Libia. Ma dopo il primo periodo, furono sicuramente le condizioni di detenzione a provocare a loro volta altre malattie letali, e estendere in modo abnorme quelle già esistenti, come del resto venne denunciato - e ripetutamente - dallo stesso personale sanitario. «l prigionieri sono tutti costituiti da organismi estremamente deboli e quindi po­ chissimo resistenti alle malattie» - dice ad esempio il medico Tommasi Crudeli - « Ciò dipende dalla profonda miseria fisiologica loro, ma anche dalle cattive condizioni di clima (freddo ventoso), di vita (pri­ gionia), di nutrimento, in cui sono costretti» 40 • In particolare, si possono distinguere diversi fattori «interni» alla detenzione, dello scatenamento o estensione delle malattie e dei decessi fra i prigionieri libici alle Tremiti. Il primo, di cui si è in gran parte già parlato, è la mancanza di spazio : «Devo notare» - scrive ad esempio l'ispettore sanitario Druetti - « che prevalenti cause mortalità fra costoro sono stati cachettici, aggravati cattive condizioni igieniche, nonché tubercolosi : precipuo contingente decessi dato da massa arabi alloggiata cameroni San Nicola, mentre sono rarissimi fra quelli tra­ sferiti San Domino. Proseguo pertanto utilizzando tutte risorse locali opera risanamento cameroni da completarsi con lavaggi e disinfezione, poiché è indubbio causa tutti mali dipende da prolungata agglomera­ zione e postura incredibile ( . . . ) » 41 •

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33 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/48, Lettera di Lutrario in data 1 2 gennaio 1 9 1 1 al Ministero dell'interno « Oggetto : Mortalità tra gli arabi relegati a Tremiti». 34 Questa la cifra in un appunto riassuntivo (ibid., fase. 7/1), i cui dati parziali - divisi per giorno e per mese - non sempre coincidono con quelli degli elenchi redatti in modo ufficiale ad uso del Ministero dell'interno. È possibile perciò che esistano degli errori di calcolo che comunque non sono rilevanti ai fini della statistica complessiva. 35 Ibid., fase. 1/50. 1 - 50.10. Il documento aggiorna il numero dei decessi alla notte fra 1'8 e il 9 gennaio 1 912. A proposito dei morti per gastroenterite una nota in margine specifica : «di questi 98 casi di gastroenterite gli esami batteriologici delle anse intestinali o delle feci hanno accertato come casi di colera (gastroenterite specifica) un numero di ? casi (vedi rapporto Prefettura Foggia). L'ultimo caso batteriologico positivo (colera) risale al 24 no­ vembre. Dopo tale data tutti gli esami riuscirono negativi né si ebbero più casi di gastroente­ rite sospetta». 36 Ibid., fase. 1/47, Riservata di Lutrario al Ministero dell'interno in data 15 gennaio 1 912. 37 Miei calcoli sulla base dei dati riportati nella documentazione conservata sempre Ibid., fase. 1 /48. 38 Ibid., b. 71, fase. 7J10 ; ritaglio de «L'Ora», 8/9 novembre 1 9 1 1 , riportato in C. MaPPA Bandiera gialla ad Ustica, in «L'Ora», 6 feb. 1 988. Secondo la corrispondenza il piroscafo era il «S. Giorgio». Secondo tutte le fonti ufficiali si trattava del «Romania». 39 Ibid., b. 72, fase. 1J63.

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I l vitto «insufficiente» Un secondo fattore di diffusione delle malattie fu l'alimentazione. Il problema del vitto attraversa praticamente tutta la principale docu­ mentazione d'archivio, e costituisce un capitolo fondamentale sia del­ l'ispezione che dell'inchiesta Lutrario. La prima « refezione giornaliera

40 Ispezione . . . , IX, citata. 4 1 ACS, DPG, b. 72, fase. 1J6,1 , Telegramma al prefetto di Foggia in data 9 o 10 febbraio 1 912. Sottolineatura mia.


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constÒ » - secondo la testimonianza dei delegati di P.S. Trento ·e Da­ . miani - « di una somministrazione di pane la mattina e di una wine­ stra nel pomeriggio » 42 • «La razione di pane» - precisa dal canto .suo l'ispettore generale - «arrivava a circa 600 grammi ; la pasta, condita con sale ed olio di scadente qualità, non oltrepassa i 1 30 grammi» 43• Conclude Lutrario : « la razione di vitto agli arabi era stata ridotta ad un quantitivativo insufficiente alla loro alimentazione». Quanto agli amma­ lati, la situazione era progressivamente peggiorata. Ad essi «in principio, il direttore della colonia fece somministrare brodo di carne ; poscia eliminò la carne, sostituendola coi dadi Maggi ; finalmente eliminò anche questi e fece alimentare gli infermi col rancio comune»44• In un allegato dell'Inchiesta si legge che « dal 26 novembre all'1 1 gennaio non fu più distribuita carne»45 nonostante l'altissimo numero di malati. La scarsità di vitto era stata senz'altro incoraggiata dalle direttive del governo centrale : «( . . . ) furono a suo tempo date le necessarie istruzioni ai prefetti di Palermo e di Foggia» - si legge in un appunto dattiloscritto per il Ministero dell'interno - «in maniera che le spese per gli arrestati arabi sbarcati nelle colonie di Tremiti ed Ustica fossero contenute nei più ristretti limiti possibili» 46 • Ma è lecito quanto meno il sospetto che tanto « risparmio » sul vitto non fosse del tutto esente da interessi di peculato ad opera dell'autorità periferica : « <l registro di carico e scarico dei viveri, del combustibile e degli altri generi di ordinario consumo » - recita ancora la relazione dell'Ispezione di metà gennaio - «fu impiantato soltanto dai primi di dicembre», e grazie all'intervento di un funzionario centrale, il vicedirettore delle carceri Giuseppe Feroci . Cosicché, « rilevanti quantità di generi ali-

mentari, e cioè molti sacchi di gallette, balle di baccalà e di stoccafisso, e circa dieci quintali di formaggio » furono depositate nel magazzino della colonia senza che ne venisse controllata la destinazione effettiva 47• L'atteggiamento incurante della direzione della colonia non mancò di suscitare le proteste del personale medico : « Ho molto insistito presso le autorità locali e prefettizie» - dice ad esempio il Tommasi Crudeli - « ( . . . ) sulla opportunità di un vitto più abbondante e mi­ gliore alla massa e di un vitto speciale agli ammalati. Le richieste furono numerose, ma scarse di risultati» 48 • Dall'esame delle carte, le tensioni fra personale medico e direzione del càrcere risultano ricor­ renti, si direbbe costanti : l'atteggiamento del Barbangelo sembra essere quello di « contrattaccare» immediatamente i suoi critici, individuan­ done vere o presunte manchevolezze49• E in questo contesto conflit­ tuale si inserisce persino l'episodio di una (mancata) sfida a duello, fra il direttore della colonia e un medico, Sinisi. Alla fme, tre mesi e mezzo dopo l'arrivo dei deportati, solo l'intervento di Lutrario riesce ad imporre un miglioramento della refezione, che comunque non pare di portata eccezionale considerata la gravità dell'e­ mergenza sanitaria : dopo il 12 gennaio « ( . . . ) la minestra per i sani viene portata a 200 grammi come è prescritto per i detenuti; ( . . . ) la razione di pane non è inferiore a 600 grammi ( . . . ). Per gli infermi è previsto il vitto stabilito per le infermerie delle carceri, escluso il vino» 50 • La reazione degli arabi sembra mutare : prima, nei giorni dell'ispezione, a Lutrario «furono mostrate alcune gavette ancora piene di pasta, che gli ammalati non avevano avuto la forza di ingoiare» 51 , evidentemente per il disgusto da esse suscitato . Successivamente, alcuni relegati avreb­ bero dichiarato di «apprezzare» la «buona mangeria italiana»52 .

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·

42 Ibid., fase . 2/62. Invece, nell'allegato XXXI dell'Inchiesta. . . cit. - Appunti tratti dall'esame del registro di carico e scarico dei viveri, co?JJbustibili e generi di ordinario consumo, relativo al n1antenimento degli ambi relegati nell'isola di Tremiti, si afferma che «dal 29 ottobre 1 9 1 1 il pane risulta dato fino al 10 novembre successivo in ragione di un kilogrammo per relegato, perché si distribuiva agli arabi pane, spesso, con formaggio, senza minestra». È molto probabile che la testimo­ nianza di Damiani e Trento sia quella vera, anche perché, come risulta alla citazione della nota 32, il registro di carico e scarico fu impiantato solo ai primi di dicembre. 43 Ispezione . . . , IV, citata. 44 Ibidem. 45 ACS, DPG, b. 72, fase. 14/46,1, allegato XXXI. 46 Ibid., b. 69, fase. 9f1 , s.d.

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47 Ispezione. . . , I, citata. 4 8 Ibid. , IX. 49 Ibid., IX. 50

Ibid., III.

51 Ibid. , V. 52 Così risulta da un paio di deposizioni rese nell'ambito dell'Inchiesta... citata. Ma i docu­ menti ufficiali risultano spesso molto ottimisti al proposito : così ad esempio il prefetto Spairani in una riservata dell'S novembre al Ministero dell'interno, in cui assicurava « Gli arabi mostransi contenti del trattamento loro usato ed obbedienti alla custodia».


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La morìa di relegati tuttavia continuò incessantemente -. anche per cachessia e stenti - pure dopo l'ispezione di gennaio : In effetti, !'«apprezzamento » della cucina della colonia risulta in genere espresso, e tramite testimonianze terze, solo da quegli arabi che, prestando servizi nel carcere, ottenevano un piccolo compenso remunerativo e potevano dunque permettersi di acquistare al di fuori della mensa qualche alimento extra. Altre testimonianze inoltre - sicuramente meno invischiate in rapporti gerarchici, e dunque più libere di quella del detenuto straniero - indicano che la regolarità della razione di vitto giornaliera sarebbe durata, dopo la partenza di Lutrario dalle Tremiti, molto poco s3. Il terzo fattore della diffusione delle malattie fu la forte carenza di strutture e suppellettili e la conseguente difficile organizzazione sani­ taria. Un esempio : dal 29 dicembre al 1 4 gennaio 1 912, gli elenchi compilati dalla direzione della colonia dei prigionieri libici morti, registrano un'improvvisa impennata delle malattie dell'apparato respi­ ratorio come causa preponderante, 41 casi, dei 55 decessi totalis4. Il motivo è facilmente individuabile : « ( . . . ) dopo la bufera cagionata da una violentissima tramontana soffiata la notte dal 25 al 26 dicembre 1 91 1 » racconta Tommasi Crudeli - «quasi tutti i vetri si ruppero e finestre furono rotte e sconquassate dalla furia del vento ( . . . ) » ss. Il medico preme perciò sul direttore della colonia per una immediata sostituzione dei 40 vetri mancanti . Ma la risposta è negativa. Barban­ gelo «esclude che la mancanza di vetri ad alcune finestre abbia potuto concorrere ad aumentare la diffusione delle malattie, e precisa che gli arabi usano tenere le finestre aperte anche di notte, preferendo soffrire il freddo piuttosto che rassegnarsi a respirare l'aria asfissiante dei cameroni» 56• Nei giorni successivi alla bufera si assiste dunque - men­ tre «il freddo ed il vento si fecero molto intensi» - « ad una recrude­ scenza improvvisa e notevole di affezioni dell'apparato respiratori o» s7.

Broncopolmoniti, bronchiti, polmoniti provocarono decine di decessi. Il rigore dell'inverno colpisce facilmente una comunità già priva di cibo sufficiente, debilitata da « tali deficienze di coperte, di vestiario, di camicie» e dalla «assolutamente grave scarsità di paglia nei cameroni, che obbligava i prigionieri a rimanere giorno e notte quasi a contatto del freddo pavimento di mattoni, essendo la paglia ridotta ad uno strato esiguo, alto da pochi millimetri a pochi centimetri» 58 • « ( . . . ) Orbene» - conclude Tommasi Crudeli di fronte all'ispettore generale - « solo oggi, 12 gennaio, cioè dopo 1 8 giorni, si potettero vedere, grazie all'energico intervento dell'ispettore gen. comm. Lutrario, i vetri rimessi a posto » 59• Il quarto fattore è conseguenza di tutti i precedenti, ed è costituito dalle cattive condizioni igieniche dei cameroni di detenzione, e in generale della colonia. È a causa delle cattive condizioni igieniche che, ad esempio, si diffonde il tifo : non esiste infatti un servizio regolare di lavanderia e «tutti gli arabi indistintamente sono pieni di luridi insetti», tanto che sarebbero necessarie « 1 200 fodere per paglie­ ricci» e «almeno 1 200 camicie, onde sia possibile il cambio di quelle che gli arabi indossano già da uno o due mesi» 60• Dai primi di dicembre - più o meno in coincidenza con la fine dell'epidemia colerica - anche il cambio della paglia dei giacigli è divenuto meno frequente : un camerone (anziché due) ogni giorno. Un cambio cioè ogni nove giorni. Non si sa, infine, quanto l'utilizzo degli arabi in lavori più o meno forzati per la gestione della colonia possa avere influito negativa­ mente sulla salute dei deportati : un rapporto steso a deportazione conclusa, nel dicembre 1 91 2, ma con riferimento al mese di ottobre 1 9 1 1 , descrive « gli arabi a mettersi sulle spalle barili pieni d'acqua, balle di paglia, casse di pasta, di formaggio, sacchi di pane, colli di vestiario, di medicinali, materiale di ogni sorta e farli trasportare dallo scalo marittimo » verosimilmente fino all'interno della colonia

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53 Vedi il paragrafo dedicato all'inchiesta, alle pp. 281-286 di questo contributo. 54 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/49, 1 5 gennaio 1 9 1 2 ; e 1 /50, 8-9. 55 Ispezione... , IX, citata. 56 Ibidem.

275

58 Ibidem. 59 Ibidem. 60

ACS, DGP, b. 72, fase. 14/81, 2: riservata di Lutrario al prefetto di Foggia del 25 gennaio 1 912.

57 Ibidem.

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penale 61 • Lo stesso rapporto riferisce di « s quadre di ar�bi» cm sa­ rebbe stata corrisposta « una paga» per il lavoro espletato 62 •

5. L'organizzazione sanitaria Come è intuibile dai dati sopra riportati, il lavoro sanitario fu estremamente difficile. Inizialmente, nei primi giorni di novembre, si pensò ad un semplice « ( . . ) speciale da campo necessarissimo per le malattie contagiose (tracoma, pneumonite, febbri malariche, enterite) e per un caso verificatosi stamane di colera in forma chiara ed esplicita come è stata riconosciuta dai sanitari» 63• Ma poi il colera si diffuse rapidamente. Il serv1z1o si ampliò nei limiti del possibile. Eccone una descrizione accurata in una lettera del Tommasi Crudeli all'ispettore medico delle Puglie Sciavo : .

« ( . . . ) Nell'isola di San Nicola sono rinchiusi in dodici cameroni, al primo piano di vasti caseggiati, i deportati arabi in numero complessivo di circa 1 350. Di questi dodici cameroni, tre sono adibiti a : 1) dormitorio lavoratori 2) infermeria malattie comuni 3) infermeria gastroenteriti. Quindi la massa è divisa in sette cameroni 64 contenenti ciascuno circa centottanta arabi. Naturalmente sul pavimento dei lunghi cameroni rettangolari è stata posta paglia sulla quale giacciono gli arabi ; le latrine sono costituite da grandi vasi, poiché non esiste altro modo possibile, posti in piccoli camerini esistenti in ogni camerone . . . . . . . Quotidianamente viene tolta e abbruciata la paglia di una coppia di cameroni ; si pratica una accurata

61 62 63 64

Ibid., fase. 1 5/15, 1 -8. Ibidem. Ibid., fase. 2J62, 1 . Dal conteggio del Tommasi Crudeli restano scoperti due cameroni, forse lasciati vuoti in attesa del laboratorio di Rodi, o più probabilmente occupati dai coatti rimasti alle Tremiti. Damiani e Trento (ibid., fase. 2/62, 2 e 3) parlano appunto di nove cameroni, ma la loro lettera è precedente la definitiva sistemazione della massa dei deportati, perché scritta il 2 novembre 1 9 1 1 , prima dell'arrivo del secondo scaglione. La permanenza di un gruppo di coatti alle Tremiti anche dopo l'arrivo dei libici risulta da più documenti (vedi ad esempio la richiesta di gratifica da parte del sottobrigadiere della guardia di città Antonio Dettori, ibid., fase. 15/15). Dunque i cameroni assegnati ai deportati dovettero essere effettivamente sette, anche perché i conti particolari forniti dallo stesso Tommasi Crudeli concordano con questa cifra (180 per 1 260, a cui vanno aggiunti i malati dislocati in infermeria, per un totale di 1 350 circa). 7 =

I deportati libici

l:dle

Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

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disinfezione dei cameroni svuotati nei quali viene riposta paglia pulita ; le latrine sono tre volte al giorno svuotate, disinfettate (disinfezione dei recipienti Laplace) e imbiancate le pareti dei camerini sopraddetti. Con l'amico Luisi pratico due volte al giorno (e una terza volta alle ore 1 1 , all'ora del pasto) la visita dei cameroni e faccio portare nell'infermeria per le malattie comuni (sottolineatura nel testo) i malati che troviamo nelle nostre ispezioni e che risultano affetti da malattie non diffuse (broncopolmoniti frequenti per il freddo, nefriti, malaria, sifilide) mentre faccio portare subito nell'infermeria gastroenteriti i malati affetti da diarrea : nell'infermeria, con un più accurato esame (la pratica di molti mesi di campagna anticolerica ci ha resi ben pratici della sintomatologia del colera e del riconosci­ mento del coleroso) . Si scelgono i malati sospetti di colera, i quali vengono senz'altro inviati al lazzaretto. Gli altri diarroici semplici (ben riconoscibili per i sintomi clinici come affetti da forme di dissenteria) vengono trattenuti fino a guarigione nell'infermeria per gastroenteriti, perché credo opportuno che siano anch'essi isolati essendo la dissenteria anch'essa, benché in grado molto poco temibile, una malattia diffusiva endemica» 65. Questa la situazione dell'isola di San Nicola. Quanto alla «Vlclna isola di San Domino - separata da cinque minuti di mare in barca a due remi -» ivi è «istituito il lazzaretto ; un ospizio per vecchi che accoglie sessanta vecchi arabi, e locali di isolamento per i possibili casi di colera degli indigeni delle isole. L'ospizio è stato istituito per sfollare un poco i cameroni rigurgitanti di San Nicola. Ripeto che con le disinfezioni continue, curate e regolari, con la visita medica continua, con la istituzione dei locali di isolamento, il servizio è organizzato ora militarmente e dà ottimi risultati» 66 . Ma curare i malati è comunque molto difficile per la mancanza di spazio : «l reparti assegnati ad infermeria erano troppo angusti per contenere tutti i malati. Si trovavano, perciò, nei cameroni individui affetti da gravi infermità, tubercolosi, cachessia, emottisi, cancrena ai pied i, s ifilid e, b ronchite, polmonite, tracoma, etc. » 67 .

L'ispezione del comm1ssar10 di P .S. Adolfo Lutrario L'incessante moda di arabi alle Tremiti non poté alla fine non preoccupare in prima persona il governo, anche per il pericolo che le voci si diffondessero nel paese e all'estero. «Dalle notizie e dalle segnalazioni che qui direttamente pervengono dai prefetti e dai direttori

65 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/54. 66 IbideJJt. 67 Ibid. , fase. 14/94, Ispezione ... , VI, citata.


Claudio Moffa

I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

delle colonie dei coatti» avvertiva una ' riservata' del Ministero dell'interno alla Direzione generale della sanità pubblica in data 8 .gen­ naio 1 91 2 « questa Direzione generale ha rilevato come q·a. gli arrestati arabi di Tremiti e di Ustica (e a quel che risulta in maggior misura tra quelli costituenti la prima delle dette due colonie) si verifichi giornalmente un considerevole numero di decessi, nonostante che le condizioni sanitarie siano colà molto migliorate ( . . . ). Ora, poiché l'infezione colerica può dirsi quasi interamente domata, e poiché i detti decessi avvengono quasi esclusivamente per malattie comuni e non infettive, il loro numero e la loro persistenza non può non dare qualche preoccupazione, anche per la possibilità che in proposito giungano all'estero notizie ad arte esagerate ( . . . ) » 68 • Nasce in questo clima l'ispezione dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza Adolfo Lutrario, inviato alle Tremiti intorno al 10 gennaio 69• Giunto sul posto, Lutrario si rende immediatamente conto della gravità della situazione, trovandosi fra l'altro di fronte, nella lista dei deceduti « due bambini di dieci anni, 35 vecchi dai sessanta ai settant'anni, sette vecchi dai settanta agli ottant'anni, uno di novant'anni» 70 • Egli ap­ pronta quindi immediatamente quel minimo di misure che in realtà avrebbero dovuto esserè prese, da parte delle autorità sanitarie e car­ cerarie locali, molto tempo prima : distribuzione di una « seconda coperta» ai malati nell'infermeria ; « somministrazione del vitto speciale che è consentito dalla tabella del regolamento carcerario » ; aumento del « sottile strato di paglia sul quale nei cameroni dormono i sani» ; «minestra ( . . . ) di almeno 200 grammi, come è per i carcerati», e «gior­ naliera razione di pane non ( . . . ) inferiore a 600 grammi» 71 • Nello stesso tempo Lutrario prende in esame la situazione sanitaria indagando sulle cause dei decessi, che continuano anche dopo il parziale debellamento dell'epidemia da colera, e scopre così il nuovo preoccupante dato : l'aumento cioè delle morti per malattia da freddo

e da stenti (polmonite, cachessia, e simili). Per Lutrario il motivo della nuova serie di decessi è semplicemente «il freddo » : dopo aver rilevato che «tra gli arabi assegnati a Tremiti restano ancora 134 vecchi dai sessant'anni in sopra e 28 giovanetti dai dodici ai sedici anni, l'ispettore sottolinea infatti che di essi « molti ( . . . ) difficilmente po­ tranno resistere al rigore della ricorrente stagione eccezionalmente rigida e fredda : in quanto è riscontrabile la « ( . . . ) inadattabilità di alcuni organismi specialmente, quelli dei vecchi e dei bambini, a sop­ portare la notevole differenza di clima e la scarsa resistenza che offrono alla violenza di determinate malattie ( . . . ) » 72• Il giudizio di Lutrario è del resto avallato negli stessi giorni da « un funzionario tecnico » della Direzione generale della sanità pubblica, il quale osserva «che la maggior parte dei decessi si deve a malattie di natura respiratoria (bronchite, polmonite, broncopolmonite, pleurite) le quali nel solo periodo dal 23 dicembre scorso al 6 corrente causarono più della metà dei decessi. Altre cause frequenti di morte sono rappresentate dall'in­ fezione malarica e da esaurimento organico (cachessia e marasma senile). Tutto dò lascia fondatamente supporre che tale elevatissimo quoziente di mortalità si debba principalmente alle condizioni di clima, il quale deve ritenersi molto rigido per individui abituati a clima mite, essendo l'isola stessa esposta ai venti del Nord e Nord-Est»73 • In realtà l'analisi dell'ispettore generale copriva le evidenti responsa­ bilità della direzione carceraria, ad esempio la scarsa distribuzione di coperte, o l'assenza di vetri nelle finestre dei cameroni peraltro denun­ ciate nella stessa ispezione. In pratica Lutrario, mentre intraprende una serie di misure atte a migliorare le pessime condizioni di detenzione dei prigionieri libici, contemporaneamente salva immagine e ruolo dell'au­ torità carceraria, elogiando addirittura la «rettitudine» e lo «Zelo » di un funzionario - il direttore Barbangelo, appunto - che aveva om�sso fra l'altro di compilare i registri di carico e scarico, e aveva ridotto arbitrariamente la razione di vitto per i deportati provocando altre decine di decessi per stenti, freddo, cattive condizioni igieniche.

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-

68 Ibid., fase. 1 f 52. 69 Vedi n. 32. 70 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/48. Lettera del 12 gennaio 1912 al Ministero dell'interno, allegata agli Elenchi. .. cit., ibid., fase. 1/50.

7 1 Ibide!JJ.

72

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Ibide!JJ. 73 Lettera della Direzione generale della sanità pubblica del 19 gennaio 1 912 alla Direzione generale della pubblica sicurezza.


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I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

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Dall'ispezione all'inchiesta La drammatica avventura dei deportati non è comunque fillita. con i provvedimenti intrapresi dall'ispettore Lutrario a metà gennaio. Il 28 gennaio infatti, un telegramma del delegato di sicurezza Damiani al Ministero dell'interno avverte dell'esistenza di « due casi di vaiolo fra arabi» e di «parecchi ammalati gravi di tifo » 7\ di cui si chiede lo sgombero in ospedali del continente. Il personale sanitario è tuttora insufficiente, e se ne chiede un potenziamento. Ma soprattutto, ecco la probabile radice della nuova epidemia, « ( . . . ) sarebbe necessario che qui giungesse acqua sicuramente pura» 75 • La situazione si fa subito di nuovo drammatica. Anche la popolazione autoctona finisce per essere colpita dalle epidemie. A febbraio si ha notizia dell'esistenza di malati « bianchi» 76 di tifo petecchiale, e nell'arci­ pelago si diffonde la paura. Chi può fra gli isolani cerca di trasferirsi sul continente. Ma i piroscafi si rifiutano di far salire a bordo i malati di tifo 77, e lo stesso personale della colonia è «impressionato» dalla moda 78 • Durerà molte settimane : a maggio un infermiere, Michele Ancona « comandato vigilanza padiglione Docker ove trovavasi isolato coatto Lista Gennaro 79, affetto da tifo esantematico, in seguito soverchie libazioni cognac usciva in escandescenza da far temere sul suo stato mentale». L'infermiere viene rinchiuso «in locale appartato, e sorvegliato onde evitare spiacevoli conseguenze». Ma, «trascorsi pochi minuti ap­ pena, Ancona appiccava fuoco al pagliericcio ivi esistente : ( . . . ) soccorso in tempo fu posto in salvo e dichiarato in arresto . Egli si trova attual­ mente a disposizione autorità sanitaria per scontare contumacia attual­ mente prescritta dopo di che sarà tradotto carcere Serracapriola, alla cui Prefettura è stato deferito per il procedimento di legge» 80•

74 ACS, DPG, b. 72, fase. 1/41 . 75 Ibidem. 76 Ibid. , fase. 1 f4, Telegramma del prefetto di Foggia. 77 Ibid. , fase. 1/42, Telegramma del prefetto Spairani alla Direzione generale di pubblica sicurezza, in data 28 gennaio 1912. 78 Ibidem. 79 In altro documento risulta come infermiere, e la sua malattia è indicata come tifo petecchiale (ibid., fase. 1 5/7). 80 Ibid., fase. 13/1 : telegramma n. 7498 del 24 maggio 1912 del prefetto al Ministero dell'interno.

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Episodi come questo suscitano fermenti, risentimenti e polemiche nella stessa comunità tremitese e fra il personale della colonia. I documenti d'archivio, e in particolare i rapporti di Adolfo Lutrario, fanno emergere l'esistenza di una dura polemica fra il direttore Barbangelo e un gruppo di personaggi, medici, sanitari, il maestro e il sacerdote locali, ecc. 8 1 • È in questo clima, a deportazione ormai conclusa, che prende il via l'Inchiesta a carico del direttore della colonia1 a cura dell'ispettore generale di Pubblica sicurezza Adolfo Lutrario, del 1 8 agosto 1 912. La denuncia iniziale è di un sanitario, il medico provinciale Adolfo Albertazzi, che, in un rapporto riservato al prefetto di Foggia in data 30 giugno 1 91 2, scrive : « ( . . . ) Ho con rammarico udito affermarsi da persone degne di fede, colà residenti per ragioni di impiego, o per domicilio stabile, delle accuse gravi a carico del direttore di quella colonia che riassumo nel modo seguente :

1) Il sig. Barbangelo avrebbe tollerato l'improprio confezionamento e l'asso­ luta scarsezza del vitto degli arabi, anche dopo le tassative disposizioni date in riguardo dal signor ispettore generale di P.S. comm. Lutrario. Ai viveri, destinati agli arabi stessi, sarebbero avvenute sottrazioni, alle quali non sarebbe stato estraneo un certo Santoro Raffaele, che pare goda le simpatie del direttore (tale Santoro aveva l'appalto del vitto per gli arabi isolati in San Domino). 2) Il direttore avrebbe negato agli arabi malati il vitto speciale e le coperte prescritte dai medici. 3) Egli non avrebbe avuto cura di custodire diligentemente il materiale profi­ lattico dallo Stato a lui affidato, e di ciò si parla in separato rapporto alla Digesan. 4) Avrebbe tollerato ed usufruito di qualche piccolo contrabbando di zucchero, caffè, liquori, sigarette, esercitato col suo tacito consenso dal personale della barca della direzione e con la barca stessa e che, per evitare eventuali sorprese della Guardia di finanza, si dirigeva alla parte opposta dell'isola di San Nicola, dietro il cimitero e di là per la via del Semaforo gli oggetti venivano introdotti nel fabbricato centrale. 5) Avrebbe negato le damigiane di acqua potabile di Rodi ad alcuni funzio­ nari, mentre ne usufruivano gratuitamente altri. Sorse al riguardo anche un incidente cavalleresco fra il direttore e un sanitario, che venne risoluto con il concorso del ten. Paoletti e del maestro Bilancia. Mi si afferma che potranno deporre al riguardo a tutti, o parte, di tali fatti, tutto il personale del Semaforo, gli ufficiali del presidio locale, i dottori Tommasi Crudeli,

81

Vedi, in particolare, L'inchiesta. . . citata.


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Luisi, Nista, Sinisi, ed anche il cav. Druetti, il cav. Damiani, nonché. il sig. · Vitoli, economo di questa Prefettura che con me ha potuto udire in riguardo ad alcuna delle accuse enunciate, quel che asseriscono numerose persone residenti nell'isola di Tremiti».

di Giolitti dopo la battaglia di Sciara Sciat - «invlatl 1n m1ss10ne a Tremiti. Non è chiaro però in base a quali affermazioni del Damiani Lutrario possa sostenere che il suo rapporto (di Damiani) sia « la smentita formale di quasi tutte le accuse», senza peraltro specificare la portata di quel « quasi». Inoltre Damiani fu dislocato alle Tremiti dal 29 ottobre86 al 26 febbraio 1 9 1 2, un periodo troppo breve rispetto all'arco dell'inchiesta, e già quasi tutto « coperto» dalla precedente ispezione di metà gennaio. In generale poi, la dichiarazione del Damiani allegata alla relazione risulta più prudente e articolata di quanto non lasci intuire il breve riassunto tutto positivo fatto da Lutrario.

Il medico spiega poi cosi il movente della sua denuncia : « Siccome il cattivo trattamento fatto agli arabi, mentre il Ministero non ha risparmiato nulla perché da parte nostra fosse degno di nazione civile, potrebbe, se noto al pubblico, fare oltraggio al buon nome d'Italia, ed avere strascichi di odio nelle terre di Libia, ove quei deportati che hanno sopravvissuto sono ora tornati, ho creduto mio imprenscindibile dovere avvisarlo alla Signoria Vostra a discarico di qualsiasi responsabilità di questo ufficio per quei provvedimenti che crederà opportuni » 82.

Il prefetto gira allora la denuncia di Albertazzi al Ministero degli interni in data 3 luglio, dichiarando di non avere «elementi per ritenere fondati o meno i fatti denunciatimi», e chiedendo egli stesso l'invio di «un ispettore generale di P. S. », magari «lo stesso commissario Lutrario che fu a Tremiti per ispezionare il servizio degli arabi» 83 nel gennaio precedente. Perché Spairani non avvia in prima persona una inchiesta? Il motivo è cosi spiegato da lui stesso : «non avendo io disponibile un funzionario di P.S. superiore al delegato Barbangelo» 84, ma la motiva­ zione suscita l'esplicito stupore dello stesso Lutrario 8s. È probabile perciò che l'autorità prefettizia da cui dipendeva territorialmente la colonia penale avesse colto appieno la gravità delle accuse, e abbia preferito « lavarsi le mani» di un cosi grave scandalo. Il caso viene cosi affidato a Lutrario. Ma la conduzione da parte dell'ispettore di P.S. dell'indagine suscita più di una perplessità :

1) La prima deposizione allegata alla relazione è raccolta a Ro­ ma, il 1 0 luglio, ed è del delegato di P.S. Damiani : il che è normale, visto che anche Lutrario si trovava a Roma, e che Damiani era stato uno dei due «energici funzionari di P.S. » - cosi recitava il telegramma

82 83 84 85

ACS, DPG, b. 72, fase. 14/14. Ibid., fase. 14/15. Ibide!JJ. Ibid., fase. 14/79, 2 : Inchiesta . . citata. .

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2) A Foggia, il primo teste ascoltato è ovviamente Alessandro Albertazzi, ma la sua deposizione è scarna e risicata, più breve addirit­ tura del rapporto riservato al prefetto di Foggia. Come se Lutrario, anziché approfondire con la dovuta attenzione ogni capo di accusa riferito dal medico nella sua lettera, volesse tagliar corto. L'impressione di una conduzione pregiudiziale dell'inchiesta è confermata del resto anche da alcune correzioni nella deposizione, rispetto al precedente rapporto : significativa è ad esempio l'omissione al capo d'accusa numero 5 del rapporto - relativo alla mancata elargizione dell'acqua potabile ad alcuni funzionari che ne avevano diritto, e alla distribuzione invece della stessa ad altri cui non spettava - di questa seconda pratica arbitraria : la quale, se affiancata alla prima, come nella lettera, avrebbe evidenziato meglio la gestione clientelare e forse ricattatoria del direttore nei confronti dei subalterni e della colonia in generale. Punizioni e premi distribuiti - senza tener conto dei regolamenti - secondo il livello di ubbidienza ad una autorità suprema colpevole di un evidente abuso di potere. Infine, il fatto più notevole : nella deposizione compare ex novo il assente nel rapporto riservato di Albertazzi che aveva dato il nome via all'inchiesta - del capodisinfettore Siani, che diventerà secondo la -

86 Nella deposizione di Damiani del 10 luglio si indica la data del 20 ottobre. Ma la data contrasta con una precedente lettera del Damiani (ibid., fase. 2J62), oltre che con la logica dei fatti. La battaglia di Sciara Sciat infatti si svolse il 23 ottobre, e il telegramma di Giolitti che annunciava l'invio di « energici funzionari» risale al 25 ottobre.


Claudio Mojja

I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat

relazione Lutrario il principale artefice delle « macchinazioni» n eL con­ fronti del Barbangelo, e del quale si parla fin dalla seconda p�gina nella relazione stessa come uomo « di dubbia fede politica», p�ssato «con notevole disinvoltura» « dal partito socialista, nel quale si segna­ lava come agitatore, al servizio della Prefettura » ; valido « come disin­ fettore» - il Siani - ma «capace di agire piuttosto per sfogo di rancori, che pel desiderio di concorrere disinteressante all'accertamento di una verità, che non lo riguardi» 87.

6) L'ispettore non rivolge alcuna domanda al medico circa la sorte del materiale profilattico : il capo d'accusa due del rapporto riservato infatti (« egli Barbangelo non avrebbe avuto cura di custodire diligentemente il materiale profilattico dello Stato a lui affidato ( . . . ) » è completamente omesso nella deposizione. Il che - anche se si consideri che l'Albertazzi aveva comunicato nella sua lettera al prefetto che del materiale in questione « si parla in separato rapporto alla Direzione generale della sanità» - è assurdo, perché da un'inchiesta globale come quella avviata da Lutrario, e su una colonia penale in cui l'emergenza sanitaria era stata la questione centrale per mesi, non poteva essere escluso un capitolo così importante, solo perché oggetto di indagine di altra autorità amministrativa. Al contrario lo scorporo dell'indagine in due inchieste è di per sé fonte di perplessità.

284

3) Anche la deposizione dell'economo Carmine Vitoli - il secondo interrogato - presenta una contraddizione, che gioca a favore dell'immagine del direttore inquisito : il funzionario della Prefettura da una parte parla di corresponsabilità del Barbangelo nel contrabbando di generi alimentari, e dall'altra afferma - probabilmente, di nuovo, su domanda del commissario ispettore - di non aver « raccolto voci che valgano a mettere in dubbio l'onestà personale del direttore Barbange­ lo» 88. Nella relazione poi la contraddizione è più sfumata, quasi corretta : infatti non si parla più di partecipazione diretta del direttore al contrab­ bando, di acquisto delle merci, ma solo del fatto che egli «avrebbe fruito di generi coloniali, passati in frode dei diritti di dogana». 4) La maggior parte delle deposizioni raccolte a Tremiti - a parte quelle dei militari - viene resa, come recita l'inizio di ogni verbale d'interrogatorio, «in una sala della direzione della colonia» : il che evidentemente può aver creato imbarazzo e reticenze fra i testimoni dell'inchiesta. 5) Un allegato fondamentale - quello relativo al registro di carico e scarico - è sicuramente costruito a posteriori e dunque sostanzialmente inattendibile. Infatti mentre nella relazione dell'ispezione Lutrario afferma che «il registro di carico e scarico dei viveri, del combustibile e degli altri generi di ordinario consumo fu impiantato soltanto dai primi di dicembre», e grazie all'intervento di un funzionario centrale, il vicediret­ tore delle carceri Giuseppe Feroci, nell'allegato alla relazione dell'inchiesta si riportano i dati a partire dal 29 ottobre.

87 Inchiesta... cit., p. 2. 88 Inchiesta.. . c it., all. IV, doc. 1 9.

285

7) Infine, Lutrario non sembra interessato ad indagare su una dichiarazione importante di uno degli interrogati, a proposito di un testimone chiave - il caposemaforista - e dei suoi rapporti con il direttore Barbangelo : «L'inchiesta sarebbe andata splendidamente» - è la testimonianza del maestro Pompeo Bilancia - «giusto i fatti che a lei noi riferiamo, se non fosse intervenuta la pace fra il direttore della colonia e il caposemaforista, che precedentemente erano in urto» 89. La deposizione del caposemaforista era essenziale ai fini dell'indagine sul contrabbando. Ma dalla frase del Bilancia Lutrario deduce solo che le accuse al Barban­ gelo fossero frutto (inventato) di quel diverbio («evidentemente su questo urto avevano fatto assegnamento coloro che avevano iniziata la lotta contro il Barbangelo») 90 e non, al contrario, che la riappacificazione fra i due, concomitante con trasferimento del caposemaforista alla più agevole sede di Venezia, avesse portato all'occultamento della verità, e dunque a salvare il direttore della colonia dall'incriminazione. La conclusione di Lutrario è conseguente allo svolgimento dell'in­ chiesta : il direttore Barbangelo è assolto dall'accusa di « scarsezza di vitto agli arabi» per la fase successiva all'ispezione di gennaio ; da

89 Inchiesta... cit., p. 20. 90 Ibidem.


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Claudio Mojja

quella «di partecipazione al piccolo contrabbando » 91 di gene# coloniali; «Parimenti infondata» - aggiunge Lutrario - «apparisce l'accusa di . furti a S. Domino, ad opera del Bettoliere Santoro, a meno che nçm si voglia ammettere che le guardie di P.S., incaricate della vigilanza, siano venute meno ai loro doveri, e che gli arabi addetti alla cucina si siano adattati, senza protesta, alle sistematiche sottrazioni dei generi costituenti il loro vitto »92• Gli "addebiti" imputabili al direttore della colonia sono altri, fra cui principali il non aver fatto « tutto quello che doveva e poteva fare per assicurare la custodia del materiale profilattico», di non sapere « spiegare la omissione di annotazioni nel registro dietetico » e di aver omesso « l'impianto di un regolare registro concernente la distribuzione di coperte, camicie, abiti e scarpe agli arabi» 93• Si tratta evidentemente di accuse non indifferenti, soprattutto di fronte alle centinaia di dete­ nuti arabi morti. Nonostante questo, Lutrario prima denuncia le « sub­ dole macchinazioni, intese a colpire, per vendetta, il Barbangelo ( . . . ) le dicerie maligne dei diffamatori per progetto ( . . . ) », quindi conclude con un giudizio e una proposta poco coerenti fra loro. «<l Barbangelo » - conclude l'inchiesta . « è un funzionario dotato di eccellenti doti ' cultura ampia, rettitudine esemplare», « ( . . . ) ma non è adatto a dirigere una colonia come quella di Tremiti» 94• Esito, questo dell'inchiesta dell'ispettore giolittiano, che sembra voler combinare la salvaguardia dell'immagine dell'istituzione e dello Stato, con la necessità di correg­ gere una gestione carceraria che aveva contribuito notevolmente, ne1 sei mesi circa di detenzione, alla moda dei deportati arabi.

SALVATORE ORTOLANI

Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo del Risorgi­ mento e della lotta per la libertà di Trento

La documentazione di e sul gen. Oreste Baratieri (nato a Condino in provincia di Trento il 13 novembre 1 841) conservata presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà di Trento, consiste in 3 buste di documenti di varia provenienza 1 • Per poter comprendere in che modo queste carte siano pervenute a Trento, bisogna ricostruirne le vicende sin dalla data della morte del generale (avvenuta a Vipiteno, in provincia di Bolzano, il 7 agosto 1 901) fatto del quale si è già, almeno in parte, minuziosamente occu­ pato Ferruccio Zago nel suo articolo pubblicato sulla « Rassegna Sto­ rica del Risorgimento » nel 1 987 2•

1 B. 1, fasce. 10, Corrispondenza. Fase. 1 di cc. 76: lettere di Baratieri ai famigliari, al conte Martini, a A. Ciolli ed altri, lettere di mons. Bonomelli (1877-1906; fase. 2 di cc. 142 : lettere a d Oreste (1896-1901) e a Luisa Baratieri (1 936-1938) ; fase. 3 di cc. 57 : lettere di A . Giacomelli (1 897) ; fase. 4 di cc. 1 07, con elenco dei corrispondenti : lettere a Baratieri (1 896-1901); fase. 4a di cc. 1 1 3, con elenco dei corrispondenti : lettere a Baratieri (1896-1901) ; fase. 5 di cc. 81 : carteggio fra il gen. Pantano e il gen. Cantoni (1 934) ; fase. 6 di cc. 101 : lettere a Maria Conzatti Baratieri (1 933-1 937) ed elenco delle pubblicazioni del gen. Baratieri fase. 7 di cc. 138 : lettere a Maria Conzatti e Luisa Baratieri (1935-1936); fase. 8 di cc. 38 : lettere a Maria Conzatti e articoli di giornali; fase. 9 di cc. 27 : lettere di Oreste Baratieri al vescovo Bonomelli (1894-1901). B. 2, fase. 6, Diario di Oreste Baratieri e bozze del volume Carteggio di O. Baratieri ( 1887- 1901), a cura di Bice Rizzi. Fase. 1 di cc. 63 : commemorazione e versi in onore di Baratieri ; fase. 2 di cc. 130: miscellanea; fase. 3 di cc. 1 7 : miscellanea (contiene anche il Diario); fase. 4 di cc. 1 8 6 : bozze della prima parte del volume; fase. 4a di cc. 21 5 : bozze della seconda parte del volume; fase. 5 di cc. 33 : recensioni al volume (pubblicato nel 1936). B. 3, fase. 4, giornali su Oreste Baratieri. Fase. 1 di cc. 67 : ritagli stampa, 1885-1936; fase. 2 di cc. 31 : giornali, 1 935-1936; fase. 3 di cc. 26 : giornali, 1936-1948; fase. 4 di cc. 30: miscellanea, 1 892-1936. 2 F. ZAGO, Le carte di Oreste Baratieri in «Rassegna storica del Risorgimento», 1987, 3, pp. 336-345.

91 Ibid. , conclusione. 92 Ibidem.

93 Ibidem. 94 Ibidem.


Salvatore Ortolani

Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo di Trento

Riassumendo brevemente la ricostruzione effettuata d.allo Zàgo, si può evidenziare come la documentazione conservata a Trento integri e completi quella che si trova presso l'Archivio di Stato di Venezia. Alla morte del generale la famiglia del Baratieri consegnò infatti tutto il carteggio, sia pubblico che privato, all'Archivio di Stato di Venezia, ultima residenza del generale. Bisogna ricordare, tra l'altro, che a quella data (1 901 ), l'Archivio di Stato di Trento, che avrebbe potuto ricevere le carte essendo il Baratieri nativo di Condino, ancora non esisteva, e Trento stessa dovrà rimanere ancora sotto l'Austria fino al 1 91 9 . La consegna da parte degli eredi dei docu­ menti all'Archivio di Stato di Venezia fu subordinata alla condizione che il carteggio di carattere privato fosse restituito alla famiglia, dopo la compilazione dell'inventario, compilazione che venne effet­ tuata non al momento del versamento delle carte, ma diverso tempo dopo. Il carteggio, come chiaramente descritto nella citata pubbli­ cazione dello Zago, venne diviso in sede di inventariazione in 1 7 sene. Nel gennaio 1 903 la figlia del generale incaricò l'avv. Sicher di ritirare dall'Archivio di Stato di Venezia le carte di contenuto pri­ vato. Queste sono costituite dalla serie XI (carte private vere e pro­ prie), XII (documenti contabili personali), XV (Atti parlamentari, riviste italiane e straniere, carte geografiche e topografiche) e XVII, quest'ultima definita dallo Zago «inesistente», in quanto composta da « coperte e buste con titoli autografi del Baratieri, trovate vuote». In un secondo momento furono riconsegnate all'Archivio di Stato di Venezia, da parte della figlia del Baratieri, parte di queste carte, ritenute più storiche che private : tornarono cosi in archivio i primi fascicoli della serie XI, una parte della serie XV e della serie XVII. Tornando ora alle 3 buste di documenti riguardanti il gen. Ba­ ratieri, attualmente conservate presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà di Trento (MRLL), è possibile rilevare, da un attento esame della documentazione, che parte di queste carte non sono altro che quegli stessi documenti restituiti alla famiglia da parte dell'Archivio di Stato di Venezia, come docu­ menti personali. Alcuni fascicoli di corrispondenza, infatti, sono tuttora conservati in cartellette riportanti la segnatura data nel 1 90 1 all'Archivio di Stato di Venezia, si riferiscono alla serie XI

« Carteggio privato » e riguardano la corrispondenza che va dal 1 896 al 1 901 . A conferma di ciò è utile notare che a Venezia il carteggio privato arriva solo fino al 1 895. Purtroppo non sono tutti i 1 1 02 documenti di cui parla Ferruccio Zago, ma al massimo potrebbe trattarsi delle c1tca 500 carte che costituiscono i fasce. 2, 3, 4, 4a e 5 della b. 1 . Riguardo a quando e da parte di chi siano stati fatti pervenire questi documenti al MRLL di Trento, ciò in parte almeno, è stato possibile ricostruirlo grazie alla cortesia della dott. ssa Marchesoni, che ha permesso la consultazione dell'inventario delle acquisizioni del Museo, sul quale figurano anche le donazioni relative al carteggio Baratieri.

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Dall'inventario suddetto risultano infatti : - n. 2073 corrispondenze donate da Sisinio Ramponi il 1 3 giu­ gno 1 928 : «Lettere di O. Baratieri datate da Canale di Suez 1 luglio [1 896] e Sauria 26 febbraio [1896] » ;

- n. 2374 corrispondenze donate da Ernesta Battisti Bittanti il 1 O dicembre 1 929 : « <ncarto redazionale della rivista " Tridentum " tra cui la corrispondenza Alfondo Ciolli O. Baratieri » ; -

- n . 4232 2 lettere di O. Baratieri donate da Teresa Canella. Massaua, 2 aprile 1 896. Massaua, 1892 ; - n. 4238 dono del conte Alessandro Mattini : 37 lettere di O. Baratieri a l conte G. Mattini, a Monsignor Bonomelli, al conte Fran­ cesco Mattini ; 1 lettera di mons. Bonomelli al cap. Trompeo ; 1 lettera del cap. Trompeo a mons. Bonomelli ; 1 lettera di Maria Conzatti a Francesco Mattini; - n. 4244 dono di Pio Giovannini : 1 lettera di O. Baratieri a Felice Mazzurana; - n. 6221 dono di Schulthaus Scipione : 1 lettera di O. Baratieri al presidente della S.A.T. del 1 875 ; - n. 7109 dono di Luisa Conzatti (1 939) : album dedicato dai trentini a O. Baratieri; - n. 8781 acquisto di un autografo di O. Baratieri dalla nipote Luisa Conzatti (1 955). ;

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Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo di Trento

Tuttavia non vi è traccia negli inventari o nella corrispondenza del Museo della consegna degli altri documenti da parte della sorella del generale, Luisa Baratieri in Conzatti, o della nipote Maria Con.zatti. . Esiste tuttavia, conservata presso il Museo, un corrispondenza molto interessante tra il direttore del Museo stesso e la famiglia del Baratieri. Nel 1 924 (la lettera è senza data, ma la risposta di Erminio Conzatti porta questa data), il presidente del Museo del Risorgimento scrive alla famiglia Conzatti di Arco, cioè alla sorella ed al cognato del generale, perché è venuto a conoscenza del fatto che «possiede e con­ serva cimeli e documenti illustranti la valorosa attività del Baratieri» e desidererebbe poter inserire nel Museo « qualche cimelio » che ricordi «il valoroso condottiero ». La risposta, in data 2 ottobre 1 924, di Erminio Conzatti, marito di Luisa Baratieri, lascia ben sperare : pro­ mette ulteriori accordi tramite il cav. Emilio Bortolotti, riguardo alla cessione al Museo di quei «cimeli dei quali per ora si accondiscende­ rebbe a privarsi. Ciò che avverrà a condizione che essi cimeli trovino un degno collocamento ». Tra i cimeli, si presuppone, dovrebbero trovarsi anche documenti, come accenna esplicitamente il direttore del Museo nella sua prima lettera. Comunque, evidentemente, le carte del generale non furono conse­ gnate allora al Museo, se troviamo, tra il carteggio, uno scambio di corrispondenza, posteriore di circa 1 0 anni, tra Baratieri ed il col. Emilio Bellavita di Genova, a proposito dell'epistolario del generale, inviato dalla nipote al Bellavita, che desiderava copiare almeno le « lettere storicamente più importanti ». Le lettere del Baratieri, inviate al Bellavita 1'8 marzo 1 934, vengono restituite a Maria il 3 aprile 1 934 con una lettera di accompagnamento in cui si legge « rimango in attesa di ricevere la promessami altra parte della corrispondenza in parola (lettere dirette ad amici e conoscenti) dove spero si troverà più largo modo di intercalare qualcuna di quelle originali che ho tutt'ora in custodia». Sembrerebbe dunque che quelle in possesso della Conzatti non siano originali ma copie, o forse si tratta delle minute di lettere poi spedite ad amici e conoscenti, i cui originali si trovavano ora in mano del Bellavita. In una lettera del 6 aprile '34 la Conzatti, nell'accusare ricevuta del plico di lettere restituitele dal colonnello, che tra l'altro ne aveva curato un riordino cronologico, nota tra l'altro : « molto interessanti le lettere da Lei

aggiunte del vescovo Bonomelli. Peccato non si possa rintracciarne maggior numero ! » I due, dunque, andavano in qualche modo rico­ struendo il carteggio privato del Baratieri al fine, sembra, di riabilitarne la figura storica. Di questo fatto e dell'esistenza del carteggio privato del Baratieri venne a quanto sembra a conoscenza, tramite Antonietta Giacomelli, Bice Rizzi, la quale si mise in contatto con Maria Conzatti, nipote del Baratieri, e questa le rispose con una lettera datata 1 8 gennaio '34 affermando che « siccome avevamo in precedenza promesso al col. Bellavita il carteggio in parola, dobbiamo mandare a quello tutto che potremo raccogliere. Ma quell'illustre ed ottimo amico è in accordo con Lei». Altro dai documenti non è dato sapere, ma si può presupporre che la famiglia Conzatti, su suggerimento dello stesso col. Bellavita, una volta terminata la trascrizione ed il riordino cronologico del carteg­ gio privato del Baratieri, lo abbia donato al MRLL, se nel 1 936 Bice Rizzi può dare alle stampe il suo volume sul carteggio del generale3, citando nella prefazione il col. Bellavita come ideatore della raccolta. Tuttavia le lettere pubblicate dalla Rizzi nel suo volume non sono tutte quelle contenute nelle 3 buste del MRLL. La Rizzi aveva eviden­ temente operato una cernita trascrivendo e pubblicando solamente quelle lettere che riteneva di maggior interesse. Nella b. 2, fasce. 4 e 4a sono contenute le bozze del libro della Rizzi, con le veline delle trascrizioni delle lettere scelte, i cui originali si trovano, come si è detto, nella b. 1 . Contemporaneamente, nel numero del 1 8 ottobre 1 936 de « <l Gaz­ zettino», nella cronaca di Rovereto, viene annunciata l'apertura presso il Museo della guerra, di «uno speciale reparto delle sale coloniali» dedicato «alla memoria dello sfortunato generale [Baratieri], reparto nel quale sarà esposta la sua sciabola d'ordinanza, alcune decorazioni personali e vari decreti di decorazioni che la signora Luisa Baratieri in Conzatti, sorella del vincitore di Coatit, ha generosamente regalato al Museo, promettendo che a tempo debito darà altro materiale». I cimeli ed i documenti dunque, già richiesti ancora nel 1 924 dal presidente del Museo del Risorgimento alla famiglia Conzatti, hanno

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3 B. RIZZI, Carteggio di Oreste Baratieri ( 1887- 1901), Trento, Tip. Ed. Mutilati ed Invalidi, 1 936.


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preso infine due diverse destinazioni : i documenti si trovano al Museo · del Risorgimento di Trento, grazie molto probabilmente all'interessa­ mento di Bice Rizzi che ne aveva curato la pubblicazione, · mentre i cimeli vengono accolti in una sala del Museo della guerra di Rovereto. Tornando ad esaminare il carteggio conservato a Trento, ed in particolare quella parte non pubblicata nella pur ampia e per certi versi esauriente opera della Rizzi, si possono rilevare, oltre alla corri­ spondenza vera e propria, numerosi altri documenti interessanti. Mancando lo spazio necessario per poterli esaminare tutti analitica­ mente, ne citeremo due in particolare. Il primo è un articolo della giornalista triestina Giuseppina Marti­ nuzzi datato 1 6 giugno 1896, cioè pochi mesi dopo la data della tragica sconfitta di Adua e all'indomani della sentenza del tribunale militare speciale di guerra convocato ad Asmara, che aveva assolto il Baratieri con la formula di «non luogo a procedere per inesistenza di reato », dall'imputazione di « omissioni, negligenze ed abbandono di comando in guerra». L'infervorato articolo della Martinuzzi, che si trova tra il carteggio in copia redatta da Erminio Conzatti, genero del Baratieri, porta in cima la seguente annotazione : « N.B. Non si pubblicò, per tema d'ina­ sprire gli animi di chi travasi in caso di nuocere più oltre al generale». L'appassionata difesa della giornalista triestina riesce, con i suoi toni polemici nei confronti del tribunale militare e più genericamente, di tutta l'organizzazione militare, a delineare efficacemente la figura del Baratieri, come quella di una vittima della macchina bellica e della burocrazia militare, come una sorta di capro espiatorio predestinato ed incolpevole. L'interesse di questo articolo è notevole, oltre che per il suo contenuto, anche per il fatto che per lungo tempo esso rimarrà l'unica voce levatasi a pubblica difesa del Baratieri. Solo circa 30 anni dopo la sua scomparsa infatti, verrà attuata dalla stampa una [doverosa] riabilitazione della figura del generale. Nella b. 3 del carteggio conservato presso il MRLL sono conservati infatti numerosi articoli di giornale riguardanti il Baratieri, raccolti nel corso degli anni dai suoi famigliari, e scorrendoli non si può fare a meno di notare come solo negli anni Trenta si ricominci timidamente a parlare sulla stampa, prima locale e poi nazionale, dello sfortunato protagonista della battaglia di Adua. L'altro documento sicuramente

interessante che vorremmo citare è la copia del diario tenuto da Oreste Baratieri dal 1 6 novembre 1 887 al 1 5 aprile 1 888, nel periodo in cui fu governatore in Africa (b . 2, fase. 3). Questa copia del diario, il cui originale è conservato all'Archivio di Stato di Venezia, è interessante anche perché fu eseguita a Nago (TN) nella villa di Scipio Sighele che lo volle far copiare ai suoi due nipoti Gualtiero Castellini e Itala Lasetti Biraghi. Quest'ultima ricorda l 'episodio in una lettera datata 24 ottobre 1 938 ed indirizzata a Bice Rizzi che le aveva chiesto notizia del diario, lettera tuttora conservata tra quelle riguardanti l'acquisizione dei documenti su Baratieri. Il generale aveva consegnato queste memorie a Scipio Sighele perché lo difendesse dalla campagna denigratoria nei suoi confronti dopo la sconfitta di Adua, difesa per la quale il Sighele stesso si era offerto all'indomani della battaglia, con un telegramma (conservato nella b. 2, fase. 2) in data 6 marzo 1 896 ed indirizzato allo stesso Baratieri all'Asmara, il cui brevissimo ma eloquente testo non ha bisogno di commenti : « Con cuore trentina offromi difensore-avvocato Sighele ». Questo diario meriterebbe senz'altro di essere pubblicato, non fosse altro che come testimonianza storica di un'epoca, come pure meriterebbero un attento esame ed un'edizione critica le numerose carte conservate nelle tre buste del Museo del Risorgimento. Già il libro della Rizzi ci offre uno spaccato notevole della vita e dell'attività di questa figura di uomo per certi versi sconosciuta, con le numerose lettere pubblicate che ne testimoniano i rapporti con illustri personaggi dell'epoca, quali il vescovo di Cremona mons. Bonomelli, il conte Francesco Martini, il prefetto Angelo Giacomelli, il direttore del giornale «<l Trentina » Mario Manfroni, e molti altri uomini politici e militari. Tuttavia riteniamo che anche il resto della documentazione e della rassegna stampa che riguarda il Baratieri meriterebbero, in una sede più ampia, di essere messe in luce e vagliate attentamente, per riscrivere, in materia obiettiva e scevra da ogni passione contin­ gente, una pagina pur sempre significativa della nostra storia.

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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

L' rchivio storico diplomatico (ASD) del Ministero degli affari esten conserva, secondo il disposto dell'art. 2 della legge 29 aprile 1 953, n. 430, l'Archivio storico del soppresso Ministero dell'Africa italiana 1 • In concreto si tratta di una ventina di fondi archivistici posseduti alla data del 29 aprile 1 953 dall'Ufficio II - Storico dell'Uffi­ cio studi del Ministero dell'Africa italiana z. Poco n �ta è la vicenda complessiva di questi fondi. Non è quindi . . . pnvo di s1gnificato un approfondimento in tale direzione, in particolare alla luce dei nuovi versamenti pervenuti all'Archivio centrale dello Stato (ACS) dal Ministero del tesoro, erede di molte competenze e, conseguentemente, di molta documentazione dell'amministrazione cen­ trale coloniale3. Questi versamenti non possono infatti non costituire la p�emessa di un lavoro che veda operare affiancati ACS e ASD per . realizzare progressivamente una mappa della documentazione prodotta

1 L'art. 2 ella l. 29 apr. 1 953, n. 430, recante la soppressione del Ministero dell'Africa . . . Itahana, trasfensce da quel d1eastero al Ministero degli affari esteri : a) le attribuzioni m · erent'1 . . a!l'Amrr�uu · · s �raz10 · fiduc1 �na del a om lia; b) le attribuzioni concernenti gli interessi pubblici . . e pr vatl e l erv!Zl p bbhc1. 1taharu nel territori della Libia e dell'Eritrea; c) le attribuzioni , relative all assistenza a1 connazionali residenti nei territori delle ex coloru·e e queile re1atlve · a1· . . . . . . . . cittadini taharu che SI trovino nelle condizioni previste dall'art. 32 della l. 4 mar. 1 952 1 93 ; servi io pe H rientro in Ita a ed il ritorno in Africa dei cittadini italiani; e attnbuzlom relative al! Istituto agr norruco per l'Africa italiana, ai termini del r.d.l. 27 lug. . 1 938, n. 2205, convertito, con mod1ficazioni, nella l 19 mag. 1 939, n. 737 ,· f) 1a conservazione , . d ell ArchiviO stanco. Per quanto riguarda la lettera f) esso va, ovviamente, letto in correla. ZIOne con l'art. 1 del d.p.r. 5 e . 1 967, che demanda all'Archivio storico diplomatico la . . possesso del Ministero con ervazwn del ondi. arc�Ivistlcl 1n degli affari esteri. . . p1u de tagha Per notiZie e sui singoli fondi cfr. più oltre, pp. 327-333. 3 Cfr. la relazwne d1 Patnz1. a Ferrara in questo volume

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dall'amministrazione coloniale ormai a disposizione degli studiosi. Un primo passo in questa direzione, sia consentito ricordarlo, è stata l'amichevole collaborazione e il continuo scambio di informazioni che si sono immediatamente attivati con la dott.ssa Ferrara per la realizza­ zione dei rispettivi contributi. Carlo Giglio nell'introduzione all'Inventario delle fonti manoscritte rela­ tive alla storia dell'Afirica del Nord esistenti in Italia che modestamente ' ' ' intitola : Cenno sui successivi ordinamenti burocratici e archivistici del Ministero degli esteri dal 1861 al 1922 e del Ministero delle colonie dal 1912 al 1953' fornisce un profilo a tutt'oggi pienamente valido della storia dei due dicasteri e degli archivi coloniali, incontrando, per altro, quelle non lievi difficoltà, che anche oggi si presentano a chi intraprenda quella strada4• Tali difficoltà nascono da una serie di fattori. Il primo è la lacunosità e l'incompletezza delle fonti relative all'organizzazione dell'amministra­ zione centrale coloniale e dei suoi archivi, sia per quanto riguarda bollettini e raccolte dei decreti, delle circolari e degli ordini di servizio, sia per quanto concerne le fonti più propriamente archivistiche. Il secondo è l'assenza, si spera non irrimediabile, dei registri di protocollo e degli altri strumenti d'archivio coevi alla produzione delle carte. Terzo, ma non meno rilevante, è l'ordinamento «per materia» realizzato sulle carte costituenti i più cospicui fondi coloniali e in particolare i due comunemente noti come Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana e Africa . Tale ordinamento, su cui si avrà occasione di ritornare estesamente' ha fatto smarrire qualunque idea sulla proporzione tra documentazione prodotta e documentazione conservata, ma, soprattutto, ha distrutto totalmente il nesso archivio-ente produttore, da un lato rifondendo in un unico complesso documentario carte prodotte da soggetti diversi ed appartenenti ad archivi diversi, in qualche caso addirittura estranei

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4 C. GIGLIO, Cenno sui successivi ordinamenti burocratici e archivistici del Mzi1istero degli esteri dal 1861 al 1922 e del Ministero delle colonie dal 1912 al 1953, in ISTITUTO DJ STORIA E ISTITUZIONI DEI PAESI AFRO-ASIATICI DELL'UNIVERSITÀ DI PAVIA, Inventario delle fonti 111anoscritte relative alla storia dell'Africa del Nord esistenti in Italia, sotto la direzione di C. GIGLIO, I, Gli archivi storici del soppresso Ministero dell'Africa italiana e del Ministero degli affari esteri, a cura di M. GAzziNI e C. GIGLIO, Leiden, E. ]. Brill, 1 971, pp. IX-XXXII.


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all'amministrazione, dall'altro smembrando sistematicamente le unltà per poi riaggregate i singoli documenti secondo un nuovo schem� s . Fino all'istituzione del Ministero delle colonie, salvo per un brevis­ simo periodo, la trattazione delle materie coloniali è stata sostanzial­ mente accentrata nel Ministero degli affari esteri 6• È però solo nel gennaio del 1 890 che presso quel dicastero viene istituito un Ufficio coloniale, posto alle dipendenze del Gabinetto del ministro. Prima di quella data gli affari coloniali vengono ripartiti secondo la competenza dei diversi uffici ministeriali. In sostanza essi sono quasi esclusivo appannaggio prima della Divisione politica della Direzione generale degli affari politici e degli uffici amministrativi, poi, dopo il riordina­ mento crispino dell'amministrazione, della Sezione III della Divisione I affari politici, ovviamente fatta eccezione per gli affari di cui si sia riservata la trattazione il ministro o che questi abbia assegnato al segretario generale e poi al sottosegretario 7• ·

5 Ibid., pp. XXIX-XXX. 6 Cfr. C. MARINUCCI, Gli organi centra/i, in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI - COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA IN AFRICA, L'Italia in Africa, Serie giuridico-ammini­ strativa, I, (1869- 1955), Il governo dei territori d'oltremare, testi di C. MARINUCCI e T. CoLOMBANO, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1 963, pp. 3-218. 7 Sulle vicende dell'amministrazione degli esteri nel periodo interessato, oltre al più volte citato lavoro di Giglio, cfr. L. V. FERRARIS, L'amministrazione centrale del Ministero degli affari esteri italiano nel suo sviluppo storico ( 1848- 1954), Firenze-Empoli, Il poligrafico toscano, 1 955; R. MoscATI , Le scritture della Segreteria di Stato degli affari esteri del regno di Sardegna, Roma, Tipografia riservata del Ministero degli affari esteri, 1 947 ; In., Le scritture del Ministero degli affari esteri del regno d'Italia dal 1861 al 1881, Roma, Tipografia riservata del Millistero degli affari esteri, 1 953 ; F. GRASSI, Il primo governo Crispi e !'emigrazione come fattore di una politica di potenza, in Gli italiani fuori d'Italia, a cura di B. BEZZA, Milano, Angeli, 1 983, pp. 45-100; In., Il Ministero degli esteri: la diplo111azia, in IsAP, Le riforme crispine, I, Milano, Giuffrè, 1 990, pp. 81-165 (Archivio, Nuova serie 6) ; V. PELLEGRINI, Alll!Jtinistrazione e ordinamento costituzionale: il Ministero degli affari esteri, in IsAP, L'amministrazione mila storia moderna, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 1 851-1 929 (Archivio, Nuova serie 3) ; In., Il Ministero degli esteri: l'organizzazione, in IsAP, Le riforme crispine... , cit., pp. 1 67-269 ; E. SERRA, Alberto Pisani Dossi diplomatico, Milano, Angeli, 1987; In., Lo diplomazia in Italia, Milano, Angeli, 1 984; Lo formazione della diplomazia italiana 1861-1915, a cura di L. PILOTTI, Milano, Angeli, 1 989. Sulla gestione dell'attività coloniale, oltre al già ricordato lavoro di C. Marinucci, cfr. D. FRIGO, Il Ministero degli esteri: le colonie, in IsAP, Le riforme crispine... , cit., pp. 271-325. Si segnala inoltre che una recente ricerca CNR, diretta da Sabino Cassese e condotta con la collaborazione dell'Ufficio centrale beni archivistici, ha portato ad una schedatura, tra gli altri, anche di tutti gli uffici del Ministero degli affari esteri operativi nel periodo 1861-1943. Frutto di detta ricerca sarà una serie di repertori di prossima pubblicazione, dedicati alle amministrazioni centrali dello Stato, tra cui, appunto, uno concernente il Ministero degli affari esteri.

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Nell'ordinamento di Rudinì, stabilito con r.d. 1 9 febbraio 1 891, n. 80, gli affari dell'Eritrea e protettorati vengono assegnati alla Sezione II della Divisione I. Con r.d. 28 dicembre 1 893 viene istituito, nuovamente alle dipendenze del Gabinetto del ministro, l'Ufficio per l'Eritrea e i pro­ tettorati. Nel successivo ordinamento Caetani, disposto con r.d. 1 5 marzo 1 896, n. 73, le competenze coloniali sono attribuite alla Sezione III della Divisione I - Affari politici. A seguito dell'emanazione di un decreto ministeriale in data 6 febbraio 1 898, la Sezione III assume la denominazione di Ufficio coloniale e, con successivo r.d. 8 aprile 1 900, n. 147, viene costituita in Sezione autonoma affari coloniali. Il r.d. 2 gennaio 1 902, n. 2, che riordina il Ministero degli affari esteri, prevede nuovamente un Ufficio coloniale, unità autonoma, di rango, questa volta, piuttosto elevato. L'art. 27 del r. d. 22 settembre 1 905, che approva l'ordinamento della colonia Eritrea, istituisce il posto di direttore centrale degli affari coloniali, in sostanza equiparato ad un direttore generale8 ; un successivo decreto ministeriale in data 1 5 giugno 1906 suddivide la «Direzione centrale coloniale» in tre uffici, sanzionandone l'esistenza. I rr. dd. 9 aprile 1 908, n. 241 e 1° agosto 1 9 1 0, n. 607 prevedono nell'organizzazione del Ministero degli affari esteri la Direzione centrale degli affari coloniali 9• La vita del Ministero delle colonie e poi dell'Africa italiana è, come quella del Ministero degli affari esteri, caratterizzata da fre­ quenti variazioni delle strutture organizzatorie che vedono talvolta il prevalere di ripartizioni di competenza su base geografica, talaltra su base funzionale, più spesso l'affermarsi di un criterio « misto » 1 0 • In questa sede ci si limiterà a dar conto di quelle interessanti l'intera

8 A seguito dell'istituzione del posto di direttore centrale degli affari coloniali l'ufficio è indicato sovente nel carteggio come « Direzione centrale degli affari coloniali». Sull'argo­ mento e più in generale sulla Direzione centrale degli affari coloniali cfr. A. BERTINELLI, La Direzione centrale degli affari coloniali del Ministero degli affari esteri ( 1908- 1912), tesi di laurea in Storia delle istituzioni politiche, relatore M. Caravale, Università degli studi di Roma «La Sapienza», Facoltà di scienze politiche, anno accademico 1 989-1990. 9 Ibid., p. 58, l'A. rileva che dopo il decreto del 1908 la Direzione continua nei fatti ad operare su tre uffici, il terzo dei quali chiamato ad occuparsi di contabilità e bilanci. 10 In questo ambito caratteristica del Ministero delle colonie è l'esperienza, non frequente in altre amministrazioni dello Stato, degli uffici «comuni» a più direzioni generali.


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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

struttura ministeriale o comunque di quelle di particolare rilievo, rinviando per gli interventi minori e per i dettagli ai singoli provve­ 11 dimenti normativi •

Il Ministero delle colonie, è bene precisarlo, non nasce né come filiazione del Ministero degli affari esteri, né come sviluppo della Direzione centrale degli affari coloniali, né, infine, assorbe immediata-

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Si elencano qui di seguito i principali provvedimenti riguardanti l'organizzazione del Ministero delle colonie : l. 6 lug. 1912, n. 749, che autorizza l'istituzione del Ministero delle colonie; r.d. 20 nov. 1912, n. 1205, riguardante le norme relative alla costituzione del Ministero delle colonie ; r.d. 28 nov. 1912, n. 1257, che nel Consiglio coloniale sostituisce il sottosegre­ tario di Stato per le colonie al sottosegretario di Stato per gli affari esteri; r.d. 9 mar. 1913, n. 288, che approva l'ordinamento dei servizi per le opere pubbliche in Libia; r.d. 11 gen. 1 914, n. 151, che istituisce presso il Ministero delle colonie un Comitato superiore ammini­ strativo per tutti gli affari riguardanti la Tripolitania e la Cirenaica; r.d. 15 gen. 1914, n. 76, che approva il nuovo ordinamento dei servizi per le opere pubbliche in Tripolitania e in Cirenaica, in sostituzione di quello del 9 mar. 1 913, n. 288 ; r.d. 5 mar. 1 914, n. 212, riguardante la ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali ; d.m. 9 mar. 1914 che stabilisce gli uffici nei quali vengono ripartite le Direzioni generali del Ministero delle colonie e le loro competenze; r.d. 9 ago. 1914, n. 916, che autorizza il Ministero delle colonie ad affidare speciali gestioni all'Economato del Ministero stesso; d.m. 31 ott. 1914: composizione della Commissione permanente per l'esame della situazione degli impegni assunti sui fondi a disposizione del Ministero delle colonie ; r.d. 20 dic. 1 914, n. 1464, concernente variazioni nella composizione del Comitato superiore amministrativo per gli affari riguardanti la Tripo­ litania e la Cirenaica ; d. lgt. 23 set. 1915, n. 1992, che approva l'annesso regolamento per i servizi dell'Ufficio cartografico del Ministero delle colonie; r.d. 1 1 mar. 1 917, n. 469, col quale sono istituiti Comitati consultivi indigeni per la Tripolitania e per la Cirenaica ed un Comitato centrale consultivo misto presso il Ministero delle colonie ; r.d. 26 feb. 1920, n. 266, che provvede alla sostituzione, nelle sedute del Consiglio coloniale, del soppresso direttore dell'Ufficio coloniale; r.d. 29 feb. 1920, n. 362, concernente la composizione del Comitato superiore amministrativo presso il Ministero delle colonie ; d.m. 9 mag. 1920 col quale è istituito presso la Direzione generale degli affari politici l'Ufficio III; r.d. 28 ago. 1 991, n. 1364, che modifica quello 11 gen. 1914, n. 151, relativo all'istituzione presso il Ministero delle colonie di un Comitato superiore amministrativo per gli affari riguardanti la Tripolitania e la Cirenaica; r.d. 23 ott. 1 922, n. 1 517, che modifica gli articoli 1 e 2 del r.d. 5 mar. 1914, n. 212, concernente la ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; d.m. 26 ott. 1922, che determina, per ciascuna Direzione generale del Ministero delle colonie, gli uffici che debbono provvedere ai singoli servizi ad essi affidati e che stabilisce la relativa competenza; r.d. 31 dic. 1922, n. 1 817, che sopprime il Consiglio coloniale ed il Comitato superiore amministrativo ed istituisce in loro vece presso il Gabinetto delle colonie, a decorrere dal 1 gen. 1923, un Consiglio superiore coloniale; r.d. 29 lug. 1923, n. 1 829, conferimento al capo dell'Ufficio studi e propaganda delle attribuzioni e facoltà già conferite al direttore generale degli affari politici, in ordine ai funzionamento del servizio cartografico del Ministero delle colonie; r.d. 31 dic. 1923, n. 3285 : modificazione al r.d. 31 dic. 1 922, n. 1 817, sulla istituzione del Consiglio superiore coloniale ; r.d. 31 gen. 1924, n. 198, modificazione dell'art. 2 del r.d. 23 ott. 1922, n. 1 517, concernente la ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali ; r.d. 25 lug. 1924, n. 1403, modificazione del r.d. 9 ag. 1 914, n. 916, autorizzante il Ministero o

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delle colonie ad affidare speciali gestioni alll'Economato del Ministero stesso ; r.d. 8 ago. 1 924, n. 1265, modificazione del r.d. 23 ott. 1 922, n. 1517, concernente la ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; d.m. 12 nov. 1924, che fissa le competenze dell'Ufficio del personale ; d.m. 12 gen. 1925, riflettente la ripartizione degli uffici della Direzione generale delle colonie dell'Africa orientale; r.d.l. 29 gen. 1 925, n. 489, modificazioni alla composizione del Consiglio superiore coloniale ; r.d. 15 ott. 1925, n. 1 882, ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; d.m. 14 nov. 1925, ripartizione degli uffici centrali del Ministero e loro competenze; r.d. 16 mag. 1926, n. 1025, modificazioni alla composizione del Consiglio superiore coloniale ; d.m. 22 mag. 1 926, relativo alla competenza delle Direzioni generali e dell'Ufficio del personale; d.m. 24 mag. 1 926, relativo alla competenza dell'ufficio affari generali della Direzione generale degli affari economici e finanziari; r.d. 18 nov. 1 926, n. 1941, ripartizione degli uffici centrali del Ministero delle colonie; d.m. 23 nov. 1926, n. 3360, ripartizione degli uffici centrali del Ministero e loro competenze ; d.m. 24 nov. 1 926, n. 3361, delega della trattazione di affari dell'amministrazione coloniale; d.m. 1° dic. 1 926, competenze del Segretariato generale del Ministero delle colonie; r.d. 9 gen. 1927, n. 79, modificazioni alla composizione del Consiglio superiore coloniale; r .d. 7 apr. 1 927, n. 467, modificazioni al funzionamento del Consiglio superiore coloniale; d.m. 1° giu. 1927: norme per il funzionamento del Consiglio superiore coloniale; d.m. 13 ott. 1 927 : modificazione del decreto ministeriale 23 nov. 1 926 riguardante la ripartizione degli uffici centrali del Ministero delle colonie; r. d. 26 feb. 1928, n. 550, modifica­ zioni alla composizione del Consiglio superiore coloniale; d.m. 29 mar. 1 928, che apporta modificazioni ai decreti ministeriali 23 nov. 1 926 e 13 ott. 1927 riguardanti la ripartizione e la determinazione delle competenze degli uffici centrali del Ministero; r.d. 31 mag. 1928, n. 1405, ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; r.d. 7 giu. 1928, n. 1421, composizione del Consiglio superiore coloniale; d.m. 30 lug. 1 928, ripartizione e determinazione delle competenze degli uffici centrali del Ministero ; r.d.l. 1 8 nov. 1928, n. 2628, costituzione di una Commissione di arte e edilità presso il Ministero delle colonie; r.d. 17 dic. 1928, n. 3101, composizione del Consiglio superiore coloniale; d.m. 1 5 mar. 1930, ripartizione e determinazione delle competenze degli uffici centrali del Ministero delle colonie; r.d. 3 apr. 1930, n. 437, modifica della composizione del Consiglio superiore coloniale; d.m. 15 giu. 1930, modifiche al decreto ministeriale 15 mar. 1930 relativo alla ripartizione e competenze degli uffici del Ministero delle colonie ; d.m. 1 ago. 1 930, modifiche alla ripartizione degli uffici centrali del Ministero delle colonie ; d.m. 1° ago. 1930, modifiche alla ripartizione degli uffici centrali del Ministero delle colonie; r.d.l. 24 nov. 1 932, n. 1765, modificazione della Commissione di arte e edilità presso il Ministero delle colonie; d.m. 1 9 dic. 1933, ripartizione e determinazione delle compe­ tenze degli uffici centrali del Ministero delle colonie. Aggiunta al capo VI «Ufficio militare» ; r.d. 13 mar. 1 934, n . 457, ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; d.m. 3 0 mar. 1 934, ripartizione e distribuzione delle competenze degli uffici del Ministero delle colonie; d.m. 15 giu. 1 934, modifica al n. VI dell'art. I del d.m. 30 mar. 1 934, relativo alla ripartizione e competenze degli uffici del Ministero; r.d. 21 gen. 1935, n. 1 15, ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali; d.m. 21 mar. 1935, distribuzione dei diversi servizi tra gli uffici o


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mente quest'ultima. Al contrario, tra innumerevoli pol�miche1 esso vede la sua origine senza forme di specialità rispetto alle altre ammini­ strazioni dello Stato, indipendentemente, se non in contrast� , . con l'esistente, senza attingere al personale coloniale, che anzi viene emar­ ginato 12• Per vari mesi la nuova struttura ministeriale coesiste con la Direzione centrale degli affari coloniali che continua a svolgere la propria attività con proprio protocollo e proprio archivio presso il Ministero degli affari esteri fino al novembre del 1 91 3. Sempre presso il Ministero degli affari esteri, a seguito dell'emanazione del r.d. 20 nov. 1 9 1 2, n. 1205, che istituisce il Ministero delle colonie, l'o.d.s. 5 dic. 1912 aggiunge alla divisione III una sezione, la IV, con compe­ tenza sulle pratiche relative alla politica coloniale. Allo stato delle fonti è estremamente difficile individuare sia la struttura del Ministero realmente esistente e funzionante negli anni 1 912-1 91413, sia la ripartizione di competenze tra Direzione centrale degli affari coloniali ed uffici del neonato dicastero 1 4•

I sondaggi effettuati sulle carte permettono per il periodo novembre 1912-novembre 1913 di individuare, oltre al Gabinetto con il dipen­ dente Ufficio cifra e telegrafico, tre uffici la cui competenza deve per altro aver subito variazioni 15• A partire dal novembre 1 9 1 3 il Ministero comprende, oltre al Gabinetto, da cui continua a dipendere l'Ufficio cifra e telegrafico, l'Ufficio affari politici, cui è aggregato Ufficio militare e al quale è preposto Giacomo Agnesa, l'Ufficio affari economici e generali, cui è aggregato l'Ufficio Marina, con a capo Pompeo Bodrero, l'Ufficio affari civili e lavori pubblici, guidato da Carlo Riverì e la Ragioneria. Il r.d. 5 marzo 1 9 1 4, n. 212 e il d.m. 9 marzo 1914 strutturano il Ministero in: Gabinetto del ministro da cui dipendono l'Ufficio tele­ grafico e cifra e l'Ufficio stampa ; Direzione generale degli affari politici e dei servizi relativi alla truppe coloniali su cinque uffici (due con competenza territoriale, militare, cartografico e traduzioni) ; Direzione generale degli affari economici, finanziari e del personale, su quattro uffici ; Direzione generale degli affari civili e delle opere pubbliche su cinque uffici ; Ragioneria. Il r.d. 23 ottobre 1 922, n. 1 51 7 e il successivo d.m. 26 ottobre 1 922 ristrutturano il Dicastero. Oltre al Gabinetto col dipendente Ufficio cifra viene posto alle dirette dipendenze del ministro l'Ufficio speciale di studi relativi all'espansione coloniale, informazioni, stampa e pro­ paganda. Vengono poi istituiti : due dire�ioni generali, entrambe su

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centrali del Ministero delle colonie; r.d. 3 feb. 1 936, n. 358, ripartizione degli uffici del Ministero delle colonie; r.d. 8 giu. 1936, n. 1348, ripartizione degli uffici del Ministero delle colonie; r.d. 12 nov. 1936, n. 2466, istituzione di una Consulta centrale e di Comitati locali per l'edilizia e l'urbanistica nell'Africa orientale italiana e nella Libia; r.d. 8 apr. 1937, n. 431, modificazione della denominazione del Ministero delle colonie in Ministero dell'Africa italiana; r.d. 1 luglio 1937, n. 1233, ripartizione in uffici del Ministero dell'Africa italiana; d.m. 1° luglio 1 937, suddivisione degli uffici e ripartizione degli affari e dei servizi del Ministero dell'Africa italiana; d.m. 11 aprile 1938, modifica alla ripartizione degli uffici del Ministero dell'Africa italiana; d.m. 22 novembre 1939, modifiche al d.m. 1° luglio 1937 sulla suddivisione degli uffici del Ministero dell'Africa italiana. 1 2 Sul dibattito che accompagna la nascita del Ministero delle colonie cfr. G. MELIS, Burocrazia e socialislllo nell'Italia liberale, Bologna, li Mulino, 1 980, pp. 1 39 sgg., che significati­ vamente intitola il capitolo dedicato alla vicenda : «Un'occasione perduta : la costituzione del Ministero delle colonie»; C. MARINUCCI, Gli organi. . . cit., pp. 51-55 ; T. CoLUMBANO, Il personale civile, ibid., pp. 265-275 ; MINISTERO DELLE coLONIE, Ordinammti della Libia (gennaio 1913-gennaio 1914), Roma, Bertero, 1914. Cfr., inoltre, le relazioni dello stesso G. Melis e di C. Ghisalberti. 1 3 I più volte citati lavori di Giglio e di Marinucci non fanno alcun cenno sulla organizzazione ministeriale precedente l'emanazione del r.d. 5 mar. 1 914, n. 212, riguardante la ripartizione del Ministero delle colonie in uffici centrali e del d.m. 9 mar. 1914 che stabilisce gli uffici nei quali vengono ripartite le Direzioni generali del Ministero delle colonie e le loro competenze. Anche la schedatura realizzata da F. Grispo nell'ambito della già ricordata ricerca dedicata all'amministrazione centrale dello Stato inizia dal 1914, a conferma delle difficoltà che si incontrano nel reperimento dei dati sulle strutture organizzatorie del Ministero delle colonie negli anni 1912-1914. 14 Secondo C. MARINUCCI, Gli organi. . cit., p. 55 alla Direzione centrale degli affari coloniali sarebbero rimaste affidate le questioni riguardanti l'Eritrea e la Somalia. Secondo C. GIGLIO, o

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Cenno ... cit., p. XXII, invece : «(. . .) la Direzione centrale continuò a sussistere per qualche tempo pur essendo stata svuotata della maggior parte delle sue competenze, cioè quelle amministrative, relative all'Eritrea e alla Somalia». Probabilmente nei fatti si verifica una situazione intermedia. Dalla documentazione non sembrerebbe essere presente né un immediato prosciugamento dell'attività della Direzione centrale né, a contrario, una sua esclusiva compe­ tenza sugli affari di Eritrea e Somalia. Ad esempio l'Ufficio III del Ministero tratta questioni telegrafiche relative a Eritrea e Somalia. Per altro verso Agnesa, direttore centrale degli affari coloniali, firma in qualche caso la corrispondenza dell'Ufficio I e dell'Ufficio III. 1 5 Si può forse ipotizzare (si tratta di affermazioni da prendere col più ampio beneficio di inventario) che le competenze dei tre uffici, individuati e indicati nelle intestazioni e nella corrispondenza con numeri romani, siano state rispettivamente : affari politici, guerra e affari civili. Almeno in una primissima fase il gabinetto sembrerebbe essersi occupato del personale e dei problemi contabili.


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tre uffici : una per le colonie dell'Africa settentrionale e . una per le colonie dell'Africa orientale, e una serie di uffici comuni alle direzioni generali : Ufficio militare, Ufficio marina, Ufficio trasporti, U.fficio traduzioni, Ufficio scuole e servizi archeologici, Ufficio per i servizi postali ed elettrici, Biblioteca, Ufficio economato e cassa ; la Ragioneria chiude l'organigramma ministeriale. Un nuovo riordinamento generale dell'amministrazione viene realiz- . zato col r.d. 1 5 ottobre 1 925, n. 1 882 e col successivo d.m. 1 4 novembre 1 925 che, oltre al Gabinetto del ministro con i dipendenti Ufficio stampa e Ufficio cifra, nonché un Ufficio del personale alle dirette dipendenze del ministro, prevedono una Direzione generale degli affari politici ed amministrativi su sette uffici, una Direzione generale degli affari economici e finanziari su cinque uffici, ed infine l'Agenzia generale delle colonie su due reparti. A breve distanza di tempo il r.d. 1 8 novembre 1 926, n. 1 941 e il successivo d.m. 23 novembre 1926 ripartiscono il Ministero in : a) Gabinetto, con i dipendenti Servizio delle onorificenze e Ufficio cifra, b) Ufficio personale e Ufficio militare, entrambi alla diretta dipendenza del ministro, c) Segretariato generale, su un unico ufficio, d) Direzione generale per le colonie dell'Africa settentrionale, su tre uffici, e) Dire­ zione generale per le colonie dell'Africa orientale, su tre uffici, f) Ufficio speciale di studi relativi all'espansione coloniale, informazioni, stampa e propaganda, g) quattro uffici comuni alle due direzioni generali : Ufficio Marina, Ufficio ferrovie, Ufficio scuole ed archeologia, Ufficio servizi postali ed elettrici, h) Ragioneria. Il r.d. 31 maggio 1 928, n. 1405 e il successivo d.m. 30 luglio 1 928 provvedono ancora una volta ad una riorganizzazione del dica­ stero. Dal Gabinetto dipendono i servizi delle onorificenze e leggi e decreti. Il Segretariato generale è abolito con l'istituzione, in suo luogo, di un Ispettorato generale. Le due direzioni generali territo­ riali e l'Ufficio studi rimangono sostanzialmente invariati, mentre vengono resi autonomi l'Ufficio cifra, l'Ufficio del personale e l'Uf­ ficio militare e comuni alle direzioni generali e all'Ufficio del perso­ nale : l'Ufficio Marina mercantile, l'Ufficio scuole e archeologia, l'Ufficio servizi postali ed elettrici, l'Ispettorato delle opere pubbli­ che, l'Ufficio trasporti. La Ragioneria completa il quadro delle unità ministeriali.

Una riforma parziale, ma meritevole di segnalazione, è l'istituzione con d.m. 1 5 marzo 1 930 dell'Ufficio del segretario generale a disposi­ zione, alle cui dipendenze vengono posti l'Ufficio del personale, l'Ufficio studi e propaganda coloniale e l'Ufficio affari generali, quest'ultimo di nuova istituzione. Correlativamente viene abolito l'Ispettorato generale. Il r.d. 13 marzo 1 934, n. 457 e il successivo d.m. 30 marzo 1934 disegnano per l'ennesima volta una nuova organizzazione ministeriale. Il Gabinetto è affiancato da tre direzioni generali : per le colonie dell'Africa settentrionale, per le colonie dell'Africa orientale, degli affari generali, degli studi e della propaganda, tutte e tre su tre uffici. Permangono cinque uffici comuni alle direzioni generali territoriali, cui si affiancano l'Ufficio personale, a sua volta articolato in due uffici, l'Ufficio legislativo e l'Ufficio militare. Con r.d. 21 gennaio 1 935, n. 1 1 5 viene istituita la Direzione generale degli affari generali, della colonizzazione, degli studi e della propaganda su quattro uffici e, a seguito dell'emanazione del r.d. 8 giugno 1 936, n. 1 348, l'Ufficio personale diviene Direzione generale del personale. Il r. d. 1 o luglio 1937, n. 1233, integrato da una serie di successivi decreti ministeriali, suddivide il Ministero dell'Africa italiana (nuova denomina­ zione del dicastero a seguito dell'emanazione del r.d. 8 apr. 1937, n. 431) in : Gabinetto del ministro ; Segreteria particolare del ministro ; Segreteria del Consiglio superiore coloniale; Segreteria delle consulte tecnico-corpo­ rative ; Ufficio legislativo ; Direzione generale degli affari politici, su due direzioni; Direziorl:e generale degli affari civili su due direzioni e tre ispettorati ; Direzione generale degli affari economici e finanziari, su quattro direzioni e quattro ispettorati; Direzione generale degli affari della colonizzazione e del lavoro, su due direzioni ed un ispettorato ; Direzione generale del personale e degli affari generali, su cinque direzioni ; Comando generale del corpo di polizia coloniale su quattro uffici ; Ufficio militare, su cinque sezioni; Ufficio studi, su quattro uffici 1 6• Fino all'armistizio la struttura ministeriale subisce variazioni sostan­ zialmente modeste. Dopo 1'8 settembre opera a Brindisi, a Lecce e poi,

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1 6 Sulla istituzione del Ministero dell'Africa italiana cfr. R. MEREGAZzr, Lineamenti della legislazione per l'Impero, in « Gli Annali dell'Africa Italiana», II (1939), 3, pp. 3-160, in particolare, pp. 20-24.


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dal 4 febbraio 1 944, a Salerno un gruppetto di funzion�ri coìoniali alle dipendenze del Ministero dell'interno, mentre la RSI crea un'am­ ministrazione coloniale dispersa in varie sedi alle dipenden�e . della Presidenza del consiglio 17• Nel periodo postbellico il Ministero dell'Africa italiana, che vive in maniera significativa la vicenda dell'epurazione, viene ricostituito e ri­ strutturato, sembrerebbe senza l'emanazione di provvedimenti formali. Grosso modo negli anni successivi al conflitto esso si articola in : Gabinetto, che esercita anche le funzioni della Direzione generale degli affari politici fino al 1 947, anno in cui quella unità viene ricostituita con la denominazione di Direzione generale degli affari politici e studi e alle cui dipendenze si trovano l'Ufficio stampa e l'Ufficio legislativo ; Direzione generale degli affari civili articolata in due direzioni e tre ispettorati ; Direzione generale degli affari economici e finanziari e della colonizzazione e del lavoro su tre direzioni e cinque ispettorati; Ufficio assistenza e danni di guerra, istituito il 20 luglio 1 945, posto alle dipendenze di un direttore generale e articolato su tre divisioni, un ufficio tecnico e un ufficio contabilità; Direzione generale del personale e degli affari generali su quattro direzioni ; Ufficio studi su quattro uffici ; alcuni uffici stralcio in particolare destinati a gestire le pratiche dell'Ufficio militare e dell'Ispettorato generale PAI prebellici 1 8. La già ricordata legge 29 aprile 1 953, n. 430 di soppressione del MAI, stabilisce la ripartizione tra varie amministrazioni dello Stato delle competenze di cui esso è ancora titolare. In particolare succedono nelle attribuzioni del MAI, oltre al Mini­ stero degli affari esteri, il Ministero dell'interno 19, il Ministero delle

finanze 20, il Ministero del tesoro 21 e il Ministero della difesa 22• In conseguenza della soppressione viene creato un Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana, posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri 23• L'Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana, che avrebbe dovuto esaurire i propri compiti in un anno, viene proro­ gato una prima volta per sei mesi con l. 9 luglio 1 954, n. 431 e per l'ultima volta fino al 30 giugno 1 955 con l. 1 2 febbraio 1 955, n. 40. Inoltre con d.p.r. 30 dicembre 1954, n. 1 41 4 vengono trasferite al MAE le attribuzioni relative alla pubblicazione della documentazione sull'opera del governo italiano in Africa e la sede del relativo comitato e l'amministrazione temporanea dei servizi e dei beni d'interesse scien-

1 7 L'amministrazione coloniale al Sud riacquista una sua autonomia con l'assunzione dell'interi!IJ da parte del presidente del consiglio appunto dal 4 febbraio 1944. Il Ministero dell'Africa italiana viene riattivato a Roma dopo il trasferimento del governo il 15 luglio del 1944, utilizzando i funzionari del gruppetto di Salerno e un nucleo di funzionari rimasti nella capitale fino al 4 giugno 1 944. 18 Cfr. C. MARINucci, Gli organi. cit., pp. 1 95-207. 1 9 Al Ministero dell'interno vengono trasferite : le attribuzioni in materia di assistenza, nel territorio nazionale, ai profughi ed ai nativi della Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia; le attribuzioni concernenti l'estensione ai profughi dell'Africa italiana dei benefici previsti per i reduci; le attribuzioni relative alla soppressa P.A.I. ..

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20 Al Ministero delle finanze vengono trasferiti i servizi e l'azienda relativi al monopolio statale delle banane. 21 Al Ministero del tesoro vengono trasferite : le attribuzioni in materia di risarcimento dei danni di guerra nei territori già di sovranità italiana in Africa; le attribuzioni inerenti alla liquidazione delle passate gestioni, attive e passive dei governi coloniali, nonché quelle inerenti alla resa dei conti e alla revisione dei conti arretrati. Al Commissariato per la sistemazione e liquidazione dei contratti di guerra sempre presso il Ministero del tesoro : le attribuzioni inerenti alla liquidazione delle spese facenti carico alle passate gestioni dei governi coloniali per forniture, requisizioni, lavori pubblici e prestazioni varie, nonché al rimborso delle spese a carattere assistenziale sostenute in Africa orientale e le attività della Commissione per la concessione di acconti ai danneggiati di guerra. 22 Al Ministero della difesa vengono trasferite : le attribuzioni concernenti, a qualsiasi titolo, il personale militare e militarizzato, fatta eccezione per gli impiegati civili dello Stato militarizzati, già in servizio o di stanza nei territori di sovranità italiana in Africa o ancora in servizio nei territori della Libia e dell'Eritrea; il Servizio stralcio militare. 23 L'art. 6 della legge di soppressione recita : «Per l'attuazione di quanto disposto nei precedenti articoli, per l'amministrazione del personale e per l'espletamento degli altri compiti previsti dalla presente legge, è istituito, alla dipendenza della Presidenza del consiglio dei ministri, per la durata di non oltre un anno dall'entrata in vigore della legge stessa, un Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana, diretto da un funzionario di grado non inferiore al 4fa di detta amministrazione, da designarsi con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, coadiuvato dal numero minimo indispensabile di dipendenti di ogni gruppo, grado e categoria, da determinarsi con lo stesso decreto. Nelle materie di competenza dell'ufficio di cui al precedente comma, e tranne che con la presente legge non sia diversamente disposto, le attribuzioni ed i poteri spettanti, in base agli ordinamenti vigenti, al ministro per l'Africa italiana sono devoluti al presidente del consiglio dei ministri, il quale potrà delegarli, in tutto od in parte, ad un sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio dei ministri. Per i servizi di ragioneria del predetto ufficio il Ministero del tesoro provvederà con un ufficio di ragioneria avente le stesse attribuzioni delle ragionerie centrali».


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tifico e culturale e al Ministero del tesoro i servizi pensi?nistici e la trattazione delle pratiche del personale di ruolo e non di ruolo a qual­ siasi titolo cessato ; la liquidazione, l'ordinamento e il pagamento delle competenze spettanti al personale per i servizi prestati in Africa ; l'amministrazione dei beni e dei valori restituiti dai custodi dei beni ex nemici ed ogni altra competenza a carattere di stralcio dell'Ufficio. La inevitabilmente tediosa, se pur sommaria, esposizione che precede costituisce l'indispensabile premessa per delineare, sia pure in via di primissima approssimazione, la vicenda degli archivi prodotti dall'am­ ministrazione coloniale e in parte oggi presenti presso l'Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri. Alla luce di quanto sopra esposto, il primo problema che occorre affrontare è quello dell'individuazione della documentazione «coloniale» prodotta dal Ministero degli affari esteri. Se la vicenda delle unità chiamate a gestire l'attività coloniale presso il Ministero degli affari esteri è, come si è visto, piuttosto articolata e complessa, abbastanza semplice è per contro l'organizzazione degli archivi. Per questi ultimi uno spartiacque è segnato dalle riforme crispine del 1 887-88. Fino ad allora, infatti, le carte coloniali seguono la struttura dell'archivio della Divisione politica che le produce. I documenti obbediscono ad una partizione per paesi o aree geografiche. All'interno di dette partizioni sono presenti un protocollo della corrispondenza, un copialettere della corrispondenza spedita e una raccolta cronologica della corrispondenza ricevuta. Mentre i copialettere e i protocolli sono rimasti al loro posto negli archivi della divisione politica 24, la corrispondenza in arrivo, quasi certamente richia-

mata dall'Ufficio coloniale, forse già in epoca crispina, ha seguito la sorte dell'archivio della Direzione centrale degli affari coloniali di cui ci si occuperà immediatamente in appresso e si trova oggi dispersa nei fascicoli dell'ASMAI fatta eccezione per un ridottissimo numero di rapporti 25• Per il periodo successivo alle numerose variazioni nella struttura e nel livello dell'ufficio gestore dell'attività coloniale corrisponde, almeno a quanto è dato di rilevare dalle carte, sostanzialmente un unico archivio, strutturato in maniera abbastanza semplice e costante nel tempo. Infatti, abolito il sistema dei copialettere, l'archivio, che i vari uffici si trasmettono, sembrerebbe senza soluzione di continuità, è strutturato secondo una serie di posizioni, precedute nei primi anni dalla sigla MR (mar Rosso), progressivamente numerate fino ad una cifra sicuramente superiore al 500 e con alcuni bis. Questa documen­ tazione costituisce l'archivio della Direzione centrale degli affari colo­ niali al momento in cui essa, a seguito dell'istituzione del Ministero delle colonie, cessa di funzionare e viene trasferita al nuovo dicastero seguendo un duplice binario 26• Le pratiche in trattazione vengono ovviamente assegnate agli uffici competenti ; la gran parte dell'archivio invece, da ritenersi esaurito, viene quasi certamente alla fine del 1 9 1 3 e probabilmente, per iniziativa d i Agnesa, aggregato, senza confondersi con esso, all'archivio dell'Ufficio affari politici e poi, nel 1 914, a quello della nuova Direzione generale degli affari politici 27• Oggi queste carte

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25 Cfr. nota 24. 26

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ASDMAE, Ministero affari esteri, 1861- 1887, serie terza, Divisione <<politica>>, 1 867-1888 : Registri di protocollo : A bissinia e Scioa, nn. 912-913 (1882 apr. 27 - 1 888 gen. 27). Africa orientale, n. 914 (1885 gen. 19 - 1988 gen. 1 8). Registri di copialettere: A bissinia e Scioa, n. 1097 (1 882 apr. 27 - 1 888 gen. 13). Assab,_ nn. 1 1 04-1 106 (1880 ago. 1 4 - 1 885 mag. 17). Mar Rosso, nn. 1 1 82-1187 (1885 mag. 17 - 1 888 feb. 1). Rapporti in arrivo : Africa orientale, b. 1 243 (1887 mar. 12 - set. 28). In realtà si tratta di soli quattro rapporti. Ovviamente quello sopra elencato non è tutto il carteggio del Ministero in materia coloniale, ma solo quello della Divisione politica.

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I provvedimenti organizzativi del Ministero degli affari esteri emanati da Tittoni (r.d. 9 apr. 1908, n. 241) e da di San Giuliano (r.d. 1° ago. 1 910, n. 607) prevedono tra le competenze dell'Ufficio II della Direzione centrale degli affari coloniali il protocollo e l'archivio coloniale. Per altro già dell'ordinamento del 1 896 tra le competenze dell'Ufficio coloniale compaiono esplicitamente protocollo e archivio dell'ufficio. 27 Un opuscolo privo di data, ma riferibile al 1 941, dovuto al gen. Cesare Cesari, su cui si avrà occasione di ritornare, riferendosi alle «raccolte documentarie» dell'Ufficio storico del MAI, afferma che «il merito della costituzione della prima raccolta spetta a Giacomo Agnesa, che nel suo modesto Ufficio coloniale, allora presso il Ministero degli esteri, attese con mirabile cura a creare il primo nucleo di quell'archivio che fu chiamato " dell'Africa e dei protettorati". Sulle sue tracce e per successivi aumenti di carteggio si è sviluppato l'attuale Ufficio storico che, oltre ai carteggi delle vecchie colonie, ha riunito e sistemato una vastissima documentazione politica e diplomatica che si estende anche a colonie estere, a trattati, a convenzioni, a corrispondenze ufficiali e private inerenti a tutta l'attività coloniale italiana, dalle sue origini ai giorni nostri».


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sono egualmente disperse nei fascicoli dell'ASMAI e talora della rlliscel­ lanea nota come «Africa 3». Assai raramente la situazione attuale d­ . specchia quella originaria, come pure assolutamente episodica, o mttglio fortuita, è la presenza di fascicolazioni originali. Non sono pervenuti fmo a noi né i registri di protocollo, né le rubriche o gli schedari che certamente corredavano l'archivio. Non si è comunque probabilmente lontani dal vero affermando che, almeno al momento della soppressione del Ministero dell'Africa italiana, l'archivio della Direzione centrale degli affari coloniali era conservato in maniera pressoché totale28• Come già si è avuto modo di ricordare non è stato possibile rinve­ nire disposizioni di qualunque tipo o livello sull'organizzazione archi­ vistica e sulla tenuta degli archivi del Ministero delle colonie. Per altro alcuni sondaggi sulle carte consentono di affermare che fin dai primi documenti appare operativa una registrazione generale. Per altro verso le annotazioni che compaiono sui documenti precedenti all'isti­ tuzione delle direzioni generali fanno ritenere probabile che ciascuno dei tre uffici abbia un proprio criterio di organizzazione delle carte o, in altre parole, che ciascuno dei tre uffici abbia un proprio archivio separato. Una propria individualità hanno fin dall'inizio gli archivi di gabinetto che dispongono di un proprio titolario e sono sostanzial­ mente articolati in archivio ordinario e segreto. In prosieguo sembra potersi affermare che siano esistiti archivi a livello di Direzione generale, cioè che ogni Direzione generale abbia avuto un proprio archivio con proprio titolario. Analogamente do­ vrebbero aver avuto propri archivi gli uffici « comuni» a più direzioni generali. Per altro sono certamente esistiti archivi corrispondenti ad unità minori o a determinate attività specialistiche, come nel caso del Servizio leggi e decreti, della Cancelleria dell'ordine coloniale della stella d'Italia o della Sezione cartografica o dell'Ufficio statistica. Anche

uffici talora autonomi, talora incardinati in unità superiori, quale l'Ufficio militare o l'Ufficio Marina, sembrerebbero fin dalle origini aver organizzato autonomamente la propria documentazione. Per quan­ to riguarda l'archivio generale di deposito, esistente alla fine degli anni '20, l'unico riferimento reperito è quello che compare in un articoletto di R. Lefèvre che accenna a non meglio precisate « non felici vicissitudini a cui sembra che l'Archivio di deposito del Ministero dell'Africa italiana abbia soggiaciuto » 29• Su questo approssimativo panorama, nutrito quasi esclusivamente di ipotesi basate su sondaggi effettuati sulla documentazione, si inseri­ sce la vicenda dell'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana. Anche per quanto riguarda la costituzione dell'Archivio storico del Ministero delle colonie non è stato possibile rinvenire né un provve­ dimento formale di istituzione, né documentazione. Carlo Giglio, sulla base della constatazione, che per la verità egli stesso ritiene debole, che la conservazione dell'archivio storico « figura sempre tra le incom­ benze degli uffici o direzioni generali, che, nelle successive struttura­ zioni degli uffici del Ministero, presero il posto dell'Ufficio speciale (di studi, informazione, stampa e propaganda) del 1 922», avanza l'ipo­ tesi che i carteggi provenienti dal Ministero degli affari esteri, primo nucleo dell'archivio storico, siano stati, a seguito del riordinamento ministeriale del 1 922, consegnati all'Ufficio speciale e siano poi passati agli uffici successori di questo 30• Sostanzialmente sulla stessa linea sembrerebbe Anna Bozza, che afferma, inoltre, che gli archivi coloniali avrebbero avuto la peculia­ rità di una « selezione operata a monte dei versamenti, dal momento che parte dei documenti erano stati già separati all'origine da quelli amministrativi e archiviati come " storici " dall'Ufficio speciale di

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29 R. LEFÈVRE, Fonti per la storia coloniale : L'Archivio storico dell'Africa italiana, in « Rassegna storica del Risorgimento», XXVII (1940), 2, p. 174. Non è stato possibile rinvenire né notizie né una normativa eli qualsiasi livello disciplinante i versamenti dall'archivio di deposito, funzionante alla flne degli anni '20, all'Archivio storico e neppure notizie precise sugli stessi. L'impressione è che i versamenti avvenissero su sollecitazione dell'Ufficio studi e che abbiano riguardato nei primi anni, oltre all'archivio della Direzione centrale degli affari coloniali, prevalentemente carte politiche. 30 C. GIGLio, Cenno . . . cit., pp. XXVI-XXVII.

28 L'archivio della Direzione centrale degli affari coloniali comprendeva, ovviamente, solo

la documentazione da essa prodotta. Ad esempio non comprendeva, in linea di massima, documentazione concernente l'attività diplomatica relativa alla Libia e in particolare la preparazione della guerra italo-turca perché, salvo quanto riservatosi dal gabinetto, la tratta­ zione degli affari relativi è, in quel momento, competenza della divisione III della Direzione generale degli affari politici. Occorre quindi svolgere le ricerche nella serie politica «P», degli archivi del MAE, che contiene appunto la documentazione politica prodotta dal 1 &91 al 1916.

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studi, informazioni, stampa e propaganda (1 922) incaricato tra l'altro dei contatti col Ministero degli esteri sulle colonie e p ossedi):llenti stranieri» 31• Le affermazioni che precedono, prescindendo da altre consider�zioni, e pur nella difficoltà, nel silenzio delle fonti, di sostituire ad esse uno schema alternativo, non possono non muovere almeno una considera­ zione e cioè che nella previsione del r.d. 23 ottobre 1 922, n. 1 5 1 7 e del d.m. 2 6 ottobre 1 922 tra l e competenze dell'Ufficio speciale non compare quella dizione «raccolta e pubblicazione degli atti relativi alle colonie italiane» che sembra averle suggerite 32• Tale competenza viene assegnata al reistituito Ufficio speciale dal r.d. 1 8 novembre 1 926, n. 1 941 e dal d.m. 23 novembre 1 926, n. 3360. Nell'ordinamento del 1 91 4 la competenza « raccolta degli atti politici» è assegnata rispettiva­ mente per la Tripolitania e la Cirenaica all'Ufficio I e per l'Eritrea e la Somalia all'ufficio II della Direzione generale degli affari politici e dei servizi relativi alle truppe coloniali. Nell'ordinamento del '22 la com­ petenza non sembra apparire in specifico, mentre il d.m. 14 novembre 1 925 la attribuisce per tutte le colonie all'Ufficio del coordinamento politico della Direzione generale degli affari politici e amministrativi. L'Archivio stC?rico del Ministero delle colonie compare testimoniato per la prima volta nel 1928, per la verità in modo abbastanza singolare. Esso appare infatti nella tabella allegata ad un decreto di fissazione degli organici delle varie unità componenti il Ministero dove, accanto all'aliquota del personale d'ordine assegnato all'Ufficio studi, un'anno­ tazione a margine precisa che in detto personale è compreso quello occorrente per il Museo coloniale, l'Archivio storico e la Biblioteca 33. Un successivo provvedimento ricordato da Giglio34, pone l'Archivio storico tra le competenze dell'Ufficio II dell'Ufficio speciale di studi relativi all'espansione coloniale, informazioni, stampa e propaganda,

unità di cui l'Archivio storico farà parte in buona sostanza fino alla soppressione del Ministero35• Due brevi notazioni sembrano opportune in questo contesto : la nascita dell'Archivio storico non sembra aver suscitato alcuna particolare reazione da parte dell'amministrazione degli Archivi di Stato ; nonostante . proprio il decreto del '28 preveda una serie di cariche speciali scientifiche (direttore del Museo coloniale, bibliotecario e vicebibliotecario) nessuna posizione analoga viene istituita per l'Archivio storico. Il d.m. 1 5 marzo 1 930 pone l'Archivio storico tra le competenze dell'Ufficio studi e propaganda coloniale, unità priva di ripartizioni interne e collocate alle dipendenze del segretario generale a disposizio­ ne. Con d.m. 1 o agosto 1 930 l'ufficio, che abbrevia la sua denomina­ zione in « studi e propaganda», viene a sua volta nuovamente suddiviso in due uffici, il secondo dei quali, comprendente l'Archivi� storico, ha competenze analoghe all'Ufficio II del 1 928. Il r.d. 13 marzo 1 934, n. 457 crea una Direzione generale degli affari generali, degli studi e della propaganda, che il d.m. 30 marzo 1 934 articola su tre uffici : Ufficio I - Affari generali; Ufficio II - Studi e propaganda coloniale ; Ufficio III - Museo coloniale. L'Archivio storico è inserito tra le competenze dell'Ufficio II36• Il d.m. 1 o luglio 1 937 recante la suddivisione degli uffici e riparti­ zione degli affari e dei servizi del Ministero dell'Africa italiana prevede un Ufficio studi suddiviso a sua volta in quattro uffici, il secondo dei quali, denominato « storico », presenta le seguenti competenze : « Ar­ chivio storico. Revisione del materiale di archivio per la raccolta di documenti di interesse storico. Studi storici di carattere coloniale.

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31 A. Bozza, in Il mondo contemporaneo, Gli strumenti della ricerca- 1, Firenze, La Nuova Italia, 1982, pp. 38-39. 32 Competenze dell'ufficio sono : rapporti col Ministero degli esteri concernenti colonie e possedimenti stranieri; propaganda coloniale ; Museo coloniale; servizio cartografico; Istituto orientale di Napoli ; stampa. L'ufficio è soppresso con r.d. 15 ott. 1925, n. 1882. 33 D.m. 29 mar. 1928 emanato a seguito del r.d. 26 febbraio 1928, n. 355. 34 D.m. 30 lug. 1928. Cfr. C. GIGLIO, Cmno. . . cit., pp. XXVII-XXVIII.

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35 Le competenze dell'Ufficio II sono le seguenti : Museo coloniale ; esposizioni, mostre e fiere ; Archivio storico. Il fatto che l'Archivio storico non abbia una propria autonomia appare particolarmente indicativo di una concezione che lo vede totalmente funzionalizzato alle attività di promozione culturale e di propaganda. 36 Competenze dell'ufficio II sono : studi e monografie sulle colonie italiane; relazioni per il ministro e per gli istituti di cultura coloniale ; rassegna economica delle colonie; studi comparati di diritto positivo coloniale ; ufficio traduzione ; commissione di arte e edilità; servizio stampa; esame della stampa italiana ed estera nei riguardi della politica coloniale; informazioni a giornali e agenzie italiane ed estere; congressi ; ufficio cartografico; toponoma­ stica dei territori coloniali; Archivio storico ; Biblioteca; Bollettino della stampa coloniale ; propaganda coloniale (d.m. 30 mar. 1934).


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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

Affari relativi agli archivi storici dei governi coloniali» 37_. Si tratta di una strutturazione e di competenze destinate sostanzialmente a permanere fino alla soppressione del Ministero 38• Una breve pubblicazione dal titolo L'A rchivio storico e la sua docu­ mentazione, dovuta al generale Cesare Cesari, capo dell'Ufficio storico, priva di data, ma redatta nel 1940, fornisce una serie di notizie sul materiale conservato e sugli interventi su di esso effettuati 39• Il Cesari, . pur senza affermarlo esplicitamente, intende dare l'idea che la costitu­ zione dell'archivio e il riordinamento delle carte siano avvenuti durante la sua direzione dell'Ufficio storico (1 937-1 940) ; in realtà l'intervento di riordinamento era in corso con certezza nel 1 935 e può farsi risalire con ragionevole probabilità almeno al 1 933 40•

Il riordinamento cui si riferisce il Cesari rappresenta in effetti un'o­ perazione assai infelice e segna l'origine dei molti problemi che cir­ condano gli archivi dell'Africa italiana, archivi che, è bene dirlo, dovevano in genere presentarsi, a quanto è dato oggi di rilevare, piuttosto organici e bene ordinati 41 • Le carte, versate all'Archivio storico, vengono infatti rifuse in un unico complesso senza alcun

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37 Interessante appare il riferimento agli archivi storici coloniali sulla reale esistenza e funzionamento dei quali non si sono rinvenuti dati. 38 Nel periodo prebellico l'Archivio storico ha sede a palazzo del Grillo. . 39 L'Archivio storico e la sua docu!JJentazione, a cura di C. CEsARI, Roma, Ministero dell'Afnca italiana, Ufficio studi, (1940). Cesare Cesari nasce a Modena il 28 marzo 1 870; laureato in giurisprudenza, autore di una vasta pubblicistica in materia st�rica e colonia!� per l� quale nel 1 931 viene premiato dall'Accademia d'Italia, consegue la libera docenza m stona delle colonie all'Università di Roma e insegna legislazione e storia all'Accademia militare di Modena ; militare di carriera, raggiunge il grado di generale di brigata, venendo tra l'altro preposto all'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'esercito; consigliere e segretario generale dell'Isti­ tuto coloniale, nel 1937 viene nominato capo dell'Ufficio II, storico dell'Ufficio studi del

Ministero dell'Africa italiana. 40 Il fatto che il riordinamento dell'archivio sia in corso nel 1 935 è deducibile da un appunto di un impiegato dell'archivio, Lucio Pisani, contenuto in ASDM�.E, A rchivio .storico del Ministero de/J'Afi·ica italiana, c.d. << Stpplemenfo;;, b. 2, fase. 1 «Documenti m consultazione», 29 marzo 1942. Per altro alcuni elementi estrinseci possono spostare indietro nel tempo l'inizio dei lavori di riordinamento. Infatti le cartelline che contengono i documenti facenti parte delle prime posizioni recano il millesimo di stampa 1 933, mentre un secondo, più car�ell� cospicuo, gruppo risulta stampato nel 1934. Ciò può far ipotizzare ordini success�vi collegati allo stato di avanzamento dei lavori. Inoltre o �corre osservare .che molti del fas:rco.li racchiusi nelle cartelline stampate nel 1933 recano all'mterno una fascrcolazwne provvrsona realizzata utilizzando pagine di registri stampati, questa volta, nel 1 927 e nel 1928. Questo fatto, pur in sé non significativo, giacché nulla impedisce che i formulari stampati nel 1 927 siano stati utilizzati molti anni dopo, non può per altro non far affacciare l'ipotesi che i lavori di riordinamento abbiano avuto inizio tra il 1928 e il 1933. Un'altra ipotesi che non può non farsi strada è che prima del 1928 non si sia assistito ad un esercizio di selezi�ne della documentazione e forse neppure di « raccolta di atti». Questo perché la documentazwne che presenta le fascicolazioni provvisorie realizzate con i formulari del 1927-28, poi racchiusa nelle cartelline stampate nel 1933, rarissimamente valica i primissimi anni del Ministero delle

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colonie. Non è quindi da escludere che solo intorno al 1928, quando cioè anche nella normativa si parla esplicitamente di Archivio storico, si sia cominciato a radunare presso l'Ufficio studi il più antico materiale archivistico presente presso gli uffici. 41 In senso cortesemente (o forse ironicamente) critico sull'intervento di riordinamento, cfr. R. LEFÈVRE, Fonti.. . cit., pp. 1 73-176. L'articoletto è, in buona parte, condotto sulla falsariga dell'opuscoletto del Cesari sopra ricordato. Il Lefèvre, se da un lato si esprime in termini positivi sugli strumenti realizzati, e in genere sull'archivio, nel ringraziare per i dati fornitigli la «paterna cortesia» del gen. Cesari, a cui esprime «la grata devozione dei giovani colonialisti italiani che sempre in lui hanno trovato un animatore instancabile e disinteressato», non rinuncia, per altro verso, a sottolineare l'antiarchivisticità dell'intervento di riordinamento delle carte coloniali. In particolare, riferendosi all'affermazione del Cesari secondo cui « quello che fino a tre anni addietro era stato, presso questo Dicastero, soltanto un archivio, è stato elevato a compiti e funzioni di più ampia portata ... », dopo un richiamo agli archivi storici militari, il Lefèvre scrive : « Si potrebbe discutere sui criteri che hanno presieduto alla formazione di tali archivi storici e tuttora presiedono alla loro attività, essi infatti non sono altro che raccolte di documenti di svariatissima provenienza, scelti e sistemati secondo schemi preordinati nella mente del raccoglitore; non sono cioè archivi nel senso stretto della parola, perché tali sono soltanto quei complessi di atti che si sono naturalmente formati come emanazione dell'attività di singoli enti, di cui pertanto conservano nella stessa loro classifica­ zione interna la fisionomia, e della cui vita sono la esatta espressione. E chi ha esperienza di ricerche storico-archivistiche può a ragione affermare che rompere e dissolvere questo naturale processo formativo degli archivi, per sostituirvi criteri che non possono che essere personali e contingenti, non gioverà agli studi storici : è come anatomizzare una creatura viva per farne pezzi da museo naturale. Né si obietti la necessità di conservare solo il materiale documentario di qualche importanza. È logico che un archivio di deposito si trasformerà in Archivio storico - per adoperare questa espressione non molto esatta - solo dopo un abbondante scarto che elimini il materiale amministrativo che apparirà sicuramente inutilizzabile, sia giuridicamente sia storicamente. Ma questo scarto si farà solo per categorie, per voci, non - come troppo spesso si fa - stralciando da una pratica, da un singolo fascicolo questo o quel documento che ha il solo pregio di apparire più o meno spettacolare». È interessante rilevare che un elenco dettagliato delle posizioni che il Lefèvre avrebbe voluto pubblicare in appendice al suo articolo sarebbe stato «riservato per ordine superiore ad altra occasione» e che l'opuscolo del Cesari, predisposto come si deduce da formato, caratteri e numerazione delle pagine (le pagine sono numerate 1261-1267) per la pubblicazione sugli Annali deii'Afi'ica Italiana, viene invece stralciato e reca sulla copertina l'indicazione «Riservato per uso d'ufficio». Queste strane marce indietro potrebbero far ipotizzare polemiche di un qualche spessore sull'ordinamento dato alle carte.


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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

riamente riguardo agli archivi di provenienza, anzi inserendo arbitra çhe mai, documenti, come le carte Nerazzini, Salimbeni o Antonelli, I fascicoli ovviamente, avevano fatto parte degli archivi del Ministero. ad un originali vengono smembrati per ricond urre i documenti Etiopia, ordinamento che prevede cinque grandi partizioni : Eritrea, ente Somalia, Libia, (queste quattro a loro volta suddivise prevalentem partizioni per aree geografiche) e Minis tero. All'interno di queste fatto di opera un ordinamento «per materia». Viene ovviamente e, oltre chiedersi quale filoso fia sia sottesa ad un intervento del gener cui sono tutto tale da richiedere un impegno notevole. La forma in da sug­ esposte le varie materie nell'o pusco lo del gen. Cesari è tale to venga gerire, almeno in chi scrive, l'impressione che il riordinamen infatti di attuato in vista di una qualche ipotesi editoriale. Sembra di una trovarsi davanti alla capitazione di un volume o ai titoli tte di collana42• La dott. ssa Ferrara, alla cui relazione ci si perme ati fornirinviare ha confermato che alcuni documenti da lei utilizz ' a quella sembr canto o scono più di un indizio in tal senso. D'altr te esposta un'ipo tesi sempre presente, anche se non esplicitamen per la espres sa, sia nell'Ufficio studi del MAI, sia nel Comitato del­ documentazione dell'attività italiana in Africa (che a succes sore ti­ l'Ufficio studi sempr e si atteggiò) e che, anzi, forse proprio nell'at vità del Comitato trova una parziale realizzazione 43•

Il �at�ri�le, �uddiviso come sopra illustrato, viene ripartito in . . « ?os1Z10ll1» md1v1duate da due numeri separati da barra, corrispondenti c1ascuna ad una busta 44• Al momento della redazione dell'opuscolo del Cesari l'archivio comprenderebbe complessivamente circa 6.000 fascicoli, . vale a dire poco più di metà dell'attuale consistenza 45. Nel 1 941 i lavori di riordinamento vengono sospesi a causa del richiamo alle armi di vari impiegati, e ciò pur essendo pervenuti all'Archivio storico numerosi fascicoli relativi al conflitto etiopico. Nel 1 943, dopo l'effettuazione di alcuni versamenti da parte del Gabi­ netto e della Direzione generale degli affari politici, in applicazione delle disposizioni sulla protezione dai bombardamenti aerei, l'Archivio storico viene trasferito in parte nei sotterranei di palazzo Colonna a Genazzano, in parte in quelli del Museo africano.

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Archivio storico. Raccogliendo tale materiale potrà il Ministero avviarsi a promuovere la pubblicazione di tutti i documenti riguardanti i rapporti tra l'Italia, l'Etiopia, la Libia (let�ere, memorie, relazioni, diarii, ecc.) : lavoro non ancora tentato in Italia, del quale a b1am� appena qualche pagina scritta, limitata a qualche paese e a qualche periodo. Una sistematica esploraZIOne di tutti gli archivi e di tutte le biblioteche d'Italia e dell'estero (s�ecialmente degli archivi di Milano, Venezia, Torino, Firenze, Genova, Napoli, Modena, tenna, Berlino e Parigi), riportando alla luce pagine ignorate di una storia gloriosa, _ ncostrmte direttamente sulle fonti, rappresenterebbe il più grande monumento innalzato da la patria al genio all'ardimento e alla perseveranza di quegli italiani che dell'Africa, per . pnm1, fecero la terra del loro avvenire e delle loro speranze. E il corpus monumentale non avrebbe nulla da perdere di fronte alle pubblicazioni estere del Grandmaison del Kammerer ; del La Roncière, Del Rohricht, del Tafel, del Thomas, del Mas-Latrie, dell Heyd, dell'Hat� zfel , ecc., che finora hanno fatto testo anche per le fonti italiane. Una importante opera _ che Il Mm1stero ha approntato e sta ora portando a compimento si è giovata largamente dell'apporto documentario dell'Archivio storico : intendiamo riferirei ai due volumi coloniali della Encicl�pedia biografico-bibliografica italiana che si pubblica a Milano sotto l'alto patronato del u�e. S1 �r� tta complessivamente di circa 3.000 biografie di esploratori, pionieri, soldati, . uom1ru poht!cl, che hanno illustrato il nome italiano in Africa, dal sec. XII ad oggi. L'opera sarà intitolata Precursori pionieri e coJJJbattenti italiani d'Africa». 44 In realtà il sistema escogitato è più complesso. Ogni voce geografica è suddivisa in «argomenti», a ciascuno dei quali è attribuito un numero. Ogni argomento è a sua volta suddiviso in posizioni (cioè in buste), numerate progressivamente. All'interno di ogni «argo­ mento» sono numerati progressivamente i singoli fascicoli. In concreto, ad esempio, la segnatura 1f12 Ìndica la dodicesima busta del primo «argomento». 45 In realtà il calcolo del Cesari pecca per difetto, probabilmente perché i lavori al momento della stampa dell'opuscolo sono ancora in corso. Un confronto approssimativo tra le suddivi­ sioni elencate dal Cesari e quelle oggi esistenti porterebbe ad aggiungere quasi un migliaio di fascicoli.

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42 A chiarimento di quanto affermato si riportano ad esempio le rubriche delle suddivisioni

relative ad Assab : «Gli accordi col sultano di Raheita e le opposizioni dell'Inghilterra; La spedizione Giulietti-Biglieri e le conseguenti inchieste ; Gli accordi con l'Egitto per la località di Beilul ; La spedizione Cavanna e le missioni Antonelli e Bianchi nello Scioa; Progetti di società commerciali ; Eccidio della spedizione Bianchi ; Missione Pittaluga ed eventuali opera­ zioni nell'Aussa; Questioni inerenti ad una colonia penale». 43 Una relazione probabilmente della tarda primavera del '43, certo non scevra di ambizioni, si riferisce all'Ufficio II (storico) in questi termini: « Presiede all'Archivio storico del Ministero e ne promuove il completamento e la progressiva utilizzazione. Il piano che il Ministero si è proposto per ampliare la sfera di azione di tale Archivio è di vaste proporzioni. Questo dovrebbe divenire, col tempo, il palladio della storia coloniale italiana : dovrebbe cioè raccogliere ed accentrare l'enorme quantità di materiale documentario di tutte le nostre vicende africane che si trova sparso nelle biblioteche, negli archivi, nei musei del regno, e più ancora in raccolte private e archivi familiari. Sino ad ora il Ministero ha individuato 36 grandi raccolte private di documenti africani e sta apparecchiandosi a promuoverne, con l'avvedutezza e delicatezza che sono necessarie, il deposito nel suo

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Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

Dopo 1'8 settembre il piccolo nucleo di funzionari che opera alle dipendenze del governo del Sud non ha, ovviamente, la disponibilità degli archivi, mentre gli uffici dell'Africa italiana della RSI trasportano nelle loro varie sedi al Nord (Pallanza, Intra, Verbania) gli archivi correnti e parte di quelli di deposito. Durante questo trasporto un carro ferroviario contenente 8.000 fascicoli dell'archivio del personale sarebbe stato agganciato erroneamente ad un treno diretto in Germania causando la perdita di quel materiale46. Solo il 1 5 maggio del 1 945, alcuni mesi dopo il rientro del governo a Roma, riprende l'attività dell'Ufficio II - storico dell'Ufficio studi, ovviamente tra difficoltà di ordine materiale di ogni genere47• Il 27 novembre dello stesso anno risulta completato il rientro del materiale trasportato a Genazzano e nel dicembre viene effettuato il ricupero della documentazione trasportata al Nord. In applicazione della circolare della Presidenza del consiglio n. 47145/10.100-5/1/12 dell'l i ottobre 1 945 viene nominata una commissione « per la ricognizione, revisione e defi­ nitiva destinazione degli archivi del Ministero dell'Africa italiana, che vennero a suo tempo asportati nell'Italia settentrionale dallo pseudo governo fascista repubblicano»48• La commissione per altro sembra agire senza particolari contatti con l'Archivio storico, presso il quale alla fine del 1 946, dopo un faticoso lavoro di riscontro, il materiale risulta riordinato nella forma prebellica. In realtà il riordinamento dell'Archivio non si arresta al materiale presente nel 1 941 , ma prosegue con gli stessi criteri, tanto che alla fine del 1 948 sono stati aggiunti complessivamente 776 fascicoli tra le varie serie. Intanto, dal 1 947, risulta operante un servizio al pubblico49• Nel novembre del 1947 viene completato il

dattiloscritto dell'inventario dell'ASMAI, cui si aggiunge uno schedario dei nomi propri. Nel maggio 1 948 viene ricostruito il c.d. «Archivio documentario» 50• Altri lavori compiuti dall'Archivio sul declinare degli anni '40 sono : l'ordinamento e inventariazione del materiale ricuperato al Nord e dell'Archivio dell'Ufficio studi al Nord, nonché due «indici guida» del materiale fotografico e di quello cartografico s1• Da degli «specchi di consistenza» redatti da Mario Gazzini nel 1 964 si apprende inoltre che l'Archivio storico svolge nell'ultimo periodo della sua esi­ stenza un'intensa attività di ricupero e di acquisizione di fondi. Nei sotterranei della Consulta viene rinvenuto il fondo Volpi e presso la biblioteca del MAI un'altra ventina di pacchi di documenti. Ben più rilevanti sono il rientro dell'Archivio Eritrea e l'acquisizione degli Archivi di gabinetto, nonché versamenti da parte della Direzione gene­ rale degli affari politici e di quella degli affari economici e finanziari. Davanti all'ipotesi sempre più probabile di una soppressione del Ministero dell'Africa italiana, di fronte all'ineluttabilità di una perdita delle colonie, negli ambienti della burocrazia coloniale si fa strada, sotto la spinta di motivazioni di diverso genere, l'idea di tentare di mantenere un centro di aggregazione degli ambienti che avevano ruotato attorno all'Ufficio studi del MAI. Il sottosegretario Brusasca 52, che nel settimo

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46 Sulle vicende degli archivi durante il periodo bellico cfr. E. GENCARELLI, Gli archivi italiani durante la seconda guerra mondiale, Roma, UCBA, 1979 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 50). 47 L'Archivio storico viene accumulato in due stanze al sesto piano del palazzo della Consulta. Nell'immediato periodo postbellico l'archivio viene affidato all'opera appassionata di Mario Gazzini. 48 La commissione è composta da due funzionari del MAI, il presidente Eriberto Allam­ prese e il segretario Francesco Saverio Romanini, da Ottorino Montenovesi, direttore del­ l'Archivio di Stato in Roma e da Angelo Iacobucci, rappresentante dell'Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo. 49 Consultazioni si erano avute per la verità già nell'immediatissimo dopoguerra, ma quasi esclusivamente ad opera di funzionari di varie amministrazioni.

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50 Si tratta in realtà di una raccolta di oltre ventimila ritagli stampa. 51 Le notizie sono tratte da una ponderosa relazione (134 cartelle) su l'Ufficio studi dalla data

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di ricostituzione del Ministero ad oggi, a firma del direttore generale del personale Mareno, ma probabilmente redatta dal capo dell'Ufficio studi Scaglione, indirizzata al Gabinetto del ministero il 24 marzo 1950. La relazione è conservata in ASDMAE, Ufficio studi MAI, b. 9, fase. 57. 52 Giuseppe Brusasca nasce a Cantavenna Monferrato (AL) il 30 agosto "1900. Sottotenente di artiglieria nel 1919, si laurea in giurisprudenza e in scienze economiche e sociali. Giovanis­ simo si dedica alla vita politica; dal 1920 al 1923 è vicepresidente regionale piemontese e consigliere nazionale della Gioventù cattolica italiana, nonché segretario della sezione di Casale Monferrato e membro del comitato provinciale di Alessandria del partito popolare. Nel 1 923 è segretario della commissione di politica estera del congresso del partito popolare tenutosi a Torino ; direttore del settimanale « Il domani» di Casale, dal 1923 al 1925 è consi­ gliere comunale di Casale Monferrato. Avvocato, durante il fascismo è costretto a trasferirsi a Milano dove partecipa con Granchi, Meda, !acini, Malvestiti e Clerici all'azione clandestina che prepara l'organizzazione della DC. Nel 1942 inizia l'organizzazione della DC in provincia di Alessandria. Membro del comitato esecutivo dell'alta Italia della DC è designato vicepresi­ dente del CLN Alta Italia ; per mandato di quest'ultimo instaura trattative col commissario della Croce rossa italiana per la RSI Pagnozzi per la resa di Mussolini. Nel giugno 1945 è con Rodolfo Morandi a capo della delegazione dei CL Alta italia per la formazione del


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governo De Gasperi ha in sostanza il ruolo di liquidatore del MAI, se ne fa portatore promuovendo l'emanazione del decreto intèrminis�eriale 1 1 gennaio 1952, che istituisce presso il Ministero dell'Africa italian.a un comitato « per curare la pubblicazione di un'opera documentaria con cui illustrare l'attività svolta dal governo nei territori africani già sotto­ posti alla sovranità dell'Italia» 53• Tale comitato, presieduto da Francesco

Saverio Caroselli 54 e posto sotto la presidenza onoraria del Brusasca, composto in massima parte di funzionari o ex funzionari coloniali, è destinato a giocare un ruolo rilevante nella vicenda degli archivi dell'Africa italiana, in quanto ottiene una immediata disponibilità della documentazione dell'Archivio storico e si atteggia e viene ritenuto successore dell'Ufficio studi. In primo luogo esso ha, quasi certamente, un peso decisivo nel far stabilire dalla legge 430 il passaggio della documentazione dall'ASMAI all'Archivio degli esteri. È abbastanza singolare che mentre l'amministrazione degli Archivi di Stato, che sta nello stesso periodo attivando l'ACS, ritiene pacifico il versamento delle carte a quell'Istituto, tale eventualità viene invece dai coloniali ritenuta una iattura da scongiurare a qualsiasi costo. Per altro il dettato della legge 29 aprile 1 953, n. 430, non trova immediata attuazione per quanto riguarda l'Archivio, che viene conse­ gnato a quello degli esteri formalmente nel 1 955 e fisicamente solo nel 1 959, dopo aver affrontato una mezza dozzina di trasferimenti di sede55• L'Archivio, quindi, rimane in pratica a disposizione del comi-

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governo Parri. È relatore sul problema istituzionale nel congresso nazionale dei CL tenuto a Milano nell'agosto 1945. Membro del Consiglio nazionale della DC dal 1945 al 1 957 è presidente dell'Amministrazione provinciale di Alessandria dal 1945 al 1948, consultore nazionale, membro della delegazione italiana alla conferenza della pace di Parigi e dal 1946 al 1 968 deputato, prima alla Costituente, poi al Parlamento per il collegio di Cuneo e in tale veste fa parte per tutto il periodo della commissione esteri. È sottosegretario all'Industria e commercio nel secondo gabinetto De Gasperi dal 13 luglio al 1 8 ottobre 1946, data in cui viene nominato sottosegretario di Stato agli affari esteri; sottosegretario all'aeronautica dal 1 4 febbraio a l 3 1 maggio 1947 nel terzo gabinetto De Gasperi ; ancora sottosegretario agli esteri dal 1 947 al 1 951 nel quarto e quinto gabinetto De Gasperi compie una serie di missioni nell'America centro meridionale e in estremo Oriente. Nel 1950 è capo della delegazione italiana che a Ginevra stipula con le Nazioni Unite il mandato fiduciario sulla Somalia, e di quella inviata presso l'ONU per la definizione dei rapporti con le altre ex colonie e nell'anno successivo di quella che rappresenta l'Italia alla prima conferenza panafricana sulla difesa dell'Africa di Nairobi, nonché della missione per il ristabilimento delle relazioni tra l'Italia e l'Etiopia. Dopo l'alluvione del 14 novembre 1951 coordina la ricostruzione del Polesine. Nel settimo governo De Gasperi è sottosegretario per l'Africa italiana. In tale qualità nella prima seduta del Comitato Africa viene acclamato presidente onorario dello stesso. Dal 1955 al 1957 è sottosegretario alla Presidenza del consiglio per lo spettacolo nel primo governo Segni. Nella terza legislatura presiede la commissione speciale per la legge su Napoli. Nel 1962 guida la delegazione italiana alla conferenza mondiale del caffè. Nel 1 965 è nominato presidente della commissione interparlamentare per la legge contro le frodi dei vini. Nel 1968 è eletto senatore, divenendo membro della commissione esteri di palazzo Madama. Negli anni successivi si occupa dei problemi dei pensionati e degli anziani divenendo presidente dell'or­ ganismo di settore della DC. 53 Nell'autunno del 1951 Brusasca contatta il Caroselli, proponendogli di assumere la presidenza dell'istituendo comitato. Caroselli elabora in breve un progetto operativo che individua i possibili membri e collaboratori del comitato, gli obiettivi, i tempi. Il progetto, approvato da Brusasca, viene immediatamente posto in esecuzione. Il 23 ottobre del 1951 Brusasca, nel corso di una conferenza, rende pubblica l'intenzione governativa di istituire il comitato e di promuovere la pubblicazione di una vasta opera di documentazione del periodo coloniale. Quasi contemporaneamente Carlo Giglio, in un articolo dal titolo Una proposta, apparso sui numeri 9-10 del 1951 del mensile «Affrica», lancia appunto la proposta di pubblicare i documenti custoditi dall'Ufficio storico del MAI. Secondo un appunto del responsabile dell'archivio storico, Gazzini, al presidente del comitato, Caroselli, datato 30 settembre 1964, già il 22 agosto del 1944 una nota del Ministero degli affari esteri avrebbe prospettato l'opportunità di una edizione dei documenti concernenti la politica e l'attività

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coloniale italiane. Cfr. ASDMAE, Co111itato per la documentazione dell'attività italiana in Africa, b. 1 7, fase. 2, Relazioni al presidente. 54 Caroselli è uno dei più tipici esponenti della burocrazia coloniale. Nato a Roma il 12 marzo 1 867 si laurea in giurisprudenza e, giovanissimo, entra in magistratura. Nel 1912 viene reclutato tra i funzionari coloniali. È segretario di Ferdinando Martini e poi capo del gabinetto del sottosegretario Foscari. Compie gran parte della sua carriera in Somalia, fatta eccezione per due brevi permanenze in Libia e in Eritrea . Nel 1935, segretario generale di governo, viene richiamato in Italia con incarichi speciali. IL 15 dicembre 1937 è nominato governatore della Somalia. L'l l giugno del 1 940 è richiamato in Italia con incarichi speciali conservando la titolarità della carica di governatore. Tra l'aprile 1942 e l'agosto 1 943 gestisce il rientro dei profughi dall'Africa orientale italiana compiendo sei volte il periplo dell'Africa. Dopo aver subito un procedimento di epurazione viene da Brusasca «ripescato» per la presidenza del comitato. Membro del consiglio di amministrazione dell'Istituto italiano per l'Africa, ne presiede la commissione di studio scientifico-culturale. Autore di vari scritti in materia coloniale, muore a Zagarolo il 30 dicembre 1967. 55 Oltre ai trasferimenti del periodo bellico ed immediatamente postbellico le carte dell'A­ SMA! subiscono ancora smembramenti e spostamenti, sempre effettuati in condizioni tutt'altro che ottimali. Nel 1954 esse vengono spostate al piano terra del palazzo della Consulta. Nel dicembre 1 956 vengono invece divise in due tronconi, il primo dei quali trova collocazione nella sede del comitato, in via Calamatta, 27, nel quartiere Prati. Il secondo viene trasportato nella sede provvisoria dell'Archivio storico del Ministero degli affari esteri, in via di Villa Ruffo, presso piazzale Flaminio. Nel giugno 1959 viene effettuato un trasferimento parziale da via di Villa Ruffo in alcuni locali siti in via Romagna. Nel novembre 1959 il materiale


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tato che, dopo essere passato per un breve periodo alle dipendenze della Presidenza del consiglio, trova la sua sede presso il Ministero degli affari esteri, a seguito dell'emanazione del d.p.r. 30 dic�mbre 1 954, n. 1414. Anche dopo la collocazione presso l'Archivio · storico del Ministero degli affari esteri e il successivo trasferimento alla Farnesina l'A SMAI continua a restare sostanzialmente a disposizione del comitato, che ne gestisce la consultazione e l'inventariazione, ma che soprattutto lo utilizza ai fini della realizzazione di una serie di pubblicazioni. La situazione ovviamente deve aver creato quantomeno del disagio nell'ambito dell'Archivio storico, responsabile di una do­ cumentazione di cui non ha spesso la materiale disponibilità e, co­ munque, il controllo. Ciò può in parte spiegare la posizione cortese, ma sostanzialmente negativa, assunta dal prof. Mori, direttore dell'Ar­ chivio storico, nei confronti delle ripetute pressioni provenienti dal comitato e in particolare dal Gazzini, per una acquisizione, magari di fatto, di altri fondi del soppresso Ministero. Per altro perfettamente corretto è il rilievo avanzato della mancanza di strumenti giuridici per procedere a tali acquisizioni 56• Del resto con decreto del Ministero del tesoro 1 o febbraio 1 958 viene nominata una commissione, presieduta da Mario Toscano, capo dell'Ufficio studi del Ministero degli affari esteri, con il compito « di esaminare gli atti esistenti nell'Archivio deposito del soppresso Ministero dell'Africa italiana e di stabilire quali dei suddetti atti debbano essere trasferiti alle Amministrazioni di cui all'art. 2 della legge 29 aprile 1 953, n. 430 e di cui al d.p.r. 30 dicembre 1 414 e quali dei suddetti atti debbano essere invece sottoposti all'esame

della commissione istituita ai sensi dell'art. 69 del regolamento sugli Archivi di Stato, approvato con r.d. 2 ottobre 1 9 1 1 , n. 1 1 63 » 57, commissione che, a quanto consta, non ritiene di assegnare documen­ tazione all'Archivio storico del Ministero degli affari esteri. Durante i lavori della commissione Mario Gazzini effettua una ricognizione della documentazione, sulla quale riferisce a Caroselli con una nota del 1 o ottobre 1 959 58• Il comitato, ora divenuto « per la documentazione dell'opera italiana in Africa», a partire dal 1 955 inizia la sua attività editoriale. Nel contesto delle ricerche necessarie per la redazione dei testi destinati alla pubblicazione, avviene una serie di estrazioni di documenti da utilizzare per i vari lavori (per altro meticolosamente registrate), ma di entità tale che finiscono per formare una grande miscellanea, ormai nota agli studiosi con la denominazione assai impropria di « Africa 3 »,

viene trasferito alla Farnesina, trovando solo parziale sistemazione nei depositi dell'Arçhivio storico, dove verrà totalmente allogato solo alla soppressione del comitato. Peraltro anche quest'ultimo trasferimento, avvenuto sotto la pressione della necessità di sgomberare ad horas le stanze del comitato, ha causato non poche nuove situazioni di disordine. 56 Sull'argomento cfr. in particolare ASDMAE, c.d. A SMAI, <rsupplnmnto>>, b. 1 1 , fase. 1, «Ricupero documenti Africa e precedenti in materia», 1 955-1962. In un appunto in data 17 ottobre 1955, indirizzato al direttore dell'Archivio storico e per conoscenza al presidente del comitato, Gazzini segnala una disponibilità dell'Ufficio stralcio del cessato Ministero dell'Africa italiana a trasferire agli esteri tutti i documenti di interesse storico. Nella stessa circostanza il Gazzini segnala l'esistenza nei sotterrenei della Consulta di una cinquantina di pacchi relativi ad opere pubbliche; di una cassa contenente progetti relativi ai lavori in Etiopia ; di due o trecento fascicoli giudiziari, nonché la presenza presso gli uffici di carteggi dell'Azienda autonoma della strada e relativi a beni ex nemici. Cfr. anche nota 58.

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57 Ibidem. Il decreto viene rinnovato in data 9 luglio 1959. La commissione è composta da Mario Toscano, Ministero affari esteri, presidente ; Domenico Cristofaro, Ministero del tesoro ; Amedeo Cartolaio, Servizi Africa; Luigi Protti, Ragioneria generale dello Stato ; Alessandro Gambelli, Direzione generale del tesoro ; Gaetano Marrese, Ministero dell'inter­ no; Mario Luigetti, Ministero delle finanze ; Michele Musto, Ministero della difesa esercito. Membri supplenti sono; Vincenzo Bellini, Saverio Spinosi, Francesco Tenore, Antonio Ponzio, Mario Marino, Franz von Lobstein, Nicola Gargano, Giovanni Bonifazio. Segretario della commissione è Anna Barra Caracciolo; segretario supplente Vincenzo Avizzano. La commissione, che ha operato per circa due anni, non sembrerebbe aver mai concluso formalmente i suoi lavori. 58 Ibidem. Secondo Gazzini gli atti di interesse dell'archivio sarebbero : una cinquantina di pacchi più vari progetti provenienti dall'ispettorato per le opere pubbliche ; due armadi di materiale proveniente dalla Direzione generale degli affari politici; tre armadi di documenti dell'archivio della Direzione generale degli affari economici e finanziari; tre armadi di registri di protocollo delle direzioni generali degli affari politici e degli affari economici ; cinquantaquattro casse di carteggi dell'Azienda autonoma della strada ; un armadio di materiale dell'Ufficio marina mercantile; due armadi di carte dei servizi approvvigionamenti. Nella stessa nota il Gazzini comunica che il materiale relativo ai beni ex nemici è stato trasferito al Servizio beni italiani all'estero del Ministero del tesoro, mentre l'archivio dell'Ufficio militare è stato incamerato dal Ministero della difesa. Cfr. anche nota 55. Secondo informazioni fornite dallo stesso Gazzini il materiale archivistico elencato nella nota sarebbe passato in blocco al Ministero del tesoro che lo avrebbe custodito per alcuni anni in un edificio di via della Ferratella in Laterano per poi trasferirE a via XX Settembre, sede del dicastero. A via XX Settembre sarebbero inoltre confluiti circa 8.000 fascicoli personali. Quanto sopra esposto, sia pure in larga massima, concorda con quanto ha potuto rilevare Patrizia Ferrara e sembrerebbe escludere la perdita dell'archivio del personale cui si è ac­ cennato nel testo.

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mai più ricollocata nelle sedi ongmarie (per altro g�a ampiamente sconvolte dagli interventi precedenti di cui si è fatto sommario .cenno). Nel 1 968, dopo la morte di Caroselli, la presidenza def <;omitato è assunta da Gaspare Ambrosini 59 e il comitato muta la sua denomina­ zione in « Comitato per la documentazione delle attività italiane in Africa». Alla fine degli anni '60 vengono realizzate le importanti guide curate da Giglio che dal punto di vista archivistico segnano una svolta. Infatti, all'inizio degli anni '70, grazie anche al progressivo inaridirsi dell'attività del comitato, i vari fondi iniziano ad essere portati nella totale disponibi­ lità dell'Archivio storico diplomatico. Conseguentemente, si provvede,

in gran parte, ad onor del vero, a cura dello stesso comitato e ad opera di Mario Gazzini, ad una revisione degli inventari ed elenchi esistenti, che vengono in massima parte xerocopiati e rilegati in una serie di volumi che possono così avere una certa diffusione60• Per altro verso il decreto ministeriale sulla consultabilità dell' ASDMAE, emanato nel 1 9726\ prevede il parere del comitato per la consultazione dei documenti dell'ASMAI. Il d.m. 13 marzo 1 984, n. 887, conclude con la soppressione del comitato e la consegna definitiva all' ASDMAE degli ultimi fondi, e quindi con la loro riconduzione al normale regime di consultabilità 62, la tormentata vicenda degli archivi dell'amministrazione coloniale63•

59 Gaspare Ambrosini, nato a Favara il 24 ottobre 1 886, laureato in giurisprudenza nel 1908, entra in magistratura l'anno successivo ; nel 1911 è professore titolare presso l'Università di Messina. Combattente nella prima guerra mondiale, è chiamato nel 1919 all'Università di Palermo e nel 1936 a quella di Roma, dove succede a Vittorio Emanuele Orlando nella cattedra di diritto costituzionale. Si interessa, tra l'altro, di tematiche di diritto coloniale. Eletto nel 1 946 deputato all'Assemblea costituente, è uno degli artefici della Costituzione. Il suo nome resta legato alla riforma delle strutture politico-territoriali dello Stato e alla concezione delle autonomie regionali per il ruolo giocato quale presidente del primo comitato, il cosiddetto Comitato dei 10, costituito per preparare il progetto sulle autonomie e, quale relatore, avanti alla seconda sottocommissione, alla commissione dei 75 e all'Assemblea costituente in seduta plenaria. Deputato al Parlamento nella prima legislatura repubblicana, presiede per cinque anni la commissione esteri. Oltre a dirigere i lavori della commissione, redige le relazioni per la ratifica degli accordi intrernazionali di maggiore rilievo. Fin dalla sua costituzione è membro del comitato Africa. Giudice dell'Alta corte per le regione siciliana, il 1 5 novembre 1955 è eletto dal Parlamento in seduta comune giudice della Corte costituzio­ nale. In tale qualità stabilisce il particolarissimo record di essere l'unico giudice che nel corso del suo mandato ha partecipato a tutte le sedute della Corte. Giudice sostituto del presidente durante la presidenza Cappi, il 20 ottobre 1 962 è eletto presidente della Corte. Cessa dal mandato il 15 dicembre 1967. Presidente emerito della Corte e professore emerito dell'Uni­ versità di Roma muore a Roma il 17 agosto 1 985. Della sua vasta produzione bibliografica si segnalano tra l'altro : Diritto ecclesiastico francese odierno, Napoli, Pierre, 1909 ; Trasfortllazione delle persone gi11ridiche, Torino, UTET, 1914; Partiti politici e gr11ppi parlamentari dopo la proporzionale, Firenze, La Voce, 1921 ; Sindacati, consigli tecnici e par!atllento politico, Roma, Ed. Roma, 1925 ; L'Italia nel Mediterraneo, Foligno, Campitelli, 1 927 ; Washington tlomo di Stato, Milano, Treves, 1932; Paesi sotto IJ/andato, Milano, Treves, 1 932; L'Unione Sovietica nella Stia fort!lazione e strt1ttt1ra, Palermo, Trimarchi, 1936; La n11ova costitt�zione sovietica , Palermo, Trimarchi, 1937 ; A11tonoJJJia regionale e federalisJJJo, Roma, Ed. Italiana, 1944; La proporzionale, Roma, Istituto italiano di studi legislativi, 1 945 ; I sistemi elettorali, Firenze, Sansoni, 1946 ; Lezioni di diritto costittizionale, Roma, Colombo, 1954; Q11estioni costituzionali e politica estera italiana dal 1948 al 1953 - Discorsi par!aJIJetltari, Milano, Giuffrè, 1956; Sovranità degli Stati e Comunità internazionale, Roma, Centro per la riconciliazione intern., 1956; Il regime giuridico del canale di Suez, Roma, Edizioni dell'Istituto italiano per l'Africa, 1957.

60 Ovviamente, vista la situazione dei fondi, ci si trova di fronte all'alternativa tra il tentare una serie di riordinamenti e il fotografare la situazione esistente. La scelta del secondo corno del dilemma si presenta obbligata di fronte al rischio di aggiungere nuovi lunghi anni di inconsultabilità e di fronte alla considerazione che la legge sulla dirigenza ha svuotato il ruolo scientifico del Ministero degli affari esteri rendendo problematico qualunque intervento. La linea decisa viene portata avanti dietro l'energico impulso e secondo le direttive del capo del Servizio storico e documentazione, Enrico Serra, con la pubblicazione in forma di dattiloscritti xerocopiati dei seguenti volumi: MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, S ERVIZIO STORICO E DOCUMENTAZIO­ NE, Inventario dell'archivio storico del Ministero dell'Africa italiana, I, ( 1857- 1939), Roma, Archivio storico diplomatico 1975 ; Io., (1859- 1945), Roma, Archivio storico diplomatico 1975 ; Io., III, Miscellanea (1879- 1955), Roma, Archivio storico diplomatico, 1979; Io., IV, 1) Fondi ministeriali (1890- 1862) ; 2) Fondi privati (1885- 1951), Roma, Archivio storico diplomatico 1980; Io., Inventari e suppleJJienti archivistici del Ministero dell'Africa italiana; Io., V, 1) Archivio del «Servizio leggi e decreti>> ( 1926- 1943) ; 2) A rchivio del <<Materiale recuperato al Nord» (1947-1948) ; 3) StppleJJienti a invmtari editi; 4) S11pplementi a inventari provvisori; 5) lvfiscellanea, Roma, Archivio storico diplomatico, 1 983 ; Io., Inventario dell'A rchivio del Consiglio s11periore coloniale (1923- 1939), Roma, Archivio storico diplomatico, 1975 ; Io., Inventario del fondo archivistico II, Direzione Africa orientale (1943- 1950). Inventario del fondo archivistico Consiglio di tutela - Nazioni llfiÌte, Roma, Archivio storico diplomatico, 1976; In., Inventario dell'A rchivio Eritrea (1880- 1945), Roma, Archivio storico diplomatico, 1 977; ID., Repertorio del fondo CoJJlitato per la documentazione delle attività italiane in Africa, Roma, Archivio storico diplomatico, 1983. 61 D.m. 24 giu. 1972, n. 3880 bis. 62 Sulla situazione attuale dei vari fondi vedi le pp. 327-333. Durante il corso di questo decennio è stato per la verità necessario, per motivi contingenti, escludere dalla consultazione uno spezzone dell'ASMA! relativo all'Etiopia, peraltro già utilizzato in passato da alcuni studiosi. Spiace comunque dover constatare che nonostante la diversa obiettiva situazione di cui molte delle relazioni presentate a questo convegno costituiscono, ammesso che ce ne sia bisogno, la più ampia riprova, le critiche concernenti la situazione di consultabilità si siano, sia pure in misura quantitativamente modesta, spostate dal comitato all'archivio storico diplomatico. 63 Il d.m. 1 giu. 1983, n. 2409 bis, emanato in esecuzione di quanto disposto dagli articoli 17, 25 e 1 1 4 del d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 1 8 e recante l'organizzazione del Ministero degli affari esteri, riprende l'art. 2 della l. 29 apr. 1 953, n. 430, indicando tra le competenze o

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L'attività del comitato, espletatasi lungo l'arco di tren�adue anni, ha portato alla pubblicazione dell'eterogenea collana « l'Italia in Africa», composta di una quarantina di volumi. Essa è stata oggetto ·di severe critiche sia per lo scarso spessore scientifico attribuito a molti lavori, sia per numerosi peccati di omissione, sia perché portatrice di una sostanziale, acritica, e talora addirittura ingenua, apologia del colonia­ lismo italiano. Difficile sarebbe contestare la validità di tali critiche. È forse solo opportuno osservare che, accolte in senso assoluto, esse rischiano di travolgere in un giudizio ingeneroso e inappellabile anche contributi validi, che pure non mancano, e qualche volume compilativo che, depurato degli aspetti agiografici e magari usato con qualche cautela, resta pur sempre un utile strumento di lavoro 64• Il quinquennio trascorso dalla soppressione del comitato e la disponibilità del suo archivio, ovviamente nei limiti temporali previsti dalla normativa vigente, rendono forse maturi i tempi per avviare sull'illacrimato e «impopolare estinto » una riflessione di carattere storiografico 65• L'istituzione e l'attività del comitato rappresentano infatti la risposta, o meglio una delle risposte, delle élites burocratiche coloniali e di un certo ambito dell'intellettualità ad esse collegato, alla perdita delle colonie e alla conseguente soppressione del Mini­ stero dell'Africa italiana.

Alcune autorevoli relazioni presentate in questa stessa sede sottoli­ neano quanto poco studiati siano ancora l'amministrazione centrale e il personale coloniale. La più approfondita conoscenza dell'attività del Ministero e segnatamente dei vari uffici che nel tempo hanno gestito la politica culturale coloniale, lo studio della formazione dell'e­ strazione sociale, economica, politica e culturale della burocrazia e dei suoi vertici, l'analisi dell'ideologia del personale coloniale e del suo rapporto col fascismo sono alcuni dei momenti che potranno consentire una lettura serena e complessiva di quell'ultimo e prolungato sussulto di una parte abbastanza rilevante del mondo coloniale che è stata la vicenda del comitato. Ad alcune conclusioni si presta invece in questa sede la gestione degli archivi operata dal comitato. Per quanto riguarda la consultabilità è chiaro che il regime privilegiato e talora esclusivo di cui hanno goduto membri e collaboratori del comitato non ha certo favorito gli studiosi operanti al di fuori di quella cerchia ed ha, almeno in una qualche misura, impedito l'impostazione e la realizzazione di ricerche destinate ad incidere su settori concorrenti o finitimi a quelli prescelti dal comitato stesso. Per quanto riguarda la gestione e l'ordinamento dei fondi occorre tenere presenti le conseguenze apportate dal metodo di lavoro scelto dal comitato. In linea di massima e con qualche semplificazione, ai collaboratori viene affidato un dettagliato esame della documentazione su cui essi sono poi chiamati a stendere delle relazioni che descrivono il materiale nell'ordine in cui viene esaminato, fornendo delle valuta­ zioni sull'importanza e sulla utilizzabilità dello stesso 66• In questa fase, come in gqn parte dell'attività del comitato, è del tutto assente qualunque preoccupazione di ordine archivistico, sia sotto l'ottica del riordinamento che sotto quella dell'inventariazione. Infatti ai collaboratori vengono affidati blocchi d'archivio sovente seguendo l'unico criterio delle priorità, in genere connesse ad esigenze editoriali, individuate dal comitato, mentre il solo Gazzini resta a dover fronteggiare il lavoro d'archivio e gli inevitabili sconquassi creati dai ricercatori. In una seconda fase i curatori dei vari volumi selezionano

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dell'Archivio storico diplomatico la conservazione e il riordinamento dei fondi archivistici del soppresso Ministero dell'Africa italiana. 64 Sul comitato cfr. Le pt�bblicazioni del Comitato per la doctlmentazione dell'opera italiana in Africa, in «Bollettino dell'Associazione degli africanisti italiani», (1968), 1 , pp. 23-26; Comitato per la doctlmentazione dell'opera italiana in Africa, ibid., 3-4, pp. 42-44; T. FILESI, <<L'Italia in Africa» bilancio dei tomi editi dal Comitato per la doctlmentazione dell'opera dell'Italia in Africa, in «Rassegna degli Archivi di Stato», (1969), 3, pp. 778-786. In senso critico sull'attività del comitato cfr. tra gli altri G. RocHAT, Colonialismo, in Il mondo contemporaneo, Storia d'Italia, 1, a cura di F. LEVI, U. LEVRA, N. TRANFAGLIA, Firenze, La Nuova Italia, 1978, p. 109 ; A. Bozza, Cofonialis!IJO ... cit., pp. 38-39; R. RAINERO, Les ét11des italiennes st1r I'Afriqlle de fa fin de la de11xième gt�erre mondiale à nos jot1rs, in «Afrique contemporaine», 1980, 109, pp. 1 6-21 ; S . BoNo, St11di storici sull'Africa mediterranea, i n IsTITUTO ITALO-AFRICANO, Gli studi africanistici in Italia dagli anni '60 ad oggi, Atti del convegno, RotJta, 25-27 gi11gno 1985, Roma 1 986, p. 25 ; A. TRIULZI, Stt1di storici sHII'Africa subsahariana, ibid. , p. 88; R. RAINERO, Studi sul colonialisiiJo italiano, ibid., pp. 98-99; G. RocHAT, Studi sul colonialis!IJO italiano, ibid. pp. 1 1 2-1 1 3 ; e con qualche distinguo T. Fn.ESI, St11di storici sull'Africa subsahariana, ibid., pp. 60-62. Tutti gli autori citati concordano sul valore dei volumi della « serie storica» curati da Giglio. 65 La colorita espressione in T. FILESI, Studi. . . cit., p. 61 .

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66 Ricca documentazione è presente nell'archivio del comitato.

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i documenti da utilizzare asportandoli dai fascicoli e sov�nte portandoli con sé, anche se, per amore di verità, occorre dire che ogni estrazione viene meticolosamente registrata. Il materiale però raramente . viene riarchiviato e quando viene restituito viene collocato provvisoriamente in base al settore di attività del comitato per cui è stato utilizzato. Il fenomeno assume una dimensione rilevantissima tanto che la docu­ mentazione estratta finisce per costituire una grande miscellanea di documentazione mai più ricollocata che, inventariata a parte, è nor­ malmente nota con la denominazione impropria di « Africa 3 » 67• Altri documenti estratti vengono inseriti in fascicoli dell'archivio del comi­ tato o di quello dell'Archivio storico. Quanto esposto sulle vicende dell'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana solleva, almeno in parte, il comitato dalla re­ sponsabilità spesso attribuitagli dell'ordinamento di quel complesso documentario, in buona parte, come si è visto, precedente alla sua istituzione. Per altro preoccupazioni e, si potrebbe dire, percezione di problemi di tipo archivistico non hanno certo fatto parte del bagaglio del comitato. Ad esempio lo spoglio sistematico dei fondi non ha portato, come sarebbe stato logico, alla redazione di inven­ tari più o meno tecnicamente corretti, ma solo di resoconti delle ricognizioni effettuate dai ricercatori, il che appare tra l'altro antie­ conomico e scarsamente ragionevole vista la mole del lavoro svolto che ha portato ad esaminare ogni singolo documento. Del resto è abbastanza significativo che nessun archivista abbia mai fatto parte del comitato. Un aspetto positivo, invece, che si inquadra perfettamente nella sia pur particolare attenzione per la memoria propria del comitato, è stato l'acquisizione di alcuni fondi privati (Caroselli, Felsani, Santangelo). Quanto fin qui esposto fornisce un'idea della difficoltà che offre la consultazione degli archivi dell'Africa italiana che pure, · come si è detto, dispongono quasi tutti di inventari di estrema analiticità,

dovuti in gran parte, come già ricordato, all'instancabile operosità di Mario Gazzini. Sembra quindi opportuno, in conclusione della pre­ sente relazione, fornire un sintetico quadro dell'attuale situazione di questi fondi, richiamando l'attenzione sul fatto che molti di essi sono ormai noti e citati e compaiono negli inventari con delle denomina­ ziom 1mproprie, a suo tempo utilizzate o dagli impiegati del MAI, o dal comitato, o dai primi studiosi che hanno avuto modo di consultarli.

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Ministero dell'Africa italiana Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana (ASMAI) bb. 1277 (1857-1 945). Inventario analitico 1 975. Cod. 4014. È il fondo (in realtà un'enorme miscellanea) sulle cui vicende ci si è soffermati dettagliatamente. Esso comprende l'archivio della Dire­ zione centrale degli affari coloniali, cioè le carte prodotte dai vari uffici con competenza coloniale del Ministero degli affari esteri. Per quanto riguarda il Ministero delle colonie sono tra le altre presenti con certezza carte dell'Ufficio affari politici, dell'Ufficio militare, del­ l'Ufficio affari civili, della Direzione generale degli affari politici e dei servizi relativi alle truppe coloniali, della Direzione generale degli affari economici e finanziari, della Direzione generale per le colonie dell'A­ frica settentrionale, della Direzione generale per le colonie dell'Africa orientale, della Direzione generale degli affari politici e amministrativi, ma certamente di molti altri uffici. In esso sono stati sicuramente inseriti documenti provenienti dagli archivi di uffici delle colonie, in qualche caso da consolati, e anche da archivi privati, come sicuramente nei casi di Nerazzini, Salimbeni e Antonelli. Miscellanea nella miscel­ lanea è la c.d. posizione 35 : persone operanti in Africa. Si tratta di oltre 2.000 fascicoli, intestati appunto a persone, contenenti documen­ tazione della più varia provenienza riferentisi, o indirizzata, o firmata dal personaggio. Fascicoli o singoli documenti mancanti, per i quali è in genere presente un « addebito», sono reperibili nella miscellanea

67 La denominazione deriva dal fatto che l'inventario di questa miscellanea costituisce il terzo volume degli inventari dei fondi dell'Africa italiana. Analogamente non è infrequente, anche perché in una certa misura consigliata negli stessi inventari, la citazione di alcuni fondi come «Africa 4» o «Africa 5 », a seconda del volume in cui sono contenuti.

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Vincenzo Pellegrini

Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

correntemente denominata « Africa 3 », talora nell'archivio. · del Comitato per la documentazione dell'attività italiana in Africa e talaltra nel c.d. ASMAI « supplemento».

integrato con alcuni fascicoli rinvenuti durante i lavori del Comitato. Alcuni fascicoli e documenti estratti sono presenti in «Africa 3 ». « Supplemento », bb. 3 (1 923-1939). Inventario 1 983.

Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana (ASMAI) Miscel­ lanea (correntemente denominato : « Africa 3 », bb. 170 (1 87�)-1 955).

Servizio leggi e decreti, poi Ufficio legislativo, bb. 1 1 9 (1 926-1943).

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Inventario 1 983. Cod. 401 6. Inventario 1 979. Cod. 4027. Si tratta della grande miscellanea prodotta dalla estrazione di docu­ menti dagli altri fondi coloniali ai fini dell'attività editoriale del Comi­ tato per la documentazione dell'attività italiana in Africa. È suddiviso in : documenti raccolti per testi non pubblicati ; documenti utilizzati per testi pubblicati ; Comitato ; riassunti analitici con documenti ; varie. Un sistema di rinvii permette, in linea di massima, di individuare la provenienza dei documenti.

Versato assieme agli archivi di gabinetto, contiene la documentazione prodotta dal Servizio leggi e decreti, posto appunto alle dipendenze del Gabinetto con r.d. 31 maggio 1 928, n. 1405 e successivo d.m. 30 luglio 1 928 e dall'Ufficio legislativo istituito con r.d. 13 marzo 1934, n. 457. È suddiviso in due serie : provvedimenti nominativi; leggi e decreti. Ufficio studi, bb. 39 (1 926-1 955). Inventario 1 980. Cod. 4000.

Consiglio superiore coloniale, bb. 32 (1 923-1 939). Inventario 1 975. Cod. 401 5 . I l Consiglio superiore coloniale viene istituito presso i l Ministero delle colonie con r.d. 31 dicembre 1 922, n. 1 81 7, ed è chiamato ad espletare tutte le funzioni del « Consiglio coloniale per gli affari dell'Eritrea e della Somalia» e del « Comitato superiore amministrativo per la Tripolitania e la Cirenaica », che vengono soppressi. Il r.d. 7 aprile 1 927, n. 467, struttura il Consiglio in 3 sezioni : 1 ) per l'esame degli affari giuridici ed amministrativi ; 2) per gli affari economici e finanziari ; 3) per gli affari relativi all'organizzazione militare delle colonie ed affari vari non compresi nella competenza delle altre sezioni. Il Consiglio viene soppresso con r.d.l. 6 febbraio 1 939, n. 478, e le sue competenze vengono trasferite alla sezione consultiva del Consiglio di Stato per gli affari relativi all'amministrazione dell'Africa italiana. L'Archivio, versato in occasione della soppressione del MAI, è stato

Comprende documentazione prodotta prevalentemente dall'Ufficio I - Attività scientifica - dell'Ufficio studi del Ministero dell'Africa italiana e dalle unità che lo hanno preceduto con competenze analoghe nel Ministero delle colonie. Documentazione prodotta dall'Ufficio II - Storico - dell'Ufficio studi è presente nel c.d. « supplemento all'A­ SMAI» mentre il fondo « Statistica» contiene documentazione dell'Uf­ ficio IV. Parte dell'archivio dell'Ufficio studi viene trasferito al Nord dopo 1'8 settembre e riportato a Roma al termine della guerra. L'ar­ chivio della sezione cartografica risulterebbe disperso. Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana, c.d. « supplemento », pacchi 1 8 (1 943-1 952 con documentazione precedente e successiva) Inventario 1 983. Si tratta di documentazione prodotta dall'Ufficio II dell'Ufficio studi e dal Comitato per la documentazione dell'attività italiana in Africa.


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Ad essa è stata aggregata una miscellanea di documenti estratti per i lavori del comitato.

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Commissione di studi econom1c1 del MAI, pacchi 3 (1 948-1949). Inventario 1 980. Cod. 4006. Archivio della segreteria della comm1ss10ne.

Archivio documentario, pacchi 46 (1 935-1 943). Elenco. Raccolta di ritagli stampa. « Supplemento » pacchi 1 (1938-1 945). Inventario 1 983. Statistica, pacchi 35 (1 939-1 960). Inventario 1 980. Cod. 4008. Documentazione prodotta dall'Ufficio IV - Statistica dell'Ufficio studi. Ufficio studi al Nord del Ministero dell'Africa italiana, pacchi 2 (1 942-1 945). Inventario 1 980. Cod. 4001 . Commissione interministeriale di studio per i trattati di pace, pacchi 1 (1 940-1 943). Inventario 1 980. Cod. 4005. Relazioni e monografie edite nella tipografia della P.A.I.

Ministero difesa. S.M. Esercito. Ufficio informazioni, pacchi 2 (1 949). Inventario 1 980. Cod. 4007. Si tratta in realtà dei «Notiziari Stati esteri» inviati per conoscenza al MAI. Archivio Eritrea, bb. 1080 (1 880-1 945). Inventario 1 977. Cod. 4029. Quello dell'Eritrea è l'unico archivio di colonia rientrato in Italia. Ha subito danni e dispersioni durante l'occupazione inglese. Spedito a Roma nel 1 9 51 e conservato presso l'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana è stato trasferito al Ministero degli affari esteri a seguito della soppressione di quel dicastero. Supplemento, pacchi 2 (1880-1 945). Inventario 1 983.

Repubblica sociale italiana, pacchi 2 (1 944-1 945).

A Itri archivi :

Inventario 1980. Cod. 4004.

Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana, pacchi 1 (1 946-1 947).

Si tratta di «atti di archivio provenienti dal Nord e di pertinenza del MAI » versati dal Gabinetto della Presidenza del consiglio dei ministri il 26 luglio 1 952. Materiale ricuperato al Nord, pacchi 30 (1935-1 943). Inventario 1 983. Cod. 4017. II Direzione Africa orientale, pacchi 1 0 (1 943-1 950). Inventario 1 976. Cod. 4021 . Carteggio di una delle direzioni della Direzione generale degli affari politici.

Inventario 1980. Cod. 4002. Si tratta in realtà di documentazione di pertinenza dell'ASMAI versata dell'Ufficio per gli affari del soppresso Ministero dell'Africa italiana. Direzione generale Somalia, pacchi 1 (1 890-1933). Inventario 1 980. Cod. 4003. Si tratta in realtà di documentazione ricuperata in Somalia dall'A­ FIS e inviata al Comitato Africa dalla Direzione generale Somalia del MAE.


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Consiglio di tutela - Nazioni Unite, pacchi 14 (1 946-1 950). Inventario 1 976. Comitato per la documentazione delle attività italiane in Africà, bb. 9 1 , rr. 47 (1951-1 980). Inventario 1 983. Cod. 4026.

A rchivi di personalità 68 Caroselli Francesco Saverio, pacchi 1 9 (1 908-1 944). Inventario 1 9 80. Cod. 4009 . Archivio privato di F.S. Caroselli, funzionario coloniale, presidente del Comitato per la documentazione dell'attività italiana in Africa. Felsani Armando, pacchi 10. Inventario 1 980. Cod. 4013. Archivio privato di A. Felsani, funzionario coloniale, versato dopo la morte dalla famiglia. Negrelli Grois Maria, pacchi 14 (1 873-1 924) . Elenco. Cod. 4028. Archivio della figlia di Luigi Negrelli, progettista del canale di Suez. Si tratta di un fondo dell'ASDMAE posto a disposizione del Comitato Africa. Santangelo Bruno, pacchi 4 (1 946-1961). Inventario 1980. Cod. 4010. Archivio privato di B. Santangelo, funzionario coloniale. Volpi Giuseppe, bb . 48 . Elenco . Archivio privato di G. Volpi, finanziere, industriale, uomo politico, governatore della Tripolitania.

68 I fondi Masi e Ortona sono in realtà due raccolte rispettivamente di documenti acquistati e di fotocopie.

Le fonti del Ministero dell'Africa italiana

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A rchivi privi di strumenti o versati in disordine : Direzione generale degli affari politici, pacchi e buste 1 09 (1 906-1 948). Resoconti delle ricognizioni del materiale documentario redatti dai ricercatori del Comitato per la documentazione delle attività italiane in Africa. Il fondo, versato all'ASMAI il 5 febbraio 1 952, in vista della soppressione del Ministero, è pervenuto in disordine all'A­ SDMAE. Gabinetto, pacchi e buste 538 (1 925-1 953) . Resoconti delle ricognizioni del materiale documentario redatti dai ricercatori del Comitato per la documentazione delle attività italiane in Africa. L'archivio, articolato in «ordinario» e « segreto », versato in più riprese all' ASDMAE. Direzione generale degli affari economici e finanziari, bb. 46 (1 923-1 943). Resoconti delle ricognizioni del materiale documentario redatti dai ricercatori del Comitato per la documentazione delle attività italiane in Africa.


Ripercussioni interne ai fatti di Sabati e Dogali

passato coloniale 3, bisognoso di sbocchi per la sua abbondante popo­ lazione\ obbligato a difendere la sua libertà ed il suo prestigio inter­ nazionale. Altri storici 5 hanno giudicato positivamente il disinteresse coloniale dei governanti italiani, evidenziando come la liberazione della Venezia Giulia e Tridentina e la questione meridionale fossero problemi più urgenti da risolvere, come fosse più opportuno impiegare i pochi capitali di cui si poteva disporre per sollevare la popolazione dalla sua povertà, miseria e arretratezza ; tutto questo insieme ad insufficienze finanziarie, industriali, commerciali e navali facevano risultare evidente l'impossibilità per l'Italia di creare uno Stato coloniale. Ma l'esigenza dei nuovi tempi, l'esempio che proveniva dalle nazioni più progredite della nostra sulla via del capitalismo (Francia, Inghil­ terra, Germania, ecc.) agirono da stimolo sia per i nostri governanti, stanchi del « piede in casa», sia per l'opinione pubblica italiana. Così, mentre nel 1 882 il ministro degli esteri Mancini 6 annunciava alla Camera che «non v'era pericolo né sarebbe stato mai possibile che l'Italia si lasciasse sedurre da qualsiasi eventuale tentazione ed offerta per subordinare l'interesse della giustizia e della quiete in Europa al conseguimento di una qualunque posizione eccezionale e privilegiata ( . . . ) », nel 1 885 lo stesso ministro, che fino a qualche

MARINA PIERETTI

Ripercussioni interne ai fatti di Sahati e Dogali dalle carte t/ella Questura di Roma (gennaio-febbraio 1881)

Nella seconda metà del XIX secolo, l'attività espansionistica propria di alcuni Stati, finalizzata a costituire basi di dominio territoriale in aree extrametropolitane, assunse caratteri inconfondibili rispetto a ma­ nifestazioni analoghe verificatesi in epoche anteriori. Nelle sue Lezioni di storia coloniale Mondaini 1 scriveva : «Alla ( . . . ) colonizzazione puramente commerciale dei secoli precedenti bastava l'occupazione di pochi punti, costieri e fluviali di preferenza, a quella capitalistica odierna (sfruttamento delle miniere, di foreste, piantagio­ ni . . . ) occorre una ordinata organizzazione dei paesi, dove il capitale è investito, d'onde la necessità di un controllo politico e finanziario continuo di alcuni paesi di nome magari indipendenti, e dell'occupa­ zione di altri giuridicamente fino al secolo scorso vacanti». L'inserimento dell'Italia, appena costituita in Stato unitario e as­ sillata da gravi problemi interni, nella competizione per le conquiste coloniali, è stato oggetto di molte, vivaci e polemiche discussioni tra gli storici. I nazionalisti 2 hanno stimato le colonie «necessarie e indispensabili» per un paese come l'Italia, proiettato sul mare, ricco di un grande

1 G . MoNDAINI, Lezioni di storia coloniale (anno accademico 1910-1 911), Roma 1 9 1 1 , p. 14. 2 Soprattutto Gioacchino Volpe, il teorico della storia come potenza, criticò i governanti

italiani che « fecero una politica tutta pro aris et focis, del piede di casa e delle mani nette, rinunziando ad ogni conquista e lasciandosi sopraffare da altri popoli più coraggiosi e spregiudicati a tutto detrimento del prestigio italiano(. . .)». Cfr. G. Vor.PE, L'Italia in ca!JJmino, Milano, Treves, 1931 . Per Roberto Battaglia « La conversione coloniale rispecchia, più o meno consapevolmente, l'esigenza dei nuovi tempi, l'indirizzo generale dell'epoca in cui si trovò a vivere (. . . )». (Cfr. R. B ATTAGLIA, La pri!JJa gt�erra d'Africa, Torino, Einaudi, 1958, p. 72).

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3 « Ricordo della passata nostra grandezza, da Roma alle Repubbliche marinare di Amalfi, di Venezia, di Genova, bisogno di rialzarsi, di fare, di emulare le altre nazioni (. . . ) ». (Cfr. R. CIASCA, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano Hoepli, 1 940, p. 1 02). 4 Per uno studio sui possibili collegamenti tra i fenomeni emigratori e le iniziative coloniali fondamentale è l'opera di L. CARPI, Delle colonie e dell'emigrazione italiana all'estero sotto l'aspetto dell'indtlstria, com!IJercio, agricoltura, Milano, Ed. Lombarda, 1 870, voli. 4. 5 La storiografia liberale, con Croce, Salvatorelli e Chabod, ha dato un giudizio positivo sulla Sinista, convinta che sotto il suo governo l'Italia raggiunse un grande benessere economico e politico all'interno, prestigio e rispetto all'estero. Benedetto Croce non esitò ad affermare che con la Sinistra al potere si costruì «una Italia virtuosa, saggia e tollerante che non faceva il passo più lungo della gamba». (Cfr. B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (Scritti di storia letteraria e politica), Bari, Laterza, 1966; F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 1976; L. S Ar.VATORELLI, Soi!JJIJario della storia d'Italia dai teJJJpi preistorici ai giomi nostri, Torino, Einaudi, 1961). 6 Pasquale Stanislao Mancini fece parte del ministero Depretis fino al 1 876. Dal 1 881 al 1 885 tenne il dicastero degli esteri.


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Ripercussioni interne ai fatti di Sahati e Dogali

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anno prima aveva solennemente condannato qualsiasi politica coloniale, si fece promotore dell'occupazione di Massaua 7• L'insufficienza di risorse, la mancanza di esperienza africana . e di una accurata preparazione militare, ma soprattutto una coscienza colo­ niale che l'Italia non aveva, portarono nel 1 887 ai dolorosi fatti di Sahati e di Dogali 8 • L'intento della ricerca, che è stata condotta sulle carte della Questura di Roma9, un fondo conservato nell'Archivio di Stato di Roma, è stato quello di cogliere le reazioni della popolazione romana, dopo le prime notizie -frammentarie e a volte distorte- che giungevano dall'Africa, sulla sorte delle nostre truppe, mandate a difendere in una terra straniera, con una «missione mediterranea e civilizzatrice», l'onore nazionale ; verificare se ed in quale modo il governo tentò di tenere nascosta all'opinione pubblica la verità, minimizzando e mascherando la gravità degli avvenimenti ; accertare, infine, come alcune frange politicamente estremiste cercarono, attraverso la mobilitazione generale, di provocare la caduta del ministero Depretis, strumentalizzando la fragilità delle masse operaie, povere emarginate ed oppresse da gravi problemi esistenziali. All'indomani del 26 gennaio 1 887 il questore Serrao si trova a do­ vere fronteggiare l'emergenza del momento. I documenti esaminati denunciano l'insorgere di una situazione febbrile e precaria, che accompagna le prime notizie incerte e fram­ mentarie giunte dall'Africa. Il questore adopera come mezzo di comunicazione tra la Questura e gli organi superiori, Prefettura, Ministero degli interni, Presidenza del consiglio, nonché tra la Questura e gli ispettori preposti alla vigilanza e alla sicurezza dei rioni di Roma e i comandanti delle varie caserme, il mezzo telegrafico. ·

7 L'occupazione di Massaua, predisposta nella massima segretezza, avvenne il 5 febbraio 1 885, costituendo una svolta decisiva nella storia del colonialismo italiano. 8 Il 26 gennaio 1 887 una colonna di 500 soldati italiani, partiti da Monkullo per portare aiuti e vettovaglie a Sahati, fu attaccata a metà strada dal ras abissino Alula. Dopo molte ore di accanito combattimento la colonna fu completamente distrutta. 9 ARCHIVIO DI STATO DI RoMA (d'ora in poi AS RoMA), Questura, b. 33.

Tenta di porsi come filtro tra la triste realtà e quella che si vuole fare apparire, in un tentativo di tenere all'oscuro il più a lungo possibile il popolo e permettere alle forze dell' o� di�e - c��� o iet­ . d1 poss1b1ll dimotivo immediato - di organizzarsi nell'eventuallta strazioni. La documentazione esaminata, infatti, è costituita quasi esclusiva­ mente da copie o minute di telegrammi con l'indicazione del giorno e dell'ora in cui essi vengono spediti o ricevuti1°. Attraverso una attenta lettura delle sintetiche informazioni che tali telegrammi contengono, tentiamo di ricostruire i drammatici m ent che seguirono alla divulgazione in città delle prime scarne not1z1e sul fatti d'Africa, nelle prime ore della sera del 1 febbraio 1 887. La naturale, profonda e penosa impressione prodotta negli animi s esprime con accesi commenti nei luoghi di pubblico ritr v e n�1 capannelli che formano per le strade coloro che leggono 1 g1 r all . . L'animazione grandissima, che appare evidente nelle v1e prmc1pah. della città, non assume per il momento alcun carattere di dimostrazione e qualche tentativo, come quello fatto al Teatro drammatico, di so­ spendere lo spettacolo con l'annuncio della «notizia d'Africa», muore . sul nascere, poiché si manifestano segni di viva disapprovaziOne da parte del pubblico. . . Il questore Serrao, nelle prime ore del pomenggw, nceve dall� Camera dei deputati una lettera con la quale il suo osservatore Boselh annuncia che il presidente del consiglio, alle ore quattro e trenta ha riferito sulle notizie contenute in due telegrammi : con il primo, in data 24 gennaio, il gen.Genè riferisce che le truppe italiane hanno subito un attacco, durante il quale hanno perduto quattro uomini e avuto molti feriti ; con l'altro, in data 26 gennaio, si . dice che in un altro attacco « tre compagnie nostre sono state mtera­ mente distrutte».

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IO In una stessa giornata, a distanza di pochi minuti, parto o da a questura a firma d�! . . A v lte il questore stesso 0 giungono al gabinetto della questura numerosissimi teleg amml. _ . questore cambia semplicemente il nome dell'mtestat no d l telegramma nc�vuto, ! sciando _ immutato il testo che indirizza ai vari organi preposti alla sicurezza e alla vigilanza di Roma.


Marina Pieretti

Ripercussioni interne ai fatti di Sahati e Dogali

La reazione governativa è stata immediata : l'on. Depretis ha :pre­ sentato subito un progetto di legge per stanziare le sommè occorrenti per la guerra, giacché, come testimoniano i telegrammi, il neg.�s si è già mosso contro i possedimenti italiani. Il progetto di legge è stato accolto con entusiasmo alla Camera, salvo che dall'estrema sinistra che reclama a gran voce il richiamo in Italia dei nostri soldati. Vaiutate le notizie, il Serrao spedisce due telegrammi : uno alle ore 17,20, indirizzato al marchese Gravina, prefetto di Roma, che riproduce l'identico testo del messaggio ricevuto dal Boselli l'altro alle ore 1 8 10 ' ' ' a tutti gli ispettori di sicurezza preposti ai rioni di Roma, contenente il seguente testo :

Così all'on. Costa 11 ed ai suoi amici, che costituiscono la maggio­ ranza della redazione de « Il Messaggero », questa pare una occasione da non lasciarsi sfuggire e la sera stessa del 1 o febbraio viene deciso di invitare i socialisti anarchici a trovarsi, dopo le ore 14 del giorno successivo, in piazza Montecitorio per prendere parte ad una energica e violenta dimostrazione contro il Ministero ; l'invito viene rivolto anche all'o n. Coccapieller 1 2 ed ai suoi amici. Il 2 febbraio, tra le nove e le dieci e trenta del mattino, numerosi telegrammi vengono inviati dagli ispettori al questore per informarlo sulle impressioni che le notizie provenienti dall'Africa hanno prodotto tra gli abitanti dei rioni, alla cui vigilanza e sicurezza essi sono preposti. Si apprende che la maggior parte dell'opinione pubblica approva le proposte ministeriali per un invio di soccorsi ai feriti d'Africa e desi­ dera nel contempo la spedizione di nuove truppe per « vendicare l'onore offeso» e per difendere l'« onore della bandiera italiana». Nel telegramma inviato dall'ispettore Manroni si legge, tra l'altro : « <n Borgo per fatti d'Africa critica generale governo. È nell'opinione che ministro abbia prima celato vero stato di cose per non affrontare situazione alla Camera e che doveva spedire in tempo rinforzi ne­ cessari ( . . . ) ». Sembra evidente come nell'opinione pubblica cominci a diffondersi il timore che il governo stia tentando di nascondere la verità, forse perché in quei giorni si deve votare la fiducia al governo e qualsiasi eventuale argomento di discussione in aula avrebbe influenzato nega­ tivamente i votanti.

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« Essendosi sparse voci, forse esagerate, di insuccessi delle nostre truppe in Africa, è molto probabile che avvengano delle dimostrazioni. Prego quindi le SS .LL. disporre opportuna vigilanza affinché sia a tempo impedita, nei modi di legge, qualunque dimostrazione sediziosa o con grida avverse al Ministero o tali da produrre turbamento dell'ordine pubblico. Sarà bene procurare di evitare, con modi persuasivi, che dimostranti si rechino alla Consulta, avvertendo però che, qualora la dimostrazione fosse composta dai soliti mestatori, dev'essere assoluta­ mente impedito che si rechi alla Consulta ed a casa di S.E. il presidente del consiglio. Raccomando massimo zelo, prudenza e fermezza in questo difficile momento ( . . ). Nella Questura vi è rinforzo di agenti ; a S. Lorenzo in Lucina 30 carabinieri e nelle caserme di S. Marta e S. Caterina da Siena 1 00 uomini di truppa per ciascuna. Qualunque notizia mi deve essere subito partecipata. Gli uffici rimangono aperti in permanenza». .

Il Serrao adopera parole come « voci forse esagerate» e «insuccessi» quasi a volere minimizzare qualunque cosa sia avvenuta, nel tentativo di rassicurare i destinatari, sì da evitare che le tristi notizie possano impressionare gli animi pieni di angoscia e suscitare spiacevoli inter­ rogativi da parte del popolo romano. Il questore teme i « soliti mestatori » : a chi allude Serrao? Sicura­ mente ai rappresentanti dell'estrema sinistra, formata allora prevalen­ temente da radicali e repubblicani, ai quali presto si aggiungeranno i primi esponenti del socialismo italiano. Le argomentazioni usate dagli oppositori sottolineano l'assurdità della politica coloniale, convalidando le proprie pregiudiziali di carattere ideologico con argomentazioni di ordine pratico.

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1 1 Andrea Costa, uomo politico italiano (Imola, 1851-1910). Tra i promotori del socialismo in Italia, fu il solo ad esprimere in Parlamento una inflessibile opposizione anticolonialista. Fu vicepresidente della Camera dal 1908 al 1910. Molti telegrammi inviati dal prefetto al questore e da quest'ultimo i!gli ispettori di sicurezza, preposti ai rioni di Roma, recano precise disposizioni di sorvegliare e seguire l'an. Costa in tutti i suoi spostamenti. 1 2 Dalla lettura di alcuni telegrammi inviati dagli ispettori al questore conosciamo i movi­ menti di un altro inesorabile oppositore alla politica coloniale attuata dal governo: l'an. Coccapieller. Il giorno 2 febbraio, uscito dalla Camera, si reca in una osteria in via dei Pastini, seguito da una folla di «coccapielleristi» e di curiosi, da dove annuncia che l'indomani avrebbe attaccato il Ministero che «lo aveva fatto stare in prigione tre anni ». In seguito, con 150 persone si dirige verso casa e dal balcone invita i cittadini a partecipare l'indomani ad una dimostrazione contro il governo e a chiudere i negozi in segno di lutto.

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Marina Pieretti

Ripercussioni interne ai fatti di Sabati e Dogali

In un altro telegramma dell'ispettore Gaglieri si riferisce ·come l'opinione pubblica, pur «deplorando che colonizzazione Massaua abbia esposto nazione gravi sacrifici uomini, denaro senza corrispònqere vantaggio, si associa quasi unanime presunti sforzi governo per riven­ dicazione eccidio colonna italiana, manifestandosi anche favorevole ove occorra impresa militare per occupazione Abissinia. Generalmente poi si teme che massacro Saati debba attribuirsi difetto precauzioni marcia colonna italiana». La gente, quindi, pur colpita dalla notizia e smarrita, attende fiduciosa le decisioni del governo ed ancora confida nei suoi gover­ nanti che hanno voluto iniziare una politica coloniale, in una emula­ zione imperialistica («imperialismo degli straccioni », come lo definì Lenin) con potenze ben più agguerrite militarmente e più floride economicamente 13• Si ritiene che non sia stata la mancanza di mezzi o di una adeguata preparazione militare ad avere provocato quello che viene chiamato il «massacro di Saati», ma piuttosto un difetto di precauzioni, da parte dei soldati e di coloro che li comandavano. Intanto gli appartenenti alle forze politiche estremiste, capeggiate e aizzate dall'an. Costa e dall'an. Coccapieller, spingono in tutti i modi per provocare disordini e organizzare dimostrazioni, invitando anche i negozianti a chiudere le « botteghe» in segno di lutto e distribuendo tra il popolo volantini sediziosi. Intorno a loro cominciano, dalle ore 14 del giorno 2 febbraio, così come deciso la sera precedente, a racco­ gliersi in piazza Montecitorio molti operai non romani (che non lavorano, essendo un giorno di festa) e una folla di curiosi. Fino al primo pomeriggio il servizio d'ordine preposto alla vigi­ lanza riesce a tenere sotto controllo la situazione, come si evince dal telegramma che il prefetto Gravina invia alle ore 1 7 , 1 5 al questore,

raccomandando massima vigilanza nella piazza di Montecitorio, af­ finché « usando speciale riguardo ed oggi maggiore prudenza e cor­ tesia » si possano impedire dimostrazioni sediziose e ostili al Parla­ mento e al Ministero. Anche la risposta inviata alle ore 1 7,40 (con la quale il questore riferisce :

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« Sin dalle prime ore di stamane ho dato opportune disposizioni di vigilanza piazza Montecitorio e Colonna, ove travasi reggimento ispettore Trevi con funzio­ nari, agenti, carabinieri, sparpagliati per non dare nell'occhio ( . . . ). Alla Camera, rinviata a domani discussione progetto legge maggiori fondi per spedizione Africa»), conferma come gli organi preposti al controllo dell'ordine pubblico tentino in tutti i modi di mantenere una calma apparente che eviti di turbare o insospettire l'opinione pubblica. Lo stato di febbrile agitazione e la mobilitazione generale che invece pervade Prefettura, Questura, Ministero dell'interno, caserme, e che coinvolge, anche se in maniera più velata, le sezioni e gli ispettori di sicurezza, non devono trapelare in nessun modo. Tutte le discussioni più violente tra i deputati, tutte le accuse più oltraggiose al governo devono restare all'interno della Camera e, se qualche notizia più grave dovesse riuscire a giungere al popolo, che siano gli stessi on.li Costa e Coccapieller e i loro seguaci, notoriamente anticolonialisti e antigovernativi, a diffonderle in giro, provocando magari disordini e dimostrazioni nei confronti di funzionari, agenti e carabinieri che, in tutte le circostanze, devono conservare un comportamento improntato a «prudenza e cortesia».

Verso sera il questore, con un telegramma inviato al presidente del consiglio, al Ministero dell'interno e al prefetto, riassume gli avveni­ menti del giorno «Dimostrazione era diretta da gruppo socialista e soci Gioventù operosa, con a capo deputato Costa ed intera redazione giornale Messaggero. Le prime grida furono di abbasso Ministero ed allora cominciò l'azione di ufficiali e agenti di P.S., la quale si esplicava con ammonimenti, parole cortesi ed inviti a sciogliersi. Ma dimostranti che non erano oltre centocinquanta, profittando della gran folla di curiosi che si erano adunati, e rivelando lo scopo vero che li spingeva di promuovere disordini, incomin­ ciarono ad emettere grida isolate di W Oberdank 14, W la Repubblica, W Cipriani 1 S ,

13 Sugli sviluppi dell'imperialismo cfr. W. MoMMSEN, L'età dell'illlperialislllo, Milano, Feltri­ nelli, 1970; D. K. FIELDHOUSE, L'età dell'illlperialismo (1830- 1914), Bari, Laterza, 1975; G. CAROccr, L'età de/l'illlperialislllo, Bologna, Il Mulino, 1980. Rileva il Carocci: «L'imperialismo è, sì, politica estera, ma solo nella misura in cui questa è legata, oltre che alla situazione internazionale, a quella interna (economica, sociale, politica, culturale) dei singoli stati e paesi e ai loro reciproci rapporti (G. CAROCCI, L'età dell'ùnperialismo . . cit., p. 9).

1 4 Guglielmo Oberdan, irredentista italiano (Trieste, 1 858-1 882), arrestato mentre si pre­ parava ad attentare alla vita dell'imperatore Francesco Giuseppe, venne impiccato. 1 5 Amilcare Cipriani, patriota e uomo politico italiano (Anzio, 1 844 - Parigi 1918) . Dopo avere combattuto con Garibaldi fu eletto deputato nel partito socialista, ma non occupò mai il proprio seggio per non prestare giuramento al re .

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cercando al tempo stesso di spargere nella folla cartellini sediziosi che furono sequestrati con parole W la Repubblica, W Oberdank (. . .)».

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Vengono eseguiti molti arresti e solo con l'intervento della truppà si riesce a fare sgomberare piazza Montecitorio e piazza Colonna ; alle 21 ,15 il questore annuncia al prefetto che la dimostrazione è «finalmente» flnita. Durante la notte numerosi telegrammi vengono spediti agli ispettori delle sezioni per chiedere di organizzare un servizio di vigilanza massiccio per il giorno dopo, poiché sono all'ordine del giorno della Camera due argomenti importantissimi di discussione : la creazione di un fondo di cinque milioni per soccorrere in Africa le truppe ferite e la fiducia al governo. Dopo una notte tranquilla si preannuncia una mattinata agitata, durante la quale si intrecciano varie disposizioni cautelative : proibizione assoluta di formazione di gruppi o capannelli di curiosi nelle piazze e nelle vie di accesso alla Camera, ordine di sciogliere qualsiasi dimo­ strazione ed eventualmente di arrestare i dimostranti che non ottem­ perassero all'invito di «sgomberare». Un altro motivo di preoccupa­ zione intanto comincia ad emergere : il questore teme che gli studenti possano scendere in piazza, vittime di «maneggi settari per provocare disordini e creare imbarazzo al governo ». Infatti, all'Università è stato affisso un manifesto che recita « Studenti, a voi spetta dirigere i futuri destini della Nazione. Deve partire il primo grido di indignazione contro la mala fede, l'infingardaggine di un governo più selvaggio del continente nero ( . . . ). Riunitevi intorno alla vostra santa bandiera che ora è stata impestata! Il vostro grido di protesta farà ora impallidire e rodere di rimorso gli omicida falsi italiani. Il paese si unirà a voi fidando, in quest'ora di ambascia, nelle giovani speranze di Italia. Un vostro collega ».

Alle ore 15 una folla composta soprattutto di « coccapielleristi» 16 si raggruppa davanti al Parlamento, mentre all'interno della Camera gli inviti dell'on. Costa a richiamare le truppe dall'Africa, perché «l'onore delle armi non è l'onore di un popolo », vengono accolte dalla disap­ provazione generale.

1 6 Il questore aveva telegrafato all'ispettore di Trastevere di contattare i « coccapielleristi»,

in un tentativo di persuaderli a desistere dal partecipare alla dimostrazione progettata.

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Le molte disposizioni date agli ispettori per mantenere la calma, ottengono l'effetto desiderato ; in seguito, anche se con l'intervento della truppa, piazza Montecitorio viene sgomberata. Verso sèra, però, una sessantina di «giovinastri» si collocano, alla presenza di una grande moltitudine di curiosi, dietro il cordone for­ mato dalla truppa, emettendo «grida e schiamazzi » al passaggio delle carrozze. « Essendo tornati vani i modi persuasivi, i funzionari e gli agenti ne hanno arrestati 1 5 dei più insolenti e li hanno tradotti nella camera di sicurezza della questura » telegrafa il Serrao al prefetto ed al segretario generale del Ministero dell'interno, comm. Morana. Dopo tre giorni gli arrestati sono : 23 romani o della provincia di Roma, 7 romagnoli, 37 di altre province ; 1 7 sono internazionalisti, 4 repubblicani, 1 8 socialisti anarchici, 9 pregiudicati 17• Alcuni di essi vengono giudicati l'indomani mattina per « citazione direttissima», secondo le istruzioni date dal guardasigilli al procuratore del re, per gli altri arrestati, imputati di ribellione e ferimento di alcune guardie, si deve istruire un processo, essendo considerati questi reati molto gravi. Durante la mattina del 4 febbraio il questore invia al prefetto alcuni telegrammi per chiedere rinforzi di guardie di P.S. e di carabinieri al tribunale dove « Si sta trattando causa a carico di alcuni degli arrestati per le di ostrazioni di ieri l'altro ( . . . ) » 18 e altri vengono inviati dal questore agli ispettori per raccomandare, che oltre a «Procedere con energia e risolutezza al mantenimento ordine pubblico ed evitare esagerato apparato forze ( . . . ) », anche di « Non tralasciare sorveglianza cauta sugli studenti».

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1 7 Questi dati sono stati ricavati da u n «Elenco nominativo degli arrestati nelle dimostrazioni del giorno 2 e 3 del corrente mese. Anno 1 887», nel quale sono stati annotati nom� e co��ome dell'arrestato, la paternità, l'età, la professione. Tra le osservazioni sono elencati 1 motlvl per i quali sono stati arrestati e la fede politica di appartenenza (AS Roma, Quesftlra, b. 33). 18 Alle ore 1 5,00 del 4 febbraio il questore riceve dall'ispettore del rione Parione un telegramma con le notizie relative alle condanne inflitte in tribunale agli arrestati nei giorni . precedenti. Alle 1 5,45 il questore telegrafa al prefetto ed al Ministero dell'interno: «Tnbunale condannò Marini Nicola a 6 giorni di carcere per ribellione, Bianchi Itala, scrivano presso locale tribunale, membro Comitato direttivo Circolo gioventù operosa a 3 giorni arresti e Bosany Luigi a 20 giorni carcere per violenze al vice ispettore di P.S. Parrella ( . ) Aula piena, ordine perfetto». ..

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Infatti gli è stato comunicato che in via del teatro Valle è stato àffisso _ un manifesto scritto in greco diretto agli studenti con queste pa.role : « Studenti la libreria di Propaganda fide fa sapere che tiene un -a�sorti­ mento di libri greci a miti prezzi. Libri liturgici a lire 3 pomeridiane». « Questo può essere uno scherzo, od un appuntamento per fare la progettata dimostrazione . Ho disposto relativa sorveglianza» annuncia il questore, con un telegramma, al Ministero dell'interno e al prefetto. Poi alle 13,50 il Serrao annuncia agli organi superiori che sono «incominciati di nuovo formarsi assembramenti davanti Montecitorio, i quali finora colle preghiere dei funzionari ed agenti di P.S. di allontanarsi e circolare si mostrano restii. Probabilmente si dovranno di nuovo adoperare le truppe». Intanto alla Camera i deputati riprendono le discussioni del gwrno precedente 19• L' on. Robilant pronuncia enfaticamente parole come «Dal voto di oggi, quale esso sia, dipenderà di sapere se l'Italia sarà ancora domani una grande potenza», e l'on. Ricotti tenta di spiegare, con argomenti del tutto tecnici e militari, i motivi per i quali si dovette operare in Africa e quali accorgimenti furono adoperati, difendendo l'operato del Genè. Alle richieste dell'an. Cavallotti di sapere come mai «The Times » ha pubblicato nei giorni precedenti i dispacci del 24 e 26 gennaio «sui fatti africani» e dell' on. Comini di conoscere il testo preciso dei telegrammi inviati il 24 e 26 gennaio dal Genè e quale sia esattamente il numero delle compagni e massacrate, il governo si rifiuta di dare spiegazioni. Per ultimi parlano - seguiti con grande attenzione - l'o n. Depretis e l'on. Crispi, al quale è stato affidato il compito di relazionare sul progetto di legge per lo stanziamento dei fondi. Alle ore 1 8,30 si vota per il governo, Boselli trasmette i risultati al questore : presenti 397, votanti 396, favorevoli 2 1 5, astenuti 1, contrari 1 8 1 , con 34 voti di maggioranza a favore 20•

Si vota, a scrutinio segreto, per la legge che viene approvata a gran­ de maggioranza : presenti 329, votanti 329, favorevoli 317, contrari 12. Fra i telegrammi inviati dal questore al presidente del consiglio, al segretario generale Morana ed al prefetto Gravina per informarli sugli ultimi avvenimenti della giornata, alcuni contengono notizie sui mo­ vimenti del Coccapieller : uscito dalla Camera, si è diretto a casa seguito da un «nucleo di gente» che si è andato ingrossando, strada facendo, di molti curiosi. Giunto a casa il Coccapieller ha cominciato a inveire contro il Mini­ stero ed il Parlamento, dicendo : «Non darò mai il mio voto agli affaristi, a coloro che negoziano e speculano col sangue dei nostri fratelli»21• Durante la notte tra il 4 e il 5 febbraio vengono affissi, nonostante l'accurato servizio di sorveglianza predisposto dalla questura, alcuni manifesti. L'ispettore Neri, alle ore 23,20, avverte il questore che in via Monte Oro una pattuglia della sua sezione ha staccato dal muro un «cartelli­ no» sedizioso che cominciava con le parole «Italiani, la nuova sciagu­ ra» e terminava con « Evviva Esercito, Evviva la rivoluzione sociale». Presso la casa di Coccapieller viene trovato un altro manifesto con il seguente messaggio «Avviso importante. Il tribuna di Roma, oggi e poi fa u11- arruolamento di irregolari, onde castigare il buon amico negus o re Giovanni e ben inteso farà il suddetto da capo banda . . . ». Nei giorni successivi continua la confusione di notizie - forse manovrata sulla esatta interpretazione dei telegrammi inviati dal gen. Genè, così come si può osservare dalla lettura delle copie di due giornali dell'epoca reperite tra le minute dei telegrammi esaminati precedentemente. « <l Messaggero », nella sua edizione del 6 febbraio 1 887, in un articolo intitolato «Disastro o no?», prende in considerazione l'ipotesi che il combattimento di Sahati non sia stato un disastro, ma una grande vittoria italiana, chiedendosi se il Genè, con le parol e «Dopo

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19 È sempre Boselli a relazionare il questore sui due importantissimi argomenti all'ordine del giorno: la fiducia al governo e la legge per i finanziamenti ai feriti in Africa. 20 Boselli in un primo momento comunica al questore che i voti di maggioranza sono 36, successivamente annuncia che «l voti di maggioranza avuti dal Ministero sono 34 e non 36, come mi pare d'avere scritto erroneamente nella precedente lettera».

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2 1 Il questore alle ore 1 9,45 riceve dall'ispettore di Campomarzio Orlandini un telegramma sui movimenti del Coccapieller. Recatosi a casa - egli riferisce - il Coccapieller si era affacciato al balcone da dove aveva annunciato che «non avrebbe dato voto favorevole spese spedizione Africa». Nel telegramma, inviato dal questore agli organi superiori alle 19,47, il testo cambia (AS RoMA, Qt1estura, b. 33).


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. parecchie ore di combattimento la colonna fu distrutta», alludess é alla colonna abissina piuttosto che a quella italiana, tesi avvalorata. anche dal fatto che il Genè non aveva richiesto rinforzo di soldati, còme sarebbe stato logico dopo una grave perdita di uomini, ma solo farina, grano e altri generi alimentari 22• « Il Messaggero» continua riportando anche l'opinione del «Popolo Romano », che scrive : «Noi dobbiamo dire che il dispaccio del gen. Genè non ci ha ancora persuasi del tutto, che quella colonna distrutta sia la nostra, pur ammettendo che la durata del combattimento abbia necessariamente inflitto delle perdite ai nostri soldati». « Anche «L'Esercito Italiano», continua « Il Messaggero», « dice che il dispaccio può interpretarsi in due sensi. Le persone ufficiali conti­ nuano a mantenersi nel più grande riserbo ». Una copia de «L'Esercito Italiano », uscito in edizione straordinaria il 5 febbraio 1 887 con il titolo a caratteri cubitali « Commenti ai dispacci di Massaua», si trova allegata ad un telegramma che alle 12,30 del 5 febbraio 1 887 il questore Serrao invia al prefetto e che così recita : « Capitano Cherubini mi avverte per telefono che nel ritornare testé a casa, ha trovato il direttore del giornale «L'Esercito Italiano », signor Serpieri, che gli ha detto come fra mezz'ora si pubblicherà un telegram­ ma in cui si accenna che nel fatto d'Africa, la disfatta delle tre compagnie sarebbe invece una vittoria per le nostre armi». Il giornale, oltre ad esaminare il contenuto dei vari dispacci che sono giunti da Massaua dal 22 gennaio al 31 gennaio23, ferma la sua

22 «Il Messaggero» pubblica nella stessa edizione del 6 febbraio, in prima pagina, un articolo dell'an. Costa dal titolo Vendetta, nel quale, parlando di una possibile vendetta dei «nostri poveri soldati che giacciono là, insepolti, al sole africano», sottolinea come un popolo moderno debba fare vendetta prima di tutto sbarazzandosi di vecchi privilegi e pregiudizi che l'opprimono e di tutte quelle «istituzioni malsane, che lo danno mani e piedi legati in balia del primo tirannucolo che capita». Il Costa conclude il suo articolo annunciando che « State certi che coopereremo noi pure, che non votammo le spese per l'Africa». Con un piccolo trafiletto, in seconda pagina, il giornale pubblica che « <eri, il Senato, senza discussione, ha approvato il progetto di legge per i cinque milioni di lire per l'Africa. Erano presenti 75 senatori e 75 furono i voti favorevoli». 23 È stato reperito anche un ordine di servizio datato 6 febbraio, con il quale il questore ordina a tutti i funzionari di rimanere «anche oggi di permanenza in ufficio» (AS RoMA, Questura, b. 33).

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attenzione sul telegramma del 26 gennaio, nel quale il Genè racconta come si svolsero gli avvenimenti : «Tre compagnie e cinquanta irrego­ lari partiti da Monkullo per vettovagliare Sabati furono attaccati a mezza via. Dopo parecchie ore di combattimento la colonna fu distrutta. Novanta feriti sono stati ricoverati all'ospedale di Massaua. ( . . . ) Ras Alula sembra essere rientrato a Ghinda causa le gravi perdite e i numerosi feriti e probabilmente anche per attendere rinforzi e l'ar­ rivo del negus, che si dice essere in marcia». Quale colonna - si chiede il giornale - fu distrutta, quella italiana o quella abissina? Perché il Genè non chiese rinforzi? I novanta feriti erano italiani o abissini? Come fecero ad essere trasportati a Massaua, chi ve li portò? Ras Alula si ritirò a Ghinda per attendere rinforzi « causa le gravi perdite», ma se ha vinto perché ha bisogno di rinforzi? Il dubbio di una inesatta interpretazione del telegramma del gen. Genè, che ha così gravemente impressionato la pubblica opinione, sembra aprire una possibilità alla speranza, avvalorata anche dalle ultime parole che il Ministro della guerra aveva pronunciato in chiusura del suo discorso alla Camera il giorno precedente : « ( . . . ) Mi auguro che la gravità dei fatti sia attenuata dai rapporti che si attendono e che le perdite sofferte sieno meno sensibili; e intanto dichiaro che assumo intera la responsabilità dei miei atti». Il giornale conclude il suo commento augurandosi che « un tele­ gramma imperfettamente redatto o trasmesso, sia stato più imperfetta­ mente interpretato ». Il 6 e il 7 febbraio quasi improvvisamente il carteggio tra la questura e gli organi preposti al controllo e alla sicurezza della città, fittissimo nei giorni precedenti, sembra esaurirsi. È stata reperita una sola minuta di un telegramma inviato in data 6 febbraio alle ore 1 0,40 dal questore al prefetto, con il quale si annuncia che « Scorsa notte con treno speciale ore 1 a.m. partite per Napoli, dicesi dirette Massaua, tre compagnie di soldati, di 1 50 uomini cadauna. Alla stazione v'erano dieci persone». Del 7 febbraio restano le minute di due telegrammi inviati dal questore al prefetto e agli ispettori di sicurezza tra le 1 0, 1 5 e le ore 1 2 della mattina, nei quali s i parla di timori circa nuove dimostrazioni in seguito all'annuncio comparso nella edizione del giorno de «<l Mes­ saggero », secondo il quale alla Camera molto probabilmente acca­ dranno incidenti quando saranno comunicate notizie da Massaua.


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« Evidentemente l'annuncio» - continua il Serrao - « mirll: allo scopo di promuovere dimostrazioni solleticando la curiosità del pubblico. Spero che questa manovra non riuscirà : ma ad ogni modo · prego V.S.I. richiedere che i cento uomini consegnati in Santa Marta dalle ore 2 in poi sieno per oggi portati a 300, oltre i 1 00 consegnati a Santa Caterina di Siena» 24• Essendo la redazione de «<l Messaggero » quasi interamente formata dal Costa e dai suoi amici è chiaro che la manovra cui accenna il Serrao sarebbe opera dell'estrema sinistra che, anche se noti è riuscita nei suoi programmi di abbattere il ministero Depretis con le votazioni del 4 febbraio, continuerà nella sua genuina azione anticoloniale tra­ scinata nelle piazze attraverso una ingente mobilitazione dell'opinione pubblica italiana, che durerà fino al luglio '87, quando viene a cadere il ministero Depretis. Sulle vicende concitate di quei giorni una voce per tutti, quella di Carducci, rende con grande efficacia l'idea di quello che poteva essere lo stato d'animo del popolo :

IRMA TADDIA

Niemoria storica e testimonianza orale : colonialismo e ricostruzione del passato nell'Africa italiana ·

« <l popolo italiano vero, il popolo che lavora e che pensa, quello che non parteggia e non specula, e non s'inebria e non tira alle avventure, quel popolo, dico, interrogato puramente e severamente, risponderebbe che non vuole esserci. Non vuole esserci perché guerra non giusta ; e gli abissini hanno ragione di respin­ gere noi come noi respingevamo gli austriaci. Non vuole esserci perché guerra non politica e distrarrebbe le nostre forze quando maggiore è il bisogno di tenerle raccolte e pronte. Non vuole esserci perché guerra non utile, anzi dannosa, impen­ sabilmente dannosa : per vedere vantaggi italiani in Abissinia bisogna spossare l'immaginazione in chimere di falliti : per vedere i danni, giacché ormai del sangue si fa buon mercato, basta guardare ai milioni che già accennano di cascarci sul capo. Non saranno cento per ora. Ma la guerra non è ancora guerreggiata. Lasciamo fare : altro che cento! » 2s.

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Queste considerazioni sulla memoria storica e la testimonianza orale si presentano come una sintesi di una ricerca da me condotta sui coloni italiani emigrati in Africa orientale nel periodo dell'impero 1 936-41), pubblicata di recente 1 . In questa nota vorrei mettere a fuoco principalmente le problematich� di tipo metodologico, rimandando per i contenuti in gran parte alla mia indagine specifica che è all'origine di questo lavoro. Una premessa si impone, per puntualizzare il quadro di riferimento e anticipare il valore delle testimonianze orali nella ricostruzione storiografica. La produzione della storia avviene, nella maggior parte dei casi, a partire dalle fonti scritte. Sono queste ultime a costituire il materiale base di ricerca e il quadro di riferimento di una vasta letteratura di s:.ntesi che utilizza il testo-documento come fonte principale per l'ela­ borazione dei fatti storici 2• Il passato diventa storia solo se ricostruito, a partire da varie fonti. Gli avvenimenti rivissuti attraverso l'individuo, il protagonista diretto della situazione storica, in che misura fanno parte della storia? È, più in generale, quando il passato diventa storia? t, solo la conoscenza del passato a produrre storia, conoscenza intesa al tempo stesso come divulgazione e accettazione consapevole dei dati dell'esperienza. Ricostruire un avvenimento a partire dalla memoria individuale è una forma di riflessione che ho privilegiato in questo contesto, legato alle vicende storiche che hanno portato all'occupazione italiana dell'Africa orientale.

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24 Altre due minute di telegrammi reperiti, a firma del questore Serrao e dell'ispettore Battistilli, si riferiscono al licenziamento della truppa che si trovava in servizio nelle caserme di S. Marta e S. Caterina da Siena (ibidem). 25 G. CARDUCCI, Opere, ed. naz., vol. XII, Confessioni e battaglie, Bologna, Zanichelli, 1928.

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1 Cfr. I. TADDIA, La memoria de/tlmpero. Atltobiografia d'Afi'ica orientale, Manduria, Lacaita, 1988. 2 Oltre a questo approccio tradizionale, oggi si fa strada la tendenza ad usare fonti

alternative, nel campo della storia. Per ora questo fenomeno ha tralasciato l'Africa italiana, in cui la elaborazione storica si mantiene per lo più legata ad interpretazioni datate.


Irma Taddia

Le fonti orali per la storia del colonialismo

Poche sono le tracce, nella cultura contemporanea, per indagare sulla storia coloniale italiana ; anche i manuali di storia contempo.t;anea dedicano al periodo coloniale poche righe, senza eccezioni 3• L:Italia sembra aver dimenticato un avvenimento storico così vicino, eppure così distante culturalmente dal nostro presente. Questo fenomeno ha portato ad una sottovalutazione della conquista dell'Africa italiana che si è tradotta in una totale mancanza di approccio critico al problema coloniale. Più discusso in altri paesi europei, valutato con i criteri di una moderna metodologia storica, il colonialismo solo oggi inizia a costituire un centro di interesse crescente fra gli storici italiani. Alcune opere pubblicate di recente lo testimoniano, dopo anni in cui la storia coloniale era relegata ad un ambito minore e si configurava soprattutto come storia diplomatica o politica 4 . Alla base del mio lavoro sui coloni italiani in Africa orientale durante l'impero ho posto la testimonianza orale, l'indagine condotta attraverso le interviste ai diretti protagonisti. Le memorie dei coloni, trascritte e registrate, riportano alla luce esperienze soggettive e auto­ biografie private difficili da raccogliere, ormai, per varie ragioni. E le informazioni che ricaviamo da questa fonte non sono presenti, certa­ mente, nella documentazione scritta di cui disponiamo ; esse hanno caratteristiche del tutto diverse e singolari. È bene chiarire le premesse metodologiche del mio lavoro sulle testimonianze storiche dei coloni, prima di discutere in sintesi i con­ tenuti che la mia analisi ha messo in luce. Non ho inteso proporre le memorie raccolte come una fonte alternativa su cui confrontarsi per la val[utazione del passato. Ricostruendo episodi e momenti della conquista italiana in Africa orientale attraverso l'indagine orale non mi sono proposta di affrontare un discorso valutativo sulla fonte scritta e sull'oralità. Non è questa la lettura che il mio lavoro propone allo studioso. Le memorie dei coloni italiani, restituited dall'oralità,

d possono offrire solo un quadro di riferimento, complementare alle fonti scritte, senza costituire di per sé un metodo di indagine alter­ nativo . La sistemazione delle fonti orali è problematica nell'ambito della storia coloniale, in un contesto dominato dalla singolarità dell'esperienza, dalla estrema soggettività delle informazioni, dalla mancanza di memoria trasmessa attraverso le generazioni. Le testi­ monianze non fanno parte di una cultura dell'oralità né di un patri­ monio di informazioni collettivo o generazionale, si fermano ad una generazione solamente, senza venire socializzate. L'oralità non è co­ dificata, non appartiene alla tradizione culturale che si vuole analiz­ zare, ma rappresenta solo una particolare tecnica del « costruttore» della storia. Le memorie costituiscono una specifica forma di tra­ smissione, provocata dall'intervistatore, di un vissuto non ripetibile né quantificabile. È questo un mezzo utile per fare storia, o quando i documenti scritti sono carenti, oppure nel caso si voglia trattare di tematiche minori, non relative alla storia ufficiale. Come d indicano alcuni storici dell'Africa, ricostruire il passato nascosto nel presente attraverso testimonianze e indizi è una importante fonte alternativa, utilizzata in vari contesti. Questo tipo di ricerca, definita come «storia vivente » 5, è una fonte in più per lo storico e può rivelarsi estrema­ mente ricca, se stimolata adeguatamente. La natura stessa delle testimonianze orali, come ho potuto verificare nella. mia indagine, pone ulteriori problemi di metodologia. Il colono, con la ricostruzione del suo vissuto, d offre solo alcuni dati, molte volte difficili da controllare, in più reinterpretati attraverso la propria esperienza personale. È un potenziale « archivio vivente» da sfruttare, una fonte con difficoltà di lettura maggiori rispetto alle fonti tradizio­ nali, dovute al fatto che la narrazione degli avvenimenti avviene a posteriori. Essa può quindi, e molto spesso succede, essere modificata dagli avvenimenti successivi ai fatti che narra. Come ho avuto modo di constatare, più che di una narrazione vera e propria si tratta spesso di una reinterpretazione della propria vita alla luce dell'esperienza successiva e della cultura del momento in cui il passato viene rico-

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3 È sorprendente in Italia questa tendenza, al contrario di quello che avviene nei principali paesi europei. Il risultato è che pochi studenti, incredibilmente, sanno che l'Italia ha avuto un impero, come ho potuto constatare per numerosi anni in vari corsi universitari. 4 Ad interrompere questa tendenza, di recente altro materiale, finora trascurato, s1. e ag­ giunto come fonte : quello fotografico. Per una ricerca sull'argomento da me trattato si veda : L. GoGLIA, Storia fotografica dell'Impero fascista, 1935- 1941, Bari, Laterza, 1 985.

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5 Cfr. un articolo che, pur degli anni '60, rimane ancora attuale per la metodologia impiegata : H. MoNIOT, Po11r 11ne histoire de I'Ajriq11e noire, in «Annales», 1962, 1, pp. 46-65.


Irma Taddia

Le fonti orali per la storia del colonialismo

struito. La fonte non contemporanea al fenomeno anali�zato e -dupli­ cemente condizionata, sia dall'esperienza originaria dell'ittervistato, sia dai mutati valori sociali e culturali, relativi all'epoca in cui la naqa�ione avviene. La registrazione del vissuto si pone in relazione più con la realtà contemporanea che col passato, è condizionata dalla diversità dei tempi. Le testimonianze orali spesso sovrappongono i periodi ricostruiti, sono suscettibili di più manipolazioni, i ricordi si confon­ dono. Nelle testimonianze dei protagonisti sono rinchiusi avvenimenti di tutto l'arco di una vita umana che non è possibile scindere e analiz­ zare separatamente, a se stanti. Fenomeno che non si presenta al documento scritto, l'ambiguità dei diversi momenti è tipica della ricerca orale ; il divario fra il tempo del vissuto e quello della narrazinone non è presente nei documenti d'archivio, collocabili in un unico contesto culturale. Gli informatori umani offrono ulteriori problemi come fonte per la produzione della storia. Non solo la cultura individuale condiziona le risposte e seleziona « cosa dire», ma anche la tematica stessa viene modificata dall'interlocutore in oggetto. Il modo di porre le domande, il tipo di richieste costringono a modificare le risposte, molte volte sono motivo di reticenza e anche di falsificazioni. Le memorie dei coloni, ricostruite nella loro immediatezza, non hanno quindi un valore di fonte in assoluto, ma vanno lette per quello che esprimono a livello immediato, come materiale di storia vivente. Sono memorie intese come ricostruzione soggettiva di dati particolari della realtà. Questo approccio esclude ogni pretesa di sistematizzare queste fonti e di strutturarle. Nessun patrimonio comune sta alla base dell'esperienza dei coloni dell'impero, nessun codice di comportamento standardizzato da trasmettere e socializzare. L'esperienza coloniale ci riconduce al privato, all'eccezionalità. Le memorie sono a-strutturate, il che rende difficile ogni loro possibile verifica. Non ho inteso procedere ad un controllo dei contenuti trasmessi con altri dati di cui disponiamo (i testi scritti, le fonti d'archivio, le autobiografie - scarse in realtà - prodotti durante il periodo coloniale) . Ho voluto al contrario, nel mio lavoro, trascrivere i contenuti delle interviste senza valutarli e senza interferire sul tipo di trasmissione. L'appartenenza dei protagonisti a momenti storici importanti giustifica da sé il valore della memoria affidata all'oralità, non ha bisogno di

verifiche. E anche il caso di sottolineare che i documenti d'archivio non sono esenti da questi problemi di interpretazione, ma sono sempre una fonte da valutare e collocare in un preciso contesto 6 • Per i loro contenuti, le narrazioni dei coloni si inseriscono in una dimensione secondaria degli avvenimenti e della politica coloniale, ci narrano fatti del quotidiano, al di fuori molto spesso dell'interesse generale rappresentato dalla politica ufficiale dei ministeri e dei governi. Possiamo ricavare notizie sulla vita dei colonizzati come su quella dei colonizzatori, informazioni cottingenti, collocate in un contesto storico di più ampio respiro. Oltre alle informazioni sul quotidiano, le memorie ci offrono testimonianze di prima mano su avvenimenti di grande rilievo, visti alla luce dei protagonisti. Non casualmente esse ci parlano dell'uso dei gas asfissianti in Africa orientale, delle repressioni di civili etiopici, delle battaglie principali, delle conseguenze tremende dell'at­ tentato a Graziani 7 e degli stermini della popolazione. Sono racconti che si presentano di notevole importanza per varie ragioni insieme, testimonianze dirette che ci riportano e molte riaprono questioni storiche non indagate a fondo dalla storiografia contemporanea. Quello che emerge dall'analisi dei contenuti delle memorie indivi­ duali è un'altra dimensione del reale ; esse ci rivelano i momenti, o meglio gli atteggiamenti della vita africana che contrastano con l'ideologia ufficiale. Le interviste smitizzano gli imperativi del regime, ci fanno capire come non fossero seguiti o condivisi dai protagonisti. Cosi appare un mito la politica razziale, la separazione fra bianchi e neri, il dominio dei primi ; la realtà offre più occasione di collabora­ zione fra colonizzati e colonizzatori che conflitti. Diversi i modelli di comportamento effettivi, come anche contrastanti i casi umani analizzati nei dettagli. La politica del fascismo non è condivisa sul territorio africano ; nella maggior parte dei coloni non si concretizzano le ideo­ logie metropolitane 8 , consapevolmente.

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6 Appare chiaro da queste premesse il ruolo affidato nel mio lavoro all'oralità; per una specificazione ulteriore si vedano le pp. 15-19 e 29-33 del mio lavoro La memoria dell'Impero . . . citata. 7 Rimanendo alle interviste pubblicate; cfr. ibid. , pp. 81, 88, 92, 97, 122, 127, 129. 8 Il tema centro-periferia è già presente, come contrasto, nella colonizzazione ottocentesca.

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La seconda ondata migratoria qui analizzata, quella dell'impero, ha prodotto poche fonti scritte sotto forma autobiografica, non . ci ha fatto conoscere che marginalmente la propria esperienza coloniale. Nella mancanza generalizzata di testimonianze in prima persona, le memorie trascritte ci sono utili per la ricostruzione storica. Contribui­ scono alla valutazione e alla critica di un momento particolare della politica italiana, che per le sue caratteristiche credo si presti, più degli altri, ad una indagine attraverso i suoi stessi protagonisti.

colonialismo. Le indagini attraverso la raccolta di materiale orale sono una caratteristica della letteratura africanistica recente, dopo l'indipen­ denza del continente. È l'Africa orientale inglese, tuttavia, l'area privi­ legiata da queste nuove ricerche che si occupato del lato autobiografico dei colonizzati e che si estendono anche al periodo coloniale 101 0. Solo Westermann, a mia conoscenza, ha trascritto alcune memorie di africani durante il colonialismo, in un'opera che rimane unica, per la sua particolarità, come fonte vivente 1 1 • Non conosco altre fonti dirette del genere, ma solo ricostruzioni di antropologi a noi contemporanei, attraverso le interviste, sul passato coloniale. Le storie di vita e la letteratura biografica molto spesso si danno un'interpretazione diversa degli avvenimenti rispetto a quella coloniale, aprono la strada ad un nuovo tipo di produzione della storia. Esse permettono di contrastare le estreme generalizzazioni della storia africana, come la visione ufficiale dei colonizzatori. Offrono materiale diverso su cui riflettere, per un'analisi alternativa del fenomeno coloniale. In un quadro di complessità storica e di mutamento dei parametri espressivi, la scarsità di fonti nell'Africa contemporanea è particolar­ mente deprecabile. La società colonizzata non ha espresso documenti di rilievo su se stessa. Abbiamo poco materiale su cui confrontarci anche per società come l'Etiopia, inserita nel processo di colonizzazione italiana, in cui la scrittura era diffusa secolarmente. Cessa in quest'area culturale l'espressione letteraria più comune, quella religiosa e di corte, che lascia un vuoto. Negli anni Venti-Trenta del nuovo secolo sola­ mente nasceranno i primi intellettuali etiopici, che esprimono libera­ mente il loro pensiero, i cui lavori non sono più scritti in forma ufficiale, commissionati dal potere politico. Il passaggio verso questa nuova forma di espressione letteraria è molto lento, in Etiopia. In altre colonie africane esso si è configurato come l'introduzione di un

Oralità e contesti culturali Le memorie dei coloni mi sembrano importanti anche per un'altra ragione di fondo. Esse testimoniano un periodo radicale di mutamento nella storia africana, il colonialismo. È stato sottolineato molte volte che in questo periodo storico siamo in presenza di nuove fonti per ricostruire la storia 9 • Gli africani sembrano muti, non hanno prodotto testi scritti o altre forme di espressione durante il colonialismo. Il silenzio che contraddistingue questo periodo è significativo : rappre­ senta l'interruzione di un tipo di tradizione storico-sociale e l'inizio di un periodo nuovo. Con il colonialismo si interrompono i canali tradi­ zionali di trasmissione dei canoni culturali della società africana, ma non se ne esprimono altri. La tradizione orale, fonte principale per la ricostruzione della storia in Africa, cessa la sua funzione importante socialmente, in un contesto culturale profondamente mutato dall'in­ tervento europeo. Se possediamo poche fonti locali durante il colonialismo, al contrario numerose sono le fonti di derivazione europea. Sono indagini storiche, geografiche, resoconti di viaggio, ricerche antropologico-linguistiche ; raramente registrazioni di testimonianze dirette di chi ha subìto il

In Africa le idologie coloniali venivano sfumate, diluite, o ancora modificate da una realtà che molto spesso si conosceva scarsamente. Il contrasto fra Roma e i protagonisti della conquista africana emerge tuttavia con maggior chiarezza durante l'impero. 9 Cfr. C. CoQUERY VIDROVITCH - H. MoNIOT, L'Africa nera dal 1800 ai nostri giomi, Milano, Mursia, 1977, pp. 283-288, e in generale le parti iniziali di metodologia.

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10 Per una rassegna delle opere che si avvalgono di testimonianze orali relative al Kenya, un'area in cui recentemente si sono soffermati molti studiosi, cfr. M. E. SANTORU, Nuove tendenze storiografiche nell'infetpretazione de! JJtoVÙJlenfo Matt-Mau, in «Africa», 2, 1 989, pp. 556-562. 1 1 Cfr. D. WESTERMANN, Afrikaner Erzahlen ihr Leben : Elf Selbstdarstelltmgen Afrikanischer, Essen, Essener Veri., 1938, dove si riportano undici brevi biografie di africani da ogni area del continente, senza omogeneità linguistico-culturali. Esse testimoniano i mutamenti, dovuti al colonialismo, del contesto sociale e antropologico di appartenenza.


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nuovo tipo di letteratura e di lingua, quella dei colonizzato:d. In questo contesto culturale, dall'espressione orale tramandata generazionalmente alla nascita di una letteratura africana nella lingua degli europei, l'Africa sembra averci lasciato pochi documenti. La maggior parte è dovuta al contatto con la nuova cultura e rappresenta espressioni di pensiero inconsuete. Il colonialismo ha indotto ad una sorta di ripiegamento, alla riflessione su se stessi, al pensiero e non alla scrittura : forse sono nuove forme di espressione politica. È per questo che oggi le lacune della storia sono numerose. È bene chiarire come la ricerca attraverso la testimonianza orale non abbia niente in comune con l'analisi incentrata sulla raccolta della tradizione ovale. L' oralità rappresenta una tecnica per la produzione della storia, non è insita nella società da analizzare, come ho eviden­ ziato nel mio lavoro sui coloni d'Africa orientale. La tradizione orale, come è stato sottolineato da chi ha codificato la sua ricostruzione nel contesto africano 1 2, non è testimonianza. Essa ha come requisito fondamentale la ripetizione delle informazioni attra­ verso la parola, in una catena di trasmissione, i cui contenuti sono codificati, riconosciuti socialmente e non soggetti a cambiamenti nel tempo e nella narrazione successiva. La ricostruzione della tradizione orale ha un preciso significato sociale, è legata ad una struttura di potere accettata e consolidata che si vuole perpetuare inalterata. Si configura come una raccolta di testimonianze uditive, non oculari, in cui l'elemento da privilegiare è la catena di trasmissione. Gli africanisti si affidano alla tradizione orale in società prevalentemente senza scrit­ tura, formalizzandola nei contenuti e nelle parole ; al contrario gli storici sociali usato testimonianze e storie di vita per allargare il tipo di fonti disponibili, non solo in un contesto africano. La storia che utilizza memorie orali sul passato si pone in un'ottica diversa. Le testimonianze sono l'espressione di esperienze individuali non genera­ lizzabili in nessun caso, nei contenuti che esprimono. L' oralità ha in questo caso un preciso significato. È indubbio che la memoria rappre-

senti una categoria soggettiva sia che appartenga al singolo, sia che esprima il patrimonio di una collettività. È il singolo, a partire dal proprio vissuto, che stabilisce come selezionare o socializzare le proprie testimonianze dirette. In un contesto di tradizione orale tramandata attraverso le generazioni, come avviene in molte società africane, è possibile tradurre le espressioni dell' oralità e attribuire ad esse un preciso significato storico, in quanto rappresentato una dimensione già codificata ed accettata da una parte almeno della società. In un ambiente come quello che ora mi interessa, in una cultura in cui la dimensione dell' oralità non è presente, la parola trasmessa non può costituire la base di una precisa metodologia. Il contesto non lo permette ; la dimensione orale, che si riduce alla pura e semplice testimonianza soggettiva, irripetibile, serve solo allo storico come tecnica di indagine alternativa, contingente. In più, non si tratta tanto di analizzare una società, ma momenti individuali, vite soggettive, eccezionali, seppure all'interno di una dimensione storica precisa. Il colonialismo italiano ha una storiografia povera, in molti settori. Inoltre mi sembra sia stata trascurata la validità della testimonianza diretta, la storia del quotidiano. I protagonisti minori degli avvenimenti coloniali, nella maggior parte dei casi, non compaiono nei documenti scritti e le analisi attraverso le interviste sono un'eccezione 13 nella storiografia contemporanea. Ricostruire una storia soggettiva, vista dai protagonisti, non è un fenomeno nuovo nella letteratura odierna ; parlare dei momenti del quotidiano, del privato, è oggi una tendenza culturale ben precisa, che per ora non aveva affrontato la dimensione coloniale. Si possono ricostruire avvenimenti di lunga durata anche attraverso narrazioni individuali, memorie soggettive, cercando di formulare tipologie e fatti ricorrenti per l'osservatore esterno. Qualsiasi tipo di fonte, orale e scritta, ha problemi di interpretazione : anche il documento d'archivio non è neutro, è registrato da un osservatore e interpretato da un altro non-protagonista, ci dà una particolare visione della storia, anch'essa soggettiva. Non ho avuto la pretesa, nel

1 2 Cfr. in particolare J. VANSINA, Della tradizione orafe, Roma, Officina, 1977; In., Ora! Tradition as Hist01y, London, Currey, 1985, che puntualizzano nel modo più completo l'ap­

1 3 Cfr. al contrario i lavori di Del Boca, che fanno largo uso del materiale raccolto attraverso le interviste. In particolare, per questo contesto, A. DEL B ocA Gli italiani in Africa Orientale. La conquista deff'l!Jipero, Bari, Laterza, 1979.

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proccio a queste tematiche largamente accettato anche oggi dagli studiosi.

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mio lavoro sui coloni d'Africa orientale, di sistematizza�e le testimo­ nianze e di affidare ad esse un'importanza esclusiva per la lettura della storia. Il mio approccio è stato il più anti-schematico possibi�e� non tendeva a fare delle biografie una dimensione alternativa per rileggere il passato. È in questo quadro di riferimento che ho inteso valutare l'oralità come fonte per la storia.

poco conosciuto nei dettagli, ci offrono quindi una v1s10ne inedita della guerra e della vita dei coloni. Sono state trascritte nella loro immediatezza, senza forzature o accentuazioni di particolari, libera­ mente. I testi della ricerca, depositati presso un'istituzione pubblica della regione 15, rimandato ad una estrema varietà di situazioni e con­ tenuti, alcuni indubbiamente interessanti per la vivezza dei particolari. Ho accettato le esperienze coloniali come fonte a se stessa, non mi sono posta il problema di verificare i contenuti trasmessi, che non possono quindi essere formalizzati. Le memorie appartengono più a fonti letterarie, forse, che storiche, per la soggettività estrema dei loro ricordi e l'indubbia incapacità, da parte dei coloni, di compren­ dere, all'interno di una prospettiva storica, la loro esperienza singolare. Mi sembrava, eppure, che l'importanza dei protagonisti, gli ultimi ormai che è possibile intervistare su questi argomenti, giustificasse da sola la raccolta del materiale, al di là di ogni possibile valutazione dei contenuti trasmessi. Ritengo ancora valido, oggi, registrare queste ultime testimonianze che la storia ha scartato finora e cercare di collocarle anche all'interno di un discorso storiografico più complesso e articolato. Il problema rimane immutato : si tratta di attribuire a queste registrazioni del vissuto un significato particolare, nell'ambito della ricostruzione degli avvenimenti coloniali, come ho cercato di sintetizzare nelle pagine precedenti . Non mi risulta esistano altri lavori simili per l'Africa orientale che utilizzino materiale raccolto oralmente, se si eccettua una ricerca per la regione sarda, tuttavia ancora in fase di elaborazione 16• È pur vero, però, che alcuni storici hanno fatto largo uso del materiale ricavato dalle interviste, ma sempre all'interno di un contesto che privilegiava il documento scritto, e senza mai pubblicare, come al contrario avviene nel mio lavoro, i testi delle registrazioni. Eppure credo sarebbe inte-

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La ricostruzione del passato : le memone dei coloni La ricerca attraverso le testimonianze orali deve essere collocata in un preciso quadro di riferimento : memoria storica e passato si confrontano sulla base di uno specifico terreno culturale. I coloni italiani emigrati in Africa orientale durante l'impero (1 936-1 941) hanno lasciato poche testimonianze scritte. Appartenevano, nella maggior parte, a classi proletarie non colte (erano per lo più brac­ cianti, operai, contadini) e non hanno lasciato sulla carta i loro ricordi. Diversa da questo punto di vista la prima epoca di coloniz­ zazione, quella liberale, in cui le testimonianze dei pionieri d'Africa e sono più numerose 14• Per questo la ricerca orale assume un signi­ ficato più importante. Di recente, negli anni 1 984-1 986, ho attraversato l'Emilia-Romagna registrando interviste ai coloni emigrati in Africa orientale, per racco­ gliere fonti di prima mano su una storia poco conosciuta . Questa regione aveva visto una abbondante emigrazione negli anni Trenta nelle colonie, per un breve periodo storico, legata alle vicende e alle fortune della colonizzazione. Alla luce delle memorie pubblicate (brevi interviste o autobiografie in prima persona) credo sia possibile, oggi, aggiungere ulteriori riflessioni e contribuire ad una maggiore cono­ scenza di questo tipo di emigrazione coloniale, importante nell'epoca contemporanea. Le memorie sono testi narrativi su un periodo ancora

1 4 Oltre alla letteratura citata alle pp. 61-69 de La memoria dell'Impero. . . cit., alla nota 1, si veda, per quanto riguarda l'Eritrea, la letteratura in appendice ad un altro mio lavoro : I. TADDIA, L'Eritrea-colonia 1890- 1952. Paesaggi, strutture, uo1nini del colonialismo, Milano, Angeli, 1986.

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1 5 In particolare il «Centro etnografico ferrarese», che ha iniziato negli ultimi anni una riflessione sul colonialismo italiano, promuovendo un convegno nazionale, nel marzo 1985. Cfr. gli atti pubblicati in REGIONE EMILIA Roll!t\GNA, COMITATO REGIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL 40. ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA E DELLA LIBERAZIONE - COMUNE DI FERRARA. CENTRO STUDI STORICI DELtA RESISTENZA FERRARESE, Le guerre colonia/i fasciste, a cura di R. SITTI, Bologna 1986. 16 Cfr. G. DaRE, Guerra d'Etiopia e ideologia coloniale nella testimonianza orale di reduci sardi, in « Movimento operaio e socialista», 1983, 1, pp. 475-487.


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ressante procedere ad una indagine anche nelle altre regioni italiane, come la Puglia e il Veneto, che sono state protagoniste della coloniz­ zazione demografica, durante il fascismo. Un'indagine che può essere effettuata ancora solo per pochi anni, prima di essere definitivamente resa impossibile dalla mancanza del « materiale umano» come fonte diretta. La scelta dell'Emilia-Romagna non è stata quindi casuale; essa è un'area importante per la colonizzazione contadina dell'Africa orientale alla fine degli anni Trenta. L'espansione nell'impero era stata concepita in modo tale da implicare un ruolo finanziario mini­ mo da parte dello Stato; venivano rilasciati permessi di coltivazione e terreni in concessione ad italiani organizzati in società cooperative e a privati dotati di capitali sufficienti per poter promuovere una colonizzazione iniziale nei territori dell'impero. Uno dei primi enti ad iniziare questa impresa pionieristica fu l'Opera nazionale com­ battenti, che si insediò in un vasto territorio con grandi potenzialità agricole nelle vicinaze di Addis Abeba e che promosse una coloniz­ zazione agraria iniziale con 200 italiani circa. Man mano che la politica dell'impero incoraggiava l'emigrazione oltremare aumenta­ vano gli enti promotori di una valorizzazione agraria intensiva e ve­ nivano create le infrastrutture necessarie per la nuova economia dei coloni. Nel 1 938 si istituì appunto l'Ente Romagna d'Etiopia, con lo scopo di incentivare la colonizzazione agricola, ma anche con l'obiettivo di promuovere una vera conquista demografica dell'im­ pero. L'Ente era finanziato in parte dallo Stato, con somme antici­ pate che avrebbero dovuto essere restituite dai coloni a partire dal decimo anno di gestione. Ciò costituiva un incentivo alla valorizza­ zione agricola che gli enti non erano in grado di promuovere inte­ ramente a loro spese e che veniva in tal modo assicurata dalla politica statale. In più era previsto l'apporto di capitali privati, che in realtà fu sempre modesto. La colonizzazione agricola nell'attua­ zione pratica si rivelò fallimentare; dei 50.000 ettari previsti ne furono concessi solo 5.600 di cui 1 .000 solamente coltivabili nel­ l'immediato. In situazioni simili, se non peggiori, si trovavano gli altri enti preposti alla colonizzazione demografica. L'Ente Romagna riuscì ad insediare in Etiopia solo una sessantina di famiglie coloni­ che, ben al di sotto delle previsioni. La maggior parte dei coloni,

una volta emigrata, si dedicava a lavori ben più remunerativi rispetto a quelli agricoli, rivolgendosi al settore terziario o a quello legato alle infrastrutture 17. L'Emilia-Romagna fu la seconda regione, dopo il Veneto, a mandare emigrati in Africa orientale: nel 1936 ne contava 9.811 (Modena, Bologna, Ferrara e Ravenna erano le principali aree interessate all'e­ migrazione). La guerra mondiale rallentò questo processo e poi bru­ scamente interruppe un tipo di colonizzazione mai pienamente riuscito, per vari aspetti. La colonizzazione demografica favorita dal regiO:e non si limitava all'agricoltura. Molti erano gli italiani ad operare m vari settori dell'economia africana, alcuni con successo. Questo tipo di immigrati avrebbe dovuto porsi, nell'ideologia del regime, in netta antitesi per modo di vita e cultura alla popolazione locale, in posizione di superiorità. I coloni in Africa erano destinati a compiere le mansioni più elevate, a dirigere il processo di colonizzazione, diventando pro­ prietari terrieri. Era prevista una radicale trasformazione de 'agricoltura di sussistenza preesistente e l'introduzione di un'econom1a moderna dotata di tecniche superiori. Questo tipo di colonizzazione guidata dallo Stato avrebbe dovuto essere al tempo stesso culturale ed etnica e modificare profonda mente il rapporto africani/bianchi, nelle terre dell'impero. La ruralità e l'insediamento stabile dei coloni erano visti come un fattore positivo, di continuità e stabilità di popolamento e la permanenza nel tempo un elemento indispensabile per l crea�i?n� d nuove proprietà terriere, ereditabili dalla seconda generaz10n� d1 1taha�1 residenti. Accanto a questo lato contadino, l'impero sv1luppava 1l settore delle infrastrutture, per rendere più redditizia la colonizzazione agraria. Lo sviluppo di strade, porti e ferrovie era indisp nsa ile pe� lo smercio dei prodotti agricoli. Protagonisti di questa s1tuaz10ne d1 eccezionalità il camionista e il meccanico italiani, partiti con poche risorse alla ricerca di facili fortune.

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1 7 La documentazione d'archivio sull'Africa orientale è molto ricca, ma non troppo utilizzata. Per quanto riguarda gli aspetti della politica coloniale dell'imper� pochi so� o i lavori pubblicati. Cfr. A. SBACCHI, Il colonialismo italiano in Etiopia 1936- 1940, M1lano, Murs1a, 1 980 e l'antologia curata da L. GoGLIA - F. GRASSI, Il colonialis11Jo italiano da A dua all'Impero, Bari, Laterza, 1981 .


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È f:ra questi italiani che la disoccupazione spingeva in. · Af:ric�, nel contesto che ho delineato brevemente, che ho effettuato le mie inter­ viste. La maggior parte degli interessati lavorava appunto nel settore in espansione del terziario, oppure nell'agricoltura, almeno agli inizi. Anche con destini contrastanti, gli italiani d'Africa esemplificano un modello di colonialismo del tutto particolare, improvvisato, che emerge chiaramente dalle testimonianze. La vita del colono e:ra più affidata al caso che ad un piano p:restabilito di insediamento e di valo:rizzazione. Solo nel settore :rurale era stata tentata una minima programmazione, anche se con scarsi successi; questa seconda colonizzazione si andava :rivelando decisamente contrastante col modello di colonia proposto dal libe:ralismo alcuni decenni prima. L'analisi condotta attraverso le interviste ai coloni della seconda ondata mig:rato:ria, negli anni Trenta, evidenzia alcune costanti non :rint:racciabili nella documentazione scritta. Dalle memorie autobiogra­ fiche viene :ridimensionato il lato ideologico del colonialismo italiano, che appare molto più inefficiente e contraddittorio se visto nei suoi lati pratici. Da un punto di vista economico erano più evidenti gli sprechi, le incongruenze, che le manifestazioni di una :razionale politica di valo:rizzazione. I coloni non prestavano fede alle ideologie della mad:repat:ria, arrivavano nell'impero con uno scopo preciso, quello del guadagno facile ed immediato. Rispetto alla politica ufficiale del fasci­ smo, il modello che ci proponevano era ben diverso. Dall'analisi dei contenuti delle interviste che ho effettuato nell'Emilia-Romagna 1 s emergono alcune costanti: le narrazioni tendono a :ridu:r:re i temi coloniali di fondo all'estrema banalità e ad inquad:ra:rli in una dimen­ sione del privato molto distante da quella del :regime. L'ideologia dominante, la :retorica fascista non sono :recepite dai protagonisti, come t:raspa:re con evidenza nella maggior parte delle memorie. Il prestigio della :razza, l'orgoglio nazionale sono posti in secondo piano, in un tipo di vita che privilegia il contatto con l'africano, non lo scontro.

Dall'indagine orale emerge il lato povero de1la colonizzazione, la du:ra fatica a sopravvivere in Africa. Appare netta la distanza culturale f:ra la colonia e Roma, f:ra i teorici dell'espansione demografica e i prota­ gonisti :reali della vita africana. Innanzitutto, i coloni non consideravano l'Africa orientale come una meta stabile. A differenza dell'epoca del libe:ralismo, in cui il tipo stesso di economia concepiva una lenta valo:rizzazione della colonia in una prospettiva di autosufficienza economica, i coloni dell'impero arrivavano nel continente pe:r :ragioni speculative e intendevano rima­ nervi poco, il minimo necessario pe:r un :rientro con guadagni sicuri. Questo tipo di colonizzazione non si tradusse in un insediamento stabile, tale da poter condizionare e trasformare la civiltà su cui si andava insediando. La mobilità era quindi molto alta, i rimpatri frequenti, l'Africa decisamente un episodio di breve durata. Pe:r i p:rimi coloni dell'Ottocento, al contrario, le vicende personali e familiari erano saldamente unite ai destini della colonia africana, al suo sviluppo interno e ad una crescita economica equilibrata. Niente di tutto ciò con la politica imperiale, in cui gli emigranti erano più attratti dalla possibile speculazione che da un :rapporto stretto con la dimensione economico-sociale p:reesistente. Ad una lettura delle interviste :raccolte cui rimando 19, si possono fa:r seguire alcune considerazioni generali. La volontà, da parte del regime, di istituire un :rapporto discriminante f:ra sudditi e coloni viene meno fin dagli inizi. Raramente gli italiani si assoggettavano ad una politica proclamata di :razzismo e di sepa:ratismo verso gli «indigeni». I :rapporti interrazziali, come dimostra la vita quotidiana attraverso le memorie, erano di fatto liberi, di integrazione e non di conflitto. La collaborazione e la convivenza privata dominavano nei :rapporti inte:rpe:rsonali, il mito della superiorità della :razza :rimase una ideologia non t:raducibile nella :realtà. Solo i funzionari e i gerar­ chi del fascismo erano strettamente osservanti delle imposizioni e :re-

18 Ho trascritto più di 40 interviste, di cui solo 24 pubblicate, di coloni provenienti

1 9 Le interviste ai coloni d'Africa costituiscono una sicura fonte di riferimento per la realtà del quotidiano e per la ricostruzione dell'ambiente. Auspicherei una loro raccolta sistematica per varie aree, ed anche lavori di tesi nelle Università in cui sono presenti alcune discipline africanistiche.

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dall'Emilia-Romagna. Anche se non quantitativamente rilevanti, esse mi hanno permesso di tracciare alcune considerazioni puntuali sull'esperienza africana, non documentata nei dettagli da altre fonti.


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gole di vita che venivano dall'alto. I coloni vivevano ai limiti · della · clandestinità, in situazioni personali non ufficializzabili, in rapporti . di convivenza con i « subalterni». Altra costante che emerge chiaramente dai ricordi, la corruzione sia pubblica sia privata, l'illegalità in molti casi o la disonestà dei funzionari coloniali. Le prerogative della burocrazia del regime, dei dirigenti del partito che spesso avevano in colonia cariche importanti, erano molto elevate. I coloni si adattavano malamente a queste direttive e imposizioni, e politicamente vivevano ai margini della cultura voluta dal fascismo. Non appare comunque, dalla documen­ tazione raccolta, l'esistenza di una opposizione organizzata. I rimpatri per ordine pubblico erano legati più a situazioni individuali che ad un movimento di opinione consistente. I controlli sulla vita degli emigrati erano stretti, la mancanza di libertà si sentiva anche nelle colonie africane, almeno nell'ambito della sfera pubblica. I compor­ tamenti privati erano più liberi, a patto di non essere pubblicizzati. Accanto alla corruzio�ubblica, ai favoritismi e ai privilegi accordati ai funzionari di partito, l'illegalità privata, che spesso portava a guadagni improvvisati e a soprusi. Nella situazione di eccezionalità dei primi anni dell'espansione imperiale questa era la norma ricorrente, non l'eccezione. Per quanto riguarda il ristretto mondo dei coloni, l'esperienza africana si tradusse in un fallimento, nella maggior parte dei casi; erano più le delusioni che i successi. Il crollo ftnanziario di molte ditte, le speculazioni affrettate, la povertà dei salari corrisposti rispetto alle promesse rende­ vano la realtà coloniale un episodio negativo. Non tutti i coloni trassero vantaggi materiali dalla loro esperienza. Accanto ad alcuni che arrivarono senza mezzi ed in Africa fecero fortuna, i più dovettero accontentarsi di modeste ricompense. Era un'esperienza deludente, amara, per molti: questo motivo è ricorrente nelle memorie trascritte. Esso ci fa vedere il lato effettivo della vita d'Africa orientale e fa emergere una realtà del tut:o contrastante, piena di difftcoltà e imprevisti. E il resoconto di un colonialismo demitizzato. Se analizziamo brevemente la storia coloniale italiana oggi, a distanza di tempo, non può che sorprenderei la estrema povertà delle sintesi storiche. È stato un fenomeno, il colonialismo, cosi trascurabile nella vita sociale e politica italiana, tale da non lasciare tracce? I ricordi si sono

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persi appena dopo due generazioni, l'Africa è stata un'esperienza su cui non valeva la pena riflettere e meditare. Questa sembra essere la situa­ zione storico-culturale che noi abbiamo ricevuto, e non discusso, ftno ad oggi. Ad essa si deve aggiungere una ulteriore considerazione che riguarda, più in generale, gli studi africanistici in Italia, relegati ad un ambito minore, a pochi studiosi che raramente emergono nella storio­ grafta contemporanea. Il colonialismo ha in realtà visto una grande produzione letteraria, ma tutta datata e la storia dell'Africa non è emersa ' in Italia, come disciplina, almeno ftno ad oggi. In questo ambito è chiaro come non si possa parlare di metodologie e di scambi a livello scientift­ co, fra studiosi. Niente di tutto questo accomuna il patrimonio delle no �tre conoscenze con quelle di altri paesi europei e non. E forse il caso di iniziare in modo sistematico un tipo di studi a lungo relegati al folclore, alla storia diplomatica, all'antropologia e etnografta. In più, il momento coloniale appare oggi interessante da studiare, sotto molteplici aspetti, in quanto largamente trascurato. È da sottolineare che ora disponiamo degli archivi necessari su cui affrontare ricerche di lungo respiro; ormai non esistono più chiusure e limiti di anni, per molte fonti. È il «materiale umano » che al contrario è sog­ getto ai vincoli, non conosciuti dal documento scritto, del tempo. Le testimonianze orali, in questo contesto, hanno un ciclo loro proprio che si sta estinguendo. Rappresentano una fonte più labile, che va interrogata all'interno di un preciso arco di tempo e che poi cessa di essere una testimonianza, per sempre. Appare, nella riproduzione della storia, una lacuna significativa, quella dell' oralità, afftdata non ad una trasmissione spontanea ma ad una precisa richiesta del ricercatore. Se non provocata, la memoria orale non è trasmessa, quindi non può essere registrata. Di questo limite anche la storia dell'Africa orientale deve tenere conto, a maggior ragione. La consapevolezza che la me­ moria ha un ambito temporale circoscritto ci rimanda alla labilità della ricostruzione del passato, alle incertezze dell'oralità come testimonianza.


Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor

GIOVANNA TOSATTI

Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi P�fktor

L'acquisizione da parte dell'Archivio centrale dello Stato delle carte di Luigi Pintor ha una duplice valenza : infatti si tratta non soltanto di una nuova fonte per la storia coloniale, ma anche dell'archivio di un alto funzionario, la cui acquisizione è del tutto coerente con la politica attualmente seguita dall'Istituto, che tende ad ampliare la tipologia delle fonti conservate, affiancando agli archivi degli uomini politici e degli esponenti della cultura anche quelli dei grands commis dell'amministrazione pubblica. Ciò che accresce ulteriormente l'interesse di questo archivio è la sua complementarietà con le serie istituzionali (in questo caso l'archivio del Ministero dell'Africa italiana, conservato in parte presso l'Archivio storico del Ministero degli affari esteri e in parte presso l'Archivio centrale dello Stato) 1 , rispetto alle quali esso offre una chiave di lettura diversa, non ufficiale, dell'attività dell'amministrazione pubblica. L'archivio del funzionario coloniale Luigi Pintor 2 si inserisce in una raccolta già assai ricca 3 che, limitatamente al settore della Tripoli­ tania e della Cirenaica (nel quale si svolse l'attività di Luigi Pintor) può annoverare gli archivi dei governatori Ameglia 4, Badoglio, De

1 Cfr. a questo proposito V. PELLEGRINI, Le fonti del Ministero dell'Africa italiana e P. FERRARA, Recmti acquisizioni dell'Archivio centrale dello Stato in IJJateria di fonti per la storia dell'Africa italiana : Ufficio studi e propaganda del MAI, in questo volume. 2 L'archivio, contenuto in 7 scatole, abbraccia il periodo 1906-1925. 3 Per una rassegna delle fonti conservate presso l'Archivio centrale dello Stato [d'ora in poi ACS] sul colonialismo italiano nell'Africa settentrionale fino al 1922, cfr. IsTITUTO DI STORIA E ISTITUZIONI DEI PAESI AFRO-ASIATICI DELLA UNIVERSITÀ DI PAVIA, Jnvmtario delle fonti !l/ano­ scritte relative alla storia dell'Africa del Nord esistenti in Italia, IV, L'Archivio centrale dello Stato dalle origini al 1922, a cura di C. PIAZZA, M. MISSORI e C. FII.ESI, Leiden, Brill, 1983. 4 Una parte dell'Archivio di Giovanni Ameglia è inserita nel fondo della Mostra della rivoluzione fascista, anch'esso conservato presso l'Archivio centrale dello Stato.

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Bono, Graziani; archivi peraltro già ampiamente consultati ed utilizzati dagli studiosi, come dimostra la Bibliografia dell'A rchivio centrale dello Stato 5, mentre fra le recenti acquisizioni in questo settore si colloca anche quel a dell'archivio di Pietro Piacentini, generale dell'Aeronautica in AOI dal 1 935 al 1 941 . Da non trascurare anche il ricchissimo materiale fotografico, contenuto in particolare fra le carte Brusati e Piacentini, del quale l'Archivio centrale dello Stato sta iniziando la schedatura su supporti non tradizionali. Se gli archivi citati offrono essenzialmente una prospettiva politica o militare delle vicende libiche, l'aspetto più originale nell'archivio di Pintor è costituito dalla testimonianza dell'attività di un funzionario formatosi in età liberale ; egli si trovò ad operare alternativamente presso il ministero, poi, con alcune interruzioni in colonia nel brevis­ simo periodo (1919-1 922) in cui l'amministrazione in Cirenaica venne del tutto delegata ai funzionari civili (inclusa anche la carica di gover­ natore) e di nuovo presso il ministero quando, con la presa del potere da parte di Mussolini, si venne bruscamente ad interrompere quella politica tendente a stabilire una situazione di convivenza pacifica fra italiani e libici, della quale Pintor era stato un deciso sostenitore. La figura del funzionario coloniale 6, così come era descritta dal ministro delle colonie Bettolini 7, doveva avere responsabilità sia poli­ tiche che amministrative e gli erano attribuiti una serie di compiti che in patria costituivano la competenza di svariati rami della pubblica amministrazione. In sintesi, secondo Tomaso Columbano, le fonda­ mentali attribuzioni della funzione coloniale consistevano in « azione politica verso le popolazioni native ed i loro capi tradizionali, mante­ nimento dell'ordine pubblico, predisposizione di atti normativi, studio di accordi politici, commerciali ed amministrativi con i paesi africani limitrofi ; servizio di informazioni ; direttive di politica economica, fiscale, monetaria ; elaborazione di programmi e svolgimento di servizi

5 Bibliografia dell'A rchivio centrale dello Stato (1953- 1978), Roma, UCBA, 1986 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Sussidi, 1 ). 6 Su questo argomento cfr. G. MELIS, I funzionari coloniali (1912-1924), in questo volume. 7 Atti parlamentari, Ca111era dei deputati, leg. XXIV, sess. 1913-1 914, Disegni di legge e relazioni, n. 70.


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ammm1strat1v1 attinenti ai lavori pubblici, trasporti, comunicaZioni, agricoltura, colonizzazione, lavoro, sanità, istruzione, giustizia; utilizzazione di personale nazionale e locale» 8• · . Ho riportato per intero l'identikit del perfetto funzionario coloniale in quanto mi sembra che ad esso si sovrapponga piuttosto bene la figura di Luigi Pintor ; non che queste qualità risultino soltanto dalle necrologie scritte in suo onore, 9 perché in questo caso si potrebbe pensare agli elogi spesso esagerati, tributati solitamente ai defunti ; esse vengono invece messe in evidenza dalla documentazione contenuta nel suo archivio, oltre che dalla biografia di questo funzionario. Per ricordare le tappe principali della sua vita e della sua carriera, Luigi Pintor, nato a Cagliari nel 1 882 e laureatosi in giurisprudenza a Pisa, passò dal Ministero dei lavori pubblici a quello delle colonie nel 1913, venne nominato direttore coloniale il 1° giugno 1914 e dal 1915 al 1 9 1 9 fu capo dell'Ufficio affari civili in Tripolitania. Dopo essere stato capo di gabinetto dei ministri Colosimo e Rossi tra il 1 9 1 9 e il 1 921, tornò in colonia come segretario generale del governatore della Cire­ naica Giacomo De Martino ; rimase reggente del governatorato dal novembre 1 921 all'estate del 1 922, poi tornò in Italia, dove fu vicedi­ rettore generale e capo dell'Ufficio speciale studi e propaganda, poi direttore generale per le colonie dell'Africa settentrionale fino al mese di luglio del 1 925. Fu anche per breve tempo docente di diritto coloniale presso l'Istituto di scienze sociali « Cesare Alfieri » ; mori nell'estate del 1 925 in seguito ad una malattia contratta in colonia. L'archivio copre il periodo 1 9 1 6-1 925 e, nonostante che Pintor sia stato in Tripolitania più a lungo che in Cirenaica, la documentazione più cospicua e interessante riguarda quest'ultima regione ed in special modo il problema dei rapporti tra Italia e Senussia, a partire dal trattato di Acroma del 1 91 7, del quale Pintor era stato uno dei

negoziatori. La documentazione nel suo insieme è costituita da una raccolta di telegrammi, copia della corrispondenza scambiata tra il ministero e il governo della colonia negli anni 1 9 17-1 922, da appunti, memorie, rapporti, relazioni, corrispondenza privata, poche fotografie, attraverso i quali si può sviluppare un'indagine ravvicinata della Libia degli anni 1 9 1 5-1 925 e dell'amministrazione delle colonie nello stesso periodo. Fra i corrispondenti si incontrano molti notabili arabi, colleghi di lavoro in colonia (magistrati, giornalisti, medici) e un gran numero di funzionari del ministero, amici e collaboratori di Pintor. Anche se la storia di questo periodo è ormai piuttosto conosciu­ ta 1 0, i fatti possono essere ulteriormente approfonditi attraverso la consultazione di questo archivio, nel quale il documento ufficiale e quello privato si intrecciano e si completano a vicenda. Si pensi ad esempio alla descrizione delle trattative tra Italia e Senussia nel «Diario di Acroma» e in diversa altra documentazione sullo stesso argomento 11, nella quale Pintor fornisce la sua versione degli avve­ nimenti. Nei pochi anni compresi tra il 1 9 1 7 e il 1 925 la politica italiana in Cirenaica compì una parabola : si partiva dalla necessità - determinata dallo stato di guerra in Europa - di stabilire un modus vivendi che, assicurata la pace in colonia, avrebbe poi consentito la penetrazione pacifica nel paese e l'esercizio effettivo della sovranità 12 di questa politica, che Zaghi definisce di conservazione liberale e di difesa dei territori amministrati, mai di conquista 13, Pintor fu sempre convinto sostenitore, entrando fin da quel momento in contrasto con il potere militare, rappresentato nel 1 9 1 7 da Ameglia, reggente del governatorato in Cirenaica ; e se, dal momento dell'accordo, cominciò a delinearsi per i civili la possibilità di gestirne l'attuazione, realizzatasi poi per un periodo di poco più di tre anni sotto il governatorato di De Martino e Baccari e la reggenza di Pintor, non

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8 T. COLOMBANO, If persona/e civile, in MINISTERO DEGLI APPARI ESTERI, COMITATO PER LA DOCU­

MENTAZIONE DELL'OPERA DELI:lTALIA IN APRICA, L'Italia in Africa, serie giuridico-amministrativa, Il govemo dei ten·itori d'oltremare, testi di C. MARINUCCI - T. CoLOMBANO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1 963, p. 226. 9 A. GANDIN, Luigi Pintor, estratto dal «Bollettino della Società geografica italiana», 1925, 10-12, pp. 7; In memoria di Luigi Pintor m! primo anniversario della lnot·te, Roma, s.e., 1926.

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1 0 Si citerà soltanto l'ultima opera italiana dedicata all'argomento, di A. DEL BocA, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suoi d' a1nore 1960- 1922, Bari, Laterza, 1986. 1 1 ACS, Archivio Luigi Pintor, scatola 3. 1 2 A. DEL BocA, Tripoli bel suo!. . cit., p. 338. 1 3 C. ZAGHI, L'Africa nella coscienza europea e l'imperia!is!no italiano, Napoli, Guida, 1973, p. 399. .


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appena i fascisti presero il potere si poté assistere alla nvmcita dei militari e alla progressiva demotivazione del personale dell'ammini­ strazione civile. Nelle lettere dei funzionari coloniali si può le gere un sentimento di profonda delusione, ad esempio nella lettera di Anceschi 14 del 21 aprile 1 923 :

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« Quello che è più grave è che si vuol rompere del tutto con la Senussia, annullando completamente gli accordi, anche in ciò che si riferisce all'amministrazione autonoma delle oasi ( . . . ) ».

E ancora : « È giunta improvvisamente notizia della nomina del governatore nella persona del generale Bongiovanni. Perché così senz'altro un generale? Qui le cose procedono come si prevedeva, almeno fin'ora : rottura non del tutto dichiarata, con relazioni agrodolci ma non sospese ( . . . ) e senza sangue! ( . . . ) Mi piange un po' il pensiero che i militari col nuovo governatore alla testa, si vanteranno di conquistare la Cirenaica alla nostra autorità, e che tutto il lavoro dell'amministrazione civile, che ebbe il clou nella sua reggenza, finirà coll'essere non solo dimenticato, ma confuso con gli errori coloniali di tutto il passato regime ( . . . ) . In Cirenaica si tratta solo di mantenere e di non perdere o compromettere quello che c'è, che è opera esclusiva dell'amministrazione civile» 15 . «<l governatore Bongiovanni - scrive in un'altra lettera Dall'Armi - si preoccupa quasi esclusivamente della nostra situazione militare, senza dare importanza alcuna alla nostra influenza politica presso la popolazione, che può essere compromessa sia da eccessiva prudenza nel sopportare provocazioni ed aggressioni successive, sia da operazioni militari pensate ed attuate con esagerata importanza agli obiettivi che militarmente si spera di conseguire 16 .

Emerge da questa corrispondenza come la politica in colonia fosse una continua ricerca di equilibrio, un delicato dosaggio di concessioni alla

1 4 ACS, Archivio Luigi Pintor, scatola 6. Antonio Anceschi, nato a Modena il 13 ottobre 1878, passò dal Ministero dell'interno all'amministrazione coloniale nel 1912; nel 1922 era direttore degli affari civili di Derna. Dopo aver ricoperto altre cariche in Cirenaica, fu reggente del Governo della Cirenaica e poi segretario generale titolare; il 1° agosto 1927 fu nominato direttore generale del Ministero per le colonie per l'Africa settentrionale e ricoperse la carica fino alla morte. 1 5 I id. , lettera di Dall'Armi, del 7 gennaio 1 923. Dall'Armi era primo ragioniere, divenne successivamente ufficiale per il distretto urbano di Bengasi ; negli anni 1922-1924 ebbe una corrispondenza molto fitta con Luigi Pintor, del quale era stato uno stretto collaboratone, continuando a tenerlo informato di tutto ciò che accadeva in Cirenaica. 16 Ibid. , lettera del 1 gennaio 1923.

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popolazione locale e atteggiamenti inflessibili, in un continuo e pm ari in colonia e le direttive del 0 meno aperto conflitto tra i funzion ministero. Del resto è comprensibile che i funzionari, per la loro conoscenza mia ed esperienza diretta della situazione africana, e per il ruolo di autono il diritto e responsabilità che d'altra parte era loro richiesto, rivendicassero seguire . di poter concorrere alla definizione della linea politica da elemento L'esperienza era senza dubbio, per il funzionario coloniale, un di non fondamentale ; lo stesso Pintor, che ai tempi di Acroma ammetteva tà banali le oltre essere preparato da studi sulla Senussia che andassero invece correnti sul mercato, dopo qualche anno di vita in colonia aveva i suoi o raggiunto un tale livello di conoscenza della realtà locale che persin 17• «amici» arabi non potevano fare a meno di riconoscerglielo necessità L'importanza dell'esperienza ritorna in una relazione sulla nelle mani di istituire le bande di polizia, come principale strumento fra le tribù dei commissari per una paziente e vittoriosa penetrazione Pintor si ne (in contrapposizione all'uso dell'es ercito) : in questa relazio di cui solo dichiarava « persuaso che la questione avesse una portata cenza) 18• Il vivendo immersi nell'ambiente si poteva avere esatta conos particolare contrasto tra ministero e governo locale si acuì in modo dali lettera, durante il ministero di Amendola, come è testimoniato io 1 922 19 piena di amarezza, scritta da Pintor a Bonanni il 1 6 magg « la o la lettera di Dall'Armi a Pintor del 9 marzo 1 923, contro reale più dalla fermezza verbo sa e formale [di Amendola] , smentita 20• e sostanziale remissività in ogni circostanza) dei D'altra parte Pintor, intorno al quale la simpatia e la stima o la sua funzionari che avevano collaborato con lui e che condividevan ad una linea politica, avevano dato origine, nell'ambito del ministero, le sue sorta di fazione, contrapposta ad altre fazioni, negli anni mutò diretta convinzioni ed i suoi atteggiamenti, proprio perché l'esperienza sari avver « suoi lo portò a capire fino in fondo la personalità dei

1920, ibid. , 1 7 Si veda, ad esempio, la lettera del tunisino Vietar Cattan, del 20 ottobre scatola 4. 1 8 Ibid., scatola 3, telespresso del 28 dicembre 1921 . 19 Ibid., scatola 1 . zo Ibid. , scatola 6.


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libici» ; aumentò cosi progressivamente la sua diffidenza nei confronti di Idris, capo della Senussia, e di Ornar Mansur, notabile bengasino è consigliere del governo italiano, tanto che nel 1 924 egli sc.risse a Gabelli rinnegando la politica degli accordi e sostenendo che m quel momento « trattative ed accordi avrebbero costituito un imperdonabile errore ed inconfessabile vergogna» 21 • Per rimanere ancora sul personale coloniale, Guido Melis nella sua comunicazione ha tracciato un quadro ben documentato e completo della sua provenienza, reclutamento e formazione : tuttavia qualunque ricerca si fondi sulle discussioni parlamentari o sulla documentazione ministeriale, in una parola sugli atti ufficiali, non potrà cogliere un elemento che emerge invece con molta evidenza dalla lettura della corrispondenza di Pintor: ciò che accomunava questo gruppo di fun­ zionari, rimasti legati anche dopo l'allontanamento di Pintor dalla Libia, la parola che più frequentemente ricorreva nelle lettere di Pintor come in quelle dei suoi corrispondenti, era la passione ; scrisse Pintor, rispondendo ad una lettera di Khaled Bey Gargani

non andavano come Pintor avrebbe voluto : la moglie già nel 1 921, in una lettera a Bonanni, parlava di «scoraggiamento della sua passione coloniale) » 25 ; Pintor alla fine dello stesso anno scriveva 26 :

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Una sola cosa mi sta infinitamente a cuore ; ed è la grande idea che ci lascia tanto campo di comuni speranze : la pace del vostro paese, anche a me caro assai più di quanto Ella non possa immaginare ( . .) . Tanto profondamente mi sta a cuore questa, che essa è diventata la più ardente vocazione della mia vita» 22• .

La Cirenaica diventava, in una lettera di Olmi, « passione insieme vissuta e sofferta 23, le posizioni politiche di Pintor in contrasto con Amendola 24 derivavano da « una visione appassionata delle cose in contrasto con vecchi pregiudizi» ; e la pienezza di questa passione faceva si che ancora maggiore diventasse lo sconforto quando le cose

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« Sono giunto alla conclusione che è meglio andarsene e non avvelenarsi il cuore con la sensazione dolorosa, continua, di gettare la propria passione e la propria forza e la propria fede in un braciere che inutilmente le consuma».

E anche nella corrispondenza scambiata con il giornalista Augusto Guerriero si parlava di fede nella colonizzazione 27 • Tutto questo conferma che i funzionari coloniali avevano davvero qualità e caratte­ ristiche particolari, che non trovavano riscontro in altre categorie di dipendenti statali : e non soltanto nel senso indicato al momento della formazione del ministero, come necessità di versatilità, preparazione culturale, spirito di adattamento, prontezza di decisione. La corrispon­ denza dei funzionari con Pintor permette di riconoscere, per via diretta, le loro passioni, idee, difficoltà, il loro ruolo nell'amministrazione : e questo dimostra, se ce ne fosse bisogno, la complementarietà di archivi pubblici e privati ; perché se i primi vengono sempre più utilizzati per gli studi sul personale dell'amministrazione pubblica con particolare riferimento alla sua cultura e formazione, ai sistemi di reclutamento, alle forme organizzative, alle carriere, agli organici. . . , un archivio come quello di Pintor - se si escludono i pochi esempi di memorialistica o gli scritti nelle riviste della burocrazia 28 può dare voce anche a quei funzionari le cui idee non sarebbero altrimenti tramandate e serve a far conoscere aspetti che non emergono dai fascicoli delle serie istituzionali. Infine resta da focalizzare l'attenzione sulla controversa figura di Luigi Pintor, sulle sue caratteristiche umane. Pintor, lo ammetteva lui -

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2 1 Ibid. , scatola 1. Ottone Gabelli, nato nel 1 880, era in quel momento direttore degli affari civili e politici della Cirenaica ; fu autore di un libro di memorie, La Tripolitania dalla fine della guerra mondiale all'avvmto del fascismo, Verbania, Airoldi, 1939. 22 ACS, Archivio Luigi Pintor, scatola 21, lettera del 14 luglio 1921 scritta quando Pintor, «appena libero dall'obbligo di personale illimitata devozione al ministro Rossi», tornò in Cirenaica «al suo posto di dovere, senza neppure un breve riposo». 23 Ibid. , scatola 6. Olmi era direttore del «Corriere della Cirenaica». 24 Ibid., scatola 1 ; l'espressione è nella lettera a Luigi Bonanni del 1 6 maggio 1 922, già citata. Bonanni nel 1921 era consigliere coloniale addetto all'Ufficio di gabinetto e poi capo di gabinetto del ministro Girardini; ricoperse nuovamente la stessa carica nel 1925.

25 Ibid. , scatola 5. 26 Ibid., scatola 1. La lettera, del 2 dicembre 1921, è probabilmente indirizzata a Luigi

Bonanni. 27 Ibid., scatola 4, lettere del maggio-giugno 1924. Augusto Guerriero era direttore dell'Ufficio colonizzazione del Governo della Tripolitania. 28 Cfr. a questo proposito G. MELIS, La burocrazia e le riviste : per una storia della cultura dell'aHJ!liÙJÌS!razione, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1 987, 16, pp. 47-104.


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Le carte di un jtmzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor

stesso 29, aveva un carattere schivo, un «modo brusco e taglie�te di esprimersi» 30, una « franchezza e lealtà tutta propria che rispecchiava il suo carattere nobile e leale quantunque ai superficiali potesse . sem­ brare aspra e rude» 31 ; egli aveva tra i suoi estimatori anche Gaetano Mosca, il quale in un biglietto gli scrisse :

sulla personalità di Pintor? Il discorso non è fine a se stesso ; forse proprio il suo modo di trattare con i libici, più arrendevole probabil­ mente al tempo delle trattative di Acroma, ma via via più deciso e duro con il passare degli anni, può avere in qualche modo influen­ zato lo svolgersi degli avvenimenti in Cirenaica in quegli anni, può avere determinato l'atteggiamento, a sua volta piuttosto ostile, di Idris verso gli italiani. Anche questa può essere una chiave di lettura dell'archivio di Luigi Pintor. Da quanto si è detto, è evidente che le carte di Luigi Pintor non deludono le aspettative di chi voglia cercare di capire, attraverso lo studio di esse, il ruolo di questo personaggio nell'amministrazione coloniale o voglia verificare la validità di quanto è stato scritto finora su questo breve periodo della storia della colonizzazione italiana m Libia alla luce di questa nuova fonte. Come si è visto, le carte di Luigi Pintor si prestano anche - ed è questo forse l'aspetto più originale e rilevante - a delineare un quadro dell'ambiente dell'ammi­ nistrazione coloniale dell'epoca attraverso le testimonianze non mediate dei protagonisti.

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« Ho sempre creduto che ella fosse uno dei funzionari più colti, intelligenti e laboriosi fra quelli addetti al Ministero delle colonie, e la condotta che ella circa un anno fa ha tenuto nella difficilissima situazione in cui trovavasi la Cirenaica mi ha confermato l'opinione che io già avevo di lei» 32.

Se gli sforzi di Pintor per creare, sotto la sovranità italiana, un'am­ ministrazione locale sempre più autonoma, gli crearono molte amicizie anche fra i libici, la sua caparbietà e la sua rigidezza gli resero pro­ gressivamente sempre più ostili Idris e Ornar Mansur, tanto che può forse risalire ad un loro intervento presso Amendola l'origine del suo allontanamento dalla colonia. Anche gli studiosi di storia coloniale danno interpretazioni assolutamente diverse ed opposte della figura di Pintor. Piuttosto negativo è il giudizio che esprime Del Boca, il quale ritiene le capacità di Pintor molto al di sotto di quelle richieste per governare la Cirenaica in un periodo di tale emergenza 33 e giudica piuttosto fedele il ritratto di Pintor tracciato da Idris : « <l reggente è un uomo molto nervoso, molto ostinato nelle sue idee, per cui è difficile trattare con lui» 34• Cesira Filesi, al contrario, sostiene che «in Cirenaica Pintor si era dimostrato uomo di polso e tutt'altro che privo di esperienza. Anzi per la politica equivoca di Idris esso si era rivelato addirittura troppo scomodo » 35• Perché soffermarsi così a lungo

29 ACS, A rchivio Luigi Pintor, scatola 3, «Diario di Acroma». 30 Quest'ultima espressione di Corrado Zoli, capo di gabinetto di Federzoni, ibid., scatola 6, lettera del 20 novembre 1922. 31 Questa descrizione è nella deliberazione della città di Bengasi per manifestare gratitudine a Pintor dopo le sue dimissioni da segretario generale, ibid., scatola 6. 32 Ibid., biglietto del 30 giugno 1923. 33 A. DEL BocA, Tripoli bel mol... cit., p. 421 . 34 Ibid. , p. 431. 35 C. Fn.ESI, Giovanni A mendola, 111inistro delle colonie e la questione cirenaica (febbraio-ottobre 1922), in «Rivista di studi politici internazionali», 1977, 1 , pp. 77-105.

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II LE ISTITUZIONI


CARLO GHISALBERTI

Per una storia delle istituzioni coloniali italiane

Recensendo dodici anni fa il primo degli ampi saggi dedicati da Angelo del Boca alle vicende del colonialismo italiano, Guido Pesco­ solido invitava gli studiosi che avessero voluto dedicarsi seriamente a comprendere l'essenza del fenomeno coloniale « a spingere a fondo l'indagine almeno lungo tre direttrici fondamentali. La prima avrebbe dovuto portare alla descrizione quanto meglio articolata possibile non solo della struttura socio-economica della società conquistata, ma anche della sua organizzazione statuale nelle sue componenti burocratiche, amministrative, militari e politiche. La seconda avrebbe dovuto spin­ gere alla ricostruzione storica dell'amministrazione coloniale italiana ( . . . ). La terza linea infine sarebbe dovuta consistere nel valutare le modificazioni durature introdotte a tutti i livelli nella società conqui­ stata da parte dei conquistatori » 1 . Invito serio questo del giovane storico che, reagendo alle troppo semplici schematizzazioni moralistiche alla moda ed alle assai generiche condanne dell'esperienza coloniale imposte dal mutamento del clima ideologico e politico, indicava la sola via attraverso la quale poteva essere possibile una valutazione storica di un aspetto essenziale della vicenda dell'Italia contemporanea. Vicenda che, al di là ed oltre i giu­ dizi frettolosamente formulati sul colonialismo occidentale, assurto a categoria negativa della storia in base a motivazioni formulate all'indomani della chiusura del ciclo in cui era nato e si era svolto, ed in particolare su quello italiano, la cui breve stagione era coincisa

1 Recensione di G. PEscoSOLIDO al volume di A. DEL BocA, Gli italiani in Africa orientale. Dall'Unità alla JJJarcia su RoJJJa, Roma-Bari, Laterza, 1976, estratto da «Storia contemporanea», 1977, 1 , pp. 157-163.


Carlo Ghisa/berti

Per una storia delle istituzioni coloniali italiane

colla parabola discendente e finale del più generale fenom�no europeo, deve oggi essere ripensata anche, e forse soprattutto, per la so.mma delle esperienze istituzionali e normative che l'hanno caratteriz�ata. Tali esperienze, infatti, danno all'intera storia del colonialismo italiano il senso della sua peculiarità e della sua singolarità, contribuendo non poco a distinguerlo ed a differenziarlo dalle altre forme di dominazione coloniale realizzate oltremare dalle potenze europee. Perché se è vero che la caratterizzazione dell'esperienza africana dell'Italia fu quella di essere tardiva rispetto alle altre, meno suffragata da una idonea, possente struttura economica e motivata in forma differente con richiami a ideali o moti propri solo della cultura politica e della tradizione storica nazionale2, è altresì vero che nelle forme istituzionali e nei dettati normativi stabiliti per l'organizzazione coloniale si vennero a realizzare strutture originali spesso scarsamente assimilabili o non sempre collega­ bili a quanto predisposto nelle aree dominate da altri Stati. Il discorso è naturalmente volto alla realtà dell'Africa settentrionale ed a quella dell'Africa orientale; ché il possedimento italiano dell'Egeo, la concessione di Tien Tsin in Cina, ed il regno d'Albania, la cui corona, per unione personale, venne nel 1 939 attribuita al re d'Italia, ebbero logicamente durante la nostra dominazione storie diverse, non omologabili se non nei dettagli, a quelle della Libia, dell'Eritrea, della Somalia e dell'Etiopia, rappresentanti il fulcro della espansione colo­ niale italiana ed il maggiore scenario delle sue realizzazioni istituzionali. Ed anche se è vero quanto ebbe a sostenere Giuseppe Are recente­ mente3, che essendo il tema espansionistico avvertito in tutti i settori politici e culturali del paese, portato coscientemente a sottolineare

l'importanza sia prima sia dopo la grande guerra, i motivi del colonia­ lismo africano della nazione sarebbero stati condivisi solo da una parte di esso, resta pur vero che quei motivi ricevevano qualificazione e caratterizzazione per l'ordinamento territoriale, le istituzioni civili e la legislazione qualificante la politica indigena dettati dall'Italia 4• Se, infatti, si può parlare rettamente di una scelta per la forma del dominio diretto nel colonialismo africano dell'Italia, e di un rifiuto dell'opposto od alternativo dominio indiretto, specie dopo il disinganno seguito alle facili e sbrigative interpretazioni del trattato di Uccialli sul preteso protettorato italiano dell'Abissinia ed alla tragica giornata di Adua s, il senso di questa opzione chiaramente politica è ricavabile solo considerando la natura ed i contenuti degli ordinamenti, delle istituzioni e della legislazione coloniale6• Né deve trarre in inganno la via usata per l'iniziale penetrazione in Somalia: ché i protettorati benadiriani sui sultanati di Obbia e dei Migiurtini furono solo la premessa ed insieme la prima tappa per l'acquisto della piena sovranità sulla regione e non anche opzione per la forma del dominio indiretto; questa del tutto contrastava con l'ideolo­ gia ispiratrice la colonizzazione africana, concepita dall'Italia come una

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2 I limiti strutturali del colonialismo italiano ed il suo svilupparsi in' ritardo rispetto a quello delle altre potenze non soltanto europee, erano già stati delineati da colui al quale, a tutt'oggi, si deve la maggiore trattazione storica della materia, cioè da R. C!AscA, Storia coloniale dell'Italia contemporanea da A ssab all'Impero, Milano, Hoepli, 1940, pp. 1 1 e seguenti. Trattazione nella quale l'intera storia dell'espansione oltremare del paese appare come il lento e graduale superamento di quei limiti e di quei ritardi, come, da par suo, aveva anche mostrato G. Volpe, soprattutto nell'Italia moderna: 1815- 1915, mosso evidente­ mente da quegli ideali nazionalistici che caratterizzavano e qualificavano la prevalente cultura storica del suo tempo. 3 G. ARE, La scoperta dell'imperialis!ltO. Il dibattito nella cultura italiana del primo Novecmto, Roma, Lavoro, 1985.

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4 L'immagine del dominio diretto, forma qualificante sul terreno giuridico-istituzionale le colonie africane soggette alla sovranità italiana, ricevette una lucida spiegazione nel manuale di S. RoMANO, Il diritto pubblico italiano, a cura di S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 1988. Per Santi Romano, che analizzava il problema alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, i possedimenti africani dell'Italia, Eritrea, Somalia e Libia, rientravano pienamente, per l'amministrazione cui erano soggetti e per le condizioni ed i modi con cui erano governati, nella categoria delle colonie a dominio diretto. La qualificazione del dominio diretto comunque apparirà nei suoi dettagli ed in tutti i suoi aspetti mano mano che si verrà sviluppando la dottrina del diritto coloniale. Sulla sua formazione cfr. ora il saggio di M. L. SAGù, A lle origini della scimza del diritto coloniale in Italia, in «Clio», 1 988, 4, pp. 557-593. 5 Rinvio, per la bibliografia sul tema, al tuttora utile R. BATTAGLIA, La pril11a guerra d'Africa, Torino, Einaudi, 19732• 6 Per la migliore comprensione della fenomenologia giuridico-istituzionale delle nostre colonie sono tuttora preziose le indicazioni e le valutazioni, per i tempi fondamentali, di G. MoNDAINI, La legislazione coloniale italiana nel StiO suil11ppo storico e nel StiO stato affilale ( 1881- 1940) , I Milano ISPI 1941 la cui prima edizione pubblicata nel 1924, dava il senso della realtà rganizza va e egisla va dei possedimenti it ani d'oltremare. Scarsa oggi appare l'attenzione degli studiosi per quelle problematiche che investivano l'essenza del colonialismo italiano, come si può notare nella breve e non troppo approfondita rassegna di R.H. RAINERO, Gli sf11di sul colonialis111o italiano, in A tti del convegno : Gli st11di africanistici in Italia dagli anni '60 ad

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proiezione oltremare della madrepatria e, quindi, da assoggett�re alla sua amministrazione anche se con le caratteristiche particolari Imposte dalle circostanze, da valutarsi, però, non solo in rapporto alla società ed alla cultura delle terre assoggettate ma anche e, forse, soprattutto, al lume e nel contesto delle esigenze e delle necessità della nazione conquistatrice 7• Così, infatti, la forma del dominio diretto aveva una sua giustifica­ zione pratica consentendo l'abbattimento di ogni infrastruttura deri­ vante i suoi poteri e le sue funzioni dai passati regimi politici che si potesse ancora porre tra il governo della madrepatria colonizzatrice ed i territori coloniali amministrati e che in qualche modo rendesse il processo di colonizzazione o meno definito nei suoi contenuti o più lento nella realizzazione dei suoi fini. E ciò mentre l'immagine del modo di essere e di vivere, arcaico ed arretrato insieme, delle popolazioni indigene, largamente diffusa nell'opinione pubblica ita­ liana, in ciò simile a quella degli altri paesi d'Europa, sembrava rendere, per l'ideologia colonizzatrice, i sudditi coloniali particolar­ mente adatti ad essere amministrati sulla base di quegli strumenti propri del dominio diretto, ritenuti i più idonei a proiettare immedia­ tamente i benefici e i frutti della civiltà dei colonizzatori, sul piano etico e su quello materiale considerata superiore. La visione di popoli senza storia, propria di certa ideologia politica dell'Ottocento, se appariva fin da allora non applicabile al contesto europeo ove la storicità delle nazioni andava assumendo contorni c fisionomia ben marcati nel risveglio della coscienza politica delle diverse etnie site in aree tuttora prive di indipendenza e sovranità nazionali, ma non per questo ignare di un passato comune consapevolmente sentito e vissuto, nell'Africa, specie nera, veniva utilizzata a sostegno della conquista bianca motivante la sua espansione anche per lo spazio

sostanzialmente vuoto nel quale pareva avvenisse8• La coscienza di trovarsi di fronte a territori nullius, aperti, quindi, alla colonizzazione ed alla conquista europea, suffragava l'ideologia e lo slancio dell'e­ spansionismo. Ciò naturalmente portava, con l'estensione della piena sovranità italiana, alla proiezione dell'amministrazione nazionale oltremare in un'ottica sostanzialmente centralistica del governo coloniale, del regime, cioè, prescelto per il controllo delle terre e delle popolazioni assogget­ tate, il cui potere, derivante direttamente dalla madrepatria, era conce­ pito solo in funzione degli obiettivi posti da questa ed i cui strumenti di azione, forniti per la maggior parte dalla metropoli, erano a quegli obiettivi finalizzati 9 • Si può sostenere, è vero, che i primi passi e le prime tappe dell'e­ spansione coloniale italiana, non prefigurata se non in modo ancora generico nelle sue finalità, si erano svolti nell'incertezza sulle prospet­ tive africane del paese e, quindi, in circostanze che davano un senso, spesso piuttosto diffuso, della precarietà e della instabilità del dominio. Il che aveva implicato, dal punto di vista amministrativo, legislativo e più generalmente istituzionale, non essere stata la presenza italiana nel mar Rosso, nell'oceano Indiano e, da ultimo, sulla costa nordafri­ cana del Mediterraneo, immediatamente, e cioè dall'origine, qualificata sempre da una precisa, organica ed incisiva sistemazione dei territori occupati e da una chiara e puntuale definizione dello status delle

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oggi (RotJta, 25-27 giugno 1985), Roma, Istituto itala-africano, 1986, pp. 95-110. Qualche cenno in T. F E , L'Africa, in Storiografia italiana degli ultimi vmt'anni, III, L'età contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1989, pp. 287-321 . 7 Cfr. ora l'ottimo studio di L. DE CouRTEN, L'a1ll1lil nistrazione coloniale italiana del Benadir. Dalle compagnie commerciali alla gestione statale ( 1889- 1914), in « Storia contemporanea», 1978, 1, pp. 1 1 5-154 e 2, pp. 303-333.

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8 Nella scienza giuridica viene spesso fatto ricorso al concetto di territori nullius per giustificare e legittimare in certi casi l'acquisto di aree destinate a colonie, per le quali la prima sovranità riconoscibile sul piano internazionale e su quello interno è quella del conquistatore: cfr. S. RoMANO, Il diritto pubblico. . . cit., p. 440. Al «popolo senza storia», quindi, non è riconosciuto un territorio sul quale esercitava una qualsiasi forma di sovranità prima della conquista coloniale. Ciò che contribuisce a spiegare come, assai frequentemente, sia i confini territoriali sia le circoscrizioni amministrative delle aree coloniali siano stati di fatto posti per la prima volta dai colonizzatori. 9 Interessanti sul problema della proiezione coloniale della metropoli le osservazioni di P. LEGENDRE, Histoire de l'administratiotl de 1 750 à nosjours, Paris, Presses universitaires, 1968, pp. 158 sgg., anche se svolte prevalentemente in riferimento all'esperienza vissuta dalla Francia. Nella dottrina italiana del diritto coloniale dell'età liberale, il problema suscitò un certo dibattito in ordine alla definizione stessa di colonia ed alla precisazione del rapporto tra madrepatria ed area colonizzata: cfr. M. L. SAGù, A lle origini della scimza. . . cit., pp. 580 e seguenti.


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popolazioni che li abitavano, sistemazione e definizion� a proposito delle quali si potrebbe rettamente parlare di regime transitorio., a ca1 0• . . gione della sua iniziale più o meno lunga provvisorietà delle to fallimen il dopo D'altra parte va anche sottolineato come, aspirazioni sulla Tunisia, l'abbandono del sogno interventista in Egitto e dopo i tristi insuccessi che avevano accompagnato la penetrazione nel corno d'Africa da Dogali ad Adua, a motivo pure dei fermenti antico­ lonialistici diffusi in certi settori della pubblica opinione esaltanti la politica del « piede di casa» e quella delle «mani nette», l'incertezza sulla colonizzazione dovesse riflettersi anche sulle scelte governative relative al tipo di regime cui assoggettare le popolazioni ed i territori conquistati. Scelte rese spesso difficili dalla carenza di conoscenze e di pratica delle società indigene la cui vita giuridica, sociale e religiosa, anche se descritta dagli esploratori e dai missionari, era spesso ignota agli italiani inviati in quelle zone con compiti di governo; questi, di fronte a strut­ ture tribali e ad istituzioni arcaiche di matrice genericamente feudale e frequentemente schiaviste, ritenevano spesso opportuno sollecitare il governo nazionale perché assumesse senza indugi la gestione diretta delle aree coloniali, superando le iniziali incertezze ed i molti tentenna­ menti che ne avevano caratterizzato la politica coinvolgendo autorità militari, residenti civili e signorotti locali più o meno cooperanti con l'Italia in un'amministrazione talvolta carente, talaltra caotica. ' Era necessario, però, che il complesso di Adua fosse superato, che la pubblica opinione nella sua parte più consapevole suffragasse l'iniziativa africana e che la classe politica uscisse dalla crisi che l'aveva dilaniata alla fine del secolo perché si giungesse alla formulazione di una più chiara e stabile impostazione del problema coloniale e degli strumenti giuridico-istituzionali con i quali avrebbe potuto essere affrontato. Gli attenti studi che Alberto Aquarone ha dedicato sia alle incertezze ed alle inquietudini qualificanti piuttosto negativamente la politica africana dell'Italia dopo Adua 11, sia all'assunzione da parte di Ferdinando Mattini

del governatorato dell'Eritrea 12 sia, soprattutto, al suo operato quale primo amministratore civile di quella colonia 13, hanno dato magistral­ mente il senso di questa fase difficile della nostra presenza oltremare e delle molte indecisioni che l'hanno caratterizzata. Indecisioni e difficoltà che, sul terreno legislativo, particolarmente qualificante per la definizione della normativa disciplinante la vita civile delle comunità indigene, si sono riflesse sul processo formativo della codificazione del diritto per la colonia Eritrea, giunto si a compimento nelle sue parti essenziali, ma restato senza pratica applicazione malgrado gli studi ed i progetti portati innanzi per ben sei anni da giuristi ed amministratori 14• Ed anzi nell'abbandono, o se preferiamo pessimistica­ mente, nel fallimento dell'ambizioso progetto legislativo e nella scelta, del tutto pragmatica e, quindi, assai più flessibile, di coordinare le tradizioni normative a base prevalentemente consuetudinaria dei nativi con principi della superiore giurisprudenza nazionale applicata dalle autorità di governo anche su base equitativa e discrezionale, emergeva quella sorta di amalgama giuridico destinato a regolare la vita civile della colonia Eritrea nel tempo e ad applicarsi, come modello, anche se non pedissequamente, alla Somalia, con risultati sostanzialmente idonei e, quindi, positivi 15• Evidentemente governando si imparava ad ammi-

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1 0 Sulla provvisorietà e l'incertezza dominanti la fase iniziale dell'espansione coloniale italiana la storiografia più autorevole concorda : cfr. al riguardo R. CIASCA, Storia coloniale. . cit., pp. 315 e seguenti. 11 A. AQUARONE, La ricerca di una politica coloniale dopo Adua. Speranze e delusioni fra politica ed economia, estratto da Opinion publique et politique extérieure, I, 1870- 1915. Colloque organisé par .

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l'Eco/e française de Rome et le Cmtro per gli studi di politica estera e opinione pubblica de l' Université de Milan, RoJJta, 13- 16 février 1980, Università di Milano-Beole française de Rome, 1981, pp. 295-327. Questo e gli altri saggi dello stesso A. AQUARONE sono stati ripubblicati in un volume unitario dal titolo Dopo Adtla : politica e amministrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di L. DE CouRTEN, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1989, (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 14). 1 2 A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua. Ferdinando Martini governatore in Eritrea, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1 975, 3 e 4, pp. 346-377 e 449-483. 1 3 A. AQUARONE, Ferdinando Martini e l'aJnJJIÙJistrazione della Colonia Eritrea, in « Clio», 1977, 4, pp. 341 e seguenti. 1 4 Sul tema cfr. adesso il bel saggio di M. L. SAGù, Sui tentativi di codificazione per la Colonia Eritrea, in «Clio», 1986, 4, pp. 567-616. 1 5 G. MoNDAINI, Il diritto coloniale italiano nella sua evoluzione storica (1882- 1939), in Studi di storia e di diritto in onore di Carlo Calisse, III, Milano, Giuffrè, 1939, pp. 15-36. Lo stesso giudizio sembra, sia pur con sfumature, confermato nelle altre opere di G. MoNDAINI, La legislazione coloniale italiana... cit., pp. 25 e sgg. ; ID., Manuale di storia e legislazione coloniale del Regno d'Italia, Roma, Sampaolesi, 1927, pp. 101 e seguenti. Opinione non molto diversa l'aveva espressa A. MoRI, L'estensione jor111ale dei codici e la loro applicabilità alla Colonia Eritrea, in Annuario del R. Ist. Orientale di Napoli (1917-18), Napoli, R. Istituto orientale, 1918, pp. 155-180.

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nistrare, assumendo nel contempo una consapevolezza ed una cono­ scenza delle situazioni e dei problemi che, all'inizio della nostra presenza africana, logicamente mancava! Ed insieme, quasi naturalmente, si apprendeva a far coesistere con gli strumenti amministrativi propri del dominio diretto, qualificanti vieppiù la politica coloniale dell'Italia in Africa, le strutture e le istituzioni che la prassi iniziale aveva mostrato essere maggiormente idonee alla vita civile delle aree assoggettate. I codici eritrei, con il loro travagliato processo formativo implicante lo studio delle consuetudini popolari e con la loro volutamente mancata applicazione causata dalla presa di coscienza del modo di essere e di vivere di una società incapace di concepire un sistema razionale di norme scritte, finirono, quindi, per una sorta di eterogenesi dei fini, col costituire una scuola per i nostri legislatori coloniali che compresero così come più opportuno fosse far coesistere insieme diritto nazionale, usi locali e prassi giurisprudenziale armonizzandone i diversi dettati in una gerarchia di fonti garantita dalla amministra­ zione italiana. Il governatore ed il giudice coloniale, ai quali erano trasmesse in ultima istanza le sentenze prodotte in virtù di questa apparentemente complessa simbiosi normativa, ne erano al tempo stesso gli esecutori ed i garanti ultimi: ed anche se il loro ruolo e la loro funzione parevano contrastare con i postulati della divisione dei poteri, esaltati dalla cultura europea, nel luogo e nel tempo ove operavano come rappresentanti dello Stato, non suscitavano a cagione dei loro poteri e del loro agire perplessità di ordine teorico-giuridico, ché la società coloniale non poteva davvero essere allora assimilata 1 a quella del continente antico per civiltà e cultura 6• Assai spesso la condanna della nostra esperienza coloniale viene fatta motivandola, sul terreno giuridico ed istituzionale, per l'auto­ ritarismo che avrebbe caratterizzato l'amministrazione italiana sin dall'età liberale: questa, con procedimenti discrezionali e sovente in apparente contrasto con i postulati del garantismo statutario, avrebbe imposto comportamenti, norme e procedure non rispondenti ai ca­ noni usati normalmente nella madrepatria. Tali comportamenti

avrebbero avuto il loro inizio con la mancata consultazione delle assemblee parlamentari da parte dell'esecutivo sulle modalità e sulle decisioni riguardanti l'acquisto delle stesse colonie, avvenuto sin dall'età liberale, senza il ricorso alle leggi formali necessarie, sec ndo i principi generali del diritto, per ogni tipo di modificazione, accre­ scitiva o diminutiva, del territorio dello Stato. Ciò che non si sa­ rebbe verificato per i possedimenti del mar Rosso, riunificati ed eretti � c �loni� Eritrea col decreto reale 1 o gennaio 1 890, né per la _ Somaha, 11 cu1 status colomale, sorto nei fatti a seguito delle con­ venzioni con i capi indigeni, mai ratificate dalle assemblee, venne sancito solo tardivamente ed in forma definitiva con la legge 5 aprile 1 9 8, n. 1 6 1 che le imponeva il nome, e neanche, nel periodo gio­ _ _ _ htt1ano, per la L1b1a. Il possesso italiano di queste venne sancito ancor prima della fine della guerra con la Turchia, da un decret legge del 5 novembre 1 9 1 1 , la cui legge di conversione, il 25 feb­ braio 1 9 1 2, ed ancor più, quella che autorizzava l'esecuzione del trattato di Losanna, il 1 6 dicembre 1 9 1 2, non ne ripetevano il con­ tenuto ma lo modificavano, mutando lo status territoriale della re­ gione passata dall'occupatio bellica alla soggezione totale alla sovranità dello Stato italiano. Fatti questi spesso ampiamente contestati, sia al momento della conquista sia successivamente, ma che avevano la loro spiegazione anche nella prassi statutaria autorizzante in pieno il governo a simili comportamenti ai sensi dell'art. 5 del testo al­ bertino la cui vasta portata, non soltanto di fatto, pareva concedere l'esercizio all'esecutivo di poteri e di funzioni che altrove spettavano . ai parlamenti 1 7 • Problemi centrali della colonizzazione africana ed anche questi ora oggetto di valutazioni contrastanti e di giudizi difformi non sempre positivi sul fine che li ispirarono e sui mezzi che implicarono, erano naturalmente quelli connessi al regime fondiario delle aree colonizzate ed alle scelte compiute dalla amministrazione italiana nella speranza

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17 S� 'ampio dibattito, svoltosi specialmente al tempo dell'impresa di Tripoli, intorno alla . legrttmuta della procedura usata per le annessioni e per la formazione dele colonie, cfr. ora G. CIANFEROTTl, Giuristi e 1110ndo accadel!Jico di fronte all'impresa di Tripoli, Milano, Giuffrè, 1984, pp. 70 e seguenti.

M. L. SAGù, Sui tentativi di codificazione... cit., pp. 615-616.

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o nell'illusione di favorire, con lo sviluppo economico .dei territori africani assoggettati, l'immigrazione di lavoratori nazionali 1 8• Le diffi­ coltà nella redazione dei catasti, fortissime ovunque ma specialmente in Eritrea dove l'operazione di predisposizione di essi, già avviata una prima volta nel 1 909, dovette essere ripetuta nel 1 926; i processi di demanializzazione delle terre e del loro incameramento da parte dello Stato, accusato oggi di aver leso assai frequentemente diritti soggettivi ed interessi consolidati dei sudditi coloniali; la determinazione degli indennizzi, limitata ai possessori di valido titolo od agli occupanti solo in virtù di uno stato di fatto riconosciuto per una presunzione consuetudinaria; il ricorso a concessioni in favore di coltivatori italiani e, talvolta, come in Libia, di indigeni particolarmente affidabili sul piano politico e produttivistico; l'espropriazione di proprietà, mediante confisca, a ribelli o, comunque, a persone o gruppi tribali ostili all'ordine costituito nelle colonie; e la creazione di poli di sviluppo agricolo, caratterizzati e qualificati da uno speciale assetto proprietario e gestionale in aree rese fertili dall'irrigazione mediante opere idrauliche (famosi, dopo i primi tentativi compiuti in Eritrea sin dal tempo di Ferdinando Mattini, saranno in Somalia quelli di Genale e del villaggio duca degli Abruzzi, terminati al tempo del governatorato di De Vecchi di Val Cismon agli inizi del regime fascista) 19 ; sono altrettanti aspetti,

ma non i soli, della politica agraria e fondiaria condotta dall'Italia in Africa. Politica che, se talvolta sbrigativamente ed approssimativamente, viene paragonata a quella perseguita da altre nazioni colonizzatrici, come la Francia, per le caratteristiche che la distinguevano e per le finalità che la dettavano, appare nella sua peculiarità e nella sua singolarità quando la si consideri dettata dall'aspirazione e dalla volontà di integrare i territori africani nella scelta economica e politica nazionale, sia pure in forma gradualistica e con estrema cautela, come imposto dalle diverse condizioni storiche e dalla particolare situazione etnica 20• Lo strumento per la realizzazione di questo disegno ed in genere il mezzo da utilizzare per l'amministrazione delle aree africane assog­ gettate doveva essere esercitato dalla speciale organizzazine burocra­ tica all'uopo creata. Un'organizzazione la cui istituzione procedette con lentezza e con qualche incertezza, dovute l'una e l'altra alla tardiva acquisizione da parte della classe politica di una precisa coscienza di un destino coloniale del paese, destino parallelo a quello di altre nazioni europee, e la cui formazione culturale e pratica molto risentì, specie all'inizio della vicenda africana dell'Italia, della impre­ parazione dei ceti dirigenti del paese nei confronti della somma dei problemi posti dall'espansione oltremare. Lo stesso ritardo nella creazione del Ministero delle colonie, il cui primo titolare fu il Bettolini all'indomani della conquista della Libia, nel 1 9 1 3, e nell'at­ tribuzione ad esso delle competenze fino a quel momento svolte dalla Direzione generale degli affari coloniali del Ministero degli esteri, spesso criticata per le sue carenze organizzative e funzionali, ne era una prova, ma non la sola 21 •

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1 8 li regime fondiario e l'assetto proprietario della terra nelle colonie è stato naturalmente

quello che ha maggiormente attratto allora l'interesse degli studiosi: cfr., per es., A. LATrES, Diritto e consuetudine nelfordinamento delle nuove terre italiane, Modena, Società tipografica modenese, 1913, pp. 60 e seguenti; G. MoNDAINI, Manuale di storia e legislazione... cit., passim. Tra gli scritti per le singole aree, cfr. A. Ascou, L'ordinamento fondiario per la Colonia Eritrea, in «Rivista di diritto civile», 1910, 2 e 3, pp. 195-230 e pp. 289-310; A. FRANZONI, Colonizzaziom e proprietà fondiaria in Libia. Con particolare riguardo alla religione al diritto ed alle consuetudini locali, Roma, Athenaeum, 1912; G. VENEZIAN, Proprietà fondiaria in Libia, Bologna, Zanichelli, 1912. Il tema, di importanza centrale per la determinazione degli obiettivi della colonizzazione, è stato oggetto di una larghissima serie di interventi di politici, studiosi e pubblicisti. Finita l'epoca coloniale di fatto non è stato più ripreso in esame dagli storici: rara eccezione al riguardo I. TADDIA, L'Eritrea Colonia : 1890- 1932. Paesaggi, strutture, uomini del colonialisnJO, Milano, Angeli, 1986, pp. 218 e seguenti. 1 9 É interessante notare come non siano mancate opposizioni da parte di singoli coloni, interessati ad una gestione individualizzata e proprietaria delle aree ottenute in concessione, ai tentativi, peraltro riusciti in molti casi, di creare questi poli di sviluppo agricolo a gestione e ad assetto particolare : cfr., ad es., per Genale i rilievi di C. M. DE VECCHI m VAL CisMON, Il quadru111viro scomodo, a cura di L. RoMERSA, Milano, Mursia, 1 983, pp. 107-108.

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20 Per una visione generale di questa politica ed insieme per uno sguardo a taluni aspetti caratterizzanti del colonialismo italiano del periodo, cfr. sempre l'insuperato volume di R. C!ASCA, Storia coloniale... cit., passitn, tuttora prezioso per la raccolta di dati e di informazioni sui diversi fenomeni. 21 L'istituzione del Ministero delle colonie avvenne con legge 6 luglio 1912, n. 749 e con decreto 20 novembre 1912, n. 1205. Importante, ai fini della conoscenza della sua prima organizzazione e dell'avvio della sua attività, la relazione allegata dal ministro Pietro Bertolini allo stato di previsione della spesa del Ministero delle colonie per l'esercizio 1 914-1915, presentato alla Camera dei deputati il 3 febbraio 1914, in Ministero delle colonie, OrdinattJetili della Libia {gennaio 1913-gennaio 1914), Roma, Bertero, 1914, pp. III e seguenti.


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Ché, infatti, nella prima organizzazione del govern� dei territori africani sul mar Rosso e sull'oceano Indiano si poteva notare quel senso di precarietà e di confusione rivelatore delle insufficienze iniziali della nostra amministrazione coloniale. E se talvolta, grazie agli sforzi ed all'attività di governatori e di funzionari capaci, queste insufficienze non apparivano in tutta la loro evidenza, pure la realtà amministrativa locale non era davvero brillante come lo stesso Martini, tra gli altri, reiteratamente aveva segnalato dalla sua sede eritrea e come, in verità solo raramente, sembravano comprendere gli stessi uomini di governo a Roma, distratti da altri problemi e non del tutto consapevoli del­ l'impegno necessario al paese per le sue colonie. Comunque un analogo ritardo si aveva anche nella formazione dei quadri destinati al loro governo ed alla loro amministrazione. Quadri, peraltro, piuttosto carenti anche dal punto di vista nume­ neo, come era naturale date le difficoltà di sistemazione, di am­ bientazione cui andavano incontro, la problematicità della loro si­ tuazione e dei rischi, anche personali, connessi alla loro attività. Problemi assai grandi che dovevano via via essere affrontati dallo Stato con la creazione e con lo sviluppo in loco di strutture ed attrezzature idonee a recepire ed a fare operare personale italiano, con la diffusione di un clima di tranquillità ed ordine nelle aree assoggettate e, quindi, con la preparazione e con l'addestramento di uno staff di funzionari destinati al governo ed all'amministrazione coloniale che, all'uopo incentivati e motivati, progressivamente in­ tegrassero e in parte almeno sostituissero nell'espletamento dei com­ piti meramente amministrativi i quadri militari largamente utilizzati nella fase iniziale della conquista, come si continuò a vedere all'e­ poca dell'impresa di Tripoli e, successivamente, al momento della conquista etiopica. Per fare ciò era, però, necessario compiere quell'opera di sensibi­ lizzazione del ceto intellettuale che i congressi coloniali, susseguitisi, anche se non frequentemente, dal 1 905 in poi, la fondazione dell'I­ stituto coloniale italiano, l'introduzione di corsi universitari adeguati alla preparazione di giovani interessati alla problematica relativa, portarono innanzi con un certo successo nei primi due decenni del secolo, diffondendo con risultati talvolta discreti, talaltra mediocri la conoscenza delle lingue, dei diritti, delle religioni, in una parola sola

della civiltà delle società assoggettate. Conoscenza ritenuta dai mi­ gliori indispensabile per l'amministrazione e le relazioni colle popo­ lazioni indigene, che non sempre veniva acquisita da coloro che quella amministrazione e quelle relazioni dovevano gestire ma che, per necessità obiettive o per incuria dei governanti, venivano inviati egualmente in Africa, senza un previo accertamento della loro ido­ neità e della loro preparazione. E se discreta pareva essere talvolta negli operatori coloniali del più alto livello l'acquisizione delle no­ zioni relative alla civiltà islamica nelle sue varie espressioni, ché da più tempo la cultura italiana di essa si era andata occupando con risultati non indegni, lo stesso non poteva affermarsi per quelle dell'Africa orientale di matrice diversa, nei confronti delle quali l'impreparazione e la scarsa conoscenza parevano largamente diffuse, data anche la carenza di docenti esperti del settore22• Nel tempo, comunque, l'amministrazione coloniale italiana si venne ad irrobustire ed i suoi quadri, malgrado il perdurare di certe carenze, sia numeriche sia funzionali, carenze peraltro largamente lamentate a livello locale ed in sede politica nazionale, parvero organizzarsi secondo una precisa distribuzione territoriale. Al vertice di questa, organo principale e supremo in ogni singola colonia, era il governa­ tore: nominato con decreto reale, e cioè senza interferenza parlamen­ tare, e direttamente dipendente dal ministro delle colonie, aveva attribuzioni vastissime, di natura sia squisitamente politica, e pertanto non suscettibili di ricorso amministrativo e di impugnativa giurisdi­ zionale, sia di carattere meramente amministrativo implicanti natu­ ralmente anche l'uso della potestà regolamentare. Si trattava di attri­ buzioni, però, variabili da colonia a colonia, e più vaste, quindi, per la Libia, di recentissima acquisizione, ove molti provvedimenti, per la loro portata esclusivamente politica, necessitavano l'autorizzazione

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22 Sul tema resta essenziale lo studio di A. AQUARONE, Politica estera e organizzazione dei consenso nell'età gioiìttiniana. Ii congresso dell'As111ara e la fondazione dell'Istituto coloniale italiano, in « Storia contemporanea», 1977, 1 , pp. 57-1 1 9 ; 2, pp. 291-334 e 3, pp. 549-570. Utile natural­ mente anche il saggio di M. L. SAGù, A lle origini della scienza... cit., pp. 566 e seguenti. Differenti le interpretazioni e le valutazioni di G. CIANFEROTTI, Gi11risti e 1/JOtJdo accademico. . . cit., p p . 1 1 6 sgg., ma, i n genere, passim.

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del m1mstro per l'esecuzione. Assistito nell'espletamen,to deile sue funzioni da organi a lui subordinati i cui uffici direttivi erano. logi­ camente affidati a funzionari o militari italiani (la presenza di . questi nell'amministrazione coloniale sarà una nota costante della nostra storia africana), il governatore utilizzava in Libia, ove più alto era il livello di vita e di cultura delle popolazioni indigene, anche dei consulenti locali nominati dal ministro delle colonie, che richiedeva loro pareri od affidava loro singoli incarichi. Ogni colonia era divisa in regioni cui venivano preposti dei com­ missari, otto per l'Eritrea e per la Somalia, diversi anche per la Tripolitania e la Cirenaica, le due aree nelle quali sin dall'inizio si esercitò l'amministrazione italiana della Libia, originariamente non unificata a causa della somma di problemi ancora aperti malgrado la fine del conflitto con la Turchia. Le regioni coloniali erano ulte­ riormente suddivise: lo schema seguito per l'Eritrea, che prevedeva residenze e viceresidenze, rette da residenti o viceresidenti, talvolta assecondati da capi indigeni, scelti tra i più ascoltati nelle tribù e nei gruppi demici locali, ancorché ripetuto nelle linee essenziali per l'ordinamento della Somalia, non venne seguito per la Libia. Ché, infatti, il decreto 1 5 gennaio 1 914 suddivideva le regioni in circon­ dari, e questi, a loro volta, in distretti, sia urbani sia rurali, riparti­ bili i primi in quartieri e frazioni, i secondi in villaggi o anche in nuclei di popolazione, non organizzati territorialmente a causa della presenza di tribù beduine, non sedentarie ma nomadi. Era possibile riscontrare qualche analogia tra i distretti ed i comuni del regno, e tra le regioni ed i circondari e le prefetture e le sottoprefetture, analogia che pareva per certi caratteri prefigurare il successivo or­ dinamento provinciale della « quarta sponda» stabilito nel ventennio fascista in funzione della sua totale assimilazione ed equiparazione alle provincie della madrepatria. Larga parte era stata concessa al­ l' elemento indigeno nelle amministrazioni locali: dal consiglio, me­ ramente consultivo, nelle regioni, al delegato nei circondari, al sin­ daco ed agli assessori nei distretti, ed al consiglio consultivo in queili urbani, l'amministrazione italiana ricorreva spesso a personalità ed a notabili locali, controllati, però, da intendenti e da agenti nazionali operanti sotto la direzione del governatore e, sempre,

nominati dall'alto, escludendosi tassativamente il prine1p10 elettivo, come era ovvio, data la situazione creata dalla conquista ed il per­ durare dell'opposizione e della resistenza alla colonizzazione23• Comunque se nell'organizzazione territoriale e nell'amministrazione civile delle colonie africane alla vigilia della prima guerra mondiale si potevano individuare le linee essenziali di un processo di assestamento amministrativo tendente all'integrazione delle aree assoggettate alla madrepatria ed all'utilizzazione di taluni canoni tradizionalmente usati in quella (gli schemi circoscrizionali, le gerarchie di organi e l'accen­ tramento burocratico e governativo ne erano la prova), sul terreno dell'organizzazione giudiziaria le soluzioni furono diverse. E ciò perché l'amministrazione della giustizia nelle colonie era necessariamente ob­ bligata dalle circostanze ad una certa osservanza dei sistemi e dei metodi nel corno d'Africa piuttosto arretrati, in Libia alquanto diffe­ renti da quelli della civiltà giuridica europea, ai quali era assuefatta la popolazione indigena, osservanza che impediva l'introduzione di una legislazione, di una giurisdizione e di una procedura unica per i citta­ dini colà residenti e per i sudditi coloniali. E se la colonizzazione poteva creare ex novo un'amministrazione del territorio fondata su circoscrizioni di nuovo conio, inesistente perché estranea agli antichi potentati indigeni del corno d'Africa, l'idea di una vera delimitazione delle aree a fini burocratico-pubblicistici e scarsamente utilizzabile quella degli antichi vilcryet turchi di Libia, incerti e precari nei loro confini specie verso l'interno, l'istituzione di un ordinamento giudi-

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23 Su tutto ciò cfr. soprattutto G. MoNDAINI, La legislazione coloniale italiana. . . cit., passi111, oltre, naturalmente, la somma dei manuali e degli scritti di diritto coloniale italiano, ampiamente descrittivi della realtà istituzionale e normativa : tra questi utili idicazioni si possono ancora ricavare, ad es., da A. MoRI, Manuale di legislazione della Colonia Eritrea, Roma, « L'Universelle», 1 914-1915 e da C. RossETTI, Manuale di legislazione della Somalia italiana, Roma, Tipografia dell'Unione editrice, 1912-1914 (manuali coloniali pubblicati a cura del Ministero delle colonie) ; di notevole interesse, evidentemente, dato il livello intellettuale e culturale dell'autore, è il testo di S. RoMANO, Corso di diritto coloniale, I, Roma, Athenaeum, 1918. È interessante osservare come questi ritenesse talmente importante, per la qualificazione dello Stato, la proiezione coloniale da dedicare parte del suo Il diritto pubblico italiano, scritto al tempo della conquista libica e del primo assetto della colonia, a Le Colonie (pp. 431 e seguenti).

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ziario valido per tutti i suoi destinatari non era assolutame�te pehsabile, per le difformità di civiltà, di cultura e di sensibilità giuridica24• Di qui la distinzione tra due categorie di destinatari dell'amministra­ zione della giustizia ai flni della determinazione della competenza degli organi ad essa preposti. Organi che, nel caso di cittadini italiani e stra­ nieri ad essi assimilati, erano naturalmente considerati parte del potere giudiziario ed erano organizzati, come si evinceva, ad esempio, dall'or­ dinamento fissato ad hoc nel 1 908 per l'Eritrea, in base ad una scala che vedeva, secondo l'entità del valore della causa civile o la gravità del reato o della contravvenzione, competenti i conciliatori, il giudice della colonia, il Tribunale della colonia, la Corte d'assise, mentre l'avvocato della colonia esercitava insieme le funzioni di pubblico ministero e di giudice istruttore. Era naturalmente sempre ammesso, per le cause civili di maggior valore e per quelle penali, il ricorso sia alla Corte d'appello di Roma per motivi di fatto, sia alla Corte di cassazione per motivi di diritto, e ciò per garantire e mantenere l'unità del sistema giudiziario nazionale anche nei confronti di fatti o reati decisi oltremare. I sudditi indigeni, la giustizia nei confronti dei quali era considerata un fatto di natura meramente amministrativa e, quindi, non rientrante nel potere giudiziario, erano assoggettati alle competenze dei capi indigeni e dei commissari regionali in prima istanza, a seconda si trattasse di causa civile o di reato, del Tribunale del commissariato o del governatore, per le contro­ versie di maggior valore economico o per i reati di maggior gravità nel primo caso, nel secondo come ultima istanza 25• Sistema naturalmente non dissimile fu introdotto nel 1 9 1 1 anche in Somalia, ove meno precisa restava, però, sul piano formale, la

distinzione tra nazionali ed indigeni ai fini della determinazione della competenza degli organi giudicanti, salvo che nei primi gradi, ove operavano per i soli nativi i cadì ed i Tribunali indigeni, secondo un modello destinato ad essere ripreso, nel biennio successivo alla con­ quista, anche in Libia 26• Grande problema del sistema giudiziario coloniale, e determinante la stessa sua organizzazione, era naturalmente quello della utilizzazione di diritti estranei alla tradizione nazionale, da quelli a base prevalente­ mente consuetudinaria praticati largamente nel corno d'Africa a quello islamico, il solo effettivamente recepito nella sua complessità, anche se non sempre sufflcientemente noto agli organi preposti alla giurisdizio­ ne. Il ricorso a tali diritti era ammesso dalla legislazione italiana in loco, ma ciò creava non poche difflcoltà di accertamento e di applica­ zione, malgrado l'impiego di elementi locali che, conoscendoli, avreb­ bero dovuto favorirne l'applicazione nei giudicati. Spesso l'ammini­ strazione italiana, non ravvisando nelle consuetudini indigene od in altre normative incerte ed arcaiche usate dalle tribù e dai gruppi demici locali elementi idonei a trarne decisioni precise e motivate, cercava di dare ai propri giudicati una base sostanzialmente equitativa, traendo naturalmente la propria visione dell'equità, forse in modo talvolta superficiale, dai principi generali ispiratori del diritto nazion�l�, a_nch� a costo di non farsi sempre comprendere ed apprezzare dagh md1gem assuefatti ad un altro tipo di giustizia, sicuramente più arretrato ma certo ad essi più vicino. Diverso il problema per il diritto islamico, come si è già accennato. Diffuso, anche se non molto, in certe aree costiere dell'Eritrea, larga­ mente utilizzato in Somalia e, naturalmente, costituente la legge della assoluta maggioranza della popolazione libica, ché l'impiego di quella mosaica era ristretto alle sole comunità ebraiche ed ai loro tribunali rabbinici, prevalentemente per taluni rapporti di natura personale o familiare, il diritto islamico aveva di fatto, per il suo carattere completo e per la sua natura scritta, maggior considerazione e rispetto

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24 Sul tema cfr., tra gli altri, G. CrAMARRA, La giustizia nelle colonie, Discorso tenuto in Mogadiscio per l'inaugurazione dei lavori della Corte d'Assise e de/tufficio del giudice, Napoli, Giannini, 1912; D. SANTII,LANA, La giustizia nelle Colonie. Relazione della VII Sezione della Commissione del dopoguerra. (Quistioni Coloniali), Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1919, pp. 139 e seguenti. 25 R.d. 2 lug. 1908, n. 325, modificato con r. d. 21 mag. 1912, n. 781. Su tale ordinamento, cfr. L. TROMPEO, in «Rivista di diritto civile», 1 912, 6, pp. 650-651 ; A. Pollera, L'ordinatnento della giustizia indigena e la procedura indigena nell'Etiopia e nella Colonia Eritrea, Roma, Bertero, 1913; M. LIBONATI, Relazione Slli!'atJJJJJinistrazione della giustizia in Eritrea dal 2 luglio 1908 al 3 1 dicembre 1916, Asmara, Stabilimento tipografico coloniale, 1918.

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26 R.d. 8 giugno 1911, n. 937. Da vedere G. CrAMARRA, La giustizia nella Somalia, Napoli, Giannini, 1914.


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da parte delle autorità coloniali che lo lasciavano applicare largamente nei rapporti civili e nei giudizi senza imporne l'alterazione dei suoi dettati normativi se non in quanto contrastanti con l'ordine ubblico. Ciò che giustificò anche in Libia il formarsi, all'assestamento della colonia dopo la conquista, di quel duplice sistema di giurisdizione sperimentato soprattutto in Somalia, ed ora perfezionato ed in certa misura completato27• Amministrazione e giurisdizione dovevano, dunque, operare tenendo necessariamente conto di una realtà umana complessa e diversa, di una popolazione, cioè, delle aree assoggettate oltremare nei confronti della quale doveva essere precisata la natura del rapporto personale dei suoi componenti con lo Stato colonizzatore. Di qui il complesso problema dello status, ossia del vincolo di sudditanza con la madrepa­ tria conquistatrice, riconosciuto agli abitanti delle colonie, status diffi­ cilmente assimilabile a quello di cittadini, definito negli anni della conquista libica da una delle più importanti leggi dell'Italia liberale, quella sulla cittadinanza del 1 3 giugno 1 9 1 2, n. 555, ed allora spesso richiamato semplicisticamente e schematicamente al fine di costruire un parallelo tra le due condizioni. Tra queste, in realtà, vi era una profonda differenza, sia a causa della mancata concessione ai sudditi coloniali dei diritti politici spettanti ai nazionali, sia, ancora, per la specialità delle norme che riguardavano le persone ed i rapporti di diritto privato dei primi, norme spesso riferibili alle normative locali, consuetudinarie o scritte, vigenti od

utilizzate prima della conquista, sia, infine, perché la qualità di suddito coloniale non era determinata con disposizioni identiche per tutte le colonie, ma era fissata in forma diversa secondo le varie popolazioni. E se per l'Eritrea o la Somalia si faceva riferimento all'appartenenza « a tribù o stirpi» della colonia 28, per la Libia, ove esisteva sotto il dominio turco una sorta, sia pur embrionale ed incerta, di stato civile, si poteva parlare di «suddito libico »29, riflettendosi in questa difformità definitoria l'impostazione di una differente politica indigena perseguita, sul terreno istituzionale, dall'Italia liberale. Politica che nei confronti dei territori posti sul mar Rosso e sull'o­ ceano Indiano tendeva a differenziare profondamente lo status delle popolazioni native da quello dei cittadini, nella consapevolezza del differente livello delle loro condizioni di vita, di civiltà e di cultura, mentre nelle aree mediterranee prospettava, almeno in linea di tenden­ za, l'ipotesi di una futura assimilazione dei libici, numericamente scarsi e sparsi su regioni vastissime, al contesto italiano. La visione di Amendola, ministro delle colonie all'indomani del primo conflitto mondiale, e deciso assertore della necessità della d­ conquista del territorio abbandonato nel corso del conflitto e della sua totale pacificazione civile, ne costituiva la prova 30 •

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27 R.d. 20 marzo 1913, n. 289, modificato con d. 4 gennaio 1914, n. 1 1 . Da vedere G. LA RoccA, Sull'atnministrazione della giustizia in Tripolitania in «Rivista di diritto pubblico», 1912, I, pp. 191 e seguenti ; W. CAFFAREL, Giurisprudenza coloniale della Corte d'Appello per la Libia (1915-1919) : Diritto coloniale. Diritto islamico. Consuetudini libiche. Sistemazione dei servizi giudiziari. Governo della Tripolitania, Tripoli, Giannini 1920. Per uno sguardo d'insieme sull'intera problematica della giustizia coloniale cfr. Io., Il giudice secondo gli ordinatnenti coloniali dell'Eritrea, della So111alia e della Libia, in « Rassegna coloniale», Tripoli 1920. Per uno sguardo d'insieme sull'intera problematica della giustizia coloniale cfr. ID., Il giudice secondo gli ordinamenti coloniali dell'Eritrea, della Somalia e della Libia, in «Rassegna coloniale», Tripoli 1921 , pp. 17-18, 247 e seguenti. Estremamente interessante ora il saggio di P. SARACENO, La tJJagistratura coloniale italiana ( 1886- 1942) in I magistrati italiani dall' Unità al fascismo, studi biografici e prosopografici, a cura di P. SARACENO - F. GRISPO - F. ScALAMBRINO, Roma, Carucci, 1 988, pp. 225 e seguenti.

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28 Sullo status di suddito coloniale per l'Eritrea cfr. l'art. 2 r.d. 2 lug. 1908, n. 325; per la Somalia l'art. 2 r.d. 8 giu. 1 9 1 1 , n. 937. 29 Il r.d. 6 apr. 1913, n. 315 attribuisce al libico la qualifica di suddito italiano anziché di suddito coloniale, dando, così, un senso diverso, anche se inizialmente solo sul piano formale, alla posizione dei nativi della Tripolitania e della Cirenaica. 30 È questo il contesto nel quale debbono essere valutati i cosiddetti statuti libici del 1919, documenti costituzionali concessi dall'Italia a garanzia di una certa autonomia della colonia nordafricana e di uno status particolare di cittadinanza agli indigeni. Con atto di indiscusso liberalismo l'Italia dava una base legale, di natura costituzionale almeno sul piano formale, al peculiare rapporto che la univa alla Tripolitania ed alla Cirenaica nel momento in cui tendeva ad avviare, con il recupero del controllo sul territorio e sulla sua popolazione, il processo di integrazione e di assimilazione di questi alla madrepatria. Statuti giudicati variamente nel tempo, come testimonianza di un compromesso coloniale in attesa di un rafforzarsi della sovranità italiana (R. C!AscA, Storia coloniale. . . cit., pp. 469-470) o come saggia scelta politica in vista dell'avvio dell'assetto libico verso la forma del protettorato, ritenuta migliore di quella del diretto dominio (G. MAsi, Colosimo Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1982, XXVII, pp. 472 e seguenti). Impor­ tanti i giudizi di R. DE FELICE, Atnendola ministro delle colonie in Giovanni A mendola nel


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L'avvento al potere del fascismo, al di là di certi atteggiamenù più energici ed autoritari dei suoi esponenti inviati nelle colonie come rappresentanti nazionali (i comportamenti di Volpi in Libia 31 e di De Vecchi in Somalia 32 erano destinati pur nella loro differenza ad apparire emblematici di un nuovo stile, talvolta retorico e spesso gradasso, naturalmente poco accettato dai nativi), non ha, però, sostanzialmente mutato la politica perseguita dall'Italia liberale in Africa, almeno fino a quando la conquista dell'impero etiopico non alterò, per la sua vastissima dimensione territoriale e per la complessa problematica etnica che ne scaturiva, i termini dell'intero problema. Ché fino allora una linea di continuità effettiva si poté intravedere nella riaffermazione e nel consolida­ mento del potere italiano nelle colonie e nella sua gestione tendente, talvolta in forma estremamente energica e con mezzi destinati poi ad essere giudicati eccessivamente duri, all'attuazione di quei piani di pacillcazione civile dei territori e delle popolazioni, già concepiti ed avviati sin dal finire dell'età liberale, all'indomani della conclusione del primo conflitto mondiale. Il completamento della riconquista della Libia e l'avvio del processo di normalizzazione di quella regione, l'integrazione dell'Oltregiuba, ceduto dalla Gran Bretagna all'Italia, nel contesto coloniale dell'Africa orientale e l'acquisizione da parte dello stesso Mussolini di una co­ scienza più chiara del ruolo esercitato sia dallo Stato, sia dai coloni, nel processo di colonizzazione vieppiù concepito come strumento per dare lavoro e terra alla sovrabbondante popolazione italiana, caratte­ rizzarono l'avvio della politica africana del fascismo 33 • Politica le cui direttive espansive sembravano seguire quelle precedentemente fissate dall'Italia liberale sul piano territoriale, perché abbracciavano l'Africa

settentrionale e quella orientale ed i cui obiettivi civili ricalcavano l'idea di un'assimilazione al contesto nazionale della Libia ed invece di una differenziazione nel regime imposto all'Eritrea ed alla Somalia, sulla scia di un programma definito, sia pur genericamente, sin dai tempi di Giolitti. Era chiaro, però, che nella fase della riconquista della Libia e della normalizzazione dell'assetto coloniale, largo spazio dovette essere fatto ai militari che praticamente assunsero la gestione amministrativa del territorio nordafricano con il governatorato di Badoglio tra il 1 928 ed il 1 934 ma che, a causa degli errori e delle efferatezze che contraddi­ stinsero il comportamento di Graziani, durante la repressione antise­ nussita in Cirenaica, scavarono un solco non facilmente superabile con certi settori della popolazione libica. Fu solo col governatorato di Balbo, a partire dal I934, che tale solco poté essere in gran parte colmato, anche per la totale riorganiz­ zazione del governo e dell'assetto del territorio nordafricano, riorga­ nizzazione che apriva, di fatto, la via ad un più accelerato processo di assimilazione e di equiparazione della Libia alla madrepatria, secondo l'antico programma concepito dall'Italia 34• « L'ordinamento organico per la Libia», dettato infatti in quello stesso anno, dando effettiva unità al paese con la fusione in una sola colonia di Tripolitania e Cirenaica ed assegnando ad essa una relativa autonomia politica ed amministrativa ed un'innovata amministrazione giudiziaria, aveva il merito di estendere alla « quarta sponda», entro certi limiti, la legislazione italiana e di applicarvi nel contempo, con le varianti imposte dalle circostanze diverse, gli schemi provinciali nazionali, con la sola eccezione del territorio militare del Sud, ossia delle aree sahariane dell'interno de­ sertico, per lo più popolate da nomadi o beduini35•

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cinq11antenario della morte: 1926- 1976, Roma, Fondazione L. Einaudi, 1976, pp. 1 61 e se�uenti : . . Sul tema da vedere anche C. FILESI, Giovanni A mendola e la q11estione cirenaica m «Rivista d1 Studi politici internazionali», 1 977, 1, pp. 77 e seguenti; ID., La Tripolitania nella politica coloniale di Giovanni A mendola, in «Africa», 1977, 4, pp. 517 e seguenti. 31 S. RoMANO, Gi11seppe Volpi: ind11stria e finanza da Giolitti a M11ssolini, Milano, Bompiani, 1979. Sui problemi connessi alla conquista della Libia si veda ID., La q11arta sponda, Milano, Bompiani, 1977. 32 Un pesante giudizio sul comportamento di De Vecchi in Somalia ora in L. GoGLIA, Sulla politica coloniale fascista, in « Storia contemporanea», 1988, 1 , p. 39. 33 Ibid., pp.38 e seguenti.

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34 Di notevole importanza lo studio di C. G. SEGRÈ, L'Italia in Libia. Dall'età giolittiana a Gheddafi, Milano, Feltrinelli, 1978. 35 R.d.l. 3 dicembre 1934, n. 2016, Ordinamento organico per la Libia. Per comprendere la portata e la finalità di questi provvedimenti vale la pena di rifarsi alla letteratura dell' ��oc� : tra questa cfr., per la situazione precedente, A.RAVIZZA, Gli ordinamenti gi11ridici della Ltbta, 1n La Libia in venti anni di occupazione italiana, Roma, «La Rassegna italiana», 1 932, pp. 94 e seguenti, e, per quella creata nel 1 934 la sintesi di M. LA ToRRE, L'ordinamento amministrativo delle nostre colonie, estratto da « Gerarchia», 1935, 5, pp. 94 e seguenti.


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Si può discutere se questa utilizzazione di schemi provip.ciali nazio­ nali, implicante la determinazione di circoscrizioni territoriali estranee alla tradizione passata e gravitanti intorno a capoluoghi resi s �lo · per decisione del potere il fulcro della vita amministrativa, economica e sociale dell'area circostante, rispondesse o meno alle esigenze locali o se, invece, avesse solo il significato di omologare la « quarta sponda» all'amministrazione civile della madrepatria in vista di una sua rapida fusione con essa. Si può altresì dibattere sulla effettiva funzionalità per le nuove provincie libiche della loro sottoposizione a strumenti e mezzi di governo assai simili, se non identici addirittura, a quelli della madrepatria, avvenuta quasi sottovalutando la diversità storica, ambientale ed umana delle due aree. Non si può, però, negare, e le fonti sembrano attestare l'assimilazione essere stata lo scopo fmale perseguito da Balbo in nome del governo nazionale ed anche precorrendone talvolta i disegni, come l'intera ope­ razione di determinazione dell'assetto e dell'amministrazione delle nuove provincie libiche rispondesse al generale progetto di omologazione di esse alla madrepatria in funzione di una crescente, massiccia immigra­ zione italiana, immigrazione che, in una visione eccessivamente ottimi­ stica delle possibilità e della ricettività di quel territorio nordafricano, avrebbe addirittura dovuto alterare la proporzione numerica della sua popolazione facendo degli immigrati la maggioranza di questa 36. In simile contesto si inquadrava l'abolizione dell'antica distinzione tra cittadinanza metropolitana e non metropolitana che portava innanzi il processo di integrazione dei nativi libici ai quali era concessa, ove fossero in possesso di determinati requisiti, una speciale forma di cittadinanza: ciò che avrebbe potuto rappresentare nel tempo un im­ portante passo verso un'amalgama nelle condizioni civili delle due stirpi destinate a convivere nell'ambito della stessa realtà politica ed amministrativa. Ma questo programma di fusione era destinato a subire una battuta d'arresto col subentrare della nuova infausta politica raz­ ziale del regime fascista contro la quale vanamente sembra essersi battuto lo stesso governatore Balbo. Un provvedimento dell'inizio del

36 Sull'operato di Balbo cfr. ora C. G. SEGRÈ, Italo Balbo, Bologna, Il Mulino, 1988.

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1 939, infatti, sull'aggregazione delle provincie libiche all'Italia e sulla concessione ai libici musulmani di una forma di cittadinanza speciale37, e dal punto di vista dell'organizzazione territoriale e della sistemazione amministrativa rappresentava un'ulteriore mossa verso l'assimilazione totale alla madrepatria della «quarta sponda», sul terreno della politica nei confronti dei nativi segnava in certa misura un passo indietro e contrastava nettamente con quanto fino a quel momento si era concepito e fatto. Escludeva infatti gli ebrei libici dalla speciale citta­ dinanza prevista per i nativi, declassava quest'ultima ad uno status personale di seconda categoria rispetto a quello sancito per i nazionali e, soprattutto, ne limitava ulteriormente la facoltà di acquisto, restrin­ gendo i requisiti previsti per attenerla e stabilendo la necessità di una domanda degli interessati all'autorità amministrativa italiana che avreb­ be discrezionalmente potuto o concederla o negarla. In questo modo, discriminando la collettività ebraica di Libia in nome della ideologia razzista e ponendo in una condizione di inferiorità legale quella musulmana, la nuova politica indigena del fascismo nella « quarta sponda», a parte ogni valutazione di carattere etico-giuridico, si poneva in aperta contraddizione con la linea di condotta tuttora perseguita dall'Italia relativamente all'assetto territoriale ed ammini­ strativo. Da un lato, infatti, si giungeva ad un passo dalla totale assimilazione della Libia alla madrepatria per quanto atteneva al suo assetto istituzionale, dall'altro, invece, si apriva la via ad un'organizza­ zione demica di carattere discriminatorio sul piano razziale il cui risultato ultimo avrebbe anche potuto essere una sorta di apartheid, reso più assurdo dalla percentuale estremamente scarsa dei discriminati, non soltanto nell'intero contesto nazionale nel quale i libici venivano integrandosi, ma anche rispetto allo stesso numero di italiani con i quali, progredendo l'immigrazione nazionale nella « quarta sponda » secondo i piani prefissati, quelli avrebbero dovuto vivere38•

37 R.d.l. 9 gen. 1 939, n. 70, Aggregazione delle provincie libiche al territorio del Regno d'Italia e concessione ai libici !IJusulmani di una cittadinanza speciale con statuto personale e successorio musulmano. 38 Fondamentale appare al riguardo il volume di R. DE FELICE, Ebrei in 1111 paese arabo. Gli ebrei nella Libia conte!ltporanea tra colonialismo, naziona!is!IJo arabo e sionis!IJo ( 1835- 1870), Bologna, Il Mulino, 1978, che sottolinea le conseguenze della politica antiebraica del regime in Libia (partic. pp. 259 e seguenti).


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Diverso, naturalmente, l'ordinamento del territorio e la normativa sullo status della popolazione dell'Africa orientale italianà, compren­ dente dal 1 936 anche l'Etiopia, e differente, quindi, anche il tipQ di . giudizio che di queste esperienze della più tardiva colonizzazione fascista e delle istituzioni che l'hanno caratterizzata si può dare39• Se per la Libia, infatti, malgrado gli errori e le deviazioni imposte dalla politica razzista all'ultima fase della dominazione italiana, è sempre possibile verificare la progressiva tendenza alla assimilazione ed alla fusione con la madrepatria (d'altra parte le inique discriminazioni razziali avevano colpito in primo luogo la minoranza ebraica della penisola rendendo in certa misura, se non del tutto simile, certo abbastanza affine la condizione degli ebrei cittadini metropolitani o sudditi libici non considerati razzialmente optimo iure) 40, per le colonie dell'Africa nera il processo di differenziazione nell'organizzazione ter­ ritoriale, nello status delle persone e, più in generale, nella politica indigena dell'Italia colonizzatrice, restava una costante, anche se ac­ compagnata, dopo la conquista dell'impero, da qualche variabile di nuovo conio. Ché, infatti, la stessa Italia liberale l'aveva impostato alla stregua, peraltro, di molte altre potenze coloniali dell'epoca ed il regime fascista, dopo il suo avvento, pur con lo stile più aspro e duro che gli era proprio, l'aveva portato innanzi muovendo dalla premessa della superiorità civile e culturale dei colonizzatori rispetto ai coloniz­ zati, dal convincimento di una missione civilizzatrice da compiere nelle aree assoggettate e dalla considerazione dell'impossibilità di assimilare al contesto nazionale territori e popolazioni posti a migliaia di chilo­ metri dalla madrepatria 41•

Così sul terreno istituzionale, l'assetto delle colonie dell'Africa ' orientale, ancor prima della conquista etiopica, non era stato troppo mutato dal governo mussoliniano, che si era limitato ad omologare tra loro gli ordinamenti dell'Eritrea e della Somalia, eliminando le differenze derivanti dal diverso modo col quale era stato gestito sin dalla loro formazione il potere nelle due colonie e a dar loro una struttura rigidamente centralistica di organizzazione amministrativa e giudiziaria, anche in vista della successiva espansione della domina­ zione italiana sull'acrocoro abissino. Era questo il senso della legge organica 6 luglio 1 933, n. 6, istitutiva di organi di governo comuni per l'Eritrea e la Somalia, e del d. L 1 7 gennaio 1 935, n. 42, che le poneva sotto la giurisdizione di un solo alto commissario per le colonie dell'Africa orientale italiana, destinato dal 1 937 a dipendere diretta­ mente dal Ministero dell'Africa italiana, organo sostitutivo dell'antico Ministero delle colonie42• La razionalizzazione organizzativa del potere e delle circoscrizioni territoriali non si accompagnava, però, ad un mutamento dello status dei sudditi coloniali : ché la politica indigena italiana nell'area non venne a modificarsi, mantenendo una netta di­ stinzione tra la cittadinanza metropolitana e la sudditanza coloniale, anche in funzione della normativa destinata ad applicarsi nei rapporti civili e nei procedimenti giudiziari interessanti variamente le due categorie di soggetti, secondo la prassi risalente all'età liberale43• In questo contesto si giunse alla conquista dell'Etiopia ed alla proclamazione dell'impero, vero apogeo del regime mussoliano anche

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39 Sul tema da vedere soprattutto il recente studio di F. GRISPO, Suffa politica indigena nell'Africa Orientale italiana, in «Clio», 1983, 2, pp. 1 89 e seguenti. 40 R. DE FELICE, Ebrei in t/11 paese arabo... cit., pp. 259 e seguenti. Dello stesso autore si veda, naturalmente, anche la Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 19884, pp. 375-379. 41 La stessa giustificazione teorica del diritto coloniale come branca separata e speciale dell'intera materia giuridica, riposava sulla concezione della differenziazione territoriale e per­ sonale delle colonie e dei loro abitanti dalle aree metropolitane e dai cittadini in queste residenti. Se ne ha la prova seguendo la storia della disciplina stessa ed analizzandone i maggiori e più diffusi testi pubblicati durante il periodo fascista. Cfr., ad es., A. MALVEZZI, Ele!IJeJiti di diritto coloniale, Padova, CEDAM, 1 928; M. MININNI CARACCIOLO, Linea1nenti di

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diritto coloniale, Napoli, Sezione Ed. G.D.F. napoletano, 1930 ; E C crNOTTA, Diritto coloniale italiano Roma Società Ed. del « Foro italiano», 19332; G. C!AMARRA, Corso di diritto coloniale. Sunto effe lezioni, Napoli, Sezione Ed. G.D.F. Napoli, 1 936 ; R. SERTOLI SAus, Nozioni di diritto coloniale, Milano, Biazzi, 1 938. Da vedere al riguardo, ovviamente, G. MoNDAINI, Il diritto coloniale italiano nella sua evoluzione storica ( 1882- 1939) , Milano, Giuffrè, 1940. 42 Su questa razionalizzazione organizzativa, oltre lo studio di M. LA ToRRE, L'ordinamento giuridico... , cit., e le indicazioni di A.Prccrou, La Nuova Italia d'Otrei!Jare, Mi ano-_Yeron�, Mondatori, 1935, II, passim, e di R. CIAscA, Storia coloniale... cit., contemporanei agli eventi, mancano studi recenti. Il che sembra doversi addebitare a quella sorta di pesante condanna dell'esperienza coloniale che, dominando la nostra cultura attuale, di fatto ha ostacolat� f11_1ora ogni ricerca storica valida sul tema. Il Ministero dell'Africa italiana sostituì nella denomrnazrone e nelle competenze quello delle colonie, a sensi del r.d. 8 aprile 1937, n. 431 . 43 Cfr. al riguardo quanto scrive F . GRISPO, Sulla politica indigena. . . cit., pp. 250-251 .

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per il consenso collettivo di cui la vittoriosa impresa venne circ�ndata . da un'opinione pubblica che considerava l'espress10ne calamai al fulcro della politica estera del paese ed insieme la via per la solu�1pne dei problemi dovuti alla sua sovrappopolazione. Si esaltò allora il ruolo del partito nazionale fascista nelle colonie ed ancor oggi si par a di questo come di un elemento caratterizzante e singolare della doml­ nazione italiana in Africa sia dal punto di vista ideologico che da quello organizzativo 44. In realtà l'azione degli organi e delle istituzioni del partito nelle colonie, al di là della loro funzione naturalmente aggregante dell'elemento nazionale ivi residente, della azione di pr�­ . paganda e di formazione del consenso al potere svolta �ra 1 colom, . e del tentativo di controllare, inquadrandola nelle sue spec1ah strutture organizzative, limitati settori della popolazione indigena, per ottenere fedeltà e per trarne elementi da inserire come subalterni nei ruoli amministrativi e nell'inquadramento delle truppe indigene, non andò oltre il mero supporto agli organi statali in loco. Accadde anche, e non tanto raramente, che nelle stesse persone si confondesse la duplice funzione di funzionario coloniale e di gerarca del partito, e ciò a causa, specie in Africa orientale, della perdurante carenza di quadri nazi�nali, aggravata, spesso drammaticamente, dalla vastità dell'�rea co�qlilsta�� da governare e controllare, area grande tre volte l'Italia, e dm comp1t1 davvero immani che l'amministrazione italiana si proponeva di svol­ gervi, tesa, com'era, ad esercitarvi il diretto dominio45• Questa nel breve, anzi nel brevissimo tempo in cui poté agire (ché solo cinque anni durò la nostra dominazione sull'Etiopia) e nelle

44 C. GIGLIO, Partito e Impero, Roma, I.F.A.I., 1938. Sui comportamenti che avrebbero dovuto caratterizzare gli italiani in Africa, secondo le direttive fasciste, vi furono varie pubblicazioni a cura del partito stesso. Così, ad esempio, si può ve ere �uella edita all'Is tuto . fascista dell'Africa italiana, Nozioni coloniali per gli iscritti alle orgamzzazzom del Partzto nazzonale fascista, Trento 1939, e l'altra, pubblicata dall'Istituto coloniale fascista, Elementi pratici di vita coloniale per le organizzazioni femminili del Partito nazionale fascista, Roma, s.d.. Sul tema cfr. L. GoGLIA, Sulla politica coloniale... cit., pp. 44-49. 45 Sulle carenze di quadri nazionali e sul ricorso ad elementi tratti anche dalle organizza­ zioni e dalla milizia fasciste per compiti di governo coloniale in Etiopia, cfr. la testimonianza di R. MEREGAZZI Lineamenti della legislazione per l'Impero, in «Annali dell'Africa italiana», 1939, 3, p. 157; t stimonianze queste assolutamente verificabili pure con il controllo dei dati statistici relativi al personale del Ministero dell'Africa italiana.

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possibilità concrete che le furono offerte dalle circostanze (il controllo dell'intero territorio non fu mai del tutto né permanentemente realiz­ zato a causa più della difficoltà delle comunicazioni che delle sacche di resistenza, allora definite di banditismo), si fondò sugli schemi organizzativi e sui metodi operativi già sperimentati in Eritrea ed in Somalia, con qualche adattamento imposto dalle circostanze locali 46 : ché, infatti, nella sua latitudine e nella sua complessità etnica, sociale e religiosa, l'Etiopia non era del tutto assimilabile alle prime colonie italiane, in quanto in essa i conquistatori avevano trovato determinate strutture di potere e cristallizzazioni di interessi che, buone o cattive che fossero o che apparissero allora, non sembravano, malgrado le affermazioni declamatorie del regime, né facilmente eliminabili né immediatamente sostituibili se non per gradi ed in parte. Di qui il ricorso necessario, specie nella fase iniziale della nostra dominazione, a qualche feudatario locale ed a molti notabili indigeni che, pur avendo tratto dal passato regime negussita la legittimazione formale della loro condizione privilegiata e delle loro funzioni di guida dei sudditi allora ad essi affidati, potevano tuttora servire per integrare, sia pur a livello più basso ed in certe aree maggiormente distanti dai centri direzionali delle colonie, i carenti quadri dell'amministrazione italiana, sempre inferiori numericamente alle necessità di governo. Di qui, ancora, i compromessi con i quali questa dovette praticamente operare malgrado le petizioni di principio sulla definitiva abolizione di quel feudo e sulla totale fine di quella schiavitù che avevano nel tempo suscitato la depre­ cazione e lo sdegno europei: istituti questi tipici dell'economia arretata dell'Etiopia che, nonostante la conclamata soppressione del primo ed il tassativo divieto della seconda, continuavano di fatto, anche se abusiva­ mente e sotto denominazioni e forme apparentemente differenti, a pesare

46 L'ordinamento dell'Africa orientale venne fissato, dopo la proclamazione della sovranità italiana sull'Etiopia, avvenuta con r.d.l. 9 mag. 1936, n. 754, con il r.d.l. 1 giu. 1 939, n. 1019 sull'Orditwmnto e amministrazione per l'A OI e con il successivo r.d. 1 5 nov. 1937 sull'Ordinamento politico amministrativo e lltilitare per l'A OI. Tali testi hanno naturalmente attratto subito l'attenzione di commentatori e studiosi, sostanzialmente allineati alle direttive del regime, come attestano, ad es. gli A tti del III Congresso di studi coloniali, Firenze-Roma, 12- 1 7 aprile 1937, Firenze, Sansoni, 1937 : da vedere, nel vol. II, partic. la relazione di R. DI LAuRo, Sull'organizzazione politica dell'Impero.


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sulle condizioni sociali della enorme regione per le difficoltà di introdurvi rapidamente nuovi istituti proprietari e di applicarvi ex abrupto· gli auspicati ed annunciati moderni rapporti di lavoro. Il ras o il feudatario locale poteva qualche volta essere utilizzato come responsabile indigeno del luogo, come capo dei nativi di una certa collettività per attenerne, grazie al prestigio ed al ruolo passati, obbedienza e collaborazione: in questo senso espletava tuttora una sua funzione, anche se sussidiaria e subalterna, rispetto all'autorità italiana 47• Lo schiavo, finalmente affrancato, invece, pur ottenendo con la libertà uno status formalmente eguale a quello degli altri nativi, restava spesso in condizioni precarie, finendo col continuare a lavorare sul fondo che lo aveva visto in schiavitù e spesso ancora sotto il vecchio padro­ ne, anche se in una forma di rapporto resa dalle circostanze più vicina al servaggio che al lavoro subordinato, e ciò, malgrado le intenzioni e gli sforzi delle autorità coloniali, per assenza di mezzi di sussistenza che rappresentassero una effettiva alternativa di vita per lui e per i suoi congiunti 48 ai quali era difficile garantire sempre un salario. Ma questi non erano limiti o difetti imputabili alla sola amministra­ zione coloniale italiana dell'Etiopia, la cui vita peraltro è stata talmente breve da rendere problematico un effettivo giudizio sul suo operato: ché, infatti, situazioni non dissimili si erano riscontrate anche in altre

aree africane colonizzate da diverse nazioni europee, le quali dovettero spesso ricorrere massicciamente al lavoro obbligatorio degli indigeni non solo per utilizzarne le energie al fine di trasformare la realtà economica dei territori, per modernizzarne la produzione e meglio utilizzarne le risorse, ma anche per dare occupazione stabile a coloro che prima erano in condizione di completa servitù. La politica indigena dell'Italia in Etiopia comunque parve, almeno di massima, seguire quei criteri che avevano sempre caratterizzato al riguardo l'amministrazione delle nostre più antiche colonie del corno d'Africa. All'assimilazione tendenzialmente perseguita in Libia, pur con i contrasti ed i limiti che erano emersi nell'ultima fase della dominazione italiana, si contrapponeva la differenziazione delle condi­ zioni e degli status delle etnie abitanti nell'Africa orientale italiana in una gerarchia fondata sulla dicotomia nazionali-indigeni, resa ancora più rigida da tutta quella serie di provvedimenti normativi qualificanti, dopo la conquista dell'impero, il razzismo fascista ed anzi, come è stato spesso osservato, sulla scia delle note considerazioni di Renzo De Felice, probabilmente motivanti sul piano teorico ed ideologico la sua stessa origine prima. Infatti l'accentuazione del regime discriminatorio e differenziato nei confronti dei nativi ed il parallelo, quasi ossessivo, timore della contaminazione razziale derivante dalle riunioni tra bianchi e neri e dal conseguente meticciato costituivano quel quid novi nella prassi normativa coloniale destinato a ripercuotersi sinistramente, con l'accostamento alla Germania hitleriana, sulla legislazione antisemita inaugurata dalle leggi razziali del 1 938 contro la comunità ebraica italiana. E se allora l'opinione pubblica non parve accorgersi dell'ac­ centuarsi delle condizioni di diseguaglianza tra cittadini e sudditi coloniali e delle incipienti manifestazioni razziste della legislazione italiana verso questi ultimi, ciò si doveva alla scarsa sensibilità collettiva per lo status delle popolazioni africane, apparso ai più enormemente migliorato per la soppressione della feudalità e per l'abolizione della schiavitù, ed insieme alla generale ebbrezza suscitata dalla fondazione del grande impero africano 49.

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47 Attenta e precisa l'analisi fatta da F. GRISPO, Sulla politica indigena. .. cit., pp. 266-269, sulla funzione e sul ruolo dei capi locali. Sbrigativa e piuttosto parziale invece la condanna del personale amministrativo a tutti i livelli fatta da A. SBACCHI, Il colonialismo italiano in Etiopia 1936- 1940, Milano, Mursia, 1980 e da A. DEL BocA, Gli italiani in Africa orientale. La caduta dell'Impero, Bari, Laterza, 1982, pp. 144 e seguenti. 48 Sulle forme della schiavitù esistenti nell'impero negussita avanti la conquista italiana, cfr. A. GIANNINI, Il regolamento della schiavitù in Etiopia, in «L'antischiavismo», 1926, 9, pp. 261-264 oltre a G. MoNTANDON, L'esclavage en A byssinie, Genève, Georg, 1923 ; sulla politica abolizionista da sempre perseguita dall'Italia da vedere è G. CoLOSIMO, La politica di collabora­ zione indigena nelle nostre colonie, Roma, Tipografia dell'Unione editrice, 1918; sulla abolizione della schiavitù da parte italiana dopo la conquista etiopica, cfr. R. TREVISANI, L'affrancamento degli schiavi nell'Impero fascista, Roma, Edizioni di «Politica sociale», 1 937, nonché C. PoGGIALI, A lbori dell'impero. L'Etiopia come è e co1ne sarà, Milano, Treves, 1938, pp. 428 sgg., scritti questi riflettenti da presso una visione encomiastica ed insieme ottimistica della realtà successiva alla liberazione operata dall'Italia, mano mano che procedeva nella conquista militare del territorio. Più problematico, nell'evidenziare le difficoltà seguite all'affrancamento, appariva R. CiASCA, Sloria coloniale. .. cit., pp. 699 e seguenti.

49 R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani.. cit., pp. 237 e seguenti. .

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L'amministrazione di questo, avente alla sua testa il vicer.é nominato dal governo di Roma, era fondata, ai sensi del del d.l. 1 o giugno 1 936, su quei cinque grandi governatorati dell'Eritrea, della Somalia, dell'Amara (con capoluogo Gondar), dell'Barar (con capoluogo la città omonima) e del Galla e Sidama, oltre che sul governatorato municipale di Addis Abeba, divenuto poi governatorato dello Scia col d.l. 1 1 novembre 1 938, n. 1 857, le circoscrizioni territoriali dei quali erano dettate assai più dai disegni di controllo politico, di crescita civile e di sviluppo economico formulati dai nuovi colonizzatori che dalle effettive tradizioni storiche del paese: ché le suddivisioni interne dell'impero negussita erano direttamente legate ai rapporti di potere, incerti e va­ riabili, dei ras e dei feudatari locali e, quindi, assai poco riferibili all'organica territoriale conosciuta dagli Stati europei nella loro espe­ rienza storica. All'interno dei singoli governatorati, facendo tesoro di quanto appreso nelle prime colonie del corno d'Africa, si ripeteva per evidenti ragioni di pratica amministrativa lo schema delle circoscrizioni territoriali applicato in esse e fondato su residenze, viceresidenze e centri minori, affidati questi ultimi necessariamente a quei capi indigeni ritenuti affidabili collaboratori della nuova amministrazione50 • Non mancò, infatti, una notevole collaborazione dei nativi di vari ceti e di differenti aree geografiche e culturali ad essa, pur nel breve, anzi brevissimo periodo della sua non facile esistenza: il che dovrebbe indurre gli studiosi a riflettere sull'entità del consenso suscitato dalla colonizzazione per le prospettive di crescita e di sviluppo che apriva con la modernizzazione importata a tutti i livelli della vita etiopica o,

quanto meno, con l'indicazione agli indigeni di modelli e di ritmi di esistenza e di attività a loro sconosciuti. Ed all'opposto imporrebbe anche una valutazione più equilibrata e pacata dei motivi e dell'entità dell'opposizione alla dominazione italiana di certi ambienti e di taluni settori della popolazione etiopica. Tale opposizione sembra dettata più dalla reazione alla violenza della guerra di conquista ed alla brutalità della repressione immediatamente successiva ad essa (si pensi a quanto avvenne ad Addis Abeba dopo l'attentato a Graziani del 1 937) 51, che da effettive e profonde ragioni di carattere economico e sociale. La carente unità dell'impero negussita, nel tempo quasi mai realizzata per la frantumazione feudale ed il particolarismo locale, aggravati da contrasti etnici, religiosi e sociali, non pareva alimentasse troppo con motivazioni indipendentistiche di carattere nazionale la resistenza anti­ taliana, anche se questa, forse troppo superficialmente, allora era definita banditesca dai conquistatori che consideravano endemica, ed in certe zone non a torto, la presenza degli shiftà, contro la quale, peraltro, si era reiteratamente scontrato il passato governo imperiale ed ora, più intensamente, agivano le forze di polizia coloniale nell'in­ tento di estendere su tutto l'immenso paese il totale controllo italiano 52• Il che naturalmente rappresentava l'attuazione integrale di quel dominio diretto al quale tendeva da sempre la politica di espansione italiana in Africa in funzione delle sue finalità di colonizzazione del territorio, di integrazione della sua economia in quella nazionale e di immigrazione di manodopera in patria sovrabbondante. Questi erano gli obiettivi dell'amministrazione italiana, alla cui realizzazione erano preposti sia gli organi di governo sia gli enti pubblici a gestione e competenza speciali creati ad hoc, come l'Azienda autonoma statale della strada il cui lavoro eccezionale svolto rapidamente è motivo di orgoglio, la Compagnia italiana trasporti dell'Africa orientale di natura privatistica con essa cooperante, l'Azienda miniere dell'Africa orientale

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50 Manchiamo tuttora di studi organici e completi sull'attività, veramente intensa, dell'am­ ministrazione italiana dell'Africa orientale. Premessa di questi, naturalmente, dovrebbe essere la lettura dei provvedimenti emanati dalle autorità coloniali e riportati sia nel «Giornale ufficiale del Governo generale dell'A.O.I. », sia negli organi ufficiali dei differenti governato­ rati : cfr., quindi, «Bollettino Ufficiale del Governo dell'Amara», «Bollettino Ufficiale del Governo dell'Harar», «Bollettino Ufficiale del Governo del Galla e Sidama», oltre, evidente­ mente, «Bollettino Ufficiale del Governo dell'Eritrea» e «Bollettino Ufficiale del Governo della Somalia». Di qualche utilità, a parte naturalmente G. MoNDAINI, La legislazione coloniale italiana... cit., C. MARINUCCI, Repertorio delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti nelle colonie italiane, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1 969, pubb. nella serie L'Italia in Africa a cura del Ministero degli affari esteri. Interessanti osservazioni, ora, in D. PASQUALI, Sull'a11J11Iinistrazione civile m/l'Africa Orientale Italiana, in « Clio», 1993, 2, pp. 309-335.

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51 Sulla repressione conseguente all'attentato a Graziani, cfr. G. RocHAT, L'attmtato a Graziani e la repressione italiana in Etiopia : 1936-37, in « <talia contemporanea»», 1975, 1 1 8, pp. 3 e seguenti. 52 Sul perdurare della resistenza dopo la fine della campagna etiopica cfr. P. BADOGLIO, La guerra d'Etiopia, Milano, Mondadori 1936, pp. 307 e seguenti.


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italiana, pubblica anch'essa, alla quale si deve l'avvio di ricerche minerarie in loco, parallele alla concezione di quella carta geologica dell'Etiopia, premessa indispensabile ad uno sfruttamento razionàle del sottosuolo e testimonianza non indifferente dei progetti di moder­ nizzazione concepiti dalla madrepatria per il vasto impero 53• Lavoro immane questo programmato dall'Italia e immediatamente intrapreso indicando, tra gli obiettivi della colonizzazione, le vie della modernizzazione dell'immenso paese. Una modernizzazione che offriva nei fatti alle popolazioni indigene un modello di crescita civile e di sviluppo economico, per esse all'epoca inconcepibile e tale in avvenire da non poter essere del tutto dimenticato né contestato per alcuni suoi risultati qualificanti. Una modernizzazione, però, che postulava da un lato l'afflusso costante di uomini e mezzi dalla madrepatria e dall'altro richiedeva la presenza continua ed incisiva di un'ammini­ strszione ordinata razionalmente ed efficiente funzionalmente sorretta ' nella sua azione da una adeguata e comprensibile normazione. Questa normazione, nella sua complessità, appariva, da un punto di vista astratto, di massima coerente agli obiettivi prefissati all'atto della conquista ed insieme sembrava intimamente legata al sistema delle fonti del diritto vigente nella madrepatria con le estensioni e le deroghe

naturalmente imposte dalle circostanze. Non a caso, infatti, si potevano distinguere essenzialmente tre specie di norme aventi vigore ed efficacia nell'impero come fonti primarie: le leggi comuni dello Stato di ordine generale per natura e contenuto, vincolanti tutti i soggetti, sia metro­ politani sia indigeni, residenti nel regno o nei suoi possedimenti oltremare; le leggi metropolitane espressamente estese all'Africa orien­ tale italiana a cagione del loro particolare contenuto o del loro fine; e le leggi speciali emanate per essa ed eventualmente per le altre colonie. E ciò mentre un'ampia facoltà normativa era attribuita al governatore generale viceré che l'esercitava o per decreto o per rego­ lamento, secondo le circostanze e le finalità implicite a queste norme di carattere sicuramente secondario rispetto a quelle primarie poste all'apice della gerarchia delle fonti del diritto in colonia. Nella prassi, questo sistema normativa così articolato appariva di difficile cognizione per gli indigeni dell'Etiopia, abituati ad usi e consuetudini estrema­ mente semplici e scarsamente proclivi, per la tradizionale assenza di pubblici poteri sul loro territorio, ad accettare l'idea di una gerarchia di fonti giuridiche di stampo statualistico. Di qui le difficoltà della nostra amministrazione, scarsamente attrezzata a superarle e non sempre capace di comprendere la pregiudiziale mentalità giuridica dei destina­ tari del nuovo diritto coloniale italiano 54• Difetti della conoscenza della realtà ambientale assommati alla fre­ quente impreparazione dei quadri ed alle gravi carenze numeriche del personale di governo costituirono, quindi, i limiti della nostra gestione, limiti già rilevati all'inizio dell'espansione coloniale italiana, ma aggra­ vata dopo il 1 936 dalla vastità dei compiti e delle attribuzioni ad essa spettanti con la conquista dell'impero. Compiti ed attribuzioni, però, che vennero egualmente espletati in circostanze veramente difficili, con la consapevolezza in taluni di operare per la realizzazione di finalità ritenute allora essenziali sul piano politico e su quello civile, in altri nell'idea e nella speranza, presto svanite, di un perdurare dell'espan­ sionismo coloniale dei bianchi in Africa, espansionismo dal quale traevano prestigio e beneficio.

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53 La creazione di enti pubblici, operanti nei territori coloniali africani, ha caratterizzato in modo singolare la nostra esperienza oltremare creando organi a finalità ed a gestione particolare destinati ad operare a fianco dell'amministrazione pubblica. La loro vicenda meriterebbe di essere studiata anche perché, nel loro genere, costituirono un modello di intervento peculiare dello Stato nella vita economica e civile delle colonie. In Africa orientale operarono l'Ente per la costruzione e l'esercizio di acquedotti nell'AOI (dal 1 939), l'Istituto autonomo per le case economiche e popolari nell'AOI (dal 1 937), l'Ente per il cotone dell'Africa italiana (dal 1 937), l'Ente di colonizzazione veneto d'Etiopia (dal 1937), l'Ente di colonizzazione di Romagna di Etiopia (dal 1937), l'Azienda miniere dell'AOI (dal 1936), gli Enti del dopolavoro nelle colonie (dal 1929), la Camera di commercio itala-coloniale (dal 1930), i Consorzi di colonizzazione in Eritrea e nella Somalia italiana (dal 1932), il Consorzio di colonizzazione del Giuba nella Somalia italiana (dal 1 933), il Consorzio di colonizzazione di Afgoi (dal 1 933), il Consorzio di colonizzazione in Eritrea (dal 1933), il Consorzio di Genale nella Somalia italiana. Questi si affiancavano agli altri, creati per la Libia : la Cassa di risparmio della Libia (dal 1 923), l'Ente autonomo fiera campionaria di Tripoli (dal 1 927), l'Ente per la colonizzazione della Libia (dal 1932), l'Ente generale per l'assistenza e la beneficenza in Tripoli (dal 1934), l'Ente turistico ed alberghiero della Libia (dal 1 935), l'Ente pastorale musulmano per la Libia (dal 1939).

54 Cfr. G. MoNDAINI : La legislazione coloniale italiana . . cit., II, pp. 390 e seguenti. .

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Quella consapevolezza e quell'idea oggi appaiono come �e illusioni di un'epoca. Ma allora erano il prodotto ultimo delle passioni, .dei sentimenti e delle attese di tre generazioni di italiani che le visl?e-ro anche intensamente e che spesso per esse lottarono e si sacrificarono. Winston Churchill, in un passo delle sue Memorie, ha espresso il senso del suo rispetto per costoro 55• Di essi, del loro impegno, del loro lavoro e della loro illusione deve restare la memoria storica: ché tutto ciò è, nei suoi aspetti positivi, come in quelli negativi, una pagina essenziale della nostra vicenda nazionale.

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I funzionari coloniali ( 1912- 1924)

1 . Con la conquista della Libia e la nascita, anche in Italia, come nei principali paesi europei, di un autonomo Ministero preposto alle colonie, il problema della formazione del personale coloniale si presenta in termini parzialmente nuovi. Come rilevava già Tomaso Columbano, occupandosi del personale civile in quella che resta l'opera più informata sulle strutture ammini­ strative della colonizzazione italiana in Africa 1, la creazione del Mini­ stero segna anche in questo campo una svolta evidente. In effetti, la situazione anteriore al 1 9 1 2 si era progressivamente evoluta (a partire dal 1 880, quando può collocarsi « l'atto di nascita del personale coloniale italiano ») 2 secondo linee che le scelte succes­ sive alla conquista della Libia sembrano rimettere bruscamente in discussione. L'istituzione, nel 1 890, del ruolo degli ufficiali coloniali per l'Eri­ trea 3, poi la formazione del corpo degli ufficiali e dei commessi

55 W. CHURCHILL, La seconda guerra JIIOfldiale, parte III, I, Milano, Mondadori, 1950, pp.

102-104.

l MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, CoMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA IN AFRICA, L'Italia in Africa, Serie giuridico-aJII!IIÙJistrativa, I, ( 1869- 1955) . Il governo dei territori d'oltre111are, testi di C. MARINUCCI e T. CoLUMBANO, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1 963 ; in particolare cfr. T. CoLUMBANO, Il personale civile, pp. 221 e seguenti. Columbano, già dipendente del Ministero di grazia e giustizia nel ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie, appartenne dal 1" giugno 1920 all'amministrazione delle Colonie. 2 Ibid., p. 223. 3 R.d. 6 set. 1 890, n. 7126. Cfr. sul punto T. Cmu:MBANO, Il personale . . . cit., pp. 235-236 : il nuovo ruolo, che comprendeva 20 unità, ripartite in 5 classi, era interamente lasciato alla responsabilità del governatore, che, salvo il caso eccezionale di estranei con alle spalle una significativa esperienza africana, doveva operare la selezione tra gli impiegati statali di ruolo che avessero accettato volontariamente la destinazione in colonia ; nessun requisito era fissato per le assunzioni e per il passaggio dall'una all'altra classe.


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coloniali previsto dal decreto del 1 894 4, così come le succes.sive riforme dell'età giolittiana sia in Eritrea (ad opera soprattutto di Ferdin�ndo Martini) 5 che in Somalia 6 avevano progressivamente definito, . per successive approssimazioni, un modello organizzativo coerente, la cui fondamentale caratteristica è da ravvisare nell'autonomia dei due ruoli coloniali rispetto all'amministrazione centrale. Ciò non significa, evi­ dentemente, che tra colonie e burocrazia ministeriale non corresse di fatto uno strettissimo rapporto, implicito del resto nella dipendenza gerarchica del governatore dal Ministero. Ma alla circolazione delle esperienze, e spesso anche degli uomini, tra centro e periferia aveva sempre fatto riscontro, sin dall'ultimo Ottocento, il principio della separazione dei ruoli delle colonie. Ad esempio, secondo il r.d. 1 9 settembre 1 909, n. 839, che istituiva il nuovo ruolo dei funzionari coloniali per l'Eritrea distribuendolo in due categorie, gli agenti colo­ niali (cioè la più importante di esse) potevano, si, essere posti a dispo­ sizione del Ministero, ma solo temporaneamente (per un periodo non

4 R.d. 18 feb. 1 894, n. 67. Con questo provvedimento vengono creati «veri e propri ruoli organici» : il ruolo degli ufficiali comprende 20 unità ed è ripartito in 6 classi; il ruolo dei commessi, di 35 unità, su 6 classi. « Nella prima attuazione del ruolo degli ufficiali, confer­ mandosi precedenti disposizioni in materia, potevano esservi ammessi con regio decreto gli ufficiali delle forze armate, e gli impiegati statali, che avessero spiccata attitudine per le funzioni politico-amministrative, ed in via eccezionale gli esploratori benemeriti della scienza o dei commerci, o anche i cittadini italiani che avessero servito in Africa, senza essere stati assunti ad impiego [ ... ] . Nel ruolo dei commessi potevano essere assunLi, con decreto ministeriale, i sottufficiali congedati in colonia, ed anche i privati provvisti della necessaria attitudine» (T. CoLUMBANO, Il personale ... cit., p. 237). 5 Cfr. T. CoLUMBANo, Il personale . . cit., pp. 239-240. Tre sono le riforme del personale promosse da Martini: con il r.d. 11 feb. 1900, n. 48 si prevede « un ruolo di ufficiali coloniali, composto di 30 unità ripartite in 6 classi, da nominarsi e promuoversi con decreto reale, su proposta del governatore; ed un ruolo di commessi coloniali, di 60 unità, ripartite in 6 classi, nominati e promossi con decreto ministeriale, sempre su proposta del governatore» ; con il r.d. 30 mar. 1 902, n. 1 68 si ripartisce il personale della colonia in tre gruppi (A, B e C, come nell'amministazione dello Stato) ; infine con r.d. 22 set. 1905, n. 507, si conferma la tripartizione del personale, ma si modifica la qualifica del primo gruppo (gli ufficiali coloniali) in agenti coloniali (29, ripartiti in 3 classi). 6 Cfr. T. CoLUMBANO, Il personale .. cit., pp. 257-259 : il primo corpo di personale civile italiano è istituito dal Mercatelli con decreto del 1 maggio 1905 («gli impiegati di ruolo sono scelti per concorso, e nominati e promossi, su proposta del commissario, con decreto reale») ; con r.d. 4 luglio 1910, n. 488 si provvede poi a creare il ruolo degli agenti coloniali, come in Eritrea. .

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superiore al triennio ), e comunque in numero non superiore a quattro per volta 7 ; il r.d. 4 luglio 1 9 1 0, n. 562, che modellava sull'esempio eritreo il più recente ordinamento amministrativo per la Somalia, ammetteva analogamente che gli agenti coloniali potessero essere destinati a Roma, ma solo « nel limite massimo di un quinto dell' orga­ nico totale, per una durata non superiore ai quattro anni» 8 • Questo principio di separazione, sebbene consacrato da trent'anni di pratica coloniale, viene di fatto rimesso in discussione a partire dal 1 912 ed è sostanzialmente smentito dall'ordinamento del personale del Ministero delle colonie dopo il 1 91 4. Sembra prevalere allora una forte tendenza all'uniformità organizzativa, che deriva forse anche dalla spinta interna del personale ma soprattutto dipende dall'affermarsi, nella cultura amministrativa degli anni attorno alla guerra, di una visione astrattamente razionale dei problemi organizzativi degli apparati burocratici. La vicenda dell'istituzione del dodicesimo Ministero ita­ liano acquista in questo senso un significato più generale sul quale conviene soffermarsi. Nel corso del 1 91 2 il problema della creazione di un corpo scelto di funzionari coloniali in periferia, al quale però far corrispondere a Roma un nucleo dotato di esperienza diretta delle colonie, ritorna al centro del dibattito parlamentare e si impone, più in generale, all'at­ tenzione dell'opinione pubblica : « Se si può dirigere e governare da lontano, operazione del resto non facile» - scrive sull'autorevole « Nuova Antologia» un influente personaggio come Riccardo Dalla Valta - «non si può amministrare che sul posto. Il vizio fondamentale da evitare - aggiunge - è quello che Jules Harmand, ambasciatore onorario, ancora una volta impu­ tava al Ministero coloniale francese [ . . . ] , di considerare cioè i governi coloniali come prolungamento dei suoi uffici e di persistere a voler esso stesso amministrare direttamente, e secondo procedimenti uni­ formi, dei possedimenti dispersi in tutto l'universo, sottomettendoli ad una tutela gelosa e imperiosa. Il nuovo Ministero italiano delle

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7 T. CoLUMBANo, Il personale . . . cit., pp. 244-245. 8 Ibid., p. 260.


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Colonie [ . . . ] dovrà cercare indubbiamente di non cad�re alla sua volta negli errori commessi in passato dai Ministeri stranieri analo­ ghi ; e tanto più lo potrà, quanto più a dirigerlo sarà chiarria�o. ora e sempre chi avrà dato prova di competenza speciale, di volontà tenace, di saper ottenere i maggiori e migliori risultati col minor sacrificio » 9•

nella amtrllmstrazione coloniale in Francia» 1 2. E raccomanderà, so­ prattutto, « di comporre i nuovi uffici del nuovo Ministero con perso­ nale sceltissimo, competente ed acceso della sacra scintilla, che non fa limite al proprio lavoro l'orario d'ufficio ma la passione per gli alti flni da raggiungere, derivante anche da una vera preparazione coloniale»13• Uffici centrali, dunque, con poco personale ma altamente selezionato ; preferenza, nella scelta, agli « elementi già usati alle discipline e alla pratica coloniale» ; e nell'ipotesi, prevista espressamente nel disegno di legge , di utilizzare dipendenti di altri Ministeri, «far ciò solo quando si tratti di vere e autentiche competenze specifiche, in quanto appaiano necessario complemento della competenza tecnica coloniale» 14• La legge del luglio 1 9 1 2, dando facoltà al governo di istituire il nuovo Ministero, lo autorizza contestualmente a dettare norme sul suo ordinamento e, specificamente, sull'assunzione del personale. Ed il governo, con un decreto del novembre, stabilisce di rimandare ad altro provvedimento, da emanarsi successivamente, la pianta organica del personale : sicché dal 1 9 1 2 al 1 9 1 4 (quando, appunto, interverrà questo secondo provvedimento governativo) si svolge un periodo di sperimentazione 15, durante il quale il governo usufruisce della «facoltà di assumere in servizio temporaneo impiegati dipendenti da altri Mi­ nisteri ed anche eccezionalmente persone estranee ai pubblici uffici che abbiano speciale attitudine per il servizio coloniale» 16• È una formula che, calcando piuttosto sull'esperienza amministrativa acquisita nel corso di una precedente regolare carriera ministeriale, tradisce subito l'accantonamento delle raccomandazioni della Giunta

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Da tutt'altra posizione, negli stessi giorni l'organo della Confedera­ zione generale degli impiegati «La Riforma» agita idee non troppo dissimili da quelle del direttore del « Cesare Alfieri» : «Noi - scrive l'anonimo giornalista - dobbiamo tendere a sfrondare la amministrazione tutta, per dar moto e vita a quegli organismi che lenti e tardi svolgono la loro funzione nelle province [ . . . ] . Un'ammi­ nistrazione propria ed autonoma, ed un bilancio autonomo delle colo­ nie, dovrebbe farci raggiungere lo scopo [ . . . ] . Sul posto, e non a Roma, dovrebbero essere studiati i sistemi e i metodi amministrativi più convenienti a quelle regioni» 1 0 • Su posizioni forse meno dichiaratamente favorevoli al decentramen­ to, ma non meno consapevoli della specificità della materia coloniale, un esponente della burocrazia del Ministero dell'interno come Dome­ nico Caruso Inghilleri auspica un'amministrazione che sia « non solo strumento di governo, ma anche strumento economico » : «<l burocratico della Libia scrive sulla « Rivista di diritto pubblico» « deve essere quindi un funzionario più completo, più intelligente, più attivo, dico : più creativo di quello della metropoli» 1 1 • Anche facendosi interprete di simili preoccupazioni, il relatore della Giunta generale del bilancio della Camera Giovanni Abignente, pur difendendo la scelta di costituire un Ministero autonomo, insisterà nel 1 9 1 2 sul concetto del decentramento, «perché all'accentramento corri­ spondono per necessità di cose gli inconvenienti che si lamentano

9 R. DALLA VoLTA, Il Ministero delle colonie, in «Nuova Antologia», 1912, pp. 726 e seguenti. 10 X, Il Ministero delle colonie, in «La Riforma», 29 giugno 1912. 1 1 D. CARuso INGHILLERI, L'organizzazione an;ministrativa della Libia, in «Rivista di diritto

pubblico e della pubblica amministrazione», 1913, V, parte I, pp. 173 e seguenti.

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12 Atti parlamentari [d'ora in poi AP], Camera dei deputati, leg. XXIII, 1909-1912, n. 1 1 65-A, Relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge ((A utorizzazione al govemo del re per l'istituzione del Ministero delle colonie)), seduta del 1 5 giugno 1912, relatore G. Abignente. 13 Ibid. : «tenendo presente - aggiunge la relazione - che il nuovo Ministero più che congegno burocratico deve essere 1111 organo di propulsione». 1 4 IbidBIJJ. 1 5 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO [d'ora in poi ACS], Presidenza del Consiglio dei ministri [d'ora in poi PCM], Gabinetto, 1 912, 1 . 5 : «la creazione del nuovo Ministero deve essere preceduta da un periodo di tempo, in cui si compiano gli studi necessari a determinarne il modo di funzionamento, sia per quanto concerne le attribuzioni e gli uffici, sia per quanto attiene al personale». 1 6 Cfr. l. 6 lug. 1912, n. 749; r. d. 20 nov. 1912, n. 1205, in particolare art. 2.

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generale del bilancio. All'atto pratico le «persone estranee ai pùbblici uffici» ma con « speciale attitudine per il servizio coloniale» risulteranno pochissime, all'interno di un nucleo di «una trentina di funzi�mari, chiamati dalle varie amministrazioni dello Stato» che - come ha scritto Francesco Saverio Caroselli - hanno « l'irresponsabile difetto di non conoscere né l'Africa settentrionale, né le colonie» 1 7• Nel riferire alla Camera sui primi mesi di vita della nuova ammini­ strazione, il ministro delle colonie Pietro Bettolini additerà, in piena coerenza con questa politica del personale, «i gravi inconvenienti» che sarebbero «insiti nella costituzione di un numeroso corpo di funzionari reclutati in modo esclusivo pel servizio coloniale» ; e ribadirà la validità della scelta «di valersi della cooperazione delle corrispondenti amministrazioni dello Stato, adattandone, beninteso, le prestazioni ai fini coloniali e subordinandole alla responsabilità del ministro delle Colonie» 1 8• Sono due impostazioni implicitamente contrapposte (quella della relazione Abignente e quella ministeriale) che non mancheranno di riverberarsi nella vita stessa, e nell'attività, del nuovo Ministero. Nel fascicolo intitolato « <stituzione del Ministero delle Colonie», oggi

conservato presso l'Archivio centrale dello Stato tra la documentazione della Presidenza del consiglio, un corposo dossier è dedicato alle « do­ mande di funzionari ed estranei per essere assunti nel personale del ministero delle Colonie» 1 9. Sono 141 richieste, tutte pervenute alla Presidenza negli ultimi mesi del 1 91 2, accompagnate in molti casi da referenze e raccomandazioni, spesso di deputati e senatori. Per quanto, come subito si dirà, solo in parte abbia dato luogo ad assunzioni, il campione delle domande è tuttavia significativo, perché nella sua composizione non è difficile scorgere alcune caratteristiche tipiche di quella singolare burocrazia che fu, già nell'Italia liberale, specialmente dopo l'istituzione del Ministero, il personale coloniale. Dei 1 41 aspiranti del 1 9 1 2, solo 10 sono in possesso di un coerente curriculum coloniale, sia esso il frutto di un periodo nei ruoli eritreo e somalo oppure il risultato di esperienze maturate al di fuori del­ l'amministrazione : un agente coloniale, un insegnante nella scuola italiana di Costantinopoli, il vicedirettore dell'Istituto agricolo colo­ niale italiano di Firenze, due aiutanti coloniali, un addetto al Gover­ natorato del Benadir, il naturalista e direttore della colonizzazione in Eritrea prof. Isaia Baldrati, un capo ragioniere in Eritrea, un addetto all'ufficio delle costruzioni ferroviarie pure in Eritrea, un segretario di ragioneria dell'Asmara. Per il resto prevalgono largamente gli ex-dipendenti delle altre amministrazioni dello Stato, soprattutto delle carriere d'ordine, con una leggera maggioranza di impiegati dell'In­ terno e del Ministero di grazia e giustizia. Tra i quadri di concetto sono numerosi quelli in possesso della laurea in giurisprudenza e di un'esperienza prettamente amministrativa. Due soli tra i candidati raggiungono il grado di capo divisione 20•

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1 7 F. S. CAROSELLI, Nota redazionale del Presidente del Comitato, in MINISTERO DEGLI AFFARI

ESTERI, COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA IN AFRICA, L'Italia in Africa ... cit., p. 36. l problemi parzialmente diversi che pone l'acquisizione della Libia impongono la nomina di una commissione, presieduta dal sottosegretario Colosimo, con l'incarico di «studiare le modalità per la scelta dei funzionari da destinarsi in Libia e la questione del loro trattamento». A farne parte vengono chiamati Giacomo Agnesa, Carlo Riveri, Pompeo Bodrero e Ugo Niccoli delle Colonie , Carlo Marzollo, direttore generale del Segretariato ai lavori pubblici, Domenico Caruso (che è capo di divisione all'Interno, ma vanta una breve esperienza coloniale), il capo di divisione del Ministero di grazia e giustizia Guido Augusto Nozzoli, il capo di divisione alle Finanze Pasquale Troise, un capo di divisione della Ragioneria generale (Gavino Carta) ed uno del Tesoro (Ubaldo Conti), due capi divisione rispettivamente della Guerra e della Marina (Monteverde e Marcelli), uno dell'Agricoltura, industria e com­ mercio (Zagarese) e uno delle Poste e telegrafi (Solaro). Alla segreteria della commissione, due funzionari delle Colonie : il capo sezione Luigi Pintor e il consigliere aggiunto Attilio Scarlatta (cfr. i decreti ministeriali 21 e 27 feb. 1 913, in MINISTERO DELLE COLONIE, «Bollettino ufficiale», 1913, 4, pp. 65-66). 18 AP, Camera dei deputati, leg. XXIV, sess. 1913-14, Disegni di legge e relazioni, n. 70, Relazione dell' on. !IJinistro delle Colonie Pietro Bertolini allegata allo stato di previsione della spesa del Ministero delle Colonie per l'esercizio 1914- 15.

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1 9 ACS, PCM, Gabinetto, 1 912, 1 .5. Cfr. anche G. MELIS, A!Jmtinistrazione e mediazione degli interessi: le origini delle amministrazioni parallele, in ISAP, L'a!IJministrazione nella storia modema, Milano, Giuffrè, 1985, II, pp. 1 479-1480 (Nuova serie, 3). 20 Questi due alti funzionari sono Vittorio Nazari, dell'Agricoltura, industria e commercio, già responsabile della divisione V, « Coltivazione e fillossera», nonché presidente della commis­ sione consultiva per la fillossera del Ministero e docente, a Roma, nel corso di scienze applicate all'agricoltura ; ed Enrico Invernizzi, direttore capo della divisione XIII («riscontro agli atti e alle spese della Marina») della Corte dei conti (cfr. in proposito Calendario gmerale del Regno d'Italia pe/ 1910, compilato a cura del Ministero dell'Interno, Roma, 1910, pp. 253, 263, 293, 864).


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Purtroppo la documentazione non consente di seguire sino in fondo l'iter delle domande. Trasmesso al Ministero delle colonie, il fa,scicolo costituisce presumibilmente solo una parte dell'abbondante materiale istruttorio sulla cui base sarà costituito il primo personale del nuovo Ministero (le richieste sono così numerose che nel dicembre 1 912 si dovrà comunicare alla stampa che non si prenderanno in esame altre domande di impiego) 21 • Tra i nominativi dell'elenco poi passati nei ruoli ministeriali, ci sono ad esempio quello dell'agente coloniale Alberto Corsi, chiamato dal 1 9 1 3 alla guida dell'ufficio di legislazione coloniale ; quello di Tullio Zedda, un consigliere aggiunto di prefettura raccomandato dal marchese di San Giuliano e destinato a compiere una brillante carriera nella nuova amministrazione ; quello di Giuseppe Daodiace, segretario della Prefettura di Modena, raccomandato dal deputato Nava, che nell'organico del 1 91 4 ritroveremo come segretario di 1 o classe e che nei primi anni Quaranta sarà vicegovernatore gene­ rale dell'Africa orientale italiana. Sebbene il nuovo Ministero nasca apparentemente come filiazione di quello degli Esteri 22, la composizione del suo primo apparato provvisorio non è, com'era invece prassi nell'esperienza amministrativa italiana, soltanto il risultato di un meccanico trasferimento di servizi. Va sottolineato anzi come, seppure per un breve periodo, resti agli Esteri la più generale competenza in materia «politico-coloniale» (pres­ so la divisione III, sezione IV di quel Ministero), mentre la nuova direzione per l'Eritrea e la Somalia, sarebbe, secondo il Calendario generale del Regno del 1 9 1 5, articolata in due uffici : l'Ufficio I, sotto il

direttore centrale Giacomo Agnesa (per l'Etiopia), e l'Ufficio II (per Eritrea e Somalia italiana) 23• Un telegramma del ministro a Salvago Raggi, datato 8 novembre 1 9 1 3, informa tuttavia che « ha cessato di funzionare direzione centrale affari coloniali e relative trattazioni sono ora ripartite per materia fra i diversi uffici del Ministero, tutti riuniti palazzo Odescalchi» 24 ; e aggiunge : «attualmente vari servizi sono così divisi : Affari politici, cui è aggregato Ufficio militare e che sono sotto direzione comm. Agnesa. Affari economici e generali cui è ag­ gregato Ufficio marina con a capo comm. Bodrero. Affari civili e La­ vori pubblici con a capo comm. Riveri» 25• La responsabilità di assicurare una continuità di fatto tra vecchia e nuova amministrazione è affidata, tra il 1 91 2 e il 1 91 9, ad un funzionario di sperimentata professionalità come Giacomo Agnesa, già responsabile dell'Ufficio coloniale e poi della Direzione centrale degli affari coloniali. Su Agnesa è annunciata una comunicazione della dott.ssa Maria Antonietta Mulas, autrice di una recente tesi di laurea che ne ricostruisce, anche con fonti inedite, la biografia 26• Rinviando

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23 Ibide111. Tra le competenze dell'Ufficio I, il Calendario elenca: «Etiopia, Carteggio politico. Possedimenti, occupazioni, protettorati, determinazioni di confini e di sfere di influenza in Africa. Misure sancite dagli Atti generali di Berlino e di Bruxelles. Tratta degli schiavi. Pubblicazione di documenti diplomatici relativi a questioni coloniali. Spedizioni geografiche ed esplorazioni in Africa». Tra quelle dell'Ufficio II : «Eritrea e Somalia italiana. Politica indigena. Colonizzazione. Affari correnti. Leggi e decreti sull'ordinamento delle due colonie». 24 ASDMAE, A SMAI, Persone operanti in Africa 1879-1925, pos. 35, pacco A-1, Agnesa Giacomo : telegramma del Ministero delle Colonie, Gabinetto del Ministro, f.to Bertolini, 8 novembre 1913. Debbo la conoscenza di questo documento alla cortesia del dott. Vincenzo Pellegrini. 25 Ibidem. Il testo così prosegue : «tale assetto trae seco ineluttabile necessità che cessi la temporanea applicazione dell'amministrazione centrale [sic] di taluni funzionari del ruolo di cotesta colonia (l'Eritrea), ai quali pertanto ho dovuto notificare invito a riprendere servizio costà nel più breve tempo e in ogni caso entro l'anno corrente. Questi funzionari sono : l'agente coloniale comm. Mantia, gli ufficiali Mochi, Tasca, Pini, Cortesi, Gandini e gli aiutanti Argenteri, Caligian, Cimino Michele, Castaldi e Galanti». Sul punto, più distesamente cfr. le recenti conclusioni cui è pervenuto V. Pellegrini, I. Il Ministero degli Affari Esteri, in L'AJJitJiinistrazione centrale dall' Unità alla Repubblica. Le strutture e i dirigenti, Bologna, Il Mulino, 1992, spec. p. 232, n. 443. 26 M. A. MuLAs , Un funzionario dello Sfato liberale. GiacotNO Agnesa ( 1860- 1919) , tesi di laurea discussa presso l'Università di Sassari, facoltà di Giurisprudenza, corso di laurea in Scienze politiche, a.a. 1987-88 (relatore prof. Guido Melis).

21 Cfr. A RCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI, A rchivio storico del Ministero dell'Africa Italiana [d'ora in poi ASMAI], Pos. 1 73/2, fase. 1 1 , Disposizioni inteme, 1909-13, nel quale è conservato un dispacci dell'Agenzia Stefani del 3 dicembre 1912, secondo il quale «continuano a giungere al Ministero delle Colonie assai numerose istanze di impiego nel Ministero stesso. Ma, come è stato già pubblicato, alla temporanea organizzazione dei nuovi uffici si è provveduto e, per l'assetto definitivo del Ministero, bisognerà attendere che siano stabiliti i criteri e le norme di scelta del personale. Solo allora quindi le istanze dei numerosi aspiranti potranno essere prese in esame». 22 Nel Calendario generale del Regno del 1913 una nota avverte che la nuova direzione centrale per l'Eritrea e la Somalia «corrisponde all'ex direzione centrale per gli Affari coloniali già alla dipendenza del Ministero degli Affari Esteri e distaccatane in seguito al r.d. 20 nov. 1912, n. 1205».

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di 1 o classe, viene provvisoriamente distaccato alle Colonie nel cui organico resterà poi in pianta stabile31 . Giacomo Massetti, che negli organici successivi figurerà come terzo direttore di ragioneria, proviene invece dall'amministrazione dei Lavori pubblici. Giommaria De Ferrari, che entrerà poi nel ruolo dei consiglieri dell'amministrazione centrale delle Colonie, è un ex consigliere aggiunto di prefettura ; e consigliere di prefettura di 2a classe è stato Alessandro Salvadori, poi direttore coloniale, nominato nel 1 91 3 segretario generale per gli affari civili e politici della Cirenaica. Vittorio Menzinger, che dal gennaio all'agosto 1 91 3 è per un breve periodo segretario generale in Tripolitania, sarà alla fine di quello stesso anno regio commissario del comune di Napoli, poi prefetto (dal 1914 al 1 91 9) di quella provincia, quindi governatore della Tripolitania (dall'agosto 1 91 9 al luglio 1 920). Ubaldo Scarlatti, poi aiutante coloniale, è un ex archivista del Ministero delle finanze. Niso Capriotti, che nell'organico del 1 91 4 figurerà come segretario di 1 o classe, è stato funzionario di prefettura. Ottone Schanzer, futuro direttore coloniale e fratello del più celebre Carlo, è un ex impiegato del Ministero di agricoltura, industria e commercio ; il suo collega Riccardo Astuto proviene dall'amministrazione dei Lavori pubblici, dove in particolare ha lavorato nel servizio terremoto (uno degli uffici più efficienti di quel Ministero), alle dipendenze di Ernesto Capellina. Ugualmente dai Lavori pubblici, dov'era capo sezione, viene Luigi Pintor, del quale ci si occuperà tra breve più diffusamente. L'elenco potrebbe naturalmente essere molto più lungo : tra il 1 9 1 3 e i primi mesi del 1 9 1 4, u n consistente gruppo di funzionari prove­ niente specialmente dalle prefetture e dalle amministrazioni centrali ottiene di trasferirsi al nuovo Ministero. Benché si tratti di trasferimenti « temporanei», non è difficile comprendere che nella grande maggio­ ranza dei casi questi « comandi» preludono a un'integrazione a pieno titolo di queste professionalità burocratiche nell'organico che sarà approvato nel 1 9 1 4. La fisionomia del nuovo Ministero appare cosi, sin dagli esordi, segnata dalla coesistenza (e talvolta dalla concorrenza) di due culture

a questo specifico contributo, mi limiterò a segnalare come la stessa posizione di Agnesa nella nuova amministrazione (dapprima provvi­ soriamente responsabile della Direzione generale per l'Eritreà e la Somalia ; poi, dal 1 6 febbraio 1 91 4, incaricato, come ministro plenipo­ tenziario, delle funzioni di direttore generale presso il Ministero delle colonie per gli affari politici e civili) 27 tradisca quanto meno un'ano­ malia, forse spiegabile alla luce della testimonianza di Francesco Saverio Caroselli sulle «poche simpatie» di Luigi Mercatelli nei confronti della Direzione centrale degli affari coloniali diretta da Agnesa, « tenuta al bando» - ha scritto Caroselli - « da ogni ingerenza negli inizi e negli orientamenti della politica libica»28• Nella nuova amministrazione confluiscono, certo, numerosi dipen­ denti della vecchia Direzione centrale del Ministero degli esteri, specie quelli dell'Ufficio II 29, ma abbondano anche gli «innesti» da altre amministrazioni, in particolare nei due gabinetti (con netta prevalenza di «comandati» dell'Interno e del Ministero di grazia e giustizia) ed anche, sebbene forse in misura meno vistosa, negli uffici. Gli esempi, a questo proposito, sono moltissimi. Cosi Romolo Gian­ dolini, capo sezione di ragioneria di 1 o classe nel Ministero del tesoro, è solo temporaneamente incaricato, nel dicembre 1912, « di disimpegnare le funzioni di capo ragioniere del Ministero delle colonie»3o, ma diverrà poi il capo della ragioneria del nuovo Ministero ; e ugualmente dalla burocrazia del Tesoro proviene quell'Enrico Galli che, primo ragioniere

27 R.d. 1 9 feb. 1 914. Sul punto cfr. anche ACS, Corte dei conti, Decreti bilancio colonie, vol.

II, f. 2.

28 F. S. CAROSELLI, Nota . . . cit., p. 36 : «ho conservato il ricordo» - aggiunge Caroselli - della tristezza di Giacomo Agnesa, che sofferse grandemente dell'abbandono e dell'isolamento del suo benemerito ufficio». 29 Ad esempio, almeno inizialmente, il capo del reparto Eritrea Giuseppe Mantia, che è un agente coloniale del ruolo eritreo ; o il responsabile dei bilanci e della contabilità coloniale Ernesto Marchisio, già ufficiale coloniale di 1° categoria ; o l'archivista capo Rodolfo Negri. Nel citato telegramma di Bettolini a Salvago Raggi, il ministro avverte tuttavia di avere deliberato in diversi casi la destinazione in colonia di queste persone, «la cui opera non era assolutamente utilizzabile presso l'Amministrazione centrale e per le quali d'altronde mancava mezzo legale per un provvedimento di eliminazione dai ruoli» (ASDMAE, ASMAI, Persone operanti in Africa 1879- 1925, pos. 35, pacco A-1 cit.). 3° Cfr. MINISTERO DELLE COLONIE, «Bollettino ufficiale», 1 913, 1-2, p. 67.

31 Ibid., 1913, 4, pp. 179 e seguenti.

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amrrumstrative profondamente diverse e, almeno potenzjalmente, in conflitto tra loro. Da una parte l'esperienza unitaria degli ex agenti coloniali, o comunque di quel personale che, provenendo dai . ruoli dell'Eritrea e della Somalia, può contare su una pratica diretta e spesso duratura del servizio in colonia ; dall'altra la corposa presenza di funzionari (spesso dei gradi alti o medio-alti) che provengono dalle carriere amministrative e di ragioneria dei Ministeri, estranei perciò all'attività del vecchio Ufficio coloniale e della Direzione centrale e generalmente privi di una specifica conoscenza degli affari coloniali. È alquanto sintomatico che dei tre direttori generali previsti nel ruolo approvato nel marzo del 1 920 non uno abbia alle spalle l'esperienza della amministrazione coloniale nel Ministero degli esteri : Carlo Riveri proviene dai Lavori pubblici, dove è giunto al grado di direttore generale ed ha avuto la responsabilità dei servizi speciali (sarà poi, dal giugno 1 920 alla morte, nell'ottobre 1 923, governatore della Somalia) ; Pompeo Bodrero è un ex vice direttore generale delle Finanze ; Ugo Niccoli è anch'egli ex funzionario di quel Ministero (si è occupato, prima di giungere alle Colonie, del servizio per la gestione dell'imposta di ricchezza mobile). La presenza di una quota anche consistente di personale proveniente da altre amministrazioni dello Stato (in funzioni di carattere tecnico, per lo più) non costituisce, ben inteso, un fatto del tutto nuovo nella tradizione amministrativa delle colonie. In Eritrea e in Somalia si era fatto largo ricorso, sin dall'Ottocento, a personale dei Ministeri della guerra e della marina, poi delle poste e telegrafi, delle finanze e, per quanto atteneva alla gestione dei tribunali locali, del Ministero di grazia e giustizia. Quella che nel 1 9 1 2-13, e ancor più con gli organici del 1 91 4, appare inedita è però la posizione di netta preminenza che questa componente prettamente burocratica, tradizionalmente chiamata a compiti integrativi, viene ora ad assumere all'interno del nuovo Ministero. Quando infatti, con il decreto del gennaio 1 91 4, vengono finalmente approvati gli organici del personale, appare chiaro che non solo le raccomandazioni della relazione Abignente, ma persino la posizione moderatamente antiburocratica assunta nel 1 91 2 dal primo titolare del Ministero delle colonie Pietro Bettolini sono state totalmente tradite : « la struttura di tali organici ha scritto Columbano - non venne

modellata sugli esistenti corpi di agenti coloniali, ma adeguata a quella delle altre amministrazioni dello Stato » 32• In altre parole, con la « normalizzazione» del 1 9 1 4, le velleità di sperimentazione coltivate più o meno consapevolmente al momento della costituzione del Ministero cedono il passo ad un più realistico allineamento nel solco della tradizione burocratica. Nei primi ruoli (dopo quello dei direttori generali, quelli dei direttori coloniali, dei consiglieri e dei consiglieri aggiunti, dei direttori capi di ragioneria e dei ragionieri, degli aiutanti coloniali, degli archivisti, degli applicati, degli uscieri e commessi, oltreché il ruolo del personale femminile addetto ai lavori di copia : 28 dattilografe, una direttrice e due sotto­ direttrici, in gran parte provenienti dalle Ferrovie dello Stato) 33 ven­ gono inquadrati gli impiegati civili e militari in servizio nell'ammini­ strazione coloniale e quelli provenienti da altre amministrazioni o «e­ stranei» assunti temporaneamente. Ne risultano organici centrali piuttosto numerosi (in tutto 266 dipendenti, dei quali 87 amministrativi, 48 impiegati di ragioneria, 55 d'ordine, 29 dattilografe e 47 subalterni), a forte dominante burocratica, comuni - particolare quest'ultimo da sottolineare perché rompe la tradizionale separazione dei ruoli coloniali - al personale addetto ai servizi nel Ministero e quello della Libia (« con parifica­ zione ai funzionari delle altre amministrazioni centrali ») 34• I corpi dell'Eritrea e della Somalia « rimanevano ancorati ai loro organici, esclusivamente periferici ; solo » - ha scritto Columbano -, « essi venivano ammessi a concorrere ai posti previsti dai nuovi ruoli e potevano altresi, come già prevedevano gli ordinamenti delle due

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32 T. CoLUMBANo, IJ personale ... cit., p. 265. 33 Cfr. r.d. 18 mar. 1920, in ACS, Corte dei Conti, Colonie, 1919-29, vol. VI : nel ruolo dei

direttori generali figurano Carlo Riverì, Pompeo Bodrero e Ugo Niccoli; in quello dei direttori coloniali 21 funzionari : Carlo Rossetti, Alessandro Salvadori, Camillo De Camillis, Edoardo Baccari, Luigi Pintor, Giovanni Salvadei (tutti a 13 mila lire), Eugenio Cavallari, Renato Pettenella, Romeo Nappi, Giorgio Cavallini (a 1 1 .300 lire), Vittorio Carli, Erasmo Pecorini, Giuseppe Biozzi, Giuseppe Scalise, Vito Catastini, Ottone Schanzer, Marino Mutinelli, Ric­ cardo Astuto, Antonino Donato, Eugenio Da Bove, Emanuele Patti (a 10.500 lire) ; nel ruolo dei consiglieri sono compresi 14 nomi; nei consiglieri aggiunti, 25 ; il personale femminile di copia comprende, come si è detto, 26 dattilografe, più una direttrice e due sottodirettrici). 34 T. CowMBANO, IJ personale ... cit, p. 266.


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colonie, essere distaccati in temporaneo servizio, in numero limitato, al Ministero » 35• 2. La relazione di Carlo Schanzer, relatore sui problemi coloniali nell'ambito della commissione reale per il dopoguerra del 1 9 1 8- 1 9 (sezione VII), costituisce l a prima analisi di fonte ufficiale sulla que­ stione del personale nelle colonie dopo la cessazione dell'emergenza bellica 36• Affrontando in un apposito capitolo il tema della preparazione tecnica di questi impiegati, Schanzer pone in rilievo, innanzitutto, come esistano nelle colonie « tre specie di personale» : quello compreso nel ruolo organico coloniale, « per gli uffici con funzioni politi­ co-amministrative» ; il personale di ruolo temporaneamente comandato delle altre amministrazioni, «per ogni altro servizio e specialmente per i servizi d'indole tecnica» ; il personale assunto liberamente a contratto, per le funzioni speciali 37. Normalmente il personale propriamente coloniale è assunto per concorso e sottoposto ad un periodo di volontariato. Nel caso della colonia eritrea, l'ordinamento del 1 91 4 prescrive per l'accesso al primo grado della carriera (cioè per diventare aspirante agente colo­ niale) la laurea in giurisprudenza oppure « gli attestati di licenza riconosciuti sufficienti per l'ammissione alle carriere diplomatiche o consolari o il diploma di una scuola estera ritenuto a giudizio del Ministro delle colonie equipollente» 38 • Superato questo primo vaglio (« la scelta viene fatta dal Ministro delle Colonie, su proposta di una speciale commissione»), l'aspirante agente con due anni di servizio effettivo in colonia è ammesso a partecipare ai concorsi di agente coloniale di grado inferiore. È consentito reclutare gli agenti coloniali

35 Ibide1n. 36 ASDMAE, A SMA!, pos. 1 73f3, fase. 22, «Appunti per la riforma dei ruoli coloniali.

Relazione dell'an. Schanzer. Personale coloniale e sua preparazione tecnica», (che è in realtà il cap. VII della relazione complessiva della commissione. Per errore il documento è siglato BoRSI). Sulla situazione del personale del Ministero durante la guerra cfr. in particolare, ibid., 173/2, fase. 15, Istituzione del Ministero delle colonie. « Fusione dei ruoli coloniali. Prestito aJJ'Eritrea per opere pubbliche», dove è conservato un rapporto riassuntivo del direttore generale Agnesa del 24 maggio 1915. 37 Ibide1n. 38 Ibidem. Cfr. in particolare r.d. 10 dic. 1914, n. 1510.

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di grado inferiore anche «fra i funzionari amministrativi delle altre amministrazioni dello Stato o fra gli ufficiali del regio esercito e della regia marina in attività di servizio, i quali, dopo due anni di effettiva permanenza in colonia, a giudizio insindacabile del governatore, sentito il parere del consiglio di amministrazione della colonia, ab­ biano i requisiti all'uopo necessari» 39 • L'ordinamento della Somalia stabilisce che gli aspiranti agenti colo­ niali siano nominati con decreto del governatore. Per il passaggio ad agente coloniale di grado inferiore, che avviene su concorso, occorrono la laurea o l'attestato di licenza di alcuni particolari istituti o il diploma di una scuola estera ritenuto equipollente. Costituisce un requisito sostitutivo l'essere ufficiale dell'esercito o della marina. Anche nel caso della Somalia è previsto l'accesso all'amministrazione di «estranei» che il governatore (« le cui facoltà» - « sottolinea la relazione - « san più ampie di quelle del governatore dell'Eritrea») «può, in via ecce­ zionale, con proposta motivata e su conforme parere del Consiglio coloniale, far assumere nelle ultime quattro classi di agenti» 40 . Al nucleo centrale del personale propriamente coloniale si affiancano, in ciascuna delle colonie, il personale di altre amministazioni dello Stato temporaneamente comandato e quello assunto per contratto. È in parti­ colare su queste due categorie che si appunta la critica della relazione Schanzer : il voto finale della VII sezione chiede « che sia diminuito nella misura del possibile, il numero dei funzionari di altre amministrazioni dello Stato, diverse da quella delle colonie» ; e «che all'invio di funzionari delle altre amministrazioni dello Stato nelle colonie si prov­ veda con criteri e con norme che garentiscano la permanenza per un congruo termine di tempo dei detti funzionari in colonia»41. Quanto ai funzionari propriamente coloniali, la relazione, pur non disconoscendo il valore dei singoli («noi abbiamo senza dubbio dei valori fra i nostri funzionari coloniali»), denuncia con preoccupazione

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39 ASDMAE, A SMA!, pos. 1733, fase. 3. 40 Ibidem. 41 CoMMISSIONE REALE PER IL DOPOGUERRA, Studi e proposte della prima sottocommissione presieduta

dal sen. Vittorio Scialqja. Questioni giuridiche a!li!JJÙJistrative e sociali. Giugno 1918-giugno 1919, Roma 1920, p. 1 70.


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I funzionari coloniali ( 1912- 1924)

la carenza generale di istruzione coloniale, i difetti della seleziòne, le lacune di un tirocinio non sempre adeguato alle future responsabilità ; e nel riconfermare la necessità dei ruoli coloniali separati per le. diverse colonie avanza tuttavia la proposta di sperimentare al loro interno il sistema dell'avanzamento in carriera per ruoli aperti (che del resto, in quel 1 9 1 9 e sino al 1 923, sarà adottato più generalmente per tutta l'amministrazione centrale dello Stato) 42• I voti della sezione, infine, riprendendo uno dei temi cruciali della relazione, insistono molto sulla riforma del reclutamento e sul tirocinio coloniale :

In una relazione per il sottosegretario di Stato Pietro Foscari del febbraio 1 9 1 9, non firmata ma palesemente dell'allora capo dell'Ufficio affari civili della Tripolitania Luigi Pintor, la questione è affrontata invece sotto l'inedito punto di vista « dello stato d'animo dei funzio­ nari, dei loro lamenti, dei loro desideri» 45• È una preziosa quanto partecipe testimonianza della quotidianità coloniale e del malessere che affligge il personale : discriminazioni economiche e di status, aspet­ tative tradite, smarrimento della propria identità culturale e professio­ nale, ambizioni frustrate. Innanzitutto l'irritazione per l'applicazione dell'indennità coloniale, che durante la guerra è stata riformata in modo da non corrispondere più alla misura esatta dello stipendio ; quindi la negazione al personale delle colonie dei benefici conquistati in Italia dalle corrispondenti categorie burocratiche ; poi l'obbligo dell'uniforme, ma senza che una adeguata indennità consenta di co­ prirne i costi crescenti ; poi ancora, l'attesa delusa per il premio di permanenza in colonia, la non concessione del viaggio gratuito per i congedi, il periodo di riposo mensile troppo breve, le discriminazioni nella concessione delle onorificenze, la non ammissione dei civili alle mense militari. Da quest'ultima esclusione, anzi, la relazione trae spunto per denunciare le pesanti discriminazioni tra militari e civili, la necessità di migliorare i rapporti tra le due comunità, e, per i civili in particola­ re, «di rialzarne il prestigio e il decoro come classe, come corporazione, fino a un livello molto superiore a quello che si può e si deve desiderare in Italia. La figura dell'impiegatuccio che prende i suoi pasti nella taverna dove si spende di meno fa disdoro all'amministra­ zione e dà allo stesso funzionario quella piccola aria meschina che può anche ridursi a materia di non dannosa ironia nella madre patria, ma che in colonia è di certo e visibile danno » 46• Nell'amministrazione centrale i motivi di scontento non sono minori. Un denso rapporto al ministro Rossi firmato da Camillo De Camillis (senza data, ma da farsi probabilmente risalire al 1 921 , quando il suo autore è direttore generale degli affari economici e del

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« Che il reclutamento del personale sia fatto con criteri rigorosi e cwe ; a) richiedendo dagli aspiranti delle carriere coloniali una cultura generale abbastanza estesa ed una sufficiente preparazione di studi coloniali, quale può risultare da speciali lauree o diplomi di istituti superiori, compresi gli istituti superiori di commercio ; b) che i detti aspiranti, superato l'esame di ammissione per concorso, siano sottoposti ad un tirocinio di congrua durata nel servizio coloniale locale, con destinazione possibilmente negli uffici decentrati e regionali delle singole colonie, anziché agli uffici burocratici dei capoluoghi di governo ; c) che, compiuto il tirocinio, gli aspiranti che abbiano data prova di idoneità, diligenza e attitudine al servizio coloniale, siano promossi secondo norme che diano il giusto peso alle qualità morali degli aspiranti stessi ed alla loro conoscenza delle lingue e delle istituzioni indigene» 43•

Se ci si è cosi a lungo soffermati sulla relazione Schanzer, è perché questo documento sintetizza meglio di altri lo stato di disagio, se non di crisi, nel quale versa il personale dell'amministrazione coloniale dopo la guerra mondiale. Non diversamente Giacomo Agnesa, in un rapporto alla stessa commissione per il dopoguerra, parla più sinteti­ camente di « deficienza di preparazione tecnica del personale del Mini­ stero delle colonie e degli esteri in materia coloniale, specie islamica e linguistica»44.

42 Su questo punto, mi permetto di rinviare a G. MELIS, Due !Jiodelli di a!Jiministrazione tra liberalisJJJo e fascismo. Burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1 988, pp. 1 1 e seguenti (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 10). 43 Ibid., p. 171. 44 ASDMAE, A SMA!, pos. 1733, fase. 21, La funzione del Ministero delle colonie. Riordina­ IJJento dell'A JJJtninistrazione Coloniale. Rapporti tra i Ministeri delle Colonie e degli Esteri « Relazione del direttore generale degli Affari politici».

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45 ACS, Carte Luigi Pintor, b. 3, «Appunti per S. E. il sottosegretario di Stato. La questione dei funzionari», 19 febbraio 1919. 46 Ibidem.


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personale) 47 deve addirittura controbattere l'ipotesi estre�� di- : una soppressio ne del Ministero o quanto meno di una drastica nduz10ne dei suoi servizi. De Camillis però, nell'ammettere l'esistenza di çle­ menti - anche preoccupanti - di disfunzione, li fa risalire all'origine stessa del Ministero e significativamente all'equivoco di fondo deri­ vante dall'indirizzo di «quel nucleo organizzativo da cui [ha tratto] origine, e cioè la Direzione centrale degli affari coloniali» e i suoi funzionari, che avrebbero visto erroneamente il nuovo Ministero più come l'organo della politica coloniale italiana nei rapporti interna­ zionali che non come un organismo di coordinamento e direzione amministrativa della economia coloniale. Nel passaggio dalle piccole alle grandi dimensioni (la Direzione centrale degli affari coloniali trattava, nel 1 9 1 1 , 8.000 affari ; il Ministero, nel 1 920, ne « lavora » 50. 585) 48 , la burocrazia proveniente dagli Esteri avrebbe - secondo De Camillis - coltivato l'equivoco deleterio di continuare a pensare in termini politici (di politica coloniale internazio nale), laddove invece si richiede ormai di ragionare in termini puramente amministrativi, senza invadere le competenze del Ministero degli affari esteri. Per quanto forse ingenerosa con gli eredi della Direzione centrale (Giacomo Agnesa frattanto è morto nel 1 91 9, e con lui è scomparso l'unico dei direttori generali del Ministero che avesse avuto un ruolo nelle vecchie strutture degli Esteri), la critica di De Camillis coglie un punto essenziale e, per quanto attiene alla questione del personale, ripropone ancora una volta il nodo della specifica formazione dei funzionari. La riforma dell'Istituto orientale di Napoli, dopo che la legge del 1 9 1 3 lo ha trasferito dalla dipendenza della Pubblica istru­ zione a quella delle Colonie49, non è stata di per sé risolutiva. Né ha ottenuto tutti gli effetti sperati il provvedimento del novembre 1 9 1 9 in attuazione della più generale riforma che introduce nelle ammini­ strazioni dello Stato i ruoli aperti, provvedimento con il quale, sul modello dell'amministrazione dell'Interno, si fondono i ruoli delle carriere centrali e periferiche, « dando completa prevalenza alla carriera

che si svolge fuori del Ministero »50 • I concorsi del 1 9 1 9-20, dopo la stasi determinata dalla guerra, hanno ridato fiato al reclutamento (nel 1 9 1 5 l'amministrazione centrale si era ridotta a 48 amministrativi, 3 1 ragionieri e 3 6 funzionari civili e militari di altre amministrazioni e dei ruoli dell'Eritrea e della Somalia), ma le nuove assunzioni hanno esasperato i problemi di formazione, già aggravati dal fatto che il contemporaneo ingresso dei nuovi assunti (tutti tassativamente destinati per almeno due anni alle colonie) ha coinciso in Libia con la transi­ zione dal governo militare a quello civile. Nel 1 921 il personale effettivamente in servizio nel Ministero consta di 31 amministrativi, 1 8 ragionieri e 30 funzionari civili e militari di altre amministrazioni o dei ruoli coloniali ; mentre 38 amministrativi e 28 impiegati di ragioneria sono destinati al servizio in Libia, a dimostrazione di una politica del personale che mira, seppure forse ancora troppo timida­ mente, al riequilibrio tra colonia e metropoli (il numero degli ufficiali addetti all'amministrazione dei due governi libici è sceso frattanto dagli 80 del 1 9 1 9 ai 21 del 1 921) 51• Il problema di una adeguata valorizzazione della specifica esperienza coloniale resta tuttavia il vero nodo da risolvere. In un promemoria del direttore generale per le colonie dell'Africa settentrionale Luigi Pintor, nel 1 924, se ne può leggere una allarmata, e insieme accorata, denuncia : « Sono state fatte, alcuni mesi or sono, le promozioni al grado di consigliere di prima classe» - scrive Pintor -. « <l consiglio di ammi­ nistrazione, dovendo giudicare per merito comparativo, credette di poter scomporre il suo giudizio in diversi fattori - qualità intellettuali, studi, servizi prestati, moralità, carattere, anzianità nel precedente grado - ; per ciascun fattore assegnò punti in decimi, applicando però diversi coefficienti [ . . . ] . Da questa complicata scheda, nella quale giocano i voti dei singoli giudici, i molteplici fattori e i coefficienti, risultò una graduatoria che non appagò affatto la mia coscienza. L'anzianità di grado, che pure influiva soltanto per 1 /2, portò note-

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47 Ibide111. 48 Ibide111. 49 L. 19 giu. 1913, n. 800.

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AP, Cmmra dei deputati , Ieg. XXV, sess. 1919-21, Docu111enti, disegni di legge e relazioni, n. 1342, Relazione del ministro delle Colonie Rossi. 5 1 Tutti i dati sono tolti dalla citata relazione De Camillis, in ACS, Carte Luigi Pùttor, b. 3.


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voli differenze fra i funzionari che erano già distanti in gerarchia. Ebbero, ad esempio, il beneficio di guadagnare sette od otto punti funzionari come il Parpagliolo o il Peruggini, che sono probi e capaci ma non hanno mai fatto la loro prova in colonia, l'unica prova che conti nel nostro mestiere. E fu vantaggio uguale o superiore quello conseguito da altri [ . . . ] sulle persone più capaci come lo Zedda, il Gabelli, lo Zucco e che, in più, hanno una preparazione specifica in aggiunta a quella generica giuridico-amministrativa e meritori servizi per lunghi anni in colonia in uffici di alta responsabilità, con arduo e felice governo di popolazioni. Peggio ancora : giovani come il Siniscalchi, che ha già fatto anch'egli lungamente buona prova in Tripolitania e Cirenaica, o come il Cao, che ha ottima preparazione e un massimo ingegno e da un anno si è deciso ad andare in colonia, non ebbero alcun vantaggio. Feci osservare in consiglio di ammini­ strazione la iniquità di un siffatto giudizio che con la felice obiettività della cifra portava a questi effetti. Ma ottenni solo qualche lieve correzione delle più patenti ingiustizie» 52•

una serie di delicate missioni diplomatiche nelle quali matura una conoscenza profonda del contesto politico locale e delle sue contrad­ dizioni (nel 1 9 1 7 è il principale negoziatore dell'accordo italo-senussita di Acroma). Nel 1 9 1 9 è richiamato a Roma, dove sarà capo di gabinetto dei ministri Colosimo e Rossi, ma nel 1 921 è di nuovo in Africa, questa volta - come segretario generale della Cirenaica e poi, dopo la morte di De Martino, come reggente del governo, proprio nel momento particolarmente delicato dell'accordo di Regima e della sua applicazione. Nell'ottobre 1 922, a causa delle precarie condizioni di salute (ma, come si vedrà, forse anche per i contrasti con Roma), ritorna in Italia, per essere poi nominato l'anno successivo direttore generale. Morirà nel settembre 1 925, ad appena 43 anni. Uomo schietto, di giudizi netti non privi di passaggi spregiudicati, Pintor è protagonista, a partire dall'epoca del suo primo incarico africano, di una lunga, insistente polemica sul problema del personale coloniale. Osserva ad esempio, in una lettera ufficiale probabilmente del 1 9 1 8, nel chiedere impiegati per il segretariato della Tripolitania : << Occorre che siano uomini maturi di esperienza amministrativa, labo­ riosi, e appassionati con fede al proprio lavoro. Altrimenti avremo il solito freddo, inutile ruzzolamento di carte per mandare avanti alla meglio la baracca» 55• È una costante che ritornerà spesso nei carteggi degli anni successi­ vi : Pintor diventa gradatamente il portavoce di una precisa concezione dell'amministrazione coloniale e poi anche di un indirizzo politico, che a tratti appariranno in contrasto con quelli del governo. Soprat­ tutto nei mesi successivi all'accordo di Regima, quando, tra il febbraio e l'ottobre del 1 922, al Ministero delle colonie viene chiamato Giovanni Amendola, il conflitto si manifesta con inusuale asprezza : «Mi si chiama indisciplinato - scrive Pintor da Bengasi nel maggio ­ «perché ho osato, in nome mio e di altri che vedono e pensano qui da anni, prospettare la situazione in modo diverso da quello ortodosso e consacrato dal Ministero. Ma io domando : attraverso quali mezzi il Ministero si è formato la sua concezione se non per notizie e giudizi

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3. La documentazione, specie la corrispondenza personale e d'ufficio raccolta nelle « carte di Luigi Pintor53, costituisce un'importante testi­ monianza dei contrastati rapporti tra il Ministero e l'amministrazione delle colonie, nonché una fonte illuminante sulla condizione dei fun­ zionari coloniali nel dopoguerra e nei primi anni Venti. Pur provenendo dal Ministero dei lavori pubblici (ha alle spalle una brillante carriera sino al grado di caposezione e all'attivo un apprezzato lavoro giovanile sulla riforma della legge sull'espropriazione per causa di pubblica utilità) 54, Pintor diviene ben presto uno degli uomini chiave dell' amministrazione coloniale del dopoguerra. Destinato nel 1 9 1 5 in Tripolitania come capo dell'Ufficio degli affari civili, è l'insostituibile collaboratore del segretario generale Niccoli, ma si impegna anche in

52 Ibidem. « Pro-memoria», s.d. (ma 1924). 53 Cfr. in proposito G. TosATTI, Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor, in questo volume. Ringrazio in modo particolare la dott. Tosatti per l'aiuto prezioso

e competente che ha voluto cortesemente offrirmi. 54 ACS, Carte Luigi Pintor, bb. 5, 6.

55 Ibid., b. 1, relazione dattiloscritta, non firmata e s.d.

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di uom1n1 viventi ed operanti nei luoghi? E chi deve illuminarlo, se non noi che diciamo il nostro pensiero, senza secondi fini cii acquistare potere o di metterei in vista? » s6. . Il contrasto vette sulla politica senussita del Ministero e sul ruolo di Idris e di altri personaggi della scena politica araba (Pintor ne diffida, ma ancor di più diffida della sincerità del consulente del governo Ornar Pascià : il Ministero vorrebbe tenere un atteggiamento più comprensivo) 57 ; ma tradisce anche - ed è l'aspetto che qui interessa maggiormente - la rivendicazione di un ruolo e di un peso politico che la burocrazia coloniale evidentemente sente di non avere : « Suo 1 074 [è il numero del telespresso precedente], pure letto e con­ siderato con paziente animo » - aveva scritto pochi giorni prima Amen­ dola -, «mi appare tipico documento di quella indisciplina spirituale purtroppo non infrequente nella amministrazione coloniale, per la quale spesso i funzionari diventano bandiera di una politica, la loro presenza o la loro assenza assumono un significato ugualmente imbarazzante ed i ministri incontrano difficoltà gravi nello stesso organo esecutivo prima ancora di trovarle e di affrontarle nel campo d'azione» ss. Funzionario professionalmente preparato, colto, indipendente, Pintor sembra voler giungere in questi mesi al passo estremo delle dimissioni dall'impiego (« se sarò già uscito dai ranghi, le mie parole avranno un calore anche più disinteressato e sereno», scrive) 59 • Ed è sintomatico che, �e la enuncia degli errori (l'eccessiva tolleranza verso i capi senu� s1�1, l mdulgenza sulla mancata realizzazione dei campi misti prev1st1 dall'accordo di Regima, l'assenza in colonia di una vera forza di polizia) e delle latitanze governative (il servizio automobilistico che n�n funziona, gli stanziamenti del bilancio inadeguati, le opere pub­ bhche promesse e poi non realizzate) assuma particolare rilievo so­ prattutto lo sfogo sull'insufficienza del personale : ·

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56 Ibid. , lettera di Pintor a Luigi Bonanni, Bengasi 1 6 maggio 1922. 57 Da vedere, in proposito, il lungo memoriale di Pintor intitolato «I nostri rapporti con . la Senuss1a. Note sul passato e sul presente», ibid., b. 5. 8 5 I id. , b. 7, telespresso riservatissimo del ministro Amendola al reggente del governo,

Bengas1. Roma 13 maggio 1922. 59 Ibid. , b. 1, lettera di Pintor indirizzata « caro commendatore» (forse Luigi Bonanni) 28 ' dicembre s.d. (ma 1921).

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« Funzionari, non molti neanch'essi, ma che appartengano all'umana specie, e non siano solo burocratiche talpe, fredde, cartacee, disani­ mate. E tutto questo chi ce lo dà? Il Parlamento coi suoi noti spiriti africani? Il Commendator De Bellis? I vari ministri del tesoro tre­ manti per il pareggio? E se dobbiamo continuare a gettar nel forno soltanto le anime nostre e avere in cambio soltanto dileggio e di­ sprezzo, sopporti e resista chi può. Io non sopporto e non resisto più. E se quando mi sarò ridotto a fare l'avvocatuzzo in Sardegna mi riprenderà la lebbra africana, mi offrirò servitore ardente al Portogallo. All'Italia no di certo »60 . Questa di Pintor è una crisi anche personale, nella quale i motivi professionali si intrecciano, come spesso accade, alle condizioni di salute non buone, alla logorante fatica della reggenza, forse anche alla delusione per l'escalation in carriera di troppi colleghi rimasti a Roma : nell'ottobre 1 922 governatore della Cirenaica è stato nominato Eduardo Baccari, ancora nel 1 920 direttore coloniale come Pintor, che la comu­ nità italiana a Bengasi accoglie con estrema freddezza 61 ; nel gennaio 1 923 gli succede il gen. Bongiovanni, nei cui confronti uno degli ex collaboratori e amico personale di Pintor, il segretario generale per la Cirenaica Roberto Astuto, è protagonista di un conflitto di opinioni che gli varrà l'allontanamento dalla colonia 62.

60 Ibidem. Il De Bellis citato sarà il ragioniere generale dello Stato Vito De Bellis. 61 Ibid. , b. 6, lettera di Astuto a Pintor, Bengasi 3 agosto 1923 : «Dal tuo periodo di

reggenza - scrive Astuto - sei uscito benissimo : i fatti ogni giorno di più spiegano e giustifi­ cano la tua opera. Mi è parso di comprendere che al Ministero hai una posizione di primo ordine, né tu hai potuto negarmelo, mentre Baccari è almeno nel campo coloniale - liquidato del tutto. Per la centesima volta, ripeterò che tu sarai presto governatore : che tu poi non voglia esserlo (e hai torto!) non è una ragione per essere malcontento e sfiduciato. Sono poi persuaso che la nomina del segretario generale del Ministero (sia pure con l'abolizione del sottosegretario di Stato) si imporrà ed anche quello è un posto che nessuno ti può togliere. Tutto questo io scrivo, se vuoi, egoisticamente, perché non vorrei che tu lasciassi il servizio coloniale; ma è egoismo di casta, non personale». Cfr. ibid., anche la lettera a Pintor (firma illeggibile) da Bengasi, 9 marzo 1923, nella quale la nomina di Baccari è considerata <mn atto di dedizione» nei confronti di Ornar Pascià e dei senussiti (all'epoca della destinazione in colonia di Baccari, prevale nella comunità italiana di Bengasi - come del resto anche nelle altre colonie - la componente fascista). 62 Ibid., b. 6 (dove cfr. in particolare la lettera di Astuto a Pintor, Bengasi 3 maggio 1924) e b. 2 (dove cfr. la risposta personale di Pintor, maggio 1 924). Il breve carteggio verte sui -


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I funzionari coloniali (1912- 1924)

Direttore generale proprio negli anni del fascismo al governo,· _che dovrebbero anche segnare in qualche modo (sebbene non s"ia fascista) il riconoscimento della sua visione dei problemi libici63, Pintor app�re invece sostanzialmente sconfitto :

secondo le costumanze relative del ci-devant regime parlamentare, se­ guitavano in quello delle Colonie a evadere delle pratiche e a proto­ collare il protocollabile» 65. Esula dai limiti di questa comunicazione analizzare come si sia evoluta l'amministrazione coloniale durante il fascismo e quali reali novità siano intervenute (se ne sono intervenute) nella formazione del personale. Ma la ricerca di un modello di formazione alternativo a quello burocratico (Uomini per !'Impero, s'intitolerà uno dei tanti perentori inviti a cambiar strada, pubblicato nel 1 928 come editoriale del « Popolo d'Italia») 66 continuerà per tutto il ventennio fascista, ben oltre la stessa riforma Federzoni 67•

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«Al suo sconfortato grido per la condizione attuale degli uffici, per la difficoltà presente di parvi rimedio » - scrive a un corrispondente nel giugno 1 924 , « mi associo purtroppo con triste persuasione ; e dovrei ripeterlo accoratamente per tutti i servizi coloniali e per l'intera nostra amministrazione. Né questa è l'ultima delle ragioni che mi persuadono ad abbandonare una fatica inutile cui ho inutilmente dedicato e sacrificato anni, salute e passione» 64• -

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Gli stretti rapporti che Pintor, ormai direttore generale, continua a mantenere con i suoi antichi collaboratori in colonia e la solidarietà di atteggiamenti nei confronti della politica « romana» che collegherà a lungo (anche dopo la morte di Pintor) questo gruppo di funzionari costituiscono tuttavia il segnale di una concezione dell'amministrazione coloniale che sopravvive anche nei secondi anni Venti, incontrandosi ambiguamente con l'impostazione fascista del problema africano e con la polemica verso un passato fatto « di uomini» - avrebbe scritto Giuseppe Bottai -, «i cui nomi farebbero arrossire i negri dei nostri possedimenti, uomini che, passati per la routine di tutti i ministeri,

compiti istituzionali del segretario generale, sui limiti della sua autonomia rispetto al gover­ natore, sulla possibilità per questo funzionario di istituire un rapporto diretto con il Ministero. Interessante (anche perché illumina retrospettivamente le motivazioni del comportamento di Pintor in altre occasioni) la recisa affermazione che poiché «il segretario generale dipende si gerarchicamente dal governatore, ma per adempiere ad un particolarissimo ufficio di collabo­ razione che non trova riscontro in altre forme di organizzazione amministrativa [ . . . ], quando questa collaborazione non può essere prestata con intima certezza di bene operare, e quindi con profonda fedeltà di animo, oltre che di esteriore rispetto, è doveroso dirlo e chiedere di essere esonerati». 63 Sui rapporti di Pintor con il fascismo sono illuminanti alcuni lettere conservate nelle Carte Pintor: antiamendoliano e fautore di una politica « forte» nei confronti dei capi arabi, poche Pintor gode delle simpatie dei fascisti in colonia, anche se nel novembre 1922 settimane dopo la marcia su Roma - un articolo apparso su «La Vita italiana» (Quel che dice il COJII!JJ. Pintor del Ministero delle Colonie, 1 5 novembre 1 922) suscita al Ministero una sorta di indagine «politica» nei suoi confronti. Cfr. ACS, Carte Luigi Pintor, b. 6 . 64 Ibid., lettera d i Pintor a Cavazza, 30 giugno 1924. -

65 G. BoTTAI, Appunti per ((La giomata coloniale>>, in « Critica fascista», 1926, 7, pp. 121 e seguenti. 66 UoiJiini per l'Impero, in «<l Popolo d'Italia», 20 ago. 1926. 67 Un quadro riassuntivo, aggiornato alla caduta del fascismo, è in ASDMAE, A SMAI, 3, Miscellanea, b. 1 879-1955, fase. Studi e note sulle riforme dell'amministrazione (Ministro A. I.), 1 945.


La Chiesa cattolica e la politica coloniale

FAUSTO FONZI

La Chiesa cattolica e la politica coloniale

Data l'ampiezza del tema, mi limiterò all'Ottocento e, poiché molte relazioni già riguardano la politica coloniale, porrò l'accento sulla Chiesa. Per ciò che riguarda la S . Sede, ha naturalmente grande importanza il succedersi dei pontificati : l'indirizzo generale muta a volte radical­ mente · cosi ad esempio il favore di Leone XIII per l'Oriente cristiano ' ' ' viene abbandonato dal successore Pio X, per essere poi ripreso da Benedetto XV nel contesto di un generale orientamento universalista e pluralista. Ha sensibile influenza anche la successione dei segretari di Stato, i cui orientamenti in politica internazionale si riflettono anche in campo missionario 1 • Importanza centrale ha naturalmente l'indirizzo della Sacra congre­ gazione di Propaganda fide, che va esaminata considerando la perso­ nalità e i precedenti dei prefetti e degli altri membri della congrega­ zione, tenendo soprattutto conto della figura del segretario generale 2 (e anche del segretario della sezione orientale). Forse non erano lontani

1 «Bien que peu enclin d'intervenir directement dans les questions qui sont du ressort de

la Propagande, Son Eminence m'a promis de faire une nouvelle démarche pour obtenir (. . .) » Così scriveva l'incaricato d'affari francese presso la S. Sede, Navenne, al suo ministro degli esteri, Hanotaux, il 18 agosto 1 896 (ARCHIVES DU MINISTÈRE DES AFFAIRES ETRANGÈRES, Parigi [d'ora in poi MAEF], Correspondance politiq11e, Ro111e S. Siège, vol. 1 1 23, c. 158). Molti documenti dimostrano che parecchi furono, almeno al tempo del segretario di Stato Rampolla, gli interventi della Segreteria pontificia in favore degli interessi francesi in campo missionario e che in diversi casi ebbero efficacia. 2 J. METZLER, Prafekten 11nd Sekretare der Kongregation itn Zeitalter der ne11eren Missionsara (1818- 1919) , in S. Congregationis de Propaganda Fide Memoria Rel'tltn. Trecentocinq11anta anni al servizio delle missioni, 1622- 1972, III, parte I, Roma-Friburgo-Vienna, Herder, 1975, pp. 30-66. Fra i recenti scritti su segretari della Congregazione: p. CELESTINO, Il card. missionario cappt�ccino Ignazio Persico, in « Studi e ricerche francescane», 1 981, 1-3, pp. 115- 132.

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dal vero i diplomatici francesi, che denunciavano (per fughe di notizie e di documenti) personaggi minori di Propaganda (di nazionalità italiana) particolarmente quando, nel 1 895, un Memorandum, che doveva restare segreto, sulla invadenza francese in Oriente giunge nelle mani di CrispP. Per Chiesa intendiamo S. Sede, ma anche mondo missionario \ che non sempre è passivo esecutore delle disposizioni romane. Vanno quindi considerati i diversi ordini e le congregazioni religiose nella loro pecu­ liarità, nella loro autonomia e nel loro « spirito di corpo». Il lavoro che si sta ora compiendo anche in Italia già fa prevedere che lo studio dall'interno delle comunità religiose permetterà di comprendere molte cose che erano spiegate solo in termini di politica internazionale. Vi sono anche scuole di pensiero teologico e di spiritualità, tradizioni missionologiche, tendenze diverse e contrasti anche all'interno di ciascun ordine, che, insieme a motivi pratici (riguardanti, ad esempio, la sicu­ rezza), aiutano a comprendere l'atteggiamento dei missionari pure nei confronti delle autorità civili africane ed europee. Quanto Betti osserva a proposito dei Lazzaristi francesi che, lungi dal subire costantemente i richiami del governo repubblicano ai doveri patriottici, sono in parte favorevoli ad accordi con le autorità italiane (come già con quelle tigrine o egiziane), trova conferma in altre situazioni e smentisce l'immagine di religiosi sempre e tutti preoccupati esclusivamente di giovare agli interessi politico-militari del proprio

3 «Le mémoire soustrait "rniraculeusement" à la Propagande était un rapport du Patriarche latin de Jérusalem sur les progrés de l'influence française en Palestine. J'ignore comment cette pièce a pu ètre soustraite; mais le fait, par lui-mème, justifie suffisamment les défiances que nous avons été trop souvent amenés à concevoir sur les facilités que les adversaires de la France trouvent à prendre contact avec certains subalternes des bureaux de la Propagande. C'est ce que je ne manquerai pas de signaler à l'attention du cardinal Secrétaire d'Etat» : così il rapporto dell'ambasciatore Lefebvre de Béhaine al ministro Hanotaux del 3 0 maggio 1895, che si trova con gli allegati (una lettera di Felice Cavallotti al « Corriere della Sera» pubblicata su «<l Secolo» e su «<l Tempo») in MAEF, Correspondance politiq11e, Rome S. Siège, vol. 1 120, cc. 98-102. 4 Una recente opera generale sulle missioni cristiane in Etiopia è quella di D. CRUMMEY, Priests and Politicians, Protestant and Catholic Missions in Orthodox Ethiopia, 1830- 1968, Oxford, The Clarendon Press, 1 972.


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paese, mentre altre sono generalmente le motivazioni prevalenti · del comportamento dei missionari 5• . Esprimerei anche un parziale dissenso da certe nette affermazioni, come quella di uno studioso africano che scrive : « Amministratori coloniali e missionari condividevano la stessa visione del mondo » 6• Si deve tener conto del fatto che i missionari non erano mai del tutto isolati dalla realtà del proprio paese; perciò i missionari italiani si devono considerare parte del mondo cattolico italiano, anzi dell'intera società italiana, che non era certamente unanime, bensì lacerata da diverse, anche contrapposte, visioni del mondo. Era, ad esempio, identica la visione radical-massonica, spesso presente fra i governanti e gli amministratori coloniali italianF, a quella dei cattolici intransi­ genti, non assente fra i missionari?. Limitando l'attenzione al solo mondo cattolico, noterei che esso, per quanto unanime su alcuni punti (come, ad esempio, sul valore positivo della liberazione degli schiavi), è diviso, circa il nostro argo-

mento, da differenti modi d'intendere il significato della parola « civil­ tà». Si è fermata l'attenzione sul dibattito nella democrazia laicista soprattutto fra Bovio e Ghisleri, riguardo alla civiltà ed al coloniali­ smo 8 . Credo che si debba tenere anche conto di quanto si pensava nel mondo cattolico, perché dal piano teorico derivano i comportamenti. E penso che l'asprezza del contrasto fra Stato e Chiesa, principalmente a causa della questione romana, abbia portato i cattolici italiani, più di quelli di ogni altro paese, a distinguersi in almeno due tendenze ; che non sia insomma corrispondente al vero il considerarli unitariamente quasi avessero un atteggiamento compatto e uniforme9• Da un lato vi sono coloro che vedono, attraverso i secoli, lo sviluppo della civiltà cristiana come unica vera civiltà ; di una sola cultura cioè, che, seppur nata in Oriente, è venuta maturando in Occidente, in Europa, con lo svolgimento dei motivi cristiani di libertà individuale e nazionale, con il concetto cristiano di progresso, che ha portato a tante meravigliose conquiste della civiltà atlantica, considerata unitariamente come saldamente cristiana ; coloro insomma che, dando scarso peso alle fratture in Occidente, rifiutano di ammettere l'esistenza di una cultura moderna che possa definirsi anticristiana. Si manifesta quindi, da parte di costoro, un'orgogliosa soddisfazione, accompagnata da un atteggiamento di superiorità, di sufficienza ed anche di disprezzo per coloro che sono ben lontani dal grado raggiunto dagli occidentali nel cammino ascendente dell'unica civiltà, e particolarmente per i « bar-

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5 C. BETTI, Missionari cattolicifrancesi e autorità coloniali italiane in Eritrea negli anni 1885- 1894, iri « Storia contemporanea», 1 985, 5-6, pp. 905-930; In., Le 111issioni religiose, in questo volume. 6 K. AsARE 0PoKu, La religion en Afrique pendant l'époque coloniale, in Colonialis111 in Africa, 1870- 1960, a cura di P. DmGNAN e L. H. GANN, I, The history and politics of colonialisn1, 1 870-1914, Cambridge, Cambridge, University Press, 1 969, p. 566. Non mancano certamente le manifestazioni di una, almeno formale, solidarietà, non soltanto fra gli Stati europei impegnati in Africa (così da parte delle autorità francesi nei confronti degli italiani dopo Adua, secondo i rapporti che giungono da Parigi alla Consulta), bensì anche da parte della S. Sede: Lefebvre comunica a Ribot che lo stesso card. Ledochowski, accusato di viva ostilità nei confronti del colonialismo francese, gli ha «exprimé l'espoir que la France ne faillera pas à la grande oeuvre de civilisation qui reste encore inachevée dans ces contrées désolées du continent noir» (Roma, 20 febbraio 1892, in MAEF, Correspondance politique, Ro111e S. Siège, vol. 1 1 08, c. 273). Ciò però non dimostra che, ad esempio, cristiani cattolici e razionalisti atei avessero, nella sostanza, la stessa visione del mondo. 7 A volte emergeva un atteggiamento d'insofferenza, se non di aperta ostilità verso tutti i missionari, anche se raramente diventava esplicito, come , ad esempio, nella memoria su «Le missioni in Etiopia» inviata da Luigi Capucci a Leopoldo Traversi (Addis Abeba, 28 gennaio 1 894, in C. ZAGHI, La conquista dell'Africa. Studi e ricerche, Napoli, Istituto universitario orientale, 1984, II, pp. 828-838), ove si legge : «Combattiamoli apertamente, come ci impone il nostro avvenire coloniale in Africa (... ) ; si applichi loro qualche legge di soppressione delle corporazioni religiose ( . . .) ; sovvenzionare sia i missionari, come le monache (. . ) è una immoralità (...) è immorale che spendiamo per dei neri ciò che lesiniamo ai nostri figlioli bianchi». Si toccava qui l'importante problema delle scuole, che andava certamente oltre l'aspetto meramente politico, coinvolgendo questioni di orientamento culturale e religioso, e differenti .

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modi d'intendere la civilizzazione. Sull'impegno, riguardo alle scuole italiane in Oriente e in Africa, di Crispi - e, nel 1 887-1 891, del suo sottosegretario agli esteri, Abele Damiani - impegno generalmente - tranne un breve periodo fra il 1894 e il '95 diretto contro i missionari, cfr. : T. PALAMENGHI CRISPI, L'Italia coloniale e Francesco Crispi, Milano, Treves, 1928, pp. 213-240 ; R. ToLOMEO, Politica italiana e scuole in Oriente nella seconda 111età dell'Ottocento, in « Europa Orientalis», 1 983, 2, pp. 1 37-144. 8 Cfr. A. GHISLERI, Le razze UJJJane e il diritto nella qHestione coloniale, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 18962, ave si riporta la polemica del 1 887 ; R. CoLAPIETRA, Correnti anticolonialiste nel priJJJo trimnio crispino ( 1887- 1890). L' atteggiallletito di Giovanni Bovio, in «Belfa­ gor», 1 954, 5, pp. 123-456. Per il dibattito più generale il volume di R. H. RAINERO, L'anticolonialismo italiano da A ssob ad A dua, Milano, Ed. di Comunità, 1971. 9 Non giunge a tanto, ma, a mio parere, sottovaluta la necessaria distinzione fra i diversi settori del mondo cattolico, L. GANAPINI nel suo Il nazionalisJJJo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Bari, Laterza, 1970, che pur contiene delle utili informazioni e alcuni validi giudizi. -


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bari» o « selvaggi» dell'Africa, ma pure dell'Asia. Il giudizio. · negativo finisce così per investire tutto l'Oriente asiatico, africano ed anche europeo. Quest'Oriente, anche quando vanta un'antichissima tradizione cristiana, appare comunque decaduto, degenerato, impoverito (secondo alcuni senza possibilità di rimedio) spiritualmente, intellettualmente e moralmente 1 0 • Dall'altro lato vi è invece la tendenza ad enfatizzare la frattura verificatasi negli ultimi secoli in Europa per affermare che, accanto all'autentica civiltà cattolica, si è venuta sviluppando e contrapponendo una moderna civiltà anticristiana, naturalista, razionalista, utilitarista, spesso materialista, che si è allontanata dalla spiritualità evangelica, esaltando l'egoismo individuale e nazionale e negando la legge dell'a­ more e della solidarietà. Tale atteggiamento, spesso definito ultramon­ tano o intransigente, portava a considerare con distacco e indifferenza, ma qualche volta con palese ostilità, la tendenza degli Stati nazionali ad espandersi, anche con le armi, in Asia e soprattutto in Africa, principalmente quando si trattava di Stati che all'interno non mostra­ vano considerazione per i valori cristiani e le istituzioni cattoliche e pur chiedevano l'appoggio della Chiesa per imporre la loro civiltà. Cito, riguardo al dibattito su questi temi, il filosofo cattolico-liberale Augusto Conti da un lato, « La Civiltà Cattolica» dall'altro. Il Conti, dopo avere affermato, come Crispi 11 e Bovio, che la Civiltà ha il diritto d'imporsi anche con la forza alla Barbarie, al fine d'illu-

strare l'utilità dell'opera dei missionari, per « soggettare l'animo irru­ vidito alla gentilezza dell'Incivilimento europeo », non trova di meglio che impegnarsi nella dimostrazione di quanto la barbarie degli abissini sia profonda e totale. Barbarie, che è «adorazione della forza, ignavia, mendacio abituale, sudiciume, incredibile ignoranza, superstizioni cru­ deli, corruttela, società domestica disordinata, schiavitù, mercati di carne umana, tirannie feroci, guerre continue devastatrici, rapina per­ petua da gente a gente, perennità ereditaria delle vendette, onde spopolamento dell'Abissinia e dell'Africa in generale» 12• Se molti studiosi di oggi tendono a sottacere gli aspetti negativi dell'Etiopia di allora 13, colpisce in Conti l'insistenza nel tracciare un quadro tanto fosco, che mira certamente a valorizzare l'opera generosa dei missio­ nari, ma vale anche a giustificare l'uso europeo, e in questo caso italiano, della violenza contro un popolo, che sarebbe incapace di comprendere altri argomenti. Del resto fra i corrispondenti di mons. Bonomelli vi è unanimità nel considerare strettamente congiunte, fino

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A. CoNTI, Quanto sia cosa buona e utile che l'Italia soccorra i tJJissionari cattolici italiani. Seconda edizione corretta e con brevi notizie dell'autore dopo un suo viaggio in Oriente, Firenze, Cellini, 1 892 (la prima edizione è del 1 888). Si veda anche A. STOPPANI, Le tJJissioni. Discorso letto all'Assemblea generale dell'Associazione nazionale per soccorrere i t!lissionari cattolici italiani tenutasi a Milano il 18 dicembre 1887, Milano, Cagliati, 1 887, in particolare alla p. 12 («rivendicare alla civile società, la sola che abbia diritto d'imporsi, pel bene comune dell'umanità, alla barbarie, tanta parte della eredità comune ( . .) Non v'è che le Missioni che possano preparare il terreno alle armi, e renderle strumenti, non già d'inutili stragi e di effimere occupazioni, ma di un vero incivilimento e di una stabile colonizzazione») e alle pp. 30-31, ove Stoppani afferma che fu per lui « giorno di esultanza» quello in cui ebbe notizie della spedizione a Massaua, superiore a quella in Crimea per !'«obiettivo assai più elevato e d'interesse assai maggiore», perché «guerra contro la barbarie», che «si combatte oggi dalle civili nazioni». «0 è un banchetto» - scrive - «a cui sono convocate le nazioni , e l'Italia ha il diritto di assidervisi : o è un peso, (e un peso gravissimo è certo) alle civili nazioni imposto dalla umanità e dalla giustizia, e l'Italia ha il dovere di portarne la sua parte»; e poi descrive la barbarie imperante in Africa orientale («là s'imbandi­ scono le mense dei re fra laghi di sangue delle umane vittime sgozzate per semplice lusso ( ...) ; doveri di ospitalità, diritto delle genti (...) parole che non trovano equivalenti in quelle barbare lingue») anche a danno di italiani, aggiungendo : « Come potremmo credere d'avere un sì pieno diritto di lamentarci di tante ingiurie patite, finché non avessimo adoperato per parte nostra ogni sforzo per fare che diventino uomini quelle creature più feroci delle bestie feroci?». 13 Così, ad esempio, nei volumi, non privi di aspetti positivi, Gli italiani in Africa orientale, di A. DEL BocA. .

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Anche le pagine su Gli Abissini in Chiesa, in G. CIRAVEGNA, Nell'ù11pero del Negus Neghesti. Viaggio di esplorazione apostolica, Torino, Istituto Missioni Consolata, [1 934-35], pp. 60-72, sembrano dimostrare come i documenti di Benedetto XV e Pio XI, dopo quelli di Leone XIII, non abbiano eliminato, fra i missionari, chiusure e pregiudizi. 1 1 Se già Mazzini aveva scritto di una «missione di Civiltà dell'Italia in Africa», i suoi seguaci Bovio e Crispi ne svilupparono il concetto, dando ai termini religiosi di missione e di crociata un significato esplicitamente militarista e imperialista. « Ogni gran popolo ha una missione scriveva Crispi ha un dovere d'incivilimento delle parti del mondo ancora barbare»; «Non può esistere un diritto della barbarie, come non può esistere un diritto della ignoranza» ; «Nessuno, o popolo o re, può avere il diritto dell barbarie. Contro la barbarie la crociata dei popoli civili è un dovere» (Appunti autografi di F. Crispi in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO [d'ora in poi ACS], Carte Crispi, Deputazione storia patria di Palermo, scat. 5 : il primo (senza data) è nel fase. 7f1V; il secondo (del 1 7 marzo 1 897) è nel fase. 7/111; il terzo (del 20 aprile 1 896) è in un fascicolo non numerato). �

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a fondersi insieme, la causa della Fede e quella della Patria, collegandosi l'opera di evangelizzazione all'uso delle armi. Se Genova di Revel scrive a Baldissera che «bisogna portar alta la croce per persuadere gli abissini che siamo cristiani, non temere i nostri missionari perché non v'ha più saldo patriota del missionario lontano dalla patria» 1\ Luigi Ridolfi si compiace perché in Eritrea « Va distendendosi la bandiera italiana a promuovervi e presidiarvi la civiltà cristiana» 15 e l' Armanni elogia Bonomelli, che è stato «fra i primissimi dell'alto clero ad intuire che colla croce sabauda è la croce di Cristo che s'avanza fra genti barbare per conquistarle alla civiltà» 1 6 • Il giudizio di « La Civiltà Cattolica» (pur gravato da strumentalizza­ zioni ierocratiche e temporaliste) è nettamente diverso (soprattutto nel 1 895-96). La rivista nega che esistano «i diritti della civiltà sopra la barbarie» («Dove e da chi questi diritti si trovano promulgati?»). Non vede, comunque, « cosa possa immaginarsi di più contrario e opposto all'idea di civiltà, non solo cristiana, ma umana», dell' «idea informatrice della spedizione italiana in Africa», che si riduce «ad una usurpazione della roba altrui». Si chiede « se gli abissini, aventi un governo loro, leggi loro, ordinamento politico loro, cristianesimo con gerarchia loro, sieno veramente quei barbari che si vanno dicendo». « Se il cristianesimo è fondamento necessario di ogni civiltà, non vi può essere dubbio » - afferma - «quale delle due parti ne spetti la palma» 17 • Non è civiltà

la « cieca megalomania di un pugno di uomini arrabbiatamente assetati di potere» ; «ma ben diversa civiltà l'Italia, nazionalmente cattolica ( . . . ), sarebbe idonea e vogliosa di recare all'Etiopia», quella predicata da Massaia, « che degli abissini, e particolarmente degli scioani, diceva bene, difendendoli da molte accuse di barbarie o esagerate o false» 1 8 • Per ciò che riguarda la periodizzazione della presenza della Chiesa in Africa nell'età contemporanea, credo che sia senz'altro valido, anche per la zona d'influenza italiana, lo schema formulato recentemente da Gadille 19, che distingue una prima fase di « effervescenza creatrice» delle missioni fra il 1 830 e il 1 880, seguita dal periodo 1 881-1919 di colonia­ lismo imperialista e poi dall'epoca in cui l'ultimo colonialismo classico s'intreccia con la decolonizzazione fra il 1 9 1 9 (pubblicazione della Ma­ ximum Illud) e il 1 960. Penso però che si debba considerare anche il fatto che l'influenza italiana è esercitata nella parte settentrionale e orien­ tale dell'Africa, ove sono cristiani di Chiese orientali separate o unite a Roma. Lo storico perciò deve anche domandarsi se non vi siano date periodizzanti sotto questo aspetto e se abbiano o non abbiano avuto ripercussioni sui rapporti della Chiesa romana con le regioni africane più vicine all'Asia : penso soprattutto alla svolta del 1 893-95 voluta da Leone XIII nei confronti dei cristiani d'Oriente ed alla istituzione, nel 1 91 7, della Congregazione romana per le Chiese orientali. Non elenco qui i molti e stretti vincoli che legavano il mondo etiopico all'Oriente : certo è che saldi erano quelli religiosi fra Etiopia ed Egitto, ma anche fra Etiopia e Gerusalemme, Etiopia e Russia 20•

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1 4 Cfr. la lettera del generale senatore Giovanni Genova di Revel a mons. Geremia Bonomelli (Milano, 29 maggio 1 896), nella quale è riferito il contenuto della lettera Baldissera, in BIBLIOTECA AMBROSIANA, Milano, [d'ora in poi BAM], Carte Bono!ltelli (ordinate cronologica­ mente). 1 5 Jbid. , Luigi Ridolfi, ex presidente dell'Associazione nazionale per i missionari italiani, a Bonomelli, Firenze 27 marzo 1 895. 1 6 Jbid., Lettera di Andrea Armarmi a Bonomelli, Milano 4 febbraio 1896. 17 Cito, qui e in seguito, da Del flagello eritreo, in «La Civiltà Cattolica», 1 896, 5, pp. 12-13, e da ltalianità-civiltà-religione in Africa, ibid., pp. 51 5-518. Certe frasi di questi articoli sembrano scritte in contraddittorio con il pensiero di Crispi, che in un altro dei suoi appunti scriveva : «Dicono che l'Abissinia sia un popolo civile. Quali sono i segni della civiltà? La sua vita prova il contrario. Essa è allo stato di natura. Non vi ha ancora alcun raggio di progresso. La lingua, la letteratura, le scienze, le arti mancano. Le leggi sono ancora selvaggie, basta ricordare che fra le pene sono l'evirazione e le mutilazioni. Bisogna risalire di molti secoli la storia del mondo per trovare un confronto tra il regime

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dell'Abissinia e quello delle altre nazoini del mondo » (ACS, Carte Crispi, Dept�tazione storia patria di Palemto, scat. 5, fase. 7 fili). Non è escluso, però, che sia invece Crispi a controbattere, nei suoi appunti, tesi che apparivano su «La Civiltà Cattolica» e altrove. 18 Su «La Voce del Popolo», uno dei giornali cattolici intransigenti, il 14 dicembre 1895 si leggeva : « Lasciate l'Africa agli Africani, come voleste l'Italia agli Italiani. Usate per l'Italia quei milioni che sprecate a larga mano nelle sabbie dell'Africa». Cfr. anche : A.D'ALESSANDRO, L'opposizione cattolica alla politica coloniale negli anni 1895- 1896 nella sta!Jlpa dell'epoca, in « Società», 5, 1957, pp. 894-908. 1 9 J. GADILLE, «L'idéologie;; des !IJÌSsions catholiques en Afriqtte francophone, in Eglise et histoire de I'Eglise en Afriqt�e, a cura di G. RuGGJERI, Paris, Beauchesne; 1988 (ma 1990), pp. 43-61. 20 È noto che l'Abuna, cioè il capo della Chiesa copta etiopica, era nominato fra gli egiziani dal patriarca monofisita di Alessandria; che l'amministratore patriarcale cattolico della

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Nella fase missionaria del 1 830-80 l'impegno propriamente religioso è dominante fra i missionari in Africa, anche se è turbato, soprattutto negli ultimi anni, da mire imperialiste. Penso, per fare un accenno all'Africa settentrionale, al francescano Angelo Maria da S. Agata, prefetto apostolico in Libia, che accoglie i francesi padri Bianchi a Tripoli nel 1 878 ; ma anche al cappuccino Fedele Sutter, vicario apostolico a Tunisi, emarginato, dopo l'occupazione francese dell'81 , dal grande Lavigerie 21 : l'immagine di Sutter che muore di « crepacuo­ re» a Ferrara, se porta alcuni soltanto a deplorare la politicizzazione nazionalistica dei francesi, serve ad altri per additare agli italiani il comportamento della Francia e di Lavigerie come esempio da imitare a fini di conciliazione su base colonialista 22 •

I primi missionari inviati da Propaganda in Abissinia sono tre l�zzaristi italiani giunti nel 1 838-39; e fin da quel tempo emerge la d1fferenza tra l'apostolo animato da spirito evangelico e chi appare invece motivato soprattutto da altri interessi. Da un lato vi è il vicario apostolico di Etiopia, cioè il lucano Giustino de Jacobis, il quale, con atteggiamento fraterno, umile e rispettoso verso gli etiopi, segue il metodo dell'adattamento ai riti ed ai costumi abissini ; dall'altro lato il Sapeto e poi lo Stella, nei quali hanno il sopravvento tendenze più mondane (scientifiche, agricole, commerciali, amorose, politiche . . . ), che li allontaneranno dalla Chiesa. Nel 1 846 giunge in Etiopia, e particolarmente fra le popolazioni non cristiane del Sud, il cappuccino Massaia, che diventa vicario apostolico dei Galla e svolge una fruttuosa opera missionaria, sot­ traendosi a lungo alla intransigenza monofisita degli imperatori Teo­ doro e Giovanni, grazie anche alle sue doti diplomatiche, che gli guadagnano l'appoggio del re scioano Menelik. La pubblicistica, ed anche la storiografia italiana (dagli interessi prevalentemente politici), si è posta generalmente il problema se questi missionari debbano essere considerati o no come «precursori» o ini­ ziatori del nostro colonialismo. Non lo fu de Jacobis, e forse neppure Massaia, anche se questi, come altri francescani, è più legato alle tendenze latinizzanti e patriot­ tiche. Sapeto, Stella e il cappuccino savoiardo des Avanchères danno invece informazioni richieste da funzionari sardi e poi italiani, inco­ raggiando progetti colonialisti. Sebbene il de Jacobis, il più tipico rappresentante, nel corno d'Africa, della prima fase missionaria, muoia nel 1 860, soltanto nell'ottobre 1 879, con la partenza definitiva di Massaia, quella fase può dirsi conclusa 23.

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stessa sede sarà inviato, nel 1896, da Leone XIII a Menelik; che il Vicario apostolico per l'Africa centrale, generalmente residente al Cairo, considerava Assab e Massaua come appartenenti alla sua giurisdizione; che dalle sedi missionarie dell'Egitto erano partiti gli evangelizzatori dei Galla. Senza ricordare gli antichissimi legami dell'Etiopia con Gerusalemme e la presenza di parecchi elementi di derivazione ebraica nella religiosità degli abissini, va tenuto presente che nella Città Santa vi era un collegio etiopico; che già nel 1887 il gen. Saletta arrestava e poi reimbarcava come pericoloso un monaco che si recava da Gerusalemme in Etiopia; che al tempo dell'occupazione italiana, fra il 1936 e il 1 941, diversi autorevoli abissini, fra i quali lo stesso etcheghiè, cioè il capo del clero regolare, si rifugeranno in Palestina (che sarà visitata anche dal negus). Non vanno dimenticate infine le diverse missioni di russi in Etiopia, che hanno certamente aspetti economici, politici e militari, ma anche un significato religioso non secondario di solidarietà fra le Chiese separate di Oriente pure in contrapposizione a Roma. 21 T. FILESI, L'attenzione della S. Congregazione per l'Africa settentrionale, in S. Congregationis de Propaganda Fide. . . cit., III, parte I, pp. 153-202, per quanto riguarda Tunisi e Tripoli. L'ambasciatore italiano a Parigi, Menabrea, riferendo a di Rudinì un colloquio con il ministro francese degli esteri, Ribot, comunica che questi nega che vi sia stata alcuna pressione per il «richiamo da parte del Vaticano dei Cappuccini di Tunisi», che ha suscitato proteste dei coloni italiani, e attribuisce il provvedimento ad iniziative del card. Lavigerie : «<l signor Ribot mi lasciò intendere che quel porporato dà non pochi fastidii al governo della Repub­ blica», (Parigi, 1 8 giugno 1 891, in ARCHIVIO STORICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI, [d'ora in poi ASMAE], Serie Politica P, Francia, vol. 51). Per gli indirizzi del cardinale Carlo Marziale di Lavigerie, anche per le questioni orientale e africana, cito almeno le opere di XAVIER DE MoNTCLOS Lavigerie, le Saint-Siège et l'Eg!ise. De l'avèneJJJent de Pie IX à l'avènement de Léon XIII, 1846- 1891, Parigi, De Boccard 1965 ; ID., Le toast d'Aiger, DociiJJJents 1890- 1891, Parigi, De Boccard, 1967 ; fu., Lavigerie. La JJJission tmiverselle de l' Eglise, Parigi, Les Éditions du Cerf, 1968. 22 Cfr. la partecipe citazione in A. SToPPANI, Le missioni . ,.cit., p. 29, di quanto è scritto sul «Corriere mercantile» di Genova e riprodotto nel «Bollettino », 1 887, 4, dell'Associazione nazionale per i missionari italiani («Abbiamo più volte ricordato l'esempio del governo della

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repubblica francese, [il quale] adopera, con proprio vantaggio, a scopi politici, l'influenza dei missionari. Noi abbiamo il convincimento che (... ) il card. Lavigerie sia il più autorevole, il più attivo e il più utile agente della sua patria in Africa e (. . . ), se il nostro governo avesse sostenuto il vescovo Sutter, che a Tunisi si adoperava per l'Italia e morì poi, di crepacuore, a Ferrara, quando vide la Reggenza in balia dei Francesi, forse (... ) non sarebbe stata sì agevolmente eliminata l'influenza italiana, che vi era predominante». 23 Per un quadro generale di essa: P. F. MooDY, The GrOJvth oj Catholic lvfissions in Westem, Centra/ and Eastmz Africa, in S. Congregationis de Propaganda Fide. . cit., pp. 203-255. .


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Entrando nella nuova fase 2\ il quadro cambia nel 1 882 per hnizio dell'espansione coloniale italiana 25• Sapeto, non più sacerdote, è tra i fondatori della prima colonia ad Assab, ma i veri missionari p�esenti allora nel Corno d'Africa sono francesi del Vicariato di Etiopia (retto dal lazzarista Touvier) e del Vicariato dei Galla (guidato dal cappuccino Taurin de Cahagne 26• Il governo sabaudo non ha rapporti diplomatici con la S. Sede dal 1 850; e certamente la sentenza della Cassazione di Roma, del 1 884, per l'incameramento dei beni di Propaganda fide non favorisce il benevolo ascolto delle richieste italiane affinché, ad Assab e, dopo l'occupazione dell'85, a Massaua, siano inviati missionari italiani. Tut­ tavia il miglioramento dei rapporti della Curia romana con la Germania bismarckiana e, in conseguenza della Triplice, anche con la sua alleata Italia, fa sì che l'atteggiamento della stessa Segreteria di Stato, retta dal card. Ludovico Jacobini e poi dal conciliatorista mons. Galimberti, sia sensibile alle sollecitazioni che vengono dalla « Associazione nazio­ nale per soccorrere i missionari cattolici italiani», che nasce a Firenze nel 1 886 27 • I suoi fondatori, del resto, sono forse già influenti presso

24 Per una visione d'insieme di questa nuova fase missionaria : J. B AUMGARTNER, L'espansione delle 111ÌSsioni cattoliche da Leone XIII fino alla II guerra t!londiale, in Storia della Chiesa, IX, diretta da H. jEDIN, Milano, Jaca Book, 1979, pp. 631-687. 25 Una sintesi di tale espansione in rapporto all'aspetto religioso in C. MARONGIU B uoNAIUTI, Politica e religione nel colonialistJJo italiano (1882- 194 1) , Milano, Giuffrè, 1 982. 26 Augusto Salimbeni (C. Z AGHI, Crispi e Menelic nel diario inedito del conte A . S., Torino, ILTE, 1956, pp. 323-333, 345 e 391) presenta, nel 1 891-1 892, il successore del Massaia, mons. Taurin de Cahagne, ch'egli incontra ad Harar, come «un avversario formidabile: profondo conoscitore degli uomini e delle cose di qui, sa adoperare la sua personale influenza in favore degli interessi francesi in modo veramente ammirevole». 27 Cfr. O. CoNFESSORE, Origini e tJJotivazioni dell'Associazione nazionale per soccorrere i 111issionari cattolici italiani: una inte1pretazione della politica estera dei conciliatoristi nel quadro dell'espansionistJto crispino, in «Bollettino dell'Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», 1976, 2, pp. 239-267 ; In., L'Associazione (. ) tra spinte <aivilizzatrici;; e interesse migra/orio (1887- 1908), in Scalabrini tra vecchio e nuovo tJJondo, a cura di G. Rosou, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1989, pp. 51 9-536. Cfr. ACS, Carte Crispi, Deputazione storia patria di Palermo, b. 3 A, Lettera del gen. sen. Giovanni Genova di Revel a Crispi, Milano 2 marzo 1 890, per sollecitare l'erezione dell'As­ sociazione in ente morale, anche per aiutare il missionario italiano Bonomi, che tenta di erigere una chiesa italiana a Massaua, nonostante l'opposizione del vicario apostolico e degli altri «gesuiti» (si c!) francesi che sono in Eritrea. Si veda anche il sottofascicolo relativo ..

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mons. Domenico Jacobini, segretario generale di Propaganda fide dal 1 88� al 1 9 1 , ch'è legato al gruppo conciliatorista della «Rassegna Italiana» d1 Roma. Del resto Propaganda segue generalmente il criterio di assegnare missi�nari della stessa nazionalità della potenza occupante e r,nal sopporta le mgerenze di Parigi, cosicché cominciano a giungere, pnma ad Assab e poi a Massaua, alcuni missionari italiani e le suore italiane di S. Anna. In verità il governo di Parigi, che, a differenza di quello italiano, ha n �rmali rapporti diplomatici con la S. Sede, non manca di premere contmuamente, soprattutto per tramite dell'ambasciatore Lefebvre de Behaine, tanto sulla Segreteria di Stato quanto su Propaganda, affmché in Etiopia e sulle coste del mar Rosso restino ancora soltanto missio­ nar franc�si, e chiede al vicario di Etiopia di non avere rapporti am1chevoh con le autorità militari italiane. Tali pressioni troveranno finalmente buona accoglienza, a partire dal giugno 1 887, presso il nuovo segretario di Stato card. Rampolla, del quale ben note sono l'ostilità verso l'Italia crispina e la benevolenza per la repubblica d'oltralpe. Una certa resistenza la Francia continua però a incontrare n �gli uffici Propaganda fide : è del resto, la stessa preoccupazione d1 salvaguard1a del carattere religioso e universale del Papato e della Chiesa cattolica che da un lato induce la Segretaria pontificia a resistere allo Stato italiano (particolarmente mentre si afferma il nazionalismo autoritario di Crispi), anche coltivando stretti rapporti con la repubblica d'oltralpe, e dall'altro lato porta la Congregazione di propaganda a temere soprattutto l'invadenza di quella repubblica sul terreno delle missioni ed a cercare quindi principalmente negli italiani (missionari, ma anche governanti) un efficace contrappeso alla tenace volontà di strumentalizzazione politica imperialista dell'apostolato cattolico da parte del quai d'Orsay.

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all'Ass �ci �zione in A RCHIVIO DI STATo DI FIRENZE, Questura, A tti di Polizia, b. 19, fase. 1. Il Re el, m �te�e ad Aless�n�ro Rossi, si era già rivolto al re, nel 1 889, per ottenere il patronato del! a�soctazwn_e. Ma Cnspt, al Rattazzi che gli comunicava avere Umberto I «preso cognizione _ della l�tanza, nportandone Impressione non sfavorevole per le esplicite dichiarazioni riguardo al Vaticano e alla razza francese», aveva risposto con durezza : «non può il re assumere il patronato delle missioni cattoliche (. . .) perché andrebbe in offesa di tutti gli istituti acattolici» (F. C RISPI, Carteggi politici inediti ( 1860- 1900), Roma, L'Universelle, 1912, pp. 444-445).

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Fin dall'avvento di Leone XIII Propaganda era guidata · dall'ex segretario di Stato di Pio IX, il card. Giovanni Simeoni. Quando morirà (all'inizio del 1892), diverso giudizio su di lui espriine:t;anno Lefebvre e il ministro francese degli esteri, Ribot. Il primo piangerà la morte di un amico della Francia ; e quando Ribot osserverà che, se vi furono concessioni di Simeoni alle richieste francesi, esse erano dovute esclusivamente alle pressioni di Rampolla, l'ambasciatore am­ metterà che vi furono incertezze e resistenze da parte del defunto prefetto di Propaganda, ma ricorderà che alla fine, generalmente, Simeoni veniva incontro ai desideri di Parigi 28 • Indubbiamente, per la zona dell'Africa che ci interessa, non venne formalmente intaccata l'egemonia missionaria francese, tuttavia mi sembra significativo l'episodio che nel 1 888 vide protagonista l'italiano mons. Francesco Sogàro, seguace e successore d1. C omb om. 29 come vicario apostolico dell'Africa centrale, che non era « protetto » dalla Francia, ma dall'Austria-Ungheria. Pur avendo lasciato il Sudan dopo la rivolta mahdista, Sogàro, che ora vive al Cairo 30, ritiene che la sua giurisdizione giunga fino ai grandi laghi e comprenda tutte le coste occidentali del mar Rosso ; perciò decide di recarsi a Massaua,

insieme al confratello Bonom i, per assistere spiritualmente i militar i italiani della spedizione San Marzano . Il vicario lazzarista Touvier ' esule anch'egli in Egitto perché giudicato troppo incline ad accordi con le autorità italiane, sfrutta questa decisione per tentare di con­ vincere il generale della propria congregazione, che ha il suo centro in Francia, e lo stesso governo della Repubblica circa l'opportunità, accettando il male minore, di adattarsi alla nuova situazione politi­ co-militare, consentendo la nomina di un provicario italiano in Etio­ pia o almeno l'invio di qualche missionario lazzarista della stessa nazionalità. Non è credibile che dietro questi passi non vi sia la volontà o il consenso di Propaganda fide, che certamente ispira anche l'opera del successore di Touvier, mons. Crouzet che, mantenendo inizialmente buoni rapporti con gli italiani, sviluppa una vasta, intensa e fruttuosa attività missionaria. Si giunge quindi al modus vivendi fra il Vicariato e il ministro degli esteri Brin sotto gli auspici del nuovo prefetto di Propaganda, card. Ledochowski 31, un polacco già vittima di Bismarck, ma ora segnalato con preoccupazione dai diplomatici francesi come filoprussiano e avversario della duplice franco-russa 32 : certamente egli è ostile agli eccessi di un colonialismo imperialista francese33, che utilizzi il protettorato per ingerirsi nella vita interna della Chiesa e strumentalizzarla ai suoi fini. La situazione va però modificandosi dopo la formazione del go­ verno Crispi nel dicembre 1 893 (e il rimpasto del giugno successivo) e dopo l'assunzione alla carica di ministro degli esteri francese, nel

28 Cfr. MAEF, Correspondance politique, Rome S. Siège, vol. 1 108 (la minuta di Ribot, del 29 gennaio 1 892, è alle cc. 165-166). L'8 gennaio dell'anno seguente Lefebvre insisterà nel suo giudizio, lamentando il diverso atteggiamento del nuovo prefetto di Propaganda : «Malheu­ reusement, il n'est pas douteux que le card. Ledochowski est loin de porter, dans l'examcn des affaires qui nous intéressent, le fond de bon vouloir réel dont son prédecesseur était animé à notre égard et qui nous permettait de triompher, à la longue, après beaucoup d'efforts, des hésitations au milieux des quelles se débattait, trop souvent, son esprit timoré» (Ibid., vol. 1 1 12, cc. 23-24). 29 Sul pensiero di Comboni, ed in particolare sull'impegno a sottrarre le opere religiose in Egitto e Sudan alle interessate influenze di potenze europee cfr. P. CHroccHETTA - A. GrLLI, Il messaggio di Daniele Comboni, Bologna, Editrice Missionaria Italiana,. 1977 ; P. CH!occHETTA, D. C. : carte per l'evangelizzazione dell'Africa, Bologna, Editrice Missionaria Italiana, 1978; G. BATTELLI, D. C. e la sua <<ÙmnagineJJ dell'Africa, in Eglise et histoire ... cit., pp. 63-87. 30 Di lui si veda, soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con le Chiese orientali e particolarmente con quella copta, Leone XIII e i copti, estratto da «La Civiltà Cattolica», 1 896, 1096. I suoi sentimenti patriottici sono documentati dalle sue lettere a Bonomelli conservate nella Biblioteca Ambrosiana, ove è anche la lettera di Baratieri che, in data 30 aprile 1 892, scriveva al vescovo di Cremona : « Se io qui avessi missionari italiani me ne varrei per le scuole, massime in provincia. Se mons. Sogaro fosse qui, io non avrei tanti grattacapi ed egli tanti fastidi».

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3 1 Il card. Mieceslao Ledochowski sarà prefetto di Propaganda dal 1 892 al 1902. 32 « Ce n'est certes pas un ami de notre démocratie que Léon vient de piacer à la tète de

la Propagande, en donnant le card. L. pour successeur au card. Simeoni» scrive Lefebvre de Béhaine a Ribot, rilevando i legami del nuovo prefetto con Germania ed Austria ed osservando che l'influenza francese in Oriente sarebbe perduta se Ledochowski non fosse grandemente avverso anche all'Italia. Il 1 6 febbraio Ribot informava il suo ambasciatore della pessima impressione provocata in Russia nella nomina del nuovo prefetto (MAEF, Correspondance politique, RotJJe S. Siège, vol. 1108, cc. 175 e 233). 33 AI de Morès (che afferma : <<]e veux aider la Propagande à conquérir au christianisme toute l' Afrique, et il faut que cette société m'aide à donner à la France cette mème Afrique») Ledochowski appare <<incrusté dans ses préventions antifrançaises» (C. D ROULERS, Le marquis de Morès 1858- 1896, Paris, Plon, 1932, pp. 1 43-144) .


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maggio 1 894, dello storico e diplomatico Gabriel Hanotaux che, già collaboratore di Ferry e convinto colonialista, s'impegnerà fino al giugno del '98 in un ambizioso progetto di ulteriore espansiofle in Africa 34• I rapporti internazionali diventano quindi sempre più tesi in Europa, nella spartizione dell'Africa e in Oriente, parallelamente ma a volte anche in connessione con l'acuirsi dei contrasti, in seno ' ' ' alla Chiesa cattolica, circa gli indirizzi e i metodi nell'attività missionaria, particolarmente per ciò che riguarda le chiese dissidenti e quelle degli uniati nell'Oriente asiatico e nell'Africa nord-orientale. Anche in questo campo Leone XIII si manifesta innovatore35 rispetto all'indirizzo prevalente al tempo di Pio IX e del prefetto di Propaganda card. Barnabò 36, che aveva portato, fra gli anni Sessanta e Settanta, all'accentramento e quindi spesso all'uniformità ed alla latinizzazione a danno dell'autonomia disciplinare, ma anche nei riti, delle Chiese orientali. Papa P ecci, pur essendo preoccupato anch'egli

di garantire l'unità alla Chiesa cattolica, considera positiva la varietà e invita al rispetto delle diverse culture confluite nella cristianità, soprattutto a partire dal 1 893, quando l'indirizzo leoniano sembra trionfare durante il congresso eucaristico svoltosi in maggio a Geru­ salemme. Se la nuova tendenza è sostenuta soprattutto da autorevoli prelati francesi (che possono apparire come strumenti del governo repubblicano 37, mirante a rafforzare in forme nuove il tradizionale protettorato), l'apporto nel medesimo senso anche di sostenitori italiani 38 e di altre nazionalità dà al nuovo indirizzo un significato essenzialmente religioso di carattere universalistico e pluralistico. Ma l'«utopia » di Leone XIII (poco gradita a Propaganda39 anche per il timore di una perdita di potere) è combattuta dal « realismo » del patriarca latino di Gerusalemme, il francescano romagnolo Luigi Piavi40 , che critica l'eccessiva fiducia negli orientali, ottenendo il

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34 Una nota del Ministero italiano degli affari esteri, del 12 gennaio 1 895, indica, come

primo vantaggio di una sostituzione di Ressmann con Tornielli all'ambasciata di Parigi, la buona « conoscenza», da parte del secondo, « di cose africane, della quale Ressmann era completamente destituito». Tornielli quindi potrà contrastare, con competenza e fermezza, le tendenze del governo francese, disposto anche a cedere alla Russia in Oriente pur di raggiun­ gere «i suoi due grandi scopi : un grande impero africano e una ripresa di preponderante situazione in Europa» (E. MoRELLI, St1f richiamo di Costantino Ressmann da Parigi nel gennaio 1895, in Stt1di in onore di Federico Ct1rato, Milano, Angeli, 1990, pp. 382-385). 35 R. F. EsPOSITO, Leone XIII e l'Oriente cristiano. Stt1dio storico-sistematico, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1 961. Per le Chiese unite a Roma cfr. J. HAJJAR, Les chrétiens Hniates dt1 Proche-Orient, Paris, Editions du Seui!, 1962 : ID., Le Vatican, la France et le catholicisme orienta/ (1878- 1914) . Diplomatie et histoire de f' Eglise, Paris, Beauchesne, 1 979. 36 Si vedano soprattutto : R. AuBERT, Il pontificato di Pio IX (1846- 1878) , Torino, SAIE, 1964, pp. 629-631 sgg. ; J. HAJJAR, L' Et�rope et /es destinées dt1 Proche-Orient (1815- 1848) , Paris, Bloud et Gay, 1970; G. MARTINA, Pio IX (1851- 1866) , Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1986, pp. 357-424 (alle pp. 357-359 ricorda il duro giudizio, su Barnabò, di Emile Ollivier, attribuito da Meltzer allo «scarso favore che il Prefetto mostrava verso il protettorato che la Francia pretendeva esercitare sulle missioni orientali», e si domanda «fino a qual punto B. si spingesse nel tentativo di imporre a tutta la Chiesa una rigida unità», poco rispettando «le peculiarità delle comunità orientali») ; ID., Pio IX ( 1867- 1878) Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1990, pp. 53-110 (cap. Il : «Pio IX e i cattolici orientali : una questione tuttora discussa»). Alessandro Barnabò fu segretario (dal 1 848 al 1 856) e poi prefetto (dal 1856 al 1 874) della S. congregazione di Propaganda fide. Nel 1 862 fu eretta la S. Congregazione «pro negotiis ritus orientalis», come parte di Propaganda ma con un proprio segretario.

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37 La diffidenza francese nei confronti della autorità ecclesiastiche latine in Oriente è bene espressa da E. LAMY in La France dt1 Levant, Parigi, Plon, 1900 («Le Levant est, après l'Italie, le lieu du monde où les Italiens exercent le plus de fonctions ecclésiastiques», p. 225) ; preferibile appariva quindi ai francesi una maggiore autonomia da Roma delle Chiese cattoliche orientali, sulle quali la Repubblica avrebbe potuto esercitare una maggiore influenza. 38 R. F. EsPOSITO (Leone XIII. . . cit.) ricorda particolarmente Arsenio Pellegrini e p . Vincenzo Vannutelli come decisi oppositori della latinizzazione in Oriente. 39 Cfr. la lettera del de Navenne, incaricato d'affari francese presso la S. Sede, al ministro Hanotaux del 22 febbraio 1896, che riguarda soprattutto la resistenza opposta da Propaganda alla ventilata soppressione dei delegati apostolici (vedi la lettera del console italiano Mina da Gerusalemme, del 26 dicembre 1 894 : « Sembra accertato che verranno quanto prima soppresse le delegazioni apostoliche nel Levante, rese ormai inutili per le concessioni fatte alle Chiese orientali», in ASMAE, Serie Politica P, 1891-1916, Vaticano, b. 31 : « Le card. Ledochowski, adversaire déclaré et persévérant des reformes, qui ne peuvent se réaliser qu'aux dépens de l'autorité de la Propagande, avait soigneusement recuelli tous !es témoi­ gnages propres à montrer que le dignitaires des églises orientales ne méritaient pas d'étre soustraits à une certaine tutelle» MAEF, Correspondance pofitiq11e, Ro111e S. Siège, vol. 1 1 22, cc. 140-141). Il papa stesso si sarebbe convinto, nel 1 896, che non era opportuno rinunciare ai delegati apostolici, assai utili per trasmettere gli orientamenti della S. Sede (su di essi cfr. D. STAFFA, Le delegazioni apostoliche, Paris, Desclée, 1 959). 40 Del Piavi, delegato apostolico in Siria (prodelegato dal 1 872 e delegato dal 1 876) fino al 1 889 e poi patriarca latino di Gerusalemme, si è occupato con ampiezza e ricca documenta­ zione J . HAJJAR (Le Vatican, fa France... cit., pp. 212-222, 234-238. . .), che sottolinea l'appoggio dato a Piavi dal card. Simeoni e poi da altri ambienti di Propaganda fide, anche in contrasto con le direttive di Leone XIII.


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plauso dei vecchi missionari latini 41 più conservatori e meno preoc­ cupati di compiacere il pontefice42• Importanza fondamentale mi sembra avere il 1 894 anche per le connessioni, che diversi cattolici italiani avvertono, fra la situazione del vicino Oriente e quella dell'Africa orientale. Nell'estate di quel­ l'anno Crispi tratta con la S. Sede e ottiene la istituzione della Prefet­ tura apostolica eritrea affidata ai Cappuccini italiani : l'accordo è coro­ nato da un discorso conciliatorista di Crispi a Napoli43• Pochi giorni

dopo s'imbarca a Brindisi, per in viaggio di Oriente, il vescovo Bonomelli, che dell'accordo è stato uno dei più caldi, e forse dei più efficaci 44, fautori. Il sottosegretario agli esteri Adamoli, sollecitato da

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religiosa nell'Eritrea, e possibilmente anche nell'Abissinia, fosse tolta ai Lazzaristi francesi e data ad un ordine religioso italiano. Il sottoscritto, valendosi di un tramite di sua piena fiducia, fece esplorare ufficiosamente e prudentemente il terreno presso il sostituto segretario della S. Congregazione suddetta, mons. Torrani. Le questioni poste furono le seguenti : 1) Sarebbero opportuni e graditi dei negoziati del tutto ufficiosi sull'argomento suddetto? 2) Mons. Torrani potrebbe suggerire una persona che potrebbe condurli? 3) Vi sarebbe probabilità di riuscita? Le risposte di mons. Torrani furono le seguenti : 1) I negoziati sarebbero graditissimi, e le disposizioni del cardinale prefetto e della Congrega­ zione di Propaganda sarebbero eccellenti. 2) Mons. Torrani stesso si incaricherebbe volentieri di presentare a Sua Eminenza il card. prefetto un pro-memoria (ufficioso quanto si voglia), nel quale siano espressi i desideri del R. governo. 3) Riguardo alla riuscita, mons. Torrani credette suo debito di fare le sue ampie riserve. Poteva sorgere, a suo avviso, la difficoltà di trovare l'ordine da sostituire ai Lazzaristi. A questa difficoltà facilmente si potrebbe rimediare proponendo che l'Abissinia e l'Eritrea fossero annesse al Vicariato apostolico del Sudan (titolare mons. Sogàro residente al Cairo). Assai più serie erano le considerazioni politiche : i Lazzaristi e mons. Crouzet sarebbero appoggiati dalla Francia : l'ambasciatore di Francia a Roma non mancherebbe di far pratiche presso la Segreteria di Stato : la SS. Congregazione, malgrado il suo buon volere, dovrebbe cedere davanti ad un ordine categorico del Vaticano. Questo il risultato delle pratiche preliminari fatte dal sottoscritto in seguito alle istruzioni di S . E . l'an. Adamoli. Queste pratiche mirano solo, e mons. Torrani n e fu esplicitamente prevenuto e informato, a scandagliare la possibilità del negoziato, a trovare le persone atte a condurlo. Il negoziato può farsi o non può farsi; nulla fu detto, neanche in via privata od ufficiosa, che significhi un impegno morale a proseguirlo. Le pratiche preliminari del sottoscritto furono a semplice titolo informativo» (ACS, Carte Crispi, Deputazione storia patria di Palermo, scat. 76, fase. 589/1). In agosto Crispi supererà le resistenze pontificie, assicurando l'exequatur ai vescovi italiani nominati da Leone XIII. 44 Fedele Lampertico, presidente dell'Associazione nazionale per i missionari, che il 20 agosto aveva scritto da Vicenza a Bonomelli : « Sembra, ma non ne parli, che nell'Eritrea le cose ecclesiastiche prendano piega migliore. Ella vi ha certamente contribuito», il 9 settembre, da Monsegaldella, aggiungeva : «Lieto delle notizie ecclesiastiche. Ella vi ha contribuito non poco ». E Luigi Schiaparelli, segretario generale della stessa Associazione, 1'1 1 settembre da Ginevra : «Ella saprà naturalmente delle deliberazioni di Propaganda sull'Eritrea. Ella e l'an. Franchetti vi hanno avuto la parte principale. Ora importa che la soluzione si completi con ulteriori deliberazioni, che evitino il pericolo che il Crouzet, uscendo dall'Eritrea, vada nell'Abissinia a lavorare contro di noi». Tutti i documenti sono in BAM, Carte Bonomelli.

Con estrema franchezza il Piavi esprimeva il suo modo di pensare in una lettera (Gerusalemme, 10 agosto 1 896) a mons. Bonomelli : «La Propaganda (. . .), che ha dovuto osservare il silenzio e tenersi da parte per quasi due o tre anni, comincia, come le lumache in primavera, a mettere al sole le sue cornette. Ah! Caro Monsignore! Vorrei sapere qual'è stato quell'angelo o diavolo che ha messo in testa al Papa di porre la Propaganda, l'ufficio più serio, santo, e giustissimo del mondo, da banda per seguire il consiglio di mestatori e imbroglioni, come il Langenieux e compagnia? (sic). Se non si torna alla politica ecclesiastica antica, lasciando gli Offici a fare il loro dovere, anche i Papi faranno delle corbellerie» (BAM, Carte Bonomellt). Circa la restaurazione del patriarcato latino a Gerusalemme nel 1 847 e le reazioni francesi alla nomina del piemontese Giuseppe Valerga come primo patriarca cfr. J . HAJJAR, L'Europe ... cit., pp. 482-514. Dei cenni sui missionari italiani in Palestina e sui rapporti dei francescani della custodia di Terra Santa e del patriarcato latino con la S. Sede e con lo Stato italiano in S. DELLA SETA, La presenza e l'opera dei Salesiani in Palestina, in « Storia contemporanea», 1989, 1, pp. 81-101 . 41 Sui loro pregiudizi contro gli orientali: P. MICHEL, L'Orient et Rome, Paris, St. Armand, 1 895. 42 Piavi accusava i francesi anche di facilitare la penetrazione della influenza degli scismatici russi, e troverà anche per questo approvazione e sostegno nel Kaiser Guglielmo II. Cfr., al riguardo, in BAM, Carte BonoJJJelli, le lettere del patriarca a Bonomelli del 13 novembre e 5 di­ cembre 1 898 e quelle, di appassionata solidarietà col Piavi, del Genova di Revel (10 novembre) e di Giuseppe Grabinski (Fano, 19 novembre), che scrive: « Quello che preme è il giustificare il Piavi dalle calunnie della stampa francese, che lo dipinge come un vescovo che parla ad un sovrano protestante senza curarsi della eterodossia del monarca luterano. Il bello poi si è che questa accusa viene da quella Francia che, invece di proteggere i cattolici, protegge gli interessi scismatici rappresentati dalla Russia, ben altrimenti pericolosa per gli interessi cattolici nei santuari di Palestina, che le potenze protestanti, le quali non hanno nulla a vedere coi detti santuari!». Vedi anche O. CoNFESSORE, Conservatorismo politico e rijormis!IJO religioso. La <<Rassegna Nazionale>> dal 1898 al 1908, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. 1 47-151. Anche in Mrica orientale i missionari, e particolarmente i francescani italiani, temevano i russi come fautori di resistenza ortodossa contro le missioni cattoliche (cfr. C. ZAGID, l russi in Etiopia, Napoli, Guida, 1 972). 43 Cfr. F. FoNZI, Crispi e lo «Stato di Milano>>, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 93-100. Tra i precedenti della proposta fatta da Crispi il 15 agosto 1 894 per l'istituzione della prefettura (cfr. F. CrusPI, Politica interna, Diario e doct1menti, a cura di T. PALAMENGHI CrusPI, Milano, Garzanti, 1945, p. 138) è il seguente «confidenziale» «appunto riservato pel nobile Alberto Pisani Dossi, capo di gabinetto del ministro degli affari esteri», firmato «G.S.» e datato «Roma, 30 giugno 1894»: «S. E. l'an. Adamoli, sottosegretario di Stato, " incaricò il sottoscritto di suggerire un tramite ufficioso per trattare ed ottenere dalla Congregazione di Propaganda fide che la supremazia

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Lampertico, presidente dell'associazione fiorentina, lo ha ra�comandato ai consoli italiani in Oriente45, che ben volentieri sostengono l'indirizzo . conciliatorista e latinizzante del vescovo 46•

Del 20 giugno di quell'anno è la lettera apostolica Praeclara gratu­ lationis, animata da rispetto e amore per le Chiese orientali ; il 24 ottobre si aprono le conferenze patriarcali del Vaticano per le Chiese orientali, che si svolgeranno fino all'8 novembre. Naturalmente nei territori sotto la sovranità turca, ove si è recato Bonomelli, si com­ menta e si discute : le voci che egli ascolta volentieri sono quasi tutte nettamente contrarie all'orientamento di Leone XIII. « Uomini gravissimi» gli dicono che « quella lettera, che doveva guadagnare gli animi dei greci separati, ne ha ritardato di un secolo il ritorno » 47 ; delle conferenze parla, sul monte Libano, con il Piavi e con il delegato apostolico in Siria Bonfigli, e « dalla bocca di quei conosci­ tori perfetti delle cose orientali» 48 accoglie con piena fiducia le tesi latinizzanti e la scarsa considerazione per i cristiani di Oriente (giunge ad augurarsi che il razionalismo distrugga le Chiese orientali 49 •

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45 Il 18 settembre, da Monsegaldella, Lampertico aveva comunicato a Bonomelli di avere scritto in tal senso all'Adamoli, che il 23 settembre gli risponde assicurandolo di avere raccomandato Bonomelli ai consoli. Il 29 dello stesso mese, Schiaparelli, a sua volta, così scriveva al vescovo di Cremona : «Ho il dovere di confessarle che, a fin di bene, concordammo col sen. Lampertico di pregare il Ministero degli esteri, confidenzialmente, a informare i R. agenti di Smirne, Beirut e Cairo del di lei viaggio, affiché, ove Ella avesse opportunità, in qualche luogo, di promuovere buone intelligenze fra missionari nostri e le autorità italiane, trovasse in queste la necessaria buona disposizione» (Ibide!JI). Se certamente è arbitrario anticipare gli orientamenti e i sentimenti che si manifesteranno molti anni più tardi, in un clima tanto diverso, una certa continuità deve anche riconoscersi fra il conciliatorismo liberale ottocentesco, pur animato da patriottismo e religiosità, dell' As­ sociazione e gli sbocchi imperialistici di un quarto di secolo più tardi. Certo è che nel novembre 1917 il presidente generale di essa scriverà : «l grandi avvenimenti che si sono succeduti in questi ultimi anni, l'impresa di Libia, l'occupazione di Rodi e delle altre isole del Dodecanneso, le molteplici iniziative bene avviate in Asia minore, la situazione che senza dubbio l'Alleanza assicura all'Italia, la spedizione in Albania, l'invio di truppe a Salonicco, infine il contingente italiano, che, insieme al contingente della Nazione sorella, si sta inoltrando coll'esercito inglese pei colli della Giudea, hanno ormai spinto l'Italia per le vie dell'Oriente. Noi ci auguriamo che essa non abbia ad arrestarsi nel suo cammino, e che anzi vieppiù si affermi nella terra di Gesù con pienezza di diritti» (AssociAZIONE NAZIONALE. . . , L'Italia e la Palestina, S. Benigno, Scuola tipografica «Don Bosco», 1 917, p. 5). 46 L'orientamento dei consoli italiani nel Levante appare chiaramente dai loro carteggi col Ministero degli esteri. Si vedano, ad esempio, le lettere del Mina, console a Gerusalemme, durante e dopo il congresso eucaristico svoltosi nella Città Santa (cfr. la sua lettera del 14 maggio 1893). Egli contrappone alla nefasta influenza esercitata in tale occasione dal card. Langenieux quella positiva di mons. Piavi, e poi quella del padre Luigi da Parma, il generale dei francescani recatosi in Terra Santa nel giugno 1893 : «<n questa coincidenza si ravvisa quasi una controdimostrazione alla missione del Cardinale - scrive il Mina -. E, poiché gli interessi di Terra Santa rivestono un carattere d'internazionalità e non piegano alle esigenze del protettorato ufficiale, la notizia della venuta del padre generale produrrà (...) ottima impressione in chiunque non serve all'influenza francese» (lettera del 25 maggio 1893, in ASMAE, Serie Politica P, 1891-1916, Vaticano, p. 30 (1891-1893). E il 5 giugno comunica la favorevole impressione in lui suscitata dai sentimenti che animano il p. Luigi, «per il quale il clero italiano di Gerusalemme, punto soddisfatto degli incidenti sorti in occasione del congresso, non nasconde la propria simpatia» (ibide111). Certo è che il ministro degli esteri italiano, Brin, soprattutto in seguito ad un'ampia lettera del console Mina del 15 giugno, esprime il suo compiacimento per il fatto che la campagna filofrancese contro i missionari italiani porta questi ultimi ad avvicinarsi al governo nazionale (lettera a Mina del 27 giugno 1893, ibide111) . Analogo a quello del console a Gerusalemme era l'atteggiamento del console generale a Beirut, Enrico De Gubernatis (fratello di Angelo), che lo manifestava chiaramente nella sua relazione al Ministero degli esteri, sulle missioni in Terra Santa, del 4 aprile 1 893 (in ASMAE, Serie

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Politica P, p. 558, pos. 239), pubblicata, nel febbraio 1894, sul «Bollettino del Ministero degli esteri», con gioia del console Mina e disappunto, invece, dell'ambasciatore di Collobiano (lettere, rispettivamente, da Gerusalemme - 12 aprile 1 894 - e da Costantinopoli - 10 maggio -, ASMAE, Serie Politica P, p. 31, cc. 80-92). Del resto, quali fossero, verso la fine del 1 894, le direttive ai consoli sull'argomento da parte del governo Crispi, appare con chiarezza anche da un sottofascicolo (ASMAE: Serie Politic� P, 1891-1916, Vaticano, p. 31, (1 894-1897), fase. «Vaticano 1 895»), sulla cm copertma Sl legge : «Gabinetto. L'accluso articolo dell ' Opinione circa Questioni religiose in Orimte è sta�o spedito agli uffici consolari ed alle autorità ed istituti religiosi, notati negli annessi elenchi, m modo che non si comprendesse la provenienza dal Ministero». L'articolo, firmato «Un missionario italiano», era apparso sull'«Opinione Liberale» del 27 dicembre 1 894 per denun­ ciare i pericoli derivanti dalle concessioni alle Chiese orientali annunciate con la lettera apostolica del 30 novembre: « L'italianità insieme al cattolicesimo subisce nel Mediterrane? un pregiudizio di cui non possono a meno di preoccuparsi la civiltà e la religione occidentali, come le potenze interessate al mantenimento dello staiti quo in Oriente». 47 G. BoNOMELLI, Un at1ft1nno in Oriente, Milano, Cagliati, 1 9043, pp. 341-344. Sono interes­ santi le modifiche apportate alla prima edizione apparsa nel 1 895. 48 Ibid., pp. 136-139. 49 «L'Oriente scismatico ed eretico assai difficilmente ritornerà alla Chiesa cattolica in massa e se anche ritornasse dubiterei molto della sua perseveranza. È necessario che quell'edificio ' a tico si sgretoli, si disfaccia e allora i suoi elementi potranno essere attratti dalla Chie�a cattolica. Ora quest'opera di dissolvimento del vecchio organismo della Chiesa greca, a m10 giudizio, sarà prodotto in gran parte dal razionalismo, che le condizioni sociali vi �pargerann�. _ Esso demolirà quel vecchio edificio e preparerà netto il suolo al nuovo edificiO. Anche il razionalismo ha dalla Provvidenza la sua missione, la missione cioè di spazzare il suolo (. . . ) Esso darà il crollo e manderà in isfacelo quell'autorità creata dagli uomini, impietrita a pietrifi-


Fausto Fonzi

La Chiesa cattolica e la politica coloniale

«<gnoranza, simonia, mal costume, servilismo, superstiziope, inérzia, avidità del denaro, volgarità di condotta, ecco il clero greco » 50 Se così scrive Bonomelli degli ecclesiastici dell'Oriente mediterraneoy più severo è il giudizio che circola sul clero etiopico (e sull'intera popola­ zione abissina) fra i suoi amici, che sono anche gli amici del p. Michele da Carbonara, il cappuccino piemontese della provincia romana che, nominato primo prefetto apostolico di Eritrea, vi giunge in novembre, mentre Bonomelli rientra in Italia 51 • Nella stessa Cheren devono ormai risiedere tanto il prefetto di Eritrea quanto il vicario di Etiopia e ciò da luogo a una tensione fra i Cappuc­ cini italiani e i Lazzaristi francesi, che aumenterà in seguito all'accusa rivolta, senza valide prove, dal governatore italiano Baratieri ai Lazzaristi di aver fomentato la ribellione del cattolico tigrino Batha Agos. Accanto alle motivazioni politico-nazionali 52 del contrasto, ve n'erano altre, più profonde, sul terreno religioso e culturale. I Cappuccini inviati

dall'Italia non erano preparati a comprendere la religiosità e la cultura dei copti, fra i quali pur dovevano lavorare; il loro «patriottismo italiano» s'innestava sulle tendenze latinizzanti di molti Francescani, mentre fra i Lazzaristi vi era anche una tendenza a considerare con rispetto e amicizia la civiltà etiopica, tendenza viva soprattutto in Giovan Battista Coulbeaux, che nel 1 890 aveva pubblicato un'edizione di brani rituali abissini « riveduti e restituiti al testo originale» e in seguito avrebbe pubblicato una fondamentale Storia politica e religiosa dell'A bissi­ nia. Colui che già nel 1 887 appariva agli occhi degli italiani come il «famigerato »53 che congiungeva al nazionalismo francese un'eccessiva comprensione per il mondo etiopico, forse più dei suoi confratelli voleva ricollegarsi a quell'atteggiamento umile, rispettoso e paziente del de Jacobis, che veniva ora particolarmente raccomandato dallo stesso pon­ tefice nella Orienta!ium dignitas Ecclesiarum del 20 novembre 1 894. Ma, dopo i Cappuccini, giungono in Eritrea e in Etiopia istruzioni di Propaganda fide che sembrano indicare un atteggiamento incerto e contraddittorio della congregazione (dovuto forse, almeno in parte, al contrasto fra sue antiche tendenze e l'indirizzo filorientale del pontefice) : in teoria si afferma il rispetto per la Chiesa etiopica come

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•.

cante, che chiude ogni spiraglio alla luce della verità: allora sarà dischiusa la via alla Chiesa Cattolica, che su quel campo rimasto libero spargerà il suo seme divino (. . .) Se bene si guarda, è la ragione che ha demolite e demolisce una dopo l'altra le religioni false» (ibid., pp. 122-124). 50 lbid., p. 356. 51 Appena sbarcato a Napoli, Bonomelli s'incontra con l'amico card. Alfonso Capecelatro, che pensava come lui, ma in forma più attenuata, sulla questione delle missioni in Oriente e in Africa (cfr. : Missione in Africa e viaggio da frate Lodovico di Casoria ( 1866) , in A. CAPECELATRO, Scritti vari, Roma-Tournay, Desclée-Lefebvre, 1 892, pp. 395-419; In., Il Congresso eucaristico di Gerusalemme e le nostre speranze (15 maggio 1893), in A. CAPECELATRO, Nuovi discorsi, omelie, lettere, pastorali e prose varie, Roma-Tournay, Desclée-Lefebvre, 1901, pp. 145-157; si vedano anche gli elogi del Capecelatro nella lettera (Cairo, 15 gennaio 1 894, in BAM, Carte Bonomelft) di mons. Sogàro, che si prepara con gioia ad accogliere in Egitto il vescovo di Cremona). A Roma Bonomelli incontra il papa, e alle pp. 370-371 della terza edizione del suo libro, ove si narra il colloquio, emerge nitidamente la divergenza che li separava anche circa la questione delle Chiese orientali. E forse nella stessa città è raggiunto da una lettera di Fedele Lampertico, che il 15 novembre gli scrive: «Faccia, faccia di vedere il Crispi e a Monza, poi, il re e la regina; ma vegga il Crispi, e l' Adamoli e il Blanc. Le sarà, spero, accaduto di sentire parlare dell'Associazione. Metta, metta in rilievo, quando ne abbia l'occasione, il bene che può fare, ma anche il bisogno di essere aiutata anche moralmente» (BAM, Carte Bonomefft). E il 9 dicembre Giuseppe Grabinski gli riferisce sull'assemblea dei delegati dell'Associazione tenutasi a Firenze, concludendo: «Abbiamo avuto notizie consolanti sull'andamento dell'opera patriottica e religiosa a un tempo, una vera opera di concordia fra la nuova Italia e la Chiesa (. . .) È vero che la Conciliazione si fa solo in Eritrea, ma da cosa nasce cosa» (ibidem). 52 Le preoccupazioni dell'Hanotaux circa gli equilibri nazionali in campo missionario erano attenuate da Lefebvre de Béhaine, che il 10 maggio 1 895 gli scriveva: « Les missions catholi-

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ques ( . . .) comprennent actuellement 426 diocèses, vicariats ou preféctures apostoliques. 151 de ces divisions religieuses sont confiées à cles ecclesiastiques français et 65 à cles Italiens (. . .) L'Asie comprend cent missions, dont 64 sont françaises et 25 italiennes. L' Afrique est divisée en 45 missions: 31 sont confiées à cles français et 5 à cles italiens (...) Toutefois la plus grande partie cles 65 missions italiennes sont dirigées par cles français. Encore les missionaires italiens, à raison de leur petit nombre, sont-ils obligés d'avoir recours à cles auxiliaires français, belges, irlandais, anglais, hollandais, ou allemands. Camme Votre Excellence pourra le constater, la proportion cles missions exclusivement françaises est encore considérable» (MAEF, Correspondance politique, Rome S. Siège, vol. 1 120, cc. 46-47). 53 Si veda il carteggio fra il governo italiano e l'ambasciata a Parigi in ASMAE, Div. Poi., Registri copialettere in partenza, Francia, p. 1 1 54. Il 3 giugno 1 887 Depretis raccomanda all'ambasciatore Menabrea d'impedire la nomina del Coulbeaux a vescovo di Massaua («è un intrigante, come il Soumagne, suo agente segreto e guida, quando il console di Francia andava in Abissinia. Su entrambi pesano gravi sospetti di segreti maneggi coi nostri nemici»). Il 30 luglio dello stesso anno il direttore generale agli Affari politici della Consulta, Giacomo Malvano, scriveva all'ambasciatore Ressmann: «<l famigerato p. Coulbeaux, della missione lazzarista francese, è richiamato in Francia, malgrado gli energici sforzi fatti in suo favore dal console Soumagne, e sarà sostituito da altro missionario, a quanto pare, di nazionalità italiana. L'azione del governo francese in questo affare avrebbe quindi avuto il miglior risultato».


Fausto Fonzi

La Chiesa cattolica e la politica coloniale

Chiesa orientale e si nega il passaggio di sacerdoti e fedeli al · rito latino, ma in pratica non si dà spazio alla tradizionale liturgia. copta e s'impongono i testi latini, seppur tradotti in ghez. Si decide insomma sulla base di relazioni duramente latinizzanti del Massaia ed anche del Touvier del 1 882, senza tener conto del successivo lavoro di Crouzet e Coulbeaux, volto a utilizzare, con poche modifiche, gli antichi testi etiopici, tanto che lo stesso p. Michele evita la piena attuazione delle disposizioni romane, adottando una tattica che non respinga drastica­ mente gli abissini, che molto tengono, ad esempio, ai tradizionali canti nelle messe solenni 54. Forse l'incomprensione fra Lazzaristi francesi e Cappuccini italiani deriva anche da un differente livello di cultura (almeno specifica) e di sensibilità. Il che contribuisce anche a spiegare il diverso atteg­ giamento che verso i due gruppi di missionari assunsero Oreste Baratieri, governatore dell'Eritrea dal 1 893 al 1 896, e Ferdinando Martini55, che ne fu commissario civile fra il '97 e il 1 907, pur essendo entrambi in qualche modo legati alla mentalità o all'organiz­ zazione massonica. Baratieri era un entusiasta fautore dei Cappuccini, dei quali ammirava il patriottismo, che sembra essersi tradotto anche in azioni militari («Non so - scriverà lo Schiaparelli, segretario dell'associazione fiorentina - perché si tenga nascosta la partecipa­ zione dei Cappuccini al combattimento di Amba Alagi ( . . . ) L'avvenire della Civiltà e della Fede è legato a quello delle nostre armi») 56, ed era invece avverso ai Lazzaristi, che giudicava strumenti passivi del quai d'Orsay, complici degli abissini e nemici dell'Italia, mirando fin dall'inizio del suo governatorato a quella loro espulsione che avrebbe

ordinato nel 1 895 57. Mattini, al contrario, disprezzava cordialmente i Cappuccini come le italiane Suore di S. Anna, soprattutto per la loro ignoranza e per la mancanza di discrezione nei confronti delle popolazioni locali ; ed era portato invece a considerare favorevolmente i Lazzaristi, che possedevano cultura e discrezione, ed a progettare quindi la revoca del decreto di espulsione 58 . La presenza della Chiesa in Africa non è però soltanto quella dei missionari, che pur svolgono, a volte con efficacia, un diuturno lavoro ; e citerei due episodi che non ebbero forse delle importanti conseguen­ ze, ma che pur hanno qualche significato. Mi riferisco anzitutto alla missione del vicario patriarcale della Chiesa copta uniate di Alessandria, Cirillo Macario 59, inviato da Leone XIII in Etiopia per ottenere la liberazione dei prigionieri italiani. Forse l'ottimismo del pontefice sulla possibilità per gli orientali uniti a Roma di essere «ponte» fra i latini e gli orientali dissidenti fu in quell'occasione deluso dalla scarsa rispondenza da parte dei copti etiopici, come poi dal ritorno dello stesso Cirillo, divenuto patriarca, allo scisma ; ma la volontà di non identificare la Chiesa cattolica e pluralista con i missionari latini era chiaramente espressa. Molto più tardi, nel 1 929, la delegazione ponti­ ficia in Etiopia, guidata dal segretario di Propaganda Marchetti Sel­ vaggiani60, accompagnato da mons. Tisserant, da un americano e da

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54 METODIO DA NEMBRO, La missione dei Jllinori cappuccini in Eritrea ( 1894- 1952), Roma, Institutum Historicum Ord. Fr. Min. Cap., 1953, particolarmente alle pp. 361-396 riguardanti «<l rito etiopico». Meno valida l'opera di p. CLEMENTE DA TERZORIO, L'Etiopia prima e dopo il Massaja. Apostolato dei Minori Cappuccini mll'Impero etiopico 1631- 1931, Roma, Curia generalizia dei Minori Cappuccini, 1937. 55 A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua: F. Martini govematore in Eritrea, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1975, 3, pp. 346-377 e 4, pp. 449-483; ID., F. M. e l'aJJJJJJinistrazione della Colonia Eritrea, in « Clio», 1 977, 4, pp. 341-427; entrambi i contributi sono ora in In., Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di L. DE CoURTEN, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1989, pp. 75-254. 5 6 Lettera a Bonomelli da Torino, 15 gennaio 1 896, in BAM, Carte BonoJJJelli.

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57 Cfr. quanto scriverà Oreste Baraticri in Me11101'ie d'Africa ( 1892- 1896) , Genova, Melita, 1988, pp. 143-147 (la prima edizione del libro apparve a Torino nel 1898). 58 Cfr. C. MARONGIU BuoNAIUTI, Politica e religioni... , cit., pp. 77-96. Genova di Revel scriveva, il 20 luglio 1 897, a Bonomelli: «Sto combinando una lettera al card. Ledochowski per informarlo degli intrighi dei Lazzaristi francesi per cacciar via i nostri Cappuccini. La difficoltà è di non lasciar scorgere che sono cose da p. Michele da Carbonara, il delegato apostolico, e di non esprimere troppo sinceramente il mio pensiero. Ci vuole della diplomazia» (BAM, Carte Bonome!!t). 59 Il 13 dicembre 1 895 il console Giuseppe Salvago Raggi aveva scritto dal Cairo al ministro Blanc (ASMAE, Serie Politica P, 1891-1916, Vaticano, p. 31, 1894-1897, fase. «Vaticano 1 895») circa « l'arrivo in Cairo di mons. Cirillo Macario, vescovo copto cattolico, al quale il Sommo Pontefice ha affidato per ora la reggenza del nuovo Patriarcato», aggiungendo: «La creazione dei due Vescavati dell'Alto Egitto ha prodotto grande dispiacere nei religiosi di rito latino ivi stabiliti, perché la loro posizione diviene difficile dopo i privilegi accordati dal Papa al clero copto ». In successive lettere Salvago Raggi esprime preoccupazione per il probabile richiamo del delegato apostolico Guido Corbelli, favorevole agli interessi italiani. 60 Sulla missione di mons. Francesco Marchetti Selvaggiani (ad vocem, A. RrccARDI, in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, IIIJ2, Casale Monferrato, Marietti, 1 984, pp. 505-506), vedi C. MARONGIU BuoNAIUTI, Politica e religioni. . . cit., pp. 167-168 e 183.


Fausto Fonzi

La Chiesa cattolica e la politica coloniale

un cinese, segna certamente un distacco della Chiesa universale dai progetti colonialisti del governo italiano, non sgraditi invece . ad una parte dei missionari ; ma ancora una volta la risposta del clero .copto etiopico sarà molto fredda, se non ostile. Ormai siamo però nel nostro secolo, che dall'anno 1 900 vede deli­ nearsi un contrasto fra i Cappuccini francesi da p. Andrea Jarosseau ad Harar 61 e i Consolatini piemontesi nel Kaffa 62 ; contrasto che da un

lato riecheggia quello ottocentesco fra i Lazzaristi francesi e i Cappuc­ cini italiani e dall'altro lato pone concretamente il problema di quali effetti abbia avuto in quella zona la svolta, ormai definitiva, impressa da Benedetto XV al lavoro missionario con la creazione della S. Congregazione per le Chiese orientali nel 1 9 1 7 e l'emanazione della Maximum Illud nel 1 9 1 9 63 : alcune fonti fanno pensare che quei prov­ vedimenti non siano stati compresi da tutti i missionari e che assai lenta ne sia stata l'applicazione64•

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61 Cfr., in ARCHIVIO DELLA S . CONGREGAZIONE PER LA EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI O «DE PROPAGANDA FIDE», Roma, Nuova Serie, vol. 193, rubr. 141, anno 1900, ff. 438-446, la pratica per la successione del vicario apostolico Taurin de Cahagne (morto il 1° settembre 1 899). Si veda particolarmente la lettera del generale dei Cappuccini, p. Bernardo d' Andermatt, al prefetto di Propaganda Ledochowski, del 14 gennaio 1 900, il quale trasmette tre nominativi, ma comunica che «tutti i missionari dei Galla hanno dato il loro voto» al p. «Andrea di S. Marco, Superiore regolare, Vicario Generale e Amministratore Apostolico di quel Vicariato», che è gradito anche al p. Provinciale di Tolosa. « Giova osservare - aggiunge Andermatt - che il sullodato padre ha la pratica e la conoscenza dei luoghi. Egli è in buone relazioni con le autorità locali, cioè con l'imperatore Menelik e ras Maconen, godendo la loro simpatia. Quindi il padre in parola, colla sua influenza, sarebbe in grado di proteggere i missionari e di propagandare con maggiore facilità la fede cattolica in quelle difficili regioni» (anche perché conosce, oltre al francese, allo spagnolo e al latino, la lingua «oromonica, propria del paese»). Il 16 marzo 1 900 si ha quindi la nomina del p. Andrea, «al secolo Maria Elia Jarosseau, a Vicario Apostolico dei Galla». Sulla sua opera: G. BERNOVILLE, L' épopée missionnaire d'Ethiopie, Monsigneur Jarosseau et la lvfission des Ca/las, Parigi, A. Michel, 1 950. 62 Cfr., ARCHIVIO DELLA S . CONGREGAZIONE PER LA EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI O «DE PROPA­ GANDA FIDE», Nuova Serie, vol. 193, rubr. 141, anno 1900, ff. 436-437, la lettera del canonico Giuseppe Allamano, rettore del santuario della Consolata di Torino, al prefetto di Propaganda fide, in data 23 giugno 1900. Allamano, che già nel 1 891 aveva ideato un Istituto regionale piemontese per missionari destinati all'Africa equatoriale orientale con l'approvazione dell'ar­ civescovo di Torino Alimonda e del prefetto di Propaganda Simeoni, ora, con l'appoggio dell'arcivescovo card. Richelmy, rinnova la proposta per la stessa zona, assegnata già ai Vicariati dei Galla e di Zanzibar, ma ancora senza missionari, sebbene i recenti viaggi di Ruspoli e Bottega dimostrino che «esistono popolazioni assai numerose, di buona indole, e fortunatamente non ancora guaste dall'influenza dell'elemento mussulmano». Nella stessa Nuova serie dell'Archivio di Propaganda fide, nel vol. 328, rubr. 141, anno 1905, si vedano i molti documenti relativi alla «Missione indipendente nel Zanguebar settentrionale, detto Kenia, affidata ai missionari della Consolata di Torino» e retta dal p. Filippo Perlo. In una sua relazione a Propaganda «per l'erezione di una Prefettura o Vicariato Apostolico nell'Africa orientale» da affidare ai Consolatini, il can. Allamano (Torino, 1o aprile 1905, ibid., ff. 414-436) ricorda che alla congregazione piemontese era stata assegnata la regione dei galla a sud dell'Abissinia, ove però i suoi religiosi non avevano potuto recarsi per la immediata opposizione del p. Jarosseau, il quale aveva chiesto ch'essi andassero invece a sud del Lago Rodolfo sotto il protettorato inglese. Ora però tanto il procuratore generale della congrega-

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zione del S. Spirito (ibid. , ff. 448-449 . . .) quanto il vicario apostolico dello Zanzibar (ibid., ff. 454 e seguenti) insistono energicamente affinché i Consolatini vadano fra i Galla, ai quali erano destinati (nello stesso senso, già nel 1902, si sono mosse, per i fini politici, anche le autorità inglesi). Certo è che soltanto nel 1913 Propaganda istituirà la Prefettura apostolica del Kaffa, affidandola ai padri della Consolata, che vi entreranno clandestinamente alla fine del 1916. Tra le fonti relative alla loro attività in Etiopia: E. BoRRA, La carovana di Blass. Padre Gaudenzio Barlassina. Ricordi di un tmdico, Bologna, Editrice degli istituti missionari, 1978. Tra gli studi che evidenziano aspetti politici e militari: A. DEL BocA, Gli italiani Ùl Africa Orientale. La conquista dell'impero, Bari, Laterza, 1979, pp. 145-209, 541 ; In., Gli italiani in Africa Orientale. La caduta dell'impero, Bari, Laterza, 1982, pp. 29-33. Si veda la relazione di

A. SBACCHI in questo volume. 63 Circa l'apporto italiano a quella svolta, anche al tempo di Pio XI, si ricordi almeno l'opera di Celso Costantini (ad vocem, G. BERTUCCIOLI, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Enciclopedia Italiaoa, 1984, pp. 284-286). Si vedano ora: S. TRINCHESE, Ronca/li e le missioni. L'opera di propagazione della fede tra Francia e Vaticano negli anni'20, Brescia, Morcelliana, 1 989, e le relazioni di C. SoETENS, Pie XI et /es missions e di G. BATTELLI, Pio XI e le chiese non occidentali, in Eglise et histoire . . . citata. 64 Come nel citato libro del Consolatino G. Ciravegna.


L'Istituto conloniale italiano

CESIRA FILESI

LJ Istituto coloniale italiano

Il secolo XIX è, come si sa, il secolo che segna l'acme dell'imperia­ lismo coloniale, i cui confini si dilatano a dismisura attraverso la spartizione del continente africano che troverà la sua consacrazione ufficiale nella conferenza di Berlino del 1884-85. La conquista coloniale era stata ovviamente preceduta o accompagnata da un'azione febbrile di ricognizione e di esplorazione delle regioni interne del continente ancora pressoché sconosciute alla fine del secolo precedente. Questo attivismo, sostenuto a volte da motivi di curiosità e di conoscenza d'un mondo ancora per molti versi misterioso, ma finalizzato il più spesso dal desiderio di trovare nuove fonti di materie prime, di aprire nuove vie ai commerci e di assicurarsi, di conseguenza, la disponibilità di più ampi spazi, non aveva lasciato insensibile neppure il nostro paese, che alle esplorazioni africane aveva già dato e stava dando contributi non secondari. Sono in definitiva proprio queste motivazioni che segneranno la nascita di tutta una serie di organizzazioni, di società e di iniziative a cui varrà la pena di accennare telegraficamente perché aprirono la strada all'Istituto coloniale italiano. Innanzitutto la Società geografica italiana 1 fondata nel 1 867 a Firenze da Cristoforo Negri, con lo scopo ben definito di promuovere iniziative di carattere scientifico nel campo delle esplorazioni e di carattere più pragmatico in quello economico e commerciale, fino a proporsi poi con Cesare Correnti come valida animatrice d'un programma di penetrazione coloniale africana. Nel 1 877 Manfredo Camperio fondava a Milano « L'Esploratore. Giornale

1 Sull'argomento : M. CARAZZI, La Società geografica italiana e l'esplorazione coloniale in Africa ( 1867- 1900), Firenze, La Nuova Italia, 1972.

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di viaggi e geografia commerciale» e, appena due anni dopo, la Società d'esplorazione commerciale in Africa 2, i cui scopi, insiti nella stessa sua denominazione, attiravano - anche in virtù della diffusione d'un «Bollettino » di utile e attraente impostazione - nella sua orbita più d'un autorevole e · solido rappresentante dell'industria e del com­ mercio lombardi. Napoli - porto marittimo dal quale si staccavano i carichi più frequenti e più dolenti della nostra emigrazione transa­ tlantica ma anche porta spalancata verso gli scali orientali e africani - non aveva voluto essere da meno. Un club africano, qui sorto nel 1 880, si trasformava ben presto nella più ambiziosa Società africana d'Italia, caratterizzata da un'impronta chiaramente espansionistica che trovava la sua più incisiva espressione in un proprio organo di stampa dal titolo «Africa. Bollettino della Società africana d'Italia». Questa società creava attive propaggini in varie città italiane con sviluppi che, come nel caso di Firenze, portarono al formarsi di una associazione autonoma che assunse per volontà di Attilio Mori il nome di Società di studi geografici e coloniali, confortata dalla pubblicazione d'un proprio organo di stampa dal tito o « ivista geografica italiana». Ancor prima della fine del secolo s1 r� g1st:ava anche la nascita della Lega navale 3, preceduta dalla larga d1ffuswne dell'omonimo periodico, patrocinatore convinto della necessità d'una più valida e consistente proiezione italiana ne l'oltre��re e 'una idonea protezione della nostra migrazione e del nostn mteress1 nei paesi più lontani e in quelli di acquisizione coloniale. Un fiorire, come si vede, di interessi e di iniziative degne di. atten­ zione anche se non estremamente dinamiche sul piano operativo ' . . e quindi destinate, proprio per questi limiti, a non susc1tar� amp1� risonanza e diffusi consensi nel paese. E che anzi - sotto 1 traunn dell'eccidio di Dogali e della tragedia di Adua - si sentirono coinvolte nel clima di diffidenza e di ostilità del momento che le portò a raffre-

2 Cfr. la monografia di A. MILANINI KEMÉNY, La Società d'esplorazione CO!ll!lel rciale in Africa e la politica coloniale (1879- 1914) , Firenze, La Nuova Italia, 1973 . . . 3 A tale proposito si vedano gli articoli : La <<Lega Navale)) rtVISta e la «Lega NavaleJ) . federazione, in « La Lega Navale», 1905, 19, pp. 433-440; Il prilllo impianto della «Lega Navale Italiana)) in Rollla, ibid., 20, pp. 457-461 .


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nare ogni slancio o addirittura a defilarsi anche sotto il profilo :della propria etichetta, come nel caso della Società d'esplorazione commer­ ciale in Africa, che cambiò la sua denominazione in quella di Soeietà italiana d'esplorazioni geografiche e commerciali, togliendo cosl ogni riferimento specifico all'Africa, quasi ch'essa fosse evocatrice di sciagure o di malasorte. Ma soltanto due anni dopo la sconfitta di Adua, alle soglie del 1 898, messe a tacere le armi e ricollocati nel loro alveo istituzionale i militari, poteva inaugurarsi in Eritrea un governo civile affidato alla guida autorevole di Ferdinando Mattini. Era questo l'inizio d'una nuova e costruttiva fase per questa nostra colonia del mar Rosso, mentre anche sul versante dell'oceano Indiano andava prendendo una consistenza più organica quella della Somalia. Nell'aprile del 1 901 s'era già tenuto a Napoli il IV congresso geografico italiano, cui doveva far seguito, dal 6 all'1 1 aprile del 1 904, un V congresso, destinato a rivelarsi determinante per la formulazione di concetti e di proposte intese a dare un orientamento nuovo e più efficiente al problema dell'emigrazione, o delle « colonie» italiane, termine col quale, nel linguaggio usuale del tempo, si era soliti indicare « i nuclei permanenti della nostra emigrazione all'estero non meno e forse anche più spesso che non i poco considerati possedimenti africani» 4• Nel corso di tale congresso, oltre ad auspi­ care una riorganizzazione dell'Ufficio coloniale del Ministero degli esteri in maniera da meglio « rispondere agli interessi dell'espansione etnica e del commercio italiano all'estero», si deliberava infatti la convocazione d'un apposito congresso coloniale da tenersi all'Asmara nel settembre-ottobre 1 905. Decisione questa che, fatta prontamente propria da Ferdinando Mattini, sarà con entusiasmo e puntualità resa esecutiva e porterà a risultati di notevole rilievo nella imposta­ zione e negli sviluppi della nostra azione e organizzazione coloniale, anche attraverso la creazione d'un apposito ente che sarà l'Istituto coloniale italiano 5•

È appunto alla genesi e al primo periodo di attività di questo nuovo organismo che intendo in questa sede soffermare la mia attenzione. È facile e difficile nello stesso tempo stabilire con una precisa gradua­ toria di autorità e di merito quali furono i fattori e i protagonisti alla base di tale genesi 6• Ma questo non ha molta importanza, perché vi fu tutto sommato un concorso di uomini e di idee che, anche se diver­ genti su taluni punti, finirono per sfociare in una soluzione positiva e univoca. Elemento propulsore del congresso fu certamente Carlo Rossetti, stretto collaboratore del capo dell'Ufficio coloniale del Ministero degli esteri Giacomo Agnesa. Nominato segretario generale del comitato organizzatore del congresso, il Rossetti, con la sua capacità e con il suo dinamismo, riusd a svolgere un'opera quanto mai efficace e pro­ duttiva, assicurandosi, oltre all'appoggio finanziario del governo, il consenso non solo della stampa specializzata, come « L'Economista», « L'Esplorazione commerciale», il « Giornale dei lavori pubblici», ecc., ma anche di vari quotidiani, tra cui «<l Messaggero», e di pubblicazioni come la «Rivista d'Italia» o la prestigiosa «Nuova Antologia», che aveva annunciato l'apertura del congresso nel numero di agosto con un articolo di Andrea Cantalupi 7• Dell'interesse destato dal congresso di Asmara saranno poi testimo­ nianza inequivocabile l'adesione della Società africana d'Italia, della Società geografica italiana, dell'Istituto agricolo coloniale italiano e di

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6 Il primo volume della Guida delle fonti per la storia dell'Africa a Sud del Sahara esistenti Ìtl Italia, a cura di C. GIGLIO e E. LoDOLINI, pubblicata dall'UNESCO, Zug-London, Inter Documentation co.,1 973, fa riferimento ad un carteggio conservato nell'Archivio storico del Ministero dell'Africa italiana (pos. 1 63/2 fase. 14) relativo alla costituzione dell'Istituto coloniale italiano. Il fascicolo, da me richiesto, è però privo di ogni documentazione. Sulla nascita dell'ente si veda l'ampio e puntuale saggio sopracitato di A. AQUARONE, Politica estera ... cit., in «Storia contemporanea», 1 977, 1, pp. 57-1 19; 2, pp. 291-334; 3, pp. 549-570. Sullo stesso argomento è utile ricordare i contributi di : C. RossETTI, Nota introduttiva sulla fondazione dell'Istituto, in « Rivista coloniale», 1906, 1 , pp. 1 54-162; M. PIEROTTI, L'Istituto coloniale italiano, sue origini, suo sviluppo, Roma, I.C.I., 1 922; C. CESARI, L'Istituto coloniale italiano: il suo passato, il suo avvenire, estratto dalla « Rivista coloniale», 1926, 2, pp. 1-7; G. CoRA, Ricordi del t• Congresso coloniale in A stnara, in «Rivista di studi politici internazionali», 1956, 4, pp. 633-638. 7 [A. CANTALUPI], Il pritJJo congresso coloniale italiano, in «Nuova Antologia», 1905, 807, pp. 529-536.

4 A. AQUARONE, Politica estera e organizzazione del consenso nell'età giolìttiana: il Congresso dell'Asmara e la fondazione dell'Istituto coloniale italiano, in « Storia contemporanea», 1977, 1 , p. 60. 5 Ibid., pp. 89-90.

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eminenti personalità della politica e del mondo economico è scientifico. Al marchese di San Giuliano, presidente effettivo del congresso, si affiancarono infatti, come presidenti d'onore, i ministri degli esteri, della marina, della pubblica istruzione, dell'agricoltura, industria e com­ mercio, il governatore dell'Eritrea Ferdinando Mattini, Giacomo Agne­ sa, Dalla Vedova, Vigoni, Giglioli, ecc. Insomma un congresso che, pur nel suo cliché di carattere semiufficiale o non governativo, acqui­ stava in pratica il livello e la consacrazione dell'ufficialità. Come da queste premesse e dagli obiettivi che l'assise di Asmara si era dati si arriverà alla proposta, che si identificherà in una decisione vera e propria, di dar vita ad un Istituto coloniale italiano? Diciamo pure che l'idea e il disegno della creazione di un ente, destinato ad assolvere compiti di natura specifica ed operativa nel campo coloniale, erano già nella mente di più d'uno degli uomini che s'apprestavano a portare il loro contributo all'imminente congresso. Lo stesso Carlo Rossetti e il prof. Ludovico Nocentini, docente di Storia e geografia dell'estremo Oriente nella Università di Roma e già direttore dell'Istituto orientale di Napoli e ordinario di lingua cinese, avevano da tempo esaminata l'opportunità di fondare una società di studi orientali e colo­ niali, finalizzata allo studio dell'Africa e dell'Asia come premessa ad una consapevole penetrazione economica in quei continenti . Durante il viaggio della «Tebe» verso Massaua, Carlo Rossetti ebbe modo di meglio conoscere il progetto formulato dal direttore dell'Istituto agricolo coloniale italiano Gino Bartolommei-Gioli che, sia pure con qualche diffidenza - come vedremo - sarebbe stato fatto proprio all'Asmara dal sen. De Martino 8 • Sicché - come ebbe a scrivere più tardi Cesare Cesari - « l'Istituto coloniale italiano nacque, si può dire, in mare»9• Non intendo entrare qui nel merito del congresso ma mi limiterò a dire semplicemente che esso, apertosi il 25 settembre con i discorsi inaugurali del governatore Ferdinando Mattini e del marchese di San Giuliano, chiamato a presiederlo, avrebbe trattato in dodici relazioni tutti i maggiori temi attinenti all'Africa italiana, da quelli concernenti l'emi-

graziane colà diretta e lo sviluppo agricolo e commerciale, a quelli delle vie di comunicazione interne, dei servizi marittimi e del credito, a quelli riguardanti l'idrografia e la topografia, l'ordinamento degli studi coloniali, dell'istruzione pubblica, del diritto italiano e del diritto indigeno 10• È evidente che per dare maggiore impulso e per coordinare con più concrete prospettive di lavoro questi settori di attività, la prima iniziativa da prendere era appunto quella di dare vita ad un organismo ad hoc; sicché fu verso tale obiettivo che il congresso rivolse fin dall'inizio la sua attenzione. Lo studioso fiorentino Gino Bartolom­ mei-Gioli, patrocinatore, come s'è detto, d'un suo progetto per la fondazione di un organismo di promozione e armonizzazione dell'atti­ vità coloniale, aveva inviato al congresso - cui non aveva potuto partecipare - una comunicazione dal titolo L'azione coloniale dei tempi recenti e gli ostacoli per la nostra espansione all'estero 11• Quali le motivazioni addotte dal Gioii a sostegno della sua proposta? «Ai governi spetta - egli diceva in sostanza - di fare della politica a larghe vedute con obiettivi ben determinati, mentre ai cittadini sta il compito di fornire gli elementi a questa politica fondandosi sopra reali interessi. Per tal modo iniziativa di Stato e iniziativa privata dovrebbero, armonizzandosi, lavorare concordemente dirette allo stesso grande fine ( . . . ). L'Inghilterra, la Francia, il Belgio, l'Olanda, vanno sempre meglio organizzandosi per la tutela dei propri interessi. Ma, conviene dirlo, l'Italia, che pure ha 5 milioni di sudditi sparsi in tutto il globo e si mantiene alla testa delle nazioni migratrici, non dà segno di comprendere la gravità dei problemi che è chiamata a risolvere e differisce l'adempi­ mento dei suoi doveri più sacrosanti, anziché affrontarli energicamente (. . . ). Varie ragioni di opportunità ci fanno desistere dall'idea di proporre la fondazione di una grande associazione italiana per gli interessi coloniali e ci fanno - egli in sintesi proponeva - ritenere più conveniente appoggiarci ad associazioni che, come la Società geografica italiana, può per la sua sperimentata tradizione sul piano dell'attività scientifica,

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10 Sullo svolgimento dei lavori del congresso: A tti del congresso coloniale italiano in A stJJara (settetJJbre-ottobre 1905), a cura di C. RossETTI, Roma, Tip. dell'Unione cooperativa editrice, 1906, I, Relazioni, cotJJunicazioni e confermze; II, Verbali delle discussioni. 11 Il testo della relazione travasi in A tti del congresso . . . cit., I, pp. 247-253.

8 C. RossETTI, Nota introduttiva. . . cit., pp. 154-155; A. AQUARONE, Politica estera. . . cit., p. 1 15. 9 Nel cinquantenario dell'Istituto italiano per l'Africa (1906- 1956), Roma, Istituto italiano per

l'Africa, 1956, p. 6.

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assicurare il necessario incremento allo studio dei problemi c�loniali e aiutarne la soluzione. A tal fine vorremmo - concludeva Bartolom­ mei-Gioli - che essa creasse nel suo seno una sezione coloniale .avente un programma di lavoro pratico da svolgere con mezzi adeguati forniti dallo Stato e dai privati e che le due sezioni scientifica e coloniale si aiutassero a vicenda ( . . . ) » 1 2• Fin qui il pensiero del prof. Gioii, esposto al congresso dal sen. De Martino, il quale, pur dichiarandosi concorde sull'utilità e la necessità di costituire uno specillco organismo propulsore dell'espansione coloniale sia diretta che indiretta, esprimeva però un diverso avviso sul modo di attuarlo. Non cioè come sezione speciale della Società geografica ma come ente da creare in maniera del tutto autonoma, anche se con l'accordo e il contributo della Società geografica e di altre società affini. «Un terreno comune - affermava in conclusione l'oratore - ci può unire tutti ed è questo : da una parte la necessità di rendere proficue le nostre colonie e dall'altra l'utilità e l'opportunità di aprire ai nostri commerci e ai prodotti della nostra industria quelle vie che la pacifica penetrazione di altri Stati utilizza pei propri ( . . . ) . Voi, signori, tornando in patria, porterete certo con voi l'eco di quanto avete veduto e studiato nell'Eritrea, e farete così germogliare l'albero, che io mi spero, sarà per sorgere dal seme contenuto nelle proposte che ho presentato al vostro esame» 1 3• In effetti quel seme era stato già chiaramente esplicitato in una proposta d'ordine del giorno con la quale il congresso : « considerata l'utilità di avere in Italia un organo permanente di studi circa i paesi coloniali e circa quelli dove più utilmente possono dirigersi le correnti della nostra emigrazione e dei nostri traffici ; considerata la necessità di dare a questo ordine di studi e di opere un indirizzo sicuro alla opinione pubblica e di aiutare a coordinare le iniziative individuali ; considerata l'opportunità di collegare tra loro i congressi coloniali che potranno tenersi in avvenire; esprime il voto che sorga un istituto, con l'eventuale concorso della Società geografica italiana e di altre associa­ zioni scientifiche ed economiche, il quale senza alcun carattere politico ed alieno dal partecipare a speculazioni od intraprese di qualsiasi specie, dia

continuità all'opera di congressi coloniali, riunisca studi ed informa­ zioni sui paesi all'estero ove già sussistano o possano sorgere interessi italiani, e ne allarghi la conoscenza mediante pubblicazioni, letture, mostre di prodotti e col promuovere la esplorazione scientifica ed economica». F.to : De Martino, Loria, Bosco, Rossetti, Marinelli 14. L'ordine del giorno approvato dai congressisti per alzata di mano segnava in sostanza la nascita dell'Istituto coloniale italiano, che pren­ deva immediatamente corpo il giorno successivo con un altro ordine del giorno dell'avv. Corsi, con il quale si proponeva al congresso di deliberare al più presto sulla nomina d'un comitato promotore per la preparazione di detto istituto, delegando il marchese di San Giuliano e il sen. De Martino per la nomina del comitato medesimo. Le fasi successive si sarebbero ovviamente sviluppate a Roma, dove De Martino riuniva il 20 gennaio 1906 presso il Senato vari parlamentari, tra cui lo stesso ministro degli esteri Guicciardini ed alcuni studiosi tra cui lo stesso Gioli, Levi, Rossetti, per prefigurare le linee d'uno statuto del nuovo ente e discutere circa la partecipazione ad esso della Società geografica. A tale riguardo il De Martino scrisse direttamente al presi­ dente della Società, prof. Dalla Vedova, ma la risposta, a firma del vicepresidente Dal Verme, fu un preciso rilluto di « stabilire vincoli organici e sistematici fra i due enti, né morali, né fmanziari» 15• La bozza di statuto dell'erigendo Istituto coloniale fu pertanto modi­ ficata in tal senso e il comitato promotore convocò per il 26 marzo l'assemblea generale con all'ordine del giorno l'approvazione dello statuto, l'iscrizione dei membri, la votazione delle cariche sociali. Nel suo discorso introduttivo il presidente De Martino, senza enfatizzare una politica coloniale di conquiste territoriali che avrebbe potuto divi­ dere l'opinione pubblica, sottolineava come « l'opera che l'Istituto potrà compiere all'interno, mediante congressi, conferenze, mostre e zpubbli­ cazioni, sarà intesa a far nascere la fiducia, che è alla base di ogni azione vigorosa, e la conoscenza che è frutto di studio e di indagine (. . . ) . E così pure, all'estero, l'Istituto avrà una missione di carattere esclusivamente economico che si svolgerà dove più utilmente si possono

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12 Ibid., I, pp. 250-253. 1 3 Ibid., II, pp. 30-3 1 .

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14 Ibid., II, pp. 21-22. 1 5 Lettera di Dal Verme a De Martino, in C. RossETTI, Nota introduttiva. . . cit., pp. 1 61-162.


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utilizzare la privata iniziativa e il capitale italiano » 16• La prima f�rma di espansione coloniale cui l'Istituto rivolgerà la sua attenzione ed azione sarà quella avente per oggetto le nostre colonie territoriali ; la seconda delle forme che l'espansione coloniale potrà seguire sarà - affermava sempre De Martino - quella che scaturisce dall'emigrazione ; la terza forma di espansione coloniale si compirà· poi, nei paesi appartenenti a Stati esteri, mediante il libero scambio dei prodotti. « L'Italia, che viene ultima sul campo della concorrenza coloniale - concludeva egli - ha bisogno che i suoi passi, per brevi che possano essere, siano però oculati e sicuri» 17• Votato e approvato uno statuto non defmitivo e procedutosi altresì alla nomina delle cariche sociali (che confermavano alla presidenza il sen. De Martino e vedevano alla vicepresidenza Antonio di San Giuliano e Leopoldo Franchetti), l'Istituto coloniale italiano era divenuto - in tempi forse fin troppo brevi - una realtà che si inseriva nella vita del paese. « È la prima volta - commentava Cantalupi sulla «Nuova Anto­ logia» del 1 o aprile - che si riesce a raccogliere in Italia un così gran numero di così eminenti personaggi politici nell'unico esplicito intento di fare opera di propaganda dello spirito coloniale : spirito inteso larga­ mente, sia nella sua parte che riguarda l'azione dello Stato, sia nell'altra, che mira a provocare quella dei privati con scopi e caratteri precipua­ mente economici, ma nello stesso tempo inevitabilmente politici» 18• Un'assemblea generale straordinaria procedeva il 20 maggio succes­ sivo all'approvazione dello statuto definitivo che precisava nei primi due articoli gli scopi e gli strumenti dell'Istituto ; scopi che erano quelli : « 1 . d'illuminare il paese intorno all'azione coloniale, sia dello Stato sia privata, intesa a sviluppare la vita economica delle nostre colonie e utilmente dirigere la nostra emigrazione ; 2. di promuovere e incoraggiare nelle varie classi la diffusione della cultura coloniale e la preparazione tecnica delle iniziative coloniali ; 3. di fare studi e indagini all'estero di carattere economico ; 4. di costituire un legame

permanente tra la madrepatria e i connazionali che vivono all'estero rappresentandone gl'interessi collettivi ; 5. di sviluppare l'azione colo� niale italiana, sia col promuovere provvedimenti legislativi e di gover­ no, sia con opportune iniziative private» 19• Organo direttivo ed esecutivo era, in base allo statuto, il consiglio centrale, composto da un presidente, quattro vice presidenti, diciotto consiglieri e un segretario generale, tutti eletti dall'assemblea dei soci. Era anche previsto che il consiglio centrale potesse autorizzare la costi­ tuzione di sezioni dell'Istituto nelle diverse città italiane, nelle colonie e all'estero ; tali sezioni avrebbero avuto propri rappresentanti in seno al consiglio stesso. Tra le esigenze più immediate che il nuovo ente felicemente risolse vi fu quello della sede che, sistemata nel grandioso palazzo delle Assicurazioni Generali in piazza Venezia, gli consentì di avviare, attraverso la creazione d'un ufficio di studi coloniali affidato al prof. Gennaro Mondaini, l'istituzione di una biblioteca in rapida crescita e la pubblicazione di un organo ufficiale di stampa, il cui primo numero, con la testata di « Rivista coloniale», apparve nell'agosto dello stesso 1 906 sotto la direzione del Mondaini, affiancato da un autorevole comitato scientifico. « La rivista - si leggeva nella presentazione a firma della Direzione - non intende agitare un programma imperialista, ar­ mandosi di formule retoriche; né pensa menomamente di propugnare espansioni o ardimenti politici inconsiderati», ma uniformare unicamente il suo orientamento alle. finalità fissate nello statuto dell'ente, per il quale il termine coloniale doveva intendersi nella sua accezione più ampia di protezione verso tutte quelle terre o nazioni dove fossero presenti comunità o collettività di italiani e quindi interessi da tutelare e iniziative da sollecitare e sostenere 20• Testimonianza concreta di questa tendenza fu il I congresso degli italiani all'estero, apertosi in Campidoglio il 1 8 ottobre 1 908 con la partecipazione di 250 delegati provenienti da ogni parte del globo e che trovò ampia risonanza nell'opinione pubblica e nella stampa. Da rilevare che i lavori del congresso furono divisi in sette sezioni, delle quali

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1 6 Ibid., p. 1 64. 17 Ibid., pp. 165-166. 1 8 XXX [A. CANTALUPI], Da Ras Niacomn all'Istituto coloniale italiano, in «Nuova Antologia»,

1906, 823, pp. 517-526.

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1 9 M. PIEROTTI, L'Istituto coloniale italiano . . . cit., p. 8 ; A. A QUARONE, Politica estera . .. cit.,

pp. 297-299. 20

Ibid. , pp. 302-307.


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soltanto l'ultima dedicata alle colonie di dominio diretto, .con la· presen­ tazione, peraltro, di numerose e ben documentate relazioni sulla valo­ rizzazione dell'Eritrea e della Somalia, nonché dell'espansione c�mmer­ ciale in Etiopia. A conclusione del congresso fu affidato all'Istituto coloniale - eretto nella circostanza ad ente morale - il mandato di organizzare quello più ampio e solenne fissato per il 1 9 1 1 in concomi­ tanza con le celebrazioni del cinquantenario dell'unità d'Italia 21 • E questo II congresso, organizzato sotto l'alto patronato del re e la presidenza onoraria del duca d'Aosta e inaugurato anch'esso in Campidoglio 1'1 1 giugno, non tradì certamente le attese per l'adesione di personalità di governo (a cominciare dal presidente del consiglio Giolitti), della politica, della cultura e dell'economia e soprattutto per la presenza di ben 860 congressisti e delegati provenienti da tutto il mondo. Della ricchezza dei contributi e della grande mole di lavoro affrontati dal congres­ so - conclusosi il 20 giugno con un discorso di Guglielmo Marconi e con l'approvazione di significativi ordini del giorno - furono testimo­ nianza i quattro volumi degli atti, editi grazie alle dinamiche sollecita­ zioni dello stesso presidente dell'Istituto, on. Guido Fusinato, succeduto nell'aprile 1 91 0 al De Martino, che era stato nominato governatore della Somalia. Da parte di certa stampa fu rilevato criticamente come l'Istituto, anziché concentrarsi verso i problemi e gli interessi africani, avesse privilegiato piuttosto quelli dell'emigrazione transatlantica. Rilievo solo in parte giusto, se si pensa che il congresso, in un clima efferve­ scente, approvò all'unanimità un ordine del giorno per la tutela dei nostri diritti, oltre che sui nostri interessi in Tripolitania, al punto che esso fu posto in correlazione diretta con la campagna di propaganda nazionalista che avrebbe portato di lì a qualche mese alla guerra libica 22 • Ma a parte questo non certo trascurabile elemento, va sottolineato che l'Istituto coloniale - che ormai poteva contare anche su una larga base associativa - promosse varie iniziative dando alla «Rivista colo­ niale» una nuova veste con periodicità più ravvicinata, elaborando pubblicazioni di carattere culturale e conoscitivo come la «Biblioteca di studi coloniali» e l'«Annuario dell'Italia all'estero e delle sue colo-

nie», che nell'edizione del 1 9 1 1 raggiunse le 800 pagine. Furono anche promosse missioni di studio nell'oltremare, la prima delle quali fu effettuata dallo stesso presidente De Martino in Tripolitania e Tunisia, che ne fece oggetto di una monografia dal titolo Tripoli-Cirene-Carta­ gine. Sotto gli auspici dell'Istituto fu pure pubblicata la «Rivista d'A­ frica» diretta da Giuliano Bonacci, della quale apparvero solo sei fascicoli 23• Un ruolo importante ebbe l'Istituto anche nel I congresso degli esportatori italiani in Oriente, tenutosi nell'ottobre 1 909 a Vene­ zia. In occasione della guerra italo-turca l'ente, oltre a dare il suo naturale appoggio all'impresa, costituirà, d'accordo con la «Dante Alighieri», un comitato di assistenza per gli italiani espulsi dalla Turchia. Significativo il fatto che il documento della pace di Losanna, che poneva fine alle ostilità, recherà anche la firma di due consiglieri dell'Istituto, · l'ex presidente Fusinato e Volpi, che diverrà dieci anni dopo governatore della nuova colonia. Lo scoppio della prima guerra mondiale, se ridusse la sfera d'azione e i mezzi necessari per una piena attività dell'Istituto, non ne ridusse lo slancio, anche in virtù dell'ap­ passionata opera del nuovo presidente, Ernesto Artom, eletto nel maggio 1 9 1 4, il quale, oltre a realizzare il progetto di creare un ufficio di informazioni commerciali e coloniali su basi concrete, si fece nel marzo 1 9 1 5 propugnatore d'una scuola superiore di studi politici e coloniali che sarà poi - al termine del conflitto - la matrice, su base più pratica e costruttiva, di quei « corsi di studi coloniali» che avranno lunga durata e diffusione. Furono anche istituiti un comitato per la tutela degli interessi coloniali italiani e un altro per quelli dell'Oriente, una sezione di studi e propaganda coloniale e una sezione per l'emi­ grazione. Nell'ottobre 1 9 1 8 l'Istituto annunciava il progetto per l'or­ ganizzazione di un convegno coloniale per il dopoguerra delle colonie, che in effetti si realizzò nel gennaio 1 9 1 9 con la solenne inaugurazione in Campidoglio, a cui intervenne il ministro delle colonie e vicepresi­ dente del consiglio Colosimo. I lavori si articolarono su tre sezioni : una politica, una economica e una su emigrazione e commercio. Dei contenuti e del clima di tale

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21 Ibid., pp. 310-312. 22 Ibid., pp. 555-570.

23 M. PrEROTTI, L'Istituto colo11iale italiano . . . cit., pp. 1 4-16. !

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FRANCESCO SURDICH

convegno - svoltosi mentre a Versailles aveva inizio la conferenza della pace - restano come testimonianza le ottocento fitte pagine; degli atti, pubblicati l'anno successivo 24. . Da sottolineare l'apparizione de « L'Illustrazione coloniale» nel 1 9 1 9 ' divenuta dal 1 920 organo dell'Istituto, e la surrogazione nel 1 927 della « Rivista coloniale» con « L'Oltremare». L'Istituto si troverà, nel suo ulteriore cammino, a seguire, per forza di cose, i mutamenti dei tempi e della vita nazionale che si rifletteranno e nei suoi indirizzi e nella sua stessa denominazione. L'avvento del fascismo e l'inaugurazione di una nuova politica coloniale avente l'obiettivo ambizioso della fondazione dell'impero imposero all'Istituto un ruolo essenzialmente propagandistico. Nel 1 928 venne infatti rico­ nosciuto dal partito fascista come l'unico ente italiano per la propa­ ganda coloniale e la sua denominazione fu mutata in Istituto coloniale fascista. La progettata fondazione dell'impero (9 maggio 1 936), oltre a segnare una nuova fase della storia coloniale italiana, portò diversi mutamenti nella amministrazione coloniale che in qualche modo inte­ ressarono anche l'Istituto coloniale fascista. Al cambiamento di deno­ minazione del Ministero delle colonie in Ministero dell'Africa italiana (8 aprile 1 937) seguì infatti un parallelo mutamento per l'ente, che nel dicembre dello stesso anno assunse il nome di Istituto fascista dell'A­ frica italiana 25• Etichetta che avrà durata molto effimera, per l'immi­ nenza del secondo conflitto mondiale, destinato a fare giustizia anche del termine « coloniale». L'ente risorgerà pertanto dalle ceneri nel 1 947, con la nuova deno­ minazione di Istituto italiano per l'Africa e sarà chiamato con la legge 1 54 del 1 956 ad ereditare il patrimonio culturale e scientifico del soppresso Ministero dell'Africa italiana, assumendo compiti e funzioni nuovi, soprattutto dopo l'approvazione, nel 1 971, del nuovo statuto, che muterà il nome in Istituto itala-africano. Ma questa è storia recente che gli africanisti certamente conoscono e sono in grado di valutare nel bene - mi auguro - più che nel male.

24 Ibid., pp. 1 7-22. 25 A nnuario dell'Afirica Italiana e delle isole italiane dell' Ea .,eo, 1938-39, Rorna, I . F . A . I . , 1939, p. 138; Che cos'è /'IFAI, in «La Gazzetta», 9 mag. 1 939.

Le società geografiche e coloniali

« Non bisogna perdere di vista che le Società geografiche non sono soltanto istituti di teorici studi scientifici ; l'operosità loro ha invece, come precipuo dovere, quello di concorrere con la maggiore efficacia all'espansione della propria nazione nelle contrade dove è possibile far sorgere colonie, e crearne nuclei d'attività economica, che contribuiscano alla prosperità ed alla forza della patria. Esse hanno quindi un campo d'azione veramente ed essenzialmente politico, nel significato largo ed antico della parola».

Con queste considerazioni, svolte nel 1884 sul «Bollettino della Società africana d'Italia», di cui era allora il direttore, Francesco Della Valle, marchese di Monticelli, sottolineava efficacemente il significato di un fenomeno che proprio in quegli anni si stava diffondendo in maniera capillare in tutta Europa, dove sin dai primi decenni dell'Ot­ tocento aveva costituito un supporto indispensabile alle iniziative espansionistiche inglesi e francesi. Anche la prima di queste società costituitasi in Italia (precisamente a Firenze nel 1 86 7) fin dai numeri iniziali del suo « Bollettino » diede ampio spazio alle imprese ed alle relazioni dei viaggiatori italiani e stranieri, lanciati allora nei diversi continenti alla ricerca di territori e popolazioni particolarmente adatti alle esigenze di un'economia, come quella europea, sempre più bisognosa di nuovi sbocchi commerciali, di materie prime e di manodopera a basso costo :

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« Cinquecento bastarono a fondare un'accademia e un giornale: cinquecento ba­ sterebbero a mandare esploratori e viaggiatori nelle contrade che all'Italia più importa conoscere e dove più le importa essere conosciuta - scriveva infatti l'allora vice­ presidente della Società geografica italiana, Cesare Correnti, proprio nel primo fascicolo del « Bollettino» - . E codesta non sarebbe opera soltanto di parole e d'inchiostro; perché al diletto virile si accompagnerebbe l'utile e il guadagno, a cui è tempo ormai di pensare davvero. Se vogliamo tornare alle mercatanzie e alle


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industrie ci è necessario uscir di clausura e rifarci mondani geografi, viaggiatori, ' incettatori di novità, curiosi delle diversità umane».

dove da alcuni decenni operava attivamente un gruppo di m1ss1onari italiani guidati dal Massaia, annunciava pertanto, in occasione di una conferenza del Miniscalchi sul Nilo, l'intenzione della Società geogra­ fica di allestire una spedizione nella zona del Nilo Azzurro, una meta che venne presentata fm dall'inizio come assai importante sia dal punto di vista politico che commerciale. Nonostante, però, l'impegno del Correnti, questa spedizione, prece­ duta da una missione del marchese Orazio Antinori, del barone Gia­ como di Castelnuovo e del cap. Oreste Baratieri in Tunisia (1 875), e di Giulio Adamoli in Marocco (1 876), riuscì a partire soltanto nel 1 877, con l'obiettivo che nel frattempo era stato allargato al paese dei Galla, compreso fra la media valle del Nilo e l'oceano Indiano. Affidata ad Orazio Antinori, coadiuvato da Giovanni Chiarini, Sebastiano Mattini Bernardi e Lorenzo Landini, ai quali in seguito si sarebbe aggiunto il capitano marittimo Antonio Cecchi, la spedizione si sarebbe trascinata fino al 1 882 fra difficoltà e polemiche di ogni genere, fallendo la gran parte dei suoi obiettivi politici e commerciali, anche se non vanno sottovalutati alcuni risultati da essa conseguiti sul piano scientifico, che trovarono una loro adeguata valorizzazione soltanto nel 1 887, quando vennero pubblicati i tre volumi Da Zeila alle frontiere del Cajja, curati dal Cecchi, i quali rappresentarono un utile aggiorna­ mento dei dati geografici, geodetici, storici ed etnografici fmo ad allora noti sulle regioni etiopiche. Anche se negli anni successivi non mancarono alcune iniziative, sia pure di rilievo limitato, come la seconda spedizione nel Goggiam dell'ing. Augusto Salimbeni (1 887), o l'invio a Let Marefià di Vincenzo Ragazzi, la Società geografica assunse, nei confronti delle spedizioni africane, un atteggiamento abbastanza prudente fmo all'avvento alla presidenza del Nobili Vitelleschi (1 887) quando, dopo una breve fase di raccoglimento provocata dalla sconfitta di Dogali, in seguito alla proclamazione del protettorato politico italiano sui sultanati di Obbia e dei Migiurtini (1 891 ), cominciò a dimostrare un particolare interesse per la Somalia, patrocinando le spedizioni di Enrico Baudi di Vesme e di Luigi Robecchi Bricchetti: quest'ultima spedizione, in particolare, ebbe il merito di individuare una nuova via di penetrazione in zone ancora del tutto sconosciute e di offrire una prima indicazione generale per la conoscenza dell'Ogaden e dell'alto corso dell'Uebi Scebeli.

Si spiega così, come, nel suo primo decennio di vita, fra il 1 S 67 e il 1 875, il « Bollettino della Società geografica italiana » abbia pubblicato ben 45 relazioni e memorie concernenti l'Africa, una ventina riguar­ danti l'Asia ed una decina l'Australia e l'arcipelago indonesiano, e come già nel quarto fascicolo del 1 870 abbia dato spazio ad una comunica­ zione anonima di una persona « che da molti anni vive in Egitto ; vi ha estese �el zioni e possiede preziosa esperienza», la quale esponeva la sua opmwne attorno alla «maniera più facile per sottomettere e civilizzare le regioni dell'Africa centrale». Questa « vocazione espansionistica » della Società geografica italiana . s1 sarebbe fatta più decisa e concreta durante la presidenza (1 873-1 878) d1. Cesare Correnti, come si può dedurre da un tentativo, sia pure rientrato, di istituire una sezione di geografia commerciale, avente per scopo quello di «procurare» - secondo il primo articolo del suo statuto - «ai commerci italiani tutti i sussidi che possono derivare dalla diffu_sione delle notizie geografiche, etnografiche ed economiche ( . . . ) » : graz1e ad esse, affermava il suo segretario, Attilio Brunialti in occa­ sione del primo rendiconto pubblico tenuto all'adunanza d i soci del 9 febbraio 1 879, il commerciante « conoscerà la perfidia dei Malesi e la fredda calma dei settentrionali, la selvaggia natura degli Africani e il temperamento ardente dei meridionali». Vocazione che si sarebbe concentrata in maniera particolare sull'A­ frica, così celebrata dal Correnti in un suo discorso destinato a diven­ tare famoso :

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«_L'Afri�a ci attir� invincibilmente. È una predestinazione. Ci sta sugli occhi da tantl secoh questo hbro suggellato, questo continente mummificato, onde pur ci venne primamente la civiltà, e che ora ci esclude dai grandi oceani, ci rende sernibarbaro il Mediterraneo e costringe l'Italia a trovarsi sugli ultimi confini del mondo civile. Bisogna vincere questa natura ribelle ( ... ). Quante cose promette l'Africa a chi sappia studiar l'uomo in altre umanità, a chi voglia cercar la natura dov'essa tocca il colmo della forza, della bellezza, dell'orrore, a chi desideri ritemprare l'animo a prova di cimenti impreveduti».

Già fin dal suo primo anno di presidenza il Correnti, stimolato dall'ambasciata inviata nel 1 872 a Vittorio Emanuele dal re dello Scioa '

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Più deciso si fece l'impegno in Africa della Società geografica ·italiana sotto la presidenza di Giacomo Doria (1891-1 900), che ·promosse ed . appoggiò le due spedizioni di Vittorio Bottega che, partito da B <:rbera nel settembre 1 892, percorse, inizialmente assieme a Matteo Grixoni, tutti i rami dell'Alto Giuba, spingendosi fino al paese dei Sidama, confinante con la fossa africana orientale; mentre nel 1 895, assieme a Lamberto Vannutelli, Carlo Citerni e Mario Sacchi, si recò nella zona dell'Orno per definirne il corso, cadendo però vittima di un'im­ boscata tesagli dagli Abissini a J ellem nel marzo del 1 897, dopo aver attraversato territori popolati dai Gazza, dai Borana, dagli Amar Bambala e dai Badditu e dopo aver raggiunto il corso dell'Orno che venne seguito fino alla sua foce nel lago Rodolfo. Nonostante la spedizione del Bottega possa essere considerata la più valida, dal punto di vista scientifico, di tutte quelle organizzate dalla Società geografica italiana, le polemiche sollevate nel mondo politico italiano dalla sconfitta di Adua avrebbero coinvolto anche questo sfortunato tentativo e con esso pure le residue velleità espan­ sionistiche della Società, che, come ha scritto Maria Carazzi, « colpita dai rovesci militari italiani, non sostenuta dal governo, accusata di imprevidenza, si ritira ancora una volta delusa dal campo della geo­ grafia esploratrice, dove, a prezzo di tanti sforzi, l'aveva la prima volta spinta il Correnti. Con la spedizione Bottega si arresta così alla fme del secolo l'illusiòne della società e di una parte della borghesia italiana di trovare in Africa gloria e ricchezza». Parallelamente all'attività di esplorazione nell'Africa orientale, la Società geografica italiana aveva contribuito in quegli stessi anni all'elaborazione ed alla realizzazione di una strategia espansionistica, anche sostenendo il fenomeno dell'emigrazione italiana nel continente americano, a cominciare dal gennaio del 1 892, quando una sua adu­ nanza, presieduta da Luigi Bodio, nel corso della quale Attilio Brunialti aveva tenuto una conferenza su L'emigrazione italiana al P lata, si era conclusa con l'approvazione di un o.d.g., presentato dal prof. Gentile, nel quale si faceva voto «affinché si costituisse un Comitato centrale allo scopo di fondare e dirigere uffici che diano informazioni sui luoghi verso cui più particolarmente si riversa la emigrazione e verso cui sarebbe più utile che essa si svolgesse».

Da allora in poi la Società avrebbe dedicato un'attenzione costante al problema dell'emigrazione di massa, passando gradualmente dal principio della colonizzazione spontanea, sul modello anglosassone, ad un sempre più deciso e convinto sostegno nei confronti di un'emigra­ zione protetta, gestita dallo Stato, concepita come parte integrante della politica estera nazionale. In particolare i primi quattro congressi geografici italiani, svoltisi rispettivamente nel 1 892, 1 895, 1 898 e 1 902, che ebbero nella Società geografica italiana (soprattutto nel caso dei primi due) il loro elemento propulsore, favorirono l'emergere di un gruppo di pubblicisti (Godio, Grossi Brunialti, Bodio, Franzoni, Carerj e Frescura) che, pur su posizioni differenti, teorizzarono l'espansione nel Sud America attraverso l'emigrazione, considerata come elemento trainante di alcuni settori dell'economia nazionale (in particolare della marina e del commercio agricolo) ed in parte di quello industriale, per la sua capacità di attirare capitali attraverso la formazione di compagnie di colonizzazione.

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Una parabola in larga parte simile fu quella percorsa dalla Società di esplorazione commerciale in Africa, fondata nel 1 879 da Manfredo Camperio, il quale ricevette l'adesione e l'appoggio di ragguardevoli personaggi dell'ambiente economico e industriale dell'Italia setten­ trionale, come il banchiere Brambilla, i cotonieri Ponti e Dell'Acqua, il chimico Erba, lo spedizioniere Gondrand, l'industriale della gom­ ma Pirelli e il direttore del lanificio Rossi. La creazione di questa Società era stata preceduta, a partire dal luglio 1 877, dalla pubblica­ zione di quello che sarebbe diventato, accanto al quotidiano « <l Sole», il suo organo ufficiale, « L'Esploratore. Giornale di viaggi e geografia commerciale», pure fondato e diretto da Manfredo Cam­ perio, autore del primo editoriale dove si possono leggere queste significative affermazioni : « Un popolo che voglia estendere la sua influenza e o i suoi commerci, anche senza nutrire velleità di conquista, deve darsi a conoscere e a far sventolare la propria bandiera, pacifica e civilizzatrice, così nei mari lontani come nelle terre tuttora inesplorate, ove possa aprire nuovi mercati ai suoi commerci ( ) L'Africa ci si presenta non solo come un grande problema scientifico ed un continente ove più di 4.000.000 di chilometri quadrati restano ancora involti nel mistero, ma eziandio come un vasto e ricco campo che dobbiamo aprire al commercio del mondo». ...

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Ed, infatti, l'art. 2 dello statuto della Società preclsa.va ché·: « L'associazione ha per iscopo di raccogliere a mezzo di spedizioni esploratrici notizie positive sugli scambi di merci che possono intervenire tra l'Italia e l'Africa - in ispecie coi paesi del nord-est [precisazione questa eliminata in una successiva redazione dello statuto] - predisporre tutto quanto può agevolare e rendere sicuri, regolari e continui i rapporti commerciali fra le due regioni, studiando all'uopo le vie più opportune e stabilendo stazioni ed uffici nei paesi esplorati».

Nel maggio del 1 880 alla Società di esplorazione commerciale veniva affiancata la Società italiana per il commercio con l'Africa, avente per scopo statutario « gli scambi fra l'Italia e l'Africa e le regioni vicine dell'Asia» : tale Società venne però liquidata, nell'aprile del 1 882, per gli scarsi risultati ottenuti. Tra la fine del 1 882 e l'inizio del 1 883 nella Società presieduta dal Camperio confluì la Società promotrice di esplorazioni scientifiche, che era sorta sempre a Milano nell'aprile del 1 880, per iniziativa di alcuni illustri studiosi come i professori Ascoli, Schiapparelli e Cornalia, allora direttore del Museo di storia naturale. Una società consorella fu inoltre fondata a Genova nel corso di una riunione tenutasi il 1 0 marzo 1 884 presso la Camera di commercio di quella città. Anche la Società di esplorazione commerciale in Africa, oltre a porre in atto diversi tentativi diretti a suscitare una maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica per i problemi coloniali, come l'istituzione di un corso serale gratuito di geografia commerciale, affidato a Lucio­ vico Corio, e l'emanazione di un bando di concorso per una «pubbli­ cazione pratica tendente a dimostrare i vantaggi di una ben intesa espansione coloniale nei rapporti con lo Stato e col paese e sorretta da buone cognizioni di geografia commerciale », organizzò parecchie spedizioni dirette in Africa, a partire da quella allo Scioa affidata a Pellegrino Matteucci, che era appena rientrato dalla spedizione lungo il Nilo Azzurro, compiuta assieme a Romolo Gessi. Partito da Napoli nel 1 878, accompagnato dai voti augurali degli industriali, che avevano finanziato la spedizione, il Matteucci avrebbe potuto lasciare Massaua, dove era sbarcato il 14 dicembre, soltanto nel febbraio 1 879, per scalare l'altopiano a dorso di mulo, passare per Adua e Axum, e raggiungere finalmente, a Debra Tabor, nel mese di maggio, il negus Johannes, da cui avrebbe dovuto ottenere il permesso

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alla volta dello Scioa. Non avendo però ricevuto una risposta positiva, preferì ritornare in Italia, lasciando l'incarico di continuare la spedi­ zione a Gustavo Bianchi, che riuscì a penetrare nel paese dei Galla e a liberare Antonio Cecchi, ma non a chiarire le possibilità e le prospettive che quel territorio avrebbe potuto aprire all'espansione commerciale italiana. Due anni dopo la Società di esplorazione commerciale in Africa avrebbe nuovamente ingaggiato il Bianchi perché affiancasse con una spedizione privata quella governativa, affidata al commissario civile di Assab, Giovanni Bianchi, incaricato di stipulare un trattato di amicizia e di commercio col negus e di comunicargli ufficialmente l'avvenuta occupazione di Assab. Dopo aver svolto una prima parte del compito loro affidato, Gustavo Bianchi e i suoi compagni cercarono di ottenere dal negus il permesso di raggiungere Assab attraverso la valle del Golima: benché il negus avesse loro consigliato di scegliere una via più settentrionale, meno pericolosa, gli esploratori italiani vollero insistere nel loro progetto originario, finendo trucidati dagli Aussa, nella valle del Golima, la notte tra il 7 e 1'8 ottobre 1 884. In questi stessi anni la Società di esplorazione commerciale in Africa aveva rivolto la sua attenzione anche alla Tripolitania attraverso alcune iniziative condotte personalmente dal suo presidente, Manfredo Cam­ perio, che visitò Tripoli, Homs e Msellata nel corso del 1 880, pro­ muovendo, l'anno successivo, una più ampia spedizione, comandata dal capitano Bottiglia, alla quale, oltre al Camperio, presero parte i commercianti Pietro Mamoli e Vittorio Pastore ed un magistrato milanese che aveva lavorato in Egitto, Giuseppe Haimann. Il fallimento e la chiusura delle stazioni commerciali aperte in questa circostanza a Bengasi e a Derna, ma soprattutto la drammatica fine della spedizione del Bianchi alla terra dei Galla, provocarono un avvicendamento alla presidenza della Società fra Manfredo Camperio e Gian Pietro Porro, un ex militare fermamente deciso a ricorrere, in Africa, alle maniere forti e ad aprire al commercio italiano nuove prospettive con maggiore convinzione e scaltrezza di quanto si fosse tentato fino ad allora. Alla fine del 1 885 egli allestì, pertanto, quasi in segreto, una spedizione all'Barar, un paese allora sconvolto dalla lotta fra i Galla ed i Somali, per studiare quali possibilità avesse l'Italia di impadronirsi di quella fertile vallata. Ma anche i membri di questa


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spedizione (Giovanni Battista Licata, Carlo Cocastelli Mof?:tiglio · e Um­ berto Romagnoli) finirono trucidati nei pressi di Gildessa il 9 aprile. Questo ulteriore insuccesso avrebbe indotto i membri delhi Società di esplorazione commerciale in Africa ad invitare il comitato direttivo, nell'assemblea del 27 marzo 1 887, a dedicarsi « specialmente a studi ed esperimenti pratici commerciali, limitando gli studi di geografia a quan­ to si connette direttamente con gli interessi del commercio» ; una linea che sarebbe stata fatta propria e portata avanti dal suo nuovo presi­ dente, Pippo Vigoni, che avrebbe ricoperto questa carica per ben 27 anni sforzandosi di orientare le ricerche e i tentativi della Società ' verso i « continenti più malleabili» che non « quell'Africa benedetta ( . . . ) indicata come unico campo di azione». Per quel che concerne il territorio africano, le iniziative più significative organizzate in questo periodo dalla Società di esplorazione in Africa, che alla fine del 1 898 mutò il suo titolo sociale in quello di Società di esplorazioni geografi­ che e commerciali, furono i soccorsi inviati alla ricerca del cap. Casati e le spedizioni in Somalia di U go Ferrandi. Dopo la sconfitta di Adua assai modesto fu anche per la Società di esplorazione commerciale l'impegno in Africa che si esaurì nella fallita spedizione nell'Barar e nell'Eritrea, affidata, nel 1 903, al glottologo Decio Wolynsky. L'attenzione venne invece rivolta, in un primo momento, al problema dell'emigrazione ed allo studio delle condizioni in cui vivevano gli italiani residenti all'estero, per concentrarsi poi soprattutto sulla possibilità d'inserirsi nei traffici commerciali dell'e­ stremo Oriente, un obiettivo che il Camperio aveva già cominciato a perseguire nel 1 895 (lo stesso anno in cui il II congresso geografico italiano aveva caldeggiato l'attuazione di uffici d'informazione com­ merciale nei maggiori centri cinesi, nonché l'aggiornamento del nostro corpo consolare e l'istituzione di una linea diretta di navigàzione a vapore fra l'Italia e il Gippone) facendosi promotore di un consorzio industriale italiano per il commercio con l'estremo Oriente, al quale, nel maggio del 1 897, avevano già aderito 122 ditte, tra cui la Pirelli, la Bastagi e la Gondrand, operanti attraverso le agenzie di Bombay, Alessandria d'Egitto, Tunisi, Hong-Kong, Yokohama, Johannesburg, Massaua, Bangkok, Zanzibar e Sidney. La Società di esplorazione commerciale in Africa partecipò infatti, nel 1 907, al fmanziamento del viaggio di Giovanni Vacca in Cina,

dove due anni dopo inviò il suo segretario Giuseppe De Luigi a pro­ pagandarvi i prodotti industriali italiani e a convincere i giovani cinesi a completare i loro studi superiori in Italia.

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Sempre in prima linea nello stimolare, in maniera generalmente aggressiva ed intransigente, ogni velleità espansionistica, anche nei momenti politicamente più critici, da questo punto di vista, come quelli successivi alle sconfitte di Dogali e di Adua, si dimostrò il Club africano di Napoli, una città dove cominciò ben presto a pre­ mere con decisione un vasto schieramento di imprenditori, di arma­ tori e di commercianti interessati all'ampliamento delle commesse statali e dei traffici mercantili: a Napoli, infatti, sempre nello stesso periodo, sorse anche, per iniziativa dell'avv. Giovanni Carerj , una Società per l'emigrazione e la colonizzazione, dotata di un organo mensile, « <l Monitore dell'emigrazione italiana. Organo degli interessi commerciali-coloniali-marittimi», mentre nel 1 886 un faccendiere veneziano, il comm. Sgarzanella, diede vita ad una Società italiana di commercio con l'Africa orientale, sollecitata dal conte Luigi Pennazzi che, dopo aver risalito, nel 1 879, il Nilo fino a Gondokoro, fra il 1 880 e il 1 883, aveva compiuto altre due spedizioni in Africa orien­ tale, attraversando in entrambi i casi il territorio compreso fra Mas­ saua e Khartum. Nato nel 1 880, quando inviò ad Assab a sue spese, per cinque mesi, il patrizio Pietro Serra Caracciolo, il Club africano si trasforma nel 1 882 nella Società africana d'Italia, i cui scopi, secondo l'articolo 2 dello statuto approvato dalle assemblee generali del 1 4 e del 29 giugno 1 882, erano, come sempre in questi casi, di natura « scientifica» e «commerciale», al tempo stesso, anche se il secondo aspetto sembra prevalere già nelle stesse intenzioni programmatiche : a) « studiare e promuovere quanto possa interessare l'Italia nei suoi rapporti con l'Africa e coi paesi d'oltremare; b) promuovere e incoraggiare spedizioni per una più esatta conoscenza dell'Africa tanto sotto il rapporto scientifico quanto sotto quello commerciale; c) adoperarsi con ogni mezzo possibile a diffondere e perfezionare le conoscenze geografiche in genere, e quelle sull'Africa in particolare, studiandone ancora le più pratiche applicazioni ai bisogni del commercio e dell'industria nazionale».


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Per stimolare le adeguate iniziative in questo senso, la ste� sa assemblea generale del 29 giugno 1882, che aveva approvato il primo statuto. della Società, bandi anche un concorso nazionale che avrebbe assegnato : 1 ) una medaglia d'argento all'officina italiana che avesse pr� dotto i migliori strumenti topografici e astronomici ad uso dei viagg1ator1_ ;

2) una medaglia d'oro all'italiano che avesse fondato per pr mo una stazione o fattoria, sia a scopo agricolo, sia a scopo commerc1ale, sulle coste del continente africano, bagnate dall'oceano Indiano, o su quelle del Madagascar ;

3) una medaglia d'oro all'italiano che per primo avesse fon ato una stazione o fattoria, sia a scopo agricolo, sia a scopo commerc1ale, sulle coste del continente africano bagnate dall'oceano Atlantico (e­ scluso il Marocco). Fra le iniziative messe in atto dalla Società per promuovere un maggiore interesse per i problemi coloniali, oltre alle numerose co�fe­ renze va ricordata anche l'istituzione, nel 1 885, di una scuola colomale, che e a stata preceduta, nel 1 884, dall'attivazione di un corso di li�gu� araba. La scuola coloniale aveva la durata di due anni e le matene d1 insegnamento, oltre a quelle di « coltura strettamente commerciale», erano la geografia economica, la scienza della colonizzazione, l' econo­ mia coloniale, il diritto internazionale, le lingue araba e inglese. Erano inoltre previsti dei collegamenti con i corsi di lingue orientali te�uti presso l'Università e l'istituzione di borse di studio di mille hre, . . _ a vantaggio dei meglio classificati, al termme del b1enruo, per un viaggio di andata e ritorno per un paese africano o asiatico. Un'altra iniziativa promozionale di un certo rilievo, messa in atto sempre nel 1 885, fu una conferenza coloniale, in pr�tica un vero e proprio congresso, che durò dall'8 al 1 3 novembre e s1 concluse co� l'approvazione di un ordine del giorno nel quale, fra le altre cose, s1 ausp1cava:

« (. . . ) considerato che l'espansione coloniale può essere incitamento a� opere egregie e sprone a nuove attività ed a più alti ideali; la conferenza, �onvmta che . è dovere di un grande Stato regolare in modo stabile la tendenz� di e�p�nswne _ coloniale, fa noto al governo del re perché non si arresti nel �amrruno 1n1z1ato ma anzitutto rassodi e definisca i possedimenti italiani sulle coste afncane del mar Rosso,

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facendo di quelle terre parte integrante della nazione, e provveda quindi risolutamente e nei modi che crederà più opportuni ad estendere questo dominio in contrade meglio fornite di naturali ricchezze e promettitrici di maggior guadagni».

Quali avrebbero dovuto essere i metodi più adatti per perseguire « le opere egregie» e gli «alti ideali» ai quali faceva riferimento questo ordine del giorno era già stato indicato altrettanto esplicitamente nel primo fascicolo del «Bollettino » della Società: « Siate ricchi, forti e vi rispetteranno. Allora il negro, al quale pel più lieve gesto di insofferenza voi avrete assestato trenta colpi di frusta sulla schiena, verrà da voi con una pietra sul collo perché gli schiacciate la testa e vi bacerà i piedi e vi sarà grato che gli abbiate lasciato la vita».

Sulla base di questi principi anche la Società africana d'Italia intervenne direttamente nell'Africa orientale promuovendo, già nel luglio 1 882, una Società commerciale colonizzatrice per Assab, com­ posta prevalentemente di commercianti e di imprenditori, che nel 1 883 inviò sul posto Giovanni Battista Licata per una missione scientifico-commerciale di sei mesi. A questo tipo di obiettivi, fina­ lizzati soprattutto alla creazione di colonie di popolamento, si ispira­ rono anche le, peraltro poco numerose, successive iniziative di esplo­ razione in terra africana, direttamente o indirettamente promosse ed incoraggiate dalla Società, come la ricognizione di oltre mille chilo­ metri di costa somala, da Obbia ad Alula compiuta nel 1 890 da Luigi Robecchi - Bricchetti e del fiume Golima fino a Lasta affidata nel 1 893 a Giuseppe Candeo. Va ricordata anche la spedizione nella Somalia organizzata nel 1 902 da Francesco Sylos-Sersale, che riuscì tuttavia ad ottenere dal sultano di Obbia, protetto allora dall'Italia, una concessione di 99 anni, per lo sfruttamento di una salina, in seguito alla quale si costituì a Napoli una Società italiana per le imprese coloniali promosse dallo stesso Sylos-Sersale, che nel 1 907 promosse una seconda spedizione, risoltasi però in un completo fallimento a causa dell'ostilità degli indigeni. Fra il 1 91 3 ed il 1 91 4 Luigi Cufino portò infine a termine la ricognizione commerciale dei porti del mar Rosso e dell'oceano Indiano organizzata per sistemare i servizi marittimi utili all'incremento degli scambi tra l'Italia e le sue colonie della Somalia e dell'Eritrea.


L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

LUCIA D 'IPPOLITO

L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

In un convegno tenutosi qualche anno fa a Roma, Romain Rainero, al termine di un excursus sugli orientamenti manifestatisi nel campo degli studi di storia coloniale, pur sottolineando l'importanza dell'ap­ porto fornito da studiosi quali Battaglia, Miège, Rochat, Del Boca, Malgeri, Degl'Innocenti, Grassi, Mori, Vigezzi, Aquarone ed altri, concludeva definendo « smunta» la produzione storiografia coloniale fino a quel momento 1 • Tale giudizio di arretratezza è da intendersi, a parer nostro, in rapporto alla vastità e complessità della problematica, che andrebbe studiata non solo dal punto di vista politico-diplomatico e militare (che a tutt'oggi pare essere quello privilegiato), ma anche da quello istituzionale, econo­ mico-sociale, religioso. E in effetti i contributi più recenti hanno cercato di ripercorrere l'esperienza coloniale italiana non solo inserendola nel quadro più vasto dell'imperialismo europeo, ma scomponendola nei suoi vari aspetti ed esaminandola di volta in volta dal punto di vista della logica istituzionale, della politica indigena, religiosa, ecc. Si tratta di contributi limitati, anche se di pregio, che si esauriscono nel breve spazio di un articolo o di un saggio e forse non potrebbe essere altrimenti, dato che riteniamo sia impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, tracciare una storia del colonialismo italiano nel suo complesso. A chi voglia ripercorrere, anche solo sommariamente, il cammino della storiografia coloniale fino a oggi, apparirà evidente il divario esistente tra lo sviluppo degli studi sull'espansionismo coloniale ottocentesco e quello del '900 con particolare riferimento alla fase «imperialistica» fascista.

1 R. H. RAINERO, Gli studi sul colonialismo italiano, in Gli studi africanistici in Italia dagli anni '60 ad oggi, A tti del convegno, Ro1na 25-27 giugno 1985, Roma, Istituto italo-africano, p. 1 10.

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Tale situazione ha evidenti motivazioni di carattere politico, ideologico e culturale strettamente connesse le une alle altre la cui disamina, in questa sede, ci porterebbe troppo lontano2• Il dato di fatto certo è che oggi possiamo disporre di buoni studi e abbondante documentazione per la prima guerra d'Africa, mentre le fonti si riducono di quantità e qualità (parliamo di quelle consultabili) per la politica coloniale condotta dal primo dopoguerra in poi. Vale a dire che per gran parte della storia del colonialismo italiano disponiamo, con le eccezioni rappresentate da alcuni studi settoriali apparsi negli ultimi anni, di memorie spesso romanzate, di opere dal tono apologetico e agiografico, volte ad esaltare l'espansione coloniale italiana. Insomma una produ­ zione che potremmo definire più letteraria che scientifica, ispirata com'è da convincimenti nazionalistici o colonialistici. Il colonialismo, come ha affermato Giorgio Rochat, è rimasto per lungo tempo un terreno riservato al patriottismo di destra . Di qui l'esigenza e la necessità di un continuo aggiornamento, di inchieste e ricerche che, pur presentandosi con vario taglio e diverse dimensioni quantitative e qualitative, chiariscano particolari momenti ed aspetti della penentrazione italiana in Africa, contribuendo cosi alla stesura di una storia coloniale dell'Italia, finalmente apprezzabile sia sotto il profilo critico che storiografico. Perciò, condividendo appieno ciò che lo storico G. Rochat ha affermato qualche tempo fa e cioè che «il primo contributo che gli italiani possono dare alla storia dell'Africa nell'età dell'imperialismo è l'approfondimento dell'analisi del nostro colonialismo ( . . . ) » 3, perso­ nalmente convinti che tale operazione offra contemporaneamente ampie

2 Per un giudizio articolato sulle cause di tale situazione, nonché sulla produzione storiografica esistente, cfr. R. H. RAINERO, Gli studi sul colonialismo. . cit., pp. 95-1 10; G. RocHAT, Studi sul colonialis1no italiano, in Gli studi africanistici. . . cit., pp. 1 1 1- 1 1 7 ; In., Colonialismo, in Storia d'Italia, a cura di N. TRANFAGLIA, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 107-120; G.B. NAITZA, Il colonialismo nella storia d'Italia ( 1882- 1949) , Firenze, La Nuova Italia, 1 975, P?· 1 50-159. Ulteriori riferimenti a fonti bibliografiche e documentarie è possibile rinvenire m alcune sintesi generali, assai utili per l'acquisizione di un primo quadro d'insieme, come l'opera di J . L. MIÈGE, L'i111perialisJJJO coloniale italiano dal 1870 ai nostri giomi, Milano, Rizzoli, 1 976 e l'antologia di L. GoGLIA-F. GRASSI, Il colonialismo italiano da A dua all'Impero, Bari, Laterza, 1981. 3 G. RocHAT, Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1973. .


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Lucia D'Ippolito

L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

possibilità all'analisi e alla conoscenza di alcuni caratteri .della nostra storia nazionale, fino a questo momento trascurati dalla nostra cultura storica, abbiamo cercato, nel delineare le vicende dell'Ente di �oloniz­ zazione Puglia d'Etiopia, di fornire un contributo, seppure modesto e circoscritto, che fosse di un qualche aiuto per colmare le grosse lacune esistenti in tale settore degli studi storici. n yres�nte la�oro non vuole, in alcuna sua parte, fornire interpreta­ . ZlOnl stonche p1ù o meno obiettive, in quanto ciò esula completamente d�lle n� stre competenze professionali. L'unico obiettivo è stato quello d1 forn1re una traccia informativa chiara e sufficientemente equilibrata sull'argomento, cercando di evitare polemiche, denunce melodramma­ tiche o faziose, facendo «parlare» direttamente i documenti.

Per l'appunto, l'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia era uno di quegli organismi speciali (ma non l'unico), creati dal regime fascista allorquando dal livello ideologico e programmatico si passò alla con­ creta azione politica, economica e militare. Tra il materiale documentario rinvenuto nel suddetto fondo Prefet­ tura vi è un fascicolo relativo a tale ente . Si tratta di un carteggio quantitativamente esiguo, ma non per questo privo di interesse, poiché getta luce su di un periodo storico delicato e importante per la città di Brindisi e per l'intera penisola italiana, nonché sui meccanismi che il regi- me attivò per concretizzare ciò che, per molto tempo, era stato proclamato a livello propagandistico. Abbiamo così la possibilità di intravedere come determinati problemi furono recepiti e vissuti a livello locale e come certe direttive, impartite dal centro, vennero poi realizzandosi in periferia. L'esile traccia documentaria lasciata dall'attività dell'ente a livello locale è stata poi seguita nelle altre città pugliesi . Così l'esistenza di una documentazione parallela, e in certi casi simile a quella conservata a Brindisi, è stata accertata presso gli Archivi di Stato di Lecce 7 e di Bari 8, la prima più cospicua della seconda. Un analogo riscontro non è stato possibile fare presso gli Archivi di Stato di Foggia e di Taranto, nel primo caso perché la documenta­ zione relativa al fondo Prefettura, per gli anni che ci interessano, è andata distrutta durante il secondo conflitto mondiale, nel secondo caso perché a tutt'oggi la Prefettura di Taranto non ha ancora versato le carte relative al Gabinetto. Il sondaggio effettuato presso l'Archivio centrale dello Stato non ha dato gli esiti sperati, essendo state rinvenute solo poche carte relative all'iter parlamentare e legislativo seguito dallo schema del regio decreto istitutivo dell'ente9• Analogo risultato si è avuto per le carte conservate presso l'Archivio storico-diplomatico del Ministero degli

1 . Il presente lavoro trae spunto dalla presenza, tra le carte del fondo Prefettura dell'Archivio di Stato di Brindisi, di alcuni fascicoli relativi all'emigrazione di operai e contadini nell'Africa orientale ita­ liana, negli anni compresi tra il 1 934 e il 1 9404. Se l'emigrazione ha rappresentato per l'Italia il più consistente feno­ meno di natura sociale della sua storia post-unitaria al punto da condi­ zionarne la posizione economica e politica nel contesto internazionales, nell ambito delle vicende legate all'emigrazione, durante il periodo fasc1sta, un posto di rilievo occupò la colonizzazione demografica che, negli intenti del regime, doveva rappresentare uno sbocco all'emigrazione dei contadini senza terra. Un legame, quello tra espansione coloniale ed esuberanza demografica che, secondo E. Sori, avrebbe dovuto fornire anche i tratti specifici al colonialismo italiano, « colonialismo popolare, per l'appoggio di massa che avrebbe dovuto ottenere, e di popolamento, per la sua insistenza sul fattore demografico come arma di espansione e il suo indirizzo verso conquiste e sistemi di colonizzazione che avreb­ bero dovuto dare lavoro e terra alle masse diseredate italiane» 6. -

4

10-12. 5

ARCHIVIO DI STATO DI BRINDISI (d'ora in poi AS BR) Prefettura, Gabinetto, cat. VIII, bb.

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7 ARCHIVIO DI STATO DI LECCE (d'ora in poi AS LE), Prefettura, Gabinetto, cat. 16, b. 41, fasce. 700, 707, 709. 8 ARCHIVIO DI STATO DI BARI, Prefettura, Gabimtto, cat. XXV, b. 274, fase. 19. 9 ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d'ora in poi ACS), Presidenza del consiglio dei 111inistri, A tti, «Ministero dell'Africa italiana, 1936-37».

Z. CmFFOLETTI - M. DEGL'INNOCENTI, L'etnigrazione nella storia d'Italia 1868- 1875 Firenze '

' Vallecchi, 1978, p. v. 6 E. SoRJ, L'emigrazione italia11a dali' U11ità alla seconda guerra Jno11diale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 153.

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affari esteri, che ha ereditato l'Archivio del disciolto Ministero déll'A­ frica italiana, e altri fondi archivistici relativi ad organismi . che si occupavano di affari coloniali : solo un fascicolo, appartenente all'ar­ chivio del Consiglio superiore coloniale, relativo al parere da questo espresso sullo schema di statuto dell'Ente Puglia d'Etiopia 1 0 . Con questo non si intende escludere l'esistenza di altra documenta­ zione inerente il tema da noi trattato 11, tanto più che, seppure con taglio diverso, e nell'ambito di problematiche più vaste, lo stesso tema è stato oggetto di studio da parte del comitato per la documentazione dell'attività italiana in Africa, il quale, per la pubblicazione di alcuni volumi, ha attinto a piene mani dalle carte dell'ex Ministero dell'Africa italiana, causandone la parziale dispersione 1 2• Per un'ulteriore definizione e un maggior approfondimento di alcune tematiche sottese alla presente ricerca, si è rivelata estremamente proficua la consultazione delle carte conservate presso il centro di documentazione inedita dell'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze. Si tratta di una vasta mole di documenti la cui materia è inquadrabile prevalentemente nel settore della geografia economica, della politica agraria e dell'economia rurale dei paesi ex-coloniali e, per gli anni più recenti, dei paesi tropicali sottosviluppati con i quali l'istituto è venuto

in contatto per motivi di studio o per motivi strettamente inerenti la propria attività. Gran parte di questi documenti (studi, manoscritti, memorie) rivestono un interesse storico notevole a causa della densità dei fatti narrati e della schiettezza delle osservazioni. Non essendo destinati alla pubblicazione, ma ad una ristretta circolazione interna, tali scritti, frutto di missioni tecnico-economiche, si presentano com­ pleti e accurati e pertanto rappresentano una materia di studio ideale per chi si voglia rendere conto della realtà agricola dei paesi ex coloniali. È una raccolta unica in Italia, e forse nel mondo, il cui valore storico, rispetto al tema della presente ricerca, si presenta notevolmente accresciuto dal fatto che gran parte dei documenti deri­ vano dall'archivio dell'istituto quando questo funzionava come centro direttivo dell'agricoltura del Ministero dell'Africa italiana 13 ; pertanto essi rappresentano una fonte unica di informazioni per particolari che non hanno riscontro nelle pubblicazioni ufficiali dell'epoca. A conclusione di questa rassegna sulle fonti archivistiche consultate è il caso di segnalare lo spoglio, effettuato presso la biblioteca dell'I­ stituto itala-africano, a Roma, di alcune riviste dell'epoca, nonché di bollettini e raccolte di leggi risalenti al periodo in questione, al fine di reperire notizie, opinioni, studi e pubblicazioni che pur rappresentando, per ovvi motivi, la voce ufficiale del regime, potevano contribuire comunque alla completezza del quadro che si intende tracciare 14• La biblioteca dell'Istituto itala-africano ha fornito altresì una messe copiosa di informazioni tratte da opere di carattere generale pubblicate, anche recentemente, sulla valorizzazione agricola dei territori dell'Africa orientale italiana e sul processo della colonizzazione demografica.

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1 0 ARCHIVIO STORICO MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (d'ora in poi ASMAE), Consiglio superiore coloniale, pacco 27, 1938. Il Consiglio superiore coloniale, istituito con r.d. 31 clic. 1922, n. 1 817, presso il Ministero delle colonie (poi, Ministero dell'Africa italiana), aveva il compito di esprimere il proprio parere su tutti i provvedimenti, compresi gli atti di governo, che si riferivano all'amministra­ zione dei territori coloniali. Fu soppresso nel 1939 con l'istituzione della « Sezione consultiva del Consiglio di Stato per gli affari relativi all'Amministrazione dell'Africa italiana» che ne assorbi le competenze. 11 In particolare ci riferiamo alla possibilità che documentazione utile possa essere conservata presso quegli istituti che all'epoca finanziarono il progetto di colonizzazione dell'Ente Puglia d'Etiopia, cioè il Banco di Napoli e l'Istituto nazionale fascista della previ­ denza sociale. 1 2 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELLE ATTIVITÀ ITALIANE IN AFRICA, L'Italia in Aji-ica, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1973. Oggi il rec�pero dei documenti prelevati dal citato comitato è stato effettuato ma, poiché mancano degli elenchi precisi di quanto a suo tempo fu asportato dai vari studiosi, non è stato possibile ricollocare al posto originario la documentazione né tantomeno verificare se essa è stata recuperata nella sua interezza.

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2. - Nel momento in cui Mussolini decise di intraprendere una guerra coloniale d'aggressione in Africa (1 934) il quadro economico, politico e sociale della nazione era ben lungi dall'essere rassicurante. Il fascismo,

13 14

R.d. 29 lug. 1938, XIV, n. 2221 , Ordùwmnto dei servizi dcii'agricoltura ne!J'Aji-ica italiana. In particolare sono state consultate le seguenti riviste : « Rassegna coloniale», « Rivista delle colonie italiane», «Rassegna d'Oltremare», «Annali dell' Mrica Italiana», «Bonifica e colo­ nizzazione», «La Rassegna Italiana», «Rassegna economica dell'Africa Italiana», «Africa Italiana». E inoltre il « Giornale ufficiale del Governo generale dell'Africa Orientale Italiana», il «Bollettino ufficiale del Ministero dell'Africa Italiana», il «Bollettino ufficiale del Governo del Harar».

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che non era riuscito a sviluppare un programma globak di riforma sociale ed economica, si trovò impreparato ad affrontare le conseguenze della crisi econonomica mondiale che, agli inizi degli anni Trenta, investi anche l'Italia. L'agricoltura, nella quale era impegnata metà della popo­ lazione, subì un crollo dei prezzi ; l'industria, benché largamente favorita dallo Stato, non riuscì ad ammortizzare l'urto della depressione : ne seguirono licenziamenti e riduzione dei salari per gli operai che man­ tennero il posto di lavoro. Alla disoccupazione degli operai e dei contadini si aggiunse ben presto la tensione tra la classe media urbana, nella quale i piccoli commercianti erano soffocati dalla concentrazione del capitale. I possessori di titoli di Stato vedevano diminuire i propri tassi d'interesse, i dipendenti e i laureati venivano disillusi nella loro aspettativa di trovare impiego nell'apparato statale o del partito. Mus­ solini non ebbe altra scelta che ribadire alcuni degli slogans del fascismo quali l'attivismo, il militarismo, il nazionalismo combattivo 15 . Per evitare le conseguenze del fallimento nel risolvere i problemi di politica interna, Mussolini coinvolse la nazione nella conquista dell'Etiopia. Ottenere un successo clamoroso in politica estera avrebbe distolto l'attenzione del popolo dai problemi interni, avrebbe rafforzato il regime agli occhi dell'opinione pubblica. Sarebbe comunque riduttivo interpretare la guerra d'Etiopia come un semplice mezzo di diversione nei confronti di una popolazione assillata da pesanti problemi interni. Vi è un elemento oggettivo di cui bisogna tener conto, determinato dall'età imperialistica in cui l'Italia raggiunse l'unità interna e l'indipendenza. All'epoca uno Stato che mirasse ad avere un certo peso internazionale doveva necessa­ riamente avere una forte proiezione esterna, sotto forma di possedimenti coloniali, al di là dei suoi confini 16• Se nei primi anni di vita del regime i mezzi contemplati per ottenere questo tipo di espansione erano stati pacifici, cioè giocati più con azioni diplomatiche che con clamorose azioni di forza (proseguendo, quindi, la politica dei precedenti governi liberali), con il consolidamento della dittatura e l'aumento delle difficoltà interne si ebbe una svolta decisamente aggressiva e militarista. In effetti, alla vigilia dell'impresa etiopica il bilancio della «pacillca» politica

coloniale italiana era estremamente deludente : magri gli acquisti territo­ riali, scarso l'insediamento colonico (ad eccezione della Libia), ingenti le spese che gravavano sul bilancio dello Stato. I modesti risultati non potevano non colpire un'opinione pubblica sottoposta da molti anni ad un'intensa opera di propaganda che dove­ va, a quel punto, fare i conti con le crescenti difficoltà della nazione : difficoltà demografiche, dovute ad un'emigrazione sempre più difficile ; difficoltà economiche, dovute alla crisi mondiale · difficoltà finanziarie' ' perché la politica di prestigio e delle grandi opere costava molto. A questo punto il regime indicava una nuova strada : la valorizzazione più sistematica del dominio coloniale, la colonizzazione demografica portata agli estremi, l'acquisizione di nuove terre adatte ad accogliere i contadini italiani. Si giunge così all'impresa d'Etiopia 17 •

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15 16

G. W. BAER, La guerra ifa/o-etiopica e la crisi dell'equilibrio europeo, Bari, Laterza, 1970. L. GoGLIA, Sulla politica coloniale fascista, in «Storia contemporanea», 1988, 1, p. 36.

495

3 . - Ci siamo brevemente soffermati sulle motivazioni (di ordine sociale, politico, economico, ideologico) che furono alla base della guerra d'Etiopia e, in genere, della politica coloniale fascista, per cercare di ricreare il clima nel quale andò maturando l'idea di un grande progetto di colonizzazione demografica. L'affermazione, mistillcatoria, della necessità di terre per un popolo che, a causa del vivace sviluppo demografico, non riusciva più a trarre il necessario per vivere entro i propri confini nazionali, portò la propa­ ganda fascista a coniare slogans, quali «la necessità di un posto al sole» e di «uno spazio vitale», destinati ad avere una grande fortuna e un peso determinante nella formazione di un'opinione di massa 1 8. Sulla colonizzazione demografica, presentata all'epoca come uno dei capisaldi che avevano determinato e giustificato la conquista dei terri­ tori africani, esiste una vasta pubblicistica il cui carattere, riconducibile ad un unico filone interpretativo, trova l'espressione più completa nel classico lavoro di Carlo Giglio La colonizzazione demografica dell'Impero 19•

17 18

J . L. MIÈGE, L'imperialismo coloniale italiano. . . cit., pp. 1 42-208. Così come hanno sottolineato anche A. DEL BocA, Gli italiani in Africa Orientale, La caduta dell'I11tpero, Bari, Laterza, 1982, p. 1 92 e A. NoBILE, Politica tnigratoria e vicende dell'emi­ grazione durante il fascismo, in <di Ponte», 1 974, 1 1 -12, pp. 1322-1337. 19 C. GIGLio, La colonizzazione demografica dell'Impero, Roma 1939 (Rassegna economica dell'Africa Italiana).


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Dopo aver enunciato le ragioni che rendevano necessaria una còloniz­ zazi�ne demografica, Giglio passava all'analisi degli str�menti di at­ tuaz10ne tra i quali, in primo piano, egli inseriva l'azione degli enti di colonizzazione. L'analisi di Giglio è ovviamente influenzata dal momento storico (1 939) e le idee dominanti sono quelle che il regime andava propagan­ dando, alle quali l'autore, peraltro, aderisce con piena convinzione. N �nostante questi forti limiti resta il pregio di un'opera che, con ch1arezza, espone dati essenziali relativi all'attività degli enti di colo­ nizz�zione. Per cui, fatta eccezione per le già citate pubblicazioni del com1tat� per la documentazione delle attività italiane in Africa e per un nutruo numero di articoli, a sfondo propagandistico, pubblicati sull� varie riviste coloniali dell'epoca, l'opera di Giglio è forse oggi l ' umca da cu1. prendere le mosse (per l'argomento che qui d riguarda) per tentare una revisione o, meglio, una nv1s1tazione dell'argomento, anche alla luce di documentazione alternativa a quella ufficiale. ·

4. - L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia fu istituito con r.d.l. 6 dicembre 1 937, n. 2325 20 convertito in legge n. 679 del 15 aprile 1 938. Lo schema del decreto-legge, proposto dal Ministero dell'Africa italiana, fu approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 1 9 ottob�e 1937, dopo essere passato all'esame del Consiglio superiore colomale. Esso era accompagnato da una relazione la cui lettura risulta assai interessante, in quanto nella premessa sono entmciate le motivazioni morali, economiche e politiche che giustificavano il provvedimento21. Esse rispecchiano, a grandi linee, il Leitmotiv dell'impresa di conquista e 'Etiopia. Infatti vi si legge : « La colonizzazione dell'Impero, ragione mt1ma e storica dell'impresa africana, è un problema fondamentale da affrontare e risolvere ai fini della creazione di una salda potenza coloniale

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�le de�r�to f� pubblicato sulla « Gazzetta Ufficiale», 27 gennaio 1938, n. 21, mentre . 1 decret1 1st1tut1v1 degh Enti di colonizzazione Romagna d'Etiopia (r.d.l. 6 dicembre 1937 n. 3 00) e Veneto d'Etiopia (r.d.l. 6 dicembre 1937, n. 2314) furono pubblicati, rispettivame te, . . 25 gennaio tbtd., 1938, n. 19 e 26 gennaio 1938, n. 20. 21 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, A tti, «Ministero dell'Africa italiana 1936-37» ' provvedimento n. 231 .

20

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italiana nell'Africa Orientale ( . . . ) Il [presente] provvedimento legislativo ( . . . ) è uno dei primi passi che si vuol compiere verso la colonizzazione demografica. La necessità della Nazione di dare lavoro ai suoi figli e, insieme, di popolare e valorizzare l'Impero sono le ragioni politiche, sociali ed economiche che spiegano l'importanza di tali passi. Molte delle terre dell'Impero, per le loro condizioni ambientali ed agrologiche, si prestano ad accogliere largamente la nostra immigrazione : in esse quindi verrà attuato questo tipo di colonizzazione, in cui l'elemento lavoratore nazionale dovrà essere prevalente» 22. Ma l'attuazione di un simile programma di colonizzazione presuppo­ di neva la necessità di una serie di provvedimenti legislativi finalizzati e interventi specifici nel campo dei lavori pubblici (costruzione di strade, acquedotti, ecc.) allo scopo di creare le infrastrutture necessarie allo sviluppo di un tale programma. Pertanto, nella relazione si afferma che «la funzione di alta direzione, di propulsione, di controllo è riservata e allo Stato. Il compito, invece, della organizzazione pratica, delle direttiv ono richied che mi immediate e continuative, della risoluzione dei proble un rapidità ed elasticità d'azione, non può che essere riservato ad »23. idonei te larmen apposito organismo dotato di forme e di mezzi partico È su queste basi che poggiava l'esigenza della creazione dell'Ente di isti­ colonizzazione Puglia d'Etiopia. L'emanazione della relativa legge re di tutiva, secondo il Ministero dell'Africa italiana, rivestiva un caratte e soli assoluta urgenza, per il fatto che «migliaia di lavoratori italiani ­ e categorie produttrici sono impazienti di emigrare nelle terre dell'Im e pero per apportare il contributo delle loro capacità alla valorizzazion . ndo»24 di esse e per venire incontro agli sforzi che il Regime va compie Lo schema del decreto-legge si componeva di nove articoli (che uffi­ diventeranno otto al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ciale) al contenuto dei quali è necessario accennare per poter meglio rso delineare le finalità per le quali l'ente era stato creato e i mezzi attrave o i quali si doveva estrinsecare la sua attività. Così nell'art. 1 leggiam di scopo lo che « l'Ente di colonizzazione della Puglia d'Etiopia ha

22 23 24

Ibidetfl. Ibidem. Ibidem.


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promuovere, mediante l'impiego di lavoratori delle Puglie inquadrati in . reparti della MVSN, l'avvaloramento agricolo dei terreni che ac1 esso saranno dati in concessione nel territorio dell'Barar». In particolare, l'azione di colonizzazione dell'ente si sarebbe sviluppata nella regione del Cercer (art. 5). All'ente, posto sotto la vigilanza del Ministero dell'Africa italiana, veniva conferita la personalità giuridica ed il carattere di istituzione pubblica (art. 2). Vale a dire che, per le sue riconosciute finalità sociali, l'ente veniva dotato degli strumenti necessari allo svolgi­ mento di un'azione autonoma dal punto di vista giuridico e ammini­ strativo. Negli artt. 3 e 4 sono elencati gli organi direttivi (presidenza, consiglio di presidenza, comitato consultivo, collegio dei sindaci). « Poi­ ché» come si legge nella relazione che accompagna lo schema di decre­ to-legge, « l'attività dell'Ente interferisce su vitali problemi di ordine politico, sociale, finanziario ed economico» fu studiata e predisposta una composizione di tali organi in modo da poter utilizzare apporti di esperienze diverse per la soluzione di tutti i problemi inerenti il funzio­ namento dell'ente. Quindi in essi vi erano rappresentanti del Ministero dell'Africa italiana, delle finanze, dell'interno, del PNF, della Corte dei conti, del governo dell'Barar, delle confederazioni fasciste dell'agricoltura e dell'industria, oltre che degli enti interessati al finanziamento. A differenza di quanto predisposto per l'Ente di colonizzazione Romagna d'Etiopia, il cui fmanziamento gravava sul bilancio dello Stato, l'Ente Puglia d'Etiopia era finanziato da due importanti istituti : il Banco di Napoli e l'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Lo statuto dell'ente, approvato con decreto interministeriale il 1 8 aprile 1 939 25, disciplinava poi tutta l a materia riguardante il concreto funzionamento dell'ente stesso. In 21 articoli sono specificati, oltre ai compiti e ai normali interventi, anche le disposizioni particolari per le concessioni terriere a favore dell'ente, per la scelta delle famiglie coloniche nelle diverse province della Puglia, per la militarizzazione e il trattamento dei coloni, per l'assegnazione delle terre e la riparti­ zione degli utili alle famiglie.

S. A questo punto è opportuno soffermarsi sul problema del finanziamento dell'Ente Puglia d'Etiopia, per l'influenza che esso ebbe sulle vicende dello stesso e ancor di più per quelle che avrebbe potuto avere, qualora la guerra non avesse interrotto l'attività di colonizza­ zione demografica. Dalla conoscenza dei meccanismi previsti nel piano di finanziamento possono trarsi, infatti, utili indicazioni, in sede di valutazione finale, sui risultati dell'attività esplicata dall'ente. Come abbiamo già accennato, il problema del finanziamento degli enti di colonizzazione fu affrontato e risolto in maniera diversa nel senso che, mentre per l'Ente Romagna d'Etiopia, sull'esempio di quanto era stato fatto per la Libia, intervenne direttamente lo Stato, per gli altri due enti si ricorse ad un istituto di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli) e a due istituti previdenziali-assistenziali (l'Istituto nazionale fascista per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e l'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale). In parti­ colare, per l'Ente Puglia d'Etiopia, l'art. 7 del decreto-legge istitutivo prevedeva un finanziamento di 50 milioni di lire da parte del Banco di Napoli e dell'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale, ripartiti in sei esercizi consecutivi e nella misura a scalare di 20, 1 5, 8, 4, 2, 1 milioni. Tale somma doveva essere restituita in 50 annualità consecutive, a partire dal decimo anno di costituzione dell'ente. Suc­ cessivamente, però, con r.d.l. 5 settembre 1 938, n. 1 607, si stabilì che la somma prestata doveva essere restituita in 20 annualità, a decorrere dal sesto anno della sua erogazione. È interessante notare che nello schema di decreto-legge presentato dal Ministero dell'Africa italiana al Consiglio dei ministri 26 si parlava di prestito reintegrabile in 50 annualità consecutive « senza interesse». Ma su richiesta del Ministero delle corporazioni 27, il quale faceva eccepire che le norme statutarie degli istituti di previdenza presuppo­ nevano l'impiego fruttifero dei capitali, la formulazione originaria fu modificata e nel testo definitivo del decreto-legge non compare più la dizione « senza interesse». E infatti, con �na convenzione stipulata tra

25 Il decreto fu emanato di concerto dal Ministero per l'Africa italiana, dal Ministero dell'interno e dal Ministero delle finanze e pubblicato in «Gazzetta ufficiale», 27 aprile 1939, n. 100.

26 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, A tti, «Ministero dell'Africa italiana, 1936-37», provvedimento n. 231 . 27 Ibide!lt.

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l'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia e gli enti fmat):ziatori il 26 ottobre 1 93828, il saggio d'interesse veniva fissato nella misura del 5% . Ora, a causa degli interessi che maturavano alla fine di ciascun anno e che, in forza della convenzione, venivano trattenuti dagli istituti sovventori sulle somministrazioni annue, le somme nette disponibili per l'utilizzazione cessavano già dal quarto anno di vita dell'ente e addirittura, per saldare gli interessi che sarebbero maturati fino al 1 943, l'ente doveva prelevare una somma notevole da quelle che aveva percepito nei primi tre anni 29• Alla fine, dagli istituti sovventori, l'Ente Puglia d'Etiopia, detratti gli interessi per il periodo di finanziamento (1 938-43) avrebbe ricevuto solo 37. 800. 000 lire. Ma per il periodo che sarebbe intercorso tra l'inizio dell'ammortamento del 1 o rateo e quello dell'ultimo sarebberò maturati altri interessi (L. 2. 800.000). Nel 1 949 doveva iniziare il piano di ammortamento : 50 milioni di lire per 20 anni al 5% d'interesse avrebbero dato L. 30.242. 590 di interessP0•

Vale a dire che l'Ente Puglia d'Etiopia, ricevendo L. 37. 800.000, avrebbe restituito poi poco più di 95 milioni di lire. Ma per una visione completa degli oneri finanziari che l'ente avrebbe sopportato bisogna tener conto anche delle somme che sarebbero occorse per spese generali e di amministrazione (macchine, attrezzi, uffici, ecc.). A questo punto non si può non convenire che il tipo di finanziamento adottato per l'Ente Puglia d'Etiopia non rispondeva a quegli alti fmi politici, sociali ed economici che la propaganda aveva affidato alla colonizzazione demografica. Tra gli stessi contemporanei non si mancò sia di criticare tale sistema di fmanziamento, evidenziando la scarsa rispondenza tra i fmi dichiarati ufficialmente e i mezzi approntati per il loro conseguimento, sia di suggerire dei correttivi, quali, ad esempio, una diminuzione del tasso d'interesse, che l'ente doveva pagare, dal S% al 2% 31• Si trattava, ovviamente, di una semplice proposta che, se pure accolta da chi di competenza (e non lo fu), non avrebbe giovato, a parer nostro, a risolvere radicalmente il problema degli ingenti finanziamenti necessari per portare a compimento un'impresa che si preannunciava, fm dall'ori­ gine, come nettamente superiore a quelle che erano le reali forze econo­ miche messe a disposizione. Né vale obiettare che il decreto-legge n. 2325, istitutivo dell'ente, prevedeva, al secondo comma dell'art. 7, un ulteriore contributo fmanziario (questa volta a fondo perduto) da parte degli enti pubblici e amministrativi delle province pugliesi, in quanto tali contributi erano subordinati ad esigenze di bilancio di quegli stessi enti pubblici. Pertanto non era facile, per l'Ente Puglia d'Etiopia, ottenere che tali fondi fossero disponibili in tempi brevi 32. Il 1 7 febbraio 1 938 il presidente dell'Ente Puglia d'Etiopia, Giam­ battista Giannoccaro, scriveva ai presidi delle province pugliesi ram-

500

28 IsTITUTO AGRONOMICO PER L'OLTREMARE (d'ora in poi IAO), Centro di documentazione inedita, fase. 1992. 29 Una lettura dello schema teorico, ripreso dall'opera di C. Giglio e qui di seguito riportato, servirà a chiarire quanto si va affermando : Interessi che maturano alla ftne Anno di somministrazione

Somministrazioni che maturano nell'anno

di ciascun anno e che in forza della

convenzione vengono trattenuti dagli

Somme che deve Somme nette disponibili rimanenti per l'utilizzazione

20.000.000 1 5.000.000 8.000.000 4.000.000 2.000.000 1 .000.000 -

A detrarsi per interessi

50.000.000 12.200.000

Rimangono disponibili

37.800.000

-

1 .000.000 1 .750.000 2.1 50.000 2.350.000 2.450.000 2.500.000 12.200.000 -

pagare con le poste delle sovvenzioni

istituti sovventod

1938 1939 1940 1941 1 942 1943 (al 1/1) 1943 (al 31/12)

versare l'Ente a

saldo degli intere�si e che non puo

20.000.000 14.000.000 6.250.000 1 .850.000 -

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-

42.100.000 4.300.000 37.800.000

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-

350.000 1 .450.000 2.500.000

31 C. GIGLIO, La colonizzazione demografica. . . cit., p. 48. 32 Il 12 luglio 1937 nel palazzo Littorio, a Roma, si era tenuta una riunione tra il segretario del partito fascista, Achille Starace, e i prefetti, i federali, i presidi delle province pugliesi, i consoli della MVSN di tutta la Puglia, l'ispettore del lavoro in AOI, Davide Fossa. Erano presenti, inoltre, il direttore generale del Banco di Napoli, Frignani e il presidente dell'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale, Biagi. Tra le altre cose si discusse del contributo che le amministrazioni provinciali dovevano versare all'Ente Puglia d'Etiopia, fissato in ragione di L. 0,25 per abitante (AS LE Prefettura, Gabinetto, cat. 16, b. 41, fase. 700).

4.300.000 -

30 C. GIGLIO, La colonizzazione demografica. . . cit., p. 47; IAO, Centro di docu!!Jentazione inedita, fase. 1 992.

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mentando loro che, secondo il disposto dell'art. 7 comma zo del decreto-legge n. 2325, le province pugliesi dovevano versate L. 5 .000.000, distribuiti in sei esercizi consecutivi 33. Ma ancora nel giugno dello stesso anno l'ing. Giannoccaro si vedeva costretto a sollecitare, con una lettera inviata al prefetto di Lecce, l'invio delle suddette somme34. Solo il 1 0 giugno 1938 l'amministrazione provinciale di Lecce deli­ berò un contributo di L. 780. 000 divise in sei rate annuali di L. 130.000 a partire, però, dal 1 939, in quanto le condizioni del bilancio in quel momento non consentivano l'immediata erogazione della prima rata 35. Il 12 ottobre 1 938 il Ministero dell'interno comuni­ cava ai prefetti delle province pugliesi un quadro riassuntivo dei contributi deliberati da tutte le province. Il totale, calcolato in base al numero degli abitanti, non superava i tre milioni di lire36• Siamo lontani, quindi, dalla cifra richiesta dall'ing. Giannoccaro. Se abbiamo evidenziato questi fatti è perché riteniamo che c10 sia utile per comprendere la reale portata delle difficoltà finanziarie nelle quali l'Ente Puglia d'Etiopia si trovò ad operare. Non solo, ma l'approfondimento del problema, che si andò ad aggiungere ad altri di natura diversa, e sui quali più avanti ci soffermeremo, può aiutare a dar ragione di tante situazioni di diacronia, di ritardi e di cattiva gestione non tutte imputabili al fattore umano. Nella valutazione di certi risultati, occorrerà, pertanto, tenere conto anche di questo non trascurabile elemento.

dell'Barar, primo scaglione dei mille capi famiglia che Mussolini aveva stabilito dovessero costituire la Puglia d'Etiopia. In verità, una comunicazione del 10 ottobre 1 937 del Commissariato per le migrazioni e la �olo�izzazione parlava dell'ingaggio di 400 capi . . . fam1gha, stab1lendo mmuzwsamente le procedure che le federazioni dei fasci di combattimento pugliesi dovevano seguire nella scelta dei c�loni e la documentazione che questi avrebbero dovuto esibire per d1mostrare la propria idoneità fisica, morale, politica 38. Tale nota del commissariato veniva poi integrata con una comunicazione successiva nella quale erano enunciate le condizioni di massima per l'ingaggi dei capi famiglia. Tra le altre cose vi si legge : « ( . . . ) le domande di assunzione vanno presentate alle Federazioni dei Fasci competenti ed esaminate dall'Ente, di concerto col Commissariato migrazioni, la Federazione fascista, il Comando della milizia ed i sindacati ( . . . ) Gli aspiranti non possono avere meno di 22 e più di 45 anni. Saranno prescelti in ordine, i coniugati o vedovi con prole ed i celibi con responsabilità di famiglia. È elemento preferenziale avere partecipato alla campagna in AOI. L'arruolamento è riservato ai lavoratori che siano : autentici contadini, braccianti di campagna manovali boscaioli ' ' ' operai qualificati e specializzati, artigiani» 39. Ma il 1 7 dicembre 1 937, con un telegramma inviato al segretario federale e al prefetto di Brindisi, il commissario Sergio Nannini racco­ mandava che i coloni fossero scelti tra mezzadri piccoli affittuari ' ' piccoli coltivatori diretti, escludendo i semplici braccianti che non potevano avere alcuna esperienza di conduzione di poderi4o. Sempre nella già citata nota del 10 settembre 1 937 inviata dal Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione leggiamo : «i lavoratori accettati assumono l'obbligo di ferma per due anni. Partono equipaggiati ed inquadrati. Vanno a costituire una coorte della legione lavoratori della MVSN ( . . .) la coorte è militarizzata a tutti gli effetti armamento e disciplina compresi ( . . . ) i salari sono comprensivi della indennità di tenda, disagiata residenza e sussidio alla famiglia. In più,

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6. Il 17 gennaio 1 938 , tramite telegramma, il prefetto di Brindisi, Silvio Ghidoli, comunicava al Ministero dell'interno la partenza di 1 05 coloni pugliesi verso l' AOP7• Si concludeva così l'iter, iniziato nel settembre 1 937, per la selezione e l'ingaggio di un gruppo di rurali destinati a colonizzare la regione denominata Cercer, nel governo -

33 34 35 36 37

Ibid., b. 41, fase. 700. IbideJn. IbideJJJ. Ibidem. AS BR, Prefettura, Gabinetto, cat. VIII, b. 12, fase. 7.

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Ibidem. Ibidem. Ibidem.


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fornite dalle locali stazioni dei carabinieri e dal casellario giudiziario, tramite la Questura, le segreterie provinciali del PNF potevano certifi­ care sulla condotta morale, politica e penale degli aspiranti coloni. Ma tutta questa documentazione era trasmessa in copia anche alla Prefet­ tura presso la quale si aprivano dei fascicoli personali su quanti richiedevano di emigrare. Una prima selezione veniva operata dalle segreterie provinciali del PNF. Su questi nominativi funzionari del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione predisponevano ulteriori accertamenti, per esempio di tipo sanitario, sui componenti della famiglia del futuro colono, onde evitare che la loro inidoneità potesse costituire poi un ostacolo al trasferimento in AOI. Si giungeva così ad individuare un primo contingente di aspiranti coloni, numeri­ camente superiore a quello previsto per la partenza. Dopo le predette operazioni i rappresentanti dell'Ente Puglia d'E­ tiopia, della Federazione dei fasci di combattimento, del Commissariato e delle organizzazioni sindacali procedevano collegialmente ad un ulteriore esame delle domande già selezionate, tenendo presenti even­ tuali titoli preferenziali (iscrizione al PNF, partecipazione alla marcia su Roma, condizione di ex combattente, orfano di guerra, ecc.). Sulla base di questa ulteriore cernita si formava l'elenco definitivo dei prescelti. A questo punto ogni capo-famiglia, in procinto di partire, dopo essersi sottoposto alle vaccinazioni prescritte, sottoscriveva un disciplinare d'ingaggio, compilato dall'Ente di colonizzazione, nel quale erano elencati diritti e doveri. Il 23 gennaio 1 939 un telegramma inviato dalla Prefettura di Brindisi a Roma informava che « fra entusiastiche dimostrazioni all'indirizzo del Duce stasera prendevano imbarco sul piroscafo Italia i primi nuclei familiari delle province pugliesi destinati a raggiungere i rispettivi capi in Puglia d'Etiopia. Le famiglie ( . . ) ricevevano alla partenza il saluto delle autorità e delle gerarchie, di rappresentanze delle organiz­ zazioni del regime e di una imponente folla di cittadini. Le mamme pugliesi pregavano il federale di telegrafare al segretario del partito il loro devoto e riconoscente saluto al Duce»42•

il rancio militare, con quota di miglioramento ( . . . ) alla flne del eriodo di ferma, i lavoratori risultati idonei e migliori verranno immessi nella responsabilità del podere o della bottega artigiana ( . . . ) la vità del lavoratore è quella militare : disciplina, tenda, rancio, più il salario». Esaminando attentamente il carteggio conservato nel Gabinetto delle Prefetture di Brindisi e di Lecce, ci si rende conto che le procedure per la selezione dei contadini, da proporre per l'ingaggio all'Ente Puglia d'Etiopia, erano piuttosto accurate. Tanto è vero che per poter inviare in AOI un contingente di 400 capi famiglia il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione suggeriva una prima selezione di 550 elementi per tutte le province pugliesi. Il numero degli aspiranti doveva essere rilevante se lo stesso Com­ missariato, con nota del 20 settembre 1 937, inviata alla federazione dei fasci e alla Prefettura di Brindisi, pregava di avviare al controllo medico un numero di richiedenti proporzionale al contingente stabilito per quell'anno. Ciò per non aggravare i sanitari di lavoro inutilizzabile «essendo indubbiamente rilevante il numero degli aspiranti al trasferi­ mento in questione » 41 • Ma come abbiamo già accennato, alla flne solo 1 05 furono gli aspiranti coloni che, provenienti da tutta la Puglia, si imbarcarono per l'A O I. Ma come si era giunti all'individuazione di questo primo contingente di coloni? L'iter burocratico era piuttosto lungo ma è interessante accennarvi per capire come, rispetto al numero di persone che chiedevano di espatriare in AOI, si giungesse a delle cifre così ridotte e per conoscere quali fossero gli organismi politici e sindacali che dovevano farsi carico dell'intera operazione di selezione. Le domande di assunzione venivano indirizzate alla federazione dei fasci di combattimento competente per territorio, corredate di alcuni documenti, quali lo stato di famiglia rilasciato dal podestà del comune di residenza, il certillcato dell'ufficiale sanitario attestante l'idoneità flsica dei richiedenti. Le unioni provinciali delle Federazioni fasciste dei lavoratori dell'agricoltura rilasciavano i cosiddetti certificati di mestiere. Sulla scorta, poi, delle informazioni

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lbide111.

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Si trattava di 1 5 famiglie i cui capi, partiti un anno pr�ma, avevano espletato felicemente il periodo di prova, dimostrandosi così all'altezza di condurre in proprio un podere. Il secondo scaglione di rurali partì da Brindisi il 12 giugno 1 939 : 92 capi famiglia che probabilmente non furono mai raggiunti dai propri familiari (nei documenti in nostro possesso non amo traccia della loro partenza), probabilmente a causa dello scoppio delle ostilità in Europa. Termina così, bruscamente, il trasferimento di coloni in AOI, mentre l'esperimento di colonizzazione demografica proseguì ancora per qual­ che tempo, visto che abbiamo rinvenuto tracce documentarie inerenti all'attività dell'ente anche per l'anno 1 940. In verità, subito dopo la partenza del secondo scaglione di coloni, la macchina che operava la selezione su quanti chiedevano di emigrare in Africa orientale si rimise in moto. In una comunicazione del presi­ dente dell'Ente Puglia d'Etiopia inviata alle Federazioni dei fasci di combattimento delle province pugliesi (e per conoscenza alle Prefetture) il 1 7 settembre 1 939 si parlava di reclutamento di nuove famiglie coloniche e non, come si era fatto fino a quel momento, di capifami­ glia 43• L'ispettore del PNF per l' AOI, Davide Fossa, aveva impartito, infatti, disposizioni per un rapido sviluppo dei programmi di coloniz­ zazione. Pertanto, veniva superata la cosiddetta fase salariale, che costituiva, come si è detto, un periodo di prova per il capofamiglia, e si procedeva ad immettere direttamente nei poderi le famiglie colo­ niche prescelte. Le direttive erano quelle di inviare in AOI 1 50 famiglie coloniche pugliesi entro marzo 1 940. Ma il 1 o marzo 1 940 il Commissariato per le migrazioni e la colo­ nizzazione, nella persona di Giuseppe Lombrassa, impartiva ancora disposizioni al segretario federale del PNF di Lecce, al prefetto e al­ l'Unione provinciale dei lavoratori dell'agricoltura per la selezione delle famiglie coloniche44• Se da un lato è possibile notare una richiesta di maggiori requisiti nei confronti delle famiglie coloniche (per es. l'i­ scrizione alla GIL per i minori, delle donne alle massaie rurali, il

rapporto informativo dei Carabinieri che doveva riguardare tutti i membri della famiglia, il certificato del casellario giudiziario per tutti i componenti di età superiore ai 14 anni), dall'altra rileviamo come il PNF avesse assunto un ruolo direttivo e di controllo anche nelle operazioni pratiche che precedevano l'assunzione dei coloni. Certamente questa maggiore ingerenza del PNF era dettata da motivi politici : quanto più si cominciavano a diffondere nell'opinione pubblica notizie allarmistiche circa i risultati delle operazioni di colonizzazione demografica (anche ad opera di coloro che, recatisi a lavorare in Etiopia, rientravano poi in patria), tanto più si cercava di intensificare il pro­ gramma di colonizzazione, quasi alla ricerca di una credibilità che veniva meno col passare dei giorni e sotto l'incalzare degli avvenimenti che si verificavano a livello nazionale e internazionale, i quali compromettevano sempre più il regime agli occhi dell'opinione pubblica. Il segno di questo mutamento è percepibile da una comunicazione inviata il 21 dicembre 1 939 dall'Unione provinciale dei lavoratori dell'agricoltura di Lecce al prefetto4S, con la quale si chiedeva di dare la massima diffusione alla notizia della partenza di un nuovo contin­ gente di famiglie per l' AOI, vista la difficoltà che si stava incontrando nel raccogliere le domande di aspiranti coloni.

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7. - Tracciare un bilancio di tale esperienza, che ebbe risvolti legislativi, economico-finanziari, sociali e propagandistici notevoli, non è impresa da poco . Il fenomeno del definitivo trasferimento di famiglie coloniche in Africa presenta aspetti così complessi che riesce estremamente difficile tracciare un modello di sviluppo che dia ragione, se pure secondo linee essenziali, delle motivazioni (ideali, politiche, militari, economiche) che determinarono certe scelte iniziali e dei fattori che, in varia misura, contribuirono a rendere particolarmente difficile il cammino che l'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia avrebbe dovuto percorrere. Dalla lettura dei documenti e delle pubblicazioni a stampa dell'epoca emerge un quadro quanto mai vario e, a volte, contraddittorio.

AS LE, Prefettura, Gabinetto, cat. 16, b. 41, fase. 709. Ibide!JI.

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IbideiJI.


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La documentazione conservata negli archivi di uffici statali (Prefet­ ture) testimonia l'iter burocratico-amministrativo che caratterizzò l'a­ zione dell'ente e degli uffici che con esso, per vari motivi, entrarono in contatto. Le pubblicazioni a stampa, rappresentando la voce ufficiale del regime, trattano in chiave propagandistica aspetti diversi inerenti l'azione degli Enti di colonizzazione e, più in generale, il problema della colonizzazione demografica. I documenti conservati presso il centro di documentazione inedita dell'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze, essendo costituiti per lo più, come abbiamo già avuto modo di dire, da relazioni e me­ morie non destinate alla pubblicazione, forniscono, invece, not1z1e relative ad aspetti poco noti della vicenda e proprio per questo più meritevoli di attenzione e di studio. Pertanto, nell'esporre a grandi linee il progetto di colonizzazione demografica perseguito dal regime fascista, onde poter meglio com­ prendere quale fosse il ruolo svolto in esso dall'Ente Puglia d'Etiopia, è sembrato opportuno partire proprio dall'esame di alcune relazioni conservate presso l'Istituto agronomico di Firenze. In particolare, prenderemo le mosse da una relazione di Giuseppe Tassinari, il quale intraprese un viaggio in Africa su incarico di Mussolini. Il 4 gennaio 1 937 Tassinari partì da Brindisi e per circa due mesi visitò i territori della Somalia e dell'Etiopia, riferendo le sue impressioni su ciò che aveva visto, esprimendo opinioni e consigli sulle possibilità di una colonizzazione demografica e capitalistica 46 di quei territori, oltre che indirizzi sulla produzione agricola e l' organiz­ zazione dei servizi. Ad un certo punto della sua relazione Tassinari affermava : «Bisogna reagire alla faciloneria con cui fioriscono progetti

astrando completamente da qualsiasi presupposto economico e anche sociale. Di possibilità ambientali ( . . .) per una colonizzazione demografica, l'impero ne offre in moltissime zone. Ma una colonizzazione demografica implica una spesa iniziale ( . . . ) che pur facendo la massima economicità ( . . . ) costituisce una prima fondamentale limitazione ( . . . ) non va dimenti­ cato che per mandare dei coloni italiani necessita di creare un minimo di vita civile (strade, ospedali, asili, scuole, ecc.) ( . . . ) per tali ragioni la colonizzazione demografica deve concentrarsi soprattutto dove ragioni politiche ed etniche lo richiedono e dove esiste una certa organizzazione di vita»47. Tali regioni potevano essere, secondo Tassinari, lo Scioa (o Shoa) e i territori ad oriente, occidente, e a sud di Addis Abeba ; l'Harrarino, anche se i dintorni di Barar erano intensamente coltivati ed occorreva spostarne gli occupanti (magari con un sistema di permute, suggeriva Tassinari) e la zona del Cercer (dove si insedierà il compren­ sorio dell'Ente Puglia d'Etiopia). Tassinari concludeva affermando, tra l'altro : « La realizzazione di un piano di questo genere implica una conoscenza degli obiettivi da raggiungere e un'unità di comando che ancora mancano ( . . . ) implica anche un'organizzazione amministrativa adeguata, quale oggi ancora non si ha»48• Nella seduta del 19 maggio 1 937, il ministro Lessona affermava di fronte alla Camera dei deputati : «La colonizzazione demografica del­ l' AOI è e resta uno degli obiettivi fondamentali del Governo fascista ( . . .) se abbandonassimo il proposito di immettere nelle terre dell'Impero una grande massa di lavoratori italiani, verremmo meno ad uno dei presupposti decisivi dell'impresa etiopica, solennemente e ripetutamente proclamato dal duce nei suoi memorabili discorsi al popolo italiano »49. L'intervento di Lessona si collocava in un momento particolarmente acceso del dibattito, instauratosi all'indomani della conquista dell'E­ tiopia, tra i sostenitori di una immediata e massiccia emigrazione verso i territori africani vista come valvola di sfogo di tensioni sociali interne (blocco dell'emigrazione verso i paesi transoceanici, crisi economica,

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46 La stampa quotidiana e periodica dell'epoca parlava di quattro tipi di colonizzazione : demografica, piccola colonizzazione, colonizzazione capitalistica e industriale. In realtà, per i fini che esse si proponevano, le prime due e le seconde due coincidevano. La colonizzazione capitalistica (e industriale) mirava ad assicurare l'autonomia alimentare dell'impero. Le superfici date in concessione dovevano variare da un minimo di 500 ettari ad un massimo di 1 0mila e pertanto dovevano esser gestite da società ed enti. A grandi compagnie dovevano, poi, essere affidati milioni di ettari per piantagioni industriali (caffè, cotone, canna da zucchero, semi oleosi, olive, fibre tessili, ecc.) con le quali il regime contava di risolvere il problema del reperimento delle materie prime (cfr. C. GIGLIO, La colonizzazione demografica . . cit., p. 200). .

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IAO, Centro di docU!lientazione inedita, fase. 1990. Ibidem. 49 La legislazione fascista nella XXIX legislatura, 1934-1939 (XII-XVII), 1 , a cura del SENATO DEL REGNO e della CAMERA DEI .FASCI E DELLE CORPORAZIONI, p. 255. 48


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disoccupazione) e coloro che propendevano per una c�loniziazione cauta e graduale. Da una parte il regime doveva dare corso a iniz.iative che concretizzassero ciò che per lungo tempo era stato proclamato a fini propagandistici, dall'altra fattori obiettivi, evidenziati nei rapporti di esperti quali Maugini, Tassinari, de Rubiis, Di Crollalanza sembra­ vano voler allontanare nel tempo e ridimensionare i progetti più ambiziosi di colonizzazione. Ma sull'onda dell'entusiasmo per la vittoria militare conseguita in Etiopia, centinaia di domande giunsero al Mini­ stero per l'Africa italiana per ottenere terreni in concessione agricola. Per dare compimento alle aspettative di una così larga parte del paese, si diede l'avvio ad un piano di colonizzazione demografica quando i tempi non erano ancora maturi e prima di essersi potuti orientare sulle questioni basilari del regime fondiario del paese conquistato. In questo clima furono approvati i tre decreti-legge istitutivi degli enti di colonizzazione e immediatamente cominciarono le operazioni di selezione degli aspiranti coloni. Ma già nel 1 938 vi fu chi, renden­ dosi conto dei grossi problemi che si profllavano sia a livello legislativo che pratico, suggeriva una temporanea sospensione delle concessioni terriere. Infatti Angelo de Rubiis, in alcuni promemoria indirizzati al sottosegretario Teruzzi nel maggio 1 938 suggeriva di rallentare i tempi di esecuzione dei progetti di colonizzazzione demografica «in modo da entrare in una fase più economica e meno politica dell'avvalora­ mento dell'Impero » 50• Secondo de Rubiis, «Lo Stato deve facilitare il compito dell'avvaloramento agricolo, prima che con altre forme di inter­ vento con la conoscenza dei problemi, con la preparazione di un personale tecnico idoneo che possa consigliare gli agricoltori ( ) nel settore agricolo non è possibile improvvisare ed accellerare i tempi ; bisogna mettersi al lavoro subito per essere pronti fra qualche anno » 51 • I l perfezionamento della normativa sui servizi dell'agricoltura nell'A­ frica italiana avrebbe fornito, secondo de Rubiis, una prima sistema­ zione della materia, distinguendo gli uffici agrari tecnico-amministrativi dal centro di sperimentazione agraria e zootecnica 52• Ma occorreva

andare oltre, con la istituzione di uno speciale ufficio dedicato esclusi­ vamente allo studio dei programmi di avvaloramento agrario e aggre­ gato alla Direzione generale della colonizzazione e del lavoro del Ministero Africa italiana. Ci siamo soffermati su questi documenti perché essi sembrano convergere tutti nel dimostrare una tesi e cioè come negli ambienti governativi vi fosse consapevolezza della reale portata del progetto di colonizzazione, di come esso fosse denso di problemi di non facile soluzione, per i tempi necessariamente lunghi, per gli ingenti finanzia­ menti, per gli inevitabili sconvolgimenti di ordine politico sociale ed etico che ne sarebbero derivati53• Se, nonostante tali premesse, si procedette comunque all'attivazione di molteplici iniziative tendenti tutte alla realizzazione di un unico obiettivo (che era quello del trasferimento di coloni e dell'impianto in Africa di colture industriali altamente remunerative) è perché si volle obbedire ad esigenze che non erano certo quelle dell'economia e della logica. Pertanto, è quan­ tomeno superficiale l'affermazione che certe scelte furono il frutto di una non conoscenza dei problemi.

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IAO, Centro di documentazione inedita, fase. 1990. Ibide!l/. Cfr. nota 12.

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8. - A questo punto è forse opportuno, tirando un po' le somme del discorso che siamo venuti facendo fin qui, ribadire alcuni concetti di carattere generale, costituendo essi l'indispensabile premessa del discorso che andremo ad articolare dopo.

53 Di primaria importanza era, ad esempio, il problema della disponibilità di terre, aventi caratteristiche favorevoli, da destinare alla colonizzazione agricola. Le missioni agrologiche appurarono che ben poche erano le terre libere. Il regime fondiario etiopico, basato sulle consuetudini, era alquanto complicato. Le terre erano di proprietà privata o collettiva oppure assegnate in feudo o in usufrutto. Se fu facile indemaniare i terreni appartenenti al negus, ai capi e alle popolazioni ribelli, non altrettanto si poté fare per altri, intensamente coltivati dalle popolazioni indigene, alle quali bisognava confiscarli. Ma dove trasportare questa gente, giustamente legata ad una terra coltivata da generazioni e, soprat­ tutto, con quale motivazione proporre in cambio terreni ubicati altrove e meno fertili? L'ingiustizia morale di un tale procedimento era palese e saltava agli occhi degli stessi esperti italiani chiamati a risolvere il problema. In conclusione, le terre libere erano ben poche e i milioni di coloni che Mussolini voleva trapiantare in Etiopia non avrebbero mai potuto trovarvi una sistemazione, né tantomeno, date le premesse, convivere pacificamente con la popolazione indigena (cfr. A. DEL BocA, Gli italiani in Africa Orie11tale . cit., pp. 195 e seguenti). ..


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Con l'avvaloramento agricolo dei terreni ricevuti in concessiàne dal Ministero dell'Africa italiana (5.000 ettari concentrati nella pian.ura di Uacciò), l'Ente Puglia d'Etiopia si proponeva di creare unà piccola proprietà coltivatrice, attraverso il riscatto graduale di terreni affidati in concessione. La base dell'attività dell'ente era l'apprestamento dei terreni (lottizzazione, appoderamento e costruzione di case coloniche) da affidare poi in conduzione diretta alle famiglie coloniche. Tale attività si estrinsecò in due periodi sperimentali : un primo periodo durante il quale furono sperimentate le terre, le colture e gli uomini, attraverso una fase salariale non certamente rispondente a fini economici (in questa prima fase si colloca, il 1 7 gennaio 1 938, la partenza da Brindisi di 1 05 coloni) ; un secondo periodo (anch'esso sperimentale per gli insediamenti familiari) in cui le terre, ormai apprestate, vennero affidate ad alcune famiglie che avevano raggiunto il proprio capo, dapprima ingaggiato come salariato e poi riconosciuto idoneo alla responsabilità del podere. I rapporti tra la famiglia colonica e l'ente, dal giorno dell'immissione nel podere fino alla definitiva assegnazione in proprietà per l'avvenuta estinzione del debito (20 anni circa), dovevano essere regolati da apposito contratto colonico 54• L'Ente Puglia d'Etiopia persegui un interessante programma, volto ad accertare le migliori possibilità colturali offerte dall'ambiente. Nel campo della ricerca e della sperimentazione agraria un ruolo decisivo fu esercitato dal regio Istituto agronomico per l'Africa italiana (oggi Istituto agronomico per l'oltremare). Dalle numerose relazioni pervenute in Italia da parte dei tecnici agrari, appartenenti al suddetto istituto, è possibile conoscere quali fossero le colture sperimentali nel comprensorio dell'ente (grano, orzo, tieff, lino, colza, girasole, ceci, fagioli, dura, erba medica, arachidi, ma anche agrumi, vite, gelsi, caffè, banane, nespolo, fico, noce). Ma tali relazioni sono anche ricche di dati relativi al clima (umidità, temperatura, piovo­ sità) e alla composizione del terreno, il cui studio costituiva una premessa

indispensabile per la scelta delle colture da impiantare55• Emerge chiara­ mente una grande competenza professionale da parte dei tecnici, ma anche la necessità di tempi lunghi per un definitivo, ma soprattutto produttivo insediamento colturale. Come sappiamo, la guerra pose fme ben presto ad ogni attività di questo genere, anche se nei primi tempi (1 940) i tecnici dell'ente si sforzarono, pur nella penuria di personale e tra difficoltà di ogni genere (molti erano stati richiamati alle armi), di mandare avanti le sperimentazioni già intraprese. Se da un lato competenza, chiarezza d'idee e consapevolezza carat­ terizzarono l'operato dei tecnici, un analogo riscontro non è possibile trovare nella condotta di quanti, politici e non, si trovarono a gestire direttamente o indirettamente gli affari dell'ente. Quello del contrasto di idee e di metodi di lavoro tra i tecnici ed i politici è un dato che emerge spesso in diverse relazioni conservate presso il centro di documentazione inedita dell'Istituto agronomico di Firenze. L'agronomo Renato Parigi Bini, in una relazione riservata inviata il 7 ottobre 1 940 al prof. _Armando Maugini, allora direttore superiore del regio Istituto . agronomico per l'Africa italiana, affermava : « Oggi purtroppo è pura presunzione quella di poter fare i tecnici, in quanto a ciò si oppongono fattori strettamente legati alla mentalità che si è formata nell'attuale classe dirigente ( . . . ) in questo ambiente agli Agrari si riserba solo il compito di lavorare alla maniera di un capo­ squadra poco più ( . . . ) » 56• E parlando degli indirizzi futuri e delle possibilità di portare a compimento sperimentazìoni colturali già av­ viate, l'agronomo affermava : « ( . . . ) sempre che ci venga concessa la necessaria manodopera e che si lasci ai tecnici ampia libertà nell'ambito dei loro compiti specifici» 57• Evidentemente i tecnici agrari, per quanto inquadrati nella logica del regime, non riuscivano a subordinare ad essa le proprie competenze professionali. Essi sapevano, e non manca­ vano di ribadirlo, che per ottenere risultati apprezzabili occorreva investire, per un periodo di tempo abbastanza lungo, energie e denaro,

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54 Non sappiamo se tale contratto fu poi effettivamente stilato dal momento che i riferi­ menti, nei quali ci si è imbattuti, sono relativi ai criteri di massima per l'ingaggio fissati nello statuto dell'ente.

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IAO, Cmtro di documentazione inedita, fasce. 1247, 1 248, 1 504, 1636, 1779, 1992. Ibid., fase. 1992. Ibidem.

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studiare e sperimentare. I burocrati miravano ad otte�ere risultati clamorosi a livello propagandistico per giustificare agli occhi dell'opi­ nione pubblica certe scelte effettuate in campo militare e politico: Lo scontro era inevitabile e le scelte dei burocrati e dei politici a Roma ' ' finivano spesso col vanificare gli sforzi e le energie profuse da quanti concretamente operavano in Africa. Le ripercussioni di un simile stato di cose si fecero sentire subito, e a livelli diversi, a volte determinando ritardi e incomprensioni, a volte paralizzando addirittura il concreto funzionamento dell'ente o il compimento di opere già intraprese. Un ulteriore elemento che va a confermare questa tesi è fornito da un passo della relazione che il prof. Maugini inviò all'ing. Giannoccaro il 27 maggio 1 940. Parlando dell'organizzazione dell'ente, ad un certo punto Maugini affermava : «Gli Enti di colonizzazione demografica devono mettere in una posizione gerarchica prevalente i tecnici dell'agricoltura ( . . . ) » e, più avanti, «devi avere al tuo fianco dei bravi tecnici agrari accordando loro larghi poteri e responsabilità ed evitando di sostituirti a loro con disposizioni ed interventi che possono sembrare utili ma che fmiscono con lo stroncare il sistema nervoso dei tuoi collaboratori»ss. La situazione era aggravata dalla penuria di personale tecnico che si trovò a dover fronteggiare problemi importanti e diversi con scarsi mezzi a disposizione. Un promemoria che il dott. Negretti inviò il 2 aprile 1 940 al prof. Maugini conteneva una esplicita richiesta di ampliamento dell'organico del personale tecnico. Richiesta che evidentemente rimase disattesa se nell'agosto dello stesso anno l'agronomo Parigi Bini scriveva nuova­ mente a Maugini affermando, addirittura, di essere rimasto l'unico tecnico dell'ente a causa del richiamo alle armi del dott. Negretti. Certamente un grosso divario esiste tra le pubblicazioni a stampa dell'epoca (per lo più articoli su riviste specializzate) e i documenti conservati presso il centro di documentazione inedita dell'Istituto agro­ nomico di Firenze. Accade così che gli stessi fatti vengono presentati in maniera diversa o, meglio, che di certi accadimenti si riporti notizia in maniera parziale o privilegiando alcuni aspetti a discapito di altri.

Un esempio �acroscopic� di quanto andiamo affermando è rappre­ sentato da un artlcolo pubblicato nel 1 938 sulla rivista «Africa Italiana» da Giambattista Giannoccaro59 e da alcuni documenti coevi conservati presso il centro di documentazione inedita. Parlando dell'attività svolta fino a quel momento dall'Ente Puglia d'Etiopia nell'Africa orientale, Giannoccaro tracciava un quadro a dir poco idilliaco delle condizioni climatiche, della natura dei terreni, delle possibilità agrologiche del comprensorio dell'ente. Caffè, granoturco, patate, ceci, fagioli, grano, uva e fichi avevano attecchito e fornito copiosi prodotti. Il primo grano, seminato in maggio, era stato mietuto già in settembre. I coloni vivevano quasi esclusivamente su quanto era stato prodotto. Mentre i primi coloni abitavano ricoveri provvisori, si era iniziata la costruzione delle case destinate ad accogliere le famiglie, costruzioni che, se pure effettuate all'insegna dell'autarchia (cioè utilizzando esclusivamente materiali presenti sul luogo), erano fornite di tutti gli elementi necessari a garantirne la comodità. Nello scritto del presidente dell'ente non vi è il benché minimo cenno all'esistenza di difficoltà o problemi. Ma il quadro cambia totalmente allorché si pone mano alla lettura di un breve dattiloscritto, senza firma, ritrovato tra le carte del centro di documentazione inedita 60 e intitolato : « Situazione dell'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia al 31 dicembre 1 933 -XVIII». Tra le altre cose vi si legge : «l coloni sono ricoverati in arisc cadenti e mai riparate. Nessun principio di pulizia e di igiene è mai stato osservato. Brande con teli rotti, pagliericci sporchi e mal riempiti. Rancio poco abbondante e di cattiva confezione e mancante di quelle calorie stabilite dalle tabelle dietetiche. Mancanza assoluta di assi­ stenza morale e materiale perché molti rimasero privi di vestiti e scarpe. Lo spaccio vendeva a prezzi proibitivi facendo un guadagno poco lecito, per riparare a chiusura dell'esercizio le perdite causate da cattive compre e per acquisti di oggetti inutili di ogni genere ( . . . ) Di conseguenza il morale ne ha sofferto trapelando anche nelle

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Ibidnn.

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59 G. GIANNOCCARO, Prime tappe dell'Ente <<Puglia d'Etiopia» in A OI, in «Africa Italiana», 1 938, 1, pp. 25-28. 60 IA O, Centro di docu!ltentazione inedita, fase. 1992.


Lucia D'lppolito

L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

famiglie coloniche. Mancanza quasi totale di attrezzi da lavoro ·adatti ( . . . ) I trattori e le altre macchine agricole - di proprietà delrente - hanno subito un fortissimo deterioramento per la manc�nza di ricoveri e per una insufficiente e poco attrezzata officina. Tutti i prodotti nella quasi totalità si sono perduti per non aver previa­ mente costruito locali atti alla loro conservazione. La dura non si è venduta perché non si è voluto, ora non serve più neanche come mangime per il bestiame. Il grano rimasto è stato mandato ai molini di Asba Littoria ma risulta che la farina è riuscita di pessima qualità ( . . . ) Occorre la costruzione di buone arisc - non ne esistevano - per il ricovero del bestiame durante la notte ( . . . ) Occorre dare ai coloni e alle famiglie coloniche il minimo indispensabile di tutto, ma dare perché nel lavoro trovino gioia e profitto ( . . . ) Attualmente le case sono composte di due stanze e di una cucina con annesso forno. Occorrono tre stanze da letto data la composizione promiscua della famiglia colonica. Necessaria sarebbe pure una dispensa-magazzino ( . . . ) Dopo il dicioccamento e la prima rottura è indispensabile, data la zona, una preliminare sistemazione idraulica dei terreni [durante la stagione delle piogge gli allagamenti, che paralizzavano ogni attività, erano la norma] ». Con uno stile quasi telegrafico, l'autore della relazione riusciva ad evidenziare disagi e malumori, a puntualizzare disfunzioni, indicando anche i necessari correttivi. Molto più corposa, invece, si presenta la già citata relazione del 27 maggio 1 940 inviata dal prof. Maugini all'ing. Giannoccaro 61 • In occasione di un viaggio in AOI. Maugini, avendo constatato l'esi­ stenza, negli ambienti governativi, di uno stato d'animo sfavorevole all'ente, ne rendeva partecipe l'ing. Giannoccaro con una relazione che costituiva una disamina attenta e scrupolosa di tutti i mali che affliggevano l'ente. Il mancato indispensabile parallelismo tra le opere di competenza statale (costruzione di strade, acquedotti, edifici pub­ blici) e quelle di competenza dell'ente, se aveva reso più complesso e difficile il cammino di quest'ultimo, non era sufficiente a giustificare

l'esistenza di determinati fatti e comportamenti tra il personale del­ l'ente. «Non è col sistema del rigorismo ad oltranza e del trattamento duro, militaresco che si spianano quegli umani, inevitabili dubbi ed incertezze che affiorano di tanto in tanto nell'animo del colono ( . . . ) » afferma Maugini e, poco più avanti : « ( . . . ) l a direttiva di spendere il meno possibile ( . . . ) è fondamentale. Ma non deve essere spinta oltre un certo limite. In caso diverso per spendere poco si ritarda o si compromette il successo e si finisce col dover correre ad affrettati rimedi e quindi con lo spendere di più » . Il riferimento riceve una decisa puntualizzazione nel prosieguo della relazione : « Ho ascoltato molti e severi appunti su quanto riguarda i rapporti tra Enti ed imprese costruttrici delle case coloniche. Sarà bene rivedere questa materia e basare i computi sui prezzi praticati dall'Ufficio opere pubbliche del governo » . A proposito dell'organizzazione dell'ente, e in particolar modo del personale, Maugini affermava : « < dirigenti in Africa si logorano facil­ mente per ragioni di ambiente, il pieno rendimento di ognuno non può essere immediato ; ragione per cui bisogna avere un certo numero di collaboratori e formarseli ed utilizzarli con amore in una atmosfera di comprensione e cordialità ( . . . ) Soprattutto la coesione morale occorre e questa, purtroppo, all'Ente di Puglia, è mancata ( . . . ) Il buon nome dell'ente è attualmente molto in ribasso e nello stesso ambiente del personale dell'ente sono affiorati stati d'animo e avvenuti fatti la cui gravità non si può negare. Vi è qualcosa che non funziona ( . . . ) » . Dopo aver dedicato ampio spazio alla questione dei rapporti con il personale e alla necessità di dare pieni poteri ai tecnici in quanto « ( . . . ) ognuno deve fare il suo mestiere. In agricoltura non sono mai deside­ rabili colpi di testa ed improvvisazioni ( . . . ) », Maugini non mancava di segnalare tutto ciò che egli riteneva indispensabile per il buon funzio­ namento dell'ente. In quest'ottica egli affrontava sia problemi relativi all'organizza­ zione dell'ente (come fabbricati e servizi, spaccio viveri), sia problemi inerenti alla trasformazione fondiaria ed agraria. Per esempio, Mau­ gini affermava che alcune zone del comprensorio dell'ente erano malariche (paludi del Cercer), pertanto egli consigliava di non insi­ stervi con i lavori agricoli. Analogamente, la stagione delle piogge, a parere di Maugini, non era adatta per l'insediamento delle famiglie

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Cfr.

nota

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in AOI in quanto ciò aggravava il delicato problema . dell'ambienta­ mento. Era opportuno approntare case, terreni e altri mezzi. tecnici affinché le famiglie, al loro arrivo, non rimanessero inoperose,. crean­ do motivi di disagio e scontento. Evidentemente il trasferimento delle famiglie coloniche, per quanto preparato nei dettagli dal punto di vista burocratico, risultò affrettato dal punto di vista pratico, non essendo state completate le strutture indispensabili ad un minimo di vita civile. L'azione dell'ente si dispiegò entro un arco di tempo molto breve e in un periodo storico particolarmente denso di avvenimenti che hanno segnato e condizionato lo sviluppo recente della storia di molte nazioni. Pertanto, a distanza di soli cinquant'anni e con una storia per certi versi ancora tutta da scrivere, è senz'altro prematuro azzardare conclusioni o tentare bilanci, meno che mai in un settore ove parte della documentazione prodotta non è disponibile per la consultazione e il ricordo di certi fatti è ancora vivo nella mente dei protagonisti. La possibilità di prendere visione di alcuni documenti inediti, se da un lato ha costituito uno stimolo ed un incoraggiamento per il presente lavoro, dall'altra ha suscitato interrogativi di ben più vasta portata relativi all'intero fenomeno della colonizzazione demografica. Problemi di carattere sociale, economico, politico, tecnico e finanziario che non solo investirono l'Italia, la quale attivò certi meccanismi, ma anche nazioni, come l'Etiopia, che si trovarono a dover subire le conseguenze di certe scelte. Da parte nostra abbiamo cercato di attenerci ai documenti, pur non trascurando il clima politico e la temperie spirituale entro i quali essi furono prodotti, convinti, come siamo, che non i sentimenti personali, le sensazioni suscitate da avvenimenti contingenti o il credo politico possono aiutare a ricostruire e a comprendere i fatti del passato, ma solo una visione quanto più onnicomprensiva possibile dei diversi elementi che quei fatti contribuirono a formare. A conclusione ci pare doveroso sottolineare che questo lavoro non ha alcuna pretesa di aver esaurito il tema in oggetto : si è solo cercato di descrivere una serie di situazioni in termini il più possibile vicini ai fatti documentati al fine di fornire un piccolo contributo alla com­ prensione di uno dei tanti momenti essenziali della nostra storia.

III POLITICA E IDEOLOGIA


FULVIO D'AMOJA

La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazio­ nale. Considerazioni su come due termini dialettici si siano trasfor­ mati in un rapporto conflittuale

Nella geometria piana si dice abitualmente che bastano due punti per individuare una retta. Nella geometria non euclidea l'affermazione precedente è già meno sicura. Se anziché ad una retta ci riferiamo poi ad una figura geometrica un po' più complessa le cose, è noto, si complicano ulteriomente. Come nel caso, tanto per fare un esempio sia pure banale, di una curva o, peggio ancora, di una sfera. Il sistema internazionale è tutt'altro che piano. Le relazioni tra le sue parti non scorrono mai semplicemente lineari. In effetti al loro interno vale in modo abbastanza chiaro la regola dell'interdipendenza. Se essa mancasse non vi sarebbe neppure « sistema». Non si avrebbe cioè un insieme di codificazioni e di prassi, di logiche e di regole, di gerarchie e di priorità. Tacito od esplicito. Unanimamente accolto oppure solo parzialmente condiviso. Poco conta. Vale il «sistema ». L'importante è che le relazioni internazionali si svolgano e si sviluppi­ no in base alla convinzione precedente. Vorrei partire da qui per sviluppare il tema assegnatomi : il rapporto intercorrente tra la politica coloniale dell'Italia e la politica internazionale. Un tema che mi sembra meriti tuttavia qualche riflessione preliminare. Risulta in effetti di alquanto incerta precisazione che cosa debba intendersi nel caso dell'Italia per politica coloniale. Se per esempio si tratti solo di politica i cui effetti si manifestino in un ambito spaziale non-europeo, cioè a dire coloniale. E se sia di conseguenza possibile una distinzione tra politica coloniale e politica estera tout court dell'Italia. Due premesse a mio avviso altamente opinabili. A motivo del fatto che per una lunga parte della sua storia unitaria l'Italia non ebbe altro scacchiere su cui muoversi salvo quello « coloniale». Ed in secondo luogo perché, a motivo di ciò, politica coloniale e politica estera furono praticamente indistinguibili tra loro. Vi ritornerò sopra più avanti.


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Necessita di spiegazioni anche quel preteso « ambito » della . politica internazionale entro il quale analizzare la politica « coloniale» dell'Italia. Come se fosse concettualmente ammissibile l'esistenza di mia politica estera o coloniale che non si svolgessero sempre in riferimento al quadro internazionale. I due termini, lo sappiamo, non sono separabili tra loro. Ed anche quando ricorriamo alla distinzione di « politica estera» e di « relazioni internazionali» lo facciamo più che altro in modo solo strumentale ad indicare la ricostruzione dei processi deci­ sionali all'interno delle singole politiche estere e non quindi come storia delle relazioni di queste politiche tra loro. Credo allora che i due termini del tema assegnatomi stiano ad indicare qualche cosa di meno meccanico. Vagliano cioè sottolineare entrambi l'inevitabile processo dialettico tra l'Italia e il « sistema», tra la politica italiana e la politica internazionale. Un rapporto che do­ vrebbe essere innanzi tutto di reciproco scambio. E che tale fu essen­ zialmente. A condizione di partire subito dalla premessa che quell'in­ terdipendenza era, tutto sommato, quanto mai squilibrata, gli scambi scarsamente « lineari». L'Italia fortemente etero-dipendente. E che quello era, tutto sommato, l'«ambito » entro il quale muoversi ed entro il quale, pertanto, deve muoversi anche la mia relazione. Italia, dicevo, etero-dipendente. Né il sottolinearlo contraddice la constatazione fatta poco sopra che tutte le politiche estere in un «sistema» internazionale degno di tale nome dipendono l'una dall'altra. Nel caso dell'Italia le cose non sembrano stare semplicemente in questi termini. 11 rapporto non dà l'impressione di essere fisiologico. Esso o cade nella subalternità. O passa tutto dalla parte della conflittualità. Ed è evidente che la sua anormalità è appunto in una tale oscillazione violenta. Nell'escursione quanto mai brusca da un estremo all'altro dell'ampia gamma di possibilità intermedie che viceversa esiste per le altre politiche estere e che dovrebbe sussistere, a filo di logica, anche per l'Italia, se le cose fossero diverse, e se i rapporti in quell'« ambito » fossero stati in effetti normali. A ridurne in misura sensibile le possibilità di movimento sulla scena internazionale, a dare al rapporto la valenza che ho definito patologica, e che non dice per il momento molto, ma che cercherò di spiegare meglio in seguito, ci furono indubbiamente i modi in cui l'Italia giunse all'Unità, i perché vi giunse, i tempi internazionali in cui ciò avvenne.

La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale.

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Vi concorsero i rapporti di forza praticamente definiti o che si definirono di lì a pochissimo con la successiva unità a Reich della Germania. Le chiusure dalle quali l'Italia fu subito confrontata. Con l'Austria e la Francia che, sconfitte entrambe dalla Germania, la se­ conda che rischiava di rimanere indefinitamente in stato di inferiorità sul continente, e l'altra che, espulsa dalla Germania, doveva in qualche modo compensare altrove la sua espulsione, pena la sua stessa soprav­ vivenza di grande potenza, non potevano ammettere di cedere alcunché all'Italia. Né la Francia nel Mediterraneo. Né l'Austria-Ungheria nei Balcani e sull'Adriatico. I due scacchieri ai quali l'Italia guardava. In particolare al secondo. Avendo sempre irrisolto il problema dell'irre­ dentismo. Né trovando spazio e modi per risolverlo, confrontata così come fu confrontata dalle chiusure del « sistema». L'alternativa, tuttavia, non mancava. Che l'Italia decidesse di ripie­ garsi su se stessa. Lasciasse da parte i progetti legati alla situazione internazionale e pensasse piuttosto ai molti problemi interni posti dall'unità : a come organizzare lo Stato, alla esigenza di far crescere l'economia, alla società da amalgamare e da sviluppare. Sappiamo che vi si pensò per quasi un decennio dopo Roma capitale, cercando di mettere insieme le idealità risorgimentali con la questione irredentistica. Accorgendosi però anche di quanto la realizzazione di quell'alternativa fosse pesante. A motivo senz'altro delle implicazioni interne che essa ebbe. Ma urtandosi spesso al muro di gomma del «sistema», alle sue logiche di potenza, ai suoi niente per niente. Pronto a premiare chi accettava di assoggettarvisi. Indifferente e talvolta aper­ tamente ostile per chi sceglieva viceversa di rimanerne fuori. Non che l'Italia fosse la virginea Susanna ed al «sistema» non rima­ nesse che di svolgere il ruolo dei tradizionali «vecchioni». Tuttavia la etero-dipendenza dell'Italia ebbe sempre due facce. Nella sua espressione più ovvia furono le ambizioni dell'Italia e le scelte a cui queste la portarono. Dall'altra, sotto un secondo profilo, le forze di cui vette tenere conto, i condizionamenti che subì, la scarsa, talvolta add1nttura scarsissima libertà di scelta che il «sistema» le lasciò ogni qual volta essa dovette muoversi nell'« ambito» della politica internazionale. Tutto ciò è stato definito, lo sappiamo, nazionalismo italiano. Am­ bizione smodata di essere «grande potenza». Sproporzione tra mezzi e fini. Ed altro ancora. Imperialismo «al rimorchio» è stato detto.

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« Opportunismo» da sciacallo. Interventi ex-post facto . L'Italia che aspetta per agire che i campi di battaglia abbiano pronunciato -i loro verdetti. E che quando finalmente agisce lo fa contando tropp.o · sulla spossatezza dei contendenti che sulle sue buone ragioni. Tutto giusto. Tutto fondato. Nessuno si sentirebbe di negare che fu anche così. E men che mai si sognerebbe di negarlo lo storico di relazioni internazionali. Eppure accanto a ciò anche il peso di una memoria storica molto spesso acuta. Talvolta anche amara. La volontà, in ultima analisi, allora, di un rapporto diverso, di sottrarsi ai condizionamenti troppo accen­ tuati, di cambiare rango. Di contare non soltanto di più sul piano internazionale. Ma soprattutto di riuscire a contare in maniera diversa. Il qual desiderio costituisce in fondo il senso ultimo di tutto il discor­ so. La spiegazione, ma non di certo la giustificazione, di una politica estera che non accettò mai di confinarsi tutta a livello soltanto « colo­ niale». Che rifiutò dentro di sé, e non ebbe torto, di risolversi nella dimensione in cui il « sistema» sembrava consentirle viceversa al limite di muoversi fosse al fine di darle qualche contentino. Fosse piuttosto per dimostrarle apprezzamento e compensarla nel caso di un qualche suo particolare comportamento meritorio. Vorrei ritornare sul concetto precedente, ma vorrei farlo affrancan­ domi, in una certa misura, dal principio di causalità. I matematici ricorrono spesso nella logica riemanniana al concetto di « rete». Devo premettere di non essere affatto sicuro di interpretarlo correttamente. Ne dò piuttosto un'interpretazione un po' libera, finalizzata natural­ mente prima di tutto alle mie esigenze di storico delle relazioni inter­ nazionali. Il concetto di « rete» mi appare allora, nell'ottica appena enunciata, un qualche cosa che, mancando di un inizio e di una fine, non è costretto a muoversi in base a precisi parametri temporali e causali. Le culture antiche possedevano il concetto di labirinto. Il quale conteneva grosso modo la medesima dose di elasticità. E credo che appunto per ciò sia il caso ogni tanto di ricorrere ad una storia un po' più libera dalla camicia di Nesso della causalità. Una metodologia in cui il principio ed il termine dei fenomeni consi­ derati, le loro reciproche relazioni ed interdipendenze, gli elementi primari quanto quelli ritenuti di volta in volta secondari, le cause e gli effetti, tanto per intendersi, dipendano anche dall'angolo visuale .

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da cui di volta in volta ci si pone. Dipendano, in altre parole, dal punto della « rete» da cui ci si incominci a muovere. Dal punto del labirinto in cui ci si trovi. Potendo ovviamente muoversi in più direzioni. Nessuna rigidamente prefissata. Verticalmente quanto oriz­ zontalmente o trasversalmente. Alternando al passo del pedone o della torre quelli dell'alfiere e del cavallo. Premesse le immagini precedenti, devo aggiungere che la mia rela­ zione è stata immaginata su tre momenti chiave. La crisi della guerra di "Libia, il senso che ebbe sotto il profilo coloniale l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale al fianco dell'Intesa. Infine il terzo ed ultimo momento costituito dalla crisi etiopica. Tutti e tre i momenti costituiscono altrettante espressioni della c.d. politica «coloniale» dell'Italia. Quanto sono espressioni dell'«ambito» di politica internazionale in cui all'Italia è toccato di muoversi. Costitui­ scono cioè le tappe del rapporto tra l'Italia ed il «sistema» in un lungo arco di tempo che comprende quasi tutta l'Italia unita e monarchica. Un rapporto, sia chiaro, estremamente sofferto. L'Italia ed il « siste­ ma» hanno ciascuno la loro memoria storica. C'è la memoria di come l'Italia ha vissuto in quei decenni il rapporto con il mondo internazio­ nale. La quale possiede ovviamente le sue « costanti» e le sue « circola­ rità». E c'è altresì la memoria del « sistema». Pure essa con le sue «permanenze» e con le sue « costanti». Ciascuna memoria con i suoi giudizi preconcetti, ma anche con la capacità, per lo meno in astratto, di modificarli e di rivederli. Il che non sempre avviene. Tanto più che non sempre le due memorie si conciliano facilmente tra loro. Che cosa comporta una situazione del genere? La prima conseguenza di quanto appena detto è quella dei « tempi». Tempi dell'Italia? Tempi della politica internazionale? Se ripercorriamo con la mente, sia pure a volo d'uccello, le vicende della politica coloniale dell'Italia, precedente e successiva alla prima guerra mondiale, ci si rende facilmente conto di come l'Italia abbia dovuto sottostare ai tempi altrui. Quasi mai - ed il quasi è più che altro pleonastico - le sue scansioni temporali sono determinate da considerazioni autonome. Non mi riferisco di certo agli aspetti immediati e contingenti. Ma piuttosto ai tempi che effettivamente contano : lo stato della preparazione militare, le condizioni interne e sociali, il grado di consenso popolare, la congruità dei mezzi finanziari a disposizione, e così via dicendo.


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La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale.

In effetti se fosse dipeso dai «tempi» italiani c'è da d.ubitare che quelle imprese si sarebbero tutte egualmente svolte e di sicuro . .non alle epoche in cui esse ebbero effettivamente luogo. Sono le chances stesse dell'Italia ad essere affidate pressoché intera­ mente alle condizioni diplomatiche del momento internazionale. Al limite di suo c'è il doverle cogliere, il trovarsi al momento dato con la preparazione diplomatica completata, con il quadro degli accordi internazionali sufficientemente preparato, con la preparazione militare abbastanza pronta. Il che non fu nella maggior parte dei casi poca cosa. Il riconosci­ mento toglie però poco alla constatazione della sostanziale fragilità della politica coloniale dell'Italia. Anzi di tutta la sua politica estera. Risultando a mio avviso impossibile, come già detto, e come ripeto per l'ultima volta, di distinguere una politica coloniale rispetto alla politica estera italiana poiché entrambe troppo dipendenti dall'esterno. Parlare di « tempi» conduce subito ad affrontare l'argomento delle motivazioni. E la riflessione preliminare che viene subito alla mente è che se con i «tempi» le cose andavano già male, non è che migliorino di certo se riflettiamo un po' sulle seconde. In effetti, sia pure a rischio di esagerare, si sarebbe portati a dire che sotto il profilo internazionale le motivazioni italiane non abbiano contato pressoché nulla. Conti sempre poco ciò che l'Italia pensa. O a motivo del fatto che l'Italia è per antonomasia « demandeuse». E quindi non si può dare molto credito alle sue giustificazioni. O per­ ché più delle motivazioni dell'Italia contano le logiche del « sistema». Ne consegue, è inutile dirlo, che le motivazioni dell'Italia intanto sono prese in considerazione in quanto e nella misura in cui l'« ambito» internazionale intende di farle contare. Ipotesi quest'ultima tra le più favorevoli. Oppure il «sistema» persegue altri disegni in cui non rientra la soddisfazione all'Italia ed allora quelle motivazioni rischiano di non contare affatto. Ed allora le cose si mettono per l'Italia senz'altro male. Questo sotto un profilo per cosi dire generale. E non mi sembra che ci sia bisogno di fare esempi tanto sono noti e presenti in tutti i manuali di storia. Piuttosto diciamo che c'è una terza conseguenza. Ed è che dovendo regolarsi giuoco forza sui tempi e sulle logiche degli altri, l'Italia si trovò normalmente spiazzata.

Innanzitutto appare muoversi, ed in effetti si mosse, sempre in ritardo. Ritardo « culturale» e politico insieme. Quasi che Italia e « sistema» appartengano a due cronouniversi paralleli, ma diversi. Le giustificazioni italiane stentano a mettersi in sintonia con il tempo internazionale a cui pur dovrebbero appartenere. Una asincronia che dipende tutta e soltanto dai limiti della politica dell'Italia? L'effetto di una sorta di insensibilità ricorrente da parte italiana nei confronti di quelli che sono i corretti principi ai quali viceversa essa dovrebbe ispirarsi? Può darsi. Sta di fatto che la politica estera dell'Italia ossia, se si preferisce l'altra dizione, la sua politica coloniale, invocano motivazioni d'ordine demografico o di ridistribuzione delle risorse quando la logica dell'imperialismo vuole che di queste cose si taccia. Si rifanno a logiche di equilibrio europeo quando viceversa la finzione vuole che si parli di missione dell'uomo bianco, di civilizzazione, e di cose del genere. Invocano queste ultime quando all'opposto i «principi» ideali del sistema sono mutati e dominano al loro posto il societarismo, la parità di tutti di fronte alla legge internazionale, l'indivisibilità della pace, il rispetto delle autonomie degli Stati sovrani e cosi via dicendo. Principi fondamentali, che senz'altro l'Italia fa male a non rispettare. Né l'Italia si rivela molto abile ad invocarli, sia pure per nascondere dietro di essi la sostanza delle proprie azioni internazionali, come fanno d'altro canto, molte altre potenze. Il « sistema» internazionale è sempre sfalsato ; sta un passo avanti rispetto all'Italia. Un gradino più in alto. E se la cosa non può di certo essere posta a debito delle altre potenze, ma semmai ricono­ sciuta all'attivo delle loro intelligenze politiche e delle loro capacità diplomatiche, ciò non toglie che, dal punto di vista italiano, la cosa appaia sospetta, quasi che sia la forza di cui quelle potenze dispon­ gono a consentire loro di parlare sempre in nome di grandi principi, anche quando i loro obiettivi siano meno nobili di quelli enunciati, e siano in giuoco, piuttosto, semplici questioni di potenza. E che il constatarlo un po' troppo ripetutamente finisca alla lunga, diciamolo chiaro, non soltanto per urtare, ma anche per peggiorare quella memoria storica a cui facevo in precedenza riferimento. All'Italia - Stato border fine sul crinale sottile che distingue di volta in volta nel «sistema» la potenza dall'impotenza - sembra non rimanere altro se non di stare al giuoco. Di accettarne le regole anche quando

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sono fissate dagli altri. Ma di starei però con il massimo di spregiudi­ catezza possibile, portandovi cioè una notevole carica di àggressività. Direi anche di risentimento. Per cercare di rimanerne schiaceiat;a il . meno possibile. E per ricavarne al tempo stesso quanto più può sfruttando tutti i piccoli espedienti che la situazione internazionale le lascia. Mentre il sistema cerca di sfruttare a sua volta al massimo quello strano amalgama di ambizioni e debolezze che è l'Italia. Si comprende, dunque, alla luce di quanto appena detto, come in tutti e tre i casi a cui ho fatto riferimento le modalità del rapporto si ripetessero pressoché analoghe : eguali i «tempi» a cui sottostare; eguale la rigidezza del sistema e l'impossibilità a muoversi secondo logiche che non siano le sue. L'Italia lo sperimenta non tanto nella guerra di Libia, dove al massimo tutto è soltanto accennato, quanto e soprattutto nel 1 919. Politica estera e politica coloniale sono chiuse in una capacità perfetta di mettere in crisi i presupposti stessi dell'intervento del maggio 1 9 1 5 e di svuotare, in quelle aree continentali e mediterra­ nee-africane nelle quali lo scontro di interesse è più forte, gli accordi di guerra di ogni loro effettivo contenuto. L'Italia non ebbe Fiume. Così come non riuscì a stabilirsi in Anato­ lia. Il che, detto così, mi sembra necessiti per lo meno qualche messa a punto. Va riconosciuto infatti che se nelle trattative del 1 9 1 5 inglesi e francesi avevano pensato di deviare la maggior parte delle contro­ partite da dare all'Italia per l'intervento in guerra a spese dell' Au­ stria-Ungheria e della presenza russa nei Balcani, gli sconvolgimenti dell'ultimo anno di guerra ebbero su quella tattica un effetto moltipli­ catore assolutamente non previsto. Un effetto che mise Gran Bretagna e Francia nelle condizioni di dover ripensare un po' tutta la loro strategia nei confronti dell'Italia, utilizzando a tale fine la visione internazionale di Wilson, cioè a dire il « sistema». E che mise l'Italia nelle condizioni di doversi interrogare a fondo su come comportarsi nella nuova situazione internazionale. L'Italia si ritrovò, infatti, a disporre di una serie di punti dal Brennero all'Istria alla Dalmazia all'Albania al Mediterraneo orientale i quali, se significavano poco qualora gli equilibri della zona fossero rimasti quelli che erano stati nell'anteguerra, la mettevano in condi­ zione, scomparsa l'Austria-Ungheria dai Balcani e dal Danubio, para­ lizzata per un certo tempo la presenza della Russia a favore degli

slavi, di controllare, non trovando ostacoli, un'ampia fascia adriati­ ca-continen.tale e di proiettarsi, al limite, a nord-est verso l'area cen­ tro-danubiana ed a sud-est oltre i Balcani, verso il Mediterraneo. Per la prima volta le si dischiuse la prospettiva di essere potenza coloniale e potenza continentale insieme : di essere ossia grande potenza. Il « sistema» non accettò una crescita del genere. O per meglio dire la considerò eccessiva e non se ne fidò, cercando di svuotare gli accordi di guerra. Le potenzialità della situazione però rimasero tutte. E l'Italia del ventennio tra le due guerre si illuse di poterle sfruttare a proprio vantaggio, incurante dei segnali contrari che aveva già ricevuto dal « sistema». Tra i due poli, però, che l'Italia ebbe a disposizione, quello che passò in seconda linea fu proprio il polo della politica coloniale. Né l'affermazione suoni paradossale viste le polemiche sull'articolo 1 3 . In effetti, per la prima volta, la dimensione continentale dell'Italia divenne una realtà. Prese corpo il disegno che l'Italia aveva sempre nutrito, ma che mai era riuscita a portare avanti, di svolgere una certa funzione continentale non circoscritta nel fare da cliente alla Francia o alla Germania. Bensì a cercare di avere essa dei « clienti». Una sua area di movimento. Diventare per così dire autonoma. Ed in tale modo arrivare al cuore stesso della grande politica internazionale. Contare di più. Ed una volta rafforzatasi come capacità d'azione e di pressione sul continente, mettendo a profitto gli incerti rapporti di forza europei, contare di più anche nella dimensione mediterranea-coloniale. La diplomazia italiana rinviò ad arte ogni intesa con la Francia sulle questioni coloniali per non impegnarsi anzitempo sulle questioni con­ tinentali. Preferì legare le une alle altre facendo leva sul concetto di «parità». Territet, Tangeri, Tunisi. La questione dei mandati ed il problema delle riparazioni. La sistemazione delle vertenze pregresse tra l'Italia e gli altri memberi dell'Intesa e gli accordi da valere come segnali per il futuro. Il « sistema» stette al giuoco. Che uso farebbe l'Italia ·della nuova rendita di posizione di cui era venuta a godere? Che cosa farebbe delle prospettive che le si erano aperte? Come le utilizzerebbe? Contro o a favore del mantenimento del « sistema»? Fino a quale punto profitterebbe delle possibilità che le dava una evoluzione dei rapporti di forza europei che riducendo

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i protagonisiti ma non riducendo d'altrettanto la prospettiva d.i una rivincita della Germania, accrescevano, comunque, il peso relativo dell'Italia nel « sistema»? Soprattutto stette al giuoco la Gran Bretagna, in particolare in · consi­ derazione del fatto che le scelte italiane ebbero l'accortezza di coincidere in ultima analisi con l'interesse britannico a ridurre l'eccessiva libertà di iniziativa continentale della Francia. Ne conseguì che fino a tanto l'Italia si mantenne fedele a tale logica e seppe interpretarla in maniera conforme e funzionale al « sistema», non le mancarono apprezzamenti e riconosci­ mento ; ma non appena l'Italia fascista riaprì il discorso lasciato in sospeso nel 1919, ma mai chiuso, e lo riaprì in primo luogo come soddisfazione coloniale da ricevere quale riconoscimento del suo essere grande potenza, le cose tornarono quelle di prima. La richiesta dell'Etiopia come compenso fu accompagnata dalle sole condizioni in grado di evitare che l'Italia si ficcasse da sola in una trappola : la pretesa che la questione si risolvesse rapidamente consentendo all'Italia di ritornare « subito » allo scacchiere euro­ peo-continentale ; l'insistenza, infine, sul fatto che essa apparisse e che fosse più una questione dell'intero blocco degli ex vincitori che una questione puramente italiana. Di qui i « tempi» rapidi di cui si ebbe bisogno. Ed insieme le modalità su cui si insistette nei mesi di crisi. Niente compromessi, nessun mercanteggiamento alla vecchia maniera, riconoscimento puro e semplice all'Italia di un « diritto », espulsione dell'Etiopia dalla SdN per indegnità, e completa delega in bianco del « sistema» all'Italia di fare ciò che ritenesse meglio di fare per ristabilirvi la « civiltà». L'Etiopia non doveva essere un'impresa coloniale per cui l'Italia non aveva i mezzi e che presentava sul piano puramente militare non poche incognite. Solo se tutte le condizioni precedenti fossero state rispettate, l'Italia poteva sperare di non uscire troppo indebolita dalla congiuntura in cui era entrata. Anzi di potere ritornare alla politica « continentale » rafforzata nel prestigio e, quindi, in grado di imporsi sia alla Germania che alla stessa Francia quando si trattasse di decidere della sistemazione definitiva dell'area danubiana. La ricostruzione dell'intesa a tre non fu considerata importante dal governo britannico. O per lo meno non nella misura da fare accettare alla Gran Bretagna qualsiasi cosa. Non di certo il ritorno dell'iniziativa

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nelle mani di una Francia appoggiata dall'Italia e con l'Unione sovietica ad occhieggiare dietro Lavai e Mussolini, con la prospettiva di un conflitto per cui la Gran Bretagna era senz'altro impreparata. Né tanto importante da farle accettare una crescita così spropositata dell'Italia, in un settore che, qualsiasi cosa si potesse dire a ridurre la portata « coloniale» della questione, rimaneva vitale per l'impero britannico e legato pur sempre a non poche memorie storiche della Gran Bretagna e dei suoi rapporti con l'Italia. Né, infine, così sicuro nello svolgimento da consentire la negazione e l'abbandono di tutte le basi giuridiche e politiche su cui era stato costruito il « sistema» internazionale del dopoguerra. In Europa e fuori d'Europa. . Il governo britannico rovesciò perciò le «priorità» del governo ltalia­ no. Mise volutamente l'accento sugli aspetti di espansione «coloniale» dell'Italia. Ben sapendo che solo declassando la questione etiopica a tale rango, era possibile di circoscriverla e di accrescere d'altrettanto, volen­ dolo, le possibilità di risolverla con qualche opportuno compromesso che, come è noto, non mancò di essere proposto. Ma sapendo anche, sia chiaro, che, data la realtà della partita in giuoco, occorreva anche dare al governo italiano una risposta ferma, così che declassando la questione etiopica, si respingevano le condizioni pregiudiziali italiane, si riportava l'Italia alla prassi di altri «precedenti», si declassavano di fatto le pretese di ruolo e di rango internazionale dell'Italia fascista. . Ne venne fuori lo scontro che conosciamo. Gli uni ad accusare gh altri di volere fare girare all'indietro la ruota del rapporto tra politica dell'Italia e politica internazionale, gli altri a replicare che non era certo quello il modo di farla girare in avanti ed in fretta, negando i diritti degli altri e dell'ordine internazionale. La sola cosa certa nello scambio durissimo di accuse e di controaccuse, di irrigidimenti e di minacce che ne seguì, fu che, tra chi spinse in una direzione e chi nell'altra, di fatto, il rapporto tra l'Italia ed il «sistema» si ruppe per non ricostituirsi se non con la caduta del fascismo. L'osservazione precedente conclude di fatto le mie considerazioni. A volere aggiungere, tuttavia, qualche sommaria riflessione finale, verrebbe da sottolineare, innanzitutto, che dove l'Italia fu capace, come per esempio nel caso della guerra di Libia, di tenere confinata una impresa per così dire « coloniale» nell'ambito che le era stret:a ent� . proprio, il « sistema» era stato disposto a tollerarla ; nel cas1 m cu1 .


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viceversa come per l'articolo 1 3 e per l'Etiopia la politica « coloniale» . implicò troppo meccanicamente una crescita di potenza spendibile subito a livello internazionale, l'Italia trovò sempre il « sistema» in allarme e lo ebbe contro, in una contrapposizione che nel 1 9 1 9 e nel 1 935 fu senza mezze misure. Questa della pesantezza di una certa memoria storica è un punto su cui ho insistito parecchio. Una memoria storica da valere però in entrambe le direzioni, l'italiana e l'internazionale. Le «costanti» della politica estera italiana, ma anche le « costanti» caratterizzanti il quadro internazionale nei confronti dell'Italia. Per ritornare alle immagini iniziali da cui questa relazione è partita, si può dire che, fino all'Etiopia, nonostante tutto, il rapporto, benché conflittuale, era rimasto dialettico. La « rete» aveva continuato a fun­ zionare nelle sue interdipendenze e nei suoi molteplici passaggi, ora in una direzione ora in un'altra. Merito di una situazione europea dai rapporti di forza ancora incerti. Ma merito, come è giusto ripetere, del comportamento della Gran Bretagna che a Locarno e con i con­ servatori era sembrata fare mostra di una certa resipiscenza nei con­ fronti dell'Italia. La crisi etiopica sembrò dimostrare trattarsi più di apparenza che di un effettivo cambiamento. E l'Etiopia divenne a quel punto soprattutto l'occasione cercata da tempo. I due protagonisti appaiono fermamente - l'Italia ed il « sistema» sub specie Britannia decisi a mettere definitivamente in chiaro, una volta per tutte, i termini del rapporto. Ma i punti di partenza sono talmente lontani tra loro, le «memorie storiche» giuocano in modo così esasperato quanto giuocano d'altro canto calcoli più immediati, da impedire che il chiarimento avvenga in modo consensuale. La « rete» allora si smaglia. Le intersezioni cessano di intrecciarsi l'una con l'altra. Viene meno qualsiasi spessore. Ogni profondità. La figura geometrica a cui il rapporto poteva in un modo o nell'altro paragonarsi, si avvia a ridursi irreparabilmente ad un punto. Cioè alla negazione di una figura. Alla negazione di ciò che consideriamo e che deve essere un rapporto. A quel punto non esistette più una politica estera dell'Italia. Dall'Etiopia in avanti lo storico assiste allo svuotamento impietoso e progressivo della politica estera italiana. L'Italia della seconda metà degli anni Trenta ebbe sempre meno possibilità di movimento. Alla

fine non le restò che abbarbicarsi con una disperazione pari solo alla caparbietà di Mussolini alla componente mediterranea-africana. Cioè a dire alla sua politica coloniale. La si enfatizzò oltre ogni lecito dando vita a tutta la retorica imperiale che conosciamo. Vecchi temi furono ritirati fuori dal reper­ torio nazional-coloniale. Altri furono coniati appositamente di grandi spazi da raggiungere, di barriere da cui affrancarsi, di oceani verso i quali proiettare l'Italia e la sua gente. Il momento « coloniale» venne volutamente riportato in primo piano in una pretesa continuità della storia d'Italia che ingannò all'epoca parecchi, ma che non ha ingannato e che non inganna lo storico. Non a caso la conquista dell'«impero » non riuscì a mettere radici nella società e nell'economia italiane. Per la prima volta una impresa coloniale non provocò un automatico effetto di crescita di potenza. Probabilmente mancò il tempo. O per lo meno sarebbe questa la chiave di lettura a cui attenersi se dovessimo stare alle dichiarazioni dell'epoca, alle varie voci del regime, che previdero rapide messe in valorizzazione, e che di fatto contribuirono solo alla retorica dilagante del tempo, parlando di un Eldorado da cui trarre ricchezze e benessere, e favorendo ad arte solo le volute mimesi del regime e di Mussolini. Non crediamo proprio che l'Etiopia sia mai stato questo. Né che da parte del governo italiano dell'epoca lo si sia creduto. Più che il tempo, mancarono come al solito i me'Z'Zi. Ma in questo caso mancò soprattutto la convinzione politica, preferendo, non a tor­ to, indirizzare quel po' di energie anche umane che si avevano ancora a disposizione, verso altri settori quale per esempio la Libia, anziché bruciarle nella situazione abissina. L'Etiopia rimase un settore a tutti gli effetti secondario. Una conquista incerta. Un qualche cosa di labile. Le «chiavi» del Mediterraneo conti­ nuarono ad essere in mani altrui. E con esse vi rimasero anche quelle del canale di Suez. In effetti, e nonostante gli sforzi che pure furono fatti di costruirci intorno una politica del mar Rosso se non addirittura una politica verso il mondo arabo, il ricorso alle formule magniloquenti dell'«lmpero» non poté nascondere i l fatto che le possibilità politiche di fare dell'Etiopia il centro di una nuova realtà internazionale dell'Italia furono ridottissime, se non, a mio avviso, praticamente nulle.

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A testimoniarlo ci furono i « riconoscimenti» dell'impero sempre promessi e sempre rinviati. Mezzo per la Gran Bretagna e la Francia di condizionare le ultime residue autonomie internazionali dell'Italia. Strumenti fin troppo ostentati da divenire perfino umilianti nei con­ fronti di un'Italia che contava sempre meno e verso la quale non ci si preoccupò neppure più di nasconderlo. L'Italia contò poco anche per la Germania hitleriana, nonostante l'interesse « ideologico» che questa ebbe a stringerla a sé, e che si manifestò nel mostrarsi disponibili e perfino solleciti ad andare incontro alla nuova dimensione «imperiale» dell'Italia. Ma che appunto perché «ideologico», non poté poi nascondere il fatto, né ci si premurò mai di nasconderlo, che, sul piano della politica di potenza, l'Italia fascista era stata espulsa senza nessun complimento dalla Germania per tutto quanto riguardava il continente. Apparendo perfino kafkiano sentire esaltare a Roma ed a Berlino la «missione» mediterranea ed imperiale dell'Italia, nel momento stesso in cui la Germania hitleriana si impadroniva del­ l'Austria e tramite questa dominava l'intera Europa centro-orientale. Per darsi una pur minima presenza internazionale, l'Italia dell' «im­ pero » dovette inventarsi l'Asse, il patto anti-Comintern, lo scontro «ideologico » in terra di Spagna, l'uscita dalla SdN. Una nuova conti­ nua, infinita fuga in avanti. Dove non valse neppure più la logica del cappellaio di Alice, che per lo meno era stata utile ai primi anni Trenta, che occorresse correre sempre più forte per rimanere quanto meno allo stesso punto. Più che mantenere una posizione, l'Italia «imperiale» regredì, viceversa, di continuo. Si visse di nuovo nell'attesa di ciò che farebbe il sistema europeo contro la Germania nazista. Si attese un suo riapprezzamento delle funzioni continentali dell'Italia. O vi si sperò. Non sbagliando nel valutare che quella e non altra era l'unica possibilità in cui sperare. Ma, poi, non facendo alcunché per favorirla. Anzi sollevando il falso problema della priorità tra Italia e Francia - le due potenze trovandosi ormai, secondo Mussolini, ai lati opposti della « barricata» - e preten­ dendo di conseguenza una impossibile quanto illogica scelta della Gran Bretagna a favore dell'Italia. Mentre sarebbe occorso domandarsi, viceversa, quanto valesse ormai l'Italia. Quanto valesse sul piano politico e quanto valevano il suo esercito, gli « otto milioni di baionette», il suo apparato militare ed

industriale sotto il profilo brutalmente concreto della qualità e delle quantità delle forze in campo. Quale contributo l'Italia potesse dare all'Europa che si apprestava ad una nuova guerra sotto il profilo dell'innovazione tecnologica, della produzione industriale, dell' orga­ nizzazione militare e civile. I quali erano i fattori che sarebbero risultati decisivi nel futuro conflitto e la cui importanza si poteva già cogliere dietro le prove che si stavano facendo in Spagna e fuori d'Europa. Mentre al contrario, in Spagna e in precedenza in Etiopia, l'Italia aveva solo fatto mostra di impreparazione ed aveva finito con il consumare quel po' di armamenti che aveva a disposizione. Di modo che, se una risposta andava data agli interrogativi precedenti, era quella che l'Italia valeva ormai poco, sotto ogni profilo, come nemica quanto come alleata, per tutti e due gli eventuali contendenti. E che occorres­ se, perciò, regolarsi di conseguenza. Viceversa, l'Italia post-Monaco continuò la sua fuga in avanti aggiun­ gendo ai gesti di rottura già fatti anche il patto d'Acciaio : ritorno all'antico, ripresa di precedenti «costanti» della storia italiana, riparazione nei confronti del «tradimento» del 1915-1 6, e così via dicendo. Atto di doverosa salvaguardia nei confronti delle potenze che dominavano i mari e che cercavano di «soffocare» l'Italia fascista, quanto atto, insieme, di scaltrezza politica per disputare dall' «interno » anziché dall'esterno all'al­ leata Germania qualche residuo di posizione continentale, ovvero un po' di peso internazionale dell'Italia. Con l'accenno a questi ultimi ammicca­ menti il mio discorso si conclude veramente. In effetti, se di continuità e di costanti si doveva e si poteva parlare nel caso della conclusione dell'alleanza con la Germania, queste erano tutte al negativo. Un processo concluso. Un cammino percorso a ritroso. Gli obiettivi tutti mancati. Il non essere riusciti ad essere potenza continentale. L'incognita di riuscire perfmo a rimanere potenza mediterranea. Una sconfitta politico-diplo­ matica preludio ed anticipo della successiva sconfitta militare.

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plesare chiefly the United States and Mexico, Canada and England. William Langer, the American diplomatic historian, does not mention Italy except peripherally as part of the diplomatic scramble that led to the partition of Africa. His main focus is on British imperialism 4. When we move to more contemporary scholars like Robinson and Gallagher and D.K. Fieldhouse, Italy fares no better. In proposing their "peripheral " approaches, both virtually ignore the Italian case. Italy's absence in these discussions suggests a kind of imperialism in the development of colonia! theory - a model in which only the major powers - primarily the British, the French and the Germans count. Other " minor " colonia! powers such as the Portuguese and Spanish, the Dutch and the Belgians, the United States are also rarely mentioned. These are serious lacunae that must be filled. Otherwise, these theories should be described as generai theories of British, French and German imperialism. Why these lacunae? Since this paper deals with Italy in particular, I will not try to explain why these theories omit the other powers. Nevertheless, the reasons they leave out Italy may also apply to some degree in the other cases. In the first place, the classica! theorists may simply not have known much about Italy. Perhaps they did not know the language. This is certainly not the case with Schumpeter. He cites several examples from Italian history to make his points : Piedmont to illustrate the rise of nationalism ; Venice to discuss early modern commerciai capitalism. Schumpeter was also familiar with the works of Italian sociologists like Pareto and Mosca. Langer, too, knew about Italy. As his copious bibliography shows, he was certainly familiar with major Italian di . plomatic documents, periodicals and memoirs of his day. Another possibility might be that these theorists simply felt that Italy was one of the marginai powers, one not worth following. Langer, for example, simply posited that England was the " classic example of modern imperialism" and its "most perfect flower" 5•

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"NeJJJ Imperialistn" : the Missing Italian Case

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When we discuss theories of the " New Imperialism", certain classi­ ca! models immediately leap to mind : Lenin and Hobson, Joseph Schumpeter, William Langer. Among more recent theorists, we think of Robinson and Gallagher's Africa and the Victorians and the studies of D.K. Fieldhouse. These scholars provide the starting points for theoretical discussions about the "New Imperialism ". Yet how good are their theories? This is not the place to offer a detailed criticism of them. What I will do is to point out one of their major weaknesses : none of them discuss the case of Italy in any detail. Why? What is the significance of this omission for the validity of the theory? This is the subject of my paper. First, what do these writers say about Italy? Precious little. In his Imperialism : the Highest Stage of Capitalism, for example, Lenin does not list Italy in a chart of " colonia! possessions of the great powers ", nor even in the one devoted to " colonies of other powers " such as Belgium and Holland 1• His examples of monopoly capitalism are taken chiefly from the United States and Germany. Hobson, on whom Lenin often modelled himself, offers no more on Italy except to note that her "ambitions " have been thwarted in East Africa 2• Schumpeter does mention Italy with surprising frequency - but not modern Italy, never Italian colonialism of the late nineteenth century 3• His exam-

1 V. I. LENIN, Imperialism : the Highest Stage oj Capitalism, New York, International Publi­ shers, [1939]. 2 J. A. HoBSON, IlJJperialisJn : A Stu4J, London, Nisbet, 1902, p. 80. 3 J. A. ScHUMPETER, ImperialisJII and Social Classes, edited by B. HosELITZ, Cleveland, World Pub., 1 968, pp. 3, 74.

: W. L. LANGER, The Diplo!!lacy of Imperialism, 1890- 1902, New York, Knopf, 1 9512, p. 69. Ibid. , p. 96.

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Other nations, too, were imperialistic, he admits, but a study of the English case allows the student to understand the others. But . Italy was an intrinsic part of the process of the "new imperialism". Her entry into the scramble far colonies was one of the distinguishing characteristics of the " new imperialism ". Without a discussion of Italy's role, there can be no explaining the " new imperialism". Finally, and perhaps most important, Italy did not conveniently fit their models. As we shall see, far Lenin and Hobson, the Italian case was almost a counter-argument to their economie explanation of imperialism. Far Schumpeter, Italy was not a good example of the social development he posited. Langer's focus on the British empire meant that he treated the Italian example as a minor player in the diplomatic game that formed the " new imperialism ". Robinson and Gallagher, too, focussed on the British case. In his studies of the interplay of colonia! politics and economie interests in North Africa and East Africa, Fieldhouse treated Italy as a minor competitor. Despite their flaws, we stili discuss these theories as a starting point far further speculation. Thus, we must ask ourselves : how does the Italian case fit in? Do these theories explain, at least in part, the development of colonialism in Italy? In turn, what does an understan­ ding of the Italian case contribute toward a more generai theory of imperialism? Let's look at these generai theories, one by one, and see how they apply to the Italian case. Turning first to Lenin and Hobson, the Italian example destroys a simple economie explanation of imperialism. As you recall, Lenin and Hobson argued that imperialism was the highest stage of capita­ lism. In their view, the capitalist system had reached a stage in which local markets were saturated and capitalists needed to invest their surplus funds in overseas markets. Such was not the case in Italy. In the first place, she had no capitai to invest. Throughout her colonia! cycle, she remained far the most part a large net capitai importer with no spare domestieally generateci capitai to send overseas. "Far a miserably overtaxed and debt-burdened country that pays about one-third of its money as interest on debt and spends another third on its army and navy, such a colony is something of a luxury ", an American economist remarked about

Eritrea in 1 890 6• It's true that Italy did develop by the time of Giolittian era. Broadly speaking like the other European powers, Italy followed a Leninist path toward finance capitalism. Italian industry and banks did form concentrations. Nevertheless, Italy had certainly not reached a condition of finance capitai by 1 914. The scale of industry remained generally non-monopolistie and her cartels and trusts relatively weak. Even in the 1 930's, colonialists themselves admitted Italy's economie weakness. "L'Africa uccide il debole", commented baron Raimondo Franchetti at the Congresso di studi coloniali in 1 931, trying to coax investments in Ethiopia. But colonies were no piace far the small investor, and he described Ethiopia as a good piace to inves t because far the moment the foreign competition was " no t too strong " far Italian capitai. With such limited resources Italian entrepreneurs behaved as their British and French and German counterparts did : they showed little interest in colonia! enterprises - unless there were guarantees by the government. In 1 923, while the new fascist régime1 with the reconquest of Libya, launched a policy of colonia! expansion, Federzoni urged Italian capitalists "al coraggio del capitale privato per le audaci imprese di oltremare ". Five years later, he complained that private investors " stanno a guardare" 7. His comments echoed what colonialists had been complaining about far the previous three decades under the liberai régime. When it carne to investments, the government often pushed banks and private investors, not the other way around. Far example, in 1 93 1 , when the Ethiopian government badly needed a loan, three major banks, Montecatini, Banco di Roma and Banca Commerciale all declined to make the lo an :

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« Salvo che ii R. governo non fornisse non solo generali garanzie di natura politica, ma precise garanzie finanziarie a tutti gli effetti, comprendenti cioè il rimborso del capitale ed il pagamento degli interessi» 8.

6 A. G. KELLER, Ita!J's Experience with Colonies, in American Economie Associatiotl, ESStrys in

Colonia/ Finance, New York, The Macmillan Co., 1900. 7 L. FEDERZONI, A. O. <<Il posto al so/e;;, Bologna, Zanichelli, 1936, pp. 156-159. 8 ARCHIVIO STORICO DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Affari politici, 1931, b. 4.


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Italy and Classica! Theories of the " NeJJJ Imperialism" : the Missing Italian Case

In the case of Libya, the Banco dl Roma complained that beginhing in 1 905 they had invested in Libya at the request of the g overnment ; in 1 9 1 5, they wanted to be reimbursed for war damages 9• Another example of the State supporting an investor was Rubattino's successful bid in 1 881 for the Tunis-Ia Goletta railway at four times the originai price. Price was no object to Rubattino since the Italian government had promised him 6 per cent minimum interest on his investment 10• In practice, then, Italian colonialism was really an operation sup­ ported more by the State than by private capitai. In addition to Italy's limited resources and the caution of her entrepreneurs, Italy's late development as an industriai and colonial power explains this. As with most " follower countries " in the industriai revolution, the State played a major role in directing and protecting Italy's economie development. Private entrepreneurs enjoyed special tax and tariff pri­ vileges and government contracts designed to speed the natiçm's economie development. Government support in the colonies - for example with massive public works projects in Libya and East Africa - were simply an extension of this tradition. The lateness of Italy's colonial expansion also helps explain the State's fmancial role. Italy's colonial development carne after the decline of private trading compa­ nies 11. They were bought out by the State, as for example the Rubat­ tino company at Assab. Thus, colonialism was a way for special interest groups, whether entrepreneurs, professionals, bureaucrats, military officers to assure themselves of slices of public revenue through contracts and salaries. It was a way to buffer themselves from the ups and downs of the market, and a way to maintain their power and influence in national politica! and economie life 12• The notion that colonialism benefitted primarily special interest groups leads us to Joseph Schumpeter's theory. Schumpeter argued that capita-

lists did not favor imperialism. On the contrary, atavistic groups - the crown, the nobility, the military, classes that had lost their function in a modern bourgeois society-pursued the colonies for reasons of personal prestige. The Italian case provides some evidence to support this view. It's enough to remember the prominent role that the crown and the nobility played in Italian colonial expansiqn, from the kings to the duca degli Abruzzi in Somalia to the duca d'Aosta in Ethiopia. Socialists themselves complained about the role of the king and the army. Filippo Turati, for example, commented in 1 895 that "The African enterprise is essentially not a capitalist phenomenon but a militaristic one whose heart and soul are the interests of the dynasty" 13. Schumpeter's study, as critics have pointed out, suffers from its unhistorical approach and his hypostatization. His categories are too abstract, his world too unhistorical. Capitalism and capitalists evolved through time and seldom remained as true to laissez-faire principles as Schumpeter imagined. Certainly, the special interest groups in Italy which favored colonialism included capitalists. Southern capitalists, for example, were more prone to favor colonial expansion than northerners. More generally, however, capitalists became involved in colonialism because of the inter-twining of capitalism and government, a trend that became more accentuateci as time went on with fascism. Capitalists were happy to follow Mussolini's colonial adventures as a price for domestic order and domestic markets. Thus, Schumpeter's theory as its stands will not explain the Italian case. Nevertheless, his ideas serve as a stimulus to further research. Many social groups supported colonialism, from business and fmancial groups to exploration and geographical societies to naval leagues and organizations intent on spreading Italian culture abroad 14. Their influence deserves to be explored and explained even more than it has. Economie determinists like Lenin and Hobson saw the " new impe­ rialism" as the highest stage of capitalism; diplomatic historians like

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-ii 9 F. MALGERI, La guerra libica (191 1- 1912), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970,

pp. 1 5-23.

10 D . K. FIELDHOUSE, Econo1nics and Empire, 1830- 1914, Ithaca, Cornell University Press, 1973, p. 257. 11 L. GoGLIA, L'economia coloniale, in CoMUNE m RoMA - IPsoA, L'economia italiana tra le due guerre, 1919- 1939, Milano, IPsoA, 1984, pp. 77-81 , Catalogo retrospettivo sul fascismo, p. 77. 12 A. A. MoLA, L'imperialisJno italiano, Roma, Editori Riuniti, 1 980, pp. XII-XIII.

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1 3 Quoted in G. Bosco NAITZA, Il colonialiSJno nella storia d'Italia (1882- 1914), Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 14. 14 M. CARAZZI, La Società geografica italiana e l'esplorazione coloniale in Africa (1867- 1900), Firenze, La Nuova Italia, 1972; A. MILANINI KEMÉNY, La Società d'esplorazione in Africa e la politica coloniale ( 1879- 1914), Firenze, La Nuova Italia, 1973.


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Langer saw it as the highest stage of nationalism. For Langér, the "new imperialism" was an " outburst of overseas expansion ", fueled in large part by patriotic pride, which prompted the European pòwe.rs to carry on their rivalries and alliances on a global scale 15. Langer's major work focuses on the period 1 890-1902. From his perspective as a diplo­ matic historian, he concludes that " The great imperial problems of these years were the Egyptian-Sudan question, the South African imbro­ glio and the Far Eastern crisis " 16. In these crises, the Italians played a marginai role in the Egyptian question and in China, and none at ali in South Africa. Thus, Langer has relatively little to say about Italy. Yet in a diplomatic context, where powers are "fairly matched", a small power like Italy can greatly leverage her influence 17• Italy's defeat at Adowa, for example, meant that the British "were not to choose their own time for the advance into the Sudan« . When "the bubble of Italian colonial enterprise burst, the London government was forced to come to a decision" 18. In short, Italy and other small powers played an important role in the process of imperial diplomacy which Langer does not really acknowledge. A theory that specifically took into account their contribu­ tion would be useful in better understanding the colonial process. Contemporary theorists of colonialism have moved in a different direction from the earlier generation discussed above. Their major contribution has been to shift the perspective from a eurocentric one to the " periphery". Ronald Robinson and John Gallagher's Africa and the Victorians and the work of D.K. Fieldhouse have been particu­ larly influential. As Robinson and Gallagher put it "It cannot he taken for granted that positive impulses from European society or from the European economy were alone in starting up imperial rivalries. The collapse of African governments under the strain of previous Western influences may have played a part, even a predominant part in the process" 1 9 .

Italy and Classica! Tbeories of tbc "NcJJJ Impcria!ism" : tbc Missing Ita!ian Case

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In essence, Fieldhouse agrees with this peripheral approach. The " New Imperialism" stemmed from a series of crises at the end of the nineteenth century when politica! and economie relationships on the periphery broke down. The European reaction was to assume political control of these areas in arder to enforce a harmonious relationship. When colonialism was no longer necessary - when the colonies were able to manage their own affairs - the Europeans gave up their empires, Fieldhouse argues. Robinson and Gallagher and Fieldhouse, however, differ in their claims for their theoretical contributions. Robinson and Gallagher view their book as a contribution to the theory of imperialism. Fieldhouse is far more modest. "By definition, peripheral explanations are a residual category. Because they deal in specific events, they cannot form the basis for any generai theory of imperialism", Fiel­ dhouse writes 20. He is also skeptical about the validity of the term, " New Imperialism " which he describes as " shorthand for a multi­ plicity of diverse European responses to urgent and varied problems " which arose on the periphery of the world during the last quarter of the nineteenth century21 . Robinson and Gallagher and Fieldhouse also differ in their approa­ ches. In essence, in Africa and the Victorians Robinson and Gallagher write old-fashioned diplomatic history, much as Langer did. Where Robinson and Gallagher differ from Langer, however, is in their picture of England in a " defensive" pasture during the "New Imperialism". Like Langer, Robinson and Gallagher confine their discussion of Italy to the Italian role in the scramble for control of the Nile. The Italian intervention in East Africa especially Italy's defeat at Adowa, did alter the balance of power in the region, Robinson and Gallagher conclude22. Their discussion would have been strengthened and enriched if they had included more about Italy, particularly in elaborating their most interesting and controversia} contribution to theory : their notion of an " official mind". By " official mind " Robinson and Gallagher

1 5 W. L. LANGER, The diplomacy . . . cit., p. VII. 1 6 Ibid., p. VIII.

17 Ibid., p. VII. 18

Ibid., p. 271 . 1 9 R. RoBINSON - J. GALLAGHER, Africa and the Victorìans. The Official Mìnd of Imperialis?n, London, Macmillan, 19812, p. 18.

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20 D. K. FIELDHOUSE, Econoi!JÌcs. . . cit., p. 77. 21 Ibìd. , Preface. 22 R. RoBINSON - J. GALLAGHER, Africa . cit., p. 349. ..


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Italy and Classica! Theories of the " NeJJJ Imperialism" : the Missing Italian Case

mean a continuity in the v1s10n and concepts of thqse who made colonia! policy. But why should there be only a British '' official mind"? What Robinson and Gallagher fail to point aut is that far the British one to work effectively, there had to be a world of " official minds " among the other colonia! powers too. They too were likely to have diplomats and bureaucrats who shared like visions and as­ sumptions and conventions about how disputes between nations should be resolved. In fact, there is a persuasive case far such an " official mind" in Italy. Italy's colonia! cycle was short - barely sixty years. Colonia! ministries were long - Mussolini's lasted far twenty years and Giolitti gave his name to an era. Continuities in lower ministerial positions and in ambassadorial posts were common. The pool of qualified applicants far top policy posts was probably even more restricted than in En­ gland23. Thus, the study of an " official mind" on an international level would be an important aspect of understanding the colonia! process. Fieldhouse is much less of a traditional diplomatic historian than Robinson and Gallagher. Fieldhouse focuses on the relationship bet­ ween economie forces and diplomacy and he explores the process on a case by case basis. Economie factors, Fieldhouse argues, did not, on their own account, necessarily or even commonly generate a need or desire far formai empire24. The " official mind " of Europe assumed far the most part that economie interests could and should look after themselves without help from the State. Applied to Italy his approach poses the paradigm of Italian colo­ nialism as a response to a series of crises " on the periphery" in East Africa and in North Africa. Italy's economie interests in East Africa and North Africa were marginai. Italian colonialism originated in response to a specific crisis in North Africa that began in 1 882 with the question of Tunisia. Who would have influence aver the territory? But Italian colonialism was also a response to a more generai crisis centered around the question of new power relationships in the Medi­ terranean as the Ottoman empire went into decline. British and French

interests and influence in the Mediterranean were now upset as the Ottoman empire went into decline and as Italy made a bid to be recognized as a Mediterranean power. Initially, since Italy could not satisfy her ambitions in North Africa, she turned to East Africa. Here again Italy had no extensive economie interests. Rubattino's coaling station, first bought in 1 869, lay dormant far a decade. The crisis in the horn of Africa, which sucked Italy into the region, was precipitated by Anglo - French rivalry in the area. Fieldhouse's peripheral theory, however, breaks down in explai­ ning Italian involvement in East Africa under Mussolini. Admittedly, the focus of Fieldhouse's study is from 1 830-1 914. Nevertheless, his argument is broad enough so that it also explains decolonization ; hence, it should include the inter-war period. However, a crisis on the periphery does not explain Mussolini's Ethiopian escapade. On the contrary, the crisis is centered in Europe : the rise of Hitler and the resurgence of German power on the continent; Italy's domestic crises as a result of the Depression. Fieldhouse's approach is valuable in that he breaks down the process of imperialism. Rather than seeing it as a single global process, he breaks it down into a series of composite and perhaps contradictory phenomenon. He reminds us that Italian colonialism was not purely eurocentric in its origins. Forces on the periphery also worked to suck Italy in. With his stress on disparate regional processes, Fieldhouse also suggests that although Italian colonialism had its unitary aspects, it is useful to look at it on a case by case and region by region basis, and to see developments through time. How Italy carne to acquire Libya was quite different from her role in Tien-Tsin. Mussolini's Ethiopian war of 1 935 was not the same as that of Crispi in 1 896. In conclusion, as this discussion shows, each of these theories and approaches are predicated heavily on the colonia! activities of the maj or powers - especially the British, the French and the Germans. As colonia! theory stands now, at best we have a theory of British or French or German colonialism, or perhaps, more generically, a theory of the colonialism of the great powers. But the small powers, too, were part of the colonia! process. They too must be included before we can claim to have a valid generai theory.

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23 A. A. MoLA, L'it11perialismo. . . cit., pp. S-7. 24 D. K. FIELDHOUSE, Economics . . cit., p. 476. .

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With regard to Italy, none of the theories or approaches rrientioned wholly explains the Italian case in a satisfactory way. Yet each theory does clarify facets of the Italian process or raises fruitful . lines of research. Lenin and Hobson raise the question of the role of the government in financing colonialism, for the Italian case of " State capitalism" is probably far more typical than the private investors risking investments in the colonies. Schumpeter asks which groups benefitted from colonialism. Langer's approach highlights the role of small p owers as " spoilers " and shapers of the colonial process on a diplomatic level. Robinson and Gallagher and Fieldhouse make clear that the "New Imperialism" was a product of both forces : eurocentric and the periphery. Research on Italian colonialism can be useful both in illuminating the Italian case and in modifying and shaping generai theories of imperialism. The work of this conference will be a valuable contribution to this process.

DANIEL J . GRANGE

Peut-on parler au début du XXe siècle d'un ((parti colonia!" italien?

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Les groupes de pression cherchent, on le sait, à orienter les mouve­ ments de la psychologie collective et à influer sur les organes de décision de l' État afin d'obtenir cles politiques conformes à leurs idéaux ou à leurs intérets. Dans l'Italie du début du siècle, et dans le domaine expansionniste et colonia!, ces groupes de pression sont nombreux : sociétés géograp­ hiques et sociétés d'explorations coloniales, Lega navale, société Dante A lighieri, et l'organisme le plus intéressant de tous, l'Istituto coloniale. Il n'est pas question ici de me livrer à un examen de tous ces organismes. Je limiterai mon propos en le centrant sur l'activité de l'Istituto coloniale vu non pas comme institution, mais comme centre de pouvoir, afin de répondre à la question suivante : Peut-on parler dans l'Italie du début du siècle d'un parti colonia! italien? * * *

Des travaux d'historiens anglo-saxons ont mis en évidence, il y a quelques années, l'influence, au début de ce siècle, du parti colonia! francais, mouvement articulé en divers associations et comités dont le «groupe colonia!», constitué à la Chambre autour du député Eugène Etienne, fut l'organe parlementaire 1 • Créés à l'origine pour éduquer le peuple français et le gagner à l'idéal colonia!, ces groupements

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1 C. M. ANDREW - A. S. KANYA-FORSTNER, The Ft·ench Colonia/ Party : Its Composition, A ims and Influence, 1885- 1914, in «The Historical Journal», 1971, 1 , pp. 99-128 ; L. A:SRAMS D. J. - MILLER « Who 1JJC1'C the french colonialis!SJ>? A Reassessment oj the <<parti colonia!», 1890- 1914, in «The Historical Journal», 1 976, 3, pp. 685-725 .


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Peut-on parler au début du XX• sècle d'un «Parti colonia!>> italien ?

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d'un organe parlementaire spécialisé puisqu'il offrait aux hommes politiques qui le rallièrent le cadre nécessaire à la constitution d'un véritable groupe colonia! informe!. L'assemblée constitutive de l 'Institut se tint à Rome le 26 mars 1 906, à la salle de la Société des auteurs dramatiques, devant 96 personnalités présentes ou reptésentées dont une quarantaine de parlementaires, une quinzaine d'universitaires, trois ambassadeurs (Imperiali, Malaspina et Mayor des Planches), plusieurs hauts fon­ ctionnaires (dont Bonaldo Stringher, directeur général de la Banca d'Italia) et quelques personnalités politiques comme Ernesto Nathan et le maire de Bologne Tanari. Le sénateur Giacomo De Martino . ' . qm ava1t ete avec Antonino di San Giuliano le promoteur du congrès d'Asmara, exposa sa conception de l'oeuvre, que l'on retrouva dans les statuts du nouvel organisme très rapidement adoptés. Ce dernier se voyait assigner pour but :

auraient assez rapidement abandonné leur objectif premier pour se cantonner dans le ròle de groupes de pression agissant davantage d'ailleurs dans le domaine politique qu'à des fins économiques à stric­ tement parler. Sous l'angle organisationnel, ces divers comités, tout comme le «groupe colonial», étaient contròlés par un petit nombre d'hommes qui, en raison du désintérèt assez général de l' opinion à l' égard de la politique étrangère et de la faiblesse des gouvernements successifs, eurent une importance capitale sur la politique coloniale française. Le parti colonial devint ainsi « l'un des plus puissants groupes de pression de la Troisième République» 2• A-t-il existé quelque chose de semblable dans l'Italie giolittienne? Les premiers à avoir parlé d'un groupement de ce genre en Italie furent les journalistes de « <l Regno » qui, en 1 904, évoquèrent l'exi­ stence d'un « groupe colonia!» au Parlement italien, groupe qui aurait rassemblé, selon eux, une dizaine d'hommes politiques ; d es Sicilien s : San Giuliano, Ugo di Sant'O nofrio, Benedetto Cirmeni ; deux Ligu­ res : le marquis Imperiale di Sant'Angelo et Gustavo Gavotti ; les Napolitains De Martino et De Marini s ; le Florentin Guicciardini ; le Piémontais Ludovico Ceriana Mayneri et enfin le Milanais Marcora,

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- l'information du pays sur l'activité coloniale et sur les problè­ mes d'émigration, - la diffusion d'une culture coloniale ' - la création de liens entre la mère patrie et les Italiens à l'étranger, - la promotion des intérèts coloniaux auprès du Parlement et du gouvernement ou à travers des initiatives privées.

président de la Chambre. Ce n'était là qu'une rumeur ou l'indication de simples affinités politiques puisque l'année suivante le député De Marinis, exposant dans la « Revue économique internationale » les données de la politique coloniale italienne et l es « devoirs coloniaux» de son pays, proposait la création d'un «groupe colonia!» qui, souhaitait-il, dépasserait le cercle des anciens députés crispiniens et aurait pour but d'éduquer le Parle­ ment et le pays en matière coloniale et de faire des propositions au gouvernement. Pour De Marinis le congrès colonia! d'Asmara, con­ voqué pour l'automne 1 905, devait ètre l'occasion de la création d'un tel organisme. En fait, c'est une institution de type originai, l'Istituto coloniale qui allait sortir de ces assises, rendant par la suite inutile la mise sur pied

2 C.M. ANDREW - A. S. KANYA-FoRSTNER, The French Colonia/ Party. . . cit., p. 127.

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Il était prévu, par ailleurs, qu'il devait coordonner son action avec les diverses organisations gouvernementales tournées vers l'activité à l'étranger et avec les diverses sociétés géographiques et coloniales existant en Italie. A travers cette activité pour créer dans l' opinion un consensus expansionniste et cette action d'incitation sur l'appareil politique et tatiq�e il s'agissait de faire entrer le pays dans les compétitions '. , du temps. Dans les discours et les écrits de Giacomo De 1mpenahstes Martino et d'Enrico Catellani, professeur à Padoue, les deux principaux . propagandtstes de l'Institut à ses débuts, se discerne en effet la hantise de l'avenir dans un monde en proie à la guerre économique. Il s'agit, à tout prix, d'insérer le pays dans la compétition mondiale et d'empè­ cher les portes de se fermer devant une Italie qui se trouverait exclue de la lutte pour les matières premières et les débouchés. Relever le

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défi de l'histoire et refuser le sort d'une nation de seco!-lde zòne : tel sera le Leit-motiv de la « Rivista coloniale» organe de l'Institut. Ainsi De Martino soulignait-il l'importance du moment hl.s�orique devant l'assemblée générale du 26 avril 1 908 : « ( . . . ) L'Italia si desta; si desta nella chiara visione del presente e nella coscienza sicura dell'avvenire : essa sente che una storia nuova s'apre pei popoli ; che la patria non è solo nel confine politico d i �on i . . e del mare che la cingono, ma dovunque sono le sue gent1, l att1v1ta, il lavoro dei suoi figli ; che la patria si espande nel mondo coi com­ merci e coi capitali, come lo spirito della nazione si propaga con la lingua e col pensiero racchiuso nei ricordi augusti del passato. L'Italia scende in lizza pur essa, nel campo senza confini della lotta economica per la conquista dei nuovi mercati, della lotta civile per l'assimilazione graduale delle razze inferiori nelle vie del progresso ( . . . ) » 3• L'oeuvre de l'Institut devait clone etre de capter et d'orchestrer le réveil italien et de pousser le gouvernement, « tant en ce qui concerne l'émigration que l'expansion économique», à agir, en «incitant, en encourageant et en préparant l'action cles individus » 4• En juin 1 908, lors d'un voyage en Sicile, De Martino eut l' occasion de préciser sa pensée face à la situation faite à l'Italie en Méditerranée 5• La situation démographique de l'ile et l'ampleur de l'émigration qui la frappait lui imposaient une réflexion sur les rapports entre démo­ graphie et expansionnisme. Après avoir regretté que la Tunisie voisine, fécondée par le travail italien ait, en raison de l'incurie gouvernemen­ tale, échappé à l'Italie, il évoqua le j our où, grace à l'essor économique du pays, le capitai et les techniciens pourraient s'expatrier en meme temps que les travailleurs qu'ils pourraient ainsi encadrer et protéger. Alors, l'émigration, symbole de décadence, deviendrait signe de ri­ chesse et de puissance. Or, aux portes de la Sicile existait, assurait-il, une région qui pourrait accueillir l'émigration et les capitaux italiens : la Tripolitaine. A cette fm, l'État nouveau devait faire la synthèse cles

3 G. DE MARTINO, Relazione annuale del presidente (26.4. 1908), A tti deJJ'Istituto coloniale, in «Rivista coloniale», 1908, 5, p. 315. 4 Ibid., p. 316. . G. DE MARTINO, I doveri deJJ'ora presente. Popolo e governo, ibid., pp. 478 e seguenti.

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sècle d'un <<parti colonia/;; italien?

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forces vives du pays et impulser son action au milieu cles luttes, cles compétitions, cles rivalités qui procurent la suprématie commerciale et industrielle 6 • Jamais l'Institut colonial n'eut un grand nombre d'adhérents. Il commença son existence avec 1 76 membres (eri juin 1 906) et le nombre cles adhérents se hissa lentement jusqu' à 800 en 1911, dont 46% seule­ ment de métropolitains. De plus la direction de l'Institut resta solidement concentrée entre quelques mains qui, grace aux délégations de votes, savaient se rendre maitresses cles élections aux charges et du pouvoir. On n'est clone pas là face à un organisme drainant les masses mais bien à un loblry, émanation d'une fraction de la classe politique et cherchant à influencer le pouvoir et l' opinion. Ces hommes politiques, sensibles à l'aspect darwinien de la vie internationale, s'appuient sur certains secteurs du monde économique tournés vers le commerce international et se donnent pour but d'agir : 1) Au niveau de la propagande et du consensus expansionniste à créer dans les secteurs où l' État n'a ni les moyens, ni l'intention de s'engager directement. 2) Au niveau de l'appareil d' État lui-meme, sur lequel ils vont peser par cles manifestations diverses, par la presse qu'ils inspirent, par les parlementaires qu'ils influencent. Qui sont clone ces hommes qui tiennent en main l'Institut? 1) La composante politique et parlementaire est, nous l'avons dit, essentielle. En 1 9 1 1 , sur 396 membres métropolitains, 55 disposent d'un mandat au Parlement; 1 8 sur 24 cles membres du conseil de direction sont cles parlementaires (dont le président et 4 vice-présidents). Cet aspect politico-parlementaire est encore renforcé par la forte personnalisation de la direction aux mains d'hommes de premier plan, jamais très éloignés de l' exécutif gouvernemental : - Jusqu'en 1 9 1 0, l'Institut est régi par le sénateur Giacomo De Martino, l'un cles pères fondateurs. De Martino, d'abord élu de

6 Ibidem.


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Naples, avait été sous-secrétaire d' É tat aux Travaux puplics dans le ministère Di Rudinì en 1 896, puis aux Affaires étrangères . sous Prinetti en 1 901 . De Martino est assisté à la vice-présidence p�t· San Giuliano et par Guicciardini qui dirigeront, comme ministres, la diplomatie italienne au cours de la décennie. Leur succéderont à la vice-présidence l'amiral Bettolo, ex-ministre de la Marine ; Luigi Luzzatti, plusieurs fois ministre ou président du Conseil ; Pietro Lanza di Scalea, sous-secrétaire d' État aux Affaires étrangères de San Giu­ liano ; Ferdinando Mattini, ex-gouverneur de l'Erythrée : tous per­ sonnages de premier plan. - En 191 O, à De Martino, nommé gouverneur du Benadir, suc­ cède à la tete de l'Institut Guido Fusinato, député de Feltre, professeur de Droit international, ex-sous-secrétaire d'État aux Affaires étrangères et futur négociateur de la paix d'Ouchy. - En 1912, Fusinato cède sa piace à Bettolo qui vient de quitter sa charge de chef d' État-major de la Marine. En marge de ces personnalités de première grandeur, d'autres hommes politiques siègent encore au conseil de l'Institut : Leopoldo Franchetti, Guido Pompili (sous-secrétaire aux Affaires étrangères de 1 906 à 1 909), les j ournalistes et sénateurs Luigi Roux, Andrea Torre. 2) A coté de ces parlementaires, plusieurs hauts fonctionnaires cles Affaires étrangères se retrouvent au conseil entre 1 906 et 1 9 1 1 , comme Primo Levi et Salvatore Contarini. D'une manière générale, excepté Tittoni, tous les ministres et secrétaires d' État ayant été en charge à la Consulta de 1 903 à 1 9 1 1 se retrouveront au conseil de l'Institut. En 1 909, sous le ministère Sonnino, l'Istituto compte en son sem neuf cles membres du gouvernement. 3) Les milieux d'affaires sont subordonnés mais très présents. Dès 1 906 on note, parmi les membres du conseil de présidence, la présence d'Ignazio Florio, mais l'homme d'affaires sicilien ne s'attarde guère. En 1 907 apparaissent Marco Besso, président cles A ssicurazioni generali, Felice Scheibler, président de la Società bancaria et Michele Fileti, président de la Navigazione generale italiana. En 1 9 1 0 arrivent Silvio Crespi et Giuseppe Volpi. En fait, il ne semble pas que ces personnages aient pesé d'une poids particulier sur l'association, dans le sens où ils l'auraient entrainée

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à la remorque de leurs intérets particuliers. Ils partagent simplement son idéologie expansionniste et, avec leur optique et leurs moyens, collaborent au mouvement qu' elle entend imprimer à la nation. Ainsi, l'expansionnisme commerciai que prone par exemple le IIe congrès cles exportateurs de 1 9 1 0 présidé par Silvio Crespi, convient également aux cotonniers lombards touchés par la crise, aux politiques qui pensent à la balance commerciale et au chomage et aux diplomates qui luttent pour les zones d'influence en Orient. Toutes ces préoccu­ pations convergent, on ne peut dire que l'une sécrète les autres. Cependant, s'il faut à tout prix discerner un noyau moteur, c'est plutot chez les politiques et les hauts fonctionnaires spécialisés dans les questions de politique étrangère et coloniale qu'il faut chercher. * * *

La mystique expansionniste et coloniale qui est son idéal, l'Istituto cherche à la répandre outre par la « Rivista coloniale» qui est son organe de diffusion ordinaire, par une politique de congrès et de comités, réunis autour d'une grande cause nationale, en cles opérations permettant à la fois la diffusion de son idéologie, la création de réseaux d'institutions et d'individus, l'accès à cles secteurs d'opinion inaccessi­ bles par les voies directes. Cette stratégie « enveloppante» débute en janvier 1 908 avec la créa­ tion d'un comité pour honorer les morts de Buracaba (Somalie), comité qui permet d'atteindre les ministères, la société Dante A lighieri, la Lega navale, les directeurs de journaux et l' Association de la presse. Elle se poursuit avec l' organisation cles Congressi degli italiani all'estero de 1 908 et de 1 9 1 1 , entreprises réussies, qui permirent d'atteindre et d'enroler sous la bannière de l'Institut nombre de personnalités, étran­ gères jusque-là à ses activités, comme le juriste Vittorio Scialoja, Nitti, le socialiste Cabrini, le républicain Colajanni, ou cles universitaires de renom comme Benedetto Croce ou Gennaro Mondaini. L'une cles plus fructueuses opérations de relations publiques fut la création du Comitato parlamentare per la tutela dell'emigrazione italiana, créé en 1 908 pour veiller à la mise en oeuvre cles voeux émis par le premier Congrès cles italiens à l'étranger. Grace à lui et sous le couvert de la défense cles droits cles émigrés, purent s'acclimater certaines


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thèses impérialistes auprès des radicaux (Alessi, Pietravall.e, Credaro), des républicains (Pantano, Colajanni) et des socialistes (Cabrini, E. Ferri, Turati) qui adhèrent au Comité et prirent part aux déba,ts. Les Congressi degli esportatori italiani in Oriente permirent, semblablement, de tisser des liens avec les milieux d'affaires : chambres de commerce, banques (Banca commerciale1 Banca veneta1 Credito italiano), les industriels du textile, les métallurgistes . . . Le congrès de Milan (novembre 1910) se déroulera ainsi sous la présidence effective du cotonnier Silvio Crespi, représentant l'Istituto coloniale, aidé de Giorgio Enrico Falck (président de l'A ssociazione industriali metallurgicz) et de Pippo Vigoni. Les trois hommes étaient assistés d'un comité exécutif où l' on retrouvait de nombreuses personnalités de premier plan du monde milanais : Federico Weill de la Comit, G. B. Pirelli, Cesare Mangili, sénateur et président de la Comit, Balzarotti, directeur du Credito italiano, le sénateur Ettore Ponti (président du Linificio e canapificio nazionale et maire de Milan), le président de l'Associazione serica, etc. . . Le monde d u textile et e n premier lieu celui cles cotonniers, éprouvé par la crise économique de 1 907 et en quete de marchés pour écouler ses stocks, se montrait très sensible aux initiatives de l'Istituto, mais aussi les métallurgistes et les banquiers intéressés au développement cles exportations qui soulageait d'autant les finances des entreprises. Parallèlement à ces relations d'affaires qu'il favorise et à ces réseaux qu'il tisse entre les institutions dont il travaille à faire converger l'action, l'Institut suscite l'apparition de centres de pouvoir autour de certains personnages qui donnent l'impression d'effectuer un véritable noyautage cles organismes travaillant à l'expansion hors cles frontières. Il est intéressant de confronter la liste cles membres cles conseils de directions de quelques-uns de ces organismes ou comités, camme le conseil de la Dante A lighieri, de la Società geografica italiana, de la Lega navale avec la liste cles adhérents de l'Istituto coloniale afin de faire apparaitre les compénétrations existant entre ces diverses asso­ ciations et de mettre en évidence les personnages clefs de la situation. Cette confrontation montre, ce qui ne surprend guère, une forte osmose entre ces quatre associations soeurs, l'Istituto coloniale apparaissant camme une sorte de dénominateur commun. Des hommes camme

Bonaldo Stringher, Andrea Torre, Luigi Roux, Ferdinando Mattini, Ernesto Nathan, sont influents à la fois à l'Istituto coloniale et à la Dante Alighieri; Giacomo Agnesa, Leopoldo Franchetti, l'amiral Reynaudi, Malvano (ex-secrétaire général de la Consulta), le géographe Dalla Ve­ dova le sont à l'Istituto et à la Société de géographie. Pour la Lega navale, les liens s'établissent avec l'Istituto à travers le sénateur Giorgio Sonnino, le publiciste Gaetano Limo, le comte Biscaretti di Ruffia, le prince Lanza di Trabia ou par l'intermédiaire de certains hommes d'affaires qui siègent à la fois au Parlement et au conseil de chacune des deux sociétés (Erasmo Piaggio, Piero Foscari, Giuseppe Paratore). L'an retrouve avec ces derniers, les liens avec les milieux économi­ ques que l'an peut mettre en évidence en confrontant la liste des membres de l'Istituto coloniale et celle du Gruppo industriale parlamentare, créé en 191 L Sur les 58 membres de ce groupe, 1 3 font partie de l'Institut (dont l'armateur Piaggio, le constructeur naval Salvatore Orlando les industriels milanais Padulli et Pirelli, les lainiers Gaetano ' Rossi et Vittorio Marzotto, le cotonnier Silvio Crespi, etc . . . ). On peut continuer la confrontation avec, par exemple, les membres du comité de patronage des Congressi degli esportatori italiani in Oriente. A travers les noms qui émergent des listes d'adhérents de ces organismes divers, voués à l'action coloniale ou à l'activité hors des frontières et dont certains reviennent avec une fréquence remarquable, d'autres solidarités apparaissent encore : - celle qui unit les anciens crispiniens : Primo Levi, Daneo, Giu­ seppe Paratore ; - celle qui unit les Siciliens, nombreux à l'Institut et de plus en plus influents à la Consulta (San Giuliano, Giuseppe Tasca Lanza, Pietro Lanza di Scalea, Salvatore Contarini, Giuseppe Paratore, etc. . . ) ; - les solidarités maçonnent, ayant pu se nouer entre l'Istituto et la Dante A lighieri, avec San Giuliano, Fusinato, Ferdinando Mattini, Ernesto Nathan, Andrea Torre ; - diverses tentacules sont enfin émises par l'Istituto en direction de la presse et des groupements nationalistes. Avec le monde du journalisme, les connivences sont nombreuses. L'empreinte crispinienne avait été forte dans les milieux journalistiques.


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Pendant la période de Crispi s'était révélée une pléiade de publicistes de talent : Primo Levi, Attilio Luzzatto, Edoardo Scarfoglio, Vincenzo Morello (Rastignac), Federico Fabbri, Giuseppe Cirmeni, Vico Mante­ gazza, Andrea Cantalupi, Andrea Torre, etc . . . Ceux-ci conservent, avec prudence, dans la période qui suit, leurs idéaux expansionnistes et nous les retrouvons dans la première décennie du siècle répartis à travers l'ensemble de la presse de la Péninsule. Ainsi, Morello (Rastignac) à la direction de «L'Ora» de Palerme avant de faire retour à « La Tribuna» d'où il était venu ; Scarfoglio à celle de « <l Mattino » ; Vico Mantegazza à la direction de « La Nazione» ; Federico Fabbri fondant et dirigeant «La Patria» à Rome; Andrea Cantalupi collaborateur de la «Nuova Antologia». Dès l'époque de Prinetti, ces j ournalistes ex-crispiniens, chacun à leur poste, orientent à nouveau leurs commentaires vers la défense de l'expansion hors cles frontières. Et c'est sans étonnement que nous retrouvons, à la fin de la décennie, Primo Levi, Andrea Torre, Vico Mantegazza parmi les membres influents de l'Istituto coloniale. La trajectoire du « Corriere della Sera», pourtant hostile à Crispi et à sa politique d'expansion africaine en 1 896 caractérise bien ce glisse­ ment vers l'impérialisme de l'ensemble de la presse. La nomination en 1 906 comme chef d'agence à Rome d'Andrea Torre (que l'on retrouve au conseil de direction de l'Istituto coloniale et de la Dante A lighierz) marqua pour le journal le passage de la défense du status quo à celle d'une politique d'action et d'expansion hors cles frontières. L'arrivée au journal, à la fin de la décennie, de Vico Mantegazza, membre de l'Istituto et de diverses sociétés coloniales, souligne l'adoption d'une vision de type nationaliste et impérialiste de la politique étrangère. Aussi, lors de l'expédition de Tripoli, l'engagement du « Corriere della Sera» fut-il bruyant. Le journal ouvrit ses colonnes à D'Annunzio qui y publia ses Canzoni delle gesta d'Oltremare. Le journal envoya en Afrique du Nord de nombreux correspondants dont le plus connu, Luigi Barzini, ne cachait pas son admiration pour les constructeurs d'empire. Dans ses justifications de l'expédition de Tripoli, Andrea Torre évolua lui-meme, au fil cles éditoriaux, de l'idée de nécessité diplomatique et géopolitique à la théorie de l'expansionnisme comme nécessaire i l'e­ xistence cles grands peuples, soulignant ainsi le tournant nationaliste et impérialiste par le j ournal.

Peut-on parler au début du

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sècle d'un <<parti colonia!>> italien?

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La virulence dont fait preuve la presse en 1 9 1 1 s'explique d'ailleurs par le fait que la diffusion de l'impératif colonial commençait à se faire par le canal nationaliste dont l'expansionnisme, sous toutes ses formes, était l'un cles idéaux privilégiés. Le personnage de Piero Foscari, député de Venise depuis 1 909, vice-président de la Lega navale, membre de l'Istituto coloniale, président de l'association Trento e Trieste et nationaliste de la première heure, est le symbole meme de la compénétration qui s' effectue entre l es milieux expansionnistes et l es milieux nationalistes. Par la voix cles journalistes nationalistes : Bevione à « La Stampa», Giuseppe Piazza et Francesco Coppola à «La Tribuna», Federzoni à « <l Giornale d'Italia», Mario Missiroli à « <l Resto del Carlino », Oliva, Giovanni Borelli, Corradini, Forges Davanzati, collaborateurs occasionnels ou habituels du « Corriere della Sera», c'est dans toute la presse giolittienne et anti-giolittienne que finit par retentir l'appel colonial et nationaliste. Dans cet entrecroisement de réseaux et d'influences, quelques noms reviennent avec insistance que l'on peut considérer comme constituant le noyau de la nébuleuse expansionniste. En premier lieu celui de San Giuliano, mais aussi ceux de De Martino, de l'amiral Bettolo et, dans le domaine politico-économique, celui de Silvio Crespi. Antonino di San Giuliano s'impose incontestablement comme la personnalité centrale du mouvement que nous tentons de cerner ici. On a depuis longtemps relevé son importance comme inspirateur et artisan de la diplomatie italienne de l'avant-guerre, mais l'on a peu, jusqu'à présenf, mis en évidence sa position centrale dans la constella­ tion cles organismes extra-gouvernementaux. Or, durant l'époque gio­ littienne, le marquis sicilien j oue à la fois le ròle de fédérateur entre les divers organismes que nous évoquons ici, à la vie desquels il participe étroitement, et de pont entre ceux-ci et les organes de l' État dont il est l'un cles personnages essentiels. Entre 1 900 et 1914, San Giuliano est à la fois membre du conseil directeur de la Dante A lighieri (1903-1905), vice-président de la Lega navale (1 903-1904), président de la Société de géographie (1 906), co-fondateur et vice-président de l'Istituto coloniale, tout en étant un orateur écouté à la Chambre (dès 1 882), puis au Sénat (à partir de 1 905), avant de devenir ministre des Affaires étrangères (1905-1 906),


Daniel ]. Grange

Peut-on parler au début du XX' sècle d'un <<parti colonia!» italien ?

ambassadeur à Londres (1906-1 909), à Paris (1909-1 910) p�is à nouveau responsable de la politique étrangère de 1910 à sa mort en octobre. 1 914. Guicciardini qui alterne à deux reprises avec lui à la Consulta (en 1 906 et en 1910-191 1 , dans les ministères Sonnino) joua un r6le compa­ rable, mais un certain parfum de dilettantisme qui entourait la personne de cet ancien maire de Florence, l' empecha d' atteindre la notoriété du marquis sicilien. En bonne piace aussi Giacomo De Martino, ame de l'Istituto jusqu'en 1910, date à laquelle le sénateur napolitain devient l'un des proconsuls de l'Empire colonia! italien (gouverneur du Benadir en 1910, de l'Érythrée en 1 91 6, de la Cyréna:ique en 1919). D'importance considérable l'amiral Bettolo, vice-président de l'Istituto en 1907, président en 1 912, membre du conseil directeur, puis président de la Lega navale en 1912, trois fois ministre de la marine entre 1 889 et 1912, chef d'État-major de la Marine de 1 907 à 1 91 1 . Génois d'origine, l'amiral est, en outre, très lié au milieu des armateurs et des industriels ligures. Autres personnalités importantes quoique de second plan par rapport aux précédentes : le sénateur Giorgio Sonnino et Luigi Bodio, haut fonctionnaire influent, le premier directeur du Commissariato generale dell'emigrazione. Dans le secteur politico-économique, deux noms reviennent fréquem­ ment : celui de Piero Foscari, déjà évoqué, et celui du député sonninien Elio Morpurgo, grand propriétaire et homme d'affaires frioulan, ancien maire d'Udine, mais qui n'est qu'un second couteau. Le personnage qui s'impose véritablement est Silvio Crespi, le quatrième personnage clef du mouvement expansionniste. Chef de l'une des deux branches princi­ pales de la famille cotonnière des Crespi (la seconde contr6lant fmanciè­ rement le « Corriere della Sera»), c'est un industrie! d'envergure et un organisateur : il est en 1 894 le premier président de l'Associazione fra gli industriali cotonieri qu'il contribue à fonder. Il devient, en 1907, président de la société anonyme Docks cotoni et en 1913 directeur de l'Istituto cotoniero, créé pour harmoniser la production et l'écoulement des produits cotonniers frappés par la crise. Silvio Crespi a de la vie économique une vision large qui dépasse le seul secteur de la production qui est le sien pour s'étendre à l'en­ semble de l'environnement social et international de l'activité écono­ mique. Ces qualitéì feront de lui, par la suite, un ministre du Ravitail-

lement (en 1 9 1 8), puis un président de la Banca commerciale ( 1 9 1 9 à 1 930). A l'époque qui nous intéresse nous trouvons cet homme d'influence et de relations, député depuis 1 899, membre de plusieurs commissions parlementaires et du Gruppo parlamentare industriale, adhérent à la Società d'esplorazione commerciale in Africa (de Milan), membre fondateur de la Società commerciale italiana del Benadir, créée pour la culture du coton en Somalie, vice-président de l'Istituto coloniale, de la section milanaise de la Lega navale, président du II ' Congresso degli esportatori italiani in Oriente.

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Que condure de ces identifications et de ces stratégies ? Si l' on ne peut faire état d'un groupe colonia! proprement dit puisqu'il n'e:x:ista jamais rien de tel à la Chambre, on peut, en revanche, parler de « parti colonia!» mais à une double condition : 1) Il n'exista à aucun moment une organisation de masse ca­ pable d'imposer une politique au gouvernement, mais des groupements élitistes travaillant à influencer l' opinion et la classe politique. 2) Ce «parti colonia!» ne revetit pas non plus l'aspect d'une organisation rigide, mais plut6t celui d'une constellation d'associations et de comités avec, comme structure portante, l'Istituto coloniale. A vec cet Institut, on est en face d'une création comparable à la Ligue coloniale française ou au Comité de l'Afrique française. Mais le parti colonia! italien n'a pas la compacité dont bénéficie son homologue français, grace en particulier à la personnalité d'Eugène Etienne, « Notre-Dame des coloniaux», comme on l'appelait à Paris. Il suffit de considérer que San Giuliano est absent de Rome de 1 906 à 1 91 0, date à laquelle De Martino quitte la capitale à son tour. Ce parti colonia! où les parlementaires sont nombreux, étend ses ramifications vers l'ensemble de la classe dirigeante, tant politique qu'économique encore restreinte et homogène au début du siècle, en une sorte de nébuleuse expansionniste dans laquelle les liens de per­ sonnes comptent avant tout. C'est clone davantage d'un mouvement dont il faudrait parler, porté à partir de 1 908, par la vague de fond du nationalisme.


Fulvio Suvieh

TOMASO DE VERGOTTINI

Fulvio Suvich

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Nella terza occasione - gentilmente offertami dagli organizzatori di questo convegno - di dirigermi ad un pubblico specializzato nella mia nuova veste di sovrintendente dell'Archivio storico-diplomatico del Ministero degli affari esteri (ASDMAE), una forza irresistibile mi ha ricondotto sulle tracce di Fulvio Suvich, soggetto della mia comunica­ zione di « esordio » avvenuta il 24 febbraio scorso al convegno di Lucca forse perché ritenevo d'aver passato la prova, vincendo - in età non certo tenera - l'emozione di un debutto. Mi sono quindi detto : « tepetita juvant», tanto più che a Lucca mi era rimasta la sgradevole sensazione di non aver lumeggiato a sufficenza la figura politica di questo mio conterraneo, !imitandola alla sua tenace battaglia mirante a difendere l'indipendenza dell'Austria. Certamente si trattava della linea politica che gli conferi notorietà soprattutto nella Germania nazista, dove più di una volta potenti gerarchi - Goring per primo - chiesero la sua testa. Ma Mussolini non volle privarsi di un collaboratore che reputava fredde, alacre e schietto. Che fosse antinazista non importava al duce perché dava un corpo ad una delle due anime della sua politica estera. Quando l'anima opposta ebbe definitivamente il soppravvento, Suvich non servì più a Mussolini e venne garbatamente messo alla porta, ma solo di palazzo Chigi, perché il duce continuò ad apprez­ zarne le sempre presenti qualità, che potevano servirgli negli ambienti politici e soprattutto finanziari di Washington, dove lo inviò come ambasciatore. Ma cosa dice lo stesso Suvich sull'«avvicendamento » del 1 932? Lo minimizza, collegandolo a « questioni personali », mentre l'essere o non essere « societario » non c'entra, perché sia Grandi che lui erano socie­ tari. Ma il punto era altro : Grandi era un politico, fra i più influenti

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del fascismo, e Suvich un tecnocrate, scelto per la sua conoscenza, anche linguistica, del mondo germanico. L'altra anima di Mussolini, che non era sintonizzata sulla lunghezza d'onda del suo collaboratore triestino e veteroasburgico, rispondeva alla « tentazione» africana o meglio etiopica, che Mussolini aveva cominciato a nutrire fin dal termine della prima guerra mondiale. Malgrado i suoi trascorsi pacifisti, emersi specialmente al tempo della guerra di Libia, Mussolini teneva nel cassetto il « dossier» Etiopia, pronto a tirarlo fuori appena le circostanze glielo consentissero, per vendicare Adua e dare all'Italia un impero, visto come solo mezzo per allinearsi alle potenze mondiali. Tuttavia, quando si decise a farlo, il colonialismo aveva raggiunto l'apice, da cui sarebbe iniziata la parabola discendente. Egli - nonostante la vittoria sul campo e nelle schermaglie diplomatiche - giungeva tardi a quello che la terminologia fascista definiva « l'appuntamento con la storia». Suvich invece, nei quattro anni in cui rimase al fianco di Mussolini - quale sottosegretario agli affari esteri, non nascose il suo pensiero, nel senso che considerava realisticamente incompatibili le due alternative : la conquista di un impero in Africa e la difesa delle frontiere settentrionali dell'Italia, che non erano certo minacciate da un'Austria smembrata e ridotta ai minimi termini dai trattati di pace, ma lo sarebbero state se a quel­ l'Austria fosse subentrato uno Stato tedesco teso a recuperare il terreno perduto e a vendicare una sconfitta che non considerava tale. Mussolini, quando seguiva la logica del suo primo collaboratore, non poteva non dargli ragione, ma sperava nella sua «buona stella» ed in . . . Hitler. Questi, giunto al potere trascinato da folle entusiaste, si premurò di confermare al suo « maestro duce» quanto quest'ultimo aveva già appreso dalla lettura del Mein Kampj, che cioè la Germania nazista avrebbe rinunciato a reclamare il « Sudtirol» pur di stabilire con l'Italia fascista una partnership politico-ideologica indistruttibile ; mentre l'Eu­ ropa orientale costituiva il « Lebensraum» naturale per la Germania, Hitler riconosceva all'Italia il diritto ad espandersi sulla direttiva Mediterraneo-Africa. Mussolini, quindi, almeno prima di fare la cono­ scenza del Fiihrer (Venezia, giugno 1 934), coltivava la speranza che questi fosse disposto a rinunciare non soltanto all'Alto Adige, ma anche all'A nschluss. Ma, dopo quel primo incontro, si accorse che


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Suvich aveva ragione. Anch'egli si pose allora l'alternativa via :libera all'A nschluss o conquista dell'Etiopia, ma la risolse a favor� dell'impero. Infatti, dopo che, nel luglio successivo, aveva inviato le truppe al Brennero per imporre l'altolà a Hitler in seguito all'assassi�io di Dollfuss, non passò molto tempo prima che, in un discorso alla Camera (luglio 1 935), esclamasse : « Non possiamo fossilizzarci al Bren­ nero ». Con ciò intendeva dire che, se l'A nschluss era il prezzo da pagare a Hitler per avere il suo pieno consenso all'impresa etiopica, egli era disposto a pagarlo : l'impero occupava dunque il primo posto nella scala delle mete esterne del duce. Qualcuno continua a chiedersi quando Mussolini prese la decisione di passare da una politica estera da mediatore ad una offensiva, impli­ cante l'acquisizione dell'Etiopia. Penso che abbia ragione chi indica nel luglio 1 932 la data-chiave a questo riguardo ; il segnale della «svolta» fu dato dal cambio della guardia a palazzo Chigi, da cui sloggiò l'« amico-nemico» Grandi, accompagnato da altri fautori della Società delle nazioni. Mussolini riassunse la direzione del Ministero degli esteri, contor­ nandosi di funzionari - burocrati capacissimi, ma alieni da ambizioni politiche - quali Suvich, che divenne, come sottosegretario, il numero uno a palazzo Chigi (dove il duce, salvo nelle prime settimane, non mise più piede), e come Aloisi, suo capo di gabinetto. Mussolini pensava che, se le sue ambizioni imperiali avessero dovuto passare al vaglio di Ginevra, sarebbero state come minimo ridimensio­ nate ; preferiva, invece, passare attraverso i rapporti bilaterali con i «gran­ di » d'Europa : Inghilterra, Francia e, in una prospettiva futura, Germa­ nia. In questo senso cominciò subito a negoziare con la Francia, con cui restava tuttora aperto un vasto contenzioso, nel quale egli avrebbe sicuramente trovato qualcosa da far valere quale merce di scambio. L'ideale tuttavia sarebbe stato riunire all'Italia le tre potenze men­ zionate in un «patto a quattro», che avrebbe di fatto esautorato la Società delle nazioni, almeno in Europa. Sia Suvich che Aloisi lo assecondarono nel migliore dei modi in questa linea. Ma, in un primo tempo, essi credettero che il duce fosse realmente interessato ad ottenere la sottomissione dell'Etiopia, se possibile paci­ ficamente, attraverso il decisivo consenso dei grandi d'Europa e senza rinunciare alla difesa dell'indipendenza dell'Austria. Perciò un Suvich,

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che si sentiva personalmente vincolato al mantenimento della « piccola Austria» creata dai trattati di pace, era più favorevole all'intesa con la Francia, anch'essa avversa ad ogni prospettiva di A nschluss. Il «patto a quattro » - scrive Suvich nelle memorie - serviva a Mus­ solini per imbrigliare Hitler attraverso il riconoscimento della Glei­ chsberechtgung (parità di diritti). Comunque il patto non entrò mai in vigore. Progredirono, invece, le relazioni dell'Italia fascista con la Francia di Lavai e Flandin. I negoziati itala-francesi sfociarono negli accordi di Roma del gennaio 1 935 : l'Italia vi faceva concessioni su terreni fino ad allora considerati intoccabili come lo statuto degli italiani di Tunisia - e non era chiaro che cosa ottenesse in cambio. Successivamente Lavai ottenne l'adesione del ministro degli esteri inglese Hoare ad un piano che dava praticamente all'Italia il controllo dell'intera Etiopia e la sovranità su una buona parte dello Stato. Rimaneva in vigore l'accordo con la Francia del 1 906. Era più di quanto si potesse ragionevolmente attendere da un'In­ ghilterra che fino ad allora aveva tenacemente avversato la penetrazione italiana in Etiopia. Ciò nonostante il duce non apparve soddisfatto ai suoi collaboratori ; al contrario, non batté ciglio quando apprese che il parlamento inglese aveva respinto il piano, costringendo alle dimissioni il governo Baldwin-Hoare. Nessun altro governo "inglese avrebbe potuto fare all'Italia fascista concessioni paragonabili a quelle incluse nel piano Hoare-Laval. Suvich non ebbe allora più dubbi sulle effettive intenzioni di Mus­ solini in Africa : voleva a tutti i costi un impero, ma lo voleva conquistare, non attenerlo in regalo servitogli su un vassoio d'argento dalle grandi potenze. Solo così avrebbe vendicato Adua, ridando credibilità e lustro al soldato italiano. Tuttavia, se questa era la volontà del duce, egli aveva bisogno di una contro-assicurazione in Europa, che non poteva venirgli dalla Francia e tanto meno dall'Inghilterra, ma solamente dalla Germania nazista : nella sua paranoica « ricostruzione» del mondo, Hitler non aveva forse indicato in Mein Kampf che l'espansionismo italiano doveva proiettarsi in Africa? Ma, in quanto unico appoggio rimasto al duce, quello nazista diveniva automaticamente più caro : l'annessione dell'Austria al Terzo Reich era, da quel momento, inevitabile .


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Fulvio Suvich e l'Etiopia

Inoltre, nell'ottica hitleriana, più Mussolini s'impegnava in Etiopia - sia come impiego di soldati e di armi, sia come duratà delle <:>pera­ zioni belliche - più alla fine sarebbe divenuto dipendente da.lla. Ger­ mania nazista 1 • Suvich vedeva chiaramente questi sviluppi della politica africana del duce e non aveva remote nel sottoporli alla sua attenzione, nel tenta­ tivo di fargli cambiare parere : in due appunti di indubbio valore storico (gennaio e febbraio 1 936), il sottosegretario agli esteri mette in rilievo le probabili conseguenze nefaste di una linea politica che avrebbe creato un baratro fra Italia e grandi democrazie europee, facendo allo stesso tempo dell'Italia un satellite di una Germania nazista in costante ed inarrestabile ascesa. L'occupazione della Renania da parte di truppe naziste (marzo 1 936) fu la prima delle predette conseguenze. Non si può negare che Hitler contro il parere dei feldmarescialli giocò d'azzardo in questa occasione, perché le forze anglo-francesi erano ancora superiori. Ma è altrettanto vero che egli calcolò che non si sarebbero mosse perché i rispettivi governi erano troppo impegnati con l'intervento italiano in Etiopia. D'altra parte non tutto andò secondo le previsioni del Fuhrer : per esempio le forze d'occupazione italiane, dopo una certa pausa, ripresero l'offensiva, sgominando gli etiopici in tempi nettamente inferiori a quelli preventivati da Hitler (ed anche dagli anglo-francesi). Non si verificò quindi quel logorio psico-fisico delle forze armate di Mussolini su cui aveva puntato il Fiihrer per imporsi all'Italia e farne un inferiore e docile alleato. In compenso, militari italiani e tedeschi si trovarono a combattere uniti in appoggio al generale Franco nella guerra civile spagnola: questo fatto cementò i rapporti fra i due paesi, rendendo alla fme ineluttabili prima l'Asse e poi il «patto d'acciaio». Quando si concretò l'alleanza itala-tedesca, Suvich non era più il numero uno di palazzo Chigi, dove s'era installato come ministro Galeazzo Ciano, allora ben visto a Berlino, contrariamente al suo predecessore. La svolta filotedesca di Mussolini spiega il nuovo cambio

della guardia al Ministero degli esteri, dove sarebbe stato comunque difficile mantenersi ad un Suvich, il quale ancora nel febbraio 1 936, scriveva coraggiosamente al duce, in uno dei citati appunti, che «sacrificare» l'Austria sarebbe stato a suo modo di vedere «un co­ lossale errore». Per quanto riguarda specificatamente la politica etiopica di Mussolini - che fu all'origine dell'abbandono dell'Austria - Suvich, come Aloisi, seguì puntualmente le direttive del capo del governo, ma �uando . con le ba10nette s'accorse che questi voleva un impero conqmstato e niente di meno, fece il possibile, confortato dallo « staff» di palazzo Chigi, per indurre Mussolini a non troncare i negoziati con �rancia e Inghilterra, da cui - ne era convinto - avre�be pot�to ncavare . come . Et10p1a, molto, in termini di penetrazione politico-econom1ca m contropartita non soltanto della conferma dell'opposizione all'Anschluss, ma anche, più generalmente, dell'abbandono dei vincoli speciali che, come alternativa, avrebbe potuto stringere con la Germania nazista. Ma questi tentativi risultarono vani, perché Mussolini aveva . già fatto una scelta di parte e non intendeva assolutamente defletterv1, se non altro per sfatare la reputazione di poca affidabilità che accompagnava l'Italia dal tempo della prima guerra mondiale : non sembra che al capo del fascismo piacesse il valzer.

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1 È stato appurato che, nella fase iniziale della guerra etiopica, Hitler inviò segretamente armi al negus, al fine di rafforzare militarmente l'Etiopia e, per riflesso, rendere più difficile e prolungare nel tempo l'impresa italiana.

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costituito il tratto distintivo di maggior rilievo rispetto a contempora­ nee parabole politiche come quella tedesca, cogliere l'autentica natura di quei movimenti, individuare i delicati e spesso intricati meccanismi della loro formazione, soppesarne la reale capacità di incidere nelle diverse congiunture politiche significava analizzare criticamente uno dei fondamentali meccanismi di sviluppo della storia dell'Italia liberale2• Si può discutere l'affermazione di Vigezzi relativa al ruolo della politica estera come fattore decisivo del destino del paese nell'età liberale. Sicuramente il periodo intercorrente tra l'Unità e la prima guerra mondiale non appare omogeneo da questo punto di vista e va scandito cronologicamente in sottoperiodi tra loro differenziati. Ma non c'è dubbio che, a partire dagli anni Ottanta, le ragioni della politica estera acquistarono un ruolo via via più rilevante nella storia del paese e che, dopo lo scacco subito in Tunisia ad opera della Francia, almeno fino alla conclusione della guerra di Libia, gli interessi politico-strategici ed economico-sociali dell'Italia nello scacchiere del Mediterraneo e comunque la convinzione crescente dell'importanza dell'occupazione di territori extraeuropei da parte delle potenze del vecchio continente giocarono un ruolo determinante nella stessa stra­ tegia delle alleanze adottata in Europa dal governo italiano. L'importanza di un esame sistematico della stampa quotidiana in rapporto a quella componente essenziale della politica estera italiana che fu, a partire dagli anni Ottanta, l'espansione coloniale, non ha bisogno quindi di particolari sottolineature. Per quanto rilevanti pos­ sano essere apparsi i limiti qualitativi e tecnico-finanziari del giornali­ smo italiano della seconda metà dell'Ottocento e per quanto ingom­ branti possano essere stati gli ostacoli frapposti alla sua diffusione e alla sua crescita qualitativa dagli elevati livelli di analfabetismo esistenti soprattutto nel Mezzogiorno, ad un esame non certo completo, ma comunque abbastanza esteso delle maggiori testate su scala nazio­ nale, appare al di fuori di qualunque dubbio che nell'ultimo ventennio del secolo la stampa quotidiana era ormai il mezzo di comunicazione di massa più diffuso ed importante del paese e che esso giocava un

GUIDO PESCOSOLIDO

A lle origini del colonialismo italiano: la stampa italiana e la politica coloniale dell'Italia dal rifiuto di intervento in Egitto alla vigilia dell'occupazione di Massaua ( 1882- 1884)

Qualche anno addietro Brunello Vigezzi, in una rassegna critica degli studi realizzati in Italia dopo il 1 945 sul rapporto tra politica estera ed opinione pubblica dal 1 870 al 191 4, rivendicava a quel rapporto un'importanza centrale nello svolgimento dell'intera storia italiana dall'Unità alla prima guerra mondiale. Alla lezione chabodiana di una storia della politica estera in cui la componente diplomatica tradizionale si fondesse con quella delle forze che agivano nel profondo del patrimonio ideale e sentimentale del paese Vigezzi assegnava una insuperata capacità evocativa ed esplicativa non solo della natura dei rapporti politici internazionali, ma dello sviluppo storico complessivo dell'Italia liberale. Gli studi più generali dei Morandi, dei Maturi, dei Torre e le sia pur disorganiche, ma comunque numerose, iniziative di ricerca più specifiche e settoriali della generazione successiva avevano infatti sostanzialmente ribadito, secondo Vigezzi, che la politica estera dell'Italia liberale, p ur essendo stata costretta a cercare « spesso a ten­ toni la sua via», aveva « finito comunque con il divenire una forza prepotente, trascinante, esclusiva» fino a « determinare, in ultima analisi, il destino » del paese 1 • E trattandosi di un paese nel quale sia nel processo di unificazione che nella successiva conduzione dei rapporti con l'estero il ruolo dei movimenti d'opinione pubblica, in quanto dimensione più o meno obbligata della vita politica e sociale, aveva

1 B. VrGEZZI, Politica estera e opinione pubblica in Italia dal 1870 al 1914. Orimtamenti degli studi dopo il 1945 e prospettive della ricerca, in Opinion publique et politique extérieure, I, 1870- 1915, Colloque organisé par l'Beole française de Ro!lte et le Centro per gli studi di politica estera e opinione pubblica de l'Université de Milan, Rome, 13-16 février 1980, Università di Milano - Ecole française de Rome, 1 981, p. 1 1 8. (Collection de l'Ecole française de Rome, 54).

2 Ibid. , p. 95

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ruolo di prim'ordine nella determinazione e nella legittimazione delle strategie e degli esiti della lotta politica interna. Lo confermano · i suoi legami stretti e sistematici con il mondo politico e la puntualità con cui i principali temi della lotta politica interna ed estera vi venivano trattati. Le imprese coloniali, in particolare, vi occuparono sin dall'ini­ zio uno spazio enorme, al punto da costituire, come ha giustamente sottolineato Valeria Castronovo, una spinta molto energica all'incre­ mento delle tirature e all'evoluzione dell'intero settore verso più moderne forme organizzative. Pur in presenza quindi di lavori d'insieme come quelli di Battaglia, Rainero, Del Boca, ma anche, a suo tempo, dello stesso Ciasca 3, nei quali larga attenzione fu prestata ai commenti degli organi di stampa più rappresentativi e diffusi sugli avvenimenti di politica coloniale italiana, ho ritenuto che un esame più esteso ed articolato del dibattito sviluppatosi nella stampa italiana dal 1 882 al 1 896 potesse risultare di una qualche utilità ai fini di una più larga e in qualche caso più corretta comprensione del rapporto intercorso tra movimenti d'opi­ nione pubblica e politica coloniale italiana dalle sue origini sino alla sconfitta di Adua. I primi risultati di queste ricerche, relativi all'acqui­ sto della baia di Assab e agli avvenimenti compresi tra il rovescio di Dogali e la tragedia di Adua, sono stati resi noti in due saggi ai quali mi permetto di rinviare per l'esame dettagliato delle prese di posizione delle maggiori testate nazionali su quegli avvenimenti specifici 4• In questa sede vorrei invece concentrare l'attenzione sulle vicende inter­ corse tra il rifiuto di intervento in Egitto al fianco dell'Inghilterra nel 1 882 e la vigilia dello sbarco di Massaua; su un periodo cioè che,

sotto il profilo strettamente coloniale, a parte l'acquisto della baia di Assab, peraltro dalla stampa scarsamente enfatizzato, non appare con­ trassegnato da iniziative tali da far supporre un elevato livello di mobilitazione dell'opinione pubblica, e che invece offre la sorpresa di un'attenzione assai accentuata e crescente per il fenomeno coloniale, consentendoci di comprendere meglio quali motivazioni e in quale clima dello spirito pubblico la classe politica italiana giunse alla svolta del 1 885. La prima conclusione che un esame della stampa di quegli anni permette di trarre è che il primo fenomeno di grande coinvolgimento degli organi di informazione quotidiana nelle tematiche coloniali non si ebbe con l'occupazione di Massaua, come è stato inteso anche dal Castronovo nella sua storia della stampa italiana 5, bensì tre anni prima, nel 1 882. Inoltre esso non fu legato all'acquisto della baia di Assab, come potrebbe far supporre lo spazio che al primo possedimento italiano d'oltremare hanno dedicato nelle loro opere storici di epoca e formazione diversissina, come Mondaini o Ciasca, Battaglia o Raine­ ro, e poi tutta una schiera di studiosi minori che non è certo il caso di richiamare in questa sede. Esso nacque invece in occasione del rifiuto italiano di intervenire in Egitto a fianco dell'Inghilterra nel luglio del 1 882. Scorrendo la stampa del 1 882 e degli anni immediatamente successivi si può facilmente constatare come a quello che in epoca fascista fu poi retoricamente definito «il primo balzo verso l'impero» i giornali di tutte le tendenze, anche quelli di più decisa propensione filocoloniale, dedicarono uno spazio abbastanza ridotto. Gli articoli su Assab furono sporadici, relegati nelle pagine interne, il più delle volte opera non di giornalisti di professione ma di collaboratori appartenenti all'eterogenea schiera dei geografi, degli agenti di commercio, dei viaggiatori, degli esploratori, dei missionari, i quali raramente assumevano posizioni di principio sulla politica coloniale; i loro interventi vertevano soprattutto sulle possibilità di utilizzazione della colonia ed evitavano di addentrarsi sulle grandi questioni di principio. D'altro canto le modeste dimensioni e le modalità del tutto pacifiche dell'acquisto favorirono una sorta di

3 R. BATTAGLIA, La prima guerra d'Africa, Torino, Einaudi, 1958; R. RAINERO, L'anticolo­ nialistno italiano da A ssab ad Ad11a, Milano, Edizioni di Comunità, 1971; A. DEL BocA, Gli italiani in Africa Orientale, I, Da/1'11nità alla tnarcia SII Rotna, Roma-Bari, Laterza, 1 976; R. C!ASCA, Storia coloniale dell'Italia contemporanea, Milano, Hoepli, 1 940. Per un'aggiornata messa a punto della più recente letteratura sul colonialismo italiano si veda la rassegna di R. RAINERO, Gli st11di sul colonialismo italiano, in Gli studi africanistici in Italia dal '60 ad oggi, A tti del convegno, Roma 25-27 giugno 1985, Roma, Istituto Italo-Africano, 1986, pp. 95-110. 4 G. PEscosoLIDo, Il dibattito coloniale nella sta111pa italiana e la battaglia di A dua, in « Storia contemporanea», 1 973, 4, pp. 675-71 1 ; A ssab nella sta111pa italiana dal /882 al /885, in «Nuovi annali della Facoltà di magistero dell'Università di Messina», 1 983, 1 , pp. 523-544.

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V. CASTRONOVO, La stan1pa italiana dall'unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1 973.


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acquiescenza al fatto compiuto anche da parte di quegli organi di stampa che nel contempo assumevano le posizioni di più decisa chiu­ sura contro ogni prospettiva di intervento in Egitto e di impegno di tipo coloniale ad esso connesso. Significativa, al riguardo, la posizione de « <l Secolo » di Milano che, con le sue altissime tirature, costituiva il più importante punto di riferimento dell'opinione pubblica anticoloniale. In un articolo del 1 9-20 aprile 1 882 il foglio milanese esprimeva il suo rifiuto per qualsiasi eventuale politica coloniale italiana, motivandolo col fatto che « l'Italia ha molto da fare in casa sua anziché crearsi impicci in casa altrui»; tuttavia per Assab, dal momento che il governo vi aveva ormai stabilito una stazione commerciale e che l'aveva fatto senza «frodi o violenza», sembrava inutile discutere se si fosse agito «bene o male» ed era preferibile invece cercare di trarre dal possedimento « quei vantaggi che ci si era prefissi ( . . . ) (facendone il) ( . ) centro di una colonia commercialmente importante ed utile stazione navale» 6. Quella de «<l Secolo» non era, d'altro canto, una posizione isolata nell'ambito della stampa di opposizione democratica, radicale o co­ munque di sinistra non governativa. Lo stesso atteggiamento disinte­ ressato, o per lo meno non esplicitamente contrario all'iniziativa, lo ritroviamo anche in altri fogli di democrazia radicale, garibaldina, cavallottiana come «La Capitale» o « La Lega della Democrazia». Del problematico silenzio delle organizzazioni operaiste, anarchiche e so­ cialiste ha parlato efficacemente il Rainero 7• E neppure la stampa cattolica sembrava preoccuparsi troppo del «lillipuziano impero» che l'Italia aveva acquistato in Africa: con attacchi energici e sistematica­ mente concertati se ne occupò solo nel 1 885. In realtà un giudizio inappellabilmente negativo sull'operazione Assab, originato da preclu­ sioni di ordine ideologico verso il colonialismo, si trova solo nella stampa mazziniana. Per il resto, nonostante i ristretti margini con cui

fu approvata in Parlamento la legge per Assab e nonostante le diver­ genze di vedute sulle possibilità di utilizzazione del piccolo possedimen­ to, nessuno pose veramente in discussione il fatto compiuto. La stessa stampa governativa non diede gran risalto all'avvenimento, impegnata com'era nella delicata gestione del ben più rilevante problema egiziano. La risonanza degli eventi egiziani e lo spazio ad essi riservato appaiono in effetti di gran lunga maggiori. Fu in relazione ad essi che colonialismo e anticolonialismo divisero profondamente l'opinione pubblica nel primo grande dibattito sulla politica estera italiana in cui era contemplata la possibilità di una operazione anche di tipo coloniale, ossia l'occupazione con la forza di un territorio straniero al quale non si attribuiva alcun carattere di italianità. Gli articoli pro e contro la politica anglo-francese in Egitto e poi pro e contro un eventuale diretto intervento dell'Italia a fianco dell'Inghilterra si susseguirono senza sosta nelle prime pagine dei giornali sin dall'inizio del 1 882, in un crescendo che toccò il suo acme nel mese di luglio e che si attenuò solo parzialmente col soprag­ giungere dell'autunno. Fu un dibattito che, peraltro, non cessò con la decisione italiana di non intervenire in Egitto, ma si protrasse ancora con una certa intensità durante l'inverno, per poi infiammarsi di nuovo nella primavera del 1 883 e durare in pratica ininterrottamente sino all'impresa di Massaua. In esso troviamo analizzate le principali linee della politica estera italiana e i termini già pressoché definiti della successiva polemica pro e contro la politica coloniale italiana. Già nel corso di questo dibattito lo schieramento anticolonialista manifestò, nonostante il successo riportato nel 1 882, tutte le indecisioni, le incertezze, le divisioni poste in luce dal Rainero e che culminarono successivamente nel cedimento di personaggi di primo piano anche dell'area social-marxista come Arturo ed Antonio Labriola, Romeo Soldi 8, Giuseppe De Felice Giuffrida 9 al mito della colonia socialista. Il fronte colonialista vi mostrò invece, sotto la veste di una retorica già altisonante, la sua vitalità, la sua capacità di aggregare consensi crescenti, di mobilitare e coinvolgere l'opinione pubblica e di condi-

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6 Sulla posizione possibilista manifestata da «<l Secolo» già nel 1 881 si veda l'equilibrata ed acuta nota critica al volume di Battaglia scritta da R. CoLAPIETRA, L'Italia in Afi'ica da Assab ad A dua, in «Belfagor», 1959, 3, p. 269. 7 R. RAINERO, L'anticolonialismo italiano... cit., pp. 43 e seguenti.

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8 Ibid. , pp. 233-236, 303-304, 350. 9 F. RENDA, L'emigrazione in Sicilia, 1652- 1961, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1989 2, p. 72.


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zionare la classe dirigente, sulla scorta di argomentazioni di carattere politico-diplomatico ed economico-sociale di notevole forza persuasiva in un'età come quella dell'imperialismo. Seguendo il dibaùi�o del 1 882-85 si può comprendere meglio come e perché lo stesso ministro degli esteri Pasquale Stanislao Mancini, che rifiutò di intervenire in Egitto in nome degli ideali risorgimentali di indipendenza dei popoli, decise poi nel 1 885 l'occupazione di Massaua. In effetti il rifiuto di intervento in Egitto non va considerato come una vittoria facile e tranquilla delle forze anticolonialiste. Esso fu al contrario il frutto di una decisione presa dal governo tra forti dubbi e profonde spaccature dell'opinione pubblica e delle forze politiche. La stessa condanna, da parte della stampa italiana, del bombardamento inglese di Alessandria dell'1 1 luglio 1 882, basata su motivazioni di ordine umanitario e indipendentistico-risorgimentali, non fu così una­ nime come si potrebbe pensare sulla scorta di un esame limitato alla sola stampa di ispirazione democratica 1 0 • Proprio quando l'Inghilterra si decise all'intervento militare diretto, si spezzò quel fronte antinglese e antifrancese nel quale, sin dall'inizio dell'anno, era confluita la stampa italiana di ogni colore politico sulla base di motivazioni soprattutto di ordine politico-strategico, anche se alquanto diversificato tra loro. Se non era, infatti, mancata una difesa di principio del diritto degli egiziani all'autodeterminazione, era parso tuttavia abbastanza chiaro che alla base dell'atteggiamento dei maggiori organi di informazione italiani stava, oltre che la preoccupazione per gli interessi della colonia di emigrati italiani in Egitto, soprattutto il timore che un'eventuale espansione dell'influenza inglese sul canale trainasse un intervento francese che avrebbe costituito per l'Italia, dopo il rovescio subito in Tunisia, un colpo difficilmente sopportabile per il suo prestigio e la sua posizione di potenza mediterranea. Dell'importanza, oltre che strategica e politica, anche economica dell'Egitto si erano dichiarati pienamente consapevoli non solo fogli governativi come « <l Diritto » o di ispirazione moderata come « La

Perseveranza» o di appartenenza crispina come « La Riforma», ma anche testate come « La Lega della Democrazia», che aveva ospitato una serie di articoli di Gabriele Rosa tesi ad illustrare l'importanza delle risorse economiche egiziane, o come « La Capitale», che si era soffermata ripetutamente sulla consistenza della colonia di emigrati italiani in Egitto. E tuttavia anche per i fogli di democrazia radicale il pericolo di un allargamento dell'influenza inglese e francese era stato . presentato, a primavera inoltrata, come la maggiore fonte di preoccu­ pazione per l'Italia. Secondo la « Lega» le condizioni del risanamento . finanziario del regime di Araby pascià non potevano essere imposte all'Egitto né dalla Francia né dall'Inghilterra, ma dall'Europa, e per quanto riguardava l'Italia, « essendo nazione unicamente marittima» (non poteva) « vedersi chiudere in viso l'ultimo approdo nel Mediter­ raneo» 1 1 • In difesa del diritto degli egiziani all'autodeterminazione era accorso sin dal 1 5 gennaio il giornale di Crispi con un titolo « L'Egitto agli egiziani» che avrebbe avuto poi enorme fortuna, ma strettamente connessa alla difesa dell'indipendenza egiziana, era stata sùbito posta la questione politico-strategica. Per «La Riforma» erano chiarissime le mire della Francia e dell'Inghilterra che, sotto le parole di progresso e di civiltà, celavano concreti interessi da salvaguardare e precisi intenti di dominio da realizzare. L'esclusione dell'Italia da quel settore ne­ vralgico del Mediterraneo, secondo il giornale di Crispi, avrebbe costituito un grave colpo per l'Egitto, perché l'Italia non aveva Indie da garantire né prepotenze da esercitare e non poteva considerare il partito nazionale egiziano che come «ci piacque a suo tempo fosse considerato dal mondo il partito d'azione italiano». Di fronte al pericolo di emarginazione dell'Italia dall'area del canale il foglio cri­ spino non aveva avuto esitazioni: bisognava cercare un accordo con le potenze centrali « per impedire che l'azione franco-inglese si cangi in occupazione». La scarsa energia mostrata dal governo nel perseguire questo obiettivo era stata poi presa a pretesto, lungo tutto l'arco del

1 0 Sulla compattezza antinglese della stampa democratica, operaista, repubblicana e radicale si veda R. RAINERO, L'antico/onialismo italiano. . . cit., pp. 70 e seguenti.

1 1 «La Lega della Democrazia», 25 mag. 1 882. Sulle vicende del foglio di Bertani in quel periodo cfr. F. NAsr, Agostino Bertani editore, in IJ giornalismo italiano dal 1861 al 1870, Torino, Edizioni 45° parallelo, 1 966, pp. 1 78-179.

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primo semestre dell'82, per muovere attacchi continui .al Ministero: « La colpa è solo del Governo e della sua politica svirilizzata, _piena di paura e di viltà, che ha relegato l'Italia in una posizione di jnfimo grado. A questo punto si congedi l'Esercito e la Marina e si coltivi la terra e si maturino frutti per palati stranieri» 12• Anche il « Corriere della Sera» aveva presentato, sin dall'inizio del 1 882, l'accordo con le potenze centrali come l'unica prospettiva che avesse un minimo di possibilità di successo per la salvaguardia degli interessi italiani in Egitto, l'unica alternativa ad un intervento an­ glo-francese che si prospettava a tutti come un ulteriore tremendo colpo alla posizione italiana nel Mediterraneo e come una possibile riapertura della questione d'Oriente13• Per « La Nazione» solo « l'Eu­ ropa» aveva « il diritto ad intervenire» in Egitto 14 dove, precisava, il movimento nazionale era rivolto soprattutto contro «i divoratori di stipendi anglo-francesi» 15 • « <l Caffaro » si era dichiarato addirittura certo dell'esistenza di un'intesa fra l'Italia e le potenze centrali 16• Per Ottone Ruga, autore di numerosi articoli sulla questione egiziana, l'esistenza di tale intesa era scontata: « Ove l'instabilità politica si traducesse in disagio finanziario è positivo il fatto che sarebbe un intervento delle sei Potenze a decidere e non solo di due » 17• Molto meno certa dell'intervento europeo era stata invece « L'Opi­ nione», in un articolo veramente sorprendente per lucidità e preveg­ genza. Già il 1 6 gennaio il foglio moderato aveva affermato che alla fine l'Europa si sarebbe guardata dall'attraversare seriamente gli inte-

1 2 Era questa la conclusione di un articolo de «La Riforma» del 14 maggio 1 882 intitolato Si soffoca. Su «La Riforma», di cui Primo Levi dal 1 879 divenne redattore capo, cfr. P. Levi, Trent'anni di giornalismo, Roma, 191 1 ; E. PISCITELLI, Francesco Crispi, Primo Levi e la <<Riforma», in «Rassegna storica del Risorgimento», 1950, 37, pp. 41 2 e seguenti. 1 3 « Corriere della Sera», 8-9 feb. 1 882. 1 4 «La Nazione», 3 feb. 1 882. Sul foglio fiorentino in quel periodo cfr. M. RISOLo, Tappe e tllotnenti di un secolo di vita, in «La Nazione» nei suoi cento anni, 1859- 1959, Bologna, Tip. «<l Resto del Carlino», 1959, pp. 43-44; L. SALVATORELLI, La politica estera, ibid., pp. 1 51-152. 1 5 «La Nazione» del 10 febbraio 1 882. 16 « <l Caffaro», 5 feb. 1982. Sulla sua nascita, avvenuta nel 1 874 come contraltare al moderato « Corriere mercantile», cfr. V. CAsTRoNovo, La stampa italiana. . . cit., p. 77. 1 7 «<l Caffaro», apr. 1 882.

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ressi anglo-francesi; dietro opportuni compensi sia l'Austria che la Germania avrebbero lasciato la Francia e l'Inghilterra libere di espan­ dersi in Africa e l'Italia sarebbe rimasta « a bocca asciutta». In questa prospettiva un intervento turco non sarebbe stato da respingere, anzi, da incoraggiare, vista l'importanza della posta in gioco 18• Ma di fronte all'incapacità italiana di trovare una concreta alternativa al sempre più incombente pericolo anglo-francese e al sempre più problematico intervento delle potenze centrali, l'atteggiamento del foglio moderato si era caricato di umori antigovernativi sempre più accentuati, anche se non del tono di quelli de «La Riforma», per la quale «Abdicare sempre e dappertutto, farsi piccini, non prendere nessuna risoluzione contrapporre la più desolante apatia, alla forza degli avvenimenti che incalzano . . . » 19 era la deprimente e sconcertante linea adottata dalla politica estera italiana in quei mesi. A maggio per « La Nazione» l'Italia era stata ed era « giocata e lasciata da parte come un principato di Monaco qualunque»; le potenze avevano «fatto e di­ sfatto ( . . . ) senza preoccuparsi minimamente se i loro accordi ledono e diminuiscono gli interessi ed il prestigio dell'Italia sulle rive del Nilo »; il governo aveva fatto una politica «imbelle, inabile, inerte»20• Sembra dunque abbastanza evidente che per molti organi di stampa la salvaguardia dell'indipendenza egiziana era in realtà poco più che un pretesto per coprire interessi di carattere politico e per renderli più accettabili a quella parte dell'opinione pubblica italiana ancora sensibile al richiamo di ideali di natura risorgimentale o comunque contraria ad eventuali operazioni di conquista. Il vero motivo unificante della

18 Cfr. «L'Opinione», 1 6 mar. 1882. Il 15 aprile la tesi filo-turca era riproposta nuovamente:

«Noi desideriamo che l'Egitto venga sottratto a qualunque eccessiva ingerenza di una o più Potenze a detrimento di altre. La dipendenza dell'Egitto dalla Turchia ha lunghe tradizioni e non turba gli interessi di alcuno. Certo la preferiamo alla dipendenza dell'Egitto da qualunque altro Stato che si attribuirebbe la parte del leone.. . in Egitto abbiamo interessi molteplici e per noi la politica più savia è quella che meglio serve a tutelarli tutti complessi­ vamente e farci. riacquistare quella parte di influenza che legittimamente ci spetta nelle cose d'Oriente». In generale sulla posizione dell'autorevole foglio moderato nel 1 882, cfr. V. CASTRONOVO, La stampa italiana. . . cit., p. 92. 1 9 « La Riforma», 24 mag. 1 882. 20 « La Nazione», 17 mag. 1 882.


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ortanza polemica antinglese era stata la piena consapevolezza d.ell'imp sarebbe economica, politica e militare dell'Egitto e del grave danno che vo derivato all'Italia da una eventuale assunzione di controllo esclusi di esso da parte anglo-francese. m Fu in questo clima che giunse la notizia del massacro, avvenuto arabi. Egitto 1'1 1 giugno, di cittadini europei ad opera di estremisti chi A quel punto l'intervento armato sembrò inevitabile e non mancò Cairo lo richiese subito in toni concitati. Scriveva il corrispondente dal pa l'Euro le: del «Fanfulla»: « Occorre una vendetta pronta e terribi non deve esitare; sia qualunque il sacrificio ( . . ) « deve colpire imme­ diata e tremenda: pensi che si tratta di Berberi fanatizzati, la specie re più pericolosa dell'uomo bestia. Quanto all'Italia ( . . . ) il non insiste epoca fino all'ultimo per avere una di quelle riparazioni che fanno di nza nella storia, sarebbe la sua morte morale in Oriente» 21 . L'urge l­ iniziative per proteggere gli europei era ammes sa da tutti, ma natura to mente si cercava più che mai di favorire un intervento del concer in nto raggiu europeo 22 per non compromettere l'accordo triplicista della maggi o. Anche per «La Nazione» del 1 8 giugno 1 882 «<l seme a civiltà europe a», in Egitto era «minacciato da una plebe fanatic rio, e selvaggia e da una sfrenata soldatesca ( . ). Un intervento è necessa inevitabile, e forse un'occupazione temporanea dell'Egitto con truppe fa europee sarebbe l'espediente migliore, ma se alla diplomazia essa come ombra, vi si lascino andare, in nome di Dio, truppe turche, ma dun­ mandatarie dell'Europa e sotto sindacato europe o ». La proposta, rtunità l'oppo que, formulata sin dal febbraio da « L'Opinione», circa di un intervento della Turchia, veniva ripresa ora con insistenza anche ativa. da altri fogli moderatF3 e fatta propria anche dalla stampa govern

L'avvenimento che determinò un incrinarsi di questo compatto fronte antinglese fu proprio il bombardamento di Alessandria dell'1 1 luglio 1 882, che segnò l'inizio della campagna militare, culminata nella battaglia di Tel-el-Kebir, con cui l'Inghilterra, rotti gli indugi, liquidò da sola il movimento nazionale egiziano capeggiato da Araby Bey. , E vero, infatti, che la stampa democratica reagì con proteste viva­ cissime. Per « La Capitale» « Gli Egiziani hanno la sola colpa di do­ mandare che l'Europa non li sfrutti e lasci loro la terra loro ( . . . ) » 24. «<l Secolo » si impegnò in una violenta requisitoria contro la barbarie inglese, accompagnandola con una descrizione dettagliata dei luoghi che si stavano distruggendo 25. A queste critiche della stampa radicale si unì, anche se molto cautamente, il « Corriere della Sera». «La Riforma» stessa definì <<Una follia» il bombardamento di Alessandria 26 e la virulenza degli attacchi della gran parte della stampa italiana finì per provocare la reazione di autorevoli organi di stampa inglesi. Ne derivò la dura polemica tra « The Times » e «<l Diritto » ricordata dal Rainero 27, nella quale si inserirono pesantemente anche l'organo con­ servatore inglese « Saturday Review» e «La Lega della Democrazia»28.

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ente riscatto del 2' «Fanfulla», 1 8-19 giu. 1 882. Sullo scandalo Oblieght e il consegu

Maurogonato, Di Rudini «Fanfulla» da parte di Baldassarre Avanzini e dei deputati di Destra . 1 87-9 pp. cit., . . . italiana stampa e Tittoni cfr. V. Castronovo, La volta come 22 Cfr. «<l Secolo », 13-14 giu. e 14-15 giu. 1 882, che ricordava ancora una numero di l'elevato dato l'Italia fosse interessata all'Egitto più di qualsiasi altra potenza, o cfr. Sonzogn Edoardo di giornale del mento italiani colà residenti. Sulla nascita e l'orienta 78-79. pp. cit., . . . italiana sta!ltpa V. Castronovo, La 1 882. 23 Significativi gli articoli de « La Perseveranza» del 21 e del 27 giugno

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24 « L a Capitale», 13-14 lug. 1 882. Sulle posizioni del quotidiano cfr. O. MAJOLO MmiNARI, La sta�npa periodica romana nei/'800, Roma, Istituto di studi romani, 1963, pp. 1 89-1 9 1 . Sulle origini e gli orientamenti del giornale, cfr. anche V. CASTRONOVO, La sta!Jipa italiana. . . cit., pp. 29-30. 25 «<l Secolo», 14-15 lug.; 15-16 lug.; 18-19 lug. 1 882. 26 «La Riforma», 12 lug. 1 862. Anche «L'Opinione» condannò il bombardamento il 14 luglio 1 882. 27 R. RAINERO, L'antico!onialismo italiano. . . cit., pp. 75-76. 28 Da parte inglese si ricordava all'Italia che essa esisteva «in grazia dell'Inghilterra e della Francia . . . » e che la sua gratitudine verso la Francia «si mostrò brillantemente nel 1 870, e la sua gratitudine all'Inghilterra dovea mostrarsi più tardi (. . . ). Unica politica italiana è quella di stare vicino ai combattenti per poi depredare o mendicare la parte di tutte le buone cose imbandite ai banchetti europei, e lamentarsi se l'elemosina non è sufficiente». Passando ad esaminare le varie fasi dell'unificazione si faceva di tutto per minimizzare l'apporto che il popolo italiano aveva dato al Risorgimento nazionale. L'articolo del foglio conservatore inglese era riportato ne «La Lega della Democrazia» del 4 agosto. La risposta del giornale nello stesso giorno fu altrettanto violenta: dopo aver rinfacciato all'Inghilterra l'appoggio dato in passato ai governi più reazionari d'Europa, concludeva che, se aiuto vi fu da parte inglese al Risorgimento, esso era stato solo morale e non dava pertanto «diritto agli inglesi di pretendere che l'Italia, la quale in fin dei conti non ha ripreso che il suo, e non tutto il suo, dia la sanzione, sia pure morale, alla più flagrante violazione del diritto delle genti».

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In realtà proprio con l'inizio delle ostilità si verificarono mutamenti sensibili nell'atteggiamento sino ad allora tenuto verso l'Inghilterra, a partire dalla stampa moderata, alla quale, visto che un intervento militare in Egitto non era più evitabile, visto che il concerto europeo non aveva ritenuto di dover intervenire direttamente e che ancor meno era preoccupato di garantire gli interessi italiani nel Mediterraneo, visto che, nonostante tutte le precedenti proteste, l'Inghilterra in Egitto era ormai intervenuta ugualmente, l'unico modo per cercare di salvare il salvabile cominciò ad apparire quello di non irritare quest'ultima con inutili invettive giornalistiche, poiché essa soltanto poteva ormai proteggere concretamente gli italiani ed i loro averi, e per di più condizionava Assab da Nord e da Sud. Questa, in sintesi, era la posizione di un organo come «La Perseveranza», fortemente avverso ad un intervento inglese fino all'1 1 luglio, e che già il 1 3, e poi il 21 luglio si chiedeva invece se non fosse il . caso di aiutare l'Inghilterra a rimettere ordine nella situazione egiziana. Questo rapido voltafaccia non deve stupire. Esso in realtà conferma che in definitiva i timori maggiori erano causati non tanto da un intervento inglese quanto da quello francese, Di fronte alla realtà di un'Inghilterra che si muoveva senza l'intervento congiunto della Fran­ cia, per la stampa moderata i discorsi sull'indipendenza egiziana passa­ vano assolutamente in secondo piano e l'interesse primario diveniva che l'operazione inglese avesse successo, anche a costo di un eventuale intervento di parte italiana per favorirlo. E fu appunto in questo clima di delusione per il mancato intervento europeo, ma anche di parziale, anche se sottaciuta, soddisfazione per il mancato intervento francese, che sopraggiunse al governo italiano quell'invito inglese ad intervenire in Egitto, che all'inizio dell'anno non era stato preso in considerazione da nessuno, nemmeno in via ipotetica. Esso provocò tutta una serie di reazioni da parte della stampa di ogni colore politico,

con la conseguente definitiva rottura di quel fronte antinglese e fi­ lo-egiziano che aveva cominciato a sfaldarsi già all'indomani del bom­ bardamento di Alessandria. Com'è noto il governo italiano decise di non intervenire. Le cause addotte dal Mancini per giustificare tale rifiuto furono, secondo il Rainero, «altamente significative essendo sostanzialmente quelle di buona parte dell'anticolonialismo militante». In effetti Mancini si dichiarò « anticolonialista convinto » in nome della « scienza », del «principio di nazionalità» e del «principio del non intervento e quin­ di dell'opposizione del Governo italiano ad ogni ventilato proposito palese o velato di colonizzazione dell'Egitto » 29• Anche la stampa radicale fu subito decisa nel condannare ogni possibile iniziativa italiana in quel settore. « La Lega della Democrazia» di fronte al dilemma « Intervento o non intervento » 30 era sùbito esplicita: non intervento. Poi continuava: « Come? L'esercito italiano ha da muo­ vere ( . . . ) una guerra ingloriosa per assicurare le rendite dei portatori anglo-francesi di cartelle del prestito? »31. Il partito migliore, non v'erano dubbi, era quello di astenersi. Questa posizione di apriori­ stico rifiuto, in nome del diritto degli egiziani all'indipendenza, era condivisa anche da « <l Secolo» 32, e di argomentazioni moralistiche fece largo uso anche quella parte della stampa non radicale né de­ mocratica, ma che era ugualmente contraria all'intervento. In quelle sedi però, anche se apparentemente relegate in una posizione di secondo piano, si avanzavano considerazioni di natura economi­ co-politica, che se da un lato non autorizzano a mettere in dubbio la « genuinità degli attestati anticoloniali» apertamente forniti dal governo attraverso Mancini, dall'altro offrono la possibilità di in-

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29 Cfr. R. RAINERO, L' anticolonialist!IO italiano . . cit., p. 72. 30 Editoriale del 22 luglio 1 882. 31 Già in un precedente articolo del 2 luglio 1 882 sulla situazione generale in Egitto la «Lega» aveva affermato, fra l'altro, che quel paese si trovava «in potestà dei controllori anglo-francesi che lo espilano a beneficio di una società usuraia di banchieri ponendone le rendite in loro balia. . . » e che volevano «perpetuarvi i 1300 impiegati al loro servizio che costano all'Egitto 10 milioni ciascun anno, mentre agli indigeni ogni impegno è interdetto tranne quello del soldato». 32 «<l Secolo», 31 lug.; 2-3 ago. 1882. .

Opinioni, quelle sul ruolo avuto dall'Inghilterra nel processo di unificazione italiana, assai vicine alle tesi autorevolmente sostenute da R. RoMEo nel suo Cavour c il suo tempo, m, Roma-Bari, Laterza, 1 984, pp. 374 sgg., che ha drasticamente ridimensionato il «mito» dell'apporto inglese al Risorgimento italiano.

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terpretare il rifiuto italiano sulla base di motlvl di natura più com­ posita e politicamente attendibile di quanto non consentano dà. sole le preclusioni di carattere ideologico ufficialmente addotte. Il · che rende anche più comprensibile il brusco mutamento di rotta di Mancini nel 1 885 che, secondo Rainero, «non poté non essere una vera conversione» avendo egli solo in via ipotetica parlato di « mo­ tivi pratici quali il problema politico generale dell'Italia specie nel­ l'eventuale dialogo con la Francia ( . . . ) e quali le stesse dimensioni militari dell'impresa» 33. In realtà nella stessa polemica tra « The Times » e « <l Diritto », oltre all'elemento ideologico, fu presente anche una chiara nota polemica antifrancese tendente a smascherare il tentativo di dividere l'Italia dalle potenze centrali per ricacciarla in quello stato di isola­ mento in cui « fino a poco tempo fa si era trovata ( . . . ) facendole balenare agli occhi ciò che meglio lusinga i suoi interessi invitandola a dividere sul Mediterraneo quell'influenza che in ogni modo essa non è disposta ad abbandonare, ma che vuole assicurarsi con un'a­ zione politica più larga e più efficace di quella meschina che le viene proposta» 34• Le perplessità enunciate dall'organo governativo riguar­ davano un problema che venne ripreso e sviluppato anche da altri giornali. È evidente che l'accordo con le potenze centrali, raggiunto nel maggio 1 882, anche se non tale da garantire efficacemente gli interessi dell'Italia nello scacchiere del Mediterraneo, era tuttavia troppo importante ai fini della rottura dell'isolamento in cui fino ad allora l'Italia si era trovata, per rischiare di comprometterlo con un'iniziativa in Egitto. Di queste perplessità si fece interprete « <l Caffaro » 35 e su di esse si soffermò anche « L'Opinione », che il 1 4 luglio precisava « Niente avventure »; se l'Italia « dovesse intervenire non dovrebbe farlo che con l'accordo e la partecipazione dei suoi alleati»; e ancora il 25 luglio « Ai nostri interessi nel Mediterraneo bisognava provvedere a Berlino, ora non un passo che ci separi dal

concerto » 36• Anche la democratica «La Capitale» esprimeva preoccu­ pazioni in tal senso, oltre naturalmente a quelle per il diritto dell'E­ gitto all'indipendenza 37. Questa in definitiva è la chiave più giusta per individuare i motivi più consistenti del rifiuto italiano. Già Croce, del resto, attribuiva il rifiuto ai difficili rapporti che ne sarebbero derivati con le potenze centrali 38 e più specificamente Giuseppe Talamo risolse in modo defi­ nito e persuasivo il problema delle cause del rifiuto italiano: « Non si tratta a nostro avviso né di sentimentalismo né di ideologismo, ma di serie e gravi ragioni di politica internazionale ed interna che egli [Mancini] attentamente ponderò ( . . . ). Gli imperi centrali gli avevano detto e ripetuto in tutti i toni che era sconsigliabile per l'Italia inter­ venire ( . . . ). Avrebbe potuto l'Italia non tenere conto di questi avverti­ menti? Se l'Italia avesse accettato l'offerta inglese, la Francia, con ogni probabilità, o si sarebbe associata all'azione ( . . . ) o avrebbe tentato di impadronirsi della Tripolitania, mentre l'alleanza con gli imperi centrali appena (e faticosamente) conclusa avrebbe corso seri pericoli e la situazione economico-finanziaria avrebbe ricevuto un duro con­ traccolpo»39. D'altro canto i fogli contrari all'intervento aggiungevano a quelle riguardanti la strategia generale delle alleanze considerazioni di ordine politico-militare più specifiche che non vanno sottovalutate. Con quali prospettive, infatti, si sarebbe intervenuti in Egitto, a fianco di una potenza come l'Inghilterra? Perché, anche sorvolando sul problema se l'Italia fosse o non fosse pronta militarmente, non c'erano dubbi che essa sarebbe andata incontro a tutta una serie di incognite connesse al

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33 Cfr. R. RAINERO, L'anticolonialismo italiano. . . cit., p. 73. 34 «Il Diritto », 26 lug. 1882. Sull'organo della Sinistra storica cfr. V. CASTRONOVo, La stampa italiana. . . cit., pp. 29-31 e 87-91. 35 «<l Caffaro» del 21, del 25 e del 28 luglio 1882.

36 Cfr. anche «L'Opinione» del 6 luglio e del 21 luglio, ma soprattutto del 1 6 luglio 1 882. Che l'Italia stesse pagando gli errori commessi al congresso di Berlino e il mancato intervento in Tunisia era anche l'opinione del «Corriere della Sera» del 24-25 luglio 1882, come era opinione dello stesso foglio del 13-14 luglio che in Egitto non si sarebbe intervenuti «a meno che l'Italia non voglia a velleità vendicative momentanee sacrificare i suoi più vitali interessi». 37 Cfr. «La Capitale», 6-7 ago. 1 882. 38 Cfr. B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1967, p. 105. 39 Cfr. G. TALAMO, Il mancato intervento italiano in Egitto nel 1882, in « Rassegna storica del Risorgimento», 1958, 3, p. 448.


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ruolo effettivo che le sarebbe stato assegnato in Egitto, ed in partico­ lare concernenti il comando delle truppe e le garanzie politiche, eco­ nomiche e militari che una potenza come l'Inghilterra le ayrebbe offerto. Per questi motivi «La Perseveranza», che pure abbiamo visto prendere tempestivamente in considerazione l'ipotesi di un intervento a fianco dell'Inghilterra all'indomani del bombardamento di Alessandria, riteneva già il 21 luglio che «il farsi indurre, nella condizione presente dell'Egitto quando già tutto è compromesso nelle mani dell'Inghilterra, ad intervenire con le armi, sarebbe errar grave nel Governo italiano »40• Del fatto che « dopo la vittoria l'Italia rimarrebbe a mani vuote» era convinta anche «L'Opinione» del 25 luglio e «La Rassegna» del 26 luglio si dichiarava incerta sulle possibilità italiane in Egitto. «<l Diritto» infine, nel 1884, con l'intento di chiudere una polemica che durava ormai da quasi due anni, dopo aver ribadito ancora una volta che fra tutte le cause possibili «ve n'era una, la quale a priori escludeva la nostra discesa militare contro gli egiziani, il principio di nazionalità», esaminò accuratamente il rapporto che si sarebbe avuto con l'Inghilterra e precisò che l'Italia non era intervenuta in primo luogo perché l'In­ ghilterra aveva evitato di addentrarsi nei particolari dell'operazione (comando delle truppe, posizione subalterna o meno, luoghi da occupare, garanzie politico-economico-militari); in secondo luogo perché essa «mirava a fare il suo tornaconto servendosi dei nostri uomini e delle nostre armi e relegandoci poi in una posizione di secondo ordine» 41 • Stampa governativa, organi moderati, giornali dell'Estrema forma­ rono dunque un fronte fortemente avverso all'intervento militare in Egitto. Per giustificarlo usarono abbondantemente argomentazioni di tipo ideologico-umanitario che costituivano innegabilmente un rifiuto di qualsiasi politica di aggressione lesiva degli altrui diritti all'indipen­ denza e all'autodeterminazione. In realtà nella stampa governativa e in quella moderata non si fece mistero dei motivi di ordine politi­ co-diplomatico che sconsigliavano l'intervento. Nel fronte antinter­ ventista per molte forze le ragioni etiche ed umanitarie dell'antimpe-

rialismo e dell'anticolonialismo di principio erano già allora molto più deboli di quanto la vittoria conseguita non facesse supporre. Dna vittoria del resto energicamente contrastata dalla stampa crispina, la quale sin da allora assunse posizioni nelle quali si rifletteva abbastanza compiutamente tutto l'armamentario politico-ideologico del nascente colonialismo italiano. Abbiamo visto come « La Riforma», all'inizio del 1 882, si fosse fatta paladina del diritto degli egiziani all'indipendenza e di conse­ guenza avesse condotto un'energica campagna antinglese. Su questa posizione essa rimase fino a luglio; ma all'annuncio della possibilità di intervenire in Egitto il giornale di Crispi operò una rapida inversione di rotta. Il discorso sul diritto degli egiziani all'indipendenza venne messo rapidamente da parte per lasciare spazio ad argomentazioni di tutt'altro tenore. La metamorfosi iniziò il 21 luglio con l'articolo « Intervento o Astensione». In esso si cominciava ad ammettere che in fondo l'Italia avrebbe potuto anche intervenire in Egitto per essere per lo meno « testimone scomodo » dell'Inghilterra. Si riteneva tuttavia ancora necessario un mandato dell'Europa e l'assoluta distinzione del ruolo italiano da quello franco-inglese davanti all'Egitto. Cinque giorni dopo la posizione era diversa: in Egitto « l'Italia ha da salvare la sua dignità di Stato di prim'ordine, la libertà del mare, l'indipendenza dei commerci, l'esistenza di colonie numerose e già floridissime, la sua influenza di Potenza essenzialmente mediterranea»42• Gran danno si sarebbe avuto se si fosse intervenuti senza mandato europeo, ma danno ancora maggiore per la dignità della nazione si sarebbe avuto da una completa astensione. Il 28 luglio l'allineamento su posizioni incondi­ zionatamente interventiste poteva dirsi ultimato. Messa da parte ogni remora di ordine sia morale che politico, il giornale di Crispi si lanciava nella più concitata delle campagne interventiste. A cominciare dal 29 luglio, con un articolo dal titolo emblematico «La parte nostra», il foglio chiedeva esplicitamente e senza restrizioni di sorta un inter­ vento a fianco dell'Inghilterra, mutando completamente anche il giu­ dizio sulla natura del moto nazionale egiziano e sulla personalità di

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4° Cfr. anche «La Perseveranza» 29 lug. 1 882. 41 Cfr. La politica estera in Egitto, articolo di fondo de «<l Diritto» del 13 aprile 1 884.

42 « La Riforma», 26 lug. 1 882.

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Araby Bey, definito dopo la sconfitta di Tel-el-Kebir <�un fanatico astuto e ambizioso » che aveva agito solo per desiderio di p otenza personale43• In occasione di Tel-el-Kebir lo stesso Crispi rimase .diret­ tamente coinvolto in una violenta polemica con Cavallotti proprio sull'interpretazione del moto egiziano44• Le accuse al governo per l'occasione mancata nel 1 882 rimasero poi una nota costante nella linea politica de « La Riforma», che divenne il principale punto di riferimento per quel fronte imperialista che ebbe la sua rivincita sullo scacco del 1 882 con l'occupazione di Massaua. Perché, ed è quanto emerge da un esame della stampa nel corso degli anni 1 883-1 884, quella egiziana fu vista da forze sempre più ampie come una grande occasione mancata, al punto che è netta la sensazione che nei motivi che portarono all'iniziativa di Massaua l'intento di riparare all'errore commesso nell'82 sia da iscrivere ai primi posti, se non addirittura al primo. Nella difficile decodificazione del rapporto intercorso tra classe politica al governo e opinione pubblica si ha infatti la sensazione che nel 1 882 sia stata la prima a imporre le sue scelte alla seconda, mentre, nel caso dell'avvio dell'impresa coloniale in Africa orientale, si ha quella contraria di un'opinione pubblica che, preda di una febbre coloniale crescente,

43 Ibid. , 17 set. 1 882. 44 In occasione di Tel-el-Kebir Crispi inviò un telegramma di felicitazioni a lord Granville,

anche a nome dei suoi amici, da cui però Cavallotti si dissociò con una lettera dai toni abbastanza aspri pubblicata dal «Pro Patria» del 22 settembre e da «La Lega della Democrazia» del 27 settembre. In essa precisava di non potersi congratulare per una campagna iniziata «con l'eroico bombardamento di una città non in grado di difendersi» ( . . ) «e terminata a Tel-el-Kebir con la vittoria sopra un esercito in defezione condotto da capi guadagnati con l'oro» (. . . ) . «No, inclito amico, la democrazia italiana non si associa al tuo plauso» (. . . ) «perché negare che quel movimento avesse radici a carattere nazionale ( . . .) tanto varrebbe quanto negare la luce a mezzodì». Poi ancora: «Ah, dunque perché uno sciame di strozzini europei si rovesciò sopra l'Egitto come stormo di corvi su carne da preda;perché per anni e anni ne smunsero il sangue e le midolle, a furia di ladroneggi, speculazioni, usure (. . . ) perché venne il giorno che all'indigeno stanco, esasperato, passò in mente la strana idea che potesse alle volte essere sua quella gleba su cui dolorando sudava (. . . ) per questo è civile, è glorioso persuadere a cannonate gli egiziani che favoriscano di portare pazienza e di lasciare la baldoria proseguire?». Crispi rispondeva da «La Riforma» del 2 ottobre 1882 negando che Araby fosse «soldato e patriota»: «Araby era solo un agente del panislamismo nemico di ogni nazionalità». .

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spinge il governo ad agire. E non c'è dubbio che nell'azione propa­ gandistica del sempre più esteso fronte colonialista, la polemica sul mancato intervento in Egitto fu una carta ripetutamente giocata e con risultati sempre favorevoli. A partire dal 1 883, come ha notato felicemente Raffaele Ciasca, si diffusero « . . . nel paese un vago desiderio ed un'aspirazione confusa di fare, di afferrare al volo un'occasione purchessia per rialzare il nostro depresso amor patrio, per rendere presente l'Italia in qualcuna delle questioni internazionali, la cui soluzione ci portasse ad un'affermazio� e di prestigio o ad un guadagno territoriale»45• Una eventuale svolta m senso colonialista della politica estera italiana cominciò ad essere aperta­ mente giustificata non solo con motivazioni di prestigio e di carattere politico-strategico, ma anche con concrete argomentazioni di natur� economica e sociale, con una varietà di accenti e sfumature sulle quali varrà la pena insistere. Tuttavia su un punto il fronte f.tlocoloniale trovò sempre il suo denominatore comune: che una eventuale iniziativa coloniale italiana dovesse avere per teatro il Mediterraneo. Esso poteva concretizzarsi nella formulazione di mire espansionistiche in Tripolitania o nell'opposizione alle mire francesi sul Marocco, ma certo esso continuò sempre ad essere condizionato dalla convinzione che con il mancato intervento in Egitto si era persa l'occasione per riequilibrare lo scacco subito a Tunisi. Per avvalorare l'esigenza di un'espansione coloniale italiana venne dunque chiamato in causa il paragone tra l'imponenza degli acquisti degli altri grandi Stati europei e la nullità dei possedimenti italiani; fu posta in rilievo l'esigenza di sbocchi commerciali e di fonti di approvvigionamento di materie prime per la produzione italia�a in crescita; fu richiamata l'attenzione sull'esplosione del fenomeno rrugra­ torio, sulla depressione della Marina mercantile, sulla crisi agraria, su tutti quei temi cioè che portarono l'Italia ad espandersi in Afric� orientale46. Il fatto tuttavia che questi problemi si sarebbero potuti risolvere con una espansione nell'area mediterranea rimase convinzione pressoché unanime degli organi di stampa e delle forze colonialiste, le

. 45 Cfr. R. C!AscA, Storia coloniale... cit., pp. 105-106. 46 E sui quali cfr. G. PEscosoLIDO, Il dibattito coloniale. . . citata.


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quali non a caso continuarono a discutere del problema egizianÒ· fino all'occupazione di Massaua. L'organo che non cessò mai di recriminare sul mancato inte�vento . ' che divenne l'assertore più convinto di una stretta alleanza con l'Inghilterra nel Mediterraneo e con le potenze centrali in Europa, che propugnò tenacemente una politica di espansione coloniale in Africa, fu «La Riforma». «La politica da noi consigliata nella questione egiziana era la sola indicata dalla situazione ( . . .) . Non ci sarebbe costata sacrifici di sorta, ci avrebbe prodotto vantaggi politici di importanza vitale ( . . . ) e ci avrebbe fornito la più solida base per la nostra resistenza alle invasioni francesi»47• Da questa posizione il giornale di Crispi continuò senza sosta a muovere accuse al governo per la sua incapacità di portare avanti una politica estera veramente vigorosa 48• Col passare del tempo gran parte dei giornali che erano .rimasti indecisi o del tutto scettici circa l'opportunità di un intervento nell'e­ state del 1 882, vennero progressivamente allineandosi sulle posizioni di Crispi e della stampa interventista e l'occasione migliore per verifi­ care queste posizioni è certamente costituita dal dibattito tenutosi alla Camera nel marzo 1 88349• I commenti della stampa denotano un progressivo rafforzamento dell'opposizione alla linea seguita nel luglio dell'82 dal governo. Già prima del dibattito infatti molti fogli avevano condannato l'operato. Per «La Nazione » del 1 8 gennaio 1 883 « <l

governo e ( . . . ) anche l'opinione pubblica per mezzo della stampa; o non vide, o non comprese i benefici che se ne potevano trarre (dall'intervento) ( . . . ) . Noi non ci stancheremo mai di ripetere il grido « Al mare! Al mare! Al mare! »; perché, per il giornale fiorentino, non era dubitabile che l'invito dell'Inghilterra avrebbe spezzato il pro­ gramma francese di dominazione monopolistica sulle coste africane e, nel contempo, avrebbe permesso di assicurare gli interessi italiani in Egitto . « La Rassegna» di Sonnino, che aveva mantenuto un atteggia­ mento di attesa per verificare, alla luce dei Libri « Gialli Verdi e Blu», se l'Italia avesse effettivamente perseguito l'obiettivo di non ostacolare l'Inghilterra e di operare da anello di congiunzione fra questa ed il concerto europeo, in modo da isolare la Francia, 1'8 novembre del 1 882 commentando l'uscita del Blue Book, così si era espressa: « L'im' pressione che si prova è dolorosissima, umiliante. L'Italia ha vagolato a tentoni, sola, incerta, senza criteri determinati, senza uno scopo prefisso, senza mezzi definiti ». E il 24 dicembre 1 882, sempre secondo o « La Rassegna», dal Libro verde risultava « provato che il govern italiano nel rifiutare l'invito del governo inglese agì di sua iniziativa, to non già per accordo o consiglio diretto o indiretto del concer europeo », che si era trincerato dietro la formula « né mandato né a opposizione» . Il giornale insisteva nella campagna antigovernativ o specialmente negli editoriali del 23 e 25 febbraio 1 883 e fino al dibattit sull� o allineat e parlamentare del 1 883, allorché si ritrovò completament h posizioni assunte da Sidney Sonnino in Parlamento. Lo stesso Marsel 20 del e 9 1 del ali veniva appoggiato esplicitamente in due editori gli marzo in cui ci si cominciò anche a chiedere quale copertura ' ardia salvagu la per imperi centrali fossero poi in grado di fornire La degli interessi italiani nel Mediterraneo . Le argomentazioni de « dal , cautela certa Rassegna» venivano condivise, anche se con una « Corriere della Sera» e, soprattutto, da « L'Opinione» che, nel 1 882, a come abbiamo visto, era stata contraria all'intervento e che ora passav invece a sostenere in pieno la posizione di Minghetti5°.

47 Cfr. La via della salute in «La Riforma», 7 gen. 1 883. 48 Le prese di posizione più significative furono quelle del 15 e 21· gennaiO, 13 , 14 , 1 5 e 22 marzo, 23 aprile 1 883. 49 Come è noto la discussione si apri il 9 marzo con un'interrogazione dell'an. Marselli ·

che accusò il governo di avere commesso un grave errore nel rifiutare l'intervento. Se infatti interesse «supremo» dell'Italia doveva essere quello di evitare che una grande potenza si espandesse da sola in Egitto e nel Mediterraneo, specie se si fosse trattato della Francia, con l'intervento l'Italia avrebbe avuto occasione di incrementare la propria posizione e avrebbe potuto proteggere efficacemente i suoi 1 5.000 coloni. Quanto al concerto delle potenze, se esso doveva condizionare l'Italia fino ad impedirle la salvaguardia dei suoi interessi mediter­ ranei sarebbe stato meglio allora tornare all'isolamento precedente. La posizione di Marselli era condivisa da Minghetti e da Sidney Sonnino. Mancini a sua volta ribadiva i motivi che la stampa governativa aveva già ampiamente trattato. Cfr. A.P., Camera dei deputati, legislatura XV, I sessione, Discussioni, tornata del 9 marzo 1 883, vol. III, pp. 1825-f839 (Marselli); Ibid., tornata del 10 marzo 1 883 ; Ibid., pp. 1 844-1 855 (S. Sonnino); Ibid., pp. 1 864-1870 (Minghetti); Ibid., pp. 1 874-1876 (Mancini).

1 3-14 marzo e del 14-15 50 Per la posizione del «Corriere della Sera» cfr. i numeri del e del 23 marzo e del 17 12 del numeri i cfr. ione» «L'Opin de e posizion la marzo 1 883. Per agosto 1883.


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I � pratica diveniva di pubblico dominio il fatto che la Tripli�e, pur costituendo una garanzia valida per la sicurezza continentale, non· tute­ ava �ufficientemente la posizione dell'Italia nel Mediterraneo. A . porre m evidenza questa carenza interveniva anche «La Perseveranza». Per il vecchio foglio moderato l'alleanza con le potenze centrali assumeva un valore positivo oltr �he per le garanzie che essa forniva in Europa nche perche, una sirmle scelta di politica estera implicava in politica mterna un atteggiamento nei confronti dell'estrema sinistra ben più duro di. quello che sarebbe derivato da un'alleanza con la Francia· ma qu nt� al Mediterraneo erano chiari i limiti di un simile patto: la T isia e l Egitto n � erano la prova lampante. L'Italia non aveva solo bisogno di_ c�lma sociale, «alle nazioni la prosperità non basta; bisogna un pò di glo�ia anche » 51 . L'accordo con l'Inghilterra appariva dunque indispen­ sabile. Non averlo realizzato già nel 1 882 si traduceva in un ritardo dannoso per l'Italia, cosa che la stessa «La Perseveranza» non aveva tuttavia compreso, come abbiamo visto, al momento di deciderlo. La stampa fùogovernativa continuava invece a mantenere inalterate le sue posizioni 52. Ma significativa, ad esempio, era l'evoluzione della linea �enut� da « <l Caffaro». Fino al termine della discussione parlamen­ tare, s�alleggiò la posizione de « <l Diritto » e di Mancinl53 , poi _ co�cio � scr:�lare su un piano di opposizione sempre più aperta in matena i politica coloniale, giungendo il 9 luglio ad un completo capovolgimento delle posizioni dell'anno precedente: «La meschinissima politica del governo italiano in Africa, mentre ci rende oggetto di _ compassi ne per le due Potenze occidentali, non manca di risvegliare anche ali �te�no da parte del ceto c?mmerciale degli uomini intrapren­ _ denti sensi di disapprovazione . . . ». E evidente che certi ambienti della borghesia commerciale genovese, di cui « <l Caffaro» si faceva portavo­ ce5\ slittavano da posizioni di preclusione a posizioni di acquiescenza

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51 «La Perseveranza» del 15 e del 30 marzo 1 883 . 52 «ll Dir�tto» �el 12 m�rzo 1883, rispondendo alle accuse di Marselli, Sonnino e Minghetti, _ . nbadtva che m Egttto l'Italta non avrebbe trovato né gloria militare, né estensione di influenza né guadagni materiali. Cfr. anche gli articoli del 1 3 marzo e dell'l e 21 aprile 1883. Cfr. «L'Italia in Africa» del 7 marzo e anche l'articolo del 15 marzo 1 883. Cfr. V. CAsTRoNovo, La stampa italiana. . . cìt., pp. 77, 1 13.

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verso una politica coloniale in cui si cominciava ad intravvedere anche un possibile antidoto alla crisi dei cantieri e della Marina mercantile. Nel contempo si delineava l'incapacità o la scarsa volontà di mobi­ litazione dell'anticolonialismo. Nella stampa radicale non vi furono cambiamenti di sorta e i giornali dell'Estrema non ritennero neppure opportuno scendere in polemica commentando la discussione in Parla­ mento, con l'argomentazione che un voto favorevole o contrario avrebbe tutt'al più potuto rovesciare Mancini, ma non cambiare le decisioni prese55. Disimpegnarsi tuttavia dal dibattito significava di per sé facilitare l'azione propagandistica del fronte filointerventista e il movimento che premeva per una politica di espansione appariva sem­ pre più agguerrito. Certamente in esso si potevano mescolare, come ha sostenuto Carocci, «i miti produttivistici, gli interessi degli indu­ striali soprattutto siderurgici e navali, le simpatie degli ambienti più conservatori, quelli in parte clerico-moderati, di corte, e, con valore decisivo, di vaste frazioni della borghesia intellettuale ed agricola meridionale e, in parte, toscana» 56. Tuttavia sarebbe un errore vedere nelle argomentazioni prodotte dal fronte colonialista una preminenza di interessi commerciali e industriali o peggio affaristici, quasi che la politica estera italiana di quegli anni possa essere ricondotta a motiva­ zioni di questo tipo. In realtà i motivi politici di ordine internazionale ebbero una posizione largamente predominante, sia a livello di azione propagandistica, sia a livello di concrete scelte da parte del governo e della diplomazia italiana, seguiti dappresso da quelli dell'emigrazione e della questione sociale. A questo proposito resta oltremodo indicativo un lunghissimo articolo di Rocco De Zerbi pubblicato il 25 luglio 1 882 sul « Corriere della Sera», dove aveva sostenuto che per l'Italia esisteva «un solo interesse di grande Potenza: impedire che le coste settentrionali africane diventino il monopolio di una o più Potenze»; ciò implicava che nella

55 Era quanto esplicitamente asseriva «La Capitale» del 14-15 marzo 1883 e difatti il dibattito alla Camera veniva riportato dagli altri fogli dell'Estrema quasi senza alcun com­ mento. 56 Cfr. G. CAROCCI, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1881, Torino, Einaudi, 1956, p. 591.


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scala delle priorità il fattore della ricchezza nazionale e la . risohizione dei problemi sociali ricoprissero un ruolo secondario. Ma, sempre a questo proposito, ancor più significativa risulta la posizione às�unta dal governo italiano in occasione dell'incidente marocchino dell'apri­ le-giugno 1 884, con il tentativo francese di modificare a proprio favore il confine dell'Algeria con il Marocco 57 e l'eco fatta dalla stampa governativa a tale atteggiamento, con la sottolineatura quanto mai decisa del fatto che nel Mediterraneo l'Italia non era in alcun modo disposta a subire ulteriori menomazioni. Sul problema si soffermò preoccupata la stessa « La Capitale»: « Se la Francia si impadronisce del Marocco non resterà più che la Tripolitania libera, occupata la quale le navi mercantili d'Italia dovranno passare lo stretto di Gibil­ terra per trovarsi in acque amiche» 58• Una nuova mobilitazione degli organi di stampa filocoloniali si ebbe nell'estate del 1 884, in occasione della conferenza di Londra sulla diffi­ cilissima situazione finanziaria dell'Egitto, allorché l'Inghilterra tentò di operare una con�ersione del tasso di interesse del debito pubblico egiziano. Essa, come è noto, si concluse con un nulla di fatto e non ebbe grande importanza nella storia delle relazioni internazionali. Ai fini del nostro discorso risulta invece molto significativa, perché costituì l'occasione in cui per la prima volta da parte anche della stampa governativa, oltre che di quella di opposizione, si manifestò una posi­ zione di rigidità senza precedenti in difesa degli interessi italiani in Africa 59• Il 24 aprile 1 884 «<l Diritto » aveva infatti pubblicato il primo

di una serie di articoli completamente nuovi rispetto alla tradizionale posizione del giornale. Il portavoce di Mancini avvertiva che «col disinteressarci di tutto, col vivere di frasi non riusciremo a nulla. Si chiuderanno a poco a poco per noi tutti i mercati del mondo . . . ». Per questo nell'imminente conferenza di Londra l'Italia avrebbe dovuto stare bene attenta a porre nel dovuto rilievo, oltre che gli interessi economici che aveva in Egitto, che pure erano rilevanti, anche e soprattutto quelli politici. Gli articoli de . «<l Diritto», che uscirono nei mesi successivi, trovavano del resto larga eco. Già «La Perseveranza» del 1 8 aprile 1 884 aveva sostenuto che « le Potenze hanno il diritto di chiedere al Governo inglese conto della missione ch'esso si è assunta in Egitto in nome loro e di conoscere le sue intenzioni sopra un paese, dove, in luogo dell'or­ dine e della prosperità promessa, regnavano il disordine e la disorganiz­ zazione» 60. Per «L'Opinione» la tutela degli interessi italiani era «un diritto che ci spetta(va) e che ( . . . ) è[ra] condizione sine qua non di una soddisfacente soluzione della questione egiziana» 6\ e non poteva che rallegrarsi per la posizione assunta dal foglio di Mancini 62. Della confe­ renza si occupò largamente anche «La Gazzetta d'Italia» del 21 luglio 1 884, che approvava pienamente il comportamento tenutovi dall'Italia, soprattutto per il rifiuto di un nuovo prestito all'Egitto e per aver insistito invece «nel concetto che l'Egitto » poteva «pagare facendo economia e svolgendo e riordinando le sue forze contributiveé3•

57 Per l'energica protesta italiana a proposito del Marocco, cfr. C. ZAGHI, P. S. Ma11cini, l'Africa e il problema del Mediterraneo, ( 1884- 1885) , Roma, Casini, 1955, pp. 28-30. 58 «La Capitale» 13-14 giu. 1884. Sullo stesso problema cfr. anche «La Nazione» 19 giu. 1 884. «L'Opinione» a sua volta era categorica il 17 giugno 1884: l'Italia «non può e non

deve assolutamente» permettere l'occupazione del Marocco. 59 La conferenza di Londra si aprì con la proposta inglese di una riduzione incondizionata del saggio di interesse del debito pubblico egiziano, sia privilegiato che unificato, come conseguenza diretta della riduzione dell'imposta fondiaria (cfr. «<l Diritto» del 27 luglio 1884). La proposta fu respinta dalla Francia e dall'Italia, che a sua volta propose contromisure volte a rinvigorire le finanze egiziane, salvo ricorrere ad una riduzione del saggio se, passati due anni di esperimenti, tali misure non si fossero rivelate sufficienti a colmare il deficit (cfr. «La Gazzetta d'Italia» del 3 agosto 1 884). L'Inghilterra da parte sua si dichiarò disposta a rinunciare alla riduzione del saggio se si fossero dimostrate efficaci le misure finanziarie: in caso contrario

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la riduzione del saggio da applicare sarebbe stata (su controproposta italiana) non superiore allo 0,50% per un massimo di tre anni (cfr. «La Gazzetta d'Italia» del 3 agosto 1 884). La Francia respinse tale soluzione, ritenendo che fosse sufficiente una emissione di titoli del debito privilegiato non superiore a 25 milioni di franchi («<l Diritto» del 23 luglio 1 884). L'Inghilterra riteneva che il prestito avrebbe dovuto essere molto superiore (Il Diritto» del 24 luglio 1 884). La conferenza si chiuse senza che si trovasse un accordo («Il Diritto» del 4 agosto 1 884). 60 Il foglio moderato sin dal 30 dicembre 1883 aveva del resto affermato che «se vi è potenza interessata alle cose egiziane dopo l'Inghilterra essa è l'Italia». 61 « L'Opinione» 8 mag. 1 884. 62 Ibid. , 10 mag. 1 884. 63 Il giornale assunse una posizione molto dura nei confronti del governo egiziano: l'Europa doveva procedere con la massima cautela nella concessione di prestiti «a questi Stati ( . . .) che alla prima difficoltà ricorrono al comodo mezzo di ridurre o sospendere il pagamento de' loro debiti». Pur non negando che l'Egitto era stato derubato dall'alta banca europea, era però stato ampiamente ripagato mediante i numerosi «regolamenti» attuati (26 luglio 1 884).


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Nel frattempo, spesso contestuale al dibattito sull'Egitto, l'insi­ stenza sulla necessità di avere «una vera colonia» si faceva sempre più viva ed intensa. Nuovi suggerimenti, nuovi apporti conoscitivi, nuove critiche al governo pullulavano nella stampa colonialista. Si discuteva delle regioni che ancora offrivano una possibilità di espan­ sione, di quale utilizzazione se ne potesse fare, delle difficoltà che certo non sarebbero mancate nel corso di una colonizzazione militare ed agricola, quale era quella che più rispondeva alle esigenze di un paese ricco di forza lavoro come l'Italia. Certo le ragioni politiche restavano in prima linea, ma Leone Carpi non vedeva antinomia fra soluzione dei problemi interni ed espansione coloniale. Anzi « senza una giudiziosa e pacifica politica di espansione coloniale, l'Italia sarà sempre agitata da commozioni popolari » ( . . . ) e relativamente debole e abietta di fronte agli altri popoli civili del globo»; se non vi fossero stati altri motivi sarebbe bastato osservare « l'emigrazione all'estero, la quale s'impone e va prendendo spaventevoli propor­ zioni . . . », per comprendere quanto grande fosse per l'Italia la neces­ sità di colonie 64. Nonostante gli attriti che sarebbero derivati con altre nazioni, nonostante la mancanza di capitali e l'urgenza di problemi interni, nonostante le condizioni climatiche che sarebbero state certamente avverse, nonostante tutto insomma, la maggior parte degli organi di stampa si mostrava favorevole all'idea che l'Italia dovesse in qualche modo muoversi, « mostrarsi». E ancor più si rafforzava questo desiderio quando si paragonava l'astensionismo italiano col dilagante espansionismo degli altri Stati. Il confronto con le altre potenze veniva presentato dagli organi filocoloniali come preoccu­ pante ed avvilente ad un tempo. Lo stesso Leone Carpi, esaminando gli imperi coloniali delle maggiori potenze, non mancava di sottoli­ neare come elemento pressoché decisivo, per una revisione dell'at-

teggiamento rinunciatario dell'Italia, la clamorosa svolta colonialista di Bismarck. Per « La Tribuna» era « doloroso vedere come il nostro Governo poco o punto si» curasse « di seguire le altre nazioni in questo necessario e generale movimento di espansione, come se non avesse [avuto] da assicurare gli sbocchi alla produzione di un paese di 30 milioni di abitanti, come se i mari che bagnano l'Italia da ambo le parti non la [chiamassero ] ad imprese coloniali più ancora che la Francia, come infine se la nostra non [fosse stata] per secoli la storia di gloriose imprese commerciali in mare e su spiagge» ( . . . ) « dove purtroppo l'influenza italiana, grazie alla nostra pochezza, alla nostra imprevidenza politica [era] andata scemando fino ad arrivare al nulla» 65. Il motivo produttivistico si allacciava dunque strettamente per « La Tribuna» a quello del prestigio e della sicurezza nazionale 66. Per « <l Fanfulla» il paragone con l'attivismo altrui era invece mortifi­ cante di per sé: « un popolo vale quanto fa ( . . . ) . Noi italiani siamo stati un pò viziati ( . . . ). Il nostro commercio e le nostre industrie sono in gran parte fra le mani di stranieri( . . . ) . Abbiamo troppe tradizioni di grandezza ma poca energia per mantenerci all'altezza loro. Gli altri fanno, noi ci accontentiamo di amministrare. Gli altri sono negli opifici, alle macchine, sul mare; noi siamo al cancello della burocrazia. . . » 67. Il paragone più amaro era quello con la Germania. « L'Opinione» del 22 settembre 1 884 usciva con l'editoriale « La Germania colonizza e l'Italia? » in cui osservava che tutti i paesi, oltre ad essere impegnati in imprese coloniali, avevano « esuberanza di vita, di popolazione, di prodotti manufatturieri (. . . ). Rimane l'Italia la quale ( . . . ) ha fatto voto

65 « La Tribuna» 19 lug. 1 884. Sul giornale, divenuto ormai l'organo più importante della pentarchia, cfr. V. CASTRoNovo, La sta!llpa italiana. . cit., p. 103. 66 Sui caratteri dello sviluppo industriale che proprio in quegli anni entrava in una fase espansiva, cfr. R. Rm.mo, Breve storia della grande ind11stria in Italia, Bologna, Cappelli, 1967 '; .

64 Il «Corriere della Sera» 14-15 gen. 1 883. Il Carpi vedeva del resto proprio in quegli anni crescere d'attualità problemi sui quali aveva pubblicato opere pionieristiche e fondamentali culminate nel classico Delle colonie e dell' entigrazione italiana all'estero, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1874, voli. 2.

pp. 48-64. 67 «Il Fanfulla» 17 feb. 1 883. Vedi anche il 10 febbraio, e il 12 febbraio 1 883 l'articolo che così si concludeva: «La nostra gloria è Assab. Pensando che la cosa ci è riuscita a rovescio vien fatto di dire che l'abbiamo fatta bassa».


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di castità coloniale: poiché Assab non è una colonia, è una parodia coloniale». Lo stesso rimprovero . al governo muoveva <� La Per.seve­ ranza», che ammirava soprattutto la chiarezza di propositi e la rapidità . di esecuzione di Bismarck in politica coloniale, mentre l 'Italia aveva «piegato le mani e si è messa a guard�re»68. A rendere particolarmente spiacevole il paragone, per un giornale pentarchico come « La Tribuna» contribuivano le apprensioni destate dallo stato di depressione in cui versavano due importanti settori dei trasporti, quali le ferrovie e la Marina mercantile, per cui, oltre tutto, l'Italia era costretta ad assistere «al torneo coloniale senza le armi di cui dispongono le nazioni rivali, e soprattutto senza il loro prestigio politico » 69. Era giunto dunque il momento di stringere decisamente i tempi, nonostante gli indubbi problemi di carattere economico che l'Italia si trovava ad affrontare. « Certo », osservava al riguardo « L'Opinione», « se si avesse potuto indugiare, se si avesse potuto pensare prima ai nostri porti, alla nostra Marina mercantile e alle nostre tariffe ferro­ viarie e poi alle colonie scelte con mature meditazioni, certo sarebbe stato meglio. Ma l'Italia è messa nel dilemma o di uscir in un momento inopportuno dalla sua inerzia o di trovar già occupate o ipotecate le parti migliori. delle colonie, quando le piaccia di muoversi». Questo era il punto di vista del foglio moderato, che sul finire del 1 884 riproponeva per l'ennesima volta l'abbandono del «voto di castità coloniale». E « La Nazione» del 1 9 aprile già avvertiva: « Per carità, non aspettiamo che tutte le altre nazioni precedano e ci prendano la mano nel colonizzare anche l'Africa che ( . . . ) è ormai l'unico continente un pò vergine rimasto aperto campo all'attività commerciale ckgli europei». Per una politica decisamente espansionistica era anche «<l Bersagliere» del Nicotera 70•

68 Cfr. «La Perseveranza» 27 ago., 20 set., 15 ott. 1 884. 69 «La Tribuna» 2 lug. 1 884. Cfr. sullo stesso argomento l'articolo di G. RosA in «Il Secolo», 8-9 feb. 1883.

70 «Noi vedemmo sempre l'Italia irrisoluta, noncurante tutte le volte che i veri interessi nostri africani erano in gioco, tutte le volte che era il caso di affermare anche l'esistenza di una nazione detta Italia di fronte all'invocata soluzione del problema africano»; cfr. «Il Bersagliere» del 31 ottobre 1 884.

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Da ogni parte si levavano ormai incitamenti ad occupare questa o quella regione adducendo le opportune motivazioni. I più natural­ mente indicavano la Tripolitania come campo naturale di espansione. La Tripolitania sembrava infatti poter dare una risposta soddisfacente alle molteplici esigenze dell'Italia. La si giudicava regione abbastanza vasta da consentire un eventuale insediamento in massa di coloni italiani e dotata di un clima sopportabile. Essa sembrava rispondere inoltre anche a motivi strategici e commerciali: strategici perché l'Italia, ­ con la sua occupazione, avrebbe rafforzato la sicurezza delle sue coste; commerciali perché si riteneva che Tripoli avrebbe potuto offrire agevole sbocco a un imponente traffico carovaniero facente capo a1 maggiori centri del Sudan e dell'Abissinia. Che questi mercati dell'interno fossero ritenuti di un'importanza notevole come fonti di materie prime per alcune branche della nascente industria italiana, come quella farmaceutica, ad esempio, è testimoniato dal fatto che la Società di esplorazione commerciale in Africa, sorta proprio per raccordare in un disegno organico ed unitario ì tentati�i isolati di accedere a questi mercati fatti dagli imprenditori milanes1, fra cui si distingueva l'attivismo di Carlo Erba 71, rivolse i suoi sforzi maggiori proprio in questo settore dell'Africa. Solo col passagg o dell� sua presidenza al conte Giampietro Porro e dopo l'occupazwne d1 Massaua il programma si orientò verso l'esplorazione del « ricchissimo » paese dei Galla, la fondazione di una stazione commerciale nell'Dga�da � da cui dipendevano i regni del Karanguè, dell'Unione ed « altre regwm ricchissime di avorio e di prodotti di ogni specie», e la colonizzazione agricola dell'altipiano dei Bogos e dei Mensa72. Nel 1 884 però l'obiet­ tivo principale era la Tripolitania. Anche per « La Rassegna» era fin

io 1 885 pubblicava un articolo dal t tol� A tale proposito «Il Fanfulla» del 20-21 magg _ �entl a una serie di legami esistenti fra gh _ amb Milano in Africa in cui appunto accennava e pnme: maten d1 ercio comm il per Sudan nel industriali milanesi e i missionari cattolici i, Carlo Erba, il re degli industriali galantuomin « Quindici o sedici anni or sono il signor mezzo loro per e um, Khart di con i missionari _ attivi ed intelligenti, era in relazione diretta trarre del Sudan. Altri industriali cercaron� di indi tamar di oli grapp i o Milan a va riceve loro fabbnche (... ) ». alle enti occorr prime ie mater alcune direttamente dal continente nero 71

72 Ibide!ll.


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troppo chiaro che « la questione coloniale [era] fusa completamente con quella mediterranea ( . . . ) la necessità di partecipare al dominio del litorale settentrionale dell'Africa si impone[va] ( . . . ) per ragioni strategiche e �om­ merciali: ora non ci rimane[va] più che un punto ove mettere piede nel Nord-Africa»: Tripoli73• E su Tripoli «La Rassegna» insisteva anche come unica località in grado di ospitare una colonia agricola 74• Non mancavano certo voci discordanti sulla Tripolitania. Il cap. Bove, ad esempio, in una lettera a « La Gazzetta d'Italia» pubblicata il 6 novembre 1 884, definiva la regione « fra i paesi d'Africa ( . . . ) uno dei più poveri o il meno indicato a divenire lo sbocco dell'interno del continente». Riserve sulle possibilità di sfruttamento agricolo della Tripolitania erano state avanzate dalla stessa « La Perseveranza» sin dal 20 agosto 1 882; anche « <l Diritto » del 20 agosto aveva sconsigliato di espandervisi, soprattutto per timore di complicazioni internazionali e per fedeltà al principio di nazionalità. Nel 1 884 queste voci contrarie erano diventate tuttavia sempre più flebili e sporadiche, e trovavano scarso credito e spazio, per lo meno nell'ambito della stampa colonia­ lista. Tripoli rimaneva il punto fisso cui guardava la maggior parte della stampa filocoloniale, nonostante qualche suggerimento senza eco per il Congo o per l'Europa orientale 75• D'altro canto alla crescente aggressività del fronte filocoloniale faceva riscontro una fase di scarsa determinazione o addirittura di scarso interesse, se non una vera e propria eclissi, della stampa antico­ lonialista. Quella radicale e garibaldina, pur non cessando di dichiararsi di tanto in tanto contraria ad ogni prospettiva di colonizzazione violenta e costosa, finiva per non occuparsi gran che del problema coloniale. La crisi agraria, la difficile situazione finanziaria, le calamità naturali, l'emigrazione crescente ne polarizzavano quasi completamente l'attenzione. Il problema coloniale veniva per lo più affrontato super­ ficialmente e con affermazioni a volte estremamente semplicistiche,

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contraddittorie che sfioravano lo slogan 76• In linea di massima l'E­ strema rimane a ferma sulle sue posizioni di rifiuto verso ogni tipo di colonizzazione militare e violenta e contemporaneamente di apertura verso un'espansione per mezzo di libere colonie, di indust�i e di commerci. Da questo punto di vista non si risparmiavano cntlche al governo, che non proteggeva adegu tame?te le c?lo ie di e igr ti . . italiani in Sud America 77• Gli attestati ant1colomah pm energ1c1, pm, chiari e coerenti giungevano da parte de « La Capitale » e del mazzinia­ no « <l Dovere». La prima osservava che inglesi e francesi miravano « a piantarsi da padroni sopra terre che appartengono ad al ri popoli, ad impossessarsi della loro produzione e del loro commer 10 a fare, '. . in altre parole, ciò che farebbe un predone ( . . . ) 1l quale s1 p1ant sse armato fino ai denti in casa vostra per vivere delle vostre fat1che ( . . . )». Da questi presupposti muoveva la polemica contro quegli «spiriti bollenti che volevano spingerei alla guerra ( . . . ) » e che «per buona fortuna ( . . . ) non ebbero il sopravvento ( . . . ) ». «<l Dovere», a sua volta, a proposito di una eventuale conquista della Tripolitania, affermav�: . « Sarebbe non solo una politica di prepotenza mdegna della terza Itaha ( . . . ) ma altresì un errore dei più madornali che P ? trebbe ddisfar l boria di un potentato vanitoso, non certo armomzzare gh mteress1 d1 nella un popolo ( . . . ). La forza viva colonizzatrice di una Nazione pacifica espansione per mezzo dell' ndustria e �el co m rc10 ne : portare i frutti della civiltà nei paes1 per renderh capac1 d1 ass1de s1 . liberi nel consesso delle nazioni; non nella conqu1sta, non nella vw­ lenza. L'Italia ( . . . ) prima di gittare i suoi tesori a bonificare l'Africa pensi a bonificare l'Italia ( . . . ) 78•

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76 Esemplare da questo punto di vista la soluzione che «<l SecolO>� d ell'8-9 febbraio 1 88� . proponeva per il problema sudanese: «La migliore soluzione del gravissimo problema consi­ sterebbe nell'unione di tutte le potenze grandi e piccole ( . . ) per provvedere afftnche_ sulla terra del Nilo non soffrano ulteriore detrimento la giustizia e la libertà». . 77 A tale proposito «<l Secolo» del 23-24 novembre 1 884 ricord.ava la sca�sa ?rotez10ne praticata in favòre degli interessi italiani in Brasile, Perù, Cile, Egitto; che _1 I�aha do:esse . curare solo le colonie platensi era convinzione del cap. Bove, sostenuta nel gia citato articolo de «La Gazzetta d'Italia» del 6 novembre 1 884. 78 «<l Dovere», 22 mag. 1 884. Sulla stampa mazziniana in generale cfr. V. CASTRONovo, La stampa italiana. . . cit., pp. 27-29. .

73 «La Rassegna», 15 ott. 1 884. Sulle posizioni del foglio in questo periodo cfr. V. CASTRONOVo, La stampa italiana . . cit., p. 92. 74 « La Rassegna», 3 gen. 1 885. 75 Per una panoramica esauriente di tutti i suggerimenti relativi alle possibili colonie, cfr. Gare coloniali in «<l Diritto», 29 dic. 1 884.

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Ma già la linea de «Il Fascio della democrazia» era più incérta 79• Pur ricalcando in alcuni articoli i temi toccati da « Il Dovere» · e da «La Capitale» non mancavano « sbandate» in senso colonialista, · come quella, ad esempio, del 1 8 giugno 1 884: « L'Italia amministrata prima dai Cairoli, poi dai Mancini e Depretis, barcollante, come ebbra ( . . . ) verso Francia e Inghilterra e verso Germania e Austria ( . . . ) volle per sé adottare la politica del cane dell'ortolano che non mangia il cavolo e non vuole farlo mangiare». Questo era quanto accaduto a proposito di Tunisi e « la stessa politica venne religiosamente seguita all'epoca dell'occupazione egiziana. Il disinteresse dell'Italia fu spinto alla subli­ mità dell'eroismo ( . . . ). L'Inghilterra fece i suoi affari in Egitto e l'Italia riposò sui suoi allori di aver conquistato la baia d' Assab. Ora vien fuori la questione del Marocco tra l'Italia e la Spagna, e il cane dell'ortolano, vale a dire il Governo italiano, continua nei suoi latrati che ormai sono quelli dei cani che abbaiano alla luna». Nel generale clima di esaltazione che si andava instaurando nella penisola sul finire del 1 884, dovevano avere un effetto maggiore, forse, gli inviti alla calma che di tanto in tanto lanciava lo stesso «<l Diritto » e gli avvertimenti de «La Gazzetta d'Italia»: «Troppo ci è costata questa patria perché si possa ad ogni ora, ad ogni minuto, cimentarne le sorti con rodomontate senza scopo o col gettarci a capofitto in perigliose avventure» 80• Erano però solo delle pause, tentativi di prendere tempo di fronte alla difficoltà di ordine internazionale di compiere un'operazione nel Mediterraneo che era evidentemente l'unica a poter essere presentata all'opinione pubblica come veramente confa­ centesi con gli interessi più vitali dell'Italia e adeguata a compensare lo scacco in Egitto. D'altro canto il timore che la Francia potesse approfittare nel Mediterraneo di un impegno italiano fuori di quello scacchiere frenava non poco qualunque iniziativa in tal senso. La pressione del fronte colonialista si fece tuttavia sempre meno sostenibile nella seconda metà del 1 884. Con l'adesione anche di quelle frazioni moderate, un tempo alquanto caute nel caldeggiare iniziative

«.avventate», e con lo scarso impegno anticoloniale dei radicali, si determinò quella quasi completa unanimità di intenti da cui scaturì la grande campagna filocoloniale della fine del 1 884. Tuttavia lo sbocco di tutte le aspettative non fu la Tripolitania ma, sorprendentemente, Massaua. Sorprendentemente però solo in apparenza. La scelta di Massaua, se dimostrò di non poter fornire all'Italia, come si sostenne da parte governativa, le chiavi del Mediterraneo, fu concepita tuttavia come una mossa esattamente opposta a quella fatta nel 1 882 nel caso dell'Egitto, e con lo stesso partner. Con l'Inghilterra in difficoltà nel Sudan, Massaua fu vista come una possibile base di partenza per una forza di intervento in aiuto degli inglesi. Inoltre essa non era troppo lontana dal Mediterraneo e non esponeva l'Italia ad eventuali contro­ mosse francesi nella costa del Nord Africa. In questo clima il massacro della spedizione Bianchi fornì un pretesto tragico, ma opportuno, per un ulteriore aumento di tono della campagna propagandistica a favore di un intervento armato in un'area che già di per sé sembrava la più adatta per iniziare una politica volta a compensare l'Italia delle occa­ sioni e del terreno persi rispetto alle altre potenze, a partire dal mancato intervento in Egitto nel 1 882. «<l Diritto », in un articolo del 14 dicembre del 1 884 che precorreva i toni di quello più noto dell'1 gennaio 1 885, avvertì dunque che il governo era vigile e desideroso « di tutelare gli interessi di Assab e di completarli. Il periodo preparatorio ( . . ) sta[va] passando e [l'Italia era] pronta ad appoggiare lo sviluppo della sua attività commerciale».

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79 Cfr. ad esempio gli articoli del 2 agosto, del 13 e del 22 ottobre e del 24 novembre 1 884. 80 L Gazzetta d'Italia», 1 ott. 1 884. « a

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I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

MICHELE BRONDINO

I giornali italiani zn Tunisia come fonte della politica ·co.loniale italiana

La nostra comunicazione « l giornali italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana» fa il punto dello stato dei lavori della nostra ricerca, «Centocinquant'anni di storia del giornalismo italiano in Tunisia (1 938-1 988) », finanziata dal CNR, nel quadro delle attività di ricerca del Centro studi per i popoli extraeuropei della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Pavia. Lo stato attuale dei lavori ci consente di fare il quadro introduttivo della stampa italiana in Tunisia e di fare un resoconto dello spoglio provvisorio della stampa quoti­ diana presente negli archivi di Tunisi 1 • Nell'ambito di questo convegno si è ritenuto opportuno rilevare l'importanza della stampa periodica in lingua italiana in Tunisia perché essa offre documenti essenziali per la ricerca storica, soprattutto in determinati settori come la storia politica, sindacale, sociale ed econo­ mica. Nel caso specifico sono fonti numerose e ricche di informazioni per l'evoluzione storica della politica coloniale italiana. Ne documen­ tano gli avvenimenti e dibattono i problemi delle comunità italiane nel contesto storico dell'espansione europea in Nord Africa. È un materiale non ancora adeguatamente repertoriato, studiato e valorizzato, soprattutto da parte degli studiosi italiani, salvo sporadici interventi,

1 Le nostre ricerche si sono svolte presso le seguenti istituzioni di Tunisi: Bibliothèque nationale de Ttmis, Archives générales du gouvemement ttmisien, CetJ!re de documentation nationale, Centre de documentation Tunisie-Maghreb, Institut supérieur de presse et d'injom1ation e Società «Dante Alighieri». Si ringraziano le relative direzioni e il personale addetto per l'aiuto datoci; in particolare sottolineo la collaborazione del prof. M. Hamdane dell'ISPI che sta lavorando alla compilazione di ùna guida di tutta la stampa periodica pubblicata in Tunisia dal 1 838 al 1 956, che avrebbe dovuto essere pubblicata alla fine del 1 989 ; collaborazione, questa, utile per entrambi, sia per il reperimento dei giornali, sia per le competenze linguistiche.

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come puntualizza R. Rainero in un articolo che stimola ad approfon­ dire la ricerca in questo campo 2 • Ricordiamo qui soltanto l'ottimo studio del compianto prof. U. Rizzitano, Un secolo di giornalismo italiano in Egitto ( 1845- 1945) 3, che offre spunti per ulteriori approfondimenti della nostra storia coloniale nel medio Oriente. Basta tener presente che la stampa periodica italiana è l'organo di espressione di « colonie» di nostri emigrati, in genere saldamente radicate ed integrate nel tessuto sociale dei paesi nordafricani. La formazione di comunità italiane nell'Africa mediterranea acquista una crescente importanza all'inizio del secolo scorso, sul dato preesistente di piccole comunità di italiani già in loco 4• Questo fenomeno migratorio fu causato da correnti migratorie determinate da due principali moti­ vazioni : a) il fuoriuscitismo politico e l'intraprendenza commerciale, motivazioni queste che sono diffuse tra la piccola e media borghesia, prima di netta impronta israelitica in provenienza soprattutto da Li­ vorno e Genova e poi, dopo i primi moti rivoluzionari degli anni Venti e Trenta, dai vari Stati italiani ; b) l'emigrazione proletaria per esigenze di lavoro, che fu la più consistente come numero, in prove­ nienza soprattutto dalle regioni diseredate dell'Italia meridionale. Fra tutti i paesi del Nord Africa, è la vicina Tunisia dove si riversa più facilmente questo flusso migratorio in forza degli ovvi vantaggi che la geografia, la storia e la civiltà offrivano. Nel tempo l'ondata migratoria proletaria aumentò di importanza con risvolti incisivi nella società tunisina, come giustamente rileva lo studio di N. Pasotti :

2 R. RAINERO, Observation sur /es sources italiennes de la Ttmisie contemporaine, in Sources et méthodes de /'Histoire du MouveJJtent National Tunisien (1920- 1954), A ctes du 2e séminaire sur I'Histoire du Mouvement National (27, 28 et 29 tnai 1983) , Tunis, Publications scientifiques tunisiennes, 1985, pp. 83-90 ; cfr. anche C. LIAuzu, La presse ouvrière européetme en Ttmisie (1881- 1939), in Annuaire de I'Afrique du Nord, Paris, CNRS, 1971, pp. 933-955; Ch. SouRTAU, La presse maghrébine (Libye-Ttmisie-Maroc-Aigérie) Evolution historique. Situation en 1965. Organisation et prob!èmes actue!s, Paris, CNRS, 1969 ; Problèmes de la recherche sur la presse maghrébine, Tunis, publications de l'ISPI, 1977, pp. 45-54; Méthodes de recherches en histoire de l'information: le cas de la presse écrite du Maghreb, in «Revue Tunisienne de Communication», 1984, 5, pp. 51-72. 3 U. RIZZITANO, Un secolo di giomalismo italiano in Egitto ( 1845- 1945), estr. dai « Cahiers d'Histoire Egyptienne», 1 956, 2-3, pp. 129-154. 4 Cfr. A. TRIULZI, Italian-speaking CoJJtJJtunities in Early Nineteenth Centmy Tunis, in «Revue de l'Occident musulman et de la Méditerranée», 1971, 9, pp. 153-183.


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« Spinti dalla miseria che imperversava nell'Italia meridionale, desiderosi di trovare lavoro, ( . . . ) giungevano continuamente sulle cos.te · della Tunisia, spesso con mezzi di fortuna, genti partite dalla Sicilia e dalla Calabria ( . . . ) che formarono poco a poco un proletariato europeo il quale, con l'andar del tempo, doveva assumere per il paese una enorme importanza»5• Ma la « colonia italiana» in Tunisia, che fu la più importante e per numero e per peso politico-economico e socio-culturale nel Nord Africa, diventò la ben nota question italienne, rovello della politica coloniale francese fin dall'avvento del protettorato francese nel 1 88 1 . Anzi, ben prima, data appunto l a preminenza della presenza italiana fino all'inizio della seconda metà del secolo scorso ; la penetrazione francese faticò ad affermarsi nell'ambiente tunisino, dato lo spessore dei secolari rapporti tra gli Stati italiani e la Tunisia6• Nella politica coloniale italiana la question italienne del protettorato tunisino è stata il fulcro del contenzioso coloniale tra la Francia e l'Italia nell'era dell'espansione coloniale europea dopo il congresso di Berlino, raggiungendone la massima tensione nel ventennio della politica coloniale fascista. Infatti, nell'ottica delle nostra ricerca, balza evidente tutto il problema del contendere ancora dopo la cacciata delle forze dell'Asse dall'Africa nel 1 943, come risulta dagli archivi della Residenza generale a Tunisi e del quai d'Orsay. E la stampa italiana ne era un punto nodale. Ad esempio, circa l'applicazione alla Reggenza di Tunisi dell'ordinanza del CFLN del 6 maggio 1 944, che modificava il regime di stampa in tempo di guerra col sopprimere l'autorizzazione preventiva per la pubblicazione dei giornali (art. 2), il gen. Mast, residente generale, nell'enumerare i motivi per non applicare tale articolo, faceva specifico riferimento alla stampa italiana : «les milieux italiens possédant cles appuis nombreux et relativement puissants dans tous les milieux ( . . . ), il appartient à cette Résidence

générale, aussi longtemps que le problème italien n'aura pas été résolu dans la Régence, d'interdire taute publication contraire aux desseins de la nation protectrice à cet égard»7• Era evidente che il problema della stampa italiana non era che un aspetto della question italienne in Tunisia, anche se ne rifletteva tu_tta la complessità. La Francia aveva ben capito che la stampa italiana era stata uno degli strumenti in Tunisia della lunga rivalità coloniale e che era giunta l'occasione propizia per sbarazzarsi per sempre dell'ipoteca italiana, come è af­ fermato in un rapporto segreto del quai d'Orsay : « La libération de Tunis le 7 mai 1 943 a amené non seulement un renversement total de la situation mais fournit une occasion, unique, la première depuis 60 ans, de se débarasser une fois pour toutes, de l'hypothèque italienne»8• Già nei primi decenni dell'Ottocento, il gruppo più consistente della popolazione europea a Tunisi era costituito dalle comunità italiane, come ben puntualizza A. Triulzi nel suo documentato studio Ita­ lian-speaking Communities in Ear(y Nineteenth Century Tunis9• Le varie comunità italiane erano quanto mai presenti ed integrate nei vari settori della società locale : dall'amministrazione beylicale alle professioni libe­ rali, dalle attività commerciali a quelle artigianali. Soprattutto nei decenni che precedono l'unità nazionale dell'Italia, fanno un salto di qualità oltre che di numero. L'arrivo delle ondate di rifugiati ed esiliati politici dopo i successivi moti rivoluzionari nei vari stati della penisola, aveva non poco con­ corso ad attivare l'ambiente economico e socio-culturale tunisino. Infatti la maggior parte di questa emigrazione politica era costituita da intellettuali, da militari e tecnici della borghesia italiana, che, insofferenti dei propri governi reazionari, una volta sbarcati in Tunisia, applicarono il loro entusiamo riformatore al rinnovamento del paese con l'aprire scuole di vario tipo, teatri, tipografie e imprese editoriali

5 N. PASOTTI, Italiani in Tunisia, Tunisi, Finzi, 1971 , p. 18. 6 Esiste un'ampia bibliografia in merito alla questione, di cui daremo un elenco dettagliato al termine della nostra ricerca ; per ora d limitiamo a citare due saggi esemplificativi : A. TRIULZI, Italian-speaking. . dt. ; M. ToscANo, Appunti sulla questione tunisina, Firenze, Sansoni, 1939 (Quaderni della « Rivista di Studi Politici Internazionali»).

7 Nota del gen. Mast del 25 maggio 1944 sull'applicazione alla Reggenza dell'ordinanza del 6 maggio 1 944, Fonds de la Résidence, serie 14, carton 1799, fol. 9. 8 Rapporto segreto del 6 nov. 1 944 su «La question italienne en Tunisie et son état au 31 octobre 1944», Quai d'Orsay, série Tunisie 1944-49, carton 52, fol. 20. 9 Cfr. A. TRIULZI, Ita!ian-speaking. . . citata.

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di giornali e libri. Tra i segni più tangibili della diffusa p�edominanza delle comunità italiane, ci pare opportuno puntualizzare l'importanza della lingua italiana «perché l'italiano era allora, anche sulle . coste dell'Africa settentrionale, la lingua dei traffici, della navigazione, della diplomazia»10, lingua veicolare interetnica dei vari strati sociali che « si parlava ovunque, dalla piazza alla Corte»11• Invero l'italiano, la seconda lingua per importanza alla corte del bey che in genere ne aveva una buona padronanza, rimase la lingua veicolare dei rapporti ufficiali con gli Stati stranieri e degli atti legali ben oltre la metà del secolo scorso. Tale era la penetrazione dell'italiano negli ambienti colti delle capitale che, nel caso specifico della stampa, il primo giornale ad essere pub­ blicato in Tunisia fu in lingua italiana. Il 21 marzo 1 838 apparve « <l giornale di Tunisi e Cartagine» che però il bey Ahmed soppresse subito poiché temeva « che potessero illuminarsi i suoi oppressi popo­ li»12 come osservava il console napoletano nella sua corrispondenza con Napoli, il che fu pure evidenziato dal regio console sardo nella sua corrispondenza con Torino13• All'avvento dell'unità nazionale dell'Italia e nel clima della corsa coloniale nella seconda metà del secolo, cui partecipò anche il nostro paese in pieno contrasto con lo spirito risorgimentale, la Reggenza di Tunisi si venne prospettando come sicura terra d'espansione coloniale italiana in forza di ovvi dati geo-storici e soprattutto per la fiorente comunità italiana in fase di piena crescita numerica e con un ruolo dominante nella società. Da una parte all'altra del Mediterraneo si diffonde la convinzione che, nello struggle per la zona d'influenza in Africa da parte delle potenze europee, la Tunisia spetti all'Italia. Invero, dopo l'occupazione di Algeri da parte francese, progetti di occupazione della Reggenza erano già stati ventilati dal regno sar­ do-piemontese, com'è documentato dalla corrispondenza consolare a Torino, dove il console consiglia il suo governo ad affrettarsi prima

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di eventuali sbarchi inglesi o francesi ed invia persino «Descrizioni e memorie militari sulla Regenza[sic] di Tunisi»14. Con maggior insistenza tale progetto viene portato avanti da vari gruppi sociali del giovane regno d'Italia, malgrado l'incerta e quasi restia politica coloniale dell'epoca fino al colpo di mano francese del 1881 . Il congresso di Berlino (giugno-luglio 1 878) da cui il rappresen­ tante italiano era tornato con le mani «nette ma vuote» aveva generato sia l'intesa anglo-francese nel Mediterraneo, per cui il destino di Tunisi era già segnato prima che l'Italia potesse porre la questione sul tappeto, sia il trattato della Triplice alleanza (20 maggio 1 882) per una conse­ guente reazione dell'Italia, anche se fatta a malincuore dal ministero Depretis per uscire dall'isolamento. La conquista francese della Tunisia, con l'imposizione del protetto­ rato, suscita un netto mutamento nel comportamento della comunità italiana : frustrata nella sua speranza di vedere la Tunisia acquistata quale colonia italiana, essa si concentra «nella salvaguardia del prestigio e degli interessi italiani»15. Si avverte una presa di posizione combattiva contro la presenza francese, allineandosi sulle reazioni della madrepatria, o ponendosi come espressione diretta di istituzioni italiane, o solleci­ tandone animosamente prese di posizione contro le autorità francesi, soprattutto all'avvento del ministero Crispi. Si assiste ad una frenetica pubblicazione di numerosi giornali : nell'arco di 1 5 anni, cioè fino alle convenzioni del 1 896, vedono la luce ben 1 9 testate, nonostante il versamento di una pesante cauzione imposta dall'autorità francese col decreto 14 ottobre 1 88416. Mentre la maggior parte di queste pubblicazioni ha un'effimera durata, proprio in questo periodo venne fondato, nel 1 886, il giornale « L'Unione» che diventerà, nel bene e nel male, l'organo di stampa ufficiale della comunità italiana, o meglio delle sue élites intellettuali e economiche, come indicava il sottotitolo : « Giornale Politico e Com­ merciale, organo della Colonia e della Camera di Commercio ed Arti

1 0 A. GALLICO, Tunisi i Berberi e l'Italia nei secoli, Ancona, la Lucerna, 1 928, p. 218. 1 1 Ibid., p. 231 . 12 A. MICHEL, Esuli italiani in Tunisia 1815- 1861, Milano, ISPI, 1941, p. 383. 1 3 ARCHIVI DELLA BIBLIOTECA REALE DI ToRINO, Consolati nazionali.

1 4 Ibidem.

1 5 A. CANAL, La littérature et la presse !tmisicnncs, Paris, ed. de la Renaissance du Livre, 1929, p. 1 7 1 . 1 6 Ch. SouRIAU, La presse maghrébinc. . . cit., p. 5 1 .

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in Tunisia». Sostenuto dalle istituzioni ufficiali italiane; il giornale, editorialmente ben diretto e competitivo nei confronti dell� stampa francese, divenne per lo più l'espressione dei memb �i influenti · della collettività italiana « che univano alle questioni d'interesse un innegabile amor di patria>P. Questo anche in contrapposizione agli altri periodici italiani, voci per lo più delle masse proletarie o dell'incipiente nazio­ nalismo tra la fine del secolo e la prima guerra mondiale. Alla fine della prima guerra mondiale e all'avvento del fascismo, l'impronta nazionalistica del giornale s'accentuerà fino a diventare l'organo di propaganda retorica del regime, vedendo nel duce e nella politica coloniale fascista di rivendicazioni territoriali, tra cui la stessa Tunisia, la legittimazione delle proprie aspirazioni d'italianità e di nazionalismo imperialista. Si assiste ad una proliferazione di giornali allineati alla politica coloniale fascista sovvenzionati dal regime, a cui si contrappone uno sparuto gruppo di giornali antifascisti. Allo scoppio della seconda guerra mondiale tutti i giornali vengono soppressi fino all'occupazione di Tunisi da parte delle forze dell'Asse. Durante la breve presenza italo-tedesca vi è una ripresa della stampa italiana ; ma con la sua definitiva cacciata nel 1 943, le autorità francesi ostacolano in tutti i modi la ripresa della stampa italiana, come abbiamo potuto dimostrare nella nostra analisi Préliminaires pour une étude de la presse en langue italienne en Tunisie ( 1943- 1950) 1 8• Essa potrà riprendere il suo posto solo all'avvento dell'indipendenza della Tunisia con « <l Corriere di Tunisi». Dal 1 956 esso rimane l'unico organo di stampa che ha registrato le vicende della comunità italiana ormai in via di estinzione, soprattutto dopo il decreto di nazionalizzazione del 1 964. In condizioni storiche totalmente mutate, «<l Corriere di Tunisi» resta tutt'oggi il solo giornale della nuova Italia repubblicana in terra maghrebina.

Dopo questo necessario quadro introduttivo all'argomento, sulla base dello spoglio della stampa effettuato fino ad oggi presso gli schedari e i cataloghi della Bibliothèque nationale de Tunis (BN) , degli A rchives générales du gouvernement tunisien (A GGT), del Centre de documentation national (CDN) , del Centre de documentation Tunisie Maghreb (CDTM) , dell'Institut supérieur de presse et d'information (ISPI) e della Società Dante Alighieri, (DA) presentiamo un primo elenco provvisorio delle pubblicazioni periodiche, in ordine cronologico e, quando è possibile, con indicazione della tendenza; esso non ha la pretesa di essere esaustivo. Inoltre, data l'incompletezza e talora la non affidabilità degli schedari e cataloghi, si sono pure fatte delle ricerche nei depositi. Malgrado l'aiuto datoci dal personale, un certo numero di giornali non è stato reperito e se ne trova traccia soltanto attraverso documenti vari, come è avvenuto presso gli A GGT (ad esempio vi sono dossiers di richieste e concessioni di autorizzazione alla pubblicazione, dichiarazioni di avvenuto deposito delle copie regolamentari, ecc.), o attraverso riferimenti bibliografici e citazioni riscontrate nei giornali stessi o in studi relativi all'argomento o nostro reperimento di collezioni complete o parziali presso privati. Inoltre, per i giornali esistenti (che per la maggior parte si trovano alla BN e presso gli A CCI), le relative collezioni sono sovente incomplete e in pietose condizioni di conservazione. È urgente una appropriata restaurazione e la loro microfilmatura prima che qualche numero unico scompaia per sempre. Allo stato attuale delle nostre ricerche siamo giunti al reperimento di ben 1 12 titoli di periodici, a conferma della tesi di R. Rainero quando scrive che «Les pubblications périodiques italiennes sont beau­ coup plus nombreuses que l'on peut imaginer et bien que d'intéret inégal elles sont toutes intéressantes»19• Si tratta essenzialmente di una stampa militante che mira a difendere la causa italiana in Tunisia e a definire la posizione dell'Italia rispetto alle varie comunità presenti in Tunisia. Questo obiettivo principale non impedisce alla stampa italiana di essere particolarmente diversificata; infatti una kttura anche rapida dei titoli e dei sottotitoli dei periodici

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1 7 N. 18 M.

PAsorrr, Italiani. cit., p. 52. BRONDINo, Prélù11inaire po11r 11ne ét11de de la presse en lang11e italienne en T11nisie 1943-1950, ..

A ctes d11 Ve Séminaire International d'histoire d11 Motivement National «La TtitJisie de l'après-gtJerre 1945- 1950;;, 26, 27 et 28 mai 1989, Tunis, Publication del l'Université de Tunis, 1992, pp. 171-180.

19 19 R. RAINERO, Observation. .. cit., p. 84.

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rende conto dell'estrema diversificazione delle voci e degli orientàmenti. Essi rispecchiano fedelmente la diversificazione della comunità italiana, sia dal punto di vista socio-professionale (dal minatore al libero profes­ sionista, dal commerciante all'artista), sia dal punto di vista ideologico (dall'anarchico al nazionalista-colonialista, dal sindacalista all'antifascista). Inoltre non è da trascurare l'importanza di questo ventaglio di opinioni per cogliere la visione della comunità italiana sulla Tunisia. Per quanto riguarda più specificamente il tema di questo convegno, si ribadisce che la stampa di lingua italiana in Tunisia contiene un notevole materiale, non ancora debitamente valorizzato, d'informazioni e di documenti che sono di grande interesse per lo studio della politica coloniale italiana oltre che per la nostra ricerca in corso. Ad esempio, ad una prima analisi de « L'Unione», che rappresenta la continuità della stampa italiana nelle alterne vicende storiche della comunità italiana, si rileva una costante attenzione alla problematica coloniale, soprattutto mirata sia a promuovere una « coscienza coloniale», sia a usarla come mezzo di pressione sulle istituzioni in senso colonialista.

3) «La Gazzetta» 1 859 Giornale pubblicato in arabo e in italiano, autorizzato dal decreto beylicale del 7 novembre 1 859. Giornale d'informazione economica, soppresso per protesta dei consolati, citato da CH. SoURIAU, La Presse. . . cit. , p. 35 ; R. DESSORT, Histoire. . . cit., pp. 1 1 3-114; A. DEMEERSMAN, Une page nottvelle de l' histoire de l' imprimerie en Tunisie, in « IBLA», 1 956, 75, pp. 275-305 ; G. ZAWADOSKI, Richard Ho/t, pionnier de la presse tunisienne, in « Revue tunisienne», 1 939, 37, pp. 127-13 1 . Non reperibile

Elenco cronologico dei titoli reperiti

6) «Almanacco turusmo » 1 877 «Per l'anno 1294 dell'era musulmana corrispondente al 1 877 dell'era cristiana 5637-38 del computo ebraico» red. : S. La Flora BN

1 ) «<l Giornale di Tunisi e di Cartagine» 1 838 Citato da R. Gallico nel suo articolo : Il giornale di Tunisi e di Cartagine ( 1838) , in « L'Unione», Tunisi, 25 ott. 1 93 1 , che ne riproduce fotografica­ mente la prima pagina; e sua nota in C. H. R. DESSORT, Histoire de la ville de Tunis, Alger, Pfister, 1 924, pp. 1 13-1 1 4, in cui egli afferma di averne rintrac­ ciata una copia nei documenti di famiglia ; vi è pure un riferimento nel dossier « Consolati nazionali» presso gli archivi della Biblioteca reale di Torino. Non reperibile 2) «<l Corriere di Tunisi» 1 859-1 881 Citato da : CH. SouRIAU in La Presse maghrébine (Lif:ye-Tunisie-Maroc-A igérie) Evolution historique, Situation en 1965, Organisation et problèmes actuels, Paris, CNRS, 1 969, p. 35; E. MICHEL in Esuli italiani in Tunisia 1815- 1861, Milano, ISPI, 1 941 , p. 383. Non reperibile

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4) «L'Avvenire di Sardegna» 1 871-1 893 « Giornale politico internazionale. Organo della colonia italiana nella Tunisia» dir. : G. DE FRANCEsco tip. : Cagliari, ed. L'Avvenire di Sardegna Biblioteca universitaria di Cagliari : coli. completa. 5) « La Vipera» 1 873 Citato da A. CANAL in La littérature et la presse tunisienne, Paris, éd. de la Renaissance du livre, 1 929, p. 1 32. Giornale clandestino, espressione degli interessi economici italiani. Non reperibile

7) « Sardegna e Tunisia» 1 881 «Giornale internazionale politico ed economico » settimanale d'interesse sardo-tunisino e mediterraneo dir. : G. Ghivizzani tip. : Cagliari, ed. L'Avvenire di Sardegna Biblioteca universitaria di Cagliari : nn 1-13; Biblioteca Nazionale di Firenze : nn 1 -15. .

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8) «Guida commerciale di Tunisi» 1 883 settimanale bilingue (italiano-francese), d'interesse commerciale. direttore : G. B. Mancusi. A GGT: dossier E-531-1

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9) « La Medjerdah» 1 883 « Giornale degli interessi tunisini» settimanale d'informazione politica dir. : M. Castelnuovo A GGT: dossier E-531 -1 (ordine di sequestro del 14/4/1 883) Biblioteca universitaria di Cagliari : anno I, n. 1 . 1 0) « L'Avvenire di Tunisi» 1 884 (giugno-agosto) «Organo degli interessi europei» quotidiano d'informazione politica dir. : G. B. Diacono CDN: n. 3 del 29/6/1 884 1 1) « L'Indicatore tunisino » 1 884-1 885 «Giornale d'annunzi, commercio, finanza, agricoltura, marina, tribunali e varietà» trimestrale dir. : G.B. Diacono Catalogo BN, ma non reperibile. 1 2) « La Sentinella» 1 884 Non reperibile, segnalato in A GGT, dossier E-531-1 1 3) « La Forbice» 1 884 Non reperibile, segnalato in A GGT, dossier E-531-14 1 4) « L'Ape maltese» 1 884 Non reperibile, segnalato in A GGT, dossier E-531-M 1 5) «Bollettino ufficiale della Camera italiana di commercio ed arti», 1 885-1 939 «Bollettino ufficiale mensile d'interesse economico » dir. : G. Vaccari BN: nn. 1-167 ; A GGT; CDTM: numero speciale del clic. 1 935 1 6) « L'Unione» 1 886-1943 « Giornale politico e commerciale. Organo della colonia e della Camera italiana di commercio ed arti in Tunisia» direttori : G. Fabbri, G. Attia, P. Brignone, C. Masi, L. Somazzi, F. Bonura, L. Negrelli, A. Benedetti, E. Santamaria. BN: collezione completa; A GGT; CDTM; DA

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1 7) « L'Operaio» 1 887-1 888 dal 1 888 n. 1 6 : « L'Operaio : organo degli anarchici di Tunisi e di Sicilia» giornale settimanale dir. : N. Converti citato da C. LrAUZU, La presse ouvrière européenne en Tunisie (1881- 1939)} in Annuaire de lAJrique du Nord, Paris, CNRS, 1971, p. 937 catalogo BN, ma non reperibile 1 8) « Corriere tunisino» 1 887 « Giornale settimanale politico letterario » direttori : E. Pinna, V. Disegni BN coll. incompleta 1 9) « L'Indipendente» 1 888-1 889 « Giornale del popolo » settimanale d'informazione politica dir. : G. Orsini BN coll. incompleta 20) « <l XIV marzo» 1 889 giornale settimanale dir. : G. Bellantone Non reperibile, segnalato in A GGT, dossier E-531-29 21) « La Voce di Tunisi» 1 890-1 895 « Giornale del popolo : politico, commerciale, letterario e satirico» settimanale dir. : G. Roches ; G. Orsini 1 891 : diventa « La voce di Tunisi : giornale indipendente» 1 892 : diventa « La voce di Tunisi : giornale settimanale» dir. : G. Orsini BN; A GGT e DA coll. incompleta 22) « La Nuova Cartagine» 1 892-1893 « Giornale commerciale, politico, letterario» settimanale d'informazione politica dir. : P. Merezzi, secondo A. CANAL, La littérature. . . cit., p. 1 32. 23) « La Lanterna» 1 893 « Cronaca settimanale di Tunisi»


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settimanale d'informazione varia dir. : E. Massari BN: nn. 1-13 24) «Protesta umana» 1 894 Giornale di tendenza anarchica dir. : N. Converti segnalato in A GGT, dossier E-531-52 ; citato da : C. LIAUZU La presse ouvrière . . . cit. ; P. SoUMILLE, Européens de Tunisie et questions religieuses ( 1892- 1901), Parigi, CNRS, 1 975, p. SO. Non reperibile 25) « La Sentinelle du Sud» 1 895 Giornale bilingue (it.-fr.) pubblicato a Sfax dir. : G. Spiro Barbara Non reperibile, segnalato in A GGT, dossier E-531-46 26) « L'Etna» 1 895 «Organo ebdomadario indipendente» dir. : V. Privitera BN: nn. 1 -2 27) «Bollettino telegrafico del giornale L'Unione» 1 896 citato in « L'Unione» del 22 marzo 1936 che ne riproduce fotograficamente il primo numero ; cf. G. B. CERCHIAI, Storia di un giornale in terra tunisina, in «L'Italiano - Gazzetta del Popolo della Sera», 27-28 febbraio e 28 febbraio - 1 marzo 1 939 Non reperibile 28) « Gazzetta tunisina» 1 896 « Giornale politico, letterario, commerciale» settimanale dir. : E. Massari BN: nn. 1-12 29) « Fra Melitone» 1 903-1904 « Giornale della domenica» giornale settimanale d'informazione politica dir. : A. Petrucci A GGT: nn. 1-17

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30) « La Colonia» 1 905 « Giornale politico ebdomadario, indipendente : organo della colonia italiana della Tunisia» dir. : E. Massari BN: nn. 1-2 ; 5-6 31) «<l Corriere tunisino » 1 905 « Quotidiano della Sera, Repubblicano, Radicale, Socialista» supplemento gratuito in lingua italiana a « Le Courrier Tunisien» (1 905-1940) dal n. 1 55 del 2/8/1905 al n. 205 del 20/9/1 905 BN: coll. completa ; A GGT: anno I nn. 1 55-164 32) « <l Giorno» 1 905-1906 «Periodico liberale indipendente» settimanale d'informazione politica e sociale dir. : E. Danise tip. : V. Finzi BN: nn. 1-65; A GGT: nn. 39-65 33) « La Rivista libera» 1 905-1906 « di scienze e arti» rivista artistica e scientifica dir. : C. Samperi BN: n. 1 ; A GGT: nn. 1-4 34) «<l Sindacalista» 1 905-1906 « Organo internazionale dei lavoratori» Giornale bilingue settimanale di tendenza sindacalista-rivoluzionaria, citato da C. LrAuzu, La presse ouvrière . . . cit., p. 937 Non reperibile 35) « La Voce dell'operaio» 1 905 «Organo internazionale sindacalista» Lavoratori di tutto il mondo, unitevi : Uno per tutti. Tutti per uno. giornale bimensile bilingue, di tendenza sindacalista-rivoluzionaria dir. : N. Converti A GGT: nn. 2-10 36) « La Guida Italiana» 1907-1925 «<ndipendente, per la tutela degli interessi italiani in Tunisia»


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giornale mensile (irregolare) dir. : G. Rossi BN: dal 1 9 1 1 (anno V) al 1 925 ; A GGT: dal 1914 al 1 925 37) « <l Minatore» 1 907 « Organo di raggruppamento e di difesa di tutti i lavoratori della miniera» giornale settimanale sindacalista dir. : F. Montuori e F. Ghiso A GGT: nn. 4-27 38) « La Voce del muratore» 1 907-19 1 1 « Giornale di raggruppamento e di difesa per gli operai muratori e arti similari di Tunisi» quindicinale dir. : G. Bartolotta, A. Messina, P. Mineo BN: 30 numeri 39) « La V o ce del pastaio » 1 908 giornale sindacalista, citato da C. LIAUZU, La presse ouvrière. . . cit., p. 938 N on reperibile 40) « <l Contro-Nazionalismo» 1 908 giornale sindacalista, citato da C. LIAUZU, La presse ouvrière. . . cit., p. 938 dir. : Natoli N on reperibile 41) «<l Proletario. Le Prolétaire» 1 908 giornale mensile bilingue di tendenze sindacalista e internazionalista, citato da C. LIAUZU, La presse ouvrière. . . cit., p. 938 dir. : A. Boisson Non reperibile 42) « <l Risveglio» 1 908-191 O « democratico indipendente» dal 4/7/1 909 al 1 9/3/1 910 prende titolo : « <l Risveglio della colonia : organo democratico indipendente» settimanale a tutela degli interessi della colonia italiana ger. resp. : L. Calogero, P. Mineo, M. Devota BN: collezione incompleta N.B . : il primo numero è stampato da destra a sinistra come 1 giornali di lingua araba

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43) « L'Operaio indipendente» 1 908 giornale la cui pubblicazione è stata annunciata da «La Voce del muratore», citato da C. LIAUZU, La presse ouvrière. . . cit., p. 937 Non reperibile 44) « Le Journal de Monastier-Il giornale di Monastier» 1 909-1910 « Organe d'intérèt local, économique et commerciai» giornale bilingue e bimensile, d'informazione locale dir. : G. Medina BN; A GGT 45) « <l Grido del lavoratore» 1910-1 9 1 1 giornale internazionalista a difesa degli operai di Tunisia, citato d a C . LrAuzu, La presse ouvrière. . . èit., p. 938 dir. : Malleo Non reperibile 46) « La Miniera» 1 9 1 0-1 91 1 « di notizie, fatti e documenti» giornale di informazione economica dir. : V. Berolsheimer citato da M. HAMDANE, Guide des périodiques parus en Tunisie de 1838 au 20 mars 1956, Tunisi, Fondation Nationale Beit al Hikma, 1989, p. 213 Non reperibile 47) « La Nuova Italia» 1 9 1 0-1 926 giornale settimanale citato da M. HAMDANE, Guide . . . cit. , p. 221 Non reperibile 48) « La Patria» 1910-1 9 1 1 « Giornale politico quotidiano » nato da una scissione de « L'Unione» red. : U. Fabbri BN: coll. completa 49) « Simpaticuni» 191 1 -1 933 « Giornale dialettale, umoristico, satirico, letterario, quindicinale» quindicinale poi settimanale nel 1 930 diventa <mmonstlco settimanale» nel 1 933 diventa «settimanale, politico, umoristico, letterario»


616 ger. : S. Ronsisvalle, dir. : R. Consolo dal red. : V. Zagone dal BN1 A GGT} CDN}

Michele Brondino R. Consolo (1912) 1 930 1 933 DA : coli. incompleta

50) « <l Libero Pensatore» 1 91 1 giornale mensile della Federazione dei liberi pensatori di Tunisi red. : Imer Jules citato da M. HAMDANE, Guide. . . cit., p. 206, fonte non indicata Non reperibile 51) «<l Popolo Italiano » 191 2 « Giornale politico letterario indipendente» settimanale dir. : M. Memmi catalogo BN ma non reperibile 52) « Il Pungolo 1 91 0-1931 « Settimanale politico indipendente : propugna gli interessi italiani in Tunisia» dir. : L Piazza BN1 A GGT: coll. incompleta 53) « L'Amico del Popolo » 1914 «Giornale popolare italiano» settimanale d'informazione politica dir. : N. Schirò, A. Schirò d'Agati (dal n. 4), V. Giglio BN, A GGT: coll. incompleta 54) « Squilli di tromba» 1914 e 1919 1914: numero unico citato nel giornale « Grigio Verde» del 26/3/1 922 1919 : numero unico citato da « L'Azione» del 4/3/1 923 Non reperibile 55) « Grigio-Verde» 1 91 9 alcuni numeri escono nell'autunno del 1 9 1 9 : sono segnalati nel n . 1 della seconda serie pubblicata con lo stesso titolo dal 26/3/1922 Non reperibile 56) «Almanacco Italiano della Tunisia» 1 920-1 922 ; 1 938 «Annuario commerciale, industriale, amministrativo, storico e turistico» BN, CDTM1 A GGT

I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

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57) « Son io» 1 920-1 922 «<l critico teatrale, umoristico, letterario » settimanale dir. : A. Bossini, A. Dello Strologo BN: nn. 1-79, DA 58) «Trieste» 1 921-1 927 «Corriere bisettimanale illustrativo politico liberale, amministrativo, agricolo, industriale, commerciale, artistico, teatrale, letterario, scientifico, mondano, sportivo : organo di propaganda d'interesse nazionale ufficiale per gli atti delle 'Associazioni italiane in Africa'». dal 1 923 diventa : « Corriere della Domenica : Organo Indipendente d i Propaganda Nazionale» dal 1 924 diventa : « Corriere indipendente, politico, artistico, teatrale : organo di propaganda franco-italiana in Tunisia» giornale bisettimanale, poi settimanale e infine mensile dir. : L. Soraci BN, A GGT 59) « Grigio Verde» 1 922-1 923 « Organo dell'unione italiana fra combattenti e mutilati di guerra» dal n. 8 : «Organo dell'Unione italiana dei combattenti» dal n. 1 1 : «Organo dell'unione italiana combattenti sezione di Tunisi dell'u­ nione nazionale reduci di guerra» ger. : R. Messeri BN: coll. incompleta 60) « Pif Paf de Tunis » 1 922 « J ournal hebdomadaire humoristique et littéraire franco-italien» citato da M. HAMDANE, Guide . . . cit., p. 237 dir. : R. Farina catalogato BN ma non reperibile 61) « Lo Sport» 1 923 « Settimanale sportivo, ciclismo, boxe, football, tennis, scherma, automobili­ smo, aviazione» tip. : franco-italienne L. Soraci catalogato BN ma non reperibile

21


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Michele Brondino

62) « L'Azione» 1 923-1 924 « Organo della gioventù italiana. Settimanale politico indipendente» settimanale nazionalista, tendenza fascista ger. : G. Errera dir. : V. Cortesi dal n. 25 BN: nn. 1-53 63) « La Nazione» 1923-1 924 « Giornale politico-indipendente» settimanale d'informazione politica, di tendenza fascista dir. : E. Nalli BN: 1 923 nn. 2-36 ; 1 924 nn. 1-8 64) « <l Vespro anarchico» 1924 citato da ]. BEssrs, La Méditerranée fasciste .. : Paris, Karthala, 1 981, p. 67 fonte non indicata Non reperibile 65) « La Libertà» 1 924-1925 « Settimanale di cultura e di difesa» giornale settimanale, bimensile dal gennaio 1 925, antifascista dir. : D. Scalera BN: coll. completa 66) «Arte e moda» 1 925 citato da R. RAINERO in Observation. . . cit., p. 88 fonte non indicata Non reperibile 67) « <l Gazzettino Sportivo» 1 925-1927 « Organo ufficiale dello sport» settimanale dir. : G. di Giovanni BN, A GGT: coll. incompleta 68) « <l Corrierino della scuola» 1 926 giornale mensile per le scuole pubblicato a Sfax, tendenza fascista ger. : F. lACOVACCI BN: coll. incompleta

I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

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69) «Africa settentrionale 1 926-1 927, 1933 « Rivista mensile degli interessi morali e materiali degli italiani» giornale bimensile poi mensile, d'informazione politica dir. : G. Almanza BN: coli. incompleta 70) « <l Risveglio » 1 926 «Organo italiano» giornale settimanale d'informazione politica, fascista dir. : A. Bossini BN, A GGT: collezione completa 71) « <l Risveglio del Mutilato » 1 928-1 929 « Organo politico quindicinale» giornale d'informazione politica, nazionalista ger. : V. Lo Scalzo BN: collezione completa 72) «<l Reduce» 1 928-1 935 « Settimanale politico, letterario, dialettale, umonst1co e sportivo» nel 1 930 diventa : «settimanale della gioventù italiana» nel 1 935 diventa: «periodico italiano della Tunisia» settimanale d'informazione politica, fascista, si fonde il 20-10-1 934 con «La Scintilla» e prende il sottotitolo : « Scintilla e Reduce riuniti» dir. : G. di Rosa BN: coll. completa ; CDTM : annata 1935 73) « L'Illustrazione Tunisina» 1 929-1930 « Rivista quindicinale illustrata italiana dell'Africa Mediterranea» rivista d'informazione culturale dir. : E. N. Vitry BN: coll. incompleta 74) « La Voce Nuova» 1 930-1 933 «Trisettimanale politico del mattino» nel 1 933 diventa : « organo dei liberi italiani dell'Africa del Nord» giornale trisettimanale, dal n. 76 al n. 1 50 quotidiano, dal n. 1 5 1 al n. 228 bisettimanale, dal 1 933 settimanale, organo della sezione tunisina della Lega dei Diritti dell'Uomo, antifascista dir. : V. Serio BN, CDTM: coll. incompleta


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Michele Brondino

75) « <l Ghibli» 1 930-1 933 «Periodico mensile di lettere, scienze e arte» dal n. 12 diventa : «periodico per la diffusione della cultura italiana in Tunisia» dir. : M. Gioia BN: coll. incompleta 76) « L'Eco d'Italia» 1 932 « Organo liberale democratico italiano» giornale bimensile di informazione politica, antifascista dir. : G. Barresi catalogato BN ma non reperibile 77) « L'Adunata» 1 933-1939 « della gioventù studiosa» suppl. n. 5 : « ... della gioventù italiana» dal 1 935 diventa : « . . . organo dei giovani universitari» dal 1 939 «Adunata : quindicinale letterario umoristico dei giovani» rivista di tendenza fascista ger. : S. Farina dal 1 939 dir. : M. Torregiani BN: coll. incompleta 78) « <taliani di Tunisia» 1 934-1 940 « Rivista quindicinale» rivista culturale, fascista nel 1 937 diventa mensile dir. : G. B. Cerchiai BN, A GGT: coll. incompleta 79) « L'Italiano» 1 934 già «<l Ghibli, settimanale di cultura» settimanale politico culturale dir. : G. Gioia catalogato BN ma non reperibile 80) « La Scintilla» 1 934-1935 « Quindicinale italiano della Tunisia» nel 1 935 si fonde con «<l Reduce» e diventa «<l Reduce e Scintilla riuniti : periodico italiano della Tunisia»

I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

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bimensile d'informazione politica, fascista dir. : A. Attai e G. di Rosa, dal 1 935 condir. : Soracino BN: CDTM: coll. incompleta 81) « Tifopoli» 1934 « Supplemento sportivo umoristico del Reduce» settimanale dir. : M. Guerriero e G. di Rosa BN: nn. 1 -3 82) « Rivista italiana di Tunisia» 1 934 citato da R. Rainero, Observation. . . cit., 1 985, p. 88 fonte non indicata 83) « L'Unione della sera» 1 935-1936 edizione quotidiana della sera de « L'Unione», giornale di tendenza fascista dir. : E. Santamaria BN, A GGT: coll. incompleta 84) « L'Alba» 1 935 « Organo della società italiana Alba (S.I.A.)» giornale settimanale culturale, fascista fondatori : G. Colombo e R. A. Oliva BN: nn. 1-9 ; CDTM: coll. incompl�ta 85) «Domani . . . » 1 935 «Rassegna libera di idee, uom1ru e cose» settimanale d'informazione politica e culturale antifascista dir. : A. Casubolo BN: nn. 1-6 86) « <l Lavoro italiano » 1935 « Settimanale politico, economico, e sociale degli agricoltori e lavoratori italiani di Tunisia» tendenza fascista dir. : G. di Maggio BN: nn. 1 -4 87) « <l Liberatore» 1935 « Organo del gruppo italiano del partito comunista di Tunisia» giornale clandestino ciclostilato, citato da ]. BEssrs, La Méditerranée. . . cit., p. 1 77 fonte non indicata


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Michele Brondino

88) « Coccodè» 1 936-1937 « Rivista settimanale illustrata di varietà» dal n. 1 1 del 25/3/1937 diventa : settimanale dei lavoratori italiani di 'Tunisia rivista di tendenza fascista dir. : G. Panciroli BN: anno I ; CDTM: coll. incompleta; coll. personale incompleta 89) « L'Italiano di Tunisi» 1 936-1 940 «Organo della Lega italiana dei Diritti dell'Uomo» giornale politico antifascista dal n. 1 59 del 1 939 diventa mensile dir. : L. Gallico BN: completa ; CDTM: coll. incompleta coll. personale completa 90) « <l Cicchetto» 1936 « Settimanale satirico umoristico e d'informazioni» di tendenza fascista, pubblicato a Susa ger. : O. Aiello BN: coll. completa 91) « L'Africano» 1 937 « Settimanale italiano politico letterario dell'Africa del Nord» giornale settimanale fascista dir. : G. Bua BN: coll. completa; CDTM: coll. incompleta; coll. personale completa 92) « Giovinezza» 1 937 supplemento mensile alla r1v1sta « <taliani di Tunisia» rivista politica letteraria di tendenza fascista dir. : G. B. Cerchiai BN; A GGT: coll. incompleta

I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

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rivista letteraria per la diffusione della cultura italiana dir. : P. Mix BN: nn. 1-5 ; DA 95) « <l Viticultore tumsmo» 1 938-1 939 « Settimanale per la difesa della viticultura nella Reggenza» dir. : G. Ragucci J3N e CDTM 96) « <l Giornale» 1 939 « Quotidiano d'informazione degli italiani di Tunisia» giornale d'informazione politica, antifascista dir. : G. Amendola BN: coll. completa ; CDN: coll. incompleta 97) « La nostra lotta» 1 940 giornale clandestino del partito comunista tunisino, citato da L. L'A ltro Mediterraneo, Chieti, Vecchio Faggio, p. 1 73

GALLICO,

in

98) « <l Soldato italiano» 1 943 «Organo dei giovani comunisti in divisa» giornale clandestino ciclostilato citato da ]. BESSIS, La Méditerranée. . . cit., p. 321 Non reperibile 99) « L'Avanti» 1 943 giornale clandestino ciclostilato di cui un numero è conservato presso la biblioteca della Società Dante Alighieri di Tunisi 100) «Appello ai Giovani Italiani» 1943 giornale clandestino ciclostilato DA : 1 numero (giugno)

93) « <l Lavoratore italiano di Tunisia» 1 937-1 939 « Settimanale politico e di collaborazione economico-finanziaria» dir. : F. Iovinelli BN e CDTM: coll. incompleta

1 01) « Giovani» 1 943 giornale clandestino ciclostilato DA : numero del 31-7-1943

94) «Pagine mediterranee» 1 937 « Rivista mensile - Dante Alighieri»

102) «Tunis - Soir» 1 952-1 957 «ltalie-Sport e Informazione - Mondanità illustrate della colonia italiana della Reggenza e notizie varie»


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Michele Brondino

I giornale italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

giornale francese che, nel clima di apertura verso la comuJ;Iità it�liana, pubblica una «Pagina bilingue per i nostri lettori italiani della Reggenza» . a partire dal 14 maggio 1 952, ad imitazione della pagina franco-araba iniziata tre anni prima. dir. : O. Caurana tip. : Imprimerie La dépèche tunisienne BN: coll. completa

1 08) «Bollettino della Società degli antichi Allievi delle Scuole italiane» s. d. pubblicazione irregolare citato da G. AYRA, Gli Italiani. . . cit., p. 68 non reperibile

624

1 03) «<l Corriere di Tunisi» 1956 . . « Settimanale indipendente d'informazioni» dal n. 1 32 scompare il sottotitolo giornale settimanale, bisettimanale poi quindicinale di informazione politica e socio-culturale dir. : E. Finzi tip. : Finzi BN: coll. incompleta ; coll. privata Finzi ; A GGT: coll. completa (tranne n. 1) ; CDN; Istituto italiano di cultura di Tunisi e DA : coll. incompleta .

1 04) «L'Italo-tunisino» 1 956-1957 esce dal 23 settembre 1956 al 15 settembre 1 957 soppresso dalle autorità tunisine per l'esaltazione fascista dir. resp. : V. d'Alessandro tip. : imp. du Nord; imp. du Journal de « La Presse» A GGT: coll. completa (nn. 1-52) ; coll. privata Finzi ; DA; CDN n. 1 ; n. 51 1 05) « L'Africa Latina» s. d. citato da M. HAMDANE, Guide . . . cit., p. 61 dir. : E. Massari fonte non indicata 1 06) «Lo Scettico» s. d. citato da « L'Unione» del 21-6-1910 dir. : R. Gallico non reperibile 1 07) «Bollettino medico» s. d. pubblicazione dell'Ospedale Coloniale Italiano istituito nel 1 891 rivista medica, di pubblicazione irregolare citato da G. AYRA, Gli Italiani nella Tunisia, Tunisi 1 906 non reperibile

1 09) «<l Socialista» s. d. citato da V. BRIANI, in La Stampa italiana all'estero, Roma, Poligrafico dello Stato, 1 977, p. 1 70 non reperibile 1 10) «Telegrafo Tunisino» s. d. citato in «Gazzetta tunisina» del 4-8-1 896 red. ger. : E. Massari non reperibile 1 1 1) «Vera Unione» s. d. citato in «Gazzetta tunisina» del 22-1 1-1896 dir. : E. Massari non reperibile 1 1 2) « La Difesa» s. d. pubblicato a Susa citato in « L'Unione» del 23-9-1910 dir. : P. Costa non reperibile


INDICE DEGLI AUTORI Aga Rossi Elena, II, 771 Barletta Giuseppe, II, 997 Bertinaria Pier Luigi, II, 1063 Bessis Juliette, II, 793 Betti Claudio Mario, II, 702 Botti Ferruccio, II, 1 1 24 Bronchini Silvano, II, 1 1 1 1 Brandina Michele, I, 600 Cadioli Beniamino, II, 959 Calandra Eliana, II, 1 1 50 Calchi Novati Giampaolo, I, 1 66 Ciampi Gabriella, II, 669 Crociani Piero, II, 1 1 01 D'Amoja Fulvio, I, 521 Della Valle Mauro, I, 21 1 Della Valpe Nicola, II, 1 1 68, 1 1 83 De Vergottini Tomaso, I, 560 Di Nolfo Ennio, II, 1 259 D'Ippolito Lucia, I, 488 Durante Michele, II, 1 008 Ferrara Patrizia, I, 77 Filesi Cesira, I, 464 Fonzi Fausto, I, 438 Frattolillo Fernando, II, 1 1 83 Gabriele Mariano, II, 1 076 Garcea Antonio, I, 149

Gazzini Mario, II, 1 193 Ghisalberti Carlo, I, 379 Goglia Luigi, II, 805 Grange J. Daniel, I, 547 Grispo Renato, I, 1 5 Guillen Pierre, I , 200 Iacona Erminio, I, 1 1 3 Lala Donatella, II, 1029 Lodolini Elio, I, 57 Mack Smith Denis, I, 196 Marcus Harold G., II, 728 Martina Giacomo, II, 905 Melis Guido, I, 413 Minerbi Sergio, II, 943 Missori Mario, I, 253 Moffa Claudio, I, 259 Mulas Maria Antonietta, II, 914 Ortolani Salvatore, I, 287 Pankhurst Richard, II, 735 Pastorelli Pietro, I, 31 Pellegrini Vincenzo, I, 294 Pescosolido Guido, I, 566 Petricioli Marta, II, 691 Pieretti Marina, I, 334 Puletti Rodolfo, II, 1207


628 Rainero Romain H., II, 1248 Ricci Aldo G., II, 1 050 Romano Sergio, I, 21 Sbacchi Alberto, I, 87 Scrivano Riccardo, II, 645 Segrè Claudio, I, 536 Serio Mario, I, 45

Indice degli atftori Surdich Francesco, l, 477 Taddia Irma, I, 349 Toccafondi Valeria, II, 1 1 1 6 Tosatti Giovanna, I, 366 Triulzi Alessandro, I, 1 56

I ND I C E

Vigezzi Brunello, II, 1225

RENATO GRISPO, Introduzione S ERGIO ROMANO, L'ideologia del

colonialismo italiano PIETRO P ASTORELLI, Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione MARIO SERIO, L'A rchivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo : iniziative e prospettive di ricerca

I.

31 45

FONTI ARCHIVISTICHE E STORIOGRAFICHE

Euo LODOLINI, Le fonti sulla politica coloniale italiana negli A rchivi di Stato italiani PATRIZIA FERRARA, Recenti acquisizioni dell'A rchivio centrale dello Stato in materia di fonti per la storia dell'Africa italiana : Ufficio studi e propaganda del MA I A LBERTO SBACCHI, The A rchives of the Consolata Mission and Italian Colonialism ERMINIO IACONA, Cesare Nerazzini, un ufficiale medico al servizio della diplomazia italiana in Africa ( 1883- 1897) ANTONIO GARCEA, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nell'A rchivio Colosimo ALESSANDRO TRIULZI, Storia del colonialismo e storia dell'Africa GIAMPAOLO CALCHI N OVATI, Studi e politica ai convegni coloniali del primo e del secondo dopoguerra D ENIS MACK SMITH, Le fonti britanniche per il colonialismo italiano P IERRE GUILLEN, L'iistoriographie française de la politique coloniale italienne l

15 21

57

77 87 113 149 1 56 166 1 96 200


ì 630

i l

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Indice

J . GRANGE, Peut-on parler au début du XX• siècle d'un ((parti colonia!" italien ? ToMASO DE VERGOTTINI, Fulvio Suvich e l'Etiopia GUIDO PESCOSOLIDO, A lle origini del colonialismo italiano : la stampa italiana e la politica coloniale dell'Italia dal rifiuto di . intervento in Egitto alla vigilia dell'occupazione di Massaua ( 1882- 1884) MICHELE BRONDINO, I giornali italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

. 21 1 253 259

287 294

Indice degli autori

334 349 366

l

II. LE ISTITUZIONI CARLO GHJSALBERTI,

Per una storia delle istituzioni coloniali

italiane GUIDO MELIS, I funzionari coloniali ( 1912- 1924) FAUSTO FoNZI, La Chiesa cattolica e la politica coloniale CESIRA FILESI, L'Istituto coloniale italiano

FRANCESCO SURDICH, Le società geografiche e coloniali LuciA D 'IPPOLITO, L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

379 41 3 438 464 477 488

III. POLITICA E IDEOLOGIA FULVIO D 'A MOJA,

La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale. Considerazioni su come due termini dia­ lettici si siano trasformati in un rapporto conflittuale CLAUDIO SEGRÈ, Ita!J and Classica! Theories of the « New Im­ perialism >> : the Missing Italian Case

631

D ANIEL

MAURO D ELLA VALLE,

La chiamata alle armi per la guerra di Libja ( 191 1- 1912) dai ruoli matricolari del distretto militare di Frosinone MARIO MISSORI, Una ricerca sui deportati libici nelle carte del­ l'A rchivio centrale dello Stato CLAUDIO MoFFA, I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat SALVATORE ORTOLANI, Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà di Trento VINCENZO PELLEGRINI, Le fonti del Ministero dell'Africa italiana MARINA PIERETTI, Ripercussioni interne ai fatti di Sahati e Do­ gali dalle carte della Questura di Roma (gennaio-febbraio 1887) IRMA TADDIA, Memoria storica e testimonianza orale : colonialismo e ricostruzione del passato nell'Africa italiana GIOVANNA TosATTI, Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor

Indice

i

521 536

:l

l

547 560

566 600

627


UFFICIO CENTRALE PER I BENI ARCHIVISTICI DIVISIONE STUDI E PUBBLICAZIONI

Direttore generale per i beni archivistici

jj: Rosa Atonica Antonio Dentoni-Litta

SOMMARIO

Direttore della divisione studi e pubblicazioni:

il direttore generale per i beni archivistici, presi­ dente, Paola Carucci, Antonio Dentoni-Litta, Cosimo Damiano Fonseca, Romualdo Giuffrida, Lucio Lume, Enrica Ormanni, Giuseppe Pansini, Clau­ dio Pavone, Luigi Prosdocimi, Leopoldo Puncuh, Antonio Romiti, Isidoro Soffietti, Isabella Zanni Rosiello, Lucia Fauci Moro, segretaria.

GENERALE

Comitato per le pubblicazioni:

Cura redazionale:

Carla Ghezzi

RENATO GRISPO, Introduzione SERGIO ROMANO, L'ideologia del colonialismo italiano PIETRO PASTORELLI, Gli studi sulla politica coloniale italiana dalle origini alla decolonizzazione MARIO SERIO, L'A rchivio centrale dello Stato e le fonti per la storia del colonialismo: iniziative e prospettive di ricerca l.

Ufficio centrale per i beni archivistici ISBN 88-7125-1 08-3 Vendita:

Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Libreria dello Stato Piazza G. Verdi, 10 - 001 98 Roma

Finito di stampare nel mese di Luglio 1996 nell'Officina Carte Valori dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato - Piazza G. Verdi, 10 - 00198 Roma

31 45

FONTI ARCHIVISTICHE E STORIOGRAFICHE

ELio LODOLINI, Le fonti sulla politica coloniale italiana negli

© 1 996 Ministero per i beni culturali e ambientali

15 21

A rchivi di Stato italiani PATRIZIA FERRARA, Recenti acquisizioni dell'A rchivio centrale dello Stato in materia di fonti per la storia dell'A frica italiana : Ufficio studi e propaganda del MAI ALBERTO SBACCHI, The A rchives of the Consolata Mission and Italian Colonialism ERMINIO IACONA, Cesare Nerazzini, un ufficiale medico al servizio della diplomazia italiana in A frica ( 1883- 1897) ANTONIO GARCEA, Le fonti per la storia della politica coloniale italiana nell'A rchivio Colosimo ALESSANDRO TRIULZI, Storia del colonialismo e storia dell'A frica GIAMPAOLO CALCHI NOVATI, Studi e politica ai convegni colo­ niali del primo e del secondo dopoguerra DENIS MACK SMITH, Le fonti britanniche per il colonialismo italiano PIERRE GUILLEN, L' historiographie française de la politique colo­ niale italienne

57 77 87 1 13 149 1 56 166 1 96 200


638

SOtJJtJaJ rio generale

MAURO DELLA VALLE, La chiamata alle armi per la guerra di· Libia ( 191 1- 1912) dai ruoli matricolari del distretto militare di Frosinone MARIO MISSORI, Una ricerca sui deportati libici nelle carte del­ l'A rchivio centrale dello Stato CLAUDIO MOFFA, I deportati libici alle Tremiti dopo la rivolta di Sciara Sciat SALVATORE ORTOLANI, Le carte del generale Oreste Baratieri presso il Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà di Trento VINCENZO PELLEGRINI, Le fonti del Ministero dell'Africa italiana MARINA PIERETTI, Ripercussioni interne ai fatti di Sahati e Do­ gali dalle carte della Questura di Roma (gennaio-febbraio 1887) IRMA TADDIA, Memoria storica e testimonianza orale : colonialismo e ricostruzione del passato nell'Africa italiana GIOVANNA TosATTI, Le carte di un funzionario del Ministero delle colonie : Luigi Pintor

SotJJtJaJ rio generale

21 1 253 259 287 294 334 349 366

Il. LE ISTITUZIONI CARLO GHISALBERTI, Per una storia delle istituzioni coloniali italiane GuiDo MELIS, I funzionari coloniali ( 19 12- 1924) FAUSTO FoNZI, La Chiesa cattolica e la politica coloniale CESIRA FILESI, L'Istituto coloniale italiano FRANCESCO SURDICH, Le società geografiche e coloniali LUCIA D'IPPOLITO, L'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia

379 413 438 464 477 488

III. POLITICA E IDEOLOGIA FULVIO D'AMOJ A, La politica coloniale italiana nell'ambito della politica internazionale. Considerazioni su come due termini dia­ lettici si siano trasformati in un rapporto conflittuale CLAUDIO SEGRÈ, Ita!J and Classica! Theories of the << New Im­ perialism )) : the Missing Italian Case

521 536

639

DANIEL J. GRANGE, Peut-on parler au début du XX' siècle d'un "parti colonia!" italien? ToMASO DE VERGOTTINI, Fulvio Suvich e l'Etiopia GuiDo PESCOSOLIDO, A lle origini del colonialismo italiano : la stampa italiana e la politica coloniale dell'Italia dal rifiuto di intervento in Egitto alla vigilia dell'occupazione di Massaua ( 1882- 1884) MICHELE BRONDINO, I giornali italiani in Tunisia come fonte della politica coloniale italiana

600

Indice degli autori

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* *

RICCARDO SCRIVANO, Letteratura e colonialismo GABRIELLA CIAMPI, La scuola nelle colonie MARTA PETRICIOLI, Le missioni archeologiche CLAUDIO MARIO BETTI, Le missioni religiose HAROLD G. MARCUS, To Be or not to Be Emperor : Hai/e Sellassie and Ita!J, 1936- 1939 RICHARD PANKHURST, Resistance to Italian Colonialism : the Case of the Ethiopian Patriots ( 1936- 194 1) ELENA AGA Rossi, Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana durante la seconda guerra mondiale JULIETTE BESSIS, La minorité italienne de Tunisie LUIGI GoGLIA, Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940) GIACOMO MARTINA, «La Civiltà cattolica» e il problema colo­ niale italiano MARIA ANTONIETTA MULAS, Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : Giacomo Agnesa ( 1860- 1919)

547 560

566

645 669 691 702 728 735 771 793 805 905 914

IV. ECONOMIA E SOCIETÀ SERGIO MINERBI, Tentativi territorialisti ebraici in Tripolitana ed in Etiopia

943


640

Sommario generale

Sommario generale

BENIAMINO CADIOLI, Il problema delle comunicazioni postali fra Italia ed Eritrea dall'insediamento in A ssab all'occupazione di Massaua (18 79- 1885)

959

GIUSEPPE BARLETTA, L'apporto del Salento alla colonizzazione agricola e demografica in Libia alla vigilia della seconda guerra mondiale

997

1 008

DoNATELLA LALA, L'emigrazione dal Salento in Africa orientale italiana negli anni 1935- 1940

1 049

ALDO G. RICCI, La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italo-francese del 1880- 188 1

1 050

V. MILITARI E POLITICA COLONIALE

PIERO CROCIANI, Costituzione e scioglimento della Polizia dell'Africa italiana SILVANO BRONCHINI, L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960)

1063 1 076

V ALERIO ToccAFONDI, La cartografia coloniale italiana

1 101 1111 1116

FERRUCCIO BoTTI, A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

1 124

ELIANA CALANDRA, Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca attraverso le fonti archivistiche

1 1 50

NICOLA DELLA VoLPE, Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego NICOLA DELLA VOLPE - FERNANDO FRATTOLILLO, Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dell' Ufficio storico dello SME

1 1 97 121 1

VI. LA SOCIETÀ ITALIANA DI FRONTE AL COLONIALISMO

MICHELE DURANTE, Pesca, ostricoltura e ricerca idrobiologica nelle colonie italiane d'Africa attraverso le carte dell'A rchivio del regio Laboratorio di biologia marina di Taranto

PIER LUIGI BERTINARIA, Dottrina, strategia, tattica e logistica nelle campagne coloniali MARIANO GABRIELE, La Marina militare, le esplorazioni geografiche e la penetrazione coloniale

MARIO GAZZINI, I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro RoDOLFO PULETTI, La cavalleria nelle truppe coloniali (1885- 1956)

641

1 1 69 1 1 86

BRUNELLO VIGEZZI, Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica RoMAIN H. RAINERO, L' anticolonialismo italiano tra politica e cultura ENNIO Dr NoLFO, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

1229

Indice degli autori

1273

1252 1263


III

POLITICA E IDEOLOGIA


RICCARDO SCRIVANO

Letteratura e colonialismo

Il colonialismo irruppe nella letteratura italiana coll'eccidio di Dogali, il 26 gennaio 1 887. Come si sa bene - ed è appena il caso di riassumerne le contingenze -, l'avvenimento tragico eccitò aspramente l'opinione pubblica. Se nel 1 885 la partenza dei soldati italiani che andavano ad occupare Massaua era risuonata in modo abbastanza ristretto, ma festosamente, come se fosse l'inizio d'una bella avven­ tura, la sconfitta e la strage ebbero un effetto ben più largo e parte­ cipato dall'opinione pubblica. Alla strage in territori etiopici gli italiani che potevano ricevere questo tipo di informazioni erano per la verità abituati : basti qui ricordare che nell'82 la decisione del governo di «assumere direttamente il possesso di Assab» era seguita alla strage di una delle tre colonne Giulietti 1: di poco successivo il massacro della colonna Bianchi 2• Ma a Dogali per la prima volta venivano massacrati dei soldati dell'esercito regolare, che a livello di truppa erano, per di più, semplici militari di leva. Le polemiche dovevano naturalmente esplodere, ed esplosero. Unico elemento comune ai diversi schieramenti politici sull'evento e sulla politica coloniale appena avviata erano la debolezza e l'indecisione con cui il governo, facendone anche scarsamente partecipe il Parlamento, aveva agito. Ma se la salita al potere di Crispi (agosto '87) doveva tagliare alla base ogni vera possibilità di alternative sulla conduzione politica del nascente colonialismo italiano in Eritrea, non poteva tuttavia far tacere d'improvviso le polemiche. Tanto più che certe iniziative ne avevano frattanto favorito il rinfocolarsi.

1 Giuseppe Maria Giulietti, di Casteggio (Pavia), fu ucciso dai Dancali nel 2 Gustavo Bianchi, di Ferrara, anch'egli ucciso in Dancalia nel 1 884.

1881.


646

Riccardo Scrivano

Una di tali iniziative era stata quella del sindaco di Roma . per l'erezione di un obelisco in memoria dei caduti di Dogali. Il sindaco di Roma aveva anche avuto l'idea di promuovere una raccolta di veqi celebrativi dell'occasione e di invitare tra gli altri Giosuè Carducci a stendere un « componimento lirico ». Carducci respinse duramente l'invito e contestò non solo l'iniziativa del monumento, ma la guerra stessa all'Abissinia e specialmente ogni proposito di vendetta e di rivalsa per il vano sacrificio dei soldati italiani. Questi sentimenti e propositi Carducci espresse in una lettera stesa il 1 5 maggio 1 887 e pubblicata ne «<l Resto del Carlino» del 1 9 maggio. È un documento di intensa passione che bene disegna limiti e contraddizioni della politica coloniale italiana, anche se allo stesso modo mostra chiaramente i limiti contrari, quelli cioè di una grave incomprensione da parte di Carducci di quello che stava accadendo allora nel mondo. Saldamente ancorato agli ideali risorgimentali di affrancamento dei popoli, se non propriamente di democrazia e di partecipazione popolare al potere, Carducci respinse il colonialismo. Vale la pena di riportare per intero il documento, sorta di testamento delle idealità democratiche del suo autore : sarà in primo luogo utile per capire quale fu il punto di partenza del rapporto della letteratura italiana - nel caso del maggior letterato, forse, e certo di quello di maggior spicco e prestigio di quegli anni - col colonialismo. «Ill.mo sig. Sindaco, La S. V. mi fa l'onore di chiedermi un componimento lirico per una raccolta di versi che vuolsi pubblicare in Roma quando sarà inaugurato il monumento ai soldati e agli officiali caduti in Africa il 26 gennaio; e più anche mi fa d'onore, pensando che fa solenne patriottica occasione mi consiglierà rimuovermi dal proposito più volte manifestato, di non contribuire a numeri unici e simili pubblicazioni. L'invito muove di sì alto e in tali condizioni di tempo, che io credo non dover tacere le ragioni per le quali non mi è lecito accoglierlo. Ciò che io sento degli italiani morti in Dogali, non è bisogno dire. Dico che io non approvo il rumore e il fasto che si continua a menare e a fare su quella sventura. Mi dà da pensare lo sfogo delle memorie classiche a questi giorni che l'amore per i classici studi è tra noi sì basso ed oscuro. E penso che dei caduti alle Termopile non era forse da ricordare se non la temperanza della iscrizione, per rifarla romanamente: Morirono obbedienti alle leggi della disciplina. Ma non era da dimenticare che i Trecento Lacedemoni difendevano il loro paese contro una inva-

Letteratura e colonialismo

647

sione prepossente, che si votarono alla morte da sé, e sapevano perché andavano a morire, e ottennero ciò per cui morivano. Ma, se Roma leva un obelisco alle vittime di una spedizione inconsulta che furono tratte sprovvedutamente in un agguato, che farebbe quando una vittoria sulle nostre Alpi o sui nostri mari gloriosa ricongiungesse alla patria qualche altra città del gran nome latino? e che doveva fare l'Italia quando i Mille cadevano di mano in mano gloriosamente decimati a Calatafimi a Milazzo a Palermo? Ahimè, a considerare questa, dirò così, eccitazione nervosa che ha preso l'Italia dopo la recente sventura, quasi direbbesi che ella avesse un troppo umil concetto della virtù sua; quasi direbbesi che ella s'inebbriò del suo sangue quando lo vide rosso, e sentì il bisogno di gridare alle genti che anch'essa ha il sangue rosso. Cotesta eccitabilità nervosa, cotesta mobilità fantastica, che travaglia da un pezzo non il popolo italiano ma le classi così dette dirigenti, furono e fecero il gioco proprio di quella amministrazione, la quale mosse di soppiatto al Parlamento la politica della colonia africana, di quell'amministrazione che, scambiando con la ingenuità dell'egoismo infantile per vantaggio della nazione ciò che valesse a sorreg­ ger lei o a travestirla, strascicò avanti l'illusione africana finché le servì, e poi lasciò andare illusione, politica, colonia e battaglioni d'Africa come volevano, anzi, povera e brava gente, come non volevano. Qui la colpa dell'eccidio di Dogali. Il quale avvenuto, a cotesta amministrazione, per iscrollarsi dal capo il giusto giudizio del sangue di Dogali, non parve vero cotanta accensione negli italiani di pietà ed entusiasmo; e vi soffiarono dentro, tanto che gran parte di noi si condusse a vedere in quei morti non più le vittime di una politica fallace insipiente e colpevole, ma gli eroi della nazione chiamanti vendetta e segnanti all'esercito vie nuove di gloria. E ne siamo con la guerra d'Abissinia. Siamo? Il popolo italiano vero, il popolo italiano che lavora e che pensa, quello che non parteggia e non specula e non s'inebbria e non tira alle avventure, quel popolo, dico, interrogato puramente e severamente, risponderebbe che non vuole esserci. Non vuole esserci, perché guerra non giusta; e gli abissini hanno ragione di respingere noi come noi respingevamo o respingeremmo gli austriaci. Non vuole esserci, perché guerra non politica; e distrarrebbe le nostre forze quando maggiore è il bisogno eli tenerle raccolte e pronte. Non vuole esserci, perché guerra non utile, anzi dannosa, impensabilmente dannosa; per vedere vantaggi italiani in Abissinia bisogna spossare l'immaginazione in chimere di falliti: per vedere i danni, giacché oramai del sangue si fa buon mercato, basta guardare ai milioni che già accennano eli cascarci su 'l capo. Non saranno cento per ora. Ma la guerra non è ancora guerreggiata. Lasciamo fare: altro che cento! Sì che, illustrissimo signor sindaco, io non posso per la inaugurazione clell'obelisco romano alla memoria dei morti in Dogali scrivere per ora altro che questa lettera. La quale mi dorrebbe che dovesse sonare men che rispettosa dell'opinione altrui: ma io fui richiesto in certo modo della opinione mia, ché certo la S. V. conferendomi


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Letteratura e colonialismo

Riccardo Scrivano

sì largamente fin nella soprascritta il nome che più dura e più onora "non mi volle relegare tra quei poeti, se poeti hanno a dirsi, a cui sono opinioni le frasi; .ed· io la mia opinione ho detto da uomo libero» 3. Bologna, 1 5 maggio 1 887

Per un verso Carducci ha una v1s10ne chiara della situazione : l'av­ ventura africana non consuona con la storia dell'Italia nuova la terza ' Italia com'egli altrove s'esprimeva, se non per i suoi aspetti negativi. Così, quando accenna alla scarsa opinione che il nervosismo serpeggiante �el . p�es� d�po il . fatto di Dogali rivela circa le virtù militari degli 1taham, e chiaro l'mdiretto riferimento alle vicende militari italiane del '66 che si erano consumate nei disastri di Custoza e di Lissa. Semmai, volontariamente o no, equivoca tra «virtù» militare degli italiani e im­ preparazione generale dell'esercito all'indomani dell'Unità e infine ' ' insipienza dei comandi e dei singoli generali e ammiragli. Ma non v'è incertezza né equivoco quando accenna alla pericolosità dell'azione del governo «mossa di soppiatto al Parlamento», né quando dichiara la doppiezza del governo che adopera i caduti di Dogali come vittime mentre sono l'innocente scotto pagato ad un'aggressione, né quando esplicitamente defmisce chimera la speranza di ricavare un utile dal possesso dell'Abissinia. Per un altro verso, quello internazionale dell'e­ splosione violenta degli imperialismi, insomma della divisione del mondo intero in zone di pertinenza di cui il colonialismo è una parte, e una delle più vistose, Carducci esprime più che un rifiuto, una completa

3 G. CARoucct, Opere, Bologna, Zanichelli, 1935-1940, XXVIII, pp. 296-298. Vedi anche R. BRuSCAGLI, Carducci nelle lettere. Il personaggio e il prosa/ore, Bologna, Pàtron, 1972, pp. 212-219.

Questa pres di posizi��e di Carducci è in diretto rapporto con la sua valutazione negativa di . . Depretls. D1ffic!le stabilire se qualcosa cambiò e cosa quando fautore della politica africanistica dell'Italia fu Crispi, di cui Carducci fu un fedele, anche nelle involuzioni o in alcune almeno: su ciò v. M. VtNCIGUERRA, Carducci uomo politico, Pisa, Nistri-Lischi, 1957, pp. 41-47; W. BtNNt, Card 1c�i e a tri saggi, Torino, Einaudi, 1967, pp. 65-75. Per la narrazione minuziosa, per quanto poss1b!le, d1 queste vicende occorre risalire a G. CANDELORO, Storia dell'Italia modema VI Lo sviluppo del ca?italis JJo e el movimento operaio, Milano, Feltrinelli, 1970, pp. 315-322 (s gli nizi della penetraz10ne 1n Entrea fino a Dogali), pp. 334-342 (su ciò che seguì a Dogali e fino alla p rtenza dell'Antonelli - 1891 dall'Etiopia; dove la politica dell'Antonelli è giudicata molto diversamente da come viene valutata al momento e anche poi, da Oriani fino a Scarfoglio) e pp. 455-464 (sulla guerra d'Africa e la caduta di Crispi, cioè dal 1893 - denuncia del trattato di Uccialli - e 1896 - sconfitta di Abba Garima, ovvero Adua).

� i

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impermeabilità al problema e alla situazione; e ad un'idea di popolo abbastanza astratta, impasto di retorico classicismo alfieresco e insomma di natura del tutto letteraria, collega tale suo rifiuto del colonialismo. Che il popolo italiano rifiutasse è per lo meno dubbio ; per quella parte di cui Parlamento e governo potevano dirsi rappresent�nti pare, anzi, piuttosto improbabile. Una prova, forse variamente interpretabile ma diretta, è rappresentata dalle dimissioni cui fu costretto il ministro degli esteri del governo Depretis, Di Robilant. Generalmente si tende ad interpretare queste dimissioni come imposte da coloro che erano contrari alla campagna africana : ma occorre dire che il Di Robilant, gran fautore della Triplice, che proprio all'indomani di Dogali varò nella sua terza e definitiva forma (2 febbraio 1 887), era sempre stato piuttosto tiepido verso l'intervento in Africa cui l'Italia in quel mo­ mento era spinta soprattutto dall'Inghilterra. Sicché, con tutte le contraddizioni laceranti che la sua posizione palesa e proprio, forse, in ragione di esse esprimeva una media meglio determinata di opinione pubblica lo scritto che, steso probabilmente verso la primavera-estate del 1 887 (Depretis vi compare verso la conclusione come già malato e quasi morente, ma ancora primo ministro), dedicò alla strage Alfredo Oriani col saggio Dogali, che nell'89 fu poi compreso con altri saggi nel volume Fino a Doga!i4• Si deve subito dire che il saggio di Oriani è uno dei suoi scritti migliori, con un suo singolare vigore e anche un suo fascino sia pure un po' grossolano : si deve dire anche che Oriani è favorevole all'im­ presa africana senza tentennamenti e dunque ad un'assunzione di responsabilità dell'Italia nel colonialismo contemporaneo come feno­ meno tipico e irrinunciabile della sua storia, ma soprattutto del mo­ mento storico del mondo intero. Il lungo saggio di Oriani (una cinquantina di pagine) muove dalla cruda notizia della strage : «Pur troppo è vero! Il 26 gennaio ras Alula ha sorpreso la colonna De Cristoforis, spiccata da Moncullo per soccorrere il maggiore Baretti assediato in Saati, e l'ha distrutta sulle alture di Dogali».

-

4 A. 0RtANt, Fino a Dogali, in Opera omnia di Oriani, a cura di B. MussoLINt, Bologna, Cappelli, 1938, pp. 319-372.


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Letteratura e colonialismo

Data quindi notizia rapida delle reazioni suscitate in Parlamento e nell'opinione pubblica, si mette senza indugio a tracciare la storia · della nascita dell'«impresa d'Africa, se pur merita questo nome>J. Alla bisogna destina quel suo modo sarcastico ma con marcate venature drammatiche, con ricorso per lampi anche a fatti, a idee, in un impasto di rinvii, di intuizioni, di deduzioni, che altrove, come nella Rivolta ideale, stancano per l'ampiezza del disegno in cui s'iscri­ vono e per quel senso di riassunto da manuale scolastico di storia che nel prosieguo infastidisce, ma che qui, nella brevità e nella misura ben circostanziata dei richiami, funziona in positivo . Giustamente il feno­ meno del colonialismo europeo verso l'Africa e l'Asia della fine del secolo inquadra anche l'iniziativa italiana : Oriani si rende conto dei mutamenti ideologico-politici di fondo avvenuti in questo scorcio di secolo ; in sostanza è ideologicamente più avanzato di Carducci, il quale, assumendo in apparenza posizioni più democratizzanti e in realtà più conservatrici, resta una figura del passato . Un punto di contatto con Carducci affiora preciso,ma di valenza opposta : l'azione del go­ verno italiano è debole, fiacca, indecisa, incolore. Il fascino dell'Africa, che fu cosa ben reale e che, di fronte ad un mondo in via di indu­ strializzazione accelerata, rappresentò, anzi veramente fu moto di simpatia e di immedesimazione verso un universo ancora intatto, in cui una vera immersione nella natura fosse ancora possibile così come in culture ancora regolate su di essa, come mostrano le vicende di Livingstone e di Stanley, ma anche di BelzonP e di Piaggia 6 tra gli italiani, nonché di molti altri esploratori sovente finiti tragicamente, resta però idealità e patrimonio di singoli. Tra i tanti che vengono ricordati e sia pur sommariamente qualifi­ cati, l'attenzione di Oriani si ferma su Pellegrino Matteucci, «il mio eroico e mite compagno di scuola», del quale in iscorcio è narrata la perigliosa traversata dell'Africa, il salvataggio da parte di una nave .

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.

5 Giovan Battista Belzoni, di Padova, 1778-1823. Un incisivo profilo biografico e una breve antologia dell'opera con bibliografia si trova in Continente nero, a cura di R. BERTACCHINI,­ Parma, Guancia, 1965, pp. 77-100. 6 Carlo Piaggia, di Badia di Cantignano (Lucca), 1827-1882. Si veda su di lui Continente nero. . . cit., pp. 125-156.

francese e l'improvvisa morte a Londra in seguito alle tremende fatiche durate nell'impresa 7• Così un elemento a sfondo autobiografico s'insi� nua in una visione storica generale (uno di quei grandi, somman quadri disegnati per linee essenziali che ? riani predilig�va, come s'è , _ : appena detto), che qui è sorretta da un 1dea c1rcostanz1ata « La sua [dell'Africa] vita è ancora nel suo sole che brucia il sangue e dissecca nell'anima tutti i sentimenti; il suo popolo vive nudo come i suoi deserti e con una coscienza arida del pari. Nascere, uccidere, morire, ecco tutta la sua vita. Cielo e terra non hanno poesi!l di misteri per lei : Dio è il sole, la terra eterna, che divora quanto produce, la sua religione. La forza è il diritto, il fatto la sola :erit� . Quanti miliardi di vittime in quante migliaia di anni ha consumato la pre1stona africana, che immobile nelle proprie idee rudimentarie si ripete coll� disperata monotonia di un vagito o di un rantolo, di un bambino che nasce o d1 un uomo che è ucciso? Finchè la storia ignorava la preistoria, questa poteva durare fra le bellezze della natura e l'incendio del sole come uno dei tanti alberi mostruosi del suo clima 0 delle troppe fiere della sua fauna; ma quando la storia dilatand � si irres�stibilment� _ mcapace d1 verrebbe a battere colle proprie onde al suo confine, la pre1stona aprirsi volontariamante, doveva essere fondata e allargata. St�ria e prei�toria si batterono, ovunque, sempre colla vittoria della prima. Le arm1 della stona era�o _ infinite; quelle dell'altra solamente due, la freccia che vola e la mazza che sch1acc1a. La storia è un esercito e la preistoria una massa immobile e tempestosa nel medesimo tempo, senz'altra forza che il suo peso e il suo urto. Mentre quella s� avanza per esploratori, poeti della redenzione che si inoltrano alla scoperta de� bruti umani, questi alla repentina presenza dei loro scopritori o li a�orano o h . ed scannano : ma dietro al missionario, che sperava convertirli, arrivano l'mdustna

7 Le pp. 330-334 di Fino a Dogali. . . cit., sono dedicate a Matteucci, con uno s �icc� che s spiega come anticipo del segno dell'oscurità e quindi della gran ezza de sacnfic1� egh _ _ «eroi» di Dogali. Tutto ciò si concreta in un orizzonte stonco-m!stlco che mquadra aziOne degli esploratori, come risulta da questo passaggio: " Qualche �osa forse lo avvertiva che _ quello era il viaggio della morte. Ne' suoi occhi, che �ll'abb�rbaglw del sole afncano a:evan? _ acquistato una vivezza per noi strana, passavano de� lampi: la sua ronte era nnnaccwsa, Il _ suo gesto aveva talvolta delle ampiezze, che a noi le nostre citta e le nostre campagne egualmente rasserrate non consentono. Ci disse addio con uno squillo nella voce che a me parve un appello. Matteucci era un cristiano dei primi tempi, che aveva p�tuto traversare con noi l'università senza che la sua fede trepidasse un momento. Forse s era mnamorato del deserto perché nella sua sfolgorante immensità sentiva meglio Dio», p. 332. Non è che questo spirito non sia seguìto, per esempio nel D'Annunzio di Più che l'a111ore, ma dentro un orizzonte e una destinazione totalmente diversi.


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. il commercio che li sopprimono. Il frate in cerca di anime pel cielo'diventa così il segugio del colono, che ha bisogno di uccidere il selvaggio per fecondarne il terreno colla propria civiltà 8.

Su questa base è ripercorsa la vicenda ancor breve della presenza italiana in Africa. Viene ricordata la strage della colonna Bianchi la risoluzione di una diretta dipendenza governativa del litorale dancal� di Assab, l'occupazione di Beilul e di Massaua (5 febbraio 1 885). La necessità, la fatalità storica del colonialismo italiano è ribadita sulla linea di quanto è stato appena affermato circa il fenomeno colonialistico. «Nutrita dal principio di eguaglianza morale e politica, la democrazia non com­ pre�deva che �ale alta verità diventava falsa applicata fuori del proprio periodo stanco a popoh barbari: che il loro contatto cogli inciviliti, reso oggi inevitabilmente, doveva costringerli alla guerra come a un saggio della loro potenzialità. O resiste­ :ebber� all'urto, difendendo la loro nazionalità coll'assimilarsi rapidamente le nostre �dustne e le nostre scienze, o perirebbero. La storia, anzichè consacrare l'intangibilità dt nessun popolo, ha sempre distrutti tutti quelli, che non potevano entrare nel suo disegno. La redenzione dell'Africa non è già quella degli africani attuali, ma la sostituzione di una più alta vita alla loro : che se essi non possono reggiungerla hanno vissuto fin troppo vivendo inutilmente. . . L'Ita�ia, stata due volte i l centro del mondo e risorta oggi nazione, non può �ott�arst a �uest'opera d'incivilimento universale, di cui le tragedie per essere . . dtventano incolpevoli. La storia segue la stessa morale e lo stesso diritto mevttabilt dell� n�tura nel trionfo della forma più perfetta e dell'idea più alta, e poiché vincitori e vtntl saranno pareggiati dalla stessa morte, la disparità del loro trattamento scompare nella idealità conquistata» 9.

La giustificazione, di sapore o almeno di sommario rinvio darwi­ niano, suona certamente aspra alle nostre orecchie, ma costituiva al t�mpo un aggiornamento culturale di cui si sperimentava una applica­ zwne antropologica diretta. La stessa storia dell'Italia moderna e della sua conquistata Unità è vista in questa prospettiva : uno storicismo meccanicistico e positivistico si mescola con una sorta di idealità spiritualeggiante e misticheggiante fino all'affermazione che «l'impresa

8 Ibid., pp. 9 Ibid., pp.

326-327. 338-339.

Letteratura e colonialismo

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d'Africa per l'Italia era la prima conseguenza del suo Risorgimento» 10• E qui Oriani non si lascia sfuggire l'occasione di elencare gli elementi di una critica ai modi di realizzazione e soprattutto di completamento del Risorgimento. Ma ciò che mette soprattutto in rilievo - e che rivela come il tema stesso di Dogali sia pensato e giocato, come del resto deve avvenire, in funzione o almeno in connessione con le vicende della politica interna è che alla trasformazione della situazione politica italiana dopo l'avvento di Roma capitale, insomma il passaggio del potere dalla Destra alla cosiddetta Sinistra che avvenne attraverso la rivoluzione parlamentare e il trasformismo, presiedette un uomo insufficiente al compito, Agostino Depretis. Che con lui « la terza Roma entrasse nel mondo» fu una sciagura: tutta la mediocrità, la vanità, l'inconcludenza dell'uomo si riversò nella pratica politica ita­ liana. Anche la vicenda africana fu avviata sotto questi segni infausti e questa politica dell'indecisione, della rinuncia, anzi, peggio, del sotterfugio, non poteva portare che a Dogali. Che, dunque, si configura come grave colpa del governo e della classe dirigente, come conseguenza della inadeguatezza politica e per­ fino intellettuale di un politico e dell'incomprensione storica dei rap­ presentanti ufficiali della nazione. Di fronte a tutto questo, a questa viltà di un primo ministro che «lesse balbettando alla Camera» 11 il dispaccio che annunciava il massacro, si impone grandioso il sacrificio del col. De Cristoforis e dei suoi cinquecento soldati. La cui rapida marcia per recare a Saati i soccorsi richiesti è brevemente riassunta nel comportamento dei soldati, che « camminavano fieri e guardinghi: erano tutti giovani di venti anni, usciti ieri dalle case paterne, che non avevano mai provato il fuoco. Il silenzio solenne del pericolo, la prima emozione dell'eroismo stringevano le loro coscienze». Ora, la parola viene lasciata al capitano Tanturi che, primo, giunse sul luogo del disastro appena che gli armati di ras Alula, dei quali circa un migliaio dei settemila che aveva adunato pare rimanessero sul terreno, si furono ritirati come impauriti della gravità della cosa : erano passate poche ore dall'eccidio e tutto era rimasto immobile, come fuori dal -

10 11

Ibid., p. 341 . Lo conferma Catalano, ibid., p.

319.


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tempo. Nella clausola finale della relazione Tanturi, stesa con lo stile freddo dell'ufficialità burocratica, la solennità del momento e del .lùogo risuona altamente : «Tutti giacevano in ordine come fossero allineati! »tz. Immediatamente il fatto si trasforma in mito : e questo è confermato da uno dei pochissimi superstiti che racconta come il colonnello al momento dell'assalto ftnale ordinasse ai suoi soldati di presentare le armi a coloro che erano caduti. Ci sono tutti gli elementi della costru­ zione di un mito moderno, che Roland Barthes avrebbe potuto benis­ simo usare invece di quella che studiò e propose in Miti d' oggi 13 del soldato di colore che saluta le tricolore. Oriani getta prima lo sguardo sui soldati fermi, immobili e sicuri al cospetto dell'ultimo sussulto dell'Africa preistorica :

che un drappello de' suoi soldati trasformandosi in eroi le provasse che nelle vene del suo popolo ferveva ancora il sangue latino e che la rivoluzione, per la quale era rinata e dalla quale aveva rifuggito, proseguiva nell'impresa d'Africa sospingendola col proprio soffio» 14• Nella battuta corre, come un brivido, il tema, che ormai negli anni Ottanta inoltrati s'è diffuso abbastanza ampiamente, della delusione del Risorgimento, del Risorgimento mancato e talvolta si dice pure tradito, tema che sarà vissuto da diverse angolazioni ideologiche, da quella dannunziana di un libro come Le vergini delle rocce a quella pirandelliana dei Vecchi e i giovani, per serpeggiare ancora, con intona­ zioni tutte diverse, nel gobettiano Risorgimento senza eroi. Un bel pezzo all'interno della letteratura, dunque!

« L'Africa, prigioniera delle proprie coste, si difendeva invano assalendovi. I soldati sono pallidi, l'ombra della morte è passata sotto quel sole che da molti mesi non conosce le nubi e ha scolorato i loro volti».

Tra Carducci e Oriani, tra ripulsa di una politica e fondazione di un mito come base di una nuova storia, il colonialismo italiano è dunque tenuto a battesimo dalla letteratura. La quale si assume delle circostan­ ziate responsabilità. Alcune considerazioni di base vanno fatte in pro­ posito. Fino a questa data (1887) la letteratura dettata dalle esplorazioni italiane nel continente africano (che è il terreno unico o comunque il principale della sperimentazione colonialistica) non aveva registrato componenti veramente colonialistiche per la buona ragione che il colo­ nialismo non era ancora nato. Miani, Piaggia, Casati, Cecchi, Chiarini, autori di varie memorie dei loro viaggi, esplorazioni e soggiorni africani, erano fondamentalmente animati da un desiderio di conoscenza, magari di registrazione dell'esotico, perfino di gusto per un contatto autentico con la natura africana, col fascino dell'Africa sconosciuta. Ancor più il cardinale Massaia era alieno, come è naturale ricono­ scere, da ogni tentazione colonialistica, animato da autentico spirito cristiano e semmai da un sentimento di doveroso intervento a vantag­ gio degli italiani che cominciavano a circolare per il corno d'Africa e l'Abissinia in particolare e che alla fine dovevano irrimediabilmente danneggiare l'apostolato durato tanti anni fino al suo allontanamento da parte del negus Giovanni IV (1 879).

Ed ecco subito seguire la loro glorificazione nella morte : «Morire! L'Italia lontana non sa nulla di questo momento, l'Africa presente non l � �omprende: solo la storia, che lo ha voluto, dovrà raccoglierlo; ma essa pure, dlVma memona della vita, non potrà narrare lo schianto del supremo ed improvviso dolor:, mentre nessuno sopravviverà per confessarlo. Quel colle, arido e grigio, . non e che un 1mmenso altare, sul quale il sole africano chi sa da quanti secoli aspettava immobile i vapori dell'imminente olocausto. Una reminiscenza indistinta dei più grandi sacrifici della storia si alza da tutte le coscienze, vacillando come le ombre di un cr�pu� c�lo oltre il quale fiammeggia la luce insolita di un altro giorno; . uno spas1m� d� mm11�e ed irresistibili contrazioni stringe i cuori che stanno per perdere tuttl gli affett1 e le memorie della vita. Urrah! colonnello, fuoco. Il drappello alto, allineato tuona; non è una battaglia, ma una tragedia. Gli eroi sono pallidi, bianchi come le statue e fermi del pari».

Il nuovo mito poi ha da essere base per la nuova storia d'Italia che «sospinta dalla legge storica dell'Europa all'impresa africana ;enza comprenderne né il carattere né volerne la grandezza, aveva d'uopo 12 Ibid., p. 354. 13 R. BARTHES, Miti d'oggi, Torino, Einaudi,

1974,

pp.

197-198.

14 Vedi Fino a Dogali... cit., pp.

356

e

360-361.


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Riccardo Sct·ivano

Letteratura e colonialismo

In forma diversissima, ma sempre alternativa, uno come Antonio Franzoj avviava tutta la sua avventura africana da posizioni· opposte al fondamento stesso del colonialismo. Semmai Romolo Gessi e Paolo Rosignoli potevano mettere in evidenza un fondo antiafricano e fi­ loeuropeo, ma solo perché le loro finalità erano del tutto particolari : sconfiggere cioè l'immonda tratta degli schiavi prima - condotta e go­ vernata, come si sa, soprattutto da arabi - e il fanatismo dei dervisci poi. Un De Amicis infine non aveva per il suo Marocco altra prospet­ tiva istituibile che quella già usata per Costantinopoli o per l'Olanda : un descrittivismo di gusto bozzettistico, che restava del tutto estraneo alla natura dei problemi, della politica e dell'antropologia. Di molte di queste cose hanno fatto ottimo discorso parecchi storici e critici come, con altri, Roberto Battaglia 1 5 e, per noi di fondamentale interesse e aiuto soprattutto per l'articolazione del punto di vista e per l'efficacia dell'esemplificazione antologica, Renato Bertacchini 1 6 • Tra letteratura degli esploratori, missionari e geografi e presenza nella letteratura di elementi da collocare nell'orizzonte del colonialismo corre molta distanza. Tra i due territori, intanto, si pone la « letteratura coloniale» vera e propria, quella cioè che nasce dalla frequentazione continuata dell'Africa e, di seguito, dalla costituita esistenza delle colonie. Questo territorio è stato bene individuato e ampiamente illustrato da Giovanna Tomasello in un libro abbastanza recente, La letteratura coloniale italiana dalle avanguardie al fascismo 17• Certo, la letteratura colo­ niale esalta, e talvolta decisamente a dismisura, alcuni elementi tipici del colonialismo, ma complessivamente si muove su di un terreno diverso. In primo luogo essa riflette le contingenze di vita di chi si è stabilito in colonia e vi vive o, quanto meno, di chi vi compie esperienze biografiche continuate. La letteratura coloniale, insomma, riflette principalmente la vita in colonia nella sua contingenza e quoti­ dianità e può perfino essere percorsa da motivi anticolonialistici. Al contrario il colonialismo è in primo luogo una prospettiva, anzi un

progetto prima e un atto poi, di dominio fino all'annullamento dell'am­ biente, uomini e luoghi, da sottomettere. Così il colonialismo è presente anche in autori e opere che o sono privi d'ogni vero, concreto contatto con l'Africa o iscrivono tale contatto in un orizzonte preminente di altro ordine e sostanza, tra cui anche quello della letteratura. Vanno pertanto tenuti distinti il colonialismo nel suo rapporto con la letteratura e la letteratura coloniale. Nella vasta panoramica disegnata dalla Torna­ sello, per esempio, il caso D'Annunzio viene considerato, insieme a quel­ lo di Marinetti, una premessa della letteratura coloniale. Diverso, invece, è esaminare D'Annunzio sotto il profùo del colonialismo che impregna alcune sue opere, da Più che l'amore alle Canzoni della gesta d'oltremare, cioè Merope, che peraltro sono esaminate con cura e ottimi risultati dalla Tomasello nella sua prospettiva. Altrimenti diverso il caso di Marinetti, perché del colonialismo viene da lui accolto solo qualche aspetto dentro all'economia del disegno futuristico di esaltazione della velocità, del rifiuto della tradizione e dell'esaltazione della guerra. Nel­ l'altrettanto vasto e colorito quadro disegnato da Bertacchini, poi, si coglie bene ed in qualche modo è dichiarata la differenza da istituire tra la letteratura di viaggi, di esplorazioni e di missioni anteriori alle svolte della politica coloniale italiana e la letteratura successiva, nella quale in vari momenti fa capolino e quindi si afferma veramente il colonialismo come fatto ideologico. Ovviamente accade che una prospettiva colonialistica affiora e si afferma anche in pagine ed opere di letteratura coloniale. È macrosco­ picamente il caso di Ferdinando Mattini 1 8, che giunse in Africa la prima volta come commissario civile nel 1 891 appena fu costituita la colonia Eritrea e vi si stabilì poi come governatore per una diecina d'anni (1 897-1 907). Alle spalle aveva una lunga carriera di giornalista di primo piano, fondatore tra l'altro del «Fanfulla della Domenica» nel 1879 e della «Domenica letteraria» nel 1 882. Si trattava dunque di

R. BATTAGLIA, La prima g11erra d'Africa, Torino, Einaudi, 1958. 16 Vedi Contimnte nero. . . citata. 17 G. ToMASELLO, La letteratura coloniale italiana dalle avang11ardie alfascismo, Palermo, Sellerio, 15

1984.

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Ferdinando Martini era nato a Firenze nel 1841 da Vincenzo, noto commediografo; si occupò di teatro e scrisse per il teatro; in politica entrò nel 1874 come deputato della sinistra, senza interrompere la sua attività di scrittore; dal 1915 al 1919 fu ministro delle colonie ; nel 1923 fu nominato senatore e morì nel 1928. Per aggiornati ragguagli bibliografici si veda C. A. MADRlGNANl, <<La Domenica letteraria J> di F. Martini e di A. Sommaruga, Roma, Bulzoni, 1978. 18


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un giornalismo letterario ed egli era appunto un letterato, dentro, _ perfino famigliarmente, agli ambienti letterari fiorentini. In rapporto alla sua posizione in Parlamento, nella commissione d'inchiesta del . '91 sulla colonia Eritrea era entrato con atteggiamento, se non proprio ostile ché non sarebbe stato conveniente in un commissario inquie' rente, certo cauto e fondamentalmente sospettoso nei riguardi dell'espansione africana. Da questo primo incontro con l'Africa venne fuori un libro, Nel­ l'Affrica italiana 1 9, col sottotitolo di Impressioni e ricordi. Giustamente Bertacchini ne ha sottolineato la superficialità bozzettistica di fondo spacciata da Martini per « leggibilità», insomma per letteratura pratica­ bile da molti e di spessore giornalistico20 ; e non c'è dubbio che tale fu, se ebbe, dopo le lodi di Carducci per la scrittura («Non ho da gran pezzo letto libro italiano scritto così bene» 21), dieci edizioni flno al 1 935 22• All'inizio, negli intendimenti di Mattini, v'è solo il proposito di fornire notizie e immagini della colonia di cui gli italiani sentono tanto parlare e così poco sanno : e sono disegnini bozzettistici, mesco­ lati a un po' di esotico, solo elevandosi nella pittura di qualche figura eminente di indigeno influente, ma sempre con qualcosa di pretenzioso suggerito dall'illusione di favorire il penetrare del lettore italiano nell'anima etiopica. Tutto questo, che si richiama alla letteratura di viaggi alla De Amicis, subisce prestissimo una trasformazione, un mutamento di atteggiamento determinato proprio dallo spettacolo dell'esperienza di colonia. È il colonialismo in atto che si traduce nell'assunzione di una certa mentalità. Lo si può desumere abbastanza agevolmente anche da un modesto episodio come il seguente, raccontato poco dopo l'arrivo di Martini a Massaua.

19 F. MARTIN!, Nell'A flrica italiana, Milano, Treves,

1891.

Vedi Continente nero.. . cit., pp. 377-379. 21 Ibid., p. 377. 22 Nell'edizione del 1935 gli 'editori', nella prefazione, avvertono che si tratta di un « magnifico libro di viaggi», prodotto in un tempo non ancora segnato da « virile coscienza delle imprese coloniali», e di «non scarso valore letterario». 20

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Un indigeno viene condannato a ricevere un certo numero di cor­ basciate (ovvero scudisciate ammannite col curbash, durissimo scudiscio fatto di pelle di ippopotamo). A distanza di qualche tempo, ma evi­ dentemente non molto, come si desume dalle date dell'evento e della scrittura, Martini registra con facilità il suo mutamento radicale di atteggiamento, di reazione elementare che rapidamente si trasforma in una stratiflcazione mentale : « Quel costume delle corbasciate - scrive - da principio non mi sdegnò solamente, mi adirò. In seguito ( . . . ) in seguito ho dovuto convincermi, per questa e per tante altre cose, che è un errore marchiano il giudicare dell' Affrica con criteri europei». Tuttavia non accade che il secondo atteggiamento/sentimento can­ celli il primo per sempre e totalmente. Si fa certo prevalente, ma mano a mano, come ha sottolineato Battaglia 23, che ha perfino parlato di una sorta di «conversione», un atteggiamento di tipo colonialistico. Quel misto di orrore e di pietà che, per esemmpio, è suscitato nel Martini dallo spettacolo del « campo della fame» di Otumbo, la piana nei pressi di Massaua dove si vengono radunando profughi da ogni luogo, spinti dalla speranza d'esistenza che di fatto non ha fonda­ mento verso la nuova città, si vien combinando alla crescente con­ vinzione che occorre fare cose « tanto più vaste quanto più raffinata è la civiltà che ci proponiamo di diffondere nella colonia»24• Questa duplicità di fondo dei sentimenti/atteggiamenti nutre la riflessione sul senso politico e anche economico che la continuazione dell'espe­ rimento coloniale può avere, chiarita alla fine solo dalla constatazione del carattere internazionale del colonialismo, come si vede chiara­ mente in questo passaggio : « A credere che in Africa non dovevamo andare, per la buona ragione che ognuno ha da stare a casa sua, saremo in cento, se pure; e bisogna dire che una tale dottrina sia o la sola savia o stramba fuori di modo, se in tanto pochi la professiamo. Comunque, oggi le teoriche vanno messe da parte: il fatto non si cancella. _ restarv1,. per L'andare in Africa piacque nel 1 885 a molti, a quasi tutti nel 1 887 1l tutela dell'onore nazionale. Oggi, o m'inganno, le parole sono meno recise, le

23 24

R. BATTAGLIA, La prima guerra d'Africa... cit., pp. Nell'Affrica. . cit., p. 24. .

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opinioni meno ferme, l'onore nazionale meno senslttvo. Or bene: chi vuol restare deve desiderare che gli esperimenti si facciano e presto e con ampiezza, e. si ·tragga dalla colonia il maggior utile che si può nel più breve lasso di tempo; chi' vuol tornarsene a casa deve augurare sia dimostrando senza indugio che le nostre terre africane nulla valgono per l'agricoltura e nessun italiano mai potrà ricavarne alcun frutto. Io, per esempio, sono fra coloro che non lo credono e i quali, non contenti di obiezioni vaghe, aspettano lo dicano i commenti e lo dimostrino. Che quando noi abbandonassimo le nostre terre eritree l'Europa cogliesse occasione a proclamare «l'Abissinia degli Abissini», mi pare ipotesi poco probabile; facciamone un'altra: che, noi partiti, altri arrivi e con più operosa costanza e con borsa più gaia scandagli, dissodi, coltivi, raccolga, prosperi. Sentireste allora che fracasso; e le doglianze, e i vocii e le censure. «A furia di sacrifizi c'eravamo accaparrati un angolo di paradiso, e ce lo siamo lasciato strappare. È inutile: nulla ci riesce, non sappiamo far nulla, non siamo stati neanche buoni a conoscere il pregio di quanto avevano acquistato a prezzo di sudori e di sangue» 25.

quarantennio. Nel primo decennio del quale il governatore Martini tenne un diario 27 che, tra molte pagine di colore e la registrazione fedele dei problemi che gli si presentano, delle discussioni su di essi coi suoi collaboratori, in particolare coi militari, è percorso da un'idea che è insieme proposito e finalità e che permane lungo tutti gli anni del governatorato. Il 1 0 gennaio 1 897 essa è esposta riassuntivamente in questi termini : «Ciò che gli Inglesi hanno ottenuto di veramente importante è di infondere nell'uomo di colore la persuasione della superiorità dell'uomo bianco. Il che induce nel nero un rispetto e tiene il bianco in un prestigio del quale non so se nella nostra colonia si veggono ancora gli esempi». Non è dato sapere se nel seguito dei suoi dieci anni di Eritrea il Martini poté o no verificare questo processo del colonialismo, inevi­ tabilmente tinto di razzismo, magari strisciante e inconscio, ma testimonianza di scarsa disponibilità ad accogliere per buone e ne­ cessarie culture diverse. Nei quattro volumi del Diario si trova di tutto, persone, italiani, indigeni, fatti piccoli e grandi, descrizioni di luoghi e di eventi, perfino curiosità linguistiche, toponomastiche e onomastiche, ma la verifica cui si accenna qui sopra non è dato mai di incontrarla 28• Il fatto è che la permanenza in Africa, mentre apre gli orizzonti di quella che si potrà veramente definire « letteratura coloniale», difficil­ mente attenua, anzi generalmente accresce le prese di posizione colo­ nialistiche. Tanto che perfino in un libro come quello di Tertulliano Gandolfi, I misteri dell'Africa italiana29, opera di denuncia e di polemica, deliberatamente impostata sulla simpatia del proletario bianco per il sottoproletario, o forse meglio preproletario, nero, le venature del colonialismo non possono essere interamente cancellate : è naturale, del resto, dal momento che anche in un caso come questo chi scrive è un bianco, che sta, magari male e scontento, naturalmente dalla

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Quando poi nel '96 Martini pubblicò il suo secondo volume su questi temi, Cose affricane, col sottotitolo drammatico Da Saati a A bba Carima26, che è una vera e propria ricostruzione storica, suffragata dai documenti, dell'intera vicenda italiana in Eritrea e in Abissinia, da Dogali ad Adua almeno (ovvero dal 1 887 al 1 896), il futuro gli si configura ormai totalmente condizionato dal passato : consolidamento della colonia Eritrea nella situazione voluta dal ministro degli esteri Di Rudinì, dopo l'abbandono di Kassala al confine col Sudan, di Adigrat verso l'Abissinia, col confine stabilizzato al Mareb. Il trattato di Addis Abeba del 26 ottobre '96, col quale si metteva fine alla guerra, scioglieva tutte le ambiguità del trattato di Uccialli, principalmente escludendo ogni forma di protettorato italiano sull'A­ bissinia, che, come si ricorderà, aveva costituito la fonte primaria dei dissidi con Menelik, essendo previsto nella redazione italiana del trattato e non in quella etiopica. Così l'equilibrio tra chi avrebbe voluto una conquista totale della regione e chi invece tendeva a rico­ struire le posizioni costituite principalmente dall' Antonelli, che aveva puntato su di un controllo economico-politico, ma non coloniale dell'Abissinia, garantiva l'esistenza della colonia Eritrea per oltre un

F. MARTIN!, Il diario eritreo, Firenze, Vallecchi, 1942-1943, 4 volumi. Al contrario, naturalmente, il diario martiniana è prezioso per ricostruire dall'interno l'atmosfera dei residenti italiani. 29 Vedi Continente nero... cit., pp. 425-446. 27

25 Cfr. Continente nero... cit. , pp. 385-386. 26 F. MARTIN!, Cose affricane. Da Saati a A bba Cari111a, Milano, Treves,

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1896.

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parte dei colonialisti, non dei colonizzati. In questo libro; per la verità, non si può veramente accertare un punto d'incontro tra colonialismo e letteratura, né esso si può allegare alla letteratura coloniale, · eh� in generale è ideologicamente favorevole alla presenza colonialistica, né appare critica verso di esso né tanto meno assume posizioni aperte di ripulsa come Gandolfi. Esso insomma costituisce un esperimento brevissimo fuori degli schemi. Invece, di un cercato e affermato rapporto tra letteratura (sia pure letteratura di viaggi, ovvero giornalismo nella prima ispirazione) e co­ lonialismo si può parlare con sicurezza a proposito di Edoardo Scar­ foglio. Figura complessa, oltre al rapido profilo che ne ha tracciato Bertacchini 30 insieme ad una presentazione ragguardevole della sua opera, si ha ora la riproposizione dei suoi scritti africani nel volume Vento etesio 31curato da Raffaele Giglio, che di Scarfoglio ha anche delineato un ritratto completo32• Due le opere di Scarfoglio che si pongono sotto il segno dell'Africa e dintorni e sono insieme narrazione di cose avvenute e progettazioni di cose da compiere. Il Cristiano errante, formato da articoli pubblicati nel 1 893 nella «Nuova Rassegna» e raccolti in volume nel '96, cui Giglio ha ora aggiunto un capitolo, «<l negriero», rimasto finora separato dal corpo del quale fa indubbiamente parte33, è opera di robusta scrittura, di abile maneggio di situazioni e di forte presenta­ zione di figure. Mentre viaggia nelle zone desertiche tra Dancalia, Gibuti e territorio di Zeila, ossia il territorio degli Issa o Issaq, che diverrà parte del Somaliland, l'autore incontra un monsieur Bremond, attraverso il racconto della cui vita, detto in prima persona, si delinea una vera e propria storia dei rapporti dell'Europa di questi decenni con l'Africa sotto una particolare angolazione. Commerciante di armi, che scambia con avorio e pelli di capra, Bremond ha operato prima nell'Africa occidentale arricchendosi e più tardi, dopo un grave colpo

30 Ibid., pp. 401-403. 31 E. ScARFOGUo, Vento etesio, a cura di R. GIGLIO, Il Sorriso di Erasmo, Edizioni Lubrensi, 1988 (si vedano in particolare le pp. 225-245). 32 R. GIGLIO, Edoardo Scmfoglio: dalla letteratura al giornalisiiJO, Napoli, Loffredo, 1979. 33 Ibid., pp. 249-253.

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di avversa fortuna, nell'Africa orientale. Dove le cose sono andate bene per gli europei fino a quando non ebbe il sopravvento la politica di Pietro Antonelli verso Menelik, che consistette nel favorirne l'ascesa fino alla successione del negus Giovanni IV. Il disegno di Antonelli, volto a consentire la costituzione di un forte potere imperiale che riuscisse a dominare l'anarchica frantumazione del potere feudale dei ras, è la bestia nera di Scarfoglio, già nel Cristiano errante e ancor più nell'Itinerario, che comprende due soli capitoli pubblicati nel «Convito» di De Bosis nel '96, resti di un'opera non finita, anzi quasi certamente interrotta sull'inizio. In essa Scarfoglio fa ad un'amica il racconto di un suo viaggio anteriore nell'imminenza di un nuovo viaggio : è un elemento narrativo strutturale di non dubbia efficacia, perché colloca nella certezza delle cose avvenute tutte quelle che stanno per avvenire e che ne ricevono luce e una sorta di ineluttabilità. Visto in questa prospettiva il disegno politico dell' Antonelli assume quel colore fosco - non passato in giudicato, per la verità, agli occhi degli storici recenti, come si può facilmente controllare nel citato Catalano - che Scarfoglio gli attribuiva. Da una parte infatti tale disegno rovinava le vecchie pratiche dei profittevoli commerci di gente come Bremond, del tutto spiazzato dagli acquisti diretti di armi che Menelik può fare dalle fabbriche europee scegliendosele direttamente nei cataloghi ; d'altra parte esso destinava al naufragio la politica di conquista coloniale che per Scarfoglio è l'unico avvenire possibile delle operazioni europee in Africa. È quello ch'egli esprime esplicita­ mente più volte e con ferma convinzione specialmente in questo passo dell'Itinerario : «Non considerando [l' Antonelli] che il fatto dell'aver posto piede sulla terra dell'Abissinia una nazione civile era il principio fatale della soggezione della razza indigena alla superior razza conquistatrice, e che, essendo quella nazione la sua, il suo dovere d'italiano gli faceva un obbligo sacro di affrettare e render facile la conquista, egli concepì l'opera assegnatagli dal caso al rovescio, e sognò un nuovo impero d'Etiopia riconstituito intorno a Menelik per gli aiuti dell'Italia, la quale, in compenso del suo contributo all'edifizio dell'ambizione di un barbaro, si sarebbe accontentata del pacifico possesso d'un breve tratto di deserto litoraneo » 34.

34 E. ScARFOGUO, Vento etesio ... ci t., p.

127.


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Ad Antonelli è imputata anche l'ambiguità del trattato di Uccialli (Utcialè), contenente termini e spazi aperti alla denuncia, che non tardò a manifestarsi (1 893), e costringendo ad una fuga ignomi!-liosa dai territori abissini o almeno scioani tutti i delegati italiani e lo stesso Antonelli. Tale sua posizione Scarfoglio la conferma anche più innanzi e la colloca pienamente nel quadro dell'espansione coloniale europea. Cosi, nell'Itinerario, dopo aver fornito le linee essenziali dello stato di questa espansione, guardandola per di più da un punto strategico d'osservazione come Aden, approda a questa conclusione :

la traduzione di questi progetti e progranum m una circostanziata ideologia di sostegno che diviene la sostanza del colonialismo (fme dell'antico sistema di rapporti col mondo africano fondato su uno sfruttamento marginale, non sistematico, che non altera, anzi conserva il mondo africano primitivo, necessità della conquista e dell'assoggetta­ mento delle popolazioni indigene, superiorità e quindi inevitabilità della civiltà europea fondata sulla superiorità dell'uomo bianco sul nero) sono i fattori principali del pensiero di Scarfoglio. Ma di seguito sono in gran parte anche le idee circolanti nell'opera di Gabriele D'Annunzio, specialmente nella tragedia Più che l'amore e in quella parte delle Laudi intitolata a Merope e dedicata alle Canzoni delle gesta d'oltremare. Come s'è accennato, la Tomasello37 dedica un capitolo a D'Annunzio quale antesignano, precursore e perfino fondatore per più d'un aspetto della « letteratura coloniale» e le opere ch'essa prende in esame sono le due or ora richiamate. E certo, che D'Annunzio africanista rimanga un punto di riferimento per la letteratura coloniale in tempi anche avanzati e specie durante il fascismo appare scontato. Solo che la sua prospettiva rispetto alla società italiana (quella dei primi decenni del secolo : la tragedia è, infatti, del 1 906) è esattamente il contrario di quella che sarà propria della letteratura coloniale del tempo fascista, quest'ultima ispirata all'ordine e alla programmazione della normalità della presenza in Africa del paese conquistatore e dell'incontro con le popolazioni (quello che la propaganda spicciola del regime sperava di render popolare attraverso « Faccetta nera»), quella dannunziana inno­ vatrice e fondamentalmente eversiva dell'ordine sociale costituito. La Tomasello ha ben riconosciuto questa prospettiva, specialmente la qualità eversiva («antigiolittiana», essa sottolinea specificando) dell'as­ sunzione dannunziana della tematica africana. In più la Tomasello riconosce con Salinari 38 che «i 'miti dannunziani' - quelli praticati e attuati in Più che l'amore - appaiono piuttosto 'il frutto dell'elabora­ zione e dell'esperienza storica di una generazione (o meglio il prodotto di alcuni intellettuali della generazione post-unitaria)' che non il pro-

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«Da questo raffronto continuo di mie nozioni vaghe e di mie dottrine immature coi fatti presenti e probanti, dallo spettacolo di sì gran movimento di vita africana che, per difetto d'un proprio centro di gravitazione veniva a poggiare su quel nero sasso armato dagli inglesi per la difesa dell'India, mi s'era d'un tratto consolidata in una persuasione incrollabile una mia opinione antica : che questo negro universo, rimasto per tanti secoli per un capriccio della fortuna e per la cecità degli uomini come un'isola ignorata sulle più ampie e più frequenti vie dell'avidità umana, sia entrato oramai nell'economia del Mondo e vada rapidamente soggiogandola con le immani e intatte forze di cui rigurgita» 35 .

Questa precisa e circostanziata trama ideologico-politica è però abil­ mente costruita con strumenti letterari ben dominati. Non si tratta solo di descrizioni colorate al punto giusto di paesaggi e di situazioni di viaggio, in paesi aridi e tormentati che muovono il ricordo di altri paesi e regioni verdi e sereni, ma si contempla un forte dominio della distribuzione retorica del racconto, affidato nel Cristiano errante a monsieur Bremond, oppure placidamente appoggiato alla buffa scontrosità reci­ proca dei coniugi Merignac, in contrasto con la tesa drammaticità di avvenimenti come quello che chiude appunto il capitolo terzo, «A Obock» 36, coll'improvviso alzarsi del kansim e col pullulare dei miraggi. L'incontro tra letteratura e colonialismo, che si raggiunge, dunque, negli scritti africanisti di Scarfoglio costituisce un culmine. La diretta conoscenza dell'Africa, le scelte politiche che vengono dichiarate, le reazioni psicologiche e comportamentali e perfino fisiche di Scarfoglio,

35 Ibid. , pp. 1 55-165. 36 Ibid., pp. 50-62.

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37 G. Tmv!ASELLO. La letteratura. .. cit., pp. 25-30. 38 C. SALINARI, Miti e coscienza del decadentismo italiano, Milano, Feltrinelli, 1971 , p. G. ToMASELLO, La letteratura . .. cit., p. 31).

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(cfr.


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dotto di un singolo autore». Verissimo : e uno di questi intellettuali, anzi il più significativo, forse uno dei più rinomati e certo . . il più intimo amico di D'Annunzio, è Edoardo Scarfoglio. Per cui delle cose contenute in Più che l'amore, di cui giustamente la Toma� ello mette in evidenza il carattere teatrale insieme a quello di progetto (e forse 'profetismo' e 'poesia tragica' piuttosto che elementi opposti, sono qui forme pressoché sinonimiche), si può condurre una rapida analisi su di un doppio registro, quello dei debiti di D'Annunzio verso Scarfoglio e quello delle cose nuove che D'Annunzio introduce nel fissare i contorni del suo rapporto tra letteratura e colonialismo.

ma questa tematica si combina e confonde con quella del possesso, del dominio che è molto spiccata in Scarfoglio e che in D'Annunzio culminerà nel libro Teneo te, Africa del 1 935, cioè della guerra fascista e del successo ultimo del colonialismo italiano.

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Tutte queste tematiche sono quelle del colonialismo e D'Annunzio le trovava generalizzate in modi diversi da Oriani a Mattini, come s'è cercato di mostrare anche in queste pagine, ma soprattutto fissate in Scarfoglio, che non solo le impostava in una concezione di azione politica molto netta e deliberata, ma anche in un orizzonte lettera­ rio-giornalistico d'altra qualità e d'altra intonazione. D'Annunzio però aggiungeva a queste tematiche altri motivi ed elementi. Su questo secondo registro si possono indicare i dati seguenti :

Al primo registro appartengono senz'altro le seguenti tematiche : 1 . Il motivo dell'eversione contro la società borghese del tempo, contro il conformismo e il burocratismo ch'essa ha imposto come pratica civile, contro il costume tradizionale, contro l'immobilismo della vita nella « città», tensione ad una vita « eccezionale» mescolata di avventure, di idealità sui generis (sfida alla natura, agli uomini, dominio di questi e di situazioni difficili, decifrazione di ciò che sta sotto la superficie ambigua della realtà) ; 2. Elogio dell'esploratore-conquistatore-decifratore di mondi sco­ nosciuti in una prospettiva generalizzata a tutto l'Occidente (D'An­ nunzio-Brando s'esalta per Stanley, come Scarfoglio si esalta per Li­ vingstone, Bottega e, infine, Bremond) ; 3. La convinzione che occorre portare all'interno della civiltà - s'intende occidentale - l'Africa, sia che essa se lo attenda, sia che essa respinga questo destino, del resto fatale e insomma inevitabile; 4. L'Africa vista come il luogo nel quale il vero uomo, anzi senz'altro superuomo, si può realizzare e può essere riconosciuto (Corrado e il suo servo sardo Rudu son visti come « demoni sacri» dagli africani ) 39 ; 5. La riconquista dell'Africa già romana, che in D'Annunzio è motivo fortemente enfatizzato, mentre in Scarfoglio si manifesta solo come massimo sforzo di dare una legittimità storica alla conquista; il

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A. L'aspirazione al nuovo e la volontà di infrangere il conformismo dell'età giolittiana giungono in D'Annunzio fmo alla legittimazione del delitto (è chiaramente un motivo letterario, derivato da Dostoevskij nel fatto, non nell'effetto, e insieme da una autocitazione da L'Innocente) ; B. L'Africa come riscoperta del passato grande nel quale si nasconde il «nuovo destino, non riducibile al moderno benessere» 4D (ed è una dilatazione della riscoperta della romanità dell'Africa e una anticipa­ zione dell'elemento che dico di seguito) ; C. Il contatto con l'Africa come rifiuto della tecnologia industriale moderna (che nella tragedia dannunziana si identifica col «deuterago­ nista» Virginio Vesta, come intuisce fruttuosamente ai fini della strut­ tura drammatica la Tomasello) ; D. L'Africa come metafora della donna (Maria Vesta) secondo lo schema del superomismo erotico dannunziano sperimentato da gran tempo proprio nel teatro (ne La gloria, in particolare, in una dimen­ sione politica)41 ; E. Il motivo costituito dal servo Rudu, sardo, cioè, nella mente di D'Annunzio, di uno proveniente da una civiltà antichissima e fonda-

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Ibidem. Su cui si veda il mio Finzioni teatrali. Da Ariosto a PirandcJJo (il capitolo Politica c teatro di d'Annunzio), Firenze, D'Anna, 1 982, pp. 165 e sgg., in particolare pp. 1 84-200. 41

39 lbid., p. 27.


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mentalmente conservativa e quindi buon mediatore verso l'Africa del passato e del futuro insieme; accanto a questo il motivo de! " figlio che Corrado aspetta da Maria e che acquista il ruolo d'una sorta di pret:nessa fisica di quel futuro. C'è infine un altro motivo da registrare, comune ai due scrittori amici, quello dell'Africa come vera patria, che però Brando ritrova di là dal tempo presente nel passato e che al contrario Scarfoglio spinge verso il futuro come desiderio da realizzare con la propria azione.

J?iversa la situazione della presenza colonialistica, per molti aspetti decisamente accentuata, che si manifesta nelle Canzoni delle gesta d'oltre­ mare. Anche se, come la Tomasello non manca di sottolineare, s'accentua qui la componente tematica della riconquista di una terra già latina e poi occupata dagli arabi, così come al contrario s'attenua il rapporto con l'esplorazione occidentale che acquisisce nuove terre alla civiltà, quello che trionfa su ogni cosa è proprio il nucleo, il succo primo del colonialismo : l'epos della conquista, della presa di possesso che pare coronare il sogno superomistico di D'Annunzio. È la sola opera della letteratura italiana in cui il colonialismo è l'elemento egemonico, così come poteva accadere nel primo Kipling di Tre soldati, de La luce che si spense e di cose consimili. Solo che qui non c'è bisogno di mettere all'opera la fantasia, perché la poesia sgorga da una visione o revisione della realtà degli accadimenti che sono insieme sottoposti ad una sorta di commento ideologico schiettamente colonialistico4z. È questo l'ultimo atto dell'incontro del colonialismo classico con la letteratura italiana. Nel seguito, come la Tomasello ha largamente docu­ mentato, avrà corso una vera «letteratura coloniale» o almeno una ncerca di essa. Certamente, elementi tipici del colonialismo ricorreranno in essa con varia frequenza e con diversa misura; ma mentre le opere che appartengono ad essa con pieno diritto sono spesso scadenti, si mostrano nel loro carattere di Trivialliteratur, insomma, o addirittura come opera di propaganda del regime fascista che si avvia al suo inglorioso avvenire colonialistico e pseudoimperiale, quelle in cui la letteratura ha un soffio, almeno, di vita autentica sono poche, pochissime.

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, 42 Su ipling tra letteratura e colonialismo un primo saggio quasi coevo al personaggio e quello d1 R. SERRA ora in Scritti letterari morali e politici, a cura di M. IsNENGHI, Torino, Einaudi, 1974, pp. 23-74.

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Oggetto di questa relazione è l'esame dell'atteggiamento assunto dal governo italiano fino all'avvento del fascismo, sul problema scola­ stico nei suoi insediamenti coloniali : Eritrea e Libia. Ci siamo soffer­ mati su queste due colonie - in Somalia la questione non venne di fatto affrontata nell'arco temporale da noi preso in esame 1 - per verificare quale fu il ruolo attribuito dallo Stato italiano . ad una tematica specifica come quella legata al sistema della scuola, apparen­ temente di minor rilievo rispetto a problemi di più immediato impatto. In tal senso siamo stati confortati dalla documentazione conservata nel fondo del Ministero dell'Africa italiana 2 : il materiale qui raccolto, suffragato da ulteriori fonti, conferma l'immediata valenza politica che il tema in oggetto rivestì per le forze governative italiane. Promuovere la diffusione della nostra lingua, intesa come strumento di civilizzazione e di omogeneità delle popolazioni delle colonie è il

1 Soltanto nel 1923 fu stipulata, a tal fine, una convenzione con i padri Trinitari. Si veda la relazione inviata dal Ministero delle colonie al Ministero degli affari esteri nel marzo 1931, oggetto : Scuole della Somalia, in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATo, Ministero dell'Africa italiana, b. 160, fase. 3-B-4. Su questo fondo si veda la relazione di P. FERRARA, Recenti acquisizioni dell'A rchivio cmtra/e dello Stato in materia di fonti per la storia dell'Africa italiana : Ufficio studi e propaganda del M. A . I., tenuta in questo convegno. Sull'argomento delle scuole in Somalia si veda R. L. HEss, Ita/ian co/onialism in Somalia, Chicago-London, University of Chicago Press, 1966, pp. 168-169; L. DE CouRTEN, L'a!IJtJiinistrazione coloniale italiana del Benadir. Dalle co!Jipagnie cotntnerciali alla gestione statale (1889- 1914), in « Storia contemporanea», 1 978, 1, p. 146; nessuna notizia sull'argomento nel lavoro di F. GRAsSI, Le origini dell'iJJJperia/ismo italiano : il caso soma/o (1896- 1915), Lecce, Milella, 1980. 2 Le carte del Ministero dell'Africa italiana sono conservate presso l'Archivio storico diplomatico del Ministero degli affari esteri; a questo fondo si aggiunge il materiale conservato presso l'Archivio centrale dello Stato cui abbiamo fatto riferimento nella nota precedente.


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primo obiettivo; porre in atto un sistema che rispecchiasse le . finalità che volta a volta la classe politica liberale ritenne prio�it;:trie nel modellare i propri possedimenti è il secondo intento che risulta . evidente, sin dalla creazione della colonia eritrea.

L'intero settore scolastico poggiava su cinque organismi : la missione svedese, la missione francese, una scuola italiana diretta dal padre francescano Bonomi, l'orfanotrofio De Cristoforis gestito anch'esso da un francescano, padre Piscopo, e la scuola delle suore di Sant'Anna ad Assab4• Tutti questi istituti, salvo la missione svedese, godevano di contributi governativi, purché prevedessero l'insegnamento della lingua italiana. Dalle cifre citate il servizio risultava particolarmente oneroso per le casse dello Stato e con un rendimento decisamente scarso. Paradossale il caso della missione francese che, pur ricevendo il più forte contributo 1 2.000 lire annue - aveva nel suo organico un solo docente di italiano5• La denuncia del governatore Gandolfi, che giudicava l'azione fino ad allora svolta dalle autorità italiane nel settore scolastico passiva, incerta, contraddittoria, partiva da un assioma : «La scuola può e deve essere laica qui come lo è nel regno e all'estero, dappertutto dove sono scuole italiane»6• Completamente negativa, a suo giudizio, la delega concessa di fatto alle autorità religiose, delega tanto più perico­ losa nel caso della missione francese : qui si trattava di una duplice abdicazione da parte dello Stato italiano nei confronti e della Chiesa e di una potenza straniera quale la Francia, sostanzialmente avversa alla nostra presenza coloniale. In questo contesto, continuava il Gandolfi, non si potevano am­ mettere indugi ulteriori all'istituzione di una scuola governativa, sia per «porre in grado i genitori italiani e stranieri stabiliti qui di fare educare ed istruire i loro figliuoli fino all'età in cui devono entrare nella vita vera e cominciare a lavorare per guadagnarsi il

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L'interesse pressoché immediato che il governo italiano mostrò sul tema della scuola è praticamente coevo all'acquisizione del territorio. Già Agostino Depretis, nel suo ultimo gabinetto e in qualità di ministro degli Esteri, dette nel 1 887 il suo consenso al progetto suggerito dall'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cat­ tolici, di costituire ad Assab un'articolata struttura scolastica : questa prevedeva una scuola elementare, maschile e femminile, un orfanotrofio ed un istituto professionale. Il governo si impegnava ad offrire gra­ tuitamente il terreno per i previsti edifici nonché il trasporto del materiale, oltre ad un sussidio di 2.000 lire volto a consentire l'imme­ diata apertura della scuola elementare maschile3• L'impegno governativo è confermato, inoltre, dalla facilità con cui furono elargiti contributi a quanti operavano nel settore dell'istruzione, a dimostrazione della volontà dello Stato di essere comunque presente, malgrado la mancanza di una struttura propria. L'uso indiscriminato di sovvenzioni a favore di istituti, per lo più inadeguati, fu denunciato apertamente da Antonio Gandolfi non appena assunse la carica di governatore dell'Eritrea nel 1 890.

. 3 . ARCHIVJO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO DEGLI APPARI ESTERI ( d'ora in poi ASDMAE] , M�mstero dell'Africa italiana [d'ora in poi MAI], Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. 4, :nmu�a s.d. [ �a luglio 1887]. In verità il sussidio fu accordato dal Ministero della pubblica 1str�z1one poiché il Ministero degli affari esteri aveva completamente impegnato il fondo des�mato �Ile scuole all'estero: si veda la minuta inviata dal Ministero degli esteri al prof. Sch1aparelli, segretario generale dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, del 20 luglio 1 887, e la lettera del Ministero della pubblica istruzione al Ministero degli affari esteri del 25 agosto 1 887, ibidem. In precedenza il governo italiano si era impegnato a procurare materiale scolastico a favore del Comando superiore delle r. truppe a Massaua che ne av�va �atto richiest� : si veda la corrispondenza intercorsa fra il Comando superiore di . Ma� saua, Il Mm1stero degli affari esteri ed il Ministero della pubblica istruzione tra il maggio . ed 1l lugho 1 886 in ASDMAE, MAI, Eritrea, pos. 33/1, fase. 8 : Servizio scuole (1885- 1894) .

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Ad Assab era in funzione anche la scuola voluta dall'Associazione nazionale per soccor­ rere i missionari cattolici di Firenze, la quale era però retta da un missionario francese. Rapporto di Gandolfi al ministro degli affari esteri del 7 gennaio 1 891 in ASDMAE, MA I, Scuole in Africa, b. 4, fase. 6: Scuole in Eritrea: Missioni (1892- 191 1) . Sull'opera dell'Associa­ zione si veda O. CoNFESSORE, L'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani tra spinte «civilizzatrici» e interesse 111igratorio (1887- 1908), in Scalabrini tra vecchio e nuovo tJJOIJdo, a cura di G. RosoLI, Roma, Centro Studi Emigrazione, 1 989, pp. 519-536. 5 Rapporto di Gandolfi al ministro degli affari esteri dell'8 gennaio 1 891, ibidem. Questi gli altri contributi: 1200 lire annue alla scuola di p. Bonomi, 6.000 lire annue all'orfanotrofio di p. Piscopo e 1 .800 lire annue alla scuola di Assab. 6 Rapporto di Gandolfi al ministro degli affari esteri del 14 gennaio 1 891, ibidem.


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pane quotidiano », sia per «preparare una generazione di i11digeni e di europei capaci di intendersi tra di loro ( ... ) La lingua, in questo secondo caso, verrebbe considerata come veicolo di civilti, come anello di congiunzione fra gli indigeni ed i coloni, fra i conqui�tati ed i conquistatori» 7• Leggere, scrivere, far di conto, qualche no­ zione di storia e di geografia, oltre ai « più elementari principii d'igiene e di medicina domestica» : questi i punti-base suggeriti da Gandolfi per una scuola elementare, maschile, laica ; e laica - pre­ cisava il governatore - non voleva dire «atea né tantomeno anti­ cristiana ed empia» 8• La scelta di aprire, per il momento, un'unica scuola a Massaua e di rinviare l'istituzione di altre in località diverse ad una fase successiva era suggerita e dalle effettive necessità della colonia e dalle limitate risorse finanziarie. Non a caso il finanziamento per la scuola di Mas­ saua, pari a 8.400 lire annue9, era previsto con lo storno di contributi fino ad allora versati a favore degli istituti non governativi sopra ricordati, senza pesare sul bilancio coloniale. L'urgenza di compiere un passo concreto nel settore scolastico era ribadito di lì a poco dalla reale commissione d'inchiesta per l'Eritrea, istituita dal presidente del Consiglio Di Rudinì, nella primavera del 1 89 1 . Il 1 6 luglio il presidente della commissione Borgnini inviava le prime conclusioni, con una parte dedicata specificatamente al problema dell'istruzione 10 •

Confermate le deficienze g1a messe in evidenza da Gandolfi, si denunciava l'incongruenza di uno Stato che «mentre in altri luoghi, dove italiani vivono sotto altri domini ( ... ) sostiene spese ingenti per sottrarre lo insegnam�nto alle corporazioni religiose e diffondere lo insegnamento della lingua nazionale, nella colonia dove abbiamo do­ minio effettivo, si sussidiano con inconsueta larghezza monache francesi che l'italiano o si negano ad insegnare o lo insegnano di malavoglia e male». Le proposte della commissione erano ben precise : « non tollerare scuole pubbliche dove non si insegni l'italiano da maestri italiani» ; togliere o ridurre drasticamente i sussidi elargiti alla missione francese 11 in Massaua e alle suore di Assab ; da ultimo «istituire due scuole in Massaua : l'una mista quando se ne verifichi il bisogno da servire alla popolazione europea : l'altra subito, maschile, da servire agli indigeni : ambedue ristrette da principio a due o tre corsi ( ... ) Crediamo che le due scuole debbano essere distinte, perché persuasi che agli indigeni non si possono impartire gli stessi insegnamenti che agli italiani, né usare con questi e con quelli il metodo stesso». Distinzione di metodo, di programmi, di libri di testo : a questo proposito la commissione lamentava la pessima qualità dei manuali usati : «Non v'ha alcuna ragione che il figlio dell'italiano che dimora a Massaua non s'istruisca ed educhi a quel modo istesso che il figlio dell'italiano che dimora a Cremona o a Caserta» ; d'altro canto era assolutamente inutile imporre agli indigeni di «far la conoscenza di Federigo Svevo e di Ezzelino da Romano» 12• Tutti d'accordo dunque sul dover fare, ma sulle modalità non mancavano le divergenze. Invitato dal Ministero a proporre, sulla base della relazione della commissione d'inchiesta, «un programma completo e concreto per l'ordinamento di codeste scuole» 1 3, Baratieri, allora

7 Rapporto di Gandolfi al ministro degli affari esteri del 14 gennaio 1 891 dell'8 gennaio 1891 (Cose scolastiche e religiose), ibidem. 8 Ibidem. Gandolfi suggeriva, inoltre, l'istituzione di una scuola per l'insegnamento dell'arabo e dell'amarico per quanti - militari o civili - ne potessero trarre giovamento per motivi di lavoro. Su Gandolfi si veda N. LABANCA, La politica della Memoria, le carte inedite di Antonio Gandolfi, Governatore civile e militare dei/a colonia Eritrea, in «Ricerche storiche», 1 989, pp. 375-402. 9 Il progetto prevedeva questo organico : un direttore-maestro per la direzione della scuola e l'insegnamento di italiano, storia, geografia, aritmetica con uno stipendio mensile di L. 250; un maestro di arabo e uno della lingua locale (il primo con uno stipendio mensile di L. 200, il secondo di L. 150) ; un custode con uno stipendio di 50 lire mensili. A ciò si aggiungevano 50 lire mensili di spese varie per un totale complessivo di L. 750 mensili. 10 Il manoscritto si trova in ASDMAE, MAI, Eritrea, pos. 1 1 /2, fase. 1 8. La commissione era composta da Ferdinando Martini, Luigi Bianchi, Luigi Ferrari, Tommaso Cambray-Digny, Edoardo Briquet e Antonino di San Giuliano.

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11 A seguito dell'intervento di Gandolfi il sussidio alla missione francese nell'esercizio provvisorio 1 891-1 892 era stato ridotto a 6.000 lire annue. 12 Relazione del 1 6 luglio 1 891 cit., ibiden1. 13 Dispaccio del Ministero degli affari esteri a Baratieri del 20 luglio 1 891 (minuta), in ASDMAE, MA I, Eritrea, pos. 33/1, fase. 8: Servizio scuole (1885- 1894) . Anche l'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, per mezzo del suo segretario generale, prof. Schiaparelli, inviò al Di Rudinì una sua proposta per l'ordinamento delle scuole per indigeni. La proposta si articolava su una struttura scolastica «la quale, mentre risponda al


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reggente del governo civile e militare della colonia, si esprimeva a favore di una scuola unica per europei ed indigeni. «Con questo metodo - scriveva Baratieri, polemizzando con la commissione ---: l'e­ sperienza ha provato che si arriva a poter dare, parallelamente, una sufficiente istruzione tanto agli Italiani, quanto ai non Italiani e ciò che è più caratteristico ed importante sotto l'aspetto dei nostri interessi coloniali, una sufficiente conoscenza della lingua italiana ai non Italiani e della lingua indigena ai non Indigeni». Ed ancora : « Se possiamo sperare che alcuni fanciulli arabi od abissini, figli di capi o di sceih (sic) o di notabili in genere, per l'ingerenza materiale e morale che esercitiamo sui loro genitori, accorrano alla nostra scuola, insieme coi figli degli Italiani, dei Greci e degli Indiani, sarebbe vano invece lo sperare di poter trovare, all'infuori di quei pochissimi, un numero sufficiente di fanciulli indigeni che frequentasse la scuola loro special­ mente destinata. Essi sono pronti sì ad accorrere nei nostri istituti se vi trovano cibo e ricovero, ma non così se sanno di non trovarvi che il pane intellettuale» 14.

grado di civiltà di quelle popolazioni indigene, importi la minore spesa possibile, e ci conceda perciò di moltiplicare le scuole secondo il bisogno (...) Una simile organizzazione potrebbe essere promossa, meglio che per opera diretta del governo, dall'iniziativa privata dell'Associa­ zione Nazionale qualora questa sia messa dal R. Governo in grado di superare le due principali difficoltà, quella del personale e quella dei mezzi pecuniari». In concreto lo Schiaparelli proponeva di utilizzare come insegnanti religiosi scelti fra vari ordini e «sottoposti al servizio militare di prima categoria, e che finora si usò destinare alle Compagnie di sanità per il servizio degli ospedali militari. I religiosi ai quali tale autorizzazione fosse concessa dovrebbero poter vestire l'abito religioso e seguire le rispettive regole, pur rimanendo immatricolati nel R. esercito, a tutti gli effetti, durante e dopo il servizio triennale di prima categoria. Basterebbe, allo scopo che si vuole conseguire, che tale autorizzazione sia individuale e temporanea, e perciò revocabile a seconda delle circostanze. Detti religiosi, venendo considerati come soldati, sfuggirebbero ad ogni qualsiasi giurisdizione tanto della congregazione di propaganda che del vicario apostolico dell'Abissinia: dipenderebbero di diritto e di fatto, dal Ministero della guerra, e miralmente soltanto dai loro rispettivi superiori generali». Lettera di Schiaparelli a Di Rudinì con annessa memoria del 20 luglio 1 891, in ASDMAE, MA I, Eritrea, pos. 33f1, fase. 8: Servizio scuole ( 1885- 1894) . Il presidente del consiglio Di Rudinì rispose che «della idea così esposta si potrà tener il debito conto da questo Ministero qualora dovesse darsi all'insegnamento nei r.r. possedimenti un indirizzo diverso da quello che si sta adesso preparando in base alle conclusioni del governo coloniale, che concordano perfettamente con quelle della commissione reale d'inchiesta». Minuta del 24 luglio 1 891, ibidetn. 14 Rapporto del 7 agosto 1 891, cit., ibidem.

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Baratieri, nel sottolineare la perfetta identità fra le sue idee e la linea di Gandolfi 15, sollecitava un rapido assenso governativo per la istituenda scuola statale, facendo altresì considerare le particolari con­ dizioni di vita nelle quali si sarebbe trovato ad operare il personale insegnante nella colonia. Era questo un altro punto di forte polemica con chi, come la commissione d'inchiesta, giudicava dall'esterno. Il previsto emolumento annuale di 3.600 lire annue per il maestro-diret­ tore era stato infatti giudicato esorbitante dai membri della commis­ sione 16: ad essi Baratieri, non senza ragione, replicava sottolineando le diverse condizioni di lavoro e di vita fra chi operava in patria e in colonia e la necessità di un incentivo economico per trovare elementi professionalmente qualificati 1 7•

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Baratieri, con decreto del 2 1 giugno 1 89 1 , aveva assunto anche l e funzioni d i gover­ natore civile e militare della colonia Eritrea, durante il congedo di quattro mesi concesso al - Gandolfi. A sua volta Baratieri, con decreto 28 febbraio 1 892, fu nominato governatore della colonia. 16 La r. commissione d'inchiesta aveva duramente contestato lo stipendio proposto per il maestro italiano, «stipendio che in Italia si nega agli insegnanti di prima classe nei licei e negli istituti tecnici e neppur si concedono ai professori straordinari dell'Università». Inoltre la commissione aveva suggerito di sostituire i maestri di arabo ed abissino con gli interpreti, già retribuiti. Relazione cit., in ASDMAE, MAI, Eritrea, pos. 1 1 f2, fase. 1 8. 17 A sostegno della sua tesi Baratieri portava i guadagni relativi ad alcuni mestieri, nonché alcuni dati sul costo della vita: « A Massaua un falegname, un muratore, un calzolaio guadagnano una mercede che varia dalle L. 7 alle L. 10 al giorno ; il più umile manovale non guadagna meno di L. 5. Il minimo stabilito coll'approvazione di codesto Ministero per gli scritturati e pei commessi dei nostri uffici, subito dopo che hanno esaurito il breve periodo di prova è di L. 200 al mese ovverossia di L. 2.400 all'anno, e con ciò se non hanno qualche altro incerto, vivono meschinamente. Gli interpreti (ed è dal loro seno che dovranno essere scelti il maestro di arabo e quello di tigrigno, per la nostra scuola) hanno degli stipendi che variano dalle L. 2.000 alle L. 2.200. Secondo dati annonari infine che mi sono procurato da questo ufficio per gli affari interni e dalla Direzione della dogana, mi risulta che la spesa mensile strettamente necessaria per campare la vita con quel minimo di decoro che si deve pretendere da un ufficiale civile è la seguente: vitto e alloggio: L. 1 50 ; imbiancatura: L. 30; calzature, vestiti, ecc. L. 30; acqua, ghiaccio, spese varie L. 40. Totale L. 250. L. 250 al mese sono L. 3.000 all'anno. Ma in questo calcolo - ed il gen. Gandolfi nel suo primo rapporto sulle cose scolastiche aveva fissato così l'onorario del maestro direttore - non è tenuto conto delle malattie e delle disgrazie inevitabili in un certo periodo di tempo ed in un clima come questo, le quali in pochi giorni divorano al povero impiegato le meschine economie, che per avventura fosse riuscito a fare sposando una vita di sacrifici d'ogni genere, fisici e morali». Baratieri accettava invece l'idea della commissione d'inchiesta d'utilizzare gli interpreti come maestri di arabo e tigrigno, con un compenso mensile di sole 100 lire: in tal modo la spesa preventivata poteva scendere 15


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Il 20 novembre 1 891 si apriva a Massaua la prima scu"ola governati­ va, elementare, maschile. Questi gli insegnamenti previsti : . lingua italiana, araba e tigrigna; aritmetica, igiene, storia e geografia; gip.na­ stica e « principii di morale universale». «La scuola italiana - recitava l'avviso di apertura dell'istituto - sarà laica, ma nel senso del rispetto più assoluto di tutte le religioni ; internazionale nel senso del rispetto di tutte le nazionalità; democratica, in quello del rispetto di tutte le condizioni sociali» 18• I primi risultati apparvero incoraggianti : nell'anno scolastico 1 893-1 894 erano iscritti 1 28 alunni, di cui 1 /5 europei, 1 /5 arabi, e 3/5 abissini 19• L'assimilazione fra élite indigena e gli italiani mediante una scuola comune andava accompagnata dalla diffusione capillare, fra gli ascari, della lingua italiana. In questa ottica si collocano le iniziative prese a Cheren e ad Archico dai comandanti di zona : in questi due centri furono aperte scuole maschili, affidando l'insegnamento a «volonterosi sott'ufficiali e graduati del presidio»20 • Ispiratore di questa operazione era lo stesso Baratieri, il quale aveva più volte sottolineato l'importanza a che presso i reparti di truppa fossero istituite scuole « le quali non solo servono allo scopo immediato di rendere possibile l'affiatamento degli ufficiali coi soldati e di questi fra loro mediante la lingua sovrana, ma eziandio allo scopo di diffondere poi questa nelle popolazioni perché in generale gli ascari dopo qualche anno di servizio vanno in congedo colla famiglia ed ormai cominciano a formare una specie di casta rispettata fra gli agricoltori» 21•

a 7.200 lire annue, così ripartite : 3.600 lire annue al maestro, 1.800 lire per i due maestri di arabo e tigrigno, 600 lire al custode e 1.200 lire di spese varie. Rapporto del 7 agosto citato, in ASDMAE, MA I, Eritrea, pos. 33/1, fase. 8: Servizio scuole ( 1885- 1894). 18 Massaua, 24 ottobre 1 891 (avviso a stampa), in ASDMAE, MA I, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. 4. 19 Rapporto di Baratieri al ministro degli affari esteri dell'1 1 giugno 1 894, ibidem. 20 Ibidem. 21 Ibidem. Baratieri si era sempre impegnato nella diffusione capillare, fra gli ascari, della lingua italiana «che rappresenta la superiorità nostra, che crea i maestri dell'avvenire, che unisce ed amalgama le varie schiatte, che dà il modo migliore di impartire l'istruzione militare e di tenere salda la disciplina, che più efficacemente di ogni altro procedimento civile, può dare alla colonia l'impronta della madre patria». Baratieri al comandante delle r. truppe in Massaua, 1 5 luglio 1892, i n ASDMAE, MAI, Eritrea, pos. 33/1, fase. 8 : Servizio scuole, 1885- 1894.

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Questo apparato scolastico, che prevedeva un largo impiego di ufficiali, soldati, interpreti, aveva « il vantaggio grandissimo della economia, il quale solo rende possibile la istituzione di numerose scuole, ciò che non si potrebbe concretamente effettuare col personale insegnante patentato, cui si dovrebbero corrispondere adeguati sti­ pendi, a luogo delle piccole gratificazioni, che si concedono ai militari ed interpreti » 22• L'altro elemento nodale era, a giudizio di Baratieri, l'immediata sostituzione della missione francese con una italiana. «Le scuole lazzariste - rampognava il governatore - che considerate dal punto di vista umanitario e religioso sembrerebbe dovessero arrecare van­ taggi alla civiltà e alla colonia, pure all'atto pratico ciò non si verifica; l'educazione che vi si impartisce non è conforme ai nostri scopi, perché i lazzaristi anziché accontentarsi di fare una semplice propa­ ganda religiosa, cercano sott'acqua di acquistare un'influenza politica a noi contraria, nel cuore degli indigeni ; ne modificano sensibilmente il carattere, ne assopiscono le buone qualità. Lo prova il fatto che molti dei giovani educati alla missione, venendo al nostro servizio, continuano a rimanere ligi ad essa e si dimostrano verso noi molto riservati e poco sinceri» 23• Su questo punto la rispondenza fra Baratieri, il ministro degli Esteri Blanc ed il presidente del consiglio Crispi era totale. « Il governo del re, come Vostra Eccellenza non ignora» - scriveva Blanc a Baratieri - «vuole che i padri lazzaristi della missione francese cedano quando­ chessia il posto ad altri religiosi di una missione italiana. Come princi­ pio di esecuzione di questo progetto, sulla cui utilità, anzi necessità non è lecito dubitare, si penserebbe per ora di gettare le basi per la istituzione tanto a Cheren quanto ad Acrur, che sono i due centri di azione dei Lazzaristi, di una vera scuola governativa, attorno a cui sorgerebbe poi la missione religiosa italiana» 24•

22 Rapporto di Baratieri al ministro degli affari esteri del 1 8 maggio 1 895, in ASDMAE, MA I, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. 4. 23 Rapporto di Baratieri de11'1 1 giugno 1 894, ibidem. 24 Minuta del 26 agosto 1 894, in ASDMAE, MA I, Eritrea, pos. 33/1, fase. 8 : Servizio scuole, 1885- 1894.


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L'arrivo dei padri Cappuccini, dopo l'espulsione dei Lazzaristi25, venne salutato con estrema soddisfazione; quelli che prima erano centri d'in­ fluenza francese, commentava Baratieri, sarebbero divenuti «fo�olari da cui s'irradia la nostra lingua» 26• In questo contesto l'aiuto gover�ativo alla missione doveva essere ampio, precisava Blanc, così da impedire il ritorno di una pericolosa ingerenza d'oltralpe. Questo non significava lasciare carta bianca all'istruzione confessionale, che anzi era necessario esercitare un'attenta sorveglianza affmché «l'indirizzo delle scuole affidate alla Prefettura apostolica risponda pienamente ai fmi nazionali dell'opera governativa, e sia informata ai criteri di una felice modernità, a seconda delle circostanze locali e dei nostri bisogni»27• Il modello operativo così postulato doveva, alla prova dei fatti, presentare gravi limiti sia nel rapporto fra scuola governativa e scuola confessionale, sia nella qualità dell'insegnamento impartito. Deludente in tal senso il quadro tracciato da Ferdinando Martini, poco dopo il suo arrivo in Eritrea, nel 1 897, come commissario civile : «Degli inse­ gnamenti delle suore di sant'Anna nulla è da attendere, che non si attenga a minute pratiche religiose : nulla, per la triste, ma chiara cagione che non si può insegnare ciò che non si sa ( ... ) Le alunne delle suore di sant'Anna pregano e cantano ; preghiere forse disattente - continuava con scherno Martini - perché frequenti troppo canzoni composte in guisa da costringere a fragorosa ilarità l'ascoltatore, il quale non sappia frenare le risa innanzi alle più strambe e grottesche anfibologie : perché è veramente grottesco l'udire bambine sudanesi, per accennare alla propria innocenza, cantare: noi siam candide qual giglio>>zs.

25 Si veda C. MARONGIU BuoNAIUTI, Politica e religioni nel colonialismo italiano (1882- 1941) , Milano, Giuffrè, 1982, pp. 58-67. 26 Rapporto del 18 maggio 1895, cit., in ASDMAE, MA I, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. 4. 27 Dispaccio di Blanc a Baratieri del 5 luglio 1895 (minuta), in ASDMAE, MAI, Eritrea, pos. 33/1, fase. 9 : Servizio scuole (1895- 1906) . Blanc suggeriva un modello educativo così articolato: «Per 3/5 sul lavoro pratico (arti, mestieri, agricoltura) ; per 1/5 nell'istruzione elementare, e per l'altro quinto, per la ginnastica e per i più adulti nell'istruzione militare. Parallelamente alle scuole maschili e con criteri pratici conformi, dovrebbe essere provveduto alle scuole femminili». 28 Rapporto di Martini al ministro degli esteri dell'11 febbraio 1898 in ASDMAE MAI Scuole in Eritrea, b. 4, fase. 1, s. fase. 4. Martini non lesinava dure critiche anche ai Ca�puccini

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a gover­ La situazione doveva aggravarsi con la chiusura della scuol in un rapporto nativa di Massaua : ciò era dovuto, scriveva Mattini �n consistente i d del giugno 1 901 , al calo di alunni bianchi, a fronte . l msegnamento aumento della popolazione europea ad Asmara. «Ogg1 · 1ea s? e�1a Eritr U: europeo » - riferiva il governatore - « è impartito la m1sswne mente da due istituzioni religiose : la missione cattolica e altret�anto quasi e svedes e » : la prima con « circa centocinquanta allievi nta fancmlle, allieve», la seconda con « circa cinquanta fanciulli più quara tutti indigeni» 29• tico La necessità di porre rimedio alle gravi carenze nel settore scolas 90 � 1 il ed 902 1 il divenne per Martini uno dei compiti prioritari. Tra e � d� furono aperte scuole elementari governative ad As �ara, �heren �artm� Ugri. Malgrado ciò, a conclusione del suo mandato m Entre�, m denunciava come «in parte l'istruzione e l'educazione de1 gwva i: infatt è Così li. italiani in Eritrea è affidata a scuole confessiona di �: nessuno può porre in dubbio questa asserzione, e nessuno più g1a ho ma te; amen avrebbe desiderato che le cose andassero divers della detto e ripetuto che il bilancio non lo permetteva ; e fra il far ntare Colonia un vivaio di analfabeti e l'affidare l'istruzione eleme 0 a cappuccini ed a suore, la scelta non potev� esser �ubbi� »3 • Martini difendeva inoltre il criterio segu1to nell'1struz10ne degli nti indigeni, che era quello di «aprire scuole ove oltre ai pri�i �leme »3\ dell'istruzione si miri principalmente all'ins egnamento dell'1tahano •

Firenze� s.d., I, P · 541 : che definiva «avidi, prepotenti, ignoranti». F. MARTIN!, Il diario eritre�, . colomale dopo A dua . polttzca La NE, AQUARO A. Sull'azione di Martini si vedano i saggi di , � 975: 3, P?· mento» Risorgi del storica na «Rasseg in Eritrea, in ore Ferdinando Martini govemat e' ztrea, m coloma la : �e e istrazion l'ammin 346-377 ; e 4, pp. 449-483 ; ID ., Ferdinando Martini e . . : trazzone mnll/1/lts e Po/ztzca : Adua Dopo NE . AQUARO A. in ora « CllO», 1977 ' 4' pp . 341-427' ' . . . · 1 bent· culturah e ambtent�li, 1989 coloniale, a cura di L. DE CouRTEN, Roma, Ministero per MAI, Entrea, pos. E, ASDMA in 1901, giugno 23 29 Rapporto al ministro degli esteri del una scuola Asmara ad aperta fu 1902 re novemb 20 Il 1901. 1895scuole, 33/1, fase. 9: Servizio . . elementare governativa, maschile e femminile. d ! R. comrms. san. ? Clv!le d_e� . 30 AP, Camera dei deputati, Relazione sulla colonia Eritrea . � colon.te (Bertolim) Ferdinando Martini per gli esercizi 1902-1907 presentata dal M1n1stero13,delle �tz, vol. I, doc. Docutm 1909-19 e session XXIII, nella seduta del 14 giugno 1913, legislatura . . s�olastlca azwne popol ella � z � consiste sulla cifre alcune � anche dava LXII, p. 148. Martini _ _ . annt. Nel 1905 nella colonia eritrea vi erano 754 europe1 con un eta mfenore al 15 3t Ibid. , p. 150. ·


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e nulla più. Questa scelta si inseriva nel più articolato· problema del rapporto fra colonizzatore ed indigeno : su questo terreno· if . Primo distinguo, a giudizio di Mattini, doveva avvenire proprio nella scuola. «L'indigeno all'età nella quale si frequentano le scuole elementari vince l'italiano nella prontezza del comprendere, nella facilità dell'apprendere ( . . ) onde in lui più solleciti i profitti, maggiore la diligenza, tutto ciò con iscapito singolare di quel sentimento della superiorità dell'uomo bianco che occorre in ogni guisa infondere nell'uomo di colore» 32• Questa di Mattini non era una voce isolata 33 : la volontà di sancire la superiorità del colonizzatore sul colonizzato sta indubbiamente alla base del decreto del 31 gennaio 1 909 relativo all'istruzione scolastica in Eritrea. Esso si basava su due principii fondamentali : «tendere obbligatoria e ( . . . ) disciplinare per gli europei l'istruzione in colonia», seguendo i programmi vigenti nelle scuole del regno ; concedere ampia discrezionalità alle autorità governative coloniali «per l'istruzione dei soggetti ( .. ) secondo i particolari ambienti e secondo i bisogni e le aspirazioni delle popolazioni»34. La discriminazione fra italiani ed indigeni nell'istruzione fu rafforzata dal successivo provvedimento amministrativo del 1 912, che disponeva il passaggio della scuola elementare governativa di Asmara, destinata esclusivamente agli italiani, alla giurisdizione della Direzione generale delle scuole italiane all'estero, così da legarla in unità d'intenti e di risultati alla madrepatria : diveniva netta la distinzione fra istruzione del cittadino italiano ed istruzione di quello indigeno 35• L'istruzione degli indigeni veniva chiaramente indirizzata alla for­ mazione di mano d'opera specializzata per alcune mansioni. Lo dimo-

strano alcune significative iniziative. A Massaua fu aperta una scuola bilingue per «preparare ragazzi indigeni a tenere corrispondenza com­ merciale in arabo ed in italiano e ad esercitare le funzioni di scrivano ed interprete» 36. Ad essa si aggiungevano tre scuole d'arti e mestieri, dislocate in zone diverse della colonia e distinte per religione : musul­ mana a Cheren, copta ad Adi U gri, cattolica a Saganeiti: quest'ultima fu affidata ai missionari. Le tre scuole, pur con qualche differenziazione fra loro, miravano a riprodurre un insegnamento di tipo elementare - anche se limitato sostanzialmente alla buona conoscenza di italiano, matematica, geo­ grafia, disegno - accompagnato da un articol�t� ra?gio di ap? r�n�i: . menti lavorativi, così da «formare buom_ opera1» 7, s1a ne1 mest1en p1U comuni come fabbri e falegnami, sia come esperti di tecniche più specifiche quali la telegrafia, la dattilografia, l� tipografia 3� . . . Se a questo quadro si aggiunge l'accordo stipulato con 1l v1canato apostolico in Eritrea per la riorganizzazione delle scuole affidate alla missione cattolica 39, la politica dello Stato italiano nel settore scola­ stico appare chiaramente delineata : garantire la capillare diffusione della nostra lingua attraverso vari canali - governativo, militare, confessionale -; distinguere sempre più l'educazione della popolazione

.

.

Rapporto dell'11 febbraio 1 898, in ASDMAE, MAI, Scuole in Afi'ica, b. 4, 1, s. fase. 4. Si veda in particolare il saggio di G. ARE-L. GIUSTI, La scoperta deJJ'imperialismo neJJa cultura italiana nei priltiO Novecento, in «Nuova rivista storica», 1974, 5-6, pp. 549-589; 1 975, 1-2, pp. 100-168. Dello stesso G. ARE, La scoperta deJJ'imperialisnw, Roma, Lavoro, 1 985. 34 Relazione del direttore centrale degli affari coloniali al ministro degli esteri del 6 maggio 1908, in ASDMAE, MAI, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. 4. 35 Promemoria sulle istituzioni scolastiche dell'Eritrea del 3 agosto 1914, in ASDMAE, MAI, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1 , s. fase. Statistiche. L'iniziativa era stata presa da Giuseppe Salvago Raggi, governatore dal 25 marzo 1907 al 1 6 agosto 1915. La scuola di Asmara, nel gennaio 1908, risultava frequentata da 68 alunni, fra maschi e femmine: il corpo docente era costituito da un maestro e due maestre, tutti patentati. Si veda Promemoria s.d. [ma 1908], Scuole in Eritrea, ibidem.

Promemoria del 3 agosto 1914, ibidem. Dattiloscritto dal titolo Scuole, s. d. [ma 1 91 3] , ibidem. In questo rapporto le autorità coloniali informavano che le scuole governative in Eritrea, governative e sussidiate, avevano un'utenza di circa 1 .000 alunni; a questi si aggiungevano circa 600 allievi che frequentavano le scuole indigene sovvenzionate generalmente dai notabili locali e nelle quali non era impartito l'italiano. . . . 38 Per i regolamenti delle suddette scuole si veda CoLONIA ERITREA, Istmzwne pubbltca, m Legislazione, notizie e studi sull'Eritrea, 61, Asmara 1914. . . . 39 Nel febbraio 1 9 1 1 la prefettura apostolica dell'Eritrea fu elevata al rango d1 v1canato apostolico dell'Eritrea: in questa occasione nuovi Cappuccini sostituirono l' or�a�co . eh� .si era dimostrato del tutto impreparato nel compito educativo. Si veda a tal proposito 11 gmdizw fortemente negativo espresso dal San Giuliano, ministro degli esteri, allo Schiaparelli segretario generale dell'Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani : l�ttera del 1 � ottobre 1910, in ASDMAE, MA I, Scuole in Africa, b. 4, fase. 1, s. fase. Stattsttche. I nuov1 Cappuccini riscossero un giudizio sostanzialmente positivo da parte de�e autorità coloniali : rapporto del governatore al ministro degli esteri del 2 novembre 191 1 , m. A.SD.M�E, 1v!AI, Scuole in Africa, b. 4, fase. 6 : Scuole in Eritrea (missioni) . Sul tema delle m1ss1oru nmand1amo alla relazione di C. M. BETTI, Le tnissioni religiose, tenuta in questo convegno. 36 37

32 33

l'!-�


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italiana da quella indigena; affidare all'istruzione della componente indigena il compito di preparare elementi atti a funzioni secondarie, subordinate all'elemento bianco. * * *

L'acquisizione della Tripolitania e della Cirenaica ripropose in ter­ mini più ampi e complessi il ruolo che il sistema scolastico doveva svolgere nel rapporto madrepatria - colonia. Le condizioni della Libia erano indubbiamente diverse da quelle incontrate in Eritrea, grazie anche all'azione già svolta in quei territori dalla Direzione delle scuole italiane all'estero40• Orgogliosamente il direttore generale delle scuole all'estero, Scalabrini, in una relazione del 1910 sottolineava come l'italiano fosse, dopo l'arabo, la lingua più «usata nelle conversazioni come nelle contrattazioni » 41• La politica adottata per questa opera di pacifica penetrazione era stata «l'adattamento al­ l'ambiente», cosicché le scuole italiane, sottolineava lo Scalabrini, erano frequentate «non solo dalla nostra colonia, ma da moltissimi stranieri ed indigeni»42• Infatti, alla vigilia dell'occupazione italiana risultavano iscritti nelle scuole governative 1 754 alunni, cui si aggiungevano altre 1035 unità nelle scuole confessionali, sussidiate dal governo43• La conclusione degli avvenimenti bellici, l'insediamento italiano in Libia portarono immediatamente in primo piano la questione scolastica. Il 6 gennaio 1 912 il direttore dei servizi civili in Tripoli, Caruso, inviava un preoccupato rapporto a Peano, segretario del presidente del consiglio Giolitti. «La cosa che più mi preme oggi, di interessare S.E. e Lei, 40 Si veda l'interessante relazione sulle scuole italiane all'estero di A. Scalabrini del 10 aprile 1906, in MINISTERo DEGLI AFFARI ESTERI, A nnuario delle scuole italiane all'estero govemative e sussidiate, Roma, MAE, 1906, pp. V-XIII. Sulle scuole all'estero notizie in G. FLORIANI, Cmto anni di sCHole all'estero, Roma, Armando, 1974. 41 Relazione di Scalabrini al direttore centrale degli affari coloniali Agnesa [ 1910], ASDMAE, MA I, pos. 179/1, fase. 4: Varie, Scuole nelle colonie, 1895- 1910. 42 Ibidem. A Tripoli, ad esempio, data la presenza di una consistente colonia greca, nelle scuole elementari italiane era insegnato anche il greco moderno e la lingua araba costituiva parte integrante dei programlni scolastici. 43 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Annuario delle scuole italiane all'estero govemative e sussidiate

(191 1) ,

Roma, MAE, 1911, pp. S-6.

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è quella della scuola. In breve : dalle !ami?�� ita�ane mi è stat� s�esse volte espresso il desiderio di vedere istrUlti i figh ne�e � cuo�e . ita�ane: Gli arabi han visto che negli uffici d'interprete o in altr1 piccoli nnpieghi sono stati assunti in gran parte ebrei, perché conoscitori dell'arabo e della lingua italiana. Capirà che la merce �pieg� è d�siderata.' com� dagli europei, anche dagli arabi: L'A lliance israelita mi ha chiesto il permesso di aprire le sue scuole. E scuola francese, pro�ett� dal .co�solato francese. Tale permesso, con la scusa delle condizwm samtane. che dichiarai ancora non completamente buone, negai. Noi non possiamo sono ne' dobbiamo farci prevenire dai francesi. Le scuole dell'A lliance . . mteressa francesi e seminano influenza e civiltà francese; mentre a noi seminare la nostra civiltà insegnando la nostra lingua e facendo con�­ scere la nostra storia. Mi hanno soffiato all'orecchio che malgra�o 11 divieto l'A lliance ha aperto le sue scuole ( ... ) Come vede la questwne delle scuole è cosa urgente» 44• . . n timore di un'assenza che poteva risultare pericolosa era condiviso pienamente da Giolitti che immediatamen�e c�mun.icava ai ministr� degli esteri, di San Giuliano, e della pubb.h�a . ist�u�w�e, . Credaro, di provvedere al più presto all'ap �rtura degh istlt�tl. itaham : «Tale .ne­ cessità recita la lettera del presidente del Consiglio, sarebbe partico­ larme�te risentita per il fatto che l'A l!iance israelita di Tripoli ha fat�o premura per aprire le sue scuole e diffondere cosi come essa faceva m precedenza la lingua e la coltura francese » 45• . . In febbraio furono riaperte le scuole elementan governative, �iurna e serale l'istituto tecnico-commerciale, nonché la scuola professiOnale femminile di istituzione ottomana. Contemporaneamente ripresero l'attività ;ia le scuole della missio11e sia quelle dell'A lliance israélite: . A distanza di tre mesi Caruso inviava i primi risultati consegu1t1 a Tripoli : «Le iscrizioni nel corrente anno scolastico furono d� n. 5_1 � alunni nelle scuole elementari maschili diurne, dei quali n. 349 israeliti, 90 mulsumani; di n. 1 71 alunni nelle scuole elementari maschili serali, dei quali n. 1 1 2 israeliti, e 44 musulmani; di n. 356 alunne nelle

44

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Presidenza del consiglio dei ministri, Gabinetto 1912,

fase. 1 f2. 45 Lettere del 14 gennaio 1912,

ibidem.

b. 441,


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scuole elementari femminili, delle quali alunne n. 321 ·sono israelite e 35 cristiane ; di n. 56 alunni nella scuola tecnico-commereial!=, dei quali 1 0 musulmani frequentanti il corso speciale per gli arabi è 1 mu­ sulmano frequentante il corso ordinario ; 29 israeliti e 1 1 cattolici.; di n. 39 alunne, tutte musulmane, nella scuola professionale femminile. In totale : alunni iscritti nelle scuole governative n. 1 123, in confronto ai 730 alunni circa iscritti negli anni precedenti nelle scuole elementari e nella tecnico-commerciale, con un aumento di 393 alunni. Nelle scuole tenute dai frati, che sono pure scuole italiane, la popolazione scolastica ascese a 430 alunni, dei quali : 240 cattolici, 75 musulmani, 45 greci. Con questi l'intera popolazione scolastica iscritta in scuole italiane ascende a n. 1 553, in confronto a 1 430 alunni iscritti nelle scuole governative elementari e nella scuola tecnico-commerciale e nelle scuole dei frati, negli anni precedenti» 46• Questa tendenza positiva è confermata anche dai dati relativi all'in­ tera colonia : nell'anno scolastico 1 91 3-1914 negli istituti governativi in Tripolitania e Cirenaièa la popolazione scolastica risulta pari a 3028 unità: era pressoché raddoppiata rispetto al 1 9 1 0-1911 ; nelle scuole sussidiate l'incremento fu molto minore e si era saliti a 1286 elementi 47• All'interno di questa linea di tendenza positiva risultava la forte sperequazione fra frequentanti israeliti e musulmani, a favore dei primi e ciò in netto contrasto con la preponderanza numerica della popola­ zione musulmana, destinata, per ciò stesso, a divenire « la vera e più estesa forza cooperatrice con la madrepatria»48• Questa affermazione del Caruso era condivisa dallo Scalabrini che, sulla base degli elementi raccolti, approntava una nota degli interventi più urgenti da operare nel settore scolastico. Se l'educazione di italiani, europei ed «indigeni non mulsulmani» è il primo obiettivo indicato nella nota, l'educazione della popolazione

musulmana è oggetto di una serie di iniziative atte ad avvicinare questa componente allo Stato italiano. Di qui il suggerimento di aprire scuole italo-arabe, con un programma di studio modulato sugli insegnamenti impartiti nell'istruzione elementare e «l'aggiunta delle nozioni coraniche che le consuetudini locali richiedono» ; per questo si prevedeva la presenza di un imam accanto al maestro italiano. Lo Scalabrini, inoltre, riteneva opportuno conservare le scuole coraniche e proponeva da ultimo di «raccogliere dati, compiere studi, iniziare pratiche per la istituzione a Tripoli di una Università o scuola superiore teologica musulmana» 49• La proposta dello Scalabrini, pur nella netta distinzione fra istruzione per italiani ed istruzione per indigeni, appare fondata su una maggiore attenzione per il mondo arabo e quindi mirante ad un miglior coordi­ namento fra cultura islamica e cultura occidentale. Questa impostazione era sostanzialmente condivisa dal ministro Bettolini, responsabile del­ l'appena istituito dicastero delle Colonie50 • È quanto si ricava da un appunto dal titolo Concetti di S.E. il ministro circa la sistemazione del problema scolastico in Libia, il quale cosi recita : «Per l'istruzione indigena : 1 ) limitarsi all'istruzione elementare : da escludersi la media e la nor­ male; 2) promuovere le scuole coraniche (kuttab), stabilendo vigilanza igienica ed accordando sussidi ; 3) promuovere lo sviluppo di scuole professionali; 4) creare la medersa in Tripoli, per formare indigeni atti agli uffici religiosi e civili ed alle magistrature locali. Per l'istruzione ai connazionali : mantenere le scuole elementari esistenti, istituendo a mano a mano le scuole medie a seconda del bisogno» 51• Questi intendimenti, pur con il grave limite di escludere l'elemento mulsulmano dall'istruzione di tipo medio, che di fatto rimase di esclusivo dominio, oltre che della popolazione europea, della popola­ zione indigena israelitica 52, davano comunque una risposta chiara

46 Relazione SII/le SCI/o/e italiane in Tripoli dell'aprile 1912, ibidem. 47 Ann11ario delle sc11ole italiane... cit., (1913-1914), Roma, MAE, 1914, pp. 46-48. 48 Relazione delle sc11ole italiane in Tripoli, in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, Presidenza del consiglio dei ministri, Gabinetto 1912, b. 441, fase. 1f2. Si veda R. DE FELICE, Ebrei in 11n paese

arabo. Gli ebrei nella Libia contemporanea tra colonialismo, nazionalismo arabo e sionismo (1835- 1970),

Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 56-57.

li

in

49 Relazione di Scalabrini al ministro delle colonie sulle scuole della ASDMAE, MA I, Libia, pos. 1 13/1, fase. 6: Sct�ole. 50 Il Ministero delle colonie fu istituito nel novembre 1912. 51 ASDMAE, MAI, Libia, pos. 113/1, fase. 6 : Sct1ole ( 1913) . 52 Esemplare la denuncia che fece nel 1918 il ministro delle colonie

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Tripolitania, [1913],

Colosimo : vedi A P, Relazione sulla situazione politica, economica ed amministrativa delle colonie italiane presentata dal ministro delle colonie Colosimo nella tornata del 23 febbraio 1918, Legislatura XXIV, sessione unica 1913-19, Doctlmetlti, vol. X, doc. n. VL, pp. 39-40.

Catnera dei dep11tati,


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e positiva ad un interrogativo di fondo : « Si deve e fin� a qual punto diffondere l'istruzione fra gli arabi? E non è a temersi che . essi un giorno volgano contro di noi quelle stesse armi intellettuali che. noi oggi loro forniamo?» Quesito questo che tanto aveva angustiato l'ispettore per le scuole all'estero Namias, estensore di un minuzioso rapporto sulle condizioni scolastiche in Libia. La temuta connessione fra nazionalismo arabo e cultura europea spingeva il funzionario ita­ liano a ritenere più sicuro di «limitare l'istruzione degli indigeni all'italiano parlato, alle conversazioni famigliari sull'igiene e sulla vita morale e sociale ed infine all'avviamento alle arti manuali più comuni ed in ispecie ai lavori della terra» 53. La legislazione scolastica che fu adottata in Libia con i decreti del 1914 e 1 9 1 5 di fatto sanzion6 una distinzione netta fra istruzione per europei e istruzioni per indigeni : per quelli si riproduceva l'ordina­ mento vigente nel regno con i distinti rami d'istruzione, per questi si creava una struttura educativa il cui fulcro erano le scuole italo-arabe s4. A queste, di durata triennale, era affidato il compito di produrre una rapida assimilazione degli elementi musulmani : l'insegnamento del Corano e della lingua araba era impartito insieme a quello della lingua italiana, dell'aritmetica, dell'agricoltura, igiene, ginnastica, canto, e a co­ noscenze generali sull'Italia. Venivano mantenute le scuole coraniche, subordinando il sussidio governativo alla vigilanza igienica e all'ade­ guamento dell'insegnamento alle direttive generali. Ultimo elemento caratterizzante la legislazione scolastica fu la decisione di creare una scuola di cultura superiore islamica, con lo scopo di preparare giovani musulmani per poi inserirli negli uffici giuridici e religiosi o per utilizzarli come maestri per gli indigeni : quest'ultimo progetto, però, doveva vedere la luce solo con l'impero fascista.

Con questi provvedimenti si tendeva, dunque, ad una politica di assimilazione fra mondo arabo e cultura italiana ; l'anello fondamen­ tale di questa operazione era costituito dalle scuole italo-arabe. Non a caso il ministro delle Colonie Colosimo, nella relazione sulla situa­ zione politica, economica e amministrativa delle colonie italiane, presentata in Parlamento all'inizio del 1 9 1 8, sottolineava come l'or­ ganizzazione di tali scuole fosse « il problema " centrale" di tutto l'ordinamento scolastico coloniale ( . . . ) Esse costituiscono l'organo educativo attraverso il quale la coscienza e lo spirito delle nuove generazioni della colonia possono essere quotidianamente indiri�zati a comprendere e valutare lo spirito ed il valore della nostra azwne nazionale : sono insomma, le scuole italo-arabe, il più naturale e reale mezzo di comunicazione fra la nostra mentalità e quella della gioventù musulmana» 55. Il ministro non sottaceva, peraltro, come malgrado gli sforzi governativi ed in una situazione generale che vedeva un progressivo e costante aumento della popolazione scolastica inserita nelle strut­ ture statali s6, il coinvolgimento della componente musulmana restas­ se molto limitato. A tal fine Colosimo suggeriva sia un ampliamento degli istituti - in Tripolitania vi erano solo cinque scuole ita­ lo-arabe; migliore la situazione in Cirenaica con undici sedi - sia una rafforzamento del personale insegnante, insufficiente nel nume­ ro 57 e nella qualità. A questa problematica il ministro collegava il tema della formazione « di nuclei scolastici che - a somiglianza delle « Eco/es primaires supé­ rieures» dell'Algeria e delle « Eco/es régionales» dell'Africa occidentale 55 Relazione sulla situazione ... cit., p. 210 ; vedi nota 52. 56 Queste le cifre presentate da Colosimo in Parlamento, relative

53 Relazione sulle scuole della Tripolitania e della Cirenaica del 14 luglio 1913 redatta dall'ispettore Namias, in ASDMAE, MA I, Libia, pos. 1 13/1, fase. 6 : Scuole (1913). 54 R.d. 15 gennaio 1914, n. 56 (modificato coi successivi r.d. 21 febbraio 1915, n. 250 e d.l. 17 giugno 1915, n. 1 108); seguì quindi il relativo regolamento scolastico per la Tripolitania e la Cirenaica emanato con H d.l. 17 ottobre 1915, n. 1809. Si veda G. MoNDAINI, La legislazione coloniale italiana nel suo sviluppo storico e nel suo stato attuale (1881- 1940) , Milano, ISPI, 1941, I, pp. 793-794; M. MININNI CARACCIOLo, Le scuole nelle colonie italiane di dominio diretto, estratto da «Rivista pedagogica», 1930, 3, pp. 183-207 e 4-5, pp. 273-298.

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La scuola nelle colonie

Tripolitania

. alle sole scuole governative. ·

Cirenaica

1.325 2.665 A. scolastico 1915-16 1.744 2.837 A. scolastico 1916-17 1.656 3.044 A. scolastico 1917-18 Ibid., pp. 219-222 57 Colosimo deplorava che solo nelle scuole italo-arabe di Tripoli e Bengasl. . ':'i f��ser� . maestri patentati, mentre nelle altre sedi l'insegnamento era affidato ad 1strutton m!l1tan. Ibid., pp. 210-211 .


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La scuola neffe colonie

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francese - siano destinati ad accogliere quegli elementi che. si siano dimostrati piu attivi nelle scuole itala-arabe e quei figli di c.api e di notabili indigeni che intendessero di proseguire gli studi nelle scuole di carattere tecnico-professionale ( . . . ) La necessità di tali scuole primarie di grado superiore si appalesa a prima vista quando si pensa che, data l'incompleta preparazione che gli indigeni compiono nelle scuole ita­ la-arabe, non si potrebbe, senza tema di gravi e seri inconvenienti, conceder loro l'ammissione ad istituti medi, siano essi pure solo di carattere pratico ed indirizzo tecnico-professionale, a differenza di quanto avviene per gli alunni israeliti, i quali ( . . ) sogliano frequentare regolarmente le scuole primarie di tipo italiano, epperò possono otte­ nere agevolmente l'ammissione nella scuola media commerciale. Oc­ corre pertanto un tipo di scuola intermedia che, integrando la prepa­ razione dell'allievo uscito dalle scuole itala-arabe, lo renda meglio adatto a frequentare con profitto le scuole superiori» 58• I rivolgimenti legati alla prima guerra mondiale e le loro conse­ guenze sul piano politico portarono nell'immediato dopoguerra, a se­ guito degli impegni assunti dal governo italiano con gli statuti del 1 9 1 9, ad una ridefmizione del sistema educativo in Libia 59. Il r.d. 5 febbraio 1 922, n. 368, che regolava l'ordinamento scolastico per i cittadini musulmani della Cirenaica, distaccandosi dagli schemi educativi italiani e cercando di rispondere alle esigenze delle popola­ zioni indigene, nel rispetto delle loro tradizioni, sanciva l'ulteriore affermarsi del principio della pari dignità rispetto a quello dell'assimi­ lazione60 . Indicativa in tal senso la scelta di riconoscere la scuola .

58 Ibid. , p. 21 1 . 59 Gli statuti del 1 ° giugno 1919 per la Tripolitania e del 31 ottobre 1919 per l a Cirenaica

comprendevano alcuni articoli relativi alla lingua araba, in particolare l'art. 1 1 , che nello statuto della Tripolitania così recitava : «Per i musulmani tutte le materie dell'istruzione primaria e le materie scientifiche dell'istruzione media saranno insegnate in lingua araba. In tutte de classi dovrà insegnarsi la lingua italiana, meno che nelle prime tre classi elementari, nelle quali detto insegnamento sarà facoltativo». Questo articolo, nel successivo statuto per la Cirenaica, fu così modificato : «Per i musulmani, in tutte le classi delle scuole elementari e medie, l'insegnamento delle discipline religiose, della lingua delle scienze islamiche, della letteratura e della teoria araba sarà impartito in lingua araba. L'insegnamento delle altre materie sarà impartito in lingua italiana». 60 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, L'Italia in Africa, Serie giuridico-atlllllinistrativa,

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coranica come scuola governativa : la legge prevedeva infatti che nel kuttàb fosse svolto un corso triennale in lingua araba che contemplava lo studio del Corano, nozioni di matematica, oltre ad imparare a leg­ gere e a scnvere. L'apprendimento dell'italiano, insieme a arabo, geografia, aritme­ tica, morale e religione era previsto nella scuola elementare, di durata triennale, cui si accedeva o con uno speciale esame di ammissione o con il superamento della prova finale delle scuole coraniche, dando cosi a queste il ruolo di primo gradino dell'insegnamento ufficiale. Fondamentale, poi, l'istituzione di una scuola media per musulmani. Il corso, di durata quadriennale, grazie all'insegnamento di diritto musulmano e logica, scienze fisiche e naturali, computisteria, calli­ grafia, pedagogia e agricoltura, oltre ad arabo e italiano, mirava a formare personale per l'amministrazione, per il commercio e per l'insegnamento 61• La struttura educativa, completata dalle scuole di arti e mestieri, di agricoltura, di lavoro ed educazione femminile, culminava nel previsto istituto di alta cultura islamica, con corsi di durata triennale, che avrebbe aperto le porte alle Università italiane e abilitato all'insegna­ mento nelle scuole elementari e medie. Questa legislazione - più avanzata rispetto al coevo regolamento emanato in Tripolitania 62 - nacque indubbiamente sull'onda della ventata democratica wilsoniana, ma sarebbe riduttivo non sottolineare la consequenzialità delle scelte operate dalla classe politica liberale. Dall'assimilazione alla pari dignità : questo il filo che indica il cammino percorso nel periodo compreso fra la nascita della colonia eritrea e l'avvento del fascismo. Quanto detto nulla toglie alla sottesa, ma netta volontà colonizzatrice che persiste nella classe politica italiana. In questo contesto evolutivo, sul quale confluiscono e la

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(1869- 1955) : Il governo dci territori d'oltremare, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1968, pp. 88-89. 61 Limitatamente agli insegnanti nelle scuole coraniche. 62 Il regolamento emanato il 14 settembre 1922 distingueva l'istituzione fra scuole elemen­ tari maschili, scuole femminili di lavoro ed istruzione, scuole serali maschili. Questo ordina­ mento di fatto manteneva il sistema basato sulle scuole italo-arabe e si limitava a stabilire l'uso facoltativo dell'italiano nelle classi elementari inferiori.


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componente temporale e le diversità etniche, economiche e . sociali delle realtà locali, trovano spiegazione sia il differente ruolo attdbuito al sistema scolastico in Eritrea ed in Libia, sia il rapporto fra· italiani ed indigeni, oscillante fra una esplicitata affermazione imperi�lista - il mito della superiorità del bianco - ed il riconoscimento della valenza della cultura musulmana.

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Le missioni archeologiche *

Due sono gli argomenti utilizzati con maggiore frequenza dagli archeologi e dai politici per defmire i fmi e i mezzi delle missioni archeologiche nei paesi del Levante mediterraneo. Da una parte l'impor­ tanza che le missioni avrebbero avuto «tanto dal punto di vista scientifico quanto da quello della influenza (italiana) in quelle regioni»; dall'altra «l'obbligo di non mostrarsi da meno» nel promuovere e appoggiare «uno dei mezzi preferiti dalle grandi nazioni europee e dagli Stati Uniti, per esercitare un'influenza» e la necessità di partecipare a una « gara, apparentemente di scienza, in realtà di affermazione politica». A una prima analisi, il ripetersi di queste motivazioni in tutta la corrispondenza concernente le missioni, dall'inizio del secolo fino al crollo del fascismo, sembrerebbe giustificare l'ipotesi che esse fossero essenzialmente uno strumento della politica estera italiana. La risposta che si ricava da un esame più approfondito della documentazione non è però così netta come si potrebbe immaginare, ma evidenzia distin­ zioni e differenze che si articolano nel tempo e nello spazio e che dipendono da fattori economici, ideologici e, non ultimo, umani. È anzitutto possibile identificare fasi diverse nel crescente interesse che il governo, e in particolare il Ministero degli esteri, mostrò nei confronti delle missioni archeologiche, fasi che coincidono, in modo approssimativo, con lo sviluppo dell'Italia unitaria. Negli anni dei governi della Destra e nel primo periodo della Sinistra, quando il paese era ripiegato su se stesso, alla ricerca di una stabilità interna e di un'adeguata collocazione internazionale, non ci furono iniziative

(*) Questa relazione è stata pubblicata anche nel volume A rcheologia e Mare Nosfrlllll, Roma, Levi, 1990, a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.


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nel settore archeologico, e i successi riportati da Halbherr e dagli allievi della Scuola archeologica di Roma negli scavi di Cre�a non vennero sfruttati né sul piano del prestigio del Paese né tantoineno su quello della penetrazione imperialista. E ciò accadeva nonostante le altre potenze europee avessero già da tempo impiantato propri istituti archeologici ad Atene e al Cairo e inviato missioni scientifiche nei paesi del Levante mediterraneo. In questa fase l'iniziativa fu quasi esclusivamente privata. La Consulta si limitò a fornire il proprio sostegno diplomatico, procurando visti e passaporti agli studiosi italiani incaricati delle missioni; offri loro l'appoggio delle ambasciate e dei consolati; si occupò dell'inoltro delle domande di concessione e delle pratiche per l'acquisto dei terreni, tutte cose indispensabili soprattutto in paesi dove vigeva il sistema delle capitolazioni. Anche l'accreditamento dei fondi, l'invio dei documenti, le richieste per l'esportazione dei materiali scavati, avvenivano tramite i diplomatici italiani. Si trattava peraltro di servizi che fanno parte dei compiti istituzionali delle rappresentanze diplomatiche all'estero. Fu solo alla svolta del secolo, tra il 1 898 e il 1 902, che vennero avviate le prime due missioni archeologiche all'estero, sull'onda del ruolo svolto dall'Italia nella soluzione della crisi cretese e in corrispon­ denza con la maggiore autonomia internazionale conquistata in seguito agli accordi con la Francia. Anche in questo periodo, tuttavia, il ruolo propulsivo non appartenne alla Consulta ma ai privati, o alle grandi istituzioni scientifiche come l'Accademia dei lincei, quelle di Torino e di Napoli, e l'Istituto veneto di scienze lettere e arti, ai quali si affiancarono - nel caso della missione a Creta - il Ministero dell'istru­ zione, e - per quella in Egitto - il re e la fiorentina Società italiana per la diffusione e l'incoraggiamento degli studi classici. L'iniziativa del ministro Canevaro di inviare a Creta Primo Levi - per preparare un volume che valorizzasse l'opera svolta nell'isola dal governo italiano, collegandola alla tradizione di Roma e di Venezia - rappresentò soltanto lo stimolo che mise in moto l'iniziativa di creare la missione. Il ruolo del re e del Ministero dell'istruzione fu fondamentale anche nel progetto, formulato nel 1907, di aprire ad Atene una scuola archeologica italiana, ultima tra quelle delle grandi potenze. II progressivo interesse del Ministero degli esteri per le missioni cominciò a manifestarsi intorno al 1 906-7, sia con l'erogazione di ere-

scenti contributi alla m1ss10ne di Creta - dalle 1000 lire del 1 907 si passò alle 5000 lire del 1 91 O -, sia con un sussidio fisso di 5000 lire alla scuola di Atene cui si aggiunse, dal 1908, un assegno di 1 500 lire alla missione in Egitto. Anche se a questo punto la politica estera italiana mostrava un maggiore attivismo nel settore dell'espansione coloniale, l'appoggio alle missioni archeologiche era ancora limitato e andava principalmente a sostegno di imprese preesistenti, onde evitare che esse dovessero interrompere o ridurre l'attività per mancanza di fondi. Un esempio lampante di questo atteggiamento è dato dall'insuccesso della lunga trattativa condotta da Federico Halbherr per ottenere dalla Con­ sulta il f1nanziamento di una spedizione a Cirene: Tittoni, infatti, appa­ riva più interessato a evitare che altri paesi ottenessero una concessione in Libia che a impiantarvi una missione italiana. La situazione cambiò solo nel 1 9 1 0, e la svolta fu determinata dalla notizia che gli americani erano riusciti a ottenere gli scavi di Cirene. Vedere una missione straniera insediarsi, là dove da tempo l'Italia riteneva di possedere diritti di priorità, fu un vero smacco, e la speranza di poter in qualche modo riacquistare le posizioni perdute spinse il Ministero degli esteri ad agire per la prima volta in maniera diretta. Furono mobilitati i rappresentanti diplomatici, e Halbherr fu inviato prima a Bengasi poi a Costantinopoli. Nel giro di due mesi, dato che Cirene era ormai perduta, fu organizzata una missione esplo­ rativa che avrebbe dovuto percorrere la Cirenaica per individuare la località dove chiedere una propria concessione di scavo. Per tutto il 1 9 1 1 , fino allo scoppio della guerra itala-turca, la Consulta fu impegnata nello sforzo di superare gli ostacoli frapposti alla realizza­ zione dei progetti italiani dalla Sublime Porta e dalle autorità locali, insospettite non solo dall'attivismo degli archeologi, ma anche dalla contemporanea spedizione mineralogica e dall'affluire di giornalisti che incitavano il governo di Roma alla conquista della Libia. Al tempo stesso, le insinuazioni dei membri della missione americana, che accusa­ vano gli italiani presenti in Libia di essere i mandanti dell'assassinio di un loro collega, aprirono un pesante contenzioso con il governo di Washin­ gton che si chiuse solo alla f1ne della guerra itala-turca, con la rinuncia dell'A rcheologica! Institute of A merica a continuare gli scavi di Cirene. L'esperienza della Libia e l'affermarsi negli ambienti della Consulta dell'ideologia nazionalista - anche a Washington era noto che la guerra


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era stata voluta dai « siciliani» - provocò un mutamento radicale nell'atteggiamento del governo verso le missioni archeologiche;. Nel Dodecanneso e in Asia minore esse non furono più utilizzate . per ragioni di prestigio o per contrastare analoghe iniziative di concorrenti stranieri, ma per creare un precedente, per stabilire un interesse di cui valersi in futuro. Le missioni divennero «la cavalleria in avanscoperta» per valutare la convenienza e la fattibilità di imprese di più ampia portata. Inserite in un progetto più vasto, queste missioni furono le prime a ricevere finanziamenti cospicui, sia dal corpo di occupazione di Rodi sia direttamente dagli esteri che destinarono a questo scopo un fondo fisso di 50.000 lire oro. L'abbondanza dei sussidi non servi comunque a superare tutti gli ostacoli, tanto che Paribeni non riuscì a spendere le 30.000 lire assegnategli perché non fu possibile ottenere dalla Sublime Porta un permesso di scavo in Asia minore. Dopo la flne del primo conflitto mondiale, il Ministero degli esteri continuò a muoversi su queste stesse linee almeno in due casi: la Turchia e, più tardi, l'Albania. In Asia minore, l'Italia aveva di nuovo la necessità di affermare i propri diritti che, nonostante le promesse del Patto di Londra, le erano contestati dagli alleati: la missione archeologica, guidata ora da Biagio Pace, fu ancora una volta utilizzata in prima linea per aprire la strada alla penetrazione italiana. In Albania, invece, l'iniziativa fu promossa sull'onda della notizia che i francesi avevano ottenuto una concessione di scavo. Come già in Libia nel 1 91 O, il governo di Roma non poteva tollerare la presenza straniera in una regione tanto impor­ tante per l'Italia dal punto di vista strategico, e la missione archeologica divenne cosi lo strumento per controllare da vicino l'attività francese e per affermare i diritti italiani. Anche in questo caso, una spia dell'im­ portanza politica della missione è data dal fatto che i fmanziamenti furono reperiti quasi esclusivamente dagli esteri. Negli anni Venti, accanto alle missioni tradizionali a Creta, in Grecia e nel Dodecanneso, e alla ripresa di quella in Egitto con uomini e obiettivi diversi dal periodo precedente, il Ministero degli esteri concepì un vasto programma di «irradiazione mediterranea» che pre­ vedeva «viaggi e studi preparatori in parecchi luoghi» tra cui la Palestina, Malta, la Tunisia e Corfù. Tuttavia, a causa del prevalere, almeno fino al 1 926, delle preoccupazioni di natura interna, la politica delle missioni archeologiche all'estero fu nell'insieme velleitaria e in-

concludente, se si esclude l'impegno del periodo prefascista in Anatolia e quello in Albania dopo il 1 923. La «revisione della rotta» si verificò tra il 1 928 e il 1 929 e coincise con la svolta impressa alla politica internazionale dell'Italia mediante l'attribuzione del Dicastero degli esteri a Dino Grandi. Le missioni archeologiche, tipico strumento di «penetrazione pacifica», furono nuovamente valorizzate e ottennero generosi finanziamenti, prelevati direttamente dai fondi a disposizione del Gabinetto del ministro. Non a caso proprio in questo periodo venne creato il «Comitato permanente per le missioni e gli istituti archeologici all'estero» dove, accanto ai più importanti archeologi e al direttore generale delle Antichità e belle arti, era presente il capo degli Affari politici Europa-Levante. Anche gli obiettivi furono ampliati oltre le regioni strettamente mediterranee fino a coinvolgere paesi come la Transgiordania, l'Iraq e lo Yemen, verso i quali si stava progressivamente indirizzando la politica araba del regime. Nello stesso senso va inteso il nuovo impulso dato alle missioni in Egitto, fino allora trascurate dagli esteri. Conclusa nel 1 933 la parentesi aperta da Grandi con un secco ordine: «non chiedere nuovi fondi», scritto di pugno da Mussolini, le missioni ripresero la loro esistenza precaria. Per realizzare i nuovi obiettivi del regime erano necessari mezzi ben più incisivi dell'attività archeologica. Nel clima di sospetto suscitato in Europa e nel vicino Oriente dal­ l'impresa etiopica, gli archeologi incontrarono crescenti difficoltà, non solo nei paesi dominati dalle potenze occidentali ma anche in Turchia, dove la concessione, a lungo attesa, fu bruscamente revocata quando la stampa italiana salutò con accenti «imperiali» la scoperta delle rovine romane di Afrodisia. Restava spazio solo negli Stati arabi indipendenti, soprattutto in Egitto, ma questi governi erano combattuti fra la tentazione di seguire la politica « del nemico del mio nemico» e i ri­ gurgiti nazionalisti e xenofobi. Era infatti chiaro che occorreva fare poco affidamento sulla sincerità del filoarabismo di Mussolini. * * *

Uno dei problemi più gravi che le missioni dovettero affrontare fu quello finanziario, come risulta sia dagli insistenti appelli degli archeo­ logi, sia dalle pressioni esercitate dagli esteri e dall'istruzione sul


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Ministero del tesoro. Nell'arco dei 45 anni esaminati, ia penuria dei finanziamenti fu pressoché costante, con gravi conseguenze sull::J. con­ tinuità del lavoro scientifico delle singole missioni e sull'organidtà del programma complessivo dell'esplorazione archeologica all'estero. · Sia i progetti di Halbherr nei primi anni del secolo, sia quelli di Paribeni nel dopoguerra furono in gran parte frustrati non tanto dalla volontà politica del governo di Roma e dagli ostacoli incontrati nei paesi dove si volevano impiantare le missioni, quanto dalla mancanza di fondi o dall'assegnazione di contributi inadeguati. Questa situazione può essere imputata alla tradizionale insensibilità del governo italiano per la ricerca scientifica, anche se in alcuni periodi non mancarono serie motivazioni economiche. Ne derivavano conse­ guenze assai negative, prima fra tutte l'incertezza di ottenere il finan­ ziamento richiesto, la mancanza di un'assegnazione fissa o comunque programmata per un certo numero di anni e il ritardo con cui anche i fondi già stanziati arrivavano al destinatario. Per rimediare a queste carenze si era costretti a ricorrere agli espedienti più vari, tanto che per proseguire gli scavi di Butrinto si arrivò a utilizzare gli introiti dell'emissione dei francobolli virgiliani. L'assenza di un bilancio ad hoc incideva negativamente anche sul reclutamento del personale. Spesso i giovani studiosi preferivano un posto fisso, anche se meno presti­ gioso, in patria piuttosto che affrontare l'alea di una missione all'estero, che non garantiva una carriera stabile. Quanto al personale delle Sovrintendenze e dell'Università, era fin troppo frequente il braccio di ferro tra i promotori delle missioni e gli organismi di appartenenza, con conseguenti, dannosi ritardi sull'inizio dei lavori. Nel determinare l'ammontare dei finanziamenti un ruolo spesso decisivo fu esercitato dai Dicasteri economici (Tesoro, finanze, econo­ mia nazionale). Sia i ministri dell'Italia liberale, sia quelli di Mussolini furono severissimi nel giudicare le richieste dei loro colleghi dell'i­ struzione e degli esteri. Tedesco, Volpi, Mosconi richiamavano co­ stantemente l'attenzione sugli «impegni assunti dall'erario», sulla ne­ cessità di « evitare ogni aggravio», sull'opportunità che il Ministero interessato offrisse una «compensazione diminutiva» su altri titoli di spesa, e pretendevano che la somma richiesta fosse inserita nel bilancio preventivo o almeno nelle leggi di storno. Le eccezioni furono rare, e basate soltanto su «alte ragioni politiche»

La conflittualità non era tuttavia limitata ai rapporti con il tesoro: la si poteva riscontrare anche tra gli esteri e l'istruzione, all'interno dei singoli Ministeri e tra gli stessi archeologi. Nel primo caso l'esempio più clamoroso fu lo scontro tra Mussolini e il ministro dell'istruzione Fedele ' a proposito dell'impresa albanese. Il desiderio di non perdere il controllo scientifico della missione spinse Fedele a centellinare i fondi già stanziati, provocando dure quanto inefficaci proteste del duce. All'interno dei Ministeri, le tensioni coinvolgevano i rapporti tra gli apparati burocratici e il ministro. Alla pubblica istruzione il direttore generale delle Antichità e belle arti si ergeva spesso a difensore degli interessi delle missioni, ma si verificava anche il caso di funzionari che ostacolavano le direttive del ministro. Agli esteri questo ruolo fu svolto dai segretari generali e dai direttori degli Affari politici, da Malvano a Bollati, da Guariglia a Buti. Anche a causa dei rapporti frequenti e diretti con i capi delle missioni, che sfociavano spesso nell'amicizia e nella stima personale, i funzionari degli esteri e i diplomatici accreditati nei paesi teatro degli scavi finirono per esercitare un'influenza non secondaria sulla nascita e i progressi delle missioni. È sufficiente ricordare, per il periodo dell'anteguerra, il ruolo di Salvago Raggi sull'avvio della missione in Egitto, l'appoggio dato da Fasciotti alla missione di Creta, l'impegno di tutti gli ambasciatori succedutisi a Costantinopoli e dei consoli alla Canea e a Bengasi. Tra gli archeologi, infine, i fautori delle ricerche all'estero si contrapponevano a coloro che preferivano investire negli scavi in Italia. Lo scontro fu particolarmente grave nel primo decennio del secolo, per gli ostacoli frapposti dalla scuola di Roma alla missione di Creta e alla fondazione della scuola di Atene. Pur essendo stata, pochi anni prima, la principale artefice dell'attività archeologica a Creta, la scuola di Roma - prima con Pigorini, «nemico ormai dichiaratamente dei lavori all'estero», e poi con De Ruggiero - aveva assunto un atteggiamento ostile. « Sarà gretteria, sarà invidia?» si chiedeva Halbherr, e per salvare la missione cercò appoggio negli ambienti politici ottenendo « la protezione non solo morale ma anche materiale del Ministero degli esteri». '

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Nel ripercorrere la storia del rapporto tra politica estera e archeologia non va sottovalutato il ruolo degli archeologi. Furono loro infatti i veri protagonisti della vicenda, non solo perché, com'è ovvio, senza


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di loro le missioni non si sarebbero potute realizzare, ma 'perché furono loro a progettarle, a mantenerle in vita e ad assicurarne il ·suc;cesso. Due personalità, anche se molto diverse tra loro, emergono fra le altre: Federico Halbherr e Roberto Paribeni. Tutte le iniziative pro­ gettate e realizzate tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale furono opera di Halbherr. Egli fu il promotore della missione a Creta e della scuola di Atene, fu lo strenuo sostenitore della necessità di ottenere la concessione di Cirene, fu a lui che si rivolse il Ministero degli esteri per attuare le missioni nel Dodecanneso e in Asia minore. Nella maggioranza dei casi Halbherr non si limitò alla fase progettuale e organizzativa ma realizzò gran parte del lavoro scientifico e, soprat­ tutto, preparò gli allievi che dapprima lo affiancarono e poi, quando fu progressivamente sopraffatto dalla mole degli impegni burocratici, lo sostituirono. La dedizione con la quale egli operò per la promozione della ricerca archeologica all'estero e per la difesa del prestigio nazio­ nale era sostenuta dal suo patriottismo di irredento tridentino e, nel corso degli anni, da un crescente nazionalismo. In alcuni casi, come in Libia, i suoi progetti anticiparono i disegni della politica estera del governo e, soprattutto a Creta, furono facilitati dalla sua sensibilità di stampo risorgimentale per la libertà dei popoli oppressi e dalla stima e simpatia di cui godeva presso le autorità locali. Nel corso di tutta la sua vita Halbherr - definito giustamente «un archeologo ministeriale, un diplomatico sui generis» - tessé una fitta rete di contatti con gli alti burocrati e gli uomini di governo, senza però subire condizionamenti nelle sue scelte scientifiche e senza perseguire vantaggi personali. Egli riuscì a coniugare l'attuazione del suo progetto di ricerca con gli interessi della politica estera: per lui la Libia era principalmente Cirene - la città più importante della provincia romana che aveva per capitale Gortina - ma era anche il luogo dove erano «in gioco interessi morali, materiali, scientifici italiani più grandi» e dove «i beduini d'Italia col loro sceicco cav. Giolitti» dovevano fare «il loro dovere». Nel dopoguerra il ruolo di Halbherr fu assunto, almeno per la parte organizzativa, da Roberto Paribeni. L'archeologo, che aveva scavato a Creta all'inizio del secolo e che H:Hbherr aveva consigliato agli esteri come capo della missione in Asia minore, divenne a partire dal 1 91 9 il coordinatore di tutte le missioni italiane all'estero. Fino al 1 943 Paribeni elaborò ogni anno i programmi delle missioni in Levante, tracciò «la

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rotta da seguire» in base alle condizioni politiche locali e generali, suggerì nuove iniziative, chiese e distribuì i fmanzi��e�� presen:ò ' i bilanci preventivi e consuntivi delle spese. La sua att1v1ta mstancabile in difesa degli interessi dell'archeologia e degli archeologi godeva la piena approvazione di palazzo Chigi che, « cons�dera[ndo� l'alta c�mpe­ _ _ tenza scientifica, nonché l'oculatezza amm1rustrat1Va», lo nconfermo fmo all'ultimo come proprio fiduciario. Il suo lavoro, comunque, anche se non privo di serie motivazioni scientifiche, ebb� �re':"ale�te carattere burocratico e si allineò quasi sempre alle « supenon duettive». A fianco dei due protagonisti, molti furono gli studiosi che svolsero un ruolo determinante nelle missioni all'estero. Primi fra tutti Ernesto Schiaparelli, che ideò e diresse la missione in Egitto, ed Evaristo Breccia, per venti anni direttore del Museo greco-romano d1_ Alessan­ dria e della missione fiorentina per la ricerca dei papiri. In secondo luogo i direttori della scuola di Atene: l'allievo p�ediletto di H�l��err, Luigi Pernier, che affrontò i difficili problem1 d�lla fase 1�1z1ale, e Alessandro Della Seta, che diresse la scuola tra 1l 1 9 1 9 e 1l 1 938 influenzando profondamente tutti i giovani che studiarono con lui. Si devono poi ricordare i direttori delle varie missioni, da Maiuri a Pace, da Bartoccini a Jacopi e quanti lavorarono in Egitto in epoche sue� cessive: Monneret, Farina, Anti e V agliano. Va infine citato Luig1 Ugolini, la cui personalità si colora di accenti patet�ci per l� dedizio�e . con la quale si occupò, fino alla morte, della �1ss10� e m Al?arua: Sotto la direzione di questi uomini lavorò una sch1era d1 allora gwvam 0 giovanissimi studiosi, tra i quali basti ricordare Dor� �evi, Gio_vanni Pugliese Carratelli e Sergio Donadoni, tuttora att1v1 nell� ncerc� scientifica e che costituiscono il trait d'union tra la generazwne del pionieri dell'archeologia italiana e i loro attuali er� di. Ad alcuni di questi uomini sono stati talvolta nmproveratl. atteg­ giamenti troppo ossequienti verso le autorità pol�tic�e, metodi P?co . ortodossi nel condurre le ricerche, scarsa tempestivlta nella pubbhca­ zione degli scavi. Non è questa la sede per esprimere giudizi in merito agli aspetti scientifici del lavoro delle missioni, anche se forse �erte durezze della recente storiografia dovrebbero essere temperate, mse­ rendo il problema in un contesto storico più �ene:ale se?nat? da � e� definiti limiti culturali e ideologici e dalla penuna d1 mezz1 e di uom1n1. Alcune ricerche vennero affrontate da giovani che, almeno all'inizio,


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non avevano esperienza di scavi; quasi sempre gli archeologi non furono coadiuvati da personale tecnico specializzato; e - nd settore egittologico - dopo il ritiro di Schiaparelli vi fu il salto di una generazione, con il solo Farina in grado di svolgere una ricerca · in questo campo. Per quanto riguarda il rapporto con il potere è possibile distinguere modalità diverse nell'utilizzazione delle missioni archeologiche: a vol­ te esse erano una sorta di ' specchietto per le allodole ' e servivano a mascherare obiettivi economici, militari o politici più ampi; altre volte il loro scopo era essenzialmente propagandistico e, nel periodo considerato, mirava spesso all'affermazione del mito di Roma e, in misura minore, delle repubbliche marinare, come strumento per giustificare le aspirazioni italiane su determinate aree geografiche. In alcuni casi, infine, esse avevano il compito di contrastare o controllare iniziative altrui. Benché tutte le missioni presentassero almeno una di queste caratteristiche, e sebbene ciò non andasse quasi mai di­ sgiunto da un proficuo lavoro scientifico, vi sono tuttavia casi nei quali la finalità politica appare dominante. L'esempio più discusso è quello delle missioni di Biagio Pace, nel 1 91 9-20, che vide l'ar­ cheologo impegnato nella preparazione dello sbarco delle truppe italiane ad Adalia e nel fornire preziose indicazioni sull'ambiente locale, rintracciando fra l'altro il percorso di una strada romana utilizzabile a fini militari. Più evidente il caso di Ugolini che, per sua stessa ammissione, accanto al lavoro scientifico non aveva tra­ scurato di operare «da buon italiano », raccogliendo informazioni e cercando « di rendere il più possibile sterile l'opera dei nostri concorrenti». Egli rifiutava di dedicarsi - come avrebbe voluto la pubblica istruzione - a compiti esclusivamente tecnici, prescindendo «da tutte quelle altre attività» che erano state il movente primo per cui la missione era sorta. C'è infine il caso della missione ad Amman che, secondo il console De Angelis, era « questione più che archeolo­ gica politica, giacché ce ne ripromettiamo una notevole libertà di movimento in tutto il territorio della Transgiordania». Nella seconda metà degli anni Trenta, nonostante gli insoddisfacenti risultati scien­ tifici, essa fu dotata di una sede stabile, che doveva « costituire un centro di raccolta di informazioni e insieme il motivo per tenere colà persona che percorra il paese».

È quindi innegabile che in molti casi il governo, e in particolare il Ministero degli esteri, utilizzò le missioni archeologiche come stru­ mento di penetrazione pacifica nei paesi del Levante. Deve comunque essere detto che esse furono soltanto uno dei tanti strumenti della presenza italiana accanto a scuole e istituti culturali, ambulatori e ospe­ dali, missioni religiose, geografiche e scientifiche e, soprattutto, mis­ sioni economiche. A essere privilegiate erano proprio queste ultime tanto che Garroni - e San Giuliano era d'accordo con lui - consigliava « di moderare un po' questa nostra propaganda a base di archeologia e concentrare invece gli sforzi sulle imprese economiche che danno più sicuro profitto, urtano meno gli altrui sospetti e costituiscono il vero fondamento di una espansione politica». Dieci anni più tardi lo stesso concetto veniva ribadito dal marchese Durazzo, convinto che in Albania fosse più utile « concentrare le nostre forze nello sfrutta­ mento di concessioni più pratiche e redditizie, lasciando ad altri gli oneri e i rischi di un primo esperimento nel campo delle ricerche archeologiche». Si tratta di considerazioni di grande pragmatismo ma non di eccezionale acutezza, poiché, in definitiva, una missione ar­ cheologica aveva costi relativamente limitati e consentiva una presenza politica di alto profilo con una spesa abbastanza contenuta. Un vero «matrimonio di interesse» tra archeologi e politici che, al di là degli obiettivi contingenti delle due parti, produsse risultati importanti per il progresso degli studi.

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fenomeno missionario è, nel XIX secolo, piuttosto complesso e non risulta di semplice interpretazione. Spesso considerato dalla storiografia un'appendice dell'espansione coloniale europea, esso necessita invece un approfondimento che ne recuperi le radici e non si limiti al mero collegamento con le diverse fasi dell'imperialismo europeo. Questa osservazione vale anche per l'esperienza delle missioni italiane. Un'analisi esaustiva della presenza di missionari italiani in terra di missione non è possibile. Mi limiterò ad alcune delle figure che più segnarono l'esperienza missionaria italiana. La loro formazione, il loro lavoro pastorale e politico gettano sicuramente una luce sul fenomeno più vasto. Alcune riflessioni di fondo « L'histoire des missions est d'abord un chapitre de l'histoire de l'Eglise. Cette dernière menacée à l'intérieur par sa rencontre avec le monde moderne réagit et va chercher à se reproduire sur des territories nouveaux» 1 • L'affermazione di Jean Ilboudo entra immediatamente nel merito del problema di situare la storia delle missioni all'interno del più ampio contesto della storia della Chiesa universale. Ilboudo continua : «L'histoire des missions en Afrique est celle d'une enterprise non

1 ]. lLBouno, De J'histoire des missions à J' histoire de i' Egiise, in Egiise et histoire de i' Egiise en Ajriq11e. A ctes d11 coiioqHe de Boiogne, 22-25 octobre 1988, édités par G. RuGGIERI, Paris, Beauche­ sne, 1 988 [ma 1990], pp. 1 1 9-140.

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africaine conçue et réalisée par de non africains en faveur des afri­ cains. L' Afrique dans cette histoire était le projet des autres, elle était la responsabilité des autres, elle était le souci des autres, elle était, enfin, l'objet de leur générosité, de leur charité, de leur zèle, de leurs ambitions » 2• Tali affermazioni sembrano dense di significato nel momento in cui ci si appresta ad entrare, con la speranza di gettare luce su alcuni aspetti in ombra, nel mondo complesso e variegato della presenza missionaria europea nel continente africano. Ma sembra non trasparire, nelle parole del prof. Ilboudo, proprio la complessità e l'estrema frammentazione di un evento che, per riprendere le sue parole, rap­ presenta un « capitolo della storia della Chiesa». Continuava più avanti il prof. Ilboudo : « ( . . . ) toute l' entreprise d' évangelisation consistera à reproduire des modèles du christianisme occidental. Les peuples africains évangélisés ne renouvellent pas le visage de l'Eglise, ils viennent grossir des effectifs et confirmer la position privilégiée de l'Eglise et de san autorité centrale». Ed inoltre : «L'histoire des mis­ sions se présente alors camme le déploiement d'une Eglise conquérante et tout se passe camme dans l'histoire des conquetes, le point de vue des conquérants est le seul valable, celui des vaincus est négligeable». Non credo sia opportuno in questa sede riprendere le affermazioni sopra citate ; ma esse necessitano alcune specificazioni che permettano di affrontare lo studio della storia delle missioni, e quindi la storia della Chiesa, senza preconcetti o facili generalizzazioni. Innanzitutto si deve partire da un dato «teologico»3 e che deve essere preso in considerazione nell'analisi della presenza cristiana ed ecclesiale in Africa ed in ogni parte del mondo.

2 Ibidem. 3 L'aspetto teologico a cui si accenna ha origine nella concezione di C�esa come un�

_ entità essenzialmente missionaria. Non si può quindi dividere l'azione della Chiesa m due fas1 distinte una missionaria ed una seconda invece di costruzione interna. L'azione della Chiesa è missi naria e non solo nel senso attivo del termine ma anche in quello passivo ; non è solo chiamata a farsi missionaria ma ad essere nello stesso tempo oggetto di missione in ogni momento della sua esistenza. Per un approfondimento di questa tematica J. MASSON, L' Egiise essentieiiement n1issionaire, in La formaziom del 1nissionario oggi. A tti del simposio internazionale di missiologia, 24-28 ottobre 1977, Brescia, Paideia, 1 978, pp. 29-50.


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Non spetta certo a noi addentrarci in un analisi teol�gica rna ci sembra di poter affermare che, fin dai primi momenti della sua · storia, il cristianesimo è stato «missionario». Certamente, la parola «mission�» non veniva usata con le accezioni che attualmente vengono date al termine, ma è incontestabile che la spinta missionaria o, per non usare questo termine, il desiderio di propagare la nuova fede, sia parte stessa dell'essenza del cristianesimo. Questa spinta missionaria era intesa come parte stessa del messaggio di Gesù, al punto che le prime comunità la inserivano tra gli ultimi comandi che questi diede ai discepoli dopo la sua resurrezione4• La stessa Comunità degli atti viveva il compito di propagare la fede in Cristo come parte determinante della propria vocazione ed inseriva il concetto, fino ad allora estraneo all'ambiente giudaico-cristiano, di universalità di questa vocaziones. In S. Paolo questa vocazione si radicalizzava al punto di farlo giungere a definirsi «apostolo delle genti» 6• Ma tutto questo per citare solo alcune delle testimonianze scritturistiche dell'importanza della missione. Fin dalle prime comunità, quindi, la missione rappresentava una delle caratteristiche principali della nascente religione. La Chiesa nascente quindi è già missionaria nei suoi primi momenti e, sebbene non sia possibile assimilare lo sforzo missionario delle origini con quello che venne sviluppandosi nell'era moderna, tale precisazione è opportuna al fine di evitare generalizzazioni. Si può dunque parlare di ·una prima fase missionaria che si potrebbe definire, ma solamente per chiarificare la trattazione, « apostolica», con­ traddistinta dal fatto di essere frutto dello sforzo della Chiesa indivisa ' in una costante situazione di minoranza, nel tentativo di superare l'ostilità diffusa per acquistare un suo spazio determinato all'interno della società dell'epoca.

4 Cfr. Vangelo di Matteo 28, 1 8 : «Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battez­ zandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ciò che vi ho comandato». 5 «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra», Atti 1 ,8. 6 Lettera ai Romani 1 , 1 .

1 ll

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A questa fase rruss10naria fa seguito quella che protremmo definire «trionfante». La Chiesa, giunta ad acquisire sempre più potere con Costantino, diviene maggioranza e la sua missione si trasforma. Da sforzo di comuncazione interpersonale della fede, metodo necessario in un ambiente ostile, la missione diviene sempre più una comunicazione di massa. Sono le conversioni delle popolazioni a partire dai governanti, è la conversione imposta dall'alto. Questa seconda fase, ben più lunga della prima, lascia il posto ad una terza che ci sembra di dover rilevare nell'atteggiamento della Chiesa nel periodo delle crociate 7• Si possono riprendere le affermazioni di Le Goff il quale scrive a proposito : « Se da una parte la crociata offre l'immagine di una cristianità ormai sicura di sé, dall'altra ce la presenta, tuttavia, diventata allergica agli altri. Solo marginalmente essa cerca di convertire, e invece massacra»8• È una fase che potremmo definire «aggressiva e violenta», in cui la missione si manifesta come tentativo di «riconquista». Vi era in questa concezione l'idea di una sicurezza ormai acquisita, e del diritto della Chiesa di affermare la propria autorità anche per mezzo della forza. L'allergia di cui parla Le Goff diviene diritto di convertire ad ogni costo, è irriflessa anche se teologicamente sostenuta. Con le crociate si inaugura un periodo oscuro della propagazione del cristia­ nesimo. Si consuma nei fatti la divisione tra le Chiese d'Oriente e quelle d'Occidente che mai più d'allora, se si eccettuano gli sforzi di - Innocenza IV nel 1245 in occasione dell'avanzata dei mongoli, riusci­ rono a trovare un'unità e che anzi videro i propri rapporti deteriorarsi fino a giungere alla divisione definitiva. Ci sembra che le crociate, così come vennero vissute, assunsero, nella coscienza cristiana dell'e­ poca, i caratteri di una missione evangelizzatrice che catalizzò le forze cristiane così come, in seguito, faranno le missioni d'oltremare. E il mare sembrava essere il bastione più resistente alla penetrazione cri­ stiana. All'Ovest l'oceano, il mare sconosciuto, a Sud il mare della

7

Sull'atteggiamento psicologico del mondo cristiano nei confronti delle crociate cfr. P.

ALPHANDERY-A. DuPRONT, La Chrétienté et l'idée de croisade, Paris, Michel, 1952-1959. 8 J. LE GoPP, Il cristianesin1o tnedieva!e in Occidente dal Concilio di Nicea alla Riforma, in H. C. PuECH, Storia delle Religioni, III, Il cristianesimo da Costantino a Giovanni XXIII, Bari,

Laterza, 1 977, p. 69.


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fortissima presenza islamica ed a Est quello, non più facilmente supe­ rabile, della presenza mongola. Non si aprivano altre strade � · per alcuni secoli la missione della Chiesa subì una stasi. Con l'inizio delle grandi scoperte geografiche e l'apertura di nuovi territori la spinta di propagazione del cristianesimo si intensificò, anche grazie alla vitalità imperialistica del Portogallo e della Spagna. Questi due paesi, come giustamente afferma Ilboudo, «furono all'origine del­ l' espansione europea nel quindicesimo e sedicesimo secolo e rappresen­ tarono il trampolino di lancio dell'espansione cristiana nei nuovi conti­ nenti, il Portogallo verso l'Africa, la Spagna verso le Americhe. È nel 1 508 che Giulio II istituì quello che sarà poi ricordato come il «patro­ nato» delle missioni cattoliche. Le due potenze cristiane si impegnavano a fornire i mezzi necessari ai missionari per poter svolgere il proprio lavoro ed in cambio il papa riconosceva il diritto di possesso di ciascuno dei due paesi sulle rispettive zone di influenza che vennero fissate a « 370 leghe ad Ovest delle isole Azzorre» 9• Nel complesso le missioni del patronato raggiunsero una notevole espansione, in particolar modo in America del Sud ed in Asia, mentre in Africa portoghese le missioni stagnarono, rimanendo quasi sempre legate alle più sviluppate missioni asiatiche, e limitandosi ad alcune postazioni costiere 1 0•

erano ad obbedire a direttive miopi e sostanzialmente esterne alla situazione reale delle zone missionarie ed alla problematica missionaria nel suo complesso. Tale centralizzazione viene fatta risalire alla crea­ zione, il 6 gennaio del 1 622, della Sacra congregazione « de Propaganda fide». Ci sembra utile ripercorrere le tappe che portarono alla nascita della congregazione romana e i fatti più importanti della sua storia al fine di meglio comprendere, con una analisi il più possibile scevra di preconcetti, la reale portata di tale operazione. Si è visto come negli anni precedenti la Chiesa si fosse sempre, ed in modo crescente, appoggiata all'espansione europea verso i nuovi territori per svolgere il suo lavoro di evangelizzazione. Non è possibile giudicare tale opera senza partire dall'analisi dettagliata delle diverse esperienze missionarie che, per ripetere ancora un'espressione spesso usata, vedono il moltiplicarsi di esperienze diverse e variegate che vanno dal più acceso eurocentrismo e disprezzo per le tradizioni locali al più grande rispetto per l'ambiente sociale, culturale e religioso. Quindi ci sembra opportuno limitarci a prendere atto di come in effetti l'espansione missionaria vera e propria fosse quasi completa­ mente dipendente da quella politica delle potenze europee senza con questa affermazione voler esprimere un giudizio in merito alla dipen­ denza umana e psicologica dei missionari dalle potenze coloniali.

La creazione della Congregazione di «Propaganda fide» ed 1 su01 primi passi È proprio con lo sviluppo delle missioni, dovuto all'ampliarsi della influenza europea sul mondo, che si senti la necessità di creare, a livello centrale, un organismo che fosse in grado di assumere la re[sponsabilità di gestire una propagazione organica della Chiesa nei nuovi territori. Questo atteggiamento «centralizzatore» della Chiesa è stato spesso criticato : ad esso è stata fatta risalire l'incapacità delle missioni seguenti di incarnarsi all'interno dei territori a loro assegnati, costrette come

9 Trattato di Tordesillas, 7 giugno 1 494. 10

Un esempio è il patriarcato di Ghoa, che comprendeva anche tutta l'Africa orientale portoghese.

L'emancipazione dal patronato La fondazione della nuova congregazione romana ci sembra rappre­ sentare un atto di vera e propria emancipazione della Chiesa dalle potenze imperialistiche. Certamente non si può parlare di una emanci­ pazione totale ed incondizionata ma, in un periodo in cui nulla si muoveva senza il previo consenso ed appoggio delle potenze europee, ci sembra un passo di notevole importanza 11 e di portata rivoluzionaria 11 Cfr. Sacrae Congregationis de Propaganda Fide Metnoria Rert11n. 350 anni al servizio delle missioni. 1622- 1972, a cura di J. METZLER, Rom-Freiburg-Wien, Herder, 1972; introduzione, p. 7. Metzler scrive: «<l nuovo dicastero aveva il compito di promuovere e coordinare e dirigere l'attività missionaria della Chiesa in tutto il mondo. Il suo programma, tracciato dallo stesso fondatore


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all'interno del mondo ecclesiale. Tale carattere sembra confermato. dalla difficoltà con cui il nuovo dicastero venne accettato dalle grandi pqtenze coloniali. Queste tardarono a voler riconoscere il diritto di decisione .di Propaganda nelle materie concernenti le missioni, come nel caso del Portogallo, che riconobbe la congregazione solo alcuni anni più tardi.

fino a quel momento erano stati piuttosto ritrosi ad assumere una responsabilità in terre di missione. Ma la prassi che venne utilizzata dalla Santa sede spesso incontrò resistenze da parte degli ordini religiosi. Propaganda infatti cercò sempre di mantenere, pur affidando sul terreno la responsabilità a congregazioni diverse, la gestione dei territori missionari, salvaguardandosi il diritto di impostare la linea di azione generale, unificando e coordinando l'azione delle diverse comunità religiose. Non di rado si assistette quindi a conflitti di competenza tra le autorità regolari e le autorità secolari che Propaganda stessa nominava in territorio di missione, i prefetti apostolici ed i vicari apostolici. Questi conflitti si protrarranno per tutto il periodo della grande espansione missionaria ed ebbero spesso un notevole peso nello svi­ lupparsi della missione stessa.

Mons.

Ingoli : spunti di modernità

Il successo iniziale della nuova congregazione deve essere ricollegata alla figura del suo primo segretario, mons. Francesco Ingoli, che ne influenzò la nascita e ne guidò i primi passi. Il suo programma missionario era per l'epoca di eccezionale modernità : «liberare i mis­ sionari da ogni ingerenza dell'autorità politica, impostare un lavoro unitario nell'opera di diffusione della fede, formare clero autoctono ed erigere gerarchie ecclesiastiche nazionali». Di notevole importanza, in questi primi anni di vita, fu la decisione di tradurre in lingua volgare , le sacre scritture. E ad Ingoli che in buona parte si deve l'impostazione della congregazione. Uomo volitivo, aveva svolto il compito di pro­ fessore di diritto, uditore del card. Caetani e precettore del nipote di Gregorio XV. In queste varie posizioni aveva assunto sempre più spazio all'interno della corte vaticana fino a divenire, nel 1 622, segre­ tario della neonata congregazione, che guidò di fatto fino al 1 649 12. La partecipazione degli ordini religiosi allo sforzo missionario Uno dei primi sforzi della nuova congregazione fu quello di coinvolgere direttamente nella missione quegli ordini religiosi che

papa Gregorio XV, si può così sintetizzare: operare la trasformazione delle missioni da fenomeno coloniale in un movimento puramente ecclesiastico e spirituale; liberare i missionari da ogni ingerenza dell'attività politica; favorire la formazione del clero autoctono e l'erezione di gerarchie episcopali nazionali; rispettare la cultura ed i costumi dei popoli convertendoli alla fede con il solo metodo pastorale, senza alcuna parvenza di costrizione senza imporre loro la civiltà europea; impostare infine, un programma unitario nell'opera missionaria». 12 Sacrae congregationis. .. cit., «Francesco Ingoli, primo segretario della S. Congregazione», p. 23.

Primi tentativi per la creazwne di un clero autoctono Uno dei punti che più qualificarono l'azione della nuova congrega­ zione fu il costante impegno nel promuovere la creazione di un clero locale. Tra i principali progetti della Propaganda vi era anche la creazione di una vera e propria gerarchia autoctona, che si sarebbe dovuta al più presto emancipare dalla gestione regolare della missio­ ne13. Progetto che cominciò ad essere applicato con l'ordinazione episcopale di Matteo de Castro e del cinese Gregorio Lopez. La coscienza che muoveva la Propaganda dei primi anni era alquanto avanti ai tempi. Il concetto di inculturazione, che oggi muove lo sforzo missionario della Chiesa, non sembrava estraneo ai responsabili del dicastero romano. In un misto di saggezza spicciola e di ingenuità si affermava che «i soli sacerdoti europei non possono annunziare il Vangelo a tutti i popoli perché il loro numero è troppo ristretto ; un sacerdote straniero può portare si la buona novella ad un popolo ma giammai potrà impiantarla e renderla nativa e patria; solo il sacerdote

13

Cfr.

Istruzione di Propaganda ai Vicari apostolici dell'Indocina, 1659.


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nativo conosce profondamente la mentalità e la lingua del suo popolo ; in tempi di persecuzione - ed era questa una preoccupazione di grande saggezza pastorale che spesso venne in seguito ridicolizzata p er la mancanza di una «seria riflessione antropologica» - il sacerdote indi­ geno può nascondersi più facilmente degli stranieri e quindi non si rischia, con l'espulsione di questi ultimi, la rovina delle comunità già formate» 14• La preoccupazione dei massimi responsabili di Propaganda era quella di evitare che la Chiesa in territorio di missione « sia sempre una bambina senza forze» 15 • Sono queste parole che fanno pensare ad una profonda attenzione pastorale che spesso è stata misconosciuta.

tale furono le prime ad essere evangelizzate, cominciando dalle isole di Capo Verde per giungere in seguito nel Benin, in Guinea e, verso la fine del 1 600, in Congo. Dal 1 633 al 1 642 Propaganda iniziò l'invio di missionari sulle coste della Guinea e del Benin. Il tentativo etiopico Fu proprio in Etiopia che la penetrazione missionaria incontrò i più grandi successi e le più cocenti sconfitte.

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Africa

I primi tentativi missionari cattolici

Propaganda fide e l'Africa È risaputo che l'Africa divenne un « soggetto missionario » pm tardi rispetto ad altre parti del mondo. Si è accennato in precedenza al problema della presenza islamica che evitava una efficace penetra­ zione via terra verso l'Africa centrale. D'altra parte gran parte del territorio africano non venne scoperto che verso la fine del 1 700 e gli inizi del 1 800. Si conoscevano alcune terre africane, normal­ mente quelle più battute dalle rotte commerciali, ma le zone di influenza della Chiesa in Africa rimasero estremamente limitate fino al XIX secolo inoltrato. La vera e propria penetrazione missionaria si ebbe solo dopo le grandi scoperte geografiche, che aprirono le grandi vie di comunicazione interafricane. Le missioni del patronato portoghese Il trattato di Tordesillas del 1494 divideva il mondo in due zone ben distinte che lasciavano al Portogallo la gestione di tutti i territori dell'Africa. E furono proprio i portoghesi a compiere i primi sforzi di evangelizzazione nell'Africa nera. Le zone costiere dell'Africa occiden-

1 4 Cfr. K. MuLLER, in Sacrae congretationis... cit., I, p. 1 5 Ibide!IJ.

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41.

Il breve racconto delle origini del cristianesimo etiopico sono essenziali per comprendere lo svolgersi della missione cattolica nel paese. Infatti, a differenza degli altri paesi in cui i missionari si erano trovati ad operare, l'Etiopia possedeva una antica tradizione cristiana con cui si doveva fare i conti. Giustamente Crummey pone il problema della presenza di una Chiesa locale alla base dell'azione missionaria fin dai primi anni del suo svolgersi : «The orthodox Church was a unique problem for missions in Ethiopia. A fine line existed between service to Christianity in the Country, and the imposition of alien forms and prejudices upon it» 16• Continua il Crummey, poco più oltre, affermando

1 6 D. CRUMMEY, Priests and Politicians, Protestant and Catholic Missions in Orthodox Ethiopia, Oxford, OUP, 1 972, p. 4. È forse proprio di fronte alla presenza di una cristianità ben stabililita che il problema del rispetto delle tradizioni locali si pone in una interpretazione critica dell'esperienza missionaria. Purtroppo la storiografia contemporanea sulle missioni sembra non prendere sufficientemente in esame i luoghi in cui l'incontro tra le diverse tradizioni avvenne preferendo, invece, un'analisi che potremmo definire « antropologica». Si tende infatti a sottoli­ neare l'incapacità del missionario nel comprendere la profondità religiosa delle tradizioni animistiche e naturalistiche dei diversi paesi. Ci sembra che tale interpretazione non prenda sufficientemente in esame la realtà storica del periodo in cui le missioni si svilupparono. Si critica la pratica missionaria di chi non comprendeva, e forse era impossibilitato a farlo per la mancanza degli adeguati strumenti di analisi che oggi invece sono sovrabbondanti, pratiche religiose che sembravano, ed in parte erano, completamente estranee al proprio mondo culturale e religioso. D'altra parte non viene analizzato e criticato a sufficienza l'atteggiamento di chi, pur trovandosi di fronte ad una realtà per molti versi simile alla propria, non solo non la comprendeva ma spesso la ignorava o disprezzava. In sintesi ci sembra ben più grave la prassi


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che agli inizi della rmsswne : « Given the limitations of théir outlook ' most missions adopted flexible and enlightened approaches. The ·o�tpodox Church was initially taken by both catholics and protestants as the cornerstone of their strategy. A revitalized Ethiopian christianity was seen to be the key to the conversion of the pagans of Africa» n. Ci sembra questo il caso dell'inizio delle missioni gesuite in Etiopia. Nel 1 555, su richiesta esplicita del papa Giulio III, i gesuiti furono incaricati di procedere alla volta dell'Etiopia. Giovanni Nuiiez Barreto, nominato patriarca d'Etiopia, Andrea Oviedo e Melchiorre Canero, entrambi nominati vescovi con diritto di successione, si imbarcarono verso le coste etiopiche con altri dieci compagni. Solo Oviedo raggiunse le coste del mar Rosso, inviato in azione esplorativa dal patriarca, che prendeva invece residenza a Goa. Le prime accoglienze furono positive e venne data libertà di predicazione ai missionari cattolici. L'imperatore Claudio, che si era dimostrato favorevole alla crescita della Chiesa cattolica in Etiopia, se altro non fosse per creare un polo alternativo allo strapotere della Chiesa ortodossa, morì vittima di uno scontro con i mussulmani. Il suo successore Minas si dimostrò in principio benevolo verso il missionario ma in seguito, anch'egli vittima delle pressioni della gerarchia copta, impose ad Oviedo la proibizione di predicare e lo relegò nella residenza missionaria di Fremona nei pressi di Adua. Questa prima fase della presenza cattolica in Etiopia si concluse con la morte del p. Francesco Lobo, ultimo missionario cattolico, avvenuta nel 1 597, a venti anni dalla morte del primo vescovo cattolico in territorio etiopico. .

di latinizzazione forzata operata dai Gesuiti portoghesi nei confronti della Chiesa etiopica alla fine del XVI secolo, che l'incapacità di inserire nell'implantazione della Chiesa le tradizioni tratte da pratiche animiste. Quelle che oggi si comprendono, non spesso senza fatica, come pratiche genuinamente religiose e quindi essenziali per una reale inculturazione, dovevano sembrare al missionario a dir poco demoniache. Lo stesso non si può certo dire per la celebrazione della liturgia eucaristica nel rito etiopico che oltre ad essere più antico di quello tridentino era immensamente più ricco. È indubbio che la mancanza di una seria riflessione su tali fatti ha le sue radici nel sostanziale fallimento della penetrazione cattolica in quei casi che avevano una preesistente tradizione ecclesiale. La forte crescita delle nuove Chiese africane ha portato, giustamente, ad una rivisitazione critica della storia delle missioni; ma forse è proprio in quei paesi in cui non vi è stata la crescita di una Chiesa cattolica autoctona che va ricercato il motivo della mancata indigenizzazione della Chiesa africana nel suo complesso. 17 Ibid., p. 6.

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Pietro Paez e la riunificazione con Roma La seconda fase della penetrazione cattolica in Etiopia iniziò nel 1 607 con l'arrivo sulle coste del mar Rosso del gesuita Pietro Paez. Questi si stabilì presso la missione di Fremona e da qui cominciò a conquistare lo spazio necessario per la predicazione. Rimanendo in vigore la proibizione di predicare pubblicamente, Paez sfruttò le sue innumerevoli conoscenze tecniche, architettura, medicina, per acquistare la simpatia della corte. I suoi sforzi ebbero successo e nel 1 604 venne invitato a corte dall'imperatore Zedenghel. Ne seguì un periodo di lotte tra l'imperatore ed alcuni dei suoi ras, incitati dalle pressioni del clero e l'imperatore trovò la morte. Venne eletto al trono un nuovo imperatore, Suseinos. Questi, per allargare il proprio potere, riprese i contatti con il Portogallo, accordando alla missione cattolica una protezione senza precedenti. Il piano dell'imperatore era chiaro. Si rendeva conto che la gerarchia ed il clero rappresentavano un pericolo ben più grande per il suo potere che la miriade di capi locali e quindi cercò, favorendo la missione cattolica, di !imitarne l'influenza. Il suo favore nei confronti della Chiesa cattolica crebbe fino a far giungere, nel 1 622, l'imperatore all'abiura della fede monofisita per abbracciare la fede cattolica. Un periodo di calma seguì l'abiura del sovrano etiopico e la Chiesa cattolica sembrò aver defmitivamente conquistato all'unità con Roma l'antico regno ed i suoi abitanti. Purtroppo la moderazione che padre Paez aveva impie­ gato nei rapporti con la tradizione della Chiesa ortodossa etiopica non erano partimonio del suo successore, che era giunto in Etiopia nel 1 626, dopo la morte dell'anziano gesuita, avvenuta nel 1 622. Il primo grave errore fu quello di inviare in Etiopia un missionario che si fregiava del titolo di patriarca. Alfonso Mendez giunse alla corte imperiale seguito da un folto numero di missionari e si apprestò immediatamente a dar seguito all'atto di abiura pronunciata alcuni anni prima da Susenios. Nel 1 628 ebbe luogo il riconoscimento uffi­ ciale della Chiesa romana. Subito dopo Mendez, in aperto contrasto con le direttive di Roma che, come si è visto, tendevano a salvaguar­ dare l'elemento indigeno, si apprestò a smantellare tutti gli elementi tipici della Chiesa ortodossa etiopica. A sua discolpa si può certo prendere in considerazione la posizione favorevole dello stesso impe-


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ratore, che aveva compreso che l'unione con Roma si sarebhe rivelata inutile per i suoi scopi se non fosse stata seguita da uno sradicaine�to di tutte le tradizioni tipiche del cristianesimo etiopico che era�o il punto di maggior forza del clero. Ma, a prescindere dal giudizi� sull'opera di Mendez, le conseguenze furono disastrose. Venne rifor­ mato il rito etiopico cosi come venne abolito il calendario, vennero abolite le usanze ed i costumi religiosi del paese come la circoncisione, v�n�e soppressa la comunione amministrata sotto le due specie, i di­ gmm, le feste. Si arrivò ad abusi gravissimi quali l'incitamento da parte dei missionari a cibarsi di carne di maiale (assolutamente proibita dalla tradizione religiosa della Chiesa etiopica) e venne spesso usata la violenza per costringere all'applicazione di queste nuove regole. La reazione del clero e della popolazione non tardò a farsi sentire. Si giunse infine, nel 1 632, allo scoppio di una guerra civile vera e propria che costrinse Suseinos ad abdicare in favore del figlio. Questi nel 1 633 ingiunse ai missionari di abbandonare il territorio etiopico. �opo a_v�r raggiunto Massaua, allora sotto il controllo turco, il gruppo d1 gesu1t1 venne fatto prigioniero e dovette attendere alcuni anni per �oter fare ritorno in India dopo che la Compagnia ebbe pagato il n.scatto richiesto. Si è fatto cenno alle conseguenze dell'atteggiamento d1 Mendez. La più grave di tutte fu la totale chiusura del territorio eti�pico ad ogni possibile penetrazione sia missionaria che esplorativa. Scnve Crummey: «The consequences for Ethiopia were serious : a ra­ dical isolation from Europe and bitter internai divisions. Catholicism had discredited itself through folly and intolerance, and its association with political oppression. The price paid was two hundred years of exclusion and a reputation gravely damaged» ts .

Ulteriori tentativi In effetti la Chiesa cattolica riuscì a rientrare in territorio etiopico solamente alla fme del XVIII secolo. Si devono però registrare alcuni tentativi che non ebbero nessuna influenza sulla scena etiopica. Meritano di essere ricordati quelli compiuti dai cappuccini francesi Agatangelo da 18

Ibid., p. 7.

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arono il martirio di Vendòme e Cassiano da Nantes (1638), che trov Liberatus Weiss (171 6), fronte all'imperatore 19, quello del francescano rio 20 e dal frate minore conclusosi anch'esso con il martirio del missionasero pia nel 1 752, Remedius Prutky di Boemia. Questi ultimi giun cescinaniEtiodi Palestina 2\ fran su invito dell'imperatore stesso rivolto ai22• Prut ky ed i suoi compagni affinché gli fossero inviati «maestri d'arte» re, dove godettero del rimasero per nove mesi alla corte dell'imperatoreale Ma la lezione di favore dell'imperatore e dell'intera famiglia pres. ero a far pressione Mendez non aveva dato i suoi frutti ed essi nella Chie sa cattolica affinché l'imperatore dichiarasse la propria fedea Roma. C n arroganza rigettando l'eresia monofisita e riunendosi così arono a sub1�re le conse­ proclamavano l'unicità della verità e non tard dicembre del 1752 venne guenze del proprio atteggiamento. Alla fine diNell'abbandonare Gondar chiesto loro di lasciare la corte ed il paese. tici e religiosi del paese essi si scagliarono duramente contro i capi poli iati da falsi Cristiani; invocando la punizione divina: « ( . . .) siamo cacc tili \· . )» 23• Fu .nel �egno fuggiamo dunque, e cerchiamo ricors� d�' Gen 1 precedenti, ali arro­ di questo ulteriore fallimento, da attnbuue, comemen � te �uesta. fase della ganza dei missionari, che si concludeva defmitivbw che 1l fallimento fu missione cattolica in Etiopia. Non vi è dub ront i del cristianesimo dovuto all'intransigenza dei missionari nei conf mento non era condivis� indigeno, ma è altresì certo che tale atteggiaoni ggiamento de1 dai responsabili di Propaganda fide. Le ragi dell'atte missionari vanno quindi ricercate altrove. .

11e tivi cfr. J. B. CouLBEAUX, Histoire politi� 1 9 Per una descrizione di insieme di questi tenta , Pans II, lik Méné ent de

/es pl11s reet�lés )11sqtlà l'avènem et religie11se d'A {Jyssinie dep11is /es temps . Geuthner, 1929. d1 dall'imperatore Yostos. Alla morte tta prote ia Etiop in 20 a giunt era La missione C. OTHMER, P. fece condannare il francescan�. Cfr. quest'ultimo il successore Dawit III . , m «Archzvllm 1716) Marz 3 ( tigkeit 11nd sein Marryrlllm Liberat11s Weiss, O. F. M., Sein Missionstae l'histoire de sur es Etud T, BASSE R. ; 20 AFH], 1 927, Franciscanmn Historicum», [d'ora in poi 1882 , pp. 1 84-18 5. . J'Ethiopie, Paris, Imprimérie Nationale, me di un tina si spiega con l'esistenza a Gerusalem Pales la 21 Il rapporto dell'Etiopia con lcro. . convento etiopico presso il Santo Sepo dzo ia de/ 1751-54 e la sua re/azzone del P. Reme 22 T. SoMIGLI, La francascana spedizione in Etiop 1 913, 1 , pp. 129-1 43. Pmtky di Boetnia O. F. M., in AFH, 23 Ibid., p. 141. .

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Non si può appiattire un giudizio sulla prassi missionaria· invocando l'esistenza di un progetto più generale che non rispettava le tradizt?ni religiose e sociali dei paesi di missione. Bisogna forse porsi più sem­ plicemente alla ricerca delle ragioni ultime che muovevano i missionari che di volta in volta potevano vivere sia un profondo rispetto che un radicale disprezzo per ciò che non conoscevano. All'inizio dell'Ottocento le condizioni della Chiesa in terra di missione erano drammatiche. In tutti i continenti e paesi di missione vi erano nel 1 81 0 solo 306 missionari, di cui 1 69 nel vicino Oriente. Con il pontifi­ cato di Gregorio XVI si avrà una ripresa generale della missione. In Francia nacquero numerose nuove congregazioni il cui scopo principale era proprio la missione. Anche l'Italia, più tardi, partecipò a questo «risveglio» con la fondazione di alcune congregazioni che avrebbero segnato la presenza di missionari italiani in Africa: la Società dei figli del sacro cuore (Comboniani), i Salesiani, le Missioni estere di Milano, mentre le congregazioni storiche, Francescani e Cappuccini, a carattere più internazionale, rinforzavano le proprie missioni, in particolare quelle in Oriente, preparandosi alla penetrazione in Africa. In generale le missioni religiose si presentarono all'appuntamento della conquista coloniale con atteggiamenti assai differenziati. Pur senza voler operare facili generalizzazioni l'atteggiamento delle diverse con­ gregazioni missionarie in Africa può essere in qualche modo ricondotto alla provenienza della maggioranza dei suoi componenti insieme alla nazionalità della dirigenza della congregazione stessa. Le congregazioni più impegnate nella missione alla metà del XIX secolo sono senza dubbio quelle di nazionalità francese ed italiana. Per quanto riguarda le congregazioni francesi si può prendere in esame un caso significativo del variegato atteggiamento nel rapporto tra missione e colonialismo : quello di p. Jacob Libermann, fondatore della Congregazione dello Spirito Santo. L'atteggiamento dei primi missionari, cosiddetti spiritani, che si trovano ad operare in territorio coloniale, è complesso. Risulta diffi­ cile dissociare, all'interno della loro coscienza, l'ansia per il successo della propria missione di evangelizzazione da una parte e l'afferma­ zione della colonizzazione francese dall'altra. Tuttavia, nella misura in cui si giunge ad un conflitto di interessi, è sempre la prima delle due preoccupazioni ad avere il primato. All'inizio della penetrazione

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missionaria' che coincideva con l'inizio della conquista . coloniale, i padri Spiritani nel Sudan occidentale, ar�a estremamente 1�portante per la diplomazia francese, che vedeva 1n essa la p �rta d1 accesso verso l'interno dell'Africa nera, vedevano nella propna opera : <mne mission civilisatrice et chrétienne ( . . . ) puissante auxiliare pour le développement de l'influence française dans cles confins lointain� » 24• D'altra parte un tale atteggiamento trovava diretta e ferma negaz10n� quando le imposizioni del governo francese contrast�vano �o� gh interessi della missione evangelizzatrice come, ad esemp10, la nch1esta di applicare alle popolazioni africane il diritto ��trimoni_ale fr�ncese� cosa che i missionari consideravano impropomblle e fonera d1 grav1 dissidi. Questo atteggiamento risulta chiarissimo nella spiritualità missionaria e nella prassi di evangelizzazione di p. Jacob Libermann 25• L'aspetto più originale, infatti, di Libermann è la comprensione del mondo nero. Vi era in lui forse paternalismo, ma sicuramente dettato da una passione per i popoli africani costantemente al centro del suo pensiero e della sua attività. Dalla prospettiva che pone al centro la «salvezza delle popolazioni nere» deriva, per Libermann, l' �tt�ggia� mento dei missionari nei confronti dei governi europei e de1 b1anch1 residenti in Africa. Esso è, innanzitutto, un problema spirituale, i cui criteri devono essere ricercati nel Vangelo piuttosto che in dottrine sociali 0 utilità diplomatiche. Di fronte a francesi od europei screditati da anni di tratta degli schiavi o da azioni riprovevoli si deve prendere 24 Lettera di p. Emonet a Ministero della marina e colonie, Parigi, 7 agosto 1885, in ARCH!VES NAT!ONALES DE FRANCE, Paris, Section d'Outre - Mer, Senegal, b. 10, ff. 20 . . 25 Jacob Libermann nasce il 12 aprile 1 802 a Saverne in Alsazia. Il padre e�a rabbrno della

_ piccola cittadina e il giovane Jacob ricevette una formazwn� str�tt�mente �brar�a. Influeru:ato dalla conversione di David Dranche, professore ebraico di Pangt ed amtco di Jacob pnma e del fratello Samson poi, chiede e riceve il battesimo il 24 dicembre del 1 �26. N el 1 82_7 entr� _ nel seminario di Saint-Sulpice. Nel 1837 entra come novizio nella congregazton� di S. Gwva� con cm Ttsserant e Eudes (Eudisti) a Rennes. Nel 1 839 entra in contatto con Le Vavasseur . d" tstl· per Eu glt ascia � 1839 nel Sempre noires». s e cl collabora per la creazione dell'«Oeuvre . recarsi a Roma dove illustra presso la Propaganda l'«Oeuvre cles Notres» ..Nel_ 1 �41 :lene ordinato sacerdote ed apre il noviziato della nascente « Congregazione det mts�wnan. de� santissimo cuore di Maria». Nel 1848 la Congregazione del santissimo cuor� dt Mana st fonde con la Congregazione dello Spirito Santo e Libermann viene eletto supenore generale. Muore nel 1 852.


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le distanze. La missione di evangelizzazione, su cui Libermann insiste continuamente, è più importante della nazionalità, della razza o della civilizzazione. Questo non significava un ripudio della propria civiltà, ma la libertà di farne uso all'interno di un piano più vasto che sfuggiva sia ai diplomatici in patria che ai soldati e agli avventurieri che vivevano in Africa. I missionari, inseriti in una civiltà che forzatamente era europea, erano un'occasione di miglioramento delle condizioni di vita dei neri perché potevano insegnare a leggere e a scrivere, far apprendere tecniche agricole, elementi igienici, tec­ niche artigianali ed altro, ma rappresentavano poi, fondamentalmente, l'appello ad un cambiamento religioso. Esemplificativa ci sembra essere la lettera che Libermann scrisse il 19 novembre 1 847 alla comunità di Dakar e del Gabon: «Ne jugez pas d'après ce que vous avez vu en Europe, d'après ce à quoi vous avez été habitués en Europe, dépouillez-vous de l'Europe, de ses moeurs, de son esprit; faites-vous nègres avec les nègres, et vous les jugerez comme ils doivent etre jugés; faites-vous nègres avec les nègres pour les former comme ils doivent ètre, non à la façon de l'Europe, mais laissez-leur ce qui leur est propre ( . . . ) » 26• Un atteggiamento limite (superato peraltro dalla posizione intransi­ gente di mons. de Marion de Brésillac, fondatore delle «Missioni africane di Lione») forse, certamente non condiviso da molti contem­ poranei, tra questi sicuramente il card. Lavigerie. La sua posizione riguardo all'atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità colo­ niali, anche per il periodo in cui si trovò ad operare, sicuramente non può essere assimilata a quella di Libermann. Ma anche Lavigerie, pur conservando un atteggiamento molto più disponibile ad uno spirito di conquista coloniale, non identificava il progresso della missione e la francesizzazione. Per quanto riguarda le congregazioni italiane il discorso si fa più complesso. La difficoltà dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, la questione romana, generarono reazioni che in qualche modo limitarono una colla­ borazione tra autorità civili e militari e missionari. Il colonialismo

italiano, poi, si sviluppa in modi diversi, più modesti rispetto alle altre grandi potenze europee e, per fmire, il governo italiano tarda a convin­ cersi dell'utilità dei missionari nell'ampliamento della sfera d'influenza nazionale in colonia e non ne è mai veramente persuaso. Le autorità italiane furono raramente artefici di pressioni sulle congregazioni mis­ sionarie come quelle operate dalla Francia. La Francia ambiva ad una posizione di forza come protettrice delle missioni in Oriente e spesso si atteggiò non solo a protettrice ma a vera e propria ispiratrice dell'ope�a missionaria, e non solo nei confronti delle congregazioni francesi. L'Italia invece si limitò ad una quasi assoluta indifferenza nei primi anni dell'e­ sperienza coloniale, per passare poi ad una collaborazione diffidente, giungendo, solo alla fme del secolo, ad una collaborazione paragonabile in qualche modo a quella della Francia. Ma il disinteresse delle autorità politiche italiane non significa che i missionari italiani non fossero soggetti, come i loro colleghi francesi, alle suggestioni nazionalistiche e patriottiche così tipiche del loro tempo. Al contrario, se non si può dire che i missionari parteciparono attivamente all'opera di colonizzazione, essi si trovarono, in generale, profondamente immersi in questo clima. La patria, l'Italia, una patria ed un'Italia ideale forse, furono un punto di riferimento costante per i primi missionari italiani che si avventurarono in Africa. Si possono citare, a titolo d'esempio, il Sapeto 27, che era indubbiamente portatore di un ideale di patria, non tanto come possibilità di espansione quanto in contrapposizione con le altre potenze europee che egli vedeva sempre più impegnate nell'acquisizione di diritti in terre d'Africa, o lo Stella, personalità complessa e contraddittoria, ma sicuramente animato dal desiderio di offrire nuovi territori alla propria patria.

26 Cfr. P. CovwN P. - BRASSEUR, Libmnann (1802- 1852), Paris, Cerf éd., 1988, p. 5 1 8.

27 Sulla figura di Sapeto vedi G. GIACCHERo-G. BISOGNI, Vita di Giuseppe Sapeto. L'ignota storia degli esordi coloniali italia_ni rivel�ta da documenti i�:diti, Firenze, San oni, 942. Questa . . biografia, pur essendo ormai datata, nmane ancora la pm completa per un analisi complessiva della vita del missionario-avventuriero che tanta parte ebbe nell'aprire l'Etiopia alla penetra­ zione italiana, sia religiosa che politica. Cfr. anche i suoi lavori : G. SAPETO, Viaggio e missi�ne cattolica tra i Mensa i Bogos e gli Habab con un cenno geografico e storico dell'Abissinia, Roma, Tip. di Propaganda, 1 857; L'Italia e il canale di Suez, Genova, Pellas, 1 865 ; A ssab e i suoi critici, Genova, Pellas, 1 879.


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Guglielmo Massaia, legato, forse suo malgrado, alle primé esperienze coloniali italiane, rappresenta un momento di passaggio da que.sto primo atteggiamento, tipico dei precursori, ad una più attenta consi­ derazione del rapporto con l'Italia. Se per Sapeto e Stella il riferiment� alla patria era sostanzialmente ideale, significativo di una civiltà che doveva essere importata in quei paesi selvaggi, in Massaia comincia a farsi piano concreto di penetrazione attraverso continui contatti con i capi locali al fine di facilitare, se non la conquista, a cui non pensavano nemmeno le autorità italiane, almeno l'ampliamento del­ l'influenza diplomatica italiana in Etiopia. Per Massaia il rapporto con la patria fu fortemente conflittuale, trovandosi a dialogare con un governo che negava i diritti del papa su Roma, ma il desiderio di vedere l'Italia seriamente impegnata in terra d'Africa in Massaia esisteva 28 • L'importanza del Massaia però va ben oltre questo aspetto più strettamente politico. Egli infatti era primariamente un missionario. L'enfasi sulla sua attività politico-diplomatica è sostanzialmente dovuta alla ristrettezza della ricerca storica. Più rilevante, anche per una rilettura della storia civile dell'Etiopia, è senz'altro il suo atteg­ giamento religioso e pastorale, che va approfondito, il suo rifiuto per l'ortodossia, la sua convinzione profonda nella giustezza della latiniz­ zazione. La figura del Massaia permette certamente una più chiara comprensione del fenomeno missionario e della complessità del rap­ porto che questi ebbe con il colonialismo italiano. Un'altra figura di missionario italiano può risultare chiarificatrice di quanto detto. Si tratta del Lazzarista italiano Giustino de Jacobis. È importante qui rilevare l'impressionante similitudine tra il de Jacobis e il Libermann. Come per il francese, i rapporti tra missione e colo­ nialismo erano, per de Jacobis, un fatto sostanzialmente spirituale. De Jacobis nacque il 9 ottobre 1 800 a San Fele in Basilicata. Nel 1814 si trasferì a Napoli dove, nel 1 81 8, entrò a far parte della Congregazione della missione, particolarmente presente nel Sud del

paese. Nel 1 824 venne ordinato sacerdote e venne inviato nelle Puglie, dove espletò il suo servizio pastorale fino al 1 836, quando venne richiamato a Napoli, prima come maestro dei novizi e poi come superiore del convento dei Vergini. Questo primo periodo della vita religiosa del de Jacobis assume una particolare rilevanza, che spesso non viene colta nelle biografie del lazzarista. Le biografie sopravvalutano le capacità oratorie ed i contatti con i nobili del tempo e sottovalutano invece il lavoro minuto svolto dal de Jacobis. Si tratta infatti di un periodo in cui de Jacobis compì circa 50 «missioni al popolo». Le missioni al popolo rappresentavano il maggior sforzo di evangelizzazione delle campagne da parte delle con­ gregazioni religiose. Si trattava di uno sforzo cospicuo, alcuni mesi di predicazione itinerante tra paese e paese, amministrando sacramenti, predicando e impartendo le prime nozioni del catechismo. Un'opera di riconquista di un territorio vergine, di missione, cristiano culturalmente e tradizionalmente ma al tempo stesso decristianizzato. Ci sembra di poter intravedere una sostanziale unità nella prassi «missionaria» in Italia con quella che verrà poi seguita dal de Jacobis in Etiopia. Il de Jacobis divenne superiore del convento dei Vergini a Napoli nel 1 837 ed è proprio in questa posizione che ricevette, nel 1 838, la visita del card. Fransoni, che gli comunicava la decisione di nominarlo superiore della missione in Etiopia. Si approfondiranno in seguito i fatti essenziali dell'esperienza missionaria del de J acobis. Ora ci sembra opportuno chiarire alcuni aspetti della spiritualità del de Jacobis che risulta particolarmente importante. Si tratta di due aspetti peculiari della spiritualità vincenziana, che però nel Lazzarista di San Fele si espresse con particolare chiarezza, favorendo la sua opera missionaria: l'idea che l'amicizia è l'espressione centrale del Vangelo 29• Nel de Jacobis questa idea vincenziana si espresse fin dal primo incontro con la realtà etiopica.

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Il pensiero del Massaia subì uno sviluppo in senso fortemente nazionalistico dopo il suo rientro in Italia. La sua adesione all'Associazione nazionale per soccorrere i missionari italiani, di cui divenne in seguito presidente, è significativa di questo sviluppo.

29 S. Vincenzo scrive nella regola della Congregazione che i confratelli : «in morem tamen carorum amicorum, inter se semper conviventes». Una realtà che egli visse, non solo nei confronti di suoi confratelli, ma anche di oppositori e nemici. S. Vincenzo, pur vivendo profondamente l'opposizione alla riforma protestante e per ogni deviazione dalla dottrina cattolica, non mancò di dolersi profondamente per l'arresto del suo vecchio amico, l'abbé di Saint-Cyran, accusato di giansenismo.


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Il lazzarista, accompagnato da p. Montuori, giunse a Massaua il 13 ottobre 1 839. Prese alloggio in una capanna e passò i primi mesi imparando la lingua locale. Suscitò immediatamente la curiosità del�e popolazioni locali che spesso andavano a fargli visita, dapprima per pura curiosità, poi per ascoltarlo parlare della fede cristiana. Imparò la lingua con facilità e rapidamente, al punto che già il 26 gennaio 1 840 era in grado di fare un discorso sulla Bibbia a dieci persone che si erano raccolte nella sua capanna 30• Il testo del discorso riassume l'atteggiamento del de Jacobis ed è esemplare per qualunque missionario : (. . . ) vi ho conosciuto, voi siete i padroni della mia vita perché Dio mi ha donato questa vita per voi. (. . . ) Io sono qui per confortarvi nel nome di Cristo, se siete nudi vi donerò i miei vestiti per coprirvi, se siete affamati vi darò il mio pane per sfamarvi, se siete malati vi visiterò. (. . . ) Se volete che vi insegni ciò che conosco sarò lieto di farlo, non possiedo ormai più nulla di questo mondo (. . . ) tranne Dio ed i cristiani di Etiopia, (. . . ) se mi chiedete chi sono vi dirò : sono un cristiano di Roma che ama i cristiani di Etiopia»31 • Il discorso del de Jacobis è un tipico esempio della spiritualità vincenziana fatta di amicizia non disgiunta però dalla volontà di parlare degli insegnamenti cattolici. Quello che stupisce però è il tono con cui il lazzarista parla della fede cattolica, tanto diverso da quello dei suoi contemporanei. Nel suo discorso, che probabilmente era indiriz­ zato anche a membri del clero etiopico, non vi è asprezza nei confronti della Chiesa ortodossa ma un rispetto profondo, fraterno. Ciò che porta de Jacobis in Etiopia è l'amore per i cristiani etiopici. È l'amici­ zia che muove de Jacobis. Non si vuole affermare che de Jacobis anticipi la dichiarazione del Vaticano II sulla comunione con altre fedi cristiane32, ma la comprensione di questa realtà ne sottende le azioni e informa le sue parole. Forse un precursore, forse più semplicemente 30 ABBA TEKLE HAIMANOT, Episodi della vita apostolica di A buna Yacob, Asmara, Tipografia francescana, 1915, pp. 9-10. 31 S. PANE, Vita del beato Giustino de Jacobis, Napoli, Editrice Vincenziana, 1 949, pp. 303-307. 32 Unitatis redintegratio, cap. 1 , par. 3, 21 novembre 1964. Il decreto affermava : « Coloro che credono in Cristo e sono battezzati sono costituiti in una certa comunione con la Chiesa (. . .) sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore».

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un cristiano che si trova ad operare in una condizione difficile e rico­ nosce come le contrapposizioni e le accuse reciproche non possano che portare divisione e non servano all'annuncio del Vangelo. In ogni caso le affermazioni del de Jacobis sono eccezionali per un missionario che per la prima volta si trova in un paese straniero e da sempre considerato, anche a ragione, ostile ai latini. La particolarità del de Jacobis appare ancora più eclatante se confrontata con i giudizi di altri missionari, anche lazzaristi, sulla realtà etiopica. Dodici anni più tardi p. Poussau, in visita alla missione su incarico della casa generalizia di Parigi, scriveva: «L'Abissinia ed i paesi cir­ convicini possono essere considerati paesi mezzoselvaggi, dove prima di fare i cristiani bisogna fare gli uomini. Dev'essere ancora fatto tutto dal punto di vista civile e politico così come da quello morale e religioso»33 • Poussau notava inoltre l'assoluta mancanza di scuole o seminari, metteva in dubbio l'effettiva validità dei sacramenti impar­ titi e delle ordinazioni sacerdotali compiute senza i necessari mezz1 strutturali e di controllo. Se de Jacobis considerava infatti i frutti del suo lavoro con molta positività, non si può come d'altra parte ritenere Poussau, un visitatore esterno, la persona più indicata per un giudizio obbiettivo. Dal 1 0 dicembre 1 839 de Jacobis rimase ad Adua come unico missionario; il resto della piccola missione si era dispersa nelle diverse stazioni mentre Sapeto si trovava nello Scioa. Una volta rimasto solo de Jacobis cominciò a conformarsi agli usi locali per non offrire «scandalo alcuno né essere oggetto di curiosità»34• Cominciò a vestirsi come i monaci locali, con una tunica bianca, un berretto di cotone, e sandali ai piedi 35 • Considerava l'abbigliamento estremamente impor­ tante e scriveva al superiore generale il 1 7 febbraio 1 844 : «credo che l'atteggiamento della Congregazione a questo proposito sia conforme ai principi del nostro santo fondatore, cioè di abbigliarsi come i più 33 Anna/es de la Mission, 1852, Lettera di Poussau a Salvayre, Parigi, 12 febbraio 1852, pp. 130-153. 34 E. LucATELLo - L. BETTA, L'Abrma Yacob Mariam, Roma, Ed. Postulazione Generale, 1 973, pp. 69-70. 35 Ibid., p. 7 1 .


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esemplari ecclesiastici del paese». Un'ulteriore conferma, questa, del rispetto del de Jacobis per la religiosità etiopica. Un secondo aspetto particolarmente delicato nei rapporti con l� Chiesa etiopica era quello della lingua, in quanto essa era direttamente connessa ai riti liturgici. De Jacobis si applicò all'apprendimento della lingua parlata, l'amarico, e ben presto fu in grado di parlarlo corren­ temente36 . Imparò inoltre il gheez, la lingua liturgica, e si adoperò affinché i sacerdoti indigeni usassero sempre il rito etiopico, introdu­ cendo a tale rito anche i convertiti galla. Ci sembra di poter concordare con l'affermazione del Crummey secondo cui de Jacobis : «despite an absence of much theoretical discussion on his part, his entire career was a continuous identification with his neophytes». E per i suoi neofiti fece di tutto, tra cui la traduzione in lingua gheez dei libri liturgici e di un manuale di teologia morale. Ma il suo sforzo di comprensione per la cristianità etiopica non si limitò ad un'opera interna. Convinto assertore della permanenza dei convertiti nel proprio rito lavorò affinché altri, al di fuori dell'Etiopia, ne fossero convinti. Nel 1 859 scrisse a Roma per ottenere dal suo confratello Giovanni Guarini, procuratore generale della Congregazio­ ne, l'aiuto, per la traduzione dei testi in gheez, di altre congregazioni missionarie. Non se ne fece niente, ma il suo sforzo mise le basi per lo sviluppo della liturgia etiopica cattolica, che rappresentava un ponte verso la Chiesa etiopica. Spesso nel ripercorrere la sua esperienza pastorale in Etiopia d si è giustamente soffermati sui rapporti che il de Jacobis ebbe con i vari agenti europei allora presenti nel paese. Si è messo in risalto il suo ruolo di legame con i diversi pretendenti al trono ed in particolare il suo tentativo, contrastato sia da Roma che da Parigi, di ottenere un nuovo abuna per la Chiesa etiopica che si trovava in quel periodo senza un vescovo. Quello che però rende particolarmente importante la figura del de Jacobis non sono i suoi più o meno riusciti tentativi politici, quanto la sua prassi missionaria. Su questo aspetto della sua attività si è insistito poco e, quando lo si è fatto, è stato in modo

sostanzialmente agiografico, senza cogliere le motivazioni del suo operato né l'influenza che esso ebbe nello svolgersi della missione. I lazzaristi che in seguito presero il suo posto ne furono influenzati, così come ne venne influenzata la loro prassi missionaria. De Jacobis rappresentò l'apice della missione cattolica in Etiopia, precursore di una prassi missionaria che doveva vedere la sua completa attuazione solo dopo il concilio Vaticano II; incontrò notevoli difficoltà, sia a Roma che in Africa, e sembra significativo che le maggiori di queste gli furono causate dai suoi stessi confratelli o da altri missionari. Tipico esempio delle sue vicissitudini furono i rapporti, non sempre cordiali, con Guglielmo Massaia, che nello stesso periodo era diventato vicario apostolico dei paesi Galla, nel Sud del paese37. Ma, prescinendo dai giudizi sull'attività del de Jacobis, è importante rilevare quanto questa dette frutti notevoli per un buon lasso di tempo. Vi furono conversioni di interi villaggi, buona parte del clero risultò ben disposta verso questo strano personaggio che, ben lungi dall'affermare con arroganza la superiorità del proprio magistero, vestiva come un abissino, formava i suoi preti nel modo consueto per il paese, organizzava il proprio catechismo in maniera itinerante, si opponeva strenuamente alla lati­ nizzazione della liturgia e anzi cercava in ogni modo di perorare la causa dell'utilizzo della liturgia gheez. Questo suo atteggiamento gli valse il rispetto di molti che vedevano in lui non tanto l'esponente di una religione estranea, quanto un uomo santo. E la santità significava molto in un paese come l'Etiopia dove le tradizioni religiose erano da sempre state protette e tramandate dai monaci dei grandi conventi. Purtroppo però il periodo in cui il de Jacobis si trovò ad operare non era tra i più favorevoli dal punto di vista politico. Il lungo processo di degenerazione e di frammentazione del potere stava rapidamente concludendosi. Terminava quella che viene comunemente chiamata

36 Ibidem.

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37 Sul Massaia, tra le molte opere più o meno agiografiche, si segnalano G. FARINA, Le lettere del cardinale Massaia dal 1846 al 1886, insie111e ad alcuni documenti rigttardanti il Massaia, prefazione di P. BADOGLIO, Torino, Berruti, 1939 ; E. MARTIRE, Massaia da vicino, Roma, «Rassegna Romana», 1937. Utile fonte di informazioni sull'Etiopia, sull'attività missionaria e sulla concezione dell'evangelizzazione sono anche i volumi del Massaia stesso : I miei trmtacinque anni di JJJissione m/l'A lta Etiopia, MeJJJorie storiche di fra' Guglielmo Massaja, Roma, Tipografia poliglotta, 1 885-95.


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«l'era dei principi»38 e si iniziava una fase affatto nuova per la storia dell'Etiopia, in cui si sarebbe assistito ad un progressivo accentramento del potere, fmo a giungere di nuovo alla costituzione di un impero unito, che avrebbe avuto nel giro di un secolo alla sua guida tre degli uomini più importanti per la storia dell'Etiopia e della stessa Africa. Teodoro, Giovanni IV e Menelik, con l'intermezzo di alcune figure minori, sono gli uomini che guidarono, nel bene e nel male, l'Etiopia del XIX secolo a mantenersi, sola tra i paesi dell'Africa orientale, onorevolmente indipendente. Fu con questi uomini che la missione cattolica si trovò a scontrarsi ed essi, volenti o nolenti, dovettero scegliere tra il bene del proprio paese e la pacifica coabitazione con esponenti di potenze straniere. Ciascuno di essi, con motivazioni e gradi diversi, scelse per il proprio paese. Per quanto riguarda de Jacobis, egli si trovò di fronte il più formi­ dabile degli avversari: Teodoro IL Le vicende che portarono Teodoro a divenire re dei re sono assai complesse e non ci sembra questo il luogo per ripercorrerle. Egli giunse al potere dopo una serie di lotte sanguinose e drammatiche che gettarono il paese nella prostrazione più profonda per le continue stragi, per lo stato endemico di guerra e per la pressoché totale distruzione dei raccolti ad ogni passaggio degli esercitP9• Ciò che però fu esiziale per la missione del de Jacobis non fu tanto la visione politica di Teodoro quanto la sua visione teologica. Si è visto come in Etiopia potere politico e potere religioso fossero sempre state due entità difficilmente separabili. Nella misura in cui uno dei due poteri cercava di emanciparsi dall'altro si generavano tali reazioni da gettare nel caos l'intero paese. Fu questo il caso della conversione di Suseynos, seguita alla missione del gesuita Paez nel 160040 • Nella visione che Teodoro aveva del proprio ruolo la Chiesa etiopica era uno dei pilastri portanti, forse non tanto perché vedesse in essa una possibilità di allargare il proprio potere; in effetti durante il suo regno cercò di limitare al massimo l'autorità della Chiesa, perché attraverso l'unità con

essa che veniva a realizzarsi il suo sogno di «uno Stato teocratico governato nell'armonia tra il re ed i vescovi». La modernità del de Jacobis si trasferisce dal piano religioso anche sul piano più strettamente politico nel suo tendenziale rifiuto per la politica. Quando si trova costretto ad azioni politiche queste sono sempre dettate dagli interessi per la missione. Si riassume nel de Jacobis una costante dell'attività missionaria italiana in Africa, almeno fino all'ultimo decennio del secolo in cui il missionario, se non completamente estraneo ad ogni attività politica e coloniale - e ci sembra di poter definire in taJ senso l'opera del Comboni - non risulta quasi mai aperto sostenitore dell'occupazione militare. Ci si preoccupava primariamente di salvaguardare la propria tranquillità, garanzia per un ampliamento dell'opera missionaria. Uo­ mini comuni, non trascesero quasi mai, tranne alcune eccezioni come il de Jacobis, la loro esperienza quotidiana minuta; se talvolta aderiro­ no alle mire espansionistiche italiane, tale adesione avvenne in funzione della propria opera apostolica. Si può estendere ai missionari italiani quanto ha scritto de Be­ noist41 : «l primi missionari sono dei francesi : non possono che sostenere l'ampliamento dell'influenza della propria patria. Ma al contempo non intendono infeudarsi all'autorità coloniale». È il sup­ porto delle autorità che cercano, convinti della validità del modello civile e sociale che queste propongono, ma quasi mai completamente soggiogati da questo. Non si troverà quindi mai una condanna di principio del colonialismo, eppure fu diffusa la proposizione di sé, missionari, alle popolazioni indigene, come uomini differenti dal personale coloniale, perché essi venivano animati non da desiderio di conquista o di guadagno ma da altri e più nobili fini.

38 Vedi M. ABIR, Ethiopia, Tbc Era of tbc Princcs, Tbc Cha/Jcngc of Islam and tbc Rc-tmification of tbc Christian E111pirc, 1769- 1855, London, Longmans, 1 968. 39 Ibid., cap. 2. 4° Cfr. J. B. CouLBEAUX, Histoirc politiq11c . . . cit., pp. 1 98-208.

41

].-R. D E BENOIST, Eglisc e t po11voir colonia! a11 Soudan français, Paris, Karthala, 1 987, p. 83.


To Be or no! to Be Emperor : Haile Sellassie and Italy, 1936- 1939

HAROLD G. MARCUS To Be or not to Be Emperor: Hai/e Sellassie and Ita!J, 1936- 1939

In the first volume of his autobiography, written in 1936-37, a de­ spairing Haile Sellassie (1892-1975) accepted his nation's defeat by Italy as an example of God' s infinite wisdom, although he asked why « You have made the Ethiopian people, from the ordinary man to the emperor, sink in a sea of distress for a time, and why You have made the Italian people up to its king swim in a sea of joy for a time» 1 • After the war, when he got around to writing volume two, he ignored the hand of God and attributed Ethiopia's defeat to force of Italian arms. Ethiopia, the emperor concluded, had been «totally unprepared for the type of war unleashed against [it] »; its soldiers were «poorly armed ( ... ) and unequal to the task of resisting an enemy that moved in the air as well as on the ground» 2• Unable to confront Italian firepower, Ethiopia's soldiers fled into the sanctuary of the country's ravines and mountains, there to continue a guerrilla struggle against the fascist enemy; and its emperor went into exile in England, from where his presence asserted Ethiopia's historic sovereignty. Does this heroic picture of Haile Sellassie fit the facts?3• 1 li4Y Life and Ethiopia's Progress, 1, Addis Abeba, (in amharic) 1973; later edited and translated by E. ULLENDORFF as the Autobiography of Etnperor Hai/e Selassie I, My Life and Ethiopia's Progress, 1892- 1937, Oxford, OUP, 1976, p. 4. 2 My Life and Ethiopia's Progress, 2, Addis Abeba, 1974, p. 92. Richard Pankhurst has informed me that the emperor was assisted its writing by a committee chaired by Ato Tekle Sadik Makuria and composed of Blatta Wolde Giorgis, Blatta Merse Hazan, and dej . Kebede Tessema. 3 Writing in 1974, Alberto Sbacchi claimed that Haile Sellassie seriously considered abdi­ cating his imperia! throne in return for money or for some job as a native potentate under the sovereignty of emperor Vittorio Emanuele III. Sbacchi's data were incomplete, since they were drawn almost exclusively from the Archivio storico of the Ministero degli affari esteri.

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In chapter six of volume two of his autobiography, Haile Sellassie explained the financial difficulties he experienced in England, and in chapter seven he recalled the many efforts made by friends and enemies to help him reach an accomodation with Italy. The two are linked: the emperor reported that in March 1973 he received an emissary from a suddenly solicitous Mussolini: I have heard of Your Majesty's fmancial predicament. I am willing to buy you a palace in any country of your choice and also give you a million guineas for you to take your family and live in peace for the rest of your life. It is because of you that I cannot get recognition of Italy's claim on Ethiopia. Sign a statement and release your claim over Ethiopia to me4• Haile Sellassie answered with disdain : «l carne out to seek justice for my people and country, not to sell it». Mussolini tried again later that year : « If you agree... I will add a further million and a portion of your territories»5• The emperor refused once again, later explaining to lord Halifax that he did «not want to be a tool of the Italians with which they [could] solve their problems and destroy my people's interest». The emperor claimed the issue stopped there, though he admitted that the contacts inspired rumors, gossip, hearsay, and even a bold statement by the archbishop of Canterbury in the House of lords that Ethiopia would not lower itself to compromise its soverei­ gnty. A grateful emperor wrote to his clerical benefactor assuring him that he would ever be inspired by principle, that his «choices ( .. ) .

We now have more information, thanks to the publication of volume two of Haile Sellassie's autobiography and the availability of records in the Public Record Office and in the Archives of the Ministry of Foreign Affairs in Paris. See SBACCHI'S «Secret Talks for the Subi!Jission of Hai/e Selassie and Prince Asfmv Wassen, 1936-1939, in «lnternational Journal of African Historical Studies», 1974, 4, pp. 668-680. 4 This is how the Amharic translates. I doubt if Mussolini really couched his offer in this way. I wonder why scholars have not found the relevant documents in the Italian archives. Where are they? Interestingly, Ciano was opposed to providing any successor for ras Tafari, as he termed the emperor. He believed that « a starving man was sometimes easier to dea! with». See Pusuc REcoRD OFFICE, DrlltJJI!Iond lo Foreign Ojjice, Rome 11 ]an. 1931, Archives of the British Foreign Office [d'ora in poi FO], 371/20920. 5 In 1959, Haile Sellassie rehearsed essentially the same story to a French journalist. See S. GRoussARD, Entretien avec Hailé Selassié I, part two, «Le Figaro», 25 March 1959, p. 5.

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To Be or not to Be Emperor : Hai/e Sellassie and Ita(y, 1936- 1939

[had] been made after careful consideration, and there is n�thing X am unhappy about. I leave the final judgement to history and the con­ sciousness of the world». In chapter seven, the emperor offered other reasons for his stubbor� resolve not to yield to the Italians. He found «off putting» the way the Rome government stridently went about the business of negotia­ ting. Even had fascist rhetoric and actions had been less harsh he had to consider, above all, what was best for his people in light of Ethiopia's glorious past. He neither wanted to legitimize Italy's ag­ gression nor be regarded as a traitor. Italian money would not buy security but infamy: «the freedom of my soul is of more concern to me than the safety of my body». Even when times were at their worst, Haile Sellassie professed never to have had second thoughts about submission 6• Was the emperor telling the truth? Haile Sellassie was not a man given to quick decisions. He believed in studying a particular situation, seeking advice, and then responding. H e turned to prof. Gaston Jèze, his longtime Swiss adviser in interna­ tional relations and law, to clarify the circumstances surrounding his exile and the possibility of return to Ethiopia. In August 1973, Jèze submitted a detailed memo on these subjects, which immediately pointed to the paradox of Italy's attempted negotiations with Haile Sellassie as sovereign of Ethiopia, while Rome considered Vittorio Emanuele III its emperor. Jèze did not, however, recommend against pourparlers but declared his pessimism about any positive result. The Swiss was none­ theless a realist and pointed out that Haile Sellassie lacked the power to eject the Italians from Ethiopia and had no allies willing to help. The adviser foresaw the possibility of a world war emerging from European rivalries, in which case Italy would be on one side and Britain and France on the other. «<f this should happen, it would necessitate Your Majesty being asked to return to Ethiopia to help rally the Ethiopians against Italy». Jèze commented that London and Paris were so determined to avoid such a conflagration that, for reasons of Realpolitik, they might recognize the Italian conquest.

Meanwhile, the Ethiopian conquest was proving expensive to Rome in terms of treasure and manpower : At the moment Ethiopia is like a mouse trap for the Italians. Many thousands of Italian troops have already entered this trap. If war starts with Italy, they are already prisoners of war. He warned, however, that it was in the best interests of France and Britain to seek bon voisinage with Rome to safeguard their stakes in Ethiopia as defined in the Tripartite treaty of 1 9067• As long as there was no legitimate Ethiopian government, London and Paris must deal with Rome. Nevertheless, the emperor must remain in Europe to keep the Ethiopian peoples' hope for salvation alive and to complicate Italy's campaign to obtain legai recognition of its conquest8 • So, did the emperor ever consider submission? The answer is that in 1 936, 1 937, and 1 938, Haile Sellassie tried to make a deal with Italy. On 1 and 2 July 1 936, the emperor had long conversations in Geneva with a ranking French diplomat. Haile Sellassie recalled that, before the defeat at Maychew on 31 March 1 936, Italian emissaries had made contact with his agents in Djibuti and Athens offering peace with dignity. The proposal, in fact, approximated the discredited Hoare-Laval plan of 7 December 1 935, which the emperor then re­ garded as «an act of cowardice and treason against Our people». 9• But in March, with «defeat staring me in the face», the same stipula­ tions now appeared «possible to accept, because I found in them a safeguard for my honor as well as positions very advantageous for my family and me». 10 • The dismemberment of Ethiopia; unthinkable before, became reasonable as long as places were found in the leftovers for the emperor, the crown prince, and the duke of Barar.

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6 E. Ur.r.ENDORF (ed.), My Life . . . cit., 2, chapt. seven, pp. 80-107.

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7 H. G. MARCUS, A Pre/iJIJinmy History of the Tripartite Treal)• of December 13, 1906, in « ]ournal of Ethiopian Studies», 1964, 2, pp. 21-40. 8 E. Ur.r.ENDORF (ed), My Life ... cit., 2, pp. 95-102. 9 ARCHIVES OF THE FRENCH FoREIGN MINISTRY [d'ora in poi FFM], Bodard to J!linister, A ddis A beba, 17 December 1935, K-série, Ajriq11e-Ethiopie, 1930- 1940, COiiflit, vol. 85. 1 ° FFM, Michel-Cote, << Conversation avec le Neg11s Hai/e Sellassie I, Le Mercredi I ]11/let et le ]e��di 2 ]11illet, à l'Hotel Cm·Jton, à GenèveJJ, Geneva, 7 ]11/y 1936, FFM, Afr-Eth, 1930-40, << Etiopie, Empere11r, Personalities, 1930-37», vol. 127.


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Although there had not been enough time then to nq�otiate the scheme, Mussolini renewed the offer on Tuesday 2 July. The em­ peror was asked to help build a new modern Etiopia by est�bli­ shing a relationship with the new government. Haile Sellassie wa� unclear about the conditions but believed that Italy had everything to gain from an accomodation which also «would certainly be ad­ vantageous for my people, who are preparing a generai and despe­ rate resistance against the invader». 1 1 • Nothing carne of this tenta­ tive, but it is significant that Haile Sellassie failed to discuss it 1n his autobiography. That the emperor felt betrayed by the League of nations is an understatement. He recalled that he had experienced «immense joy» when Etiopia was admitted to the League: «for us the word of the League had a sacred meaning». Misunderstanding that the League's actions were dependent on great power politics, he gambled everything on collective security and had lost. Had he known that his small country was a pawn in European politics, «l would have sought an accorci with Mussolini [and] have avoided for my people all the horrible experiences of war». The emperor confessed, perhaps disingenuously, that had the League pushed him to accept the Hoare-Laval arrangement, «l would have clone it quickly» 12• All evidence suggests therefore that the exiled Haile Sellassie would have been willing to accept an arrangement that would have given Italy most of the Ethiopian empire if Rome had permitted Haile Sellassie or perhaps crown prince Asfa Wossen (1916-; now the self-proclaimed emperor Amha Yesus I) to rule over the northern and centrai Abyssinian heartland. Now, what about the Italians : were they sincere in their negotiations with Haile Sellassie?. Problably immediately after their entry into Addis Abeba, the Italians could have used the emperor to consolidate their authority, explanining 1 1 Ibidem. 12 Stefani Agenry, Intervie1JJ of Bertrand de fouvenal JJJith Signor Tafari, Bath, 9 Aprii 1937 as

preserved in Historical Archives of the Italian Foreign Ministry [d'ora in poi IFM], Etiopia, Fondo di Guerra, b. 1 50. As we know, Haile Sellassie strongly opposed the stipulations of Hoare-Laval. H. G. MARcus, Hai/e Sellassie I, The Formative Years, 1892- 1936, Berkeley, Uni­ versity of California Press, 1987, p. 1 7 1 .

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Rome's efforts at negotlatmg an arrangement in 1936 13• The main approach here was through the catholic archbishop of Westminster, who sought the pope's intercession on Haile Sellassie's behalf. The latter proposed a full, legai abdication in return for freedom for some imprisoned officials and soldiers, financial security for him and his family, and some role within Ethiopia for the crown prince 14• Count Ciano remarked that «with the passing of time the position of the ex-Negus has become increasingly weak», but that, on abdication, «he could trust in generosity of Italy for a materia! settlement» 15• Mussolini's offers of 1937 were made after the attempted assassina­ tion of marshall Graziani on 17 February 1937, when it became clear that Ethiopia's pacification would require the retention of a very large and expensive garrison. While the emperor's submission and coopera­ tion would have yielded handsome returns for the colonia! power, the effort failed because Rome was unwilling to permit Haile Sellassie any role within Ethiopia; and the emperor stuck stubbornly to his resolve to return. Pourparlers went on in a desultory way throughout 1937 but, by mid-year, the Rome government declared itself «less interested than yesterday in negotiating with the ex-Negus 16• In 1937-38, there were Anglo-Italian negotiations about a range of bi-lateral issues, including London's formai recognition of Italian Ethiopia. In face of the impending declaration, Haile Sellassie tried once again to make a deal. In early 1938, on a visit to lord Halifax, the British foreign minister, he «expressed the hope very politely that we were not seeking to make a deal to our own advantage over the dead body of Ethiopia». The emperor commented that even the de jure recognition of the conquest would not end the Ethiopian question but only make his peoples more desperate. He remarked, however, that he thought appeasement a good idea and that, for his contribu­ tion, he wanted to compromise with the Rome government <mnder 1 3 J. H. SPENCER, Ethiopia at Bay. A Personal A ccount of the Hai/e Sellassie Years, Algonac, Mi., Reference pbs., 1 987, pp. 81-82. 1 4 IFM, Pignatti to tninister, Vatican City, 8 fan. 1937, IFM, Etiopia, Fondo di Guerra, b. 1 50. 1 5 Ciano Appunto, 12 fan. 1937, ibidem. 1 6 Ciano to Pignatti, Rotm, 5 fune 1937, ibidem.


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which he would accept sovereignty aver a part only of his former domains». When Halifax asked if the emperor might consider · other accomodations, the Ethiopian responded that his return home · �as a non-negotiable item 17• Getting to Ethiopia was Haile Sellassie's paramount concern. On 5 Aprii 1938 - eleven days before the signature of the Anglo-Italian Bon voisinage treaty - one of the emperor's closest English associates visited the Foreign Office and reported to the under-secretary that Haile Sellassie had «now reached the frame of mind where he would be willing to return to Ethiopia in a subordinate position confined to the Amharic portion of the country» 1 8• By now, the Foreign Office had raised the issue of Haile Sellassie's upkeep and his future with the Italians. Ciano had responded «that in no circumstances would ras Tafari be allowed to return to Abyssinia either as an independent authority or under Italian contrai». He was quick to add, however, that Rome might be willing to help meet the ex-emperor's financial needs if he would submit and promise to remain in quiet exile 1 9• Haile Sellassie sought to return to Ethiopia throughout 1 938 but to no avail. He persisted until 1939, when the world situation altered in his favor and Britain began considering that he might be a valuable player in the coming war against the Axis. In May 1 941, the emperor reentered Addis Abeba in triumph and subsequently createci the myth that throughout his exile, he never lost faith in Ethiopia's ultimate victory against the fascist invader.

1 7 FO, Halifax Memo., FO, 2 March 1938, FO 371/22010. 18 FO, Vansittart Meli/O. of Conversation 1vith Col. Sandford, 6 Aprii 1938, ibidelll. 1 9 FO, Perth to IJJinister, Rollle, 9 March 1938, FO 371/22015.

RICHARD PANKHURST Resistance to Italian Colonialism : the Case of the Ethiopian Patriots ( 1936- 194 1)

Fascist Italy's invasion of Ethiopia in 1 935 can be seen as one of a series of foreign assaults on the long-established independent African State, as well as the prelude to the first major European occupation of the country. Though the advent of the League of Nations, the condemnation of fascist aggression by fifty of its member States, and the imposition of League sanctions against the aggressor intro duced a new element in the international equation there was nothing new for the Ethiopians in taking up arms to fight for their national independence 1. In the last third of the nineteenth century they had indeed on numerous occasions clone battle with invading armies - Bri­ tish, Egyptian, Sudanese and, finally, Italian. 1 On the preservation of Ethiopia's age-old independence see inter alia D. MATHEW, Ethiopia, The Stili/)' of a Poli!)' 1540-1935, London, Eyre and Spottiswoode, 1947; TADDESSE TAliiRAT, Church and State in Ethiopia 1210- 1527, Oxford, Clarendon Press, 1972; A. PmLERA, Lo stato etiopico e la sua chiesa, Roma-Milano, S.E.A. I ., 1926 ; S. P. PÈTRIDÈS, Le livre d'or de la t!Jnastie salomonienne d' Ethiopie, Paris, Plon, 1 964; YAQOB BEYENE, Fesseha Giyorgis, Storia d'Etiopia, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1987; M. AmR, Ethiopia, The Era oj the Princes. The Challenge of Islam and the Re-unification of the Christian Empire 1769- 1855, London, Longmans, 1 969 ; E. WoRK, Ethiopia, a Pa11m in European Diplo?llacy, New York, Macmillan, 1936; S. RuBENSON, The Survival of Ethiopian Independence, London, Heinemann, 1976 ; H. ERLICH, Ethiopia and the Challenge of Independence, Boulder, Colorado, Rienner, 1 986; ZEWDE GABRÈ-SELLASSIE, Yohannes IV. A Politica/ Biography, Oxford, Clarendon Press, 1975 ; M. DE COPPET, Chroniq11e du règne de Ménélik II, roi des rois d'Ethiopie, Paris, Maisonneuve Frères, 1 930-193 1 ; L. FusELLA, Il " Dagmmvi Menilek " di Afmvarq Cabra Iyasus, in «Rassegna di Studi Etiopici», XVII, 1961, pp. 1 1-44, e XIX, 1 963, pp. 1 1 9-149 ; H. G. MARcus, The Life and Times oj Menelik II. Ethiopia 1844- 1913, Oxford, Clarendon Press, 1975; C. PRoUTY, Elllpress Taytu and Menelik II. Ethiopia 1883- 1910, London and Trenton, New Jersey, Ravens and The Red Sea Press; TADDESSE BEYENE - TADDESSE TAMRAT - R. PANKHURST, The Centenmy oj Dogali, Addis Ababa, Institute of Ethiopian Studies, 1988.


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The idea of conflict with the Italians was moreover not new to the Ethiopians in 1935 : Italy had been the enemy whom emperor Y�han­ nes's commander ras Alula had defeated at Dogali in 1887, and with. whom emperor Menilik had wrestled over differing interpretations of the Wucalé (Uccialli) treaty of 1889 2, before routing an Italian army of aggression at the battle of Adwa in 1896 3 • The war of 1935-6 (which was to continue until the Italian fascist collapse in East Africa in 1941) was, however, in severa! ways entirely different from any the country had previously waged. In the first place fascist Italy's invasion of 1935 was no nineteenth century European colonia! expedition fought like that of Maqdala in 1867-8 or Adwa in 1 865-6, by a relatively small, albeit well-armed, European army, but a major twentieth century war, in which the invader made extensive use of massed artillery, aeroplanes, and tanks as well as poison-gas. Italy was moreover no longer a parliamentary State, whose government listened to, and had to take account of, public opinion (hence the fall of Crispi's cabinet after the Adwa debacle), but the first of the fascist powers, ruled by a dictator determined, at least after 1934, to establish an empire in Africa, at all

2 On this important treaty see S. RuBENSON, The Protectorate Paragraph oj the Wichale Treaty, in «Journal of African History», 1964, 2, pp. 243-283; C. GIGLIO, A rtide 17 oj the Treaty of Uccia//i, ibid., 1965, 2, pp. 221-231 ; S. RuBENSON, Professor Giglio, Antonelli and A rticle VII of the Wichale Treaty, ibid., 1966, 3, pp. 445-457. 3 The best account of the battle is stili perhaps that given in G.F.-H. BERKELEY, The Campaign of A dowa and the Rise of Mene/ik, London Westminster, Constable, 1 902, and subsequently reprinted, with a new pro-Ethiopian introduction, in 1935. Valuable information, from the otherwise seldom presented Ethiopian point of view, is to be found in A. B. WYLDE, Modern A byssinia, London, Methuen, 1901, pp. 1 96-225, who visited the site of the battle and interviewed ras Alula and other Ethiopian participants in the fighting. See also, inter alia, C. RossETTI, Storia diplomatica della Etiopia durante il regno di Mene/ik II, Torino, Società Tipogra­ fico-Editrice Nazionale, 1910; C. CoNTI RosSINI, Italia ed Etiopia. Dal trattato d'Uccia//i alla battaglia di A dua, Roma, Istituto per l'Oriente, 1 935 ; V. MANTEGAZZA, La guerra in Africa, Firenze, Le Monnier, 1986; A. BIZZONI, L'Eritrea fiBl passato e nel presente, Milano, Sonzogno, 1987; F. CRISPI, La prima guerra d'Africa, Milano, Garzanti, 1914; R. BATTAGLIA, La prima guerra d'Afi"ica, Torino, Einaudi, 1 958; S.P. PÉTRIDÈS, Le héros D'Adoua. Ras Makonnen, prit1ce d'Ethiopie, Paris, Plon, 1 963 ; H. ERLICH, Ethiopia and Eritrea during the Scramble for Africa. A Politica/ Biograpby of ras A lula, 1875-1897, East Lansing, Michigan - Tel Aviv, African Studies Center, Michigan State University - Shiloah Center for Middle Eastern and African Studies, Tel-Aviv University, 1982.

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costs. These costs included the introduction of a policy of autarchy and a substantial devaluation of the lira, as well as the pursuit of a politica! programme which included the racial laws (in relation to the "native" people in the colonies, and later to the Jews in Italy itself), the despatch of Italian fascist "volunteers" to assist Franco in the Spanish civil war, the "pact of steel" with nazi Germany, and Italy's entry into the European war in 1940. These developments, which led on directly from the Ethiopian war, lie outside the scope of the present paper, but are too important to pass unnoticed - the more so in that they led, in the end, to the collapse of the fascist empire itself. There is thus in the last analysis much truth in the contention of Alessandro Lessona, sometime fascist minister of Italian Africa, that the duce's Germanophile policy was disastrous for Italy's "Abyssinian conquest" 4• Scope of the paper The fascist invasion of Ethiopia in 1935-6, like the earlier Italian occupation of the northern Ethiopian province of Eritrea in 1889-90, had a major impact on the territory occupied. The invasion, and subsequent occupation, divided the politically active part of the local population into three main segments : 1) the collaborators, who were popularly known in Ethiopia by the Italian word banda; 2) the refugees, led most notably by emperor Haile Sellassie, who in exile in England continued to oppose the occupation; and 3) those who resisted the Italians, and were generally referred to in Ethiopia as arbetryoch, or "patriots", and in Italy by the Amharic term shifta, or "bandits". The politica! differences - and conflicts - between these three groups, though in the context of Italian colonia! history of only secondary significance, were from the Ethiopian point of view of fundamental importance, and far transcended the differences in Italian policy, sùch as those associateci with the two successive viceroys, Graziani and the duca d'Aosta, which, despite their manifest importance, have left re-

4 A. LESSONA, Memorie, Firenze, Sansoni, 1 958, p. 329.


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markably little impact on Ethiopian folk memory. Many EtlÌiopian� in the countryside indeed saw the five-year occupation - in the absenc.e . of the emperor, and of the refugees - as essentially a civil war betweeJ) the banda and the arbetryoch. Despite this popular view there can, howe­ ver, be no denying that shifts in fascist politica!, economie and strategie policy, together with changes in the international situation in Europe, had a major impact on the patriots and significantly affected their strategy, thereby making possible a "periodisation" of the fascist pre­ sence in Ethiopia, as outlined in Appendix I. Each of the three above-mentioned groups - collaborators, refugees and patriots - played an historically significant role in the occupation period, and deserve historical attention. The present paper is, however, confined to the history of only the third group : the patriots - whose story is important, but has thus far not adequately been told5• The invasion of 1 935 Though given virtually a free hand in Ethiopia by the " appease­ ment" - oriented governments of Britain and France6, Mussolini in

Though there is no fully comprehensive Amharic history of the Ethiopian patriots of 1936-1941 their exploits are discussed in severa! valuable works, most notably dejazmatch KEBllEDE TESEMMA'S, Ye- Tarik Mastmvwasha [Historical Memories], Addis Ababa, Artistik Mete­ mya Bét, 1962 as well as MEZMUR HAYLU, Ye-Kebur Dejaz!nach Balcha A ba Nefso accer Ye-Hrywet Tarik [Short Biography of His Escellency Dejazmatch Balcha A ba Nefso], Addis Ababa, Artistik Metemya Bét, 1963-1964; MEKONNEN WoRK AGEGNU, Ye-Besu A buna Petros ze-Mesraq Ityopya accer Zena [A Short Biography of His Holiness Abtma Petros, Patriarch of Eastern Ethiopia], Addis Ababa, Merhia Tibeb Metemya Bét, 1945-1946; TE'EZAZU HAILU, Hai/e M'!}atJJ Mammo, Addis Ababa, Negd Metemya Bét, 1956-1957. The invasion, occupation and subsequent liberation also represent a major theme of Ethiopian creative writing on which see T.L. KANE, Ethiopian Literature in A mharic, Wiesbaden, Harrassowitz, 1975, and R. MoLVAER, Tradition and Change. Social and Cultura/ Life as Rejlected in Atllharic Fictional Literature, 1930-1974, Leiden, Brill, 1980 ; also R. PANKHURST, L'occupazione fascista mila letteratura etiopica, in « Studi Piacentini» 1933, 1 3, pp. 1 35-148. 6 On the pre-war diplomacy in relation to Ethiopia see, inter alia, the classic G. SALVEMINI, Prelude to World War II, London, Gollancz, 1953 ; also S. HEALD, Documents on International Affairs 1935, II, London, O.U.P., 1937 ; F. HARDIE, The A byssinian Crisis, London, Batsford, 1 974; G.W. BAER, Test Case. Italy, Ethiopia and the League of Nations, Stanford, California, Hoover Institution Press, 1976; F.D. LAURENS, France and the Italo-Ethiopian Crisis 1935- 1936,

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his invasion plans left nothing to chance. He built up powerful and well-equipped forces in both Eritrea and Somalia, the two Italian colonies adjoining Ethiopia, and was thus able to attack, with over­ whelming superiority, both on land and in the air. Italian forces crossed the Ethiopian frontier, without any declaration of war, on October 3, 1935, and began what has been described, by both its supporters and its opponents, as the greatest colonia! war ever fought on the continent of Africa 7• The campaign was commanded in the North by the aged fascist Emilio De Bono, and in the South by Rodolfo Graziani, a career generai with earlier experience in Libya. The Ethiopian army, faced by awar on two fronts, fought bravely against overwhelming odds - but could not stem the enemy advance for more than a few months. The duce, worried by the slow progress of his troops in the first weeks of the war - and fearing that his opponents might force the League of nations to adopt more effective action than the halfhearted sanctions originally imposed, nevertheless pressed for victory before the coming of the rains which were due at the end of June. Dissatisfied with the advance from the North he dismissed De Bono, on November 14, and replaced him by the career generai Pietro Badoglio, whom, to break Ethiopian resistance, he ordered on December 28, " to make use of any kind of gas" on "a vast scale" 8• The Hague-Paris, Mouton, 1967 ; R. PANKHURST, The Italo-Ethiopian IVar ttnd League of Nations Sanctions, in « Genève-Afrique», 1974, 2, pp. 5-29 ; In., The Secret History of the Italian Fascist Occupation of Ethiopitt, 1935- 1941, in «Africa Quarterly», 1977, 4, pp. 1-52. On Italian fascist strategy see also A. DEL BocA, The Ethiopian War 1935- 1941, Chicago, 1969, and more generally, H.G. MARcus, Ethiopia, 1936- 1941, Washington, 1968. 7 The literature on the war as seen from the Italian side, by De Bono, Badoglio, Graziani and others, is too well known - and too voluminous - to warrant citation here. Reference may, however, be made to the recent bibliographies of G.C. STELLA, Africtt oriwtale (Eritrea, A bissinia, Somalia) e colonialismo italiano. Bibliografia, Ravenna, Stella, 1986, and Bibliografia politico-!llilitare del conflitto ifa/o-abissino 1935- 1936, Ravenna, Stella, 1 988. The most useful account from the Ethiopian side is probably G.L. STEER, Caesar in A byssinia, London, Hodder ancl Stoughton, 1936, but see also A. MocKLER, Hai/e Selassie's IVar, Oxford, O.U.P., 1 984, and its earlier, and more extensive, Italian translation Il mito dell'Impero, Milano, Rizzoli, 1977. In Amharic, see also SEYFU ABBA WELLO, Ye-Tarik qers 1928 amete mehret ye-Debub Ityopyaye-Sida!IJO Tormnet [A Histoty of 1935- 1936: The War in South Ethiopia, Sidamo], Addis Ababa, Artistik Metemya Bét, 1960-1961. 8 A. DEL B ocA, Mussolini sulla guerra di Etiopia, in « <l Giorno», December 14, 1 968.


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Resistance to Italian Colonialism: the Case of the Ethiopian Patriots ( 1936- 1941)

The Italian fascist army accordingly began dropping mustard . (or yperite) gas in bombs, and also sprayed it from the air9• The Ethlopians, with virtually no air-force, and very few anti-aircraft guns, were unabk to withstand thls onslaught. There seemed to them to be no defence against the gas whlch burnt the face, the body, and the feet... Demora­ lisation rapidly set in - and Ethlopian resistance began to break. The emperor, whose forces were defeated at Maichew in April 1 93�, retreated southwards, and left the Ethlopian capitai on May 2, - to avo1d capture, . army, as well as to appeal to the League. Three days later the fasc1st whlch had driven South from Eritrea, entered Addis Ababa.

a small group of educateci Ethlopians who had studied abroad, and were known to be dedicateci nationalists and hence bitter opponents of foreign rule. Thls command was not immediately carried out, but it marked the beginning of a policy of politica! terror with whlch the name of Graziani will in Ethlopian hlstory ever be associateci 1 2• Mussolini's claim that the war had come to an end, though false, was soon internationally accepted. The League of nations, led as was then customary by Britain and France, voted, on July 4, for the abandonment of sanctions ; and, as the years rolled by, most countries gradually recognised the fascist " conquest" - though three, the USSR, the USA and Mexico - notably refused to do so.

The establishment of an empire and the League abandonment of sanctions

Ethiopian resistance

On May 9, 1 936, only four days after the occupation of Addis Ababa Mussolini declared the establishment of an Italian fascist empire in Ea:t Africa - and the victorious end of the war. The latter claim was entirely false, for the greater part of the country was still unocc�­ pied 1 o - and many of the originai Ethlopian commanders and theu armies were still in the field. The proclamation of the empire - though premature and . in fact fraudulent - was important, for it enabled fascist Italy to cla1m that Ethlopians who continued to resist - soldiers or civilians alike - were guilty of rebellion (and, in effect, that the rules of war could not app�y to them). Four days after thls proclamation the duce sent telegraph1c . " 11 , orders for the summary execut1on of the so-called " young Ethlop1ans

In Ethiopia, however, resistance continued. It was a sign of thlngs to come when a local personality, Lij Haile Mariam Mammo, on May 4 (the day before the fascist occupation of Addis Ababa) attacked a convoy of advancing Italy troops at Debra Berhan on the way to the capitai - thus becoming, as a subsequent Ethiopian researcher, Salome Gabre Egziabher, wrote, the "first patriot of Shoa" 1 3• Ten days later Graziani telegraphed to Rome that a "native company" in Italian service had been attacked near Jigjiga, and that he had ordered the dropping of leaflets by air declaring (since the war was supposedly over) that anyone resisting the occupying forces would be considered guilty of rebellion, and that all Ethlopian prisoners taken would be " shot immediately" 1 4• He was, as we shall see, to despatch many such telegrammes in the months which followed.

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9 On the use of poison gas see inter alia J.W.S. MACFIE, An EthiopiatJ Diary. A Record of the British A mbulance Service in Ethiopia, London, Hodder and Stoughton, 1 936; G.L. STEER, Caesar in Abyssinia... cit., p. 8 ; K. NELSON - A. SULLIVAN, fohn Mei!J of Ethiopia, London, Faber and Faber, 1937, pp. 230-231 e 240 ; M. JuNoD, Warrior Without Weapons, London, Cape, 1951, pp. 56-61 and passim; and, more recendy, G. RocHAT, L'impiego dei gas nella guerra d'Etiopia, 1935- 1936, in «Rivista di storia comtemporanea», 1988, 1, pp. 74- 09 : 10 A British officer, captain Brophil, reported four months later that Ethiop1a, West of Addis Ababa, was « completely in Ethiopian hands», and added : « There is not, so far as I could discover, an Italian between the capitai and the Sudan frontier», See M. BROPHIL, A byssinia Todqy, in «The Spectator», September 4, 1936. 11 U.S.A., THE NATIONAL ARCHIVES OF AMERICA, Microcopy n. T. 821 ,472{127.

1 2 A brief but useful account of Graziani's period as viceroy is given in A. DEL BocA, The Ethiopian War.. . cit., pp. 212-226. For an uncensored day-to-day Italian diary of the time see C. PoGGIALI, Diario A .O.I. 15 giugno 1936 - 4 ottobre 1937, Milano, Longanesi, 1 971. 1 3 SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Patriots, 1936- 1941, in « Ethiopia Observer», 1969, 12, p. 76. See also, more generally, R. PANKHURST, The Ethiopian Patriots: The Lone Struggle 1936- 1940, in « Ethiopia Observer», 1 970, 13, pp. 40-56. 14 GovERNO GENERALE A.O.I., STATo MAGGIORE, Il primo anno dell'Impero, Addis Abeba, Gov. Gen. A.O.I., 1 939, I, pp. 21-22; ETHIOPIA, MINISTRY OF JusTICE, DocumetJts on Italian War Critnes, Addis Ababa, 1949-1950, I, 8, p. 35.


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Graziani's policy of repression received full official approvai from Rome. On June 5, the day after the ending of sanctions Mussoljni sent an urgent telegramme to the generai, by then the fascist vicero_y of Ethiopia, ordering that "all the rebels made prisoner should be shot" 15, and on June 8 the duce telegraphed once more, saying : " I once again authorize Y our Excellency systematically to conduct a policy of politica! terror and extermination against rebels and implicateci populations. Wit­ hout the law of tenfold retribution one does not cure the wound in good time " 16 .

Despite - perhaps even because of - the ensuing repression, acts of resistance were soon reported in many parts of the country. On July 6, far example, a group of Ethiopian patriots cut the railway and telegraph lines between Akaki and Mojjo, and killed a senior Italian officer, generai Mercanti. The British journalist-cum novelist Evelyn Waugh, who travelled along the line a few weeks later, reported that there had been " sharp fighting ", a train had been derailed, two bridges destroyed, and a station besieged far a day and a half, as a result of which trains had been unable to get through far a full ten days 1 7• Fighting also took place at Debra Berhan on July 19, and attacks on Ankober on July 21 and 2218• The Ethiopians also made plans at about this time far a major assault on Addis Ababa itself. The attack in the event was badly coordinated, far the two Ethiopian forces involved failed to attack 1 5 ETHIOPIA, M1NISTRY oF Ju sncE, Documents on Italian... cit., I, 8, p. 36; ETHIOPIA, DÉPARTE­ MENT DE LA PRESSE ET DE L'INFORMATION, La civilisation de l'Italie fasciste en Ethiopie, Addis Ababa,

n.d., I, p. 12. 1 6 U.S.A., THE NATIONAL ARCHIVES oF AMERICA, 472/123. The terror was accompanied by a policy of «pacification», involving the enforced surrender of fire-arms - which were traditionally people's most prized possessions. The policy was therefore, by ali accounts, extremely unpopular, on which see E. WisE, Ethiopia Noli', in «Harper's Magazine», 1937, 1 1 5, p. 414. 1 7 A. BOLLATI, Le operazioni di grande polizia dell'A .O.I. , in « Rivista delle colonie», 1937, 1 1 , p. 390 ; GoVERNO GENERALE A.O.I., STATO MAGGIORE, Il primo anno ... cit., III, p. 21 ; C. Zou, La conquista dell'Impero, Bologna, Zanichelli, 1 937, pp. 282-283 ; M.G. LANDI, Crocerossina in A . O. , Milano, Treves, 1 938, p. 121 ; E. WAUGH, Waugh in A ryssinia, London, Longmans, 1936, p. 226. 18 L'attività militare dopo l'occupazione, «Gli Annali dell'Africa Italiana», 1939, 3, p. 166; GovERNO GENERALE A.O.I., STATO MAGGIORE, Il primo anno... cit., III, p. 24.

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simultaneoustly. The first to move was Aberra Kassa, a youthful member of an important Ethiopian family, whose army broke into the town prematurely from the North and East with a large band of followers on July 28, and was only dispersed, on the following day, after heavy bombing and machine-gunning from the air 19• Almost a month later dejazmatch Balcha, an old veteran of the Adwa war of forty years earlier, launched a further - also unsuccessful - attack on the capi tal from the South-West, and Graziani found it necessary to prohibit the foreign consulates from using their radios until the fascist government was able to concoct its own official account of the event. Evelyn Waugh, who was there at the time, recalls that the fascist Ministry of the press " seemed embarrassed ", far the Ethiopians were " attacking the aerodrome. Bombers arrived from Dire Dawa. It was quite a battle". Describing conditions in and around the capital in this period he states that "there was a generai sense of insecurity". Writing, it should be remembered, from a pro-fascist occupation standpoint, he added : "The raids on the town were futile ; the chance of a rising within it, remote. But all the time there was an illusion of being besieged. The thick groves of eucalyptus which surround Addis on all sides provided perfect cover far attack and retreat ( . . . ) the bandits could and frequently did advance to a few yards of the auter defences ; more than this, the circumference of the town is so large and its boundaries so ill defined, the ground so broken with water-courses and footpaths, that they could effortlessly penetrate the defences at twenty places ". Dr. Ladislas Sava, a I-Iunga­ rian resident in the capitai, was more emphatic, observing that "guer­ rilla troops often approached Addis Ababa from the forest, harassing the Italian troops whenever they met them". Graziani, he concludes, 1 9 GovERNO GENERALE A.O.I., STATO MAGGIORE, Il pritJJO mmo ...cit., p. 391 ; C. Zou, La conquista... cit., pp. 284-285 ; A. Bou.ATI, Le operazioni. cit., p. 391 ;M. G. LANDI, Crocerossina . cit., pp. 146-148, 1 54, 165 ; «New Times and Ethiopia News», November 14, 1 936 ; R. GREENFIELD, Remembering the Stmggle. A Contribution from Ethiopian Sources t01vards a Histmy of Patrio! Resistance to the Italian Occupation ( 1936- 194 1) , in « Makerere Journal», 1966, 9, pp. 20-21 ; SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Patriots. . . cit. ; ID., The Patriotic Works of Dejazmatch A berra Kassa and Ras A bebe A ragtrye, in Proceedings of the Third Intemational Conference of Ethiopian Studies, 1 , Addis Ababa, Institute of Ethiopian Studies, 1969, X, p. 299. ..

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was " master of the town, but on the Gulali road, for instànce, in the Italian hospital there, one could often hear quite clearly the nòis�. of rifles and machine-guns in the neighbourhood" 20• Throughout the rainy season of 1 936 the old Ethiopian army aU:d the new forces of the patriots, who, with the collapse of the emperor's government, were now beginning to emerge, thus held the initiative, and largely paralysed the movement of Italian officials, and even troops. After the abatement of the rains, in September, however, the situation radically changed. The fascists at once began offensive operations, once more making considerable use of poison-gas (in a war which, according to the duce's proclamation, had come to an end over three months earlier)21•

Later, on November 1 6 (over six months after the supposed end of the war), Graziani reported that similar operations were to take piace in the South of the country : "Addis Ababa airforce", he telegraphed, "will from tomorrow intensify the same action . . . bombing and yperi­ ting Irgalem, and Agereselam and Allata" 24. By such means the old Ethiopian armies were gradually destroyed, and by the end of 1 936 or early 1 937 all their principal chiefs were captured, or forced to surrender. They included : Wondwossen Kassa, who gave himself up on December 1 O, 1 936 ; ras Imru, on December 1 5 ; Aberra and Asfawossen Kassa, on December 21 ; one of the emperor's sons-in-law, Beyene Merid, on February 20, 1 937 ; and another, ras Desta Damtaw, on February 24, 1 937. All but one of these leaders were shot as rebels after they had laid down their arms - ras Imru alone was spared, and taken into detention in Italy, where he was to remain until his liberation by British troops by then in occupation of southern Italy25• The demise of the old chiefs - and with it the collapse of the emperor's pre-war government - marked the end of the first stage of resistance, but also the beginning of new phase in which a new patriot leadership was to emerge.

On September 1 1 Graziani gave orders for a major military drive in Lasta. H e ordered " reprisals without mercy ", and added : " the villages must be systematically destroyed in order that the people be convinced of the inevitable necessity of abandoning their leaders. . . . The goal can be attained by the use of all means of destruction from the air, mainly using asphixiating gases " zz.

A month or so later, on October 21 , he reported to Rome : " This morning I have ordered the air force. . . to carry out reprisal action on the line of villages on the plain between mount Zuquala and the railway line"

The Graziani massacre and its aftermath

" Twenty-five aeroplanes took part in the action, among which ten were bom­ bers. Villages were destroyed first with explosive and incendiary bombs and then with yperite. Particularly two large villages, one situated at the top and the other half way up mount Zuquala, were almost destroyed by the action of the bombers " .

Resistance entered this new phase largely as a result of the attempt on Graziani's life, carried out by two Eritreans, Abraha Debotch and Moges Asgedom, on February 1 9, 1 937 and the ensuing three-day massacre26 (on which see Appendix II). On that occasion thousands of

" The above mass action will continue throughout all districts along the railway without taking any account of so-called submissions " 23 .

20 GovERNO GENERALE A.O.I., STATO MAGGIORE, Il primo anno.. . cit., III, p. 28; M. G. LANDI, Crocerossina... cit., p. 176; E. WAUGH, Waugh in A lryssinia.. . cit., pp. 235-236, 241 ; L. SAVA, Ethiopia under Mussolini's Rule, in «New Times and Ethiopia News», November 30, 1940. 21 C. Zou, La conquista... cit., p. 349. 22 ETHIOPIA, MINISTRY OF JusncE, DocunJents on Italian. . . cit., I, 26, p. 60- 1 . 23 Ibid., I , 22, p . 55-6; ETHIOPIA, DÉPARTEMENT DE L A PRESSE ET DE L'INFORMATION, La civilisa­ tion de l'Italie.. . cit., I, p. 33-35.

-

24

Documents on Italian... cit., I, 27, p. 62.

25 GOVERNO GENERALE A. O .I., STATO MAGGIORE, Ilprimo anno... cit., III, p. 51-52, 74; L'attività 1nilitare dopo l'occupazione, in « Gli Annali dell'Africa Italiana», 1939, 3, pp. 167, 170, 172-173; A. BoLLATI, Le operazioni. . . cit., p. 397; C. Zou, La conquista. .. cit., pp. 357-359 ; «News Chronicle»,

March 9, 1937; «New Times and Ethiopia News», January 1, February 6 and 27, 1937 ; ETHIOPIA, MINISTRY OF JusncE, Documents on Italian... cit., I, 10, p. 39; U. S .A. THE NATIONAL ARcHIVES OF AMERICA, 472/318; R. GREENFIELD, Remembering the Struggle... cit., pp. 21-22. 26 L. SAvA, Ethiopia under lviussolini's. . . cit., in «New Times and Ethiopia News», No­

vember 30, 1 940; ibid., March 3, 1937, September 1 7, 1938, and December 14, 1940; E. CANEVARI, Graziani n1i ha detto, Roma, Magi-Spinetti, 1 947, p. 21 ; ETHIOPIA, MINISTRY OF


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Ethiopians were indiscriminately killed by the fascists, but - no 1ess significant - thousands more fled the city, which was reported by foreign observers27 to be in consequence largely depopulated. Not a few of the fugitives joined the patriots, notably those of ras Abebe Aregay, the principal patriot leader in Shewa. Testimony of this was given a decade or so later by Blatta Dawit Ogbazgi, an Eritrean dvii servant in Ethiopian government service, who declared that ras Abebe's forces :

thing yet represents Italy - were Abyssinian notables in the very same positions who had received pardon in many places. Keep in mind here that I have already aimed at the total destruction of Abyssinian chiefs and notables and that similar measures should be completely carried out in your territories. A better opportunity could not be found to get rid of them. Give assurances with the word ' shot', but let the assurance be serious" 30.

"increased immediately (...) also other patriot forces received reinforcements, because when people heard what had taken piace... they left their homes, and went away from the neighbourhood of Addis Ababa" 28.

Others Ethiopians joined the patriots, or gave them their support, because of the continuing fascist repression which followed the massacre. This repression had the full support of Mussolini, who, on receiving news of the assassination attempt, telegraphed, on February 20 while the massacre was stili in progress - that, without attributing to the attack on the viceroy " greater importance" than it deserved, the incident showed the need for " that radica! sweep which, in my mind, is absolutely necessary in Shoa"29• Graziani concurred in this view. On March 1 he accordingly ordered generai Nasi, the fascist governar at Barar, to shoot ali the "Amhara notables and ex-army officers" who had surrendered. " I order", he commanded, -

"that they be shot immediately according to the directions of the duce repeated a thousand times ... It is a time to put an end to it. Your Excellency may keep in rnind that those who made the attempt on my life - which though being a miserable .

JusTICE, Domments on Italian lf:7ar Crimes, II, pp. 5-10, 29 ; H.M. and D. HANSON, Por God and Emperor, Mountain View, Pacific Press Publishing Associates, 1 958, pp. 55-56; SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Patriots... cit., pp. 67, 70-72. A diary account by an Italian journalist - not published at the time - is given in C. PoGGIALI, Diario A . O.I.. cit., pp. 179-186. See also a propaganda pamphlet published by «New Times and Ethiopia News» entitled Ita!J's War Critnes in Ethiopia, Woodford Green, Essex, n.d. 27 One of the most valuable independent account� of this period was written by a Swede : A.B. SvENSSON'S, A bessinien under Italienarna, Stockholm, A. Bonniers Forlag, 1 939. 28 ETHIOPIA, MINISTRY OF JusnCE, Documents on Italian. .. cit., I, p. 10. 29 U.S.A., THE NATIONAL ARcHIVES or AMERICA, n. 472/191. ..

Nasi, on receipt of the order, at once telegraphed his subordinate officers, on March 2, saying ; " His Excellency the viceroy has demanded rigorous adherence to the directives of the duce for the treatment of rebels. Consequently I give you orders to shoot all - I say all - rebels, notables, chiefs, followers, either captured in action or giving themselves up after leaving their formations or isolated fugitives or cunning elements hiding among the local populations or who even they have not taken part in the revolt are suspected of bad faith or of helping rebels in a concrete way or only intending to, or if they hide arms. Women are, of course, excluded, except in particular cases, and children. The commandants addressed will give necessary directions to subordinate commanders and proceed meanwhile to execute elements captured hitherto or who are found to be in the categories mentioned by me above.... Commanders addressed will give me immediate assurance with the word 'shot', and communicate to me as soon as possible the measures taken and which they will take from time to time in accordance with these orders" 31 .

Similar instructions were despatched to other commanders, among them Geloso, the fascist governar at Jimma, to whom Graziani telegrap­ hed, on Aprii 8, reminding him of "the directions of the duce which aim at the complete destruction of Amharic elements in territories of former Abyssinian conquest", and added : "give a pinch more of courage in this respect to the civilian officials who are nearest to you and to column commanders who, with the instinctive generosity of the combatant, are sometimes led to make terms by easily understandable sentiments. Be assured, Your Excellency, that by acting thus in a very short time (... ) you will assuredly obtain complete pacification in your territory"32•

30 ETHIOPIA, MINISTRY OF JusncE, Docuntents on Italian.. cit., I, pp. 1 6-17, 48. 31 Ibid., I, pp. 8-9. 32 Ibid. , I, pp. 1 1 , 40. .


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Despite this optim1st1c note fascist intelligence reports revealed ext�nsive opp �sition to Italian rule. Thus major Giuseppe France­ schmo, reportmg on the situation at Dessie - by no means· the centre of patriot resistance, frankly declared, on Aprii 17: "we cannot have confidence in either the priests or the nobles ; the sentiment of rebellion is latent in all" 33. Faced wit� such widespread opposition Graziani, characteristically, took dracoman measures. They included the execution, at his express command, of all "wizards and sooth-sayers", as reported in a tele­ gramme which he despatched to Rome on March 1934; and the subse­ quent sh�oting of 297 Ethiopian monks at the medieval monastery of D �bra L1banos, the prinicipal monastery of Shewa, after which he gnmly telegraphed : "there remains no more trace of the monastery"35. Patriot activity in 1937 In the Spring of 1 937 the strength of the patriots, their numbers uch swollen by those fleeing from Graziani's repression, rapidly � �ncreas ��· That year's rains saw the fascist army once more seriously 1mmob1hsed by patriot activity, notably that organized by dejazmatch Hailu Kebede in Lasta, and dejazmatch Mangasha in southern and Belai Zeleke in eastern Gojjam36 . Fighting, also took piace in �any other parts of the country, including Ambo, only 120 kilometres from the capitai, after which Graziani reported, on August 24, that the Italian royal Air-force had given the "maximum possible assi­ stance", and had " destroyed without mercy" 37 . Meanwhile the pa-

p.

33 U.S.A., THE NATIONAL ARcHIVES OF AMERICA, n. 466-468. 34 ETHIOPIA, n EPARTEMENT · DE LA PRESSE ET DE L'INFORMATION, La civifisation de f'Jtafie. . . cit., I,

59-63.

� ETHIOPIA, MINISTRY OF J usTICE, DocU!lletlts 011 Jtafzan... clt., I, p. 53, see aJso pp. 1 8-20, 51-52; ETHIOPIA. DÉPARTEMENT DE LA PRESSE ET DE L'INFORMATION, La civifisation de f'Jtafie. .. cit., I, pp. 128-129; R. GREENFIELD, RetJJe!llbering the Struggle.. . cit., p. 22; M. PERHAM, The Governntent ·

·

of Ethiopia, London, Faber and Faber, 1948, p. 124. 36 L'attività lllilitare dopo l'occupazione, cit., p. 1 7 1 . See also SALOME GEBRE EGZIABHER' The Ethiopian Patriots. .. cit., p. 87. 37 U.S.A., THE NATIONAL ARCHIVES op AMERICA, n. 468/343, 348.

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triots in the North-West were so successful that on September 2 Pirzio Biroli, the fascist governar at Gondar, reported that " the situation, especially in Gojjam, was becoming graver38, and on Sep­ tember 5 he added that "the rebellion seemed to be spreading to Begemder" 39. Two days earlier, on September 3, Graziani himself reported that in Amhara the "rebellion" was in danger of reaching "considerable proportions ", while in Lasta because of the activities of Hailu Kebede the number of "rebel adherents" was becoming "even larger", and on September 28 he admitted that Gojjam and Begemder were both, as he put it, "in ferment"40 • Lessona, the minister of Italian Africa, was naturally concerned at the extent of the " rebellion". On September 2 he noted that the "progressive kindling and spreading" of "rebellion" in Lasta, Be­ gemder and Gojjam had led to "sad episodes" and, on September 4, that "the situation, especially in Gojjam, was becoming graver41 . On September 5 he sent Graziani the first of severa! telegrammes on the matter. Explaining that incidents like those already reported became known in the international field - and were therefore har­ mful to fascist prestige - he declared that "the situation createci in these last days in many parts of the empire necessitated decisive measures of a military and politica! character", and added : "It is necessary at all costs to cut short the activities of the rebels in the shortest possible time". On September 12, he despatched yet anot­ her telegramme to Graziani in which he stated : "given the interna­ tiana! situation it is necessary that Your Excellency uses the maxi­ mum energy in arder that conditions in the Empire return to nor­ ma! within the present month". He also quoted Mussolini as orde­ ring that the viceroy should "act with the maximum energy using all means against the rebels, including gas. It is absolutely necessa38 39 40 41

Ibid., Ibid., Ibid., Ibid.,

468/98, 103. 468/65, 109, 240, 328. 468/864, 1 074, 1 1 64. 468/ 1 1 65.


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ry", he added, " to recapture the infected areas as soon as possible because prolonging the uncertain situation favours extending the rebellion" 42• The fascist leadership was by then seriously concerned by patriot successes. On September 1 3 Mussolini's son-in-law, count Ciano, confided to his diary that the dictator was " annoyed" by the " revolt" in Gojjam, which, he notes, was of " considerable size"; and on September 17, he added that " measures to suppress it - including gas " had been ordered 43• Mussolini himself telegraphed to Graziani, on September 1 5, obser­ ving emphatically : " I am prepared to send battalions and aeroplanes, but the revolt must be cut short with the greatest energy and in the briefest possible time. Do not lose any more time" 44

Graziani, in an effort to consolidate his pos1t10n in Shewa, had meanwhile decided on the remarkable step of initiating negotiations with the province's principal patriot leader, ras Abebe Aregay. In a telegramme to Rome on September 1 9 the viceroy admitted that he had "no illusions " as to the chiefs real intention, which was to buy time - but added that he would leave no stone unturned in order to obtain the "pacification" of the area 45• Sure enough the self-styled ras, after gaining some respite - and badly needed supplies - resumed his " rebellion" more vigorously than before. Patriot activity in the North-West of the empire was also a cause of considerable concern to Graziani who telegraphed, on September 28, that "with so vast a territory", and with Gojjam and Begemder "in ferment" it was essential to secure possession of the more important garrison towns, for their . abandonment, he admitted, would " signify a deterioration in our position", and thereby encourage the "rebels", who were "easily emboldened even by ephemeral successes"46•

42 43 44 45 46

Ibid., 468/114, 1 1 5, 245. G. CIANO, Ciano's Diary, 1937- 1938, London, Methuen, 1952, pp. 12, 14, 1 6. U.S.A . , THE NATIONAL ARCHIVES OF AMERICA, n. 468/116. Ibid., 468/794. Ibid., 468/1074.

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Campaingns against the patriots were accordingly launched towards the end of 1 937 but again failed to destroy Ethiopian resistance. On October 21 Graziani sent a telegramme to generai Nasi, in Harar, ordering repressive action in the Garamuleta area, which he described as a "fortress of N egusism ", and add ed with emphasis : " there must not (I say not) remain a sole Amhara chief whatsoever. This my conviction which seldom errs ". A week or so later the viceroy admitted, on November 3, that rebellion was "almost total in the areas of new occupation". In a further telegramme, of November 9, he warned his commanders in J imma and H arar of the need for "wise politica! action towards the natives to avoid inducing them to rebel", but advised them at the same time "t o eliminate the Amhara without pity " according to his directives, for "military conquest", he proclaimed " imperatively excluded sentimentalism " 47• A few weeks later, London "The Times" reported, on November 25, that the roads from Addis Ababa to Jimma and Gore had both been cut within 50 miles of the capitai, and that transport to the West was obliged to travel in convoy48• The extent of the " rebellio n" - and the tactics of its leaders - were by this time fairly clearly apparent to Graziani. On despatching to Rome a translation of one of their leaflets issued by three Ethiopian leaders, Zewdie Asfaw, Takele Wolde Hawariat and Mesfin Selashi, he frankly commented, on November 9, that the "rebels" clearly "thought in terms of a European war49, and the return of the Negus"50• The above admission should occasion no surprise, for the patriots, though for the most part residing in the remote countryside, were in far greater contact with the outside world than has sometimes been supposed. Several patriots, particularly from Shewa, travelled to Addis Ababa from time to time, and had secret sympathisers there who supplied them with information as well as arms and medicai supplies. -

47 Ibid. , 468/21 5. 48 «The Times», October 26, 1937. See also «New Times and Ethiopia News», December

4, 1937. 49 See A. DEL BocA, The Ethiopian War... cit., p. 249. 50 U.S. A ., THE NATIONAL ARCHIVES oF AMERICA, n. 468/174.


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Patriots from Shewa and Gojjam likewise on occasion visited Jibuti and Khartoum, and discussed the international situation with Ethiopian refugees in both towns. News from abroad was also received in létters from the emperor in England who sent his trusted representative Lorenzo Taezaz on an important mission to Gojjam where patriot supporters included two Italian ex-members of the International bri­ gade, Elio Barontini and Velio Spano, alias Paul Langrois, both of whom had fought in the Spanish civil war, and remained in the province until Aprii 1 940. Anti-fascist Italian pamphlets produced by Carlo Rosselli and his Giustizia e Libertà group in Paris were likewise despatched to Italian-occuped territory, and severa! Amharic editions of the anti-fascist periodica! " New Times and Ethiopia News", publi­ shed in England, also circulated clandestinely. Graziani's prescription for the continued state of " rebellion" in the last months of 1 937 was, as previously, one of politica! terror. He therefore telegraphed Lessona, on November 9, to declare that it was necessary to " lose every residue of sentimentalism toward Amharas and Shoans ", and to " eliminate them, eliminate them, eliminate them, as I have been preaching against the illusions of others since I assumed my office " st. Explaining a few weeks later that "rebellion" was rife "in various regions, especially those of Amhara and in a special manner in Shoa ", he warned his masters, on December 1 , of the danger of "foreign influence" which could increase their difficulties by giving " direct or indirect" help to the " rebels " 52• Graziani replaced by the duca d'Aosta Graziani was shortly afterwards dismissed, on December 26, and replaced by the duca d'Aosta, whose chief-of-staff, generai Ugo Caval­ lero, later admitted that at this time "large parts of the Shoa and Amhara territories were in rebellion ", that there were " secondary pockets of resistance" in the Galla-Sidama region in the South-West, 51 Ibid., 468/175, 178, 230, 233. 52 Ibid., 467/846.

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and that even in northern Tigré, then recently annexed to Eritrea, " a few bands of armed men of brigand-like character" had "made their appearance". " The people", he added, " gave full support to the rebels, either from conviction or convenience, and, many being armed, were ready, in the event of a clash, to swell the ranks of the combatants, who could in some districts reach the strength of severa! thousands ". Every " rebel group", he explained, had in addition a following of men without weapons who would pick up the arms of the fallen, and join fiercely in the exploitation of any success. Emphasising the constant difficulties createci by the patriots, he continued : "Although numerous guards for the protection of workshops and the more important places were posted along the roads which were being built, work on many stretches was often interrupted by attacks from rebel bands, and safe passage could only be assured by strong mobile escort"53• The duca d'Aosta was naturally much concerned at the situation in his new place of responsibility. Though at first apparently countenan­ cing the repressive policy of his predecessor54 he later modified what he saw as the latter's "excesses" by gradually reducing the extent of politica! terror - and by instituting trials instead of summary execu­ tions. Many prisoners were moreover subsequently released, and many deportees to Italy allowed to return home. Relaxation of repression failed, however, to eradicate all the ill-will engendered by Graziani's earlier policies. The patriot movement, mo­ reover, stili remained in the field, determined to fight on to the end. Patriots were operating in a wide stretch of the country - as is indeeed stated in a detailed communique on their activities issued by emperor Haile Sellassie in London at about this time (See Appendix III). Mussolini for his part was by this time seriously worried about the position in his supposedly long conquered empire. On January 8,

53 U. CAVALLERO, Gli avvenimenti militari nell'li!Ipero dal 12 gennaio 1938-XVI al gennaio 1939XVII, Addis Ababa, Ufficio centrale topocartografico, 1 939, p. 9. 54 LEAGUE OF NATIONS, O.flicial joumal, 1938, p. 550; ETHIOPIA, MINISTRY OF JUSTICE, Docu­ mmts on Italian. . . cit., II, p. 29. On the development of racism, which reached its apogee during the viceregency of the "liberal'' duca d'Aosta, see R. PANKHURST, Fascist Racial Policies in Ethiopia: 1922- 1941, in « Ethiopia Observer», 1969, 4, pp. 270-284; In., Lo sviluppo del razzistno nell'impero coloniale italiano (1935- 1941), in « Studi Piacentini», 1988, 3, pp. 1 75-197.


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1 938, his son-in-law wrote in his diary. "The rebels number 1 5,000. Our garrisons are besieged". Hopefully, however, he added : ''I� :will take two months and strong forces to suppress the movement"55._ Hopes for the speedy "pacification of the empire" were frequently voiced in Rome in this period. On May 26, for example, Gasparini, a former governar of Eritrea, expressed optimism about the possibility of "pacifying the empire within a relatively brief period", and three months later, on September 6, generai Cavallero was quoted as decla­ ring, also very hopefully, that he expected " to be able to liquidate the last centre of rebellion before Christmas "56, that is to say, Christamas 1 938 - but two more Christmases were to come and go without that objective being achieved. The thinking - and aspirations - of the patriots at this time can be illustrateci from letters they despatched to the emperor in London. One, dated July 1 2, 1 938, reported that the Italians in the North-West occupied Debra Tabor and Gondar in the province of Begemder, Lalibela and Waldia in that of Yejju, and Dessie and Worreillu in Wallo, but that, with the exception of these six places, "all the Italian garrisons that had taken up positions in these provinces have been destroyed by us. All that territory is in our hands ". The authors nevertheless recognised their inability to capture well-fortified Italian emplacements, for they explained : "During the season of the rains we tried to attack the enemy in their forts, but they were too well guarded with their artillery and machine-guns and the barbed wire which encircles them. . . For the moment what your humble servants need most of all are aeroplanes, also arms, as well as ammunition for the rifles we have captured from the enemy. Your people is not in want of soldiers ".

A similar theme was developed by Yohannes Iyasu, one of the sons of the former Ethiopian monarch Lij Iyasu 57, who claimed, on July 25, that

55 G. CIANo, Ciano's Dimy... cit., pp. 62, 141. 56 lbid. , pp. 121, 1 52. 57 The involvement of members of Lij Iyasu's family is particularly remarkable. Though

many Ethiopians hoped for - and indeed even prophecised - the return of emperor Haile Sellassie, it is significant that others crowned - and gave their allegiance to - sons of the

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the enemy's persecution had unified the Ethiopian people. The later, he wrote, were therefore "united with one heart in this war" and he ' added: "The Italians live in little forts surrounded by barbed wire entanglements. But they have not been able to conquer the country". A similar theme was taken up by three other patriot leaders, Mangasha Wossené, Abebe Aregay, and Zewde Abbacora, who wrote, on October 1 , rejecting the claim by the fascists to be in contro! of the country. " This is false", they declared. "Apart from those dwelling in the neighbourhood of her fortifications and roads, the Ethiopian people - from the low-lying plain to the high plateau - have not submitted to Italy. Por this reason human blood flows in a stream each day... We do not cease to shed our blood for the independence of our country, appealing for justice and hoping to obtain it from the League of nations "5s. Such claims were largely supported by George Steer, a sometime correspondent of "The Times " of London, who made careful investi­ gations, at Jibuti that summer, after which he informed the "Manchester Guardian" in August that the patriots of Gojjam had actually succeeded for a time in "mastering the whole of that province West and North-West of Debra Markos", though they had eventually been dispersed in May after heavy fighting. "Por the whole of this year, indeed from October last", he added, "the Italians have had to face really strenuous resistance in at least three parts of the territory - Gojjam, Ankober and Nonno". Until the previous month indeed two patriot leaders, Abebe Aregay and Takele Wolde Hawariat, had never been more than eighty miles from Addis Ababa. Rebutting fascist claims that these and other leaders were no more than "rebels" he declared that on the contrary they included, as was true, " men from the greatest and richest Amhara families, accustomed to a life of ease and comfort, who found guerrilla warfare all but intolerable, but go on fighting ". One could therefore, he concluded, "stili talk of a bitter resistance by leading Amharas" 59.

former uncrowned king, Lij Iyasu, who, notwithstanding their father's deposition and long imprisonment by Haile Sellassie, were notable in rallying to the patriotic cause of the arbei!)'Och. 58 «New Times and Ethlopia News», January 7, 1939. 59 Reproduced in «New Times and Ethlopia News», September 17, 1939. See also H.G.MARcus, Ethiopia 1939- 194 1. .. cit., passim ; SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Pa­ triots... cit., p. 88.


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Changing tactics ; waiting for the war in Europe Fascist optimism about speedily crushing the patriots was in fact a false optimism - because the patriots, who had no intention of surrendering, had by then changed their tactics. Most of the patriot leaders - as Graziani had reported in November of the previous year - were fully aware of the gathering international storm in Europe, where Hitler's expansionist moves seemed to make a world war inevitable, and were therefore conserving their strength - awaiting the forthcoming outbreak of hostilities in Europe. Such a conflict, they saw, could be expected to isolate the fascist forces in East Africa from those in Italy, as well as provide the patriots at last with allies, and badly needed foreign arms. The ever well-informed George Steer, describing this period, wrote that the patriots had " long since ceased to attack Italian forts " (which were in any case virtually impregnable), or to ambush large Italian columns on the main communication routes, but continued, however, to harass the enemy whenever they were weak. This policy was so effective, Steer claims, that the patriots in Gojjam alone were immo­ bilising four blackshirt battalions, sixteen colonia! battalions, two groups of banda, and many "irregular" banda units. The patriots were moreover also active in many other parts of the country, thus, Steer claims, keeping " large Italian forces busy", and " playing a sinister tune on Italian nerves" 60. Confirmation of patriot act1v1ty - and tactics - at this time was provided, in Aprii 1 939, by another British journalist, a correspondent of the London "Evening Standard", who met an unnamed patriot leader in Djibouti who said to him frankly : " We have learned to be cowards. Once upon a time we fought face to face with our enemies. Now we know the value of guerrilla warfare - we cali it coward's fighting. But that way we shall defeat the Italians ".

60 G.L. STEER, Sealed and Delivered, London, Hodder and S., 1 942, pp. 41, 67. See also SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Patrio/s.. . cit., p.67.

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Elaborating on these tactics he said, of the enemy : "Do they think we are fools? Do they think we shall throw ourselves against these modern fortified works . . . ? No. We shall wait until the Italians are hard-pressed in Europe or by guerrilla warfare. Then we shall surround their cities and camps; we shall harass them, but never attack them direct ; we shall cut their communica­ tions ; we shall starve them ".

It was in this way, the patriot claimed, that his men would " defeat the Italians " 61.

Continued patriot resistance The fact of the matter was that, despite earlier fascist optimism about rapid " pacification", the patriots were stili unbroken; and the authorities in Rome were fully aware of it. On New Year's day, 1939, Ciano noted in his diary that Mussolini was stili " very dissatisfied about the situation in East Africa", and, emphasising the seriousness of the situation, added : "Amhara is stili in a state of complete revolt", as a result of which 65 Italian battalions were " compelled to live in fortini" 62• Continued patriot resistance became increasingly important - and ominous for the position of fascist Italy in East Africa - as the outbreak of the European war approached, for the Italian fascist armies, seriously inconvenienced by the existence of the patriots, were in no position to wage an offensive war against the British and French in East Africa. This was indeed recognised by the duca d'Aosta, who, travelling to Rome in the Spring of 1 939, warned Mussolini, as his son-in-law wrote in his diary, on March 14 : " to avoid a conflict with France which would bring on the high seas the task of . pacifying our empire and j eopardise the conquest itself" 63

61 "New Times and Ethiopia News", Aprii 29, 1939. 62 The Ciano Diaries, 1939- 1943, Garden City, New York, Garden City Publishing, 1 974, p. 42. 63 Ibid. , p. 42. The duca d'Aosta on that occasion is said by Ciano to have expressed " optimism" about the situation in the empire - but, the diarist cynically added, was the " only person" arriving from there who did so!


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gave orders, on January 1 2, 1 939, that persons not killed in action or surprised in criminal acts " must not be subjected to summary treatment and executed", while at Barar generai Nasi, formerly a great protagonist of Graziani's harshest methods, sent out a circular on March 17 of the following year, "earnestly" recommenaling that "rebels surrendering in battle or captured in any other way should not be shot", but should instead "be transferred to prison camps". This was important, he explained, "in order not to push others to a desperate resistance who to-day have no further will to resist" - and such prisoners, he added, "might moreover supply precious forced labour"67• Orders were likewise given, by the viceroy himself on January 1 9, to stop the arbitrary seizure of cattle in the course of police operations68• Efforts to woo ras Abebe Aregay were, remarkably, also again resumed 69; but once more proved abortive 70• The ras, like other patriot leaders, was well aware of the potential implications for them of Mussolini's impending involvement in the European conflict and, having fought alone for so long in time of difficulty, had no intention at this last stage of being cheated of victory. Another Italian functionary perturbed by the extent of patriot activity, on the eve of Italy's participation in the European war, was Bonaccorsi, head of the fascist blackshirts in Ethiopia, who wrote in May, 1 940, almost prophetically, that :

The duce, very wisely from his point of view, in fact refrained from entering the European conflict at its outset in September 1939 _ - and defined his position instead as one of " pre-belligerency". If h_e had entered the war while the French were still fighting - and estabh­ shed in their French Somali protectorate (where they had informai contacts with some of patriots 64) - the fascist position in much of the empire would, as the duca d'Aosta saw, have become almost u_ntenable. The final hour of reckoning was, however, fast approachmg. One of those most aware of this was generai Nasi who reported in January 1 940 that Shewa was still "very sick", as evident not only from the large number of fire-arms in the possession of the "rebels ", but also form what he called the generai " confusion of spirit" - a euphemism for discontent, which, he declared, "we are only now able to estimate in its intensity". A month or so later he reiterated that the province was "characterised by a profound disturbance of spiri t" - another euphemism for opposition, which, he significantly noted, was " kept alive, essentially, by uncertainty as to the European situation", and, encouraged by "insidious propaganda", and resulted in a " painful quest for rifles and cartridges" 65• The duca d'Aosta was no less alarmed at the probability, in the t event of Italy's entry into the European war, of an upsurge of patrio or, activity. On a visit to Rome in the Spring of 1 940, he told the dictat as Ciano noted on April 6, that :

"Throughout the Empire there is a state of latent rebellion which will bave its fmal and tragic dénouement when war breaks out with our enemies. If at any point whatever of our Empire a detachment of English or Frenchmen were to enter with

" It is not only extremely problematical that we can maintain our present positions, because the French and English are already equipped and ready for action, but the population, among whom rebellion is stili alive, would revolt, as soon as they got . any inkling of our difficulties " 66

67 ETHIOPIA, MINISTRY OF J u sncE, Doc111nents on Ita!iatJ. . . cit., I, pp. 13-14. 68 Ibid., I, 24-25, 58. 69 GOVERNO GENERALE DELL'A.Q.J., DIREZIONE SUPERIORE AFFARI POLITICI, Rtiolo dei capi e nobili, Addis Ababa, unpublished typescript, 1941, p. 43; SALOME GEBRE EGZIABHER, The Ethiopian Patriots. .. cit., pp. 74-75; A. LESSONA, JìtfeJJJOrie, cit., p. 343; T.E. KoNOVALOV, Hist01y of Ethiopia M.S. in the Hoover Institution Library, p. 357. 70 A Sicilian male nurse, Saverio Sbriglio from Catania, who served as physician to the

The situation was indeed so criticai that the old policy of political terror was fmally abandoned. At Woliso for example generai Mattini 64 Y. J omN, La participation jranfaise à la résistance éthiopienne, 1936- 1940, in pp. 1 57-158. Historique de l'Armée », 1963, 4, La France dans l'Océan Indien, Azienda speciale politica, e Relazion 65 GovERNO DELLO ScioA, DIREZIONE AFFARI POLITICI, p. 1 . 940, 1 febbraio ; 2 p. 1941, gennaio tipografica del Governo generale A.O.I.,

«Revue

patriots of Shewa later recalled with pride the way in which ras Ababe had tricked their fascist adversaries during the negotiations - and observed that the Ethiopians, whose cause he had fully espoused, in this manner abtained not only time but ali sorts of supplies, and he added, with a chuckle, that they had thus taken "tanta roba con la politica (... ) abbiam preso tanta roba", see R. PANKHURST, He joined the Patriots: Profile ofan Italian, in « Quarterly Yekatit», 1988, 4, pp. 29-31.

66 The Ciano Diaries .. . cit., 232.

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banner unfurled they would need little or no troops far they would fmd the vast mass of the Abyssinian population would unite themselves to that flag to �ombat and eject our forces" 71 .

have been able to do so indefinitely. Were it not for the duce's entry into the European conflict the liberation of Ethiopia would almost certainly have been long deferred - far the European allies, who had no very serious interest other than in the struggle against nazi Ger­ many - would doubtless have allowed Mussolini to remain in power in Italy (like Franco in Spain) for many a year to come. The significance of Mussolini's decision to enter the European war was indeed not lost on many Italians in Ethiopia, who saw it as a supreme act of folly. One of them, referred to in the literature as Pierotti, an airman in Jimma, later recalled his reaction, and that of his friends, to the opening of military operations against the British, saying :

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The spirit of the time was also captured by Theodore Konovalov, a Rusian émigré then resident in Addis Ababa, who relates that it was widely believed that in the event of Italy's entry into the European war there would be " a generai uprising of the local people". In support of this he quotes an old Ethiopian priest of his acquaintance as saying to him: " As the grass can sprout during the night after a good rain, so the people of Ethiopia will rise as one man on the first favourable occasion" 72•

That long-awaited occasion carne in June 1 940. Mussolini's entry into the European war June 1 940 was the eventful month for which the patriots had waited for so long. The Germans were then victoriously overrunning France. Mussolini, unwilling to remain " pre-bellegerent" any longer, declared war on Britain and France on June 1 0 - and thus brought about the crisis in his empire against which the duca d'Aosta and others had long been warning him. The declaration of war led, directly and inevitably, to not inconsiderable British support for the patriots, and within little more than seven months to the beginning of a powerful Allied military advance into their country. It is a paradox of history that Italy's entry into the European conflict which led to the collapse of the fascist empire in Africa, was the personal responsibility of the Italian dictator, the founder of fascism - and of the fascist empire - himself. Without his declaration of war on Britain and France there is no telling how long the patriots would have had to fight on alone, or indeed whether they would 7 1 E. RosENTHAL, The Fall of Italian East Africa, London, Hutchinson, 1 942, p. 8 1 . 7 2 T.E. KoNOVALOV, Histoty oj Ethiopia. . . dt., pp. 359, �"i2, 365.

"But why this? Bere there is so much to do (...) without the war. The pacification of the territory is not at all finished ; in Gojjam there are still fires of revolt ( . . ) We have so much to do in the Empire and now we must fight also against an external enemy! " .

And one of his friends commented : "Mussolini has never been in Italian East Africa, he has not seen what the empire is ; otherwise this war would never have been made". The duce, by entering the Euro­ pean war, Pierotti argue d, had thus risked " destroying everything that had been accomplished in the empire" 73. And so he did, for the patriots, who had fought alone for four long years, at last had allies - in the shape of the British who now gave them important, though limited - and belateci - moral and military support. The patriots and their British allies The alliance between the patriots and the British and other allies was crucially important for both sides. The patriots at last received, from the British, fire-arms which they greatly needed, as well as the

73 F. PIEROTTI, Vita in Etiopia 1940- 1941, Bologna, Cappelli, 1959, pp. 52-54. See also A. BRUTTINI, Il panno rosso alla porta del 111Ctll, La Spezia, Milanesi, 1959, pp. 279-295.


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diverting of fascist attention to three crucially important" new fronts, in the West (towards the Anglo-Egyptian Sudan), the South (to'-':ards Kenya) and the East (towards British Somaliland). The patriots was of no less value to the British. The fascist for�es in East Africa were then threatening the three neighbouring British colonies or dependencies (Kenya, British Somaliland and the Sudan), endangering allied shipping along the all-important Red Sea route to and from India, and could be expected, with their compatriots in Libya, to attempt a pincer attack against the British position in Egypt and the Sudan. The elimination of Italian power in East Africa was thus a high priority of British imperia! strategy - and one which, for practical purposes, could be achieved only through cooperation with the patriots whose existence, as generai Orde Wingate argued at this time, threatened the fascist empire from within 74•

How far the patriots contributed to the final outcome of the fighting in East Africa in 1 940-41 is, inevitably, a matter of debate76• British war reporting and propaganda at the time claimed the victory almost exclusively for British imperia! troops, and more generally for the regular allied armies. The author of The A lryssinian Campaigns, an official British wartime publication - though primarily concerned to demonstrate the military achievements of the British - nevertheless admits that " at the crux of the campaign, when the Italians needed every man in the firing lines at Keren and Barar (and when they did indeed transfer the equivalent of 75 battalions to these fronts), the existence or the danger of an Abyssinian rising tied down the equiva­ lent of 56 battalions in the Amhara and Walkait areas " 77• Mrs. Chri­ stine Sandford, wife of brigadier Dan Sandford, the British officer who first made effective contact with the patriots in 1 940, stated the case somewhat stronger when she wrote that the part played by the patriots in Gojjam and elsewhere " must not be underrated", for " it was they who laid the train and set light to the fuse which led to the generai explosion" 78• George Steer, who followed the Ethiopian situation closely, was more explicit. "In the wide area of insurrection ( . . . ) from Om Hager on the Sudan frontier to Addis Ababa", he observed, " fifty-six enemy battalions had been pinned down ( ... ) including twenty-six Italian backshirt battalions . . . The main concentrations (. . . ) were in the princi­ pal centres of revolt, Gojjam and Begemder ( . . . ) In the first of these there were sixteen native and four blackshirt battalions ; in the second two native and twelve blackshirt battalions ". The patriots, he argues, thus " netted fifty-six enemy battalion that might have been used against our regular troops. They were of incalculable value to our war effort (. . . ) Britain would not have wound up the Ethiopian campaign and freed her vital communications as early as she did if it

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The liberation campa1gn and after The liberation campaign, in which the patriots, the British and other allies - among them the Belgians and the "free French", all participated, was duly launched on January 1 9 and 20, 1 941 ; and was so successful that the fascist army in Addis Ababa was to surrender less than three months later, on Aprii 6 75• That the drive on Addis Ababa by the allied forces in 1941 took less half the time it had required Mussolini's invading armies, with all their military superiority on land and in the air, to reach the Ethiopian capitai only five years earlier, was due in significant measure to the patriots whose long struggle had immobilised - and continued to immobilise - large sections of the Italian fascist army, and moreover helped to undermine its will and ability to resist.

74 C. SYKES, Orde Wingate, London, Collins, 1959, pp. 236-257 ; O. WINGATE, Appreciation of the Ethiopian Campaign, in « Ethiopia Observer», 1 973, 1 5, pp. 204-226. 75 Reference should perhaps be made to one of the more recent works on British operations in Italian East Africa : M. GLOVER, An ItJ1provised War. The Ethiopian Campaign 1940- 194 1, London-New York, Hippocrene Books, 1987.

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76 On this see L. MosLEY, Gideon Goes to War, London, Hamilton, 1957, pp. 104-105. 77 GREAT BRITAIN, HMSO, The A b)'Ssinian Campaigns, London, Ministry of Information,

1 942, p. 13. See also a different appreciation of the patriot contribution to the victory in «New Times and Ethiopia News», January 17, 1942. 78 C. SANDFORD, Ethiopia tmder Haile Selassie, London, Dent, 1946, p. 106.


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had no t been for the Ethiopian patriot movement; 66 : 71 1s no t an unfair division of the credit to the two parties "79. . Captain W.E. Allen, a British officer who fought in company with the patriots, took a similar view. " The effect of the guerrillas' astoni­ shing successes ", he claims, "was to shorten the whole war in Ethio­ pia", and to " make impossible the formation of a new Italian front West of the Blue Nile". Even more significantly, he added : " had the guerrillas had available mountain artillery and bomber support it is likely that they might have disintegrateci the Italian defence and have reached Addis Ababa before the regular forces "80• The patriots, it should be emphasised, in fact never attained their full potential, for the British, as an imperia! power with colonies in Africa, deliberately kept them in check by supplying them with only restricted quantities of only second-class fire-arms. Moreover, when it appeared that the emperor's patriot army might reach Addis Ababa in advance of the South African forces, the British Royal Air Force deliberately withdrew the aerial support earlier provided to it. L. Mosley, an historian of the time archly comments : "The capture of the black man's kingdom was to be a white man's job"Sl. There are of course many "ifs " in history - like that, of the veteran Italian colonia! official, Raffaele di Lauro, who, looking at the problem in global terms - and putting the blame of final defeat on German shoulders - observed : "If Hitler had ordered the forces ot the third Reich, Army, Navy and Air force to aim at London rather than Paris ' the Italian troops in East Africa would in 1 940 have forced Khartoum and Nairobi into that surrender which the British generals in 1 941 imposed on Asmara, Addis Ababa and Jimma" sz.

79 G.L. STEER, Sealed and Delivered... cit., pp. 1 58-159, 162. 80 W.E.D. ALJ.EN, Guerrilla War in A byssinia, New York, Harmondsworth, 1943, p. 39. For accounts of the fighting of this period - and patriot involvement - see also E. CANEVARI, La guerra italiana, Roma, Tosi, 1948-1949, voli. 2; R. DI LAuRo, Co1ne abbiamo difeso l'Impero, Roma, L'Arnia, 1949; R. PANKHURST, The Ethiopian Patriots and the Collapse oj Ita/ian Ru/e in East Africa, 1940- 194 1, in « Ethiopia Observer», 1 969, 12, pp. 92-127. 81 L. MosLEY, Gideon Goes... cit., pp. 104-105. 82 R. DI LAuRo, Co1ne abbiamo difeso ... cit., p. 93.

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Be that as it may, the patriots, whose full history has stili to be written, never received the recognition they deserved for their four-year Ione struggle against superior arms, aircraft and poison-gas, or, after June 1 940, for their cooperation, with the British, in the Allied war effort. The restored government, led by the emperor and others who during the occupation had gone into exile, found places in the new administration - for reasons of statecraft and nation-building - for former banda as well as for arbenyoch, and, turning its attention to post-war reconstruction, gave only limited encouragement to patriot historiography. On the British side the patriots, despite Wingate's insistence that they be accorded the name of patriots (rather than, as at first, merely " rebels " against the Italians) were treated as only auxiliary, or second-class, troops. The British, because of their colonia! interests, were moreover unwilling to allow Ethiopian soldiers of any kind to participate in other theatres of war - for the liberation of North Africa, Europe or elsewhere. It was no less symptomatic that though the major allies, for reasons of their own, chose to stage highly publicised international trials of Germans and Japanese accused of war crimes, Ethiopia (and Yugoslavia) pleaded in vain that Italian fascists should be brought to similar justice. Not one Italian fascist was tried for crimes in East Africa (or indeed Libya). The deeds of Graziani, Badoglio, Nasi and others in Ethiopia - including the fascist use of poison-gas, were not considered on a par with those of Musso­ lini's erstwhile German and Japanese allies. Virtually the only fascist brought to justice was the dictator himself, executed by the Italian partisans, and it is in this connection of interest to note that Zewdie Haile Mariam, the son of Haile Mariam Mammo, the afore-mentioned first patriot of Shoa, recently proposed the erection, in Addis Ababa, of a statue to Walter Audisio, the partisan responsible for that act.


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derable growth in the numbers of patriots resisting the occupation. The period may be said to have come to an end with fascist realisation of the extent of Italy's financial difficulties, as a result of which Mussolini gave orders, on July 10, for the slashing of expenditure on the empire. APPENDIX I. PERIODISATION

The invasion and occupation of Ethiopia - and the rise of the patriots - can be divided into ten fairly distinct phases : 1) A period of less than six weeks during which the Italian army, under the command of De Bono, crossed the frontier from Eritrea, though without any declaration of war, on October 3, 1 935, and advanced haltingly into Tigré as far as Maqale, after which De Bono was dismissed on November 1 7. 2) A six-month period, beginning towards the end of November, during which Badoglio advanced relatively quickly from Tigré into Wollo, overcame the emperor's armies, with the help of poison gas, in March and Aprii 1 936, and occupied Addis Ababa on May 5, after which Mussolini proclaimed the establishment of the fascist empire on May 9. Badoglio was appointed the first Italian viceroy of Ethiopia, but, planning to establish a type of "indirect rule ", and having no conception of fascist ideas of government, returned to Italy little over a fortnight later, and was replaced by Graziani. 3) A nine-month period, beginning in May 1 936, during the first part of which Graziani held on to Addis Ababa throughout the rainy season, a precarious time in which he likened his position to that of generai Gordon at Khartoum two genera­ tions earlier. Subsequently, at the end of the rains, he proceeded to defeat - and in most cases execute - the principal pre-war Ethiopian leaders stili in the field, and extended the fascist occupation to the southern and western provinces. During this period he laid the foundations of the empire in most of its respects, and, on the express orders of Mussolini and Lessona, the then minister of Italian Africa, instituted a "policy of terror", but carne into serious conflict with the latter functionary. 4) A four-month period, beginning with the attempt on Graziani's life on February 1 937, during which repression was greatly intensified. This period witnessed the three-day " Graziani massacre" of February 1 9 to 2 1 , in which thousand of Ethiopians were killed, as well as the later execution of " sooth-sayers and wizards", principally in March, and the killing in May of monks and deacons at the monastery of Debra Libanos. Such repression destroyed the possibility, for the time being at least, of meaningful negotiations between invaders and invaded, and led to a consi-

5) A further five months of rule by Graziani, from early July onwards, during which the repression continued, and the government in Rome became increasingly perturbed by evidence of growing patriot resistance. This period saw a speech by Graziani at Asmara, on September 26, admitting the near economie bankruptcy of the empire, and ended with the viceroy's dismissal on November 15, and the almost simultaneous fall from power of Lessona who was replaced by another prominent fascist, Teruzzi. 6) A twenty-one-month period from Graziani's replacement by the duca d'Aosta late in November 1 937 to the outbreak of the European war of September 3, 1 939. During this period the new and reputedly enlightened viceroy attempted to correct, as he saw it, the worst of his predecessor's mistakes by reducing politica] terror and by instituting trials instead of summary executions for suspected politica] offenders. Many prisoners were also allowed home from Italy. The viceroy was, however, obliged to increase racial discrimination on direct orders from Rome. His efforts at pacification failed to break patriot resistance, which, he warned, would constitute a serious threat to the empire if and when it became embroiled in external conflict. During this period the economy, with reduced support from Italy, began to decline, and there were reports of increased administrative inefficiency. 7) A nine-month period, beginning with the outbreak of the European war early in September 1 939, when development plans were abandoned, emphasis being placed instead on considerations of autarchy in expectation of Mussolini's imminent entry into the European conflict. In this period the patriots largely bided their time, in the hope of obtaining allies - and arms - in the not too distant future. 8) A seven-month period, beginning with Mussolini's declaration of war on Britain and France on June 10, 1 940, which isolated Italian forces in East Africa from metropolitan Italy. Troops in the empire were soon largely paralysed by an upsurge of patriot activity, as well as by fears of an Allied offensive which began in the latter part of January 1 941 . 9) A three-month period of fascist resistance, beginning late in January, when British forces attacked almost simultaneously from the Sudan and Kenya, and received escalating support from the patriots, particularly in Begemder, Gojjam and Shewa. This period, which witnessed the collapse of fascist rule in many parts of the empire, culminateci in the fall of Addis Ababa on Aprii 6. 1 0) An eight-month " mopping up " period during which the remaining parts of the fast-disintegrating empire were conquered by allied and patriot forces. This period witnessed the emperor's return to Addis Ababa on May 5, the duca d'Aosta's surrender at Amba Alagi on May 18, and the final surrender, at Gondar, on November 27.


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II. GRAZIANI MASSACRE The "Graziani massacre" of 1 937 had such a major impact on the patriot move­ ment - and on Ethiopian public opinion in generai - that it may be useful to quote from two out of many eye-witness accounts later recorded and officially published by the Ethiopian government. The first, by dejazmatch Rosario Gilazgi, an Eritrean archivist, who was in the Italian viceroy's palace on the fateful day, records : "I heard shooting, cars going herç and there, people running, machine - gunning, it was a big disorder - Ethiopians running from Italians, Italians running from Ethiopians. The Italians apparently suspected that rebels had got into the city. It had been said before that ras Desta would menace the city and that the Ethiopian patriots would come and kill every Italian". Rosario goes on to recall that he went with two Italians to the fascist headquarters where they met party secretary, Guido Cortese, and "a good number" of other fascists, to whom the latter declared : "Comrades, today is the day when we should show our devotion to our viceroy by reacting and destroying Ethiopians for three days. For three days I give you carta bianca to destroy and do what you want to Ethiopians". "They went out", Rosario continues, "well equipped with their arms, and started their work. People who were not arrested by the carabinieri and were found in their houses or in the streets were killed ( ...) I saw with my own eyes burning houses ( ...) I saw young boys coming out from burning houses, but the Italians pushed them back into the fire ( ... ) The next day, Saturday, the Italians were stili burning small houses. On the bigger houses they wrote their names to keep them for themselves. They broke down the doors and went in looting. They could not fmd a single man to kill; the ones who were not killed had been arrested or had run away ( ... ) At about 6.30 p.m. on Saturday we saw the flames from the petrol when they tried to set fire to St. George's cathedral. The windows broke from the beat, but the building resisted" 83. The second eye-witness account, by Edouard Garabedian, an Armenian merchant, relates that on the first day of the massacre he heard a number of Italians "saying they were waiting orders for reprisals ", and continues : "at about five o'clock, I saw them with my own eyes, beating every Ethiopian they could find. These Italians were civilians. They were using what they could find, as cudgels, etc ( ...) I earnt from some of the Italians that they had received orders to burn different Ethiopian quarters. They were burning houses during the whole night ( ... ) Next morning I heard that many Ethiopians had been killed during the night when the Italians burnt their houses. The following day I started to go to work at 9 o'clock, but there was a great panic and Ethiopians were running from

83 ETHIOPIA, MrNISTRY OF JusTICE, Documents

011

Italian.

.

. cit., II, pp.

6-7.

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everywhere without self-control. The Italian blackshirts were pursuing them and beating them. That day I did not go out from my house; but from there I heard much shooting and I saw burning houses ali around. On the third day I went to my shop. This time there were no Ethiopians in the streets, but many Italians were circulating. I heard many of them saying that they had burnt such and such places and that they had murdered so many Ethiopians" 84.

III. THE EMPEROR'S ASSESSMENT OF PATRIOT ACTIVITY IN THE EARLY SUMMER OF 1 938 Emperor Haile Sellassie, on May 7, 1 938, issued an important communique on the extent of patriot activities throughout the empire. This revealing document included the following passages : NoRTH

ANO

NoRTH-WEST

During last autumn, and throughout recent months, there has been energetic opposition to the Italian occupation, which sometimes developed into fighting on a considerable scale. There have been revolts in the provinces of Tembien and Sokota under dejaz Hailu Kabbada and further to the North-East in Tigré under the daring dejazmatch Gabre Hewot. In the provinces Begemder and Lasta there has been almost continuous fighting, resulting in the destruction of Italian posts and the capture of supply columns ( . ) " Reports have ( ... ) been received that fierce engagements are taking place at different points of the Ethiopian territory. Even in Tigré, the province bordering Eritrea, Italian troops control only the towns and villages where they have garrisons. The rest of the province is outside their control. In the province of Begemder there are only two garrisons, at Debra Tabor and Gondar, and these are isolated and have to be supplied by air. ..

.

WEST

Gojjam province has violently broken its benevolent neutrality towards the invading army ( ...) By way of reprisals, from thirty to forty aeroplanes leave Addis Ababa every day to go and bombarci the towns and villages of the vast province, which was completely freed from Italian troops. In the Wollega region and more particularly in the districts of Chelleag, Gaido, Gouder and to the neighbourhood of Ambo, to the South-West of the capitai, the

84 lbid. ,

II, pp.

8-9.


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Ethiopians remain masters of the situation. The two garrisons in the province of Wollega (. . . ) cannot contro! the extensive hills and fertile country beyond " their immediate neighbourhood. CENTRE

In the province of Shoa there have been revolts under dejaz Fikre Mariam. The railway to Jibuti has frequently been attacked. Ethiopian armed troops are frequently raiding the main roads leading from Addis Ababa to the North and West ... The Ethiopians are gaining ground and there is a marked hardening in their resistance. Great aerial activity continues but is not having much effect. SouTH AND SouTH-WEST

In the whole of this vast area of about 1 00,000 square kilometres there are Italian garrisons only on five towns, namely : Djiren, Yirga-Alem, Mega, Goba and Ginir. Ali other parts of the territory had to be abandoned owing to pressure of various guerrilla bands ( ...) In the provinces of Gurafarda, Gimirra and Kaffa many Italians have been forced to withdraw and the roads are unsafe. SouTH-EAsT

Reports received in recent months show that there have been numerous concen­ trations of armed Ethiopians which have attacked Italian convoys on the road through Harrar to Jigjiga . ..

ELENA AGA ROSSI

Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e amerzcana durante la seconda guerra mondiale

La storiografia sulla politica dei governi inglese e americano nei confronti delle colonie italiane durante il secondo conflitto mondiale non è certo molto ampia. Gli storici italiani hanno generalmente trascurato il quadro internazionale nel quale si collocava la questione coloniale italiana, ed è per questo che il dibattito sviluppatosi nel campo delle potenze alleate sul destino delle colonie italiane ha susci­ tato poco interesse1, nonostante che ormai sia possibile ricostruire l'evoluzione delle posizioni politiche dei due governi alleati attraverso un'ampia documentazione archivistica inglese e americana. Un'analisi anche sommaria dell'argomento non può prescindere da una premessa che parta dall'atteggiamento dei governi inglese e ame­ ricano nei confronti del problema delle colonie e della decolonizzazione

EAST "The Italians exercise no contro! whatever over the provinces Danakil and Aussa". The statement went on to observe that "the resistance of the population" was "more intensive, united and effective" than at any cime since the auturnnof 1 936, and that there was "every reason to believe" that armed resistance would be intensified during the ensuing rainy season when the Italian air force could "not be effectively employed ( ...) The present situation in Ethiopia", the communique concluded, "will be appreciated if it is realised that over at least three-quarters of the country the Italian authorities have no military contro! beyond an area varying from roughly 1 0 to about 30 miles radius around the larger towns. In fact, over at least half the country there is no military contro!, the military posts only maintaining their existence through fortifications, and the troops being unable to venture to a distance or to penetrate the hilly or mountainous regions" 85.

85

«New Times and Ethiopia News», May

1 4 , 1938.

* Per lo svolgimmto della ricerca per questo saggio, che si inserisce in un lavoro più ampio sm rapporti tra Italia e Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, ho potuto usufruire di un contributo del CNR per recartni presso il Center for European Studies di Stanford. 1 Nell'introduzione al suo libro L'alleato nemico. La politica dell'occupazione anglo-americana in Italia 1943-1946, Milano, Feltrinelli, 1977, che si occupa specificamente dei rapporti tra l'Italia

e gli alleati durante la guerra, David Ellwood dichiara di non avere affrontato le questioni territoriali e delle colonie. Lo stesso si può dire per il volume di ]. E. Mn.LER, The United States and Ita!J 1940- 1950, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1986. L'unica eccezione è costituita dal volume di G.-L. Rossi, L'Africa italiana verso findipendmza 1941- 1949, Milano, Giuffrè, 1980, preciso ed esauriente, soprattutto per la parte inglese. Utile, anche se datata, la tesi di dottorato di G. BECKER, The Dispositiotl oJ the Italian Colonies, Genève, Imprimerie Granchamp, 1 952, e S. LACCETTI, The Dissolution oj the Italian Empire After lf7orld lf7ar II, Ph. D. diss., Columbia University, 1967. Per una chiara sintesi della posizione delle grandi potenze si veda G. CALCHI NoVATI, La sistemazione delle colonie italiane dell'Africa orientale e i condizionamenti della guerra fredda, in Le guerre coloniali delfascismo, a cura di A. DEL BocA, Bari, Laterza 1 991, pp. 519-!?48. Per l'Etiopia si veda H G. MARcus, Ethiopia, Great Britain and the United States 1941- 1974. The Politics oj Empire, Berkeley-Las Angeles-London, University of California Press, 1982.


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in generale. Su tale tema si può constatare negli ultimi ann1 un rinnovato interesse da parte della storiografia, soprattutto anglosassone, che ha approfondito il collegamento tra il problema coloniale e i nuovi assetti dell'equilibrio internazionale, legato all'emergere, alla fine della seconda guerra mondiale, di due superpotenze « anticolonialiste», Stati Uniti e Unione Sovietica, e al parallelo declino dell'impero inglese2• Due dunque risultano gli aspetti del problema da approfondire : 1 . l'atteggiamento dei governi inglese e americano sul problema delle colonie e della decolonizzazione in generale; 2. l'atteggiamento dei governi inglese e americano sul problema delle colonie italiane. Su entrambe le questioni i due governi partivano da posizioni molto diverse. Anche se un autorevole studioso americano ha affermato che sul problema coloniale «le differenze tra posizioni americane e inglesi erano modeste, e spesso soltanto di facciata»3, si può invece sostenere che sulla questione colonialismo-decolonizzazione i rispettivi punti di partenza furono totalmente divergenti, e che ciò rifletteva una sostanziale disparità di vedute sugli obiettivi della guerra e sul tipo di ordine mondiale da instaurare alla conclusione del conflitto. Questi contrasti furono raramente resi pubblici ma furono oggetto di studi e di prese di posizione all'interno delle rispettive amministrazioni per tutto il corso della guerra, provocando tensioni continue tra i due governi. Gli americani accusarono gli inglesi di voler salvaguardare gli interessi dell'impero britannico al di là di ogni altro obiettivo, e mantennero

2 Wm. R. Loms, ImperialistJJ at Bt!J. The United States and the Decolonization of the British E1npire, 194 1- 1945, New York, O.U.P., 1978; W. R. Lours - H. Bun (a cura di), The <<Special Relationship)). A nglo-American Re!ations Since 1945, Oxford, O. U.P., 1986; A. N. PoRTER - A. ]. STOCKWELL, British Imperia! Policy and Decolonization 1938- 1964, voli. 2, London, Macmillan, 1 987-89; The Transfer of Power in Africa. Decolonization 1940- 1960, a cura di P. GIFFORD e Wm. R. Loms, New Haven-London, Yale University Press, 1 982; D.C. WATT, Succeding fohn Bu/1. America in Britain Piace, 1900- 1975, Cambridge, C.U.P., 1 984. Da vedere anche M. E. CHAMBERLAIN, Decolonization. The Fa/l of the European Empires, London-Oxford, Blackwell, 1985, pp. 60-7 1 ; ].D. HARGREAVES, Decolonization in Africa, London, Longman, 1 988; R. F. HoLLAND, European Decolonization 1918-198 1 : An Introduction S11rvry, London, Macmillan, 1985. 3 Churchill and Roosevelt, The Complete Correspondence, a cura di W. F. KIMBALL, III, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1 984, p. 325.

Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella II guerra tJJondiale 773

quindi un atteggiamento di diffidenza nei confronti delle iniziative inglesi, sia nel campo militare che in quello politico. Gli inglesi, da parte loro, assunsero una posizione difensiva, consci non solo di dover fare a meno dell'appoggio americano al mantenimento del proprio impero coloniale, ma di dover anzi contrastare una latente e continua opposizione4• L'obiettivo di por fine al dominio coloniale delle potenze europee costituiva un principio ideologico per una ex colonia come gli Stati Uniti, dove il sentimento anticolonialista era radicato nella opinione pubblica e nella tradizione storica. Obiettivo pienamente coincidente con gli interessi economici degli Stati Uniti, che vedevano nell'apertura dei mercati e nella fine dei sistemi preferenziali di commercio l'opportunità di un migliore sfruttamento del proprio potenziale di espansione economica. Le discussioni che precedettero la formulazione della Carta atlantica evidenziarono per la prima volta le divergenze tra Stati Uniti e Gran Bretagna su tali problemi e il peso che ad essi attribuiva Roosevelt. Fu infatti il presidente americano ad affrontare la questione coloniale nel suo primo incontro con Churchill ad Argentia, nell'agosto 1 941, che si concluse appunto con la dichiarazione comune della Carta atlantica. Alla pressante richiesta di Churchill che gli Stati Uniti entrassero subito in guerra a fianco della Gran Bretagna senza aspettare di venire attaccati, Roosevelt contrappose l'esigenza di un impegno da parte del governo inglese perché alla fine del conflitto si arrivasse all'abolizione delle barriere doganali e ad una totale liberalizzazione del commercio attra­ verso la liquidazione degli imperi coloniali5• Nonostante le resistenze di Churchill, il testo definitivo espresse il punto di vista americano più di quello inglese, là dove affermava di voler «rispettare il diritto di tutti 4 Gli inglesi furono molto attenti a non rafforzare i sospetti degli americani sulle loro intenzioni. Ad esempio l'amministrazione dei territori africani occupati dalle loro truppe non fu affidata al Colonia/ office, ma al War office, per evitare l'accusa di volerli annettere come colonie inglesi. Sull'amministrazione britannica in Africa si veda RENNELL OF RoDD, British Military A dnlinistration of Dependent Territories in Africa during the Years 1941- 1947, London, H.M.S.O., 1 948. 5 Per una vivace descrizione della contrapposizione tra i due leaders ad Argentia si vedano i ricordi del figlio di Roosevelt, E. RoosEVELT, A s He Smv It, New York, 1946, pp. 35 e seguenti. Sulla genesi della Carta atlantica si veda S. DuELL - SLOAN AND PmRCE WEJ.LES, Where A re we Heading?, New York-London, Harper, 1946, trad. it. Dove andiamo a finit·e?, Milano, Garzanti, 1947. Welles fu l'estensore del testo americano.


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i popoli a scegliere la forma di governo sotto la quale intendessero vivere». Fin dall'indomani della promulgazione del documento gli- inglesi ne dettero un'interpretazione restrittiva, sostenendo che esso si riferiva soltanto ai territori europei e non andava esteso alle colonie6 . Gli Stati Uniti, fin dall'inizio della guerra, si dichiararono a favore dell'attuazione di un sistema più ampio possibile di amministrazione fiduciaria internazionale (trusteeship) per le colonie, come strumento per raggiungere una graduale decolonizzazione fino all'acquisizione dell'indipendenza per tutti i territori coloniali. Il sottosegretario di Stato, amico e influente consigliere di Roosevelt, Sumner Welles, espresse la posizione americana nel 1 942, dichiarando «l'età dell'imperialismo è finita». La convinzione che tutte le colonie dovessero passare in tempi brevi all'autogoverno e all'indipendenza era pienamente condivisa da Roosevelt e dalla sua amministrazione. In una dichiarazione del luglio 1942 il segretario di Stato, Cordell Hull, dichiarò : « Siamo sempre stati convinti, e lo siamo tuttora, che tutti i popoli, ssenza distinzione di razza, colore, o religione, in grado e desiderosi di accettare la responsabilità della libertà, abbiano diritto di goderla. Abbiamo sempre cercato, e cerchiamo oggi, di incoraggiare e aiutare tutti coloro che aspirano alla libertà ad affermare i loro diritti preparandosi ad assumere le loro responsabilità ( ... ). È stato un nostro obiettivo nel passato - e rimarrà un nostro obiettivo nel futuro - di utilizzare pienamente la nostra influenza per appoggiare lal conquista della libertà di tutti i popoli che con le loro azioni si mostrano degni e preparati a riceverla»7• È evidente la portata rivoluzionaria di queste e altre simili dichiara­ zioni, che dettero una grande spinta al movimento di decolonizzazione e determinarono una pressione costante nei confronti della Gran Breta­ gna e della Francia. L'opposizione americana a favorire, anche indiret­ tamente, gli obiettivi «imperiali» inglesi fu così generalizzata nell'aromi-

6 Si veda la dichiarazione di Churchill alla Camera dei comuni riprodotta in A.N. PoRTER A. J. STOCKWELL, British Imperia/ Policy... cit., I, p. 1 03. 7 Citato in H. NoTTER, Posflvar Foreign Policy Preparations 1939- 1945, Washington, Depar­ tment of State, 1 949, p. 109. Notter era un funzionario del Dipartimento di Stato americano che svolse le funzioni di segretario nel comitato per lo studio dei problemi del dopoguerra. L'ampio fondo archivistico dei National A rchives che porta il suo nome è una miniera di informazioni sui progetti del Dipartimento di Stato per il dopoguerra.

Il jut11ro delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella II g11erra mondiale 775

nistrazione Roosevelt da condizionare anche la strategia dei comandi militari americani, e fu proclamata pubblicamente più volte. È indicativo della diffusione di tale atteggiamento il fatto che nell'ottobre del 1 942 una rivista ad alta tiratura come «Life» pubblicasse una Lettera aperta al popolo inglese, nella quale si affermava che gli americani potevano non essere d'accordo fra di loro sugli obiettivi di guerra, ma su di un punto erano unanimi : «che non stiamo combattendo per tenere insieme l'im­ pero inglese ( ... ) Se i vostri strateghi stanno facendo piani di guerra per mantenere l'impero inglese, essi si troveranno presto o tardi a ideare strategie da soli»8• La risposta degli inglesi non si fece attendere ed al più alto livello : nel novembre del '42 Churchill dichiarò, in una frase divenuta celebre, che egli non aveva assunto la carica di primo ministro per presiedere alla liquidazione dell'impero. Sulla questione coloniale gli Stati Uniti si trovarono ad avere una posizione simile a quella sovietica. Anche se per ragioni totalmente diverse, infatti, anche l'URSS sostenne l'autodeterminazione e la piena indipendenza per tutte le colonie, a prescindere dalla loro storia e dal loro processo di sviluppo. Tale era l'importanza attribuita da Roosevelt alla questione coloniale che egli decise di sollevare il problema al suo primo incontro con Stalin, alla conferenza di Teheran del novembre 1 943. Approfittando dell'assenza di Churchill, il presidente americano espresse il proprio interesse per una rapida decolonizzazione, soprattutto in Indocina, dove si sarebbe potuto applicare un sistema di amministrazione fiduciaria, aggiungendo che si trattava di un tema sul quale sarebbe stato meglio sorvolare con il primo ministro britannico. Stalin si dichiarò d'accordo, ma senza approfondire la questione, interpretando probabilmente le parole del presidente americano come un segnale dell'interesse degli Stati Uniti a penetrare i mercati coloniali in quella regione. Per l'India Roosevelt si spinse a sostenere che la soluzione migliore sarebbe stata una «riforma dal basso, qualcosa di analogo alla linea sovietica», ottenendo da Stalin il commento che «riforma dal basso voleva dire rivoluzione»9•

-

8 «Life», 12 ottobre 1 942, citato da Wm. R. Loms - R. RoBINSON, The U.S. and the End of British Empire in Tropical Africa, in The Transfer of Po1/Jer in Africa... cit., p. 33. 9 Per il colloquio si veda U.S. Department of State, Foreign Relatiom of the United States, (d'ora in poi FRUS) The Conferences of Cairo and Teheran, Washington, U. S. Government Printing Office, 1961, pp. 485-486. Sulla reazione di Stalin si vedano le considerazioni del


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Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella

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Roosevelt continuò fino alla fine della sua vita a · considerare fondamentale l'obiettivo della decolonizzazione. Quando il gen.c;rale Wedemeyer, di ritorno da un viaggio in Cina nel marzo del '45, andò a trovare Roosevelt un mese prima della sua morte, questi "Io esortò a non aiutare i francesi in Asia sud-orientale, aggiungendo che egli sperava « di poter vedere la fine degli imperi coloniali in Asia»1 0• La concezione americana di un graduale raggiungimento della piena indipendenza per tutte le colonie, attraverso l'instaurazione di un sistema di amministrazioni fiduciarie, aveva il pregio di porsi in maniera lungimirante come espressione di un sentimento che stava diffondendosi e come bandiera del movimento anticolonialista attivo in diversi territori coloniali, in opposizione al vecchio mondo, del quale la Gran Bretagna rappresentava certamente la principale espres­ sione. Tale forza simbolica contrastava, però, con una sostanziale mancanza di concretezza, quando si passava dall'ideologia a piani concreti di intervento. Un autorevole storico britannico ha sostenuto che gli Stati Uniti avevano un'idea ottocentesca dell'«imperialismo» e che Roosevelt «non si rendeva conto delle difficoltà pratiche sulla strada del controllo internazionale»11 • Effettivamente, nonostante lo sforzo di approfondimento di vari comitati e gruppi di studio all'in­ terno del governo americano, il concetto di « amministrazione fidu­ ciaria» rimaneva vago e astratto1 z.

suo interprete V. BEREZHKov, History in the Making. Memoirs of Wor/d War Two Diplon1ary, Mo�c�w, Progress Publishers, 1982, pp. 257 e seguenti. In una riunione congiunta dei tre _ propose di togliere ai francesi le loro colonie : la proposta fu appoggiata cap1 d1 Stato Stahn da Roosevelt mentre suscitò le proteste di Churchill. 10 Wedemeyer on War and Peace, a cura di K. E. En.ER, Stanford, Hoover Institution Press, 1987, p. 225. 11 Sir L. WooDWARD, British Foreign Poliry in the Second World War, V, London, H.M.S.O., 1976, p. 312. Per le critiche inglesi alle posizioni americane si veda anche lord AvoN (Anthony Ed��), The R_eckoning. The Memoirs of A �Jtho!IJ Eden, Boston, Houghton Mifflin, 1964, p. 438. . ll funzwnamento e la struttura d1 tale orgarusmo secondo il governo americano sono delineati in un memorandum dell'aprile 1943 dal titolo «Amministrazione internazionale» · lo si ve�a in FRUS, The Cmiferences at Washington and Quebec, 1943, Washington, U.S. Gover�ment . C?ffice, 1970, pp. 720-728. Per gli aspetti legali cfr. R. MEREGAZZI, L'amministrazione Pnn�rn� . jtducrarra zta!zana della Somalia (AFIS), Milano, Giuffrè, 1954.

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II guerra !IIOI/diale

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L'idea americana che un controllo collettivo fosse la migliore soluzione per evitare l'eccessiva influenza di un singolo paese, presupponeva un pieno accordo tra tutti gli Stati partecipanti ; inoltre esso non si traduceva in piani concreti : rimaneva irrisolto il problema di come impedire che in un'amministrazione internazionale, gestita da più paesi, le diverse potenze perseguissero i propri fini nazionali. Nel caso dell'Unione Sovietica, in particolare, era difficile presumere una sua presenza «neutrale» in Africa. Un altro limite della posizione americana era quello di porre tutti i territori « dipendenti» sullo stesso piano, senza considerare l'evoluzione dei singoli paesi e la loro diversa capacità di autogovernarsi. Vi era anche una totale incomprensione del valore psicologico e di prestigio che le potenze europee attribuivano alle colonie, al di là della loro importanza economica, così come non veniva tenuto in considerazione il problema degli europei che si erano stabiliti da tempo nelle colonie, il cui rimpatrio avrebbe presentato enormi difficoltà. All'interno di questo quadro generale, comunque, nell'amministra­ zione si svilupparono orientamenti diversi sulla questione coloniale e sul futuro ruolo degli Stati Uniti, a seconda che prevalessero le questioni di principio, oppure la rivalità nei confronti degli inglesi e la volontà di liquidare i vecchi imperi coloniali, senza distinzione tra nemici e alleati, oppure ancora la necessità di affermare gli specifici interessi nazionali. Ad esempio Cordell Hull, acceso fautore del libera­ lismo economico, era interessato ai riflessi economici della decoloniz­ zazione e ne trascurava totalmente gli aspetti politici. Del resto un sistema di amministrazione internazionale poteva essere uno strumento per liquidare i vecchi imperi coloniali e nello stesso tempo porre le basi per un nuovo impero americano, visto che soltanto gli Stati Uniti avrebbero posseduto alla fine del conflitto la potenza economica necessaria per imporsi sui nuovi mercati. Per la questione coloniale, così come per la politica estera in generale, la linea dell'amministrazione si sviluppò nell'intreccio tra le pubbliche riaffermazioni dei principi ideali del rifiuto di «Zone d'influenza» e del richiamo alla libertà dei popoli promessa dalla Carta atlantica, e i più concreti e meno espliciti obiettivi di eliminare l'imperialismo britannico, allo scopo di favorire il commercio americano. Tutti questi motivi si intrecciavano ad esem­ pio in un memorandum sull'Iran che il generale Patrick Hurley inviò a Roosevelt, a conclusione di una missione svolta per il presidente


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americano. In esso si accusava gli inglesi di aver utilizzato gli àiuti americani per creare un monopolio commerciale nei confronti delfiran e si suggeriva un immediato intervento americano per prendere · in mano la situazione. La richiesta riguardante un problema cosi delicato come il controllo delle riserve di petrolio era presentata come uno « sforzo per instaurare la vera libertà tra le nazioni meno favorite» oppresse dall'imperialismo britannico e come risposta all'inevitabil� conflitto «a livello mondiale tra imperialismo e democrazia»13• Roose­ velt �nviò il memorandum a Churchill nel febbraio 1 944, accompagnando con 1l suggerimento di istituire in Iran un'amministrazione internazio­ nale, dal momento che ci sarebbero voluti 30 o 40 anni «per eliminare la corruzione e il sistema feudale»14. Se tutte le differenti posizioni su cui ci siamo soffermati finora risultavano compatibili con i principi generali di opposizione alle vecchie concezioni colonialiste, la linea americana appariva fortemente contrad­ dittoria, quando, in casi particolari, l'obiettivo sempre ufficialmente dichiarato dell'indipendenza veniva dimenticato con assoluta spregiudi­ catezza. Come quando, ad esempio, lo stesso Roosevelt avanzò l'idea dell'acquisto di Timor, colonia portoghese, da parte dell'Australials. Per gli inglesi ovviamente l'amministrazione internazionale doveva essere applicata soltanto alle colonie dei paesi sconfitti, riguardava cioè quelle italiane e giapponesi, visto che la Germania aveva perso le sue dopo la prima guerra mondiale. Si trattava di seguire la stessa politica adottata nel primo dopoguerra : punire i nemici sconfitti to­ gliendo loro le colonie. Per la Gran Bretagna, dunque, si sarebbe dovuto intervenire soltanto sulla sorte delle colonie italiane e di quelle ex tedesche, affidate al Giappone. Quelle degli altri paesi coloniali non erano in discussione.

Il governo americano dichiarò all'inizio della guerra di voler concordare con il governo inglese una posizione unitaria sulla questione coloniale, ma fu invece difficile trovare perfino un piano comune di discussione. Gli Stati Uniti abbandonarono gradualmente le posizioni più radicali di fronte alla decisa opposizione inglese, ma l'approccio al problema dei due governi rimase diametralmente opposto. Il governo inglese cercava di impedire lo smantellamento del proprio impero, mentre gli americani ponevano proprio l'abolizione delle preferenze doganali all'interno del sistema coloniale britannico tra i loro obiettivi prioritari. Nei primi studi il Dipartimento di Stato sollevò l'esigenza di fissare al più presto possibile delle date entro le quali sarebbero stati accordati prima l'autogoverno e poi l'indipendenza ai popoli coloniali. Nelle prime proposte americane la parola chiave, ripetuta incessantemente, era «indipendenza» 16. Anche se col passare del tempo essa divenne sempre più rara nei documenti che gli Stati Uniti presentavano all'alleato, non vi fu un cambiamento sostanziale di opinione da parte americana. Lo stesso presidente Roosevelt dimostrò più volte il suo entusiasmo per l'idea di mandati internazionali presentati come una specie di «panacea universale» per garantire la libertà di commercio o, come suggerivano gli inglesi, «libertà per il commercio americano»17• Gli americani accettarono anche di restringere la discussione soltanto alle colonie dei paesi nemici, cioè a quelle italiane e giapponesi. Le due posizioni rimanevano comunque molto distanti, e di fronte alla impossibilità di concordare una linea comune, il problema venne conti­ nuamente discusso e rinviato. L'idea iniziale di arrivare ad un documento ufficiale comune sulla futura politica per le colonie fu abbandonata dopo alcuni tentativi di giungere ad un compromesso. In particolare, durante la visita di Eden a Washington nel marzo del 1 943, gli americani presentarono una rielaborazione di una precedente bozza inglese, completamente modi-

1 3 Patrick Hurley a Roosevelt, 21 dicembre 1 943, in Churchill and Roosevelt... cit., III, p. 7. Hurley era collegato con una compagnia petrolifera americana. 1 4 �oosevelt a Churchill, 29 febbraio 1 944, ibid., pp. 3 e seguenti. Churchill rispose che le .!dee d1 Hurl�y sull'i perialismo britannico lo spingevano a «strofinarsi gli occhi» e che � . dubitava dell accettaziOne da parte dell'Iran del principio dell'amministrazione internazionale proposto da Roosevelt, che assomigliava in realtà al sistema dei mandati: cfr. Churchill a Roosevelt, 21 maggio 1944, ibid, pp. 140-141. 1 5 Roosevelt a Churchill, 21 giugno 1943, ibid., p. 269.

16 Si veda in particolare la bozza di una «Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla indipen­ lt a Eden denza nazionale», preparata dal Dipartimento di Stato e consegnata da Rooseve Conferences The FRUS, in 943, 1 marzo nel ton Washing a durante il soggiorno di quest'ultimo fu ripresentata da Roosevelt at Washington and Quebec... cit., pp. 717 e seguenti. La bozza pp. 926-927. eli a Churchill e discussa da Eden e Hull alla prima conferenza Quebec: ibid., . dt., Empire.. British of End the and U.S. The 17 Cfr. Wm. R. LoUis - R. RoBINSON, pp. 34-36.


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Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella II gtterra mondiale

ficata, nella quale si prevedeva l'indicazione di date per la. conquista dell'indipendenza di tutte le colonie. La bozza fu ridiscussa da .Eden e da Hull alla conferenza anglo-americana tenutasi a Quebec nell'agosto 1 943, e infine riproposta a Molotov alla conferenza dei ministri degli esteri a Mosca dell'ottobre dello stesso anno18• Gli inglesi preferirono rimandare ogni decisione, puntando sul fatto che il governo americano si era fin dall'inizio dichiarato favorevole a posticipare un accordo sulle questioni territoriali a dopo la conclusione del conflitto. L'iniziale atteggiamento americano subì comunque radicali mutamenti nell'ultimo periodo del conflitto, e alla conferenza di San Francisco gli americani delusero le speranze di coloro che si sarebbero aspettati una totale adesione ai dettati dell'anticolonialismo. A quel punto aveva acquistato sempre maggiore consenso l'idea di stabilire basi strategiche nei terri­ tori coloniali, oltre che mantenere le posizioni acquisite in Asia. L'ambiguità della posizione americana determinò come conseguenza una divisione all'interno della stessa delegazione presente a San Fran­ cisco, con l'emergere di due posizioni contrastanti, quella di Harley Notter e di Charles Taussig a favore dell'indipendenza, e quella di Isaiah Bowman contro. Quest'ultimo, affermando che la fine del colonialismo avrebbe favorito l'URSS e danneggiato la Gran Bretagna, chiese : chi sono i nostri amici, quelli che indeboliamo o quelli che appoggiamo? La scelta era tra un astratto ideale di indipendenza e l'amicizia inglese, e Bowman optava chiaramente per la seconda19•

Hopkins, che elencava cosi i criteri su cui si erano fondati i funzionari del Dipartimento di Stato negli studi preliminari sulle questioni terri­ toriali italiane : 1 . non si dovrebbero togliere territori all'Italia soltanto per punire un nemico sconfitto o per ricompensare un alleato ; 2. gli aspetti etnici dovrebbero predominare, anche se saranno tenuti presenti quelli eco­ nomici e strategici; 3. riguardo alle colonie la prima considerazione deve essere il benessere delle popolazioni indigene; gli altri imperi coloniali non devono ingrandirsi a spese delle colonie italiane, e se le colonie italiane fossero messe sotto amministrazione internazionale, ci si dovrebbe impegnare a sottoporre a simile amministrazione almeno anche altri possessi coloniali20».

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Gli A lleati occidentali e le colonie italiane

Esaminando ora più da vicino la questione delle colonie italiane, siamo in grado di cogliere meglio il senso della posizione anticolonia­ lista americana. Essa è ben riassunta da un memorandum inviato al presidente Roosevelt dal suo consigliere e amico personale Harry 18 Alla conferenza di Mosca Hull presentò un tncmo nel quale collegò la questione dell'am­ ministrazione internazionale con le sue proposte per il libero commercio, ottenendo da Eden una risposta negativa : cfr. L. WooDWARD, British Foreign Poliry... cit., p. 24, n. 1 , e p. 73, n. 3. Sugli studi fatti dagli americani si veda H. NoTTER, PostJ/Iar Foreign Policy.. . cit., pp. 246 e seguenti. 19 Cfr. Wm. R. Louts, Imperialistll at Bqy . . cit., p. 539. .

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Lo stretto collegamento tra le colonie italiane e gli altri possedimenti coloniali evidenzia che le posizioni anticolonialiste di principio degli americani erano poi dirette in concreto contro le grandi potenze coloniali, come la Gran Bretagna o la Francia. La questione era resa ancora più delicata dal fatto che le colonie italiane erano occupate ora dagli inglesi, che diventavano naturalmente i più probabili candidati ad assumere l'amministrazione fiduciaria, o comunque ad avere una voce decisiva sul loro destino. La prospettiva di un aumento della influenza britannica in Africa trovava poca disponibilità, se non aperta opposizione, da parte americana. Si deve anche ricordare che l'ammi­ nistrazione Roosevelt doveva tenere conto delle pressioni interne degli itala-americani, che già durante la guerra itala-etiopica erano riusciti a modificare la linea politica dell'amministrazione in senso « neutrali­ sta». Per queste ragioni il governo americano non assunse una posi­ zione netta sul futuro delle colonie italiane, per le quali dichiarava di non avere interessi né strategici, né economici, ma si limitò all'inizio a prendere in considerazione le varie possibilità, legando il futuro delle colonie italiane alla politica generale che gli Stati Uniti avrebbero assunto nei confronti dell'Italia. Quindi, pur sostenendo che si potesse zo The ]talian Situation, allegato ad un t!ICIJIO di 1944, in occasione della conferenza di Quebec,

Library, Hyde Park, New York.

Hopkins per Roosevelt in data 1 3 settembre in A 16 Itafy, Map Room, F.D. Roosevelt


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imporre all'Italia di rinunciare alle proprie colonie, dichiarò anche, come abbiamo visto, che questa misura, per non essere discriminatoria, doveva essere estesa anche alle altre potenze coloniali, rifiutando l'atteggiamento inglese di una pace punitiva. In contrasto con ia posizione del governo inglese, quello americano aveva fin dalla fine del 1 942 dichiarato che l'Italia avrebbe dovuto preservare, salvo piccole modifiche, la propria integrità territoriale (essential nationhood). Sia nei confronti dell'Italia che delle sue colonie, l'atteggiamento britannico era radicalmente opposto. Il governo inglese, fin dai primi anni di guerra, aveva dimostrato di voler utilizzare anche lo stru­ mento di revisioni territoriali pur di impedire ogni pretesa dell'Italia a ritornare ad uno status di potenza. Per rafforzare la resistenza jugoslava ad una possibile penetrazione tedesca, il governo inglese, all'inizio del '41 , aveva dichiarato al governo jugoslavo che l'appar­ tenenza dell'Istria all'Italia poteva essere rimessa in discussione. L'anno seguente circolò l'ipotesi di togliere all'Italia Sicilia e Sarde­ gna21. Inoltre gli inglesi continuarono a richiedere la fine della sov­ ranità italiana sulle isole di Pantelleria, Lampedusa e Linosa, sulla base della loro posizione strategica, non ritenendo sufficiente la contro-proposta americana di una loro demilitarizzazione22. Per quanto riguarda l'impero coloniale italiano il governo inglese si mostrò, fin dall'inizio della guerra, contrario a restituire le colonie all'Italia;� perché come potenza coloniale temeva che una presenza

21 Per gli «accordi segreti» anglo-jugoslavi si veda R. G. RABEL, Between East and West, Durham, Duke, 1988, pp. 1 8-19. La proposta riguardante la Sicilia e la Sardegna fu fatta dal Commander Stephen King Hall, Mediterranean Sector oJ the A dmiralty, e venne resa nota dal «Picture Post» di Londra del 21 novembre 1942. Essa fu anche riportata in «Nazioni Unite» del 28 gennaio 1943, p. 4. 22 Tale richiesta era inclusa nella proposta di Eden al gabinetto inglese per un trattato di pace con l'Italia del luglio 1945. Il documento, di estremo interesse, è riprodotto in G. FILIPPONE THAULERo, La Gran Bretagna e l'Italia. Dalla Conferenza di Mosca a Potsdam,

( 1943- 1945), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1979, pp. 160 e seguenti. L'iniziale posizione inglese era di ottenere direttamente il controllo dell'isola e solo in un secondo tempo si arrivò alla richiesta di una amministrazione internazionale; sulla posizione inglese si veda la discussione al Post Hostilities Planning Subco!ltlllittee, in CAB 81/40 e PREM 3/239, Public Record Office (PRO), London. Sulla posizione americana si veda lo studio del Dipartimento di Stato Itafy: Security Problems: Pantelleria and the Isole Pelagie, in CAC-190, 27 maggio 1944, Notter Files, RG 59, National Archives (NA), Washington.

Il futuro delle colonie italiane neffa politica inglese e a!Jiericana neffa II guerra IJIOIIdiale 783

italiana in Africa potesse in futuro costituire una minaccia non tanto per le colonie inglesi nella regione, quanto per le vie di comunica­ zione attraverso il mar Rosso. La prima indicazione di questo atteg­ giamento fu la dichiarazione fatta da Eden al Parlamento inglese nel gennaio del 1 942 che i Senussi della Cirenaica non sarebbero mai più ricaduti sotto il dominio italiano23• Questa dichiarazione, non casuale e a lungo preparata, rappresentava una evidente forzatura rispetto all'impegno comune, sottoscritto con la Carta atlantica, di non prendere impegni per modifiche territoriali mentre la guerra era in corso24 tanto che il governo inglese, prima di farla, aveva infor­ mato delle sue intenzioni il governo americano, con una lettera di sir Alexander Cadogan a Sumner Welles25. Negli anni seguenti il governo inglese avrebbe chiarito la propria linea in modo inequivo­ cabile in una serie di dichiarazioni ufficiali al più alto livello. La prima, nel settembre del '43, quando Churchill dichiarò alla Camera dei comuni che per l'Italia l'impero era « perduto, irrimediabilmente perduto»26. L'anno seguente la stessa posizione fu ribadita da Eden, il quale, rispondendo il 4 ottobre del 1 944 ad una interpellanza alla 23

La dichiarazione, dell'8 gennaio 1942, si trova in Parliamentmy Debates: Ho11se of Commons quinta serie, vol. 377, col. 78. Soltanto per alcuni mesi, all'inizio del 1941, in un momento molto critico per la Gran Bretagna, il governo inglese aveva preso in considerazione la possibilità di fare della Cirenaica una colonia italiana «libera», sull'esempio delle colonie francesi, come punto di raccolta per le forze di opposizione al fascismo. Tra i motivi che contribuirono a far rigettare la proposta fu la considerazione che sarebbe stato poi alla fine della guerra quasi inevitabile la restituzione della Cirenaica al futuro governo italiano. Si veda il dibattito all'interno del War Cabine! in FO 371/29958 e i documenti pubblicati in E. AGA Rossi, L'inganno reciproco. L'armistizio tra l'Italia e gli anglo-americani del settembre 1943, Roma, Ministero dei beni culturali e ambientali, 1993. 24 Tale dichiarazione rispondeva alle pressioni del Sayyd Idris per un riconoscimento del contributo militare dato dal corpo senussita durante le operazioni nel deserto nell'inverno 1940-41. Sui rapporti tra gli inglesi e Idris e sulle origini della dichiarazione di Eden al Parlamento inglese si veda G.-L. Rossi L'Africa italiana... cit., pp. 1 1 e seguenti. 25 La lettera, in cui Cadogan ricordava l'impegno da lui preso a nome del governo inglese durante l'incontro ad Argentia in cui era stata firmata la Carta atlantica, di non fare promesse riguardanti modifiche territoriali senza informarne preventivamente l'alleato, fu trasmessa il 1 8 ottobre 1941 dall'ambasciatore inglese a Washington, Lord Halifax, a Sumner Welles, che la inviò a Roosevelt suggerendo una risposta positiva. Il testo della lettera si trova in 740.001 19 European War 1597 1/3, RG 59, NA. 26 Parliamentary Debates: Ho11se of Com!IJOIIS Official Report, vol. 392, London, H.M.S.O., 1943, col. 102. Official Report,

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Il jttttlfo delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella II guerra mondiale

Camera dei comuni, probabilmente organizzata dal Foreign Office, affermò : « il governo britannico è contrario alla restituzione delle colonie all'Italia», posizione ribadita e rafforzata dallo stesso Eden . nel gennaio del 1 945. Da parte degli Stati Uniti la questione delle colonie italiane fu affrontata abbastanza presto, nella seconda metà del '42, con una serie di studi preparatori richiesti a diversi comitati del Dipartimento di Stato, sull'importanza strategica delle singole colonie, sulle loro risorse economiche e sulle possibili soluzioni27• Quando, nel maggio del '43, Roosevelt, preparandosi ad incontrare il primo ministro inglese, W. Churchill, chiese un tJtetJtorandutJt sulla Libia, il Diparti­ mento di Stato poté fornirgli « i risultati della ricerca su questa questione»28• È probabile che la Libia destasse l'interesse di Roosevelt per l'impegno ufficiale del governo inglese nei confronti dei Senussi o per la possibilità, prospettata in quel periodo, di creare uno stato ebraico in Cirenaica. Comunque non sembra che Roosevelt e Chur­ éhill abbiano in realtà discusso il problema coloniale italiano nel loro incontro del 23 maggio, per il quale era stato preparato il tJtetJtorandutJt. In quella occasione e nei successivi incontri tra i due feaders politici, i problemi italiani in generale furono sempre agli ultimi posti tra le questioni da discutere direttamente, e il dibattito tra i due governi si svolse quindi a distanza o a livello dei Ministeri degli esteri. Le conferenze di guerra tra Roosevelt, Churchill e Stalin e gli incontri tra i rappresentanti dei due governi servirono comun­ que per fare il punto sulle posizioni rispettive, che venivano presen­ tate in quelle occasioni dalle delegazioni con il supporto di studi sulle varie questioni. Per questo le conferenze rappresentano un po' il filo conduttore per capire l'evoluzione della politica dei governi inglese e americano nei confronti delle colonie italiane. Gli studi preparatori per la prima conferenza di Quebec mostrano che da parte americana non solo non vi era all'inizio un preciso

orientamento sulla linea da seguire, ma che vi erano diverse posizioni all'interno dei vari comitati e sottocomitati del Dipartimento di Stato (politico, della sicurezza, territoriale) che si occupavano del futuro destino dell'impero italiano : la proposta di un'amministrazione in­ ternazionale per tutte le colonie ex italiane, lasciando i confini esi­ stenti ; la divisione della Libia tra la Tunisia e l'Egitto ; la restituzione della Libia all'Italia ; la creazione in territorio libico di un « rifugio per gli ebrei » ; la cessione dell'Eritrea o di parte di essa all'Etiopia ; l'amministrazione inglese della stessa Eritrea e della Somalia. È si­ gnificativo il fatto che, per contrastare l'ultima di queste ipotesi, il Dipartimento di Stato avesse sottolineato la presumibile reazione ne­ gativa della opinione pubblica americana, mentre si mostrò assai favo­ revole alla soluzione di sottoporre le ex colonie italiane ad una ammi­ nistrazione fiduciaria internazionale, che avrebbe evitato «la sostituzione della sovranità italiana con un'altra sovranità nazionale»29• Così, fin dall'inizio, anche nel caso delle colonie italiane il go­ verno americano era guidato dalle due idee fondamentali su cui si basava la sua politica verso tutti i possedimenti coloniali: puntare su un'amministrazione internazionale e impedire un rafforzamento dell'impero inglese. All'inizio di agosto del 1 943, nella fase finale della preparazione della conferenza di Quebec, vi fu anche uno scambio di opinioni tra il segretario di Stato Cordell Hull e Roosevelt sulla questione di uno sbocco al mare per l'Etiopia, che ne aveva fatto richiesta. Esprimendo il proprio parere favorevole, Hull si spinse ad appoggiare l'annessione dell'Eritrea o parte di essa all'Etiopia. Nella sua risposta Roosevelt preferì mettere l'accento sulla valorizzazione della ferrovia tra Addis Abeba e Gibuti, che avrebbe reso possibile un più rapido sviluppo dell'interno del paese, avanzando l'ipotesi di una rinuncia della Francia a Gibuti, previo compenso da parte delle Nazioni Unite30•

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2� Si ve�a Notter Fi/es. Italian Co/onies, box 54, RG 59, NA, in cui si trovano, ad esempio, _ m data 3 ottobre 1942 per una serie di studi sulla questione dell'accesso al mare le duett!ve e del futuro dell'Etiopia. 28 Per la richiesta di Roosevelt si veda H. NoTTER, PostJJJar Foreign Po/icy... cit., p. 514.

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29 Si vedano i llJCIJJoranda di P. Ireland, della Divisione degli Studi Politici del maggio e del giugno 1943, in FRUS, The Conference at Washington and Quebec... , cit., 1943, pp. 796 e seguenti. 3° Cfr. Hull a Roosevelt, 2 agosto 1943, e Roosevelt a Hull, 4 agosto 1943, in FRUS, 1943, Washington , U.S.Government Printing Office, 1943, pp. 106-108 e Notter fi/es box 62, RG 59, NA.


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Nel marzo del '44, in preparazione alla imminente conferenza dei _ Dominions, il Foreign Ojjice preparò un lungo memorandum con pre�ise proposte per il futuro delle colonie italiane, che sottopose al gabinetto di guerra e ai capi di Stato maggiore inglesP1• Il documento prendeva in esame la situazione delle colonie italiane in Africa, arrivando alla conclusione che la migliore soluzione sarebbe stata quella di privare l'Italia di tutti i territori coloniali, con l'unica possibile eccezione della Tripolitania. Ciò avrebbe diminuito «la capacità di un'azione aggressi­ va, sia da sola che in accordo con altre potenze, senza causare alcun danno alla sua vita economica», sollevando come unico problema il « suo senso di esclusione e di ingiustizia, con le possibili conseguenze in futuro». Da qui l'ip otesi di lasciare all'Italia la Tripolitania, che, del resto, secondo il Foreign Office, per la sua improduttività, avrebbe suscitato assai scarso interesse da parte delle altre potenze. In sintesi le proposte inglesi prevedevano lo smembramento dell'Eritrea tra il Sudan e l'Etiopia, la creazione di una grande Somalia sotto l'ammini­ strazione inglese (con l'accorpamento della Somalia italiana e inglese, dell'Ogaden etiopico e della zona settentrionale del Kenya) ; la divisione della Libia in tre parti, con la creazione di una Cirenaica autonoma sotto sovranità egiziana, il mantenimento della Tripolitania sotto sov­ ranità italiana o sotto un'amministrazione internazionale, e il distacco del Fezzan, che sarebbe rimasto ai francesi, che lo occupavano in quel momento. I capi di Stato maggiore inglesi decisero di chiedere il parere dei comandanti militari sugli aspetti strategici delle proposte del Foreign Office e inviarono copia del memorandum al generale Wilson, allora comandante in capo del quartier generale di AlgerP2• Per una incredibile svista del Ministero della difesa, il messaggio fu mandato attraverso i canali del comando unificato. Il documento così fu letto anche dagli americani, che si affrettarono a inviarlo a Washington. Esso rivelava che le posizioni inglesi sulla sorte delle colonie italiane erano molto precise, mentre fino a quel momento Londra aveva

Il j11t11ro defle colonie italiane nella politica inglese e atnericana nefla II g11erra tnondiale 787

sempre presentato all'alleato americano una varietà di ipotesi, senza scoprirsi sui suoi veri obiettivi. Si comprende quindi la dura reazione di Churchill, quando Macmillan gli telegrafò che un documento così rivelatore delle intenzioni inglesi e relativo alla politica di lungo termine, preparato per una circolazione all'interno del governo inglese era ora noto anche agli americanP3• Churchill, in un nuovo telegramma ad Algeri, fece precisare che il documento non rappresentava in alcun modo la linea del governo inglese, poiché le questioni in esso conte­ nute non erano mai state sottoposte al Gabinetto di guerra34• Nonostante l'immediata smentita, gli americani attribuirono al docu­ mento la giusta importanza. Il segretario di Stato Cordell Bull ne sottopose immediatamente una breve sintesi all'attenzione di Roosevelt. Questi però, considerandolo come una proposta ufficiale da parte del governo, incaricò Hull di riferire agli inglesi di non essere in grado in quel momento « di esprimere un'opinione o di prendere impegni di alcun tipo»35• Roosevelt chiese quindi a Hull di fargli avere un memo­ randum con le raccomandazioni del Dipartimento di Stato. Si arrivò così del tutto casualmente e per una serie di equivoci ad un raffronto tra la posizione inglese e quella americana. Infatti il Dipartimento di Stato si mise subito al lavoro, affidando al comitato interdivisionale per l'Africa il compito di discutere il documento inglese e preparare un memorandum di risposta. Per arrivare ad una chiarificazione dei reciproci punti di vista, fu proposto lo scambio con gli inglesi degli studi preparatori, omettendo da quelli americani le frasi che avrebbero potuto esprimere «un atteggiamento antibritannico»36• Il gruppo di lavoro not� che i piani del Foreign Office sembravano diretti a stabilire <<Una dotru­ nazione inglese sopra l'Etiopia e l'Africa orientale in generale». A livello delle singole colonie, soltanto per la Libia è possibile ricostruire una traccia della discussione, caratterizzata dal permanere di posizioni con33 Messaggio ibidem. Churchill

31

«Italy's Overseas Empire», Research Department del Foreign Office, 7 marzo 1944, allegato ad una nota del segretario del Gabinetto di Guerra, W. A. Clark, del 20 aprile 1944, con l'indicazione «segreto», in PREM 3/239, PRO. 32 Telegramma dei capi di Stato maggiore al gen. Wilson e al gen. Platt, 20 aprile 1944,

ibident.

il messaggio.

34 Ibidem. 35 Roosevelt

di Macmillan a Churchill del 27 aprile e risposta di Churchill del 29 aprile, ordinò subito un'inchiesta e la sospensione dell'ufficiale che aveva mandato

a C. Hull, 28 aprile 1944, in Naval A id File, Italy and Sicily, Map Room,1 66, F.D. Roosevelt papers, Hyde Park, N.Y. 36 Inter-divisional Area Committee on Africa, Meeting n. 24, 27 luglio 1944, in Notter Files, Italian Colonies, box 59, RG 59, NA.


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trastanti. Da una parte venne espressa l'opinione di accettare la politica inglese nell'area; dall'altra vi erano obiezioni sia a cessioni di territori, contrarie agli impegni presi nella Dichiarazione delle Nazioni Unite, sia a consentire «acquisizioni territoriali presentate come rettifiche di confi­ ne»37. Nel resoconto di una discussione si legge : «potrebbe essere vantaggioso permettere alla Gran Bretagna di assicurarsi tutto ciò che vuole in questa area in cambio della sua accettazione dell'acquisizione da parte americana di isole nel Pacifico», salvo subito dopo esprimere il dubbio se « questa accettazione sia necessaria o coerente con le nostre manifestazioni di simpatia con l'Etiopia e le piccole nazioni»38. Queste perplessità non apparvero nel memorandum finale, che si presenta come un semplice raffronto tra la posizione inglese e quella americana su ognuna delle colonie39. Il documento, consegnato da Roosevelt a Chur­ chill durante la seconda conferenza svoltasi a Quebec nell'agosto 1 944, è importante perché per la prima volta sono chiarite le rispettive posizioni e le differenze tra i due governi. Ancora una volta, come l'anno precedente, i due statisti non affrontarono personalmente la questione, ma la demandarono alle delegazioni. Non è casuale, però, che nella dichiarazione finale comune per un «new dea!for Ita(y », Roose­ velt e Churchill, rendendo nota la volontà dei due governi di avviare la ripresa economica e politica dell'Italia, non parlano delle colonie. La dichiarazione di Eden del 4 ottobre 1944, cui si è già accennato, tendeva a chiarire che i nuovi provvedimenti per favorire tale ripresa non comprendevano la restituzione all'Italia delle colonie. Rimaneva la possibilità di una eventuale richiesta sovietica dell'ammini­ strazione di una o più colonie italiane, come mezzo per penetrare nel Mediterraneo. Questa prospettiva era particolarmente temuta dagli inglesi, mentre non sembra che da parte americana ci fosse un'analoga preoccupa-

37 Inter-divisional Area Committee on Africa, Meeting n. 8, 5 maggio 1944, ibidem. 38 Inter-divisional Area Committee on Africa, Meeting n. 7, 1° maggio 1944, ibidem. Lo stesso Roosevelt si preoccupò della possibilità di assicurare agli Stati Uniti il mandato delle isole del Pacifico allora sotto il Giappone: si veda la lettera di Roosevelt ai J oint Chiefs of Staff in H. NoTTER, PostJvar Foreign Policy... cit., p. 387. 39 Cfr. il testo del documento, datato 3 agosto 1944, in FRUS, The Conference al Quebec, 1944, Washington, U.S. Government Printing Office, 1972, pp. 409-410; cfr. anche PREM 3f239, PRO.

Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e a111ericana nella II guerra !JJondiale 789

zione. Anzi, è possibile che l'amministrazione Roosevelt fosse favorevole ad una corresponsabilità sovietica. Durante la visita di Molotov a Washin­ gton, nel giugno del '43, il presidente americano aveva accennato alla possibilità di togliere «isole e colonie», per ragioni di sicurezza, alle nazioni deboli, e di sottoporle ad una qualche forma di amministrazione internazionale40• I capi di Stato maggiore americani, commentando nel maggio del '44 le proposte inglesi per le colonie italiane di cui si è appena parlato, affermarono in una lettera segreta di non avere obiezioni riguardanti le proposte inglesi, perché per il dopoguerra non vi erano interessi militari americani in quelle aree. Aggiunsero, però, che non le avrebbero appoggiate «prima di sentire il parere dell'Unione Sovietica, per evitare qualunque mancanza di accordo tra le tre grandi potenze»41. Infme, dopo che alla conferenza di San Francisco dell'aprile del 1 945 il governo sovietico aveva avanzato genericamente la propria candidatura ad una qualche amministrazione fiduciaria delle colonie dei paesi sconfitti, il segretario di Stato Stettinius, in uno scambio di lettere con i sovietici, affermò che il governo americano era pronto ad appoggiare un'eventuale richiesta sovietica42. I timori inglesi si concretizzarono durante la conferenza di Potsdam. In quella occasione Molotov presentò alla riunione del 20 luglio un promemoria in cui prospettava la possibilità di un'amministrazione fiduciaria congiunta di URSS, USA e Gran Bretagna degli ex possedi­ menti coloniali italiani in Africa43. L'argomento venne affrontato due giorni dopo : Molotov esordì ricordando le dichiarazioni sulla stampa, secondo cui l'Italia aveva « definitivamente perso le colonie», e chiese «chi le aveva ottenute e dove era stata decisa tale questione»44• Eden

4° Cfr. G.-L. Rossi, L'Africa italiana... cit., p. 37; H. Fms, Churchill, Roosevelt, Sta/in, Princeton, Princeton University Press, 1957, p. 68. 41 Documento P240 C, Official Staletnmts and vie1vs pertaining to the adtninistration of Dependent A reas after the War, 31 agosto 1944. 42 H. Fms, Between IV'ar and Peace. The Potsdant Cotiference, Princeton, Princeton University Press, 1960, p. 307, n. 7. 43 FRUS, The Conference of Ber/in, 1945, II, Washington, U.S. Government Printing Office, 1960, p. 632. 44 Ibid., pp. 238-239, e H. TRUMAN, Metnorie, Milano, Mondadori, 1956, p. 474. Molotov si riferiva alla dichiarazione di Eden dell'ottobre 1944, ribadita nel gennaio 1945; cfr. H. Fms, Bet1veen War and Peace... cit., p. 307, n. 7.


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Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana nella II guerra mondiale

rispose che le colonie erano state occupate dall'esercito britannico e . che l'amministrazione militare era provvisoria in attesa di una sistemazione. Churchill intervenì per cercare di rimandare la questione alla conferen�a dei ministri degli esteri o alle Nazioni Unite, ma non trovò l'appoggio di Truman che, da poco presidente, sembrò voler continuare la posi­ zione di mediazione che era stata di Roosevelt. Dicendo che «non vedeva ostacoli ad una discussione preliminare da parte dei ministri degli esteri in quella occasione»45, venne incontro alla richiesta di Molotov di esaminarla subito. Nella discussione che seguì si raggiun­ sero toni molto accesi. Alla domanda retorica di Stalin riguardante la sorte delle colonie italiane, Churchill rispose che le avevano conquistate gli inglesi con grosse perdite. Stalin replicò che l'Armata rossa aveva preso Berlino, sottointendendo che non l'aveva per questo reclamata, e quindi accusando implicitamente gli inglesi di volersi impossessare delle colonie italiane. Churchill allora ricordò che nonostante le grandi perdite subite e la situazione di debitori con cui erano usciti dalla guerra, gli inglesi non avevano fatto alcuna richiesta territoriale « non Konisberg, non gli stati baltici, niente». D'altra parte la Gran Bretagna aveva «grandi interessi nel Mediterraneo e qualsiasi mutamento dello status quo in quella regione avrebbe richiesto da parte sua lunga e attenta considerazione». Se l'URSS desiderava « l'acquisto di un ampio tratto della costa africana ( . . . ) la questione doveva essere esami­ nata in relazione a molti altri problemi»46 Stalin ribadì la richiesta fatta a San Francisco dalla delegazione sovietica, di attribuire all'URSS l'amministrazione di «alcuni territori dei paesi sconfitti». Di fronte alla chiara intenzione sovietica di occupare una posizione strategica nel Mediterraneo, gli inglesi si trovarono soli a fronteggiare tale minaccia, mentre gli Stati Uniti assumevano un atteggiamento di disimpegno47• Dopo un'altra discussione il 23 luglio fu accolta la richiesta di Eden, questa volta appoggiata da Byrnes, di rimandare il problema

alla prima sessione del Consiglio dei ministri degli esteri a Londra. Byrnes affermò che in quella sede gli Stati Uniti avrebbero precisato il loro punto di vista su ogni singola colonia e non escluse che l'Italia potesse mantenere qualcosa. A questo punto Eden precisò, come aveva già fatto Churchill in precedenza, che il punto di vista inglese era che l'Italia «non aveva diritto a riavere le sue colonie», ma che il suo governo non aveva deciso se l'Italia doveva essere privata di qualcuna o di tutte le sue colonie48. La conferenza di Potsdam si chiudeva così senza alcun passo avanti sulla questione delle colonie italiane. Gli inglesi speravano di poter approfittare della posizione di vantaggio data loro dall'occupazione delle colonie italiane per rilanciare le proprie proposte alla conferenza dei ministri degli esteri del settembre 1945, ma in quella occasione si trovarono inaspettatamente di fronte ad un quadro completamente diverso, determinato non soltanto dalla presentazione del preannunciato piano del governo degli Stati Uniti per una amministrazione collettiva sotto l'egida delle Nazioni Unite, ma anche dalla richiesta ufficiale sovietica di avere l'amministrazione della Tripolitania. Si profùava così una diretta interferenza di una grossa potenza in un'area considerata strategicamente vitale dagli inglesi. Questi ultimi decisero quindi obtorto collo di appoggiare il piano americano al fine di bloccare l'iniziativa sovietica. Di fronte a questo nuovo ostacolo sulla via di un accordo sul futuro delle colonie italiane, le potenze occidentali finirono per rinviare la soluzione del problema, staccandola dalla conclusione del trattato di pace. Quanto al dibattito successivo, che qui mi limiterò ad accennare, basti ricordare che da parte inglese, nonostante le perplessità sulla pratica applicazione di un'amministrazione collettiva esercitata dalle Nazioni Unite, un organismo ancora ai primi passi, si considerò come prioritaria l'esigenza di assicurarsi l'appoggio americano e di creare in Africa un fronte anglo-americano che si contrapponesse alle richieste sovietiche49.

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45 The Conferente of Ber/in... cit., II, p. 253; si veda anche G.-L. Rossi, L'Africa italiana. . . cit., p. 98. 46 Ibid., p. 255 ; H. Fms, Bet1veen War and Peace... cit., p. 308. 47 Truman si limitò a dichiarare che c'erano «abbastanza italiani da nutrire» negli Stati Uniti senza che il governo americano assumesse l'amministrazione delle colonie italiane in Africa; cfr. The Conferente of Berfin... cit., II, p. 475.

pp. 282-283 ; L. WoonwARD, British Foreign Policy... cit., p. 475. La posizione inglese è molto ben chiarita nel JJJeJJJorandutll del segretario di Stato per gli affari esteri, Bevin, Disposaf of Italian Co!onies, 1 8 aprile 1 946, in CAB 129/9, PRO. Si veda anche la documentazione raccolta in R. Buu.EN - M. E. PEI.LY, DoCIIments on British Poficy Overseas, voli. 3, London, H.M.S.O., 1 984-1 987, e il volume di P. J. TAYOR, British and the Coid War, London, Pinter pbs., 1990, pp. 103 e seguenti. Per una analisi approfondita del dibattito sul futuro delle colonie italiane si rimanda, oltre 49

Ibid.,


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Da parte americana rimase a lungo la profonda ambiguità sùgli obiettivi da perseguire : una generale decolonizzazione che rendesse possibile anche in Africa l'attuazione della dottrina della porta aperta; una utiliz­ zazione dei territori coloniali come merce di scambio, o per mantenere l'alleanza con l'Unione Sovietica, o per legittimare l'acquisizione ameri­ cana di posizioni nel Pacifico, o per rafforzare le posizioni filoamericane del governo italiano. Obiettivi questi tra loro incompatibili, ma espres­ sione di posizioni contrastanti all'interno dell'amministrazione. Anche su un problema cruciale come la questione dell'introduzione della po­ tenza sovietica in Africa, attraverso il sistema dell'amministrazione internazionale o con la concessione all'URSS dell'amministrazione fidu­ ciaria di una delle colonie italiane, i dirigenti americani avrebbero continuato ad essere divisi. Mentre il governo inglese aveva considerato fin dall'inizio la prospettiva di una presenza sovietica in Africa come una minaccia da evitare anche a costo di rinunciare a rafforzare le proprie posizioni in quell'area, da parte americana continuò a lungo l'illusione di poter mantenere un rapporto di collaborazione con l'URSS, aderendo alle sue richieste50 . Il governo degli Stati Uniti avrebbe finito per posporre le iniziali priorità di «indipendenza» e «autogoverno» delle colonie africane di fronte alla esigenza, divenuta preminente, della «sicurezza» ; ma il processo fu più lungo e complesso di quanto gli stereotipi creati dalla guerra fredda possano far pensare51 •

che al volume di G.-L. Rossi, L'Africa italiana... cit., a quello di A. DEL BocA, Gli italiani in Africa orientale, IV, Nostalgia delle colonie, Bari, Laterza, 1984, e al saggio di G. CALCHI NovATI, La sistemaziom delle colonie italiane deli'Africa orientale . .. cit., in Le guerre coloniali del fascismo,

a cura di A. DEL BocA, Bari, Laterza, 1991, pp. 519-547. 50 Ancora nella primavera del 1946 nelle discussioni all'interno del Dipartimento di Stato alcune persone, e tra queste l'allora sottosegretario di Stato Dean Acheson, si dichiararono favorevoli ad assegnare l'amministrazione della Tripolitania all'URSS. Su questo si veda la conversazione del luglio 1946 tra l'ammiraglio Ellery Stone, che dirigeva la Commissione alleata di controllo per l'Italia, e il ministro della Marina James Forrestal, durante una visita di quest'ultimo a Roma, in The Forrestal Diaries, a cura di W. Mn.us, New York, Viking Press, 1951, p. 181. L'antefatto di quella conversazione fu raccontato da Stone in una lettera a W. Millis subito dopo la pubblicazione del volume e si trova nelle carte di E. Stone (Stone a Millis, 2 novembre 1951, Stone Papers, scatola 4, Hoover Institution, Stanford University). 51 Su questo passaggio cfr. Wm. R. LoUis, Imperia/ism at Bcry... cit., p. 568 e L. GARDNER, Approaching Vzetna111 : Fro111 World War II through Dienbienphu, 1941 1954, New York, Norton, 1988.

JULIETTE BESSIS

La minorité ita!ienne de Tunisie

Le temps imparti nous permet seulement de poser brièvement quel­ ques points essentiels dont chacun mériterait sans doute développe­ ments et débats. Evoquer l'histoire cles Italiens de Tunisie dans les périodes « chau­ des » de la première moitié de ce siècle est un exercice plus périlleux qu'on ne pourrait l'imaginer de prime abord. En effect, elle renvoie à une série de questions concernant les relations entre puissances à propos cles affaires méditerranéennes et coloniales, non abordées, voire occultées par l'historiographie traditionnelle. Je remercie clone très vivement les organisateurs du présent collo­ que, le prof. Renato Grispo tout particulièrement, d'avoir jugé op­ portun d'inserire cette question à ses importants travaux en mème temps que de la très grande hospitalité de l'accueil réservé aux participants.

Le parcours historique de la minorité

Si les liens entre la péninsule et la cote africaine qui lui fait face remontent comme chacun sait à des millénaires, l' émigration massive d'une main d'oeuvre italienne vers la Tunisie est un phénomène contemporain. Cette émigration très majoritairement méridionale et prolétaire s'étend dans le contexte de deux évènements majeurs en ce qui la concerne, chronoligiquement proches: L'achèvement de l'Unité italienne. L'établissement du protectorat français en Tunisie.


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C'est entre les années 1880 et la première guerre mòndiale . que l'implantation italienne dans la Régence - précédée de longtie date par la présence active d'un groupe communautaire majoritairei:ne�t composé de commerçants et de membres de professions libérales - prend une dimension démographique considérable 1 et une grande place dans la mise en valeur économique inaugurie par la colonisation comme dans les premiers mouvements sociaux qui l'accompagnent2• C'est dans le contexte d'un autre évènement majeur, l'avènement de l'Italie mussolinienne tòt après la première guerre mondiale, que l'immigration italienne acquiert un poids politique de premier plan dans les affrontements franco-italo-tunisiens et leurs prolongements méditerranéens et internationaux. Dans la période « charnière» d'à peine plus de vingt ans, encadrée par l'instauration, puis la chute du fascisme dans la défaite italienne de la deuxième guerre mondiale, se noue le sort de cette minorité nationale en situation coloniale. La reconquete politique de la Régence, entreprise par la France à l'issue de la guerre d' Afrique, s'accompagne de la destruction cles bases d'implantation italienne ou en d'autres termes de « l'hypothèque italienne en Tunisie française» par : a) réduction systématique de l'importance numérique de la communauté ( expulsions, incitation au départ et mesures d'intimi­ dation, interdiction de toute nouvelle immigration, pression à la naturalisation) ; b) Abrogation cles conventions de 1896 qui protégeaient la mino­ rité (25 J anvier - 28 Février 1945). 1

Dans la version intégrale de notre thèse de doctorat L'Itafie mussofinient/e et fa Tunisie, Paris-Sorbonne 1980, tt. 3, condensée in La Méditerranée fasciste, Paris, Karthala, 1981, nous avons établi, année par année à partir de toutes !es données utilisables (pp. 7-20 et tableaux), une estimation rapprochée de la croissance réelle de la minorité italienne, !es chiffres officiels des recensements français étant manifestement manipulés en fonction des objectifs coloniaux. Cette manipulation est reconnue par une note confidentielle du quai d'Orsay du 6 avr. 1932 en ces termes «( ...) La colonie italienne sensiblement plus nombreuse que la colonie française en dépit des statistiques (...)», in La Méditerranée... cit., p. 114. . 2 Cfr. J . BESSIS, Les Fondateurs. Index biographique des cadres syndicafistes de fa Ttmisie coloniale, Paris, L'Harmattan, 1985.

La minorité italienne de Tunisie

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A l'étape suivante, une dizaine d' années plus tard à peine, les vagues de départ qui ont succédé à l'indépendance tunisienne, proclamée le 20 mars 1956, illustrent l'anéantissement quasi total cles restes de cette communauté italienne de Tunisie en meme temps que celui cles autres minorités non arabo-musulmanes. Selon nos calculs 3 la Tunisie comptait approximativement 170.000 Italiens en 1938, année de sa plus forte expansion numérique. Elle en dénombrait 65.000 en 1956. Elle en compte aujourd'hui, selon les chiffres les plus récents, 2500, dont 1500 seulement appartiennent à la vieille immigration en voie d'extinction. Le millier restant constitué de nouveaux résidents plus ou moins provisoires relevant de la coo­ pération technique ou cles services administratifs et culturels de l'am­ bassade d'Italie\ renvoie aux échanges, du teste très actifs, entre l'Italie et la Tunisie indépendante. Ainsi cette immigration massive, déclenchée par l'appel de main d' oeuvre pour la mise en valeur coloniale, nait de la colonisation et disparait avec elle. Son parcours nous est apparu exemplaire cles compor­ tements et cles problèmes rencontrés par une minorité nationale prise entre : - la pression économique, politique, sociale et culturelle, en un premier temps assimilatrice, de la puissance dominante. - le martellement du discours utra-nationaliste développé au nom du patriotisme par la métropole, son activisme sur place et ses promesses de revanche impériale qui se résument dans le slogan Tunisi nostra. - la montéc du nationalisme anticolonial arabo-musulman, hostile à l'importance acquise par cette main-d'oeuvre étrangère et concur­ rentielle de la main-d'oeuvre autochtone en gonflement constant du fait de la déruralisation progressive de la société tunisienne confrontée à la modernisation5•

3 L'Italie mtmolinienne .. cité. 4 Chiffres de 1986 aimablement communiqués par l'ambassade d'Italie à Tunis. s Presse et déclarations nationalistes ne cessent de protester contre la concurrence des travailleurs italiens, «( ...) ce véritable condominium (franco-italien) qui suce jusqu'à la racine !es fruits qui sans le protectorat revendraient aux autochtones (...) [et demande à la République] de fermer ses portes à son émigration», in «La voix du Tunisiem>, 24 avril 1931. «Le véritable concurrent du Tunisien, c'est l'Italien» déclare Habib Bourguiba le 1/3/1937. .


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Historiographie et sources

Leur abondance et leur contenu fournissent de multiples preuv�s d'un point fondamenta! de la question : bien qu'implantés géographi­ quement en territoire soumis à l'autorité française, les Italiens de Tunisie demeurent, tout au long de leur histoire, inséparables de l'histoire coloniale italienne, mieux, ils en sont un ressort important voire essentiel à certaines périodes, puisque l' on retrouve une référence à la question italienne en Tunisie dans les principales initiatives de politique coloniale italienne. Quant au jugement des spécialistes de politique étrangère de l'épo­ que, en voici deux parmi bien d'autres « la Méditerranée italienne, voilà le but supreme du fascisme, c'est un programme bon à mettre le feu en Europe»6• « [La question tunisienne est] la rivale du couloir polonais comme danger majeur pour la paix européenne» 7• Et pourtant, sauf erreur ou omission, aucune recherche, mise à part la notte, n'a entrepris l'étude systématique de la question italienne en Tunisie dans ses multiples composantes ; elle teste géné­ ralement évoquée par quelques références dans differents ouvrages et ce quelque soit la période considérée. Presque aussi rare est l'historiographie spécifiquement consacrée à la place de la Tunisie dans la politique méditerranéenne du fascisme en général, de sa politique arabe en particulier, puisque, toujours sauf erreur ou omis­ sion, seul un autre ouvrage, celui de l'historien italien Romain Rainero, est consacré au premier de ces aspects, celui de la revendi­ cation italienne en Tunisie. Il diffère essentiellement du notte quant

«Expulsion du ternt01re, de tous !es Italiens non naturalisés en 1920 ou à une date antérieure et confiscation de leurs biens au profit des sinistrés de guerre. Tout emploi italien reviendrait à un Tunisien» propose Taoufik El Madani, membre du comité exécutif du parti libéral constitutionnel tunisien (Archéo-destour), aux autorités alliées d'Alger le 7/3/1943, cité par J. BESSIS, Sur Moncef bey et Moncefisme. La Tunisie de 1942 a 1948, in «Revue française d'Histoire d'Outre-Mer», 1983, 260-261, pp. 97-131 . 6 «Le Figaro», 1 nov. 1922, cité in La Méditerranée... cit., p. 104.

7 The Polish cot-ridor's riva/ as the greatest danger to the peace of Europe, Italy and France at loggerheads in the North-african province, par F. TuoHY, in «The Sphere», 21 feb. 1931.

La minorité italienne de Tunisie

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à la position de la question, l'analyse des différents facteurs en jeu et forcément dans ses conclusions. Certes, une somme importante d'ouvrages appartenant à l'historio­ graphie italienne, internationale et plus rarement française, ont évoqué, en lui accordant plus ou moins de poids, la politique méditerranéenne de l'Italie fasciste dans une vision, si je puis m' en permettre la critique, exagérément européocentriste, négligeant la portée des questions colo­ niales et, les choses étant liées, trop réductrice quant à cet aspect pourtant fondamenta! de la politique extérieure mussolinienne. Celle-ci, taxée de politique « confuse», «désordonnée», « contradictoire», « brouil­ lonne», termes fréquemment utilisés, méritait d'ètre redimensionnée entre autres au regard des questions franco-italo-tunisiennes dont dépendait le sort de la minorité italienne. Au delà des confusions et contradictions inévitables, cette politique nous est apparue, au contraire, globalement conforme à un projet d'ensemble. La politique arabe du fascisme, sa politique arabo-tunisienne en particulier, pour ce qui concerne de près et de loin la communauté italienne, a donné lieu à une assez extraordinaire occultationfnégation dans l'historiographie - disons classique - celle de l' Afrique du Nord en particulier, dont l'analyse trop longue à faire ici nous éloignerait de notte sujet. Cet aspect de sa politique étrangère, liée à sa politique coloniale, connait aujourd'hui un intérèt nouveau8 dans la mesure où l'on accepte plus facilement que la légitime condamnation du fasdsme et le soutien à l'anticolonialisme n'interdisent pas, au contraire, leur analyse et notamment celle de l'influence fasciste auprès d'une large fraction du nationalisme arabe. L'historiographie des communautés italiennes d'Afrique du Nord, la Libye exceptée, teste clone très limitée et tranche curieusement avec l'abondance des sources, particulièrement riches, sur la Tunisie. Depuis la fln du XIXème siècle, au cours de l'entre-deux-guerres en particulier, parce qu'elle occupe un espace incontournable, la question des Italiens

8 Cfr. «Storia contemporanea», 1986, 6, Ebrei e arabi 11el/a politica tmditerranea delfascismo.


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de Tunisie a donné lieu, par contre, à la publication d'�n nom.bre considérable de brochures, d'ouvrages polémiques, de propagande . ou contre-propagande italiens ou français. Cette production surabondant�, caractérisée par san ton souvent violent, essentielle à la compréhension de la question par la somme de renseignements qu'elle permet de recouper, a davantage valeur de source que de matériel historiogra­ phique et pose le probleme délicat des rapports et des différences entre sources et historiographie. Où faut-il en effet piacer un texte qui se prétend historique mais dont la partialité, la véhémence et le choix des arguments parfaitement contestable au plan historique, posent question : source ou historiog­ raphie? Au plan des sources proprement dites, presse et périodiques français, italiens, tunisiens et internationaux évoquent régulièrement et quoti­ diennement à certaines périodes, en fonction de l'évènement, les ques­ tions qui se rapportent aux relations Francefitalie à propos des questions tunisiennes. Pour ne citer que la presse italienne de Tunisie, nous avons relevé vingt-huit titres de journaux, paraissant dans la période considérée, dont la Bibliothèque nationale de Tunis possède à titre exclusif, des collections plus ou moins complètes concernant dix-sept titres. Près de cinq cents titres d'ouvrages et articles de revues relevés après consulta­ tion, éclairent ou concernent directement la question traitée9• Les archives enfin, d'Etat ou secondairement privées, italiennes, françaises, tunisiennes (Ier ministère), américaines ou appartenant à la Société des nations largement consultées, ou d'autres anglaises ou allemandes à peine entrevues, en ce qui nous concerne, ne négligent pas une telle question. Pour la période, les archives françaises de Nantes sont encore seulement entr'ouvertes après 1 930 10• A propos de l'historiographie générale de la question, permettez-moi de soulever le problème des rapports entre sources, historiographie et

9 L'Italie 11/IISSolinienne.. cit., So11rces et bibliographie, pp. 569-61 8. En annexe, fiche signalétique établie pour les périodiques et la presse italienne de Tunisie. 10 Depuis la rédaction de cette communication en 1989, les archives de Nantes sont plus largement quoique incomplètement ouvertes à consultation pour les périodes de l'entre­ deux-guerres et de la deuxième guerre mondiale. .

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idéologie, sur lesquels règne plus d'une ambiguité bien connues des chercheurs. II est banal d'entendre dire aujourd'hui, y compris chez les histo­ riens, que notte temps est celui de «la fin des idéologies». C'est sans doute une image favorisée par la crise formidable que subissent au­ jourd'hui toutes les idéologies dites révolutionnaires ou anticolonialistes et tiers-mondistes à leur suite, déstablilisées par leurs échecs patents sur leurs terrains d'application, car c'est d'elles, bien sùr, et d'elles seules, qu'il s'agit lorsqu'on parle de fin des idéologies. C'est en meme temps une analyse très sommaire et pour tout dire conservatrice et idéologiquement réactionnaire des mutations idéologiques considérables auxquelles nous assistons, fruit de l'histoire de notte siècle finissant. La première moitié du XXème siècle, à laquelle se rattachent les questions qui nous occupent, est au contraire celle des luttes idéolo­ _ giques et politiques ouvertement affirmées et violemment antagoms­ tes. Il y a grand risque de contre-sens si on analyse ce passé en les évacuant au profit de critères « a-idéologiques» tels que ceux qui s'expriment de nos jours. L'historiographie mais aussi les sources qui les ont nourries, obéis­ sent alors à deux courants majeurs très déséquilibrés en importance : - la vision des Vainqueurs qui est celle de l'historiographie coloniale; - la visione des V aincus, celle des colonisés. Bien entendu Vainqueurs et Vaincus changent selon l es périodes. La vision des Vainqueurs n'accordait d'importance et meme de crédit qu'aux puissances fasciste et coloniale. Elle ignorait, louait ou minimisait leurs tares, ne se préoccupait pas des Vaincus, de leur cheminement, déformait l'impact des Vainqueurs sur les Vaincus, toujours considérés camme objets et non sujets de l'histoire. La vision des Vaincus tentait la prise en compte dans une analyse parallèle, des réponses ou initiatives de ces derniers, aux idéologies dominantes telles que colonialisme ou fascisme, en un mot de restituer la parole des Vaincus, non pour justifier ou condamner mais pour comprendre la vision des minoritaires ethniques ou politiques, celle des colonisés, grands Vaincus de l'époque et politiquement minoritaires, afm de restituer toute l'histoire au lieu d'en occulter une partie.


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Vider aujourd'hui de leur contenu en les minimisant, les oppositions idéologiques et politiques profondes entre la France et l'Italie, leurs intérets contradictoires, qui pourtant conduisirent à la guerre entre l<;s deux pays, tend à rendre peu compréhensible et nulle à la limite, la réponse des Vaincus de l' époque à ce conflit. Inutile de préciser que nous avons essayé de restituer, dans nos recherches, la parole cles Italiens de Tunisie, Vaincus s'il en fut, de cette tranche d'histoire.

d'analyser en détail les différents aspects. Son principal symbole est linguistique. Mal ou bien, ils sont tous multilingues et au moins trilingues ; le français, l'arabe ou encore le judéo-arabe ou le maltais nécessaire aux échanges, imprègnent non seulement leur manière de parler l'italien ou leur langue régionale (le sicilien surtout), mais leur savoir, leur comportement, leur conceptualisation, notamment politique et culturelle. Quelque soit l'autoprotection «identitaire» ou l'observance cles traditions d'origine, ceux de la «piccola Italia» ou de la «piccola Sicilia» se différencient sans cesse davantage de leurs compatriotes de métropole. Ce ne sont plus tout à fait cles Italiens, mais cles Italiens de Tunisie. Citons, parmi les cas nombreux de personnalités connues pour avoir joué un role notable ou joui d'une certaine célébrité, celui du grand poète nord-africain de langue généralement française, aujourd'hui mé­ connu, l'italo-maltais Mario Scalesi, né à Tunis le 6 février 1 892 et mort à Palerme le 1 3 mars 1 92213• En dépit de leur attachement réel et profond à la patrie d'origine qui fut exploité au maximum par le gouvernement fasciste dans un sens national-chauvin, cles débordements organisés qui s'en suivirent, des diverses manifestations provocatrices d' «italianité fasciste» où les couches populaires urbaines de la minorité italienne jouent un role certain, les intérets divers déterminés par le contexte, éloignent fré­ quemment ces Italiens là du pays d'origine dont ils ne partagent plus ni le quotidien ni meme l'histoire 14•

Culture, ideologie et politique Toute minorité se caractérise par l'extreme ambiguité de sa situation. Entièrement tributaire de l'Etat qui l'abrite dont dépend sur tous les plans, politique, économique, social ou législatif, son destin quotidien et qui, par conséquent, la concerne directement mais ne lui concède à peu près aucun droit légal d'intervention, elle est perçue, traitée, et se considère elle-meme au moins en partie camme étrangère, segmentairement liée à la nation à laquelle ses origines plus ou moins récentes la ratta­ chent. En situation coloniale où les différences sociales sont masquées par les clivages religieux, linguistiques clone culturels au sens le plus large du terme, chaque groupe ethnique vit au plan idéologique en partie replié sur lui-meme, enfermé dans un jeu de miroirs qui reproduit un ensemble de valeurs nationales à la fois réelles et mythiques. « (...) Refusés par le colonisateur, ils partagent en partie la situation du colonisé, ont avec lui des solidarités de fait; par ailleurs ils refusent les valeurs du colonisé comme appartenant à un monde déchu auquel ils espèrent échapper avec le temps » 11.

Cette situation contradictoire, les Italiens camme les autres mino­ rités la vivent au quotidien et offrent un cas spécifique de civilisation de transition ou mieux d'acculturation 12, dont il est instructif

11 A. MEMMI, Portrait du colonisé précédé du portrait du colonisateHr,

p. 25.

Paris, Buchet-Castel, 1957,

«Processus par lequel un groupe humain assimile tout ou partie des valeurs culturelles d'un autre groupe humaim>, selon la deflnition du dictionnaire RoBERT. 12

13

Citons l'un de ses poèmes: Contrairement au Christ le sauveur ineffable, qui naquit dans l'étable et mourut sur la croix Je suis né sur la croix et je meurs dans l'étable, Où les cris du bétail étoufferont ma voix. Plus digne du respect que le berceau d'un prince, la croix où je naquis a nom la Pauvreté, Et l'étable puante où je suffoque et grince, Sans l'espoir d'en sortir, c'est le monde habité. 1 4 A titre d'exemples : lors de la crise viticole des années 1930, les viticulteurs offrirent aux pouvoirs publics français de se naturaliser en masse contre soutien flnancier. La vague de syndicalisation et de grèves sous le Front populaire s'étendit en dépit des menaces des services policiers du Consulat, in La Méditerranée. .. cit.


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Juliette Bessis

La minorité italienne de Tunisie

Lorsqu' elles seront contraintes au départ, souvent dans " le déchire­ ment avant tout culturel, les familles se scindent entre l'Italie et. la France, et ici ou là, les Italiens de Tunisie, ni tout à fait Italien·s, ni tout à fait Français, restent solidaires cles autres communautés d'Afri­ que du Nord qu'ils retrouvent sur leur lieu d'installation. Aujourd'hui, l'Italie et la Tunisie indépendante ont renoué, avec tous les changements inhérents aux transformations contemporaines, les relations qui furent les leurs à l' époque pré-coloniale, le technicien remplaçant le «professioniste» et l'agent commerciai cles grosses en­ treprises, le commerçant. Les liens entre la péninsule et la cote africaine qui lui fait face sont une constante de l'histoire, l'épisode de l'émigration massive un mo­ ment de cette histoire. Mais ne nous y trompons pas, il n'existe pas - selon le terme impropre employé par quelques uns - de parenthèse en Histoire. Si l'Italie est aujourd'hui le deuxième partenaire économi­ que de la Tunisie, si le dialogue est aisé entre les deux partenaires, c'est aussi parce-que les traces économiques, sociales, culturelles laissées par l'émigration italienne dans l'ancienne Régence sont indélébiles. Elles ont marqué la Tunisie où les Italiens qui avaient choisi d'y vivre et dans leur esprit pour toujours, avaient pris à ce pays mais lui avaient aussi donné.

victoire mutilée» que cette masse de travailleurs soumise à la nation nantie (la France), sur cette terre de Tunisie «prolongement naturel de la métropole» (l'Italie), «haut lieu du passé glorieux hérité de Rome» « sanctifiée par son sang» «par la sueur et le génie italien»? Au delà du verbe, le problème de l'émigration reste un aspect essentiel de la politique coloniale concrete. Donnons très brièvement deux exemples de cette volonté politique :

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Je voudrais conclure cette intervention un peu «pointilliste» en portant l'accent sur le particularisme du colonialisme italien, que la communauté de Tunisie a parfaitement illustré. Aux justifications classiques de l'expansionnisme colonial qui ont été celles cles grandes puissances de l'époque comme la Grande-Bretagne ou la France, l'Italie en a substitué ou ajouté une autre, notamment sous le fascisme : la nécessité de l'espace vital pour elle, pays surpeuplé par rapport à ses ressources et réduit à la saignée de l'émigration. Le colonialisme italien se caractérise lui-meme comme le colonialisme du pauvre, celui de la nation prolétaire victime du partage colonial effectué contre elle par les nations nanties et à leur bénéfice. C'est sa «différence». Ce particularisme imprègne l'idéologie fasciste, son idéologie colo­ niale très précisemment et sert de justificateur et de pivot au projet expansionniste au Sud de la Méditerranée. Et pour soutenir ce projet, quelle plus belle démonstration concrete de l'injustice subie dans « la

- Le projet Balbo cles « ventimila» en Libye et les étapes de sa réalisation, visant à installer à partir de 1938, vingt mille colons en Libye. - Moins connu puisque non réalisé, celui cles « cinquecentomila» prévoyant l'installation d'un demi-million d'Italiens dans la future Tunisie italienne au détriment cles autochtones dont le sort futur peu enviable est défini dans le détail de la manière suivante, par un document du Ministère de l'Afrique italienne : - Juifs : question réglée par solution globale. - Français et naturalisés expulsés, avec quelques aménagements, vers la France. - Les Tunisiens musulmans à refouler : «Reste le bloc compact de 2.300.000 arabes tunisiens . . . [à expulser] cles zones du territoire les plus aptes à recevoir nos nationaux ( . ..) rompre avec les principes philantropiques ( . ..) en ce qui concerne les gens de couleur ou de race non-euro­ péenne (. . . )». 15

Le temps de l'«espace vital» est en principe révolu et en principe avec lui celui du discours supra-nationaliste, antisémitisme inclus, mais celui cles nations prolétaires opposées aux nations nanties? Les chercheurs qui légitimement travaillent sur les questions très actuelles de l'immigration, ne perdraient pas leur temps en jetant un regard comparatif sur cette immigration majoritairement prolétaire cles Italiens. de Tunisie, placés en situation semifcolonisée, victimes de traitements ségrégationistes, soumis à cles pressions idéologiques, po-

1 5 A rchives italietmes dt1 Ministère des affaires étrangères, Tt1nisie,

raciaux en Tunisie», 30 nov. 1940, carton 15. A ce propos et pp. 324-329.

«La solution cles problèmes cit., pp. 268-276

La Méditerranée. . .


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]uliette Bessis

litiques, économiques et culturelles contradictoires venarit du pays d'accueil et de la patrie d'origine, déchirés entre leur reve d'installàt�on définitive et clone d'intégration et leur réflexe identitaire excité dans un intéret qui n'est pas le leur, par un discours et cles actions chauvines et ultra-nationalistes, venant de la patrie d'origine. Mutatis mutandis, ils compareraient les réponses données par ces Vaincus d'hier et ceux d'aujourd'hui.

LUIGI GOGLIA

Africa1 colonialismo} fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

*

La straordinaria presenza della fotografia nell'ultimo secolo e mez­ zo di storia dell'umanità si traduce in una eccezionale massa di immagini fotografiche che sono disponibili in modo più o meno facile e più o meno difficile per chi ne voglia approfittare ai fini della conoscenza storica. Il gigantesco giacimento fotografico attende soltanto di essere scavato, esaminato, studiato perché possa essere correttamente ado­ perato ai fini della storia e, affinché questo accada, è necessario che gli storici prendano coscienza delle nuove possibilità di ricerca e si preparino ad appropriarsi della fotografia come è accaduto nel tempo per le fonti tradizionali e anche per fonti nuove, come quella orale. Non voglio però certamente sostenere che gli storici dell'età con­ temporanea debbano tutti farsi conoscitori della fotografia e quindi adoperarla come fonte, desidererei invece che essi si ponessero di fronte al problema con un consapevole atteggiamento di apertura culturale e metodologica. In un passato non lontanissimo abbiamo avuto un Benedetto Croce ed un Federico Chabod che hanno indicato nella loro riflessione metodologica la dignità culturale e documentaria della fonte iconogra­ fica, è tempo ormai di fare qualche deciso passo avanti. Scriveva Croce trattando della partizione e classificazione delle fonti storiche : «Perciò non mi sembra senza significato che la partizione di racconti e documenti non abbia trovato adito presso i più empirici metodolo­ gisti, che non s'imbarazzano in tali sottigliezze e stanno contenti

* Le fotografie, cui si riferisce nei testo, sono in Colonialismo e fotografia. Il caso italiano, Messina, Sicania, 1989 [Catalogo della mostra, Messina 25 ottobre - 1 1 novembre 1989].


Luigi Goglia

Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano (1885- 1940)

a raggruppare le fonti storiche in fonti scritte e fonti figurate» 1• Da parte sua Federico Chabod pone esplicitamente la fotografia · tr� le fonti figurate 2• Il caso di Erusalimsky è curioso e anche in un certo senso emble­ matico. Dobbiamo la conoscenza del fatto al racconto che ne fece Ernesto Ragionieri, che lo visitò a Berlino nel 1 957, che così scrive : «Ricordo che aveva sul suo tavolo di lavoro una serie di fotografie di personaggi della diplomazia e dell'industria, della finanza, e della cultura della Germania tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, e ne analizzava caratteristiche somatiche e psicologiche con accuratezza e precisione. Gli domandai incuriosito il perché di quella ricerca, quasi insospettito che la cura ritrattistica, che era stata di moda in poeti e pubblicisti tedeschi negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, avesse avuto una risonanza tanto lontana ed inaspet­ tata. Me ne dissuase rapidamente. Lo storico marxista - mi spiegò - il quale parte dalla ricostruzione delle formazioni economico-sociali e di lì deriva il rapporto con le tendenze e le correnti operanti nella vita politica, può correre il rischio di sminuire il senso dell'individualità, di ridurre e di schiacciare su di uno sfondo indifferenziato avvenimenti e uomini singoli, di appiattire così facendo la drammaticità della storia»3• Credo sia significativo di un atteggiamento culturale ed ideologico dell'allora giovane storico marxista italiano, il quale si meraviglia e addirittura rimane « quasi insospettito» di fronte alla scoperta del vecchio maestro marxista sovietico contornato da foto­ grafie e che si rassicura quando questi gli spiega l'uso che ne fa. E l'uso non è propriamente quello di una fonte, ma piuttosto di un correttivo al rischio che lo storico marxista può correre «di sminuire il senso della individualità, ecc. » 4•

Lo storico della fotografia Angelo Schwarz chiese in una intervista a Ruggiero Romano perché gli storici usassero «così poco i reperti fotografici». Romano rispose : «Per quanto riguarda l'uso dei reperti fotografici da parte degli storici, c'è un problema che è anche quello della pigrizia. Gli storici Dio sa quanto sono pigri in generale e che non vanno al di là dell'archivio» 5• Pur non escludendo la possibilità che ci possano essere elementi di pigrizia intellettuale, io credo che le ragioni vadano cercate, però, altrove, in parte si può anche pensare a resistenze accademiche alle innovazioni 6, ma il problema credo vada proprio spostato e focalizzato sulla fotografia. Penso, infatti, al contrario di Romano, che per sua natura lo storico dovrebbe essere curioso e la curiosità dello storico è proprio quella molla che lo spinge ad essere come lo ha descritto Mare Bloch. «<l buono storico somiglia all'orco della fiaba : là dove fiuta carne umana là sa che è la sua preda» 7. E quindi la via è quella indicata da Lucien Febvre, «la storia si fa senza dubbio con documenti scritti. Quando ce n'è. Ma si può fare, si deve fare senza documenti scritti se non esistono. Per mezzo di tutto quello che l'ingegnosità dello storico gli consente di utilizzare per fabbricare il suo miele, in mancanza dei fiori normalmente usati. Quindi, con parole. Con segni. Con paesaggi e con mattoni. Con forme di campi e con erbe cattive. Con eclissi lunari e con collari da tiro. Con le ricerche su pietre, eseguite dai geologi, e con analisi di spade metalliche compiute dai chimici. In una parola, con tutto quello che, essendo proprio dell'uomo, dipende dall'uomo, serve all'uomo, esprime l'uomo, significa la presenza, l'attività, i gusti e i modi d'essere dell'uomo» 8• Io credo anche che gli storici, al pari degli altri esseri umani del nostro secolo, siano sensibili alle fotografie ed alle sue afflni, le immagini filmiche e televisive, ma che essi le valutino con diffidenza quando si tratti di considerarle più

1 B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 19435, p. 13. 2 F. CHABOD, Lezioni di metodo storico, a cura di L. FIRPO, Bari, Laterza, 1969, p. 58. 3 A. S. ERUSALIMSKIJ, Da Bismarck a Hitler, con prefazione di E. RAGIONIERI, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. XV. 4 Da parte degli storici di orientamento marxista è continuato questo atteggiamento di diffidenza nei confronti della fotografia e di un suo uso marginale nella storia: al proposito vedi di M. GIORDANO, Fotografia e storia, in «Studi storici», 1981, 4. Una posizione più aperta ma di ordine generale e di un certo sapore d'occasione è quella espressa da Paolo Spriana che

scrive: «non c'è sollecitazione migliore della fotografia per capire cosa è veramente, come vive in una determinata società un partito politico», nella prefazione alla Storia fotografica del partito comunista, di E. P. AMENDOLA, Roma, Editori Riuniti, 1981 . 5 L'intervista apparve su «<l diaframma. Fotografia italiana», 1977, 228; ora è raccolta da A. ScHWARZ, Trenta voci suJJa fotografia, Torino, Gruppo Editoriale Forma, 1983, p. 40. 6 R. RoMANo, ibid., p. 41. 7 M. BLOCH, Apologia deiJa storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 41 . 8 L. FEBVRE, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1976, p. 177.

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del mero momento illustrativo. E forse questo atteggiamento� che è piuttosto comune, può essere generato da una saturazione di imma&ini di cui le nostre società offrono esempi quotidiani. Le immagini; nel nostro secolo che George L. Mosse ha felicemente definito come «secolo visivo», sono una presenza che con il trascorrere dei decenni è divenuta sempre più massiccia e, tra queste, la fotografia è la più domestica di tutte, tanto da poter essere scattata anche dai bambini. La produzione annua di fotografie raggiunge cifre astronomiche, mentre la televisione ci porta in diretta nelle nostre case immagini di portata storica. Questa sempre crescente iperproduzione di immagini fotografiche, televisive, filmiche ha certamente portato ad una abitudine, per cui sempre più difficilmente se ne può fare a meno, ma nello stesso tempo c'è il rischio effettivo forse di una assuefazione psicologica acritica. Leo Longanesi, che è stato fortemente attratto dalla fotografia, esprimeva uno stato d'animo di questo tipo quando scriveva nel 1 949 : « Giorno per giorno durante cinquanta anni, la fotografia ha preso un posto indispensabile nella nostra vita quotidiana, e gran parte della nostra cultura, o meglio delle nostre cognizioni, è frutto della fotografia, la quale ha finito per dominarci»9• E ancora, «la fotografia ha saccheggiato la cronaca di questo ultimo decennio fino alla nausea : noi abbiamo vissuto nel sangue di molte guerre ed abbiamo bevuto il latte di molte promesse, in una continua altalena di delusioni e di speranze» 10• È quindi questa onnipotente invadenza della fotografia che può produrre una reazione di affaticamento, oppure di assuefazione e, quindi, di quasi indifferenza. A questo va aggiunto che la fotografia si ottiene attraverso uno strumento detto camera fotografica che, sebbene diretta dall'intelligenza, dall'occhio e dalla mano del fotografo e quindi opera squisitamente umana, può essere vista da parte di intellettuali retorica­ mente <mmanistici» come un prodotto meccanico, nel quale poco ha a che fare l'apporto dell'uomo. Inoltre, il fatto che la fotografia sia veramente alla portata di tutti, sia come costo degli apparecchi fotografici

sia delle pellicole e della stampa e sia anche per la semplicità d'uso, può dare ad alcuni la falsa idea che essa costituisca un prodotto banale che ha essenzialmente un uso intimo familiare, o pubblico-illustrativo, ma che non ha un suo linguaggio, una sua originale e reale dimensione culturale. Io credo che siano più questi i motivi per cui gli storici, come anche altri studiosi ed intellettuali, hanno un atteggiamento es­ senzialmente negativo nei confronti della fotografia come fonte storica. Essi probabilmente non riconoscono alla fotografia nessuna dignità culturale ed arrivano al massimo ad ammetterla come illustrazione per corredare ed «abbellire» un testo. Ritornando quindi alla risposta di Ruggiero Romano, da cui ero partito, si tratta piuttosto di una chiusura di tipo culturale che di pigrizia 11• Comunque, dalla cucina storiografica del vecchio Erusalimsky che ci svelò Ragionieri ad oggi, qualche piccolo passo avanti è stato fatto sul cammino per coniugare la fotografia alla storia; si tratta ancora veramente dell'inizio, ma per quanto ancora si sia in pochi a lavorare in questa direzione, ci sono segni che fanno pensare ad un allargamento della piccola schiera e forse anche ad una maggiore permealizzazione della cultura storica nei confronti dell'immagine fotografica 1 2, cosicché

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9 L. LoNGANESI, Il cadavere e il bello fotografico, prefazione al volume fotografico Il 1110ndo can11nÙJa, storia di cinquant'anni, Milano, Rizzoli, 1 949, in Gli scrittori e la fotografia, a cura di D. MoRMORio,

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Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 29. 30.

Ibid., p.

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11 Desidero segnalare alcuni, pochi, saggi che mi sembrano essenziali per la conoscenza della fotografia nei suoi aspetti culturale, sociale, tecnico, artistico e del lavoro del fotografo, tenendo in special conto, per facilitare il lettore, delle traduzioni e dei lavori italiani. Non si può non iniziare questo sintetico elenco dal classico, breve saggio di W. BENJAMIN, Piccola storia della fotografia, pubblicato insieme con altri scritti in L'opera d'arte ne/i'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 1966; G. FREUND, Fotografia e società, Torino, Einaudi, 1976; S. SoNTAG, Sulla fotografia. Realtà e ÙJJ!lJagine nella nostra società, Torino, Einaudi, 1978; R. BARTHES, Il messaggio fotografico, in Gli scrittori e la fotografia... ci t., pp. 6-21 ; il testo è del 1961 e credo sia il suo maggiore contributo sulla fotografia; penso, infatti, che La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980, sia un testo forse suggestivo, ma di pertinenza letteraria; A. ScHARP, A rte e fotografia, Torino, Einaudi, 1979; Camera Work. La rivista di fotografia di A lfred Stieglitz 1903- 1917, a cura di M. VANON, Torino, Einaudi, 1981 ; I. ZANNIER, St01ia e tecnica della fotografia, Bari, Laterza, 1982; A. ScHWARZ, Trenta voci SII/la fotografia... cit.; G. FREUND, Il mondo è il mio obbietti11o, Milano, La Tartaruga Edizioni, 1984; A. Gn.ARDI, Storia sociale della fotografia, Milano, Feltrinelli, 1976; Cento anni di fotografia, in «Ulisse», 1967, 61. 1 2 Vedi al proposito G. BoLLATI, Note su fotografia e storia, in Annali 2 Storia d'Italia, tomo I, Torino, Einaudi, 1979, pp. 5-55; L. GoGLIA, La fotografia e la storia. Può essere la fotografia t/!1 documento?, in La ricerca storica. Teorie, tecniche, proble111i, Università degli studi di Roma «La Sapienza», anno accademico 1981-82, pp. 43-51. Si tratta di una lezione tenuta al seminario


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Renzo De Felice ha potuto recentemente affermare, anche se a mio parere ottimisticamente, « la fotografia è ormai entrata a pieno . titolo nel novero dei documenti dei quali lo storico contemporaneo può' e, diremmo, sempre più spesso oggi sente l'utilità di servirsi» 13• Ci sono civiltà che hanno potuto conservare grande documentazione di sé, documenti sia nel senso della scrittura (anche epigrafi), sia monumenti, iconografia, ecc. ; questa sorta di privilegio, che è una fortuna per gli studiosi, è per lo più patrimonio dei popoli dell'Asia e dell'Europa. Per quanto riguarda l'Africa, abbiamo invece spesso il caso di popoli ricchi di storia che, per l'assenza della scrittura (lingua solo parlata), per le distruzioni operate dalle guerre e dal tempo, soffrono della mancanza di quella varia e ricca documentazione sulla quale lo storico abitualmente lavora. Fu così che gli storici dell'Africa, mutuando dagli antropologi aspetti del loro metodo d'indagine, ini­ ziarono ad adoperare nella loro ricerca la fonte orale. Furono così ascoltate quelle voci africane che erano depositarie della memoria storica del loro popolo e che ne rappresentavano ad un tempo l'identità storica, il mito di fondazione, la vicenda epica e le cronache 14• E fu

J an Vansina, il grande storico belga dell'Africa, ad operare questa svolta negli studi storici affermando la fonte orale sia nella sua espe­ rienza diretta di ricerca, sia nell'elaborazione metodologica 15• Il contributo metodologico di Vansina non fu settoriale, limitato al caso dell'Africa, esso bensì aprì nuove possibilità di ricerca a tutti gli storici che fossero pronti ed interessati a percorrere la nuova strada 1 6, e che volessero approfondire determinati aspetti, soprattutto di storia sociale, dove la fonte orale diventa essenziale per documentare ed illuminare la vita quotidiana, la mentalità e specifici atteggiamenti soprattutto delle classi subalterne. L'Africa, comunque, presenta un'altra importante caratteristica dal punto di vista della ricerca storica e delle sue fonti. Quel continente, infatti, è stato tutto dominato in età contemporanea, seppure in modo diverso, dall'Europa. Talvolta il dominio veniva esercitato diretta­ mente dagli stati europei (Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Ger­ mania, Italia, Spagna), talvolta in modo indiretto attraverso varie forme, ma in tutti i casi la decisione era della metropoli europea che controllava quei paesi. Ha scritto Réné Rémond a proposito della colonia : « essa è consi­ derata un semplice oggetto di decisione politica, e non partecipa però in alcun modo alle decisioni che la riguardano, e che vengono

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organizzato e diretto da un gruppo eli studenti della facoltà eli Scienze politiche; P. 0RTOLEVA, fotografia, in Il mondo contemporaneo. Gli stmmenti della ricerca. Q11estioni di metodo, II, t. II, Firenze, La Nuova Italia, 1983, pp. 1122-1154; E. QuARENGHI, Per 1111a disc11ssione SII! significato e 1'11so dell'immagine fotografica coJne stmmento della storia contemporanea, in La storia, fonti orali nella setto/a, Venezia, Marsilio, 1982; P. CARucci, Il doctlmento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1987, p. 95; F. CARDINI, Lo storico e l'obbiettivo, in «Archivio Fotografico Toscano» [d'ora in poi AFT], 1986, 3, pp. 42-45; A. JouBERT, Le co!lJ!llissariat a11x A rchives. Les photos q11i falsifiettt l'histoire, Paris, Barrault, 1 986. L'A. analizza la manipolazione politica della fotografia con particolare attenzione ai regimi dittatoriali; alle pp. 10-12 descrive le tecniche della falsificazione: 1) ritoccare, 2) scontornare, 3) ritagliare e rias­ semblare da una o più fotografie, 4) fotomontaggio, 5) reinquadrare, 6) cancellare. Per quanto riguarda in particolare la fotografia istantanea, vedi B. CoE- P. GATES, L'istantama. Piccola storia della foto ricordo, Roma, Capanna, 1 980, molto utile soprattutto per quanto riguarda l'evoluzione delle tecniche degli apparecchi fotografici tascabili; G. KING, Si!J «cheese»l The snapshot as art and social hist01y, London, Collins, 1986, in particolare il capitolo 7 «Snapshots as documents». 1 3 R. DE FELICE, prefazione al Diario fotografico di Vittorio Eman11e/e III e di Elena di Savoia, introdotto e curato da M. FALZONE DEL BARBARò, Torino, Alemanni, 1987, p. 15. Renzo De Felice è uno dei rari storici che si è cimentato operativamente con la fonte fotografica; in collaborazione con chi scrive ha infatti pubblicato Storia fotografica del fascismo, Bari, Laterza, 1981, e Musso/ini. Il 111ito, Bari, Laterza, 1 983. 1 4 Di grande interesse a questo proposito è il bel romanzo dello storico guineano D. T. NIANE, S11ndiata, Epopea 1nandinga, Roma, Edizioni Lavoro, 1 986 (l'edizione francese è del La

1960). L'A. narra la vicenda di un griot che, nell'età precoloniale, era colui che conservava i costumi, le tradizioni e i principii di governo dei re. Il griot, oltre che il conservatore della memoria storica del suo popolo, era anche un ascoltato consigliere del re. Il griot del romanzo narra l'epopea mandinga di cui è depositario per trasmissione orale e memorizzazione. 1 5 J. V ANSINA, La valeur historiqtte des traditions ora/es, in «Folla Scientifica Africae Centralis», 1958, 4, pp. 58-69 ; ID., De la tradition orale. Essai de !Jiéthode historique, Tervuren, Musée Roy�l de l'Afrique Centrale, 1961 ; l'edizione italiana accresciuta, La tradizione orale, saggio di l!letodologta tra storica, Roma, Officina Edizioni, 1976, con un'introduzione di A. TRIULZI, che è stato etnostoria, ed Storia TRIULZI, A. vedi via; nuova la seguire a i primi storici italiani dell'Africa in Tradizione e 11111tamento in Africa, a cura di B. BERNARDI - A. M. GENTILI, Bologna, Coop. Libraria Universitaria Editrice, 1974, pp. 155-182. Anche nell'importante studio di T. Fn.ESI, Realtà e prospettive della storiografia africana, Napoli, Giannini, 1978, la fonte orale viene positivamente presa in considerazione ed analizzata, pp. 59-74. 16 Prova della progressiva affermazione nel senso sopraddetto fu il convegno internazionale «Antropologia e storia: fonti orali», che si tenne a Bologna dal 16 al 18 dicembre 1976 per iniziativa della facoltà di Scienze politiche di quell'Università; vedi gli atti Fonti orali. Antropologia e storia, a cura di B. BERNARDI, C. PoNI, A. TRIULZI, Milano, Angeli, 1978.


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prese dal di fuori, nelle capitali degli imperi. La colonia non ha né libertà né sovranità. La sovranità appartiene tutta alla metropoli>> 1 7 • Anche il protettorato, sotto la parvenza del riconoscimento formàle di una personalità, cela in effetti un controllo pressoché totale della potenza protettrice. Accade così che gran parte delle fonti scritte della storia dei paesi africani, ex colonie o ex protettorati, sono documenti del potere coloniale, sono cioè documenti dei governi coloniali degli stati europei che si erano colà insediati. Da qui derivano alcune conseguenze, la prima è quella dell'importanza della fonte orale africana, che talvolta è l'unica di parte africana di cui possiamo disporre per conoscere direttamente sia il punto di vista dei popoli assoggettati, sia alcuni aspetti della loro vita e della lotta che essi condussero contro la dominazione straniera. E questo è l'altro motivo per cui gli storici dell'Africa sono stati i primi a mettere a punto gli strumenti utili all'uso scientifico della fonte orale. Dall'altra parte noi abbiamo la massa spesso ingente di documenta­ zione scritta d'archivio o a stampa dei governi coloniali, che costituisce un patrimonio storico di notevole importanza e che sarebbe quanto­ meno da ingenui o da sprovveduti sottovalutare. La documentazione coloniale indubbiamente riflette il punto di vista del dominatore e di questo bisogna essere ben consapevoli, ma essa contiene anche una serie di elementi, di dati, che sottoposti - come del resto tutti i docu­ menti senza eccezione - al vaglio critico dello studioso sono necessari per ricostruire non soltanto il rapporto di dominazione coloniale, che è comunque essenziale alla comprensione del periodo storico e della società coloniale di cui fa parte anche il popolo africano dominato, ma anche quanto più è possibile della storia africana dell'età coloniale. Gli archivi coloniali, comunque, presentano effettivamente un parti­ colare carattere di ambiguità che è dato non solo dalla loro origine, per quanto riguarda il nostro oggetto di studio, ma dalla collocazione della storia coloniale in un'area che ci può apparire come di frontiera tra la storia nazionale metropolitana e quella africana di quel periodo. Infatti

la storia coloniale è per lo più concepita come una mera proiezione di un imperium nazionale sulle regioni africane che furono nostre colonie da una parte, ed espunta dall'altra, perché storia africana «imbrogliata» dai paesi coloniali, cosicché in entrambi i casi perdiamo la dimensione specifica di questa storia ed insieme perdiamo anche l'occasione di approfittare proficuamente e correttamente degli archivi coloniali 1 8• A me sembra che i tempi siano maturi per porsi in modo nuovo di fronte alla fonte coloniale ed anche, conseguentemente, di fare in modo nuovo la storia di quel periodo e questo non può certamente consistere nel cambiare il punto di vista ideale o ideologico ieri colonialista e neocolonialista, oggi anticolonialista con cui concepire quella vicenda storica. Il problema è sostanziale, è di metodo e di obbiettivi, non di etichette, né di sventolio di bandiere di combattimento. Il problema centrale, a mio avviso, è di individuare un'area di intervento che ci consenta di fare dei passi avanti nella conoscenza del periodo, un punto di incrocio tra governo coloniale e realtà africana che ci faccia conoscere l'impatto coloniale con la società africana, l'insieme di quegli elementi e di quei momenti, di quelle strutture con le quali il potere coloniale costituì una nuova organizzazione della società indigena, di tutto quanto nella vecchia terminologia colonialista veniva definito «politica indigena». Concentrandosi su questi aspetti centrali della colonizzazione, si può avere la possibilità di verificare l'ampiezza e la profondità della pene­ trazione coloniale, dei cambiamenti, delle innovazioni e delle distruzioni che vengono apportate nel tessuto della società africana, di capire più a fondo il rapporto suddito fedele-ribelle in un esame puntuale delle aree di collaborazione africana al potere coloniale e di quella del suo rifiuto, della ribellione e della lotta anticoloniale.

1 7 R. RÉMOND, Introduzione alla storia contemporanea. Il XIX secolo ( 1815- 1914), Milano,

Rizzoli,

1 976,

p.

215.

1 8 Credo che la storia pre-unitaria del nostro paese possa aiutarci a capire. L'Italia prima del raggiungimento dell'unità nazionale fu in parte dominata da grandi potenze europee e, anche se quel tipo di dominazione fu certamente molto diversa da quella che l'Europa portò nelle colonie d'Africa, comunque non c'è dubbio, ad esempio, che le provincie italiane dell'impero asburgico fossero realtà nazionali oppresse e tuttavia nessuno storico del Risorgi­ mento avrebbe preclusioni metodologiche o, peggio, ideologiche di fronte all'uso delle fonti austriache raccolte negli archivi di Vienna, né tanto meno penserebbe che il periodo della dominazione asburgica sulla Lombardia ed il Veneto fosse solo un capitolo di storia di quell'impero e non anche di questi territori italiani.


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In questa prospettiva si otterranno risultati utili per la storia dell'A­ frica nell'età coloniale, perché l'Africa indipendente è anche figlia c;lel1'Africa coloniale e la storia dei popoli non è fatta solo di vittorie, di affermazioni militari, politiche o culturali, ma anche di sconfitte, di servaggio e di decadenza e gli splendori e le miserie della vicenda di un popolo sono tenuti insieme dalla ben robusta trama della storia. In secondo luogo si otterrà un benefico distacco dalla tradizionale storia coloniale che anche riscritta con etichetta e intenzione anticolonialiste, ' resta comunque concettualmente inadatta a dare durevoli contributi alla storia dell'Africa, mentre sicuramente perpetua l'angusta visione della vicenda imperialistico-coloniale come mera appendice o escrescenza della politica estera, militare, economica della metropoli coloniale. Soltanto nella direzione a cui accennavo sopra mi pare si possa trasformare la zona di frontiera della storia coloniale, che rischia di diventare una abbandonata terra di nessuno, in un territorio di incontri e incroci fecondi, una grande area meticcia ma non ambigua che può portare a risultati nuovi che interessano la storia africana di quei paesi che furono nostre colonie e insieme anche il versante più concreta­ mente coloniale del dominio italiano di quei popoli e di quei paesi 19• Come accadde per la fonte orale, cosi anche per la fonte fotografica sono stati gli storici dell'Africa ad iniziare un esame della questione ed a porre il problema all'attenzione generale20 • Per iniziativa di due storici dell'Università di Londra, il dr. Andrew Roberts ed il dr. David Killin­ gray, ebbe luogo presso la School oj Orienta! and African Studies di quella Università il «Workshop on photographs as sources for African history» il 12-13 maggio del 1 988. A questo incontro, che rappresenta l'inizio di

una svolta negli studi storici dell'Africa e credo anche sul piano pm generale, parteciparono trentaquattro studiosi di diverse aree e di vari paesi. Tra questi, due storici italiani, il prof. Alessandro Triulzi e chi scrive, che, ciascuno per la sua via, erano giunti allo studio della fonte fotografica e a coglierne la sua importanza per la storia africana ed anche a farne le prime esperienze nel lavoro storiografico 21• La pubblicazione degli atti del convegno-laboratorio di Londra mette in luce la ricchezza dei contributi ed il buon livello di alcuni di essi, ma indica nello stesso tempo che si è alla fase iniziale del lavoro22• È comunque una via nuova che una parte della storiografia contem­ poraneistica dell'Africa intende percorrere con la coscienza di portare anche un contributo di ordine generale agli studi storici.

19 In questa direzione ho indirizzato la mia ricerca, L. GoGI.IA - F. GRASSI, Il colonialismo italiano da A dua all'impero, Bari, Laterza, 1981, in modo particolare il cap. II della parte II; L. GoGLIA, Sulla politica coloniale fascista, in << Storia contemporanea», 1988, 1, pp. 35-53; In., The role of Fascist party in the native policy of Italian East Africa, intervento alla «Xth international conference of Ethiopian studies », Parigi, 23-26 agosto 1988; In., Note su/ razzismo coloniale fascista, in <<Storia contemporanea», 1988, 8, pp. 1223-1266. 2° Cfr. C. FoRLACROIX, La photographie au service de !'histoire d'Afrique. Présmtation des documents photographiques conservés à la photothèq11e de la bib!iothèque universitaire d'Abidjan, in <<Cahiers d'études africaines», 1970, 37, pp. 125-143. Lo scritto costituisce un primo interessante ed utile approccio al tema, anche se - a mio avviso - l'A. mostra più d'una esitazione a riconoscere la pienezza del ruolo della fotografia nel lavoro storiograftco.

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21 Alessandro Triulzi dirige da qualche anno un gruppo di ricerca ftnanziato dal Ministero della pubblica istruzione: la ricerca, l'inventariazione e la catalogazione del materiale fotograftco africano negli archivi italiani è una parte di questo lavoro. È autore di Photographic records of nineteenth century EthiopiatJ towns in Italian archives, in Proceedings of the international symposÙI!JJ on the centenary of Addis Abeba, NoveJnber 24-25, 1986, Addis Abeba University, Institute of Ethiopian studies, 1988, pp. 97-1 17. Io iniziai ad adoperare fotografte africane coloniali italiane come supporto didattico, in modo molto primitivo per mancanza di strutture adeguate, durante le lezioni presso l'allora Istituto di storia moderna dell'Università di Roma alla metà degli anni Settanta. Nel 1979, per conto dell'Università di Garyiunis (Bengasi), curai con Francesco Castro una mostra storico-fotograftca dedicata ad Ornar al Mukhtar e alla resistenza anticoloniale cirenaica in occasione di un congresso storico sulla figura di Ornar; vedi il catalogo, sempre curato da Castro e da me, The martyr Omar al Mukhtarfestival. Cata!ogue of exhibition, Roma, La Tipografica, 1979; poi L. GoGLIA, Nota sulla cartolina fotografica coloniale italiana, in <<Rivista di storia e critica della fotografia», 1983, 5, pp. 8-12. Vorrei al proposito ricordare che questa rivista, fondata e diretta da Angelo Schwarz, è stato il primo serio e costruttivo punto di incontro e di confronto tra storici e critici della fotografia, storici e fotografi ; essa ha purtroppo chiuso dopo solo sei numeri, che però restano a testimoniare un contributo ricco e vivace alla cultura fotograftca. Poi ho pubblicato la Storia fotografica deJJ'ùJJpero fascista, A . O.I. 1935- 1941, Bari, Laterza, 1985. Da allora ho compiuto una riflessione critica sul mio lavoro di storia fotografica, stimolato anche da ulteriori studi e ricerche e dal confronto con altri studiosi, soprattutto al seminario-laboratorio alla S.O.A.S. di Londra. Credo così di avere compreso che un lavoro pionieristico paga un evidente prezzo nel non avere punti di riferimento precedenti e nel mio caso anche nell'avere dato troppo per scontati assunti che forse non lo erano del tutto, nell'avere eccessivamente semplificato, al ftne di essere compreso senza equivoci e molto probabilmente anche nell'avere corso troppo, nell'avere cioè saltato qualche passaggio intermedio, senza avere sufftcientemente preparato il terreno. 22 Photographs as sources for African history, a cura di A. RoBERTS, London, S.O.A.S., 1988. L'intervento di A. TRIULZI, Prelilninmy report on t1vo photographic collections in Italy, è alle pp. 105-114; il mio intervento, Photography, colonialistn, fascistn, tenuto da me oralmente, non è stato pubblicato perché non feci in tempo a stenderne il testo scritto per la stampa degli atti.


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La storia della fotografia in Italia e della fotografia italiana pres�nta suoi caratteri peculiari strettamente legati, come ha bene messo . in evidenza Giulio Bollati 23, alla cultura e alla società italiane e più i.t: generale alla nostra particolare storia nazionale postunitaria. Scrive Bollati : «<nvece tutto ci avverte, anche la fotografia, che nulla è più fuorviante che il commisurare lo sviluppo italiano ai moduli classici, i quali per un automatismo mentale indotto da una lunga tradizione, sono poi sempre quelli dell'archetipo inglese che ha affascinato lunga­ mente la nostra cultura, anche se soprattutto come mitologia negativa. Lo sviluppo italiano riveste evidentemente caratteri di tale peculiarità, che tollera di essere commisurato soltanto a se stesso, e che sanno bene quegli interpreti che, partendo alla sua conquista da posizioni convenzionali, spesso finiscono contro il muro di 'illogicità' inattese»24• Il richiamo di Bollati è soltanto apparentemente lapalissiano, tanto meno è semplicistico, ma al contrario costituisce anche nel nostro caso un presupposto assolutamente necessario per collocare nella giusta pro­ spettiva di comprensione la fotografia italiana, procedimento, questo, essenziale per colui che questa fotografia vorrà prendere in considerazione come fonte. Con ciò non voglio certamente negare la comparazione nell'analisi storica, voglio al contrario sottolineare che gli studi storici si nutrono di comparazioni e che questo tipo di procedimento arricchisce la conoscenza storica. È invece assolutamente sterile di risultati quel tipo di comparazione che si risolve nel confronto dell'ultimo della classe con il più bravo per arrivare alla conclusione idiota che l'uno è un somaro e l'altro è intelligente. Questo tipo di esercitazione, praticata, ahimé, in misura non trascurabile, risponde in modo schematico a tre tipi di meccanismi, quello ideologico-moralistico, quello del gioco di società e infine quello delle chiacchiere di paese, di gramsciana memoria.

Storici della fotografia e qualche storico tout court hanno cominciato negli ultimi anni a lavorare con impegno sulla fotografia italiana, tanto che, anche se siamo ancora ai primi passi, comincia però a delinearsi un gruppo di opere che possono costituire un valido orientamento di conoscenza che contribuisce a collocare questo multiforme prodotto nella cultura e nella storia del nostro paese 25• Nel periodo dell'imperialismo coloniale l'espansione europea si fo­ calizza sull'Africa, che, comparativamente alla penetrazione attuata in altri continenti, era stata fino ad allora abbastanza trascurata. Le esplorazioni, l'apertura del canale di Suez, l'intensificarsi della multi­ forme presenza europea, missionaria, commerciale, militare e le notizie, i resoconti, l'interesse delle metropoli per queste novità geografiche, etniche, commerciali, per l'insieme di queste nuove realtà svelate, per le imprese che venivano compiute e narrate provocarono anche la curiosità e l'attenzione professionale di pittori. Questi, artisti o artigiani che fossero, attraversano una geografia esotica che parte dall'Africa mediterranea e, passando per il vicino e medio Oriente, fino a toccare l'India per raffigurare questa vasta area immaginata, incontrata e rein­ ventata, detta Oriente. Questi pittori orientalisti - il termine è com-

23 G. BOLLATI, Note su fotografia . . . cit., pp. 5-55. Il saggio è di grande ftnezza e di forte stimolo intellettuale, anche se talvolta il giudizio dell'A. assume la forma e la sostanza di una gelida sentenza marmorea che sembra provenire da un « altrove» lontano ed extrastorico. 24 Ibid., pp. 40-41. Anche A. GILARDI, Creatività e informazione fotografica, in Storia dell'arte italiana, 9, t. II, Torino, Einaudi, 1981, p. 551 : « Se affermiamo che tra la fotografta italiana e quella di altri paesi vi è la stessa distanza, o se si vuole il medesimo ritardo, che si può veriftcare fra i rispettivi modi di produzione industriale; o almeno che può essersi veriftcato per un certo periodo non enunciamo affatto un concetto paradossale».

25 Dò qui soltanto quei titoli essenziali di opere e di contributi a carattere generale : P. BECCHETTI, Fotogrtifi e fotografia in Italia 1839- 1880, Roma, Edizioni Quasar, 1978; Fotografia italiana dell'Ottocento, Milano-Firenze, Electa-Alinari, 1979; C. BERTELLI, La fedeltà incostante.

Schede per la fotografia nella storia d'Italia fino al 1945, in Annali 2 Storia d'Italia . . . cit., pp. 59-198; L ZANNIER, Storia della fotografia italiana, Bari, Laterza, 1986 : su questo volume, che è un lavoro nel complesso positivo e che sarà più volte citato, ritornerò più avanti a proposito di un vistoso errore storico ; L. Tm.rASSINI, Le origini della Società fotografica italiana e lo sviluppo della fotografia in Italia. Appunti e problemi, in AFT, 1985, 1, pp. 42-51 ; questa rivista semestrale dell'Archivio fotograftco toscano del Comune di Prato è venuta provvidenzialmente a colmare il vuoto lasciato dalla « Rivista di storia e critica della fotografia» di Angelo Schwarz; M. MIRAGLIA, Note per una storia della fotografia italiana (1839- 1911) , in Storia dell'arte italiana, 9, t. II, Grafica ed immagim. Illustrazione e fotografia, Torino, Einaudi, 1981, pp. 423-543 ; A. GILARDI, Creatività ed informazione. . . cit., pp. 547-586 ; N. DELLA VoLPE, Fotografie tnilitari, Roma, Ufftcio storico Stato maggiore dell'Esercito, 1980; H. GERNSHEIM, Le origini della fotografia, Milano, Electa, 1981 ; si veda in particolare il capitolo Le origini della fotografia in Italia, pp. 151-162; L . VITALI, I l Risorgi111ento nella fotografia, Torino, Einaudi, 1979; seppure opera non a carattere generale, è senz'altro utile segnalare L. VITALI, Un fotografo fin de siècle, il conte Pri111oli, Torino, Einaudi, 1969 e E. P. AMENDOLA, Uno sguardo privato. Memorie fotografiche di Francesco Chigi, Torino, Einaudi, 1978.


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prensivo anche di coloro che produssero opere di soggetto esclusiva­ mente africano detti anche «africanisti» - proliferarono in Fr:'!-ncia dove godettero di un gran successo di pubblico e le loro opere furono esposte in occasione di esposizioni internazionali, ma furono attivi un po' in tutta l'Europa occidentale, tanto che gli orientalisti italiani occupano un posto non trascurabile nell'ambito di questo genere di pittura. Alcuni storici dell'arte considerano una scuola italiana di pittura orientalista, che ebbe anche seguaci di altre nazionalità europee26• Tra curiosità autentica, moda culturale e pruderie, si ferma il nascente esotismo, che da settori dei ceti più alti della società va progressiva­ mente ad assestarsi nell'arcipelago sociale della piccola borghesia e co­ mincia a toccare strati sempre più ampi dei ceti popolari urbani. Anche in Italia si afferma questo interesse culturale - legato all'e­ spansione coloniale - che è autentico e «fasullo», vitalistico, decadente e malato27 insieme. I pittori orientalisti solitamente si facevano viaggiatori che andavano incontro al loro nuovo tema, ma qualcuno rimaneva nel suo studio corredato da vesti, armi, tappeti, mobili e suppellettili «orientali» e confezionava le sue tele in laboratorio. Ma anche coloro che . ne avevano conoscenza diretta trasferivano l'Oriente» nelle loro tele in base a ciò che avevano visto sia come lo avevano immaginato prima dell'incontro e continuavano ad immaginarlo dopo. Spesso tra l'uno e l'altro dei momenti c'è una fusione che sembra rispondere ad una

identità dell'immaginario e della visione dell' «altro» nella sua raffigu­ razione compiuta sulla tela. L'«Oriente», qui sempre adoperato come comprensivo anche dell'Africa, diventa il luogo di fantasia, di desiderio,. di attrazione degli artisti orientalisti dell'Europa egemone, espansioni­ sta, industrializzata, scientifica, potente, che misura con la sua moder­ nità l'incontro e lo scontro con l'«altro» africano, orientale, come una progressiva acquisizione di misteri svelati, come la scoperta di una sensualità originaria, primordiale, paesaggi naturali dove la luce è pre­ dominante, ma dove l'oscurità può essere parimenti abbagliante 2B. Dal punto di vista dello storico dell'Africa coloniale, la produzione pittorica degli « orientalisti» acquista nel suo insieme, a prescindere dai suoi valori più squisitamente estetici, una notevole importanza come testimonianza di una visione, di un modo di vedere e di raffigu­ rare gli uomini, la vita ed il territorio del continente africano 29. Questa pittura va collegata a tutta l'iconografia del genere e a tutta la massa documentaria coeva che riguarda l'Africa, ma in modo speciale alle relazioni e agli scritti di esploratori e viaggiatori, missionari, giornalisti, funzionari coloniali e militari ; essa soprattutto presenta molti punti di contatto con altre raffigurazioni visive, come quella fotografica e quella grafica dei giornali illustrati dell'epoca. Come i pittori, anche i fotografi italiani scoprono l'«Oriente» (nel­ l'accezione che abbiamo fin qui usato) e l'Africa. Nell'accostamento

Vedi il bel volume di C. JULER, Lcs orientalistes de l'école italienne, préface de R. BAssAGLIA, Paris, ACR Edition, 1987, che è anche un catalogo dei pittori orientalisti italiani e di scuola italiana con una scheda biografica e bibliografica per ognuno di essi; anche il catalogo della mostra Le terre d'Oltremare e l'arte italiana dal Quattrocento all'Ottocento di S. 0RTOMALI, B. MALAJOLI, F. DE FrLIPPIIS, Napoli, Edizioni Mostra d'Oltremare, 1940; l'Ottocento è trattato da F. De Filippiis. 27 Quando scrivo "malato" penso all'atteggiamento di un noto personaggio dell'orientali­ smo letterario europeo come Pierre Loti, morboso, noioso anche, più che decadente mori­ bondo e che dell'esotico orientale ha soprattutto affrontato l'aspetto erotico, motivo prevalente del successo di pubblico dei suoi romanzi. Vedi su questo autore R. MACCAGNANI, Esoti­ smo-erotismo. Pierre Loti: dalla moschea esotica alfa sovranità coloniale, in Letteratura, esotismo, colonialismo, Bologna, Cappelli, 1978, pp. 65-99. Sull'orientalismo inteso come fenomeno culturale, vedi il provocatorio ma interessante e vivace saggio di E. SAm, Orientalism, New York, Vintage Books, 1979. 26

28 Desidero segnalare il ponderoso lavoro di H. HoNOUR, The image of the black in the Western art, IV, tt. 2. From the American Revolution to the World war I, Cambridge (Massachusets) - London, Harvard University Press, 1989. Honour esamina con puntualità e con ricchezza di argomentazione il complesso rapporto costituito dall'immagine del nero nell'arte occidentale. Nel saggio c'è ovviamente un ampio riferimento ai pittori orientalisti ed è anche riprodotto il famoso quadro « Dogali» eseguito da Michele Cammarano. Sulla donna africana, uno dei temi della pittura e della fotografia orientalista ed africanista e, anche più in generale, un topos dell'immaginario coloniale europeo, vedi il saggio di F. SuRDrCH, La donna nef!Africa Orientale nelle relazioni degli esploratori italiani (1870- 1915) , in Miscellanea di storia delle esplorazioni, IV, Genova, Bozzi, 1979, pp. 193-220; vedi anche, per l'aspetto esotico più in generale, Aspetti e itmnagini delle culture extraeuropee nelle prime riviste illustrate, in Saggi di storia del giornalismo in memoria di Leonida Balestreri, Genova 1982, pp. 177-186 (Quaderni dell'Istituto mazziniano, 2). 29 Da un punto di vista estetico la pittura orientalistica sortì risultati molto diversi, con una larga divaricazione dell'arte autentica di alcuni autori, scendendo ad un manierismo elegante e fastoso, fino al pompierismo dei più modesti. Purtroppo, però, lo studio di questa corrente artistica è in Italia pressoché trascurato.


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e nella comparazione tra queste due figure ci sono analogie, ma . anche differenze che sono inerenti al diverso mestiere o arte e ai diversi strumenti adoperati. Ma entrambi, l'artista pittore e l'artigiano fotograf9 (e anche viceversa), appartengono ad uno stesso generale movimento di cultura (qui e sopra inteso nel senso antropologico del termine), di opinione. I mezzi sono diversi, il primo adopera pennelli, colori, il secondo la luce e la camera fotografica, ma l'occhio che guarda l'« Oriente» è lo stesso, il retroterra culturale di entrambi il medesimo. Il pittore orientalista che viaggia in « Oriente» resta un certo periodo in una o più località o viaggia per una intera regione, talvolta compie sul posto l'intero processo di lavoro del quadro, talvolta ne trae soltanto gli elementi basilari e preparatori come i disegni e i bozzetti che porterà poi a compimento nella pittura nel suo studio nella metropoli; il foto­ grafo orientalista, invece, più facilmente si stabilisce in «Oriente», più a lungo e viaggia in un rapporto più stretto con la nuova realtà incontrata. Il motivo principale di questa differenza sta nella diversità professionale dei due, infatti per il pittore il ritorno nella metropoli europea è d'obbligo, perché è qui che egli ha il suo mercato ; il fotografo invece sovente riesce a stabilirsi in !oco e ad aprire uno studio laboratorio, dove è anche probabile che abbia poca concorrenza e possa divenire ritrattista dei potentati locali. Inoltre, mentre vende sul posto una parte della sua produzione ai viaggiatori europei e ad esponenti delle élites locali, ne smercia un'altra parte nella metropoli europea. Oltre alla coincidenza di itinerario, che è senz'altro significativa, troviamo un altro aspetto comune alle due figure, che è di estremo interesse : è, come accennavo, la stretta vicinanza di punti di vista del pittore e del fotografo orientalisti nella scelta dei soggetti del lavoro e dell'occhio che li vede e li ritrae30• Gli uni e gli altri, ad esempio, prediligono paesaggi tipici di una natura diversa da quella europea,

quali i deserti e le oasi; essi si fermano con insistenza sulla donna araba, sulla donna nera, sull'uomo guerriero, sugli animali, ecc. ; ma specialmente i fotografi, poi, facilitati dal mezzo e indirizzati dall'inte­ resse di gusto tutto positivistico (dal livello culturale medio alto a quello più basso che scade nella mera superficiale curiosità turistica, anche becera e pettegola) s'impegnano nella tipologia umana, etnica. Conosciamo ancora molto poco la fotografia ed i fotografi orienta­ listi coloniali italiani ai quali le storie della fotografia dedicano poche righe e limitate ai tre o quattro su cui si ha qualche informazione per il numero più abbondante di stampe firmate che sono state trovate nei musei, nelle biblioteche e nelle collezioni private31• In questi ultimi anni, però, si è cominciato a ricercare ed a studiare ed i primi risultati ottenuti nella non certo agevole situazione delle diverse istituzioni pubbliche preposte alla conservazione dei beni fotografici nel nostro paese, se da una parte indicano che la strada è ancora lunga e difficile, da un'altra invece confortano chi vede comunque emergere e prendere forma nuove possibilità di conoscenza storica e rafforzano la consape­ volezza di una scelta utile e di una prospettiva ricca di nuovi apportP2•

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30 Il rapporto pittore-fotografo orientalista è molto interessante, perché ricco di analogie e di scambi. Vediamo per esempio che Horace Vernet ed il suo discepolo F. Goupil-Fasquet, pittori orientalisti francesi, furono in Egitto nel 1 839 e, soltanto tre mesi dopo l'annuncio ufficiale della scoperta e dell'elaborazione del processo Daguerre-Nièpce (Parigi, 19 agosto 1 839) ripresero nel paese nordafricano ben duemila daguerrotipi. Cfr. A. ScHARP, Arte e fotografia, Torino, Einaudi, 1979, alle pp. 76-80 rapporto fotografia-pittori orientalisti.

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31 I. ZANNIER, nella sua Storia della fotografia italiana cit., p. 97, menziona il fotografo messinese Francesco Nicotra «per avere seguito l'esercito italiano durante la spedizione africana del 1882». Si tratta invece del 1885 e probabilmente è un errore di stampa sfuggito alla correzione delle bozze. Ma a p. 239, a proposito delle fotografie di Luigi Fiorillo del bombardamento di Alessandria, attribuisce quell'azione militare «alle truppe italiane». Il bombardamento di Ales­ sandria fu effettuato dalla Royal Navy britannica, che con quell'azione dette inizio all'occupazione e al controllo inglese sull'Egitto. L'Italia, com'è noto, fu invitata dal governo britannico a partecipare a quella spedizione militare, ma declinò l'offerta; cfr. B. AGLIETTI, L'Egitto dagli avvenimenti del 1882 ai giomi nostri, Roma, Istituto per l'Oriente, 1965, 2 voli., I, cap. VI. Fiorillo, nel pieghevole che è riprodotto in Appendice, doc. n. 2, cosi scrive: «Durante i tristi avvenimenti del 1882 il Fiorillo fu il solo fotografo che restò in Alessandria ove riprodusse, tre giorni dopo il bombardamento, le più interessanti scene che presentava la città distrutta», ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Archivio storico Ministero Afi·ica italiana, Personale operante in Africa [d'ora in poi ASMA!, POA], pacco F3, fase. Fiorillo. 32 Segnalo qui i titoli delle opere apparse in questi anni avvertendo il lettore che, per evitare ripetizioni, ometto quelle già menzionalte nelle note 21 e 22: B. HATEPUTSOTH, Lybia! An extinct ]e1vish Cotnmunity, Te! Aviv, The Nahum Goldmann Museum of the Jewish Diaspora, 1980 ; Tra avvent11ra e colonialis111o. Novaresi in Afi·ica Orientale alla fitie del! ottocento, a cura di M. BEGAZZI e A. MIGNEMI, in «Notiziario economico », 1981, 6 ; Immagine coordinata per t/11 iJJJpero, Etiopia 1935-36, a cura di A. MIGNEMI, Torino, Gruppo Editoriale Forma, 1984 (si tratta di una edizione rinnovata della precedente) ; «Phototeca», 1983, 12, si ttratta di un numero del periodico diretto da Roberta Clerici e Ando Gilardi, dedicato al colonialismo visto in chiave dissacrante; i due numeri monografici dedicati a fotografia e colonialismo della «Rivista di storia e critica


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Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

Al fine documentario della fotografia, ciò che interessa lo studiosp di storia è qualsiasi prodotto fotografico che sia in grado di dare ttna _ testimonianza, una prova anche di quanto possa attirare l'attenzione de� ricercatore nel suo lavoro di comprensione e di ricostruzione di un fatto, di una vicenda e di un'epoca. In questo senso è sempre importante e talvolta decisivo riuscire a determinare l'autore dell'immagine foto­ grafica o almeno, se non questo, l'area, la fascia sociale, l'ufficio da cui essa è stata prodotta o se non altro adoperata. Le difficoltà di attribu­ zione e di identificazione della fotografia-documento sono motivo di grandi scarti anche di ottimo materiale, per l'impossibilità di un us� corretto nella collocazione storica di esso. Accade, comunque, che 1l progresso della ricerca e dello studio consenta di rintracciare notizie che possono aiutare ad identificare anche ciò che oggi, invece, ancora non lo è. Lo storico che usa della fonte fotografica, quindi, prende in considerazione i prodotti dei professionisti - privati o ufficiali -, quelli degli amatori e anche dei fotografi del tutto occasionali. Nel panorama dei primi fotografi orientalisti e africanisti italiani, anche se non delle nostre colonie, emergono nettamente due figure notevoli di professionisti, Antonio Beato e Felice Beato, fratelli nati a Venezia probabilmente negli anni 1 820-25 e creduti fino a qualche

anno fa una sola persona e, quindi, un solo autore, Felice Antonio Beato33 • La loro storia è di grande interesse, sia per il valore della loro opera fotografica, sia per gli itinerari dei due : per Antonio, Egitto, Sudan, Turchia, India; per Felice Egitto, Turchia , Gerusa­ lemme, India, Giappone, Cina, Corea, Birmania, itinerari che sono in gran parte quelli dei pittori orientalisti, di cui riferivo sopra. I fratelli Beato non fanno parte soltanto della storia della fotografia italiana, ma entrano a pieno titolo nella storia mondiale della fotografia, nella quale occupano un posto di rilievo. La loro fotografia è caratteriz­ zata da una alta sapienza tecnica e da una accuratezza che è più dell'opera del buon artigiano e che si riflette nell'inquadratura e nella composizione delle vedute, in una tensione ad una comprensione diretta e verista, in una sensibilità schietta e realista, che rendono le loro immagini ad un tempo asciutte, quasi sobrie e ricche. Felice in particolare ha lasciato una produzione di grande valore documentario di eventi storici impor­ tanti : egli fu in Crimea con il suo socio e cognato J ames Robertson per sostituire Roger Fenton nell'ultima fase di quella guerra (1 855) ; nel marzo 1 857 fotografò a Lucknow la repressione britannica del «great mutif!Y» in India, e queste sono le più antiche fotografie in cui appaiono cadaveri umanP4• Felice fu anche in Cina ed in Corea, dove documentò altre imprese belliche coloniali. Ma non è questa la sede per seguire più puntualmente la straordinaria attività dei due fratelli veneziani naturaliz­ zati inglesi; Felice morì a Mandalay (Birmania) nel 1 904 o negli anni immediatamente successivi, mentre Antonio, che si era stabilito a Luxor per motivi di salute, vi morì nel 1 903 o nel 1 906 o in un anno intermedio35• La loro storia è degna della penna di Joseph Conrad. Con Luigi Fiorillo, fotografo con studio in Alessandria d'Egitto sicuramente dal 1 882, ma probabilmente anche un po' prima, abbiamo, credo, il primo professionista italiano noto anche internazionalmente, che operò nei possedimenti coloniali italiani. Per l'importanza che essi

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della fotografia », 1982, 3 e 1983, 5 ; Ausonia ha intanto una colonia. Immagini del colonialismo italiano a cura di R. RADA - R. SITTI- C. TICCHIONI, Padova, Regione Emilia Romagna - Comune di Fer;ara, 1985 ; A. TRIULZI, Metodi, storia e fotografia. Fotografia coloniale e storia dell'Africa, in AFT, 1988, 8, pp. 39-42; N. LABANCA, I nostri antenati. Uno sguardo coloniale. Imtnagine e propaganda nelle fotografie e nelle illustrazioni del primo colonia ismo italiano (18 2- 1�96), ibid: , pp. 43-6 . ��

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questo scritto, che rivela una conoscenza scolastica e angusta del! �fr�ca _col�ru�le torner_o pm � avanti per segnalare qualche inaccettabile e scorretta forzatura nel �1chi�rru btbliogra cl. M� soprattutto è stupefacente come, pur citandoli, e, nell'assoluta pen�na di documentaz10ne sm . fotografi e sulla fotografia coloniale, l'A. non abbia approfittato di fondt come quello POA e A rchivio Eritrea dell'ASMA!, con evidenti danni alla serietà filologica del lavoro, finendo così col tradire le stesse sue ambizioni conclamate nelle righe conclusive dello scritto ; L'Africa A. TRIULZI � dall'immaginario alle ùmnagini. Scritti e immagine nei fondi della Bi�lioteca reale, a cura . Torino, Ministero per i beni culturali e ambientali - Btblioteca reale di. Tonno, 1989 ; � particolare interesse in questo volume, oltre l'introduzione di T_riulzi, l'attent� lavoro � catalogazione dei fondi fotografici finora individuati, effettuato da Si!vana Palma; li volume � N. MoNTI, di gusto mondano soprattutto nei capitoli introduttivi, con�ene alcune �otog�a.fle � autori italiani e, nel repertorio dei fotografi, alle pp. 161-172, sono nportate utili notlzte sm fotografi africani italiani. Africa then, Photographs 1840- 1918, _Lond�n, Thames and Hudson, 1987. Di particolare interesse da un punto di vista metodologtco, di C. M. GEARY, Photographs as 111aterials for African History, in « History in Africa», 1986, 13, pp. 89-116.

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33 Vedi F. A. BEATo, A lbum egiziano, presentazione di I. ZANNIER, supplemento a «Fotografia italiana», 1978, 223 ; M. MIRAGLIA, Note per tiiJa storia. .. cit., p. 163; e poi I. ZANNIER, I fratelli Antonio e Felice Beato, in « Fotologia», 1 985, 2, pp. 2-9 ; N. MoNTI, Africa then.. . cit., p. 162. 34 I. ZA�>.'NIER, I fratelli Antonio. . . cit., p. 5. 35 Ibid., p. 8.


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Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano (1885- 1940)

rivestono per la biografia di questo autore, ho anche accluso in appendice alcuni documenti che lo riguardano 36• Nel foglio à stampa destinato ai sottoscrittori dei futuri album africani ed improntato a .fini marcatemente pubblicitari e commerciali, Fiorillo mostra una certa compiaciuta coscienza di sé dovuta probabilmente alla notorietà che ebbe per le sue fotografie degli effetti del bombardamento inglese su Alessandria, scattate secondo la sua stessa testimonianza « durante i tristi avvenimenti del 1 882 il Fiorillo fu il solo fotografo che restò in Alessandria, ove riproduce, tre giorni dopo il bombardamento, le più interessanti scene che presentava la città distrutta»37, scrive ancora, con lo stesso piglio autocelebrativo : «<l Fiorillo ha attraversato il deserto più volte, e con grande sua soddisfazione ha ottenuto sempre i più splendidi risultati, sia in Palestina, in Siria, in Tunisia ed Algeria e nelle coste d'Africa e perfino nel Soudan»38• Sul viaggio da Massaua a Saati di Fiorillo ci sono ancora alcuni quesiti irrisolti, tra gli altri che alla sua domanda fatta presso il consolato di Alessandria e trasmessa al Ministero degli affari esteri 39 per avere l'autorizzazione al viaggio nel possedimento italiano del 1 9

febbraio 1 888, il sottosegretario agli esteri risponde in data 1 7 marzo al nuovo console Giovanni Venenzi (che aveva sostituito in quelle settimane il console Giovanni Battista Machiavelli, collocato in aspet­ tativa per motivi di famiglia) : « Signor console, mi reco a premura di farle conoscere come avendo io chiesto il parere del mio on.le collega il ministro della guerra, sulla domanda del fotografo sig. Luigi Fiorillo, oggetto del suo rapporto in data dei [sic] 24 febbraio n. 556/84, mi venne fatto presente che a Massaua trovansi già alcuni fotografi, e che, d'altra parte, non potrebbe essere accordato il permesso di accedere presso le posizioni occupate dalle RR. truppe. Ciò stante non è dato di accogliere la domanda suddetta. Il sottosegretario di Stato»40• No­ nostante la risposta negativa, Fiorillo va a Massaua. Certamente dovette attivare sue relazioni personali negli ambienti militari italiani, è proba­ bile forse che il conte Michelini, capitano di artiglieria che prese parte a quell 'operazione militare e al quale il nostro dedicò uno degli album della guerra e di cui fu ospite in quell 'occasione, sia stata la persona che lo abbia aiutato41. Gli altri fotografi presenti a Massaua menzionati dal sottosegretario Abele Damiani sono sicuramente Luigi Naretti, Francesco Nicotra, forse con il fratello Giovanni, e Mario Ledru. Credo che il generale Corvetta, sottosegretario di Stato alla guerra, nel respingere la domanda di Fiorillo 42, pensasse che fosse eccessivo aggiungere un'unità al numero di tre o quattro fotografi già presenti e che doveva forse apparirgli già esorbitante. Certamente non conosceva il nostro, che, per sua vocazione, era un fotografo vera­ mente ufficiale e tale da non dare adito a nessuna preoccupazione di ordine politico. A documentare un atteggiamento non categoricamente e pregiudizialmente ostile ai fotografi da parte del Ministero della guerra c'è una lettera scritta da Francesco Nicotra al ministro della guerra il 9 febbraio 1 895 43• Il fotografo messinese chiede al gen. Mocenni: « Mi permetto diriggermi [sic] ancora una volta all'E.V. per domandare il segnalato favore di concedermi due passaggi gratuiti per

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36 Di grande utilità per la ricostruzione del profilo professionale di Fiorillo è stato il pur esile fascicolo a lui intestato, conservato nell'ASMA!, POA , pacco F3, che vette sulla parteci­ pazione del nostro alle operazioni militari in Africa orientale nel 1 888 al seguito delle truppe italiane. Datazioni diverse sono state date al proposito ; io sono portato a credere, per quanto ne possiamo sapere fmora e in base alla sua lettera a Crispi del 4 agosto 1 888 e al pieghevole (entrambi in Appendice, docc. nn. 1 e 2), che Fiorillo sia stato in Eritrea nel 1 888. Nella domanda che il nostro indirizza al consolato di Alessandria in data 19 febbraio 1888 per ottenere il permesso speciale per recarsi a Massaua, egli così scrive: « Che tale sua idea venne da lui già messa in pratica al tempo della campagna inglese nel Sudan nel 1 884, ove egli si recò raccomandato specialmente dal comm. Macchiavelli allora console in Alessandria», in ASMA !, POA , pacco F3, fase. Fiorillo. Io penso che l'idea da lui già messa in pratica sia, come nel 1 884, di avere sollecitato ed ottenuto l'interessamento dell'autorità consolare italiana allora presso l'autorità militare britannica in Egitto, ora presso il Comando italiano in Eritrea. Ma sebbene propenda decisamente per questa interpretazione, che mi sembra la più logica e possibile, non escludo neppure l'ipotesi più difficile e più contorta che Fiorillo avesse voluto dire di essere stato già a Massaua allo sbarco del nostro corpo di spedizione nel 1 885. Ma come avrebbe potuto raggiungere Massaua attraverso il Sudan durante la rivolta vittoriosa del Mahdi? O si sarebbe imbarcato da un porto sudanese per raggiungere Massaua? 37 Vedi l'Appendice documentaria, doc. n. 2: Fiorilio, a conferma di questa sua notorietà internazionale, aveva vinto premi e medaglie all'Esposizione di Napoli del 1871, di Parigi del 1878, di Boston e di Ottawa del 1885. Cfr. La fotografia italiana. . cit., p. 1 56. 38 Vedi l'Appendice documentaria doc. n. 2 : foglio circolare a stampa di L. Fiorillo. 39 Vedi la n. 36.

40 ASMA!, POA , pacco F3, fase. L. Fiorillo, copia della lettera non firmata. 41 Vedi La fotografia italiana.. cit., p. 156. 42 ASMA!, POA , pacco F3, fase. L. Fiorillo, nota datata 13 marzo 1 888. .

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Ibid., pacco N2, fase. Nicotra.

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Massaua su piroscafi che fanno il serv1z1o del traspoprto delle truppe. Come a cotesto Ministero è noto fin dallo inizio della cainp�gna d'Africa, e per ben cinque volte la mia richiesta è stata esaudita perché i lavori da me eseguiti hanno sempre meritato la considerazione · di S.M. il re e del governo. Il grande album fotografico africano da me eseguito informi ! Ora, attesa l'importanza degli avvenimenti che si svolgono nei possedimenti africani, non so resistere al desiderio di portarmi ancora colà per fotografare le nuove conquiste fatte dalla gloriosa nostra armata ecc. ». Nel fascicolo consultato non c'è la risposta, ma visti i precedenti, evocati da Francesco Nicotra, dell'at­ teggiamento tenuto dal Ministero della guerra ed il lavoro svolto dallo stesso in colonia, che non era sicuramente tale da dispiacere agli ambienti militari, è probabile che essa sia stata positiva. Torniamo ora a Fiorillo, che della sua spedizione africana al seguito del corpo di operazione italiano in Africa orientale ci ha lasciato due album di 73 fotografie ciascuno, conservati alla Biblioteca reale di Torino44; della stessa serie ce ne sono conservati in altre istituzioni pubbliche45• Le immagini sono decisamente di elevata qualità e anche il taglio non è mai banale; esse riflettono anche gli intenti commerciali dell'autore, che vuole offrire un documentario di tipo ufficiale di quelle

operazioni militari, con un occhio ai luoghi ed un altro ai comandanti di vario grado e ai gruppi di ufficiali. Il risultato complessivo è di alto livello professionale, ma in un certo senso riflette lo sguardo di un occhio di passaggio, una visione formale dove molto scarsa è l'at­ tenzione agli africani, che sono presenti nelle fotografie dei basci buzuc46 e in poche vedute di villaggi. Con Luigi Naretti abbiamo un'altra figura, credo, sia umana sia professionale; egli è cugino dei famosi Giacomo e Giuseppe, due fratelli che appartengono alla schiera dei pionieri italiani in Africa orientale47• Luigi, molto probabilmente chiamato dai cugini, lascia la nativa Ivrea per raggiungerli in Africa, ove opera come fotografo professionista. Non è ancora possibile determinare con esattezza l'arrivo di Luigi Naretti in Africa orientale, ma può essere forse collocato nei primi anni Ottanta del secolo scorso : si può comunque affermare con certezza, da alcune stampe fotografiche datate da lui stesso, che era presente e attivo a Massaua dal 1 88548• Egli aveva il suo studio a Taulud (Massaua) e fotografava di tutto, ritratti singoli, gruppi,

44 Vedi la sezione Raccolte fotografiche di S. PALMA in L'Africa dall'immaginario... cit. (non posso trascrivere il riferimento alle pagine, perché queste non sono numerate). I due album in questione sono quelli che l'A. dette in omaggio a re Umberto I. 45 Nella fototeca dell'USSME, Roma; nella fototeca del Museo africano dell'Istituto ita­ la-africano di Roma. Questa fototeca è senz'altro il maggiore archivio fotografico esistente della vicenda coloniale africana dell'Italia, ma le sue condizioni sono tuttora molto gravi, la stanza che la ospita soffre di infiltrazioni di umidità che, ad esempio, hanno danneggiato pesantemente una parte del materiale del primo armadio che raccoglie gli album della Libia. Rispetto alla disastrosa situazione degli anni Cinquanta e Sessanta, negli ultimi anni c'è stato qualche tangibile segno di miglioramento, ma in verità molto resta da fare per preservare le fotografie dal deterioramento e conservarle al sicuro dai danni del tempo. Un risultato positivo fu quello di riunire il materiale in un unico locale e di tentare una prima ricognizione di carattere molto generale dei fondi, operazione che fu effettuata da Carla Ghezzi quasi senza mezzi. Negli ultimi tre anni, per interessamento soprattutto di Alessandro Triulzi, è iniziata la sistematica catalogazione del materiale ad opera di Silvana Palma. Ma bisogna lucidamente considerare che il serio e rigoroso lavoro di questa studiosa, se non si pongono in atto le necessarie provvidenze per salvaguardare l'integrità del materiale della fototeca, la catalogazione e la ricostruzione delle raccolte dell'istituzione operata dalla Palma, rischia di essere uno studio su qualcosa che in tempi più o meno lunghi sarà inevitabilmente condannata all'ulteriore deterioramento fino alla sua distruzione.

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46 Con questo termine, letteralmente «teste fasciate» in turco, erano denominate le prime truppe coloniali indigene italiane, in gran parte una eredità del dominio egiziano su Massaua. 47 Su Giacomo Naretti, vedi I pionieri dell'A .D., a cura di P. M. BARDI, Milano, Hoepli, 1936, p. 67; sui due fratelli vedi C. ZAGHI, Giacomo e Giuseppe Naretti, in «Rivista delle colonie italiane», 1935, 7, pp. 681-693; L. TRAVERSI, Let Marejià, Roma, Unione Editoriale d'Italia, 1941 2, soprattutto il cap. XVI; A. DEL BocA, Gli italiani in Africa orientale, I, Dall'Unità alla marcia s11 Roma, Bari, Laterza, 1976, molto citati, soprattutto Giacomo. 48 Su Luigi Naretti vedi Lo fotografia italiana... cit., p. 1 67 ; I. ZANNIER, I fratelli Antonio e. . . cit., p. 239; N. MoNTI, Africa then... cit., p. 168; N. LABANCA, I nostri antenati... cit., p . 44 , che, contro ogni evidenza della documentazione (è sufficiente infatti scorrere le stampe fotografiche - e ce ne sono parecchie antecedenti al 1895 - che spesso recano la data accanto alla didascalia o questa è facilmente identificabile perché si tratta di cerimonie ufficiali celebranti vittorie militari) e trascurando fonti bibliografiche che pure cita nell'articolo (ad esempio Del Boca, che tratta spesso dei Naretti) scrive: «verso il 1 895, dopo che la ribellione di Batha Agos ebbe meglio di ogni altra cosa rivelato la fragilità delle basi del dominio coloniale italiano iniziò la sua attività probabilmente a Massaua (e poi ad Asmara) il fotografo L. Narerti. Imparentato con l'ing. G. Naretti (a lungo operante alla corte del Negus) (. . .) ». Ebbene, non conosciamo la data del suo arrivo in Africa orientale, ma certamente sappiamo che nel 1885 aveva uno studio . fotografico a Massaua. Ci sono infatti alcune stampe fotografiche di Naretti datate col sistema di scrittura sulla lastra, come «la porta di Massaua», n. 69 del catalogo della fotografia Naretti, come risulta anche dal lavoro di S. Palma; anche la fotografia n. 127, «Piazza Garibaldi di Massaua», è datata 1885. Per quanto riguarda «l'ingegner G. Naretti», si tratta, come abbiamo visto, del falegname di Ivrea Giacomo, cugino di Luigi, che fu nominato ingegnere o architetto reale dal negus Johannes IV.


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costumi, capi e notabili locali, tipi eritrei e tigrini, vedute · di città e di villaggi, panoramiche, manifestazioni religiose, civili, militari. Egli � fo­ tografo coloniale nel senso completo del termine, è residente. n�lla colonia, esercita il suo mestiere nella colonia, conosce uomini, luoghi e vita della colonia ed è una sorta di testimone della sua vita quotidiana e della sua ufficialità. È un abile e raffinato artigiano dell'obiettivo e manifesta una modesta, ma sicura concezione di sé; infatti, pubbliciz­ zando la sua produzione fotografica, non usa il tono tronfio di Fiorillo, ma scrive nel suo catalogo : «Egregio Signore, ho l'onore di informare la S.S. che nel presente catalogo è annotata una completa collezione delle fotografie in persona da me eseguite nei frequenti viaggi che ho fatto nell'interno del Tigrè e nella colonia eritrea. Ella troverà pertanto in dette fotografie una svariata raccolta di usi, costumi e vedute dei singoli paesi da me visitati, nonché dei principali capi ed ufficiali nostri periti. Per il che mi trovo in grado di eseguire qualsiasi album mi venisse ordinato. Nella speranza quindi di ricevere qualche sua ambita ordinazione, ho l'onore di sottoscrivermi Suo dev.mo Luigi Naretti»49• Il fotografo di Ivrea fu premiato con medaglia d'oro all'esposizione generale italiana di Torino del 1 898. Egli dovette intrattenere anche qualche rapporto con la famiglia reale italiana, infatti il ministro degli esteri Malvano scriveva al governatore Mattini il 22 giugno 1900, per trasmettergli una lettera ed un dono che il conte di Torino inviava al Naretti «come ricordo per le cortesie usategli durante la sua permanenza in colonia» 50• Egli morì in Eritrea nel 1 922 e il governo della colonia contattò la vedova per acquistare il suo archivio di lastre, stimato in numero di circa 500, che fu valutato in lire 3.400 dal tribunale, ma la vedova preferì vendere tutta la collezione a Baratti 51• Luigi Naretti è il primo fotografo coloniale colono, che, cioè, si è trasferito e vive in colonia; egli riflette un po' la psicologia dell'emigrante che ha finalmente raggiunto il suo scopo, che è soddisfatto del suo lavoro e che è gratifi-

cato del suo nuovo status. Ha una buona tecnica e le sue fotografie di soggetto africano riflettono una maggiore consuetudine con l'ambiente nel quale vive e lavora. I suoi album africani e le sue fotografie si trovano in molte raccolte pubbliche e private52• I fratelli Giovanni e Francesco Nicotra, fotografi professionisti con studio a Messina in via S. Camillo 21, impiantarono uno studio anche a Massaua, dove operarono, per quanto finora si sa, alternativamente53• Giovanni, che già si era dedicato in patria alla fotografia folkloristica siciliana e calabrese, si dedicò maggiormente a questo tipo di immagini e alle vedute, mentre il fratello Francesco curò specialmente gli aspetti della vita militare, fotografando tra l'altro anche i tribunali militari e i condannati alla fucilazione ed ai lavori forzati e anche le vedute urbane e i paesaggi. La nota stilistica che differenzia i due fratelli fotografi dagli altri professionisti fin qui presi in esame è quell' ele­ mento di movimento che è presente nelle loro immagini animate. Un altro valido professionista noto anche a livello internazionale è Mauro Ledru, messinese come i fratelli Nicotra e per certo tempo ad essi legato in società, ad essere attivo nei possedimenti italiani dell'Africa orientale. Egli era a Massaua nel 1 885, dove fotografò i primi insediamenti militari italiani e qualche veduta della città 54. La colonia eritrea dal 1 885 al 1 897 fu retta� da governo militare e fu spesso teatro di operazioni belliche determinate dalle mire

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Vedi l'Appendice documentaria, doc. n. 3.

50 ASMA I, POA , pacco N2, fase. Luigi Naretti, copia di lettera. 51 ASMAI, Archivio Eritrea, pacco 909, fase. 639, che contiene un foglio di minuta che

reca l'intestazione Direzione affari civili e politici, dove sono queste notizie scritte in due appunti diversi, l'uno ad inchiostro nero e l'altro ad inchiostro rosso.

52 Per le istituzioni pubbliche vedi soprattutto la fototeca del Museo africano ; la Biblioteca reale di Torino, al proposito della quale vedi S. Palma, in L'Africa dell'immaginario .. cit., l'album vedute e costumi dell'Eritrea e del Tigrè (1885-1898), che contiene 132 fotografie; la fototeca dell'USSME, Roma; la fototeca del Museo centrale del Risorgimento, Roma. 53 Sui fratelli Nicotra, vedi P. BECCHETTI, Fotografi e fotografia. . . cit., p. 75 ; La fotografia italiana. . . cit., p. 168; I. ZANNIER, I fratelli Antonio e. . . cit., p. 97 e p. 239; N. MoNTI, Africa tben. . . cit., p. 169; N. LABANCA, I nostri antenati... cit., p. 44. 54 Cfr. P. BECCHETTI, Fotografi e fotografia... cit., p. 75; La fotografia italiana. . . cit. , p. 168; I. ZANNIER, I fratelli Antonio e ... cit., p. 97; N. LABANCA, I nostri antenati... cit., p. 44, secondo cui «pare che il Ledru sia stato il primo fra tutti ad arrivare». Io penso che, per quanto ne sappiamo finora, nel 1885 troviamo a Massaua Naretti, il quale vive nel paese e i fratelli Nicotra o per lo meno Francesco, secondo una interpretazione logica della sua lettera riportata sopra e secondo la datazione di Silvana Palma nel suo album «Ricordo dell'Eritrea» e anche Ledru. Fotografie di Mauro Ledru si trovano nella fototeca del Museo africano, nella fototeca dell'USSME; l'album «Massaua-mare Rosso : ricordi del 1 885» è alla Biblioteca reale di Torino. .


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espansionistiche del governo italiano. I militari in questi anni occu­ pavano quasi tutti gli uffici del governo e dell'amministrazione civile e credo che difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti. Perché, oltre alla dinamica espansiva della presenza italiana nell'area e ali'i­ dea, molto diffusa nell'ambito militare, che tutto quanto riguardava questa colonia era affare del Ministero della guerra, sarebbe stato certamente arduo creare una struttura coloniale civile tale da potere allora essere impiantata in Eritrea. Soltanto il Ministero degli esteri avrebbe potuto fornire il personale di governo, estraendolo dai suoi ruoli diplomatico e consolare, e quello impiegatizio subalterno, ma ciò avrebbe significato dissanguarsi di una congrua parte dei suoi funzionari e dei suoi impiegati, perché non era certamente un mini­ stero burocratico e pletorico. Il Ministero degli esteri, però, tenne a battesimo la struttura dell'amministrazione coloniale con l'istitu­ zione dell'Ufficio coloniale55• La caratterizzazione militare dell'occupazione di Massaua e del suo entroterra e del progressivo estendersi del possedimento, sia per la presenza di gran numero di truppe e di ufficiali, sia per gli avvenimenti importanti della colonia che erano per lo più di tipo bellico, fece sì, come si è visto finora, che gran parte della produzione fotografica dei professionisti che operarono in questi anni fosse polarizzata su soggetti militari : dal singolo ritratto dell'ufficiale ai gruppi, ai forti, agli ac­ campamenti, ai soldati indigeni (ascari), ai tribunali militari, ai prigio­ nieri, ai condannati, ecc. Infatti i professionisti, in mancanza di una fotografia governativa o militare, emanazione diretta di queste istitu­ zioni, finirono con l'essere investiti di una sorta di ruolo ufficiale; d'altra parte i militari in colonia e in patria costituivano, oltre ai viaggiatori ed ai collezionisti, una parte cospicua del mercato fotogra­ fico. La sezione fotografica dell'Esercito fu costituita il 1 o aprile del

1 896 presso la brigata specialisti del 3o reggimento Genio a Roma 56;

l'impiego in guerra dei fotografi militari, come si vedrà più avanti, avverrà in Libia durante la guerra italo-turca del 1 9 1 1 -1 2. In colonia, accanto ai fotografi di professione, c'è anche una discreta schiera di fotografi amatori che operano nel periodo di fine secolo scorso e nei primi anni del nostro : essi sono soprattutto ufficiali, personale coloniale civile, missionari, esploratori e viaggiatori e, caso di non poco interesse, una donna, la signora Rosalia Pianavia Vivaldi Bossiner, che accompagnò il marito colonnello negli anni della sua missione eritrea. Prima di prendere in esame il contributo degli amatori è bene qui menzionare due altre figure di professionisti. L'uno è il ben noto Eduardo Ximenes, giornalista, pittore e fotografo, cofondatore e con­ direttore con Emilio Treves de « L'Illustrazione Italiana» ; egli si recò in Eritrea nel marzo 1 896, imbarcato su una nave che portava rinforzi al corpo delle truppe in Africa e vi si trattenne fino al giugno dello stesso anno : Ximenes pubblicò su questa sua esperienza un volume riccamente illustrato, per la maggior parte da fotografie da lui stesso prese, come pure da bozzetti suoi e di altri disegnatori 57• Il secondo è Alessandro Comini, che, come Luigi Naretti, ebbe un suo studio stabile in Eritrea ; probabilmente egli fu residente e attivo nella professione in questa colonia nei primi due decenni del nostro secolo. Non posso però escludere che il suo arrivo in colonia risalga agli ultimissimi anni del secolo scorso. Una prima testimonianza della sua presenza ad Asmara ci è data da Ferdinando Martini nel suo diario eritreo, che è un importante docu­ mento degli anni in cui l'uomo politico e letterato toscano fu com­ missario civile di quella colonia, anni che segnarono il passaggio dalla

L'Ufficio coloniale ha una sua evoluzione che si può così schematizzare: il r.d. 28 dicembre 1893, n. 700 dispone che le materie concernenti l'Africa ed i protettorati siano trattate da un apposito ufficio del Ministero degli affari esteri; il r.d. 5 maggio 1895, n. 251 istituisce un posto di direttore capo per l'Ufficio della colonia Eritrea e dei protettorati del Ministero degli affari esteri; il r.d. 1 5 marzo 1 896, n. 73 aggrega l'Ufficio coloniale alla Divisione affari politici del Ministero degli affari esteri; infine il r.d. 8 aprile 1900, n. 73 costituisce in sezione autonoma l'Ufficio coloniale del Ministero degli affari esteri.

N. DELLA VoLPE, Fotografie 1lliiitari... cit., p. 55. Il libro è Sui campo di A dua. Diario di Eduardo Xùnenes, marzo-giugno 1896, Milano, Treves, 1 897. Lo Ximenes diresse anche una serie di 35 dispense «La guerra itala-abissina. Bullettino illustrato», che uscì dal febbraio all'agosto 1 896 al costo di 15 centesimi il numero, edito dalla Treves di Milano. Questa pubblicazione è abbondantemente illustrata da molte fotografie sue, di altri professionisti e di amatori, tra cui ricordiamo Naretti, il dr. Quattro­ ciocchi della CRI, che fu tra gli assediati del forte di Adigrat; N. MoNTI, Africa then... cit., pp. 171-72. 56 57

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struttura militare di governo a quella civile. Scrive Mattini alla data del 1 4 febbraio 1 901 : «<l fotografo Comini domanda di seguirmi nell'escursione della quale vuole essere, per così dire, l' istorico . fot� ­ grafico. Venga, a sue spese. Se riuscirà a far bene acquisterò le sue fotografie e magari le sue negative. Co' miei denari, s'intende» 58•

Nell'Annuario dell'Istituto coloniale del 1 9 1 1 Alessandro Comini figura nell'elenco di titolari di esercizi professionali e commerciali come fotografo e cartolaio, Michele Silvestri fotografo e trattore, mentre Naretti con un Incegnieri risulta titolare di un cinematografo59• È quin­ di probabile che a quella data Luigi Naretti avesse lasciato la profes­ sione attiva e che si limitasse a vendere copie di stampe della sua passata produzione. Da una scritta a stampa apposta sul retro di alcuni originali di Comini si apprende che gli fu conferita una medaglia d'argento all'esposizione di Milano del 1 906 e una medaglia d'oro a quella di Torino del 1 91 1 . Comini opera in una situazione generale della colonia che è mutata, dove lo stato di guerra è cessato e la presenza militare è essenzialmente difensiva, c'è un clima più disteso e più sicuro con una equivalente maggiore libertà e sicurezza nei movi­ menti e nei viaggi. E Comini fotografa di tutto, un po' meno gli ufficiali e un po' di più le realizzazioni dell'insediamento coloniale, le vedute, gli africani, è attento alle manifestazioni pubbliche, alle attività del governo coloniale; ha, come abbiamo visto, l'opportunità di fare parte della carovana del governatore e in questa occasione scatterà le immagini che interessano Mattini, ma anche ciò che suscita la sua curiosità professionale, come vedute e aspetti della vita indigena, la marcia della carovana con Mattini in testa e anche la vita del campo durante le soste. Una di queste, l'accampamento ad Adi Fungiai, è una bella fotografia che rivela una spiccata abilità nella composizione dell'immagine, che è molto ricca e richiede una lettura attenta per coglierne tutti gli aspetti. In questa fotografia Comini fonde in un animato insieme lo scorcio di natura eritrea, le tende ed i materiali dell'accampamento, l'antenna della bandiera nazionale, alcuni membri italiani e africani della carovana, e, quasi incastonato nel tutto, un Mattini al suo tavolino di lavoro all'aper­ to 60 . Questa sua capacità di comporre, armonizzare la sua immagine

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58 F. MARTIN!, Diario Eritreo, Firenze, Vallecchi, 1949, II, p. 352. N. LABANCA, I nostri antenati. . . cit., alle pp. 42-44, interpreta in modo superficiale ed incongruo l'incontro Comini con Martini e così scrive : «alla richiesta da parte di un fotografo locale e conosciuto di accompagnare il Governatore in una missione diplomatica, questi rispondeva infastidito che non avrebbe fornito alcun mezzo a chi pure avrebbe potuto fungere da 'historic11s photograficus' [Mattini per la verità scrive « l'isterico fotografico»] della missione stessa». E l'aspetto curioso è che Labanca cita come fonte proprio il brano martiniana da me riportato sopra. Se avesse continuato a leggere il diario di Martini avrebbe potuto facilmente scoprire alla data 18 febbraio 1901 da Damba a Agordat (vol. II, p. 357) queste significative righe : «Ordino al fotografo Comini di prendere tre o quattro di queste vedute le quali sono importanti a mostrarsi. Se l'erba di questa stagione si mantiene così verde è altro segno che il terreno è umido ; e, ciò provato, le conseguenze sono molte e tutte lietissime». Per quanto riguarda l'incontro Comi­ ni-Martini mi sembra senz'altro comica la definizione di difficile data da Labanca che dimostra di non aver saputo leggere correttamente il diario di Martini né di aver capito Martini. Per quanto riguarda il tono impiegato dal governatore nell'annotare la richiesta di Comini, non c'è niente di più di un po' di sussiego così tipico del personaggio. Il fatto che non accolli alle casse del governatorato le spese del viaggio del fotografo indica soltanto un aspetto della nuova politica di economie intrapresa dal commissario civile dopo gli sperperi del governo militare, ma dichiarandosi disposto ad acquistarle di tasca sua se interessanti, dimostra di capire bene l'importanza del mezzo, come è poi confermato dal secondo brano diaristico da me riportato. Inoltre coloro che hannno esaminato le fotografie di Martini in Eritrea, che sono per lo più di Comini, Naretti, Di Aichelburg, hanno potuto constatare come il governatore sia sempre a suo agio davanti all'obbiettivo, costantemente preso della sua funzione e talvolta anche con un filo di trasparente ironia. A questo proposito desidero ricordare un incontro che ebbi a Roma il 2 ottobre 1974 con la marchesa Giuliana Benzoni, su suggerimento dell'amico Alberto Benzoni, nipote dell'anziana nobildonna. Io sapevo che la marchesa Giuliana era stata molto vicina al nonno Ferdinando e per molti anni, durante la prima guerra mondiale, aveva anche avuto un ruolo simile a quello di un segretario politico; andai così da lei per chiederle del nonno governatore dell'Eritrea e ministro delle colonie. Ebbi con l'anziana, ma vivacissima e vulcanica signora un lungo colloquio di parecchie ore e, tra i molti racconti, ricordi e aneddoti, toccò anche il tema delle fotografie coloniali del nonno. E mi raccontò che il nonno amava mostrare in famiglia e commentare con ironia e con battute comiche quelle fotografie che lo ritraevano in uniforme coloniale civile, che, per non essere da meno dei militari, aveva voluto con un kepì piuttosto alto, la fotografia con il leone regalatogli dal deggiacc Gabresallassie nel 1904, ecc. Ferdinando Martini, che era stato nel 1891 vice-presidente della Commissione d'inchiesta sulla colonia Eritrea e che aveva quindi visitato questo possedimento, ne trasse un libro, Nell'Africa Italiana. Impressioni e ricordi, Milano, Treves, 1 891, che ebbe 5 edizioni fino al 1895 (quando fu stampata la prima edizione illustrata), che nel 1 896 erano già 1 1 ! Il volume era illustrato da incisioni tratte nella maggioranza da fotografie, molte delle quali di Naretti.

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59 Annuario dell'Italia all'estero e delle s11e colonie, 191 1, Roma, Istituto coloniale italiano, 1 9 1 1 , p. 249. 6° Fotografie di Alessandro Comini si trovano nella fototeca del Museo africano di Roma, nella Biblioteca reale di Torino, secondo l'indicazione di S. Palma, e nel mio archivio.


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fotografica si rivela anche nel paesaggio e nella veduta, dove acquista valenza pittorica : tipica in questo senso la veduta di Tessenei . pub­ blicata da N. Monti61. Ha scritto il cap. Carlo Citerni, esploratore ed esperto fotografo amatore : «( . . . ) non si può concepire un viaggio senza bisogno di fare scrivere alla luce quei piccoli quadretti di vita che molte volte la penna più esperta non saprebbe mai rendere. La macchina fotografica è ordegno indispensabilissimo ad un viaggiatore»62. E in effetti molti tra gli esploratori ed i viaggiatori dell'Africa si fecero fotografi per documentare i loro viaggi, le nuove scoperte, le popolazioni che incontravano e che li ospitavano, la fauna, la flora, i paesaggi 63. Sono rimasti i loro libri corredati da incisioni e fotografie che non sempre sono attribuibili con precisione. Di Odoardo Beccati (1 843-1920), naturalista ed esploratore, si sa che fu un esperto fotografo amatoriale e ci sono esempi delle fotografie da lui eseguite in Borneo nei libri da lui pubblicati, ma del suo viaggio africano, quando accompagnò il marchese Antinori nella regione di Keren nel 1 870, che egli documentò anche fotograficamente, non si è oggi in grado di conoscere dove questi reperti siano conservati 64. Quando sarà terminato il lungo lavoro di inventario e di ricostru­ zione, ad opera di Silvana Palma, della fototeca del Museo africano dell'Istituto itala-africano di Roma, avremo certamente elementi mag­ giori di conoscenza che ci permetteranno di fare un altro importante passo avanti65. È anche probabile che l'ordinamento del fondo foto­ grafico della Biblioteca reale di Torino porti alla luce altra documen­ tazione fotografica africana. Così come pure dal riordinamento dell'ar-

chivio della Società geografica italiana possiamo logicamente aspettarci esiti positivi, come anche da una catalogazione e pubblicazione siste­ matica dei fondi fotografici degli archivi missionari della Consolata, dei Cappuccini, dei Comboniani, ecc. Leopoldo Traversi (1 856-1 949), medico ed esploratore, fu fotografo amatore, viaggiò in Eritrea, Etiopia e Somalia e fu direttore della stazione di Let Marefià fondata da Antinori. Traversi fu più di un fotografo amatore « costretto » a fotografare per documentare, egli ebbe un'autentica inclinazione per la fotografia e un genuino gusto del ritratto 66. I volumi di Antonio Cecchi (1 848-1 896), Vittorio Bottega (1 860-1 897), Carlo Citerni(1 873- 1 9 1 8), Luigi Robecchi-Bricchetti (1 855-1926) sono corredati da molte immagini, una parte delle quali fotografiche, opera loro o di altri componenti delle spedizioni 67. Del capitano di lungo corso U go Ferrandi, esploratore e funzionario coloniale, oltre alle fotografie pubblicate nel suo libro su Lugh, c'è anche un'importante raccolta sia di fotografie africane di cui è autore

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61 N. MaNTI, Africa thefl. . . cit., p. 95, siglata 1 83B, della serie Comini. 62 C. CITERNI, Come si viaggia in Affrica. Utili avvertitnenti a chi si accinge ad ttfl viaggio in Affrica, Roma, Tipografia dell'unione editrice, 1 913, pp. 69-70. Il libretto fa parte della collana dei manuali coloniali pubblicati a cura dell'Ufficio studi coloniali della Direzione centrale degli affari coloniali del Ministero delle colonie. 63 Su questo aspetto, A. TRIULZI, Preli11tinary report on t1vo photographic collectiofls... cit., p. 1 13, nota 1 1 . 64 Cfr. La fotografia italiana. . . cit., ·p. 143. 65 Cfr. A. TRIULZI, Prelitniflmy ... cit., pp. 105-106 e p. 1 1 4 nota 4, pp. 109-1 1 0 e p. 1 1 4 note 1 5 , 1 6, 17.

66 Fotografie, in massima di L. Traversi sono pubblicate nelle due edizioni già citate del suo Let-Marcfià, prima stazione geografica italiana nello Scioa e le nostre relazioni con l'Etiopia ( 1876- 1896) . Altre sue fotografie sono nelle memorie del cardinal MASSAJA, I miei trentacinque anni di missiom in A lta Etiopia, secondo quanto sosteine N. MoNTI, Africa then. . . cit., p . 179 . U n bel ritratto d i Menelik I I d i profilo, opera d i Traversi, è pubblicato d a Ximenes nella serie « Guerra itala-abissina. Bullettino illustrato», cit. ; sue fotografie anche nei volumi di L. DE CASTRO, Nella terra dei Negus. Pagine raccolte in A bissinia, Milano, Treves, 1915, voli. 2. Non so se il dr. De Castro fosse a sua volta fotografo amatore, ma è probabile. Nell'opera citata, comunque, l'A. menziona anche altri fotografi che gli hanno fornito materiale, come Carlo Citerni e Luigi Naretti. 67 A. CECCHI, Da Zeila alle frontiere del Caffa, voli. 3, Roma, Loescher, 1 886-87 ; V. BoTTEGa, Il Giuba esplorato, Roma, Loescher, 1 895 ; L. VANNUTELLI - C. CITERNI, L'011to - Viaggio d'esplorazione nell'Africa orientale (Seconda spedizione Bottego) , Milano, Hoepli, 1 89 9 ; L. RaBECCHI-BRICCHETTI, Nell'Harrar, Milano, Galli, 1 896 ; ID. , Somalia e Benadir. Viaggio di esplorazione nell'Africa orientale, Prima traversata della Somalia italiana compiuta per incarico della Società geografica italiana, Milano, Aliprandi, 1 899 ; In., Dal Benadir. Lettere illustrate alla Società antischiavista d'Italia, Milano, La Poligrafica, 1904; C. CITERNI, A i confini 111eridionali dell'Etiopia. Note di ttfl viaggio attraverso l'Etiopia ed i paesi Galla e So11Jali, Milano, Hoepli, 1913. Il cap. Citerni, nel volumetto Co111e si viaggia in Affrica. . . cit., in particolare alle pp. 69-72 del terzo capitolo, dedicato al materiale, affronta l'argomento dell'apparecchiatura fotografica, degli acidi per lo sviluppo e la stampa, del tipo di negativo più adatto (sconsiglia per praticità le lastre), ecc.


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e che ha messo insieme, sia di cartoline, che è conservata · nell'Archi­ vio di Stato di Novara 68• Per la produzione fotografica di questi esploratori, come anche �n quella di altri viaggiatori, vale l'osservazione di A. Triulzi : «the photographs are particularly interesting since they offer a wider range of visual records hacking to the written works of early africanists such as A. Cecchi, ]. Borelli, ]. ]. Vanderbeym, L. Traversi, V. Bottego, U. Ferrandi. In fact, the visual quality of some of these amateur photographers is quite striking and their photographic work, largely neglected till now, can indeed be usefully consulted : indeed, some nineteenth century travellers whom we had thought of, and used only as eyewitness written sources can and should also be thought of, and used, for their ability as recorders of visual images»69• L'Eritrea ebbe, come abbiamo visto, fino al 1 897 un governo coloniale militare e, come ricordavo sopra, oltre alle forze che accor­ revano per una politica espansionistica in direzione dell'entroterra, il personale militare deteneva anche quasi tutti gli impieghi e le cariche normalmente attribuite ai civili. Questo fatto determinò una certa presenza di ufficiali nella colonia e parecchi di costoro si dedicarono alla fotografia, qualcuno era già un fotografo amatore in patria, qual­ cun altro lo diventerà durante la permanenza in colonia. In generale questa fotografia militare amatoriale coloniale ha qualche sua caratte­ ristica particolare, ma segue grosso modo i temi ed i soggetti di quella dei professionisti. Come elemento più proprio, essa segue di più alcuni aspetti della vita quotidiana e personale degli ufficiali, quello che chiameremmo del tempo libero, come i momenti di ozio, stesi sugli angareb (caratteristici letti africani), i reperti della caccia allineati in terra, o in posa con il calcio del fucile o lo stivale sul leone o il leopardo abbattuto, i piccoli gruppi degli amici più cari, le prostitute indigene talvolta in pose sensualmente patetiche, talvolta invece in

pose senz'altro triviali, o la propria madama - e qui solitamente l'obbiettivo è più rispettoso e, più raramente, anche affettuoso. Il segno inconfondibile del legame più o meno forte che la madama ha con il suo uomo italiano è il suo abbigliamento, se essa è riccamente vestita, soprattutto se con abiti europei, questo fatto assume dal punto di vista dell'uomo un gesto di particolare riguardo e di attaccamento alla donna. È stato già osservato che sono poche le fotografie che hanno come soggetto i soldati e questo è vero, l'interesse fotografico dell'ufficiale è più attratto dai basci buzuc, dagli ascari, dagli armati dervisci, dai guerrieri e dai cacciatori africani che non dal soldato. D'altra parte non risultano soldati semplici fotografi, perché, malgrado sia già iniziata la produzione e la vendita di apparecchi su scala industriale, i costi della camera e dei materiali fotografici erano ancora troppo elevati per la tasca della truppa. È probabile, invece, che ci fosse qualche amatore tra i sottufficiali. Lungi da ogni pretesa di completezza, che in tutti i casi non sarebbe possibile allo stato attuale delle cose e per la difficoltà di una ricerca del genere (che comporterebbe un censimento generale dei fondi pubblici e privati, ciò che appare utopistico soprattutto per il secondo aspetto), reputo necessario passare in una sorta di rassegna alcuni di questi ufficiali fotoamatori, che hanno lasciato traccia del loro operato fotografico per lo più in istituzioni pubbliche. Il cap. Consiglio è l'autore di un interessante album da lui intitolato Ricordi d'Africa 1887- 88 70 ; il ten. Roberto Gentile, che fu in Eritrea intorno agli anni 1 890-1 900, fu un fotografo molto attivo, ha lasciato una documentazione che rivela una certa attenzione per la realtà africana 71 ; il cap. Carlo Gastaldi è autore anch'esso di un album di

68 Vedi A. MrGNEMI, Gli albu111 fotografici e Je cartoline di Ugo Ferrandi... cit. ; i quattro album in questione riguardano sia la Somalia, sia l'Eritrea, la Libia e anche l'Egitto e qualche altro paese africano ; U. FERRANDI, Lugh. Emporio commerciale del Giuba, Roma, Società geogra­ fica italiana, 1 903. 69 A. TRIULZI, Preliminmy. . . cit., p. 107.

70 L'album è conservato nalla fototeca dell'USSME, per i riferimenti a questo ufficiale vedi anche N. LABANCA, I nostri antenati... cit., p. 57, n. 27 . Fotografie eritree del ten. col. A. Amenduni illustrano il libro di GmsMAR, Al con1ando delle bande nere, Dal taccuino di un ufficiale in Eritrea, Aprile-maggio 1896, Milano, Hoepli, 1906. 71 Un album, titolato dall'A. « Costumi abissini e somali» (ma le immagini di questo tipo sono una parte delle 205 quivi raccolte) è conservato nella Biblioteca reale di Torino, vedi S. Palma, cit. ; altre fotografie del ten. Gentile si trovano nella fototeca del Museo africano e nel fondo Ferrandi dell'Archivio di Stato di Novara (vedi A. MrGNEMI, Gli album fotografici e Je cartoline. . . citata).


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fotografie africane 72; il ten. Vincenzo Nicola Gasdia 73 ; Ugo Brusati, futuro primo aiutante di campo generale di S.M. il re, da colonnello fu in Eritrea, dove prese fotografie 74• Presente in Eritrea molto probabilmente dalla fine del secolo scorso è il cap. Errardo Di Aichelburg, figlio del generale barone Ulrico e fratello del ten. Ervedo, morto ad Adua 75• Di Aichelburg fu attivo in colonia certamente nei primi anni del nostro secolo, ma è probabile che lo fosse già prima, negli ultimi anni di quello passato. La sua produzione fotografica dovette essere piuttosto vasta e presenta più di un aspetto interessante, al di là delle fotografie di soggetto militare, che pure riprese in buon numero. Egli fu autore di una serie di ritratti di capi e notabili e dei tipi etnici delle colonie. Fotografò anche le prostitute, didascalizzando le immagini con titoli « spiritosi» di dubbio umorismo. Molte delle sue fotografie furono stampate dalla Società editrice laziale di Roma come cartoline postali illustrate all'inizio del secolo, per lo meno stando al timbro postale di quelle viaggiate che sono riuscito a raccogliere. Si tratta di : Colonia eritrea, serie B, personalità indigene; serie C, tipi di uomini e di donne76• Martini definì Di Aichelburg «fotografo abilissimo» 77, ma la stima che ha di lui come fotografo non è certamente pari a quella che ha del capitano come ufficiale : infatti, a proposito suo e di altri ufficiali del III e del V battaglione indigeni, è alquanto duro e li definisce incapaci ed inetti 78. Di Aichelburg fu soprattutto un buon ritrattista

e, per quanto abbiamo visto dalle sue stampe fotografiche africane, crediamo che sia uno dei più importanti, se non il più importante degli ufficiali amatori fotografi dei primi decenni della colonizzazione italiana dell'Africa orientale 79• Un posto del tutto particolare nella storia della fotografia italiana d'Africa è occupato dalla signora Rosalia Pianavia Vivaldi Bossiner, che sappiamo in Eritrea dal 1 893 al 1 895 con il marito colonnello, che ricopriva un comando militare nella colonia. La Pianavia è l'unica donna italiana fotografa, della quale abbiamo finora notizia, che abbia operato in Africa nel secolo scorso. La documentazione fotografica più nota della Pianavia è contenuta nel suo libro di memorie africane80, dove racconta la sua esperienza e le sue osservazioni. Rosalia ci appare una sicura signora borghese, di temperamento vivace ed intraprendente, salda nelle sue convinzioni, forte di animo e sostenuta da una curiosità non occasionale né superficiale. Ella rivesti, nei confronti degli ufficiali più giovani, quasi un ruolo protettivo familiare di tipo materno, mentre per gli ufficiali più anziani rappresentò il rinnovarsi di incontri

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72 Conservato nella fototeca del Museo africano. 73 Le sue fotografie sono conservate nella fototeca dell'USSME, alla quale furono donate, nella seconda metà degli anni '70, dal figlio, che ricordo intento all'opera di ordinamento del fondo paterno, purtroppo interrotta dalla sua morte improvvisa. 74 Una raccolta delle fotografie del colonnello (grado che rivestiva al momento in cui prese le fotografie) Ugo Brusati è conservata alla fototeca dell'USSME. 75 Enciclopedia militare, III, p. 456. 76 Della prima serie menzionata sono i ritratti di Blatta Bairù, del famigerato capo banda di Arkiko cav. Adam Bey, fitaurrari Arei, Mohammed Idris, Ahmed Naib Abd el Cherim, Blata Guaiteu, degiac Fanta e i suoi sottocapi ; della seconda serie ricordata : giovane del Seraè, giovane habab. Non siamo riusciti a ricostruire quante e quali fossero le serie complete della colonia Eritrea. 77 F. MARTIN!, Diario eritreo ... cit., II, p. 131. 78 Ibid. , alla data 1 6 aprile 1900, p. 1 35.

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79 Fotografie del capitano Di Aichelburg sono conservate alla fototeca del Museo africano. Anni fa acquistai da un commerciante un lotto di fotografie dell'Africa orientale di proprietà del cap. Carlo Guastoni e, oltre ad immagini attribuibili a questi, ve n'era un gruppo del Di Aichelburg ed un altro dell'impiegato coloniale Carlo Pacchiotti : una ventina di fotografie certamente attribuibili al Di Aichelburg (esse sono per lo più firmate sulla lastra e quindi la firma appare su tutte le stampe) fanno parte del mio archivio storico fotografico. 80 R. PrANAVIA - VrvALDI BossiNER, Tre anni in Eritrea, Milano, Cagliati, 1901, con fotografie originali dell'A. e acquarelli di Luigia Ruggero. Secondo quanto mi ha gentilmente segnalato Silvana Palma, alcune fotografie della mostra sono raccolte nell'album del dr. G. Quattrociocchi della CRI, conservato nella fototeca del Museo africano. Voglio anche accennare ad un'altra donna fotografa in Africa, francese di sangue ma italiana di matrimonio : alludo alla principessa Elena di Francia, moglie del principe Filiberto di Savoia, duca d'Aosta. Elena, come altri membri della famiglia reale, il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il principe Luigi duca degli Abruzzi, era una appassionata fotografa e a testimonianza di questa sua attività amatoriale abbiamo le immagini che documentano i suoi tre viaggi africani, effettuati tra il 1907 e il 191 1 . ll grosso volume del suo diario, Viaggi in Africa, Milano, Treves, 1913, è corredato da ben 487 fotografie, gran parte delle quali di mano della principessa Elena, la quale, secondo il suo stesso racconto, sviluppava le negative appena l'acqua le consentiva la delicata operazione. «L'acqua è decisamente migliore di quella della quale abbiamo dovuto accontentarci fin qui. Ne approfittiamo per sviluppare tutte le pellicole Kodak accumulatesi da Sodo in poi, giacché se abbiamo potuto fare e fidarci della melma per la nostra toeletta, non abbiamo osato correre il rischio per le nostre negative», pp. 39-40. Elena toccò anche l'Eritrea e la Somalia e ne trasse alcune immagini fotografiche.


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e di relazioni sociali del livello e del tipo di quelli che avevano lasciato in patria. La Pianavia - non bisogna dimenticarlo - era anche t�a le pochissime donne italiane nella colonia e, senza dubbio, la posizione che il grado del marito le conferiva, la sua socievolezza gentile e un po' mondana, la sua personalità vivace, ne fecero un personaggio di primo piano nella vita degli italiani d'Eritrea. Pur essendo donna, il suo mondo, la società italiana d'Eritrea, era essenzialmente una società militare e quindi per un verso la signora Rosalia può appartenere alla schiera degli ufficiali fotografi amatori, ma i suoi interessi vanno oltre l'orizzonte militare e se, quindi, frequenti sono i ritratti di ufficiali e di ascari, la sua attenzione si fissa sulla popolazione africana, sui suoi modi e mezzi di lavoro e di vita e anche sulle personalità africane della colonia e dell'Etiopia. La signora Pianavia, senza figli, aveva molto tempo libero che amava dedicare, come molte signore aristocratiche e borghesi, ad opere di fllantropia, la più impor­ tante delle quali fu senz'altro un ricovero per i piccoli meticci, nati dalle unioni dei militari e degli impiegati coloniali italiani con donne eritree81• Questi bambini - secondo un costume riprovevole quanto irresponsabile e diffuso tanto da essere comune ad altri colonialismi coevi e che comunque corrispondeva ad analoghi atteggiamenti maschili nella metropoli europea, comunque aggravato da considerazioni di discriminazione razziale anch'esse comuni nell'epoca coloniale - venivano quasi sempre abbandonati dai padri al momento del loro rimpatrio, quando veniva a cessare il rapporto di unione a termine con le madri. Nel libro della Pianavia sono parecchie le immagini di questa infanzia che, abbandonata dal padre, flniva spesso con l'essere abbandonata anche dalla madre, passata a nuove nozze o tornata al proprio villaggio.

Il 28 giugno 1 903 la signora Rosalia scrisse al ministro degli esteri la seguente domanda : «La sottoscritta, che negli anni 1 893-94-9 5 disimpegnò nella colonia Eritrea diverse missioni per l'ncarico del governatore [ispezioni scolastiche, colonie estive ad Asmara per i bam­ bini italiani di Massaua, il ricovero per i bambini figli di unioni miste, n. d.r.] a vantaggio della colonia e che colla pubblicazione del suo libro Tre anni in Eritrea crede di avere giovato agli interessi della colonia stessa in correlazione a quelli dell'Italia, prega V.E. di volerle concedere la medaglia commemorativa d'Africa. Unisce alla domanda alcuni dati che comprovano meglio i suoi titoli di benemerenza e la legittimità della sua aspirazione» 82• La questione era inedita e il r.d. 3 novembre 1 894 n. 463, che istituiva la «medaglia commemorativa delle campagne d'Africa», non contemplava in nessuno dei dieci arti­ coli 83 il caso della Pianavia. Mattini, sollecitato dal ministro degli esteri ad esprimere il suo parere, così rispose, con la sua abituale franchezza : «in data Asmara 1 2 maggio 1 903 mi onoro rispondere alla nota dell'E.V. in data 20 aprile n. 1 8654-323. La disposizione dell'art. 8 del r.d. 3 novembre 1 894 mi sembra che non autorizzi la concessione della medaglia d'Affrica alla sig.ra Pianavia; e posso assicurare che l'opera filantropica di quella nobil donna fu disgraziatamente efimera, giacché non è restata traccia alcuna delle sue istituzioni di carità. Debbo anche confessare a V.E. che temo che la concessione della medaglia d'Affrica alla Pianavia possa suscitare altre richieste da parte di altre signore, che pur compirono opera pietosa in colonia sebbene in minor grado. Ma d'altra parte la medaglia d'Affrica suole accordarsi a qual­ siasi soldato, che abbia compiuto un anno di permanenza in colonia; e questo facile modo di meritarla può sembrare che contrasti con la rigorosa applicazione delle norme del r.d. 3 novembre 1 894 a carico di chi spese la sua attività a prò della colonia. Parmi quindi naturale il desiderio della sig.ra Pianavia, e mentre assicuro V.E. che quella signora compì effettivamente le opere menzionate nel promemoria

81 R . PIANAVIA-VIVALDI BossiNER, Tre anni... cit., pp. 309-319. Così inizia il capitolo: « Se in Africa tutto mi piaceva e mi appassionava, una cosa - terribile per le sue conseguenze - ebbe a disgustarmi, a impressionarmi in modo strano : il connubio fra il bianco e la nera. Che laggiù si vivesse di solo amore platonico, non pensavo, ma sulle conseguenze dell'amore non platonico, confesso di non aver, nei primi tempi, fermato il pensiero. Per cui quale non fu mai la mia dolorosa sorpresa sentendone a parlare con disinvoltura e venendo a cognizione dell'esistenza di molti bambini misti. Debbo dirlo? . . .Ne provai malessere . . . Cominciai a ricer­ care, a visitare queste innocenti e disgraziate creaturine, a interessarmene, a vederle tutti i giorni, a curarle, ad appassionarmene, ad amarle», pp. 309-310.

Copia di lettera, ASMAI, POA , pacco PS, fase. R. Pianavia-Vivaldi. 83 C. ScARPA - P . SÉZANNE, Le decorazioni del Regno di Sardegna e del Regno d'Italia. Le decorazioni commemorative, Roma, Uffici storici Esercito-Marina-Aeronautica, 1 985, pp. 1 1 -1 3 e sgg. per l e variazioni. 82


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alle?�to alla nota �i cotesto Ministero lascio l'E. V. giudice · dell'oppor­ tumta d1_ ��o spec1ale provvedimento a favore della sig.ra Pianav1à» 84. La dec1S1one presa fu in senso favorevole alla concessione · della medaglia commemorativa delle campagne d'Africa alla Pianavia in data 21 luglio 1 903 85, dando una interpretazione molto estensiva all'art. 8 del decreto istitutivo. È interessante, nel promemoria allegato dalla Pianavia un passo del gen. Giuseppe Arimondi - che morì ad Adua - datat� Asmara 4 luglio 1 895 che scrive : « (. . . ) la colonia, da Lei [la Pianavia, n.d.r.] è resa popolare colla penna e colla fotografia» 86. Per il contributo della penna, Arimondi allude alle corrispondenze che la signora Rosalia pubblicò su «L'Illustrazione Italiana» ; per quanto riguarda l'accenno �Ila foto�rafia, è questa un'attestazione coeva della considerazione goduta m coloma dalla Pianavia come fotografa e anche alla pubblicazione sull'«<llustrazione» di qualche sua fotografia. Il dott. G. Quattrociocchi, medico della Croce rossa italiana in Eritr�a, è l'autor� di �n album fotografico dove, oltre alle fotografie da lm prese negh anm 1 895, '96 e forse anche '97 a documentare la prima missi one afric�na della CRI, sono raccolte anche immagini fatte da altn_ �o�ografl . Per lo più queste stampe fotografiche riguar­ dano soggettl merent1. alla professione del Quattrociocchi, molte quelle dei feriti della battaglia di Adua e del forte di Adigrat, co�andato dal magg. Prestinari, nel quale il medico fu durante il penodo dell'assedio87, Vog�io qui ricordare come esempio di fotografia missionaria l'al­ bum d1 p. Bona:ventura Piscopo, album purtroppo non completo, che e, tutto ded1cato alla « scuola di arti e mestieri» di Massaua is �itu�o fondato dal Piscopo e da lui diretto e destinato ai giovanl entre1. Sono fotografie che documentano, secondo le intenzioni dell: autore, un'opera edificante dal punto di vista materiale e morale. Le mquadrature di quei ragazzi africani ricordano molto le immagini

84 A SMA I, POA , pacco PS, fase. Pianavia.

:: Ib�d., nota del Ministero della guerra a quello degli esteri.

Ibid., promemoria allegato alla domanda. 87 L'album e' conservato nella fototeca del Museo africano. Fotografie di Quattrociocchi , . . del forte d1 Adigrat dell assedio furono pubblicate da Ximenes in La guerra ifa/o-abissina... citata.

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analoghe degli scolari degli istituti religiosi italiani 88. La fotografia missionaria costituisce un'importante parte della documentazione fotografica dell'Africa : il missionario, infatti, si fece fotografo per testimoniare l'opera di evangelizzazione e tutte quelle attività legate alla penetrazione religiosa, come gli ambulatori, le opere sociali, le chiese, la formazione del clero africano, ecc. Tutto questo materiale veniva inviato a Roma o alle case generalizie degli ordini, veniva pubblicato nelle riviste missionarie, venivano stampate serie di car­ toline postali ai fini della propaganda missionaria in patria per la raccolta dei fondi. La fotografia missionaria, oltre a quanto ho detto, ha un'altra caratteristica importante : un occhio più attento alla realtà africana intesa soprattutto come popolazioni, anche se nel commento e nelle didascalie di queste immagini spesso emerge molto forte una rozza concezione della propaganda della fede, che vede il cattolicesi­ mo poco cristianamente in lotta contro la barbarie del paganesimo, dell'idolatria o la corrotta dottrina eretica della chiesa etiopica o il fanatismo islamico, ecc. Ma come le altre, anche le fotografie missio­ narie offrono ad una lucida e serena lettura critica e storica una grande ricchezza documentaria 89. Come i missionari si fecero infermieri e medici per instaurare un primo contatto con le popolazioni africane, così anche il governo adoperò ai fini della penetrazione politica e commerciale come suoi agenti coloniali dei medici, di solito ufficiali dell'esercito. Alcuni di questi lasciarono della loro missione interessanti e importanti serie fotografiche. È il caso del capitano medico Carlo Annaratone, che fu in Eritrea negli anni '90 e in Etiopia nel 1 903 e passò complessiva-

ano alcune fotografie. P. Bonaventura era 88 Fototeca del Museo africano, dall'album manc e generale re, la sua scuola fu chiusa dal governator andato in Eritrea come cappellano milita li il 21 Napo da nì Rudi Di ente del consiglio Gandolfi. Quest'album fu inviato al presid rarsi procu di sse cerca ra ventu Bona il questo gesto ottobre 1 891 . È probabile che con nota. e 45 LABANCA, I nostri antenati. . . cit., p. l'appoggio del governo. Vedi anche N. ordini e le e, si vedano gli archivi dei rispettivi onari missi e 89 Per le fonti fotografich illustrato ile mens dico perio zia», Nigri La esempio « pubblicazioni periodiche missionarie, per frica» , dell'A o «L'ec (Comboniani), fondata nel 1882; organo della missione dell'Africa centrale ile mens », olata Cons ioni «Miss r, fondata nel 1 894; mensile del sodalizio di S. Pietro Clave estere dei oni missi delle ttino bolle aia», Mass 1 898; «<l della Consolata di Torino, fondata nel Minori cappuccini, fondata nel 1913.


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mente nove anni in Africa orientale. Annaratone pubblicò . nel 1 9 1 3 il suo volume In A bissinia, nella cui prefazione scrive : « <l lavoro non ha c�rt? la prete�� di ri:'"elare fatti nuovi ed originali; ha però il requisito d1 nflettere l 1mmagme d1. quel paese quale si è formata in chi con cos �ienza, con am_ore, e quasi con passione vi ha vissuto i migliori anm della sua es1stenza»90 • Credo che quest'immagine che l'A. si è formata dell'Etiopia sia rivelata anche dal corredo di ben 1 92 foto­ grafie �a l �i pr�se ; parecchie sono ritratti di personalità etiopiche, paes�gg1 de� ternton. attraversati e vedute di Addis Abeba, soprattutto . degh ed1fic1 pubblici, e immagini della vita quotidiana etiopica. L'altro caso di particolare interesse è quello dell'ufficiale medico dell'esercito Amleto Bevilacqua, che fu da tenente agente coloniale a Gondar negli anni 1 9 1 1-13 91 • Il ten. Bevilacqua stabilì buone relazioni

9° C ANNARATO�E In A issinia, Roma, Voghera, 1 91 3, p. 5 ; il libro reca una prefazione : '. di. Fe�dma�do Ma�tlni, che e ormai. una delle massime autorità in campo politico, se non la magg10�e In matena coloniale e ben 192 fotografie dell'autore. Cfr. anche N. MoNTI, Africa then.. . c1t., p. 1 6 1 . 91 Q�esta dat�z10ne, confermatami dal figlio, avv. Emo, al quale devo le informazioni . �ul�,attlvlta colo�ale de� padre Amleto e che qui ringrazio, è riportata sul retro della fotografia Insieme con la d1dascal:a della stessa di pugno del Bevilacqua. A. Bevilacqua nacque a Bene­ vento nel 1 885 e mon a Roma nel 1 957; tenente medico partì per l'Africa nel novembre 1 9 1 0, agente coloniale a Gondar (1911-1913) , nel 1 91 5-17 in Eritrea, nel 1919-28 medico ad Ad�s �beb� del reggente ras Tafari (futuro Haile Sellassie I), che gli conferisce la commenda del! ordme di Salomone. Negli anni Trenta fu a Tangeri, nel 1 939-40 1·n A. O. I. come reggente . . . del com �ms�anato d1 governo del Uollo-Jeggiù, durante l'occupazione britannica fu la con­ tro �arte Itaha�a dell'uffi �io dei be�i req�isiti al nemico. Anni fa acquistai un lotto di fotografie . . onent�le e d1 manifesti del! Afnca del! amministrazione militare britannica; la commerciante . che le vend;va mi disse trattarsi di materiale che era appartenuto al ten. col. Amleto Bevilacqua d�l qua�e c era anche un passaporto, che però non comprai. Una parte delle foto recavano . d1dascahe che ne Identificavano anche l'autore in Bevilacqua. Un altro gruppo di queste . fotografie a�pa�tenute a Bevilacqua, come già nel caso del lotto del cap. Guastoni, erano di Carlo Pacchiotti, pe�ché sul retro r�ca:ano chiaramente la firma a timbro di questo impiegato . coloniale. Facendo ncerca su quest ultimo, ho trovato un fascicolo a lui intestato in ASMA! pacco P nel quale sono conservate sue lettere a Martini e a Malvano per richiesta aiuti nella �arnera e per un trasferimento, e proprio da una lettera di Martini ad Agnesa del . , 1 6-3-1908, In �U! l ex governatore segnala al capo dell'Ufficio coloniale l'impiegato Pacchiotti. Da�e carte d1 �uest� apprendiamo anche che Pacchiotti espose sue fotografie africane al . pa�gh�ne co� oruale di un'esposizione di Torino. Accennavo nella nota 79 al lotto di fotografie del! Mnca onentale appartenute al cap. Carlo Guastoni. Da ricerce fatte risulta che l'ufficiale era senz'altro in �rit�ea ai pr� del secolo; nel 1912 fu promosso maggiore, fu per lo meno in . due diverse occasiOni a disposiZIOne del Governo dell'Eritrea per incarichi civili; vedi A SMA!, o

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con ras Uolde Gheorghis, che sono documentate da due fotografie, quella dei due che pranzano insieme nell'agenzia coloniale e l'altra - molto bella e del tutto inconsueta come immagine perché molto intima - dove il vecchio ras, piegato sulle ginocchia, è in un tenero atteggiamento con un suo nipotino. Le fotografie di Bevilacqua, quelle di cui sono giunto in possesso - eseguite sempre con una buona tecnica - sono ritratti di personalità etiopiche, ras, personaggi impa­ rentati con la famiglia imperiale. I fotografi professionisti, per quanto ne sappiamo finora, non hanno operato nei possedimenti coloniali italiani della Somalia, né nel secolo XIX né in questo, fino alla prima guerra mondiale. Le fotografie note finora, quindi, della Somalia di questo periodo, sono opera di amatori. Ho ricordato sopra l'ing. Luigi Robecchi Bricchetti, esploratore in Africa orientale e in Africa del Nord e fotografo prolifero di un certo interesse. I suoi due volumi, ai quali ho già accennato, sono corredati da molte fotografie del territorio e delle popolazioni somale, con un'attenzione particolare al problema della schiavitù e quindi includono parecchi ritratti di schiavi di ambo i sessi 92• Nelle carte private di Vincenzo Filonardi 93, alcune decine di foto­ grafie della Somalia che riguardano qualche centro abitato, ad esempio Merca, Mogadiscio, una carovana, alcuni ritratti di personalità somale. Qualcuna riguarda il sultano di Zanzibar colto in cerimonie ufficiali. Non ho potuto purtroppo stabilirne l'autore o gli autori. Anche le

POA , pacco G6, fase. Carlo Guastoni. Questi casi di fondi privati di amatori che risultano compositi non credo siano un caso capitato a me, perché i commercianti me li hanno proposti subito dopo esserne venuti in possesso dalle famiglie (come mi è stato anche confermato nel caso Bevilacqua), ma viene in certo senso a confermare quanto si è potuto già constatare imbattendoci in raccolte fotografiche ed anche in album. Questo stato di cose ci fa pensare ad un certo scambio tra gli amatori, mentre nel caso dei professionisti talvolta si tratta di vere e proprie rapine, di cui maggiormente hanno sofferto Luigi Naretti e Alessandro Comini.

92 Vedi nota n. 67. 93 1 853-1 913, capitano di lungo corso, agente consolare, fu a capo della « Compagnia italiana per la Somalia V. Filonardi e C. » e successivamente, negli anni 1 893-96, commissario governativo per il Benadir; vedi G. FINAzzo, L'Italia nel Bmadir. L'azione di Vincenzo Filonardi, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1 966 ; anche F. GRASSI, Le origini dell'iJJJperialismo italiano. Il caso soma/o, 1896- 1915, Lecce, Milella, 1980, il cap. I. Devo alla cortesia del dr. Vincenzo Filonardi e della moglie, che ringrazio sentitamente, l'aver potuto vedere l'archivio del prozio e le non molte, ma interessanti fotografie che ne fanno parte.


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cartoline postali fotografiche della Somalia di fine e inizio · secolo,. per lo meno quel centinaio che ho potuto esaminare, non recano l'au�ore delle fotografie94• Certamente fotografavano i missionari, come dim?­ strano le due cartoline celebrative la liberazione di schiavi 95• Per quanto riguarda fotografie della Libia, che prima della guerra del 1 91 1 -12 e della conquista italiana era una provincia dell'impero ottoma­ no, ne sappiamo ancora poco, comunque due sono le direzioni della ricerca : la documentazione fotografica degli esploratori e dei viaggiatori e quella del Banco di Roma, che è conservata presso l'archivio di questo istituto a Roma. Si tratta per lo più di fotografie che documentano le attività economiche di questa banca nel paese, ma anche incontri con le autorità ottomane ed i notabili arabi. Luigi Robecchi-Bricchetti si recò nel 1 885 in Egitto, con l'intenzione di compiere un lungo viaggio dal Cairo a Tripoli, ma dovette rinunciarvi per le difficoltà politiche fattegli presente dal governo egiziano, evidentemente preoccupato di non creare fastidi alla Porta e, per quanto il nostro riferisce, anche perché eviden­ temente non fu appoggiato in questo suo proposito dal governo italiano. Il Robecchi così ripiegò su un itinerario interno al territorio egiziano, che lo portò da Alessandria all'oasi di Siwa, prossima al confine orientale libico. Il viaggio assume per noi importanza perché, nel libro che ne ricavò, l'esploratore italiano ci ha lasciato interessanti considerazioni sulla confraternita dei Senussi, che fu attendista, interlocutrice e avver­ saria della dominazione coloniale italiana in Libia 96• Delle 1 64 incisioni che corredano il testo, una buona parte sono tratte da fotografie dell'e­ sploratore pavese. Di questa sua attività fotografica d informa lo stessi Robecchi alla data 1 1-12 settembre 1 886 del suo diario di viaggio : «avevo con me una piccola macchina fotografica e volevo servirmene per le fotografie del paese visto da parecchi punti e se mi fosse stato possibile anche di qualcuno degli abitanti» 97• Riuscì nel suo intento in

94 Fotografie dei primi decenni della dominazione italiana in Somalia sono conservate nella fototeca del Museo africano. Quattro album, per un totale di 305 fotografie anonime datate da S. Palma intorno al 1910, sono nelle raccolte fotografiche della Biblioteca reale di Torino. 95 Si vedano le riviste missionarie illustrate. 96 L. RoBECCHI-BRICCHETTI, A ll'oasi di Giove A t11mone, Milano, Treves, 1890. Alle pp. 1 4-22 le vicende dei piani del viaggio e del loro cambiamento. 97 Ibid., p. 242.

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entrambi i casi che si era proposto. Sappiamo così che l'ingegnere pavese, fm dal suo primo viaggio africano, fu fotoamatore per docu­ mentare gli aspetti e gli esiti di quella sua spedizione e, come abbiamo visto sopra, continuò questa sua attività anche in quelle successive. L'archivio del Banco di Roma conserva le immagini fotografiche della penetrazione economica da esso avviata in Libia, come è testi­ moniato dall'appendice fotografica Lo sviluppo territoriale del Banco di Roma dal 1880 al 191 1 alla Storia del Banco di Roma, vol. !98, che raccoglie immagini panoramiche di Tripoli, Bengasi e Derna del 1 907, delle sedi dell'istituto, il mulino di Tripoli, l'oleificio di Bengasi. Altre immagini sono tratte dall'album di Francesco Sanfilippo, Nella Tripo­ litania. Missione del Banco di Roma nel 191 1 e 191299• Con l'approssimarsi e poi lo scoppio della guerra italo-turca, regi­ striamo l'inizio della pubblicazione di un certo numero di libri e di opuscoli sul problema. Per il tema trattato mi limito a segnalare soltanto quei volumi ampiamente illustrati da fotografie. I due più importanti furono quello del giornalista e scrittore nazionalista Dome­ nico Tumiati e dell'intellettuale repubblicano Arcangelo Ghisleri 1 00• Le fotografie che illustrano il primo sono quasi certamente attribuibili al Tumiati stesso mentre il libro di Ghisleri è corredato' da fotografie di varie provenienze, italiane ed estere, ma non dell'autore. La guerra di Libia è il primo avvenimento bellico nazionale che fu seguito dai mass media dell'epoca nei modi tipici del secolo, che saranno successivamente ancora innovati e dilatati, e senz'altro la prima guerra '

.

L. DE RosA, Storia del Banco di Roma, I, Dalle origini al 1911, Roma, Banco di Roma, 1982. La missione Sanfilippo-Sforza fu finanziata dal Banco di Roma per effettuare ricerche minerarie in Libia. Fu in Libia nel 1911, parecchi mesi prima dell'inizio della guerra italo-turca. Quasi certamente autore delle fotografie dell'album menzionato, una copia del quale e anche degli altri due sono conservati nella Biblioteca reale di Torino, è Francesco Sanfilippo. Silvana Palma, in L'Africa dall'immaginario... cit., li ha catalogato sotto il titolo La Libia nell'ultima ora della doti/Ùlazione f11rca - Rassegna fotografica; i tre album contengono complessivamente 427 fotografie, il primo ed il secondo sono datati 191 1-12, il terzo giugno-luglio-agosto 1 910. I soggetti prevalenti dei tre album sono costituiti da vedute, da tipi, usi e costumi indigeni. IOO D. TuMIATI, Tripolitania. Nell'Africa romana, Milano, Treves, 1905 , I ed. in 1 6° senza illustrazioni, II ed. in So con fotografie; A. GHISLERI, Tripolitania e Cirenaica. Dal Mediterraneo al Sahara, Monografia storico-geografica, Milano-Bergamo, Società editoriale italiana - Istituto italiano d'arti grafiche coeditori, 1 912. 98 99


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italiana che fu fotografata da un gran numero di professionisti, di amatori, di fotografi occasionali e che, seppure nei modi artefatti e ma­ nipolati che conosciamo, anche ripresa filmicamente da colui che fu senz'altro il maggior autore attivo in Libia e uno dei grandi nomi della fotografia e della cinematografia documentaria e di reportage dei primi vent'anni del secolo, Luca Comerio. In questa guerra debuttò anche il servizio fotografico dell'Esercito, che raccolse la sua prima documenta­ zione bellica oggi conservata presso la fototeca dell'USSME 101• Come era già accaduto in Africa orientale con le fotografie di Naretti, di Comini, di Di Aichelburg e altri, una gran quantità di fotografie furono stampate in serie di cartoline, che furono spedite e collezionate 102• Luca Comerio andò in Libia all'inizio delle operazioni militari nel 1 9 1 1 e per tutta la durata della guerra tenne a Tripoli una succursale del suo «stabilimento foto-cinematografico» 103• La qualità del suo

prodotto, sia fotografico, sia cinematografico è senz'altro notevole, «in Luca Comerio non si ripete mai, né ripete o cannibalizza l'opera d'arte altrui, ma invece è sempre alla ricerca di mezzi espressivi intoccati» 104• Le manifestazioni popolari a Milano del 1 898 e la dura repressione di Bava-Beccaris sono riprese dal nostro, «è proprio du­ rante questi moti che Comerio realizza il suo primo importante servizio fotografico». Egli lavora con un apparecchio a cassetta molto pesante che necessita di tempi di posa lunghi, aumentando notevolmente il rischio personale. Pur non essendo il solo ad averci trasmesso foto­ grafie di quegli avvenimenti è certamente l'unico ad averne registrato la genesi e ad averli documentati dall'alto delle barricate. Parte del servizio viene pubblicato in due numeri successivi dell'allora diffusis­ sima rivista «L'Illustrazione Italiana»( ... ). Per Comerio è l'inizio d'una carriera, ma è anche un servizio che lo colloca tra i pochissimi fonda-

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Con il corpo di spedizione fu mandata in Libia sulle prime una squadra fotografica comandata dal ten. Cesare Antilli e composta da un sottufficiale e tre soldati. In un secondo momento, vista l'esiguità degli uomini inviati, furono mandate altre due squadre che furono distaccate una a Bengasi e l'altra a Zuara, mentre la prima rimaneva a Tripoli. Ma sia personale che apparecchiature fotografiche vennero destinati anche alle sezioni aerostatiche e alle squadriglie di aeroplani. Cfr. N. D ELLA VoLPE, Fotografie militari . . . cit., pp. 72 e sgg. ; MINISTERO DELLA GUERRA -UFFICIO STORICO DEL COMANDO DEL CORPO DI STATO MAGGIORE, CmJJpagna di Libia, Roma, Provveditorato generale dello Stato, 1 927, vol. V, appendice, il paragrafo «impiego della 1• squadriglia di aeroplani a Tripoli » e quello « funzionamento del servizio del reparto dirigibili a Tripoli», pp. 1 04-179. 102 Riporto qui alcune delle serie di cartoline fotografiche più diffuse e popolari : Traldi e C., Milano, con la didascalia trilingue italiano, francese e inglese; VAT ; Eliocromia Fumagalli e C., Milano con l'angolo destro alto o quello sinistro basso tricolore con la data dell'avveni­ mento raffigurato ; Fotografia Falvella, con tricolore nell'angolo sinistro ; Alterocca, Terni ; Editore E. Biagio Giarmaleo, Milano, spesso sono colorate; Ditta Em. Viscardini, Milano, con il margine tricolore ; L. De Angelis e C., Roma. Queste indicazioni sono ricavate principalmente dalla raccolta di cartoline libiche del mio archivio, dalla raccolta del Museo centrale del Risorgimento di Roma, da alcune raccolte private. 103 Luca Comerio (1878-1940) inizia la sua attività come giovane di studio del fotografo Belisario Croci. Nel 1894 scatta la sua prima fotografia importante a Umberto I in visita a Como. Negli anni immediatamente successivi compie le sue prime esperienze cinematografiche : famose al riguardo sono alcune pellicole che ritraggono il celebre attore e fantasista Fregali. Nel 1 898, insieme con Alessandro Perelli, scatta molte fotografie delle manifestazioni socialiste milanesi del 1 898 e della dura e sanguinosa repressione militare del gen. Bava-Beccaris. Nel 1907 s'imbarca sul panfilo reale «Trinacria» al seguito di re Vittorio Emanuele III che compie un viaggio nel Mediterraneo; diventa così fotografo della Real casa e una sorta di maestro di

fotografia del re, appassionato fotoamatore. Nell'ottobre 1 9 1 1 è imbarcato con il capitano di vascello Cagni e con lui sbarca a Tripoli. Durante la prima guerra mondiale è molto probabil­ mente l'unico documentarista italiano autorizzato a riprendere gli eventi bellici. Nel 1915 fonda la « Comerio Films» sulle ceneri della «Milano Films>>. Nel 1 920, su commissione del sen. Borletti, riprende l'impresa di Fiume. Nel 1 922, in seguito alla separazione dalla moglie, viene sciolta la «Comerio Films», di cui la consorte era comproprietaria. Lentamente ma progressiva­ mente inizia il declino di questo grande fotografo ; egli cerca ancora di girare qualche film, confeziona con i suoi vecchi documentari fùm di montaggio, fa anche il tentativo di fare il fotografo della compagnia di rivista Schwarz. Si rivolge invano all'Istituto LUCE e al Centro sperimentale di cinematografia per essere impiegato anche solo come operatore, ma senza esiti positivi. Nel 1938, pochi mesi prima di morire, si rivolse anche a Mussolini senza esito migliore. Morì gravemente malato, in ospedale, in preda a continue crisi di amnesia, il 5 luglio 1 940. Cfr. C. MANENTI - N . MoNTI - G. N ICODEMI, Luca Comerio fotografo e cineasta, Milano, Electa, 1979, pp. 101, 103; M. A. FRABOTTA, Luca Comerio, in Dizionario biografico degli italiani. Perché questo fotografo e cineasta di grande livello professionale non fu utilizzato dal regime fascista resta una questione ancora poco chiarita : eppure lui, nel 1923, aveva girato il documentario « Giovi­ nezza, giovinezza, primavera di bellezza>>, nel 1 924 «<l sacrificio di N. Bonservizi esaltato da tutti i cuori italiani>> e nel 1 927 « Milizia fucina di atleti e di eroi>>. Forse Comerio mancò di quelle raccomandazioni acconce, di quelle conoscenze «giuste>> nelle gerarchie fasciste, che gli avrebbero potuto consentire di svolgere un ruolo importante, per esempio al LUCE. O piuttosto l'uomo, pur non essendo certamente un «sovversivm>, era troppo intimamente indipendente per entrare a far parte come ingranaggio della « fabbrica del consenso>> del regime fascista ; forse il forte e costruttivo individualismo del pioniere non poteva, non riusciva a piegarsi alla nuova logica di un regime dittatoriale burocratico e massificato. Sul rapporto con Vittorio Emanuele III vedi Diario fotografico. . . cit., pp. 5, 1 1 . 1 04 C. MANENTI - N . MoNTI - G. NICODEMI, Lt1ca Comerio. . . cit., p . 10.


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tori del fotogiornalismo europeo (... ). Negli anni successivi si disinte­ ressa a poco a poco della fotografia, privilegiando in misura sempre maggiore il cinema» 105• In Libia Comerio adopera la camera fotografica e quella cinematografica con eccellenti risultati, egli «è probabilmente il primo ad avere mai raccontato cinematograficamente una guerra dal fronte: oltretutto una guerra che non è di posizione ma una guerriglia particolarmente difficile affidata ad un corpo di spedizione impegnato e formato per la maggior parte da soldati di leva. I suoi filmati (1 70 o più) e i suoi album fotografici ritraggono, come mai era stato realizzato prima, la realtà della guerra, i combattimenti, ma anche i disagi e le attese, la vita di tutti i giorni dei soldati e dei profughi e ottengono un immenso successo mondiale» 106• Comerio non trascura nessuno degli aspetti della guerra, fotografa gli arabi impiccati dai nostri tribunali militari con l'accusa di ribellione e di avere preso le armi contro le truppe italiane e due dirigibili italiani mentre bombar­ dano un campo turco 107 • È fuori di dubbio che Comerio condivida quella guerra e quell'impresa coloniale, ma è altrettanto certo che intende documentarla, perché la sua vocazione di fotografo giornalista è autentica e la professionalità lo porta alla realtà dei fatti e delle situazioni che riprende con le sue apparecchiature. Là dove non è riuscito ad essere presente al momento giusto, o il mezzo non lo consentiva, ricrea la situazione per potere ottenere l'immagine cinema­ tografica - ma bisogna anche considerare che i mezzi, soprattutto quelli cinematografici, sono ancora poco versatili e questi trucchi sono comuni - perché Comerio, insieme ad un'autentica passione per la

fotografia documentaria, t1p1ca del fotogiornalismo, ha anche vivo il senso dello spettacolo e, certamente, nei suoi prodotti cinematografici ricorre al secondo per completare il primo 108 • Oltre a Comerio furono parecchi gli altri fotografi professionisti italiani che operarono in Libia durante la guerra del 1 9 1 1 -12, tra questi Aldo Molinari de «L'Illustrazione Italiana», Cavalli Vecia, Tolentino Fontana, e l'importante Vittorio La Barbera 109. Tra gli amatori ci sono nomi famosi come Luigi Barzini, Enrico Corradini, Scipio Si­ ghele, Guelfo Civinini, il conte Aldobrandino Malvezzi 110• Gli ufficiali dell'Esercito e della Marina che fotografarono quella guerra furono moltissimi: ricordo qui il sottotenente medico Tito Forti 111 , il ten. Fedelfranco Quasimodo, Mario Gerardi 112, il ten. Armando Mola 113,

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105 Ibid., p. 1 4. 106 Ibid., p. 46. I film girati in Libia finora identificati sono : 191 1 , «Bengasi illustrata», Tripoli; 1 912, « Avanzata decisiva in Libia», « Avanzata in Tripolitania», «La battaglia di

Zanzur», «Battaglia di Sidi Said», «La battaglia delle due Palme», « Corrispondenza da Bengasi», «Combattimento di cammelli a Tripoli», « Esercito italiano in Libia», «Ferrovie italiane in Libia», « Guerra italo-turca», « <naugurazione della stazione radiotelegrafica di Tripoli», «Libia», «Occupazione della Cirenaica», Tripoli, « Ultimissime da Bengasi e Derna», «Vita ascari eritrei», «Vita indigena di Libia» ; 1913, « Garian - prima tappa», « La gita dei giornalisti da Azizia a Yefren», « L'idrovolante in Libia, l'onorevole Bettolini a Tripoli», « Lo statuto a Tripoli», « La Tripolitania»; 1 914, «Dalle spiagge sirtiche al Gebel, Tripolitania dopo 3 anni di dominio italiano», Tripoli. 107 Ibid., la fotografia a p. 57.

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108 Fotografie della guerra di Libia di Comerio sono conservate nella fototeca del Museo africano di Roma e in molte collezioni private. 109 Dei primi tre abbiamo notizia dalla nota editoriale dell'Album Portfolio della guerra ifa/o-turca 191 1- 12 per la conquista della Libia, in appendice combattimenti del 1 91 3, Milano, Treves, 1913. Per La Barbera, vedi S. Palma, in L'Africa dell'iJJJJJJaginario. .. cit. ; si tratta di un album, La g11erra turco-italiana, dedicato ai sovrani e contenente 219 fotografie. Questo fotografo pubblicò anche un piccolo album del tipo di quelli dei souvenirs turistici, intitolato Libia MCMXI-XII, Impressioni fotografiche di Vittorio La Barbera, contenente 60 fotografie tra il formato cartolina e il 13 x 1 8 . Un'altra pubblicazione analoga, di autore ed editrice anonimi, è Ricordo della Tripolitania e Cirenaica. 36 vedute; le 36 fotografie, di formato cartolina, sono legate ad organetto. 110 A lbum Portfolio ... cit., p. II. Luigi Barzini aveva già altre esperienze fotografiche in Cina durante la guerra dei boxers, nella guerra russo-giapponese e del suo raid Parigi-Pechino e dopo la guerra libica fotograferà anche il Marocco ; vedi N . MoNTI, Africa thm... cit., p. 1 62. In «<l diaframma. Fotografia italiana», 1 975, 201 , pp. 31-33 sono pubblicate pagine di diario e 7 fotografie della guerra libica di Guelfo Civinini. 111 Dal quale acquistai alcuni fogli d'album dai quali sono state tratte delle immagini poi utilizzate per la mostra Co!onialisJJJo e fotografia. Il caso italiano, Messina 25 ottobre - 1 1 noveJJJbre 1989. Di questo ufficiale ho trovato molti altri fogli d'album nella biblioteca dell'Università Garyiunis (Bengasi). Un certo numero di album di ufficiali italiani sulla guerra 1 9 1 1-12 sono conservati nella fototeca del Museo africano, dove si trovano anche alcune cassette contenenti diapositive colorate a mano in vetro. Altro materiale fotografico di ufficiali amatori sulla guerra libica è pure conservato nella fototeca deli'USSME. Da segnalare anche l'album del ten. Ottolenghi, conservato presso il Gabinetto fotografico nazionale; vedi C. BERTELLI, La fedeltà incostante... cit., p. 1 73-174. 11 2 I cui album sono conservati alla Biblioteca reale di Torino ; cfr. S. PALMA, in L'Africa dell'iJJJJJaJ ginario. . . citata. 11 3 Le fotografie del ten. Armando Mola furono ordinate da Vladimiro Settimelli ed esposte alla galleria «<l Diaframma» di Milano nel 1975. Settimelli intitolò ironicamente


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i capp. Alemanni, Zoppi, Mennaret de Villard, il conte Orsinil . co­ mandante della R.N. Pisa, i tenn. di vascello R. Matteucci e F. Griit.ter, G. Genta 114• Abbiamo anche, per la prima volta - almeno documentato con certezza - anche due sottufficiali tra gli amatori fotografi, Edgardo Furia e Paolo Sinigaglia 11 5 e questo fatto sta indubbiamenmte a signi­ ficare la popolarizzazione del mezzo fotografico dovuta all'abbassa­ mento dei costi degli apparecchi e dei materiali negativi, delle carte e dei processi di sviluppo e stampa. Se diamo uno sguardo complessivo ai reperti fotografici della guerra di Libia, dal materiale ufficiale della sezione fotografica a quelli dei giornalisti, dei fotografi professionisti, degli amatori e anche degli occasionali, non possiamo non arrivare alla conclusione che questa è la prima volta che la ricchezza del materiale ci consente un'ampia e completa possibilità di ricostruzione storica attraverso questi documenti. Il clima di maggiore libertà dell'età giolittiana rende possibile una più ampia e differenziata circolazione delle im­ magini di guerra. Così accanto alla fotografia epica e a quella edifi­ cante, di quegli stereotipi che si possono definire della «bella guer­ ra», come quella del vice amm. Faravelli che saluta il cap. di va­ scello Cagni, che leva in alto la sciabola sguainata di fronte ai marinai schierati o dei rassicuranti gruppi fotografici del comandante in capo con il suo Stato maggiore 116, al soldato italiano «buono»

per definizione, che nutre della sua gavetta di pasta asciutta l'affa­ mata bambina araba 11 7• Questa guerra è fotografata nei suoi aspetti pm crudi, fucilazioni, impiccagioni, cumuli di cadaveri dei nemici e ancora i corpi degli arabi impiccati gettati a mare, come anche nei suoi aspetti più privati, come la fotografia di Forti che ritrae sottufficiali italiani con ascari eritrei seduti insieme al tavolino di un caffé a Tripoli, che costituisce un fatto poco comune, anzi piuttosto insolito nella nostra storia coloniale. Ma c'è un tabù, di cui non ho trovato ancora traccia nella documentazione d'archivio, che ho dedotto dall'esame della documen­ tazione fotografica di guerra: mancano le fotografie dei morti italiani, le fotografie dei cadaveri sono quelle dei nemici. L'unica eccezione al riguardo consiste nella pubblicazione di sei fotografie in un volume del Ministero degli affari esteri, che documenta «le atrocità commesse dagli arabo-turchi in danno di soldati italiani caduti uccisi o feriti nei combattimenti del 23 e del 26 ottobre» 1 1 8 • Le fotografie in questione sono particolarmente macabre e può essere comprensibile che non ne sia stata data una diffusione a stampa, ma ciò che osservavo è invece l'assenza di fotografie dei morti italiani sui campi di battaglia. I nostri morti sono raffigurati da vivi, con riproduzioni di fototessere o altre fotografie in uniforme militare. Credo che questo atteggiamento volesse perseguire lo scopo di non offrire in patria immagini dolorose o rac­ capriccianti dei soldati italiani morti e forse anche di non correre rischi di influssi negativi sul morale delle truppe combattenti. L'epilogo vittorioso della guerra contro la Turchia non risolse il problema del dominio italiano sulla Libia; le popolazioni arabe della

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questa sezione libica dell'esposizione, che comprendeva anche altri aspetti della storia italiana (come l'occupazione delle terre nel Sud negli anni del secondo dopoguerra e altre visioni del mondo contadino di questo secolo) «Tripoli, bel suoi d'amore». Nelle fotografie di Mola erano infatti raffigurate diverse impiccagioni di comattenti arabi. Vedi V. SETTIMELLI, Tripoli bel suo! d'amore, in «Il diaframma. Fotografia italiana», 1 975, 203, pp. 1 8-23. L'articolo è corredato da 10 fotografie del tenente, poi capitano, Mola. I I4 A lbum Portfolio. .. cit., p. II. 1 1 5 Ibid., p. 20. Abbiamo anche un civile rnilitarizzato come carpentiere, Saverio Marra, che fotografa per conto di un ufficiale medico i suoi interventi chirurgici e poi, ovviamente, i compagni d'arme, gli ascari, gli arabi, ecc. Vedi Saverio Marra fotografo, a cur� di F. FAETA (con contributi di M. MALABOTTI e M. MIRAGLIA), Milano, Electa, 1 984, p. 23. E interessante notare come il Marra, nella bacheca posta all'ingresso del suo studio in S. Giovanni in Fiore - ancora alla fine degli anni Venti o metà dei Trenta - tenesse, su 1 3 fotografie di campiona­ rio, che vanno dalla veduta alla fototessera, 2 ritratti dell'epoca libica : un graduato eritreo e una donna araba con bambina (vedi foto p. 238). 1 1 6 A lbum Portfolio . . cit., p. 29. .

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1 1 7 Questa fotografia è in un album della guerra italo-turca conservato nella fototeca del

Museo africano ; la vidi molti anni fa, prima dell'inizio dell'ordinamento e della catalogazione in corso d'opera da parte della dott.ssa Silvana Palma, e purtroppo ne ho perso i riferimenti precisi all'autore. 11 8 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Me111oria del govemo italiano sopra le atrocità C011111e1 sse dagli arabo-turchi in danno di soldati italiani caduti uccisi o feriti nei colllbattilllenti del 23 e del 26 ottobre, sull'azione degli stessi arabo-turchi contro le alllbulanze e sull' ilJJpiego per parte loro di proiettili dejom1abili (dtiJJJ-dum), Roma, Tipografia del Ministero degli affari esteri, 191 1 , pp. 97. Le sei fotografie sono eseguite sul campo di Henni a cura del Comando del corpo di spedizione in Tripolitania e Cirenaica.


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Tripolitania, del Fezzan, della Cirenaica iniziarono una guerra di guerriglia contro l'occupazione italiana che fu tenace e comb�ttiva e che ebbe momenti preoccupanti per la potenza coloniale durante �a prima guerra mondiale, quando i ribelli usufruirono anche dell'aiuto tedesco e turco e che conobbe i suoi momenti più terribili negli anni 1 929-32 in Cirenaica, dove Ornar al Mukhtar, vicario della potente confraternita senussita e capace capo militare, fu alla testa della ribellione anticoloniale. La risposta del governo coloniale fu molto dura, l'intera popolazione del gebel al Akhdar fu deportata e posta in campi di concentramento, la frontiera con l'Egitto fu chiusa per 250 km. dal mare a Giarabub. I guerriglieri si trovarono così tagliati fuori dalle basi di rifornimento e dalle popolazioni amiche che li sostenevano, esposti alla sistematica ricognizione aerea e ai rastrella­ menti della cavalleria, dei meharisti, delle autoblindo e delle colonne mobili miste. Quando Ornar fu catturato, la lotta dei partigiani cirenaici era già in declino e l'impiccagione del vecchio glorioso mtf}iahid ne decretò la fine. Per avere un'idea precisa del calvario delle popolazioni del gebel al Akhdar, trascrivo alcuni brani della relazione del commissariato regionale di Bengasi, firmato dal conte Belli, che, pur nel linguaggio del rapporto burocratico, lascia traspa­ rire il dramma e il calvario di quella gente : «Da Driaua furono allontanati i Cheflifat, i Fuares e l'ailet Bazza ( ... ). Il 4 luglio 1 930 le popolazioni, così raggruppate, iniziavano la marcia da Driaua verso Ghemines seguendo l'itinerario Driaua - Sidi Mensur - Benina - Noua­ ghia - Hash el Chetaan - Ghemines. La marcia durò 1 2 giorni. Le masserizie erano trasportate da una carovana di 2.000 cammelli fatti affluire per l'occasione da Soluk. Il bestiame delle popolazioni sud­ dette, eccettuato quello impiegato nei lavori agricoli, seguiva le popolazioni. Complessivamente si trattava di circa 6 .000 capi. Dopo una sosta di pochi giorni a Ghemines la marcia fu ripresa per Soluk, prescelta come definitiva residenza, ove tutta la colonna di uomini cammelli e bestiame giunse ai primi di agosto. La marcia da Driaua a Soluk si svolse regolarmente : una compagnia di ascari del 2o eritreo fece il servizio di vigilanza notturno e di protezione. Non furono ammessi ritardi durante le tappe. Chi indugiava veniva immediata­ mente passato per le armi. Un provvedimento così draconiano fu preso per necessità di cose, restie come erano le popolazioni ad

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abbandonare le loro terre ed i loro beni. Anche il bestiame, che per le condizioni fisiche non era in grado di proseguire la marcia, veniva immediatamente abbattuto dai gregari a cavallo del nucleo irregolare di polizia che avevano il compito di proteggerlo e di custodirlo. Questo provvedimento era pur esso necessario per non lasciare il bestiame disperso o attardato nelle mani dei predoni; qualche piccolo nucleo dei quali osava spingersi durante le marce di trasferimento fino nei pressi della colonna nella speranza di raccattare tutto quanto veniva disperso o abbandonato. Vana speranza sempre delusa, ché ogni oggetto che poteva avere una qualunque utilità veniva raccolto dai reparti di coda che chiudevano la colonna in marcia» 1 1 9• Con la fine della resistenza cirenaica terminavano gli ultimi fuochi della lotta anticoloniale in Libia, si era nel 1 932, vent'anni dalla conclusione della guerra vittoriosa contro la Turchia; all'epoca della «padficazione militare», nella quale era cresciuta la fama di Graziani, che aveva operato sia in Tripolitania all'epoca di Volpi, sia nel Fezzan, sia in Cirenaica e all'epoca di Badoglio che, da governatore generale della colonia libica, era stato la mente direttiva dell'ultima fase della repressione, succedette l'epoca di Balbo, che trovò la Libia ferita ma senza più problemi militari per il potere coloniale e intraprese la sua politica di «padficazione civile». Durante tutti questi anni operarono nella colonia nordafricana foto­ grafi professionisti residenti nel paese e molti amatori che d hanno lasciato una notevole massa documentaria. Menzionerò qui soltanto quelli dei quali ho avuto la possibilità di vedere e studiare le fotografie o in raccolte pubbliche o private e dei quali, inoltre, ho raggiunto la certezza che avessero degli studi fotografici e non fossero semplice­ mente delle ditte di vendita di prodotti fotografici o dei laboratori di sviluppo e stampa. Vittorio La Barbera, fotografo a Napoli, andò, come abbiamo visto, in Libia per la guerra e aprì a Tripoli uno studio in corso Vittorio Emanuele III che fu certamente attivo fino al 1 932. Gli A nnuari 1 926, '27, '28, '29 dell'Istituto coloniale, alla p. I, recano a tutta pagina la 119 ASMAI, Fondi recuperati al Nord, b. 3. Relazione sugli accampamenti del Commissariato regionale di Bengasi, 28 luglio 1 932, pp. 3-4 del dattiloscritto.


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pubblicità dello studio La Barbera, dalla quale apprendiamo che esso è stato fondato a Tripoli nel 1 9 1 1 , che è stato premiato dal re, dalla regina, dal principe ereditario, che ha anche ottenuto la medaglia d' Qro del governatore della Libia e che fornisce edizioni non solo fotografi­ che ma anche cinematografiche della Tripolitania 120• Il cav. Filippo Muzi ha uno studio a Tripoli in via Lombardia e, senza escludere che fosse in attività anche in anni precedenti, ho potuto riscontrare che operò dagli anni Venti al Quaranta, che è l'anno in cui termina la ricerca 121• Sia Muzi che altri due professionisti, Pucci e Costa, si dedicarono in modo particolare alle vedute urbane ed ai paesaggi. Giuseppe Pucci aveva lo studio a Tripoli in via Roma 41 ed è certamente attivo negli anni Venti 122• Anche Luigi Costa, che ha lo studio a Tripoli, prima a via Velletri 6 e poi in corso Itala Balbo 252, operò negli anni Trenta 123• Entrambi risultano ancora presenti con la loro attività nel 1 940. È bene qui osservare che i maggiori fotografi della colonia, e questo vale per quelli di cui si vedrà più avanti, al di là di quelle che potevano essere le loro attitudini professionali più avvertite, fotografavano poi un po' di tutto ed erano quasi sempre presenti nelle manifestazioni ufficiali della colonia. Un caso interessante di fotografo professionista è quello di Vittorio Genah, con lo studio a Tripoli in Suk el Muscir 44. Lo Genah è un ebreo tripolino, figlio di quella antica comunità insediatasi nel paese,

secondo le prime notizie attendibili, durante il periodo cartaginese, ed è l'unico ebreo libico fotografo professionista di alto livello che opera nel paese. Sua è la fotografia che ritrae una danzatrice araba che era una delle attrazioni del caffé arabo di Suk el Muscir. Genah fotografa anche le personalità della colonia e le celebrazioni ufficiali; risulta attivo negli anni Trenta fino a tutto il 1 940, anche dopo l'entrata in guerra dell'Italia e la morte del maresciallo Balbo, che era riuscito ad attenuare nella colonia libica il portato antisemita delle leggi razziste del 1 938; l'atteggiamento del governo coloniale della Libia al riguardo mutò, infatti, negli anni 1 941-42124• Un altro caso di fotografo autoctono è quello di Bascir Hsen, unico arabo di cui ho trovato reperti fotografici, ma non sono riuscito a reperire nessuna notizia, né ad ottenere alcuna informazione. Ho soltanto la bella immagine della moschea di Han, che reca sul retro il timbro con il nome dell'autore. Il fatto è comunque di rilevante interesse, perché, se poco sappiamo dei fotografi e della fotografia coloniale italiana, ancor meno si conosce di fotografi originari delle colonie italiane. Devo ammettere che fino a qualche anno fa ero portato a credere che essi mancassero del tutto, mentre erano presenti in colonie africane di altri paesi. Le mie ricerche, invece, molto lentamente, mi hanno portato a questi piccoli ma interessanti risultati, che forse resteranno anche i soli del genere. Per quanto sia giunto alla convinzione che riguardo alla ex colonia nord africana potrebbero anche esserci ulteriori sviluppi positivi nella ricerca a venire, mi sembra invece più difficile che scoperte del genere possano essere fatte per le ex colonie dell'Africa orientale. Il perché risiede nelle diverse condi­ zioni culturali dell'ex Africa orientale italiana, che comprende soprat­ tutto atteggiamenti verso alcuni aspetti della modernità, e quindi un certo modo di interessarsi o meno ad essi o di esserne attratti o non;

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120 Vedi Indicatore-Annuario del Commercio, dell'Industria, dell'Agricoltura in Tripolitania, aprile 1924, Tripoli, Camera di commercio, industria e agricoltura per la Tripolitania, p. 145 ; La Tripolitania, Annuario 1926-27, Tripoli, Tipolitografia Scuola arti e mestieri, 1926, p. 513; IsTITUTo COLONIALE FASCISTA, A nnuario delle colonie italiane (e dei paesi vicini) 1932, Roma, Società an. tipografica Castaldi, 1 932, p. 41 dell'appendice : è l'ultima volta che appare nell'Annuario. 121 Indicatore-Annuario. .. cit., p. 145; La Tripolitania, Annuario 1926-27... cit., p. 5 1 3 ; A mmario generale della Libia 1935, Tripoli, Ed. UCIPI, 1935, p. 193; Annuario generale della Libia 1939-40, Tripoli, Ed. UCIPI, 1939, p. 145 ; Annuario generale della Libia 1940-4 1, Tripoli, Ed. UCIPI, 1 940, p. 1 82. 122 Indicatore-Annuario... cit., p. 1 45 ; La Tripolitania, A nnuario 1926-27 cit., p. 513; Annuario generale della Libia 1935 cit., p. 193; Annuario generale della Libia 1939-40 cit., p. 145; Annuario generale della Libia 1940-41 cit., p. 1 82. 123 IsTITUTO COLONIALE FASCISTA, Annuario delle colonie italiane (e dei paesi vicini) 1930, Roma, Società an. tipografica Castaldi, 1930, p. 40 dell'appendice; Annuario generale della Libia 1935 cit., p. 193; Annuario generale della Libia 1939-40. . . cit., p. 145; Annuario generale della Libia 1940-41 . . cit., p. 1 82.

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124 Notizie su V. Genah in A nnuario generale della Libia 1935, p. 193; Annuario generale della Libia 1939-40, p. 145 ; Annuario generale della Libia 1940-41, p. 1 82. l'vii hanno aiutato a mettere a fuoco il fotografo e la sua produzione Raffaello Fellah, presidente dell'Associazione degli ebrei di Libia, l'avv. Paolo Balbo ed il dr. Franco Briganti, che qui cordialmente ringrazio. Per la situazione degli ebrei di Libia dopo i provvedimenti razzisti del 1 938, vedi R. DE FELICE, Ebrei in un paese arabo. Gli ebrei nella Libia contemporanea tra colonialismo, nazionalismo arabo e sionismo (1835- 1970) , Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 259-284.


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fatto sta, ad esempio, che, per quanto ne sappiamo fin�ra, e ��:nche nell'Etiopia indipendente prima dell'occupazione italiana non risultano fotografi etiopici; il più noto allora era probabilmente l'armeno . B.M. Boyadjian, «Photographe de S.M. le roi des rois d' Ethiopie» . Per la Libia giocano fattori diversi, essa era obiettivamente più aperta, perché più vicina a contatti di vario tipo con i paesi europei anche prima dell'oc­ cupazione italiana nelle sue città della costa. Tre sono i maggiori fotografi professionisti della Cirenaica coloniale. A Bengasi ha il suo studio il cav. Gaetano Nascia, che, se rispondono a verità alcune didascalie di fotografie a lui attribuite nel volume Cirenaica nuova, risulterebbe continuativamente presente nel paese a par­ tire dal 1 9 1 0. Dal 1 926 la ditta è intestata «Nascia e figli» (successiva­ mente «e figlio») con sede in via Torino (poi in via S. Francesco d'Assisi 279) fino alla seconda guerra mondiale. Di particolare impor­ tanza appare così la vicenda professionale di questo studio, che è stret­ tamente legata alla vicenda storica della colonia, che fu da esso docu­ mentata dalla vigilia dell'occupazione italiana fino alla guerra. Di particolare importanza per la storia della popolazione cirenaica è la nutrita serie fotografica di Nascia su uno dei campi di concentramento delle genti del gebel al Akhdar, quello di Sidi Ahmed el Magrun che, al di là della sottolineatura degli aspetti assistenziali della struttura coloniale, rivela oggi l'asprezza della reclusione e la durezza della vita di quelle migliaia di civili, uomini, donne e bambini, colà internati dopo tormentose tappe di trasferimento 125• A Bengasi ha pure lo studio, in corso Italia, il cav. Carlo Rimoldi, che in base alle attuali informazioni è attivo dopo l'occupazione italiana, le cui più antiche fotografie da me rintracciate risalgono agli anni della prima guerra mondiale e sono il ritratto del capo 125 Cirenaica m1ova. Opere marittime idriche e di colonizzazione, edilizie stradali, Bengasi, Fratelli Pavone, 1933; Camera di co?JJillercio, industria e agricoltura della Cirenaica 1928, Bengasi, s.e., s.d., p. 326 ; Annuario generale della Libia 1935, p. 442; Annuario generale della Libia 1939-40 cit., p. 371 ; Annuario generale della Libia 1940-4 1, p. 413. Fotografie dei Nascia sono conservate nel fondo fotografico Carte Rodolfo Graziani dell' ACS, tra le quali è conservato l'album dei Nascia sul campo di Sidi Ahmed el Magrun; fotografie di questo campo dei due sono anche in ASMA !, Fondi recuperati al Nord, p. 3, e anche in R. GRAZIANI, Cirenaica pacificata, Milano, Mondadori, 1 932.

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della confraternita senussita Sayid Idris e di suo cugino Mohammed Safi ed-Din. Rimoldi svolge la sua attività fino al 1 929, quando gli succede nella ditta Vittorio Dinami. Rimoldi, negli anni Venti, ri­ prende importanti eventi della vita della colonia, comprese le opera­ zioni militari; suo è un album documentario sull'occupazione di Giarabub del febbraio 1 926 126• Nel 1 929 il cav. rag. Vittorio Dinami succede alla ditta Rimoldi e pone il suo studio a Bengasi, in corso Italia 49 (poi 38) ed è attivo fino alla seconda guerra mondiale. Come Rimoldi, come i Nascia, sebbene si vada via via creando una certa organizzazione fotografica ufficiale, sia militare che in certi rami civili, i maggiori fotografi della colonia, e questo ovviamente vale anche per la Tripolitania, finiscono per avere una sorta di ruolo ufficiale o per avere delle commissioni governative. E abbiamo qualche esempio di questa realtà in alcune pubblicazioni governative che sono in parte o quasi esclusivamente illustrate da fotografie dei professionisti menzionati. È il caso, ad esempio, di « Kufra», un numero unico del governo della Cirenaica, il cui repertorio fotogra­ fico è dovuto quasi interamente a Vittorio Dinami 127• La stessa avvertenza ci dice anche che le fotografie aeree sono dovute al servizio fotografico dell'Aviazione della Cirenaica e che il Comando 126 ISTITUTO COLONIALE ITALIANO, Annuario 1926, p. 475 ; Annuario delle colonie italiane 1927, Roma, Società tipografica Castaldi, 1927, p. 520; IsTITUTO COLONIALE FASCISTA, Annuario delle colonie italiane e dei paesi vicini 1928, Roma, Società tipografica Castaldi, 1928, p. 697; Camera di comi!Jercio... cit., p. 236; S. PALMA, in L'Africa dalfitJJmaginario... cit., l'album dell'occupazione di Giarabub è conservato alla Biblioteca reale di Torino. Fotografie di Rimoldi si trovano nella fototeca del Museo africano e in raccolte private, nelle carte di Luigi Pintor e nel mio archivio. Colgo qui l'occasione per ringraziare la signora Antonietta Pintor per la cortese ospitalità offertami durante il periodo nel quale mi concesse di prendere visione delle carte di Luigi Pintor e del gen. Pietro Pintor, entrambi suoi zii paterni, e per avermi fatto dono di alcune fotografie appartenute ai due, nella maggioranza dei casi doppie o triple copie, che conservo da allora nel mio archivio. 127 IsTITUTO COLONIALE FASCISTA, Annuario delle colonie italiane e paesi vicini 1929, Roma, Società tipografica Castaldi, 1929, p. 838, con la notizia della successione Rimoldi-Dinami; Annuario generale della Libia 1935, p. 442; Annuario generale della Libia 1939-40, p. 371 ; Annuario generale della Libia 1940-41, p. 41 3. Sue fotografie si trovano nel fondo fotografico delle Carte Rodolfo Graziani, conservate all'ACS; UFFICIO STAMPA E PROPAGANDA DEL GOVERNO DELLA CiRENAICA, Kufra, numero unico per il primo anniversario celebrativo dell'impresa: 20 gennaio 1932, Milano, Alfieri e Lacroix, 1 932.


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truppe della Cirenaica aveva anch'esso contribuito con suo materiale fotografico. Veniamo così a conoscenza di queste strutture fotog�afi­ che militari. Un altro volume, Cirenaica nuova, sulle opere pubbliche della colonia, è illustrato da 331 fotografie che per la maggior patte sono opera di Dinami e dei Nascia. Si apprende anche dalla lettura delle didascalie che alcune di queste fotografie sono opera del Genio militare, del servizio fotografico dell'Ufficio studi del Governo della Cirenaica, della r. Sovrintendenza archeologica, altri tre poli foto­ grafici governativi, quindi, l'uno militare e gli altri civili 128 • Tutta una serie di fattori contribuiscono all'interesse ufficiale per la fotografia, il progresso del mezzo fotografico, la sua sempre crescente diffusione, la sua indubbia utilità come documentazione, ma anche come celebrazione, come propaganda e inoltre il consolidamento del potere coloniale e la sua maggiore esperienza. A queste considerazioni dobbiamo poi aggiungere il ruolo che l'immagine fotografica e cine­ matografica vennero progressivamente assumendo nella vita sociale, nella propaganda e nella liturgia dell'Italia fascista, come si vedrà più

avanti. Così, negli anni del governatorato di Balbo, abbiamo un servizio fotografico del Governo generale della Libia, notizia per ora ricavata soltanto da un timbro apposto sul retro di alcune fotografie di cerimonie ufficiali nella colonia dell'Africa settentrionale. Anche gli enti di colonizzazione di questa colonia produssero una notevole documentazione fotografica che riguarda gli insediamenti agricoli, le colture, le fattorie, i villaggi, le migrazioni di coloni italiani e la colonizzazione agricola per gli arabi 129. Per i fotografi professionisti delle colonie dell'Africa orientale ho adoperato lo stesso criterio tenuto presente per la Libia e cioè di trattare di coloro dei quali avessi un'adeguata prova documentaria: così si avranno tre autori per l'Eritrea, due per la Somalia, uno per l'Etiopia. Da quel foglio di minuta del Governo dell'Eritrea del 1 922, che ho già citato a proposito di Naretti, veniamo a sapere che la colle­ zione di fotografie di questo pioniere della fotografia africana colo­ niale italiana .fu acquistata dal fotografo Baratti, al quale era stata venduta dalla vedova Naretti 1 30 • E Aldo Baratti ha il suo studio fotografico, non si sa a partire da che anno, ma certamente è lì nel 1 922, ad Asmara, in via Mattini 5 e resta ad operare nella colonia fino al 1 939, secondo quanto ho potuto documentare, ma è molto probabile che sia rimasto fino alla guerra 1 31 • Temi delle sue fotografie sono soprattutto vedute panoramiche del territorio e delle città, aspetti della vita delle popolazioni africane; è probabile poi che si sia anche appropriato delle fotografie di Naretti, stampate da lui dopo averne acquistato le lastre. Le 1 43 fotografie stampate in piccolo

128 Cù·enaica nuova... citatat. Un fondo fotografico importante è conservato presso la biblioteca dell'Università di Garyiunis (Bengasi) che, tra l'altro, consta di duecento e più fotografie appartenute ad Alberto Cordero di Montezemolo, che andò in Libia nel 1931 come sottocapo di S. M. del RCTC della Tripolitania, con il grado di tenente colonnello (esse riguardano operazioni militari) ; poi quattro album di grande formato con fotografie per lo più di formato 13 X 1 8 appartenute al gen. Domenico Siciliani, che fu vicegovernatore della Cirenaica negli anni 1 929-33. Queste fotografie, opera per lo più del Genio militare della Cirenaica, riguardano parate e cerimonie militari, le uniformi e l'armamento delle truppe indigene della colonia. Il fondo fotografico di questa biblioteca comprende anche molte fotografie sparse che riguardano vari aspetti della vita della Libia in età coloniale, da quelli militari a quelli archeologici, urbanistici, economici, ecc. Molto materiale fotografico della Libia nei suoi vari aspetti è con­ servato nella fototeca del Museo africano, negli armadi Libia e anche sparso nel locale che ospita questo archivio. Fotografie per lo più opera dei servizi fotografici dell'Aeronautica della Cirenaica e della Tripolitania sono conservate nel grande cassetto Libia della fototeca dello SMA e in un locale dell'archivio dell'Ufficio storico dello SMA. Così anche documentazione fotografica soprattutto a carattere militare è conservata nella fototeca dell'USSME; la raccolta fotografica· del gen. Pietro Pintor, che fu in Libia una prima volta nel 1925 da colonnello al comando della colonna B nelle ultime operazioni della riconquista della Tripolitania, al comando di una divisione nel 1 935-36 e successivamente di un corpo d'armata; un ricco documentario fotografico è pubblicato nel volume La strada litoranea libica, Officine grafiche A. Mondadori, Verona, 1937; questa pubblicazione non ha indicazioni né di autore, né delle fonti fotografiche che illustrano i lavori della litoranea nelle varie fasi della costruzione.

129 Su questi temi dell'economia agraria, della colonizzazione demografica nelle colonie italiane, è di estrema importanza la fototeca dell'Istituto agricolo d'oltremare di Firenze (ex Istituto agricolo coloniale). Sulle fotografie prese dai funzionari dell'Istituto agronomico coloniale in Cirenaica, così scrive C. Bertelli: « quelle [le fotografie, n.d.r. ] scattate in Cirenaica dai funzionari dell'Istituto agronomico d'oltremare di Firenze, benché opera di dilettanti, danno il senso profondo dell'avventura, negli spazi immensi e incomparabili agli orizzonti italiani, nell'uso di mezzi da pionieri, come i velivoli che seminano, i lanciafiamme che combattono le cavallette, i giganteschi trattori che nessun podere italiano potrebbe sostenere», cit., p. 174. Una notevole documentazione analoga è anche conservata presso la fototeca del Museo africano. 130 A SMA !, A rchivio Eritrea, pacco 909 , anno 1922, fase. 639. 131 Guida cotntJ/Brciale dell'A GI 1939, Asmara, Moretta, 1939, p. 231 .


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formato nella Guida commerciale dell'A . O. I. 132 sono un campionario della sua produzione. Anche Confalonieri ha il suo studio ad Asmara, in via De · Rosa 6 e sicuramente è attivo negli anni Trenta, ma non escluderei che "in effetti lo sia anche da prima 133 • Credo che anche per lui possa valere quanto de:to di Baratti al proposito dell'appropriazione di fotografie altrm,_ cos1 come per le tematiche della sua produzione. Giuseppe Pugliesi, titolare della «Foto Impero», ha lo studio a Mas­ saua, in via Roma 13 134• La qualità delle fotografie di Baratti, Confa­ lanieri e Pugliesi è certamente buona da un punto di vista tecnico. Sono professionisti, la loro produzione nell'insieme è di valore medio c' e mest1ere ma c'è anche molta routine, resta ovviamente l'interesse documentario che è l'aspetto che concerne il nostro discorso. Oltre i� mestiere, dimostra talvolta un certo gusto nel taglio e nella _ la fotografia del professionista delle Edizioni Artistiche compos1z10ne Fotocine, di cui non conosco il nome 135 • La «Fotocine», che ha la �ede a Mogadiscio in corso Vittorio Emanuele III, si era specializzata m fotografie di nudi di giovani donne somale, che metteva in com­ mercio in stampe di grande formato e in vedute urbane e paesaggi, anche queste in stampe di grande formato. L'altro fotografo della Somalia coloniale è Attilio Parodi, che ha lo �tudio .a �ogadiscio ed è senz'altro attivo nel paese prima della guerra 1tal�-�t10p1ca. I suoi soggetti più usuali sono i tipi somali, gli aspetti . locale, gli animali dell'Africa orientale; molte delle tradiz10nah_ della v1ta sue fotografie vennero stampate come cartoline illustrate, su carta lucida 136. Dopo la guerra itala-etiopica fu fondata ad Addis Abeba, dove aveva la sede in corso Vittorio Emanuele III, lo studio «Erressemme '

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1 32 Ibid., pp. 7-59. . . . J 1 33 Gut·aa ammzmstratzva c ucllc attività economiche dcll'i!npcro A OI 1938-39, Torino, Officine

grafiche Ed. V. Briscioli, 1 938, p. 456; Guida commerciale dell'A DI 1939, p 231 1 34 Guida dell'impero... cit., p. 457; Guida cotmJJCrcialc dell'A DI 1939, p . 423. 1 35 Vedi il nudo di ragazza somala n. II-91 e la veduta n. VII-7 della mostra fotografica e del catalogo. La Fotocine è citata nella Guida commerciale dell'A OI' p 703 . . 1 36 A. Parod1. appare per la pnma volta nell'Annuario dell'Istituto coloniale fascista nel 1 933 e c ntinua ad essere presente in questa pubblicazione fino al 1 937; lo troviamo anche nella Guzda commerciale dell'A DI 1939, p. 704 e nella Guida dell'i111pero. . . cit., p. 494. •

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s.a. » o anche «Erressemme etiopica», che era specializzato in servizi di attualità che illustravano la vita della nuova colonia 137 • Avendo già sconfinato negli anni nei quali il fascismo è al potere in Italia e quindi nelle colonie italiane d'Africa, è necessario considerare ora il rapporto fotografia-fascismo, perché, come è facilmente com­ prensibile, questo influenzerà la fotografia e determinerà l'informazione fotografica coloniale. Come ha giustamente osservato George L. Mosse, «il XX secolo, l'epoca della politica di massa e della cultura di massa, ha preferito affidarsi più all'immagine che alla parola stampata. Questa tendenza a servirsi dell'immagine è sempre esistita in mezzo a una popolazione in gran parte analfabeta, ma oggi, in seguito al perfezionamento della fotografia, del cinema e del ri tuale politico, essa è diventata una considerevole forza politica» 138 • Così la fotografia, figlia della cultura scientifica e tecnica del XX secolo, è anche, da un punto di vista storico e sociale, un mezzo tra i più efficaci, anticipatore della massificazione dell'umanità del XX secolo. Mussolini ed il regime fascista compresero presto l'importanza del medium fotografico. Del resto il duce, abile e capace giornalista politico, nato e cresciuto alla politica in un partito di massa, nel primo partito politico di massa di tipo moderno del nostro paese - il partito socialista - non poteva non capire l'importanza politica propagandistica della fotografia, il cui uso appropriato e finalizzato poteva sortire, come in effetti sortì, risultati certamente positivi per il fascismo. Laura Malvano, a proposito della politica fascista dell'immagine, ha scritto : « Se i rapporti che il fascismo intrattenne con la cultura figura­ tiva possono essere definiti una vera e propria politica dell'immagine, è perché si inseriscono in un progetto globale del regime. Tale globa1 37 Guida dell'impero... cit., p. 426; Guida commerciale dell'A DI 1939, p. 101. Fotografie della Somalia nei suoi vari aspetti sono nell'armadio Somalia della fototeca del Museo africano; un repertorio fotografico interessante è contenuto nel volume edito dal GovERNO DELLA SoMALIA, Somalia luglio 1931-IX - luglio 1934-XII. Opere pubbliche e servizi pubblici, Mogadiscio, Regia stamperia della colonia, 1934; il volume contiene centinaia di fotografie sul tema indicato nel titolo, ma non ci sono riferimenti agli autori o alla fonte fotografica. Fotografie di soggetto somalo, soprattutto aeree ma non soltanto, si trovano nel cassetto Africa orientale della fototeca dello Stato maggiore dell'Aeronautica; fototeca USSME. 1 38 G. L. MossE, L'uomo e le tJtaSSe nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1982, p. 13.


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lità si manifesta sia nell'articolazione delle strutture di controllo e di legittimazione della produzione figurativa, sia negli obiettivi di "Yolta in volta perseguiti dal fascismo, in occasione di suoi interventi nel campo figurativo, lungo tutto l'arco del ventennio. Il loro variare nel tempo, ma soprattutto rispetto alla specificità dell'immagine alla quale erano diretti, appare, in realtà, funzionale a un disegno culturale articolato, dotato di una sua organicità, tanto da fare della politica dell'immagine un aspetto estremamente significativo della politica culturale fascista. Le strutture ufficiali del fascismo che sono interve­ nute nella gestione della cultura figurativa sono state estremamente diverse, sia nella loro funzione sia, soprattutto, in rapporto allo statuto del genere di immagine cui vennero proposte» 139• Questo progetto globale di politica dell'immagine del regime fascista ha una sua storia che s'inserisce nella più ampia politica culturale e propagandistica fascista, che ha una sua evoluzione negli anni in cui Mussolini ed il P.N.F. esercitarono la dittatura in Italia e che Philip Cannistraro ha studiato in un suo volume che ha per titolo emblematico La fabbrica del consenso 1 40• Solamente tenendo conto di questa gradualità, di questa progressiva evolutiva appropriazione fascista della fotografia si può accettare l'affermazione di Carlo Bertelli : « Soltanto molti anni dopo la presa del potere il fascismo incomincia a considerare attentamente la fotografia, e lo fa con l'eclettismo e l'intuito opportunistico che sono fra le qualità politiche e culturali di Mussolini» 1 41• Perché il fascismo, fin dalle sue prime azioni armate, documentò se stesso, si fabbricò la sua immagine, i suoi rituali, come è possibile vedere nel fondo fotografico della «Mostra della rivoluzione fascista», conser­ vato presso l'Archivio centrale dello Stato e da alcune opere che da questo fondo hanno tratto le fotografie 1 42• Tra l'altro fu proprio 139 L. MALVANo, Fascismo e politica del/immagine, Torino, Bollati Boringhieri, 1988, p. 31 . 140 P. CANNISTRARo, La fabbrica del consenso. Fascis1no e mass media, Bari, Laterza, 1975. Ai nostri fini il bel saggio di Cannistraro vale come quadro generale, perché non c'è una trattazione specifica del tema fotografico. Per quanto riguarda la politica dell'immagine del fascismo nell'evoluzione delle sue strutture, vedi L. MALVANO, Fascismo e politica... cit., pp. 31-47. 141 C. BERTELLI, La fedeltà incostante. Schede per la fotografia... cit., p. 137. 142 ACS, Mostra della rivoluzione fascista, Fondo fotografico ; R. DE FELICE - L. GoGLIA, Storia fotografica delfascismo... cit. ; E. GENTILE, Storia del partito fascista 1919- 1922. Movimmto e IIIilizia, Bari, Laterza, 1 989, vedi gli inserti fotografici del volume.

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grazie a queste cospicue serie fotografiche sulle «squadre» � le azio�i squadristiche, la mobilitazione per la marcia su Roma e po1 la marc1a stessa che il regime poté così riccamente documentare e celebrare le sue origini, la lotta antisocialista e antidemocratica e la finale con­ quista del potere alla «Mostra della rivoluzione fascista» del 1 932, che è un autentico momento trionfale della fotografia fascista e del suo uso politico 1 43• 143 C. Bertelli dimostra di conoscere molto bene questo materiale fotografico della mostra di cui tratta alle pp. 1 41-146 dell'op. cit. con competenza e intelligenza critica. Vorrei soltan�o commentare un suo giudizio ed una sua osservazione, perché mi danno l'occasione, a mia volta di fare due considerazioni. Bertelli scrive alla p. 1 43 ; «<l materiale fotografico raccolto ' nella mostra non era un gran che». Avendo esaminato per lo meno tre volte tutto il fondo fotografico della mostra della rivoluzione fascista conservato all'ACS, non ho difficoltà, in linea di massima, a concordare con questo giudizio. Devo però aggiungere, e questo credo sia uno dei momenti di differenziazione dell'interesse per la fotografia e dell'approccio a questo medit1tt1 tra quello dello storico e del critico della fotografia e quello dello storico : per i primi, l'aspetto estetico della fotografia è essenziale, per l'altro esso non lo è; giocando un po' co� le parole, è una sorta di valore aggiunto. E su questo punto cred che anc�e per altn _ studiosi, come gli antropologi e i sociologi, sia lo stesso. Lo stanco chtede semplicemente ad una fotografia che essa rappresenti una realtà e che, alla pari degli altri documenti che ess? adopera nel suo lavoro, sia autentica e per questo d�vrà ssere g ado, con?sce do 1! mediu!JJ fotografico, di riconoscerla come tale (non voglto qm apnre 1! discorso sut falsi che, una volta riconosciuti come tali, possono anch'essi costituire materia interessante per lo storico). In questo senso lo storico non ha alcuna necessità estetica : anche un prodotto scadente, sciatto, brutto, poco o niente espressivo dal punto di vista estetico, può essere per lui un documento interessante ed importante di una piccola o grande vicenda storica. Ancora a proposito delle fotografie fasciste della mostra, scrive sempre a p. 143 Bertelli : « Raramente documentavano il campo nemico». Su questa affermazione si può acconsentire facendo però notare come non manchino le fotografie delle devastazioni delle sedi socialiste e dei roghi del materiale a stampa degli antifascisti, così come degli assalti ai comuni socialisti : ma il unt _ è un altro. I fascisti non vogliono in quell'occasione compiere una ricostruzwne stanca dt quegli anni e della loro presa del potere, essi vogliono piuttosto narrare se stessi, a l ro storia, divulgare e affermare l'immagine che hanno di sé. Credo che queste parole d1 Dmo Alfieri siano esplicative dei fini celebrativi politici e propagandistici della mostra : « C?n la _ raccolta dei più importanti e significativi cimeli, fotografie, manifesti, autografi, rehqute, giornali, pubblicazioni, ecc. la mostra si propone di dare una visione efficacemente rappresen­ tativa del periodo eroico che va dal 23 marzo 1919 al 28 ottobre 1922, e che nonostante le sofferenze, le perdite umane, le prigionie, le oppressioni di cattivi governanti, le ingiurie e le _ infamie degli avversari, le vigliaccherie dei timorosi, rimane pur sempre il più caro e no talgtco ricordo delle camicie nere». D. ALFIERI, Appunti sul program111a della mostra del fascmtJo. 1• decennale della 111arcia su Ro!JJa, s.I., s.d. [ma 1931 ], p. 4 ; si tratta di un opuscolo con il programma stilato da Alfieri che fu discusso ed approvato dal direttorio del PNF il 1 4 luglio

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La nascita e l'evoluzione dell'Istituto nazionale LUCE scandisce. elo­ quentemente le tappe del processo di presa di possesso e di controllo del mezzo cinematografico e fotografico da parte dal regime fascista 1�. Esso nacque dal Sindacato istruzione cinematografica e fu Mussolini a dare alla nuova istituzione il nome LUCE, che corrispondeva alle iniziali di «L'Unione cinematografica educativa». La prima uscita in pubblico della nuova istituzione avvenne nel novembre 1924 a Roma, dove al cinema Augusteo fu proiettato il film documentario di Guelfo Civinini A ethiopia. L'1 1 ottobre 1925 il LUCE veniva trasformato, con decreto del Consiglio dei ministri, in Istituto nazionale per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia. Lo statuto, approvato il 24 dicembre 1926, «affermava decisamente la volontà del governo nazionale di concentrare presso l'Istituto LUCE ogni forma di attività propagan­ distica e culturale cinematografica allo scopo di ottenere che le direttive governative possano rigidamente essere attuate senza costosa dispersione di mezzi» 145 • E «nel 1927, sempre per volere del capo del governo, si istituì il servizio fotografico di ripresa delle attualità nazionali e di divulgazione del materiale cosi raccolto, e nel 1928 il LUCE venne anche incaricato della raccolta delle fotografie per la documentazione delle bellezze paesistiche e delle opere d'arte italiane, che costituiscono oggi l'Archivio fotografico nazionale» 146 • Con un successivo decreto del 1 929 veniva confermato il LUCE come organo cinematografico dello Stato con l'obbligo per tutti gli enti statali e parastatali e per il PNF di servirsi di questo istituto per ogni ripresa fotografica e cinema­ tografica. La direzione generale del LUCE era strutturata in 4 servizi : 1 ) il servizio produzione e sviluppo, che cura l'attività produttiva nel campo cinematografico e fotografico, da cui dipendono operatori,

tecnici, i magazzini dei materiali e quelli dei prodotti lavorati. Esso provvede all'iniziativa delle riprese cinematografiche e fotografiche, alla compilazione e diffusione dei cataloghi, ai collegamenti con le pubbliche amministrazioni, alla divulgazione in Italia e all'estero dell'attività dell'i­ stituto, in conformità alle direttive ed agli ordini superiori; 2) il servizio amministrativo ; 3) il serv1z1o commerciale, che dedica la sua attività al colloca­ mento dei film e delle fotografie di produzione dell'istituto, alla direzione e alla sorveglianza delle agenzie e subagenzie e degli uffici di rappresentanza nell'ambito della loro attività commerciale; 4) il servizio ragioneria. C'erano inoltre altri uffici alle dipendenze del direttore generale, quello «degli affari riservati e generali e di varie attribuzioni di segreteria e d'archivio», quello «del personale e dei servizi di consulenza legale» e « dei servizi ispettivi». Uffici del LUCE erano a Londra, Berlino e Parigi, con compiti di collegamento e penetrazione commerciale 147• Nel 1928 il LUCE fu incaricato dell'ordinamento, della conserva­ zione e del completamento dell'Archivio fotografico nazionale. Vedia­ mo con le stesse parole ufficiali come le attività fotografiche dell'isti­ tuto fossero organizzate: « <l r.d. 24 gennaio 1929 n. 122 dichiara · l'Istituto LUCE unico organo fotografico dello Stato per la documen­ tazione ufficiale degli avvenimenti nazionali. Questo decreto, assegnan­ do all'Istituto tale esclusività, gli ha confidato un compito delicato, che ha imposto la necessità di creare un'apposita organizzazione di servizi fotografici. La ripresa degli avvenimenti è affidata a fotografi specializzati nel lavoro di reportage e forniti di una adeguata attrezzatura di materiale. L'Istituto LUCE distribuisce le riprese fotografiche di attualità, in numero rilevante, alla stampa italiana ed estera, agli enti che si avvalgono della sua opera per documentare la propria attività ed alle organizzazioni preposte alla propaganda delle opere del regime. Trattasi in complesso di diecine di migliaia di copie che vengono annualmente distribuite dall'Istituto. Questo materiale non ha soltanto

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1931. Ancora su questa mostra, si vedano, a cura della presidenza della mostra, Guida alla !JJostra della rivoluzione fascista. X annuale 1915- 1918, 1919- 1922, Firenze, Vallecchi, 1932; PNF, Mostra della rivoluzione fascista. Guida storica, a cura di D. ALFIERI e L. FREDDI, Roma, PNF, 1943. 1 44 Vedi l'opuscolo senza autore, ma certamente del LUCE stesso, Origine, organizzazione e attività dell'Istituto nazionale ((LUCE», Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1 934, pp. 3-9; M. ARGENTIERI, L'occhio del regime. Infonnazione e propaganda nel cinmta del fascistJJo, Firenze, Va!lecchi, 1979, pp. 17-25. 1 45 Ibid. , p. 20. 1 46 Origine, organizzazione e attività dell'Istituto. cit., p. 7. ..

1 47 Ibid., pp. 29-30.


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valore immediato di attualità, ma costituisce anche un'importante raccolta di documentazione retrospettiva, opportunamente catalogata in un archivio dove i negativi e i positivi sono distinti in ordine cronologico, per soggetti e avvenimenti» 148 • Il LUCE, inoltre, ed è importante sottolinearlo, dipende direttamente da Mussolini. I fotografi del LUCE erano, mediamente, professionisti preparati, con una cultura prevalentemente tecnica, con una buona attrezzatura, ma il loro operare all'interno di una struttura rigidamente burocratica, politicamente controllata, istituzionalmente fmalizzata appiattì su valori medi la loro produzione. Essi, però, ebbero a confrontarsi con il cinegiornale, che fu se non l'unico senz'altro il maggiore stimolo innovativo da loro avvertito. Cosi osserva Bertelli: «tralasciarono le pretese di una fotografia d'arte cosi come superarono la casualità della tradizionale fotografia giornalistica italiana. Si trattò di un lavoro collettivo e anonimo : non era richiesto che qualcuno emergesse sugli altri o svolgesse una ricerca più personale, più consona a un suo modo di vedere e di sentire. Non dovevano offrire i loro servizi fotografici ai giornali, né sostenere la concorrenza con l'originalità di altre proposte; dovevano anzi evitare fastìdi, dato che le loro fotografie passavano attraverso vagli e censure attentissimi. Offrivano dunque un lavoro medio, una media della nazione come era e come si voleva che apparisse. Non avevano preoccupazioni formalistiche» 149 • Comun­ que, anche in questo panorama non molto vivace dei fotografi del LUCE che lavorano nel clima di routine che è stato prima ricordato, qualche nome va menzionato, perché dalla media pure emerge, per le sue capacità professionali. È il caso del fotografo e cineoperatore Mario Craveri, che fece parte del nucleo LUCE che operò in A.O. durante la guerra contro l'Etiopia, di Corrado D'Errico, autore del documen­ tario a mediometraggio Il cammino degli eroi sulla campagna etiopica e di Marco Casadei, fotografo e pittore che operò durante la seconda guerra mondiale in Africa settentrionale. Anche se quest'ultimo resta fuori dall'arco cronologico che ho preso in considerazione in queste 1 48 Ibid. , pp. 44, 47. 1 49 C. BERTELLI, La fedeltà incostante . . cit., p. 177. .

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pagine, merita comunque ricordare il valore della sua produzione di disegni e acquarelli dal fronte dell'Africa settentrionale nella seconda guerra mondiale, per l'attenzione alle vicende quotidiane del soldato, senza retorica e con una notevole espressività ed eleganza del tratto, cosi come delle sue fotografie Bertelli scrive: «altri come Casadei, sono arrivati in qualche modo a conoscere le inquadrature oblique di Rodcenko e vi ricorrono con grande disinvoltura» 150• Abbiamo visto sommariamente come il regime fascista si crei un suo strumento fotografico attraverso il quale rappresenta e propaganda se stesso in Italia e all'estero, e questo è un aspetto della questione, quello dell'appropriazione della fotografia; insieme a quest'azione di divulgazione, di educazione e di propaganda fascista il regime ne svolge un'altra ad essa complementare e con la prima coerente ai fini della dittatura : quella della censura. Quest'attività, oltre che dagli organi di polizia e del P.N.F., è svolta dal Ministero della cultura popolare, erede del Ministero per la stampa e propaganda, che era prima un sottosegretariato alle dirette dipendenze del capo del governo, a sua volta figlio dell'Ufficio stampa e propaganda del capo del governo. Il regime fascista così promuoveva e controllava la fotografia in Italia e nelle sue colonie. Faccio un esempio che è anche pertinente al nostro tema coloniale : nessuna delle moltissime immagini scattate dal grande fotografo Alfred Eisenstaedt durante la guerra etiopica entrò in Italia. La guerra d'Etiopia fu la prima guerra di vasta entità del regime fascista e fu anche la più massiccia operazione militare coloniale fino ?-d allora vista in Africa. L'Etiopia vinta e conquistata fu poi conside­ rata dal regime fascista come una vittoria ed una conquista sue, dell'Italia di Mussolini e delle camicie nere : essa fu la colonia fascista per eccellenza. Cosi lo spiegamento della propaganda fu vasto e note­ vole fu il numero di mezzi fotografici e cinematografici impiegati nell'impresa. Mino Argentieri nel suo libro si occupa prevalentemente dell'aspetto cinematografico della produzione coloniale del LUCE, ma non trascura 1 50 Ibid. , p. 178.


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di dare una serie di dati e di annotazioni anche sulla fotografia,. Un nucleo LUCE partì per l'Africa orientale e stabilì il suo quattier generale all'Asmara, mentre a Roma fu creato un comitato intermit:i­ steriale composto dai tre Ministeri militari (guerra, marina, aeronau­ tica), da quelli degli interni, delle colonie e della stampa e propagan­ da, che ne finanziava, assisteva e supervisionava l'operato. La squadra degli operatori (cinematografici e anche fotografi) fu diretta da Luciano De Feo, poi da Corrado D'Errico e in ultimo da Giuseppe Croce. Gli operatori erano dodici : Renato Sinistri, Renato del Frate, Mario Craveri, Mario Damicelli, Franco Martini, Vittorio Abbati, Ciro Luigi Martino, Livio dell'Aglio, Leone Alberti, Bruno Miniati, Guido Giovinazzi e Renato Cartoni 1 51• Alla fine della guerra, da settemila negative erano state stampate 350.000 copie, diffuse a livello internazionale, erano stati girati 60.000 metri di pellicola cinemato­ grafica da cui vennero tratti 1 8 documentari, oltre ad un buon numero di cinegiornali 1 52• Spesso la qualità delle stampe fotografiche era, però, scadente, tanto che si ebbero casi di critiche e di lamentele al riguardo da parte di rappresentanze diplomatiche italiane cui venivano inviate, come materiale di propaganda, fotografie danneg­ giate da un cattivo sviluppo del negativo e da una stampa frettolosa e poco curata 1 53• Ma per altre ragioni anche il duce non era rimasto molto soddisfatto, perché la guerra che i filmati documentavano era, dal suo punto di vista, poco spettacolare, mancavano gli scontri di grandi masse di armati 1 54. Dopo la vittoria contro l'esercito etiopico il reparto LUCE fu trasfe­ rito da Asmara ad Addis Abeba, sede del governo generale AOI, e continuò ad operare a ranghi ridotti sotto la direzione di Elviro Pasqualini. Il reparto LUCE AO, come venne denominato, era autono-

mo per l'amministrazione e la direzione tecnica, mentre le direttive che provenivano dal duce o dal governo nazionale e quelle del Governo generale AOI e dei segretari federali del PNF della colonia dovevano essere coordinate dall'Ufficio stampa e propaganda AO. Questo com­ plesso intreccio burocratico creò una serie di difficoltà, tra cui gli antagonismi tra i diversi organismi e tutto ciò Hnì per nuocere all'effi­ cienza e all'operatività del reparto. Ad Addis Abeba c'era soltanto il laboratorio per sviluppare e stampare le fotografie, mentre i Hlm dove­ vano essere spediti a Roma per lo sviluppo e la stampa 1 55 • Anche le forze armate sono largamente presenti in A.O. con proprie strutture di ripresa fotografica. Il servizio fotocinematograflco militare mobilitò una sezione cinematografica, 1 6 squadre fotografi­ che, 1 6 squadre telefotografiche e assisté il reparto LUCE, che era stato per l'occasione militarizzato 1 56• Anche l'Istituto geografico mi­ litare partecipò alla campagna con una sezione, la 7a sezione topo­ cartografica, che si insediò all'Asmara, mentre altri nuclei vennero destinati, uno per divisione, alle seguenti unità : divisione Peloritana, divisione Gavinana, divisione Sabauda, I divisione Indigena, II divi­ sione Indigena, divisione Cosseria, divisione Assietta, divisione Gran Sasso, divisione Pusteria 157• I compiti istituzionali della sezione erano quelli di preparare le carte topografiche e geografiche del territorio e a questo fine il laboratorio di Asmara dal luglio 1 935 al 5 maggio 1 936 stampò 1 . 450 riproduzioni fotomeccaniche e 48.850 fotografie e sviluppò 23. 585 lastre di fotogrammi aerei 1 58 • Se consideriamo invece il periodo luglio 1 935 maggio 1 937, i totali ammontano

1 51 M. ARGENTIERI, L'occhio del regitm... cit., pp. 1 1 3-1 1 4. 1 52 Ibid., p. 1 15. 153 Vedi, ad esempio, le critiche di Grandi ambasciatore a Londra, che si estendono anche

alla qualità della stampa dei fùm, spesso graffiati e macchiati, così come sono spesso graffiate le fotografie, in L. GoGLIA, La propaganda italiana a sostegno della guerra contro l'Etiopia svolta in Gran Bretagna nel 1935-36, in « Storia contemporanea», 1984, 5, pp. 889-890. 154 Sulle critiche mussoliniane e la giustificazione del presidente del LUCE, ambasciatore Paolucci de Calboli, vedi ACS, Ministero cultura popolare, b. 24, fase. 350.

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1 55 Per questa vicenda vedi ACS, Ministero cultura popolare, b. 24, fase. 350. Per testimo­ nianze coeve vedi C. D'ERmco, LUCE in A. O., in «Lo Schermo», 1936, 2; G. V. SAMPIERI, Cine111a italiano in A . O. , in « Cinema Illustrazione», 1 936, 32; G. CROCE, In A . O. col reparto fotocinematografico dell'Istituto Nazionale Luce, in « Lo Schermo», 1936, 7. Vedi anche di A. MIGNEMI, I11tn1agini per il soldato e il soldato fotogrcifo. Fotografia militare e propaganda, in I111JJaJ gine coordinata per un itnpero. Etiopia 1935-36... cit., pp. 1 88-200. 156 N. DELLA VoLPE, Fotografie militari. . . cit., p. 130. Purtroppo non .abbiamo i dati della produzione delle squadre fotografiche in A.O., ma essa dovrebbe essere numericamente notevole. 1 57 Cfr. L'Istituto geografico militare in Africa orientale 1885- 1937, Firenze, I.G.M., 1939, pp. 103-108. 1 58 Ibid., pp. 1 70, 21 1 .


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a 2. 1 20 riproduzioni fotomeccaniche, 32.300 lastre sviluppate, 64.845 stampe fotografichels9. . Anche l'Aeronautica fu presente nella guerra con i suoi servizi fotografici di ricognizione e di documentazione dei bombardamenti e delle azioni di rifornimento 1 60• La massa ingente della produzione fotografica ufficiale militare e civile caratterizza fortemente la guerra etiopica, che è rappresentata in questo senso in misura molto maggiore di quella libica. Da un punto di vista della ricostruzione degli avvenimenti, delle immagini del territorio e in buona parte delle azioni belliche italiane contro l'Etiopia, essa è di estremo interesse perché ne documenta alcuni aspetti essenziali, come la decisiva, grande sproporzione di forze e di mezzi a favore delle armi italiane, gli obbiettivi militari dei bombardamenti (spesso villaggi di tucul, città quasi del tutto prive di artiglieria con­ troaerea, l'uso di bombe ad iprite, che però è difficile da stabilire in base alla lettura delle fotografie, ecc.) e, da un punto di vista geogra­ fico, credo che le fotografie aeree del territorio etiopico rappresentino oggi un insieme documentario unico. Ma la fotografia ufficiale presenta ovviamente i suoi limiti, per esempio le fotografie LUCE propagandarono insistentemente un tipo di immagine umanitaria della guerra e dell'occupazione italiana falsata, in cui veniva perpetuato, amplificato e reiterato il messaggio del «soldato italiano buono» con le popolazioni e generoso con i nemici vinti e dall'altro la gioia delle popolazioni che, liberate dalle nostre forze, andavano a sottomettersi. La fotografia militare dell'Esercito e dell'Aeronautica, pur documentandoli, non pubblicava né diffondeva le immagini più crude e spesso orribili della guerra. La fotografia dei fotoamatori e dei fotografi occasionali acquista, quindi, un valore particolare di testimonianza e di documentazione ed è anche un materiale che si presta a riflessione. La fotografia privata su questa guerra segue in generale il filone del militare-fotografo; nel nostro caso ci sono analogie forti con la fotografia degli ufficiali e dei

sottufficiali che abbiamo già incontrato, ma anche alcuni aspetti nuovi. Il dato più importante credo sia quello sociale : per la prima volta infatti abbiamo un certo numero di soldati fotografi, alcuni dei quali sono anche degli amatori, che sviluppano e stampano, cioè, da soli le proprie fotografie. Il fatto nuovo scaturisce dalla maggiore economicità dei costi degli apparecchi e del materiale fotografico, che consente anche al soldato di estrazione proletaria di poter acquistare una camera e le pellicole per poco denaro, e anche dalla progressiva penetrazione dello strumento fotografico nelle classi popolari. In queste fotografie, soprattutto in quelle dei soldati e dei graduati, c'è una maggiore attenzione alla vita quotidiana del campo nei suoi aspetti anche scherzosi, anche a quegli aspetti più cruenti e macabri della guerra, quelli che non hanno posto nelle cronache fotografiche ufficiali; esse riguardano sia le atrocità italiane, sia quelle etiopiche. Ma chi volesse leggere queste immagini come alternative, come idealmente contrapposte a quelle ufficiali e a quelle private del ceto medio in uniforme, degli ufficiali o dei borghesi funzionari coloniali, commette­ rebbe un colossale errore che non ha riscontro nella realtà documentata e che è spiegabile soltanto come prodotto di un pensiero puramente ideologico che affonda le sue radici in un cieco e rancoroso populismo. Se infatti c'è differenza tra le fotografie private di guerra dei militari soldati e ufficiali e quelle dei funzionari coloniali, questa va ricercata non nell'atteggiamento verso la guerra e nei confronti degli africani, ma nella diversità dell'estrazione sociale e del livello culturale, che ne determinano in generale una differenza di gusto, di ambientazione, forse anche di stile, non una differenza sostanziale dell'occhio del fotografo che partecipa, nel senso pieno del termine, alla conquista. Sotto questo aspetto, a parte le fotografie belliche le cui didascalie o annotazioni sugli album o sul retro - quando ci sono - dimostrano ampiamente la partecipazione alla guerra, esistono le fotografie degli africani e soprattutto delle donne etiopiche, che stanno a dimostrare che l'occhio popolare non vede altrimenti la guerra di conquista da come la vedono le altre classi della società. Insomma, noi possiamo ricavare una grande quantità di documentazione, di letture, dalle immagini dei soldati fotografi, ma non una testimonianza alternativa, bensì una grande fonte fotografica integrativa e complementare di quella ufficiale. Possiamo ricavarne, come del resto anche da quelle

159 Ibid., p. 212. 1 60 Per la ricca documentazione al riguardo segnalo la fototeca dello Stato maggiore

dell'aeronautica, cassetto guerra d'Etiopia e cassetto AOI.

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ufficiali per esempio dei bombardamenti, degli insegnamenti morali e politici contro la guerra, ma non possiamo invece truccare i dati di una realtà che non ci consente né di affermare ma neppure di immàgi­ nare una visione popolare «alternativa» , contrapposta a quella ufficiale e antitetica a quella della borghesia e della piccola borghesia. Mi viene in mente il libro di Bertold Brecht L'abicì della guerra1 61, cui l'autore tedesco raccoglie un gruppo di fotografie della secondina guerra mondiale, da lui ritagliate da vari giornali e riviste. Ogni foto­ grafia reca la sua didascalia originale e la didascalia in versi di Brecht : il commento di Brecht è spesso antitetico alla didascalia originale. In quest'opera di drammatizzazione, Brecht ci dà il suo album della guerra mondiale attraverso una sua appropriazione epico-tragica di quel mate­ riale fotografico, che a quel punto diviene parte della sua opera. Pur nell'ambito di una creazione letterario-iconografica, che è cosa diversa dal lavoro dello storico, egli compie un'operazione non storiografica, ma corretta, di lettura dell'immagine fotografica. Egli infatti ci fornisce il documento originale e poi, come un prestigiatore, lo trasforma sotto i nostri occhi in un prodotto della sua poetica. Traducendo in termini storiografici l'operazione, è opportuno ricordare che il procedimento dell'analisi storica parte dall'identificazione della fotografia per ciò che essa è e rappresenta all'epoca in cui è stata presa; in un momento successivo la leggiamo per ciò che essa rappresenta nel processo storico complessivo. False partenze producono false conclusioni, che confondo­ no invece di aiutare a comprendere ed a ricostruire e non arricchiscono certamente il panorama degli studi storici. Le osservazioni sulle fotografie della guerra etiopica dei soldat fotografi si basano su stampe che ho potuto avere in visione dai privati, che ho acquistato o avuto in dono (e che quasi sempre mancano di riferimenti all'autore) e su quelle pubblicate da Adolfo Mignemi in due volumi da lui curati 1 62, e anche su conversaz ioni 161 B. BRECHT, L'A bicì della 162 Gruppo di. ct�ca 150 fot g11erra' Torino' Einaudi' 1 972. �grafie di piccolo formato, per lo più stampe a . contatto, per la _ e Gmd �a�gwr parte del! avter o Petrosanti, ma alcune di serie commerciali · la qualità e pmttost� scadente, m� l'ins�eme è interessante perché - tranne nudi .

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di donne atrocità di guerra - e rappresentativa det consu eti temi africani e militari. Devo alla cortesia dell'amico

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e discussioni da me avute negli anni con soldati reduci della guerra etiopica, nonché sulle testimonianze orali raccolte da Irma Taddia dei soldati e reduci in AOP63•

Giovanni Paoloni l'avermi consentito la vlSlone di questo piccolo fondo; 1 0 fotografie di piccolo formato del soldato di fanteria Romeo Dcci, tutti gruppi di commilitoni e una di un gruppo di alti ufficiali; A. MtGNEMI, in Sì e no padroni del mondo. Etiopia 1935-36. ltmnagine e consenso per liti impero. . cit., e in Immagine coordinata per 1111 impero. Etiopia 1935-36.. citato, ha pubblicato un'antologia di estremo interesse dei fondi fotografici della guerra d'Etiopia conservati presso l'Istituto per la resistenza di Novara Piero Fornara, nella quasi totalità opera di soldati o per le serie commerciali da questi acquistate : fondo del soldato radiotele­ grafista Giovanni Piana, 197 stampe, fotografo amatore ; fondo M.G. operaio cementista, caporal maggiore, amatore; 2 album di Edoardo Colombano, soldato ; fondo del soldato Annibale Moroni, 71 stampe, amatore; fondo Giuseppe Mazzini, 65 stampe, fotografo profes­ sionista aggregato alla 16• squadra telegrafica del Genio ; fondo del soldato Antonio Mattac­ chini, 270 stampe; segnalo poi l'album del sergente maggiore Annibale Saccoman ; fondo del maresciallo dei carabinieri Salvatore Barra, 80 stampe; fondo del cap. Mario Gigante, 21 stampe. Ho recentemente acquistato un gruppo di 12 stampe a contatto di soldato anonimo, che contengono alcune immagini di ritratti di un gruppo misto di soldati italiani e di graduati eritrei e libici e il fatto è piuttosto fuori del comune, considerando anche l'atteggiamento cameratesco dei soldati italiani che appare spontaneo ; resta il dubbio che possa essere una testimonianza di esotismo piuttosto che un'effettiva, egualitaria manifestazione di fraternità tra uomini in armi, come pure vorrebbe apparire. Non ho qui menzionato molte stampe da me vedute e alcune anche acquisite al mio archivio fotografico per la mancanza di qualsiasi riferimento sia all'a. che al soggetto. 163 I . TADDJA, La memoria dell'Impero, A 11tobiograjie d'Africa orientale, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1988. A questo proposito vorrei dire che se un atteggiamento di critica vi fu da parte dei proletari che parteciparono alla campagna etiopica, questo venne soprattutto da coloro che vi andarono come lavoratori militarizzati o che, smobilitati, restarono nel paese per lavorare ed esso riguarda il trattamento economico di alcune imprese che, avendoli ingaggiati con un salario elevato, li pagarono poi la metà dello stabilito o anche meno. Questo imbroglio a danno dei lavoratori fu dovuto ad affaristi speculatori e ad imprese senza scrupoli che si gettarono avidamente in cerca di rapidi guadagni, godendo grosso modo di protezione da parte di uomini del regime, che pareva più preoccupato di evitare gli scandali che potessero intaccare l'immagine epica, laboriosa e generosa della conquista etiopica che di tutelare quei lavoratori ingannati e truffati. In questo senso è indicativo il rapporto di polizia datato Roma 1 ° luglio 1936, che ha per oggetto «osservazioni e voci sui reduci dell'A.O. » : «avevo riferito tempo addietro le voci diffuse negli ambienti operai circa arbitrarie riduzioni di paghe, esose trattenute sindacali e mancati pagamenti di mercedi da parte di ditte appalta­ trici, voci che tendevano con solare evidenza a deprimere gli spiriti ed indurre coloro che ambivano partire per la lontana colonia ad abbandonare ogni entusiasmo ed idea in proposito. A questa sorda ma pure efficace campagna denigratoria si aggiunsero, influentissime, quelle altre notizie di accaparramenti preferenziali, di costituzione di grandi compagnie monopolisti­ che, di colossali concessioni infine, a favore di pochi privilegiati ed a danno della massa. Tali .

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A proposito dell'atteggiamento di conquistatore che anche le foto­ grafie del soldato fotografo riflettono, come ho cercato di dimostrare, �orrei fare riferimento a due immagini emblematiche di questo aspetto. E noto quanto fosse esteso il mito esotico della donna africana, «la Venere nera»; esso era largamente diffuso nelle masse di soldati che parteciparono alla guerra africana e fu addirittura uno dei luoghi comuni della campagna etiopica che vide centinaia di migliaia di italiani impiegati in AO. Due immagini particolarmente volgari, la cui oscenità è morale prima che materiale, sono opera di soldati fotografi e fanno parte dei loro souvenirs della guerra di conquista. La prima è del soldato Edoardo Colombara ed è pubblicata da Mignemi a tutta pagina, per ultima dopo la n. 313 1 64 : essa ritrae in esterno un sergente italiano in posa con una donna etiopica seminuda (presumibilmente una prostitu­ ta) nell'atto di palparle a piena mano il seno. Entrambi sono in piedi, l'uomo sorride in modo piuttosto sgradevole ed il suo sguardo è ri­ volto al seno della donna, la quale ha il capo chino, con lo sguardo basso, il volto atteggiato ad una mesta, corrucciata serietà e le braccia inerti abbandonate sui fianchi. La seconda, pubblicata sul «Venerdi» de «La Repubblica» 165, raffigura due soldati italiani in esterno, con due giovani prostitute etiopiche: le due ragazze nude hanno le vesti ai piedi, mentre dei due soldati l'uno (forse un caporale) è in piedi e cinge la spalla della ragazza che ha vicino, l'altro è inginocchiato presso la seconda ragazza nell'atto di palparle le cosce e di guardarle il basso ventre; la non buona qualità della stampa impedisce di scor­ gere gli sguardi dei quattro. vociferazioni persistono a diffondersi in ogni ambiente ed in questi giorni mi sono preoccupato di controllarne ancora una volta l'esistenza e la efficacia, trovando l'una e l'altra nei circoli più disparati non solo di Roma ma, anche, di Napoli, Torino e Littoria», in ACS, Ministero dell'intemo, Direz. gen. di P.S., Div. AA . GG.RR. 1920- 1945, Conflitto itala-etiopico, b. 1 8, fase. Affari Generali, s. fase. 64 « Militari reduci dell'A. O. disoccupati». Ma al contrario di quanto affermato in queste righe, la questione era vera e seria, tanto che ne troviamo documentazione non anonima nella busta Africa Orientale Italiana, della Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario in ACS, dove sono contenute lettere di lavoratori a Mussolini che chiedevano giustizia. 164 A. MIGNEMI, !Jn11Jagine coordinata per un impero... cit., p. 243. 165 Numero del 10 giugno 1988, p. 131. Ringrazio le archiviste del «Venerdì» de «La Repubblica» per la loro cortese collaborazione.

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Oltre alla documentazione fotografica conservata negli archivi pub­ blici e dai privati 166, è utile ricordare che ci fu un'abbondante lettera­ tura pubblicistica, memorialistica e ufficiale riccamente corredata da immagini fotografiche, che sono molto utili come lettura di parte italiana e fascista di quella guerra e anche come testimonianza di alcuni aspetti di essa 167 • 166 Per quanto riguarda gli archivi pubblici, oltre quelli militari già citati, si segnalano, in particolare, nell'ACS : la serie fotografica delle Carte Graziani, soprattutto per quanto riguarda le -operazioni sul fronte Sud, la raccolta « Guerra d'Etiopia» della Mostra della rivoluzione fascista, l'album del LUCE sulla guerra d'Etiopia, incompleto, la serie fotografica delle Carte Pietro Piacentini; le fototeche dell'Istituto LUCE; del Museo africano e dell'Istituto geografico militare di Firenze, nonché la documentazione relativa all'Etiopia dell'Archivio audiovisivo del movimento operaio di Roma. Fonti private : album della guerra d'Etiopia di Angelo Sante Bastiani, m.o., allora sergente, presso di lui; album di Goffredo Fiore, allora tenente, presso di lui ; fotografie della guerra etiopica di Filippo Diamanti, allora console generale della milizia, presso la famiglia ; album della guerra etiopica di Teobaldo Filesi, allora combattente in un battaglione. universitario ; 3 album della guerra etiopica di Antonio Mancia, allora capitano, presso la famiglia ; 1 album di Carlo Navarrini, allora soldato radiotelegrafista presso il Comando superiore A.O . ; circa 1 50 fotografie del seniore medico Davide Pecora, presso la figlia ; 3 album dell'allora sottotenente della divisione « Gavinana» Dino Schiavoni ; album del giornalista Giovanni Telesio, sottotenente nella guerra etiopica, presso la moglie. Dal mio archivio : raccolta Rodolfo Goglia, 2 album di operazioni militari nel Galla e Sldama 1 936-37; album anonimo della guerra al fronte Sud ; raccolta detta « del maggiore» ; raccolta detta « dell'ufficiale pilota»; 2 album di un sottote­ nente anonimo della divisione « Cosseria». 167 Prendo in considerazione qui soltanto quelle pubblicazioni preponderatamente caratte­ rizzate dall'illustrazione fotografica : Con l'esercito italiano in Africa orimta!e, Milano, Mondadori, 1936 e 1937, voli. 2, opera che raccoglie la corrispondenza di molti tra i giornalisti italiani presenti ai fronti di guerra e illustrata da fotografie di questi giornalisti stessi, del LUCE, di enti militari e di agenzie internazionali ; Cronache illustrate dell'Illustrazione italiana in A .O., dirette dal gen. O. ZoPPI, 12 fascicoli dal 25 aprile 1936 al 1° ottobre 1 936; CoMANDO GENERALE DELLA MILIZIA - MVSN, La Milizia per l'Impero, Roma, Istituto grafico tiberina, 1937 ; « Mediterranea», 1937, numero unico dedicato alla divisione sabauda; M. MoLINARI, Agli ordini di Graziani in Somalia, Milano, Edizioni scientifiche e letterarie, 1 940; numero speciale de «L'Illustrazione Italiana», 1936, 21, Guerra vittoriosa e controsanzioni per i'Impero; 128o LEGIONE CAMICIE NERE, Documentario fotografico dell'attività svolta durante la campagna per la conquista dell'impero fascista -luglio 1935-gittgno 1937, Milano, Alfieri e Lacroix, 1937; Dalla << Linea» alla «Base>>. Impressioni istantanee di un legionario della << 28 Ottobre>>, Brescia, Arte grafica Rovetta, 1936 ; II cammino degli eroi, documentario della guerra d'Etiopia a cura del reparto LUCE A.O., Milano, Hoepli, 1936. Fotografie dei corpi evirati degli operai del cantiere Gondrand vennero trasmesse alla Società delle nazioni con una lettera del sottosegretario agli esteri Suvich il 9 marzo 1 936, documento S.D.N., C. 123, M. 62, 1936 VII.


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Le fotografie ufficiali erano sottoposte ad una rigida censura; so­ prattutto per quanto riguardava le atrocità, sia, ovviamente, quelle· da parte italiana, ma anche quelle compiute dagli armati etiopici, come ad esempio il massacro e le mutilazioni dei difensori del cantiere Gondrand di Mai là là. È chiaro che da una parte non si voleva macchiare la conquista dell'Etiopia e la «liberazione» delle popolazioni dell'impero negussita con gli aspetti più estremi e spesso feroci dell'a­ zione italiana, dall'altra non si voleva diffondere le immagini degli episodi di atrocità subite per non mostrare fatti che potevano generare sentimenti di debolezza, di incertezza e di smarrimento in patria 1 68 • Per la produzione ufficiale di fotografie la censura potè operare senza problemi, ma la situazione cambiava quando si trattava di dover controllare la massa notevole di fotografie scattate dai militari amatori o occasionali. Di fatto non era possibile, e non lo fu, impedire la circolazione da mano a mano, da occhio ad occhio delle immagini anche sgradite alle autorità di governo che i reduci porta­ vano a casa come testimonianza e ricordo della loro guerra. Come ho già accennato, un soggetto tabù era quello dei morti italiani, a maggior ragione poi se le immagini presentavano aspetti partico­ larmente macabri e impressionanti, ma anche quelle delle repressioni e delle atrocità lo erano, così come quelle considerate di eccessiva familiarità tra italiani ed africani. Il rapporto di polizia, di cui abbia­ mo già citato un passo, si occupa delle fotografie dei reduci che riproducono morti italiani : «Mi si dice che molti reduci dell'AO hanno fotografie che ritraggono orribili scene di italiani torturati e barbaramente mutilati, di immani cumuli di nostri soldati morti gettati alla rinfusa su autocarri, di scene insomma che sarebbe assai meglio non documentare» 1 69• Il controllo e la censura sulla fotografia in colonia non è, comunque, un portato della guerra etiopica; il regime fascista già operava in

questo senso nei possedimenti d'oltremare, come ci conferma una circolare di Graziani, al tempo vice-governatore della Cirenaica, a pro­ posito della pubblicazione su «Afrique Française» di una fotografia di impiccagioni di residenti libici eseguite a Barce il 21 giugno 1 930. Scrive Graziani : «Tutte le autorità cui mi rivolgo sanno che è proibito assolutamente prendere fotografie di esecuzioni capitali, e pertanto responsabilità morale di un tale delitto contro la patria ricade su chi per debolezza, incapacità, incomprensione dei propri doveri non sa fare rispettare ordini di così grave importanza» 1 70• Esisteva a Roma un luogo di raccolta dei materiali fotografici delle colonie italiane e di quelle regioni dell'Africa che interessavano la politica espansionistica dell'Italia ed erano le fototeche del Museo coloniale (oggi Museo africano), dell'Istituto coloniale italiano (oggi Istituto italo-africano), il quale Museo dipendeva direttamente dal Ministero delle colonie, che vi nominava come direttore un suo fun­ zionario. È logico pensare che il Museo coloniale conservasse materiale fotografico fin dalla sua fondazione, comunque nel 1 926 leggiamo nell'A nnuario delle colonie italiane di quell'anno : «Vi sono inoltre delle sale comuni con le mostre di armeria, numismatica e monili, filatelica, cartografica, archivio fotografico e cinematografico, raccolta di cli­ chés » 1 71 • Da un documento del Governo generale, una circolare ai cinque Governi dell'AOI datata Addis Abeba 23 dicembre 1 937, apprendiamo interessanti notizie sulla fototeca del Museo e sul funzio­ namento dell'attività fotografica ufficiale

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168 Questa serie ufficiale fu fotografata da un operatore LUCE, ma anche altri fotografa­ rono l'episodio ; fotografie di soldati italiani feriti con pallottole dum-dum furono trasmesse alla S.D.N. dal sottosegretario agli esteri Suvich in data 30 aprile 1 936, opuscolo di grande formato, s.d., s.e., pp. 39. 169 ACS, Ministero dell'Intemo, Direz. gm. di P.S., Div. AA. GG.RR. (1920- 1945) .

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172 :

«<l Ministero della cultura popolare, le legazioni e le ambasciate di Italia all'estero, hanno, con insistenza, richiesto documenti fotografici relativi all'attività svolta dall'Italia fascista nell'opera di civilizzazione e valorizzazione dell'impero.

170 La notizia del fatto e la circolare di Graziani sono riportate da E. SALERNO nel suo pamphlet Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell'avventura coloniale (1911- 1931), Milano, Sugar, 1979, p . 69. E come tutta la documentazione citata e talvolta riprodotta in copia fotografica, anche la più importante ed inedita, è assolutamente priva della fonte archivistica o di ogni più generico riferimento alla fonte. 1 71 A nnuario delle colonie italiane, 1926, p. 1 3. 172 A S.MA I, A rchivio Eritrea, pacco 1009, fase. varie LUCE.


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A tali riclùeste non ha potuto provvedere il Ministero date le ristrette possibilità . della fototeca del Museo coloniale. Per ovviare a tale inconveniente è in corso di stipulazione una convenzione fra il Ministero dell'Africa italiana, quello della cultura popolare e l'Istituto nazionale LUCE, per la quale tutte le pellicole e fotografie prodotte dagli operatori del reparto fotocinematografico dell'AOI dovranno essere regolarmente trasmesse alla fototeca del Ministero, la quale verrà dotata di un laboratorio fornito di tutto il necessario per le riproduzioni e gli ingrandimenti fotografici. Tali documenti verranno poi distribuiti alle legazioni che ne faranno riclùesta per scopi culturali e di propaganda e agli enti pubblici. Prima però che tale convenzione sia in atto, e che la fototeca possa essere in grado di adempiere ai nuovi compiti, nel senso esposto, codesti Governi sono pregati di inviare periodicamente, in triplice copia, quelle fotografie concernenti vedute, coltivazioni locali, tipi etnografici, e quanto altro attenga agli aspetti fisici, etnografici ed economici dei vari territori dell'impero. Dato lo scopo della riclùesta di dette fotografie, si fa presente che minor interesse offrono le fotografie di cerimonie ufficiali o di raduni, per quanto anche queste abbiano la loro importanza. Si insiste sull'opportunità di raccogliere le fotografie che riproducono soggetti di carattere locale e quant'altro concerne le attività di codesti Governi a favore delle popolazioni indigene. Si resta in attesa di un urgente riscontro al riguardo».

Il flusso delle fotografie che affluivano a Roma dalle colonie poneva però non pochi problemi a chi doveva adoperarle e archiviarle, tanto che il ministro dell'Africa italiana, Teruzzi, il 30 settembre 1 939 inviò al Governo generale e ai singoli Governi dell'AOI la circolare avente per oggetto «materiale fotografico», che trascrivo 173 : «Si ritiene opportuno far presente a codesto Governo che una notevole parte del materiale fotografico inviato al Ministero in occasione dell'approntamento del volume documentario sul lavoro compiuto in AOI durante i primi tre anni dopo la conquista etiopica non ha potuto essere utilizzato per mancanza di didascalie illustrative o per illeggibilità delle stesse (quando erano scritte a mano; e special­ mente se scritte con matita).

1 73

Ibidem. Le stesse osservazioni critiche possono essere estese anche a gran parte della

documentazione fotografica ufficiale di questi anni riguardo la Libia, come ben sanno coloro che hanno lavorato in questi settori.

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Si prega pertanto voler disporre che d'ora innanzi a tutte le fotografie che vengono rimesse al Ministero siano apposte le didascalie, tenendo presente quanto appresso: 1) Ogni didascalia deve contenere assolutamente l'indicazione di luogo e di tempo : si specifica che la prima indicazione dev'essere completa (località, e, fra parentesi, il Governo) ; la seconda deve contenere l'indicazione del giorno, del mese e dell'anno, o almeno del mese e dell'anno. 2) Naturalmente la didascalia deve contenere l'indicazione di quello che la fotografia rappresenta, e nei termini più chiari e completi. 3) Tutte le didascalie debbono essere scritte a macchina e non a mano (e tanto meno a matita). 4) La scrittura a macchina dev'essere fatta su un foglio velino che poi si incolla sul retro della fotografia ; mai direttamente sul retro della fotografia (quando avviene così, molte volte il recto rimane deturpato da piccole macchie). 5) La scrittura va fatta, sul foglio velino, a righe strette e corte in modo che la didascalia occupi solamente il mezzo della fotografia, lasciando da ogni lato il maggior spazio possibile. Ciò è necessario perché quasi sempre le fotografie vanno ritagliate per adattarle alle pagine delle riviste o dei libri in cui vengono pubblicate, e allora in quasi tutti i casi si è dovuto far prima ricopiare la didascalia, che altrimenti sarebbe rimasta avulsa. 6) Da ultimo si fa rilevare che bene spesso le didascalie sono state messe con scrittura ad inclùostro nel recto delle fotografie, con parziale occupazione delle cose rappresentate. Ognuno vede come tale sistema rende assolutamente inutilizzabile la fotografia per la riproduzione in libri e riviste.

Si prega di assicurare che le norme di cui sopra saranno d'ora innanzi osservate».

La fototeca del Museo coloniale ammontava «a varie centinaia di migliaia di esemplari (negativi, cliché, originali, copie) », secondo una relazione dell'Ufficio studi del Ministero dell'Africa italiana del marzo 1 950 174• Essa era strutturata in una classificazione dei soggetti ripetuta per ognuna delle colonie e in una classificazione unica di

174 MINISTERO DELL'AFRICA ITALIANA, Ufficio studi, « Relazione sull'attività svolta dall'Ufficio studi dalla data di ricostituzione del Ministero ad oggi», Roma, Ministero dell'Africa italiana, marzo 1 950, p. 22, dattiloscritto con frontespizio e copertina a stampa.


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. soggetti; quest'ultima, nel prospetto che segue, va dalla voce esplo­ ratori alla fine dell'elenco del soggettario 175 : Agricoltura Attività economiche e commerciali Archeologia Avvenimenti Colonizzazione Culto Comunicazioni Edilizia Flora Fauna Giustizia Militari Missioni Panorami di centri abitati Panorami di regwru Scuole

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Sanità Tipi Usi e costumi Storico Opere di previdenza sociale Esploratori Principi reali Medaglie d'oro Ministri Governatori Personalità italiane Personalità estere Nazioni e colonie estere Mostre e fiere Museo Africa italiana e Ministero Museo di storia naturale di Tripoli.

Nel panorama della fotografia coloniale italiana mi sembra utile menzionare tre personaggi molto differenti tra loro e di notorietà anch'essa diversa, ma nomi conosciuti del giornalismo italiano : Curzio Malaparte, Orio Vergani e Ciro Foggiali, che hanno lasciato un'inte­ ressante produzione fotografica africana. Orio Vergani e Curzio Mala­ parte appartengono anche alla letteratura e l'ultimo, al di là del giudizio critico che si può esprimere sulla sua opera, è noto a livello interna­ zionale. Ciro Foggiali (1890-1955), invece, è tutto nel suo lavoro di giornalista, fu inviato del Corriere della Sera in Etiopia e da questa sua esperienza trasse un libro, A lbori dell'impero. L'Etiopia come è e come sarà 1 76 , in cui racconta la vicenda iniziale dell'impero fascista dopo la sconfitta di Haile Sellassie, la continuazione della guerra da parte dei

1 75 Ibid. , pp. 21-22. 1 76 Pubblicato a Milano da Treves nel 1938.

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patrioti etiopici e la dura controguerriglia italiana, con quello spmto prevalente all'epoca e cioè di chi, al di là di critiche secondarie pure importanti, è però convinto della giustezza dell'impresa. Nel 1 971 apparve postumo il suo diario di quel periodo trascorso in AOI, in cui il cronista registra fedelmente gli avvenimenti - anche i più ripugnanti - come li ha visti e come li ha vissuti 1 77• Ciò che, dal punto di vista dello storico, rende più degna di considerazione e più valida la sua testimonianza è che Foggiali non è un «furbo » che dà in situazioni storiche diverse versioni differenti di dò che ha visto ; egli registra per sé dò che non può scrivere sul giornale, egli è contro di orrori di cui è spettatore, ma è partecipe di quell'impresa che nelle sue annotazioni private non respinge. Per Foggiali, come per tanti che furono protagonisti piccoli e grandi dell'imperialismo coloniale europeo, valgono le frasi che Conrad mette in bocca a Marlow in Cuore di tenebra : « La conquista della terra, che in pratica significa toglierla a coloro che hanno la pelle di un colore differente o un naso un po' più schiacciato del nostro, non è cosa tanto bella se la guardate un po' da vicino. E dò che può redimerla è solo l'idea. Un'idea che stia dietro l'azione ; non una finzione sentimentale ; e una fede disinte­ ressata in tale idea ( . . ) qualcosa che si possa innalzare per inchinarcisi e onorare con sacrifici ( . . . ) » 178• Foggiali lascia ai figli il dattiloscritto con una dedica nella quale, infatti, scrive : « [ne deriveranno] sicura­ mente qualche dato di fatto e qualche umile verità che le cronache contemporanee all'epico evento non poterono o non doverono regi­ strare» 179. E nell'avvertenza chiarisce meglio la chiave di lettura del diario spiegando che la censura del regime fascista applicata alle questioni dell'impero era molto intransigente e che lasciava poco margine al lavoro del cronista 180• .

1 77 178 1 79 180

C. PoGGIALI, Diario A OI, 15 giugno 1936-4 ottobre 1937, Milano, Longanesi, 1971 .

]. CoNRAD, Cuore di tenebra, Milano, Feltrinelli, 1 976, pp. 18-19.

C. PoGGIALI, Diario A OI... cit., dedica ai figli Febo e Vieri. Ibid., pp. 1 1-13. Sulla censura in AOI c'è una testimonianza edita e non postuma di Dino Buzzati, anche lui inviato del « Corriere della Sera» in AOI qualche anno dopo, nel 1 939. Così si esprime lo scrittore : «va notato che in Africa orientale il lavoro giornalistico era difficilissimo perché tutti i problemi interessanti - e Dio sa se ce n'erano - erano tabù e bisognava girarci intorno con estrema precauzione : in ogni problema c'era infatti un


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Il diario è corredato da 84 fotografie dell'autore, dieci délle quali di cumuli dei corpi delle vittime etiopiche uccise nell'indiscriminata· e s.an­ guinosa rappresaglia scatenata dal federale di Addis Abeba Gui�o Cortese dopo l'attentato a Graziani del 1 9 marzo 1 937. Queste foto­ grafie sono molto rare; in molti anni di ricerche in archivi pubblici e presso privati sono riuscito a trovarne una serie di quattro, che mi furono donate da mio zio Giuseppe Bucco, funzionario medico colo­ niale e presente all'attentato, che le ebbe o dal questore di Addis Abeba o dallo stesso Graziani. All'Archivio centrale dello Stato, nel fondo del gen. Pietro Piacentini, trovai poi la fotografia dell'incendio notturno di una parte del quartiere indigeno di Addis Abeba. Una testimonianza del giornalista Beppe Pegolotti, anche lui gior­ nalista e anche lui, come Foggiali, ferito nell'attentato, ci conferma l'eccezionalità delle immagini dell'attentato e l'opera della censura : « [ l'operatore fotografico LUCE Danilo Birindelli] aveva anche tre fotografie scattate da un suo collega mentre esplodevano le bombe. Qualche giorno dopo l'attentato me ne mostrò una, stampata clan­ destinamente. La censura ne aveva vietato la distribuzione e la pub­ blicazione» 181 • Di Malaparte fotografo si è qualche anno fa parlato per le immagini che prese in Cina durante il suo ultimo viaggio e che sono s�ate . colomale ordinate in una mostra; si conosce meno la sua fotografia africana. Malaparte fu in AOI nel 1 939 e vi scattò più di quattrocento fotografie, una piccola antologia delle quali, ventitré, è stata pubblicata da Michele Buonuomo nel volume da lui curato, Malaparte, una propo­ sta 182, Anche se piccolo, questo gruppo è decisamente interessante,

l'occhio intelligente dietro l'obbiettivo è a volte sarcastico, come è l'uomo, ma anche elegante e non privo di comprensione. Ha scritto bene Buonuomo : «le immagini realizzate nel 1 939 in Africa orientale a loro volta, colgono un aspetto più intimo, non privo d'ironia, della 'realtà ' dell'impero analizzata nelle corrispondenze di quel periodo. L'ufficiale picaresco, che impettito guida un drappello di ascari, per esempio, viene contrapposto alla fierezza intatta di quest'ultimi. E si sente che Malaparte parteggia per questi» 183• Oltre all'immagine del­ l'ufficiale tronfio che sembra più un capo-palazzo in posa davanti al condominio che un comandante di truppe coloniali e alle altre di ascari che sparano un mortaio e di fantasia attorno al rogo del damerà del Mascal, c'è un ritratto di giovane etiopica, che è molto intenso e umano : Malaparte sembra partecipare della tenerezza che proviene dallo sguardo della donna, molto bella, certamente una prostituta, che siede nuda con naturale eleganza e compostezza su di uno sgabello in una stanza spoglia e buia, dove una luce laterale illumina lo sfondo di una parete completamente coperta di fogli di riviste illustrate italiane con foto di divi del cinema e dello spettacolo, e vi proietta l'ombra stilizzata che sembra quasi una scura radiografia. Orio Vergani compi negli anni Trenta alcuni viaggi in Africa, di cui ci ha lasciato testimonianza in alcuni suoi scritti 184• Bertelli ne ricorda due dei quattro, 45 gradi all'ombra e Sotto i cieli d'Africa, che cosi commenta : «le fotografie da lui pubblicate ( . . ) sono fra le testi­ monianze più alte di fotogiornalismo di quegli anni ( . . . ) i ritratti degli operai negri sono cosi intelligenti da reggere il confronto con i servizi di «Life» di « Vu», del grande giornalismo internazionale. Il taglio, la scelta del particolare rivelatore, l'attenzione agli aspetti documentari rivelano l'assimilazione delle tecniche della Sachlichkeit e del nuovo giornalismo» 185• Vergani è anche autore di altri due volumi ampia-

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elemento positivio ed uno negativo : del positivo si poteva parlare, del n�ga ti:o n � ; le p i sconcertanti questioni come il banditismo, come i rapporti tra i bianch� ed 1 ner� non s1 _ potevano toccare che per dirne bene; e quindi era meglio abbandona�l1. Cos1Cche �d �n _ certo punto io mi occupai soprattutto delle cose più i�ocenti e �he m1 p1aceva�o d1 pm ; come la boscaglia, le bestie, certi tipi di uomini solitan che l'Afnca produce; . che p �r me era infinitamente più facile ; e involontariamente facevo così anche un serv1z1o al m10 giornale, evitandogli a priori delle grane». D. BuzzATI, Un'udienza, in Duca d'A osta 1898- 1942, numero unico edito dalle «Medaglie d'oro dell'A.O.», Novara, Istituto geografico De Agostini, 1 952, p. 19. 1 81 B. PEGOLOTTI, L'attentato a Graziani, in «Storia Illustrata», 1 97 1 , 1 63, P · 99. 182 M. BuoNUOMo, Malaparte, una proposta, Roma, De Luca, 1982.

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885

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1 83 1 84

Ibid., ometto le pagine perché esse non sono numerate. Si tratta dei quattro volumi : 45 gradi all'ombra, Milano, Treves, 1935, con 106 fotografie dell'A. ; Sotto i cieli d'Africa. Dal Tanganica al Cairo, Milano, Treves, 1936, con 100 fotografie dell'A. ; Riva africana, Milano, Hoepli, 1937, con 96 fotografie dell'A. ; La via mra. Viaggio in Etiopia da Massaua a Mogadiscio, Milano, Treves, 1938, con 66 fotografie dell'Autore. 185 C. BERTELLI, La fedeltà incostante... cit., p. 173.


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Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

Luigi Goglia

mente illustrati da sue fotografie, Riva africana, viaggio in Libia in occasione della visita di Mussolini nel 1 937 e La via nera, che racconta il suo viaggio in AOI. Avendo esaminato i quattro volumi, penso cJ:e la stessa critica altamente positiva che Bertelli faceva per le fotografie dei due volumi da lui considerati possa essere estesa anche alle imma­ gini fotografiche dei due sulle colonie italiane. In particolare, per i due volumi che riguardano le colonie italiane, è interessante notare come le complessive 1 62 fotografie che li illustrano siano esclusivamente immagini della realtà africana, soprattutto le popolazioni, ma anche i paesaggi, mentre mancano le fotografie delle realizzazioni coloniali del regime. Nelle immagini, inoltre, non c'è né retorica né sentimen­ talismo, che invece affiorano nelle pagine di Riva africana; al contrario, le fotografie sono molto vivaci, caratteristicamente tagliate in modo nuovo e moderno. In materia di fotografia coloniale italiana non è possibile non fare un cenno a due riviste che, in misura diversa ma comunque congrua, si caratterizzano per lo spazio concesso all'immagine fotografica. La prima nasce da «L'Illustrazione Italiana», che pubblicò sempre dise­ gni, incisioni e fotografie di carattere coloniale, tra i cui autori nomi che abbiamo già incontrato come Naretti, Comini, la Pianavia e Co­ merio, oltre al suo condirettore Ximenes. E fu proprio da « L'Illu­ strazione Italiana» che nacque nel 1 924 come supplemento mensile «L'Italia Coloniale» che, tranne che nella copertina, aveva esattamente la stessa veste tipografico editoriale e lo stesso stile de « L'Illustra­ zione». Non poté prendere il nome che sarebbe stato logico, di « <llustrazione Coloniale», in quanto esisteva già dal 1 9 1 9 una testata così, che vedremo più avanti. Anche «L'Italia Coloniale», come la rivista di cui era figlia, aveva un taglio di attualità, di informazione politica e culturale e di mon­ danità, tipico di quell'organo ufficioso dell'Italia ufficiale rivolto principalmente alle classi medie e alte della nostra società. L'infor­ mazione coloniale era quindi dello stesso tipo, la buona qualità della carta ed il rigore tecnico della stampa consentivano esiti positivi e attraenti all'immagine fotografica. Questa fotografia era molto attenta all'attività ufficiale del Ministero delle colonie e a quella dei governatori, ai viaggi dei reali nei possedimenti oltremare, ai safari

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degli aristocratici 186, agli svaghi dell'élite coloniale, come la caccia al falcone praticata in Libia da Elsa Queirolo, moglie del segretario generale della Tripolitania 1 87, alle attività sportive come le gare automobilistiche, i circuiti aerei e altri sport di squadra 188 . L'interesse per l'Africa coloniale che si riflette nei servizi fotografici è rivolto da una parte all'ufficialità della vita delle colonie, alle realiz­ zazioni del potere coloniale e dall'altra a quegli aspetti di inserimento, di collaborazione degli africani con la società coloniale e insieme anche agli altri, quelli dell' «Africa primitiva», nelle sue popolazioni e nella sua natura. «L'Italia Coloniale» ospita spesso servizi fotografici sul turismo coloniale, che è indirizzato verso la Libia ed è spesso organizzato dalle associazioni d'arma (bersaglieri, cavalieri, ecc.), dal Rotary club, dai cavalieri del lavoro, dall'Istituto coloniale. Soltanto nella metà dei casi o meno le fotografie recano l'indicazione dell'autore; ho potuto così solo in parte verificare l'appartenenza di queste immagini. Nell'area dell'Africa orientale è presente Comini per l'Eritrea, come anche A. Cicero, che avevo già individuato come fotografo professionista in quella colonia ma, in assenza di maggiori riferimenti, avevo tralasciato di menzionare, come ho fatto in altri casi analoghi. Ancora per l'Eritrea, sono presenti il pittore fotografo Laurenzio Laurenzi, del quale non ho notizie, e i padri Cappuccini di Asmara. C'è anche la duchessa Elena d'Aosta con alcune pagine di diario e 24 fotografie di un suo viaggio in Eritrea 189 ; per la Somalia, la « Fotocine» e A. Parodi di Mogadiscio. Dal 1 930 cominciano ad apparire fotografie del LUCE e dal 1 936, per quelle dell'Africa orien­ tale, la sigla cambia in LUCE AOI. Per la Libia abbiamo Nascia di Bengasi, del quale desidero segnalare otto fotografie tra le più edificanti del campo di concentramento di Sidi Ahmed el Magrun, dove era raccolta una parte della popolazione

186 Per esempio la caccia dei duchi Massari al leone ed al leopardo in Eritrea, in « L'Italia Coloniale», 1927, 1 1 . 1 87 Ibid., 1927, 5. 188 Ibid., 1 932, 1933, 1934. 189 Ibid., 1927, 7.


Luigi Gog!ia

Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

del gebel cirenaica 190 • Compaiono anche spesso i noti C. Rimoldi di Bengasi e V. La Barbera, G. Pucci, F. Muzi e Luigi Costa di 1)ipoli. Sono poi pubblicate fotografie firmate da professionisti di cui av�vo notizia solo dagli annuari coloniali, ma dei quali non avevo visto il materiale prodotto, come Vittorio Aula, Oddone Bragoni, A. De Feo di Tripoli, mentre per V. Pineschi, presente con servizi di soggetto vario e anche con una fotocopertina, non ho ancora trovato notizia in annuari né in archivi. Come fotografo amatore troviamo, con tre servizi, il col. Enrico De Agostini, il famoso studioso delle popolazioni libiche, le cui opere al riguardo rimangono ancora oggi un punto di riferimento obbligato per gli storici, gli antropologi e i geografi. Le fotografie del colonnello sono di Auenat191, dell'oasi di Gat192 e del confine sudorientale della Libia 193• «L'Illustrazione Coloniale» esce nel luglio 1919, stampata dalla Varietas di Milano sotto gli auspici dell'Istituto coloniale italiano, ma subito muta il suo status in organo dell'ICI. La veste tipografica è più povera di quella che avrà «L'Italia Coloniale» e, anche quando adope­ rerà carta patinata, essa sarà di pessima qualità. Pur essendo una rivista riccamente corredata da fotografie, non è l'immagine fotografica il medium privilegiato cui essa si affida : non è, da questo punto di vista, paragonabile a « L'Italia Coloniale». Molto raramente le fotografie hanno l'indicazione dell'autore. Vittorio La Barbera pubblica su «L'Il­ lustrazione Coloniale» ; su questa rivista si fa pubblicità e proprio da questa apprendiamo che vendeva «una grande interessantissima film a colori, La Tripolitania d'oggi. Negli anni Venti film a colori stava a significare che la pellicola era colorata a mano, ne ignoro purtroppo il contenuto e la lunghezza. « L'Illustrazione Coloniale», sebbene concedesse largo spazio alla fotografia, era un periodico marcatamente economico-commerciale, tanto che sorprende la quantità, per l'epoca, della pubblicità industriale.

Dal punto di vista della ricerca iconografica e della conoscenza della fotografia coloniale italiana, dobbiamo considerare che tutte le riviste coloniali, quale più quale meno, sono una fonte utile. Ricordo la «Rivista coloniale», organo dell'ICI, 2a serie 1 910-1 927 ; la «Rivista delle colonie italiane», mensile a cura del Ministero delle colonie ' novembre 1 927-luglio 1 943; gli «Annali dell'Africa italiana», trimestrale del Ministero dell'Africa italiana, maggio 1 938-giugno 1 943 ; «Africa Italiana», mensile dell'IFAI, novembre 1 938-maggio-giugno-luglio 1 943 ; «Esotica», mensile di letteratura e valorizzazione coloniale, cronache d'arte e di vita di Mario Dei Gaslini, 1926-1928 ; « <l Mediterraneo», organo del Centro studi Mediterraneo, mensile, 1 936-agosto 1 943 ; «L'Italia d'oltremare», rivista quindicinale illustrata dei nostri possedimenti, Libia, AOI, Isole italiane dell'Egeo e delle collettività italiane all'estero, 5 dicembre 1 936-1 943 ; e le riviste delle singole colonie, «Tripolitania», rassegna mensile illustrata della federazione fascista tripolitana, giugno 1 931-1943 ; «Cirenaica Illustrata», mensile d'espansione coloniale 1 931-1935 ; «Libia», mensile, marzo 1 937-1 941 o 1 942 ; «Etiopia», mensile, 1 5 giugno 1 937-maggio 1 943 ; «L'Impero illustrato», supplemento settimanale di «Etiopia», 1 940-1942. Un posto a parte occupa il quindicinale «La difesa della razza», 5 agosto 1938-20 giugno 1 943, diretto da Telesio Interlandi, che fu il più diffuso e importante organo di razzismo fascista. Di questa pub­ blicazione, che tocca livelli molto notevoli e francamente vergognosi di bassezza culturale e morale e di autentica bestialità scientifica vanno ' ricordate, ai fini del nostro discorso, le immagini che accompagnano i frequenti interventi sul razzismo coloniale. In esse gli africani dove­ vano apparire inferiori e in questa direzione, dalle didascalie tenden­ ziose, distorte e false, alle comparazioni incongrue e improponibili, all'insulto volgare, tutto viene adoperato. Questo problema storiografico è ancora aperto, abbiamo appena iniziato ad affrontarlo, dobbiamo ancora giungere ad una valutazione storica consapevole e lucida del razzismo quale fu teorizzato, codificato nelle leggi dello Stato, attuato e propagandato, divulgato in Italia e nelle sue colonie negli ultimi anni del regime fascista. Minimizzazioni più o meno caritatevoli, paragoni « edificanti» con chi fece peggio, paraventi ideologici e chiamate fuori dal gioco non servono, non portano alla comprensione storica del nostro passato razzista di ieri

888

190 191 192 193

Ibid., Ibid., Ibid. , Ibid.,

1932, 3. 1934, 7. 1934, 8. 1934, 10.

889


890

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Luigi Coglia

Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

e rendono certamente più difficile la comprensione e la soluzione dei problemi odierni del nostro paese, dove l'immigrazione afroasiatica ha · risvegliato e prodotto atteggiamenti razzisti che i più, imme�ori o ignari, affermavano non essere mai esistiti : credo che questi ritorm razzisti siano una seria minaccia alla convivenza civile e che questo male vada affrontato con coraggio, alle sue radici. Concludo con le parole di uno studioso che è prematuramente scomparso, Alberto Aquarone, e che, storico di alto impegno civile, ha dato il maggior contributo agli studi sulla politica coloniale italiana del periodo liberale. Il suo richiamo rigoroso e severo di molti anni fa conserva ancora tutta la sua attualità : «<l mito del colonialismo italiano indulgente e umanitario, rispecchiante una presunta bonarietà naturale del nostro popolo e sostanzialmente diverso da quello duro e sanguinosamente repressivo dei paesi coloniali di più antica tradizio­ ne, è ancora quanto mai radicato e duro a morire. Il suo ostinato perdurare costituisce, oltre che un falso storiografico, un pericoloso sintomo di fiacchezza morale e di distorta visione politica» 194. In queste pagine ho creduto necessario affrontare più aspetti, tutti però strettamente legati tra loro e confluenti nella tematica centrale e ai quali non era possibile rinunciare. Ho tentato, infatti, di porre il pro­ blema della fotografia come fonte, fondandola su basi metodologiche e culturalmente salde e non effimere. Ho parimenti cercato di motivare la particolare importanza che la fotografia ha come fonte per la storia dell'Africa coloniale e come questa sia il prodotto della «camera bianca», quella dei colonialisti o comunque degli europei che la adoperarono in Africa per i molteplici fini che sono stati passati in rassegna sopra. È forse anche possibile rintracciare in questo scritto un primo abbozzo storico della fotografia coloniale italiana, che spero avere disseminato di pochi errori. Le lacune, invece, sono certe, vuoi perché ho dovuto sintetizzare, non essendo questa la sede per tracciare una vera e propria storia della fotografia coloniale italiana, vuoi perché per un lavoro del genere, come ho indicato sopra, mancano sufficienti indagini preliminari e mancano le strutture archivistiche, bibliotechistiche e museali che

abbiano compiuto una vera e propria opera di individuazione e catalo­ gazione dei fondi fotografici; in questa direzione i lavori sono in corso (come all'Archivio centrale dello Stato) o ancora da venire. Ho provato a non appesantire troppo il testo utilizzando le note non soltanto come riferimento alla fonte, ma anche come momento di approfondimento e di intervento critico. Ringrazio tutti coloro, e sono tanti, alcuni li ho già menzionati nelle note, i quali in questi ultimi vent'anni mi hanno segnalato fondi pubblici e raccolte private, mi hanno messo a disposizione le loro fotografie per studiarle e riprodurle. Un ringraziamento del tutto particolare va a coloro che generosamente mi hanno fatto dono delle loro fotografie di famiglia o che comunque conservavano ; da parte mia posso solo augurarmi di averne fatto buon uso.

194 A. AQUARONE, Il fascismo

p. 21 .

c

l'Africa. Gli anni dell'impero, in «<l Mondo», 13 set. 1973,


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Luigi Coglia

Africa, colonialis!llo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940)

APPENDICE

Quanto all'Eccellenza Vostra, che, con occhio vigile e con animo trepidante ha seguito le mosse degl'italiani in Africa, io spero che avrà caro il mio lavoro, se non altro perché rappresenta la sintesi delle operazioni fin qui compiute da quei presidii e perché, soprattutto, contiene, ritratto da diversi punti, il campo glorioso di Dogali. Prego l'Eccellenza Vostra di fissare il giorno in cui sarà disposta a ricevermi, e ringraziandola anticipatamente di tanta degnazione, mi pregio rassegnarmi

893

Dell'Eccellenza V ostra Doc. n. 1

A Sua Eccellenza Francesco Crispi Presidente del Consiglio, Ministro dell'interno e degli affari esteri

Eccellenza, Fotografo della casa di Sua Altezza il khedive d'Egitto, io ho voluto recarmi personalmente a Massaua, mentre il generale di San Marzano accingevasi ad inoltrarsi verso Saati per rioccupare i luoghi nei quali già aveva sventolato il pat;io vessillo, e, all'occorrenza, per combattere gli abissinesi. Ho seguito assiduamente l'ultima spedizione, di tappa in tappa, sino a Saati, e dopo aver fotografato i punti più importanti della linea percorsa dalle nostre colonne, non che le varie fortezze innalzate dal Genio, ho voluto altresì, oltrepas­ sando con alcuni ufficiali gli accampamenti dell'avanguardia, ritrarre i luoghi erti e scabrosi nei quali avevano a lungo sostato il Negus e le sue orde sterminate. Di ritorno in Alessandria, io sono stato onorato dal generale Corvetta, a nome del ministro della Guerra, di una richiesta di fotografie di posizioni da Massaua a Saati. Ho già ottemperato a tale richiesta, inviando a Sua Eccellenza il generale Bertolè-Viale tre albi contenenti il frutto delle mie fatiche di circa quattro mesi. Come artista italiano, a prescindere da una certa soddisfazione morale, non che da quel materiale compenso che a me potrebbe derivare dalla vendita delle mie colle­ zioni, mi gode molto l'animo di poter contribuire anch'io, nella mia pochezza, a rendere viepiù viva la memoria di quei luoghi, dove i nostri, in numero esiguo, emularono l'eroismo della gloriosa falange delle Termopili. Reputerei, però, incompiuto il mio dovere verso la Patria, che, pur da lontano, io non ho cessato mai di amare, esultando ad ogni sua nuova conquista civile se alla Maestà del mio Re ed all'Eccellenza Vostra, che, oggi, meritamente e con soddisfa­ zione di tutta Italia, ne è il primo consigliere, io non dedicassi, quale attestato di profondissima devozione, una copia del mio modesto lavoro. Con tale scopo, io mi sono recato ora in Roma, dopo aver accudito, ultimamente, in Napoli, alla montatura degli albi contenenti la collezione completa delle fotografie eseguite in Africa. Scrissi già, per l'albo destinato al Re, al generale Lanza, che ho l'onore di conoscere personalmente.

Ro!lla, li 4 Agosto 1888 L'umilissimo e devotissimo Luigi Fiorillo fotografo di S.A . il khedive d'Egitto


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La rinomanza dello StabilÌI'Ilento L. Fio1·illo è orniai tl·oppo conosciuta.

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riproduzioni della

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Est ed Ovest Afdca hanno fatto diggià il giro del mondo . I �itratti artistici, e la grande collezione di/paesaggi

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e tipi d'Oriente, hanno fatto l'ammirazione generale : tanto: �'ero, che in tutte le Esposiz.joni. .Artistic e e mon­ diali, la fotografia Fiorillo ottenne sempre le più alte l'icompense.

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L'Africa èla parola che oggidl corre sullà bOcca, e palpita nell'animo di tutti gli Italiani. Le gesta

pugno� vendicherà i martiri di Dogali,

dell'Esercito Italiano, che fra breve succederanno su quelle terre inospitali, destando viva: brama di conoscere. i .

luoghi dove Esso, coll'armi in cendole.

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sono degne di essere ricordate, ripr

Il sottoscritto perciò si porterà sUl luogo dell'azione, con delle macchine espressamente costrutte pei

viaggi dell'Africa ; e si propone .fotografare i punti più interessanti e storici che per fatti d'arme potranno ·

divenire, da Massaua in annti,

La necessità, l'utilità e l'attrattiva di questa Collel!iione di FotOgrafie è tale, che la S. V. prenderà

interesse fino a parlarne con tutti i suoi amici e conoscenti.

Pochi sono i fotografi che potrebbero vincere, per un simile lavoro, il clima, contrari() alle operazioni

fotografiche, e il deserto, che H sottoscritto seppe, durante la sua esperienza di 20 anni d'assiduo lnoro, superarè,

Fotografie che illustranò ora .tutti gli Album del ottenendo sempre ottimi risultati . ero lo provano le perfette . mondo.

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Il Fiorillo ha attraversato il deserto più volte, e corr grande sua soddisfazione ha ottenuto sempre i più splendidi risultati, sia in Palestina, in Siria, in Tunisia ed Algeria, e nella costa d'Africa e perfino nel Sondan. Durante i tristi av venimenti del 1882 il Fiorillo fu il solo fotografo che restò in Alessandria, ove .

riprodusse, tre giorni dopo il bombardamento, le più interessanti scene che presentava la città distrutta. In asserzione di quanto il Fiorillo ha già detto, leggasi quanto il Commendator Lazzaro, corrispondente

e quanto del Roma di Napoli, e deputato, scriveYa a quel giornale nell'epoca del bombardamento d'Alessandria, stesso Fiorillo del conto sul riportava , » Garibaldi « Corvetta il Sig. P. F. Santini, medico di marina sulla R"

nelle memorie dei suoi viaggi.

Un materiale completo !otografko che sorpassa la somma di CetUomila Ft•ancM, ed una Collezione e la pronta di quasi 3,000 Negative di paesaggi e tipi, rappresentano'la solidità dello stabilimento L. Fiorillo,

esecuzione del lavoro.

Durante il viaggio che il Fiorillo si accinge fare, egli si propone di eseguire un dato numero di negative,

delle quali ne sceglierà 50 e ne farà delle Collezioni della dimensione di centimetri 21 X 27, le quali saranno

incollate sopra un cartone bristol bianco della dimensione di Cent. 40 X 31. - Ogni fotografia porte1•à stam­

pato ifnome del luogo e dell'azione. - La collezione conterrà, nel testo, una carta topografica ràppresentante l'Abissinia, riprodotta appositamente, in base alle più recenti scoperte. La collezione di 50 copie costerà L. Ital. 50.

consegna del numero delle Collezioni ordinate. mente,

-

Detta somma sarà versata all'Ufficio Postale, dietro

Fiducioso di poter annoverai·e la S. V. nel numero dei suoi,sott�serittori e ringraziandola anticipataCon ogni riguardo, ba l'onore di segnarsi

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Della S. V. Devotissimo

Il Direttore Proprietario della Fotografia L. F I O R I LLO.

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Referenze sullo Stabilimento L. Fiorillo 00 \0 0\ Andrews R. L., c;o Lombat•d Od ie

Bnlos Mèo, a Gerusalemme. •' '

r & C•, a Ginena.

Baldwin Brown, P1,of�ssore a Edimburgo, 'l'be Univet·sit�· . Bambi G., Via S. Paolo 28, I• piano, a Firenze.

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Bonom i Enrico, Galleria Vittorio Emmanuclc�, a Milano. Challiol, 25, Piace de la Comédie, à Lyon.

Conant A. W., cfo Baldwin & CO, 158, West 4'" Street, Cincinnati"(Ohio). Cassat· Cav.· Selim, a Gi

da , Palestina .

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Hutinet D. a Parigi, 18, Avenne Parmentier.

Heine H., à Bey1·outh (Siria).

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Rh·oli, a Parigi.

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Sua Grandezzà MonsigQol· Vincenzo Bracco, Patriarca di Gerusalemme.

H. Giannelli, Beyrutti (Siria!. Enrico� Canè, Roma.

Gioacchino Peluso, Napoli, Via Roma 1 12. GioYanni Maria Fahlllga, 'l'unisi.

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ziotie delle Po.'ografìe in perBona da me eBeguile

1zei frequenti viaggi che ho (atio nell' ùz:emo del fiwrè e 1zell;;, r!Olo11ia 8rilrea.

81/a troverà pertanto ill delle Pote>9ra(ie u/la Bvaria/a raccolta di U8i, coBtumi e vedute dei aùz· go/i paui rJa nte viiJita/i, llOilChè dci pri11cipaft capi ed . u(fìdali noBiri periti.

Per il clze mi trovo in grado di eBeguire

qualBiaBi e/l!hum mi velli8ae ordillalo. f/{elfa Bpcra!Zza quiizdi di ricevere qualche sua . ambit,T ordùzq?iolle, lzo l'onore ·di solloBcrivermi cffitt1 @tlv.IHO

LUIGI N ARETTI .

PARTE PRIMA �

ASSAB 91 92 93 9-l

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106 107 100 109

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170 -

Raccoglitori di Duma. Uomini e donne dankali.

Chiesa Cattolica e casa della 1\lissiorie. Scuola della Missione Cattolica italiana per le ragazze indigene. Veduta del Fanale, Posta e Comando. Forte e tomba Giulietti. Uomini Dankali. Donne Somale. Carovana di Somali. Nel giardino della Missione Cattolica. Nel cortile delle carceri: il Direttore è.detenutì.

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PARTE SECONDA

M ASSAU A 3 1 - In piazza dello Statuto i l giorno dei ·Rama�n.

34 - Ricevimento di S. E. il R. Commissario Ferdi­ nando Martini.

34 his Idem. 49 - lsolotto Sceik-Sa)'d e monte Ghedam visti da Massaua. .

fJO - All' Ospedale mili.tare di Abd - El - Kader : gli

ascari mutilati dopo la battaglia di Amba­ Carima.

62 - Piazza della Fontana, 63 - Gherad : palazzina della Direzione del Genio

militare. Ricevimento al Circolo Ufliciali dei notabili eu­ ropei e indigeni in onore di S. E. il gene· rale O. Baratieri al suo ritorno dalla bat­ ta.glia di Coatit. 65 - Palazzo del Comando Superiore nel 1886. 66 - Palazzo del governatore e palazzi coloniali visti dalla banchina del porto. 67 - Gruppo delle ballerine di t.a fila (indigene) del teatro del Circolo . Ufficiali. 68 - T�ulud visto dai palazzi coloniali. 6';) -' Porta di lliJ.assaua nef 1885. 70 - Arrivo del generale Arimondi d:>po la vittoria

64

l•"OTOGRAl'IA ERITREA Dl LUIGI

FOTOGR A FIA ERITREA DI LUIGI NARETTI

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di Agordat.

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- Forte e Stazione ferrov. di Taulud, Partenza delle truppe per l'altipiano (1896). 98 - Ragazze beduine portatrici d' acqua. 99 - Vill�gio indigeno di Taulud e vista di Mas84

100 100 bis 102 104 1 11 1 1 1 bis 112 · 121 125 -

saua. Veduta generale di Massaua. Idem. Osterie Arabe nel bazar di Taulud. Veduta ,generale di Taulud, Donna Turca. Idem. Ragazza beduina. Pescatori di perle.

Taulud : piazzale del ·Cisternone dell'acqua di Monkullo. 1?6 - Veduta generale di Massaua. 126 bis Idem. 127 - �iazza Garibaldi nel 1885. .

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In piazza l�egina Margherita: festeggiamenti ai vincitori di Coatit e Senatè. .. Arrivo dei generali i3aratieri e Arunondi dopo Coatit e Senafè. Il Tedeum. Palazzi Coloniali. Donne arabe di .Massaua. Sbarco delle truppe dal piros. Umberto L (1896). Arco di trionfo pel gen. Baratieri dopo la presa di Cassala. Idem. Forte di Abd�El-Kader {1886). Sfilamento delle truppe all'arrivo, dopo la presa di Cassala, del generale Oreste Baratieri.

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Abd�El,Kader. : Stazione ferroviaria. . . ·• · 1§8 - Gràp� ;deg�:a.rtisti;:4i ballo del teatro del Cir·· : :;� ; �< � •$?1Ò. 'Q'�clal!, .• ..· . · 169';';;. .> sc uola d e lla: Miss i òne Cattolica ·: . ' :' : ' �· .,�-- . . francese. . 174, .: :: Al teatto �tCirCC)lo Ufficia.th2, attq(alla Corte : ·, del Neg1IsF'del ballo TheodoroS. · :J7&- · Ooarie abi�ina, sùdanese, bilena. . 166. .

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�9di-Berai : Spiagiia d�;inata:,��� �obbo dei

· sambnk. Uomini dell'�orta. ·177 184 ASsaortini venditori di latte. 186 . - Aichiko: il mercato. l88 - QUnelli�ri del paese degli Habii.b. 90 - .Beduino degli Habab. . 90 bis . Idém. 118 Ragazza assaortin�. 300 - Fornace Kofmann Z.:tga pressq,Moncullo, SOcietà Sismondi, ing. Taeconis e Fortunati. · 301 - Forte e Stazione di Moncullo. · ·

181 · - Rélg� dèl.l'Amasen. ·��§ - P�tori in�igenl. .

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199 - Donne tu�ca e sudanese. : 200 - R. navi c GadbaldC�· (Ospedale galeggiante) ed c Eridano •· �almo del Comando, Cil;çc>lo Ufficiali e palazZi 201 · Coloniali, visti .dal Ghemd�.: ... 20-l -;;Una via· del bazar ar�. . � . :• ' èisternone pubblicO in piazza dèllo Statuto. . 206 bis IdellL' . 'll1l - ApprOdo dei 5ambùk d' Archico ·• e;�ercato del · · fieno. 208 - La Dogana: . 214 - A. ;faulud : Infermeria per le donnè indigene. 215 :- Donne di 'Varie tribù dell' Eritrea. 216 · ::._ Panorama generale di 1\Jassaua. ,

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l.U - Nel bazafjarab:>. .. . .. · . 1� ::;::- ()spedale <;ivile e C�ie5a Catt�lica 146. ..;.;:. Forte .di �as :Madur e Fato. ••·. . 147;>� Il Porto. ;: . 148 -.Moschea �ba a Ras:Madrir�' • ·· ·, . . 1�9 -'' Jl'Osped�le . mit di Abd-�l�def: gl�è.· • . ' " · mutil+ti dagli· abissini dopo la� battàglia di ·

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Forte. 74 bis Idem. ... 75 Gruppo di tutti f <!:api Bìfeni. 76 .'� Squadrone Cavalleria iiidigeni comandata dal . ·

Baratieri e Arimoridi alla Coriunemora­ . zione del combattimento di Dogali. 61 bis Idem. . 88 - Veduta generale di Sabati. Monumento sul colle di Dogali. · 101

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l - Il geo. :Arimondi alla Mission� Cattolica. 1. bis , . em. . ...... .id 73 .:.... Traversata déll'Anseba fta Asmara e Cheren. - .: �

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134 -:-::J�Qg�zza;Sudanese.

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i Festeg�nu per

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43 ,...:. Sceh Aiy Nurim, capà' iteni'�v�guardi� alla presa di. Cassala. ·. ?�- ·. •· · ' · 54 - Forte di Cassala. . 59 - Raiazw Beti.Amer. ·.· . p �f 89 - Traversata . del Barca: "' :.· · :. 96 - Forte di Agordat. <•·•. 97_ �:.DOnne suda.tlesi che nw.:inano dora. ::c:; 122 ...;. ,Vanteria . indigepa .sotto i � · di A.gordat. 132 - Trofeo di ·�� preso ai DeFYi$ci 3d Agox:dat.

48 Facciata dell chiesa abissina 7';2 - Forte I3aldissera e Comando .di Tappa. . 83 - Forte Baldissera e caserma dei R. R. Cara· ·

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capitano Carchidio.

Manovre d'Artiglieria indigena. 119 - Batterla cannonieri . indig eni. . 120 - RitOrno delle �ppe d81Ia vittoria di Ag�� 131 - Ragàzze auene. 135 Uomin del Benia:mer. .italiano. 176 . d,.� . · · . ·� .· il. l• matrlm,onio . . ••.• ,: ' ptaZZa armL ':) .In 19 , . . �. :- . . ·· · , :. • . ·

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2 - Veduta di Amba-Qlrima : Luogo dove i l mag� , . '-.;ore Turito iniziò i l combattimento e dove ; · 1�eadde. 3 - Maccalè� I mendicanti lebrosi. 4 -:. Ras Marigascià in grattde uniforme (1893). 5 - Veduta generale del teatro del combattimento .iisto d�l campo del Negus. Am!>a-Carima, Amba-Salima, monte Raio. 6 - Chiesa di Maccalè con vista del forte Gallianò. 7 - Adua :. Veduta di monte Raio e di Amba-Cari­ .ma, le ultime posizioni degli italiani, Sche­ ? . tetri di caduti · insepolti . · 8 ..;;. Alecca:Cabr;ù, capo della chiesa di Adua, as­ sieme. a tutti i suoi preti. 9 ,.:_ Degiac Sion, figlio di Ras 'Mangascià, e Degiac Gup5a, nipote. 10 - Ricca donna abissina. 1 1 - Barainbàras Marù, Nano buffone dellà Corte di ,-. . Ras · Mangascià. , 12 - Veduta di Axum, città santa del Tigrè. . 13 �- Ras Ueldi .Micaei, già governatore dell'Amasén. 14 - }.hccalè ; Tribunale presieduto . da l�aS 1\-lan· . gascià. ' 15 - Maccalè : Il mercato. 16 - Degiac Desta, nipote del Negus . Joannes.

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è-il SU:ò distaccamento.

Barakit: Il capitano Benucci

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7J. - P� Addl-Cajè, Cooito. Rovine

dell' aritica

. CollQe. . .. i 78 - Veduta · generale df Addl�jè. . �'.J9 - J\lai-Ainl : Il Triburiàle per le popolazioni indi· : :., ' '· gène, .nell' interno dell'accampamento presieduto :dal capitano Bignami. 80 - Veduta d( Sàgatleiti e del forte Toselli. lO!L- Senafè: Veduta generalè del paese e dell'ac· campamento qelle.. truppe indigene. U7 - Saganeiti : Accampaniénto delle ·:truppe indi· :•/·· :::.�gene. 123 - Veduta di Saganeiti e Chiesa Cattolica. l:U - Coatit: Tombe degli italiani caduti.

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·.J9 - Caffei Seifù, cugina di R.8S Maogascià, Adria: 20 . - Nel Tigrè : Il· Iamento pe,r· la morte .,del· mag· :/ · · ·· . giofe TosellL 21 - Maccàlè : Forte c Galliano • visto dal palazzo . ''"" del Negils. .. 22 -,;. Addi·Abuma, presso Adua ·· : Festa di Taclai Imanot. �rt Adua (sotto Fremona) sul campo del .Negus. Scheletri 1nsepolti degli ascari italiani mu-:·

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24::-�· J3à,scia. Gian, .airtiere di Ras·�a$Cià· .

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25 :;_ Maccalè, funzione per l'açcen5ione del rogo per il Màscal. . 26· -:- Ras �gaSèià in grande uniforme (ottob. 1897). 27 -. Suonatori'::�bissini. . . 28 -- Macèalè,. . il palazzo del Negl.ts costrutto dal ca· valier Gia como Naretti. 29 · -: RaS Man�à a �vario. · · . · so - GrùpP.Q di:::�tti i càpi .di Adua. . é� 30 biS: Id �·· . .. ' .'\. .. , . . . . . ., $ - Ainbaèa.rin'la, . Tomba degli · italiani caduti. 35 .:... Una . fami�lia A,marL . , 36 - Mai::calè, ·Entrata delle truppe nel palazzo dét·· "1 > Negus n dl del }.fasCal. ifl - Macçatè, sulla.piai?a.:ctel m�I;"cato doPo le corse :�,·:.. . '•:;:: '·per il MàscaL ' "�'\· � ._ 1\'Iaccalè; .il giorno del . . Mascal in attesa dello Sfilamento.,delle truppe. .. 40 -:- Adua, ·la Jam�g-1a deJ_;Ba.scia Gioo. . 41 -: Muer Atemù,·1\qp�na presso Ras Mangascià. .·

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18 - Maccalè : Dopo ta �funzioiie pet :Mru;caL

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171 - Santuario di Axum, città santa del Tigrè. ..

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)Ytai-1\iqì, :�o.atit, Sa_gaqeiti 51 - Trinceniiii�to di

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(Possedimenti di . Ras. )Ycangaseià)

39 � Ponte sul iMareb CQSti:Uito dal Genio Militare. 56 ....: Interno: a �lnistra d�ù forte di Addi-Ugrl. . ; 'ciestra id. ·· id. 57 id. 71 -::- Molino a !vento della .stazione agricola speri· ·:':; · mentale di GOdofela.Ssi. . 82 .- Accampruhento del .Genio Militare presso il

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FOTOGRAFIA ERITREA Dt''LUIGI NARETTl

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Ecceghiè Teoflus, Patriarca di · Axum� •

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Axum, città santa del Ti�è. Antichità, gli Obe· lischi. · · · 45 - Axum, città santa del Tigrè. I Monoliti. 46 - Veduta: di Adua (N� 1 e N. 2). : 47 ..... Preti abissini. . 52 - Fo�e di. Adigrat. 53 -:- idem . e. mercato. 55 - Veduta di Aùsen. 58 .� Donna àbissina. 60· : � Donna Galla. ,. 85 - Bardatura dei Capi Abissini · ·"" 86 - Adignt, Artiglieria indigena comandata (}al tenente Scala. 'i57 - Bardatura dei Ras abissini. . 103 - �c Ararè, fratello di. Debeb e 'Degiac Tal :..·'· çlè, aiutanté, di Ras Ma.ngascià. 114·1'- 1\Iacéalè,v:!gilia del Masca4. nelle adiacenze depalaizo ,�el Nègus. ', . Ù? Don� abissina m�ndicante. US:bla id. id• 142 . .:.:... 1\-Iacca.tè, Una . visita in ciisadel buffope Baram. baraS MatiL · : ,.: . 143 - J?.onna abissina. mendicant� . ', • 153 - .Qàl campo del .N� veduta di Amba-Carima . . e di Aduil.·: Resti dellè. amputazioni agli , { : Ascariitaliani e scb�etri di pazienti chèF soccombettero nell'operazione. 1M - Maccalè; festeggiamenti, per il Maseat 155 - Adigratt. l." comp. oottagL inf}igeni maggiore ·. Toselli, comandata dal..capitano Canavetti. 44

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GIACOMO MARTINA

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((La Civiltà cattolica)) e il problema coloniale italiano

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Nonostante l'importante introduzione di Gabriele De Rosa all'anto­ ....

logia de la «Civiltà cattolica» da lui curata, e i vari saggi apparsi qua e là su diverse prese di posizione della rivista nell'Ottocento e Nove­ cento (fra cui il più ampio è quello di Roberto Sani del

1986) 1

non

esiste e non esisterà per lungo tempo una storia dell'importante rivista. Nessuno, poi, ha analizzato l'atteggiamento del periodico di fronte al colonialismo italiano. Il lavoro è invece tanto più interessante quando si pensa che l'organo dei Gesuiti ha avuto fin dalle sue origini e con­ ' �·"··�·-. :.

serva tuttora un carattere speciale, per gli stretti rapporti che esso ha con la S. Sede.

È

eccessivo chiamare la rivista organo ufficioso del

Vaticano: non bisogna dimenticare che in qualche caso essa si espresse in senso più avanzato di quello inteso dal Vaticano, o che almeno quest'ultimo intervenne talora per frenarne o interromperne i giudizi (come avvenne per Maritain nel

1956),

mentre altre volte gli scrittori

cercarono di moderare le direttive vaticane (come afferma di aver fatto nel

È

1954

Messineo con Pio XII nei confronti di De Gasperi).

certo comunque, che nell'insieme «La Civiltà» si è sempre guardata

dall'assumere una linea contraria a quella della S. Sede e che in genere i suoi articoli subiscono un controllo più o meno accurato e minuto in Vaticano prima della loro pubblicazione. Una storia completa della rivista dovrebbe fondarsi sul suo archivio: esso in realtà presenta molte sgradevoli sorprese. I verbali delle «consulte» (riunioni del consiglio di redazione) sono per lo più scarni e ben poco dicono sui singoli

1

Civiltà cattolica, 1850-1945, Antologia a cura di G. DE RosA, I, San Giovanni Valdarno,

Landi, 1971, pp. 9-101; R. SANI, Da De Gasperi a Fanfani. <<La Civiltà cattolica>> e il mondo

cattolico italiano nel secondo dopogtlerra (1945-1962), Brescia, Morcelliana, 1986.


906

907

Giacomo Martina

<< La Civiltà cattolicaJJ e il problema coloniale italiano

articoli, pur contenendo per certi periodi notizie di estremo inter� sse: il carteggio dei singoli scrittori è ora ampio e ricco di notizie, · ora piuttosto povero. È praticamente impossibile determinare caso· per caso fino a che punto «La Civiltà» esprima esattamente il pensierò della S. Sede: possiamo però affermare con certezza che essa fu sempre letta con estremo interesse da un largo numero di lettori, e che in molti casi esercitò un'autentica funzione di orientamento e di guida su una cerchia non troppo ristretta di cattolici italiani. «La Civiltà Cattolica» intervenne a lungo sulle guerre coloniali italiane in Africa, dal 1 885 al 1 896, dal 191 1 al 1 91 2, dal 1 935 al 1 936. Nel primo periodo la rivista espresse in modo costante un giudizio del tutto negativo, amaro, polemico, sulla politica coloniale italiana. Nel secondo essa si mostrò un osservatore attento dei fatti, sostanzial­ mente neutrale, probabilmente con una certa simpatia. Nel terzo, più che discutere sui fatti preferì col p. Messineo esaminare i principi teorici che pretendevano giustificarli, arrivando alla conclusione che solo un'estrema, grave necessità può giustificare le conquiste coloniali. La polemica del primo periodo è danneggiata dalla durezza del tono, da alcune motivazioni tipicamente apologetiche (gli errori e le sconfitte sono considerati inevitabili castighi di Dio) e, all'inizio, verso il 1 885, da una certa genericità e superficialità delle affermazioni e degli argomenti. Questa però lascia presto il posto a un esame più approfondito della questione, ad una rigorosa documentazione, fon­ data anche dai diversi Libri verdi (cioè dalle raccolte documentarie) del governo italiano. Se, in Italia come negli altri paesi europei, i cattolici non seppero approfondire il dibattito e restarono netta­ mente inferiori, sul piano strettamente teologico, ai grandi pensatori spagnoli del Cinquecento, che avevano esaminato sotto diversi aspetti la « questione delle Indie», cioè la legittimità delle conquiste spagnole in America, si ebbe almeno da parte de «La Civiltà Cattolica» una presa di posizione netta su uno dei problemi centrali della vita del paese. Nessun motivo, politico, economico, demografico, culturale, civilizzatore, di qualunque altro genere, giustificava le imprese colo­ niali italiane : nessuno sapeva dare una risposta esauriente alla do­ manda «Perché siamo andati in Africa?». Il colonialismo italiano invece costava all'Italia somme enormi, gravi specie in un periodo di difficile assestamento del bilancio, e il sacrificio di numerose vite

umane. Crispi, per cui i Gesuiti non avevano certo nessuna simpatia, non è il solo responsabile del disastro : egli non ha fatto che conti­ nuare una politica avviata prima di lui, e la sua colpa principale è quella di aver stimolato con nuova energia l'impresa, di avervi profuso capitali e forze umane, di aver preteso dall'Italia e dalle sue forze armate quello che esse non erano in grado di raggiungere. Le spedizioni in Africa, del resto, non solo non rispondono a nessun bisogno effettivo della nazione, ma sono malviste dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica e della stampa (un esame accurato della stampa di allora, cattolica o liberale, sarebbe necessario per confermare o smentire l'affermazione condivisa per altro da Del Boca e dalla più recente storiografia, e hanno trovato forti contraddizioni in Parlamento. Lo spirito dei numerosi articoli è espresso con chia­ rezza da alcuni titoli: Errori1 menzogne e delitti; Del flagello eritreo 2• Lo spazio concessomi mi consente solo di riassumere rapidamente i principali argomenti esposti, che meriterebbero un attento esame e ampie citazioni. L'affermazione del Mancini, di trovare nel mar Rosso le chiavi del Mediterraneo, è chiamata «panzana che fece sbarrare gli occhi ai gonzi, e sorridere di compassione gli assennati»3 • Un aiuto italiano all'Inghilterra, impegnata nella lotta contro il Mahdi nel Sudan, «avrebbe screditata la sua possanza»; un'impresa coloniale non sana certo la crisi economica, né placa le «agitazioni irredentiste»; preten­ dere di portare la civiltà sul mar Rosso dopo aver combattuto in patria l'antica civiltà cristiana, atteggiarsi a cavalier errante e paladino della civiltà «sono buffonerie che passano i confini dell'umano». Ma 2 Ricordiamo qui gli interventi della rivista in ordine cronologico, tralasciando le pagine delle cronache: Della it11presa italiana in Africa, s. XII, 1885, 10, pp. 128-137 ; ibid., 1 1 , pp. 256-268; Errori, menzogne, delitti, a cura di p. PAVISSICH, s. XIV, 1891, 10, pp. 129-138; Del flagello eritreo, a cura di p. BALLERINI, s. XVI, 1 896, 5, pp. 5-1 5 ; Italianità, civiltà, religione in

Africa, a cura di p. ZoccHI, ibid., pp. 385-396, 513-531 ; Relazione di 11/0//s. Macario alla santità di N. S. papa Leone XIII, s. XVI, 1 897, 8, pp. 504-508; le lettere del papa e del negus, ibid., pp. II-IV. L'atteggiamento delle altre riviste cattoliche è stato riassunto da L. GANAPINI, Il naziotJalisiJJO cattolico, Bari, Laterza, 1970, pp. 83-89 : contrari « L'Osservatore romano», «L'Os­ servatore cattolico» dell'Albertario, la «Rivista internazionale di scienze sociali» del Toniolo, «La Rassegna nazionale». Cfr. anche A. D' ALESSANDRO, L'opposizione cattolica alla politica coloniale nella stampa dell'epoca, in « Società», 1957, 13, pp. 894-908. 3 « La Civiltà cattolica», s. XVI, 1896, 5, p. 5.


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Giacomo Martina

vi è di peggio. « L'Italia nuova spezza nelle spiagge dell'Eritrea tlJtta la macchina giuridica, sopra cui essa ha fondata la sua esistenza�> 4• L'argomento, appena accennato nel 1 885, è ripreso e sviluppato a iun­ go nel 1 895 dai pp. Ballerini e Zocchi. Gli italiani si comportano in Africa come pochi decenni prima gli Austriaci in Italia : dopo aver difeso il principio di nazionalità contro l'Austria, ora lo rinneghiamo contro l'Etiopia, e crediamo lecito impadronirci di quanto non ci appartiene. E intanto l'emigrazione si dirige non certo verso l'Africa, ma «verso l'America meridionale». «La spedizione italiana in Africa ( . . . ) si riduce ad un'usurpazione di roba altrui, ad un furto ( . . . ) che si commette armata mano, ( . . . ) taglieggiando, devastando, uccidendo ( . . . ) ». Gli stessi documenti diplomatici italiani mostrano la larga condiscen­ denza di Menelik nei confronti dell'Italia, prima e dopo il trattato d'Uccialli, di cui la rivista analizza con finezza l'esatta portata, special­ mente per l'art. 1 7, su cui si fondavano le pretese al protettorato italiano sull'Etiopia. Proprio in quegli anni usciva la prima edizione delle Memorie del Massaia, che davano degli abissini un ritratto ben diverso da quello diffuso dal governo italiano. E lo stesso cappuccino, da vivo, aveva cento volte sconsigliato la guerra con l'Etiopia. Un cattolico italiano ha il pieno diritto di ripetere quello che disse l'Im­ briani in piena Camera, votando contro le spese per la guerra : « Sono innocente del sangue che verrà sparso in questa guerra iniqua! » 5• L'aspra polemica si placa solo dopo la sconfitta di Adua, di cui tuttavia il periodico nella consueta cronaca descrive accuratamente molti episodi . Ma la discussione si riapre presto a proposito dell'in­ tervento del papa a favore della pronta liberazione dei prigionieri italiani. La questione è nota e non è il caso di riassumerla. Ci limitiamo a ricordare che la rivista riporta le lettere scambiate in proposito fra il papa e il negus, la relazione stesa a Roma 1'1 1 novembre 1 896 da mons. Cirillo Macario, patriarca della chiesa cat­ tolica di rito copto, residente ad Alessandria, e in un ampio articolo del p. Zocchi difende la tesi secondo cui il fallimento della missione pontificia fu dovuto essenzialmente alla cattura da parte del governo

4 Ibid., 5 Ibid.,

s.

s.

XII, 1885, 10, p. 134. XVI, 1 896, 5, p. 523.

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italiano nel mar Rosso del piroscafo olandese «Doelvijk», carico di armi destinate al negus. La rivista rispondeva così alle tesi difese dalla stampa liberale («Tribuna», « Resto del Carlino », «Don Chi­ sciatte», « Popolo Romano » . . . ), che accusava il papa di concorrenza fatta da Leone XIII allo Stato italiano, e riportava le parole del Di Rudinì alla Camera : «Non posso lasciare ad altri quell'iniziativa che i miei doveri m'impongono». La questione è stata discussa recente­ mente ma 11 Soderini nella sua vita di Leone XIII ha mostrato con ' ampiezza di documentazione che il papa si era mosso con la piena approvazione di Umberto I e di Rudinì. Non si è mai insistito troppo sul modo con cui furono accolti a Napoli i prigionieri, finalmente liberati : la nave che li portava dovette sostare a lungo nel porto, sino a notte inoltrata. L'esiguo gruppo di soldati e ufficiali sbarcò alla chetichella, e si fece di tutto per non far notare al popolo il ritorno in patria di quei poveri « cafoni» ai quali la patria aveva chiesto tutto e non aveva dato nulla. Più importanti comunque sono tre altri problemi. « La Civiltà Cattolica» affermava il vero quando ribadiva che la guerra d'Africa - autentica follia - non era voluta da nessuno in Italia? Il fatto, largamente vero, conferma quanto gli studiosi di storia conoscono bene : la storia è fatta quasi sempre da un'esigua minoranza, che con il suo attivismo si impone alla maggioranza. In Italia questo si ripeterà in maniera ben più drammatica nel 1 9 1 5, con l'intervento in guerra, in quelle che un gruppo di italiani, trascinati dalle emo­ zioni del momento, chiamò le radiose giornate di maggio. Resta poi il quesito se la contraddizione del Di Rudinì (accoglienza più che benevola alla proposta di papa Leone - sua secca dichiarazione parlamentare) sia dovuto all'influsso della massoneria, la cui forza e il cui ascendente non devono divenire un mito o una leggenda, ma che costituivano ieri e costituiscono oggi sempre una forza notevole. Un'ultima osservazione : l'Italia umbertina, di Crispi o di Depretis, conosceva un'autentica libertà di stampa, come dimostrano le dure invettive al governo e alla classe politica de « La Civiltà Cattolica». Il clima politico, sociale, intellettuale dell'età giolittiana era del tutto diverso da quello precedente. Le relazioni fra Chiesa e Stato sono migliorate per opera di Pio X e di Giolitti, il mondo intellettuale


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è nel complesso nettamente favorevole alla conquista della Libia6, il Banco di Roma - le cui azioni sono parzialmente in mano alla S. Sede - vi spinge energicamente. Non ci meraviglieremo quindi se la rivis�a dei Gesuiti non scrive nessun articolo contro la nuova epopea colo­ niale. La cronaca segue da vicino gli eventi. Il 5 agosto 1 9 1 1 il periodico sottolinea che contrari all'iniziativa sono soltanto i socialisti e la frammassoneria. E il 12 ottobre afferma addirittura che sulla « conquista di Tripoli non c'è diversità di parere. Tutti stimano che ciò sarà un bene. ( . . . ) Se qualcuno mormora tuttavia una parola anti­ coloniale, di lui non va tenuto conto». Ma nel numero seguente, il 25 ottobre, i Gesuiti prendevano una certa distanza, sulla scia dell'« Os­ servatore Romano», cioè evidentemente per fedeltà a direttive venute dalla S. Sede. Da una parte si afferma che la guerra non ha un carattere religioso, non costituisce un conflitto fra cristiani e maomettani, dal­ l'altra si deplora - con una certa contraddizione - l'aperto favore mostrato dal governo verso i musulmani e la trasformazione m mo­ schea di una chiesa cattolica. Gli anni 1 935-36 sono, per giudizio concorde di tutti gli stonc1, quelli del più largo consenso degli italiani al fascismo, sia pure larga­ mente indotto con una penetrante pressione psicologica, in parte

inavvertita. La nuova impresa etiopica desta l'entusiasmo pressoché generale. Manca dal 1 925 ogni libertà di stampa. «La Civiltà Cattolica» in questo periodo segue una linea abbastanza equilibrata, in gran parte inevitabile : una certa simpatia per le gesta degli italiani, che si avverte qua e là nella cronaca e in un articolo del p. Brucculeri ; un sincero sforzo di equilibrio, che mantiene il periodico gesuita ben lontano dalle esaltazioni che appaionò in molte pastorali e discorsi dell' episco­ pato italiano (forse, nella sua maggioranza) ; una fedele riproduzione degli interventi più salienti di Pio XI, decisamente contrario ad ogni guerra di conquista; un lungo esame, condotto dal p. Messineo, delle ragioni che possono giustificare l'espansione coloniale. Una certa partecipazione, piuttosto calda, alla guerra d'Etiopia, sembra trapelare nella cronaca. Ci si limita, è vero, a riportare gli avvenimenti più salienti. Ma il redattore, p. Felice Rinaldi, sottolinea la « concorde volontà italiana», parla di «fervido discorso» del presi­ dente della Camera, Ciano, descrive la «giornata della fede» in termini commossi, come risposta alla «minaccia d'assedio economico» 7• E, nel maggio 1 936, il cronista parla del «negus fuggiasco» che ha abbando­ nato la capitale «alla mercé di facinorosi armati», dei Te Deum «per la vittoria ottenuta e ( . . . ) il ristabilimento della pace», si ferma sui discorsi del 5 e del 9 maggio, ma anche sulla motivazione della Gran croce dell'ordine di Savoia consegnata personalmente dal re a Mussolini perché « condusse, vinse la più grande guerra coloniale che la storia ricordi, ( . . . ) che egli ( . . . ) intuì e volle per il prestigio, la vita, la gran­ dezza della patria fascista» 8. Già prima, nel dicembre, il p. Brucculeri esaltava il patriottismo in un articolo Religione e patria9 • L'amor di patria è stato lodato ed esaltato da Tommaso d'Aquino, dai pontefici (Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI), dal Vangelo stesso : e il sociologo gesuita si affretta a dimostrare che l'universalismo cristiano si concilia perfettamente con l'amore della propria patria, concludendo che « la passione patriottica» che ha fatto dell'Italia «una sola volontà, stretta come non mai ad una sola bandiera», non si spiega senza il

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6 G. CIANFEROTTI, Gi11risti e mondo accademico di fronte all'impresa di Tripoli, Milano, Giuffrè, 1984. Per l'opinione pubblica generale e il contesto politico, cfr. L. GANAPINI, Il nazionalismo ... cit., pp. 163-182. Anche se l'intransigente « L'Unità cattolica» continuava nel 1908 la sua linea decisamente anticoloniale, « L'Unione», di Filippo Meda, cercava disperatamente una via media, e, pur mostrandosi contraria, in linea di principio, ad ogni espansione coloniale italiana, ammetteva però l'eventuale necessità di difendere le colonie già conquistate. Da non trascurare, anche su questo punto, è l'analisi di G. DE RosA, Storia del 1110Vimento cattolico in Italia, I, I cattolici e l'i!JJpresa libica, Bari, Laterza, 1966, pp. 538-550. De Rosa riassume così l'atteggia­ mento de «La Civiltà» : «Fin dagli inizi aveva sollevato forti riserve contro il nazionalismo interventista, (... ) che rinnovò anche quando il movimento guidato dal Corradini assunse andamento clericaleggiante (...) [ma] trovava (...) di che rallegrarsi per l'esito dell'impresa a causa di certo effetto indiretto di "natura religiosa" che essa avrebbe prodotto ». Secondo la rivista la guerra aveva per un momento fermato l'anticlericalismo, aveva gettato cattiva luce sulla massoneria, aveva fatto sentire più vivamente la necessità della religione. Per De Rosa la rivista non avvertiva a sufficienza il pericolo insito nel nuovo anticlericalismo, quello corradiniano post-libico. Si vedano in ogni modo le frequenti note della cronaca de « La Civiltà» sulla guerra libica : 1911, 4, pp. 358-360, 493, 500, 614, 746, 751 ; 1912, 1, pp. 503, 742; 1912, 2, p. 500; 3, pp. 230, 364; 4, pp. 291 , 360.

7 Ibid., 1 935, 4, pp. 511-512. 8 Ibid., 1 936, 2, pp. 430-432. 9 Ibid., 1 935, 4, pp. 441-45 1 .


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fattore religioso, senza l'azione esercitata per secoli « dal Cattolicis!llo». Dopo la guerra, recensioni di biografie del p. Giuliani, il domeniq:mo cappellano militare caduto mentre assisteva un morente in un combat­ timento, o di altri soldati morti cristianamente risentono dello stesso spirito 10 • Eppure restiamo ben lontani dall'ingenua eccitazione ed esaltazione che ispira il grande Schuster, nel noto discorso del 28 ottobre 1 935 e molti altri vescovi, che accettano acriticamente le tesi mussoliniane della legittima difesa, del bisogno di espansione, ed esaltano con viva retorica Mussolini 11 • Né va dimenticato il testo del discorso alle infermiere, pronunziato da Pio XI a Castel Gandolfo il 27 agosto 1 935, riportato integralmente dalla rivista 12• Il papa non solo rievocava le impressioni personali da lui avute traversando il centro dell'Europa verso la fine della prima guerra mondiale, per recarsi in Polonia, si fermava sulle «tracce della devastazione ( . . . ) ancora pressoché fumanti ( . . . ) », ma invitava a pregare perché «la guerra [fosse] allontanata [e] risparmiata», condannava in termini drastici una guerra puramente di conquista, si fermava esplici­ tamente sul caso itala-etiopico, concludendo che occorre tener conto del bisogno di espansione, ma che «il diritto alla difesa ha dei limiti e delle moderazioni, che esso deve rispettare, affinché la difesa sia incolpevole». Il testo orale era ancora più forte, e venne cautamente addolcito dallo stesso mons. Tardini, per timore che sollevasse pole­ miche e rappresaglie da parte fascista 13• Una linea diversa, teorica, ma chiarificatrice, fu seguita dal p. Mes­ sineo, i cui articoli in proposito vennero poi raccolti nel volume

Giustizia ed espansione coloniale (che nel 1 937 raggmnse la seconda edizione). L'autore si rifaceva ai grandi studiosi del Cinquecento, Vitoria e Suarez, ma anche al Taparelli, che ammettevano la possibilità di una guerra giusta, come mezzo indispensabile per punire l'offensore, vendicare un torto, ristabilire un diritto leso. Lo studioso passava però subito ad esaminare la situazione contemporanea, respingendo le tesi di quanti consideravano il colonialismo legittimato dalla necessità di accaparrarsi materie prime e sbocchi commerciali, rifiutava l'altra opinione, della missione civilizzatrice delle nazioni più progredite rispetto a quelle ancora selvagge o semiselvagge, si fermava a lungo sulle conseguenze di una forte espansione demografica, per concludere che solo in caso di estrema necessità vitale la colonizzazione poteva considerarsi legittima. Era facile dedurre dall'ampia esposizione di questi argomenti che nel 1 935-36 l'Italia non poteva fondarsi su di essi per giustificare la guerra : la conclusione era lasciata all'intelligenza dei lettori, per ovvi motivi. La rivista non poteva spingersi più oltre. Questa rassegna resta sommaria per necessità di spazio, e potrebbe essere approfondita ed estesa. Resta evidente, comunque, la decisa opposizione de « La Civiltà» all'espansione coloniale italiana in Africa alla fine dell'Ottocento, e l'evoluzione seguente, dalla tiepida simpatia del 1 9 1 1 -1 91 2 a quel certo caldo ottimismo del 1935-36. E appaion anche le differenze fra i diversi autori : polemici e aspri i padri del­ l'Ottocento, che rispecchiano bene la situazione dei cattolici italiani di quei decenni; un po' superficiale - almeno in quell'articolo - il p. Brucculeri, per altro pensatore acuto e ferrato ; più profondo, obiettivo e capace di andare controcorrente, anche nel 1 936, il p. Messineo. In ogni caso, pur nell'evoluzione avvertita, c'è una costante : la diffidenza verso il colonialismo. La dura condanna dell'Ottocento diventa acuta pacata accurata analisi del primo Novecento, ma resta sempre prudente e diffidente. Il pensiero cattolico italiano in questo punto si mostra ben diverso da quello francese, che, come obiettivamente avvertiva nel 1 936 Messineo, si sforzava di trovare tutti gli appigli possibili per giustificare la formazione dell'impero coloniale francese. È anche vero che, se «La Civiltà cattolica» di fine Ottocento è in piena consonanza col pensiero cattolico del tempo, nel 1 935-36 la rivista resta, se non proprio isolata, certo ben diversa dalle posizioni assunte dalla stampa cattolica di quei due anni. Ma un esame attento della stampa cattolica di quei due anni, relativo al problema coloniale, resta da compiere.

10 Ibid., 1 936, 3, pp. 494-495. 1 1 Cfr. G. Rossi DELL'ARNO, Pio XI e Mussolini, Roma, 1952 (ampi squarci delle pastorali dell'epoca) ; l. ScHUSTER, Scritti, a cura di G. 0GGIONI, Venegono Inferiore, Editrice « La

scuola cattolica», 1 959, in particolare pp. 310-321. Meno nota è l'omelia del vescovo di Pesaro, Bonaventura Porta, del 6 maggio 1936. Il testo stampato è conservato nell'archivio della diocesi : una fotocopia è in mie mani. Un ampio rassunto è stato da me pubblicato in «Rassegna di teologia», 1976, 1 7, p. 1 82. 12 « La Civiltà cattolica», 1935, 3, pp. 538-542. 1 3 Cfr. C. F. CAsULA, Domenico Tardini ( 1888- 1961), Roma, Edizioni Studium, 1988, pp. 92-93: la sera stessa, verso le 22, Tardini e Cesidio Lolli, redattore de «L'Osservatore romano», compirono audaci e significative modifiche, sopprimendo qualche frase e qualche parola, modificandone altre. Il testo rimase comunque abbastanza chiaro per chi voleva capire.

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Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : G. Agnesa

MARIA ANTONIETTA MULAS

Un funzionario del Ministero degli esteri nello 5fato liberàle : Giacomo Agnesa ( 1860- 1919)

Giacomo Agnesa nasce a Sassari il 1 o novembre 1 860 1• Il padre Giovanni Battista è un avvocato di provincia, benestante, destinato a diventare un protagonista attivo (benché forse non di primissimo piano) della vita politica cittadina a cavallo della fine del secolo. La madre, Grazia Pittalis, appartiene ad una famiglia nobile (sebbene di una nobiltà, com'è quella sassarese, di relativa importanza). Dal loro matrimonio, prima di Giacomo, è nata, nel 1 856, Luisa. L'infanzia di Giacomo trascorre in una città di provincia, ma in un momento di profonda trasformazione. Sono, per Sassari, gli anni del commercio verso la Francia, nei cui porti mediterranei (soprattutto Marsiglia) trovano sbocco i prodotti di una agricoltura diversificata e intensiva com'è quella del Nord Sardegna. È il periodo della crescita demografica e della maggiore circolazione del denaro2• Tiene la scena «un folto ceto di professionisti, soprattutto avvocati, che si formano in una Università che funziona anche come un potente strumento di omogeneizzazione culturale»3• La presenza di un ceto con una simile formazione culturale favorisce il diversificarsi del dibattito politico (agiscono in contrapposizione un partito repubblicano e uno monar­ chico-costituzionale), al quale dà il suo contributo la nuova borghesia produttiva 4. La crisi di fine secolo, causata dall'interruzione dei rapl PARROCCHIA di S. SJSTO, Sassari, Registro degli atti di nascita (i registri sono attualmente conservati presso la chiesa di S. Donato). 2 Su Sassari, e in generale sull'economia della Sardegna settentrionale nell'Ottocento, cfr. M. BRIGAGLIA La classe dirigente a Sassari da Giolitti a Mussolini, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1979. 3 Ibid., p. 1 2. 4 Cfr. ibid. p. 1 8 : « Gli industriali ed i commercianti sassaresi, la cui attività era sostenuta

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porti commerciali con la Francia e da un'epidemia di fillossera, con conseguenti fallimenti bancari, lascia in parte indenni gli industriali e i commercianti sassaresi, che nel frattempo hanno acquisito agiatezza e prestigio sociale. Alla fine del secolo la città è in una fase di netta espansione. Seppur mantiene la sua antica struttura di centro agricolo, si sviluppano le attività commerciali e le funzioni amministrative : «il cambiamento ha il suo segno più evidente nell'apparizione di industriali e commercianti in quella vita politica sassarese da cui erano sempre stati assenti»5• Malgrado la presenza di un ottimo liceo e di una plurisecolare Università, Giacomo però non compie a Sassari i suoi studi superiori6• Sul punto non possediamo, purtroppo, fonti dirette : ma una raccolta di medaglie che il «Collegio Moncalieri» di Torino conferiva agli allievi più meritevoli lascerebbe supporre che egli abbia compiuto i suoi studi presso questo istituto 7• Il 28 ottobre 1 880 comunque - si iscrive (con il numero 428) alla facoltà di Giurisprudenza della Università di Roma per l'anno accademico 1 880-81 ; ed è presso questa Università che si laurea il 20 novembre 1 8848• Si situa in questi anni la prima « opera» di Agnesa, una curiosa prova letteraria intitolata Variazioni sul tema : la grotta di A lghero ossia l'antro di Nettuno 9• Il libretto è conservato presso le biblioteche sassa­ resi, e appartiene a quel «genere» di prosa erudita a sfondo tar­ do-romantico che contraddistingue il retroterra culturale delle genera­ zioni ottocentesche. Oggetto dell'opera è la bellezza della grotta al­ gherese detta « di Nettuno», sotto Capo Caccia : ma Agnesa vi rivisita, -

dal mercato interno, restavano i canali obbligati del passaggio di alcune voci essenziali all'approvvigionamento delle città, e potevano considerare compensati nel loro bilancio finale i danni e i vantaggi immediati delle situazioni». 5 Ibid., p. 20. 6 Cfr. ARCHIVIO LicEo Azu NI (Sassari), Registri degli allievi, 1870- 1882, Giacomo Agnesa non risulta tra gli alunni. 7 La piccola collezione è custodita a Sassari presso l'avv. Enrico Tola, pronipote di Giacomo Agnesa, che qui ringrazio per avermi consentito la consultazione. 8 I dati in UNIVERSITÀ DEGLI STUDI «LA SAPIENZA», Roma, Rettorato A rchivio studenti. Nono­ stante approfondite ricerche, non è stato possibile rintracciare il fascicolo riguardante l'intera carriera universitaria. 9 G. AGNESA, Variazioni sul te111a : la grotta di Alghero ossia l'antro di Netttmo, Sassari, s.e., 1881.


Maria A ntonietta Mulas

Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : G. Agnesa

uno dopo l'altro, i miti (e anche i luoghi comuni) cari all'immagi�ario collettivo di un'epoca. Ecco dunque le «piangenti Stallatiti», la «pagina dorata del gran libro della natura», la « luce corrusca del fulmi�e», ecc. Non manca tuttavia anche un'altra, più impegnata dimensione : gli entusiasmi giovanili, in conclusione, portano l'autore a formulare un'accusa sottintesa alle autorità, colpevoli di non aver valorizzato questo immenso patrimonio naturale, creando le apposite strutture che potrebbero permettere l'accesso «via terra» : «si tratta di praticare - consiglia il giovane sassarese precorrendo di quasi un secolo i tempi - con non molta spesa, un passaggio, che costeggiando per piccolo tratto la roccia, porti alla bocca della Grotta dalla via di terra». E conclude : «È una spinta, che voglio dare, un consiglio, un parere e niente più. Anche la pietruzza è necessaria all'edificio ». E poi, con uno scarto di anglofilia anch'esso significativo : «dico e affermo che, se questa Grotta fosse nelle mani sugose degli inglesi (per non dirne altri), sarebbe un altro par di maniche ; dico e affermo che ciò non ci fa onore, e bisogna scuotersi una buona volta». In questo periodo Giacomo Agnesa vive a Roma 10 • La famiglia però continua a risiedere a Sassari, dove la sorella Luisa sposa nel 1 876 l'avv. Michele Abozzi, futuro deputato «moderato» dal 1 904 al 1 9 1 9 e per molti anni consigliere provinciale. La figura di Abozzi, notabile di rilievo non solo locale, collegato per più fili al mondo politico romano, costituirà per Agnesa un punto di riferimento fondamentale, rappresentando per lui il costante legame con la realtà politica sassarese. Dopo una breve militanza «democratica», Abozzi avrebbe progressivamente assunto, già nell'ultimo decennio del secolo, posizioni sempre più moderate, sino a divenire il leader dello schieramento politico avverso a quello «democratico». Sarebbe stato proprio Abozzi, nel 1904, a sottrarre agli avversari il seggio alla Camera, in uno scontro diretto nel quale - come ha scritto Manlio Brigaglia - pesò non poco la «decisione di Giolitti» 11 • E forse vale la pena di segnalare che il nome di Abozzi quale candidato dei «giolittiani» fosse appoggiato a Roma dal giolittiano Tommaso Tittoni, all'epoca Ministro

degli esteri. Ed è anche il caso di notare (raccogliendo uno spunto dello stesso Brigaglia) che, in quello stesso periodo, Giacomo Agnesa, all'interno di quello stesso Ministero, avrebbe compiuto la sua brillante carriera. Il padre di Giacomo, Giovanni Battista, è d'altra parte diretta­ mente impegnato nelle file degli «abozziani» : eletto nel Consiglio co­ munale nel 1 889, viene riconfermato nel 1 904 e nel 1905 12• Il 17 gennaio 1 887, con la prima delle due prove scritte, prende avvio presso il Ministero degli affari esteri il concorso per cinque posti di volontario nella carriera consolare. Tra i candidati c'è anche Giacomo Agnesa, nel cui fascicolo concorsuale compaiono la nota di rito del sindaco di Sassari, Gaetano Mariotti, attestante che il candidato «ha tenuto sempre una condotta irreprensibile ed inoltre appartiene a famiglia di condizione e di attinenze rispettabili e che va distinta fra le principali della città» 1 3 e le informazioni personali sul candidato del prefetto di Sassari Giustiniani («l'aspirante e la di lui famiglia godono molta considerazione e la pubblica stima ( . . . ) e ottima sotto ogni rapporto è la condotta morale e politica dell' Agnesa») 1 4. Della com­ missione esaminatrice, presieduta dal sen. !sacco Artom, fanno parte Filippo Mariotti, Silvio Spaventa, Nicola Tondi, tutti deputati al parlamento ; e Luigi Palma, professore all'Università di Roma. A svol­ gere le funzioni di segretario viene nominato il cav. Federico Barilari, già segretario del Ministero 15• L'esame si svolge secondo le norme stabilite dal regolamento del 1 5 maggio 1 869. Per le prove scritte vengono estratti a sorte due temi : uno d'argomento giuridico, l'altro di storia e geografia; gli esami orali, che sono complessivamente sette, si possono ugualmente distin-

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10 In via Colonna 52, palazzo di Cinque. 1 1 Cfr. M. BRIGAGLIA, La classe ... cit., p. 97.

12 13 14 15

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Ibid. : cfr. le vicende riguardanti la vita politica e le elezioni cittadine. ASDMAE, Fondo concorsi, t. 1 5, fase. 3. Ibidem. Per la carriera di I. Artom e di Barilari, cfr. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI LECCE, DIPARTI­ MENTO DI SCIENZE STORICHE E SOCIALI, La formazione della diplomazia nazionale ( 1861-1915) . Reper­ torio biobibliografico dei funzionari del Ministero degli affari esteri, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1987, pp. 28-51 ; per F. Mariotti v. G. Badii, ad vocem, in Dizionario del Risorgimmto nazionale dalle origini a Roma capitale, Milano, Vallardi, 1930-1937, II, p. 502; per S. Spaventa, E. MICHEL, ibid., IV, p. 324 ; per quella di N. Tondi cfr. Enciclopedia biografica e bibliografica italiana: tliÙJistri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano-Roma, E.B.B.I., Istituto Editoriale Italiano, 1941, voli. 3.


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Maria A ntonietta Mulas

guere in due parti : una giuridica, l'altra di cultura gener�le 1 6• Nella valutazione dei candidati, ogni esaminatore dispone di dieci punti. .per ogni materia e « chi non raggiunge la metà del totale dei voti ciòè 25 negli scritti è automaticamente escluso dagli orali» 1 7• I voti ottenuti vengono moltiplicati per un coefficiente d'importanza; il più alto, venti, è per lo scritto giuridico, che moltiplicato per la somma dei voti espressi per questa materia, può far raggiungere un punteggio massimo di mille. Segue, in ordine di importanza, il secondo scritto, con quattordici; quindi gli esami verbali : legge, diritto internazionale, storia e geografia hanno coefficiente dodici, economia politica dieci, le lingue estere sette, l'aritmetica sei. Tra le lingue straniere, quella francese è obbligatoria, un'altra almeno deve essere indicata dal candi­ dato; quella prescelta da Agnesa è la lingua inglese. La somma di tutti i voti, moltiplicati per i rispettivi coefficienti, può far ottenere un massimo di 5.000 punti, ma in ogni caso, per avere l'idoneità, devono essere raggiunti i 6/10 della votazione massima. Nel concorso del 1 887 il primo classificato è Donato Sanminiatelli, che ottiene 4.449 punti. Giacomo Agnesa risulta solo nono, con 3.350 punti, a quaranta punti dall'ottavo classificato, Tancredi Castiglia. Il tema giuridico di Agnesa è valutato con nove ; quello di econo­ mia storia e geografia con cinque. Negli esami verbali, il giovane candidato sardo ottiene sette in legge, sei in diritto internazionale, sei in economia politica, cinque nella lingua francese, sette in quella inglese ed otto in aritmetica 18•

1 6 ASDMAE, Fondo concorsi, b. 15, fase. 1, concorso carriera consolare 1887, relazione finale commissione, Roma, 1 febbraio 1 887. Ringrazio il Sovrintendente dell'Archivio Storico-Diplo­ matico e particolarmente il dott. Vincenzo Pellegrini per l'aiuto avuto nel corso della mia ricerca. 17 G. MELIS, Il sistema del tmrito nel Ministero degli affari esteri 1861- 1887, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1987, 2, pp. 433 sgg. ; sui concorsi degli anni precedenti cfr. ibid., pp. 8 sgg. ; ed ancora F. GRASSI, Il primo governo Crispi e l'emigrazione colite fattore di una politica di potenza, in Gli italiani fuori d'Italia, a cura di B. BEZZA, Milano, Angeli, 1983, pp. 45 e seguenti. 1 8 Nella tabella sono elencati i primi dieci classificati. Si può notare come i risultati dei candidati non siano in generale brillantissimi (nell'ultima colonna è stato inserito il voto finale dopo la moltiplicazione con i rispettivi coefficienti) e come si riscontrino lievissime variazioni tra le votazioni da essi riportate. L'unica eccezione è costituita dal primo classificato, che ottiene dieci in tre prove (ma otto negli esami di legge) ; è d'obbligo però

Un funzionario del Ministero degli esteri nello

Legge

1 2 3

Sanminiatelli Donato Celesia di Vegliasco Alessandro Tattara Vittore Agostino

Storia geogr.

Legge

5tato

liberale : G. Agnesa

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Dirit.

Econ.

Storia

Lingua

Lingua

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Voti

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Anielli Lorenzo

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7

6

3.470

5

Rossi Lorenzo

7

7

7

7

7

6

6

7

8

3.435

6

Naselli Girolamo

7

7

7

7

7

7

7

5

7

3.420

7

7

7

7

7

7

6

6

6

3.410

7

Caccia Dominioni Carlo

8

Castiglia Tancredi

5

8

5

6

7

8

8

10

7

3.390

9

Agnesa Giacomo

9

5

7

6

6

6

5

7

8

3.350

1 0 Mischi Benedetto

6

9

5

6

5

7

7

9

7

3.330

Ultimate le prove del concorso la commissione esaminatrice redige, come al solito, una relazione finale, nella quale riassume l'esito delle prove. Per quanto riguarda il diritto civile, commerciale e penale, le risposte dei candidati ai quesiti sono giudicate « quasi sempre soddi­ sfacenti», mentre appare in molti casi «troppo generica e poco preci­ sa» la preparazione sul diritto costituzionale e, su quello internazio­ nale, molte risposte « dimostrano nozioni poco esatte» 1 9 . Sono consi­ derate ugualmente «poco soddisfacenti» le prove svolte dalla maggior parte degli esaminati sui sei argomenti di cultura generale, che comprendono : l'economia politica, la statistica, la storia, la geografia

rilevare come neanche il Sanminiatelli raggiunge il punteggio massimo. Si consideri, inoltre, come il nove ottenuto dall' Agnesa nello scritto di legge sia uno dei voti più alti assegnati in questa materia. 1 9 Su quest'ultimo, Artom e gli altri commissari insistono in modo particolare. Il difetto -essi sostengono- nasce dal tipo di insegnamento adottato nelle scuole italiane, nelle quali, « com'è naturale», dal 1 848 in poi si è soprattutto esaltata « l'Idea nazionale», mentre si è trascurato lo studio di molte discipline necessarie al funzionario pubblico.


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Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : G. Agnesa

e le lingue straniere. Queste materie, insegnate nelle facoltà di Giuri­ sprudenza, seppur « sufficienti ai giuristi non bastano per colbro. che scelgono la carriera delle pubbliche amministrazioni»20. Dopo il concorso del 1 887, i primi cinque classificati, come previsto dal bando di concorso, vengono subito nominati. Per gli altri, ritenuti «idonei», comincia l'attesa di un'eventuale « chiamata». Ma nell'ottobre dello stesso anno corre voce che il nuovo ministro degli affari esteri, Francesco Crispi, succeduto al conte di Robilant, sarebbe disposto ad ammettere nella carriera consolare alcuni aspiranti che negli ultimi esami hanno ottenuto buone votazioni. La nomina però si limiterebbe al Naselli, al Caccia e al Castiglia, rispettivamente sesto, settimo ed ottavo classificato, lasciando fuori, per soli quaranta punti di differenza, proprio Giacomo Agnesa. Prima che le voci vengano confermate, giungono negli uffici del Ministero diverse lettere in difesa dei «diritti» del candidato escluso. Tra queste quella del segretario generale del Ministero di grazia e giu­ stizia, Francesco Cocco-Ortu, indirizzata al direttore generale Peiroleri21, e quelle del deputato Giordano Apostoli allo stesso Peiroleri e a Giaco­ mo Malvano, anch'egli direttore generale al Ministero degli affari esteri22. Finalmente, con d.m. 20 ottobre 1 887, Giacomo Agnesa viene ammesso come volontario nella carriera consolare : e con d.m. 1 6 dicembre 1 887 è destinato al Cairo in qualità di applicato volontario. Non sappiamo se Giacomo Agnesa abbia effettivamente mai preso servizio nella capitale egiziana23. Certo è che, con un decreto regio ·

20 Infatti, nelle conclusioni, la commissione, tra i vari suggerimenti, vedrebbe opportuno il sorgere di una scuola di alti studi politico-amministrativi quale «asse di complemento» delle facoltà giuridiche e la possibilità di esibire l'attestato di frequenza come « titolo di preferenza negli esami di concorso» che richiedono una preparazione specifica. Come è stato osservato da G. MEus (Il sistema de/ merito. . . cit., pp. 446-447), «il sottinteso della (... ) proposta è che un reclutamento unicamente affidato al concorso pubblico aperto indistintamente a tutti non offra più le necessarie garanzie di efficacia», ed ancora «i tradizionali filtri dell'eredità degli impieghi e della vocazione di sangue, per quanto resistenti, non sono più sufficienti a selezionare il buon diplomatico». 21 Cocco Ortu a Peiroleri, lettera del 6 ottobre 1887, in ASDMAE, Fondo concorsi, b. 15, fase. 3. 22 Giordano Apostoli a Peiroleri, lettera del 4 ottobre 1 887, ibid. ; Giordano Apostoli a Malvano, lettera del 4 ottobre 1 887, ibidem. 23 Non si sono trovate indicazioni riguardo una sua eventuale permanenza in Africa in questo periodo né sul Calendario generale del Regno, né sui documenti d'archivio e sui testi consultati.

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del 1 2 febbraio 1 888, egli viene nominato vicesegretario di 2a classe e trasferito contemporaneamente a Roma, nella carriera interna. Qui entrerà nell'organico della seconda divisione, tra il personale della 1 a sezione «Europa», e specificatamente nell'ispettorato delle scuole italiane all'estero. Trascorso poco più di un anno, con r.d. 30 giugno 1 889 Agnesa viene promosso vicesegretario di 1 a classe e trasferito alla 1 a divisione «affari politici», nella prima sezione, che si occupa della «politica generale»24. Appartiene all'organico di questa divisione quando, tre anni dopo, con r.d. 7 agosto 1 892, è promosso segretario di 3a classe. Tra il 1 888 e il 1 892, la carriera di Agnesa prende dunque avvio in quella particolare fase politica che, sotto la leadership crispina, è so­ prattutto caratterizzata dai temi dell'imperialismo. Non siamo in grado di stabilire quanto il giovane Agnesa, appena entrato al Ministero, condivida l'impostazione crispina. Certo, negli anni Novanta una nuova leva di diplomatici, tutti giovani, dalla formazione politica inedita, fortemente partecipi degli ideali crispini, conquista all'interno della « carriera» posizioni di spicco e crea i presupposti per uno scontro tra «vecchia» e <<nuova» diplomazia che andrà ben oltre la vicenda perso­ nale di Agnesa. Il clima nel quale il giovane sassarese compie le sue prime esperienze amministrative è quello della sorda lotta tra Alberto Pisani Dossi, il nuovo capo di gabinetto di Crispi, e l'ex segretario generale del Ministero Giacomo Malvano ; è l'epoca della riforma del Ministero progettata da Pisani Dossi e delle discussioni sul «nuovo diplomatico» ospitate dal periodico crispino « La Riforma» 2s. Il primo ministero Crispi cade nel febbraio 1 891 perché la Camera non vuole accogliere alcune proposte di inasprimento fiscale. Ma,

24 Il direttore della divisione è il comm. Emilio Puccioni; il capo della sezione il conte Ercole Orfini ; tra i segretari troviamo Guglielmo Bugnoni, Ernesto Koch ed Edoardo Canonico. 25 Su Pisani Dossi cfr. gli scritti a lui dedicati a più riprese da Enrico Serra, tre raccolti in E. SERRA, A lberto Pisani Dossi diplomatico, Milano, Angeli, 1987. Sull'ambiente degli esteri e sui legami di Agnesa col gruppo crispino cfr. M. CAciou, Un profilo : Primo Levi, in ISAP, L'atntJJinistrazione nella storia moderna, II, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 2047-21 1 1 (Archivio, Nuova serie, 3) ; infine sul Ministero in genere cfr., anche se per un altro periodo, V. PELLEGRINI, AmiJJinistrazione e ordinamento costituzionale: il Ministero degli affari esteri, ibid., pp. 1 851-1929.

IO


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Maria Antonietta Mulas

dopo una breve parentesi, con i m1msteri Di Rudinì e · Giolitti, nel dicembre del 1 893, Crispi è di nuovo al potere, sempre più determi­ nato nel portare avanti i suoi disegni espansionistici, anche sé, · ora, dopo l'accordo anglo-francese, la situazione per l'Italia appare méno favorevole che in passato. Un primo passo viene compiuto costi­ tuendo uno specifico organismo amministrativo per i possedimenti coloniali. Con un decreto del 28 dicembre dello stesso anno viene infatti istituito l'ufficio «Eritrea e protettorati», alle dirette dipen­ denze del ministro degli affari esteri e di quel sottosegretario di Stato : « le attribuzioni di questo ufficio e la sua importanza - ha scritto Miège - si accrescono progressivamente e gli vengono affidati tutti i bilanci delle colonie riuniti»26. Con il r.d. del 5 maggio 1895 l'ufficio « Eritrea e protettorati» viene distaccato dal gabinetto del Ministro e, essendo l'unico organo centrale addetto alla trattazione delle questioni coloniali, «assume rango pari a quello di una divisione»27• Contemporaneamente un funzionario di sicura fede crispina come Primo Levi 28 è nominato direttore dell'ufficio29, con il grado di capo­ divisione di seconda classe. I compiti del nuovo organismo sono numerosissimi : comprendono sia le questioni politiche riguardanti l'Africa nel senso più ampio (possedimenti, occupazioni, protettorati, sfere d'influenza, trattati, con-

26 J.L. MIÈGE, L'imperialismo coloniale italiano, Milano, Rizzoli, 1976, p. 182.

27 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI - COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELI:hALIA

IN APRICA, L'Italia in Africa, serie giuridico - amministrativa, I (1 869-1955), Il governo dei territori d'oltremare, testi di C. MARINUCCI e T. CoLUMBANO, Roma, Istituto poligrafico dello

Stato, 1963, p. 14. 28 Primo Levi (1853-1917) dal 1 893 al 1 895 fa parte del gabinetto del ministro degli esteri A. Blanc con l'incarico di occuparsi delle questioni economiche e coloniali ; con r.d. maggio 1 895 è nominato capo dell'ufficio Eritrea e protettorati; il 26 marzo 1 896 è collocato in disponibilità ; con r.d. 5 agosto 1 907 è nominato console generale di 1• classe; nel 1908 è inviato in missione straordinaria in Egitto; con r.d. 1° agosto 1910 è richiamato al ministero ed incaricato delle funzioni di direttore generale degli affari esteri commerciali; il 14 aprile 1917 muore in servizio mentre riveste il grado di console generale di 1• classe; più approfon­ ditamente cfr. M. CACIOLI, Un profilo : Primo Levi. . . cit. ; Giacomo Agnesa è qui citato come uno dei pochi amici che Primo Levi ebbe tra i diplomatici. 29 Questo sarà sempre noto con il nome di <mfficio coloniale», anche quando più tardi sarà elevato a « direzione centrale per gli affari coloniali».

Un jimzionario dei Ministero degli esteri nello Stato liberale : G. Agnesa

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venzioni . . . ), sia quelle amministrative e quelle tecniche, quali gli studi e le pubblicazioni dei documenti diplomatici, geografici e politici3o. Giacomo Agnesa è da questo momento trasferito al nuovo ufficio e, in quello stesso 1 895, riceve la sua prima onorificenza di cavaliere dell'ordine della corona d'Italia. Alla fine dell'anno la politica coloniale italiana conosce la sua crisi più acuta : il 7 dicembre le truppe italiane sono sconfitte ad Amba Alagi ; e il 1 o marzo 1 896 più di 8.000 uomini comandati dal gen. Baratieri sono massacrati ad Adua 31. È la fine del sogno imperiale di Crispi, ma anche il ridimensionamento dell'ufficio coloniale, sancito anche formalmente con il r.d. 1 5 marzo 1 896, che dispone l'aggrega­ zione dell'ufficio alla prima divisione «affari politici». Non potendo conservare il ruolo finora assunto, Levi viene messo in disponibilità; perciò la sezione continua a funzionare unicamente con l'ausilio dei tre funzionari rimasti, dei quali Giacomo Agnesa è il più anziano. Ma, malgrado la mancanza di un funzionario responsabile, l'ufficio riesce a portare a termine quei compiti, seppur limitati, che gli vengono attribuiti e nella nuova fase, grazie soprattutto all'assiduo impegno di Agnesa, svolge un ruolo molto importante nelle trattative per la restituzione dei prigionieri e per il trattato di pace del 26 ottobre 1 89632. Alla fine di quest'anno, nel mese di dicembre, Agnesa prende parte, come delegato del Ministero degli esteri, alla commissione per la modifica.zione dell'ordinamento organico ed amministrativo della colonia Eritrea. Il periodo che si apre con la disfatta di Adua è forse uno tra i più delicati per la politica coloniale italiana. Il primo desiderio del governo, condiviso da molti, sembra quello di abbandonare i ter­ ritori occupati, mentre la posizione dell'ufficio coloniale si fonda sull'intuizione che « cessata la possibilità di una espansione militare, le nostre colonie potevano costituire una base di grande importanza per una politica pacifica che mirasse ad un ampliamento della nostra influenza economica e politica nei contigui paesi, con i quali era neces-

3° Cfr. Il govemo dei territori... citata. 3 1 Cfr. J.L. MtÈGE, L'imperialisJIIO . . . cit., pp. 59 sgg. ; più in generale G. CANDELORa, Storia dell'Italia modema, VII, La crisi di fine secolo e l'età giolittiana 1896- 1914, Milano, Feltrinelli 1975. 32 Il

gouemo dei territori . . cit., p. 16. .


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. sario, pertanto, stabilire relazioni di buon v1cmato e dissipare ogni malinteso»33. Fortemente convinto di questa tesi, l'ufficio si adopera per conquistare ad essa il presidente Di Rudinì, inducendolo a 'non abbandonare i territori occupati, ma a costituire un governo civile per portare avanti i programmi di penetrazione pacifica. Seguendo questo disegno, con decreto del 30 novembre 1 897, viene nominato «regio commissario civile straordinario» della colonia Eritrea Ferdinando Mat­ tini. Mattini, che ha all'epoca 56 anni, viene eletto deputato dopo una intensa attività di scrittore e giornalista e, alla Camera, siede tra i liberali di sinistra. Nel 1 884 ricopre la carica di sottosegretario alla pubblica istruzione, e dal 1 892 al 1 893, quella di ministro34. La sua nomina a «commissario civile» rappresenta per il governo un «programma mediano» con il quale si rinuncia all'abbandono della colonia ma, contemporaneamente, anche ad una «politica di ripresa espansionistica e di forte presenza in Eritrea»35. Con il passaggio ad una amministrazione civile, inoltre, si vuole costituire «la premessa per una profonda riorganizzazione interna del territorio destinato a restare sotto sovranità italiana», in vista di un processo di valorizzazione economica basato sulle risorse locali36• Ma fra tutte le preoccupazioni che assillano il nuovo commissario civile, risalta già prima della sua partenza il problema dell'assenza di un responsabile nell'ufficio «Eritrea e protettorati» per il quale il regio commissario chiede una pronta risoluzione, in modo da svolgere con tranquillità il suo lavoro in colonia. Ed è perciò che Mattini domanda ripetutamente al ministro Visconti Venosta l'istituzione di un «ufficio unico coloniale» in Roma e sollecita l'interessamento del marchese Di Rudinì37• ' Tra diversi rinvii, passano alcuni mesi ; finché, il 1 5 febbraio 1 898, in una lettera spedita dal Di Rudinì a Mattini, si legge : «La direzione

33 Jbid. ; contro l'abbandono della colonia cfr. L. CAPUCCI, La politica italiana in Africa in «Nuova Antologia», 1987, 15, pp. 547-556 ; ed anche D. PRIMERANO, Che cosa fare dell'Eritrea? ibid., 1 897, 20, pp. 614-636. 34 Ferdinando Martini, in Dizionario storico politico italiano, Firenze, Sansoni, 1971, p. 799. 35 A. AQUARONE, La politica italiano dopo Adua : Ferdinando Martìni Governatore in Eritrea, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1975, 3, p. 468. 36 Ibide!JI. 37 Ibid., p. 476.

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unica o meglio l'ufficio unico si costituirà. Si costituirà quindi una divisione autonoma, diretta dall'Agnesa, coadiuvato dal cap. Ademol­ lo» ; ed in un'altra, datata 4 marzo, si aggiunge : « Quanto all'ufficio di Africa pare sia stato sistemato con un decreto ministeriale. Così mi afferma il Visconti Venosta. Il cav. Agnesa, come ella desidera, dirige l'ufficio»38. La proposta di designare Agnesa a capo dell'ufficio coloniale era stata quindi avanzata dallo stesso Mattini, molto probabilmente perché, come sottolinea Alberto Aquarone, il burocrate sassarese « era consi­ derato un funzionario di larga esperienza di cose africane»39. Con l'appoggio al centro di un ufficio coloniale diretto efficacemente, il commissario straordinario potrà lavorare con la sicurezza di avere tutto l'aiuto necessario. Il progetto di Mattini è in realtà alquanto ambizioso. La sua idea consiste nello strutturare la colonia sulla base di una sofisticata artico­ lazione amministrativa. Al centro del progetto, le «tipartizioni regio­ nali», con a capo dei funzionari civili (i commissari), prendono il posto dei «comandi militari di zona». L'amministrazione è retta da un governo civile, mentre alle autorità militari viene affidato unicamente il ruolo di difendere la colonia. Il rovesciamento, rispetto all'assetto precedente, è visibilissimo : ad un'impostazione prevalentemente «mili­ tare», si sostituisce ora una più complessa distribuzione dei poteri e delle competenze in capo ad autorità civili. Un altro problema che necessita di una risoluzione immediata è quel­ lo del risanamento fmanziario ed economico della colonia. Questo secondo obiettivo non si può certo ottenere con un singolo provvedi­ mento. Sarà proprio grazie agli studi intrapresi dall'ufficio coloniale che si potranno avviare le prime riforme. La «sezione», guidata da Agnesa, dimostra così di poter svolgere compiti di grande importanza anche in periodi di organizzazione civile. Già nel 1 897 si ricomincia a pensare alla concessione di una maggiore autonomia all'<mfficio», nonostante le circostanze del momento non

38 Le lettere si trovano nell'Archivio centrale delle Stato, Carte Ferdinando lvfartini, b. 20, fase. 12; v. anche da A. AQUARONE, La politica italiana. . . cit., p. 477. 39 lbide1JJ.


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Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : G. Agnesa

consentano la realizzazione del proponimento . Giacomo · Agnesa, in­ tanto, in quello stesso anno, riceve il titolo di cavaliere dell'orditi� dei SS. Maurizio e Lazzaro. In questo periodo, considerato di «assestamento», l'ufficio coloniale, nella sua pur modesta posizione, fa di tutto per risolvere quei problemi di carattere amministrativo ed organizzativo delle colonie che gli vengono affidati; ed essendo tradizionalmente abituato a trattare gli aspetti più propriamente di politica internazionale piuttosto che quelli di carattere interno, deve sopperire alla minore competenza creando, nel personale addetto a questi compiti, quell'adeguata specializzazione politica ed amministrativa idonea a porsi «in tempo relativamente breve, in condizioni di dirigere effettivamente gli organi locali nel perseguimento dei fini dello Stato in colonia» 40 • L'ufficio, dopo il precipitoso declino degli anni seguenti ad Adua, ricomincia cosi una graduale ascesa e nel 1 900, con il regio decreto del 25 febbraio, Giacomo Agnesa viene nominato ufficiale coloniale di 1 a classe e nella stessa data capo dell'ufficio coloniale. La promozione è stata in verità ancora una volta sollecitata da Mattini, durante una sua permanenza in Italia. Lo si rileva in una lettera del 9 gennaio 1900 indirizzata al ministro degli affari esteri, nella quale Mattini definisce il provvedimento ormai indispensabile per il buon funzionamento dei servizi: «Non ho qui da ripeterle le ragioni che non pure legittimano ma consigliano questo provvedimento poiché i singolari requisiti e lo zelo del cav. Agnesa sono ormai noti a V.E. Dirò piuttosto come al buon andamento dei servizi importi sistemare il più sollecitamente possibile le questioni che concernono il personale e però e principalmente quella del funzionario che sta a capo dell'ufficio coloniale in codesto Ministero»41• La sua proposta è rinnovata in una seconda lettera, scritta sempre da Roma il 5 febbraio 1 900, mentre il commissario è in procinto di lasciare l'Italia per la colonia 42• Nello stesso anno, con r.d. 2 aprile 1 900, l'ufficio coloniale viene distaccato dalla direzione degli affari politici e riportato alle dirette

dipendenze del m1mstro. Ad Agnesa viene conferita l'onorificenza di ufficiale dell'ordine della corona d'Italia e, a testimoniare la stima profonda che il commissario nutre nei suoi confronti, in una lettera del 4 dicembre 1 900 indirizzata a Visconti Venosta, Martini propone il conferimento ad Agnesa del titolo di commendatore dello stesso ordine cavalleresco. Nella risposta il ministro, pur rinviando, per ragioni di opportunità, la nuova nomina ad un tempo comunque non troppo lontano, si dichiara perfettamente d'accordo con Martini nel riconoscere i meriti del capo dell'ufficio coloniale43• Puntualmente Giacomo Agnesa riceve il titolo onorifico di commendatore dell'ordine della corona d'Italia. Nel frattempo, l'ufficio coloniale continua a portare verso la soluzione i numerosi obiettivi che si era prefisso dopo il 1 897. Tra questi vi sono le questioni internazionali ancora sospese e, in particolare, la delimita­ zione delle frontiere tra l'Etiopia e l'Eritrea. Il 7 dicembre 1 898 viene stipulato l'accordo tra il governatore dell'Eritrea ed il colonnello Parsons: si stabilisce cosi il confine settentrionale tra Eritrea e Sudan e, una volta raggiunta la pace con l'Etiopia, il 22 novembre 1 901, viene firmata a Roma una dichiarazione segreta itala-britannica attraverso la quale si possono tracciare i confini tra Sudan, Etiopia ed Eritrea 44• Agnesa, in qualità di delegato del Ministero degli esteri, prende parte alla trattativa. Con la definizione dei nuovi confini l'Italia può estendere finalmente la propria sovranità sul paese dei Cunama, «Zona di vitale interesse per la penetrazione commerciale in Valcait e Dembea»45• In seguito, con l'accordo di Addis Abeba, si stabilisce la frontiera dell'Eritrea sulla linea Mareb-Belesa-Muna, mentre per le questioni riguardanti le frontiere della Duncalia e della Somalia si deve attendere il 1 90846. Sul finire del secolo, mentre queste azioni diplomatiche sono ancora in corso, incombe sull'ufficio coloniale il problema dell'assetto dei

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40 Ii govenzo dei territori. . . cit., p. 1 6 . 41 ASDMAE, A SMAI, Persone operanti in Africa, 1879- 1925, Pos. 35, Pacco A-1 . 42 Ibidem.

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43 Ibid., Martini a Visconti Venosta, 14 dicembre 1900, e Visconti Venosta a Martini, 3 gennaio 1901 . 44 Ii governo dei territori. . . cit., p. 19. 45 Ibidem. 46 IbideJJJ.


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possedimenti italiani e in particolare l'intervento nell'amministr�zione del Benadir. Scaduta nel 1 896 la convenzione con la « società Fiionar­ di», si pensa di sostituirla con una società milanese appena so'rta, la « Società anonima commerciale italiana del Benadir». Ma il ministro Visconti Venosta in un primo momento manifesta l'idea di abbandonare la colonia, e considerare l'insediamento della società milanese unicamente come iniziativa commerciale di carattere p�ivato e, co�e sostiene Angiolo Mori, collaboratore per molto tempo d1 Agnesa, «sl deve soltanto a Giacomo Agnesa se - dimostrando il valore del Benadir - riuscì a persuadere il ministro ed a farlo recedere dall' insano proposito»47. Si arriva così, il 15 aprile 1 896, a stipulare una prima convenzione tra il governo e la « Società anonima». Sarà in effetti un accordo preliminare e, nell'attesa che venga approvato dal Parlamento, l'ammi­ nistrazione della colonia verrà assunta in via provvisoria direttamente dal governo. Perciò nel 1 897 viene nominato «regio commissario straordinario», con pieni poteri assoluti, il comandante Giorgio Sor­ rentino; capitano di vascello, che nominerà poi « commissario civile » il cav. Emilio Dulio, azionista e delegato della « Società anonima», al quale delegherà la maggior parte degli affari e dell'autorità, riservandosi l'alto potere direttivo4s. La convenzione definitiva viene stipulata il 25 maggio 1 890 ed approvata con legge 24 dicembre 1 899, n. 466: in essa si stabilisce che la società deve assumere l'amministrazione del territorio riservandosi . 1l suo sfruttamento economico ed assumendosi l'onere di' promuovere lo sviluppo civile49. Quest'ultima funzione, come più tardi (nel maggio 1904) riconoscerà lo stesso ministro Tittoni, e da considerare squisitamente di Stato e perciò d� non delegarsi ad alcuno. Frattanto il governo Giolitti, con l'accordo di Londra del 1 3 gennaio 1 905, riscatta, mediante pagamento al governo di Zanzibar, i territori del Benadir e, conseguentemente, rescindendo la ·

:: A. MoRI, Giacomo Agnesa . � « G:li Anna!i d�ll'�frica italiana», 1 940, 3, p. 308.

Cfr L. DE CouRTEN, A mmrmstraztone colomale ztalrana del Benadir. Dalle co1npagnie commerciali : alla questzone statale (1889- 1914), in « Storia contemporanea», 1 978, 1 , p. 123. 49 Ibidem.

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convenzione con la società anonima, questi possedimenti passano sotto la diretta amministrazione dello Stato. La rescissione non sarà però priva di strascichi legali, dei quali intorno al 1 913 si occuperà anche Agnesa, all'epoca già direttore generale del Ministero delle colonie50• Nel frattempo, l'ufficio coloniale, con il regio decreto del 2 gennaio 1 902, viene elevato da « sezione autonoma» ad «ufficio autonomo »: è ora il terzo dei cinque uffici autonomi del Ministero51• Pochi mesi dopo, Giacomo Agnesa, con r.d. 2 agosto 1 902, viene «ascritto» alla 1 a classe del ruolo degli ufficiali coloniali di 1 a categoria; nello stesso anno riceve l'onorificenza di ufficiale dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e, da parte del sovrano norvegese, quella di commendatore di 2a classe dell'ordine di Vasa 52. Con l'inizio del secolo si manifesta un risveglio degli ideali coloniali, anche se ormai su basi diverse da quelle del secolo precedente. La concezione crispina di un'espansione coloniale quale mezzo per accre­ scere la grandezza della nazione viene ora sostituita da una visione del problema di natura più immediatamente socio-economica 53• Nella nuo­ va fase «l'ufficio coloniale» «non solo provvede con maggiore sicu­ rezza alle misure necessarie per completare l'organizzazione politi­ co-amministrativa delle colonie di sovranità italiana, ma imposta un programma di espansione coloniale sulle coste del Mediterraneo, favo­ risce quel moltiplicarsi di manifestazioni che, attraverso accesi dibattiti agitano nel paese il problema delle colonie, come il primo congresso coloniale tenuto ad Asmara nel 1 905, e promuove l'azione degli orga­ nismi coloniali, ai quali in quegli anni viene ad aggiungersi l'Istituto coloniale italiano» 54. Secondo questi nuovi disegni organizzativi, il 24 maggio 1 903 viene emanata la legge organica della colonia Eritrea, che dà una maggiore

50 Ibid. , p. 1 1 1 . 51 Gli altri 4 uffici sono : Ufficio diplomatico; Ufficio della cifra e del telegrafo ; Commis­

sariato generale dell'emigrazione; Ispettorato generale delle scuole italiane all'estero. 52 ASDMAE, ASMAI Persone operanti in Africa, 1879- 1925, Pos. 35, Pacco A-1 . 53 Sul problema cfr. F. NoBILI VITELLESCHI, Espansione coloniale e emigrazione, in «Nuova Antologia», 1 maggio 1 902, 1 83, pp. 106 sgg. ; Emigrazione e politica coloniale, ibid., pp. 94 e seguenti. 54 Il govemo dei territori . . cit., p. 23.

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autonomia agli organi locali, seppur all'interno di una completa di­ pendenza dal governo di Roma. La stessa legge istituisce il « c�nsiglio coloniale» e Giacomo Agnesa viene nominato membro (di diritto) dello stesso consiglio 55• Nel settembre dello stesso anno partecipa a Roma al VII congresso postale universale, in qualità di delegato dell'imperatore Menelik; e, sempre nel 1 903, è negoziatore per l'Italia dell'accordo con l'Etiopia. A distanza di un anno, nel 1 904, il re gli conferisce con motu proprio il titolo di commendatore dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Nel 1905, conclusa in Somalia la gestione della « Società anonima commerciale italiana del Benadir» (che puo' continuare a svolgere solamente un'attività economica), il governo italiano si accinge ad assumere l'amministrazione diretta della colonia. L'ufficio coloniale predispone dunque le misure necessarie alla sua realizzazione ed alla nomina dei regi commissari e comincia ad affrontare il problema del nuovo assetto politico-amministrativo, anche se dovrà passare ancora qualche anno prima di ottenere il completo inserimento della Somalia nell'ordinamento statale italiano. Contemporaneamente, nella colonia Eritrea, tra i vari provvedimenti derivati dalla legge organica del 1 903,

�INISTERO DELLE COLONIE,

55 Sul consiglio coloniale cfr. C. ScHANZER, Organi consultivi del Ministero delle colonie, in

Relazioni de/Ja VII sezione de/Ja CO!ll!l/Ìssione del dopoguerra, Roma, T1pografia della Camera dei deputati, 1919, p. 41 Tra i membri della commissione vi è Giacomo Agnesa. Il consiglio coloniale (che più tardi, grazie alla legge 5 aprile 1908 sull'ordinamento della Soma ia italiana, verrà esteso anche a questa colonia) secondo lo schema consueto degli orgaru consult �i, �i c mpone del sottosegretario di Stato per le Colonie (presidente) ; di due . m mbn ex-ofji to (il duettare centrale degli affari politici ed il commissario generale dell'im­ embro scelto dall'amministrazione della guerra e di uno scelto da quella migraziOne) ; _di u d teso o ; di altn se membri di riconosciuta competenza, nominati con regio decreto (per lo pm tra l parlamentan). Il nuovo consiglio, non ha grandi poteri, in quanto è essenzialmente un corp consultivo con carattere tecnico-amministrativo, privo di iniziativa propria e del potere d1 controllo ; ma, avendo dei parlamentari tra i suoi membri, questi possono richiamare !' attenzione delle amer su determinate questioni. Il consiglio, in effetti, rappresenta quel . . cuculto tra ammm1straz10ne coloniale e ambienti parlamentari che giocherà non poco sulle sorti della politica coloniale italiana negli anni precedenti la guerra modiale. Inoltre, il parere del consiglio è richiesto per legge per una serie di casi : per esempio nel caso in cui il governo volesse estendere alla colonia Eritrea, con le dovute riserve, le leggi ed i regolamenti del regno, o promulgarvi nuove disposizioni.

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viene emanato il r. d. 22 settembre 1 905, con il quale si rinnova l'ordinamento amministrativo della colonia e, inoltre, viene riformato il ruolo del personale coloniale dell'Eritrea. I dipendenti della prima categoria assumono la qualifica di agente coloniale e tra essi vengono scelti il direttore centrale degli affari coloniali presso il Ministero degli esteri, il commissario generale coloniale per il Benadir e, infine, il ministro plenipotenziario rappresentante italiano ad Addis Abeba 56• Agnesa viene così nominato direttore centrale degli affari coloniali. L'elevazione dell'ufficio coloniale a direzione centrale degli affari coloniali avviene non a caso durante il ministero di Tommaso Tittoni che, ministro degli affari esteri dal 1 903, è il primo dopo Crispi a dichiararsi apertamente favorevole ad una politica d'espansione. Egli «riconobbe dinanzi alla Camera» - come sostiene Mori - tutto il valore dell'opera e della collaborazione di Giacomo Agnesa»; con il suo arrivo, per l'ufficio coloniale « cessa il periodo del lavoro nell'om­ bra e nel silenzio» 57• Durante questi anni, sulla spinta della nuova campagna nazionalista, e grazie all'ausilio dell'esperienza di Giacomo Agnesa, si incomincia a preparare la strada che condurrà all'impresa libica, ma soprattutto si pone mano all'assestamento quasi totale delle colonie della Somalia e dell'Eritrea e quindi alla costituzione del Ministero delle colonie. Nel frattempo Giacomo Agnesa viene nominato, nel 1 905, consigliere della Società geografica italiana (carica che manterrà fino alla data della sua morte). La Società geografica, insieme ad altri gruppi culturali ed economici, « che avevano interesse ad un'Africa italiana» aderiscono alla conferenza coloniale di Asmara e Giacomo Agnesa, il marchese di San Giuliano e Primo Levi collaborano all'organizzazione preparatoria con Giorgio Sonnino58• Un anno dopo gli viene conferita l'onorificenza di grande ufficiale dell'ordine della corona d'Italia. In questo stesso anno viene costituito l'Istituto coloniale italiano con il proposito di incidere sulla politica estera nazionale : aderiscono all'Istituto, infatti, numerose porsonalità con esperienza ministeriale ed anche diversi funzionari del

56 IJ governo dei territori. . cit., p. 26. 57 A. Mom, GiacoJJtO Agnesa .. cit., p. 305. 58 Cfr. R.J.B. BoswoRTH, La politica estera dell'Italia giolittiana, Milano, Feltrinelli, .

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1985, p.66.


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Ministero degli affari esteri come Giacomo Agnesa 59• Con d.m. 4 luglio 1 907 viene nominato membro della commissione per la riforma dell'or­ . dinamento dei consolati all'estero, della legge e tariffa consolare: il � 9 dicembre dello stesso anno è nominato membro della commissione per il riordinamento delle scuole italiane all'estero, ed il 21 dicembre membro del Consiglio di vigilanza della scuola di studi commerciali in Roma. Nel 1908, con regio decreto del 22 marzo, diviene membro del Consiglio superiore dell'insegnamento agrario, industriale e commerciale (Ministero di agricoltura, industrie e commercio). In questi ultimi anni che vanno dal 1 908 al 191 1, la direzione centrale degli affari coloniali continua ininterrottamente il suo paziente lavoro, che porterà ad un assetto definitivo dei territori coloniali. Dopo l'emanazione della legge organica sulla Somalia italiana del 5 aprile 1 908 e del regio decreto dell'l i luglio 1 9 1 0 sul suo ordina­ mento amministrativo, la direzione si occupa degli studi che porteranno alle disposizioni riguardanti l'amministrazione della giustizia in Somalia ed in seguito al raggiungimento dell'autonomia finanziaria della stessa colonia istituisce, con il parere favorevole del Ministero del tesoro una tesoreria dello Stato con sede a Mogadiscio, «incaricata di ricevere' gli introiti e di eseguire i pagamenti per conto del bilancio dello Stato o per conto di quello della colonia». Inoltre nell'e�ercizio finanziario 1909-19 10 si ottiene un aumento, seppur . lieve, del contributo statale alla colonia e, con l'applicazione del nuovo ordinamento tariffario, con la regolamentazione della circolazione mone­ taria e del regime fondiario, si porta a termine l'organizzazione ammini­ strativa e si può pensare alla valorizzazione economica della colonia. Lo sviluppo della colonia Eritrea procede quasi contemporanea­ mente. Con il r.d. 31 gennaio 1 909 si ha una prima, anche se non definitiva, regolamentazione giuridica delle terre: si cerca inoltre di favorire il commercio tra l'Eritrea e la madrepatria con dei provvedi­ menti quali gli interventi sulla rete stradale e ferroviaria atti ad ' agevolare i collegamenti tra la colonia ed i centri dell'Et iopia nord-o ccidentale dove si trovano le agenzie commerciali. Nello stesso

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tempo si interviene per migliorare l'organizzazione sanitaria ed inoltre nella città di Asmara vengono istituiti servizi municipali e scuole governative in diversi luoghi per favorire l'istruzione60 • Nel 191 1 , all'interno della direzione centrale per gli affari coloniali, viene istituito, con d.m. 7 dicembre, un ufficio di « studi coloniali»61 • Qualche mese prima dell'istituzione dell'<mfficio studi», Giacomo Agnesa (con r. d. 1 8 giugno 1 9 1 1) viene nominato «inviato straordi­ nario e ministro plenipotenziario» di 2a classe e, con questa carica e dopo aver portato a compimento la fase organizzativa delle colonie, termina il suo lavoro all'interno degli affari esteri. Con la legge 6 luglio 1 912 n. 749, infatti, viene istituito il Ministero delle colonie, entro il quale Agnesa proseguirà il suo lavoro. Nei quasi 24 anni di ininterrotto servizio agli affari esteri, Giacomo Agnesa ha acquisito una così ampia esperienza da essere unanime­ mente considerato come uno dei maggiori esperti di cose africane. In verità, questa alta competenza gli deriva non tanto da una diretta conoscenza appresa in loco, quanto dalle dettagliate conversazioni che tutti coloro i quali si erano recati nelle colonie al loro rientro in Roma intrattenevano con lui62• La passione che egli pone nella trattazione degli affari del suo ufficio assorbe molta parte della sua vita privata della quale, data la lacunosità delle fonti, non si possono menzionare che alcuni significativi episodi, come il suo matrimonio con la contessa Callista Lovatelli. Callista, figlia del conte Lovatelli e della contessa Ersilia Caetani Lovatelli, appartiene ad una delle famiglie più in vista dell'aristocrazia romana. La madre, Ersilia Caetani Lovatelli, donna di ampia e cosmopolita cultura, fln dal periodo postunitario è l'animatrice di un mondo politico e letterario che si dà convegno nel suo salotto di palazzo Lovatelli. E sarà qui che Agnesa approfondisce la sua familiarità con

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59 Ibid., p. 68.

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60 Il governo dei territori... cit., p. 28. 61 L'ufficio ha il compito di diffondere la cultura coloniale in Italia, pubblicando studi,

memorie e monografie; nonché quello di raccogliere materiale scientifico che sarà poi utilizzato dall'ufficio coloniale. Esso inoltre incoraggia quelle iniziative e convegni dove si discutono i temi riguardanti la colonizzazione e l'emigrazione e fornisce loro ogni forma di aiuto ; sugli interventi in Somalia ed Eritrea cfr. Il governo dei territori... cit., p. 28. 62 Cfr. A.MoRJ, Giaco1no Agnesa... cit., p. 307.


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l'ambiente letterario della capitale, conosce Giosuè Carducd e, soprat­ tutto, rafforza anche fuori dell'ufficio i suoi rapporti con Ferdina1;1do Mattini, che ne è uno tra i frequentatori piu assidui. Giacomo e Callista prenderanno dimora nel palazzo della famiglia Lovatelli in piazza Campitelli, inseriti intensamente nelle rete dei rapporti sociali della famiglia e coinvolti nelle attività mondane dell'a­ ristocrazia romana. Non è arbitrario pensare che la nuova parentela abbia giovato non poco alla successiva fortuna di Giacomo Agnesa presso il Ministero, consentendogli l'accesso ormai pieno ai circoli più riservati della classe dirigente postumbertina 63. Dopo un acceso dibattito parlamentare, denso di interventi sia favorevoli che contrari, con la legge 6 luglio 1 9 1 2 viene istituito il Ministero delle colonie. Il nuovo dicastero viene affidato a Pietro Bettolini, mentre Gaspare Colosimo è chiamato a ricoprire la carica di sottosegretario di Stato. In questa fase di formazione del Ministero gli uffici vengono costituiti provvisoriamente con impiegati delle varie amministrazioni dello Stato. « La direzione centrale per gli affari coloniali, che, in vista della costituzione del Ministero delle colonie, aveva preparato studi e pro­ poste stampati nelle ben note documentazioni in rosso di quella dire­ zione64, viene ora messa alle dipendenze del nuovo Ministero ma, in un primo momento, con la denominazione di « direzione centrale per l'Eritrea e la Somalia», rimane adibita ai precedenti compiti relativi alle nostre più antiche colonie» 65. Nel frattempo Giacomo Agnesa, con d.m. 27 febbraio 1 9 1 3, viene nominato tra i membri di una commisione presieduta da Colosimo e istituita per studiare le modalità con le quali scegliere i funzionari da destinare in Libia e affrontare la questione del loro trattamento.

Il 1 9 marzo Agnesa viene nominato, con motu proprio del re, cava­ liere di gran croce e decorato del gran cordone. Con la legge 1 9 giugno 1 9 1 3, n. 800, il regio Istituto orientale di Napoli passa dalla dipendenza del Ministero della pubblica istruzione a quella del Mini­ stero delle colonie e, con d. m. 5 luglio 1 913, viene costituita una commissione per lo studio del riordinamento dell'Istituto. Il presidente della commissione è anche in questo caso il sottosegretario di Stato Colosimo e Agnesa viene nominato tra i suoi membri66. Con il r.d. 8 settembre 1 9 1 3 viene approvato il nuovo regolamento dell'Istituto orientale di Napoli. Il consiglio di aministrazione è presieduto dal marchese Emilio Nunziante e Giacomo Agnesa, insieme a Vittorio Russo, vi rappresenta il Ministero delle colonie67. Nello stesso mese Giacomo Agnesa, Alfredo Russo, Vincenzo Masi, Ignazio Guidi e Do­ nato Faggella (presidente del tribunale di Roma), con d.m. 20 settem­ bre 1 91 3, sono nominati membri di una commissione per l'applicazione dell'ordinamento. Con r.d. 5 marzo 1914 il Ministero viene suddiviso in: direzione generale degli affari politici e dei servizi relativi alle truppe coloniali; direzione generale degli affari economici e del perso­ nale; direzione generale degli affari civili e delle opere pubbliche; ragioneria. In verità già dal novembre 1 9 1 3 sembra essere presente all'interno del Ministero una prima ripartizione che viene confermata dal telegramma inviato dal ministro Bettolini a Salvago Raggi: « ha

63 Sempre nell'ambito della diplomazia, una raccolta epistolare, conservata a Roma, presso la fondazione Camillo Caetani, testimonia di un rapporto fraterno tra Agnesa e Livio Caetani, diplomatico, cugino di Callista. Alcuni passi di queste lettere sono significativi per capire la grande amicizia che legava i due uomini. 64 Il Governo dei territori. . . ci t., p. 35. 65 Ibide!JJ.

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66 Gli altri membri della commissione sono : il comm. N. Miraglia, direttore generale del

Banco di Napoli e senatore del regno; l'on. E. De Nicola; l'on. L. Caetani; il comm. Brofferio direttore generale del Tesoro ; il comm. V. Giuffrida, direttore generale del credito e della previdenza ; il comm. A. Scalabrini, direttore generale delle scuole italiane all'estero ; il comm. E. Cocchia, rettore della r. Università di Napoli; il comm. G. Magrini, traduttore del Ministero di grazia e giustizia ; il comm. G. Vitale, interprete del Ministero di grazia e giustizia; il prof. I. Guidi, della r. Università di Roma; il comm. V. Masi, direttore generale della pubblica istruzione. 67 Sulla base del r.d. 8 set. 1913 il consiglio di amministrazione deve essere composto da un presidente e altri due membri : il primo nominato con r.d. su proposta del ministro delle colonie ; gli altri due con d.m. come rappresentanti del Ministero delle colonie ; di un rappresentante degli altri dicasteri interessati : affari esteri, tesoro, istruzione pubblica ed agricoltura, industria e commercio ; di un rappresentante di ciascuno degli enti i quali abbiano stabilito a favore del bilancio dell'istituto un contributo annuo di carattere continuativo non inferiore a lire 1 0.000. I componenti sono perciò : Primo Levi, D. Sesta, F. Torraca, G. De Lorenzo, per gli altri ministeri : il barone G. Vitale, direttore del r. Istituto orientale.


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cessato di funzionare direzione centrale affari coloniali e relative trat­ tazioni sono ora ripartite per materia fra i diversi uffici del Ministero ». Tra l'altro la ripartizione descritta dal ministro è già quella che sa�à poi sancita dal decreto del 5 marzo68• Nello stesso telegramma si legge il nome di Giacomo Agnesa quale capo degli affari politici, anche se è solo con r.d. 22 gennaio 1914, n. 1 9, che egli viene incaricato delle funzioni di direttore generale con decorrenza dal 1 6 febbraio69• Con d.m. dello stesso 1 9 febbraio, inoltre, Giacomo Agnesa viene naturalmente nominato membro del consiglio d'amministrazione del Ministero assieme agli altri direttori generali 70 • Gli stessi, inoltre, con il sen. Perla, presidente di sezione del Consiglio di Stato ed il sen. Tami, presidente di sezione della Corte dei conti, sono nominati con d.m. 23 febbraio 1 9 1 4 membri della commissione presieduta da Enrico De Nicola, all'epoca sottosegretario per le colonie, incaricata di dar parere sulle nomine e sulla assegnazione degli impie­ gati ai posti compresi nell'organico dell'amministrazione delle colonie e di proporre la relativa graduatoria. Il 1 9 marzo cade il ministero Giolitti e Bettolini lascia le colonie. Con il nuovo ministero Salandra il dicastero viene affidato proprio a Ferdinando Martini. Agnesa, quale direttore generale degli affari politici, ma soprattutto grazie al rapporto personale che lo lega al Martini, svolge in questi anni l'importante ruolo di collaboratore del ministro. Ne sono testimonianza le annotazioni sul diario di Mattini, tra il 1 9 1 4 e il 1 91 8, dove il funzionario sassarese viene più volte citato 71•

A dimostrazione del rapporto di fiducia esistente tra i due, si legga per esempio la pagina del 26 novembre 1 914: «Un altro messo di Enver Pascià questo signore: il quale viene a dire che se la Turchia metterà piede in Egitto, l'Italia non avrà alcun danno da ciò: soggiunge a nome del khedive che questi desidera sapere in qual modo può corrispondere sicuramente con me. Tutto ciò detto al comm. Agnesa che ha ricevuto questo signor Yakan il quale io desidero di non vedere. È del resto un intrigante conosciutissimo». Ed ancora, il 6 dicembre 1 914: «che se egli Kalid Rascid tornerà dopo aver parlato con Ahmed El Scerif e mi porterà proposte di costui le esaminerò. Faccio assistere al colloquio il comm. Agnesa» 72• La direzione guidata dall'Agnesa mette quindi al servizio del go­ verno l'esperienza accumulata sulle questioni coloniali e si occupa di coordinare l'azione del ministro nell'organizzazione della colonia, in­ dividuando i problemi degli indigeni e dei nazionali, nonché i rapporti tra le colonie e la madrepatria. Il principale compito che svolge questo organismo è comunque quello di « dispiegare anche quell'attività am­ ministrativa che, mirando alla conservazione dello Stato viene da una parte della dottrina denominata attività politica o di governo» 73• Di concerto con il ministro degli esteri, la direzione generale si occupa inoltre delle questioni internazionali riguardanti le colonie e dell' orga­ nizzazione delle forze armate e per la difesa dei territori coloniali 74• Con

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68 ASDMAE, A SMA!, Persone operanti in Africa 1879- 1925, Pos. 35, Pacco A-1, tele­

gramma spedito 8-1 1 -1913. 69 Vedi «Bollettino ufficiale del Ministero delle colonie», 1914, 1. 70 Gli altri direttori sono : il comm. Riveri, direttore generale degli affari civili e opere pubbliche; il comm. Bodrero degli affari economici e finanziari; il comm. Niccoli, che tratta gli affari riguardanti il personale. 71 F. MARTIN!, Diario 1914- 1918, Milano, Mondadori, 1966. Di particolare rilievo è anche l'attività di studio e di sistemazione tecnica dei problemi coloniali svolta da Agnesa : nel corso della sua carriera egli collabora intensamente all'attività di elaborazione dell'ufficio coloniale e poi del Ministero. Dal 1906 al 1909 pubblica la collana intitolata Trattati, Convenzioni, A ccordi, Protocolli ed altri documenti relativi all'Africa (1895- 1908), interamente da lui curata. Nel 1907, cura un nuovo interessante lavoro su L'Africa Italiana al Parlamento Nazionale 1882-1905, sunto di

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tutte le discussioni, interpellanze ed interrogazioni parlamentari riguardanti le colonie italiane in Africa, con sua prefazione; nel 1908 viene pubblicata una raccolta di Leggi, decreti, ordinanze, atti, relativi alle colonie italiane in Africa (Eritrea e Somalia) 1882- 1905, Roma, MAE, 1908, testo fortemente nuovo, per contenuto ed impianto, nella tradizione delle pubblicazioni coloniali italiane. Nel 1911 la direzione centrale degli affari coloniali, guidata da Agnesa, redige infine una Raccolta di pubblicazioni coloniali italiane consistente di un primo indice bibliografico comprendente tutte le opere pubblicate sulla materia coloniale. Agnesa ha scritto inoltte le prefazioni di alcune opere riguardanti le colonie dopo averne egli stesso promosso la pubblicazione (cfr. A. MoRI, I corpi consultivi dell'amministrazione coloniale negli stati d'Europa, Roma, C. Colombo Tipografia della Camera dei deputati, 1912; e G. CIAMARRA, La giustizia nella Somalia, Napoli, Giannini, 1914). 72 Ibid., p. 273 ; la sottolineatura è la mia. 73 Il governo dei territori. . . cit., p. 57 : «tale funzione comportò la valutazione delle esigenze, proprie delle popolazioni indigene e del nucleo di colonizzatori nazionali e la responsabilità di influire su di esse in vista del superiore interesse della società nazionale reppresentato dallo Stato, dispiegando le attività necessarie per subordinare a tale interesse il comportamento delle due comunità». 74 Ibidetn.


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r. d. 14 giugno 1914. Agnesa viene nominato consigliere . dell'ordine coloniale della Stella d'Italia, e con r.d. 8 ottobre membro di una reale commissione per il regime monetario nelle colonie, presieduta dal diret­ t�re generale della Banca d'Italia, Stringher 75• Nello stesso anno gli v1ene conferita un'ultima onorificenza, quella di grande ufficiale dell'or­ d�ne dei S � . Maurizio e Lazzaro. Nel 1 91 5, con d.m. 7 giugno, Agnesa v1ene nommato membro di una commissione incaricata di esaminare lo schema di statuto organico per l'Unive�sità israelitica di Tripoli e di esprimere un parere al riguardo 76, ed è in questi anni che, sempre con l'ausilio della direzione generale degli affari politici, si adottano i primi p :o:v:d�e�ti ?olitici verso la comunità israelitica di Tripoli e vengono disc1phnat1 1 tnbunali rabbinici Con il conflitto mondiale la direzione generale svolge un ruolo importante, adottando le misure riguardanti «le persone ed i beni nemici nelle colonie» ed inoltre quelle che portano al r.d. 22 agosto 1 91 5, col quale sono abrogate «le norme che riconoscevano nella persona del Naib es-Sultan la rappresentanza del sultano come califfo e sottrassero la nomina del qadi della Libia allo scekh al-Islam» 78. L'i�pegno di Giacomo Agnesa sulle questioni coloniali è sempre magg10re, ed è in questi anni che diventa nota la «foga con cui s �steneva l'incremento dell'espansione coloniale italiana»; questa pas­ slOne non verrà eguagliata da alcuno neppure nei successivi anni del più acceso nazionalismo 79• Il ministero Salandra, che aveva portato il paese in guerra promet­ tendo un breve conflitto, cade nel 1 9 1 6, sostituito dal governo Boselli.

Colosimo assume ora la carica di ministro delle colonie, che manterrà anche durante il ministero Orlando, fmo al 1919. Nel 1 9 1 8, con d.m. 26 marzo, viene istituita presso il Ministero una commissione per lo studio delle modificazioni da introdurre nell'ordi­ namento didattico ed amministrativo del regio Istituto orientale di Napoli. La commissione, presieduta dal sottosegretario di Stato per le colonie conte Piero Foscari, vede la partecipazione di Agnesa 80• Intanto l'imminenza della fine della guerra determina la necessità di emanare nuovi provvedimenti per il passaggio allo stato di pace; perciò con decreto luogotenenziale del 30 giugno 1 9 1 8 viene costituita una commissione presieduta da Vittorio Emanuele Orlando e articolata in due sottocommissioni: la prima tratta «lo studio delle questioni giuri­ diche amministrative e sociali» ed è presieduta dal sen. Vittorio Scia­ loja; in essa nella settima sezione, nella quale devono essere studiate le « questioni coloniali», viene nominato Giacomo Agnesa 81• Come sostiene Colosimo nel discorso di inaugurazione dei lavori, «è la prima volta che una commissione nominata dal governo si occupa specialmente di affari coloniali» e ciò - aggiunge - « è significativo, e segna un indirizzo ». Nei lavori della commissione Giacomo Agnesa non risulta tra i relatori, ma esiste una sua circostanziata relazione sui problemi e le funzioni del Ministero delle colonie82• Nel sottolineare le attribuzioni del Ministero specie « sulle questioni politiche e diplomatiche», Agnesa pone in evidenza le deficienze organizzative ed amministrative verificatesi nel corso degli anni e che,

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n.

75 Fanno parte di essa : il cav. Bodrero ; il comm. Brofferio ; il prof. Flora, ordinario di . scienza delle finanze nella r. Università di Bologna, il prof. Graziani, ordinario di economia politica nella r. Università di Napoli; il comm. Rossetti, docente di storia e politica coloniale nella r. Università di Padova nonché vicedirettore generale del Ministero delle colonie. . 76 Gli a ltn n:embn· sono : on. L. Romanin-Jacour, presidente ; comm. prof. F. Scaduto, . . _ . ordmano dt dmtto ecclesiastico nella r. Università di Roma; comm. A. Sereni, presidente de !� Università israelitica di Roma; comm. C. de Camillis, vicedirettore generale del M1mstero delle colonie; cav. G. Rosso, primo segretario del Ministero delle colonie ' segretario della commissione. 77 D.l. 26 ago. 1916, n. 1 145 ; cfr. Il governo dei territori... cit., p. 58. 78 Ibid., p. 59. 79 Cfr. R. ]. B. BoswoRTH, La politica estera ... cit., p. 139.

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80 Gli altri membri sono : sen. G. De Martino, governatore Eritrea ; C. Cerrina Feroni, governatore della Somalia ; prof. on. E. Ciccotti; comm. S. Contarini, ministro plenipotenzia­ rio, direttore generale del Ministero degli esteri ; cav. C. Riveri, direttore generale Ministero colonie; cav. P. Bodrero; cav. N. Vacchelli col. stato maggiore; cav. A. Levi Bianchini, capitano di fregata; comm. G. Filippi, direttore generale Ministero istruzione, prof. C. A. Nallino, docente di istituzioni mussulmane Università di Roma ; marchese E. Nunziante, presidente consiglio di amministrazione r. Istituto orientale di Napoli; prof. Beguinot, titolare di berbero e direttore degli studi del r. Istituto orientale di Napoli. 81 Gli altri membri sono : C. Schanzer, presidente; ing. E. Aymone; on. E. Artom; avv. P. Bodrero ; avv. A. Corsi; on. G. de Felice Giuffrida ; sen. I. Guidi ; prof. G. Mondaini ; prof. C. A. Nallino ; prof. O. Pedrazzi ; dott. G. Piazza ; avv. C. Riveri ; sen. G. Salvago Raggi; prof. D. Santillana ; col. C. Vacchelli. 82 ASDMAE, A SMA I, Pos. 173/2, f. 15, Istituzione del Ministro delle colonie. Fusione dei moli coloniali. Prestito all'Eritrea.


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naturalmente, si sono aggravate nel corso della guerra. Per c�o che riguarda l'azione diplomatica, egli ritiene indispensabile, in vista d.ella pace, stabilire « contatti» con il «mondo coloniale europeo» e· con l'amministrazione degli esteri e con quest'ultimo Ministero dare «nuova vita di intima collaborazione» per « emancipare le amministrazioni coloniali da quelle del Ministero della guerra» creando così «un esercito coloniale indipendente da quello della madrepatria» unificando «tutta l'amministrazione delle truppe presso il Ministero delle colonie». Al contrario, si dovrebbe «escludere in modo assoluto il passaggio dal Ministero degli esteri del servizio dell'emigrazione e delle scuole all'estero al Ministero delle colonie, il che costituirebbe «per opposte ragioni» fonte di <mna debolezza delle due amministrazioni»83• Notevole è l'attenzione che Agnesa presta al regio Istituto orientale di Napoli (del quale si ricordi la sua appartenenza al consiglio dell'ammini­ strazione), che assieme ad altri istituti statali liberi non è sufficientemente utilizzato - lamenta - per garantire una preparazione tecnica del personale delle colonie e degli esteri, specie per quanto attiene le materie coloniali e linguistiche; egli chiede perciò che sia resa «obbligatoria la frequenza dell'Istituto ai funzionari delle amministrazioni destinate oltre mare». Concludendo la relazione, Agnesa sottolinea la necessità di «orga­ nizzare una fitta rete di informazoni coloniali in Africa, Asia ed anche in Europa, perché anche all'interno delle colonie italiane, la circolazione delle notizie è molto rallentata. Egli auspica inoltre l'istituzione « su basi nuove, secondo le esigenze delle varie colonie» di «un forte corpo consultivo con finalità amministrativo-economica e mussulmana, con­ servando quello centrale consultivo misto al quale partecipano indige­ ni», il che consentirebbe di gettare «le basi di una buona preparazione obbligatoria per gli istrumenti della nostra azione coloniale»84• Giacomo Agnesa muore a Roma 1'8 maggio 1919. Ha 59 anni85•

83 Ibidem. 84 Ibidem. 85 I necrologi per la morte di Giacomo Agnesa appaiono su numerosi giornali romani

e nazionali. Si leggono commemorazioni su: «il Giornale d'Italia», « L'Idea nazionale», «<l Mattino», «<l Tempo», «<l Messaggero», il « Corriere della Sera», « La Tribuna» ad altri giornali ancora, tra cui «La Nuova Sardegna», quotidiano di Sassari, città natale di Agnesa, Particolare messo in rilievo in tutte le cronache, Agnesa muore a palazzo Chigi, dove è colto da un improvviso malore mentre attende al suo lavoro d'ufficio.

IV

ECONOMIA E SOCIETÀ


SERGIO MINERBI

Tentativi territorialisti ebraici zn Tripolitania ed in Etiopia

Gli ebrei tra Sionismo e territorialismo La triste situazione degli ebrei dell'Europa orientale, e specialmente di quelli russi, rafforzò alla fine del XIX secolo il tradizionale anelito ebraico verso la Terra santa con la quale i legami non si erano mai interrotti. Teodoro Herzl (1860-1904) seppe trasformare una tendenza vaga, sebbene assai diffusa, in un movimento politico di liberazione nazionale : il sionismo. Egli pubblicò nel febbraio 1 896 uno scritto, Der Judenstaat (Lo stato ebraico), nel quale gettava le basi per uno Stato che avrebbe dato una soluzione all'assillante problema del proletariato ebraico in preda alla miseria e perseguitato dagli antisemiti. Il sogno si sarebbe realizzato in Palestina, acquisita con una concessione in piena regola ottenuta per i canali diplomatici. Il 29 agosto 1 897 a Basilea si riunì il primo congresso sionistico, che trasformò le idee di Herzl in un movimento politico organizzato e continuò a rmmrs1 in quell'epoca annualmente. L'attività principale era diretta ad ottenere «per il popolo ebraico un focolare (home) in Palestina riconosciuto pubblicamente ed assicurato legalmente» grazie tra l'altro ad incontri con le più alte personalità politiche dell'epoca per riceverne l'appoggio. Lo stesso Herzl però era molto preoccupato di trovare delle soluzioni immediate alla miseria dei nove decimi della popolazione ebraica di allora che tentava dispe­ ratamente di emigrare verso lidi più accoglienti. Herzl riconobbe fin dal 1 898 la necessità di fornire un aiuto immediato alle masse ebraiche; nell'ottobre 1 902 fu ricevuto da Joseph Chamberlain, ministro britan­ nico delle colonie, e dal ministro degli esteri lord Lansdowne coi quali discusse un piano di colonizzazione ebraica ad El Arish, alla frontiera tra Egitto e Palestina. L'anno successivo il progetto fallì per


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mancanza di risorse idriche e gli inglesi suggerirono l'Uganda per impiantarvi una colonia ebraica. L'idea fu sottoposta da Herzl al . sesto congresso sionistico, nel 1 903, e la maggiore opposizione venne pro­ prio dagli ebrei russi, sebbene Herzl avesse· sottolineato che l'Uganda non sarebbe mai diventata Sion 1• I sanguinosi pogrom di Kishinev del 1 903 resero ancora più urgente il problema di trovare un asilo per gli ebrei russi. Teodoro Herzl fu ricevuto, insieme a Felice Ravenna di Ferrara, da Vittorio Emanuele III a Roma, il 23 gennaio 1 904. Dai diari di Herzl apprendiamo che l'incontro fu molto cordiale; il re ricordò la sua visita in Palestina nel 1 900; Herzl lanciò l'idea di dirigere in Tripoli­ tania l'eccesso di emigranti ebrei che non avrebbe trovato posto in Palestina, sotto le leggi e le istituzioni liberali dell'Italia 2• L'idea di una colonizzazione ebraica in Tripolitania era sorta già nell'anno precedente, quando Herzl si era interessato presso Ravenna della situazione italiana a TripolP. Ma il re obiettò che la Tripolitania apparteneva ancora ad altri ed Herzl rispose che la sparizione della Turchia sarebbe comunque avvenuta un giorno. Herzl morì pochi mesi dopo, il 3 luglio 1 904, a quarantaquattro anni, e non poté così assistere al settimo congresso sionistico, nel 1 905, che bocciò definitivamente il piano dell'Uganda. Lo scrittore ebreo inglese, Israel Zangwill, che aveva appoggiato le idee di Herzl ma sentiva fortemente l'urgenza di una soluzione, abbandonò l'orga­ nizzazione sionistica in seguito alla decisione negativa sull'D ganda, e fondò la Jewish Territorial Organization (IT0)4• Lo scopo dell'ITO, in antitesi al sionismo politico che era impegnato unicamente per la Palestina, era quello di «procurare un territorio su una base autonoma

1 W. LAQUER, The History of Zionism, New York, Rinehart and Winston, 1 972, pp. 84-128. 2 T. HERZL, Pagine scelte dai diarii di Teodoro Herzl, in «La Rassegna mensile di Israel», 1956, pp. 229-31 0 ; S. MINERBI, L'Italie et la Palestine, 1914-1920, Paris, P.U.F., 1970, p. 52. 3 U. N AHON , Le lettere di Teodoro Herzl a Felice Ravenna, in «La Rassegna mensile di

Israel», 1960, 6, pp. 235-256. Lettera di Herzl a Ravenna del 17 ottobre 1 903. 4 Israel Zangwill (1864-1926) scrisse vari romanzi sulla situazione degli ebrei in Europa orientale; nel suo Drea1ners oj the Ghetto (1 898) descrisse il primo congresso sionistico al quale aveva partecipato ; si riconciliò col sionismo nel 1917 ed appoggiò la dichiarazione Balfour. La ITO fu sciolta nel 1 925.

per quegli ebrei che non possono o non vogliono rimanere nei paesi nei quali vivono attualmente ». Il progetto dell'Dganda fu abbandonato anche da Zangwill, poiché le colonie ebraiche avrebbero dovuto godere di una piena autonomia e basarsi esclusivamente sul lavoro personale degli ebrei, mentre egli temeva che in U ganda ci fosse il rischio che si basassero sul lavoro dei neri. Un comitato geografico dell'ITO studiò il Surinam nel 1 905, e nel 1 908 inviò una spedizione m Cirenaica, della quale trattiamo dettagliatamente qui di seguito. La spedizione dell'ITO in Cirenaica (1908) Quando la ITO decise di esaminare il progetto di insediamento ebraico in Cirenaica, questo paese era del tutto ignoto. Nella sua prefazione al rapporto finale della spedizione5, lo scrittore Israel Zan­ gwill attribuisce l'ignoranza generale alle difficoltà che il governo turco sollevava agli europei desiderosi di visitare l'interno della Cirenaica. Anche il sen. Giacomo De Martino nel suo libro del 1 908, Cirene e Cartagine, scriveva che sebbene la Cirenaica fosse ad un passo dal­ l'Europa, la Turchia aveva preferito segregarla dal mondo. Non si poteva attraversare la Cirenaica senza un iradè (decreto) raramente accordato ; i pericoli erano reali e per queste ragioni non era mai stata fatta un'esplorazione scientifica del paese. L'impressione era che la Cirenaica fosse un paese con un magnifico passato classico ed ebraico ; « caduta in disgrazia per ragioni storiche e lasciata derelitta dal malgo­ verno turco, mancante di popolazione salvo pochi nomadi, aveva solo bisogno di capitali, lavoro e scienza moderna per essere ristorata all'antico splendore». In passato rivaleggiava con Cartagine per la sua importanza commerciale e con l'Egitto per la fertilità del suolo ; anche il prof. Gotthold Hildebrand, che nel 1 904 aveva pubblicato una ricerca sulla Cirenaica come regione di futura colonizzazio6, riteneva

s J. W. GREGORY, Report on the work oj the Commission sent out by the ]e1vish Territorial Organization under the auspices of the Govemor-General of Tripoli to examine the territmy proposedfor the purpose oj a Jewish settlei!Jent in Cyrenaica, London, ITO Offices, King's Chambers, 1909. 6 G. HILDEBRAND, Cyrenaika als Gebiet Kmiftiger Besiedelung, 1904.


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che fosse una regione «brillantemente dotata dalla natura» the avre potuto ospitare milioni di europei. La vicinanza all'Europa la ren�bbe adatta alla colonizzazione ebraica sia per i bassi costi di trasporto eva per i legami che si sarebbero mantenuti con la cultura e l'ebr sia aismo europei. Scrive Zangwill : « sarebbe davvero difficile trovare una terra più adatta per la sua prossimità alla Russia e Rumania, i principali centri della persecuzione e l'emigrazione ; al Mediter­ raneo, la grande strada ; o alla Palestina, il centro del sentimento ebraico ( . . .) Per i territorialisti la Cirenaica è superiore alla Palestina proprio perché non è santa. Non è qui che si concentrano le rivalità delle tre grandi religioni e le gelosie di innumerevoli sette. È anche di molto superiore alla Palestina per la scarsità della sua popolazione e quella delle regioni vicine; tutta [la] Tripoli[tania] con le sue 400.000 miglia quadrate, contiene solo una popolazione di circa un milione, dei quali non pochi ebrei, così che una preponderanza di influenza ebraica potrebbe essere assicu­ rata con relativa facilità da un'immigrazione costante» 7.

.

Inoltre gli ebrei non avrebbero sollevato sospetti da parte dei turchi, mentre non era innaturale che la Turchia avesse timore dell'Italia e delle sue ambizioni agricole e commerciali sebbene, a giudicare dalla posizione degli ebrei, «non ci sia paese che pratichi di più la civiltà ed il progresso a casa sua». I negoziati per una colonizzazione ebraica in Cirenaica erano co­ minciati nel 1906 per merito del prof. Nahum Sloush, di Parigi, un archeologo che si era recato in quella regione ed aveva preso contatto col maresciallo Redjeb Pasha, governatore turco di Tripoli, che vi godeva di una posizione quasi di viceré. Dalle conversazioni avute, Sloush ebbe l'impressione che Redjeb Pasha fosse un amico devoto del popolo ebraico; egli riteneva il progetto della Palestina senza speranza, mentre a Tripoli ebrei e turchi potevano rendersi reciproci servizi. Redjeb Pasha immaginava un'agricoltura ebraica, lo sviluppo del commercio e dell'industria, l'inizio di imprese di ingegneria, la creazione di grandi porti, ed una flotta commerciale ebraica nel Medi­ terraneo. Gli ebrei avrebbero goduto di un'indipendenza fiscale e reli­ giosa e praticamente di un autogoverno. (Probabilmente si sarebbe 7

..

Drea111ers of the Ghetto . cit.,

p.

VII.

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applicato il regime del millet, ben noto nell'i�pero ott,omano). Fin dal _ 8 e, nell allarme generale 1 907 il Banco di Roma si era stabilito a Tr1poh altro segno della penetrazione italiana, . fu ?fferta una conce�per . unall'ITO per aprire due banche, una a Tnpoli ed una a Bengasl. swne Zangwill fu sollevato nel leggere la dichiarazione uffic1· a1e d"l T";tto�l· al Parlamento italiano del 4 giugno 1908, secondo la qua�e l Ita!l� _ del do�l l avrebbe assolutamente rispettato l'integrità territonale � ottomani e non aveva alcun disegno sulla Tripolitania : questo ehm1� nava una possibile complicazione sul cam�ino �ella ITO. Le gr�nd1 potenze si disinteressavano alla regione; . l In�hi.lter�a avrebb � v1st� con simpatia la creazione di una coloma d1 nfugw per g�1 ebre� dell'Europa orientale, in qualsiasi regione fosse situata. I turchi non sl limitarono ad offrire concessioni per le banche; p�opose�o anc�e �h� l'immigrazione ebraica dalla Russia cominciasse s�b:to al ntmo �l d1ec1 0 venti famiglie ogni poche settimane. Le cond1z1?n�_ geografiche_ ed i fattori politici sembravano favorevoli �d i negoz1at1 con la subhme Porta avrebbero dovuto aver inizio sub1to. Ma prevalsero invece i cons1g · 11· d"l prudenza. L'americano Oscar Straus scrisse: « Ritengo un'accurata esplorazione preliminare un sine qua non. È una tremenda responsabil1. t'a di chiedere a persone che si fidano del vostro carattere e del vostro . giudizio di andare in un paese lontano, senza esegu re pnma quell' esp1orazione . accurata e competente che l'importanza del soggetto richiede».

Fu perciò deciso dalla ITO di inviare una spedizione d'inchiesta, diretta dal professore di geologia John W�lker Gregory (1864�1�32), esploratore, autore e scienziato. Mentre s1 preparava la �pe�1z10�e: Zangwill prese contatto col prof. Arminius Vambery, dell �mvers��a di Budapest, che aveva presentato Herzl al s�ltan� . Il p1an? �e a _ Cirenaica gli sembrava più facilmente reahzzab1le �l quello swmsta, poiché non c'era pericolo di collisione c?l fanatlsm� mussulmano e cristiano. Egli comunicò il progetto al pnmo segretano del sultano, 8 Sul Banco 1907 al 1911 e pp. 1 02-11 8.

'

ica italiana in Libia dal di Rorna a Trl.po]1· v · R· MoRI La penetrazione. .pacif . . . · 1 957, 24, · <<Ri"vista di studi pollt1C1 mternazmnali» ·1 Banco d"1 Rotna, m

1


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Tahsin Pasha, e propose che il sultano riconoscesse gli ebrei come suoi vassalli, accordando loro l'autogoverno e si accontentasse. di un tributo annuo riscosso da essi stessi. Ma nel frattempo scoppiò la rivoluzione in Turchia e Tahsin Pasha scappò ; Redjeb Pasha fu nominato ministro della guerra nel nuovo gabinetto turco, ma una settimana dopo essersi imbarcato da Tripoli per Costantinopoli, morì. Come se queste vicissitudini non bastassero giunse il rapporto della spedizione a dare il colpo di grazia al progetto della Cirenaica : esso dimostrava che quel paese per mancanza d'acqua non poteva mantenere una grande popolazione. Il miglioramento dell'approvvigionamento idrico della Cirenaica era una questione molto dispendiosa; ma se la Cirenaica mancava d'acqua il suo terreno era ottimo, il clima salubre, la temperatura piacevole, il paesaggio attraente e la posizione superba. Il rapporto migliorava la posizione politica, secondo Zangwill, poiché l'Italia sarebbe stata meno propensa a rico­ struire una terra cosi difficile. Ma il consiglio dell'ITO decise di non intraprendere nessuna azione supplementare poiché la Cirenaica non sembrava offrire vantaggi tali da giustificare gli esperimenti costosi suggeriti nel rapporto. Il prof. Gregory aveva demolito il mito delle glorie passate e dell'enorme popolazione che avrebbe abitato la Cire­ naica nell'antichità ed aveva riportato importanti collezioni archeolo­ giche, botaniche e geologiche sulla regione.

rono il paese in .quell'epoca ne trassero un'impressione opposta a quella di Gregory. Il geografo Minutilli ed il geologo Vinassa de Regny

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Insegnamenti del rapporto Gregory Il �apporto completo della spedizione capeggiata da Gregory fu pubblicato a Londra nel gennaio 1 909 ; esso comprendeva una parte generale scritta da Gregory stesso ; un capitolo agricolo di J. Trotter; un capitolo sull'acqua di R. Middleton, un rapporto medico del dott. Eder, ed un'appendice storica del prof. N. Slousch. Per l'epoca era quanto di più serio si potesse scrivere sulla Cirenaica ' s1a per la competenza dei partecipanti alla spedizione, sia per la possibilità che avevano avuto di visitare la zona. Ma a quanto pare il rapporto non fu conosciuto in Italia, né forse avrebbe cambiato le idee basate più su un'ideologia nazionalista che su un esame serio della situazione in loco. Gli scienziati ed i giornalisti italiani che visita.

« accennavano a ricchezze agrarie e minerarie, favoleggiavano sulla antica prospe­ rità dell'altipiano cirenaico e sulle abbondanti falde d'acqua a qualche metro dalla superficie nella regione tripolina»

9.

Enrico Corradini visitò il paese nel 1 9 1 1 ed al ritorno scrisse : « Altro che deserto! Siamo in terra promessa. Secondo lui c'è certezza ( ... ) che esista nel sottosuolo tripolitano un'acqua abbondante». Altri come Salvemini ed Einaudi furono ben più pessimisti, ma sembra che ormai qualsiasi dibattito oggettivo fosse divenuto impos­ sibile. Del resto lo stesso Gregory cambiò opinione in una certa misura nel 1 9 1 6 ; egli scrisse che la zona offriva delle possibilità per gli italiani che erano pronti a spendere milioni per la conquista e non avrebbero lesinato qualche milione per i lavori necessari per l'adduzione d'acqua, le strade, le ferrovie, i porti e l'afforestamento. Ma avevano capito che la colonia avrebbe fornito più benefici politici che commerciali 10• In altre parole la Cirenaica, da un punto di vista strettamente economico, non valeva molto e quindi non era consigliabile per una colonizzazione ebraica priva di grandi mezzi; per l'Italia, che aveva evidentemente delle mire politiche e poteva permettersi investimenti ben più importanti, la cosa era forse diversa. Il progetto di insediamento ebraico in Etiopia Molti anni dopo sorse di nuovo, in circostanze ben più gravi, l'idea di installare gli ebrei in Africa, ma questa volta in Etiopia 1 1 • L'avvento

Milano, Bompiani, 1977, p. 26. 47, v. anche C. G. SEGRÈ, 1916; », 10 J . W. GREGORY, Cyrmaica, in «Geographical Journal University of Chicago The , -London Chicago Lilrya, f o Fourth Shore. The Italian Co!onization ITO, nel 1 912, in della e mission un'altra di capo a fu Gregory stesso Press, 1 974. Lo ]ewish Territorial the lry out seni ion Angola; J. W. GREGORY, Report 011 the JJJork oj the Commiss 9

S.

RoMANO, La quarta sponda. La guerra di Libia, 1911- 1912,

the territOI')' proposed for the Organization under the a11spices of the Portuguese Govemment to exaJJJÙJe 1913. Offices, ITO , London Angola, in t settlemen purpose of a jeJvish 1 1 Vedi S. MINEREI, Il progetto di 1111 insediaiJlento ebraico in Etiopia, 1936- 1943, in « Storia contemporanea», 1 986, 6, pp. 1083-1 137.


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di Hitler al potere in Germania nel 1 933 creò un pericolo imminente per gli ebrei tedeschi dapprima ed europei in seguito ; diveniva quindi nuovamente urgente trovare un asilo qualsiasi. In un primo tempo ci furono delle iniziative da parte di ebrei la cui rappresentatività non è chiara : così un certo Moses Lehman di New York scrisse nel novembre 1934 a Mussolini per sottoporgli un pro­ getto di immigrazione ebraica nelle colonie italiane d'Africa. «Tutti i mezzi monetari» - scrive Lehman - « saranno investiti dalla Associa­ zione costruttrice ebraica. ( . . . ) Tutte le merci, il macchinario, gli utensili debbono venire dall'Italia » 12• Si trattava insomma di una specie di cooperazione internazionale ante litteram, che avrebbe permesso di pagare in valuta l'esportazione di macchinari italiani. Ma la risposta del Ministero degli esteri fu del tutto negativa e chiese di chiarire al Lehman come : « non sia possibile favorire una sistematica immigrazione straniera nelle colonie italiane, le quali, per la nota ristrettezza delle zone valorizzabili in esse contenute non bastano neppure ad accogliere i numerosi immigranti italiani che vorrebbero recarvisi» 1 3.

Si era ormai alla vigilia della conquista dell'Etiopia che ebbe inizio il 2 ottobre 1 935 e si concluse con la proclamazione dell'impero il 9 maggio 1 936. Naturalmente le pressioni naziste sugli ebrei tedeschi da un lato e la recente conquista dall'altro, riaccesero le speranze di trovare un rifugio per gli ebrei perseguitati. L'8 maggio 1 936, il dott. Felix Falk, ex redattore del «Berliner Tageblatt» rifugiatosi all'Aja, propose di inviare da mille a quattromila ebrei in Etiopia potendo contare su prestiti di banche americane 14. Il Ministero dell'Africa italiana, consultato, suggerì di «lasciare cadere

1 2 ARCHIVIO STORICO DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (d'ora in 1935, pos. 1-6, fase. 10. Lettera, in italiano, di Moses Lehman (New

poi ASMAE], Palestina, York) a S. E. il capo del

governo, 20 novembre 1934. 1 3 Ibid., telespresso n. 208224 di Suvich (Roma) al Consolato generale (New York), 15 marzo 1935. 1 4 Ibid., Etiopia, Fondi di guerra, pos. 107 (1936), fase. 12; Monaco (l'Aja) al Ministero degli esteri (Roma), 8 maggio 1936; citato da A. DEL BocA, Gli italiani in Africa orientale, III, La caduta defi'Impero, Bari, Laterza, 1982, p. 268.

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l'iniziativa». Il 14 maggio intervenne l'ex presidente del Senato belga, il ministro di Stato Magnette, che propose di offrire tutta o parte dell'Etiopia alla colonizzazione ebraica 1 5• Le iniziative da parte ebraica erano sporadiche, non avevano l'appoggio di nessuna organizzazione ufficiale ed in ogni caso si urtavano contro la posizione comune del Ministero degli esteri e del Ministero dell'Africa italiana che erano contrari all'immigrazione ebraica nelle colonie. Nello stesso tempo però cominciarono delle azioni che andavano nello stesso senso ma ebbero inizio proprio dalle autorità italiane, come espone il prof. Richard Pankhurst in un ottimo saggio sull'ar­ gomento 16• Così il direttore dell'Istituto nazionale delle assicurazioni a Vienna, Robert Auer, incontrò il dott. E. M. Zweig, un sionista, chiedendo se sarebbe stato utile di installare un gran numero di ebrei in Etiopia, con l'iniziativa ed i capitali ebraici ed «un'autonomia locale importante alle colonie ebraiche». Zweig scrisse subito a Moshè Sher­ tok ed a Chaim Weizmann, che erano a capo dell'organizzazione sionistica; successivamente un giornalista legato all'ambasciata d'Italia a Vienna, Berger, disse a Zweig che Mussolini era pronto a «permet­ tere a 1 00.000 ebrei di entrare in Abissinia ogni anno per i prossimi tre anni» 17• La cosa non ebbe seguito e non sappiamo se ciò fosse dovuto all'incredulità dell'organizzazione sionistica o piuttosto al fatto che le proposte in questione erano ancora premature. Molto più serio fu l'approccio del luglio 1 936 del cap. Dadone con un rappresentante dell'agenzia ebraica al Cairo ; Dadone, definito capo della propaganda italiana in Egitto, spiegò che gli ebrei non avrebbero mai ottenuto la Palestina appoggiandosi sugli inglesi. Riecheggiavano nei suoi propositi le parole di Mussolini a Weizmann nel febbraio 1934 sulla necessità di costituire lo « Stato di Sion» 18 ; secondo Dadone gli italiani si sarebbero posti come obiettivo la creazione di uno stato

1 5 Ibid., Magnette (Liege) a Vannutelli-Rey (Bruxelles), 14 maggio 1936. 1 6 Vedi R. PANKHURST, Plans for Mass jeJI!ish Settlement in Ethiopia (1936- 1943), in «Et­ hiopia Observer», 1973, 4, pp. 235-245. 1 7 ARCHIVIO SIONISTICO CENTRALE, Gerusalemme (d'ora in poi ASION] S25f9829, Rapporto di Zweig (Vienna) sulla conversazione del 14 maggio 1936. 18 Vedi S. M1NERBI, Gli ultimi due incontri Weizmann-Mussolini (1933-1934) , in «Storia contemporanea», 1974, 3, pp. 431-477.


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ebraico in Palestina, mentre avrebbero preso per sé l'Iraq e la · Siria. Nel frattempo gli italiani volevano che gli ebrei si stabilissero· nella zona del Goggiam (a sud del lago Tana) in Abissinia, sia per aiutare gli italiani a consolidare le loro posizioni, sia per promuovere- la simpatia ebraica verso l'Italia 19• Questa volta l'organizzazione sionistica attribuì una grande impor­ tanza alle proposte di Dadone sia perché egli rivestiva una veste ufficiosa, sia perché quasi simultaneamente erano giunte notizie simili dal marchese Theodoli, presidente della Commissione permanente dei mandati a Ginevra, noto diplomatico italiano. Egli aveva incontrato Nahum Goldmann nel giugno 1 936 e gli aveva parlato di uno Stato ebraico « che l'Inghilterra non darà loro mai», e di una grande colo­ nizzazione ebraica in Abissinia 20• Può apparire strano che da parte italiana si parlasse proprio coi sionisti di un'installazione ebraica non in Palestina, meta del sionismo, ma in Etiopia ; d'altra parte, però, l'organizzazione sionistica era senza dubbio la più seria tra le molteplici organizzazioni ebraiche ed anche la più attiva nel salvare gli ebrei tedeschi. Quindi, anche se c'era una contradictio in terminis, c'era però una maggiore sensibilità a trovare un asilo immediato anche se temporaneo. Sembra evidente che l'ispirazione venisse direttamente da Mussolini, che si illudeva di poter staccare i sionisti dalla Gran Bretagna, ma Weizmann scriveva in proposito al ministro delle colonie britannico, Ormsby-Gore, che gli ebrei ed i sionisti non attribuivano nessun valore alle « lusinghe» italiane; egli pensava che gli italiani presentavano l'impresa etiopica come un semplice inizio per i loro ben più vasti progetti espansionistici nel medio Oriente21 • Weizmann riteneva che non fosse più possibile per i sionisti cambiare i cavalli in corsa e non credeva che l'Italia potesse rimpiazzare la Gran Bretagna nell'appoggio necessario in Palestina; posizione del resto ben naturale in chi aveva

1 9 ASION, Z4f17049 «Notes on Italian aims and ambitions in the Eastern Mediterraneam>, London, 1 5 luglio 1936, non firmato. Vedi anche M. MrcHAELIS, Riflessioni s11lla recente storia dell'Ebrais!Jio Italiano, in «La Rassegna mensile di Israel», 1979, 1-2-3, pp. 24-25, che cita però come fonte il Public Record Office [d'ora in poi PRO]. 20 Ibid., S25f1322, N. Goldmann (Ginevra) a D. Ben Gurion (Londra), 15 giugno 1936. 21 Ibid., Z4f17049, Weizmann (Londra) ad Ormsby-Gore (Londra), 19 luglio 1936.

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ottenuto nel 1 9 1 7 la dichiarazione Balfour. Anche Ben Gurion nelle sue memorie ricorda i propositi di Dadone22• Pankhurst crede che gli italiani perseguissero tre obiettivi : a) far concorrenza al sionismo ed acquistarsi la simpatia del popolo ebraico ; b) trovare una fonte finanziaria per la vasta colonizzazione italiana in Abissinia; c) creare nuove difficoltà all'Inghilterra 23• Da parte ebraica continuarono i tentativi per far entrare gli ebrei in Etiopia; c'è chi parlava di due milioni di ebrei nel giro di dieci anni che avrebbero investito 400 milioni di sterline24; ci fu il rabbino capo sefardita a Parigi, Ovadia, che chiese se gli ebrei potessero entrare in Etiopia; il capitale necessario sarebbe stato raccolto dai rabbinati in tutto il mondo. La questione fu portata a Mussolini, ma il Ministero degli esteri rimase fermo nella sua opposizione 25• Mentre i funzionari italiani pensavano che non fosse il caso di far affluire degli ebrei europei in Etiopia, essi facilitarono i contatti fra i falascià, una comunità ebraica locale, e gli ebrei italiani. Così, con beneplacito del Ministero delle colonie dell'aprile 1 936, fu inviato Carlo Alberto Viterbo, che arrivò a Massaua il 31 luglio 1 936, fu ricevuto dal viceré Graziani e visitò i villaggi più remoti 26• Alla fine del 1 936 ebbe inizio la campagna antisemita fascista che sboccò nelle leggi razziali del 1 938 ; in Palestina l'Italia appoggiò gli arabi nella loro lotta contro la Gran Bretagna e contro i sionisti; la situazione degli ebrei in Europa peggiorava sensibilmente, mentre gli emigranti non riuscivano a trovare un paese che li accogliesse. Nell'«lnformazione Diplomatica n. 14» del 16 febbraio 1 838 si parlò nuovamente di uno Stato ebraico, «in qualche parte del mondo, non in Palestina» ; era una svolta anti-sionista che fu seguita un anno dopo, il 17 maggio 1 939, dalla politica britannica del Libro bianco che chiuse

22 D. BEN GuRION, Zihronot (Memorie), 1936, Tel Aviv, Am Oved, 1973, 23 Cfr. R. PANKHURST, Plans for Mass ]e1vish ... citata. 24 ASMAE, Etiopia{ Ebrei (Falasha) ; promemoria di B. Lustmann (Vienna)

p. 334.

alla Legazione d'Italia (Vienna), allegato ad un telespresso del 9 settembre 1 936. 25 Ibid., Etiopia/Fondo di g11erra, pos. 107 (1936), fase. 12: pro-memoria sulla conversazione con Ovadia del 12 novembre 1936; appunto per il ministro del 23 novembre 1936. 26 F. DEL CANUTO, Come si gi11nse alla 1nissione in Etiopia presso i Falascià, in «Rassegna mensile di Israel», 1984, (n. mon. : Un decennio, 1974- 1984).

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le porte della Palestina agli ebrei propno alla vigilia della seconda guerra mondiale. Secondo un giornale francese che commentava l' « <nformazione Diplomatica n. 14» : <<Un'emigrazione ebraica verso l'Etiopia sarebbe nello stesso tempo la divisione ricercata in seno al movimento sionista e la concentrazione sui territori conquistati di mezzi economici che l'Italia difficilmente può trovare da sola 27 ».

Un altro giornale francese scriveva che : « sugli altipiani dell'Africa orientale, il lavoro, il genio, ed il capitale ebraico potrebbero creare una nuova Sion che focalizzi la speranza e l'avvenire per gli ebrei che hanno sofferto nel mondo» 28•

Ma il Ministero dell'Africa italiana, seguendo una linea conseguente e costante, scrisse nuovamente al Ministero degli esteri il 24 febbraio 1 938 che «non conveniva in alcun modo consentire un'eventuale immigrazione di masse ebraiche nei territori dell'impero» anche per non aggiungere un altro culto m contrasto a quello islamico ed a quello monofisita 29 • Alla fine di marzo il Ministero della cultura popolare rese noto che le notizie secondo le quali l'Italia offriva delle facilitazioni alla colo­ nizzazione ebraica in Etiopia erano frutto della fantasia; in aprile il sottosegretario di Stato all'Africa italiana si dichiarava contrario al­ l'immigrazione di ebrei tedeschi nell'A.O.I. perché : « oltre ad esser in contrasto con lo spirito dei nostri rapporti politici con il governo del Reich, sarebbe contrario ai nostri interessi in quanto la stabilizzazione nel territorio dell'impero di nuclei ebraici potrebbe facilitare l'infiltrazione di correnti politiche internazionali a noi avverse» 30.

Come abbiamo visto, durante tutto il periodo esaminato ci fu da un lato una posizione negativa nei riguardi dell'emigrazione ebraica da

27 G. BLUMBERG, L'Italie songerait à creer en Ethiopie un Etat juif, in «L'Ordre», feb. 1938. 28 «Le Temps», 19 feb. 1 938; in R. PANKHURST, Plans for Mass ]ei/Jish . . . citata. 29 ASMAE, EtiopiaJFondo di guerra, 177 (1939); Ministero dell'Africa italiana a Ministero

degli esteri, riservato, 24 febbraio 1938. 30 Ibid. : sottosegretario di Stato all'Africa italiana al Ministero degli esteri, 26 aprile 1938.

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parte del Ministero dell'Africa italiana ed in conseguenza da parte del Ministero degli esteri, mentre Mussolini sembrava di tanto in tanto caldeggiare un'emigrazione del genere. Nell'agosto 1 938 Mussolini disse al conte Ciano di avere un progetto per trasformare la Migiurtinia in una concessione per l'ebraismo internazionale poiché il paese aveva delle risorse naturali importanti che gli ebrei potevano sfruttare. Poi si parlò invece dell'Oltregiuba 31 • Poco dopo, nel settembre 1 938, sir Noel Charles, consigliere al­ l'Ambasciata britannica a Roma, scrisse che le leggi razziali italiane potevano essere un preludio alla colonizzazione ebraica in Etiopia. Il progetto era destinato soprattutto agli ebrei italiani che vi avrebbero portato i loro capitali 32 • Il Gran consiglio del fascismo nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre 1 938 decise di non escludere : « la possibilità di concedere, anche per deviare l'immigrazione ebraica dalla Pale­ stina, una controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia».

I motivi di Mussolini erano probabilmente molteplici : ottenere per l'Etiopia dei finanziamenti importanti dalle banche mondiali che egli credeva essere nelle mani degli ebrei; assicurarsi la simpatia dell'opi­ nione pubblica delle democrazie occidentali proprio mentre stava lanciando le misure antisemite in Italia con delle dichiarazioni che difficilmente avrebbero avuto seguito pratico. Infatti a Roma sia i diplomatici tedeschi che quelli britannici s1 precipitarono ad accertare se si trattasse di un bluff o meno. Oggi sappiamo che nel novembre 1938 il duca d'Aosta, viceré d'Etiopia, dette istruzioni al col. Giuseppe Adami di cercare una zona adatta ad accogliere 1400 famiglie33• La richiesta veniva direttamente da Mussolini per inviarvi degli ebrei espulsi dai nazisti ; la zona prescelta da Adami si trovava ad un centinaio di chilometri dalla frontiera col Kenia; ma il progetto rimase lettera morta.

3 1 G. CIANO, Diario 1937- 1938, Bologna, 32 PRO, Foreign Office, [d'ora in poi FO]

Cappelli, 1948, p. 227. 371/22442/7593; sir Noel Charles (Roma) a Lord Halifax (Londra), 13 settembre, 1938; citato da R. PANKHURST Plaus for Mass ]ei/Jish... citata. 33 C.A.V. (Viterbo), Una sede per gli Ebrei in Etiopia, in «lsraeh>, 4 giugno 1970.


Sergio Minerbi

Tentativi territoriali ebraici in Tripolitania ed in Etiopia

La notte dei cristalli in Germania, tra il 9 ed il 1 0 noverrtbre 1 938, le espulsioni di ebrei dalla Germania e dall'Austria, la pressione · eh� ne derivava sull'amministrazione americana perché concedesse qualche· visto ed il desiderio di trovare uno sbocco qualsiasi, evitando di dover aprire le porte degli Stati Uniti, fecero intervenire il presidente Roosevelt presso Mussolini. In una lettera del 7 dicembre 1 938 Roosevelt si disse colpito «dall'adattabilità del Plateau, una piccola parte del quale si trova nella parte sud-occidentale dell'Etiopia, mentre la maggior parte si trova nel sud dell'Etiopia» ed espresse l'opinione che il governo italiano poteva ritenere «la colonizzazione di famiglie di profughi con fmanzia­ menti adeguati in questa zona» consona ai piani italianP4• Roosevelt, evitando di nominare anche una sola volta espressamente gli ebrei, non offrendo nessun finanziamento proprio, rifiutando anche un piccolo numero di visti, non poteva avere nessuna influenza su Mussolini. L'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, William Phillips, fu ricevuto da Mussolini il 3 gennaio 1 939; Mussolini reagì negativa­ mente alla proposta americana sul Plateau e disse che gli ebrei avevano rifiutato una zona ben migliore che egli aveva offerto loro35• Gli ebrei che avevano rifiutato la colonizzazione in Etiopia erano quelli italiani, timorosi di essere trasferiti nella zona del lago Tana accanto ai falascià. L'1 1 gennaio 1 939 Mussolini inviava una lettera di risposta a Roosevelt nella quale scrisse tra l'altro :

contatti con un certo Gildemeester, olandese, che aveva aperto un ufficio a Vienna per facilitare l'emigrazione ebraica36 ; si parlò dell'in­ sediamento di 20.000 famiglie di ebrei nella regione del lago Tana e fu autorizzata una missione di studio per altro mai effettuata. Ma nel novembre 1 939 le autorità italiane giunsero alla conclusione che bisognava porre fine al progetto Gildemeester. Secondo De Felice all'inizio del 1 940 ci furono ancora dei contatti ufficiali tra l'Unione delle comunità israelitiche e le autorità per otte­ nere il permesso per alcuni ebrei a stabilirsi nel Gimma, in Etiopia 37• Possiamo concludere che dal 1 936 al 1 940 ci furono varie proposte di colonizzazione ebraica in Etiopia che non giunsero però ad alcun risultato concreto poiché si urtarono contro una politica italiana che alle volte le bocciava ed altre volte le promuoveva.

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Piani inglesi ed americani per una colonizzazione ebraica Nel giugno 1 940 l'Italia entrò in guerra e nella primavera del 1 941 l'Africa orientale italiana venne occupata dalle truppe britanniche. Poco dopo Roosevelt si interessò di nuovo alle possibilità di colonizzazione ebraica in Etiopia 38• Gli americani pensavano che dopo la guerra gli ebrei avrebbero avuto «una specie di Vaticano in Palestina ed un vero territorio in Abissinia». Le vicende belliche spinsero gli inglesi nel 1 942 ad esaminare l'idea di divergere gli immigrati ebrei dalla Palestina verso l'Eritrea, ma il ministro degli esteri Eden si oppose ; qualcuno esplorò la possibilità di farli affluire nella zona abitata dai falascià in Abissinia col finanzia­ mento degli ebrei britannici, ma fu deciso di evitare all'Etiopia dei problemi supplementari39• Il 2 aprile 1 943 Chaim Weizmann scrisse al

« per quello che riguarda l'Etiopia, non è possibile pensare a organizzare una emigrazione ebraica in quella regione. A parte qualunque altra considerazione, l'atteggiamento generale degli ambienti ebraici nei riguardi dell'Italia non è tale da consigliare il governo italiano ad accogliere in un suo territorio una massa conside­ revole di emigrati ebrei ».

Ancora una volta ci fu dunque da parte italiana una virata di bordo ; eppure i progetti di emigrazione ebraica verso l'Etiopia non furono ancora archiviati. Durante i primi mesi del 1 939 ci furono intensi 34 F. D. Roosevelt (Washington) a Mussolini (Roma), 7 dicembre 1938; pubblicato in FoREIGN RELATIONS OF THE UNITED STATES [d'ora in poi FRUS], 1 938, I, pp. 858-860. 35 FRUS, 1 939, II, pp. 57-60; Phillips (Roma) a Cordell Hull (Washington), 5 gennaio

1939.

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36 ARcHIVIO CENTRALE DELLO STATO [d'ora in poi ACS], Ministero dell'Interno Direziom generale pubblica sicurezza, Ebrei stranieri, ctg. A 16, b. 2, fase. 6. La ricerca presso questi archivi è stata effettuata da mia figlia Tamar Dermeik. 37 Cfr. R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto ilfascismo, Torino, Einaudi, 1 961, p. 198. 38 PRO, FO, 27125; E 1 798/26/31 . 39 Ibid., 371/32663, note del 13 aprile 1942 e del 1 5 aprile 1942.


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primo ministro Winston Churchill per chiedere che la Palestina fosse assegnata agli ebrei, ma nel frattempo chiese anche di accogliere , profughi ebrei in Eritrea ed in Tripolitania 40• Churchill accettò l'idea ed in un memorandum segreto inviato · al Gabinetto di guerra il 23 aprile 1 943, scrisse che dopo la guerra sarebbe stato possibile aggiungere alla zona di autogoverno ebraica in Palestina degli altri territori, trasformando l'Eritrea e la Tripolitania «in colonie ebraiche affiliate, se lo desiderano, al Focolare nazionale ebraico in Palestina»41• La questione fu sollevata durante un incontro fra Churchill e Roo­ sevelt a metà maggio, ed il Foreign Office fu incaricato di studiare la possibilità di trasformare la Tripolitania e l'Eritrea in colonie ebraiche, eventualmente affiliate al Focolare nazionale ebraico in Palestina. Ma le conclusioni dello studio furono negative, sia perché non si volevano ledere le relazioni con gli arabi, sia perché il progetto non sarebbe stato bene accetto dall'imperatore d'Etiopia 42• Durante il 1 943 si parlò anche della Cirenaica come zona ricettiva per i profughi ebrei, ma le autorità britanniche ritenevano che l'am­ missione degli ebrei sarebbe stata disastrosa 43; d'altra parte le autorità militari vedevano la Cirenaica come una zona strategica importante anche dopo la guerra 44• Così alla vigilia del massacro degli ebrei ungheresi, quando un asilo qualsiasi avrebbe potuto salvarli, prevalsero tra gli alleati le considera­ zioni politiche nei riguardi del mondo arabo e quelle militari. Ma l'insegnamento più importante che si può trarre dai vari tentativi di insediamento in epoche così diverse è questo : senza una forte carica ideologica, come avevano i sionisti, senza dei fortissimi legami spirituali con un paese determinato, senza una lunga storia comune, senza l'anelito degli ebrei verso la terra d'Israele, essi non potevano creare uno Stato né una nazione.

40 Lettera di Weizmann a Churchill, 2 aprile 1943, ibidem. 41 M. Gilbert, Exile and retum, Jerusalem, Steimatzky, 1 978, pp. 261-262. 42 PRO, FO 371{36720, Research Dept. FO, 26 giugno 1943. 43 Ibid., 371{36714-W 9992{1731/48; note di Walker, 20 luglio 1943. 44 Ibid., 371{36720, note del 22 luglio 1943.

BENIAMINO CADIOLI Il problema delle comunicazioni postali fra Italia ed Eritrea

dall'insediamento in A ssab all'occupazione di Massaua ( 1879- 1885)

Introduzione È facile dimostrare che la questione delle comunicazioni postali nella seconda metà dell'800 è strettamente connessa con l'enorme sviluppo economico di quel periodo, con le profonde trasformazioni sociali e culturali che lo caratterizzarono e con le direttive politiche dei vari Stati, in termini sia del conseguimento delle unità nazionali sia dell'espansione coloniale. In effetti, non solo non vi sono industria e commercio moderni senza comunicazioni stabili, rapide e sicure, ma non vi è nemmeno un vero Stato senza una adeguata rete di intercon­ nessioni stradali, ferroviarie e marittime su cui far correre il flusso delle informazioni e delle merci. L'importanza delle relazioni postali nel periodo in questione può sfuggire nella sua centralità all'uomo d'oggi, abituato a ben altri mezzi di comunicazione, dal telefono al caipost, dal telefax alle reti di calcolatori ; ma nell'800, come nei secoli precedenti, la posta via superficie costituiva l'unico mezzo di trasmis­ sione delle notizie e, spesso, del denaro. La rapidità e la regolarità delle comunicazioni postali erano, quindi, essenziali al saldo stabili­ mento dell'autorità statale in ogni angolo di ciascun paese, come ai concorrenziali disegni di penetrazione economica sui vari mercati e di espansione coloniale nei territori asiatici ed africani. Ne sono esempi probanti l'istituzione di un gran numero di nuovi uffici postali nei primi anni dell'unificazione italiana, le enormi cure dedicate dal go­ verno britannico alla realizzazione di una via di comunicazione con le Indie sempre più rapida e regolare, la corsa tra le potenze dell'epoca nello stabilimento di sistemi postali e di linee di navigazione e ferro­ viarie nei territori degli imperi turco e cinese. È poi appena il caso di accennare alla particolare importanza di comunicazioni veloci, frequenti


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e a basso costo in tempo di guerra e tra paesi lontani (�d esempio, per i riflessi sul morale delle truppe e per le esigenze dei coloni) è alla · loro essenzialità nella trasmissione di disposizioni e rapporti tra enti governativi e tra comandi militari : quante fortune politiche ed econo­ miche si sono create grazie alla disponibilità di certe notizie prima degli altri, quante battaglie diplomatiche e militari sono state perdute anche per difetto di comunicazioni! Lo scopo del presente studio è di ricostruire la formazione del servizio postale in Assab e le soluzioni date al problema delle comuni­ cazioni di quel possedimento, a partire dal primo insediamento italiano fino all'occupazione di Massaua. L'argomento è qui affrontato per la prima volta, sulla base dei documenti e carteggi per lo più inediti, conservati in vari archivi italiani. Le fonti consultate, presso l'Ufficio storico dello Stato maggiore esercito (USSME) in particolare fondo Eritrea ; presso l'Ufficio storico della Marina (USSMM) ; presso l'Ar­ chivio storico del Ministero degli affari esteri (ASMAE) fondo Eritrea dell'A rchivio storico del Ministero Africa Italiana (A SMA I) ; presso l' Ar­ chivio centrale dello Stato (ACS), fondi Direzione delle poste del Ministero delle poste e Ispettorato servizi marittimi del Ministero delle comunicazioni e Carte Nerazzini presso l'Archivio di Stato di Siena, nonché Atti parlamentari e Bollettini postali, sono ricche di documentazione nello specifico campo del servizio postale coloniale. Dal loro esame esce un quadro molto preciso, e spesso non del tutto noto, non solo sul servizio postale, ma anche sulle relazioni politiche interne ed interna­ zionali, sui rapporti tra governo, Parlamento e paese e sul funziona­ mento della macchina burocratica in quella grossa novità che fu l'inizio delle moderne imprese coloniali italiane. La mole della documentazione prodotta in merito dai soggetti più vari rende anche conto della non semplicità dell'argomento : infatti, quando non vi sono problemi, non vi sono nemmeno contrasti né si devono assumere sempre nuove iniziative, dando le disposizioni più diverse; quando tutto funziona, nessuno protesta, scrive ai giornali, fa interpellanze. È, poi, caratteri­ stica specifica degli studi postali la consultazione di quella materia prima documentale che sono gli oggetti di corrispondenza (buste, cartoline, ecc.), il cui esame si presta ad una doppia lettura, una testuale del contenuto della comunicazione e una tecnico-formale della modalità con cui la comunicazione stessa è stata scambiata : per quali vie e tra-

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gitti, a quali costi, in quanto tempo. Quindi un riscontro diretto, indipendente dalle fonti ufficiali, del reale funzionamento del servizio. Le domande che si pone normalmente lo storico postale sono molte; qui si è cercato di raggrupparle come segue : a) se c'è stata una politica delle comunicazioni con la nascente colonia Eritrea, e quale; b) come essa si è tradotta in provvedimenti attuativi e quali mezzi umani, tecnici e finanziari sono stati destinati allo scopo ; c) qual'è stato il concreto funzionamento dei servizi predisposti. Dando per scontata la conoscenza precisa della situazione politica ed economica interna e l'e­ volversi di quella internazionale nel periodo in oggetto, in particolare per quanto riguarda la Gran Bretagna, la Turchia, l'Egitto, l'Etiopia ed il Sudan, nei loro rapporti reciproci e con l'Italia 1 , conviene tenere presenti, per economia di lavoro ed al fine della periodizzazione postale seguita nel prosieguo, i punti seguenti : 1 ) per i primi dieci anni dopo l'acquisto della baia di Assab da parte di Giuseppe Sapeto (nel dicembre 1 869-marzo 1 870, in nome dell'armatore Rubattino, ma in realtà per conto del governo Menabrea), non vi è alcuna stabile presenza italiana in mar Rosso; in questo periodo, quindi, non si pongono particolari problemi postali o di comunicazioni ; 2) l'insediamento italiano ad Assab inizia nel dicembre 1 879, con l'invio colà dell'avviso « Esploratore» e del piccolo piroscafo « <schia», pure della Marina, e del piroscafo « Messina», della compagnia « Ru­ battino», coi primi materiali per l'istituenda fattoria ed in appoggio alla spedizione Beccati-Doria. Fino all'ordinanza del presidente del

1 Per gli aspetti diplomatici ed i relativi documenti, si vedano i volumi: MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELL'ITALIA IN AFRICA, L'Italia in

Africa, serie storica, I, Etiopia-Mar Rosso, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1958 [d'ora in poi MAE, Ei\1R] . Per alcuni riflessi parlamentari della questione coloniale, si veda: SEGRETARIATO GENERALE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI, La politica estera dell'Italia negli atti, documenti e diJCtiSsioni par/ammtari dal 1861 al 1914, a cura di G. PERTICONE, Roma, Grafica Editrice Romana, 1973. Per gli aspetti militari, si vedano, ad esempio: a) MINISTERO DELLA MARI­ NA-UCSMM-UFFICIO STORico, L'opera della R. Marina in Eritrea e Somalia. Dalla occupazione al 1928, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1929 ; b) MINISTERO DELLA GUERRA-CCSM-UFFICIO STORICO, Storia militare della Colonia Eritrea, Roma, Tipografia Regionale, 1935.


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consiglio e rrumstro degli esteri Cairoli del 24 dicembre 1 880,. che stabili il commissariato civile, il territorio di Assab, man mano ampliato da nuovi contratti coi capi locali, è sotto la responsabilità del corp.. De Amezaga ; in questo periodo, che conviene chiamare «precursorio», si comincia a porre il problema delle comunicazioni e dello scambio della posta, ma non è attuato alcun provvedimento stabile in merito ; 3) il successivo periodo « sperimentale», dal gennaio 1 881 (inse­ diamento del commissario civile Branchi e del suo segretario Giulietti) al marzo-giugno 1 884 (istituzione in Assab di un regolare stabilimento postale e attivazione di una linea periodica di navigazione con Aden), vede il Ministero degli esteri (MAE), da cui viene ora a dipendere il possedimento, impegnato con varie controparti, italiane e straniere, in numerosi e laboriosi tentativi di stabilire un sistema postale e di comunicazioni. Nessun contributo all'argomento viene invece dato dalla legge su Assab del luglio 1 882 ; 4) gli otto mesi seguenti, dal giugno 1 884 al febbraio 1 885, vedono una situazione ormai stabilizzata e abbastanza regolare; poi, con l'occupazione italiana di Massaua, tutti i problemi di Assab passano in second'ordine, diventando una semplice appendice di quelli del nuovo e più importante insediamento e anche le comunicazioni saranno d'ora in poi condizionate a quelle di Massaua. Nell'ultimo periodo, le responsabilità in mar Rosso sono confusamente condivise tra vari Ministeri (esteri, marina, guerra) e ciò non facilita certo la soluzione dei problemi postali, allora di competenza del Ministero dei lavori pubblici. Il servizio postale con Assab Non si possono comprendere a fondo le difficoltà che nel periodo 1 880-82 si frapposero ad una soluzione soddisfacente del problema delle comunicazioni tra l'Italia ed Assab se non se ne richiamano le motivazioni fondamentali, una di ordine internazionale e una di politica interna. La prima di esse si riassume nella preminenza data dal governo italiano ad ottenere l'assenso inglese a quel primo insediamento africa­ no. Prima dell'accomodamento con la Gran Bretagna (febbraio 1 882),

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non si pensò nemmeno lontanamente di stabilirvi un ufficio postale, collegandolo con la vicina Aden, a sua volta scalo di tutte le frequenti linee del mar Rosso. Questa soluzione avrebbe collegato Assab con l'Italia ed il resto del mondo nel modo più rapido, regolare ed econo­ mico. Né avrebbero ostato le norme della recente Unione postale universale (UPU, fondata nel 1 874), ma la necessaria comunicazione a Berna sarebbe stata trasmessa a tutti i membri dell'Unione, e le prevedibili reazioni di alcuni paesi avrebbero sollevato una spinosa questione diplomatica, che il governo non voleva. La seconda motiva­ zione è rappresentata dalla ferma linea seguita dal governo nell'evitare qualsiasi intervento parlamentare sulla questione coloniale2• Ne conse­ guiva, tra l'altro, l'impossibilità di impegnare in bilancio le somme necessarie per i lavori portuali e per un servizio di navigazione sia con Aden sia, ancor più costoso, con l'Italia 3 • Infatti, per la scarsità del movimento dei passeggeri e delle merci, era impensabile una linea non sovvenzionata, e anche le sovvenzioni marittime non erano un tema sul quale il Parlamento si mostrasse allora proclive4• Il periodo «precursorio» dicembre 1 879-dicembre 1 880 vede, quin­ di, il decisionismo governativo sull'occupazione de facto di Assab, nonostante l'opposizione turco-egiziana e le ferme riserve inglesi, ma senza quel coinvolgimento del paese e del Parlamento, solo col quale sarebbe stato possibile qualche serio provvedimento anche nel campo della posta e delle comunicazioni. Però, il problema esiste già, nonostante la scarsa consistenza di quel primo insediamento, ed è subito rilevato da De Amezaga, che nel suo primo rapporto al MAE chiede « la sollecita organizzazione di un servizio regolare di navigazione a vapore, promossa dal governo italiano, la quale allacci tra di loro i principali approdi di traffico del mar Rosso, sull'una

2 Il Parlamento fu chiamato per la prima volta a deliberare sullo stabilimento di Assab solo nel giugno 1882, tre anni dopo la decisione governativa di occupare la località. 3 Come si può rilevare da un discorso di Marco Minghetti, le norme sulla contabilità dello Stato esigevano un'apposita legge per ogni impegno di somma superiore alle trentamila lire (v. rif. 2, vol. II, tomo I, p. 179). . . 4 Basta leggere, in proposito, gli Atti parlamentari e seguire l'iter di vari decreti governativi sulle convenzioni marittime, talora nemmeno discussi e decaduti per interruzione di legislatura, talaltra ritirati o approvati da un solo ramo del Parlamento.


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e l'altra sponda, facendo capo ad Assab», reiterando la ri�hiesta poco tempo dopo5• Questa proposta, peraltro logica e valida agli" effetti tanto commerciali quanto postali, è in perfetta linea con le vis.te e gli interessi della lungimirante « Rubattino», che fino dal 1 878 esercitava «un piccolo servizio libero da Suez-Gedda a Suakim e ri­ torno » e che dava per scontato che « la nostra linea libera, prolungata fino a Massaua, Hodeidah e Assab, diverrà una linea postale sovven­ zionata»6. La questione è quindi ben presente al governo, che ne tratta in un progetto di regolamento per Assab, sottoposto nell'agosto 1 880 al governo Gladstone-Granville, nell'ipotesi di un accomoda­ mento anche con la Turchia e l'Egitto. Dopo la parte relativa alla nomina di un commisario civile, con un segretario e un delegato di pubblica sicurezza, il progetto reca il seguente capoverso : « <l segre­ tario farà le funzioni d'ufficiale postale, salvo a prendere indi altre disposizioni, a norma delle circostanze, e d'accordo con la compagnia Rubattino, la quale s'impegna fin d'ora ad accettare i pieghi per la destinazione d'Italia, Egitto, mar Rosso, Aden, India, Singapore e Batavia. La tassa postale (da regolarsi mediante apposita tariffa) è percepita per mezzo di francobolli dello Stato 7». È chiaro, quindi, che non è previsto un vero stabilimento postale, mentre il riferimento alla « Rubattino» e al suo ruolo doveva servire principalmente a tran­ quillizzare gli altri governi sul carattere commerciale e non militare

dell'insediamento italiano 8 ; di fatto, tale riferimento scompare nelle versioni successive del progetto, e non trova quindi esecuzione, mentre nemmeno le richieste di De Amezaga hanno seguito. Nel periodo precursorio, le corrispondenze dei pochi residenti e de­ gli equipaggi dei due legni della Marina vengono portate ad Aden, ove funzionano tanto la posta quanto il telegrafo, allorché questi vi si recano per i consueti rifornimenti; in particolare, è ' Ischia' a compiere numerosi viaggi fra Assab e Aden per servizio postale» 9• Nel porto inglese, esse sono spedite singolarmente, dal console italiano o da qualche addetto della Marina, a mezzo del locale ufficio postale. Sono anche noti avviamenti e arrivi occasionali di corrispondenze grazie a fermate straordinarie in Assab dei piroscafi postali della Geno­ va-Bombay10 . Questi non possono però attraccare regolarmente, per la loro mole e l'assenza di infrastrutture portuali (all'epoca, è stato realizzato solo un pontile in legno di circa 60 m). A partire dall'aprile 1 880, è prolungato fino ad Assab il servizio di cabotaggio del mar Rosso, cui la Rubattino destina il piroscafo «Palestina», ma non risultano trasporti di corrispondenze con tale mezzo 11 . Infine, il con-

5 Rapporti al MAE di De Amezaga (comandante !'«Esploratore») n. 1, del 3 gennaio 1880 e n. 31 del 24 marzo 1880, in MAE, EMR, I, t. II, pp. 58 e 97. 6 Parte di lettera di Rodolfo Hofer, condirettore della Rubattino, alla banca svizzera Pury e C., in data 23 gennaio 1880, riprodotta in G. GIACCHERO - G. BISOGNI, Vita di Giuseppe Sapeto, Firenze, Sansoni, 1942, p. 266. Nell'Handbook of inforntation della Rubattino del to aprile 1 880, la linea del mar Rosso è indicata quindicinale, su due itinerari, uno solo dei quali tocca Assab, il 17 di ogni mese. Si veda anche la nota 13. 7 Annesso al dispaccio di Cairoli a Menabrea (ambasciatore a Londra) del 12 agosto 1880, pubblicato integralmente in Serie confidenziale XXIII, al n. 51 e, con omissioni, in DDI-Leg. XIV, 1• Sess., n. IV octies (Libro Verde A ssab), al n. XLIV. Il paragrafo postale del progetto è stato ripreso dalla stampa filatelica; esso era noto a G. SARACENI, che lo riportò in Storia e filatelia dei possedimmti italiani del Mar Rosso e della Colonia Eritrea, Genova, La Rivista filatelica d'Italia ed., 1928. Il paragrafo viene riferito ad un non meglio identificato regolamento per la posta nei libri di P. BIANCHI, Colonia Eritrea, Vent'anni di storia postale, 1883- 1903, Milano, Sorani, 1976, e Colonia Eritrea, Storia postale (1885- 1903) , Lugano, Arte e Moneta ed., 1989.

8 Si veda il dispaccio di Malvano (funzionario del MAE) a Frigerio (comandante la corvetta «Fieramosca», inviata a sostituire !'«Esploratore» nel luglio 1880) n. 1 reg. e n. 1 disp. del 14 agosto 1880 (in ASMAE, pos. 1104, che non va confuso col disp. n. 1 reg. Assab di Cairoli a Frigerio in pari data, riprodotto in MAE, EMR, I, t. II, p. 132). 9 L'opera della Marina . . . cit., p. 47. 10 Le prime corrispondenze dall'Italia giunsero ad Assab il 10 gennaio 1880, col piroscafo «Sumatra», che aveva rimorchiato !'«Ischia» da Suez (v. al!. n. 4 al rapporto di De Amezaga a Cairoli n. 14 del 15 febbraio 1880, in MAE, EMR, I, t. II, pp. 81-85) ; lo stesso 10 gennaio 1880 portò dispacci da Assab in Italia il piroscafo «Assiria», proveniente da Bombay (stesso rif.) e, in senso inverso, dall'Italia ad Assab il 4 marzo 1880. In quest'ultima occasione, il piroscafo incagliò; incidenti di questo tipo capitarono ancora ai grossi piroscafi della linea Genova-Bombay, che ben presto non fermarono più in Assab, anche per il mancato raggiun­ gimento degli obiettivi commerciali sperati (v. rapporto De Amezaga del 24 marzo 1880, in MAE, EMR, I, t. II, p. 97). 11 Risultano fermate in Assab del «Palestina» il 17 aprile 1880, il 16 maggio 1880, il 21 gennaio 1881, sempre in servizio commerciale non sovvenzionato (v. rapporti di De Amezaga al MAE n. 43 del 23 aprile 1880 e n. 53 del 16 maggio 1880, in MAE, EMR, I, t. II, pp. 105 e 122; v. anche G. GIACCHERO - G. BISOGNI, Vita. . . cit., p. 294). Come farà poi notare il commissario civile, con questo servizio di cabotaggio si facevano «viaggi che dovrebbero essere mensili ma che in realtà sono poco più che trimestrali» (rapporto Branchi al MAE n. 29 del 17 marzo 1881, in ASMAE, pos. 1/1-8).


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solato italiano in Aden, per la trasmissione ad Assab di telegra1nmi, dispacci governativi urgenti e denaro, si serve di barche arabe espre�se, con una spesa di circa 50 talleri (pari a 250 lire-oro) a viaggio 12 • _ I sambuchi, però, servono generalmente solo per le comunicazioni governative e sono utili quanto a rapidità solo per sei mesi l'anno in ciascun senso, a causa dei monsoni 13• Questi tre metodi di scambio delle corrispondenze (coi legni della Marina, coi piroscafi italiani della linea delle Indie, coi sambuchi), che furono impiegati anche successi­ vamente, non potevano però costituire quello che si intende per un regolare servizio postale, ma rappresentavano solo un trasporto privato, occasionale e senza garanzie. Infatti, non vi era implicata l'organizza­ zione statale, coi suoi costi fissi, le numerose assicurazioni che essa garantiva a quel tempo, l'ampiezza dei servizi offerti, la periodicità dei collegamenti e, specialmente, l'apertura dei servizi a tutti i cittadini e la riservatezza. Il periodo « sperimentale» è regolato dalla citata ordinanza Cairoli del 24 dicembre 1880, che costituisce il primo atto ufficiale di governo su Assab. In 1 7 articoli, essa stabilisce il commissariato civile, dipen­ dente dal MAE, la sua struttura (per il momento : un segretario, un contabile, un delegato di pubblica sicurezza, uno o due interpreti), compiti e attribuzioni di ciascuno 14• Se ne trascrive qui la parte d'interesse postale, mentre niente vi compare relativamente alle comu­ nicazioni : «Art. 5. Il contabile farà le funzioni d'ufficiale postale, salvo

12 Si vedano, in proposito, lettere del consolato in Aden al MAE del 29 dicembre 1879 e 1 ottobre 1880 (quest'ultima in MAE, EMR, I, t. II, p. 141), di De Amezaga a Cairoli n. 18 del 2 marzo 1880 (in MAE, EMR, I, t. II, p. 90), di Frigerio al MAE n. 21/A Ris. del 24 ottobre 1880 (in MAE, EMR, I, t. II, p. 244), del consolato in Aden a Frigerio del 6 dicembre 1 880, di Frigerio al MAE n. 19/Ris. del 6 gennaio 1 881, del commissario Branchi al MAE n. 114 dell't dicembre 1 881 in A SMAI, pos. 1{1-8. 13 Vedi AP, CaiJJera dei deputati, legislatura XV, I sessione, sedute del 28 luglio 1884 e 15 gennaio 1885 e Relazione della CoJJtl!tissione al d.l. 242 A. ProvveditJICnti pel IJJiglioraiJJe/lto delle condizioni nautiche della baia d'Assab, (non convertito). 1 4 Il testo dell'ordinanza Cairoli è riportato in varie pubblicazioni, ad es. in MAE, EMR, I, t. II, p. 156. L'art. 5 fu trascritto anche da E. DIENA, l priJJtordi del servizio postale ad A ssab (con cmni storici) , in «Il Corriere filatelico» 1931, 8, pp. 203-206. Il ruolo dell'ordinanza appare ignorato da numerosi studiosi, che vedono nel successore di Cairoli agli esteri, Mancini, il primo artefice della politica coloniale italiana.

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a prendere indi altre disposizioni, a norma delle circostanze. La tassa postale (da regolarsi mediante apposita tariffa) è percepita per mezzo di francobolli dello Stato ( . . . ) Art. 7. Per il servizio di polizia, per il servizio sanitario, per il servizio postale e per il servizio giudiziario, il commissario presenterà all'approvazione del governo, entro sei mesi dalla data del presente decreto, degli schemi di regolamenti speciali, di cui potrà intanto fare applicazione provvisoria in via di esperimen­ to». Si noterà la stretta derivazione dell'art. 5 dal corrispondente testo del primo progetto di regolamento, sottoposto all'esame inglese; è co­ munque inutile soffermarsi troppo sull'ordinanza e sulle sue evidenti lacune, sia perché essa non ebbe, nella pratica, un'applicazione letterale (ad esempio, la figura del contabile non fu attivata e le prescnzwni dell'art. 7 non risultano aver avuto seguito per quanto riguarda la posta), sia perché i numerosi carteggi consultati illustrano con dovizia di particolari le effettive modalità del servizio. La nomina dell'avv. Branchi a commissario civile di Assab era stata decisa dal MAE almeno dall'inizio del novembre 1880 e la sua partenza prevista per la fine del dicembre successivo 15; c'era pertanto tempo sufficiente per concordare con le diverse amministrazioni interessate i vari rami del servizio civile, tra cui quello postale. A seguito di un fitto carteggio e di due visite del Branchi alla Direzione generale delle poste (DG poste), nel dicembre del 1 880 furono stabiliti accordi dettagliati sull'ordinamento del servizio postale, che si possono riassu­ mere come segue16: a) era prevista l'attuazione di un primitivo servizio postale con l'Italia, limitato alle corrispondenze ordinarie, alla tariffa interna del regno ; in Assab esso era affidato alla responsabilità del commissariato, ma senza specifici addetti né locali; b) prima della sua

1 5 Lettere da MAE a Frigerio n. 1 8 del 13 novembre 1880 (in AS MAI, pos. 1/1-7) e a M. Marina n. 28 del 25 novembre 1880 (in ASMAE, pos. 1104). 16 Lettere: a) da MAE a DGposte n. 31 reg. Assab del 6 dicembre 1 880; b) da DGposte a Min. LL.PP. n. 1 64097 dell'8 dicembre 1880 e c) al MAE, stesso prot. del 10 dicembre 1 880; d) da MAE a DGposte n. 34 reg. Assab del 15 dicembre 1880; e) da DGposte a MAE n. 1 67638 del 22 dicembre 1 880; f) da MAE a DGposte n. 38 reg. Assab del 24 dicembre 1 880; g) da MAE al console in Aden del 25 dicembre 1880; h) da DGposte a dir. prov. Napoli e a uff. Brindisi n. 167638 del 28 dicembre 1 880; 1) da consolato in Aden a MAE del 13 gennaio 1881. Il carteggio con DG poste in ACS, Dir. gen. poste, b. 215.


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partenza, al commissario era fornito un fondo di L. 500 di francobolli speciali con la soprastampa « estero» (usati anche negli uffici it�liani allora stabiliti in Tunisia, ad Alessandria d'Egitto e Tripoli), di �n bollo lineare senza data, dicente «baia di Assab», per il loro annulla­ mento, e di una copia dell'Indicatore postale ; c) ogni quindici giorni circa, un piego con le corrispondenze di Assab sarebbe stato traspor­ tato gratuitamente dai legni della Marina al consolato in Aden, che ne doveva fare un pacco, affrancandolo a spese del MAE, e indirizzarlo tramite il locale ufficio postale agli uffici postali di Brindisi o Napoli, secondo la partenza da Aden del vapore inglese della « Peninsular & Orientai» o francese delle « Messaggerie marittime» (nelle istruzioni della DG poste alla direzione di Napoli e all'ufficio di Brindisi, si accenna anche al possibile arrivo di simili pacchi tramite piroscafi nazionali). Gli uffici di Brindisi e Napoli avrebbero aperto il pacco e dato corso alle corrispondenze, senza ulteriore tassazione; d) per il servizio inverso dall'Italia, l'amministrazione postale avrebbe provve­ duto al concentramento delle corrispondenze per Assab a Brindisi e a Napoli ed al loro invio, in piego affrancato a carico del MAE, al solito consolato di Aden, che le avrebbe fatte giungere al commissa­ riato col primo mezzo disponibile. Tuttavia, l'inizio del servizio dal­ l'Italia era dilazionato e la pubblicazione di un apposito avviso riman­ data a quando si potesse farla « senza inconvenienti». I commenti su questi accordi sarebbero molti; rinviandoli ad altra sede, basti osservare qui l'estrema prudenza governativa per qualsiasi passo che potesse suscitare diplomaticamente 17 e politicamente la que­ stione di Assab : così l'uso dei francobolli speciali soprastampati « este­ ro» (quelli italiani normali avrebbero infatti testimoniato una sovranità allora prematura) e la cura nel nascondere l'esistenza di Assab al pubblico. Inoltre, non essendo quello di Assab un vero ufficio postale

17 Nonostante le ottimistiche notizie provenienti dal Cairo (v. rapporto dell'agente De Martino al MAE n. 739, del 25 gennaio 1881, in MAE, EMR, I, t. II, p. 169), ancora a fine gennaio 1881 il governo inglese non aveva mutato posizione circa la sovranità della Turchia e dell'Egitto su Assab (v. rapporto dell'incaricato a Londra Ressman al MAE del 27 gennaio 1881, con annessa lettera di Granville del 26 gennaio 1881, in Serie Conf XXIII, cit., n. 68, pp. 11 -12.

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e non comportando il serv1z10 nessuna spesa, si evitava anche «la solennità delle forme usate nello stabilimento degli uffici all'estero» 18, cioè un apposito decreto reale (e l'intervento del Parlamento), la sua pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», la comunicazione all'UPU, ecc. Giunto il commissario Branchi nella rada di Buja la sera dell'8 gennaio 1 881, insieme al segretario Giulietti, uno dei suoi primi rapporti al MAE fu interamente dedicato alla questione del servizio postale19• Propose che si iniziasse subito anche il servizio dall'Italia e che si usasse, in entrambi i sensi, solo la via Brindisi-Aden coi piroscafi settimanali inglesi della valigia indiana, più celere della via di Napoli delle « Mes­ saggerie francesi». Comunque, mentre le corrispondenze private da Assab avrebbero usufruito normalmente di un solo viaggio mensile ad Aden della «Chioggia» (che aveva sostituito l'«lschia» nel dicembre 1 880), quelle ufficiali del commissariato avrebbero approfittato di ogni altra eventuale gita del « Fieramosca» ad Aden 20 come a Suez, e in tal senso fu allertato l'agente consolare colà residente21 ; in casi urgenti, si sarebbe fatto ricorso alle barche arabe. Il commissario chiedeva anche di poter scrivere all'estero22, mentre a Roma non gli erano nemmeno state consegnate le relative istruzioni e tariffe di affrancatura 23• Anche così, non si trattava ancora di un servizio postale vero e proprio, tale da soddisfare quella condizione che aveva contribuito a far accettare l'incarico a Branchi, « quella cioè dei mezzi adatti ad assicurare le nostre comunicazioni postali e forse anche telegrafiche con l'Europa»24• Il MAE

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Vedi nota 16 lettera b). Rapporto di Branchi al MAE n. 6, del 14 gennaio 1881, in AS MAE, Eritrea, pacco 6. 20 Nel suo rapporto al MAE n. 19/A ris. del 6 gennaio 1881, Frigerio parla di «solita gita mensile» del «Fieramosca» da Assab ad Aden. Si ebbe normalmente un viaggio mensile del «Fieramosca» fino all'aprile 1883. 21 Lettera di Branchi al consolato in Suez, n. 3 mise. del 24 gennaio 1881, in ASMAE, Eritrea, pacco 1 . 22 Come risulta dalle fonti consultate, il commissariato dovette rivolgersi spesso a ditte inglesi, austriache e tedesche per la fornitura di materiali necessari alla colonia (una macchina sollevamento acqua, una macchina da ghiaccio, legname da costruzione, un piccolo piroscafo, ecc.). 23 Vedi nota 16. 24 V. rapporto Branchi al MAE n. 12, del 4 febbraio 1881, a commento del bilancio di previsione di Assab per l'anno 1881, in ASMAE, Eritrea, pacco 1. Il testo continuava così :


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aderiva a parte delle richieste del commissario, non fornendo t�ttavia i mezzi richiesti; mantenne la via di Napoli e, conscio della precarietà del servizio, ritenne prematuro che le istruzioni per il concentra�efl:tO delle corrispondenze dirette ad Assab fossero rese di pubblica ragione25; per parte sua, continuò ad inviare ad Assab dispacci, denaro e materiali soprattutto per mezzo dei piroscafi mensili Genova-Bombay della Ru­ battino, sempre tramite il consolato di Aden26• Di questo primo periodo, non ci sono note buste delle varie corrispondenze ufficiali e private spedite; non è quindi possibile alcun riscontro su modalità precise d'inoltro, tempi di percorrenza, tantomeno statistiche sull'impiego delle varie vie previste27• Questa situazione restò immutata a lungo, con tutti quegli inconve­ nienti che spinsero il commissario a chiedere di nuovo con forza una soluzione per le comunicazioni postali e commerciali tra Assab e Aden. Erano bastate, scrive Branchi, « le occorrenze di Beilul per gettare gli arrivi e le partenze della posta nel più completo scompiglio» e, più avanti, «le comunicazioni attuali per mezzo di sambuchi non possono assolutamente bastare», trattandosi di « barche poco sicure e che stante i monsoni impiegano nel tragitto da Assab a Aden e viceversa da un mese e mezzo» 28• Nei suoi suggerimenti, Branchi contemplava varie

«Alle prime [le comunicazioni postali] urge di provvedere accordando alla compagnia Rubar­ tino la progettata sovvenzione in quanto che non potrà mai parlarsi di commercio in Assab fino a che la colonia non abbia comunicazioni regolari e costanti con gli altri paesi. Le attuali mantenute dai bastimenti da guerra qui di stazione, oltre a non poter servire al commercio sono per necessità talmente irregolari da non poter assolutamente giovare al servizio postale fino a che altri mezzi non ci siano concessi». 25 Lettera da MAE a Branchi, n. 6, del 18 febbraio 1 881 e a DGposte, n. 13 reg. Assab in pari data, quest'ultima in ACS, Dir. gcn. poste, b. 345. 26 Lettera da MAE a Branchi, n. 1 1 e al consolato in Aden, entrambe del 23 febbraio 1881, e a Branchi, n. 30, del 16 aprile 1881 e n. 56, del 22 luglio 1 881. 2 7 Sono noti solo alcuni francobolli sciolti o su frammenti col bollo «baia di Assab», che potrebbero risalire al periodo 1881-1882; la prima busta conservata integra con tale bollo risale al febbraio 1882 e risulta avviata in Italia per la via di Brindisi al pari delle poche altre note del 1883. 28 Rapporto Branchi al MAE n. 94, del 16 settembre 1881. Le «occorrenze di Beilul» si riferiscono all'eccidio della spedizione Giulietti e alla prima commissione d'inchiesta egiziana su Beilul. Queste vicende contribuirono a distendere i rapporti con le autorità inglesi di Aden che, tra l'altro, misero più volte a disposizione la cannoniera «Dragoon» per la trasmissione di

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possibilità, come la già proposta sovvenzione alla Rubattino per il prolungamento ad Aden del suo servizio di cabotaggio nel mar Rosso e la regolarizzazione della linea, ovvero accordi con altre imprese per un servizio almeno mensile tra Aden e Assab, spingendosi ad ipotizzare, in tal caso, la sostituzione del «Fieramosca» con un vero stazionario, in vista di un'«economia sul bilancio dello Stato ( . . . ) superiore ai 400.000 fr. annui, somma questa molto al di sopra di quanto occorrerebbe a provvedere non solo alle comunicazioni fra Assab e Aden, ma a tutti indistintamente i bisogni della colonia sommati insieme» 29• Ma il Mini­ stero non può che prendere tempo, in attesa «che si sia sistemata la condizione di codesta colonia»30, tanto più che, poco dopo, la Rubattino sospendeva la sua linea non sovvenzionata 31•

dispacci urgenti e di corrispondenze varie da Aden ad Assab (v. lettera del consolato in Aden al MAE n. 309, del 21 giugno 1881, di Branchi al MAE n. 65 e a Frigerio, n. 38 mise. del 23 giugno 1881, di Branchi al MAE n. 123, del 31 dicembre 1881). A seguito dell'uccisione di Giulietti e Biglieri e dei loro 14 compagni, fu trattenuta in mar Rosso per circa un mese la «Vettor Pisani», di cui pure si approfittò per far giungere dispacci da Aden a Branchi (v. lettera di questi al MAE n. 76 del 23 luglio 1881, in MAE,EMR, I, t. Il, p. 195). Nello stesso periodo, fu di nuovo in Assab il «Rapido», per il cambio d'equipaggio dello stazionario (v. telegramma di Mancini al console in Egitto dell'l luglio 1881, in L'opera della Marina . . . cit., p. 930). Per la questione di Beilul, vedi AP, Camera dci deputati, legislatura XIV, I sessione 1880-81, documento n. IV «Incidenti di Beilul e di Raheita (Assab)», ove è pubblicata parte del carteggio qui citato. 29 Ibidem. 30 Lettera da MAE a Branchi, 31 La sospensione della linea, a

n. 73, del 23 ottobre 1881, in ASMAE, Eritrea, pacco 2. causa dell'epidemia di colera manifestatasi in vari punti del mar Rosso, era comunicata dalla Rubattino alla DGposte con lettera del 12 ottobre 1881 e, da Assab, con lettera di Branchi a MAE n. 113, dell'l dicembre 1881. Allorché le misure quarantenarie dell'Egitto permisero la ripresa del servizio, col vapore «Messina», esso risultò limitato al tratto Suez-Sualcim-Massaua (v. lettera da Rubattino a DGposte del 31 dicembre 1881). Il «Messina» fu definitivamente richiamato alla fine del giugno 1882 e non più rinviato, sia per i «deplorevoli risultati finanziari della navigazione in mar Rosso» (lettera da Rubattino a DGposte del 30 giugno 1882), sia per la situazione politica che si stava allora determinando in Egitto (lettera da Rubattino a DGposte n. 9, del 7 luglio 1882, in ACS, Isp. SCI'IJ. maritt., b. 147, pos. 485/7). Preoccupato per l'isolamento di Assab e le conseguenti limitazioni di sviluppo commerciale, Branchi interpellava anche la compagnia «Cowasjee» di Aden circa le condizioni di una eventuale fermata in Assab del suo vapore tra Aden, Massaua e Hodeida (lettera di Branchi a Cowasjee n. 60 mise. del 20 marzo 1882). Si sentiva in proposito anche la ditta Bienenfeld di Aden (uno dei due fratelli era lo stesso console italiano), che chiedeva per un tale servizio la sovvenzione mensile di L. 5.000 (v. lettera di V. Bienenfeld e C. a Branchi del 9 giugno 1882 e all'ing. Dionisio del 12 giugno 1882, quest'ultima col progetto di servizio quindicinale tra Aden e Assab toccante i porti di Hodeida, Moka, Bulhar, Berbera e Zeyla), in A SMA I, 1J4-25.


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Intanto, il tempo e gli eventi stavano portando a matuiazione tutta la questione di Assab ; il nuovo ministero Depretis-Mancini, stabjlito finalmente per Assab un modus vivendi con la Gran Bretagna (febbr�io 1 882), formalizzava il passaggio della proprietà privata sui territori della colonia dalla Rubattino al governo 32• Raccolta poi la documenta­ zione sui lavori da eseguirsi 33 e nominato un nuovo segretario del commissariato (in sostituzione del defunto Giulietti) nella persona dell'interprete cav. Pestalozza 34, si dedicava finalmente a sottoporre al Parlamento il d.l. 341 del 12 giugno 1 882, Provvedimenti per A ssab. Accompagnato dalla presentazione del Libro Verde Assab e da una lunga relazione, che riassumeva quanto fin qui esposto in dettaglio, il d.l. regolava in soli quattro articoli lo stabilimento della colonia e i suoi limiti territoriali, la diretta dipendenza dal MAE, l'approva­ zione della convenzione con la Rubattino e la Navigazione generale italiana (NGI), lo stanziamento di L. 60.000 nell'esercizio 1 882 per le opere più urgenti. Nonostante le promesse della relazione governativa al d.l. 3s, nessun cenno e nessuno stanziamento erano dedicati al mi-

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glioramento delle comunicazioni. Al cenno, ma non allo stanziamento, pensò l'apposita commissione parlamentare, che invitò il governo a «provvedere con tutti i mezzi più opportuni e con ogni sollecitudine per i servizi postali e telegrafici con l'Italia»36• Ma la situazione postale di Assab non era destinata a migliorare in tempi brevi, anzi peggiorò gravemente, a causa di un'irreparabile avaria della goletta «Chioggia», avutasi proprio nel luglio 1 882, con la conseguente soppressione di uno dei due collegamenti mensili, anche se non regolari, con Aden 37• E questo proprio mentre i pur pochi residenti erano comprensibilmente ansiosi di notizie fresche sull'evolversi della situazione egiziana 38 e an­ che preoccupati di rimanere, in quei frangenti, senza seria protezione militare durante le frequenti assenze del « Fieramosca»39• Nel dicembre 1 882 Mancini affrettò gli studi per un nuovo serv1z1o di navigazione postale e per i lavori del porto di Assab, orientandosi a favore del citato progetto dei Bienenfeld ma tutto l'anno 1 883 40,

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Relazione della commissiOne sul d.l. 341 A, presentata il 19 giugno 1882, in AP, legislatura XIV, I sessione 1880-81, Docull/ellti. L'allineamento della commissione camerale alle posizioni ministeriali fu peraltro così stretto che la discussione avvenne sul testo della commissione (ibid., Discussioni, 2• tornata del 26 giugno 1882). Il d.l. fu approvato alla Camera con 147 voti favorevoli, contrari 72, divenendo, dopo l'ancor più contrastata approvazione senatoriale (39 voti contro 32), la legge n. 887 del 5 luglio 1882. 37 Rapporti Pestalozza a MAE n. 182, del 28 luglio 1882 e n. 187, del 28 agosto 1882. La «Chioggia» lasciò Assab il 10 ottobre 1882 (v. rapporto Pestalozza a MAE n. 194), a rimorchio del piroscafo «Abissinia>> della NGI. I rapporti in ASMA I, pos. 1f4. 38 Si tengano presenti gli avvenimenti seguiti al movimento nazionalistico di Arabi Bey, i" tumulti di Alessandria (11 giugno 1882), il bombardamento inglese della città (11 luglio 1882) e la sconfitta dei nazionalisti a Tell-el-Kebir ad opera delle truppe di Wolseley (13 settembre 1882), con la rapida caduta dell'Egitto sotto controllo britannico. 39 Il «Fieramosca» era spesso incaricato di missioni e ispezioni; ad es., il 21 dicembre 1882 partì da Assab per assumere informazioni a Massaua (v. lettera Pestalozza a MAE n. 209 del 28 dicembre 1882). Durante la sua assenza, fece visita ad Assab la cannoniera inglese «Osprey>>, cui il reggente Pestalozza «rimise qualche lettera per l'Europa lasciata dal 'Fiera­ mosca'>> (benché l'«Osprey>> fosse diretta a Tagiura) (lettera Pestalozza a MAE n. 223 del 16 febbraio 1883, in ASMA I, pos. 1/4-23). È questa un'ulteriore testimonianza della precarietà del servizio postale dell'epoca in Assab ; inoltre, essa prova che non si pensava proprio alla possibilità di usare postalmente la via di Massaua, l'ufficio egiziano ivi esistente e i piroscafi della «khediviale» che vi fermavano. 40 Lettere da MAE a DGposte n. 172 del 9 dicembre 1882 e a Min. LL.PP. n. 176 del 13 dicembre 1882, n. 185 del 28 dicembre 1882 e n. 5 del 9 gennaio 1883 ; vedi anche nota 33. A queste sollecitazioni del MAE, DGposte e Min. LL.PP. fecero orecchio da mercante CatiiCra dei deputati,

32 Il testo della convenzione del 10 marzo 1882 con la Rubattino (uno degli ultimi atti della società, dopo la morte nel 1881 del fondatore, prima della sua trasformazione in «Navigazione generale italiana-Società riunite Florio e Rubattinm>), è annesso al citato d.l. 341, presentato alla Camera il 12 giugno 1 882, e riprodotto anche nel rif. 3b, vol. I, pp. 50-52. 33 Vedi, ad esempio, lettera da MAE a Min. LL.PP. n. 25, dell'li aprile 1 882, con la quale si richiede lo studio di vari argomenti, tra cui «un progetto di convenzione per un . 1882 servizio di coincidenze mensili con Aden>>, e lettera da MAE a Menabrea del 15 apnle e a Branchi del 28 aprile 1882 (quest'ultima in MAE, EMR, I, t. II, p. 234). 34 Vedi lettere da MAE a Branchi, n. 106, del 15 aprile 1882 e n. 1 1 O del 29 aprile 1882. Il Pestalozza, che partì da Napoli colle «Messaggerie francesi>> il 17 maggio 1882 ed era atteso in Aden dalla «Chioggia>>, giunse ad Assab il 1° giugno 1 882. Qui egli svolse compiti ben superiori a quelli di segretario, chiamato fino dal suo arrivo a sostituire Branchi n�n �olo nei suoi periodi di congedo ma, specialmente, per tutta la durata della sua lunga missiOne presso l'imperatore d'Etiopia Giovanni IV. Tale reggenza del commissariato �u prevista col d.m. 14 maggio 1882, che modificava l'art. 1} dell'ordinanza Cairoli del 24 d1ce�bre � 880. . 35 Anche un'esplicita disposizione della legge di Assab non risulta osservata, quella di rendiconti e consuntivi sullo stato dei vari servizi, da presentare periodicamente al Parlamento; né risulta che questi li abbia sollecitati: è anche per questo motivo che non disponiamo delle statistiche posta� di Assab per i primi anni della colonia. Altra promessa governativa non mantenuta fu quella di uno statuto o regolamento organico per Assab, sulla cui emanazione per r.d. si era impe�nato al Senato il ministro Mancini nella seduta del 12 aprile 1883 (v. rif. 2, II, tomo II, p. 886) : di un tale r.d. non si ha traccia, benché Mancini sia rimasto agli esteri fino a metà 1885.

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restò cnt1co e lo stato delle comunicazioni irrisolto e insoddisfacente. Se ne ha riscontro nella lettera di passaggio delle consegne dal «fiera­ mosca» alla «Cariddi», in cui si legge : « Regolarmente ai primi d'ogni mese ho lasciato col Fieramosca Assab per portarmi in Aden a tempo di poter ritirare dal Postale Rubattino proveniente dall'Italia i viveri che mensilmente vengono spediti ( . . . ) ed in pari tempo spedire col vapore della stessa Società proveniente da Bombay la corrispondenza voluminosa e quanto occorre. Come più sopra accennai, nel ritorno che faceva da Aden ad Assab, ho sempre portato non soltanto la corrispondenza, ma anche materiali e generi alimentari occorrenti alla colonia, che nell'isolamento in cui si trova, col solo mezzo dei sambu­ chi le comunicazioni sono abbastanza problematiche e difficili». E più oltre : « Quanto alla corrispondenza, la via più conveniente per l'Italia è la posta inglese per Brindisi (Peninsular and Orientai company) che tocca settimanalmente in Aden, sia dall'Europa che dall'India. A meno di circostanze eccezionali, essendo ora la stazione ridotta ad un sol bastimento, si ha quindi un servizio mensile fatto ai primi d'ogni mese»41. Una conferma dal vivo di queste notizie si trova nelle lettere

che Cesare Nerazzini, ufficiale medico della Marina inviato in servizio sanitario ad Assab, scriveva mensilmente alla madre in questo perio­ do42. Di grande interesse documentale, tali lettere sono anche ricche di precisi riferimenti sulle comunicazioni del tempo tra Assab e l'Italia : in particolare, confermano le partenze dello stazionario ai primi giorni di ogni mese, in coincidenza col passaggio settimanale da Aden (il giovedì) della valigia indiana, l'arrivo a Brindisi dopo nove giorni (ogni sabato, col tratto Suez-Alessandria percorso in treno), l'occasio­ nalità dell'inoltro con le « Messaggerie dell'Indocina», l'esclusione dei piroscafi nazionali dal servizio postale; similmente in senso mverso, col rientro dello stazionario a metà di ogni mese43. Nel marzo 1 883, dopo un lungo silenzio, si era mossa anche la Direzione delle poste che in un primo tempo ribadì al MAE le modalità di formazione dei plichi e del loro avviamento via Aden, Brindisi e Napoli in vigore fin dal gennaio 1 881 44, ma subito dopo cambiò idea e dispose, senza la necessaria preparazione, che a partire dal 7 maggio 1 883 fosse formato unicamente «un dispaccio da Brindisi ad Assab, da aver corso ogni lunedì coi piroscafi della Società Penin­ sulare fino ad Aden e da Aden ad Assab coi mezzi più acconci che si presenteranno a quel r. console». In senso inverso, «le corrispondenze

e si intuisce chiaramente la loro netta ripulsa a impegnarsi con Bienenfeld o con chiunque altro invece che con la prediletta NGI (vedi lettera DGposte a Min. LL.PP. del 1 5 dicembre 1 882 e postilla alla lettera del MAE del 28 dicembre 1882). A quest'ultima lettera fu risposto il 3 gennaio 1883, e il Min. LL.PP. così si esprimeva : «A me sembra che tale navigazione non rivesta carattere strettamente postale, ma principalmente quello commerciale e politico, per cui il provvederei cade nella competenza di cod. on. dicastero» ; affermava poi la necessità di un'apposita legge, con la spesa a carico del MAE, non avendo «animo di presentare al Parlamento una nuova convenzione marittima dopo il rigetto della legge per la navigazione tra l'Egitto la Siria e Cipro e in pendenza delle gravi conclusioni emesse dalla Commissione di inchiesta sulla Marina Mercantile». Analoga risposta del Min LL.PP. il 26 aprile 1 883 (lettera n. 70681 di prot.) ad un'ennesima sollecitazione del MAE in data 23 aprile 1883 ; ma ora si prometteva di contattare la NGI, invitandola a fermate straordinarie ad Assab dei suoi vapori per le Indie (vedi lettera DGposte a NGI n. 70681, dello stesso 26 aprile 1883). La NGI si guardò bene dal rispondere per oltre un mese; quando le fece, su nuova sollecitazione, la risposta in merito fu del tutto negativa. Il carteggio in ACS, Isp. serv. l!Jaritt., b. 151 . 41 Lettera di Cobianchi, comandante il «Fieramosca», a Resasco, comandante la « Cariddi», n. 205, dell'l gennaio 1 883. Lo stato delle cose è confermato in un rapporto di F. Colaci al Min. agricoltura e commercio del 13 febbraio 1883, ove si legge: «Le comunicazioni di Assab sono limitate ad una gita mensile che questo stazionario fa in Aden per prendere la posta»; in ACS, Isp. serv. mariti., b. 151, pos. 1067.

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42 La segnalazione del carteggio privato di Nerazzini presso l'Archivio di Stato di Siena è per chi scrive uno dei positivi risultati del convegno a Messina-Taormina; si veda, in proposito, la relazione del dott. Iacona, in questi stessi atti. Nonostante lo scempio operato su tutte le buste, con l'asportazione dei francobolli, l'esame delle buste stesse permette di chiarire che fino al giugno 1884 Nerazzini preferì far portare le sue lettere ad Aden, facendole affrancare presso quell'ufficio, dal quale erano inoltrate in Italia generalmente coi piroscafi inglesi e, più raramente, con quelli francesi, con tempi di percorrenza dagli 1 1 ai 21 giorni. Non veniva cioè utilizzata l'intermediazione del commissariato, col vantaggio dell'affrancatura italiana a tariffa interna, probabilmente per un desiderio di riservatezza da parte del medico di Assab. 43 Si vedano, in particolare, le lettere di C. Nerazzini alla madre da Assab del 29 maggio 1 883, (la prima, raccomandata ad Aden il 7 giugno, dopo aver perso la coincidenza col vapore inglese, fu trasportata dalle «Messaggerie francesi») e del 31 luglio 1883. Le lettere di Nerazzini alla madre in ARCHIVIO DI STATO DI SIENA Carte Nerazzini, b. 21/5 e 21/6 (le buste nei pacchi 97-99). 44 Lettere da DGposte a MAE n. 49277, del 23 marzo 1883 e da MAE a DGposte n. 40 e a Pestalozza n. 41/148, entrambe del 28 marzo 1883. Quando Pestalozza un mese dopo risponde, dichiarando di continuare ad attenersi al sistema in vigore (sua lett. a MAE n. 236 del 30 aprile 1883), la DGposte ha già disposto di cambiare sistema di avviamento.


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di Assab per l'Italia saranno riunite, a cura di quel r. commissario, in un piego diretto all'ufizio di Brindisi, da avviarsi egualmente per mèzzo del consolato italiano di Aden e coi menzionati piroscafi. Modificando in tal modo il cambio delle corrispondenze fra l'Italia e quella colonia, non solamente si accelererà il corso delle medesime, ma si risparmia la spesa dei francobolli che sarebbero occorsi per i pieghi in arrivo ed in partenza al consolato italiano di Aden, nonché la relativa contabilità»45• L'intenzione delle poste era di realizzare finalmente dei veri dispacci postali diretti, da scambiarsi cioè chiusi tra le amministrazioni postali interessate e con un minimo intervento del consolato in Aden, elimi­ nando nel contempo l'avviamento di Napoli con le «Messaggerie francesi». Si colse l'occasione per rendere finalmente pubblico l'avviso concordato col MAE fin dal dicembre 1 880 e si stamparono le moda­ lità di «Avviamento delle corrispondenze per la colonia di Assab »46, nelle quali era precisato che «per ora non è ammessa la raccomanda­ zione delle corrispondenze ( . . . ) » 47, e che « la loro francatura è sempre obbligatoria 48 colle tasse stabilite per l'interno del regno». Il MAE si

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affrettò ad approvare il nuovo sistema e a dare le conseguenti istru­ zioni ad Aden e Assab 49, dove intanto il « Fieramosca» era stato rilevato dalla cannoniera « Cariddi» 50• Il sistema però non poteva funzionare, dato che la Direzione delle poste non aveva stabilito preventivi accordi con l'Indian Post-Office di Bombay, ignorando persino che l'ufficio di Aden ne dipendeva a tutti gli effetti. Così, ben presto, il console Bienenfeld faceva sapere che « il direttore dell'ufficio di posta inglese in Aden ( . . ) non trova regolare che il commissariato di Assab trasmetta, per mezzo del consolato italiano di Aden, pieghi non affrancati all'indirizzo dell'ufficio postale di Brindisi, ed ha insistito acciò questi pieghi sieno affrancati con francobolli indiani» 51• Anche il reggente Pestalozza, mentre riferiva che il nuovo sistema « è riuscito di poca utilità al pubblico, e che già i coloni e l'equipaggio dello stazionario 52 cominciano a chiedere oltre a quel servizio di lettere ordinarie, quello pure delle lettere racco­ mandate e dei vaglia postali», precisava che l'ufficio di Aden «rifiutasi di ricevere il piego di Assab come piego postale, e a meno di speciale affrancazione per l'importo diretto, pretenderebbe che quel piego prendesse la via di Bombay, ove quell'ufficio centrale è solo autoriz.

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Lettere della DGposte, da div. 2 a div. 1, alla Direzione provinciale di Lecce, al Genera! Londra e al MAE tutte col prot. n. 52890, del 16 aprile 1883; tutte in ACS, Isp. b. 151, pos. 1067. 46 È questo il titolo del par. 213 del «Bullettino postale», n. 6, del 15 aprile 1 883, il primo riferimento postale su Assab riscontrato in una pubblicazione ufficiale. 47 L'impossibilità di raccomandare le corrispondenze per Assab era una seria lacuna del servizio. In senso inverso, chi voleva raccomandare doveva farlo fare in Aden; ricorreva abitualmente a questo sistema il commissariato, servendosi del consolato, per i documenti importanti da trasmettere al Ministero, come testimoniano varie buste, ora conservate in collezioni private, raccomandate singolarmente in Aden e con affrancatura indiana. Similmente faceva il Nerazzini non solo per le lettere che voleva raccomandare, ma anche per le ordinarie. Del tutto analoga la situazione per la spedizione di telegrammi: essi potevano essere fatti allora solo ad Aden e, in caso di necessità, il commissariato si serviva anche di barche espresse (v., ad es., telegramma di Pestalozza al MAE del 12 agosto 1 883 da Assab, spedito via Aden per sambuco il 1 5 agosto; in ASMAE, Eritrea, pacco 6). 48 Mancando ad Assab qualsiasi addetto postale, non si sarebbero potute tassare eventuali corrispondenze non francate; mancavano le necessarie istruzioni, i moduli, e anche i segnatasse. Fino alla metà del 1 883, Assab non aveva nemmeno le normali «<struzioni per il servizio della postalettere» (v. richiesta in tal senso di Pestalozza al MAE nel rapporto n. 236 del 30 aprile 1883, sua trasmissione dal MAE alla DGposte con lettera n. 71 del 23 maggio 1883 e risposta del MAE a Pestalozza n. 76/161 del 29 maggio 1883, con l'annuncio dell'invio delle istruzioni in pacco separato; questo partirà solo il 16 giugno 1883, arrivando ad Assab a fine agosto. posi office di serv. mariti.,

Quattro mesi per una normale fornitura, a causa della scarsità dei collegamenti e della trafila burocratica da seguire per via della dipendenza gerarchica). Il carteggio in AS MAE, pos. 1104. 49 Lettere da MAE a DGposte n. 54 e a Pestalozza n. 55/154, entrambe del 19 aprile 1883; ibidem. 50 Lettera di Pestalozza a MAE n. 239 del 2 maggio 1883. Come il «Fieramosca>>, anche la «Cariddi» arrivava di solito ad Aden nella prima settimana di ogni mese (v. le lettere di Nerazzini prima citate e la lettera del consolato in Londra al MAE n. 6 del 27 agosto 1 883; in ASMA!, pos. 1/5-34). Quest'ultima lettera, come quella di Mancini al M. marina n. 1 1 8 dell'l settembre 1883, in ASMAE, pos. 1 105, parla di «cannoniere» italiane, ma è certo che all'epoca c'era in mar Rosso la sola «Cariddi» (v. ad es., L'opera della Marina... cit., pp. 991-1017, e la Relazione sull'andamento dell'amministrazione marittima nell'anno 1883, Roma, Tip. Eredi Botta, 1884). 51 Lettera da MAE a DGposte n. 128 del 24 settembre 1 883 ; in ACS, Isp. serv. mariti., b. 151, pos. 1067. 52 Sulla «Cariddi» erano imbarcati 130 marinai (da «L'Esploratore», 1884, 3, riprodotto in Di mal d'Africa si muore, a cura di A. DE JAco, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 36); quanto ai «coloni», si era passati dai sette italiani residenti nel 1882 (da «L'Esploratore», 1882, 4, riprodotto a p. 35 del libro ora citato) alla trentina tra residenti e viaggiatori nel 1883. I residenti europei che risultano nei censimenti di Assab di fine 1883 e 1884 sono 21 e 34, rispettivamente (v. annesso n. 2 al rapp. di Pestalozza al MAE n. 493 del 1 8 gennaio 1885; in ASMA!, pos. 1/6-47).


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zato ad accettare pieghi postali esteri» 53• Passarono altri mesi, per i necessari contatti e accordi con le poste di Londra, Bombay e ·Aden, . con un certo discredito della nostra amministrazione che nella lettera a Londra del 1 6 aprile si era dimenticata di chiedere che in Aden fossero considerati pieghi postali anche quelli provenienti da Assab per Brindisi 54• Ancora a · fine anno il commissario Branchi (nel frat­ tempo rientrato dalla sua missione in Etiopia) comunicava che « no­ nostante la nota dell'amministrazione delle poste del 1 6 aprile, nessun pacco venne fatto fin qui e nessuna circolare diramata, mentre le lettere ancor ci arrivano con la posta inglese e con francobolli di 40 centesimi» 55• Questa vicenda tecnica dei pieghi postali illustra bene la confusione del momento, e mette in evidenza il carente coordina­ mento tra i vari dicasteri, cui avrebbe potuto ovviare l'istituzione di un apposito organo collegiale, dotato di indirizzi chiari, mezzi ed autonomia, ma allorché ne verrà fatta la proposta dal ministro Berti,

essa sarà lasciata cadere dal collega degli esteri che non voleva interferenze nella cura del nuovo orticello coloniale. Il problema principale era poi un altro, poiché solo un serv1z1o regolare e frequente tra Aden e Assab (oltre all'istituzione qui di un vero stabilimento postale) poteva accelerare lo scambio della posta e accontentare l'utenza, interessata pure alla soluzione dell'altrettanto grave problema delle comunicazioni commerciali, rimaste interrotte dopo la cessazione del servizio di cabotaggio della NGI e stante l'impossibilità da parte delle navi della Marina militare a trasportare merci per conto terzi 56• D'altra parte, mentre alcuni governanti ne erano ben consci, la debolezza politica e l'impreparazione della mac­ china statale a gestire la novità di una pur piccola colonia faceva sì che nessun ministero volesse accollarsi le spese necessarie e che si cercassero semmai trucchi contabili per contenerle al di sotto delle 30.000 lire, onde evitare il ricorso al Parlamento. Come già accennato, un'ennesima sollecitazione del MAE in data 23 aprile affinché le Poste si facessero almeno carico di un regolare servizio di navigazione fra Assab e Aden o Suez, ottenne che le Poste stesse interpellassero invece la NGI per fermate straordinarie ad Assab dei piroscafi mensili della linea indiana. La NGI oppose un netto e motivato rifiuto, con consi­ derazioni condivise dalla stessa DG Poste, e ne approfittò per rilanciare l'idea, mai da essa abbandonata, di un servizio speciale fra Assab e Aden, sovvenzionato per L. 60.000 annue. Così, nel giugno 1 883, Mancini tornava alla carica col collega Genala dei Lavori pubblici per un « servizio regolare di coincidenze con Aden, trattandosi di bisogno manifesto e tale che quando non fosse soddisfatto, sarebbe come un volere, per via indiretta, l'abbandono della Colonia stessa», sottoli­ neando che «mal si concepisce un civile consorzio, per quanto ristretto, che si rassegni a trovarsi privo di sicure comunicazioni col resto del mondo». Poiché il « Ministero della marina ha ragione di non consen-

53 Lettera da Pestalozza al MAE n. 281 del 27 settembre 1883, in ASMAE, Eritrea, pacco 6, comunicata dal MAE alla DGposte con lettera n. 142 del 30 ottobre 1883. Il reggente non se la sentì di appoggiare le richieste dei residenti, «priva come rimane tuttora questa colonia di comunicazioni per mezzo di vapori postali di servizio regolare». Pestalozza aveva anche saputo che l'ufficio postale di Aden non aveva ancora ricevuto istruzioni circa dispacci postali da Assab, per cui aveva deciso di continuare nel sistema abituale. Lo confermava pure Bienenfeld da Aden il 6 novembre 1883, costretto ad affrancare i plichi di Assab, con una spesa di 21,5 rupie, pari a L. 45.15 (lettera da MAE a DGposte n. 247 reg. Ingh., del 23 novembre 1883 ; in ACS, Isp. serv. maritt., b. 151, pos. 1067). 54 Lettere da DGposte al MAE e al Generai Post Office-Londra, n. 162494 del 30 settembre 1883, risposta inglese n. 73204 del 25 ottobre 1883; nuova lettera da DGposte a Londra n. 184016, del 5 novembre 1883, e risposta inglese n. 73204 del 12 novembre 1883, comunicata al MAE con lettera n. 192955, del 28 novembre 1883 (in ACS, Isp. serv. maritt., b. 151 pos. 1067); te!. da DGposte al Generai Post Office di Londra del 27 novembre 1883, risposta a DGposte n. 73204 del 29 novembre 1883, comunicata al MAE con lett. 202171 del 5 dicembre 1883 e dal MAE ad Assab con lett. 186/198 del 7 dicembre 1883. L'accettazione indiana fu comunicata al Generai Post Office e di qui alla DGposte con lett. n. 73204 del 28 dicembre 1883. Da Bombay furono date istruzioni anche al dipendente ufficio di Aden, cosicché dalla fine dell'anno il consolato in Aden «impostò le lettere provenienti da Assab senza francatura, ponendole entro un sacco consegnatogli a tale effetto da quell'ufficio postale, e lo indirizzò all'ufficio postale di Brindisi» (lett. da MAE a DGposte n. 22 del 18 gennaio 1884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 329). 55 Rapp. di Branchi al MAE n. 319 del 28 dicembre 1883. La tariffa di 40 centesimi era quella dall'Italia per i paesi non europei dell'Unione postale, mentre la tassa delle lettere interne era allora di 20 centesimi ogni 15 gr.

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56 Le carenze nel servizio postale e commerciale con Assab furono lamentate anche sulla stampa dell'epoca; si veda pure l'interrogazione del deputato Canzi che, in sede di discussione del bilancio alla Camera, chiedeva si stabilissero comunicazioni con Assab, e la sbrigativa risposta ottenuta, in AP, Camera dei deputati, legislatura XV, sessione unica, discussioni, p. 343. Si vedano anche le lettere da DGposte al Min. LL.PP. n. 94173 del 5 e dell'8 giugno 1883; in ACS, Isp. serv. tJJaritt., b. 151, pos. 1067.

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tire indefinitamente a che un legno da guerra sia distratto dal · suo servizio normale per altri scopi che non gli spettano» 57 e poiché· era stato nel frattempo ritirato il progetto Bienenfeld, «viste le forti pretese degli armatori inglesi per noleggiarmi un vapore e le ancor più alte pretese dei fabbricatori per vendermene unm>58, «non rimarrebbe, quindi, altra via da tentarsi all'infuori della prosecuzione del negoziato colla Navigazione generale» 59• Questa proponeva di assegnare al ser­ vizio Aden-Assab un piroscafo di piccole dimensioni, il «Corsica»60 , con una spesa complessiva mensile di L. 8.600, di cui 5.000 erano chieste a titolo di sovvenzione, il tutto in via sperimentale e senza impegno di durata, dopo i sei mesi di prova. Nel riferirne ai Lavori pubblici, il Mancini concludeva la sua calda perorazione proponendo che la spesa fosse a carico di quel ministero 61 • Poiché questo faceva orecchie da mercante62, il MAE si imbarcò in un'altra iniziativa, cioè l'acquisto del vapore « Operculum», che la ditta inglese Luke and Thomas teneva di stazione ad Aden. Il lungo carteggio in proposito si concluse, però, con un parere negativo della Marina, cui per di più il MAE cercava di accollare la spesa 63• L'unica possibilità rimasta era dunque quella del «Corsica», pur con le citate difficoltà di sovvenzione governativa. Ma la «Navigazione generale», fedele continuatrice del rapporto privilegiato avuto col governo dalla Rubattino, decise di riprendere per sei mesi l'interrotto servizio di cabotaggio nel mar Rosso, istituendo «gratuitamente, ed in via di esperimento, un servizio

postale mensile fra Aden e Assab»64, destinandovi il «Corsica». Questo partirà da Genova la sera del 25 gennaio 1 884, toccando Napoli il 28, per giungere ad Assab il 1 5 febbraio e mettersi subito all'opera con un primo viaggio ad Aden, ove giunse il 1 8 febbraio65• Per questo aspetto, il nuovo anno si aprì sotto buoni auspici 66, ma ci sarebbero voluti altri mesi per una pur provvisoria sistemazione del

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57 Lettera da MAE a Min LL.PP. n. 80 del 6 giugno 1 883, accompagnata da lettere autografa n. 79 di Mancini a Genala, a sollecitazione dei suoi buoni uffici, in ASMAE, pos. 1067. 5 8 Lettera del consolato in Aden al MAE n. 22 del 16 maggio 1 883 ; in ASMA!, pos. 1/5-34. 59 Vedi nota 57. 60 Il « Corsica» stazzava appena 200 tono. e aveva 21 uomini di equipaggio (v. Stato della navigaziom nel porto di A ssab. Prùno trimestre 1884 e Ventesima relazione sul servizio postale in Italia. 1• seJJtestre 1884 - Anno finanziario 1884-85, Roma, Tip. Eredi Botta, 1 886, p. XCVIII . È questa la prima delle periodiche relazioni postali a parlare del servizio italiano nel mar Rosso). 61 Vedi nota 57. 62 Una risposta in merito era sollecitata da Mancini ancora ad ottobre e novembre (v. lett. da MAE a Min. ind. comm. n. 141 del 22 ottobre 1 883 e a Min LL.PP. n. 146 e 147, entrambe del 7 novembre 1 883 ; in ASMAE, pos. 1 1 05). 63 Lett. da M. marina a MAE n. 9017 del 19 settembre 1 883 e da MAE a M. marina n. 132 del 29 settembre 1 883 ; si omette la citazione delle altre note scambiate in merito tra vari organi; in (A SMA!, pos. 1/5-34 e ASMAE, pos. 1 1 05). .

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64 Lett. della NGI a DGposte n. 4772, del 18 dicembre 1 883 e al MAE del 19 dicembre 1 883 e risposta di Mancini n. 191, del 21 dicembre 1 883. Queste lettere ufficiali erano state precedute da un fitto carteggio personale e da conferenze tra funzionari i Poste, NGI . e MAE. Era stato lo stesso direttore della NGI, Laganà, a proporre un serviZio spenmentale gratuito, per non « sollevare in Parlamento una possibile discussione sopra un sussidio di poche decine di migliaia di lire», concludendo che « giovi meglio ali� So�ietà rinunziarvi per _ ora salvo a discutere in campo più vasto sulle sorti future delal nav1gaz10ne sovvenziOnata» (tr scritto in un promemoria della DGposte al ministro Genala in data 7 dicembre 1 883 ; in ACS, Isp. serv. Jnm·itt. , b. 151, pos. 1067, come il restante carteggio citato). 65 Lett. della NGI a DGposte n. 53, del 25 gennaio 1 884 e di Branchi al MAE n. 336 del 16 febbraio 1884, in cui si afferma che a « detta di tutti non si potrebbe immaginare vapore più adatto sotto ogni rapporto alla linea che dovrà esercitare ed ai bisogni della colonia». L'arrivo in Aden fu comunicato da NGI a DGposte con telegramma del 19 febbraio 1 884. Alle Poste, che con lettera n. 33701 del 20 febbraio, chiedevano di « conoscere esattamente quale servizio eseguirà il Corsica», la NGI rispondeva con lettera n. 71 del 1° marzo, informando che il piroscafo era tuttora in Aden, in attesa delle coincidenze coi piros�afi �GI d�ll'Italia e dall' dia, _ e impegnando il Corsica «a partire da Assab per essere 1n Aden il 6 di ogru mese», con nserva di altri viaggi, a prevalente carattere commerciale, con gli scali del mar Rosso, a seconda del tempo, delle circostanze e del traffico. Il carteggio in �CS, lsP_. serv. marit':., �· 158, p os. 663. . 66 Un evento negativo fu invece una grave avana di macchina alla «Canddi» nel ntorno da Aden del dicembre 1 883 (v. lett. di Nerazzini alla madre del 1 7 dicembre 1 883, spedita profittando della barca araba col telegramma atJnunziante l'avaria), che lasciò Assab praticamente isolata per circa due mesi, e solo connessa con Aden per mezzo di sambuchi: uno arrivò il 22 gennaio, ripartendo il 24, un altro la settimana successiva, ripartendo poi per Aden via Moka (v. lettere � Nerazzini alla madre del 23 gennaio e dell'l febbraio 1884). La «Cariddi» ripartì da Assab a vela il 3 gennaio per il suo ultimo viaggio postale ad Aden. Materiali, armi, viveri e posta (14 lettere) furono quindi inviati da Aden ad Assab con un sambuco il 5 febbraio (lett. del comandante Resasco a Branchi in pari data) ed il 13 febbraio (lett. di Resasco in pari data, lett. di �ranchi al MAE n. 337 del 16 febbraio 1884 e lett. di Nerazzini alla madre del 15 febbraio 1884). Rientrata a vela m Assab il 20 febbraio, la «Cariddi» verrà rimorchiata a Suez dalla corazzata «Castelfidardo» e sostituita come stazionaria dall'avviso «Vedetta» nel maggio 1884 (v. L'opera della Marina... cit., p. 70, lett. da MAE a Min marina n. 104 del 6 marzo 1884, risposta n. 2345 del 10 marzo 1 884, e lett. di Resasco a Branchi n. 167 dell'11 maggio 1884; in AS MAI, pos. 1/5-42). L'attento esame degli avvenimenti e delle date dimostra l'infondatezza del presunto avviamento di lettere raccomandate da Assab via Massaua, desunto in base ad un'unica busta, diretta al MAE e bollata a Massaua in data 14 gennaio 1884, recante al verso parte di scritta con la dicitura «Assab . . . Abissinia» (v. P. BIANCHI, olonia Eritrea . . . cit., p. 28). Anche altri elementi riscontrabili dalla busta escludono che essa proverusse da Assab, mentre la citata dicitura ha spiegazione diversa da tale supposta provenienza.

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problema postale di Assab. Infatti, non appena risolta la questione sopra illustrata del dispaccio settimanale Brindisi-Aden 67, le poste decisero improvvisamente di sopprimere la via di Brindisi e di att�are unicamente, in entrambi i sensi, un dispaccio mensile per la via di Napoli, coi piroscafi della linea NGI Genova-Bombay, in coincidenza ad Aden col « Corsica»68• Quindi un servizio tutto italiano, forse pensato per risparmiare la spesa dei diritti di transito marittimo dovuti alla Gran Bretagna e del transito terrestre egiziano 69• Con questo nuovo sistema vennero formati da Napoli due soli dispacci70, poiché in Assab esso fu giudicato pessimo 71, anzi «assolutamente inaccettabi-

67 Dopo la positiva risposta da Bombay, disposizioni in tal senso furono date a Brindisi ancora ai primi di gennaio (v. lettere n. 219346 scambiate tra le div. 1 e 2 della DGposte il 5 e il 7 gennaio 1 884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 215). 68 Già il 12 gennaio la DGposte telegrafò a Brindisi di dirottare il dispaccio per Assab del lunedì 14 su Napoli; il 14 gennaio impartì le disposizioni per un dispaccio mensile per Assab da avviare colla NGI (in partenza da Napoli il 26 e in arrivo il 21 di ogni mese) ; lo stesso giorno informò il Generai Post Office di Londra sulla soppressione dei dispacci Brindisi-Assab con l'intermediazione dell'ufficio di Aden, il giorno dopo ne avvisò il MAE e il commissario Branchi (note della DGposte tutte col n. 4692 di prot., in ACS, Dir. gen. poste, b. 329). 69 Il Generai Post Office, nel prendere atto del nuovo avviamento tutto italiano, concluse che i citati diritti di transito dovuti dall'Italia sarebbero stati calcolati per il solo periodo 7 maggio-31 dicembre 1 883 (lett. da Generai Post Office a DGposte n. 1 9042 dell'l febbraio 1 884). I diritti di transito si spiegano col fatto che i dispacci postali via Brindisi erano imbarcati dalla «Peninsulare» con la «valigia delle Indie», sbarcati ad Alessandria, portati in treno a Suez, ave riprendevano i piroscafi diretti ad Aden e Bombay; lo stesso inversamente. Una sofisticata organizzazione delle coincidenze faceva guadagnare alla valigia parecchio tempo rispetto al transito per il canale di Suez (v. anche la lettera di Nerazzini del 31 luglio 1883, già citata). I diritti di transito dovuti all'amministrazione egiziana per l'inoltro coi treni straordinari della valigia indiana erano di due lire ogni kg di lettere; vennero raddoppiati a partire dal 1° aprile 1 886 (comunicazione dell'amministrazione postale egiziana a DGposte, da questa trasmessa al MAE con lettera n. 45703, del 25 marzo 1 886). Qualche anno dopo, nello spirito dell'Unione postale, i diritti di transito verranno aboliti. 70 Quello del 26 gennaio col « China» comprendeva 1 1 2 lettere, 3 cartoline e 36 stampe, quello del 26 febbraio col «R. Rubattino» comprendeva 247 lettere, 3 cartoline e 1 1 9 stampe, più 4 tassate (lett. da dir. prov. Napoli a DGposte n. 2078 del 27 gennaio 1884 e n. 4331 del 27 febbraio 1 884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 329). Le corrispondenze non franche, ora ammesse per la prima volta, erano tassate all'ufficio di Napoli-Molo, che ne sarebbe poi stato rimborsato da Assab. 71 Nella sua lettera alla madre del 1 5 febbraio 1 884, Nerazzini definisce il sistema «scelle­ rato» ; la istruisce poi ad integrare la via mensile di Napoli con lettere via Brindisi, a lui dirette presso il consolato di Aden, con affrancatura per l'estero e prive di qualsiasi riferimento ad Assab, onde evitare l'avviamento indesiderato da parte di « quegli asini che stanno alla Direzione delle R.R. poste in Italia» (lett. 5 marzo 1884).

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le», in quanto «i piroscafi della Navigazione generale impiegano ben 13 lunghi giorni da Napoli a Aden, mentre colla Peninsulare noi possiamo avere le lettere in Aden in 8 giorni da Brindisi e qualche volta anche da Roma. Ma il difetto principale, il più importante si è nella rarità delle comunicazioni. Anche se il Corsica non andasse che una sola volta al mese, cosa assai dubbia giacché il comandante ci fa sperare un approdo quindicinale, noi possiamo sempre, quando le lettere giacciono in Aden, trovare delle occasioni straordinarie (come la barca araba di ieri) per averle» 72• Con successivo rapporto, il commissario supplicava il MAE di non condannare il possedimento «a ricevere la posta una sola volta al mese» 73, avendo per di più ottenuto viaggi quindicinali del «Corsica» ad Aden 74• Mentre anche il console in Aden si lamentava, tra l'altro, di dover «nuovamente tenere un conto aperto perché continuamente da Assab mi mandano lettere con ogni mezzo acciò io le affranchi e le spedisca» 75, Branchi concluse le sue giuste lagnanze direttamente con la Direzione delle poste 76 quando questa, già prevenuta dal MAE 77 e frastornata dalle reazioni, riprese anche dalla stampa, si era già arresa, dando le opportune

72 Rapp. di Branchi al MAE n. 339 del 16 febbraio 1 884; in ASMA I, pos. 30/1-1. 73 Rapp. di Branchi al MAE n. 343 del 4 marzo 1 884; in ASMAE, Eritrea, pacco 6. 74 Il servizio di navigazione del «Corsica» tra Aden e Assab era stato previsto mensile dalla

NGI (v. lett. citate nel rif. 66 e lett. di Mancini al Min. LL.PP. n. 1 reg. Assab dell'l gennaio 1884, della DGposte a NGI n. 33701, del 20 febbraio 1 884 e risposta NGI n. 71 del 1° marzo 1884; in ACS, Isp. serv. maritt. , b. 1 58, pos. 663) e come tale pubblicizzato (par. 30 del «Bullettino postale» n. 1 del 15 gennaio 1 884, p. 65), ma nel già citato Stato della navigazione del porto di A ssab per il prùno trimestre 1884 si rilevano le seguenti partenze del « Corsica» per Aden : 17 febbraio, 5 e 20 marzo, 3 aprile, cioè viaggi quindicinali. L'orario del « Corsica», comunicato finalmente dalla NGI a DGposte con lettera n. 7300 del 16 marzo 1 884 e riportato al par. 197 del «Bullettino postale» n. 4 del 1 7 aprile 1 884 dà in effetti un servizio bimensile, con partenze da Assab per Aden il 4 e il 18 di ogni mese. Le linee erano due (I bis e I ter), entrambe toccavano Hodeida, la seconda anche Massaua. Il nuovo servizio fu inaugurato ufficialmente con la partenza da Aden del 10 marzo (v. lett. da NGI al MAE del 16 marzo 1 884 e comunica­ zione del MAE a Branchi n. 1 1 5/249 del 17 marzo 1884; in ASMAE, pos. 1 105). 75 Rapp. di Bienenfeld al MAE del 12 marzo 1 884; in ASMA!, pos. 30/1- 1 . Continuava, cioè, la trasmissione da Assab di lettere sciolte, che dovevano essere affrancate dal consolato e addebitate ai singoli mittenti. Questa contabilità era ulteriormente complicata dalle lettere in arrivo tassate : per ritirarle, il console doveva anticipare la tassa, « reducendo così il mio ufficio consolare in un vero ufficio postale» (stesso rapporto). 76 Lett. di Branchi alla DGposte n. 168 mise. del 15 marzo 1884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 329. 77 Lett. da MAE a DGposte n. 101 del 6 marzo 1 884; ibidem.


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istruzioni e informazioni per la soppressione della via mensile di Napoli e la ripresa di quella settimanale di Brindisi, con effetto dal 1 0 màrzo 78• In questa occasione saltò fuori un aspetto prima trascurato, e cio� che «l'amministrazione delle poste può solo rispondere della regolarità · del corso dei dispacci da Brindisi ad Aden con la Peninsulare e da Aden ad Assab con la Navigazione generale italiana, non potendo assumere alcuna responsabilità sul servizio delle barche arabe o di quegli altri mezzi straordinari di trasporto i quali, se pure tornano utili ai residenti della nostra Colonia, non possono essere considerati come postali» 79• Ora che il «Corsica» faceva regolare servizio quindicinale e si inviavano dall'Italia solo veri dispacci postali, si doveva chiudere con le fin allora preziose barche arabe, e vi fu in tal senso un perentorio invito di Branchi a Bienenfeld 80• Ma era meno semplice e pratico rinunciare alle navi della Marina, dato l'interesse di equipaggi e viaggiatori a ritirare subito la propria corrispondenza in Aden, senza aspettare la regolare distribuzione in Assab. Capitò così che sacchi postali sigillati venissero aperti in Aden e alcune lettere estratte, con infrazione di ogni normativa postale e del diritto di riservatezza. Uno di questi casi ebbe luogo proprio in occasione dell'arrivo ad Aden del primo di­ spaccio proveniente di nuovo da Brindisi. Invece di conservare il sacco integro per il «Corsica» e pensando di far bene ad affidarlo al «Rapido », in partenza per Assab81, il console permise che il sacco

venisse aperto dal conte Antonelli, che ambiva nt1rare subito le sue lettere dall'Italia prima del suo rientro in patria 82• E non fece a tempo ad . arrivare la proibizione del commissario a tale pratica 83 che anche il successivo sacco fu aperto «per compiacere alla preghiera del sig. conte Antonelli, di inviargli cioè le lettere a lui dirette, in Italia e per estrarre quelle pel Rapido»84• La questione fu poi risolta positivamente, dopo il solito lungo carteggio85, con la formazione dall'Italia, a partire dal 30 giugno, di un dispaccio postale separato per le corrispondenze ordinarie affrancate dirette alla « Vedetta», ma ciò non impedì che l'inconveniente si ripetesse più tardi a proposito dei pacchi e poi, di nuovo, per le corrispondenze dirette alla « Castelfidardo» 86• Un altro problema avviato a soluzione nei primi mesi del 1 884 fu quello di un vero stabilimento postale in Assab, che attuasse qualcosa in più del solo servizio delle corrispondenze ordinarie

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7B Lett. da DGposte al MAE, al Generai Post Office-Londra, all'Indian Post Offi­ ce-Bombay, alla dir. prov. Napoli, alla sez. 3 e alla div. 2 della stessa DGposte, tutte n. 44573 in data 11 marzo 1 884 (ibid., bb. 329 e 334), e da DGposte a Min. interno n. 47593 per la pubblicazione dell'avviso sulla G.U. L'avviso è anche riportato al par. 1 47 del « Bullettino postale» n. 3 del 1 5 marzo 1 884, p. 299. 79 Lett. da MAE a Branchi n. 248 del 13 marzo 1884, comunicata anche al consolato in Aden, su segnalazione della DGposte. Quest'ultima scrisse in proposito a Branchi solo il 10 aprile, con lett. n. 6341 1 ; sia nell'originale sia nella minuta il nome del commissario è indicato come Bianchi! (in ACS, Dir. gen. poste, b. 329). Non sarà stato per questa sola mancanza di riguardo, ma è un fatto che «le difficoltà inerenti alla situazione e le continue ansietà che ne derivano unite al clima ed all'isolamento» spinsero presto il commissario a chiedere «un cambiamento di ambiente e di affari» e la nomina di un successore (lett. di Branchi al MAE n. 354 del 1 3 aprile 1 884; in ASMAI, pos. 1 /5-42). BO Lett. di Branchi a Bienenfeld n. 178 mise. del 1 aprile 1 884; in ASMAE, Eritrea, pacco 1 . BI Il «Rapido» fu nuovamente inviato in mar Rosso dal gennaio all'aprile 1 884 a protezione dei connazionali di Suakim da possibili conseguenze della insurrezione del Madl;ti in Sudan

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(v. L'opera della Marina. . . cit., p. 70). Dopo una puntata ad Assab il 20 marzo, il «Rapido» proseguì subito per Aden per rifornimenti vari e, nel ritorno a Suakim, via Massaua, passò di nuovo ad Assab, trasportandovi il citato sacco della posta da Brindisi. Il viaggio e il trasporto di posta sono testimoniati dalla lettera citata al rif. 84, affidata proprio al com.te di Bracchetti e giunta in Assab il 28 marzo, nonché dalla risposta di Branchi dell'l aprile 1 884, citata al rif. 82 e dal rapporto di Branchi al MAE n. 353 del 2 aprile 1 884; in A SMA !, pos. 30/1-1 . BZ Lett. di Bienenfeld a Branchi del 27 marzo 1 884. B3 Vedi nota 80. B4 Lett. di Bienenfeld a Branchi del 6 aprile 1 884. 85 Lettere : di Buonocore, com.te il «Vedetta», a Branchi n. 1 82 dell'l giugno 1 884 e risposta in data 2 giugno 1 884; di Branchi al MAE n. 377 del 3 giugno 1884; del Min. marina alla DGposte n. 5717 del 21 giugno 1 884; del MAE a DGposte n. 237 del 22 giugno 1884; da DGposte a Min. marina n. 1 1 5658 e al MAE n. 1 1 7003, entrambe del 25 giugno 1 884; da Min. marina a DGposte n. 5740 del 26 giugno 1884; dal MAE a Branchi n. 245{297, a DGposte n. 246 e a Bienenfeld n. 342, tutte del 27 giugno 1 884; da DGposte a Min. marina n. 1 1 8898 del 30 giugno 1 884 e al Generai Post Office-Londra n. 121226 del 5 luglio 1 884, con risposta inglese n. 1 62387 dell'l l luglio 1884; dalla collettoria di Assab alla dir. prov. Lecce del 1 4 luglio 1 884, trasmessa a DGposte con lettera n. 4521 del 2 agosto 1 884; da DGposte a uff. post. Brindisi n. 130513/44573 del 26 luglio 1 884, alla dir. prov. Lecce e al MAE n. 1 43767 del 10 agosto 1 884, con risposta del MAE n. 312 del 13 agosto 1 884. Anche in questa occasione si manifesta una serie di incomprensioni e fraintendimenti tra i vari organi citati. 86 Lettere : di Trucco, com.te la « Castelfidardo», a Pestalozza del 9 gennaio 1 885 ; (in AS MAE, Eritrea, pacco 2) di Pestalozza alla NGI-Aden n. 285 mise. del 18 gennaio 1 885 ; e risposta del 23 gennaio 1 885; (ibid., pacco 1 ) ; te!. da DGposte al MAE n. 135 del 21 febbraio 1 885, (in ASMA !, pos. 30/1-3), che autorizza l'apertura dei sacchi postali in Aden, onde ritirarne le corrispondenze per l'equipaggio della corazzata.

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e che avesse almeno un addetto. Fin dall'inizio dell'anno, la Dire­ zione delle poste pensò di istituire colà una collettoria di prima classe 87; in attesa di trovare la persona adatta, decise di equipar�re provvisoriamente l'<mfficio» di Assab ad una collettoria di seconda classe88 e anticipò l'invio dei materiali occorrenti, come una cassetta d'impostazione, un ballatoio e un nuovo bollo, inchiostro, istruzio­ ni, registri e stampati vari 89• L'istituzione della collettoria di seconda classe, ufficializzata col 1 6 marzo 1 88490, non produsse variazioni sostanziali nel servizio postale 91• La novità più importante fu la formalizzazione di Assab nei riguardi dell'UPU, cui fu comunicato per la prima volta che «des correspondances ordinaires pourront, dès aujourd'hui, etre échangées par la voie d'Italie entre Assab et

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Lettere DGposte cit. al rif. 69 e al MAE n. 4692 del 9 gennaio 1 884; in ACS, Dir. gen. b. 334. 88 Lett. da DGposte a Branchi n. 4692 del 15 gennaio 1 884, da MAE a Branchi n. 21/219 del 1 7 gennaio 1 884 e a Bienenfeld n. 23 del 19 gennaio 1 884; in ASMA I, pos. 30/1-1. A norma del r.d. 4 febbraio 1 883 n. 1245 e del d. DGposte 21 marzo 1 883, le collettorie di prima classe avevano le seguenti attribuzioni : vendita francobolli e cartoline, distribuzione e spedizione corrispondenze ordinarie e raccomandate, emissione e pagamento vaglia ordinari e militari fino a L. 50, servizio dei pacchi postali ; quelle di seconda classe potevano occuparsi soltanto delle corrispondenze ordinarie (v. «Bullettino postale» n. 6 del 15 aprile 1883, par. 1 72 e 173, pp. 664-667, e n. 9 del 15 giugno 1 883, par. 273 e 274, pp. 1030-1032). I collettori non erano dipendenti statali e di solito svolgevano questo compito accanto ad altre attività private. 89 Lett. da DGposte a Branchi n. 1 1964 e alla dir. prov. Napoli n. 1 1967 del 19 gennaio 1884, (in ACS, Dir. gen. poste, b. 329) con l'ordine di avviare i materiali col «Corsica». La risposta da Napoli, n. 1 1965 del 31 gennaio 1 884, assicura la DGposte della consegna della cassetta per la collettoria di Assab al «Corsica», mentre gli altri materiali dovrebbero essere stati avviati col «China» il 26 gennaio (v. lett. da MAE a Branchi n. 70/234 del 21 febbraio 1884) ; in realtà, tutto pervenne al commissario solamente il 13 marzo (v. lett. Branchi a MAE n. 345 del 14 marzo 1884, in ASMAI, pos. 1/5-43, e alla DGposte n. 1 68 mise. del 1 5 marzo 1884, in ACS, Dir. gen. poste, b. 329, con un incredibile ritardo, che testimoniava gli inconvenienti della via di Napoli tanto per la posta quanto per gli oggetti. 90 Par. 1 00 del «Bullettino postale» n. 3 del 1 5 marzo 1 884, p. 222, nel quale la nuova collettoria figura aggregata all'ufficio di Brindisi, con dipendenza dalla direzione provinciale di Lecce. 91 Una variazione che interessa i collezionisti è l'abbandono del bollo lineare «baia di Assab» e la sua sostituzione con quello «Ottangolare» a date con la più anonima dicitura «Assab» (si vedano, in proposito, i lavori filatelici citati ai rif. 9 e 1 6 e, inoltre, il paragrafo su Assab di L. RAYBAUDI MASSILIA, BoJli a an1111Jlamenti delle collettorie r11rafi del Regno d'Italia, in «Rivista filatelica d'Italia», 1940, 6, pp. 104-5).

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les pays de l'Union» 92. La comunicazione destava l'immediata cu­ riosità di alcune amministrazioni estere, in particolare la francese e l'egiziana, oltre a quelle inglese ed indiana 93• Parigi chiedeva i par­ . ticolari del servizio tra Assab e Suez e l'Europa e verso l'Indocma e se Assab poteva servire per lo scambio di corrispondenza con l'Abissinia 94; all'ultima domanda fu risposto negativamente 95• La reazione egiziana merita particolare considerazione, se non altro per la diversità dell'atteggiamento di quel governo (ma non di tutto l'apparato amministrativo) rispetto a quello di Costantinopoli. Que­ st'ultimo non prese una posizione formale sull'ufficio di Assab, ma continuò a lungo a non ritenere validi i francobolli italiani applicati in uffici situati in territori considerati dell'impero su corrispondenze dirette in altri territori soggetti alla Porta 96• La tutela inglese sul­ l'Egitto, invece, fece sì che l'amministrazione di Alessandria non potesse contestare troppo apertamente lo stabilimento postale di Assab e si limitasse ad alcune osservazioni tecniche, segnalando

poste,

Lett. da DGposte all'UPU di Berna, n. 71474 del 14 aprile 1884; in ACS, Dir. gen. b. 334. Questa ne faceva immediata comunicazione a tutti i paesi dell'Unione con eire. . . n. 1250/38 del 17 aprile 1884; ibid., b. 215. . 93 Erano le reazioni che si erano volute evitare m precedenza, allorche la situazione internazionale era però ben diversa. Quanto alla Francia, dai documenti consultati non risulta alcun atto ostile circa il nostro insediamento in Assab, a parte l'intercettazione di qualche lettera abissina diretta alle autorità italiane. Infatti, nonostante l'acuta tensione tra i due governi per la questione tunisina, la Francia si trovava nei rigua�di d�lla Porta e de�l'Eg�tto, dopo l'occupazione di Obock e le mire che aveva nel golfo d1 Tagmra, m �na. sltuazl.one simile a quella dell'Italia ad Assab, e non pensava certo a suscitare serie questwru .d1plomat1ch� sull'argomento. Quanto all'Egitto, il premier Nubar pascià era completamente m. �ano agh inglesi, e questi avevano alla fme accettato lo stabili�ento i�aliano . . C.omprens!b!le anche l'amaro silenzio della sublime Porta, che non aveva 1 mezzi matenah per una concreta opposizione, in via di disfacimento com'era dopo la bancarotta finanziaria, la guerra con la Russia il trattato di Santo Stefano e il congresso di Berlino. 94 Lett. Min. poste e te!. di Parigi a DGposte n. 66010 del 24 aprile 1884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 334. . 95 Lett. da DGposte a Min. e te!. Parigi n. 77583 dell'8 maggw 1884; la nsposta fu . preparata con note scambiate tra le div. 2 e 1 della DGposte n. 77583 . del�'l e .3 maggw ; cornspondenze d1 scambio lo Assab via continuasse che ibid., b. 329. Il no a Parigi non impedì e materiali con l'Aussa, la corte scioana, Antonelli e gli italiani di Let Marefià (v. oltre). 96 Questa posizione esprimeva in campo postale il rifiuto turco all'interpretazione di comodo delle «capitolazioni» data dalle potenze europee. Essa venne pm mantenuta nel tempo anche nei riguardi degli uffici italiani di Massaua, Tripoli, ecc. Si tratta di un argomento di grande interesse, che verrà trattato in altra sede. 92

poste,

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l'incongruenza di far transitare dall'Italia le corrispondenze dirette da Assab in Egitto e nei paesi a cui esso serviva da intermediario 97• Le poste non persero l'occasione per altre brutte figure : ad esempio, avevano disposto che Assab formasse dispaccio anche con Potto Said 98 che non era però scalo postale della valigia indiana e, su segnalazione anglo-egiziana, lo fecero allora formare per Suez 99 ; dovettero poi cedere alle pacate osservazioni dell'amministrazione egiziana a proposito delle tariffe postali da Assab ad Alessandria 100 • Quanto alla persona da inviare come collettore ad Assab, la scelta non fu difficile, poiché il ministro Mancini aveva da tempo un candidato, raccomandato anche dalla NGI e da alcuni deputati ; furono i particolari realizzativi che presero alcuni mesi e produssero un carteggio decisamente sproporzionato rispetto alla futilità degli argomenti. Si trattava, in breve, di questo. Il candidato era il capitano di lungo corso Antonio Rizzo 101 , all'epoca cinquantasettenne, che, tra i precursori italiani in Africa, aveva avuto contatti con vari

97 Lett. da Dir. gen. poste egiziane a DGposte n. 225/261 del 26 aprile 1 884; in ACS, Dir. gm. poste, b. 329. 98 DGposte, mod. n. 84 del 3 maggio 1 884 ( Variazioni alle istruzioni per J'avviammto delle corrispondenze della collettoria di A ssab, con effetto dall' t giugno 1884) e mod. n. 37A in pari data (Movitnento dei dispacci in partmza dalla collettoria di A ssab) ; ibid., b. 336. 99 Lettere da Generai Post Office-Londra a DGposte n. 1 1 8492 del 10 maggio 1884, da dir. gen. poste egiziane a DGposte n. 295/298 del 13 maggio 1 884 e risposta n. 93086 del 25 maggio 1 884; in ACS, Dir. gm. poste, b. 329. 1 00 Lettere da DGposte alla collett. di Assab e a dir. gen. poste egi;dane n. 88891 del 1 9 maggio 1 884 (in cui s i disponeva che l e lettere per Alessandria fossero affrancate alla tariffa italiana interna, a seguito della chiusura dell'ufficio postale italiano nel porto egiziano e dell'adozione di tale tariffa per le corrispondenze ivi dirette dall'Italia), risposta egiziana n. 295/398 del 30 maggio 1 884 e nuove lettere DGposte ad Assab e Alessandria n. 105001 del 1 0 giugno 1884, per l'accettazione della tariffa internazionale ; ibid., b. 329. Si tratta di un ulteriore riflesso della questione della sovranità italiana su Assab : come risulta anche a pro­ posito di Massaua, ci sono sensibili differenze tra i vertici governativi egiziani, in mano inglese e favorevoli all'Italia, e parte della burocrazia amministrativa, ancora permeata di spirito nazionale. 1 01 Se ci dilunghiamo un po' sul personaggio è perché il Rizzo fu, con l'aiuto del figlio, l'unico addetto alla posta in Assab fino alla sua morte, avvenuta nel 1 888, e perché molte delle disfunzioni che si ebbero nel servizio si spiegano con l'età, l'inesperienza e le altre attività che egli doveva svolgere. Le notizie sul Rizzo sono state raccolte da G. GrACCHERo-G. BISOGNI, Vita . . . cit., passim, riprese e ampliate nel vol. II (ree/e «lntroduttivo») della serie MAE, EMR, pp. 3-14.

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missionari e con lo stesso Cavour, rivestendo anche, pnma che Negussié fosse sopraffatto da Teodoro, la carica di capo-paese del­ l' Asmara. Al tempo di cui parliamo, il Rizzo non versava in floride condizioni economiche e aspirava ad un impiego in Africa, mirando a diventare agente della NGI e capitano di porto in Assab prima ancora che la località avesse un porto 102 • Mancini, nel raccomandarlo come sorvegliante ai relativi lavori, proponeva che «egli eserciti anche provvisoriamente le funzioni di capitano di porto. Gli si potrebbe pure affidare il servizio postale con una rimunerazione supplementa­ re» 103. Le poste furono d'accordo, nonostante qualche dubbio che 4 egli potesse tenere il triplice incarico 10 ; il restante carteggio sul Rizzo è dovuto alle pressioni di Mancini per sostenerlo, per fargli avere un po' più del minimo delle L. 300 annue come collettore, a facilitarlo in ogni modo sulla prescritta cauzione di L. 240, ad abbreviargli il periodo di impratichimento nelle cose postali, ad agevolarlo nel trasloco : tutti problemi minuti, curati personalmente dal ministro degli esteri 105 • Mentre l'addestramento del Rizzo proce-

1 02 Lett. di Mancini a Rizzo n. reg. 86 del 19 giugno 1 883, all'on.le Fazio n. reg. 1 44 del 6 novembre 1 883, ancora a Rizzo n. 2 reg. Assab dell1 gennaio 1 884, in ASMAE, pos. 1 105 ; da DGposte a NGI n. 1643 del 7 gennaio 1 884 e risposta n. 5321 dell'1 1 gennaio 1884, in ACS, Isp. serv. mariti. , b. 1 58. 1 03 Lett. di Mancini al Min. LL. PP. n. 1 reg. Assab del 1° gennaio 1 884 (già citata), nella quale il ministro ricorda diffusamente le passate benemerenze del Rizzo. 1 04 Lett. da DGposte a MAE n. 4692 del 9 gennaio 1 884 (già citata), dal ministro Genala a DGposte del 22 febbraio 1 884, da DGposte a MAE n. 25534 del 25 febbraio 1 884 e n. 36365 del 26 febbraio 1 884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 329. IOS Lettere di Mancini a DGposte n. 19 reg. Assab del 17 gennaio 1 884 (già citata), a Rizzo n. 57 reg. Assab del 14 febbraio 1 884, a DGposte n. 88 reg. Assab dell'l marzo 1 884, all'on.le Maiocchi n. 91 reg. Assab del 3 marzo 1 884; da DGposte a MAE n. 39978 del 6 marzo 1 884; da Mancini a Rizzo n. 1 07 reg. Assab e a DGposte n. 1 09 reg. Assab, entrambe dell'8 marzo 1 884, ancora a DGposte n. 125 reg. Assab del 26 marzo 1 884 e risposta n. 57694 del 28 marzo 1 884, a Rizzo n. 1 29 reg. Assab del 30 marzo 1 884, a DGposte n. 132 reg. Assab dell'l aprile 1 884 e risposta n. 60481 del 5 aprile 1 884, a Rizzo n. 139 reg. Assab e a DGposte n. 140 reg. Assab, entrambe del 7 aprile 1 884, risposta da DGposte a MAE e a Rizzo n. 65529 dell'1 1 aprile 1 884; da Mancini a Branchi n. 203/283 e n. 205 e a Rizzo n. 204, tutte del 22 maggio 1 884, in ASMAE, pos. 1 1 05. Due altre lettere sulla nomina di Rizzo e sul suo stipendio, inviate da Mancini a Branchi (n. 1 38/255 del 7 aprile e n. 1 84/273 del 1 3 maggio), sono pubblicate come doc. 1 e 2 in MAE, EMR, II, p. 273.


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deva in un ufficio succursale di Roma 1 06 e presso la stessa DG poste, apparentemente conscia delle « condizioni eccezionali in cui si. troverà il collettore di Assab, per la lontananza dalla propria direzione provinciale» 1 07, furono attuate le pratiche per l'istituzione della col­ lettoria di 1 a classe di Assab, già concordate tra il MAE e la DG poste, per i nuovi servizi 1 08, la comunicazione all'UPU 1 09, ecc. Dopo l'arrivo del Rizzo ad Assab, nella prima decade del giugno '84110, assegnato un locale per la collettoria, si iniziarono pertanto i nuovi servizi : delle raccomandate, che erano avviate come le ordina­ rie, cioè quindicinalmente da Assab e settimanalmente da Brindisi con la «valigia delle Indie» 111 ; dei pacchi postali, che avrebbero dovuto

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Lett. da DGposte a MAE, a Rizzo e alla dir. prov. Roma, tutte n. 65529 in data 1 1 aprile 1 884. L a risposta d i Mancini porta il n . 1 57 reg. Assab in data 1 7 aprile 1 884; in ACS, Dir. gm. poste, b. 329. 107 Lett. da DGposte alla div. 3 e alla ragioneria n. 70315 del 1 6 aprile 1884 e risposte della div. 3 n. 1 1401 e della rag. n. 3947, entrambe del 17 aprile 1 884; ibidem. 108 L'esito degli accordi stabiliti in proposito è riassunto nel « Bullettino postale» n. 6 del 21 giugno 1 884, par. 261, pp. 545-7, che riporta la eire. DGposte n. 95976 del 26 maggio 1884, all'oggetto Cambio delle corrispondenze, dei vaglia e dei pacchi colla colonia italiana di Assab. Qui e in tutti i documenti ufficiali risulterebbe la data del 1 o giugno per la trasformazione della collettoria dalla seconda alla prima classe e l'attuazione da tale data di tutti i nuovi servizi previsti, ma il Rizzo si decise a partire da Napoli solo il 27 maggio e anche dopo il suo arrivo ebbe numerose difficoltà a iniziare i delicati e complessi servizi dei vaglia e dei pacchi. 109 Lett. da DGposte all'UPU n. 91414 del 19 maggio 1 884 e comunicazione di questa ai paesi membri n. 1641/51 del 23 maggio 1884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 334. V. anche lett. da DGposte all'Indian Post Office-Bombay n. 128698 del 17 luglio 1 884; ibid., b. 329. 1 1 0 Nei documenti consultati non risultano né il giorno d'arrivo del Rizzo né quello d'inizio delle funzioni di collettore, mentre è indicato 1'1 1 giugno per la nomina a delegato di porto (lett. di Branchi al MAE n. 390 del 29 giugno 1 884 e verbale annesso, in A SMA I, pos. 30/1-1.). 1 11 Per molto tempo il collettore non inviò a Roma, nonostante i solleciti, nessun docu­ mento o statistica sul movimento dei vari tipi di corrispondenze. Anche per questo motivo, i dati di Assab relativi al primo semestre 1884 e all'esercizio 1 luglio 1 884/30 giugno 1 885 mancano nella citata Ventesima relazione sul servizio postale in Italia. Questa riporta solo come partite da Assab 339 cartoline postali nel primo semestre '84 e 2650 (di cui 2210 semplici e 440 doppie) nell'84f85, ma si tratta di dati ricostruiti chissà come alla DGposte e di scarsa attendibilità. Sono forse più significativi i dati rilevati in un prospetto della stessa DGposte del 4 novembre 1887 (in ACS, Dir. gen. poste, b. 470), secondo cui nei cinque mesi dall'agosto al dicembre 1884 furono consumati ad Assab francobolli per le corrispondenze per l'importo di L. 740 (con una stima mia di meno di tremila lettere ordinarie), cartoline postali per L. 20 e segnatasse per L. 207,14. Peraltro, tale prospetto dà erroneamente l'agosto '84 come mese

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essere avviati mensilmente con la NGI per la sola via Napoli e Messi­ na 112 e sottoposti a dogana estera 113, ma per i quali ancora a fine giugno Rizzo chiedeva istruzioni 114, inviandone intanto qualcuno per la via di Brindisi 115; dei vaglia fino a 50 lire 116, per la cui emissione si

di apertura della collettoria. Le prime statistiche attendibili delle corrispondenze da Assab si riferiscono all'esercizio 1885/86 (allorché la collettoria era stata trasformata in ufficio postale di seconda classe), che danno un totale di 17. 177 oggetti, e precisamente: 5604 lettere francate, 475 non francate, 391 raccomandate, 1960 cartoline semplici e 520 doppie, 390 manoscritti, 1 56 campioni, 1984 stampe periodiche e 1741 non periodiche, 3956 corrispondenze ufficiali in esenzione di tassa (v. Ventumsi!Jia relazione sui servizio postale in Italia. Am1o finanziario 1885-86. Roma, Tip. eredi Botta, 1 887. 112 Lettere da DGposte a MAE n. 78276 del 30 aprile 1 884 e dal MAE a Branchi n. 167/266 del 2 maggio 1 884 (ricevuta ad Assab ben 25 giorni dopo, in ASMA I, pos. 30/1-1.); vedi anche nota 1 1 0. 1 13 Lett. da Min. finanze a DGposte n. 45105/6674 del 22 maggio 1 884, in ACS, Dir. gen. poste, b. 335, secondo la quale «Nei rapporti doganali la colonia italiana della baia di Assab è considerata come territorio estero». 1 14 Lett. di Rizzo alla dir. prov. Lecce del 28 giugno 1884, trasmessa alla DGposte e risposta di questa n. 128616 dell'8 agosto 1 884, con l'invio delle istruzioni richieste, in ACS, Dir. gen. poste, b. 335. Secondo la testimonianza di Nerazzini, «col mese di luglio comincia il servizio dei pacchi postali fra l'Italia ed Assab e viceversa» (lett. alla madre del 5 luglio 1 884). 11 5 Lett. da uff. post. Brindisi a DGposte n. 2449 del 1 8 luglio 1 884 e risposta n. 134331 del 24 luglio 1884, ibidem. Si tratta di un invio esiguo, solo sei pacchi postali, presumibilmente i primi da Assab. La DGposte precisa che i relativi bollettini da 75 cent. comprendevano la tassa di affrancatura (50 cent., come per l'interno), quella di ricomposizione dopo l'ispezione doganale (10 cent.) e quella di recapito a domicilio (15 cent.). Anche per i pacchi postali è impossibile una ricostruzione precisa del movimento fino all'esercizio 1 885/86, per il quale la citata Ventunesi!lla relazione dà 1094 pacchi in partenza e 1271 in arrivo. Nella Relazione precedente compaiono dati contraddittori : in una nota a p. CLXXV si afferma erroneamente che il servizio dei pacchi era cominciato ad Assab col 1" gennaio 1885 (e sono riportati, fmo al 30 giugno '85, 340 pacchi diretti in Italia, 2 diretti all'estero e 770 in arrivo); in altre tabelle, alle pp. CCIV-CCVII, compaiono 9 pacchi in arrivo ad Assab già nel primo semestre '84 e i totali di Assab e Massaua per l'esercizio 1 884/85 non corrispondono alle somme per le due località. Nel citato prospetto della DGposte del 4 novembre 1887 è indicato un consumo di francobolli per pacchi nei due mesi di agosto e settembre 1884 per L. 260 (corrispondenti a una mia stima di circa 300 pacchi) ; su questi ultimi dati, è tuttavia da notare che talvolta il collettore apponeva sui bollettini i francobolli ordinari anziché quelli speciali per i pacchi, vanificando anche in tal modo ogni possibile ricostruzione a posteriori del relativo movimento (v. lett. DGposte alla dir. prov. Lecce n. 134331 del 24 luglio 1 884). Per converso, sono noti alcuni frammenti di lettere da Assab, affrancate coi francobolli speciali per i pacchi invece che con quelli ordinari per le corrispondenze. 1 1 6 Poiché il servizio dei vaglia lascia tracce contabili di vario tipo, una ricostruzione dettagliata di tale movimento è possibile; in questo caso, non vi sono nemmeno contraddizioni di cifre nei vari documenti esaminati. Dal giugno al dicembre 1 884, il movimento dei vaglia


Beniamino Cadioli

Problema delle comunicazioni postali fra Italia ed Eritrea ( 1879- 1885)

pose immediatamente la questione della circolazione monetaria in Assab 117 e delle modalità d'incasso di sterline d'oro e di talle�i di M.T., problemi mai affrontati in precedenza e per la cui soluzione si dovette decidere la dipendenza contabile di Assab direttamente d�lla Direzione delle poste 118• A parte alcuni inconvenienti, dovuti alla scarsa pratica del collettore, a mancate intese precise con le amministrazioni estere corrispondenti e al fatto che la Turchia continuava a considerare Assab come territorio egiziano 119, cominciò anche un più o meno regolare servizio internazionale, con scambio diretto di dispacci con Aden e Suez ; con l'attivazione della collettoria, cessò poi l'uso dei francobolli « estero », sostituiti da quelli italiani120 •

Intanto, la NGI informava che col 21 agosto '84 sarebbero cessati «i sei mesi d'esperimento dei viaggi regolari fra Aden e Assab » e che il «Corsica» sarebbe stato richiamato in Italia, «a meno che il governo non voglia addivenire ad un provvedimento che metta la società in grado di coprire almeno le spese di detto servizio » 121• «Penetrato della convenienza di non interrompere le comunicazioni regolari fra Aden e la nostra colonia» 122, Mancini accettava la richiesta della NGI di un sussidio mensile provvisorio di L. 5000 e, dopo aver insistito affinché se ne facessero carico le poste 123, si rassegnava ad assumere l'onere12\ in attesa di una sistemazione valida anche per il servizio commerciale con gli altri porti del mar Rosso 125, cioè di una ben più costosa convenzione. Si insistette pure nel tentativo di obbligare la NGI a far approdare ad Assab i piroscafi della linea di Bombay, ma sarebbero stati necessari lavori ed attrezzature portuali ancora inesistenti 126, con spese impossibili senza un'apposita legge. Siamo così arrivati al periodo in cui nasce la questione dell'espan­ sione italiana a Beilul, Massaua ed altri punti della costa, in occasione del ritiro egiziano dalla vasta area sudanese, etiopica e del basso mar

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di Assab fu il seguente : emessi n. 275 per L. 13492, pagati (da ottobre a dicembre) n. 6 per L. 352; nei sei mesi successivi furono emessi n. 296 vaglia per L. 34636 e pagati n. 252 per L. 9473 (da lett. DGposte al MAE n. 1 42167 dell'l luglio 1 886, in ACS, Dir. gen. poste, b. 412). Nell'esercizio 1 885/86 (v. VmttmesitJJa relazione, cit.), i vaglia emessi furono 442 per L. 77303, quelli pagati n. 409 per L. 8929 (la diminuzione nel numero annuale è compatibile con l'aumento nel valore, non valendo per gli uffici di seconda classe il limite di L. 50 per vaglia). Né debbono lasciare perplessità alcuni parziali mensili nel periodo della collettoria : ad esempio, nel giugno '84 risultano emessi n. 1 6 vaglia per L. 1003,17, ma non se ne deve concludere che non fosse osservato il limite di L. 50 a vaglia, poiché risultano emessi vaglia di servizio interno, che potevano superare tale limite. 117 Lettere da collett. Assab a dir. prov. Lecce del 14 luglio 1 884 (già citata) ; da DGposte a Min. tesoro n. 143767/22449 del 7 agosto 1 884 e risposta n. 54304/6151 del 14 agosto 1 884; da DGposte al MAE n. 15161 5/23462 e risposta n. 323 del 20 agosto 1 884; ancora da DGposte a Min. tesoro n. 1 56808/24285 del 27 agosto 1 884 e risposta n. 58619/6704 del 1 0 settembre 1 884; d a DGposte a Pestalozza (di nuovo reggente il commissariato, dopo la definitiva partenza di Branchi) n. 1 73341/26854 del 19 settembre 1 884 e risposta n. 274 mise. del 3 novembre 1 884; in ACS, Dir. gen. poste, b. 344. 118 Lett. da DGposte a Rizzo n. 1 90607/29568 del 22 ottobre 1 884 e risposta n. 33 del 1 7 novembre 1 884, ibidem. 1 1 9 Vedi, ad esempio, lett. di Pestalozza al MAE n. 62 reg. Moka del 28 ottobre 1 884, in AS MA I, pos. 1/4-29. Ne risentivano anche i diritti doganali del commercio di Assab con la costa arabica, soggetta alla Porta. 120 Lett. da DGposte a Branchi n. 94387/5244 del 21 maggio 1 884 e risposta n. 205 mise. del 15 giugno 1 884, in ASMAE, Eritrea, pacco 1 . Oltre al fondo di dotazione di francobolli «estero» per L. 500 del dicembre 1 880, il commissariato aveva avuto due successive forniture di tali francobolli : per L. 122,90 (lett. di Branchi a DGposte n. 51 mise. del 12 gennaio 1 882 e n. 62 mise. del 3 aprile 1 882) e per L. 1 33,90 (lett. da DGposte a Branchi n. 831 85/4581 del 6 maggio 1 884). Circa il consumo dei francobolli «estero» ad Assab, occorre ricordare che essi furono usati anche al posto delle marche da bollo e della carta bollata, che vi mancavano, per la legalizzazione di atti, ecc.

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1 21 Lettere : da NGI al MAE n. 601 del 1 9 luglio 1 884 e risposta di Mancini n. 281 del 21 luglio 1 884; da DGposte (su analoga lettera della NGI) al MAE n. 134668 del 26 luglio 1 884 e risposta n. 295 del 28 luglio 1 884; in ACS, Isp. serv. mariti., b 158. 122 Lett. dal MAE al NGI n. 300 del 5 agosto 1 884 e a DGposte n. 299 in pari data. 1 23 Lett. dal MAE a DGposte n. 307 dell'8 agosto 1 884, n. 310 del 9 agosto 1 884 e n. 319 del 1 9 agosto 1 884; in ACS, Isp. serv. ltJaritt., bb. 154 e 1 58. 1 24 Lett. dal MAE a DGposte n. 370 del 29 settembre 1 884 e n. 383 del 9 ottobre 1 884, in risposta alla n. 1 83597 del 6 ottobre 1 884 ; in AS MAE, pos. 30/1- 1 . Il MAE continuò a pagare le sovvenzioni fino al marzo 1 885, sostituito poi dal Ministero dei lavori pubblici fino all'entrata in servizio del «Venezia», noleggiato dalla Marina. 1 25 Lett. dal MAE a DGposte n. 376 del 3 ottobre 1 884 e da Pestalozza al MAE n. 433 in pari data; (in ASMAE, Eritrea, pacco 6). 126 Rapp. di Pestalozza al MAE n. 444 del 31 ottobre 1 884, ibid. ; a parte la contrarietà della NGI a simili difficili fermate, il reggente faceva notare che esse avrebbero svelato « troppo chiaramente ai passeggeri quanto l'Italia abbia sino ad ora fatto poco per Assab ». Nella risposta n. 352 del 1 7 novembre 1 884 ((in ASNIAE, Eritrea, pacco 2), Mancini informava il Pestalozza essere «allo studio uno schema per una linea postale e commerciale nel mar Rosso», come risulta in effetti da un lungo carteggio del periodo tra MAE, DGposte, Min. LL.PP. e Min. agr. ind. comm. Quest'ultimo era particolarmente sensibile agli aspetti com­ merciali della navigazione in mar Rosso, con centro ad Assab, e vi aveva espressamente inviato come proprio rappresentante l'avv. Colaci ; vedi ACS, Isp. serv. IJJaritt. , bb. 1 54 e 1 58.


Beniamino Cadioli

Problema delle comunicazioni postali fra Italia ed Eritrea ( 1879- 1885)

Rosso. È chiaro che, nell'eccitazione che prese allora ManCini e alcuni funzionari del MAE, i piccoli anche se vitali problemi di" A�sab passavano in second'ordine; non a caso il carteggio relativo alla po �ta e alle comunicazioni si riduce drasticamente negli ultimi mesi dell'anno, per riacquistare ancora maggiore consistenza a partire dal gennaio 1 885, quando si prepara la spedizione del col. Saletta. D'or innanzi, ogni questione resta subordinata alle più pressanti risoluzioni sulla nuova avventura di Massaua e ad essa strettamente legata anche per le comunicazioni postali. Un primo legame derivò dalla segretezza, mantenuta per tutto il gennaio 1885, sulla destinazione reale del corpo di spedizione di Saletta. Poiché questo era ufficialmente diretto ad Assab, dove la collettoria sarebbe stata «troppo inferiore alle esigenze della spedizione militare» 127, la Direzione delle poste, accordatasi col Ministero della guerra per le sovvenzioni necessarie al servizio dei vaglia, in previsione di pagamenti cui non si sarebbe potuto far fronte in !oco 128, ritenne necessario di istituire ad Assab «un regolare ufficio postale di 1 a classe, retto da un impiegato di carriera» 129, provocando il relativo decreto ministeriale, con effetto dal 16 febbraio '85 130 e diramando un'apposita circolare agli uffici dipendenti 131• Con questa decisione, il collettore Rizzo avrebbe potuto essere nominato aiutante di ruolo, alla condizione che si occu­ passe «esclusivamente del servizio postale, in sussidio del titolare del nuovo ufficio, rinunziando ad ogni altra funzione estranea pubblica

o privata» 132• Ma tutto il progetto era superato dagli eventi : in realtà, il nuovo ufficiale postale fece solo una fugace apparizione ad Assab, verso la metà di febbraio 133, per assumere poi la titolarità dell'ufficio di prima classe istituito a Massaua a far tempo dal 1 o marzo 1 885 134, mentre era revocato il d.m. del 14 gennaio 1 885 e la collettoria di Assab era trasformata in ufficio di 2a classe, retto ancora dal Rizzo 135• L'altro e ben più importante legame tra Assab e Massaua fu quello delle necessarie modifiche ai servizi di navigazione. Quando ancora si pensava al Saletta diretto ad Assab, il Ministero della guerra aveva elaborato un minuzioso progetto per più frequenti comunicazioni con Aden 136 ; poco dopo si conveniva di renderle settimanali, alternando al «Corsica» lo stazionario 137• Ne veniva certo a beneficiare Assab, dove pure le esigenze postali erano realmente aumentate per l'invio colà della spedizione del col. Leitenitz, ma il nuovo problema era diventato quello delle comunicazioni di Massaua, allora servita postalmente solo da un viaggio mensile del «Corsica» e da fermate quindicinali dei lenti piroscafi egiziani della «Khediviale». L'argomento è troppo com­ plesso per essere esposto minutamente in questa sede ; mi limito a riassumere che si ebbero inizialmente con Massaua numerose diffi-

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127 Lett. da DGposte al Min. LL.PP. n. 8907 del 13 gennaio 1 885; in ACS, Dir. gm. poste, b. 347. 128 Richiesta da DGposte al Min. guerra n. 8771/1071 del 13 gennaio 1 885, risposta positiva n. 592 del 1 4 gennaio 1885 e sua comunicazione immediata a Saletta, stesso prot., del 14 gennaio 1 885 ; in ACS, Dir. gen. poste, b. 344. 129 Vedi nota 1 27. 1 30 Il d.m. del ministro Genala reca la data del 14 gennaio 1 885 ; fu anche partecipato sul « Bullettino postale» n. 2 del 1 6 febbraio 1 885, par. 56, p. 73. 131 Circ. n. 8 della DGposte, prot. n. 8973 del 14 gennaio 1 885, all'oggetto : Corrispondenze, vaglia e pacchi pel possedimento di A ssab. Il testo della prima stesura è diverso da quello poi stampato e dall'avviso pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, a testimonianza dell'incertezza delle poste; l'oggetto indicato nella minuta era Corrispondenze, vaglia e pacchi pel presidio JJJilitare di A ssab. Copia della circolare fu comunicata anche al Min. guerra (su sua richiesta di informa­ zioni n. 951 del 24 gennaio 1 885), che ne fece oggetto della propria eire. n. 1 6 del 4 febbraio 1 885, pubblicata poi sul « Giornale Militare Ufficiale» del 1 885, parte 2•, p. 67.

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1 32 Lett. da DGposte al MAE n. 8953 del 1 7 gennaio 1 885, risposta n. 65 del 1 9 gennaio 1 885 e comunicazione del MAE a Pestalozza n. 397/64 in pari data. In questa si precisava la dipendenza del nuovo ufficio postale dal commissariato, dopo gli accordi tra MAE e Min. guerra che riservavano l'autorità suprema in Assab al col. Saletta (v. lett. di Ricotti a Mancini n. 55 del 12 gennaio 1 885, (in USSME, Fondo Eritrea, b. 1). 133 Rapp. Pestalozza al MAE n. 508 del 1 9 febbraio 1 885 (con allegata lett. di Rizzo del 17 febbraio 1 885, che prendeva tempo sulla proposta della DGposte di diventare aiutante; in AS MAI, pos. 30/1-3). 1 34 Lett. da DGposte al Min. LL.PP. n. 40484 del 25 febbraio 1 885 con lo schema del d.m., firmato poi da Genala con la data anticipata del 22 marzo 1 885. Si veda anche la eire. n. 14 della DGposte, prot. 41 828, nelle versioni del 28 febbraio e 1 marzo 1 885 e in quella, ancora diversa, pubblicata come par. 83 del « Bullettino postale» n. 3 del 16 marzo 1 885, pp. 1 1 7-120. L'ufficio di Massaua iniziò a funzionare regolarmente dal mese di aprile (v. rapporto di Saletta al Min. guerra in data 7 aprile 1 885 ; (in USSME, Fondo Eritrea, pacco 1 0). 1 35 D.m. firmato da Genala in data 27 febbraio 1885, lettere interne della DGposte n. 40484 del 28 febbraio 1885 e «Avvertenza» al par. 86 del «Bullettino postale» n. 3 del 16 marzo 1885, p. 123. 1 36 Lett. da Min. guerra a DGposte n. 963 del 29 gennaio 1 885, trasmessa al MAE il 3 1 gennaio 1 885; i n ASMA I, pos. 30/1-3. 137 Lett. di Genala a Mancini n. 839, del 23 febbraio 1 885, con le intelligenze stabilite tra i Ministeri dei lavori pubblici, della guerra e della marina; in A SlldAI, pos. 30/1-3.


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coltà postali ed inconvenienti alle comunicazioni, molto simili a quelli finora esposti su Assab. Tuttavia, l'esperienza acquisita in un quin­ . quennio di tentativi permise di provvedere ai nuovi bisogni in mol�o minor tempo, grazie anche al contributo in personale, mezzi e denaro da parte dei Ministeri della guerra e della marina. Già alla metà del 1 885 si era pervenuti a soluzioni soddisfacenti, pur se transitorie, come la sostituzione delle linee del «Corsica» con una linea settimanale Aden-Assab-Massaua del piroscafo «Venezia» 138, ma la convenzione con la NGI per un ordinamento stabile dei servizi in mar Rosso, firmata nel novembre 1 885, riuscì ad avere l'approvazione parlamentare solo nel luglio 1 888, alla terza presentazione del relativo d.l. ; parimenti, fu necessario aspettare i fatti di Dogali perché Assab e Massaua fossero collegate da un cavo telegrafico con Perim. È da ricordare, infine, l'importante ruolo avuto da Assab fin dal 1 882 come centro di raccolta e smistamento delle corrispondenze dei vari italiani presenti nello Scioa. Non si poteva trattare di un regolare servizio postale, data la situazione dell'interno, ma i corrieri che percorrevano la via dell' Aussa tra Assab e la corte di Menelik furono spesso l'unico legame con quel regno. Le spese per i corrieri (circa mille lire annue) rappresentano l'unica voce in uscita dei bilanci di Assab relativamente alla posta.

GIUSEPPE BARLETTA

L'apporto del Salento alla colonizzazione agricola e demografica zn Libia alla vigilia della seconda guerra mondiale

Sono tutti conservati nel fondo Prefettura dell'Archivio di Stato di Lecce i documenti in grado di far luce intorno al ruolo avuto dall'e­ stremo lembo orientale della penisola italiana per quanto attiene alla colonizzazione dei territori libici nell'imminenza dello scoppio della seconda guerra mondiale. In Brindisi, ad eccezione di un paio di dati di marginale importanza, la ricerca è stata pressoché infruttuosa 1 e, probabilmente, tale si sarebbe rivelata anche in Taranto2, dove, però, non si è potuta espletare in quanto da parte del locale istituto archivi­ stico statale devono ancora essere acquisite le pratiche prefettizie di potenziale interesse ai fini del presente studio. Prive di esito, inoltre, si sono dimostrate ricerche collaterali compiute a campione su atti versati dalla questura di Lecce, su quelli facenti parte della Sezione separata del medesimo comune capoluogo e su altri in possesso della capitaneria di porto di Gallipoli, nonché un'indagine informale esperita

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Rapp. di Pestalozza al MAE n. 516 del 1 8 marzo 1 885 (che segnalava essere «il piroscafo Corsica nell'impossibilità di continuare regolarmente il servizio postale commerciale», in AS MA I, pos. 30/1-3), sua trasmissione alla DGposte con lett. n. 384 dell'8 aprile 1 885, risposta da DGposte al MAE n. 72826 del 15 aprile 1 885 (in ACS, Isp. serv. tJtaritt. , b. 1 58) e lett. del MAE a Pestalozza n. 378{436 del 17 aprile 1 885 (in A SMAI, pos. 30{1-3). Il nuovo servizio col «Venezia», a partire dal 19 giugno 1 885, fu oggetto di un avviso della DGposte in data 6 giugno 1 885, pubblicato parzialmente sul « Bullettino postale» n. 6 del 1 6 giugno 1 885, par. 232, p. 327. U n inconveniente che n e derivò fu l a troppo breve fermata ad Assab, con impossibilità di scarico dei rifornimenti, che in tal modo restavano a deperire sulle banchine di Aden. Come si è visto, la durata in servizio di una nave da guerra o civile in mar Rosso raramente superava l'anno, a causa delle avarie di macchina, dell'elevata corrosione e delle inusuali incrostazioni alle eliche e alla carena. Similmente era per gli uomini, a causa del clima, delle malattie, dell'isolamento e di altre difficili condizioni di vita.

Le uniche notizie sono registrate in ARCHIVIO DI STATO DI BRINDISI, Brindisi, Prefettura, Gabinetto, categoria VIII - «Africa Italiana», fase. 10, b. 1, e si presentano peraltro confuse con il carteggio inerente all'emigrazione di operai in Africa orientale italiana durante il periodo 1934-1938. Vi si legge di due pratiche relative, nell'ordine, ad un lasciapassare per la Libia intestato ad Attilio Paletti, capo tecnico operaio nativo di Rovigo ma residente in San Vito dei Normanni, rilasciato in data 25 agosto 1 937 dal prefetto di Brindisi su delega del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione, e di un altro emesso il giorno successivo in favore di tal Giuseppe Recupero di Latiano, di mestiere fabbro. Mentre quest'ultimo, ingaggiato dalla ditta Valentini e Bodrati operante in quella colonia, non poté più partire a causa di insorti problemi di salute, non è dato, invece, sapere se il Paletti intraprese o meno la via libica. 2 Come sarà appresso evidenziato, la provincia di Taranto non mandò, infatti, propri residenti in Libia con il contingente del 1938, anno in cui più consistente fu l'invio di manodopera della provincia di Lecce. Si hanno, pertanto, fondati motivi per ritenere che anche prima e dopo tale anno Taranto rimase esclusa dal fenomeno migratorio in quella regione.


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L'apjJorto del Salmto alla colonizzazione in Libia ( 1937- 1940)

Giuseppe Barletta

sia presso l'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, sia presso la Direzione provinciale delle poste e telecomunicazioni ·(già delle poste e telegrafi) di Lecce. Nella sezione separata dell'archivio .di quest'ultimo centro è stata compulsata la categoria tredicesima, « Esteri e passaporti», poiché, circa il periodo in esame, non sono fruibili i registri inerenti alle migrazioni; mentre in Gallipoli (sede di possibili imbarchi) si sperava di rinvenire un carteggio relativo al movimento portuale dei passeggeri che, invece, esiste soltanto per anni più recenti. Agli ultimi due uffici dianzi menzionati, infine, chi scrive aveva rivolto attenzione considerato che, sovente, il primo fra loro risulta codesti­ natario di comunicazioni diramate dagli organi centrali preposti al problema della colonizzazione ed il secondo, nel caso degli emigrati in Africa orientale italiana, svolse un ruolo importante nel segnalare tempestivamente le rimesse di denaro da quelli effettuate in favore delle famiglie rimaste in patria 3• Dopo questa breve, ma opportuna premessa si passa senz'altro ad affrontare il problema proposto, segnalando subito che le prime testi­ monianze sul tema in argomento datano al 1 937, allorché si cominciò a dare rinnovato impulso alla grande avventura coloniale in Libia - che si sarebbe concretizzata, peraltro solo in parte, l'anno seguente - ed ineriscono a disposizioni di massima in ordine alla concessione di terreni atti alla coltivazione in quell'area. Per inciso viene eviden­ ziato che nessun atto è stato, invece, individuato relativamente all'im­ pianto, ivi, delle prime colonie, seguito, come è noto, alla guerra itala-turca del 191 1-1912. Quantunque non direttamente connesso con la situazione salentina, è stato ritenuto di potere assumere quale elemento di partenza della presente relazione il contenuto di un fonogramma del 31 marzo 19374, indirizzato alla Prefettura di Lecce dal gabinetto del Ministero dell'in­ terno 5. Da parte dell'esecutivo era intenzione incrementare con ogni

opportuno mezzo il programma coloniale in Libia - per la qual cosa era stato istituito un apposito ente - e la circostanza determinò l'ado­ zione di un singolare provvedimento finalizzato addirittura all'attribu­ zione di un titolo nobiliare (ove ne fossero ricorse le condizioni) a tutti coloro i quali, ottenute le concessioni per l'espatrio, avessero stabilmente trasferito la propria residenza in Cirenaica o in Tripolitania, insieme con i propri familiari 6• La nota in questione informava, inoltre, che l'opera di colonizzazione già realizzata in Libia, in ciò favorita anche dalle ottime condizioni di sicurezza, aveva raggiunto notevoli livelli registrando, altresì, sensibili progressi negli ultimi tempi 7; donde, appunto, la determinazione di aumentare le zone di sfruttamento in detta colonia. Pressante, perciò, l'invito rivolto all'autorità prefettizia, inteso a far svolgere un'opportuna opera di persuasione fra persone ritenute moralmente e tecnicamente idonee, al fme di indurre le stesse a chiedere in concessione terreni agricoli nella ricordata area, facendo, nel contempo, comprendere loro, con argomentazioni convincenti, quali vantaggi di ordine morale, oltre che materiale, ne sarebbero potuti derivare. In adempimento a quanto il medesimo fonogramma domandava, il successivo 2 apriles il prefetto di Lecce forniva assicurazione di adempimento. Precisazioni ulteriori alle decisioni governative pervennero ancora, da Roma, il 2 aprile 1 9379, quando - da parte del medesimo dicastero dell'Interno - fu chiarito che le speciali distinzioni indicate nel dispac-

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3 ARCHIVIO DI STATO DI LECCE (d'ora in poi AS LE), Prefettura, Gabinetto, categoria XVI - «Rapporti con gli Stati esteri e con l'Africa Italiana»; d) «Emigrati, profughi, rimpatriati», b. 40, fase. 695. 4 Ibid., protocollato al n. 12356. 5 AS LE, Prefettura, Gabinetto, categoria XVI, b. 41, fase. n. 699.

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6 Ri�erisc� �rcole Sori che: «Fin dal varo della nuova politica emigratoria e della complessiva . (. . . )» aveva ripreso «(. . . ) quota la prospettiva di colonizzazione svolta di politica economica agricola della Libia. Essa per un po' marciò stancamente accanto alla più promettente coloniz­ zazione intern�, ( . . .) registrando un piccolo balzo in avanti nel 1933, proprio quando il collocamento mterno di famiglie colonizzatrici incappò in una fase di stanca» (cfr. E. SoRI, L'emigrazione italiana dai!Unità alla seconda guerra IIJolldiale, Bologna, TI Mulino, 1979, pp. 437-438). In calce a� quanto testualmente trascritto il medesimo autore pubblica, sotto forma di tabella le cifre in cui si tradusse il fenomeno, dalle quali emerge un sensibile decremento di colonizza:ori dopo il ricordato anno : dalle tremilacinquecentottantasei famiglie emigrate in Libia nel 1933 il numero era calato, appena nel 1935, a milleduecentottantuno, per ridursi ancora di ulteriori trecentoventidue unità durante il 1936 (ibid., tabella 10.1, p. 438). 7 Circostanza, questa, non vera, perché smentita dalla statistica effettuata dal Sori e riportata nella nota precedente. 8 Con lettera protocollata al n. 807 degli A tti di gabinetto, b. 41 , fase. 699. 9 Ibide!IJ. La nota reca il n. 12544 di protocollo.


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do di pochi giorni precedente sarebbero state concesse pùre a quanti, ottenute in assegnazione zone coloniali, avessero persuaso nuclei. !�mi­ liari di indigeni a prendervi stabile dimora, pur non trasferendo colà la propria residenza. Sempre dalla capitale, il giorno 1 1 seguente 10; il ministro Buffarini, con riferimento al carteggio testé commentato, sollecitava le Prefetture ad attingere direttamente dal Ministero delle colonie notizie più aggiornate o chiarimenti circa la concessione di zone agricole in Libia. La campagna propagandistica subito avviata esercitò senza dubbio una presa graduale soprattutto nei confronti del ceto bracciantile, largamente rappresentato in provincia di Lecce ma, al contrario, nega­ tiva fu la risposta dell'area di Brindisi come - per via indiretta - si evince dall'assenza di documentazione al riguardo 11• All'inizio, per la verità, venne registrato anche nel Leccese un certo disinteresse deter­ minato, forse, dalle remote - vive nei più - connesse con il dovere abbandonare il suolo natìo e gli affetti. Tale situazione, tuttavia, ebbe brevissima durata, tant'è che ben presto iniziarono ad essere prodotte da vari centri della provincia istanze di emigrazione in numero verosi­ milmente maggiore rispetto alle attese. Ciò indusse addirittura il gabinetto del ministro dell'Interno a sen­ sibilizzare il prefetto di Lecce, con lettera del 25 giugno 1 937 12, affinché indirizzasse il discorso coloniale privilegiando quanti dispo­ nevano di cospicui mezzi finanziari liquidi in grado di garantire il buon esito dell'impresa ed erano, nel contempo, dotati di non comuni qualità di fede e di carattere. L'opportunità di operare a monte una siffatta selezione veniva giustificata e motivata con la consapevolezza che l'opera di colonizza­ zione che i nuovi aspiranti avrebbero dovuto intraprendere non poteva, in alcun caso, assicurare un reddito immediato, bensì a lunga scadenza. Anche in questa circostanza, il 5 luglio seguente13, il prefetto assicurava i vertici romani che avrebbe agito nel senso richiesto.

Quello registratosi a Lecce non dovette essere, tuttavia, l'unico 0 uno dei pochi casi in cui il messaggio coloniale venne recepito d � persone, per cosi scrivere, sbagliate, se è vero come è vero che 1l Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione, facente capo alla Presidenza del consiglio dei ministri, ritenne opportuno diramare a tutte le Prefetture del regno una circolare a stampa sull'argomento, firmata dal suo responsabile nazionale, Sergio Nannini, concernente pure norme per la compilazione dei documenti da porre a c.orre�o d� i . . fascicoli individuali delle famiglie coloniche da trasfenre m L1b1a 1l 2 ottobre 1 938 14• Al fine di meglio esplicitarne il tenore, erano allegate ad essa, sempre a stampa ed in congruo numero, una serie di disposizioni dirette per il tramite delle Prefetture - a ciascun ufficio a vario �itolo chiamato a vagliare le domande di emigrazione in quella coloma. Fu, comunque, all'inizio dell'anno 1 938 che la complessa macchina per la colonizzazione in Libia cominciò a funzionare a pieno regime. È proprio del 1 8 gennaio, infatti, un biglietto di stato urgent�, tra­ smesso al prefetto di Lecce dall'ufficio di gabinetto della Pres1denza del consiglio dei ministri 15, mediante il quale veniva reso noto che l'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale aveva organizzato in Tripolitania un centro agricolo intitolato al famoso Michele Bian�hi, per il cui funzionamento occorreva reclutare manodopera c?nta m�. . Si voleva, pertanto, conoscere, a mezzo telegramma, se tred1c1 fam1ghe della menzionata provincia salentina - secondo l'ordine di priorità risultante dalle graduatorie all'uopo redatte 16 - fossero state disposte

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10 IbidetiJ. Il protocollo della lettera è il n. 1 3771 . 11 Ibide111. Per Taranto si legga quanto scritto alla nota 2. 1 2 lbide111. È identificata con il protocollo n. 560-5.

13 Ibide111.

La comunicazione venne acquistata dall'ufficio di Gabinetto al n.

1577.

1 4 JbidetiJ. Priva di data e di qualsiasi timbro attestante il suo arrivo alla Prefettura di Lecce, è contrassegnata con il n. 8322 di protocollo della divisione VI del Commissariato romano. IS Cfr. AS LE, Prefettura, Gabimtto, categoria XVI, b. 41, fase. 703. 16 Ibidem. I nuclei familiari in un primo momento prescelti furono quelli di: Causo Leonardo, di Orazio, da Sannicola; Cazzata Cosimo Damiano, fu Luigi, da Racale; Fachechi Vito Nicola, fu Luigi, da Sannicola; Francioso Salvatore, fu Pasquale, d.a Racale; Man.co Giuseppe, di Michele, da Racale; Maniglia Donato, fu Pantaleo, da Sannlcola; .Marghent� Giorgio, di Santo, da Racale; Marzo Francesco, fu Pietro, da S�nnicol� ; Napoh R�cco, d1 Domenico, da Recale; Pisanello Carlo, di Cosimo, da Sannicola; Rizzo Gmseppe di_ Vmcenzo, da Racale; Santantonio Salvatore, fu Cosimo, da Racale; Schito Ferdinando, fu Beniamino, da Racale.


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a trasferirisi immediatamente in colonia e, in caso affermativo ed · ave non si fossero frapposti impedimenti, si pregava di rimettere · con l'urgenza imposta dalla situazione i relativi lasciapassare colon.lali, gratuiti certificati sanitari ed antitubercolari, nonché precise e detta­ gliate informazioni circa la condotta morale e politica sino al momento tenuta dai lavoratori in patria. Assicurazioni ulteriori dovevano riguardare, ancora, la sicura capacità degli aspiranti partenti a disimpegnare i compiti che sarebbero stati lor? affidati, quali il dissodamento, la coltivazione dei terreni, ecc. E da rimarcare che la nota in argomento, a firma del prelodato commissario per le migrazioni Sergio Nannini, poneva l'accento anche sul possesso, da parte di chi intendeva emigrare, di una condotta politica oltre che morale, la quale, verosimilmente, avrebbe richiesto accertamenti accurati ad opera delle autorità preposte, andando - si presume - ben al di là del pressoché scontato possesso della tessera di iscrizione al partito nazionale fascista. Non è questa la sede dove soffermarsi in maniera diffusa sul detta­ gliato svolgimento della pratica sopra cennata e, d'altronde, esigenze di brevità lo impongono. Per grandi linee si riferirà, quindi, che l'autorità prefettizia di Lecce, una volta investita del problema connesso con il possibile espatrio di famiglie della provincia, inoltrò istruzioni ai re­ sponsabili degli altri organi chiamati - ciascuno in ordine a quanto di propria competenza - a rilasciare specifiche attestazioni e certificazioni. F:� le comunicazioni del prefetto - aventi quali destinatari principali 11 dmgente dell'ufficio provinciale unico di collocamento, il medico ?rovinciale, i segretari federali del partito nazionale fascista, il questore, 1l comandante dei Carabinieri - se ne segnala una di sollecito del 31 marzo 1 938 17• Lungaggini burocratiche, a distanza di circa due mesi e mez�o dalla prima comunicazione del potenziale ingaggio di famiglie . salentme, deliberato dai vertici della capitale, avevano impedito il completamento delle pratiche, non consentendo, in tal modo, la par­ tenza dei nuclei prescelti, che, nel frattempo, si erano ridotti da tredici a nove a vantaggio di altre province, evidentemente più sollecite nel .

17 AS LE,

A tti di gabinetto,

registrata al n.

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di protocollo.

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disbrigo delle procedure di rito. Tanto, infatti, era stato comunicato in Prefettura con biglietto di stato urgente in data 28 marzo 18 dal più volte citato Commissariato romano, il cui contenuto ribadiva ancora che i trasferimenti nei territori libici non avrebbero potuto aver luogo in assenza della produzione dei documenti occorrenti. Il sollecito in questione venne fatto pervenire pure ai podestà dei comuni di Racale e Sannicola, che erano i paesi della provincia ave risiedevano i primi nuclei familiari individuati. A causa di una singolare coincidenza, nessuna delle nove famiglie a cui si è accennato poté, però, abbandonare l'Italia, poiché la Presidenza del consiglio dei ministri, al momento di valutare in via defintiva le differenti situazioni, aveva eccepito che non tutti i componenti maggiorenni di otto fra esse (oltre al capo famiglia) erano iscritti al partito nazionale fascista - circostanza, in verità, assai strana -; mentre, nel restante caso, pur ricorrendo tale requisito, era impossibile accordare l'autorizzazione all'espatrio stanti i negativi precedenti penali del capo famiglia. Al fine di non penalizzare ingiustamente la provincia di Lecce nel­ l'invio di propria manodopera agricola in Tripolitania, il Commissariato per l'emigrazione dispose di sostituire quelli venuti meno con un pari numero di altri nuclei familiari, da adibire sempre al centro agricolo Michele Bianchi organizzato in quella regione - come dianzi evidenziato - dall'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Neppure in tale caso le operazioni furono sollecite e così, tra accertamenti eseguiti, visite mediche dei possibili emigranti e carteggi vari inoltrati in Prefet­ tura e da questa diramati ad altri uffici di Lecce, nonché agli organismi centrali, si giunse al luglio 1 938. Il giorno 28 il prefetto partecipava al podestà di Racale 19 - risiedevano solo in questo centro le nuove famiglie selezionate per il trasferimento - che, a completamento dei lasciapassare coloniali, dalla capitale erano state richieste certificazioni aggiornate attestanti l'iscrizione del capo famiglia e di tutti i propri figli al partito nazionale fascista, ovvero alle sue organizzazioni giovanili e che era stata, altresì, prevista quale causa di esclusione dall'ingaggio persino la mancata adesione di un solo figlio alla Gioventù italiana del littorio.

18

Ibid.,

protocollato con il n. 2573. Anche tale nota fu acquisita al n.

19 Ibidem.

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di protocollo.


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nuovi attestati vennero, alfine, rilasciati, ma soltanto iri un paio di casi ricorsero tutte le condizioni volute, tant'è che si dovette attingere alle liste di riserva onde selezionare le restanti undici famiglie: infatti, era stato ripristinato l'iniziale numero di tredici nuclei, in accoglimento di rinnovate, premurose e pressanti sollecitazioni rivolte dal prefetto2o. In talune circostanze, per la verità, il motivo della lamentata esclusione fu costituito dal fatto che i membri delle famiglie, compresi gli ascen­ denti, erano superiori ad otto e quindi - venne precisato - troppi, in rapporto alle capacità di assorbimento dei terreni da colonizzare, come pure in relazione agli ambienti della casa colonica-tipo, secondo le ultime determinazioni adottate a livello nazionale. Agli esclusi per la ora scritta causa venne, comunque, assicurato un fattivo interessamento volto alla loro sistemazione in qualche azienda agricola del regno. Come è agevole intuire, si rese, a tal punto, necessario procedere ad un terzo rimpiazzo di quelle famiglie venute meno, non originarie, questa volta, degli stessi comuni delle precedenti, essendo state stilate le graduatorie sulla base di istanze presentate nell'ambito dell'intera provincia. Accertamenti più approfonditi sul conto dei componenti di queste ultime, nel rispetto delle vigenti disposizioni legislative e della ormai consolidata prassi, furono eseguiti con sorprendente tempestività rispetto ai precedenti, anche perché non si poteva in ogni caso disattendere l'imminente scadenza del 28 ottobre, data fissata per la partenza alla volta dell'avventura libica dei contingenti di tutte le province. Sette i paesi che si affiancarono a Racale e San­ nicola nell'invio di loro residenti in Tripolitania, e precisamente : Alliste, Campi Salentina, Cutrofiano, Lequille, Maglie, Melendugno, Minervino di Lecce. I

20 Ibidem. Per inciso va riferito che una lettera non datata, spedita dalla divisione VI del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione di Roma al segretario federale dì Lecce del partito nazionale fascista e, per conoscenza, al prefetto della stessa provincia - al quale pervenne il 28 maggio 1938 - fa riferimento al reclutamento dì cinquanta nuclei familiari, da selezionare entro il 30 giugno per l'invio in Libia il successivo 28 ottobre, in ottemperanza ad analoga determinazione del ministro segretario del partito. L'iniziativa però, restò, verosi­ milmente, inattuata, come implicitamente provano e il suo mancato riscontro ed il fatto che, alla scadenza stabilita - come meglio verrà chiarito nel prosieguo del contesto espositivo - partirono soltanto tredici famiglie, numero all'inizio stabilito.

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Espletati i diversi preliminari, il giorno 25 ottobre 1 938 il prefetto di Lecce finalmente telegrafava ai podestà dei comuni interessati all'e­ migrazione una nota 21, invitando gli stessi a voler disporre che gli emigranti si trovassero nel capoluogo salentino il successivo giorno 28, entro le 3,50, ora della partenza del treno diretto a Napoli, sede di concentramento per il centro-Sud della penisola 22. Sarebbero ivi giunti alle 1 5,55 del giorno 29 seguente, per imbarcarsi subito dopo in quel porto e salpare alla volta della Libia. Vive raccomandazioni furono rivolte, nella circostanza, dal massimo responsabile governativo della provincia alla polizia ferroviaria, onde vigilasse al fine di evitare infiltrazioni di elementi clandestini o di disturbo. Complessivamente ammontarono a millesettecentosettantotto le fa­ miglie rurali del regno che - provenienti da trentaquattro province23 - salparono nell'occasione, oltre che dal porto campano, da quelli di Genova, Nuoro e Siracusa. Larga fu la rappresentanza di cittadini del centro-Nord24. Dai documenti esaminati appare certo che, almeno per quanto concerne l'area leccese, le famiglie espatriate non godevano di

acquisita al n. 2196 di protocollo. È andato disperso l'elenco definitivo dei partenti che, nella minuta del citato telegramma, è dato per allegato. Lo stesso, comunque, si è potuto parzialmente ricostruire attraverso documentazione collaterale facente parte del fascicolo, costituita da lettere di podestà al prefetto, e viene di seguito pubblicato. Dal capoluogo partì per la Libia la famiglia di Chìrìatti Oronzo, fu Francesco; da Campi quella dì Neri Salvatore; da Cutrofiano quella di tal Angelellì e da Maglie le altre di De Donne Giovanni, fu Giuseppe; Provenzano Salvatore, fu Antonio; Specchia Giuseppe, fu Oronzo e Stefanelli Luigi di Saverìo. Il comune di Melendugno mandò nel paese coloniale il nucleo familiare di Russo Luigi, fu Paolina, mentre non sono note le generalità delle famiglie (una per ogni centro) che partirono da Alliste, Lequille e Minervino. Ibidem. 23 Tale elemento si evince da una lettera del 2 dicembre 1938 (protocollo n. 215-4) che il capo di gabinetto del ministro dell'Interno spedì ai prefetti delle province interessate dal fenomeno che furono quelle di : Rovigo, Padova, Venezia, Verona, Treviso, Udine, Trento, Mantova, Brescia, Bergamo, Ferrara, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Padova, Forlì, L'A­ quila, Chieti, Pescara, Teramo, Bari, Foggia, Lecce, Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Ragusa, Catania, Caltanissetta, Enna, Siracusa, Agrigento, Messina. Nella missiva era espresso il plauso del Ministero dell'Africa italiana per le tangibili prove di solidarietà fascista ed il «contributo essenziale alla felice riuscita dello storico avvenimento» di cui avevano offerto prova le autorità prefettizie e le federazioni ed organizzazioni del partito. Ibidem. 24 Tanto è agevolmente desumibile scorrendo l'elenco delle città capoluogo trascritto nella nota precedente. 21 Ibid.,

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al fine di fare elevare ad almeno venticinque il numero di dieci famiglie che - da notizie ufficiose - si era appreso sarebbero state selezionate nel basso Salento in occasione dell'invio in Libia di un programmato prossimo contingente di connazionali. Numerose nuove istanze erano pervenute dall'ottobre 1 938 al gen­ naio 1 939 e le stesse andavano ad aggiungersi a quelle prodotte nel corso dell'anno precedente, rimaste inevase. L'interessamento della massima autorità governativa periferica fu immediato, in quanto, già in data 6 febbraio26, il prefetto scriveva nel senso auspicato al respon­ sabile nazionale per i problemi coloniali, adducendo l'inopportunità di disattendere in larga misura le nuove domande, sia a motivo del non comune grado di competenza e di professionalità dei richiedenti, sia a causa della ben nota gravità della situazione in cui versava la manodopera agricola locale sul piano occupazionale. In seguito all'attivazione dell'autorità locale non si registrarono, però, a breve termine, sviluppi positivi di una qualche rilevanza, non fosse altro a livello di propositi : il commissario per i problemi coloniali, nel suo riscontro dalla capitale alla lettera commentata, il successivo giorno 23 febbraio27, asseriva che la scelta delle province da cui prelevare i braccianti da trasferire in Libia doveva, si, essere effettuata pure in relazione al criterio dello stato di disoccupazione in atto nelle varie aree geografiche della penisola ma, soprattutto, con riferimento alle specie di coltura che i contadini, una volta emigrati, sarebbero stati chiamati a curare. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e lo sviluppo avuto dagli eventi bellici, ancorché lasciarono per qualche tempo fuori dal conflitto l'Italia, furono tali, tuttavia, da consigliare la sospensione dei pro­ grammi coloniali in territorio libico ; sospensione che, di fatto, si configurò come una vera e propria cessazione28, almeno per quanto concerne l'area del Leccese.

consistenti mezzi econom1c1. Se tale tesi sarà dimostrata valiqa per tutto il territorio nazionale si potrà concludere che la realtà degli eventi amaramente contraddisse i grandiosi progetti concepiti dall'ese­ cutivo nel giugno 1 937. Ricerche ed accertamenti paralleli su analoga tipologia degli atti commentati negli Archivi di Stato delle altre aree territoriali interessate all'emigrazione in Libia durante lo stesso anno 1 938 consentirebbero, inoltre, di conoscere quali furono i capoluoghi da cui partirono più persone, nonché di rapportare i dati inerenti alle domande accolte al numero totale degli abitanti e della popolazione attiva presente, in quel momento, in ciascuno dei medesimi. Tuttavia, sebbene in assenza di così precisi termini di valutazione, si può trarre egualmente una incontrovertibile deduzione : l'apporto offerto dal Salento alla colonizzazione demografica ed agricola della Libia nell'anno preso in esame fu assai limitato e quasi sicuramente circoscritto alla sola provincia di Lecce. Del tutto nullo, a giudicare dall'assenza di documentazione al riguardo, fu negli anni restanti. La partenza per quei territori coloniali dell'altro continente riguardò soltanto un centinaio di persone in grado di svolgere attività lavorativa contro le complessive tredici-quattordicimila unità. A questa cifra si è giunti partendo dal presupposto che ciascuna famiglia fosse composta mediamente da sette-otto membri. Dal calcolo consegue che, in termini percentuali, la terra d'Otranto contribuì alla migrazione libica del 1 938 in misura inferiore allo 0,25 % . Era intenzione dell'esecutivo far proseguire la campagna di migra­ zione in Libia e dare impulso alle iniziative avviate in tale direzione. Infatti, a distanza di poco più di tre mesi dalla partenza del contingente del 1 938, che aveva coinvolto, come testé chiarito, circa milleottocento famiglie, già si ritornò a parlare di ulteriori colonizzazioni e furono esercitate addirittura pressioni nei confronti del prefetto di Lecce da parte del segretario provinciale della locale confederazione fascista dei lavoratori dell'agricoltura, Guido Maranca25, affinché egli si adoperasse, presso il Commissariato romano per le migrazioni e la colonizzazione,

26 IbideJJJ. 27 IbideJJI. 28 Nel 1940

gli italiani presenti in territorio libico ammontavano a circa centoventimila unità (cfr. E. SoRI, L'emigraziom italiana . . . cit., p. 439), trentacinquemila dei quali coloni, impegnati in un importante sforzo di colonizzazione demografica realizzata nell'imminenza della guerra (C. ZAGHI, L'Africa neJJa coscienza europea e J'imperiaiisJIJo italiano, Napoli, Guida, 1973, p. 476).

25 Cfr. AS LE, Prefettura, Gabinetto, categoria XVI, b. 41, fase. 706. La missiva n. 772/s di protocollo è datata 2 febbraio 1939. l

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Pesca, ostricoltura e ricerca idrobiologica nelle colonie italiane d'Africa

Il materiale acquisito documenta studi effettuati per la migliore tutela della molluschicoltura e della pesca, per la difesa del mare, nonché l'approfondimento delle ricerche sull'idrobiologia. Inoltre, in esso sono racchiusi anche atti scientifici su quei mari appartenenti ai territori delle nostre colonie d'Africa. L'indagine e lo studio sul materiale documentario del quale trattasi ha consentito, per quanto riguarda appunto i mari delle colonie d'A­ frica, la conoscenza di alcuni aspetti diversi della pesca e dell'idrobio­ logia di quei litorali. Tali aspetti sono ovviamente legati ai tentativi e alle speranze del governo italiano dell'epoca nel ricercare attività produttive su altri mari all'indomani delle diverse conquiste coloniali. Per essere allora nel tema, la ricerca è stata circoscritta alla conoscenza di alcune esperienze scientifiche documentate e racchiuse nell'archivio dell'istituto di cui ho detto, in particolare : la pesca nei mari della Libia negli anni 1 912-1914, la raccolta della madreperla sulle coste dell'Eritrea in mar Rosso nell'anno 1917, la coltivazione delle ostriche nei bacini della Cirenaica nell'anno 1 926 e, infine, la vita e le attività del « serv1z1o di idrobiologia e pesca» del Governo generale dell'Africa orientale italiana, con sede in Addis Abeba, negli anni 1 939-1941 .

MICHELE DURANTE

Pesca} ostricoltura e ricerca idrobiologica nelle colonie italian_e d'Africa attraverso le carte dell'A rchivio del regio Laboratorio di biologia marina di Taranto

1 . L'Archivio di Stato di Taranto ha acquisito, nell'agosto 1 989, documentazione, invero di notevole rilievo, prodotta da una delle più significative istituzioni scientifiche che hanno operato e funzio­ nato in Taranto nel corso di questo secolo : il regio Laboratorio di biologia marina, divenuto poi Istituto sperimentale talassografico. Questo, istituito con la legge n. 571 del 1 91 3, condusse un'intensa attività scientifica fino al 1 977, anno in cui venne soppresso per essere incorporato nel Consiglio nazionale delle ricerche con altre e diverse finalità sperimentali 1 •

Con la l. 8 giu. 1913 n. 571, furono istituiti a Taranto, alle dipendenze del Ministero delle finanze, il «regio Ispettorato tecnico demaniale per la molluschicoltura» e l'annesso «regio Laboratorio di biologia marina». Nel gennaio 1940 l'ispettorato fu abolito mentre !'«<stituto demaniale di biologia marina» (denominazione che nel 1930 aveva assunto il «Laboratorio di biologia marina») passò alle dipendenze del Consiglio nazionale delle ricerche. Nel 1945 con la nuova denominazione di «Istituto talassografico di Taranto», assunta nell'anno 1941, l'istituto fu inglobato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste alle cui dipendenze rimase fino al luglio 1954, data in cui divenne, per effetto della legge n. 625, ente di diritto pubblico sottoposto alla vigilanza e tutela del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Col d.p.r. 4 lug. 1977, n. 439, l'Istituto talassagrafico di Taranto, unitamente a quelli di Messina e Trieste, fu soppresso ed incorporato nel Consiglio nazionale delle ricerche. Attualmente continua ad operare in Taranto sotto la sigla di «Istituto sperimentale talassografico «A. Cerruti» del Consiglio nazionale delle ricerche». Fondatore e direttore del regio Laboratorio di biologia marina di Taranto, nonché regio ispettore tecnico per la molluschicoltura fu Attilio Cerruti. Libero docente, presso l'Università di Napoli, di anatomia comparata, nel 1910 fu chiamato a ricoprire l'incarico di capo del reparto pesca nella stazione zoologica di Napoli, ove rimase fino al 31 agosto 1914. In seguito a designazione di una commissione appositamente nominata, fu inviato dal Ministero delle finanze ad occupare a Taranto il posto di nuova istituzione di regio ispettore tecnico per la molluschicoltura con l'incarico di fondare un laboratorio di biologia marina di cui fu nominato direttore. Autore di numerose pubblicazioni di parassitologia, di istologia, di citologia, di anatomia degli anellidi, di pesca

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2. Per quanto riguarda la pesca nei mari delle coste libiche, non possono trascurarsi, tra le fonti diverse, quelle preziose notizie conte­ nute nella pubblicazione periodica a stampa « Rivista Nautica - Italia Navale» che correda l'archivio dell'Istituto talassografico tarantino, già « Laboratorio di biologia marina». La « Rivista Nautica» 2, diretta negli anni 1 908-1 916 da Federico di Palma 3, deputato tarantino al

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e molluschicoltura, compì varie missioni per conto del Ministero dell'agricoltura per ricerche scientifiche sulla molluschicoltura e sulla pesca. Diresse l'Istituto talassografico di Taranto fino all'anno 1948. 2 Organo ufficiale per gli atti del r. Rowing-club italiano, del r. Yacht-club italiano, del r. Verbano Yacht-club, del Club nautico genovese e del Club della vela. 3 Federico di Palma (nato a Grottaglie, in provincia di Taranto, il 17 gennaio 1869 e morto a Roma il 13 aprile 1916) manifestò, nel corso della sua intensa attività di giornalista e di parlamentare, un deciso favore per la politica di espansione coloniale. Rilasciò molti interventi sulla stampa dell'epoca, trattando in particolare le relazioni tra l'Italia, le sue colonie, l'Africa ed il Mediterraneo. Segnaliamo in questa sede i seguenti articoli: La Tripolitania e J'Italia, in «Rivista d'Italia», agosto 1905 ; Le vie carovaniere della Tripolitania, in «Rivista


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fra i banchi e le scogliere delle acque libiche vivai e colture per avviare quella pesca che, a suo dire, «mancava assolutamente». Sulla stessa pagina della rivista, però, il redattore, con la palese intenzione di un confronto con la dichiarazione precedente, citava, riassumendolo, un rapporto proveniente dalla sede di Tripoli del r. Museo commerciale di Venezia. Tuttavia, da una lettura attenta delle due note, non sembrano emergere notevoli discordanze relative alla pescosità di quei mari, nonostante l'articolista affermasse che questa seconda fonte presentava una visione del problema « ( ... ) sotto un aspetto molto meno triste». «Rileviamo - egli proseguiva - anzitutto che i sistemi di pesca attualmente in uso nella nostra nuova colonia sono l'amo e la fiocina esclusivamente nei porti e nelle insenature, e la rete a strascico in alto mare. Quanto alla specie di pesci che si possono catturare nelle acque libiche, trascurando quelle più comuni notiamo che non scarseggia il pesce spada e la tartaruga di mare. Raro è invece il pescecane del quale gli Arabi sono ghiotti. In poca quantità sono i frutti di mare, ma se ne pescano a sufficienza per fornire il mercato di Tripoli. Si ritiene che il tonno vi si trovi in abbondanza, sebbene i tentativi fatti nel passato abbiano dato magri risultati per la pochezza dei mezzi usati e per l'inesplicabile ostilità dimostrata dal governo turco contro simili iniziative». Nei mesi successivi, così come da più parti era stato richiesto, si moltiplicarono con crescente impegno le energie per la soluzione di quei problemi che la pesca in Libia aveva presentato. Una commissione, appositamente nominata dall'on. Bettolini, nell'aprile 1913 presentò al ministro delle colonie la stesura definitiva di una serie di disposizioni atte ad organizzare e regolamentare nelle acque libiche l'esercizio della pesca, la polizia marittima, la concessione di eventuali permessi da accordarsi alle navi di bandiera estera, i sistemi da usarsi per la cattura delle diverse specie di pesci, di crostacei e di molluschi, la pesca e la lavorazione delle spugne e del corallo ed, infiDe, la concessione delle tonnare. Nel contempo, la commissione, designando i diversi sindacati pe­ scherecci italiani per l'organizzazione della pesca in Tripolitania, stabilì i limiti entro cui questi avrebbero dovuto svolgere la loro attività, assegnando al « Sindacato siciliano» il tratto costiero dal confine turri­ sino a Tripoli, al « Sindacato Tirreno-Jonio» il tratto da Tripoli ad Homs e al « Sindacato Adriatico» quello da Homs a Misurata. Imme­ diatamente i rappresentanti delle tre organizzazioni si recarono sul

Parlamento nazionale per tre legislature successive, curò con siste)Tia­ ticità ed attenzione problemi e cronache di marina mercantile e militare, approfondendone gli aspetti tecnici e i risvolti politici. Nel periods> dell'impresa coloniale italiana di Libia, attraverso una serie di articoli, il periodico seguì con vivo ed entusiastico interesse le diverse opera­ zioni belliche, i movimenti delle forze navali, le opere portuali e le altre attività connesse al mare ed alla pesca che andavano organizzan­ dosi nelle regioni conquistate4• Occupata la Libia, partiva da Napoli, nell'anno 1 91 2, a bordo del piroscafo «Enrichetta Nazionale», un primo gruppo di pescatori appar­ tenenti al « Sindacato peschereccio dei mari Tirreno-Jonio» con l'obiet­ tivo di esercitare nelle acque di Tripoli la pesca con le reti5• L'esperienza non si rivelò particolarmente esaltante. Lo stesso presidente del sindaca­ to, cav. Lucio Solari, di ritorno a Taranto dalla campagna peschereccia compiuta nei mari di Libia, rilasciò al giornale «<l Mattino» una dichia­ razione, riportata nei punti più salienti dalla «Rivista Nautica-Italia Navale», dai toni piuttosto desolanti « (. . . ) per la bassezza del fondo, per la scarsa vegetazione acquatica, per l'aridità degli scogli e per la consistenza del fondo arenile l'unica pesca possibile nel tratto da Tagiura a Gargaresch è quella con ami : ma essa non può fornire oggetto d'industria. Poveri risultati hanno dato le reti da posta ( . . . ) ripetendo in uno stesso posto l'alaggio delle reti, il prodotto diminuisce sempre più in pochi giorni sino a rimanere nello stato negativo e mentre nelle nostre acque i pesci si trovano alla superficie, a Tripoli, forse per la temperatura dell'acqua si nascondono sotto gli scogli o scendono a gran­ di profondità6». All'intervistato non restava dunque che sperare in un opportuno e ben articolato intervento statale che provvedesse a creare

Nautica-Italia Navale», 1912, 1 ; Agisca la flotta, in «Rivista Nautica-Italia Navale», 1912, 4-5; L'Italia e le isole dell'Egeo. Posizioni strategiche nel lviediterraneo, in «Rivista Nautica-Italia Navale», 1912, 12; Quel che si può fare a Rodi, intervista della << Tribmta» con l'on. Di Palma e Da Brindisi a Rodi, in «Rivista Nautica-Italia Navale», 1912, 13-14. 4 Vedi «Rivista Nautica-Italia Navale»: Tobruk e Sollullt, 1912, 1 ; Le recenti vittorie delle nostre armi in Tripolitania e Cirenaica, 1912, 6-7; L'an11ata durante la guerra libica e Le opere portuali in Libia, 1912, 22-23. 5 Ibid. , 1912, 13-14. 6 Ibid., 1912, 21 .

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posto e, presi gli accordi con le autorità locali, iniziarono, con il sussidio di una torpediniera, gli esperimenti e i rilievi dei fondali7. . Qualche tempo dopo, al regolamento elaborato dalla commissione veniva apposta la firma del re; ma, in via sperimentale, se ne disponevà l'applicazione nella sola Tripolitania. Con esso si autorizzava in ogni tempo la pesca delle spugne, previo pagamento di cinquanta lire per ogni barca e di settecento lire per ogni draga con cinque palombari. Soprattutto, però, si introducevano speciali disposizioni rivolte all'in­ cremento dell'industria della pesca, quali : l'esenzione decennale da ogni tassa relativa agli atti per la costituzione di cooperative, alcune facili­ tazioni di credito a favore degli esercenti la pesca e cessioni gratuite di lotti di terreno per la costruzione di alloggi in colonie pescherecce. Tra i mesi di aprile e giugno i delegati sindacali, che si erano recati in Libia per studiare la possibilità di stabilire alcuni centri di pesca, raccolsero dati e riuscirono ad organizzare programmi per il trasporto gratuito delle barche e degli attrezzi da pesca e altre facilitazioni relative al soggiorno dei pescatori italiani nella nuova colonia. Si intendeva così raggiungere l'obiettivo «di offrire lavoro al pescatore senza costringerlo ad emigrare lontano dalla Patria e di liberare i nostri mercati dall'importazione di prodotti dall'estero8». Terminata questa fase preliminare di osservazione e di studio, fu elaborata una relazione finale in cui i delegati sindacali, pur eviden­ ziando la pescosità di quei mari, non mancarono di sottolineare le pessime condizioni climatiche, tipiche di quella zona, e la particolare conformazione delle coste, veri e propri ostacoli ad un rapido sviluppo dell'industria della pesca nelle colonie. D'altra parte, mentre veniva espressa la certezza che un valido impulso a questa industria sarebbe derivato dal programmato ed imminente assetto delle vie di comuni­ cazione litoranee e dal compimento delle opere portuali, s'invocava il concorso di enti organizzati e forniti di larghi mezzi, nonché l'impianto di stabili colonie pescherecce i cui primi nuclei sarebbero stati formati dai pescatori occorrenti alle tonnare9•

Parallelamente a queste iniziative, che potremmo defmire di carattere economico e scientifico, al fine di attivare una specifica propaganda, si allestì, per l'esposizione dei prodotti industriali a Tripoli, un padi­ glione destinato alla pesca, suddiviso in diversi settori : «pesca - pisci­ coltura - arti della pesca - preparazione e conservazione dei prodotti della pesca : metodi e apparecchi; prodotti della pesca utilizzati per uso commestibile ; stabilimenti di piscicoltura ed ostricoltura - com­ mercio ed industria dei pesci ed animali acquatici - applicazioni indu­ striali dei prodotti della pesca 1 0 ». La crescente attenzione dedicata ai mari libici era alimentata dalla speranza che le acque conquistate si rivelassero serbatoio inesauribile di risorse produttive. Nell'agosto 1 9 1 3 rientrò in Italia il conte cav. Emilio Ninni, illustre biologo, inviato in Libia dal Ministero delle colonie per compiervi ricerche scientifiche sulla fauna ittiologica della Tripolitania. La spedi­ zione scientifica si rivelò fruttuosa ed interessante. Furono raccolti e portati in Italia esemplari di dentici, triglie, cernie, umbrine, cefali, seppie e polipi. Fu, inoltre, approfondito, come presumibilmente era stato richiesto dal ministero, lo studio della pesca delle sardelle e dei tonni e vagliata la possibilità di impianti produttivi per la mitilicoltura, la ostricoltura e l'astacicoltura 11• Buoni risultati, intanto, iniziava a dare nello stesso periodo la pesca delle spugne in Tripolitania, ove erano già impegnate ventisei barche con diversi palombari. Ditte locali e italiane avevano anche costituito un sindacato con lo scopo di allestire magazzini di deposito per il prodotto pescato. Col passare dei mesi si rese indispensabile un'efficace regolamentazione di questa attività, il che avvenne con il r.d. 8 marzo 1 914, n. 1 88. Questo autorizzava il Ministero delle colonie a stabilire, di concerto con il Ministero dell'agricoltura, all'inizio di ogni campagna estiva di pesca e con effetto anche per la successiva campagna invernale, le indennità che avrebbero dovuto essere corrisposte dai capitani ai palombari, impegnati nella pesca delle spugne e del corallo nelle acque della Tripolitania e della Cirenaica, nei casi di infortunio sul lavoro.

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7 Ibid. , 1 91 3, 8. 8 Ibid., 1913, 9. 9 Ibid. , 1 9 1 4, 5.

10 Ibid.,1913, 8. 1 1 Ibid., 1913, 14-15.

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Ai primi segnali di quella che fu la prima guerra mondiale� la « Rivista Nautica-Italia Navale» rivolse la sua esclusiva attenzione ·alle att1v1ta della Marina militare, alle sue navi, ai suoi comandanti, · àlle diverse marinerie delle potenze straniere coinvolte nel conflitto. Non comparvero più sulle sue pagine cronache e articoli relativi a ricerche scientifiche e ad iniziative economiche, volte al produttivo sfruttamento delle risorse naturali dei mari d'Africa. 3. La speranza, però, del governo italiano di trarre ricchezze dai mari che lambivano le coste dei territori conquistati era sempre viva. Nel mese di marzo dell'anno 1 9 1 7 il Ministero per l'industria, il commercio e il lavoro richiese, infatti, al prof. Attilio Cerruti, fonda­ tore e direttore del Laboratorio di biologia marina di Taranto, la disponibilità a recarsi in Eritrea per svolgere in quei mari un'impor­ tante ricerca scientifica. Il Ministero delle colonie aveva, infatti, intra­ visto la possibilità di favorire l'utilizzazione della madreperla 12, pescata 1 2 La possibilità di approvvigionarsi di madreperla rappresentava, già da tempo, una meta ambita. Scriveva, infatti, la «Rivista Nautica-Italia Navale» nell'aprile 191 5 : «(...) il commercio è ora monopolizzato da inglesi e da tedeschi, i quali sono fissati sui luoghi di pesca da molti anni e vi posseggono linee di navigazione e case di commercio. Sono appunto le agenzie delle Compagnie di navigazione che si occupano dell'incetta delle conchiglie e del commercio d'importazione ed esportazione ( ..). Circa quanto concerne gli interessi delle industrie italiane è d'uopo notare che, per poter affermare le nostre iniziative di fronte alla concorrenza estera, superando le varie difficoltà d'indole locale, occorrono forti mezzi economici. Nessuno dei nostri industriali in bottoni potrebbe disporre da solo di mezzi consimili : e si consiglia quindi la costituzione di un Consorzio fra produttori di bottoni di madreperla per l'acquisto della materia prima, consorzio che troverebbe ogni appoggio da parte della nostra agenzia commerciale al Golfo Persico. I punti da prendere in considerazione sono i seguenti: 1) Quantità della materia prima occorrente alle fabbriche italiane nella loro totalità; 2) Trasporto della materia prima; J) Spese necessarie per l'invio al Golfo Persico di persona competente per almeno una stagione onde avviare seriamente il lavoro; 4) Coordinamento dei vari sforzi e dei singoli sacrifici in uno sforzo unico onde evitare inutile spreco di energie, di denaro e di tempo. Per quanto concerne la quantità che le fabbriche italiane possono consumare, è ovvio che, senza possedere dati precisi in merito, nulla si può fare, i problemi del trasporto e delle spese essendo strettamente collegati con essa. Specialmente per quanto riguarda le spese, occorre porsi nettamente il quesito, dato il costo altissimo della vita in quelle regioni. Circa quel che riguarda il coordinamento degli sforzi occorre assolutamente che gli industriali italiani nel loro comune interesse sappiano mettere da parte una buona volta quelle gelosie individuali che sono la loro rovina. Basta osservare un po' da vicino l'andamento della nostra industria dei bottoni di madreperla per convincersi che una delle cause della crisi che attraversa .

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nel mar Rosso e nell'arcipelago delle isole Dahlak, con sovvenzioni ed aiuti a ditte intenzionate a dedicarsi alla fabbricazione di bottoni ed altri oggetti di madreperla. Tuttavia, prima di avviare qualsiasi programma in tal senso, si ritenne opportuna la consulenza di un tecnico che, recandosi sul posto, avrebbe potuto studiare il problema nei suoi molteplici aspetti. In particolare veniva richiesta l'effettuazione di rilievi atti a verificare la potenzialità produttiva dei banchi madreporici cui si sarebbe dovuto attingere e la individuazione delle migliori qualità della madreperla e dei prodotti affini in rapporto alla loro industrializzazione e com­ merciabilità in Italia. Ciò al fine di presentare concrete proposte per un razionale e pratico programma di sfruttamento di questo prezioso prodotto della natura in modo tale, però, da non intaccarne il naturale sviluppo. Infine si sarebbe dovuto compiere uno studio sui mezzi più idonei ad assicurare alla nascente industria italiana della madreperla i mercati del mar Rosso e della Somalia 13. Non conosciamo il tenore della risposta che Cerruti inviò al Mini­ stero, non essendo stata rinvenuta nel carteggio prodotto dall'istituto da lui diretto ed ora conservato presso l'Archivio di Stato di Taranto. Tuttavia, dal tenore degli atti, non emergono elementi utili per ip otizzare una sua missione scientifica nelle acque del mar Rosso. E certo, invece, che qualche anno più tardi Cerruti declinò un secondo invito a svolgere nello stesso mare indagini e ricerche sulla pesca delle perle e sulla biologia della meleagrina o ostrica perlifera. La notizia si ricava dalla minuta di una lettera scritta da Cerruti 1'8 ottobre 1 921, in risposta alla nota dell'Ispettorato generale della pesca

dipende dalla mancanza di accordo fra gli industriali. Anche i gioiellieri italiani potrebbero trovare interesse nell'acquisto diretto di perle, invece di riceverle indirettamente da altri centri mondiali. Inoltre, oggi nessun piroscafo italiano viene al Golfo, mentre qualora il problema della madreperla dovesse essere risolto, tale industria probabilmente potrebbe coprire le spese per l'invio di un piroscafo destinato al trasporto delle conchiglie, iniziando così la soluzione del problema dei trasporti fra l'Italia ed il Golfo Persico. Qualora si riuscisse ad affermarci a Barhein per l'acquisto delle conchiglie, sarebbe molto facile esercitare l'importa­ zione dei vermicelli, articolo colà di largo consumo. 13 Vedi ARCHIVIO DI STATO DI TARANTO [d'ora in poi AS TA], Istituto sperimentale talassografico di Taranto, Corrispondenza, anno 1 917.


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del Ministero dell'agricoltura, n. 2860 del 29 settembre dello stesso anno. Purtroppo non è possibile avere dati pm prec1s1 m merito all'oggetto della richiesta rivolta a Cerruti, giacché la succitata n�ta non è stata rinvenuta tra la documentazione versata all'Archivio di Stato dall'Istituto talassografico. Parte del carteggio, infatti, soprat­ tutto nel corso della seconda guerra mondiale, andò dispersa. Tuttavia è facile comprendere che, anche in questa occasione, le ricerche scientifiche che si sarebbero dovute compiere erano finalizzate allo scopo di trarre ricchezze dai mari conquistati. Ma se mai quelle indagini furono svolte, non fu Cerruti a condurle. Come egli stesso scrisse, « avrebbe con vivissimo entusiasmo accettato tale incarico se varie ricerche scientifiche» allora «in corso e numerose e delicate ragioni di servizio » non gli avessero impedito « di lasciar Taranto per il tempo non breve necessario per condurre utilmente le svariate e non sempre facili indagini desiderate dall'an. Ministero dell'inter­ no». Ciò non gli impedì, però, « di porsi a disposizione dell'an. Ministero delle colonie per quelle ricerche che» avrebbero potuto « esser condotte nel Laboratorio di biologia marina di Taranto».

stagione più calda, le comunicazioni eventuali dei bacini col mare, la quantità di piogge che annualmente cadevano in quelle regioni, il costo della mano d'opera, il prezzo locale dei pali e delle corde vegetali, ecc . . . Contemporaneamente a questi dati, egli segnalò l'opportunità che giungessero a Taranto, per essere analizzati ed esaminati, campioni di acqua e di conchiglie, prelevate possibilmente ancora viventi dai bacini. Per la loro raccolta, inoltre, ritenne utile inviare in Libia alcune idonee bottiglie ed istruzioni dettagliate. Tra i mesi di giugno e agosto, in diverse riprese, pervennero al laboratorio di Taranto, spediti dall'ufficio per i servizi agrari della Cirenaica attraverso il comando militare marittimo di Taranto, i cam­ pioni delle acque, della flora e della fauna, i dati richiesti e due grafici, all'uopo elaborati, che riproducevano in scala 1 :5000 la Sebka della Giuliana, vero e proprio piccolo mare interno, posto nelle immediate vicinanze del centro della città di Bengasi, e la Sebka della Zeiana, distante da essa circa dieci chilometri. L'esame dei dati inviati non diede però quegli esiti in cui il governo della Cirenaica aveva sperato. L'eccessiva bassezza dei fondali delle «sebke» determinava nella stagione estiva un notevole innalzamento della temperatura dell'acqua, la quale, raggiungendo valori molto alti (circa 41 °), avrebbe certamente causato la sicura morte delle ostriche. Né l'analisi dei campioni delle acque fornì risultati più incoraggianti, poiché fu rilevata l'inattendibilità dei dati per il campione prelevato nella Sebka della Giuliana. A causa, infatti, di una manomissione o di un'imperfetta chiusura del contenitore, i valori della salsedine riscontrati superavano i 44 gr. di sale per chilogrammo. Questo dato fu ritenuto certamente improbabile, in considerazione della comunicazione di queste acque con il mare libero e, comunque, assolutamente negativo per una normale vita delle ostriche che, invece, necessitapo di un grado di salinità compreso tra 30 e 35 grammi per chilogrammo di acqua. D'altra parte, il campione di acqua prelevato nella Sebka della Zeiana aveva invece evidenziato una densità troppo bassa, inadatta allo scopo dell'ostricoltura, ma favorevole a quelle specie di molluschi molto resistente a forti variazioni di salsedine e temperatura come il Cardium edule e il Murex truncu!us, esemplari colà rinvenuti ed inviati al Cerruti. Infine, l'esistenza nelle due «sebke» di fango ricco di detriti organici

4. Di particolare significato, poi, sono le notizie sulla coltiva­ zione delle ostriche in Cirenaica, nei pressi di Bengasi. Nel 1 926, infatti, a Cerruti pervenne altra similare richiesta di consulenza rela­ tiva, questa volta, ad un'ipotesi di utilizzo di due bacini a scopo di ostricoltura, ubicati in prossimità di Bengasi in Libia 14. Il governo della Cirenaica, intenzionato ad affidare all'industria privata la ge­ stione dei suddetti bacini, ritenendo la coltivazione delle ostriche attività « indubbiamente molto remunerativa», richiese al Ministero della marina il parere di una persona competente. Fu interpellato il prof. Cerruti il quale, dichiarando la sua disponibilità, rispose che prima di pronunciarsi in merito avrebbe avuto necessità di consultare carte topografiche dei bacini ove si riteneva possibile avviare la coltivazione delle ostriche, di conoscere le profondità e la natura dei fondali, le temperature massime raggiunte dalle acque durante la

14

Ibid. ,

anno

1926.

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avrebbe sicuramente sviluppato, durante la stagione estiva; idrogeno solforato, gas molto nocivo alle ostriche 15• Svaniva così anche questo progetto che aveva creato non poche aspettative ed entusiasmi per un'attività considerata all'epoca moltò remunerativa e di facile realizzazione. 5. Per quanto riguarda, infine, il « Servizio di idrobiologia e pe­ sca», istituito nell'anno 1 939 in Addis Abeba, non inutile appare spendere qualche parola. Questa istituzione, infatti, ebbe vita breve, appena 23 mesi, ma ricca di fatti e di esperienze scientifiche. Il carteggio agli atti dell'Istituto talassografico 16 tarantino prende le mosse dall'anno 1 940. In quell'anno a dirigere in Addis Abeba il « Servizio di idrobiologia e pesca» del Governo generale dell'Africa orientale italiana era il prof. Pietro Parenzan 17• Il primo momento di contatto, dunque, tra questa istituzione d' ol­ tremare e l'Istituto di biologia marina di Taranto risale al mese di febbraio dell'anno 1 940, epoca in cui pervenne a Cerruti il primo numero del «Bollettino di idrobiologia caccia e pesca dell'A OI », periodico diretto da Parenzan nella sua veste di responsabile del Servizio idrobiologico e pubblicato a cura del servizio stesso 18• Il collegamento tra i due istituti scientifici durò ben poco tempo, giacché l'insorgere della seconda guerra mondiale stroncò sul nascere

anno 1927. Denominazione assunta nel 1941 dal r. Istituto di biologia marina. Pietro Parenzan nasce a Pala il 10 gennaio 1902. Conseguita la laurea in scienze naturali ricopre l'incarico di assistente presso la direzione della stazione zoologica di Napoli. Nominato, successivamente, direttore del Consorzio obbligatorio per la tutela e per l'incremento della pesca nell'Italia meridionale prende parte, negli anni 1937-38, alla missione ittiologica in Africa orientale italiana, promossa dal Ministero Africa italiana e dal Ministero agricoltura e foreste, con l'incarico di svolgere ricerche ittiologiche e studiare le risorse relative alla pesca. Nel 1939 viene assunto dal Ministero Africa italiana e inviato in Africa orientale come capo del servizio idrobiologico e pesca avente giurisdizione sul mar Rosso, sull'oceano Indiano e su tutti i grandi laghi e fiumi dell'Africa orientale. In seguito allo scioglimento del Ministero Africa italiana nel 1955 Parenzan, passato al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, viene assegnato all'Istituto talassografico sperimentale di Taranto . (Vedi P. PARENZAN, Curriculum vitae ed elenco delle pubblicazioni, Napoli, Di Blasio, 1959. Nelle more di pubblicazione del presente lavoro, il prof. Parenzan muore in Taranto il 26 novembre 1992. 18 Vedi AS TA, Istituto speritmntale talassografico, Corrispondenza, anno 1940. 15

16 17

Ibid.,

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l'attività del Servizio. Tuttavia il lavoro di ricerca svolto in Etiopia da questa istituzione fu intenso e di vario genere, come testimonia un ampio e particolareggiato resoconto 19 redatto dallo stesso Parenzan

19 Jbid., fase. 7, anno 1956. In questa relazione Parenzan, tra l'altro, elenca plurime pubbli­ cazioni scientifiche a stampa sulla idrobiologia e sulla pesca nei mari d'Africa e dell'Etiopia in particolare, apparse sui vari periodici dopo l'occupazione dell'Etiopia e l'istituzione del servizio idrobiologico del Governo generale AOI. Torna utile, in questa sede, per una migliore conoscenza delle acque africane, fino all'anno 1940, ricordare tali pubblicazioni, riportandole testualmente così come il Parenzan le indica nella sua citata relazione: G. BAcCI, Moll11schi dell'Africa Q.I. ospita/ori di tre!JJatodi parassiti, in «Boll. idrobiologia, caccia e pesca dell'AOI», 1940; ID., Molluschi fossili delfantico fondo del Lago Z11ai, in «Annali Museo civico di storia naturale», 1940; A. BRIAN, Sopra una specie di copepodo parassita raccolto dal prof Parenzan nel lago Ararobi nell'A O!, in «Boli. idrobiologia, caccia e pesca dell'AOI», 1940; ID., Intorno ad una rara specie di Argulus parassita di pesci raccolto dal proj Parenzan nell'A GI, ihid. ; N. DE FILIPPIS, Condizioni

chimiche del Lago Hora Abaita, ibid. ; fu., Analisi chimica di un'acqua della parte seti. del Lago Rodolfo, dell'isola di Grmno, ibid. ; L. D'ERRico, Relazione sulla utilizzazione del Lago Tana, ibid. ; G. GAROFOLI, Analisi chimica della carne di Tilapia nilotica di un lago africano, ibid. ; G. MIRA, Sulla presenza di forme !arvali di tifi acaro acquatico parassita, della fam. Hydracnidae, SII alci/ne zanzare del gen. Anopheles in A OI, ibid. ; G. ]ANNONE, Relazioni fra corsi d'acq11a e sposta!JJenti delle larve e ninfe di cavallette in A OI, ibid. ; P. 0RLANDINI, Il bassopiano occidentale di Gamba/a. Rete jl11viale, notizie idrobiologiche e sanitarie, ibid. ; P. PARENZAN, Gli anitJJali ittiòfagi del! Etiopia interna, ibid. ; ID., Sulle possibilità di ripopolamento ittico di lag/Ji africani, ibid. ; In., L'etiopico Barb11s trispilopletlra Blgr., ibid. ; ID., I pesci del Lago Rodolfo e la pesca per parte dei Ghebelà e dei Turkana, ibid; ID., Il problema del Cialbi (Lago Stefania), ibid. ; ID., La regione ittica ciprinoide deltimpero di Etiopia, in «Africa Italiana», 1937; fu., Appunti di ittiologia africana, con nota su/ lago Tana, in «Boli. Soc. Africana d'Italia», 1936; fu., Barb11s Volpinii n. sp. del Lago A rarobi, in «Boli. idrobiologia, caccia e pesca dell'AOI», 1940; fu., Le acque interne dell'A OI dal p11nto di vista idrobiologico e della valorizzazione peschereccia, in «Boli. Soc. Africana d'Italia», 1936; ID., Esplorazione del baci110 JJJeridionale del lago Margherita nel Galla e Sidama, in «Boll. Soc. Africana d' Italia», 1938; ID., I pesci nel bacino de/ lago Margherita nel Galla e Sida111a, in «Collez. Scient. e Documentaria dell'A. I. 1941 ; In., Le acque interne dell'Etiopia dal punto di vista ittiologico, in XXVII Congresso Soc. It. Prog. Scient., 1939; ID., Notizie biologiche e st�l!a pescosità del lago Regina Margherita, in «Collez. Scient. e Documentaria dell'A. l.», 1941 ; ID., Esplorazione del corso ùiferiore dell'Amazà nel bacùw de/ lago Margherita, in «Coll. Scient. e Docu­ mentaria dell'A. L », 1941 ; In., Il lago A scianghi dal punto di vista ittiologico e della valorizzazione peschereccia, ibid. ; In., Ittiologia e pesca del lago Auasa, ibid. ; In., Relazione sulle condizioni ittiologiche e di pesca del lago Ciamò, ibid. ; In., Pesci, pesca e pescosità dell'Uebi Scebeli e del Gi11ba in SotJialia, ibid. ; In., I laghi Langana, Zuai e Biscioftù dal punto di 11ista della loro valorizzazione, ibid. ; In., Il lago Haic (Principe di Napoli) nel Governatorato dell'Amara, ibid. ; In., Sul caratteristico legno di acacia acquatica t/salo dagli indigeni del lago regina Margherita per la costruzione dei loro battelli (obolò), in «Boli. Pesca, Idrobiologia e Piscicoltura», 1939; fu., Ricognizione biologica dell'alto corso dell'Omo, in «Boli. Soc. Africana d'Italia», 1939; S. PATRIZI, Gli uccelli d'acqua del lago Z11ai, in «Boli. idrobiologia, caccia e pesca dell'AOI», 1940; A. PICCIOLI, Importanza del pesce nell'alimentazione dei bambini, particolare valore che tale alimento ass11me nei territori dell'Impero, ibid. ; A. SARECENI, App11nti


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e rinvenuto in copia nella documentazione versata all'Archivio di Stato di Taranto dall'Istituto sperimentale talassografico al quale, nel 1955, Parenzan era stato assegnato in seguito allo scioglimento del Ministero Africa italiana. La relazione, trasmessa nel 1 956 al Ministero dell'agricoltura e delle foreste dal quale dipendevano, all'epoca, gli istituti talassografici, era stata, in verità, come evidenzia Parenzan nella lettera di trasmissione da ' lui compilata in precedenza su richiesta del comitato per la documentaazione dell'opera del governo italiano in Africa del Ministero degli esteri. Articolato in 21 pagine dattiloscritte il resoconto ha per oggetto le attività svolte dal Servizio di idrobiologia e pesca del Governo generale dell'AOI in Addis Abeba nel periodo che va dal mese di marzo 1939 al mese di febbraio 1 941 . Presentando questa esperienza scientifica, nella citata relazione Pa­ renzan così esordiva : «Nel riferire ciò che il Servizio idrobiologia e pesca del Governo generale AOI, posto sotto la mia direzione, ha fatto nel breve periodo di ventitré mesi (precisamente dal marzo 1 939 al febbraio 1 941) è non senza orgoglio che ripeto, per cominciare, una frase di Hans Leo Honogmann, scienziato di Magdeburgo (in litteram : Magdeburg, Bismarkstrasse 36, 24 febbr. 1 940) « Mi ha fatto immenso piacere notare come voi italiani, dopo un brevissimo tempo dalla conquista dell'Etiopia avete intrapreso con tanta energia lo studio dei

problemi scientifici e delle risorse naturali di questo paese, come mai finora si è mai visto nella storia . . . »20• Entrando nel vivo dell'argomento, Parenzan ricorda le grandi e pic­ cole spedizioni scientifiche e le campagne sperimentali di pesca svolte negli anni precedenti all'occupazione d'Etiopia nel mar Rosso e nel­ l'oceano Indiano. Nonostante questa intensa attività di ricerca avesse prodotto una co­ spicua documentazione scientifica, le nozioni sulla biologia dei mari e delle acque interne dell'Africa orientale al momento dell'occupazione italiana risultarono, nel complesso, a Parenzan, «(... ) scarse, scadenti, confuse, e potevano creare solo concetti errati sia sulla consistenza biologica nei riguardi scientifici, sia sull'entità delle risorse economiche»21• È con l'occupazione dell'Etiopia che il governo italiano si rivolse con deciso interesse al settore idrobiologico, promuovendo spedizioni scientifiche nel lago Tana e negli altri laghi della Gran Fossa dell'AOI. Più precisamente fu affidato all'accademico Giotto Dainelli il compito di effettuare nel bacino del Tana rilievi di varia natura e ricerche che fruttarono una serie cospicua di interessanti pubblicazioni. Al ritorno in patria della spedizione Dainelli, partì la missione idrobiologica del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, organizzata dal Laboratorio centrale di idrobiologia di Roma, denominata, secondo Parenzan impropriamente, « missione ittiologica». Furono visitati i grandi fiumi Uebi-Scebeli, Giuba, Daua Parma. Successivamente la missione raggiunse da Mogadiscio la zona di Neghelli e, quindi, attraverso le foreste di Uadarà e di Socora, si portò a Soddu, base per l'esplorazione dei laghi regina Margherita e Ciamò (La Ruspoli). Risalì, poi, visitando i laghi Auasa, Sciala, Langana, Hora Abaita, Zuai, Arsodi, Biscioftù, Haic, Ascianghi e raggiunse Massaua, ove s'imbarcò 1'8 giugno 1 938 per ritornare in Italia. A questa missione parteciparono, oltre allo stesso prof. Parenzan per la ricerca ittiologica, il dott. A. Vatova22 per l'amministrazione

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SI/l regime idrico e la pesca nello Scioa settentrionale, ibid. ; A. SPENA, L'importanza della patologia nella fauna ittica dell'A DI, ibid. ; G. SnANSY, Sulla conoscenza delle (( Gorgonarie» del Mar Rosso, ibid. ; F. SERRA MANICHEOOA, La pesca e l'industria peschereccia in Somalia, ibid. ; G. BRUNELLI, Considerazioni biogeografiche sui maggiori laghi dell'Africa Orientale Italiana, in «Collez. Scient. e Documentaria dell'A. L», 1941 ; G. BRUNELLI - G. CANICCI, Ricerche sulplancton e sulle caratteristiche bio-limnologiche del lago Margherita, ibid. ; S. LOFFREOO - C.M. MALDURA, Risultati generali delle ricerche di chimica lùm10logica sulle acque dei laghi dell'A DI esplorati dalla missione ittiologica, ibid. ; G. MoRANDINI, Le caratteristiche m01jometriche dei laghi dell'A DI esplorati dalla 111issione ittiologica, ibid. ; A. VATOVA, Itinerario e diario della missione ittiologica in A OI, ibid. ; Io., Relazione sui risultati idrografici relativi ai laghi dell'A O! esplorati dalla missione ittiologica, ibid. ; Io., Dati idrografici relativi ai laghi dell'A DI esplorati dalla missione ittiologica, ibid. ; G. ZOLEZZI, Pesci del Giuba e del!Uebi Scebeli raccolti dalla !JJÌSstone ittiologica in A OI, ibid. ; Io., I pesci dei laghi minori etiopici, ibidem. Parenzan inoltre, in coda all'elenco, non omette di ricordare alcuni suoi lavori scientifici inediti quali: Da Usacaia a Calam nel paese dei Ghelebà (manoscritto con fotografie ancora bloccato in Addis Abeba); Le acque interne d'Etiopia (manoscritto con cartine e fotografie, disperso per ragioni belliche); Rapporto del Benàdir, 1941 (manoscritto recuperato recentemente).

20 Vedi AS TA, Istituto sperimentale talassografico, Corrispondenza, fase. 7, anno 1 956. 21 Ibidem. 22 Il dott. Aristocle Vatova nel marzo 1 961 divenne direttore dell'Istituto sperimentale

talassografico di Taranto.


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e le ricerche idrografiche, il cap. A.L. Avezzù per la parte logistica, disciplinare e per i servizi di sicurezza, il capo tecnico Rai��:mdo Cappai, quattro pescatori del lago Trasimeno (Catoni Alfredo, Fioretti Vittorio, Moretti Tommaso, Pisinica Lino) ed altri collaboratori vari, nazionali ed indigeni. La spedizione diede luogo a numerose pubblicazioni d'interesse scientifico e pratico. Furono divulgati i programmi elaborati per lo sviluppo artigiano e industriale della pesca interna e delle attività connesse, i risultati degli studi condotti sui prodotti dei vari fiumi e laghi e degli esperimenti eseguiti, al fine di una più razionale valorizzazione delle risorse ittiche. Questa fruttuosa esperienza scientifica suscitò l'idea di creare un centro - una particolare organizzazione da insediare in Addis Abeba - che corrispondesse funzionalmente per l'Africa orientale a quello che a Roma, per l'Italia, era il Laboratorio centrale di idrobiologia. L'istituzione del centro, denominato « Servizio idrobiologia e pesca» e posto alle dipendenze della Direzione superiore della colonizzazione e del lavoro del Governo generale, venne affidata, dunque, allo stesso Parenzan. Il servizio ebbe la sua sede dapprima in un ufficio dello stesso Governo generale e dopo poco tempo, con la istituzione del Laboratorio centrale di idrobiologia, in una palazzina di via Emilia, presso la piazza S. Giorgio23• L'attrezzatura del laboratorio, fornita dalla ditta Hugo Petersen di Napoli viene dettagliatamente descritta da Parenzan nella sua relazione che risulta arricchita, peraltro, da particolari interessanti relativi alla dotazione occorrente per avviare il lavoro di ricerca. Le diverse attività che il servizio programmava erano di volta in volta autorizzate dal direttore generale della colonia e del lavoro, dott. comm. Tundo. Quando, invece, la spedizione rivestiva caratteri di particolare importanza, il permesso veniva richiesto direttamente al viceré. Tutto il breve ma intenso lavoro di ricerca fu reso pubblico attra­ verso l'istituzione e divulgazione del succitato «Bollettino di idrobio-

logia, caccia e pesca dell'AOI » il cui primo numero, apparso in data 1 o gennaio 1 940, portava la presentazione di S.A.R. il viceré. Ne derivò, peraltro, un inaspettato scambio con altri periodici scientifici internazionali che, nel giro di quindici giorni, pervennero numerosissimi alla direzione del bollettino di Addis Abeba 24• Ma che tipo di attività svolse il Servizio idrobiologia e pesca, retto soltanto da Parenzan, da un impiegato e da una dattilografa nei ventitrè mesi di vita in cui potè funzionare? La relazione precisa che al servizio erano demandate competenze di diverso genere : dalle pratiche di ordinaria amministrazione (concessioni di pesca, licenze personali e so­ cietarie, compilazioni di schemi, di regolamenti, esami di progetti, perizie, ecc.) alle esplorazioni scientifiche; dai rapporti col governo centrale e con l'estero all'attività editoriale; dalle ricerche di laboratorio, condotte personalmente da Parenzan, a quelle in collaborazione con i vari specialisti. Una tra le prime iniziative intraprese fu la distribuzione a tutte le residenze dell'impero di un questionario volto alla richiesta di ogni notizia sui laghi, fiumi, torrenti, lagune, bacini salmastri, acquitrini e paludi, eventualmente esistenti nel territorio giurisdizionale di ogni residenza, sulla loro ubicazione e denominazione, sulle dimensioni, altitudini, fauna nota, pescatori, pesca e mezzi usati (reti, nasse, lance, sostanze vegetali, ecc.). L'obiettivo era quello di costituire una banca dati sulla base della quale, poi, programmare le ricerche e i sopralluoghi. Nell'ottobre 1 939, al fine di raggiungere un'adeguata e precisa cono­ scenza delle acque etiopiche scarsamente note, il prof. Parenzan pensò di servirsi della collaborazione del comando dell'aviazione militare per realizzare delle ricognizioni aeree. Furono effettuati voli ad alta quota e voli radenti su tutta la regione dei laghi di Bolò e, grazie alla preziosa collaborazione del pilota e dell'osservatore cap. Mastromauro, che eseguì i rilievi aerofotogrammetrici, fu possibile definire bene sulla carta tutto il sistema idrico della regione, accertando con precisione la posizione e le relazioni reciproche dei laghi e degli stagni Barachet, Ararobi, Ellani, Sembai, Barì, Ghildé, noti prima solo vagamente.

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In Addis Abeba.

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24 Parenzan elenca alle pp. 7 e 8 del suo resoconto 38 titoli di riviste scientifiche interna­ zionali che aderirono allo scambio da lui proposto.


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Nei mesi successivi l'attività di esplorazione e di ricerca· andò inten­ sificandosi. In varie riprese, con sopralluoghi di uno o più · gtç>rni, furono studiate le condizioni fisiche e biologiche di vari altri · laghi e fiumi tra i quali : il lago Zuai, il Metahara, lo stagno Adele, il lago Aramaio, il Langana, l'Bora Abaita, lo Uonci, l'Bora Arsodi, quello di Biscioftù, il fiume Orno Bottega, il fiume Gota, il fiume Errer, il. fiume Sucsuchi, il torrente Dambi, l' Auasc, ed altre acque minori nei governatorati del Galla e Sidama, dello Scioa e dell'Barrarino. Il lago Zuai, già visitato con la missione ittiologica del 1 937-1 938, fu ripreso in esame e nell'occasione si studiarono le caratteristiche etniche della razza di pescatori indigeni denominati i « laschi», som­ mariamente descritta dal professore nella sua relazione. Questa pro­ segue ricca di dettagli desunti da altre esplorazioni e da esperimenti scientifici compiuti nell'ambito delle attività svolte dal servizio. Fra tutti val la pena di ricordare l'esperimento condotto in collaborazione con la Compagnia nazionale imprese elettriche (coNIEL) e, per essa, con l'ing. Bazzi. L'idea era quella di popolare le acque dei serbatoi artificiali, creati per gli impianti idroelettrici, con pesci pregiati. Si cominciò con il serbatoio di Gheggià, alimentato dal fiume Acachi. Trovandosi a quota 2.050 mt. sul livello del mare, l'acqua del serba­ toio riusciva a mantenersi particolarmente fresca; di conseguenza si pensò di poterla sfruttare per allevarvi esemplari di trote iridate. L'operazione più delicata consistette nel trasporto delle uova che, come analiticamente descrive Parenzan nella relazione, furono trasfe­ rite per via aerea dopo essere state collocate in una cassetta isotermi­ ca, confezionata nello stabilimento ittiogenico di Roma. Presso la centrale idroelettrica di Abba Samuel era stata intanto costruita un'incubatrice in cui le uova poterono dischiudersi. Non appena pronte, una parte delle piccole trote fu immessa nel fiume Acachi, a monte della diga, allora in corso di completamento ; una piccola parte venne invece conservata in apposite vasche presso la centrale elettrica ed allevata con nutrizione artificiale a scopo di controllo. Parenzan affermò che questo primo tentativo di immissione di specie extra-africana nelle acque interne dell'Etiopia poteva considerarsi riuscito, giacché, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, in quei bacini idroelettrici ove si svolsero gli esperimenti, furono pescate trote iridate di notevoli proporzioni.

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Altre sperimentazioni effettuate con esito favorevole nel corso della missione ittiologica sul lago Margherita per lo sfruttamento del « Ba­ gro», un pesce appartenente alla famiglia dei Siluridi, determinarono il sorgere di vere e proprie attività industriali. Con concessione rila­ sciata dal Governo generale dell' AOI, infatti, la ditta G. Graif e C. aveva costruito sulle rive settentrionali del lago uno stabilimento ove il bagro pescato veniva essiccato e posto in salamoia. Le carni di questo pesce, fatte analizzare presso l'Istituto di chimica biologica dell'Università di Napoli, risultarono di valore alimentare maggiore rispetto al prodotto marino di stacco o baccalà d'importazione. Questa produzione, iniziata con successo, lasciava prevedere un discreto svi­ luppo industriale se la guerra, che di lì a poco scoppiò, non avesse frenato bruscamente ogni attività economica e scientifica. Nel frattempo altre ditte entrarono in trattativa con il governo per ottenere concessioni diverse legate, comunque, ad attività connesse al mare e alla pesca. Tra queste Parenzan ricorda che una ditta aveva chiesto la concessione per installare un impianto per l'utilizzazione di tutti i residuati e scarti della pesca per la produzione di «azodina», mentre da altre parti veniva posta l'attenzione sullo sfruttamento delle alghe e delle fanerogame marine per la produzione di sostanze chimi­ che, di carta affine al cellofan e di lana artificiale. A Massaua, invece, era già entrato nella fase sperimentale uno stabilimento per la produzione di farina e olio di pesce. La lavorazione procedeva bene e nel primo anno i livelli di resa erano stati di 6.000 quintali di farina e 5 .000 quintali di olio di pescecane. Ma non furono soltanto queste le attività, gli studi, le esplorazioni, i progetti, le iniziative curate e seguite dal Servizio idrobiologico, giacché la relazione che abbiamo riassunto dedica ancora altre pagine al ricordo di viaggi, missioni, osservazioni e ricerche di ogni genere che confluirono in un volume scritto da Parenzan. Ma il mito della conquista si dissolse a contatto con gli eventi della storia, così il manoscritto andò disperso, quasi presagio di quel nulla che sarebbe rimasto dell'avventura coloniale. Per questo, emblematico e significa­ tivo appare quel velo di tristezza che cala sulle parole poste a conclu­ sione del resoconto, come il sipario su di una scena dove, per l'ultima volta, è stata rappresentata e sentita dal suo autore la grandezza e il valore dell'essere italiani.


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Lasciamo, allora, alla penna di Parenzan così concludere « (.J dei miei studi precedenti sulla scorta delle notizie preesistenti (frut�o di esploratori e studiosi di varie nazioni) integrate dai rilevamenti compiuti dopo l'istituzione del Servizio, avevo compilato, affinché potesse fissare il "punto" delle conoscenze sulle condizioni topografiche, idrografiche e biologiche delle acque dell'A.O., un volume di centinaia di pagine con le cartine dei principali fiumi e laghi e !aghetti, e con tutte le notizie raccolte sulla pesca. Il manoscritto intitolato "Le acque interne dell'Etiopia" (Ambiente geofisico - Aspetti zoogeografici ed economici - Le popolazioni rivierasche e la pesca - Ittiologia in particolare), era stato presentato a S.A.R. il viceré alla fme del 1939. Il duca d'Aosta pose la sua firma per approvazione sulla copertina, ed il voluminoso manoscritto, ricco di fotografie originali, partì per il Ministero dell'Africa italiana. Come altri materiali terminò all'estero e, fino ad oggi, non è stato possibile rintracciarlo. Così fmì un lavoro che costò denaro, sacrifici personali e studio, e che avrebbe costituito una documentazione in più del valore del nostro intervento nel progresso generale ed economico dell'Etiopia ( . . . ). La stele della civiltà axumita può dirsi oscurata dal monumento di civiltà tecnica e spirituale innalzato dall'Italia in quello che si può dire il cuore del continente nero25». Questi, dunque, alcuni momenti di storia di questo secolo legati allo sfruttamento delle risorse dei mari delle colonie italiane d'oltre­ mare ; momenti, nei quali si racchiudono anche episodi di vita scienti­ fica che è stato possibile riesumare grazie alla preziosa documentazione conservata nell'Istituto talassografico tarantino.

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immediate vicinanze della città di Bengasi. Questo elaborato, spedito dal r. Ufficio per i servizi agrari della Cirenaica, pervenne al Comando militare marittimo e della piazza marittima di Taranto che, in data 5 agosto 1 926, lo inoltrò al prof. Attilio Cerruti. Questi, infatti, ne aveva fatto richiesta al fine di

esprimere il suo parere circa la possibilità di utilizzare il suddetto bacino libico a scopo di ostricoltura.


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L'emigrazione dal Salento tn Africa orientale italiana 1935- 1940

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Con il presente contributo si intende fornire, attraverso la disamina delle fonti documentarie esistenti presso gli Archivi di Stato di Lecce e Brindisi un quadro della peculiarità dell'apporto dell'area salentina alle già note conoscenze sulle vicende generali connesse con la colo­ nizzazione dell'Africa orientale compiuta dall'Italia fascista, in partico­ lare in merito al problema dei movimenti migratori che ne derivarono. Ciò nella considerazione che il Salento, meglio di altre aree italiane, poteva e doveva rispondere alla sfida coloniale a causa delle inveterate precarie condizioni economico-sociali della popolazione. Quando gli elementi della documentazione lo hanno consentito, si è focalizzata l'indagine sulla tipologia dell'attività esercitata dai lavoratori utilizzati, sui luoghi di destinazione assegnati, sull'apporto economico dagli stessi offerto alla madrepatria mediante gli invii di somme alle famiglie. Infine, si è operata una distinzione fra due distinte fasi della coloniz­ zazione, individuabili e circoscrivibili rispettivente al triennio 1 935-37 e a quello 1 938-40. In base all'esame degli atti le categorie degli operai e dei contadini si sono rivelate le sole pressoché interessate ai movimenti migratori 2 che in questa sede si analizzano. Si è delimitata, inoltre, l'attenzione solo t,

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Rilievo grafico relativo alla << Sebka della Zeiana» distante dalla città di Bengasi circa lOkm. L'elaborato, spedito dal r. Ufficio per i servizi agrari della Cirenaica, pervenne al Comando militare marittimo e della piazza marittima di Taranto che, in data 5 agosto 1926, lo inoltrò al prof. Attilio Cerruti. Questi, infatti, ne aveva fatto esplicita richiesta al fine di esprimere il suo parere circa la possibilità di utilizzare il suddetto bacino libico a scopo di ostricoltura.

1 Per quanto concerne Taranto, non è stato possibile consultare gli atti relativi al Gabinetto della Prefettura, in quanto gli stessi, al momento, non sono stati versati nel competente Archivio di Stato. 2 Per altre categorie di lavoratori presenti nell'Impero, cfr. i dati forniti in campo nazionale da C. ZAGHI, L'Africa nella coscienza e11ropea e l'imperialisJIIO. italiano, Napoli, Guida, 1 973, p. 477. Un capitolo dell'interessante volume di A. SBACCHI, Il colonialisJIJo italiano in Etiopia 1936- 1940, Milano, Mursia, 1980, è dedicato ai funzionari dell'amministrazione italiana in Etiopia e alle percentuali della loro presenza.


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agli spostamenti della popolazione civile, problema già di pér sé sl1ffi­ cientemente complesso, quando si voglia scandagliare più dettaglia�a­ mente nei fatti storici di ambito locale perché siano di utile raffrònto con le risultanze generali già conosciute sul tema in questione3• Il fondo in cui la documentazione si trova classificata è, per en­ trambe le province salentine, quello della Prefettura, serie Gabinetto. Per quanto concerne Lecce sono nove i fascicoli inerenti alla proble­ matica affrontata ed il carteggio in essi contenuto abbraccia gli anni dal 1 935 al 1 940; allo stesso arco di tempo è relativa la documentazione rinvenuta nell'istituto archivistico della seconda provincia, contenuta in otto fascicoli. Scarsa la documentazione esistente nel fondo Questura di Lecce, mentre nulla è conservato nella serie II Prefettura (Categoria XV Emigrazione), se non un esposto per collocamento dell'anno 1 940 di un rimpatriato dall'Africa orientale italiana (A.O.I.) trasmesso dal podestà di Lecce al prefetto. Si è, inoltre, esperito il tentativo di rintracciare carteggio attinente all'argomento presso gli archivi comu­ nali ma, purtroppo, la situazione in cui questi versano, nonostante la normativa esistente e gli interventi finanziari della Regione Puglia per il riordinamento e l'inventariazione degli stessi, non ha permesso di portare a compimento il detto proposito4• Analogo esito negativo hanno dato le ricerche presso la Direzione delle poste e telegrafi (poi delle poste e telecomunicazioni) - dove si pensava di rintracciare gli elenchi delle rimesse inviate dai lavoratori espatriati - e presso la ·

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Capitaneria di porto di Gallipoli, nella quale potevano esistere tracce degli imbarcati in quegli anni con natanti in transito dal medesimo luogo ma, sia nell'uno che nell'altro ufficio, non si sono conservati atti anteriori al quarantennio. La mancata inventariazione degli atti di rilevanza storica della Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato di Lecce ha impedito il confronto di quei dati ed altret­ tanto va detto per i fondi Intendenza di finanza ed enti comunali di assistenza (solo quest'ultimo, in parte, inventariato)5 entrambi conser­ vati presso l'Archivio di Stato dello stesso capoluogo. Il primo interrogativo che viene spontaneo porsi è relativo alle �lassi sociali che meglio risposero alla domanda di colonizzazione. E agevole dimostrare che fu il ceto bracciantile ed operaio a rivelarsi più sensibile alle offerte di lavoro pervenute dal governo centrale o da ditte private, stante la grave situazione occupazionale in cui lo stesso versava negli anni che videro nascere il sogno imperiale italiano. L'illusoria propaganda operata dalla stampa e dagli organi governa­ tivi, utile in quel frangente ad ottenere il massimo consenso all'impresa, ma contrastante con le reali difficoltà delle operazioni coloniali 6, aprendo la via della speranza di un lavoro remunerativo a migliaia di �e�sone, aveva determinato una grande congestione negli uffici perife­ nc1, provocata da una vera e propria valanga di domande di ingaggio da parte di manodopera disoccupata presso l'Ufficio provinciale di collocamento di Lecce : il 1 o febbraio 1 936 esse ammontavano a venti­ mila, secondo quanto comunicava il prefetto al proprio Ministero di appartenenza - e il successivo 1 luglio - da una rilevazione statistica inviata dal collocamento al prefetto - le istanze rimaste inevase a tutto il 30 giugno erano pari al numero di 17.672, contro le 1 86 evase durante lo stesso mese, relative ad operai partiti. Fa conto rilevare che, tra quelle attinenti al totale indicato, solo 3.250 erano state avviate all'iter burocratico preliminare e che la medesima cifra non era como

3 Si rimanda, pertanto, ad altra sede un eventuale studio sulle presenze del personale militare di provenienza salentina e sul suo apporto alla conquista dell'Etiopia ed alla coloniz­ zazione demografica, da compiere eventualmente sulla serie «Liste di leva» in possesso degli Archivi di Stato di Lecce e Brindisi. Anche per quel che concerne questo argomento in senso generale si confrontino i due testi dianzi citati. 4 Tra i comuni della provincia di Lecce, per i quali è stato portato a compimento l'inventario della documentazione della sezione separata, fascicoli esistenti sull'argomento «Emigrazione in A.O.I.» relativamente agli anni in questione si rinvengono per Carmiano (n. 659) pubblicato da D. LALA, L'archivio storico del comune di Carmiano, in Chiesa e società a Cat·miano alla fine dell'antico regime, Galatina, Congedo, 1985, p. 233; e Copertino (nn. 1039-1041) pubblicato da G. CoNTE, L'archivio storico comunale di Copertino, in Copertino in epoca modema e contemporanea, Galatina 1989, p. 169 afferenti alla categoria XIII "Esteri", nonché le serie di registri del movimento della popolazione e registri cronologici delle famiglie emigrate della categoria XII «Stato civile», nei casi in cui si conservano. -

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Per l'ECA di Gallipoli - secondo, quanto ad entità di documentazione, solo a quello cap?l�ogo - va segnalato il contenuto del fascicolo 647, riguardante assistenza ai nmpatrIatl dall'A.O .I ; �fr. G. BARLETTA, La Congregazione di carità e l'Ente comunale di assistenza . . dr �allt�olt. Inv�ntarzo, �n «Rassegna �egli Archivi di Stato», 1988, 3, pp. 560-590. : Sm drvers1 aspetti del tema vedi A. SBACCHI, Il colonialis11Jo italiano.. cit., pp. 245-346. .

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prensiva di altre 1 .238 presentate da appartenenti alle classi 1 908� 1909 e seguenti. La provenienza delle domande era, in ordine, costituita da braccianti (5. 850), manovali-badilanti (2. 800), terrazzieri-steir�tori (1 . 56 �), mi�a�ori-cavamonti (1 .400), muratori (750), meccanici (720), f�bbn�ferrawh (51 0), carpentieri-falegnami (450), cementisti (420), sel­ c1�tor1 (�20), boscaioli (480), panettieri (400), carbonai (375), auti­ . st1-aut1st1 meccanici (320) e, via via, da addetti ad altri mestierF. Alla citata data del 1 o febbraio 1 936 si evince lo stato di profondo malcontento della popolazione leccese per l'esigua entità di reclutamento prevista dal Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione (CMC) per la stessa provincia. Ciò è agevole rilevare dalla segnalazione inoltrata dal rappresentante governativo in seno alla provincia al Ministero delle �ol�nie, . ri�uardante la richiesta di consistenti assegnazioni, in vista dello mv1o di cmquantamila unità lavorative in A.O.I., nel settore edilizio (fabbri cavamonti e manovalanze), particolarmente in crisi. A�al�ga co�siderazione vale anche nel caso di Brindisi per la cui provmc1a la pnma pratica coloniale risale al 1 7 giugno 1 935, giorno cui data una nota della Questura inviata al prefetto, con la quale si comuni­ cavano rilasciati a nove persone residenti nella provincia (il cui mestiere non viene riferito) i lasciapassare coloniali per l'Eritrea 9. Attraverso i ra�porti del capitano di porto e, indirettamente, attraverso quelli del med1co pr�vinciale dirigente il servizio sanitario del porto, è dato conoscere 1l numero dei .partenti alla volta del continente africano e pr�veni�nti da diverse città d'Italia (ben oltre il migliaio, appartenenti quas1 tuttl alla classe operaia, ingaggiati da varie ditte e destinati in particolare a Massaua) a bordo di motonavi e piroscafi in transito che �alpati da porti sette�tri�nali, facevano scalo a Brindisi; ma non sempr� . e alt�et�anto rile�ab1le 1l numero degli imbarcati residenti in questa provmc1a, stante 1l carattere frammentario della documentazione 10. s,

[d'ora in poi AS LE], Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41 ' fasc. 69� «Emigrazione di operai nell'A. O. - Disposizioni di massima». 8 Ibrd. ; ARCHIVI� DI �TATO DI BRINDISI [d'ora in poi AS BR], Prefettttra, Gabinetto, ctg. VIII, . b. 1 0, fase. 1 «EmigraziOne di operai in A.O.I. ». 7 ARCHIVIO DI STATo DI LECCE

.

9 Ibidem. 10 Ibidem.

Dal maggio al novembre dello stesso anno 1935 gli elementi rilevati riguardano la partenza di 33 operai del brindisino, di cui 26 imbarcati il 19 maggio con la nave «Fusijama» e 7 il 12 luglio col piroscafo «Conte Verde», tutti diretti a Massaua, ingaggiati dalla ditta di auto­ trasporti Gondrand 11 e quella di 1 00 operai in data 1 3 aprile ingaggiati dal CMC. Di costoro si conosce, attraverso una nota del direttore provinciale delle poste e telegrafi di Brindisi, inviata al prefetto della stessa provincia, che erano originari - oltre che del capoluogo - dei centri di Ceglie Messapica, Fasano, Francavilla Fontana, Latiano, Mesagne, Oria, S. Vito dei Normanni 12• Situazioni ulteriori riguardano l'invio di 312 persone del brindisino, ingaggiate dal Ministero delle colonie tramite il CMC, che salparono dal medesimo porto tra il 23 maggio ed il 12 dicembre 1 935 13 : non viene, però, specificato il numero rispettivo dei contadini e degli operai, mentre si sa che del gruppo facevano parte 30 ufficiali postali ed alcuni ingegneri. È questo l'unico caso in cui sono presenti catego­ rie impiegatizie e professionali 14• Relativamente alla provincia di Lecce, con nota del presidente del Consiglio dei ministri in data 14 dicembre 1 935, venne partecipato al prefetto che nei primi mesi del 1 936 sarebbe stata autorizzata la partenza di 25 stivatori di Gallipoli. La notizia fu occasionata dalla restituzione delle copie dei ruolini degli operai destinati in Eritrea, affinché questi ultimi potessero beneficiare della riduzione ferroviaria nel viaggio da Lecce a Napoli, città sede di raduno, dal cui porto i colonizzatori sarebbero salpati. La pratica, nelle fasi preliminari, era stata avviata dall'ufficio circondariale marittimo di Gallipoli, il quale aveva pure provveduto a trasmettere alla Prefettura del capoluogo salentino le attestazioni rilasciate dall'autorità sanitaria per ciascuno dei partenti e non erano mancati telegrammi di segnalazione nomina­ tiva degli operai da avviare in colonia ad opera del CMC 15•

1 1 Ibidem. 12 Ibid. , b. 1 1 , fase. 3, «Rimesse 13 Ibid., b. 10, fase. 1 . 1 4 Ibide/JI. Per quanto concerne la

di denaro da parte di emigranti alle famiglie».

partecipazione in ambito nazionale di tali categorie alla colonizzazione cfr. C. ZAGHI, L'Africa. .. cit., p. 477. 1 5 AS LE, Prejett11ra, Gabimtto, ctg. XVI, b. 40, fase. 694, «<nvio operai in AO».


Significativa è parsa, inoltre, la disamina di una pratica inerente alle rimesse eseguite dagli emigranti in A.O.I. in favore delle famiglie rimaste nei paesi di origine. La stessa era scaturita da un'istanza rivolta dal prefetto leccese al ministro dell'interno, intesa a fare impartire da quest'ultimo l'ordine a tutti gli ufficiali postali del regno di segnalare le rimesse effettuate dai connazionali trasferiti nei paesi coloniali. A tale risoluzione il rappresentante governativo era giunto a causa delle giuste lamentele rivoltegli settimanalmente, nel corso dell'udienza del sabato, dai congiunti, non sempre informati con tempestività circa l'invio di somme di denaro a proprio beneficio. Immediata la determinazione del dicastero centrale, adottata appena due giorni più tardi, il 9 giugno 1 935 : tutte le amministrazioni provinciali delle poste e telegrafi veni­ vano dichiarate tenute a segnalare con urgenza ai prefetti l'ammontare delle rimesse eseguite dagli emigrati entro la fine di ogni mese. I me­ desimi - dal canto loro - erano invitati a far pervenire al CMC in Roma i dati così raccolti : copia di essi, distinti per quindicina nell'am­ bito di ciascun mese, e riferentisi al periodo giugno-dicembre 1 935, è possibile rinvenire nel fascicolo di che trattasi, dove sono parimenti registrati i nominativi dei destinatari delle rimesse, le località in cui erano domiciliati, l'importo delle somme loro inviate 16• Il maggior numero di rimesse (con 1 73 vaglia), per la somma di L. 55.1 85, si ebbe nella prima quindicina di luglio 1 935, seguito da quelle compiute nella seconda metà del successivo mese di settembre, pari a L. 72.005 (1 1 9 vaglia) 17• Va da sé che indirettamente si evince la presenza di almeno 1 73 unità lavorative leccesi nel luglio 1 935. Altri dati, forniti dall'ufficio di collocamento, riferiscono che dalla metà del mese di

16

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Ibid. , fase.

695,

« Operai emigranti nell'AO : rimessa alle famiglie».

17 Ibidem. Di seguito sono trascritti per ogni mese del periodo indicato - distinto in

quindicine - il numero dei vaglia spediti nella provincia salentina. Degli importi, invece, si riporta la somma totale: IMPORTO VAGLIA L. 447.105 giugno n. 82 L. 102.305 luglio nn. 116,173 agosto L. 100.860 nn. 77,1 14 L. 1 16.200 settembre nn. 75,119 L. 100.215 ottobre 61,65 L. 70.325 novembre 65,66 L. 67.445 dicembre n. 47

nn nn

. .

totale degli aprile 1 935 alla metà del dicembre dell'anno successivo il . o di 49! operai in servizio nell'A. O .I. si aggirava intorno al r:umer enza tra il unità Tale cifra era stata ottenuta calcolando la differ - 208 - , dei numero degli emigranti - 705 - e quello dei rimpatriati un terzo. di asi quali 1 99 per fine contratto. La percentuale di q� era nella pnm� rimpatri nel volgere di venti mesi, quando ancora si rmare la tesi fase dell'impresa di colonizzazione, non fa che confe gene�ale, com­ esposta da Carlo Zaghi, il quale sostiene, in campo uzwne e del mentando i dati forniti dall'Ispettorato fascista della prod ttutto a fme lavoro in A.O .I., che i massicci rimpatri - dovuti sopra varli e so�o rinno contratto di ingaggio, per l'impossibilità o il rifiuto di aumentando m marginalmente a motivi di salute - andarono via via superarle già a prop orzione inversa rispetto alle emigrazioni, fino paragone . la fin� nell'aprile del 1 937 prendendo come termine di ero di operai num dell'anno 1 936 come periodo che registra il più alto nel maggiore in servizio in A. O .I. : lo studi oso ne ravvede la causa mercato buon a ena utile derivante dall'impiego di manodopera indig ori operanti in da parte degli operatori economici e degli imprendit territorio coloniale 19• locale, ancor Sulla base di quanto sopra esposto circa la situazione é i rimpatri, gia più ciò è valido per la provincia di Brindisi, poich novembre 1 935) nell'anno 1 935, (nel numero di 210 tra settembre e rati (nel n�mero corrispondevano quasi alla metà dei lavoratori emig 0 Va sottolm�ato, di 454 tra maggio e dicembre dello stesso anno) 2 • c�so s? ecifico, quindi, che la tesi suesposta può essere applicata nel . (Bnnd1S1) o alla anticipandone i termini già alla fine dell'anno 1935 l'eso do della ma­ fine dell'anno successivo (Lecce), dal momento che inizi dello stesso nodopera aveva già avuto il suo primo exploit agli oraneamente le anno 1 935 e che la pratica di utilizzare solo temp rraneo indirizzo forze-lavoro emigranti era già sottesa, quasi come sotte , nella norma­ programmatico-economico volutamente predeterminato eno» un anno . tiva stessa che prevedeva il loro ingaggio per «alm ts.

18

Ibid. , b. 41, fase. 698. ZAGHI, L'Africa... cit., pp. 473-474. AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b.

19 C. zo

41,

fase.

698.


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pressato da una forte domanda di emigrazione; tanto eh�, �ello stess� mese di maggio, il ministro dell'interno, Guido Buffarm1, aveva n� sposto assicurando che dal CMC era stato disposto il reclutamento d1 1 00 unità della provincia 24• Coinvolti dall'entusiasmo, anche alcuni imprenditori locali chiesero di ottenere l'autorizzazione a svolgere la propria attività in A.O.I. (luglio 1 936) : ne rimangono testimonianze per l'impres� di cost�u­ zioni edili Costantino Vitaliano di Brindisi, per la seghena meccamca di Carlo Gaeta e l'impresa edile di Antonio Perez, entrambe di S. Vito dei Normanni, per l'impresa di lavorazione del legno di Catal­ do Russi e la fabbrica di ghiaccio di Angelo Pantassuglia, ambedue di Fasano25 • I lavoratori partiti alla volta dell'Eritrea quel 21 maggio, selezionati fra i praticanti diversi mestieri, appartenevano sia alla sezio�e agricol��a (braccianti e terrazzieri) sia alla sezione industria (mano_vali e terrazz1en� pressoché in pari numero26• Dalle iniziali 1 1 9 � e�so�e nsul�arono esclus1 gli iscritti alla leva della classe 1916, nonche 1 riformati d�l 1 9_1 � a� 1914, i quali non potevano espatriare in ottemperanza alle d1spos1z1o111 del r.d.l. 24 ottobre 1 935. Di un secondo gruppo, composto da 1 50 individui, suddivisi in sei squadre di 25 persone ciascuna, affidati a ca­ pisquadra con prevalenza di operai rispetto agli agricol�ori, _la _p�rtenz� del quale era stata programmata per lo stesso maggw, s1 ntl�ne d1 poter affermare che non sia più stato avviato alla volta del contln�n�e africano nei tempi previsti bensì il 24 dicembre successivo27• Infatti, m conseguenza di nuove proteste di 70 operai (datate al 26 giugno dello stesso anno 1 936), esclusi dalle precedenti assunzioni, in detto mese ebbe luogo l'imbarco di 1 50 lavoratori, ingaggiati sempre dal Min_ist_ero delle colonie, grazie alle pressioni del prefetto il quale, con vane_ m1s�1ve, aveva evidenziato alle superiori autorità di governo la grave situazwne

Non va sottovalutato, a tale proposito, che un siffatto utilizzo ·delle masse lavoratrici, lungi dal risolvere il problema della disoccupazione, determinava una notevole circolazione di denaro e un grande dispendio di spesa pubblica; rivelandosi « un buon affare soltanto per un'esigua schiera di speculatori, di imprenditori, di profittatori, di capitalisti, di fornitori e di industriali senza scrupoli viventi sulle commesse gover­ native, sui fmanziamenti degli enti di colonizzazione, sui crediti bancari e sulle agevolazioni fiscali e tributarie che il governo assicurava loro»21• Altri utili elementi è dato attingere dai dati presenti nella documen­ tazione, fra cui il più interessante per lo studio compiuto è parso essere quello riguardante i paesi ove le rimesse giungevano che, verosimilmente, erano gli stessi di origine dei connazionali in A.O.I. Oltre alla città capoluogo di Lecce i restanti centri della provincia per i quali, durante il quinquennio 1 935-40, venne registrato, con sicurezza, un flusso migratorio di residenti alla volta dei paesi colonizzati, furono, in ordine alfabetico : Casarano, Castrignano dei Greci, Gallipoli, Liz­ zanello, Maglie, Martano, Melendugno, Monteroni, Muro, Salve, Sur­ bo, Trepuzzi, Tricase, Tuglie. È fuor di dubbio, tuttavia, che pure da altri centri partì manodopera alla volta dell'Africa. Tanto attesta, infatti, in maniera indiretta, un incartamento attinente ad operai rimpatriati nel 1 937, originari di Novoli, Specchia e Vernole22• Il primo esodo che interessò l'area del brindisino nell'anno 1 936, avvenuto il giorno 21 maggio a bordo del piroscafo «Calabria» dal porto di Napoli, coinvolse numerosi residenti di quella provincia 23• Lo stesso era stato sollecitato con caldo interessamento dal prefetto, 21 C. ZAGHr, L'Africa . . . cit., p. 474. Cfr. pure E. SoRr, L'etlligrazione italiana dall'Unità alla seconda guerra lllondiale, Bologna, Il Mulino, 1979, p. 439. 22 AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b. 40, fase. 695. 23 AS BR, Prefettura, Gabinetto, ctg. VIII, b. 1 1, fase. 4, « <ngaggi di lavoratori su richiesta di ditte operanti in AOI». Si specifica, qui di seguito, quanti sarebbero dovuti partire, e, di fatto, partirono per ciascun comune ed i mestieri esercitati : Brindisi : 8 braccianti e terrazzieri ; 31 terrazzieri-manovali (2 celibi) ; Carovigno : 3 terrazzieri (coniugati) ; Erchie : 8 terrazzieri (coniugati) ; Fasano : 1 8 braccianti (coniugati) ; Francavilla : 8 terrazzieri-manovali (1 celibe) ; Latiano : 11 braccianti (1 celibe) ; Ostuni : 20 manovali; 1 terrazziere (coniugati) ; S. Donaci : 1 O braccianti (coniugati). La loro partenza si evince dal rilascio dei ruolini-lasciapassare collettivi, conclusivo della pratica approntata dagli uffici di collocamento dei diversi comuni e trasmessi in Prefettura.

i • '

24 Ibid., b. 10, fase. 1 . . 25 Jbid., b. 12, fase. 5 « Richiesta di privati e di società per assunzione personale qualificato

da inviare nelle colonie italiane». 26 Ibid. , b. 11, fase. 4. . 27 Jbide111• Tale pratica, infatti, è il duplicato di quella relativa alla _par�enza avve�uta � _ contmgentl tale data, nel senso che compaiono in entrambi identici elenchi contenenti gh stessi i. nominativ medesimi i con mestiere, per distinti di lavoratori,


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economica e la conseguente preoccupante disoccupazione del ceto brac­ ciantile ed operaio, determinate dal cattivo andamento del racc�lto e dalla crisi dell'industria, particolarmente nel settore edile28• Mette conto sottolineare che 26 individui vennero sostituiti, nelle more dell'espletamento dell'iter burocratico che precedette la partenza, a causa dei loro precedenti penali: notevole importanza fu infatti annessa, in tale circostanza, alla posizione politica, morale e penale di ciascun aspirante, in ottemperanza alle disposizioni di massima impartite dal capo del governo con circolare n. 1 5685 del 28 settembre 1 93529• Nonostante l'esistenza di tali norme, orientate verso una rigorosa selezione di personale emigrante di accertata integrità morale, oltre che di sicura professionalità 30, non si mancò di utilizzare, in altre occasioni, perfmo nelle prime ondate migratorie - quando la domanda di espatrio era numericamente notevole - una discreta quantità di persone che avevano in passato riportato a proprio carico precedenti penali per reati comuni : così avvenne, per fare un esempio, per i 20 tra i 62 operai gallipolitani già dati per residenti nel settembre 1 936 in A.O.I. 31 e per 1 07 pregiudicati inviati dalla provincia di Lecce32• Sorprende, a tale proposito, constatare che tali notizie, quelle cioè relative alla condotta morale delle unità prescelte, furono assunte dopo la partenza delle stesse per i paesi di destinazione, la qual cosa contrasta con la macchinosa e complessa procedura prevista dalle modalità di assunzione dei lavoratori 33•

Maggiore importanza venne, al contrario, attribuita agli aspetti inerenti alla condotta politica degli emigranti, poiché, per ovvi motivi, si voleva impedire l'infiltrazione di elementi sovversivi avversi al regime, i quali, con la loro presenza, avrebbero potuto determinare situazioni di attrito e di sobillazione. Per tale motivo, in calce agli elenchi dei pregiudicati per reati comuni era apposta l'annotazione « di buona condotta politica» quale requisito indispensabile per ottenere l'autorizzazione alla partenza; annotazione, peraltro, sempre diligente­ mente contrassegnata, accanto ad ogni nominativo riportato negli elenchi approntati dagli uffici di collocamento, oltre a quella relativa all'iscrizione al partito fascista. Il controllo si estese anche ai rimpatriati che avessero mostrato, durante la permanenza in colonia, un compor­ tamento ostile al regime in base ad accuse di connazionali. Di tale tenore sono gli incartamenti del fondo Questura di Lecce relativi agli anni 1 936-43 34, dove una fitta corrispondenza rivela che il Comando generale del corpo di polizia coloniale - afferente al Ministero dell'A­ frica italiana - poi la direzione generale della Pubblica sicurezza del Ministero dell'interno - inviando gli elenchi dei sospetti sovversivi chiedeva notizie al prefetto circa la identificazione, il rimpatrio e la residenza di questi, ordinando il controllo dei depositi di somme da loro effettuati per verificare se fossero frutto di attività antifascista 35•

avrebbero preso accordi con i segretari federali per il reclutamento dei lavoratori tramite gli uffici provinciali di collocamento. Approntati da questi ultimi gli elenchi degli ':'perai prescelti e verificate le esatte qualifiche professionali, gli stessi dovevano essere trasmessi alle Questure territorialmente competenti affinché, previo accurato accertamento d�ll� s�t�azione person�l� di ciascuno degli aspiranti, emettessero i relativi lasciapassare coloruah (mdiv1duah o collett1v1 per squadre) ai termini del r. d. 17 settembre 1928, n. 3271. Soltant? dopo .l'e�p�etam��to d: . tale iter i prefetti domandavano agli ufficiali sanitari le relative certlficazwru d! 1done1ta e d! o collettivi (per ditta individuali lasciapassare vaccinazione antivaiolosa. Uniti a queste i o contingente) le prefetture inviavano, quindi, gli incartamenti al CMC, al quale la legge demandava un ulteriore definitivo controllo complessivo di tutti gli elementi prescritti. Apposto sui lasciapassare un ultimo visto di autor�z�azio�e .con. .l'o�dine �Ila partenza� quest'ultima avveniva, poi, di concerto con le amm1rustrazwru mtlit.an � gh altn orgaru centrali dello Stato per la parte di rispettiva competenza. Assa1 pre�tso 1� .conte�uto de.ll� circolare in questione, a firma dello stesso Mussolini, anche nel punto m cm tmparttva ordiru alle regie questure dei capoluoghi sede di porti, di non consentire l'espatrio in A.O.I. ad operai che non risultassero provvisti del visto di autorizzazione del più volte citato CMC. 34 AS LE, Questura, ctg. E/3, b. 761, fase. 110, b. 766, fase. 167 « Connazionali rimpatriati dall'AOI». 35 Ibidem.

Ibid., b. 10, fase. 1. AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b . 41, fase. 698. Ibid., sempre con riferimento ' alla circolare citata nel testo. AS LE, Questura, ctg. Ef3, b. 761, fase. 110 « Individui della provincia dimoranti in AOI». Dagli elenchi a cura del R. Commissariato di P.S. di Gallipoli del 12 settembre 1936 e della compagnia dei Carabinieri della stessa città del successivo giorno 29 inviati al questore di Lecce. 32 Ibidem. Altri esempi possono essere ricavati per Brindisi da AS BR, Prefettura, Gabinetto, ctg. VIII, b. 10, fase. 1 . 33 La citata circolare n . 15685 del 28 settembre 1935, indirizzata ai Gabinetti dei diversi Ministeri interessati alla problematica dell'emigrazione, all'alto commissario per l'A.O.I., oltre che ai prefetti del regno - sorta di vade!lJecum esplicativo ed, insieme, riepilogativo delle competenze ai vari organi in materia attribuite - prescriveva che le domande di ingaggio dei lavoratori, nel numero richiesto dall'alto Commissariato di cui sopra, una volta acquisite da parte di tale ufficio, sarebbero state immediatamente trasmesse ai prefetti e costoro 28 29 30 31

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Per la provincia di Brindisi risalgono, verosimilmente, all;anno 1 937 le schede non datate dell'Ufficio provinciale unico di collocamento riguardanti la trasmissione di dati per un numero complessivo d1 99 unità 36• I mestieri più largamente ricorrenti nelle citazioni sono quelÌi di contadino, motorista e bracciante agricolo, meccanico agricolo, terrazziere, manovale, fabbro, calzolaio, falegname, fabbro ferraio, carpentiere, muratore, cavamonti, barbiere, meccanico, fabbro mani­ scalco, dimazzatore, squadratufi, elettricista. Per ulteriori 21 nominativi 37 (13 operai, 5 autisti, 1 impiegato, 1 mu­ ratore cementista, 1 panettiere) sono presenti nella documentazione le relative pratiche, comprese tra i mesi di gennaio e giugno 1 937, occor­ renti per il rilascio dei lasciapassare coloniali, o questi stessi. Per i primi e per i secondi era stata chiesta l'autorizzazione alla partenza dalle seguenti società private che ne domandavano l'ingaggio : Arsai (Alfonso Rodriguez Società Anonima) di Milano, Gondrand, ditta Carlo Butti, Saicao, Astaldi, Varnero, ditta Giuseppe Ciardi, Cica, Ate, ditta Leda Bendni, ditta Alcide Mazzani, operanti in Eritrea ed in Etiopia38• Il movimento della popolazione registrava, nel frattempo, anche un corrispondente riflusso migratorio da Massaua nei porti di Brindisi,

36 AS BR, Prefettura, Gabinetto, ctg. VIII, b. 1 2, fase. 7. I lavoratori aspiranti ad emigrare provenivano dai seguenti centri nel numero di volta in volta annotato : Brindisi : 16 operai (praticanti i mestieri di contadino, motorista agricolo, meccanico agricolo, terrazziere, manovale) ; Carovigno : 1 fabbro ; Ceglie Messapica: 2 manovali; Cellino S. Marco : 4 braccianti; Cisternino : 9 unità praticanti i mestieri di calzolaio, falegname, bracciante, fabbro ferraio, carpentiere, muratore, cavamonte; Erchie : 8 unità praticanti i mestieri di meccanico, cavamonte, muratore, bracciante, barbiere, conduttore di macchine agricole, fabbro, meccanico ; Fasano : 6 unità tra braccianti, fabbri maniscalchi, falegnami ; Francavilla Fontana: 8 unità esercitanti i mestieri di dimazzatore, muratore, bracciante, manovale ; Latiano : 4 operai (squadratufi, falegname, dimazzatore, calzolaio) ; Mesagne: 5 unità (barbiere, terrazziere, elettricista installatore, muratore, bracciante) ; Ostuni : 6 unità (manovali, braccianti) ; Sandonaci : 1 bracciante; S. Michele Salentino : 1 muratore; S. Pancrazio Salentino : 7 (braccianti, fabbri) ; S. Pietro Vernotico 3 (carpentiere, bracciante, elettricista) ; S. Vito dei Normanni : 1 cavamonti; Torchiarolo: 2 braccianti; Torre S. Susanna : 3 (meccanico, bracciante, muratore) ; Tuturano : 4 braccianti; Villa Castelli : 8 (contadini, terrazzieri, muratori, falegnami). 37 Ibid., b. 1 0, fase. 1 . 38 Ibidem. L'operaio richiesto dalla ditta Mazzani risultava già partito clandestinamente. Per un operaio di Francavilla Fontana esiste negli atti il lasciapassare con l'autorizzazione del regio governo generale dell'A.O.I. - Direzione superiore affari esteri, rilasciato dalla Questura ma, al tempo stesso, il prefetto comunicava al commissario Nannini che la persona in questione

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Napoli e Messina. Nel pnmo scalo, dal gennaio 1 937 al settembre 1 938, il fenomeno interessò - secondo i dati forniti dall'Ufficio di sanità marittima - un numero complessivo di 2.200 passeggeri colà sbarcati, 928 dei quali, con certezza, operai (dal fascicolo non è possi­ bile attingere notizie complete ed uniformi), originari di varie città d'Italia, oltre che di Brindisi39• È interessante sottolineare due episodi che testimoniano lo stato di disordine e di confusione ingenerato dal continuo movimento alterno di partenze e di arrivi di lavoratori. Il primo che si intende segnalare riguarda la protesta della cittadinanza di Brindisi, fatta propria dal locale prefetto, in data 26 gennaio 1 937, per il mancato sbarco di un contingente di rimpatriati di lì originari nel porto della medesima città dal piroscafo « Perla», proveniente da Mogadiscio : infatti in ottemperanza a disposizioni del Ministero delle colonie non si era concesso lo sbarco degli operai nonostante la sosta di una intera giornata per lo scarico di 30.000 tonnellate di rame ; essi sbarcarono, poi, nel porto di Bari, dove erano attesi per il controllo dal funzionario del CMC. Alle lamentele del prefetto, che il fatto avvenuto rappresentava «un'alterazione artificiosa» e un «precedente pregiudizievole alle comunicazioni che si stabiliscono naturalmente da questo porto con l'impero» il Ministero dell'interno comunicò la risposta del CMC di Roma che il malcontento appariva ingiustificato, dal momento che più volte le navi con contingenti di lavoratori rimpatriati avevano attraccato in quel porto, mentre Bari non aveva potuto accoglierli e, al tempo stesso, che, per il futuro, si sarebbero divisi gli sbarchi tra i due porti 40 •

si era rifiutata di sottoporsi a visita medica : come mai era stato possibile il rilascio del medesimo lasci passare? È questo, evidentemente, un caso che dimostra come in realtà non era difficile eludere lo svolgersi regolare della pratica. Datano, inoltre, ai primi tre mesi dello stesso anno 1937 le certificazioni sanitarie inoltrate dal medico provinciale in Prefettura relativa ad altri 44 operai della provincia di Brindisi prescelti ad intraprendere la via coloniale. La loro provenienza era in tal modo suddivisa tra i seguenti comuni brindisini : Francavilla Fontana : 6 unità (ex-combattenti della guerra itala-etiopica) ; Ostuni : 1 0 ; S. Pancrazio Salen­ tino : 3 ; S. Pietro Vernotico: 8; Torchiarolo : 1 3 ; Torre S. Susanna : 4. Per tutti i sopra segnati lavoratori non è, tuttavia, stato acclarato l'effettivo espatrio. 39 Ibidem. 40 Ibidem.


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zione e l'insediamento italiano (dapprima militare, poi amministrativo ed economico). Richiamo che, come si evince dalla documentazione esaminata, era stato progressivamente limitato sia per numero di unità lavora­ tive sia per i periodi della loro permanenza, parallelamente con il sorgere di numerosi problemi, tra i quali opportunamente è stato messo in evidenza l'alto costo richiesto dagli spostamenti migratori dei lavoratori43• La seconda fase, che abbraccia il periodo 1 938-1940 - sebbene non si discosti, quanto a risultati in ordine alla soluzione del problema di assorbimento occupazionale - si connotò, tuttavia, in maniera differente perché coordinata secondo un vero e proprio (almeno nelle intenzioni) programma dì colonizzazione demografica, i cui elementi fondamentali erano la nascita di colonie di popolamento, con lo stabile impianto di interi nuclei familiari e la messa a coltura delle terre africane, ipotizzate come serbatoio di ricchezza per la madrepatria. Ovviamente, oltre a questo insediamento colonico, continuò, anche in questi anni, a funzionare un certo numero di imprese private o sostenute dallo Stato che seguitavano ad impiegare manodopera - agricola o operaia - italiana, ma questa, come si è detto precedente­ mente, si era ormai stabilizzata numericamente ed anzi tendeva pro­ gressivamente a diminuire (ci si riferisce al rapporto, già indicato per le province dì Lecce e Brindisi, tra emigrazioni - ormai nel 1 937 quasi inesistenti - e rimpatri). Per quanto riguarda lo studio in oggetto, il nuovo programma demografico si manifestò con l'istituzione dell'Ente Puglia d'Etiopia (EPE), ufficialmente sorto con decreto ministeriale 6 dicembre 1 937, che prese avvio già il 17 gennaio 1 938 con la partenza del primo scaglione di capifamiglia prescelti nell'ambito dell'area geografica di sua operatività nel numero di 1 50 persone (dalla documentazione risultano, però, solo 88 nominativi di cui : 40 unità per Bari, 1 8 per Foggia, 1 8 per Lecce, 12 per Brindisi). Tali cifre non corrispondevano, però, a quelle previste nella nota del 1 O settembre precedente, inviata

L'altro episodio è relativo alle accuse rivolte dai rimpatriati il 23 giugno 1 937 col piroscafo «Adria» - partito da Gibuti il giorn� . 1 � dello stesso mese - alla regia dogana di Massaua per averh_ obbhgatl a depositare per intero le somme in loro possesso. A tale proposito i commissario Nannini, in data 30 novembre, rese noto al prefetto d1 Brindisi che, da accertamenti disposti dal dipendente ufficio di Asmara, l'accusa era risultata infondata e che la stessa dogana aveva effettuato solo il tramutamento del contante eccedente, rispetto alla misura massima consentita dalle vigenti norme, in assegni bancari di pari importo riscuotibili nel regno. Tuttavia, il locale �fficio di col�oc�­ mento, dal canto suo, riferiva all'autorità governativa della prov1nc1a che i lavoratori in questione non erano stati in grado nemmeno di acquistare il biglietto ferroviario a prezzo ridotto (tariffa X), circo­ stanza, questa, suffragata dalle dichiarazioni rese dal medico di bordo41 : Certamente provenienti dalla provincia di Brindisi furono 31 5 o? era1 sbarcati nei tre porti sopradetti tra il 22 dicembre 1 937 ed 1l 24 dicembre 1 938, come si evince da appositi elenchi comunicati ai prefetti dall'Ufficio del commissariato per le migrazioni di Napoli 42.

* * *

Il fenomeno dell'emigrazione sin qui preso in esame, relativo agli anni 1 935-1937, si può ritenere la manifestazione - spesso disorganica - di una prima fase corrispondente al periodo di occupazione e con­ quista del suolo etiopico differente, quanto a tipologia, rispetto a quello immediatamente successivo. Tale primo movimento migratorio - che non pare molto ben evidenziato nella pur attenta analisi compiuta da A. Sbacchi - era stato caratterizzato da un richiamo di manodopera operaia e contadina, poco coordinato nei modi e nelle finali�à, reso necessario, in quei frangenti, a far fronte entro breve termme alla realizzazione di opere e infrastrutture in grado di consentire l'afferma-

41 Ibidem. 42 Ibid., b.

11, fase. 2. Di questi, 257 rientrati per flne contratto, 20 per motivi di sal�t� per motivi duodenale, blenorragia) ed i restanti rinviati di autorità ulcera (malaria, con foglio di via obbligatorio. disciplinari �

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43 A.

SBACCHI,

Il colonia/is!JJO italiano...

cit., pp. 331 e seguenti.


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L'emigrazione dal Salento in Africa orientale italiana negli anni 1935- 1940 1 045

dal CMC ai segretari federali ed ai prefetti pugliesi, nella quale s1 era programmato l'imbarco, in data 30 novembre dell'anno precede�te� di 400 capifamiglia (dei quali 1 50 reclutati su Bari, 75 sia su Foggia che su Lecce, 50 sia su Brindisi sia su Taranto)44• Scopo precipuo dell'ente (così come del similare Ente Romagna) era lo stabile impianto di 1 .000 famiglie colonizzatrici che, nel volgere di un ventennio (con la restituzione delle somme loro anticipate all'interesse del 5% annuo), sarebbero divenute titolari nelle terre del Chercher (Barar) di aziende agricole della estensione pari a 40-50 ettari, dotate ciascuna di relativa casa colonica 45• Le famiglie pugliesi assegnatarie dei poderi avrebbero beneficiato di finanziamenti anticipati dal Banco di Napoli (nella misura di L. 25 milioni), dall'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (in eguale misura)46 e dalle rispettive province pugliesi per la dura�a _ di sei anni. Il contributo di queste ultime, inizialmente previsto 1n L. 5 milioni, ammontò in realtà a circa 3 milioni, così suddivisi per ciascuna provincia :

appena il superamento della sopradetta somma di 3 milioni di lire. Nonostante i fmanziamenti previsti, tuttavia, il 23 novembre seguente il Ministero dell'interno chiariva ai prefetti che i coloni prescelti dovessero possedere necessariamente il capitale sufficiente per le spese d'impianto e di primo avviamento di un'impresa agricola, ciò che, di fatto, non avvenne. Nel capitolare di ingaggio predisposto per l'assunzione degli agri­ coltori da parte dell'EPE, datato al 1 3 settembre 1 937, si prescriveva che i lavoratori dovessero partire equipaggiati ed inquadrati a costi­ tuire una coorte della legione lavoratori della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale dei territori di Gimma (nella regione africana del Galla Sidama), militarizzata a tutti gli effetti, compresi armamento e disciplina. Al contrario, due mesi prima, il 26 luglio, si era precisato da parte del segretario del partito fascista che la colonizzazione sarebbe avvenuta nella zona del Chercher (Barar), come d'altronde è comprovato. In realtà, dalla documentazione presa in esame, non è consentito appurare se fu anche Gimma la destinazione degli agricoltori colonizzatori di Puglia. Da ciò che sostiene lo Sbacchi, sulla scorta della documentazione del Ministero Africa italiana, il territorio di Gimma, che era minacciato da attacchi dei patrioti-ribelli etiopici, venne assegnato ad un altro Ente di colonizzazione (De Rege) attivo in Etiopia. È comunque vero che la forma di coloniz­ zazione demografica basata sull'organizzazione militare fu attuata anche dall'EPE nelle terre di sua competenza, situate nell'Barar e che in un primo tempo si tentò l'esperimento di utilizzare i solda­ ti-contadini per far fronte al tempo stesso alle necessità difensive ed allo sfruttamento agricolo delle terre. Secondo i progetti, infatti, sarebbero partiti prima i capifamiglia e solo più tardi essi sarebbero stati raggiunti dalle loro famiglie, quando, cioè, i primi si fossero già impiantati nella colonia e quando fosse stata predisposta la casa colonica atta ad accogliere le seconde. I salari, pari a 1 8 lire per i braccianti, a 20 per gli operai qualificati, a 23 per quelli specializzati, erano da intendersi al netto delle ritenute a qualunque titolo operate e comprensivi di indennità di tenda, disagiata residenza e sussidio alle famiglie. Si aveva diritto, poi, al rancio militare con quota di miglioramento. Al termine della ferma biennale i lavoratori risultati migliori o idonei sarebbero stati immessi nella responsabilità del

·

CONTRIBUTI ANNUI

Bari . . . . . . . . . . . Foggia . . . . . . . . . Lecce . . . . Taranto . . . . . . . . TOTALI . . .

AMMONTARE COMPLESSIVO IN SEI ANNI

L. 125.000,00 L. 130.000,00 L. 1 30.000,00 L. 79.470,50

750.000,00 785.41 8,00 780.000,00 478.823,00

L. 465.373,50

2.794.241,00

Nella tabella riprodotta, desunta dalla nota in data 23 settembre 1 938 emanata dal Ministero dell'interno 47, mancano dati precisi ' alla provincia di Brindisi, sommando i quali si ipotizzava relativi

44 AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41, fase. 700 « Colonizzazione demografica in A.O.I. ». 45 Ibidem. 46 A. SBACCHI, Il colonialis!tJo italiano.. . cit., pp. 306 e 333. 47 AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41, fase. 700.

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trari�, avrebbero podere o della bottega artigianale. Gli altri, al cor: h, non fosse fatto rientro in Italia. A coloro i quali, pur merltevo va veni�e, dove stato possibile assegnare un pode re o una bottega ove lo .ave� ser� comunque, offerta la possibilità di riaffermars� , des1deno d1 loro 1l voluto, press o l'ente colonizzatore, agevolando fissa rsi stabilmente in A. O .I. 48• ai segretari Nelle dispo sizioni inviate dall'allora costituito EPE a raccomandat � federali delle province il 24 dicembre 1 93 7, veni: ente» colonl caldamente che i capifamiglia inviati fossero « effettivam lità �is�ont�at� . (per evitare i problemi di mancanza di pro�ession� zz1 mdm gh ue segu d1 i capac ), zioni assun i dent spess o nelle prece • Ci�scun colon � agrari loro dati dagli esperti e dai tecnici dell'ente49 om1camente nel sarebbe stato responsabile disciplinarmente ed econ ia, alla q�ale riguardi dell'ente, ma ancora di più verso la madrepatr ento fattlvo doveva sentirsi legato dall'impegno di essere un elem e il presiden�e di produzione in terra d'Africa. «La scelta - scriv che le faml­ Giannoccaro - va fatta con rigore ed è indispensabile s (minimo glie le quali si recheranno nell'impero siano n�mero � r1 che con­ 5 figli) perché possano adempiere direttamente al dove rdi della n � stra traggono ( . . . ) e per non mancare inoltre nei rigua nostra regwne regione al primato demografico. Anche in questo la o che la colo­ deve puntare al primato, tenendo presente fra l'altr 50• Titoli prefe­ nizzazione che si inizia è prettamente demo grafica» am a na renziali per la selezione furono : aver combattuto nella � ? � e 1scntt1 al etiopica, aver preso parte alla marcia su Roma, esser partito nazionale fascista. dal p �rto Le partenze dei lavoratori ingaggiati ebbero sempre luogo la successlVa, di Brindisi s1 e a quella anzidetta del primo scaglione seguì con 80 pers�ne dopo un anno, precisamente il giorno 23 gennaio 1 939 '. furono avv1ate pari a 20 famiglie. Nell'arco dei successivi cinque mesl. (300 persone nei paesi coloniali 500 altre unità nei giorni 20 febbra10

48

Ibide111.

50

Ibidem. IbidetJJ.

49 Ibidetn. 51

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èorrispondenti a 56 nuclei familiari), 1 o maggio (1 00 agricoltori) e 12 giugno (100 agricoltori). Le 400 unità partite il 20 febbraio ed il l o maggio vennero assunte dall'azienda agricola Opera nazionale com­ battenti, anziché dall'Ente Puglia di Etiopia sz. Nell'anno 1 939 (febbraio-marzo) risultano ingaggiati in esperimento, per la durata di quattro mesi, dall'EPE, sette soldati in licenza prove­ nienti dai centri di Carmiano, Galatina, Minervino, Muro Leccese, Supersano, Cutrofiano e Cursi e sei nominativi rispettivamente di Ruffano, Galatina, Maglie, Lizzanello, Campi e Tuglie (tutti comuni in provincia di Lecce) ; questi ultimi militari smobilitati per quattro mesi dall'esercito dell'impero e aggregati al comando di presidio della M.V.S.N. del centro «Bari d'Etiopia». Tre di essi furono in seguito raggiunti dalle rispettive famiglie 53. Nessuna utile informazione traspare dai fascicoli, oggetto del pre­ sente contributo, circa la creazione dei progettati centri o distretti «Lecce d'Etiopia» o « Taranto d'Etiopia», per i quali «il Ministero dell'Africa italiana aveva accantonato nel suo bilancio sei milioni di lire ( . . . ) per un totale di ventiquattro milioni, di cui almeno la metà fu impiegata nella costruzione di Bari d'Etiopia, Forlì d'Etiopia e dei centri agricoli di Oletta e Biscioftù» 54• Ancora sul finire del 1 939 (la lettera è del 21 dicembre) si regi­ strava una diffusa disinformazione sulle procedure di presentazione delle domande di espatrio nelle colonie dell'A.O.I., ragion per cui il

52 Precise disposizioni, emanate il 26 luglio 1 937 dal presidente dell'EPE, Giannoccaro, richiedevano che ogni colono portasse con sé una capace bisaccia di tipo paesano pugliese contenente 3 camicie, 3 paia di mutande, 2 maglie, 2 pancere, 12 paia di calze, 12 fazzoletti, 2 fazzoletti grandi, 3 asciugamani, 4 lenzuola, 4 federe, 1 pettine, sapone, aghi, un'accetta, una roncola, una falce e un seghetto nonché un « sacchettino» con campioni locali degli ortaggi e dei fiori dei luoghi di provenienza fra cui, a titolo esemplificativo, si segnalavano i semi di basilico, menta, prezzemolo, rosmarino, salvia, zucchini, cetrioli, cocomeri, finocchi, sedano, ravanelli, cipolla, cicorie, cavoli, broccoli, fagioli, ceci, carote, fave, piselli, pomodori, barbabietole, meloni. L'ente avrebbe provveduto alla distribuzione delle divise. 53 AS LE, Prefetttlra, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41 , fase. 700; AS BR Prefetttlra, Gabinetto, ctg. VIII, b. 12, fase. 7. L'Opera nazionale combattenti, già operante nei programmi di colonizzazione in Libia, ebbe concessioni agrarie a Biscioftù e Oletta e reclutò da tutte le regioni italiane concedendo ai contadini poderi da coltivare sin dal loro arrivo. 54 AS LE, Prejettt1ra, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41, fase. 707.


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prefetto del capoluogo salentino invitava il segretario della confede­ razione fascista dei lavoratori dell'agricoltura, Guido MaraO:ca, , a di­ vulgare - nelle forme da lui ritenute più opportune - i requisiti richiesti agli aspiranti colonizzatori, nonché l'iter burocratico delle richieste. Dalla nota si evince che l'età ora stabilita non poteva superare, nel caso del capo famiglia, i 42 anni (precedentemente fissati a 45 anni) e che in ogni nucleo familiare dovessero esserci almeno tre unità atte al lavoro. È utile evidenziare quanto il prefetto rimarcava a proposito della presenza presso l'EPE di numerose famiglie coloniche salentine, che già vi avevano trovato occupazione, nonché in ordine ai tempi di partenza di nuovi nuclei di lavoratori fissati intorno al marzo dal successivo anno 1 940. La citazione finale riguarda una pratica coeva a quella ora riferita e della medesima, insieme con l'assicurato impegno in tema di sviluppo dei programmi coloniali, si segnala un elenco - peraltro non datato - di famiglie rurali della provincia di Lecce disposte a migrare in A. O.I. nel quale sono individuate 30 famiglie di: Alliste, Cutrofiano, Castrignano dei Greci, Guagnano, Lecce, Leverano, Matino, Melen­ dugno, Melissano, Melpignano, Minervino di Lecce, Muro Leccese, Nociglia, S. Donato di Lecce, Supersano, Tuglie e Vernole, i cui membri ammontavano, in totale, a 212 unità. Nulla, però, si conosce circa la loro effettiva partenza 55• Prescindendo da considerazioni varie sul fallimento dell'impresa colonizzatrice nonché sui motivi che la determinarono - concetti, questi, già adeguatamente sviluppati da più autori 56 - esemplare nel presente contesto appare un esposto di un rimpatriato da Asmara, residente in Lecce, presentato al podestà della stessa città, Francesco de Pace, in data 30 luglio 1 940, e da questi trasmesso in Prefettura. Il tenore di tale documento, di cui si riportano alcuni brani più significativi, esprime da sé la condizione dei nostri lavoratori, ritor­ nati ormai totalmente disillusi dall'esaltante ruolo di colonizzatori

55 A. SBACCHI, Il colonialismo italiano ... cit., pp. 336-337. 56 AS LE, Prefettura, Gabinetto, ctg. XVI, b. 41, fase. 709.

L'emigrazione dal Salento in Africa orientale italiana negli anni 1935- 1940 1 049

e civilizzatori della terra africana, disoccupati dopo aver regalato alla patria e al paese di emigrazione il frutto del proprio sacrificio e delle proprie fatiche : « <l sottoscritto D.L. nato a Lecce il 1 4. 1 1 .1 901 si onora esporre alla S.V. quanto appresso acciocché prenda quei necessari provvedimenti e mettermi in condizioni di poter sfamare i miei 5 bambini : reduce dall'Africa O. dal marzo u.s. non posso ancora essere avviato al lavoro perché al Municipio non mi vogliono rilasciare il certificato di residenza e mancando di esso non posso essere preso in forza dall'ufficio di collocamento. La ragione di tutto questo non riesco a spiegarmela, certo è che mobilitato in Africa dopo una ferma di 2 anni col 6° C. N. d'Africa, rimasto all'Asmara come operaio ancora un anno, fui rimpatriato perché disoccupato. Tornato a Lecce necessitando di documenti al Comune mi risposero che non potevano rilasciarmeli perché risultavo residente all'Asmara e caso ancora più strano risulta residente colà anche la mia famiglia senza che nessuno di essi si sia mai spostato da Lecce. (. . . )

Eccellenza è con la speranza che non mi farà mancare aiuto, che mi son rivolto a Voi; concedendomi un nullaosta di residenza sia pur provvisorio mi metterà in condizioni di parità con gli altri che aspirano al lavoro (. . .) Con devota attesa Salutando romanamente Lecce 9.7.1 940 57. .

57 Oltre a quelli già citati in precedenza si segnalano : G. NASI, Noi italiani in Etiopia, Roma, Attività Editrice Internazionale, 1950; C. VANNUTELLI, Le condizioni di vita dei lavoratori italiani nel decennio 1929- 1939, in « Rassegna di statistiche del lavoro», 1958, 3, pp. 97-108; F. CATALANO, L'Italia dalla dittatura alla deJJJocrazia, 1919-1948, Milano, Feltrinelli, 1962 ; E. SANTARELLI, Gliel'l'a d'Etiopia, imperialismo e terzo mondo, in «Il movimento di liberazione in Italia», 1969, 97, pp. 35-51 ; F. D'AMOJA, Politica estera dell'impero. Storia della politica estera fascista dalla conquista dell'Etiopia aii'Anschluss, Padova, CEDAM, 1961 ; E. RAGIONIERI, Il fascismo, in Storia d'Italia, IV, 7, Torino, Einaudi, 1976, pt. IV, pp. 2121-2264.


La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italo-francese del 1880- 1881

ALDO G. RICCI

La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italojrancese del 1880- 1 81

È noto che la questione di Tunisi ha rappresentato un passaggio assai delicato e, in qualche misura, decisivo nell'evoluzione della politica estera italiana dalla neutralità del primo periodo successivo al raggiungimento dell'Unità, alla ricerca di un sistema di alleanze che sfocia nell'adesione alla Triplice. Infatti, di fronte alla scelta francese di occupare la Tunisia, l'Italia può constatare con mano la propria impotenza a contrastare tale scelta autonomamente, al di fuori di un sistema di alleanze. Di notevole interesse, per lo studio dei mesi decisivi che prece­ dono il precipitare della crisi, tra l'estate del 1 889 e la primavera dell'anno successivo, sono alcuni fascicoli conservati nell'Archivio di Stato di Tunisi del periodo precedente l'occupazione francese e relativi a quello che rappresenta uno degli episodi centrali del confronto-scontro itala-francese per la supremazia nel paese : l'ac­ quisto della ferrovia Tunisi-La Goletta. I documenti (relazioni, let­ tere, proteste dei rappresentanti italiano e francese nel paese al governo tunisino) illuminano alcuni aspetti di un episodio che, se non fu probabilmente decisivo per l'esito finale della vicenda, ha comunque un peso notevole nella determinazione dei tempi e dei modi della sua evoluzione. Prima di entrare nel merito di questa documentazione conviene fissare in modo più preciso i termini generali della crisi tunisina, entro i quali s'inserisce l'episodio della ferrovia. La Tunisia aveva sempre rappresentato, per la sua posizione geografica, un punto di riferimento e d'insediamento per le popolazioni dell'Italia meridionale (in particolare siciliane), ma anche un centro di rifugio di esuli durante gli anni del Risorgimento. Molti protagonisti del periodo successivo all'Unità vi avevano quindi visto una naturale direzione

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d'espansione della nuova Italia, sostenuti in questo sentimento da larga parte dell'opinione pubblica. D'altra parte, la Francia, nel quadro del suo impegno espansionistico verso l'Africa settentrionale, in particolare dopo l'occupazione dell'Al­ geria, aveva moltiplicato i suoi investimenti in Tunisia, strappando alla Reggenza del bey una serie di concessioni e di posizioni monopo­ listiche che le davano un'indiscussa preponderanza politica ed econo­ mica sul paese, al punto da considerarlo già inserito nell'area d'in­ fluenza francese : insomma una colonia cui mancava solo una dichiara­ zione formale per essere tale. Le condizioni internazionali favorevoli a un intervento francese si creano nel periodo di preparazione e di svolgimento del congresso di Berlino, al quale l'Italia (tutta rivolta alle terre irredente) si presenta senza alcuna impostazione del problema di una sua eventuale espan­ sione nell'Africa settentrionale, lasciando cadere gli inviti, sinceri o meno che fossero, che le venivano rivolti in tal senso. Maturano cosi le offerte tedesche alla Francia per Tunisi, allo scopo di distogliere l'attenzione di Parigi dalla perdita dell'Alsazia-Lorena, e l'assenso inglese all'operazione, come moneta di scambio per l'accordo an­ glo-turco su Cipro. Mancano ancora molti mesi all'occupazione di fatto, ma se ne sono già create le premesse, premesse che l'Italia, nel suo isolamento diplomatico, continuerà a ignorare fino ad accorgersene a fatto compiuto. Nella sottovalutazione del quadro internazionale, la politica italiana rispetto alla questione tunisina si concentra in un'alterna competizione in loco con la Francia (verso la quale è ancora diffuso un sentimento di riconoscenza), nella convinzione che nulla fosse pregiudicato per il destino della Tunisia e che la partita si giocasse a due sul suolo d'Africa, e non piuttosto nelle cancellerie d'Europa. Si spiegano cosi le ripetute schermaglie itala-francesi nei mesi che precedono l'intervento, l'andamento alterno delle dichiarazioni recipro­ che, la fiducia accordata dall'Italia alle rassicurazioni che le venivano dalla controparte a ogni tentativo - rientrato - della Francia d'imporre un nuovo e più oneroso trattato alla Tunisia. Si spiegano cosi, soprat­ tutto, i tentativi italiani di mantenere lo status quo e di allargare la propria sfera d'influenza attraverso il dinamismo del nuovo console italiano a Tunisi, il Macciò, (inviato a tale scopo alla fine del '78 dal


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segretario generale del Ministero degli esteri, Maffei) e la sua competi­ zione con il rappresentante francese, Roustan, presso il governo · del bey. Di questa competizione numerosi sono gli episodi significativi e !ìO­ ti : lo sbarco del Macciò scortato da un drappello di marinai armati, la propaganda nella colonia italiana, l'omaggio reso dai notabili tunisini ai reali italiani in visita in Sicilia, la posa di un cavo sottomarino tra la Sicilia e la Tunisia. Ogni occasione era buona, per il rappresentante italiano e per quello francese, per prendere la strada del palazzo governativo, dove ciascuno aveva i propri fidi, e lì protestare, pro­ porre, ostacolare, insomma tentare ogni strada per accrescere la propria influenza e diminuire quella del rivale. Ma l'episodio più importante, che avrà anche un ruolo significativo nel convincere la Francia ad accelerare i tempi dell'occupazione, è cer­ tamente la competizione tra le due parti per l'acquisto della ferrovia Tunisi-La Goletta dalla compagnia inglese Tunisian Railways, che l'aveva posta in vendita per la sua passività. L'episodio avveniva dopo il dibattito di politica estera al Parlamento italiano, durante il quale il presidente del consiglio, Cairoli, si era impegnato a un maggiore attivismo politico ed economico verso la Tunisia. Il 14 aprile la società francese Bona-Guelma riesce a scalvalcare la società Rubattino, che già aveva firmato un preliminare d'acquisto, su sollecitazione del governo italiano, e a comprare la ferrovia con un'offerta superiore. Questo provoca una reazione vivacissima nell'opinione pubblica e nella classe politica e, quando un tribunale inglese annulla la vendita ria­ prendo la gara, il governo è quasi costretto a sostenere la Rubattino in una competizione che da economica si era trasformata in politica. Il 7 luglio la società italiana si aggiudicava l'acquisto in un clima di vittoria nazionale. Pochi giorni dopo, verificato il sostegno inglese e tedesco, Parigi, attraverso un altolà all'ambasciatore Cialdini e un chiarimento tra l'ambasciatore francese Noailles e il presidente Cairoli, manifesta esplicitamente all'Italia le intenzioni francesi su Tunisi e i ri­ schi che l'interventismo politico di Roma in Tunisia comportano per i rapporti tra i due paesi. La crisi itala-francese evidenzia l'isolamento italiano, al punto che già durante l'estate vengono avanzate le prime proposte per un'alleanza con gli Imperi centrali. Ma il dibattito parla­ mentare su Tunisi del novembre '80 conferma la confusione di idee, fatta di velleità e frustrazioni, e incapace di tradursi in una politica

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praticabile e in precise richieste alla Francia : una confusione che riesce a tradursi solo nelle sterili disfide in terra tunisina. Tra la fine dell'anno e gli inizi dell'81 si precisano i piani francesi per l'occupazione, che trovano in un primo momento un ostacolo imprevisto nell'opposizione del sultano turco e nella resistenza in­ glese, nata da un equivoco tra Parigi e Londra ; ad aprile però la situazione è ormai matura : prendendo a pretesto un'incursione dei nomadi crumiri, Parigi annuncia l'intenzione d'intervenire, rassicu­ rando però Roma sugli scopi limitati della spedizione ; il 24 le trup­ pe francesi entrano a Tunisi, Cairoli cerca il sostegno inglese per tentare di opporsi, ma non può che verificare ulteriormente l'impo­ tenza italiana e il suo isolamento. Il 1 3 maggio il governo si dimette in un clima di crisi e di sfiducia nazionale. La partita è ormai perduta, ma il suo peso nello sviluppo della politica estera italiana sarà decisivo. La documentazione conservata presso l'archivio di Tunisi è compresa tra il maggio del 1 880 e il marzo dell'anno successivo ; è relativa quindi proprio ai mesi cruciali del confronto itala-francese, che vede, come si è detto, nell'episodio della competizione per l'acquisto della ferrovia il momento di maggiore tensione tra le due parti. Si tratta di corrispondenza inviata dai rappresentati italiano e francese alle due massime autorità tunisine : il bey, Muhammad as-Sadiq, e il suo primo ministro, Mustafa Ben Ismail. I documenti si possono distinguere in tre gruppi : un primo relativo al travagliato itinerario dell'acquisto della ferrovia e al suo perfeziona­ mento ; un secondo sugli incidenti e gli attentati subiti dalla ferrovia nei mesi che precedono l'occupazione francese; un terzo, infine, sul braccio di ferro tra italiani e francesi per l'installazione di una linea telegrafica lungo la ferrovia. Di fronte alle polemiche tra la compagnia Rubattino, che affermava di avere firmato un preliminare di acquisto, e la compagnia Bo­ na-Guelma, che replicava di averlo già perfezionato, il governo tunisi­ no si trova in evidente imbarazzo, come si può ricavare dal verbale della seduta del 12 maggio 1 880 del comitato consultivo delle ferrovie. Investito del problema, il comitato dichiara la propria incompetenza rispetto all'aspetto giuridico della vicenda e l'ammissibilità della ri­ chiesta presentata dalla compagnia Bona-Guelma di sostituire la prece-


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La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italo-Jrancese del 1880- 1881

dente società inglese, essendo in possesso di tutti i requisiti neçessari per subentrare nella concessione 1 . . Ma, come già si è accennato, le cose si complicano per i françesi e il 1 6 giugno un tribunale inglese, accogliendo il ricorso della Rubat­ tino, riapre la vendita della ferrovia. Il 29 dello stesso mese il console francese Roustan fa pervenire al bey una «note verbale et confiden­ tielle» che suona come un ultimatum 2 • Nel caso la Rubattino si aggiudicasse l'acquisto, ragiona Roustan, questo priverebbe la linea francese tra Tunisi e l'Algeria di un accesso al mare, costringendo a costosi e pericolosi trasbordi di merci o alla costruzione di una linea francese parallela verso la rada di Tunisi (a cui gli italiani si oppor­ rebbero, ma che i francesi considerano implicita nella loro concessione per una ferrovia all'interno del paese). Per evitare le complicazioni politiche che deriverebbero da questa situazione, il governo del bey deve esercitare il suo diritto di veto alla vendita in nome della «pubblica utilità» (francese evidentemente). Diversamente «le bey lancerait son pays dans la vaie cles aventures et se priverait de son plus puissant et de son plus fidèle appui». Non ottenendo sufficienti assicurazioni, Roustan torna alla carica il 2 luglio, ribadendo che «il serait impossible au Gouvernement de la République d'admettre que le chemin de fer de Tunis à la Goulette passàt, avec l'assentiment du Gouvernement tunisien, dans cles mains étrangères " 3• Espressione che suona involon­ tariamente comica ma anche minacciosamente profetica, usata da un francese. Il 7 luglio, tuttavia, a Londra, la nuova vendita della ferrovia vede prevalere l'offerta della Rubattino. Di conseguenza, il 14, il liquidatore della società inglese invia al primo ministro tunisino comunicazione della vendita e copia del contratto, in base al quale la società italiana subentra in tutte le sue proprietà, i diritti e gli obblighi di cui era precedentemente titolare la Tunisian Railways in base alle concessioni ottenute nel 1 871 e '72.

Il 1 6 luglio il bey riceve una nuova protesta di Roustan, il quale ricorda la promessa ricevuta di non accordare a nessun « entrepreneur étranger » la concessione di un porto a Tuni si ; protesta perché il rappresentante della Rubattino è entrato in possesso della ferrovia senza aver ottenuto l'omologazione del contratto\ da parte delle autorità tunisine e chiede la concessione di un accesso al mare per una compagnia francese, avendo la Rubattino perso, a suo giudizio, i privilegi della vecchia concessione con il proprio comportamento irregolare 5• Il 1 o agosto arriva la risposta della Rubattino6, che, sollecitata dal governo tunisino, sottopone immediamente a quest'ultimo una bozza di 'capitolato d'oneri' (cahier de charges) per il perfezionamento della propria concessione. Il 3 agosto lo stesso rappresentante scrive al primo mini­ stro 7, offrendo i servigi della compagnia per sostituire l'amministrazione delle dogane nella «presa e resa delle merci a bordo e nel trasporto per o dai locali della Dogana» per conto dei commercianti, usando sia la ferrovia che il trasporto via lago effettuato tramite barche (creando così un controllo italiano sull'intero movimento tra il mare e l'interno). Offre inoltre la costruzione di una nuova sede per la dogana (in una posizione più prossima alla stazione della Rubattino) a spese della compagnia e con la restituzione del capitale anticipato in un ampio arco di tempo. Si trattava di un tentativo, anche forse un po' ingenuo e precipitoso, di cercare di allargare il raggio d'azione di una struttura di trasporto di portata assai limitata (pochi chilometri : Tunisi-Bardo ; Tunisi-La Goletta-Marsa-Cartagine) e che rischiava di essere soffocata da un prolungamento delle concessioni già in mano dei francesi. Un tentativo ribadito con la richiesta del 17 agosto di prolungare la ferrovia con una diramazione alla frazione residenziale della Riana 8• Ma le difficoltà che si frappongono ai progetti italiani emergono con estrema chiarezza nella seduta del 4 agosto del comitato consultivo

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IbidelJJ.

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Ibidem.

5 IbidellJ. 6 Ibidem. 7 Ibide!IJ.

ARCHIVES NAT!ONALES DE TuNISIE, Tunis, A rchives de Dar-El Bey antérieures à 1881, b. 236,

fase. 500 « Coneessions éeonomiques - Chemins de fer, Comité eonsultatif 1 877-1 881 ». 2 Ibid., fase. 513 «Cession faite per la C.ie anglaise à la C.ie Rubattino». 3 Ibide111.

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A ldo G. Ricci

La ferro!Jia Tunisi - La Goletta nella crisi itafo-francese del 1880- 1881

delle ferrovie9. Il comitato è chiamato a pronunciarsi sÙlla richiesta della compagnia Bona-Guelma di realizzare un prolungamento Tuni­ si-Rades (ottenendo cosi uno sbocco al mare) e sulla protesta· della Rubattino che riteneva cosi (giustamente) violati i termini della c�n­ cessione di cui era titolare, con la costruzione di una ferrovia parallela che terminava a pochi chilometri dalla Goletta. Nel comitato, formato da otto membri, vi sono cinque tunisini, due francesi e un italiano (gli europei in veste di consiglieri del governo). Il dibattito è estrema­ mente acceso, in quanto da esso dipende il futuro delle due compagnie, ma si conclude con una sconfitta della tesi italiana per cinque voti a tre (anche perché due fregate francesi, in quei giorni, facevano minacciosamente scalo nella rada di Tunisi). La vicenda avrà poi ulteriori marce indietro ed evoluzioni nei mesi successivi, superate poi definitivamente dall'occupazione militare, ma è comunque significativa del braccio di ferro che avveniva tra i due paesi attraverso l'interposta competizione tra le due compagnie ferroviarie. Un altro gruppo di documenti, estremamente significativo, riguarda gli attentati che dovette subire la ferrovia della Rubattino nel periodo della gestione italiana; una documentazione che rivela come i francesi non esitassero di fronte a nessun mezzo pur di rendere impossibile la vita ai loro rivali. Il 28 agosto il console Macciò scrive al bey per segnalare che il giorno prima il conduttore del treno aveva arrestato la locomotiva a pochi metri da un indigeno che stava collocando una grossa pietra sulle rotaie e che il 28 stesso episodi analoghi si erano ripetuti per ben due volte, chiedendo al governo di esercitare una maggiore sorveglianza e di cercare di scoprire chi c'è dietro gli attentatori 10• Il 26 ottobre lo stesso console segnala al bey l'inettitudine del governatore della Goletta, incapace di far mantenere l'ordine nella cittadina, come era avvenuto il giorno precedente con una sparatoria verificatasi nella stazione della ferrovia, durante la quale vi era stato un morto 11•

Il 20 novembre Macciò torna alla carica segnalando due tentativi di attentati avvenuti il 1 8 e l'inefficacia della sorveglianza esercitata dalle autorità tunisine 12• I1 30 gennaio dell'anno successivo, infine, il console italiano trasmette una "protesta 13 del rappresentante della società Rubat­ tino per la distruzione, avV-enuta nella notte tra il 28 e il 29, dei macchinari depositati nel casotto presso la stazione della Goletta, dove vengono effettuate le operazioni di peso delle merci provenienti o de­ stinate alla ferrovia. Sette tentativi di disturbare la normale attività della ferrovia con incidenti o sabotaggi nel breve arco di cinque mesi non sono pochi e non trovano evidentemente altra spiegazione se non nella volontà francese di combattere l'impresa italiana con qualunque mezzo : da quello politico a quello terroristico. Il terzo gruppo di documenti concerne un ultimo terreno di scontro itala- francese a proposito della ferrovia, ultimo in quanto siamo ormai alla vigilia dell'occupazione militare della Tunisia da parte della Francia. Lo scontro nasce dall'intenzione italiana di collocare un filo telegrafico lungo la linea della ferrovia per soddisfare le esigenze di comunicazione legate alla gestione della stessa e dall'opposizione francese al progetto in nome del proprio monopolio delle comunicazioni telegrafiche nel paese. Il 1 O gennaio, in una lettera indirizzata al primo ministro 14, Roustan ricorda i diritti francesi sulle comunicazioni telegrafiche, lamenta la scorrettezza della Rubattino, che intende collocare un filo telegrafico senza alcuna autorizzazione e sottolinea che un eventuale filo telegrafico ad uso della ferrovia dovrà limitarsi alle necessità tecniche del suo funzionamento e non potrà essere prolungato oltre le stazioni terminali. Tre giorni dopo, a seguito di contatti con il proprio governo, le richieste francesi diventano molto più onerose 15: un'autorizzazione anche da parte dell'amministrazione telegrafica francese; un controllo statale nelle stazioni della ferrovia dove si trasmette; possibilità di trasmettere gratis solo notizie relative agli aspetti tecnici della gestione,

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9 Ibid., fase. 500 : « Concessions économiques - Chemins d e fer. Comité consultatif 1 877-1881 )). 10 Ibid., fase. 509 : [Atti di sabotaggio contro] Tunisian Railways limited- La Goletta. 11 IbideiJJ.

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IbideJJJ. IbideJJJ. 14 Ibid., fase. 514: « Ligne télegraphique le long de la vaie ferrée de la marine (incident franco-italien 1 881 ) 15 Ibidem. 13

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La ferrovia Tunisi - La Goletta nella crisi italo-Jrancese del 1880- 1881

tariffa ridotta per altre trasmissioni; obbligo di trascrivere in extenso ogni dispaccio per garantire all'amministrazione telegrafica francese la possibilità di controllarli in ogni momento e presso ciascun punto di trasmissione. Se il governo tunisino non farà interrompere i lavori, · in attesa delle garanzie sopra indicate, esso sarà «responsable du préjudice matériel et moral qui nous serait causé par leur continuation». Il 21 arriva la richiesta del rappresentante della Rubattino 16 perché il governo tunisino, in ragione delle necessità tecniche di gestione, conceda l'autorizzazione provvisoria a collocare il filo telegrafico in attesa della firma del capitolato d'oneri (che non era ancora avve­ nuta e nel quale era prevista, appunto, una speciale linea telegrafica e le modalità del suo funzionamento). Il 4 febbraio Roustan scrive nuovamente al primo ministro 1 7 (in risposta a una lettera dello stesso dell'l, nella quale si assicurava che il servizio telegrafico svolto dalla Rubattino sarebbe stato conforme a quanto previsto dal capitolato d'oneri e che il governo tunisino si riservava il diritto di controllo) per ribadire che tali assicurazioni non soddisfano le richieste francesi, rivolte a tutelare i diritti monopolistici dell'am­ ministrazione telegrafica francese. Il 6 febbraio il rappresentante della Rubattino, Ravasini, firma frnalmente il capitolato d'oneri e, proseguendo i lavori d'installazione, prolunga il filo telegrafico dalla stazione della Goletta fino allo 'sbarcatoio' delle merci, cioè fino alla marina. Il 24 marzo il governo tunisino protesta con la Rubattino per tale prolungamento (lo dedu­ ciamo dalla risposta della stessa) e due giorni dopo arriva la risposta del rappresentante della compagnia 18• Il capitolato, ragiona Ravasini, non parla affatto delle stazioni; dispone soltanto che un filo telegra­ fico venga posto lungo la linea ferroviaria per le necessità del servi­ zio ; ed è appunto per far fronte a tali necessità che il filo viene prolungato di 300 metri fino al mare, da dove muovono le merci che devono essere caricate sui treni, tenendosi ovviamente in contatto con i manovratori degli stessi.

Il 27 marzo Roustan scrive nuovamente per protestare 19 (questa volta direttamente al bey) per il prolungamento del filo oltre la stazione. Nonostante le assicuzioni fornite dal governo, ragiona il console francese, tutte le peggiori previsioni si sono avverate e i diritti francesi sul monopolio telegrafico vengono violati con l'inerme ac­ condiscendenza del governo tunisino, che è invece pronto a sospendere i lavori della nuova ferrovia francese del Sahel (per la quale non aveva ricevuto l'autorizzazione). «Cette différence d'attitude» è di estrema gravità, conclude Roustan. Di tre giorni dopo è l'ultima lettera 20, ancora di Roustan e ancora al bey, sempre per protestare contro l'interpretazione data dal governo tunisino al capitolato d'oneri sottoscritto con la Rubattino. Citando il verbale di una riunione del comitato consultivo delle ferrovie, Roustan sostiene che il capitolato è applicabile soltanto alle linee comprese tra le stazioni citate nel verbale e non, come avrebbe voluto la Rubattino, a tutte le linee «attualmente sfruttate» dalla società italiana. Pertanto la ramificazione fino alla marina non è compresa nel capitolato e non può quindi essere accompagnata da un filo telegrafico. Osservazioni marginali, quasi speciose, si dirà, ma certo significative di una volontà di ostacolare fino in fondo il funzionamento e lo sviluppo dell'impresa italiana. Ma significative anche di un tentativo di confondere le acque con problemi di piccolo cabotaggio, ancora alla vigilia dell'attuazione del progetto di occupazione, progetto del quale il console non poteva certo essere all'oscuro. Con questa lettera si chiude la documentazione conservata presso l'Archivio di Stato di Tunisi relativamente alla ferrovia Tunisi-La Goletta. Pochi giorni dopo, infatti, le truppe francesi entravano in Tunisia e questa, insieme alla propria libertà, perdeva anche la possi­ bilità di conservare in un proprio archivio i documenti che interessano la storia del paese. La vicenda della ferrovia, come s'è detto, rappresenta un significati­ vo autogol della politica e della diplomazia della nuova Italia appena approdata all'Unità. Autogol perché affidava ingenuamente e perico-

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16 Ibide1t1. 1 7 Ibide111. 18 Ibide111.

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20

Ibidem. Ibidem.


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losamente all'iniziativa in loco un progetto economico-politico confuso, che solo sul piano internazionale avrebbe potuto trovare il necessario sostegno e che, in assenza di questo, rischiava invece di sottoporre il paese a un'onerosa e inevitabile sconfitta. Dell'inadeguatezza della preparazione italiana all'obiettivo, del suo radicamento in loco e del suo isolamento internazionale, i documenti costituiscono una significativa testimonianza, come anche delle divisioni interne tunisine tra filoitaliani e filofrancesi, e del peso che !'«opera­ zione ferrovia» ebbe per decidere i francesi ad affrettare l'occupazione. Un'occupazione destinata a scavare un solco profondo tra Italia e Fran­ cia e a svolgere un ruolo decisivo nella successiva scelta italiana in favore della Triplice alleanza con Austria e Germania. Una scelta che dava l'avvio a un nefasto «pendolarismo » tra Francia e Germania, che avrebbe condizionato la politica estera italiana fino alla fine della seconda guerra mondiale.

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MILITARI E POLITICA COLONIALE

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PIER LUIGI BERTINARIA

Dottrina) strategia) tattica e logistica nelle campagne coloniali

Dottrina

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La dottrina d'impiego di un esercito è normalmente legata agli indirizzi della politica governativa che definisce per l'organismo mili­ tare le più probabili linee d'intervento, in relazione agli obiettivi offensivi e difensivi, della sua politica estera. Per quanto riguarda l'Italia , dopo l'alleanza con gli imperi centrali (maggio 1 882) la politica militare dei successivi governi era rimasta sostanzialmente ancorata agli obiettivi della «Triplice» : difesa della frontiera occidentale e della costa tirrenica da possibili attacchi da parte francese; orientamento a trasferire una armata sul Reno, a disposizione dello Stato maggiore tedesco. A questi obiettivi si aggiunsero, agli inizi del nuovo secolo, quelli relativi alla tutela degli interessi nazionali dell'area mediterranea e quelli della difesa della frontiera orientale. Quest'ultima esigen­ za,infatti, si era manifestata dopo la crisi balcanica del 1 808 per l'effetto delle aumentate occasioni di attrito con l'Austria, nonché con l'aperta italofobia del capo di Stato maggiore austro-ungarico, gen. Conrad, e dell'erede al trono, arciduca Francesco Ferdinando. In sostanza, una concezione della guerra orientata prevalentemente sulla difensiva, legata all'ambiente montano e impostata sullo scontro fra masse di eserciti, dotate di buona potenza di fuoco, ma scarsa mobilità e scarsa attitudine alla manovra. È sintomatico infatti che la scelta del terreno per le grandi manovre nell'estate del 181 1 sia caduta sul Monferrato. Nessuna dottrina particolare era stata elaborata per l'impiego di reparti metropolitani in ambiente coloniale, sia prima che dopo Adua, anche perché dopo Adua questo obiettivo era stato sempre escluso dalla politica del governo. D'altro canto in Eritrea si era costituito un


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corpo di truppe indigene, inquadrato da ufficiali e sottufficiali nazio­ nali, il cui ordinamento e addestramento si adeguava ai modelli ·degli analoghi organismi europei e che si riteneva sufficiente alle normali esigenze di difesa della colonia. Nella guerra libica la mancanza di qualsiasi precedente orientamento concettuale all'impiego di truppe nazionali in colonia costituì uno dei motivi della iniziale inferiorità, in cui si trovò ad operare il nostro corpo di spedizione. Ma è anche da considerare che nel caso Libia le previsioni della vigilia si basavano essenzialmente sullo scontro con l'esercito turco ' armato e addestrato all'europea. Invece, l'intervento nel conflitto delle popolazioni arabe capovolse completamente queste previsioni, dimo­ strando l'assoluta incapacità di truppe europee, prive di uno specifico addestramento e ambientamento, di aver ragione di un avversario, profondo conoscitore del terreno e abituato a muovere e combattere secondo i canoni tradizionali della guerriglia. Sta di fatto che la resistenza turco-araba, benché inferiore di personale e mezzi, riuscì a tenere testa per lunghi mesi ad un corpo di spedizione di circa 1 00.000 uomini largamente dotato di mezzi e materiali. Le campagne coloniali hanno caratteristiche proprie per le condizioni speciali in cui si svolgono e in esse assumono particolare valore fattori che in Europa contano poco o sono affatto trascurabili. Le campagne, in genere, si svolgono in territori scarsi di risorse locali, talvolta privi di acqua, con comunicazioni rudimentali e gene­ ralmente separate dal territorio metropolitano da navigazioni spesso assai lunghe. Di più, il clima delle colonie è quasi sempre molto diverso da quello in cui vivono le truppe del corpo di operazione ; cosicché occorre tenerne conto, sia in considerazione delle malattie che ne possono nascere, che del diverso rendimento dell'organismo umano. Anche le condizioni igieniche dei reparti devono essere seve­ ramente curate, poiché, mentre le differenze di clima rendono l'orga­ nismo più facilmente suscettibile di ammalarsi, esistono frequentemente nei territori coloniali malattie endemiche contro le quali l'europeo deve essere difeso con terapie particolari e possibilmente preventive. Così può darsi che i peggiori nemici siano, in colonia, l'ambiente, il clima, i disagi, e che assuma nelle operazioni militari una parte pre­ ponderante la logistica.

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Anche la strategia e la tattica delle operazioni coloniali sono carat­ teristiche : mancano in genere quelle pesanti formazioni armate che costituiscono, in Europa, l'esercito nemico e la guerra ha tutti gli aspetti della guerriglia : rapide sorprese, celerissime incursioni nei territori già occupati, sulle linee dei rifornimenti e, solo in casi ecce­ zionalissimi, qualche operazione diretta contro il grosso del corpo operante. E perciò, mentre nelle guerre europee il principio della massa domina in maniera assoluta, in quelle coloniali conviene spesso ripartire le forze in molteplici colonne, collegate nel fine, ma autonome nello svolgimento dei loro singoli movimenti. Preparandosi una spedizione coloniale occorre, previo accurato stu­ dio del territorio da occupare, del nemico da combattere, delle diffi­ coltà logistiche da superare, predisporre nella metropoli la base o le basi ove effettuare il concentramento e l'imbarco delle forze e dei mezzi, in primo tempo, e dove fare affluire, in secondo tempo, i rin­ forzi di uomini e materiali. Una volta che la costa da occupare sia stata raggiunta ed acquisita, converrà istituirvi una o più basi di operazione, ove si concentrerà tutto quanto necessario affinché le truppe operanti possano vivere, marciare, combattere, tenendosi pre­ sente che sarà sempre meno difficile occupare una qualsiasi posizione nell'interno, che non alimentarla e conservarla. Strategia A parte il modesto impegno coloniale in Cina (intervento nella rivolta dei Boxers nel 1 900-1901 e acquisto di una concessione territo­ riale a Tien-Tsin) e nell'Egeo (1911-1943), il colonialismo italiano si sviluppa essenzialmente nel continente africano su prevalenti motiva­ zioni di prestigio, di espansione economica e di sbocco demografico. Limitando perciò l'indagine a questo continente, le imprese coloniali italiane si possono grosso modo raggruppare, sotto l'aspetto strategi­ co-militare, in tre fasi successive e in tre aree diversificate, ciascuna corrispondente ad un definito scacchiere operativo. Africa orientale (mar Rosso e oceano Indiano) : in questo scacchiere l'Italia sviluppa un articolato ciclo espansionistico-operativo che va dall'acquisto di Assab (1 882), all'occupazione di Massaua (1885), alla


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fo�dazione della colonia eritrea (1 890), ai primi insediamertti nei. tetri­ ton del Benadir in Somalia (1889-1892) fino alla prima guerra d'Africa, che s1_ conclude con la sconfitta di Adua (1 o marzo 1 896). _ Afrz_�a settentrzonale (Tripolitania e Cirenaica) : in questo scacchiere, a segu:to della gu�r_ra italo�turca del 1 9 1 1-1 912, l'Italia procede alla a�n �ss1?ne �e-lla L1b1a, a �m fa seguito un prolungato ciclo di opera­ Zlom d1 pohz1a, protrattesl fino al 1 932, per la conquista dei territori dell'interno. A[ric� orientale (Abissinia) : questa fase corrisponde al conflitto ita­ lo-et10plco (1 935-1936), che si conclude con l'annientamento delle armate del negus e la conquista dell'impero abissino. Si deve innanzi tutto precisare che sotto il profilo in esame esiste �na sostanziale differenza fra le imprese coloniali condotte dall'Italia _ orientale e quelle condotte in Libia. 1n Afnca I �fatti, �-entre le prime rientrano nella classica concezione espansio­ . _ _ mstlca dell 1mpenahsmo europeo, la guerra libica ha alle sue radici �otivazioni ben diverse, collegate a precise esigenze di difesa e di s1cu�e�za del territorio nazionale; sta di fatto che dopo lo scacco di Tums� (1 881 ), l'Italia si trova pericolosamente esposta a possibili azioni offe�s1ve da parte della Francia che, padrona con l'Inghilterra del Mediterraneo, è in con�izio�i �i portare il suo attacco su qualunque . punto delle coste tlrremche 1tahane e delle due maggiori isole (Sicilia e Sardegna). Alle aspirazioni francesi sulla quarta sponda si assommano inoltre gli interessi germanici conseguenti all'esclusione tedesca dal Marocco (luglio 1 91 1). A questo punto si procede ad una spedizione militare allo scopo di prevenire e neutralizzare ogni ulteriore iniziativa di altr� potenze europee su quella parte della costa africana. Ne consegue che l'impresa libica non può classificarsi, quanto meno nelle �ue premesse strategico-militari, fra le guerre coloniali p � re e semphc1,. �oven� os� invece considerare una guerra preventiva, d1retta a tutelare 11 terntono nazionale da possibili aggressioni future. In altre parole, una guerra nazionale a tutela di vitali interessi nazio­ nali nel Mediterraneo, come dimostreranno le vicende del secondo conflitto mondiale, allorché l'Italia, perduta l'Africa settentrionale sarà costretta a subire l'invasione della Sicilia e del restante territori � metropolitano.

I piani operativi

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piani Se si esamina poi l'aspetto specificamente strategico-militare dei e si regi­ operativi si deve osservare che nelle imprese coloniali italian militare, one strano spesso scollamenti fra direzione politica e direzi carattere ma anche ingiustificate interferenze politiche su problemi di tta condo strettamente militare che si riflettono negativamente sulla delle operazioni. 1 885) Durante la prima spedizione militare in mar Rosso (febbraio costa della e azion il governo Depretis decide di procedere alla occup ua, ma lo africana del mar Rosso fra Assab e Beilul, poi estesa a Massa ane, settim comunica ai vertici militari con un anticipo di appena due zione termine questo del tutto insufficiente per predisporre una spedi senza pre­ oltremare, per di più in ambiente pressoché sconosciuto e cedenti esperienze coloniali. ico, Ne derivarono lacune e approssimazioni, specie in campo logist ­ rendi sul e e che ebbero pesanti ripercussioni sulla salute delle trupp mento dei reparti. i per Nella successiva guerra d'Africa i ripetuti interventi di Crisp ieri del una più energica condotta delle operazioni (messaggio a Barat a») ebbero 28 febbraio 1 896 : « ( . . . ) codesta è tisi militare, non una guerr ieri, di influenza non certo secondaria nella decisione, presa dal Barat conse­ affrontare in battaglia l'esercito di Menelik con le ben note re occor rdo, guenze della sconfitta di Adua (1 o marzo 1 896). Al rigua ario ad anche ricordare che in un primo tempo il Baratieri era contr il mas­ dopo impegnarsi in battaglia contro l'esercito abissino, specie assedio del sacro dell'Amba Alagi (magg. P. Toselli) e il tormentato dere con forte di Makallè (magg. G. Galliano) e orientato a proce grande prudenza nella condotta delle operazioni. i e con­ In seguito, però, sollecitato dalle ripetute pressioni di Crisp nel co­ e uzion sostit dizionato dal fondato sospetto di una prossima sé l'accusa di mando, si decise a tutto osare, per allontanare da esenta il comandante indeciso e temporeggiatore. Perciò, Adua rappr che per classico esempio di una battaglia coloniale perduta, oltre mezzi a dispo­ carenze di comando e per eccessivo divario fra scopi e direzione sizione, anche per indebite interferenze nei confronti della militare delle operazioni.

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Nella guerra libica la decisione del governo Giolitti di procedere alla conquista della Tripolitania e della Cirenaica fu comunicata ai vertici militari con un anticipo del tutto inadeguato per la messa a punto di una spedizione oltremare così complessa. È vero che Giolitti afferma nelle sue memorie di aver convocato nel mese di agosto 1 9 1 1 il capo di Stato maggiore, gen. Pollio, e di avergli dato incarico di « studiare il problema della occupazione della Libia e di fare il calcolo delle truppe occorrenti ( . . .) calcolando con larghezza». Ma a tale epoca (il colloquio avvenne quasi certamente a fine agosto durante le citate grandi manovre estive nel Monferrato) nes­ suna decisione esisteva ancora a livello governativo circa la data di attuazione dell'impresa. Perciò, l'intervento di Giolitti era destinato solo a sollecitare studi e pianificazioni sullo specifico problema ope­ rativo. Infatti, se si considera che il 3 settembre 1 9 1 1 , al termine delle grandi manovre, fu posta in congedo la classe 1 889 e che dal 5 al 1 5 dello stesso mese si svolsero le grandi manovre navali, si deve ritenere che fino a quest'ultima data nessuna decisione era stata assunta dal governo. Il che ha la sua importanza nell'analisi critica dell'argomento, in quanto una cosa è porre allo studio un problema operativo e ben altra cosa invece è dare inizio alla complessa fase della mobilitazione delle unità, nonché all'approvvigionamento e alla raccolta dei mezzi e materiali necessari all'impresa; operazioni, queste, per le quali occorrono tempi tecnici difficilmente comprimibili al di sotto di un certo limite. Risulta, infatti, che la scelta dell'epoca della spedizione (prima metà di ottobre) sarebbe stata presa dal governo solo fra il 1 4 e il 1 5 settembre e che il 1 8 successivo Giolitti avrebbe telegrafato ai ministri della Guerra, Spingardi, e della Marina, Leo­ nardi Cattolica, di affrettare i preparativi. Perciò, è dal 14 settembre soltanto che parte la fase di appronta­ mento della complessa spedizione, cioè con un anticipo di soli 1 5 giorni sulla dichiarazione di guerra e di 25 sull'imbarco delle truppe (porti di Napoli e Palermo). Sta di fatto che solo il 23 settembre successivo fu diramato dal governo l'ordine di mobilitazione e disposto il richiamo alle armi della classe 1 888. Ne derivò una affrettata preparazione che ebbe sfavorevoli ripercussioni sia nella fase organizzativa della spedizione che nella successiva condotta delle operazioni.

Dottrina, strategia, tattica e fogistica neffe campagne coloniali

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In particolare, la Marina fu costretta ad assumere in proprio l'onere non previsto della prima occupazione della città di Tripoli (5 ottobre 1 9 1 1), compito questo che fu assolto con un c�ntingente da s?�rco valoroso (2 reggimenti di formazione, in totale cuca 1 . 700 uomim, al comando del cap. di vasc. U. Cagni), ma improvvisato e privo di adeguato armamento e supporto logistico. . . . L'Esercito, subentrato a Tripoli 1'1 1 successivo, dovette msenrsi nelle operazioni di conquista rinunziando al fattore sorpresa � al p!an� operativo predispo sto, che prevedeva l'avvolgimento delle ah dell oasi di Tripoli e la costituzione di un'ampia testa di sbarco da cui muovere per la conquista dell'interno. Il che consentì alla resistenza turco-araba di riorganizzarsi, di chiamare a raccolta le tribù beduine dell'interno, sfruttando il fanatismo religioso di quelle popolazioni, e di sviluppare poi un'insidiosa azione di guerriglia che obbligò il cor� o di �pedizione a rimanere praticamente assediato e ristretto per lunghi mesi su poche basi della costa. Anche nella guerra libica il potere politico cercò di intervenire sulla direzione militare, per sollecitare una più energica condotta delle opera­ zioni. Sta di fatto che nella prima fase del conflitto (dicembre 1 9 1 1 ) più volte Giolitti intervenne con personali messaggi nei confronti del gen. Caneva, per segnalare che «agli effetti della politica internazional� è d'i estrema urgenza la distruzione delle truppe turche». Ma Ca�ev� ri�uto sempre l'imprevisto e l'improvvisazione e oppose alle sollecitazwm del governo la necessità di procedere con la massima urgenza, pe� no� esporre le truppe a rovesci o pesanti sacrifici, del tutto sproporziOnati ai modesti risultati che in quelle condizioni era possibile raggiungere. Comunque, alla resa dei conti le previsioni di Caneva si dimostra­ rono esatte, in quanto la resistenza turco-araba gradualmente finì per esaurirsi per stanchezza e difficoltà di alimentazione. In prospettiva, perciò, la prudente condotta delle operazioni, a�otta�a nella prima fase della lotta, risultò adeguata allo strumento a disposi­ zione e consentì di limitare le perdite in uomini e materiali. Nel conflitto italo-etiopico, invece, l'impiego di grandi unità metro­ politane, addestrate ad una guerra di movimento e largamente do�ate di mezzi e materiali, ebbe facile ragione dell'avversario che, numenca­ mente superiore ma privo dei requisiti essenziali per un esercito moderno, fu in primo tempo arrestato e poi rapidamente annientato.


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Dottrina, strategia, tattica e logistica nelle campagne coloniali

I piani operativi che caratterizzarono quella campagna derivavano dalle linee di condotta strategica, enunciate dal gen. Badoglio all'atto in cui assunse il Comando superiore in Africa orientale (15 novembre 1 935), comprendenti :

- i reparti venivano spiegati simultaneamente sulla linea del fuo­ co, senza un criterio logico di scaglionamento in profondità, impe­ gnando cosi fin dal primo momento tutta la forza disponibile; - le truppe avevano scarsa attitudine a sfruttare il terreno e ten­ denza ad aggrupparsi dietro i rispettivi ufficiali.

- la scelta dello scacchiere eritreo quale teatro principale della lotta contro la massa dell'esercito avversario ; - l'attribuzione allo scacchiere somalo di un ruolo indipendente e secondario da cui la necessità di dotarlo di autonomia operativa e logistica, pur nel quadro delle direttive del Comando superiore. Partendo da questi presupposti il piano operativo generale, adottato nello scacchiere eritreo, in sintesi prevedeva: - una prima fase difensiva-temporeggiante (battaglia del Tem­ bien), diretta a contenere la pressione avversaria, logorare la massa dell'esercito etiopico e arrestarne la spinta offensiva; - una seconda fase a carattere offensivo (battaglia del Tigrai), diretta al suo annientamento e allo sfruttamento del successo. Questo piano, che fu possibile realizzare grazie anche alla tenacia e al sacrificio di alcune unità impegnate nella fase iniziale contro forti avanguardie avversarie (combattimento alla stretta di Dembeguinà del 1 5 dicembre 1 935), portò al rapido annientamento di ogni residua resistenza avversaria, impedendo cosi alle armate abissine di riorganiz­ zarsi e di condurre azioni di guerriglia, sfruttando il vantaggio della perfetta conoscenza dell'ambiente e della maggiore mobilità. Tattica La campagna italo-turca del 1 9 1 1-1912 dimostrò l'assoluta imprepa­ razione del nostro esercito ad una guerra di movimento, per di più condotta in ambiente coloniale. Uno studio approfondito del gen. De Chaurand mette infatti in evidenza che : - i comandanti di battaglione e compagnia si trovarono inizialmente disorientati e manovrarono le dipendenti unità (battaglioni di 800 uomini e compagnie di 200 uomini) come se fossero sul piede di pace;

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Di conseguenza, specie dopo gli insuccessi di Sciara Sciat e di Henni Bu Meliana (23 e 26 ottobre 1 9 1 1) il conflitto si trasformò in una guerra di posizione (trincea, casamatta, filo spinato), da cui derivò la necessità di un ulteriore incremento del corpo di spedizione in perso­ nale e mezzi logistici. In sostanza, la guerra libica costituì una vera e propria sorpresa in campo tattico, dato che le nostre unità, formate da coscritti di leva e addestrate a muovere e combattere secondo i procedimenti conven­ zionali degli eserciti del tempo, si dimostrarono del tutto inadatte contro un nemico maestro nelle insidie, veloce nelle mosse e profondo conoscitore dell'ambiente. Ne derivò la necessità di sopperire con la massa alla mancanza di manovra e con la trincea alla scarsa attitudine dei reparti ad azioni di controguerriglia. E ciò spiega l'elevato onere che comportò la guerra libica, che richiese l'impiego di un corpo di truppe di circa 1 00.000 uomini ed un elevato consumo di munizioni e materiali vari. A ciò è da aggiungere che nel corso della stessa campagna : - la cavalleria non venne impiegata nella esplorazione lontana, per cui il suo impiego fu limitato alla esplorazione ravvicinata del campo di battaglia, sovrapponendo cosi la propria azione a quella della fanteria; - l'artiglieria fu impiegata molto avanti sulla stessa linea della fanteria; - le sezioni mitragliatrici, introdotte nell'esercito nel 1 91 1 , oltre ad essere poco conosciute nelle loro possibilità di sfruttamento tattico, erano soggette a facile usura e frequenti inceppamenti a causa della sabbia del deserto. Per superare le sfavorevoli condizioni iniziali, il gen. Caneva segnalò ai comandi superiori la «necessità di rendere inespugnabili le nostre


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basi dal mare e sorvegliare attivamente le coste, aggiungendo che. alla aleatoria lotta guerresca contro turchi e arabi nell'interno, noi sostituiamo sulla costa una specie di lotta finanziaria con il governo ottomano; che deve provvedere ai rifornimenti per vie indirette e costose». Fra i provvedimenti proposti da Caneva e poi autorizzati dal governo sono da ricordare : - l'acquisto nel dicembre del 1 9 1 1 di un primo lotto di 400 cammelli in Tunisia, che però fu possibile realizzare solo in parte per l'ostilità dell'elemento arabo locale ; - l'invio in Libia di battaglioni ascari eritrei e la costituzione di compagnie cammellieri con elementi tratti dalle tribù locali, organizzati sul modello degli analoghi reparti meharisti francesi. Altre esperienze, maturate nel corso della stessa campagna e destinate a rivoluzionare le dottrine d'impiego degli eserciti moderni, vennero dalla adozione dei seguenti mezzi e materiali speciali : le stazioni radiotelegrafiche, i proiettori, i palloni e gli aerei. In particolare : - il 14 ottobre 1 9 1 1 il comando superiore di Tripoli fu collegato con le unità navali alla fonda in quel porto e nel novembre successivo con i presidi di Homs, Lampedusa e Vittoria; dopo la visita di Marconi a Tripoli la rete radiotelegrafica disponeva di 8 stazioni con un movimento giornaliero di 3.000 messaggi. - I proiettori notturni furono disposti per l'illuminazione di ampie zone di terreno antistanti le nostre linee, rivelandosi molto utili per sventare insidie e infiltrazioni. - I palloni frenati del tipo «drachen» trovarono efficace impiego nella esplorazione aerea ravvicinata, nella ricognizione del terreno e nel controllo dei tiri delle artiglierie. I dirigibili e gli aeroplani furono impiegati nella esplorazione lontana e in missioni offensive mediante il lancio di rudimentali ordigni ma­ nuali, di discutibile efficacia, ma di grande effetto morale sul nemico. Il conflitto etiopico, invece, fu una guerra di tipo europeo, condotta da un esercito indigeno armato e addestrato da istruttori europei, dotato di buona agilità manovriera e di elevato spirito guerriero, ma decisa­ mente inferiore per armamento, amalgama e dottrina di impiego.

Dottrina, strategia, tattica e logistica nelle campagne coloniali

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In particolare, l'esercito abissino, pur disponendo di una forza considerevole (stimata in 350.000 uomini oltre ad un elevato potenziale umano di riserva) e dimostrando grande valore nei singoli combatti­ menti, presentava consistenti lacune nella preparazione dei capi e nel funzionamento degli organi di comando. Il corpo di spedizione italiano comprendeva 1 0 divisioni nazionali per un totale di 200.000 combattenti, 36.000 quadrupedi, 300 carri armati, 200 cannoni di vario calibro. Alle truppe metropolitane si affiancavano oltre 1 00.000 uomini di colore, mobilitati in ragione di 50.000 dall'Eritrea e 50.000 dalla Somalia. A sostegno di queste forze operavano alcune migliaia di operai militarizzati, addetti alla costru­ zione di strade, ponti, ferrovie, ricoveri, impianti idrici e sanitari, nonché ad altri lavori necessari alla vita ed al movimento delle truppe. Ma il fattore determinante che assicurò al corpo di spedizione italiano una netta superiorità sull'avversario fu la disponibilità di una potente flotta aerea, comprendente dai 300 ai 500 aerei di vario tipo, che venne impiegata con effetti risolutivi sia in campo strategico sia in campo tattico. Logistica È noto che nelle campagne coloniali il problema logistico presenta aspetti ben più complessi di ogni altro tipo di guerra convenzionale. Le maggiori difficoltà derivano normalmente dalle enormi distanze delle fonti di rifornimento, dato che la maggior parte dci mezzi logistici devono essere trasferiti in colonia dalla madrepatria. A parte questo aspetto peculiare della logistica in colonia, le imprese coloniali italiane dovettero registrare lacune e improvvisazioni, in alcuni casi imputabili ai tempi eccessivamente ristretti concessi per la mobilitazione e l'approntamento del corpo di spedizione, ma il più delle volte derivanti da inesperienza o errato calcolo. Nelle prime spedizioni in mar Rosso si verificarono sensibili carenze soprattutto in materia di approvvigionamento di acqua potabile e re­ lativi contenitori per la conservazione e il trasporto delle risorse idriche. Inoltre, risultarono inizialmente del tutto inadeguati il vestiario e l'equipaggiamento adottati per la truppa, compresi i materiali forniti per tende e accantonamenti.


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Dottrina, strategia, tattica e logistica nelle campagne coloniali

Nella guerra libica si dovettero lamentare disfunzioni e carenze nel servizio sanitario e nel rifornimento munizioni, entrambi c:ilcqlati in difetto rispetto ai consumi effettivi che si ebbero nel corso ·della campagna. Difficoltà si registrarono anche nel servizio di vettov�­ gliamento, dato che i viveri conservati, provenienti dall'Italia, risul­ tarono spesso avariati. Comunque, si deve anche tener conto che in Libia tutta la gamma della logistica fu sottoposta ad un impegno veramente eccezionale per il gran numero di basi autonome da approvvigionare sulla costa tripolina e cirenaica, nonché per i distac­ camenti in Egeo. Inoltre, il lavoro d'intendenza risultò molto arduo, oltre che per le difficili comunicazioni marittime, anche per il congedamento e la sostituzione degli effettivi delle classi 1 888 e 1 889 e per l'elevato numero di feriti e ammalati da sgomberare (circa 24.000 ammalati e 3.000 feriti). A Napoli fu costituita la base principale d'operazione, mentre l'Intendenza stabilì il suo quartier generale a Tripoli. Il conflitto itala-etiopico poté invece avvalersi di una organizzazione logistica ben più efficiente e articolata, ricca di mezzi e di rifornimenti, idonea a soddisfare le complesse esigenze di un consistente corpo di spedizione che operava a circa 4.000 km. dalla madrepatria. La prepa­ razione logistica della campagna fu iniziata con un anticipo di sette-otto mesi sulla prevista epoca d'inizio delle operazioni. Il 16 marzo 1 935 entrò ufficialmente in funzione a Massaua la base d'oltremare, a stretto contatto con il locale comando Marina, che gradualmente fu dotata di magazzini e depositi e attrezzata con pontili, banchine, raccordi ferro­ viari, anelli stradali, in grado cioè di costituire il vero polmone di tutta l'organizzazione logistica d'Intendenza. Alla immediata vigilia del conflitto si installò a Massaua l'Intendenza orientale che riuscì poi a portare nelle immediate retrovie delle truppe operanti una gran mole di materiali e rifornimenti. Ma il problema che maggiormente impegnò l'Intendenza fin dalla vigilia del conflitto fu l'impianto in colonia di una ricca rete stradale, dato che quella esistente era in gran parte costituita da piste disagevoli ed inadatte al traffico automobilistico. Furono infatti allestite ex novo strade asfaltate e doppio transito, assicurando cosi al flusso dei rifornimenti un'alimentazione adeguata alla dinamica delle operazioni.

Secondo i dati forniti dall'intendente, gen. F. dall'Ora, « SÌ costitui­ rono grandi centri ospedalieri e stabilimenti sanitari avanzati, capaci di ricoverare oltre 10.000 degenti; si vettovagliarono uomini e qua­ drupedi giunti progressivamente alle cifre di 350.000 soldati, 90.000 operai e 70.000 quadrupedi; si accantonarono scorte per 90 giorni». In sostanza nella campagna etiopica il successo rapido in campo operativo fu in gran parte merito di una efficiente organizzazione logistica, realizzata con larghezza di mezzi e modernità di concezione. Il che consenti alla gigantesca macchina dei servizi di rullare senza soluzione di continuità al seguito delle grandi unità che operavano con forme di guerra che di coloniale avevano solo il nome.

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A conclusione del presente tema vorrei ricordare un altro importante aspetto delle guerre coloniali italiane : l'alto indice di usura che ne derivò alle nostre Forze armate ai fini della difesa del territorio nazio­ nale. Sta di fatto che sia la guerra libica che il conflitto itala-etiopico intaccarono pesantemente le scorte e logorarono l'efficienza operati­ vo-logistica del nostro organismo militare, con le ben note conseguenze che si manifestarono nel corso di entrambe le due guerre mondiali. Soprattutto la campagna etiopica ebbe ripercussioni gravissime sul potenziale bellico della nazione che emersero fin dall'inizio del se­ condo conflitto mondiale, al quale l'Esercito si presentò in condizioni di personale, armamento, mezzi di trasporto e materiali fortemente deficitarie.


La Marina militare, le esplorazioni geografiche e la pene/razione coloniale

MARIANO GABRIELE

La Marina militare) le esplorazioni geografiche e la penetrazion_e coloniale

Nell'autunno del 1 860, le Marine degli Stati regionali italiani si fondevano tra loro, dando vita alla Marina nazionale. La flotta eredi­ tava le unità dei vecchi Stati ed era quindi assai eterogenea, ma risultava utile come primo strumento al servizio di una politica colo­ niale incipiente, che l'Italia, nel suo piccolo, intendeva avviare. In un quadro internazionale prudente, che prevedesse intese e non contrasti armati con altre potenze, l'armamento di bordo delle navi disponibili - magari antiquate, ma pur sempre europee - era sufficiente. Del resto, già il regno delle due Sicilie e quello di Sardegna avevano progettato di stabilire in altri continenti colonie penali. Sulla stessa linea si mossero dopo l'Unità i primi governi nazionali, che pensarono alle Nicobare, alle Maldive, a Socotra, a località dell'Indonesia, della Nuova Guinea, delle Filippine, delle Antille, della Groenlandia, delle Falkland. Nel 1 867 la corvetta Ettore Fieramosca fu inviata sulle coste dell'A­ frica orientale alla ricerca di un luogo adatto per una colonia peniten­ ziaria, ma le conclusioni furono negative. In quello stesso periodo veniva compiuto il primo periplo del globo da parte di una unità militare : il viaggio di circumnavigazione della pirocorvetta Magenta, al comando del CF Vittorio Arminjon. La nave partì da Montevideo, dove si era trasferita come stazionaria, il 2 febbraio 1 866, attraversò l'Atlantico e passando molto al largo del capo di Buona Speranza risalì l'oceano Indiano verso le isole della Sonda, da dove, toccando Singapore e Saigon, giunse a Y okohama il 5 luglio. In Giappone e poi in Cina, il comandante della Magenta stipulò i primi trattati tra l'Italia e quei paesi, con i quali non si avevano precedentemente relazioni diplomatiche. Successivamente, nel lungo e lento viaggio di ritorno, la corvetta seguì le coste della Cina,

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l'Indonesia, l'Australia e poi attraversò il Pacifico, approdando al Callao il 12 agosto 1 867. Di là, attraverso il canale di Magellano, ritornò a Montevideo e infine, attraversato per la terza volta l'Atlantico, rientrò in Italia, a Napoli, il 28 marzo 1 868. Oltre alla missione diplomatica, la nave riportava in Italia il frutto di osservazioni scienti­ fiche e di studi che erano stati curati dal sen. De Filippis, morto ad Hong Kong, e dal naturalista Giglioli, anch'essi imbarcati. Tale impresa, anche se non fu finalizzata strettamente alla ricerca di colonie - ché scopo primario era lo stabilimento di relazioni commer­ ciali - ebbe tuttavia un impatto importante sulla politica coloniale del nuovo Stato, sia per le osservazioni ed i suggerimenti puntuali che ne derivarono, sia per l'apertura generale verso il mondo lontano che dalla circumnavigazione della Magenta derivarono. E infatti, un mese dopo il ritorno in patria della Magenta, salpò da Genova per l'estremo Oriente la Principessa Clotilde, col compito, tra l'altro, di ricercare nell'area della Sonda un territorio adatto alla installazione di una colonia penale. Ma le proposte che sortirono da quella missione - condizionate dalla necessità di un preventivo assenso britannico - come quelle degli esploratori Moreno e Cerruti, non ebbero in pratica alcuna attuazione. Intanto alle esigenze di assicurare la presenza della bandiera per fini politici e commerciali e di ricercare il luogo idoneo ad una colonia penitenziaria si affiancava, sempre più rilevante, la necessità di soste­ nere, con una opportuna presenza navale, le colonie di emigrati, provenienti dalle diverse regioni italiane ora riunite nel regno. Questo portava in primo piano soprattutto l'America meridionale, area di recente indipendenza, caratterizzata anche per questo da nazionalismi spinti e non certo assumibile come obiettivo per una politica coloniale vera e propria. La Marina militare italiana continuò peraltro a mantenere una pre­ senza ed una attenzione alle possibili occasioni che si fossero presentate per avviare un insediamento nell'Asia orientale, con le missioni, tra gli anni '70 e '80, delle unità Vettor Pisani, Garibaldi, Governolo, Vedetta) Cristoforo Colombo (che compì due volte il periplo del globo), Europa e Caracciolo. L'unico tentativo che ebbe un minimo di consistenza fu quello - conseguente alle missioni dei comandanti Racchia, con la Principessa Clotilde, e Accinni, con la Governolo - relativo all'occupazione


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dell'isola di Banguey, di fronte all'estremità settentrionale di Borneo, tra il 1 872 e il 1 873. Fu richiesto l'assenso britannico, ma intanto le indiscrezioni della stampa italiana rendevano lacrimevole il caratteJ;e segreto delle missioni navali e delle speranze del governo di Roma. Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti e Spagna - che avevano interessi nella zona - si mostrarono ostili e l'iniziativa non andò avanti. Nella lettera del 1 9 febbraio 1 873 diretta al console d'Italia a Singapore, il ministro degli esteri Visconti Venosta motivava così la rinuncia : « ( . . . ) L'Italia non ha mai formato alcun progetto che potesse in alcuna guisa ledere i diritti degli Stati che l'hanno preceduta nello stabilire relazioni commerciali e coloniali in codeste lontane regioni ( . . . ) il governo del re, il quale è alieno non solo da procurarsi imbarazzi internazionali per questo affare delle colonie, ma desidera invece procedere in esso d'accordo con le potenze amiche interessate, ritenne non conveniente addivenire a nessun atto di natura tale da pregiudicare la questione ( . . . ) ». Un episodio di particolare importanza, tenuto conto dell'impegno che comportò per la Marina militare del nuovo Stato unitario e delle ambizioni che pose in evidenza, fu quello che riguardò la Tunisia nel 1 864. In questo paese già da decenni esistevano significativi interessi italiani - nel 1860 vi si contavano circa 8.000 emigrati, molti dei quali commercianti con una buona posizione nell'economia locale - e quando, nell'aprile 1 864, il console Gambarotta segnalò l'imminente scoppio di gravi disordini, il governo di Torino decise di assicurare in loco una presenza navale a protezione dei concittadini. La protesta della popola­ zione beduina era diretta contro il governo del bey - e in particolare contro il primo ministro Kasnadàr - che aveva aumentato la pressione fiscale, ma i disordini rischiavano di ritorcersi contro i residenti europei. Qualche unità inglese e francese era già sul posto. Dalle basi liguri partirono d'urgenza, il 23 aprile, la fregata Garibaldi e la corvetta Etna, dirette in Tunisia, seguite pochi giorni dopo dalla squadra al comando dell'ammiraglio Albini, composta dalle fregate Maria A delaide e Duca di Genova e dalla corvetta Magenta, oltre che dal piroscafo Sirena adibito ai collegamenti. Altre unità seguirono nelle settimane seguenti, cosicché verso la fine di maggio quasi tutta la forza navale italiana disponibile si trovava concentrata nelle acque della Tunisia. Le iniziali istruzioni del ministro degli esteri, Visconti Venosta, per-

venute il 3 maggio all'Albini, escludevano ambizioni territoriali e li­ mitavano il compito della squadra alla protezione dei sudditi italiani, nel quadro di una perfetta intesa internazionale. Una tale intesa, peraltro, non era così facile da conseguire, ché i comandanti delle forze navali francesi ed inglesi presenti a Tunisi avevano punti di vista diversi : propenso all'uso della maniera forte il francese, più cauto l'inglese, ed entrambi sospettosi l'uno dell'altro. Il 24 maggio giunse anche una formazione navale ottomana di 3 unità, al comando del commissario imperiale Haidir Effendi, mentre le squadre europee si rafforzavano, soprattutto quella francese, comandata dall'am­ miraglio Bouet de Willaumetz. Il contrasto tra francesi e inglesi - i primi propendevano per uno sbarco, i secondi vi si opponevano - preoccupava l'ammiraglio italiano e il governo di Torino, che continuava a racco­ mandare l'accordo con tutte le altre forze navali presenti a Tunisi. Tuttavia in giugno, mentre l'insurrezione beduina dilagava, da parte italiana fu presa in seria considerazione l'ipotesi di uno sbarco. In proposito, furono redatti due piani, il primo del magg. Ricci, che prevedeva l'occupazione di Tunisi e della Goletta, il secondo dell'amm. Albini, che aveva obiettivi più vasti dal punto di vista territoriale, includendo operazioni anche a Susa e Sfax e ventilando anche l'ipotesi che «il governo del re creda di dare a questa occupazione un carattere politico». Il piano del Ricci avrebbe dovuto essere attuato da una forza di circa 4.000 uomini, quello dell'Albini da oltre 1 0.000. In ogni caso, l'elemento decisivo era l'assenso di Parigi e di Londra. Se questo vi fosse stato, l'Italia avrebbe avuto forse la possibilità di impersonare il terzo che gode tra i due litiganti. Ma i francesi avevano in mente di sbarcare loro, precedendo gli inglesi, e questi ultimi non avrebbero mai consentito che i due stipiti della medesima porta marit­ tima - il canale di Sicilia - cadessero nelle mani di una sola potenza, anche se questa era debole come l'Italia del 1 864, ancora priva di Roma e con una difficile frontiera a nord-est. Così non si pose neppure, nei fatti, la questione dell'occupazione di Tunisi al tempo del governo Minghetti. La tensione decrebbe gra­ dualmente col passare dell'estate, il bey riprese il controllo del territorio e il 23 settembre, applicando una minuziosa procedura concordata tra i comandanti, le diverse squadre salpavano contemporaneamente : la questione tunisina del 1 864 era chiusa.

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Peraltro, fu questo il primo caso importante eli impiego · della l\1arina militare come strumento di politica, forse anche coloniale, da parte del governo nazionale italiano. Non solo infatti le navi da gu �rra avevano eseguito il compito di proteggere la vita e gli interessi dei connazionali, ma lo Stato aveva tratto motivo di prestigio dalla pre­ senza navale lungo le coste settentrionali dell'Africa, imponendo agli indigeni il rispetto della giovane nazione da poco affacciatasi sul mare di Sicilia, che appariva decisa a far valere i propri diritti e le proprie ambizioni, nello stile delle grandi potenze. La lunga dimostrazione navale italiana del 1 864 non aveva nulla in comune con le passate spedizioni di piccole squadre sarde e napoletane contro i porti barbareschi: questa volta il massiccio intervento della flotta nazionale aveva apertamente denunziato che l'Italia, sia pure ancora in fase di formazione e eli consolidamento, considerava Tunisi come zona di suo precipuo interesse, nella quale affermare la propria influenza. Quanto al problema se vi fosse realmente nel governo Minghetti il desiderio di occupare la Reggenza, questo esula dai limiti del presente studio. Certo, una tale eventualità era stata contemplata a Torino, ma solamente come una delle ipotesi verso cui gli sviluppi della complessa questione avrebbero potuto sfociare. L'esistenza dei piani di sbarco non significava ancora che il governo si fosse deciso per un'azione militare. Il gabinetto Minghetti, fino a tanto che la situazione politica internazionale lo rese necessario, tenne aperta la porta ad una simile possibilità; vi rinunciò non appena la questione fu chiusa; e i piani vennero accantonati per possibili future eventualità. Quando, 1'1 1 luglio 1 871, la corvetta Vettor Pisani in rotta per l'estremo Oriente gettò l'ancora nella baia di Assab, sulla spiaggia inospitale e deserta il comandante Lovera non trovò che una capanna di recente ricostruita, con la scritta «Proprietà Italiana», fiancheggiata da un'asta sulla quale era stata innalzata l'anno precedente la nostra bandiera. Era tutto ciò che restava della presa di possesso eli quel lembo di terra africana da parte del prof. Sapeto per conto della compagnia di navigazione Rubattino. Negli otto giorni durante i quali la corvetta restò sul posto attendendo a lavori di rilevamento topografico e idrografico della zona, l'equipaggio ebbe modo di constatare l'inabita­ bilità del luogo, calcinato da una temperatura torrida, senz'acqua, senza vegetazione, senza tracce di presenza umana all'infuori di quell'abituro

e di quell'asta eli bandiera: bastò quella settimana perché tra i marinai insorgessero numerosi casi di insolazione e di lichene e si diffondesse una pericolosa forma eli dissenteria, onde fu con sollievo di tutti che il 1 8 luglio la Vettor Pisani abbandonò quel litorale desolato. Quella baia squallida costituiva all'epoca ciò che l'Italia possedeva - e nemmeno ufficialmente - fuori dei suoi confmi : e per piccolo e malsicuro possedimento che fosse, era costato sforzi e trattative ed aveva causato complicazioni internazionali di vasta portata. Gli è che quel lembo insignificante di terra, nemmeno appartenente allo Stato ma ad una società privata per stabilirvi un deposito di carbone, significava l'inserimento dell'Italia nella sfera coloniale, « cominciando dal poco» ed iniziando un'azione che con l'andare del tempo avrebbe potuto risultare incomoda per Francia e Inghilterra, intente a spartirsi anche quella zona. Promotore di tale inizio di espansione era stato il padre Sapeto, l'italiano che in quegli anni meglio conosceva la regione. Fin dal 1 846 egli aveva più volte sollecitato il governo sardo ad istituire una rappresentanza consolare a Massaua per proteggere gli interessi dei connazionali ivi stabiliti; nel 1 863 aveva indirizzato al ministro della pubblica istruzione, Michele Amari, la famosa « Relazione politi­ co-commerciale sulle sponde del mar Rosso» che può essere considerata l'atto di nascita dell'espansione coloniale italiana : in essa sosteneva la necessità che l'Italia mettesse piede sulle coste dancale e dimostrava le possibilità di riuscita esistenti per noi al momento in quei luoghi, rivelando i retroscena dell'acuta rivalità anglo-francese nella zona ed assicurando l'appoggio britannico ad ogni passo del genere, in odio alla potente rivale. Ma le insistenze del Sapeto non trovarono risposta fino a quando, con l'apertura del canale di Suez, la questione poté essere ripresa. Fu utilizzata la compagnia di navigazione Rubattino, la quale - da sultani locali - prese in affitto per 1 O anni, il 1 5 novembre 1 869, la baia di Assab, scelta - dal Sapeto e dal contrammiraglio Acton - tra i pochi punti rimasti liberi sulla costa eritrea. L'anno successivo, l'area presa in affitto si ampliò fino a 100 Kmq con la rada di Buia e l'isola eli Darmahié : questo era all'inizio il «piede a terra nel mar Rosso» dell'Italia. Esso era costato in tutto 104.200 lire e non aveva suscitato reazioni nelle grandi potenze: solo l'Egitto, che aveva la sovranità teorica del territorio, si mosse, ma alla fme la situazione restò impregiudicata in favore dell'Italia.

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Nel 1 879, in concomitanza con l'aumento dell'interessé della com­ pagnia Rubattino per le rotte dell'estremo Oriente, il governo autorizzò l'impiego di unità navali militari per rilievi idrografici nella baia di Assab, esame delle sue prospettive economiche e strategiche, costru­ zione di impianti portuali. Gradualmente, malgrado difficoltà diplo­ matiche, incidenti e diffidenze, il piccolo insediamento privato della Rubattino passava di fatto allo Stato, che vi assicurava oramai, a partire dalla fine 1 879, una costante presenza di navi da guerra : gli avvisi Esploratore e Rapido, la corvetta Fieramosca, la goletta Chioggia, la torpediniera Cariddi. Il governo di Roma, dopo una lunga trattativa con Londra, poté firmare finalmente, il 1 O marzo 1 882, la convenzione che consentiva allo Stato di subentrare alla Rubattino nell'amministra­ zione del territorio, sia pure con molti condizionamenti. Il movimento del porto, limitato nel 1 880 alle navi militari e della Rubattino, passò nel 1 881 a 650 natanti, nel 1 882 a 860, nel 1 883 superò i 1 .000. Il momento dell'espansione venne nel 1 885 con P.S. Mancini mini­ stro degli esteri. Riunite nella « divisione navale del mar Rosso», al comando del contrammiraglio Calmi, erano presenti in quel mare la corazzata Castelfidardo, l'incrociatore Vespucci, la corvetta Garibaldi e gli avvisi Esploratore, Barbarigo, Messaggero e Vedetta, cui si aggiunsero la fregata A ncona, la corvetta Vettor Pisani, il piroscafo Conte di Cavour e sei torpediniere. La Castelfidardo sbarcava i suoi marinai a Beilul, impadronendosi della località come rappresaglia per l'eccidio, avvenuto nell'ottobre precedente, della spedizione Bianchi ad opera dei dancali. L'intera squadra, poi, schierata dinanzi a Massaua, otteneva il controllo del porto e della costa fino ad Assab, area sulla quale veniva procla­ mato il protettorato italiano e dalla quale veniva eliminata ogni pre­ senza amministrativa e militare egiziana. La colonia eritrea in tal modo era nata, e più di tutti vi aveva concorso la Marina, che fece subito di Massaua la base principale per erodere di interdizione nel mar Rosso, a fianco degli inglesi, contro la tratta degli schiavi, che da secoli si svolgeva indisturbata dalle terre etiopiche verso i mercati dell'Arabia. Si può ricordare come anche gli avvenimenti di due anni dopo, quando, dopo Dogali, parve che la pressione abissina potesse sboccare nell'investimento di Massaua, chiamarono in causa la flotta. La Marina italiana aveva allora in mar Rosso 1 2 unità, e furono tutte mobilitate

per fronteggiare l'emergenza. Due unità la corvetta Garibaldi e il trasporto Città di Genova furono adibite a navi ospedale, m�ntre le altre 10 furono integrate nella difesa di Massaua, venendo d1slocate lungo la costa in modo di poter battere c�n le loro a�tiglierie i� terreno circostante alla città, a sostegno del fort1_ e del centn_ d1 resistenza stabiliti dall'esercito ad interdizione delle probabili prove­ nienze di colonne assalitrici abissine. Una batteria della Marina fu schierata nell'avamposto di Sheràr e su tutte le navi un terzo degli equipaggi furono tenuti pronti come reparti da sbarco. Tuttavia, la minaccia contro Massaua non si attuò e le unità navali ripresero ben presto i loro compiti di stazione, perlustrazione e sorveglianza. Anche per la costa somala dell'oceano Indiano, che esploraton. e studiosi avevano segnalato fin dal 1 870 al governo di Roma come area di possibile penetrazione italiana, gli approcci necessari furono condotti dalla Marina. Dopo aver marcato nel 1 879 una prima presenza con l'avviso Rapido e la corvetta Vettor Pisani, nel 1 885, su iniziativa del ministro degli esteri Mancini, la Marina trasportò l'esploratore Cecchi, con l'avviso Barbarigo, a Zanzibar, dove da parte italiana si stabilirono i primi rapporti con il sultano Bargash ben Said, sovrano della costa africana dal capo Guardafui a Mozambico. Obiettivo del Cecchi e del CF Fecarotta, comandante del Barbarigo, era di ottenere dal sultano qualche concessione territoriale, ma urtarono contro un atteggiamento minaccioso della Germania, tendente ad � ffermare �h� _ _ ato ultenon qualunque concessione territoriale all'Italia avrebbe gmst1f1 : _ �tal�. espansioni del già esistente protetto�ato tedes �o dell'Afn:a one Fu quindi stipulato solo un trattato d1 commercw tra Zanz1bar e l Italia - ratificato il 1 6 ottobre 1 886 - che riconosceva all'Italia il trattamento della nazione più favorita e il permesso di insediare fattorie nei domini del sultano. Tre anni dopo incominciava senza successo la pressione italiana per ottenere la cessione di Chisimaio. L'obiettivo quindi fu spostato a Nord, mentre la Staffetta e il Dogali mantenevano a turno una presenza navale italiana a Zanzibar. . Il console Filonardi, giunto nel febbraio 1 889 a bordo del Dogalz, ottenne dal sultano locale che i territori di Obbia fossero posti sotto protettorato italiano, dietro pagamento di un affitto annuo (1 .200 talleri, poi portati a 1 . 800). L'8 febbraio il tricolore fu alzato sulla �

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residenza del sultano e subito dopo il protettorato si estese a Nord, fino al confine orientale del Somaliland britannico con le �issioni ' degli avvisi Rapido e Staffetta, i cui comandanti Amoretti e Porcelli firmarono il 7 aprile col sultano dei Migiurtini, J usuf, un accordo simile a quello del marzo per Obbia. Questo consentiva il l9 novembre 1 889 al Crispi, presidente del consiglio e ministro degli esteri, di comunicare alle potenze che l'Italia aveva assunto il protettorato del litorale somalo, salvo i quattro scali marittimi del Benadir (Brava, Merca, Mogadiscio e Uarsceik), che rappresentavano però i punti più interessanti della lunghissima costa perché vi facevano capo le vie carovaniere provenienti dall'interno. Mentre riprendeva la costante presenza navale italiana, inglesi e te­ deschi si accordavano sulle rispettive zone di influenza in Africa orientale e finalmente i quattro porti del Benadir, tra il protocollo del 24 marzo 1 891 e la convenzione del 1 2 agosto 1 892, passavano all'am­ ministrazione, politica e giudiziaria, italiana, dietro pagamento al sul­ tano di Zanzibar di un canone annuo di 120.000 rupie. La gestione dei porti fu subconcessa alla società Filonardi. Ma rimaneva da affermare ancora concretamente il dominio dell'Italia sulla lunghissima costa. La costruzione di quella che fu la colonia italiana della Somalia fu affidata in grandissima parte all'azione della Marina che nell'ultimo decennio del sec. XIX operò senza soste per estendere su quel vasto litorale l'influenza italiana, anche pagando - quando fu inevitabile - prezzi dolorosi, come i due uomini del Volta uccisi a Uarsceik nel 1 890, l'ufficiale della Staffetta pugnalato a Merca nel 1 893, i comandanti della Volturno e della Staffetta con tredici loro uomini a Lafolè nel 1 896. Ma le navi che abbiamo appena ricordato, con il Piemonte, la Curtatone, il Dogali, la Governolo, l'Elba, il Cristoforo Colombo, contribuirono in maniera decisiva alla nascita reale della colonia italiana di Somalia. Lo stretto controllo dal mare sui centri costieri e sul commercio la ' lotta alla tratta degli schiavi a somiglianza di quanto avveniva con ancora maggiore impegno nel mar Rosso, la protezione concreta agli insediamenti nazionali, tutto questo ed altro fu assicurato da quelle vecchie unità della flotta, costruite per navigare in altri tempi e in altri mari, che tuttavia furono sufficienti come strumenti di successo per la prima realizzata politica coloniale italiana, timidamente portata

avanti con le possibili cautele in mari lontani tra le infinite difficoltà che provenivano dalla debolezza dell'Italia e dalla forza degli affermati imperialismi altrui. Dopo il viaggio della Magenta, che aveva mostrato per prima in estremo Oriente la bandiera del regno d'Italia, ottenendo i primi accordi commerciali con la Cina e il Giappone, varie altre unità della Marina militare visitarono quei porti nel successivo ventennio, com­ piendovi soste più o meno prolungate. I rapporti commerciali con la Cina e la presenza italiana in quel paese, tuttavia, restarono per molto tempo su un livello inferiore a quelli delle altre potenze europee. Ma nell'ultimo decennio del secolo l'aggravarsi della crisi interna dell'impero cinese e le annessioni e con­ cessioni che Russia, Germania, Francia, Inghilterra e Giappone vi avevano ottenuto, indussero il governo italiano a sbilanciarsi per ottenere a sua volta una qualche concessione in Cina. Dal giugno 1 898. era diventato ministro degli esteri l'amm. Caneva­ ro. Il rappresentante diplomatico italiano a Pechino, ministro De Martino, e il CV Incoronato, comandante dell'incrociatore Marco Polo, che assicurava dal marzo la presenza navale italiana nelle acque cinesi, lo convinsero che era venuto il momento favorevole per realizzare l'aspirazione italiana ad una concessione in Cina e gli indicarono anche il luogo più adatto : la baia di San Mun, nella provincia di Ce Kiang. Il Canevaro si convinse di avere dalla sua il consenso britannico e l'indifferenza degli altri e fece presentare dal De Martino al governo cinese, il 4 marzo 1 899, la richiesta italiana di ottenere in concessione la baia di San Mun e il riconoscimento di interessi esclusivi nella provincia di Ce I<.iang. Al secco rifiuto cinese, si pensò di agire con la forza, benché in quelle acque si trovassero allora soltanto gli incro­ ciatori Marco Polo ed Elba. Le richieste italiane dovevano essere ripre­ sentate sotto forma di ultimatum. Il Canevaro avviò l'azione diploma­ tico-militare con il telegramma n. 663, partito da Roma alle 1 2,30 dell'8 marzo 1 899, con cui autorizzava il De Martino a presentare l'ultimatum, dando quattro giorni al governo di Pechino per accettare in linea di principio le richieste. Ma subito dopo il ministro degli esteri parlò con l'ambasciatore britannico a Roma, P. Currie, che reagì molto negativamente, !asciandolo deluso e preoccupato. Fu quindi trasmesso al De Martino - alle ore 1 6,20 di quello stesso giorno - un

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nuovo dispaccio urgente - n. 569 - con il quale gli si ordinava di sospendere l'ultimatum fmo a nuove istruzioni. Disgraziatamente i. due messaggi giunsero a Pechino in ordine inverso a quello di parten?a, forse perché il secondo era stato spedito con urgenza, e il De Martino presentò l'ultimatum il 1 0 marzo. L'equivoco fu disastroso. Il Canevaro, premuto dagli ambasciatori inglese e tedesco, ordinò al De Martino di ritirare l'ultimatum e di rientrare in Italia « a rendere conto della sua condotta». Il De Martino era in buona fede, ma la brutta figura e le campagne della stampa contro il governo, presieduto dal gen. Pelloux, indussero questi alle dimissioni per costituire un nuovo gabinetto nel quale il Canevaro veniva sostituito agli esteri dal Visconti Venosta. La trattativa per San Mun fu precipitosamente abbandonata, mentre a Pechino il mini­ stro Salvago Raggi prendeva il posto del De Martino in una sgrade­ vole e difficile situazione. A maggio arrivava poi nelle acque cinesi, sull'incrociatore Stromboli, il CA Grenet, nominato comandante della neocostituita divisione navale dell'estremo Oriente, che comprendeva anche il Marco Polo e l'Elba. Egli era munito di istruzioni precedenti alla conclusione della vicenda di San Mun, ma tuttavia prudenti, che indicavano che il governo italiano non aveva intenzione di «avviarsi ad una politica di avventure coloniali o di conquiste territoriali». Il CA Grenet, adattandosi alla nuova situazione, utilizzò i tre incrociatori della divisione - come pure le altre unità che vennero in seguito ad aggiungersi od a sostituirsi ad essi - per mantenere la presenza italiana nelle acque dell'estremo Oriente facendo attenzione ad evitare incidenti e tensioni con le forze cinesi. La rivolta dei Boxers e i successivi avvenimenti costituirono l'occa­ sione per l'acquisizione all'Italia della concessione di Tien-T sin. Nel febbraio 1900 il CA Grenet era stato richiamato in Italia e la divisione navale dell'estremo Oriente era stata sciolta, ma il precipitare della situazione in Cina diede luogo dopo poco alla ricostrituzione della divisione, che prese il nome di « Forza navale oceanica» e fu posta al comando del CA Candiani. Intanto, in Cina, le unità navali europee si erano concentrate - in relazione all'aggravamento delle condizioni di sicurezza delle legazioni e degli stranieri - nel porto di Ta-Ku, il più vicino a Pechino, dove fu fatto sbarcare un distaccamento composto da marinai delle navi presenti - tra cui l'incrociatore italiano Elba - e av-

viato d'urgenza a difendere il quartiere delle legazioni nella capitale cinese, dove la colonna arrivò il 31 maggio. n giorno successivo giunse a Ta-Ku anche l'incrociatore Calabria e fu fatto subito partire un distaccamento itala-francese, che però dovette fermarsi a Pechino. In­ tanto la situazione si aggravava e, per corrispondere alle richieste di aiuto che giungevano dagli europei assediati, fu messa insieme a Ta-Ku una forza internazionale di 2.000 uomini, tratti dagli equipaggi delle navi che, al comando del VA inglese Seymour, il 9 giugno partì per Tien-Tsin, proseguendo poi verso Pechino senza riuscire però a rag­ giungerla. Ma il governo cinese era sempre più influenzato dagli elementi xenofobi ed anche le truppe imperiali si muovevano. Di fronte ad operazioni ostili delle forze regolari cinesi, la flotta internazionale, il 1 7 giugno, bombardò e occupò il forte di Ta-Ku e il 21 giugno il governo cinese dichiarò guerra alle potenze. Seguì - come noto - la famosa marcia su Pechino del corpo di spedizione internazionale, formato in buona parte da marinai, che agli ordini del comandante britannico Craddock raggiunse la capitale e vi fece irruzione la mattina del 14 agosto. Dall'Italia intanto erano state fatte partire isolatamente, data l'ur­ genza, mano a mano che venivano approntate, le unità della Forza oceanica. Giunse per prima a Ta-Ku, a metà agosto, l'incrociatore Fieramosca, con a bordo l'amm. Candiani, e poi il Vettor Pisani, lo Stromboli che scortava i piroscafi Giava, Singapore e Minghetti - i quali trasportavano circa 2.000 uomini tra bersaglieri e fanti - e per ultimo l'incrociatore Vesuvio, attardato a Singapore da una avaria al motore. Non hanno interesse diretto le successive vicende cinesi che videro le forze armate internazionali, al comando del maresciallo tedesco Von Waldersee, operare contro le forze regolari cinesi e i Boxers e che si conclusero con il trattato di Pechino del 7 settembre 1 901 . Il trattato riconosceva all'Italia una piccola concessione a Tien-T sin di 46 Kmq con 17.000 abitanti e un fronte di 900 m. sulla riva sinistra del fiume Pei-Ho. Nella vicenda la Marina aveva perduto in combattimento 19 uomini : 13 dell' Elba nella difesa delle legazioni e delle missioni a Pechino, 6 del Calabria a Tien-Tsin e con la colonna Seymour. Fino al 1 9 1 2 la concessione fu abbastanza trascurata : vi si costruì solo una casermetta per il maresciallo e gli otto carabinieri che vi rappresentavano l'Italia.


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L'impegno diretto più importante che ebbe la Marina nelì'attuazione della politica coloniale italiana è da collegarsi alla guerra italo-tu.rca che condusse alla conquista della Libia. Nel cinquantenario dell'Uni�à - cogliendo un momento favorevole della congiuntura internazionale, che aveva sfiorato un conflitto europeo nell'estate del 1 9 1 1 - le aspirazioni italiane all'occupazione di un consistente tratto della costa africana del Mediterraneo trovarono un momento favorevole. Dei tre compiti fondamentali affidati alla flotta nelle campagne d' ol­ tremare, quello strategico appariva sulla carta, alla fine dell'estate 1 9 1 1 , come i l più agevole, tanta era la disparità dei mezzi tra l a Marina italiana e quella ottomana; quello logistico era evidentemente più complesso, data l'imponenza dei trasporti preventivati per far affluire sul teatro delle operazioni con la maggior rapidità possibile forze sufficienti e ben fornite di armi e materiali; il compito tattico, infine, per le necessità di urgenza imposte dalla situazione diplomatica e dalle circostanze politiche, risultava senza dubbio, specialmente nei primi giorni dell'impresa, come il più gravoso. Fu infatti sulla flotta, mobilitata all'ultimo momento, che ricadde tutto il peso del primo attacco alla sponda africana, e così pure soltanto la flotta si trovò a dover affrontare una pericolosa molteplicità dei teatri di operazioni, in conseguente parziale indipendenza dall'azione bellica delle forze di terra : in tale molteplicità delle zone operative, inoltre, data la disparità dei mezzi, ogni sia pur minimo scacco che le navi ottomane fossero riuscite, per abilità o per fortuna, ad infliggere a nostri reparti navali o anche a singole unità avrebbe avuto un'enorme risonanza in campo internazionale. All'apertura delle ostilità (ore 14 del 29 settembre) l'armata navale italiana, con la denominazione di « Forze navali riunite», sotto il comando del VA A. Aubry, risultava così distribuita : - I squadra, al comando del comandante in capo : quattro coraz­ zate, Vittorio Emanuele, Regina Elena, Roma, Napoli ; tre incrociatori, Pisa, A malfi, San Marco ; due esploratori, Agordat e Partenope ; - II squadra, al comando del VA L. Faravelli : tre corazzate, Benedetto Brin, Saint Bon, Emanuele Filiberto ; quattro incrociatori : Gari­ baldi, Varese, Ferruccio, Marco Polo; due esploratori : Coatit e Minerva ; - divisione navi-scuola, al comando del CA R. Borea Ricci : quattro corazzate : Re Umberto, Sicilia, Sardegna, Carlo A lberto ;

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ispettorato siluranti, al comando del CA duca degli Abruzzi : incrociatore Vettor Pisani, con il Lombardia come nave appoggio sommergibili. Il naviglio silurante fu ripartito all'inizio tra il comando in capo e l'ispettorato siluranti, ma tale ripartizione subì in seguito frequenti variazioni, in relazione alle particolari esigenze operative dei gruppi delle navi maggiori. Il giorno 28, alla vigilia dell'apertura delle ostilità, quella parte della flotta ottomana che era stata concentrata a Beirut (quattro corazzate e sette caccia, con un trasporto militare) salpò dal porto libanese, ingenerando il timore che dirigesse verso le coste della Cirenaica, e costringendo pertanto le forze navali riunite, in corso di mobilita­ zione, a disperdersi affrettatamente per intercettare l'eventuale movi­ mento del nemico : ma le navi turche raggiunsero invece sollecitamente Costantinopoli. Fu questo un motivo di confusione, che contribuì a rendere più difficile il compito delle navi spedite in gran fretta verso Tripoli, urgendo al governo creare a quel punto il «fatto com­ piuto» di un'occupazione fulminea e possibilmente poco costosa. L'amm. Faravelli giunse la mattina del 1 o ottobre al largo del porto di Tripoli, al comando di otto navi da battaglia e di un buon numero di siluranti. Nel porto si trovava soltanto una vecchia cannoniera turca, la Sryad Derià ; i connazionali della città erano stati già raccolti ed avviati ad Augusta, insieme a quei residenti stranieri che avevano chiesto di essere evacuati; si riteneva che la piazza non sarebbe stata in grado di resistere a lungo ad un attacco dal mare; comunque, stava di fatto che un contingente notevole di truppe terrestri appariva indispensabile per poter effettuare lo sbarco, anche dopo la neutraliz­ zazione dei forti; Roma intanto sollecitava all'azione immediata, per considerazioni di ordine politico. Il mattino del 2 ottobre venne intimata la resa e il giorno seguente, alle 15 30 veniva aperto il fuoco da circa 7.000 metri di distanza. Il ' ' bombardamento durò fino a dopo il tramonto, ora in cui l'ammiraglio, osservati gli effetti del tiro, poté ritenere che le principali opere fortificate fossero state rese ormai inoffensive. La mattina del 4 ottobre la divisione Revel riprese a colpire il forte Hamidiè e il Re Umberto riaperse il fuoco sul forte Sultania : ma dopo mezz'ora, non riscon-


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trandosi alcuna reazione nemica ed apparendo le opere completamente smantellate, l' amm. Faravelli ordinò di cessare il fuoco. Egli doveva, a questo punto, prendere da solo una decisione sul da farsi : il governo gli aveva bensì ordinato di affrettare il bombarda­ mento di Tripoli, quale urgente necessità di un'azione di forza richiesta da ragioni di politica generale, ma nessuna direttiva era stata impartita sulla maniera di affrontare la situazione che il bombardamento avrebbe determinato. Fu atto di coraggiosa iniziativa la decisione di effettuare lo sbarco con forze decisamente insufficienti, mentre il Ministero trasmetteva consigli di prudenza, poiché le truppe sarebbero state pronte a partire dall'Italia solamente il giorno 10. Erano disponibili per lo sbarco poco più di 1. 700 uomini tratti da tutte le navi, bastanti a mantenere l'ordine in città, qualora ne fossero uscite le truppe regolari turche, ma non certo per un attacco a viva forza contro i reparti nemici in difesa. Così fu stabilito che venissero occupate all'alba del 5 le rovine dei forti, impegnando la metà del contingente disponibile ; poi, essendo riuscita tale operazione senza colpo ferire, nel pomeriggio l'altra metà iniziava l'occupazione dell'a­ bitato, che si svolse anch'essa senza incidenti : alle 1 7, tutti i 1 . 732 uomini del corpo di sbarco, divisi in due reggimenti e posti agli ordini del CV U. Cagni, erano a terra e a sua volta l'ammiraglio poteva dar notizia al Ministero del buon esito dell'impresa. Ma occorreva ora provvedere alla difesa della città contro le truppe ottomane che si erano ritirate nell'oasi e nella regione circostante, dove sollevavano ed armavano le tribù arabe per la guerra santa contro gli infedeli invasori. Il 6 ottobre cominciò per gli uomini della Marina, che presidiavano la città occupata, una settimana di vigile attesa. Solo nella notte tra il 9 e il 10 ottobre si manifestò un primo sintomo di reazione nemica ai pozzi di Bu-Mliana, che assicuravano il rifornimento idrico alla città : l'attacco, condotto da pattuglie arabo-turche, venne respinto dai marinai di guardia, appoggiati dai tiri del Sardegna e del Carlo A lberto : il Cagni stesso diresse l'azione. La mattina dell' 1 1 comparvero all'orizzonte i trasporti Verona e A merica con i primi contingenti delle forze terrestri, che precedevano di un giorno il grosso della spedizione. Alle ore 9 del 1 2 tutto il convoglio gettava le ancore in rada ed aveva termine la settimana di passione della Marina. Con le truppe era il gen. Caneva, nominato

comandante in capo delle forze di occupazione e governatore generale, al quale l'amm. Faravelli trasmise i poteri. L'occupazione di Tripoli e la difesa della città sino all'arrivo dell'esercito è episodio Hn troppo noto, che valeva la pena di ricordare soltanto per essere stata la più importante operazione tattica della Marina sulla sponda africana. Ma nello stesso tempo e successivamente altre occupazioni ed altri fatti d'arme avvenivano, in cui la Marina ebbe parte preponderante, da Marsa Tobruk (4 ottobre) a Derna (17 ottobre), a Bengasi (19-20 ottobre), a Homs (21 ottobre), o comunque si distinse per una valorosa partecipazione, come a Sciara Sciat (23-26 ottobre) e altrove. A novembre, la promulgazione del decreto di sovranità sulla Tri­ politania e sulla Cirenaica chiariva l'incerta situazione politica e apriva alla Marina, ormai libera da pesanti impegni sulle coste libiche, un nuovo campo di azione nel Mediterraneo orientale, per l'ulteriore prosecuzione delle operazioni belliche contro la Turchia. La presenza della flotta nel Mediterraneo orientale avrebbe dato copertura piena contro eventuali velleità turche di ritentare dal mare un approccio alle coste della Tripolitania e della Cirenaica; avrebbe inoltre consentito di portare la guerra in territorio nemico per un'a­ zione risolutiva. Ma molti progetti aggressivi dovettero essere accan­ tonati per le reazioni politiche di potenze europee, specie dell'Au­ stria-Ungheria, alleata dell'Italia nella Triplice. Peraltro, la pressione della Marina italiana nel bacino orientale del Mediterraneo andò accentuandosi sempre più durante il 1 9 1 2. Il 24 febbraio l'amm. di Revel, con il Garibaldi, il Ferruccio e l'incrociatore ausiliario Duca di Genova, affondò nel porto di Beirut due navi da guerra turche, la cannoniera A vvi!!ah e la torpediniera A ngora . Alla fine di marzo era pronto un piano di investimento navale dell'alto e del basso Egeo, che si concretizzò in aprile con il bombardamento dei forti turchi all'ingresso dei Dardanelli - che diede luogo alla chiusura degli Stretti da parte della Turchia - e, in maggio, con la conquista di Rodi e delle Sporadi meridionali. Questa operazione poté essere realizzata attraverso una serie di sbarchi, per i quali furono determinanti il concorso e l'azione della flotta. Ma il possesso italiano del Dodecaneso suscitò timore e sospetto nell'ambiente internazionale, specie nelle grandi potenze marittime occidentali, Francia ed Inghilterra, che non vedevano crescere con

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favore il potere navale italiano nel Mediterraneo. Il 20 giugno l'Am­ miragliato faceva notare al Foreign Office che la politica navale inglese nel Mediterraneo era fondata sul presupposto che il bacino orientale potesse essere controllato dalle forze britanniche di Malta : «fattote fondamentale di tale condizione è stato naturalmente che nessuna forte potenza navale occupi permanentemente alcun territorio o porto ad Est di Malta ( . . . ). La posizione geografica di quelle isole abilita la potenza sovrana, se in possesso di una Marina, ad esercitare il controllo sul commercio del Levante e del mar Nero e a minacciare la nostra posizione in Egitto in una misura mai verificatasi in precedenza». Mentre quindi si profilavano complicazioni internazionali, la flotta turca restava al riparo nei sicuri ancoraggi dei Dardanelli, rendendo vana l'attesa della squadra italiana in Egeo. Nacque così l'idea di forzare lo stretto nella speranza di giungere a tiro delle navi nemiche. N ella notte tra il 1 8 e il 1 9 luglio una flottiglia italiana di cinque siluranti (Spica, Perseo, A store, Climene, Centauro), agli ordini del CV Millo, forzò i Dardanelli, navigando ad alta velocità fino al punto più stretto del passaggio marittimo e rientrando poi indenne - una volta constatata l'impossibilità di raggiungere le navi avversarie - sempre navigando alla massima velocità sotto il fuoco dei forti turchi. Questa azione, benché non avesse provocato la perdita di unità nemiche, ebbe un forte impatto sull'opinione pubblica e probabilmente anche sulla crisi politica interna della Turchia, che sboccò nella costi­ tuzione di un governo favorevole alla pace, i cui preliminari furono firmati a Losanna il 1 5 ottobre 1 912. La guerra italo-turca era stata condotta a termine con la partecipa­ zione preminente della flotta, il cui intervento era stato determinante in quasi ogni fase delle operazioni. Le azioni di sbarco, di scorta ai convogli e di appoggio alle truppe terrestri con bombardamento dal mare avevano rappresentato il con­ tributo concreto della Marina alla conquista del territorio libico. Quando non avevano sparato, i cannoni delle navi erano serviti a tenere a bada, con il loro minaccioso apparire dal mare, le formazioni arabo-turche. Il blocco posto alle coste della Tripolitania e della Cirenaica aveva impedito in notevole misura il contrabbando di armi, di munizioni e di uomini a favore dell'avversario : in dodici mesi di guerra erano state visitate o catturate ben ottocento navi.

Gli sbarchi a Tripoli, Derna, Bengasi e nelle isole dell'Egeo e infine gli audaci raids nei Dardanelli, come pure tutte le operazioni di rico­ gmzlOne, non erano costati alla Marina che la perdita fortuita di una sola nave da guerra, il cacciatorpediniere Freccia, affondato da una tempesta nel porto di Tripoli. Una flotta che per scarsezza di combu­ stibile e di munizioni aveva dovuto sempre prepararsi con il minimo di allenamento, aveva eseguito con tale esattezza gli ordini ricevuti che si sarebbe detta uscita - come quelle delle grandi potenze indu­ striali - da lunghi e costosi periodi di esercizio. Il rifornimento di combustibile, di munizioni e materiali, di viveri, nell'ordine di centinaia di migliaia di tonnellate, era stato continuo e autonomo : durante le lunghe crociere, nemmeno un'unità aveva avuto bisogno di chiedere carbone ad un porto neutrale o esplosivi a ditte straniere. La guerra aveva dimostrato che l'Italia poteva contare su due fattori es � enziali della politica navale di una nazione : il fattore-organizzazione e 1l fattore-uomo. Le eterne logoranti operazioni, su navi in maggior parte antiquate, in difficili condizioni di navigazione, avevano rappre­ sentato una soddisfacente prova di resistenza e di perizia nautica e militare degli Stati maggiori e degli equipaggi. Chiusi per giorni e giorni nelle siluranti, la cui scarsa abitabilità rendeva estremamente difficile la vita a bordo, ufficiali e marinai avevano portato a termine le missioni ordinate loro, sempre nel migliore dei modi. Tutte le operazioni, dal blocco alle scorte ed alle incursioni, erano state com­ piute con navi che per lo più erano state definite dagli esperti stranieri come totalmente prive di valore bellico, tanto che gran parte delle unità adoperate durante la campagna contro i turchi erano destinate a scomparire poco dopo dai ruoli dell'armata. Intanto, con l'acquisto della Libia, la politica coloniale italiana sboccava in un cambiamento sostanziale della geografia politica e stra­ tegica del Mediterraneo. Se la nuova colonia soddisfaceva le ambizioni dell'imperialismo italiano, che otteneva di fronte alle coste meridionali del paese una grande area coloniale che compensava la delusione di Tunisi di trent'anni prima, per la Marina si apriva un nuovo teatro d'impegno, i cui effetti dipendevano da molte incognite. Una grande colonia vicina avrebbe comportato un aumento considerevole degli impegni navali a regime, con imprevedibili conseguenze in tempo di guerra. Poteva darsi, infatti, che il controllo delle basi africane di

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nuova acqu1SlZ10ne - insieme a quello di Rodi e delle Spòradi meri­ dionali - costituissero elementi di forza in un eventuale confron.to che la Marina avesse dovuto sostenere nel Mediterraneo . Ma poteva anche darsi che la moltiplicazione degli impegni si traducesse in un grave indebolimento del potere navale italiano, vincolato per l'alimentazione e la difesa della colonia ad una serie di condizionamenti operativi molto pesanti da sostenere in caso di scontro con altre potenze navali. Le lezioni delle due grandi guerre mondiali del XX secolo stanno a dimostrare - al di là delle specifiche fattispecie e dei singoli eventi - la sostanziale esattezza di una tale considerazione. L'ultima guerra coloniale italiana non vide una partecipazione ope­ rativa diretta della Marina perché l'Etiopia non aveva coste e il conflitto, a livello di impegno a fuoco, fu soltanto terrestre. Tuttavia la Marina militare ebbe compiti notevoli da affrontare, sia in relazione alla guerra per il trasporto e l'alimentazione del corpo di spedizione italiano, sia per assicurare una presenza navale di presidio nel mar Rosso. Ma il ruolo forse più importante essa ebbe a giocarlo nel Mediterraneo come «jleet in being», a sostegno di quella politica nazio­ nale che aveva voluto l'impresa coloniale. Dopo il trattato di amicizia italo-etiopico del 1 928, le differenti interpretazioni che le due parti davano delle clausole del trattato e le ambizioni di Mussolini indussero il governo di Roma, tra la fme del 1 932 e l'inizio del 1 933, a prendere in considerazione l'eventualità di un'azione offensiva in Abissinia. In relazione a questo atteggiamento erano state assunte fin dall'aprile 1 935 le prime misure per la difesa dei porti di Massaua e di Assab, e quando nel settembre il Ministero delle colonie ne scrisse al Ministero della marina, questo poté rispondere che «importanti decisioni e provvedimenti erano già stati adottati». Nel maggio 1 934 lo Stato maggiore della marina, in collaborazione con quello dell'esercito, avviò gli studi per l'invio di un Corpo di spedizione in Africa orientale, ben prima dell'incidente dei pozzi di Ual-Ual, del 5 dicembre dello stesso anno, che viene considerato come il punto di partenza del conflitto. Per trasportare in Africa gli uomini e il materiale necessario a so­ stenere l'attacco vi era il problema, anzitutto, di reperire il naviglio adatto, obiettivo che fu realizzato attraverso il noleggio di umta mercantili, che erano in condizioni di trasportare, nel luglio 1 935,

quei 20.000 uomini al mese con i relativi equipaggiamenti, che costi­ tuivano l'esigenza indicata dal Ministero della guerra. A metà luglio l'esigenza salì a 60.000 uomini da trasportare mensilmente, a cominciare dalla terza decade di settembre, e in pochissimi giorni la società di navigazione «<talia», agendo per conto dello Stato, acquistò sui mercati dell'Europa settentrionale dodici piroscafi per passeggeri per 140.644 TSL. Per il solo trasporto delle truppe furono impiegati anche, dal settembre al dicembre, quattro transatlantici. La flotta mercantile messa insieme in tal modo fu in grado di trasportare in Eritrea e in Somalia, con qualche rapido adattamento, quasi 600.000 uomini, 41 .000 qua­ drupedi, 535 t. di materiale e più di 10.000 automezzi. Ma il problema logistico non era limitato ai mezzi di trasporto. Fu necessario organizzare, per le operazioni di imbarco e di rifornimento dei piroscafi in partenza, la base principale a Napoli ed altre basi a Messina, Genova, Livorno e Cagliari. In Eritrea e in Somalia le difficoltà erano maggiori e, per accogliere il traffico necessario a so­ stenere la guerra, si dovettero attrezzare e potenziare attracchi e depo­ siti nei porti di Massaua, di Assab e di Mogadiscio, oltreché in altri approdi della costa somala. Inoltre tutto il litorale controllato dagli italiani fu collegato con impianti radiotelegrafici e semaforici, e i punti più importanti furono attrezzati per la difesa costiera e contraerea con batterie, treni armati e pontoni. Anche le unità navali militari presenti nel mar Rosso aumentarono gradualmente, tra il settembre 1 934 e il momento dell'apertura delle ostilità, quando la divisione navale dell'Africa orientale era costituita da tre incrociatori, quattro cacciatorpediniere, una torpediniera e quattro sommergibili, cui si aggiungevano le forze della base navale di Massaua, che comprendevano altre due torpediniere, due cannoniere, due posa­ mine e cinque Mas. Per il servizio sanitario di Massaua e il trasporto dei feriti in Italia furono poi approntate otto navi ospedale, per com­ plessive 73.672 TSL, con una capacità complessiva di 5.140 letti. Ma la conquista dell'Etiopia ebbe bisogno, in termini politici e mi­ litari, di una copertura navale nel Mediterraneo, che impegnò la Marina italiana in un confronto non facile - anche se non fu mai sparato un solo colpo - con la Marina britannica. La tensione determinata dal precipitare degli avvenimenti verso l'aggressione italiana fece sì che il 7 agosto 1 935 - due mesi prima

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dell'inizio delle ostilità - il comandante della flotta britannica del Mediterraneo venisse informato che la decisione di applicare le sanzioni all'Italia avrebbe potuto spingere quest'ultima «ad intraprendere. qual­ che azione azzardata tale da condurre alla guerra». Il rapporto segreto dell'Ammiragliato, che così si esprimeva, dava conto della strategia britannica : la Mediterranean F!eet doveva per la fine di agosto concen­ trarsi nelle sue basi del bacino orientale, mentre la Home Fleet sarebbe stata pronta ad entrare nel Mediterraneo per sostenerla. Il Ministero degli esteri conveniva sul fatto che un'azione aerea italiana su Malta avrebbe provocato la guerra e in tal caso - a parte le ritorsioni immediate consistenti in attacchi aerei su Taranto e sui porti della Sicilia orientale - « secondo la politica dell'Ammiragliato, il miglior metodo per far arrendere l'Italia era distruggere la sua flotta, che era improbabile l'Italia arrischiasse, a meno che non venissero esercitate pressioni economiche. La flotta britannica doveva essere pronta ad avvantaggiarsi di qualsiasi sortita italiana provocata da tale pressione». Alla catena delle proprie basi nel Mediterraneo (Gibilterra, Malta, Alessandria, Haifa), gli inglesi contavano di aggiungere la disponibilità di quella greca di Navarino. E il piano del 5 settembre del comandante della Mediterranean Fleet prevedeva che, salpando appunto da Navarino o, in alternativa, da una base del bacino orientale, una grossa forza - composta da tre navi da battaglia, tre incrociatori pesanti, quattro incrociatori leggeri, due portaerei, tre flottiglie di caccia e due navi cisterna - avrebbe operato per 48 ore nelle acque italiane, ripiegando poi su Alessandria. Gli incrociatori pesanti avrebbero bombardato la ferrovia presso Taormina e, possibilmente, le navi nel porto di Augu­ sta, sulla quale e su Catania dovevano agire anche gli apparecchi delle portaerei. Le forze pesanti avrebbero agito in copertura, pronte ad intervenire contro forze navali italiane che fossero uscite in mare. A Gibilterra, intanto, avrebbero dovuto dislocarsi gli incrociatori da battaglia della Home F!eet, accompagnati da scorta adeguata e da una portaerei «per provocare preoccupazione in Italia e nei suoi porti settentrionali e occidentali». Dal lato opposto, i limiti della dislocazione nelle Indie orientali venivano avanzati fino all'imboccatura meridionale del canale di Suez. La concentrazione del potere navale britannico nel Mediterraneo - sia che fosse intesa a difendere il credito della Società delle nazioni,

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sia che mirasse a sostenere interessi britannici, sia che costituisse la risposta all'invio di truppe italiane in Cirenaica - non ottenne peraltro lo scopo di intimidire e di far deflettere Mussolini dalle sue intenzioni riguardo all'Etiopia. Il 3 ottobre si aprirono le ostilità sui fronti dell'Africa orientale. Mussolini - stando a quanto scrive E. Chiavarelli - era stato infor­ mato dal SIM (Servizio informazioni militari) che la flotta britannica non era in piena efficienza, e in particolare che difettava di munizioni. In effetti anche Grandi, nella lettera del 1 5 agosto 1 935 a Mussolini, che il De Felice ha rinvenuto nell'archivio Vitetti, comunicava che «l'Ammiragliato sconsiglia nel modo più deciso il gabinetto e il Foreign Office di portare la situazione al punto in cui potesse essere richiesto l'intervento della flotta britannica per operazioni di guerra contro l'Italia, e dò perché lo stato di efficienza bellica delle unità navali britanniche nel Mediterraneo non è tale da garantire il successo di operazioni di guerra contro le unità della Marina italiana e l'Armata aerea dell'Italia». Si comprenderebbe quindi meglio - se si ammette che avesse ricevuto informazioni confortanti sul grado di preparazione e sul livello di efficienza delle forze britanniche - la decisione del capo del governo italiano di «tirare diritto». In realtà gli inglesi marcavano una netta superiorità nelle forze pesanti da battaglia e disponevano di portaerei, ma avevano preoccupazioni perché il loro naviglio era antiquato, mentre gli italiani disponevano di incrociatori moderni e veloci e di numerosi sommergibili che potevano rappresentare un pericolo. Vi era inoltre notevole timore nei confronti dell'aviazione italiana, tanto che Malta era giudicata «indifendibile». E resta un fatto - molto importante ai fini della valutazione del peso della Marina italiana nella vicenda politica - che mentre la flotta britan­ nica, pur avendo un compito intimidatorio nel Mediterraneo, spostava il proprio baricentro nel bacino orientale, quella italiana, che dopo la grande guerra aveva spostato a Sud il proprio centro strategico, ve lo manteneva, in posizione avanzata rispetto al potenziale nemico, appog­ giandosi soprattutto sulla base di Taranto, integrata da Augusta, dagli approdi del Nord Africa italiano e, ad Oriente, da Lero. I momenti di maggior tensione si ebbero nei primi mesi del conflitto itala-etiopico. Alla fine del 1 935, quando entrambe le parti disponevano di piani operativi, la tensione incominciò a decrescere. Intorno a quel-


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La Marina militare, le esplorazioni geografiche e la penetrazione coloniale

l'epoca 1 gennaio 1 936 gli inglesi schieravano nel M�ditemi.neo quattro navi da battaglia, due incrociatori da battaglia, due portaerei, sette incrociatori pesanti e dieci leggeri, 58 cacciatorpediniere e l7 sommergibili. Per contro, al 1 o febbraio 1 936, gli italiani disponevano di due navi da battaglia (le vecchie corazzate Doria e Duilio), sette incrociatori pesanti e dieci leggeri, 22 esploratori, 31 cacciatorpediniere, 34 torpediniere e 55 sommergibili. I piani studiati dalle due flotte rispondevano alle caratteristiche delle rispettive unità. Quelli britannici prevedevano una sorta di occupazione navale del bacino centrale del Mediterraneo per un periodo da due a sei giorni, con lo scopo di tagliare le comunicazioni tra l'Italia e la Libia, e di svolgere azioni offensive contro le coste italiane e libiche; il canale di Suez sarebbe stato chiuso alle navi italiane. Un pro-memoria del presidente del consiglio degli ammiragli londinese rilevava poi che «la presenza di unità da guerra inglesi nei porti indifesi di Haifa ed Alessandria può costituire un obiettivo interessante per le Forze navali italiane che volessero eseguire una missione offensiva». E proprio su questi due porti i piani italiani prevedevano incursioni di incrociatori : contro le navi alla fonda ad Haifa avrebbero dovuto agire, navigando a 30 nodi, due incrociatori leggeri della classe «Con­ dottieri» armati di cannoni da 1 52, con partenza da Lero. Contro Alessandria, invece, l'operazione sarebbe stata affidata a tre incrociatori pesanti tipo Trento, armati di cannoni da 203, anche essi marciando alla velocità di 30 nodi e muovendo dalla base di Lero. Contemporaneamente, gli inglesi strinsero accordi con i francesi per il controllo del traffico marittimo nel Mediterraneo in caso di guerra; l'intesa ricalcava quella del 1 912, con la flotta britannica responsabile del bacino orientale e quella francese del settore occidentale. Tali accordi furono integrati con altri, che coinvolgevano la Grecia e, con maggiori cautele, Jugoslavia e Turchia. Il panorama era tale che, se fosse scoppiata una guerra, malgrado l'atteggiamento non certo remissivo della Marina italiana, il conflitto nel Mediterraneo si sarebbe presentato pieno di difficoltà per l'Italia e all'impresa di Etiopia sarebbe stata tagliata la radice di alimentazione. Ma l'evoluzione politica generale si muoveva verso un diverso sbocco. Lo show-down si esaurì nella tensione politico-navale degli ultimi mesi del 1 935. Già nel gennaio 1 936 le preoccupazioni britanniche per

la zona egiziana al confine con la Cirenaica erano ridimensionate : 1'8 aprile furono sospesi i lavori in corso a Sollum. Il 1 maggio l'Ammi­ ragliato ridusse lo stato di allarme della flotta del Mediterraneo, mentre il 5 successivo le truppe italiane entravano ad Addis Abeba. La guerra coloniale si era svolta per intero con la presenza massiccia della Marina britannica nel Mediterraneo, ma non era mai scoccata la scintilla che poteva innescare le ostilità con gli italiani, che pure avevano continuato con decisione per la loro strada. Il 1 9 giugno l'Ammiragliato inco­ minciò a smobilitare. In luglio si ritornò alle condizioni di normalità navale : il 1 5 luglio, poi, sarebbero state tolte le sanzioni e il 27 avrebbero avuto fine gli accordi mediterranei contro l'Italia. Non sembra difficile, da quanto si è detto fm qui, trarre qualche considerazione conclusiva. Naturalmente, in un tema come questo, giudizi di carattere morale apparirebbero del tutto fuori posto se non per gli aspetti strettamente collegati al ruolo istituzionale della Marina al servizio dello Stato. Non vi fu, infatti, in Italia, una politica coloniale della flotta. L'impegno della Marina in questo campo fu quello di uno strumento della politica nazionale, senza straripamenti nel campo delle decisioni che spettavano al governo. E l'opera svolta nel suo specifico ruolo dallo strumento militare marittimo italiano durante la non lunga sta­ gione coloniale del paese merita un giudizio positivo.

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A seconda dei vari casi che si erano presentati, la Marina aveva svolto compiti molto diversi. Sinteticamente, si possono richiamare come segue : - esplorazione di mari e di paesi lontani per aprire nuove vie al commercio nazionale e individuare territori non ancora occupati e con­ trollati da nazioni ben più forti e affermate dell'Italia nel «grande gioco » della politica coloniale; - assicurare la presenza nazionale in aree remote del mondo, a protezione dei connazionali emigrati e degli interessi economici e politici del paese, supportandone l'espansione e mantenendo viva l'attenzione al prodursi di situazioni, dalle quali potessero derivare le premesse per eventuali, successive azioni di natura coloniale : - agire, alternando cautela ed audacia, su coste di altri continenti al fine di stabilirvi un'influenza italiana, destinata a trasformarsi in seguito in insediamento ;


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operare militarmente contro i litorali e le unità nemiche; presentare un ostacolo all'intimidazione avversaria, opponendo alla pressione della più forte Marina d'Europa un deterrente navàle che avesse un minimo di credibilità e sostenendo efficacemente, con l'appoggio di una flotta in potenza, quel mantenimento della pace nel Mediterraneo che era determinante per il successo della politica nazio­ nale, la quale, in quel momento - auspice Mussolini - consisteva in un'avventura coloniale oltre Suez non priva di rischi assai gravi.

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A tutti questi compiti, che le si proposero tra l'Unità e il 1936, la Marina italiana rispose positivamente, malgrado le difficoltà, e salvo qualche sbavatura - come nel caso di San Mun - con apporti costrut­ tivi e concreti. Certo, non si può dimenticare che la politica coloniale è, per definizione, una politica imperialistica, ma è noto che il regno d'Italia si trovò a muovere i primi difficili passi nel periodo apogeale dell'imperialismo coloniale europeo ed era quasi nell'ordine delle cose che i dirigenti del nuovo Stato unitario sentissero - chi con maggiore, chi con minore intensità - il richiamo della sirena colonialista. Peraltro, tutte le imprese coloniali italiane - Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia - furono il frutto di volontà di affermazione nate in situazioni diverse, fuori dai desideri della Marina, che non le promosse né le sostenne in proprio, limitandosi ad operare come strumento, per quanto possibile efficace. Del resto, né l'acquisizione della Libia, né quella dell'Africa orientale giovavano alla soluzione dei due problemi che la Marina considerava critici per la politica navale italiana : il controllo del canale di Sicilia e quello del canale d'Otranto. Anzi, con l'espansione africana, i compiti e gli impegni della flotta aumentavano e diventavano più difficili, come dimostrò l'andamento della seconda guerra mondiale. L'Africa orientale non era difendibile dal punto di vista marittimo senza il controllo del canale di Suez, e questo era in altre mani. La Libia avrebbe implicato uno sfibrante, continuo, difficile impegno navale per mantenere le comunicazioni con la madrepatria ed alimentare il fronte : non per nulla intorno alla guerra dei convogli maturò la sconfitta italiana.

Se si eccettuano il capitolo scritto dal col. Mezza nel volume dedi­ cato a I Corpi armati con funzioni civili della collana « � 'It�lia in � frica>� ed un paio di brevissimi saggi o, forse meglio, di artlcoh �ppars1 sugh «Annali dell'Africa Italiana », non ha mai visto la luce, fmora, alcun lavoro sulla PAI avente carattere scientifico, ricavato da dati originali. Su questo Corpo restano sparsi qua e là nei peri� dici dell'epoca degli articoli, in genere di carattere elogiativo, restano 1l regolamento org�­ nico, quello generale e quello sull'uniforme, resta ancora qu�lche t�a�Cla nella «Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia » o nel «Bollettmo uff1c1ale del personale del Ministero delle colonie» (successivamente dell' Af�ica Italiana) poi, per quanto riguarda le fonti a stampa, non resta praticamente più nulla. . La situazione è poi ancora peggiore per quanto attlene alle fontl archivistiche, soprattutto perché il carteggio del Corpo è andato di­ strutto così - almeno sostenevano i responsabili 1 - nel giugno del 1 944 al momento dell'arrivo a Roma degli alleati. Pochi, infatti, e di ' poca importanza, sono i documenti relativi a.lla P_A! dell'archi:io de� Ministero delle colonie, conservato presso 1l Mm1stero degh affan esteri, anche perché quelli utilizzati dal col. Mezza per il suo lavoro non sono stati reinseriti al loro posto e sono - o dovrebbero essere - frammisti, senz' ordine, insieme a tutti gli altri documenti utilizzati per i diversi volumi della collana. �i non �rand.e . rilevanza sono i documenti relativi alla PAI conservati presso l Archiv10 centrale dello Stato, nei fondi Ministero dell'Africa italiana, Presidenza del consiglio dei

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t ARcHIVIO CENTRALE DELLO STATO (d'ora in poi ACS] Presidenza del consiglio dei !Jiinistri [d' ora in poi PCM], 1944-47, fase. 1 . 1 .26. 1 0745.


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Costitt�zione e scioglimento della polizia dell'Africa italiana

ministri, Primo aiutante di campo del re e Roma città aperta, mentre

di polizia in colonia, limitando alle sole mansioni di istituto l'attività dei reali Carabinieri, della regia Guardia di finanza e della Milizia nazionale forestale. Ma se questo motivo è vero ed importante non è il solo vero né tantomeno il più importante. Non si può credere che al Ministero delle colonie si pensasse davvero che poco più di ottomila uomini (tanti ne erano previsti dal regolamento organico) potessero risolvere il problema dell'ordine pubblico nei territori della Libia e dell' AOI, in molti dei quali divampava la guerriglia. In realtà il Ministero delle colonie, che già cominciava ad avere dei rapporti difficili con le autorità militari dell'Africa orientale, voleva avere mano libera nel governo dell'impero ed aveva bisogno di un proprio corpo armato cui affidare, al di là dei compiti connessi con il mantenimento dell'ordine pubblico, quelli ancor più importanti di alta polizia, di informazione e di controspionaggio, un proprio corpo di polizia, da dirigere direttamente dal palazzo della Consulta senza doversi servire, come si era praticato sino ad allora, dei Carabinieri o del SIM, orga­ nismi sottoposti istituzionalmente e gerarchicamente ad altri dicasteri e quindi non sempre disponibili a secondare le mire e gli scopi del Ministero. Non a caso tra i pochi documenti ancora esistenti primeggiano quelli relativi ai servizi informativi e di controspionaggio, come rap­ porti mensili sulla situazione economica della Libia e dell'AOJ2 o il controllo della corrispondenza tra l'Africa orientale ed i paesi esteri 3• A giudicare dai frammenti pervenuti si può pensare che i risultati ottenuti dalla PAI siano stati, in genere, all'altezza delle aspettative e parole di apprezzamento per il servizio informativo del gen. Maraffa - organizzatore e comandante del Corpo - sono state espresse da una delle figure chiave dello spionaggio a Roma negli anni che vanno dal 1 936 al 1 944, Eugen Dollmann, che così scrive nel suo Roma nazista : « Quando il generale ancora comandava la polizia dell'Africa italiana, un corpo disciplinato e istruito alla perfezione, io avevo intrattenuto relazioni interessanti e cordiali con questo uomo molto strano, per nulla militare e dotato di vasta cultura artistica e letteraria. Mi ero

risultano di maggior interesse, per quel che concerne la storia ·del Corpo sotto la Repubblica sociale, i carteggi conservati nei fondi

Segreteria particolare del duce) Carteggio riservato) RSI, Presidenza del consiglio dei ministri) RSI e Segreteria del capo della Polizia 1943-45.

L'Ufficio storico dello Stato maggiore esercito ha pochissimi docu­ menti relativi all'impiego bellico della PAI in AOI ed in Libia e qual­ cosa di più, invece, per quanto concerne il periodo 25 luglio - 8 set­ tembre 1 943. Altro materiale, che dovrebbe però riguardare prevalentemente lo scioglimento della PAI e l'immissione dei suoi componenti nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, è conservato presso il Ministero degli interni, che almeno fino al 1 958 comprendeva un apposito Ufficio stralcio PAI alle dipendenza della Divisione Forze armate di polizia. Si tratta però di documenti non ordinati e di cui non è stata finora possibile la consultazione. Restano a questo punto le fonti orali, con tutti i loro limiti, però, e con l'aggravante, per quel che riguarda la PAI, del fatto di farci conoscere - per avvii motivi legati al trascorrere del tempo - il punto di vista, i ricordi di chi era allora soltanto sottotenente o tenente; distaccato in Africa, quasi mai al corrente degli effettivi motivi, delle ragioni profonde che stavano dietro alle decisioni ufficiali relative ai grandi temi della vita del Corpo quali, appunto, la costituzione e lo scioglimento. Date queste premesse alcune delle considerazioni che farò sulla genesi e sulla fine della PAI risulteranno basate più su deduzioni, tratte dalla scarsa documentazione pervenuta sino ad oggi, che su esplicite asserzioni che erano contenute, forse, in documenti non più esistenti. Come e perché è nata la Polizia coloniale nel 1 936? Ufficialmente per dare una risposta unitaria e compiuta ai problemi della pubblica sicurezza nei territori dell'impero, in previsione anche dell'afflusso di un'esigente massa di colonizzatori provenienti dalla madre patria, che avrebbe posto dei problemi ai quali l'Arma dei reali Carabinieri, con organici in colonia estremamente ridotti, non era in grado - al mo­ mento - di far fronte. E un r.d.l. del 4 novembre 1 938 avrebbe puntualmente attribuito al Corpo la responsabilità di tutte le funzioni

2 ACS, Ministero dell'Africa Italiana, b. 24. 3 Ibide!JI.


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anche accorto che disponeva di un'ottima rete di informazioni . dal mondo intero e, nei limiti che gli facevano comodo, mi consentì di . valermene » 4• Purtroppo è solo in Dollmann che si riesce a trovare qualche accenno al gen. Maraffa, al cui impulso si dovettero la nascita e l' af­ fermazione della PAI. Non sembra, infatti, che qualcun altro se ne sia interessato. Eppure si trattava di un personaggio notevole, che nel 1936 era ancora un semplice colonnello, relativamente giovane e che, rivestendo l'incarico di capo dell'Ufficio militare del Ministero delle colonie, aveva così a fondo compreso e condiviso la politica di quest� dicastero da esser pronto a lasciare il servizio militare per passare ne1 ranghi dell'amministrazione coloniale5• A lui, nominato con r.d. del 25 marzo 1937 comandante del Corpo della polizia coloniale (non ancora Polizia dell'Africa italiana), veniva affidato il non facile incarico di organizzare al più presto il nuovo corpo. Ci riuscì, nei limiti del possibile, chiedendo - ed in genere ottenendo - quanto di meglio d fosse disponibile. Così il Corpo ebbe i primi mitra e le prime autoblindo, ebbe vestiario ed equipaggiamento invidiati dalle altre forze armate, ebbe mezzi meccanici più che adeguati alle esigenze e, soprattutto, poté scegliere ufficiali, sottufficiali e guardie (invogliati da buoni stipendi, discrete possibilità di carrie�a ed un� . concors1, vita intensa ed avventurosa) «scremando », attraverso appos1t1 le tante, tantissime, domande di arruolamento. Tra gli ufficiali superiori ed i capitani - reclutati tra gli ufficiali delle forze armate ed i funzionari di PS - ce n'erano parecchi prove­ nienti dalle altre forze di polizia (dalla Pubblica sicurezza, dai Carabi­ nieri, dalla Guardia di finanza e, in minor misura, dalla Milizia) e c'erano anche, tra quelli provenienti dall'Esercito, diversi altri ufficiali dotati di una laurea, requisito, questo, che era indispensabile per l'ammissionre dei subalterni. Prevalevano, ed in maniera massiccia, tra i sottufficiali quelli provenienti dai corpi di polizia, specialmente dai Carabinieri, perché provvisti di quei requisiti e di quell'esperienza che

era possibile acquistare soltanto presso quei reparti, ed a riprova di dò troviamo degli allievi sottufficiali dei Carabinieri vincitori del concorso a vice-brigadiere mentre troviamo, al contrario, diversi ser­ genti ed anche qualche sergente maggiore dell'Esercito transitare nella PAI come guardie o, al più, come guardie scelte. Qualche dato, ricavato dai risultati dei primi concorsi, può confermare subito, con l'autorevolezza dei numeri, queste asserzioni. Su 1 1 tenen­ ti-colonnelli (o vice-questori) troviamo 6 funzionari di PS, su 11 mag­ giori (o primi ispettori) troviamo 5 funzionari di PS, 2 ufficiali dei Carabinieri ed uno della Guardia di finanza, su 40 capitani (o ispettori) infine, 10 funzionari di PS, 8 ufficiali dei Carabinieri, 3 della Guardia di finanza ed uno della Milizia. Su 39 marescialli maggiori 21 provengono dai Carabinieri, 5 dalla Polizia, 2 dalla Guardia di finanza ed uno dalla Milizia, cifre che passano rispettivamente a 54, 4, 4, e 1 per i marescialli ordinari (su 76 casi esaminati) ed a 52, 9, 8, e 6 per i brigadieri (su 103) ed a 72, 57 , 8 e 16 per i vice-brigadieri (su 164). Questi dati sono importanti per un altro motivo : servono a sfatare la diffusa opinione corrente sulla PAI come polizia fascista per anto­ nomasia. Le provenienze dalla Milizia erano, come si è visto, assai limitate e si trattava, in genere, di elementi della «stradale». La PAI non era più fascista di qualsiasi altra istituzione italiana di quegli anni. Certo, con indubbio, pur se discutibile, senso dell'opportunità, il gen. Maraffa aveva imposto la camicia nera, in determinate occasioni, ed il saluto romano ; certo nei giorni «fatidici» non mancava di indirizzare alle massime autorità telegrammi grondanti fierezza littoria 6, ma si trattava di manifestazioni di opportunità, meglio, di opportunismo e la PAI, non era assolutamente più fascista delle altre istituzioni statali dell'epoca. Lo dimostrerà il comportamento tenuto il 25 luglio e 1'8 settembre e lo dimostrerà in prima persona il gen. Maraffa che, al momento dell'arresto del gen. Calvi di Bergolo, rifiuterà di mante­ nere più a lungo l'incarico di comandante delle forze di polizia della

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E. DoLLMANN, RoJJia nazista, Milano, Longanesi, 1951, p. 297. 5 ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, MisceJ/anea, fase. Coman­ dante generale della PAI.

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6 Telegramma inviato il 23 marzo 1 939 al segretario del P.N.F. «Gli ufficiali, i sottufficiali e le guardie del corpo della polizia coloniale nella ricorrenza del 1CX annuale dei fasci di combattimento Vi gridano la loro entusiastica fede e uniscono i loro cuori a quelli delle ferree camicie nere della rivoluzione». Dalla dispensa n. 14 del foglio d'ordine del Corpo.


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città aperta di Roma e si farà arrestare, insieme a due coliaboratori, e deportare in Germania per morire a Dachau. Una valutazione dell'opera della PAI tra il 1938 ed il 1 943 è ogg� impossibile, sia perché scarsissima è la documentazione rimasta, sia perché lo scoppio della seconda guerra mondiale sorprese il Corpo ancora «in rodaggio» mentre si stava adattando alle differenti situa­ zioni ed alle diverse realtà dell'impero. Il fatto stesso che sin dall'i­ nizio delle ostilità rimanessero isolati in AOI i reparti ivi dislocati (e che costituivano la maggioranza del Corpo) può esser assunto quasi come l'inizio della fine. I reparti dell'Africa orientale si comportarono assai bene, sia nelle operazioni belliche vere e proprie, come nell' oc­ cupazione del Somaliland o nella difesa di Cheren, sia in quelle di polizia, contribuendo a tutelare la vita ed i beni dei connazionali nei difficili momenti che intercorrevano tra la nostra ritirata e l'arrivo degli inglesi. Comunque gli uomini dislocati in AOI erano da consi­ derare perduti per il Corpo e le 429 unità rimaste in Libia ed in Italia erano troppo poche per far fronte alle esigenze belliche ed erano altresì troppo poche per giustificare l'esistenza di un Corpo che aveva ora cinque generali. Si decise quindi di bandire nuovi arruolamenti aumentando gli organici di 18 ufficiali, 300 sottufficiali e 900 guardie e contribuendo allo sforzo bellico con un battaglione moto-blindato, il «Romolo Gessi», che opererà in Libia, Egitto e Tunisia fino al maggio del 1943. La fine della presenza italiana in Africa toglieva alla PAI la sua originaria ragion d'essere e, in attesa dell'«immancabile» ritorno nelle colonie, il Corpo venne ufficiosamente ristrutturato affiancando ai co­ mandi ed alla scuola di Tivoli la «colonna Cheren» su tre battaglioni ed una compagnia carri e lanciafiamme7 • Armamento e mezzi di tra­ sporto della colonna, pur se inferiori a quelli di cui erano dotati gli 7 Battaglione « Luigi di Savoia» su plotone comando, plotone motociclisti, compagnia fuciloni Solothurn da 20 rom. auto-portata compagnia controcarro da 37 autoportata, compa­ gnia mitraglieri autoportata ; battaglione «Vittorio Botte go» su plotone comando, compagnia motomitraglieri, compagnia motociclisti e compagnia autoblindo; battaglione «Eugenio Ru­ spoli» su plotone comando e tre compagnie autoportate; compagnia « carri e lanciafiamme» su due sezioni di 3 carri L ed un plotone lanciafiamme su 8 armi.

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alleati, erano senz'altro assai superiori a quelli dei reparti di fanteria del r. Esercito ma i tre battaglioni, anziché esser impiegati in Sicilia, vennero trattenuti nei dintorni della capitale, forse più come riserva a disposizione del Comando supremo che come forza di pronto impiego in funzione anti-paracadutisti, anti-sommossa o, meglio, anti-golpe. Il 25 luglio la colonna era richiamata dal campo estivo che i suoi reparti stavano effettuando tra Lazio ed Abruzzo e dal 27 era impiegata a Roma e negli immediati dintorni con mansioni di ordine pubblico e prestando anche opera di soccorso in occasione dei bombardamenti sugli scali ferroviari. La sera dell'8 settembre il battaglione «Luigi di Savoia», rinforzato da una compagnia del «Ruspoli», veniva dislocato nella zona dell'E 42 e nel corso della notte e del giorno successivo aveva degli scontri a fuoco con i tedeschi perdendo 24 uomini tra morti e feriti 8• Il resto della colonna, che aveva ricevuto l'ordine di portarsi a Tivoli - forse per proteggere il passaggio del re - era dirottata il pomeriggio del 9 su Monterotondo per sbloccare il Comando supremo circondato dai paracadutisti tedeschi e riusciva nel compito affidatole. Cessata però a Roma ogni resistenza, tutti i reparti vi facevano ritorno per assicurare - ai sensi degli accordi stipulati con i tedeschi - l'ordine pubblico insieme alle altre forze di polizia ed alla divisione Piave. Il gen. Maraffa, come più elevato in grado, assumeva la carica di comandante delle forze di polizia della città aperta ma, al momento della procla­ mazione della Repubblica sociale, abbandonava l'incarico e, come si è detto, era deportato in Germania. Lo sostituiva nell'incarico il gen. Presti, anch'egli della PAI, che sarebbe rimasto in carica sino all'arrivo degli alleati. Questo della permanenza del Corpo a Roma nei nove mesi della città aperta sarebbe stato il motivo, non diciamo la ragione, della sua soppressione, specie dopo che la PAI ebbe sostituito, dal 7 ottobre, nelle stazioni della città i Carabinieri che dovevano esser disarmati dai tedeschi e che, avuto sentore della cosa, si erano dati 8

Per questi scontri vennero conferite «alla memoria» quattro medaglie d'argento al V. M. che si andarono ad aggiungere alla medaglia d'oro « alla memoria», alle 72 medaglie d'argento (di cui 8 alla memoria) ed alle 97 medaglie di bronzo (di cui 3 «alla memoria») concesse nel corso del coflitto.


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alla macchia. Diciamo il motivo più che la ragione perché non sembra � che durante l'occupazione tedesca la PAI si sia comportata di ersa­ mente dalle altre forze di polizia presenti a Roma : ebbe sempre uq atteggiamento, quanto meno, «attendista», non si macchiò di colpe particolari, effettuò quasi sempre e con quasi tutti i suoi uomini il doppio gioco, mantenne sulle uniformi, fino alla primavera del '44, i simboli monarchici (e questo fu causa di incidenti e sparatorie con i «marò» del battaglione Barbariga della X Mas), accolse come ausiliari nelle sue file ufficiali dell'Esercito e giovani desiderosi di evitare la chiamata alle armi da parte della Repubblica sociale, il comandante della «colonna Cheren », col. Toscano, ed alcuni suoi collaboratori vennero incarcerati a via Tasso, elementi del Corpo coadiuvarono gli alleati al momento del loro ingresso a Roma, subendo anche delle perdite. Nonostante questo, però, il gen. Bencivenga, comandante civile e militare di Roma, annunciava subito, sin dal 5 giugno, che il Corpo, a differenza della Finanza e della Polizia, non faceva parte delle forze armate ai suoi ordini, essendosi portato solo «parzialmente » bene9 • Il giorno dopo, poi, i Carabinieri tornavano ad occupare le loro stazioni, dalle quali era allontanata la PAI che era scacciata successivamente anche dagli immobili che le appartenevano . Le decisioni del gen. Bencivenga erano ribadite, con un'autorità ed un potere ben più ampi ed effettivi, dal governatore alleato, Charles Poletti, che ingiungeva anche la soppressione del Corpo. Il motivo, la ragione, di questi provvedimenti deve essere ricercato nel particolare momento politico, che richiedeva un provvedimento di rigore che potesse costituire un primo, chiaro esempio della politica di epurazione auspicata da parte dell'opinione pubblica, anche se più di forma che di sostenza. La PAI era il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, la sua stessa denominazione, legata ad un'Africa che non era più italiana, ne faceva il primo bersaglio di questa politica di epurazione, tanto più che, a differenza di quel che si verificava per Polizia e Finanza, non c'era a Salerno alcun organismo che ne perorasse la causa, con un Ministero dell'Africa italiana ridotto ormai ai minimi termini. o

C?r.a si do�eva . soltanto dare una forma giuridica compiuta a questa SUl cu1 concordavano i partiti politici e lo stesso Comando dec1s10ne, generale dei Carabinieri1 0 • Nell'estate del '44 i vari ministeri interessati prend�vano contatto per studiare un provvedimento legislativo che, soppnmend� la PAI, permettesse nel contempo il reinserimento degli appartenent1 al Corpo nelle altre forze di polizia 11 • Il risultato di questi contatti era il r.d.l. del 1 5 febbraio 1945, che sopprimeva la PAI .e prevedeva per il suo personale il passaggio nei ruoli della PS prev10 �uperamento di un vaglio da parte dell'alto commissario per le sanz10m. contro 1l. fascismo o, in alternativa, la possibilità di collocamento a riposo o in congedo. Dopo la guerra erano ammessi a godere dello stesso trattamento anche i circa duecento appartenenti al Corpo che erano stati distaccati nella primavera del '44 nell'Italia del Nord, al momento del trasferimento da Roma dei ministeri' e che anche sotto la RSI si erano distinti per il loro comportamento apertamente «attendista», come era rilevato anche in una «nota» per il duce del maggio 1 94412. Forse anche perché il carteggio della PAI era andato distrutto a Roma nel giugno del '44 il vaglio dell'alto commissario per le sanzioni contro il fascismo non dovette essere troppo severo se ai primi del '47 troviamo che già 1986 dei 3273 elementi del Corpo sono transitati nella Pubblica sicurezza (altri 494 sono stati collocati in congedo e 455 non hanno ancora fatto ritorno dalla prigionia) 13. �uest� cifre �ono sostanzialmente confermate dall'allora ministro degli mterm, Romlta, che nel suo Dalla monarchia alla Repubblica ricorda che dopo una «selezione accurata» sono passati alla polizia 2568 uomini dei 3775 che componevano la PAI. Abbastanza curiosamente, però, l'influenza della PAI riusciva ugual­ mente a farsi avvertire, anche dopo la sua soppressione, nell' organiz­ zazione e nei quadri del Corpo delle guardie di PS dato che nel corpo «soppresso» il numero degli ufficiali superiori e dei capitani era supe'

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«Il Giornale d'Italia» e «<l Messaggero» del 6 giugno 1 944.

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ACS, ACS, ACS, ACS,

PCM, Salemo 10. 6. D, lettera del gen. Pièehe, comandante generale dei Carabinieri. PCM, 1944-47, fase. 1 . 1 .26.10745. Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, RSI, b. 4. PCM, 1944-47, fase. 1 . 1 .26.10745.


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Piero Crociani

, a quell_o dei pa�i riore, in prop orzione e spesso anche in assoluto di PS, destmato a, d1grado esistenti nel '45 nel Corpo degli agenti PS ventare, di lì a poco, Corpo delle guardie di o trov1amo . ne� 1 948 corp o nuov del iali uffic i degl li» «ruo Infatti nei 1ficato mod un po' (pur dopo che tre anni di promozioni avevanooltre g. gen. . colon l'assetto originario) che provengono dalla �AI 15, 25 alte�mag ent1 ispettore, Sabatino Cesare Galli, 12 colonnelh su . � opo 1l ge�. Gall�l nelli su 43, 10 maggiori su 32 e 61 capitani su. 144d1. 1spettore, 1l gen. un altro ufficiale della PAI ricoprirà l'incancoiah. d�l�a stessa prove­ Umberto Mantineo , ed almeno due altri uffic vertlc1 del Corpo pur nienza, i gen. Zambonini e Felsani, saliranno ai senza divenirne gli ispettori.

SILVANO BR ONCHINI L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960)

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Sono trascorsi quasi quaranta anni da quando l'Italia ritornò in Somalia per continuare, come potenza amministratrice per conto del­ l'ONU, quella missione di civiltà che vi aveva svolto per oltre mezzo secolo, dal 1885 al 1941 . Il compito, non certo semplice, di condurre il popolo somalo all'autogoverno e all'indipendenza fu assolto con senso di responsabilità, profonda coscienza e convinta partecipazione da tutti coloro che vennero inviati nell'ex colonia e, tra essi, dal personale dell'Aeronautica militare. Quella che segue è una breve storia del Comando aeronautica della Somalia e della sua intensa attività in quel periodo. Fin dall'aprile 1948, quando si era avuta la sensazione che l'ONU avrebbe affidato all'Italia il mandato per l'amministrazione fiduciaria della Somalia, le autorità militari avevano studiato l'istituzione di un corpo di sicurezza nel quale era previsto anche un Comando aeronau­ tica della Somalia che, in via preventiva, venne costituito il 15 settem­ bre 1949 sull'aeroporto di Capodichino (Napoli), alle dirette dipendenze dello Stato maggiore aeronautica, con il compito di approntare orga­ nicamente e addestrativamente gli enti e i reparti aerei destinati, insieme a unità dell'Esercito e della Marina, a presidiare militarmente il terri­ torio somalo allo scopo di garantirne la sicurezza e di mantenerne l'ordine interno. Il 22 febbraio 1950 il governo italiano accettò il mandato che l'Assemblea generale dell'ONU aveva approvato il 21 novembre 1949 e si potè quindi dare attuazione al «piano Caesar» predisposto per sostituire il personale militare britannico in Somalia. Per quanto riguarda l'Aeronautica il trasporto del personale e dei mezzi avvenne per via marittima e con i suoi stessi velivoli nel periodo tra il 5 febbraio e il 30 marzo 1950 e interessò 58 ufficiali, 226


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L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960)

Silvano Bronchini

sottufficiali e civili, 338 graduati e truppa, 13 aeroplani di vario tipo, 87 automezzi e oltre 1 .300 tonnellate di materiale ordinario e speciale. L'organizzazione del Comando aeronautica della Somalia che rivesti�a funzioni di Zona aerea territoriale, fu portata a termine in tempi ecce­ zionalmente brevi considerate le numerose difficoltà tra le quali, più notevoli, erano i motivi di urgenza, la scarsa conoscenza delle attrezza­ ture logistiche e operative esistenti sugli aeroporti locali e la poco chiara situazione politico-militare del momento in Somalia e nei paesi vicini. Non si dimentichi, inoltre, che l'Aeronautica militare veniva impe­ gnata in una lunga, difficile e complessa missione a soli 52 mesi dalla fine del secondo conflitto mondiale, nel quale aveva profuso ogni sua energia e dopo il quale era rimasta con pochi aeroplani e con il personale tragicamente ridotto per le pesanti perdite subite. È proprio nella delicata fase in cui l'Arma azzurra era decisamente impegnata a riorganizzare i propri reparti di volo falcidiati dalla guerra che ad essa venne richiesto di partecipare all'amministrazione fiduciaria della Somalia, destinandovi uomini, mezzi e materiali da sottrarre necessa­ riamente alle sue già limitate forze. Tuttavia' il 31 marzo 1950 il Comando aeronautica della Somalia, («Aerosomalia», per tutti coloro che vi hanno prestato servizio), con sede sull'aeroporto di Mogadiscio ed essenzialmente ordinato in un ufficio comando, in un reparto operazioni, dal quale dipendeva il gruppo misto, composto da una squadriglia trasporti e collegamento e da una squadriglia caccia, in un reparto tecnico ed in uno logistico, era pronto, rispettando i tempi fissati, a svolgere la rilevante missione affidatagli che ebbe ufficialmente inizio il giorno dopo. È necessario ricordare che gli organici dell'Aerosomalia subirono profonde modificazioni fin dalla loro prima stesura a causa delle esigenze di bilanci o. Basti dire che i 769 nazionali tra ufficiali, sottuf­ ficiali, civili e truppa previsti in origine, diventarono 622 alla data del 1 aprile 1950, 369 alla fine dello stesso anno, 136 nell'aprile 1951, 128 del dicembre 1955, 84 alla fine del 1957 e 61 nel dicembre 1959. La scelta degli aeroplani per la linea di volo avvenne dopo laboriosi studi che tennero conto dei compiti da assolvere, delle distanze da coprire, dello stato degli aeroporti da utilizzare e della particolare climatologia dell'ambiente nel quale operare. Per la squadriglia caccia fu prescelto il P.51 «Mustang», per i collegamenti a breve raggio il

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robusto L.5 « Sentine!» e per il compito maggiore, quello del trasporto aereo, il noto bimotore Douglas nelle sue versioni C.47 e C.53. Anche la dotazione di velivoli subì progressive e sostanziali modifiche, tanto da passare dai previsti 1 8 aerei iniziali ai 13 del febbraio 1950 ai 9 dell'ottobre dello stesso anno e ai 7 del 1 953. Nel corso della vita del reparto due C.47 furono sostituiti con altrettanti bimotori Bee­ chcraft C.45 e due L.5 con due addestratori T.6. Al 31 dicembre 1958 la linea di volo risultava composta da un C.53, due C.47 e due C.45. All'atto della sua costituzione il Comando aeronautica della Somalia non ebbe la propria bandiera di guerra che venne però concessa e consegnata al reparto il 28 marzo 1954. Come tutti i reparti dell'Aeronautica militare anche l'Aerosomalia adottò un proprio distintivo che raffigurava un'ala d'aquila sovrastante le stelle della costellazione della Croce del Sud, ricordando così idealmente il vecchio motto 'Australi sub cruce ' della Aviazione somala del 1930. L'attività operativa del Comando aeronautica della Somalia venne indicata dallo Stato maggiore aeronautica il 1 o febbraio 1950 con apposite direttive che stabilivano che l'impiego dell'Aviazione della Somalia (come si continuò per un certo tempo a chiamarla) doveva essere svolto a protezione delle frontiere, a tutela del prestigio delle autorità e in cooperazione con le forze di superficie. I compiti relativi erano quelli del soccorso aereo, della sicurezza interna, di cooperazione con l'Esercito e del trasporto aereo, compiti che, per le già 'ac�ennate scarse conoscenze che si avevano sulla situazione politica locale del momento, sottolineavano soprattutto le modalità d'intervento in even­ tuali operazioni militari. Dei 54 aeroporti esistenti in Somalia al termine della campagna dell'Africa orientale e successivamente impiegati dall'Aeronautica nel secondo conflitto mondiale, poterono esserne utilizzati inizialmente - oltre quello di Mogadiscio, unico ad avere la pista in 'macadam' - soltanto 10, che in seguito, e a prezzo di un duro lavoro, salirono a 18. Il 14 marzo 1950, dopo 9 anni, nel cielo della Somalia tornarono a volare aerei con le insegne dell'Aeronautica militare. Furono due caccia P.51 in volo di collaudo che, sfrecciando su Mogadiscio, susci­ tarono il commosso entusiasmo della numerosa comunità italiana che accorse poi in massa all'aeroporto per festeggiare gli aviatori con una serie di spontanee e calorose manifestazioni di simpatia. '

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Silvano Bronchini

L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960)

L'attività operativa di volo ebbe inizio il 1° aprile successivo c:on una missione di soccorso ad Alula. Seguirono poi numerosi altri val� per missioni di ricerca e soccorso, per trasporto feriti e ammalati dai presìdi dell'interno, per quello di autorità in visite di ispezione, per il trasporto di materiali, posta e personale in avvicendamento e per voli sanitari. Particolare impulso venne dato al potenziamento dei collegamenti radio tra gli aeroporti dell'interno, delle radioassistenze e delle stazioni meteorologiche. Alla fine del marzo 1951, in considerazione della calma che regnava nel territorio, dell'assenza di disordini e dell'improbabilità di incidenti alle frontiere, i P.S1 cessarono i voli per essere smontati e rimpatriati, la squadriglia caccia fu soppressa e il gruppo misto trasformato nella sola squadriglia trasporti e collegamenti. Da quel momento, quindi, l' Aerosomalia operò essenzialmente nel settore del trasporto aereo, anche a favore delle popolazioni autoctone dell'interno, prive di ade­ guate vie di comunicazione e dei relativi sistemi di trasporto. A metà del 1951, con l'accennata progressiva diminuzione del per­ sonale e dei velivoli, l'attività di volo subì un notevole ribasso, accentuato anche dalla sempre maggiore scarsità di ricambi, peraltro non approvvigionabili, per quella limitata disponibilità di fondi che, se pur in misura minore, penalizzò sempre le attività del reparto fino al termine del mandato fiduciario. Solo l'appassionata opera direttiva dei comandanti e quella esecutiva degli specialisti (quotidianamente impegnati a ricuperare pezzi di ri­ cambio considerati ormai fuori uso e rimessi in efficienza con pazienza, ingegno tecnico e qualche volta geniale inventiva) permise all'Aeroso­ malia di superare quel difficile momento e continuare nella sua attività volta principalmente ad assicurare i corrieri aerei militari, detti aero­ postali, e i voli di soccorso. È significativo ricordare che dal 1 o aprile 19 SO al 30 giugno 1960 furono effettuati 8.443 voli per un totale di 10.746 ore. Nei 4.983 voli, pari a 7.095 ore, compiuti per gli aeropostali, vennero trasportati 28.522 passeggeri, 306.316 quintali di posta e 1 16.252 tonnellate di merci e materiali. Considerato il tipo e l'esiguo numero di velivoli mediamente in dotazione e l'organico del personale navigante in forza, appare evidente - specie se rapportata all'epoca in cui ebbe luogo - l'imponenza dell'attività di volo svolta in quel decennio e che,

suddivisa per tutti i giorni di tale periodo, corrisponde a oltre 2 ore e 45' quotidiane svolte, si badi bene, in un ambiente car�tt.erizzato da alte temperature, forti venti monsonici, piogge equator1all, tempeste di sabbia, elevatissima umidità e comprendenti continui decolli e at­ terraggi su terreni appena battuti e quasi sempre al massimo del carico consentito (e qualche volta anche di più!). L'alta media delle ore di volo giornalmente effettuate e il basso numero di incidenti occorsi (solo tre velivoli perduti dei quali due per cause non legate ad avarie) attestano l'ottima efficienza media degli aeroplani, dovuta senza dubbio alle capacità e ai sacrifici degli addetti alla manutenzione e all'impegno del personale navigante. Il 28 giugno 1 960, con una solenne cerimonia, la bandiera dell' Ae­ rosomalia - ultima bandiera militare italiana a lasciare la terra d'Africa - veniva rimpatriata dall'autore di queste note per essere deposta e custodita nel Museo Sacrario del Vittoriano a Roma. L'ultima missione di volo fu svolta il 30 giugno 1960 per il trasporto a Nairobi dell'amministratore italiano, nello stesso giorno in cui, con un anticipo di 6 mesi sulla data prevista per l'indipendenza della Somalia' cessava il mandato affidato dall'ONU all'Italia. . . . Il Comando aeronautica della Somalia, avendo termmatl 1 compltl per i quali era stato costituito, veniva soppre.sso con, circolare . n. 2408/252 datata 12 luglio 1960 dello Stato magg1�r� _dell A��on�utlca. A Mogadiscio rimanevano 20 persone, tra �1v1h e mlhta.n, c�e costituirono il nucleo A.M. per l'assistenza tecmca alla Somaha e, m particolare, alla nascente aviazione militare d� quella nazi_one � er la quale, fin dal 1954, il personale dell' Aerosomaha ave:a _d�dlcato �mpe� gno ed energie per dare le basi professionali a spee1ahst1 e nav1gant1 che seguivano poi corsi regolari presso gli istituti e le scuole dell'A­ reonautica militare in Italia. A conclusione di questa sintesi relativa al Comando aeronautica della Somalia durante l'amministrazione fiduciaria italiana dell'ex colo­ nia e del quale, purtroppo, si trovano solo rari e generici accenni nella storiografia di quel periodo, è debito morale ricordare - anche per onorarne i Caduti - che al reparto venne �iconosciu�o dalle più alte autorità nazionali, somale e dell'ONU, d1 aver bnllantemente svolto i propri compiti, contribuendo in maniera fattiva e determinante al compimento dell'alto incarico di civilizzazione affidato all'Italia.

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La cartografia coloniale italiana

V ALERIO TOCCAFONDI La cartografia coloniale italiana

È necessario premettere che un esame dell'intero corpus cartografico coloniale sarebbe così vasto e complesso da non poter essere compen­ diato nei termini di tempo consentiti in questa sede. Nell'arco di circa 70 anni di vicende coloniali italiane vi furono numerosissime committenze cui risposero l'Istituto geografico militare, l'Istituto idrografico della marina, i Ministeri degli affari esteri, delle colonie e per l'Africa italiana, i governi delle stesse colonie, in qualità di principali agenti istituzionali nello specifico settore geotopocartografico. Altri rimarchevoli interventi furono eseguiti da istituzioni, accademie ed agenzie, pubbliche e private, che posero mano talvolta a specifici rilievi originali, ma più generalmente si occuparono di cartografia derivata. Altrettanto diverse furono pertanto le opere realizzate : carte dimo­ strative a grande denominatore di scala e carte topografiche di maggior dettaglio; semplici itinerari, missioni militari e relazioni di viaggi ed esplorazioni diedero luogo a cartografie non ufficiali. Soprattutto, furono progettate ed eseguite carte ufficiali fondate su regolari rilievi geotopografici del terreno. Dovendo evidentemente ridurre il campo di indagine, l'intervento riguarderà più precisamente la cartografia ufficiale che nel periodo 1885-1940 l'Istituto geografico militare fu chiamato a realizzare in Eritrea, Somalia e Libia.

Le prime carte della colonia Eritrea Una fedele rappresentazione grafica del terreno costituisce l'elemento fondamentale per una qualsiasi progettazione successiva, sia questa una campagna militare come un piano di sviluppo economico o, più semplicemente, una dislocazione amministrativa razionale.

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Così fin dal primo insediamento italiano, nelle isolette di Massaua e Taulud, l'Istituto geografico militare inviò sul posto il ten. Lavallea con l'incarico di eseguire rilievi topografici con la tavoletta pretoriana. Questi già nel 1 885 eseguì un primo rilievo in scala 1 :10.000 delle isole e delle immediate prospicienze costiere; lo stesso Lavallea rilevò successivamente anche l'approdo di Assab. Di pari passo con l'evolvere delle vicende politico-militari, l'Istituto si impegnò nella costruzione di una più articolata cartografia che, in assenza di rilievi preesistenti sufficientemente affidabili, dovette pre­ vedere produzioni iniziali a scale corografiche, nonché la contempo­ ranea esecuzione di lavori geodetici e, infine, le produzioni a scale topografiche. Dopo le operazioni belliche del 1887-1888 si realizzarono levate di campagna per un totale di 5.000 kmq nella zona compresa tra il litorale e gli incroci tra i paralleli di Cheren e Asmara ed il meridiano di Gheleb; questo rilievo in scala 1 :50.000 si affiancava alla prima carta dimostrativa dell'Etiopia settentrionale in scala 1 :250.000, pubblicata nel 1 886. Sul finire del 1 896 fu varato un programma più impegnativo di rilievi in scala 1 :100.000 sulla intera area delimitata dal parallelo 15° 41' a Nord, dal complesso idrografico Mareb-Belesa-Murra a Sud, dal meridiano 37o 45' est di Greenwich ad Ovest e, naturalmente, dalla linea di costa ad Est. I lavori implicarono il prolungamento della rete geodetica e fu decisa, tra l'altro, la misurazione della nuova base sita nella conca di Gura, non con i tradizionali strumenti di «Bessel» ma impiegando i più economici e speditivi apparati ideati e costruiti presso l'Istituto geografico militare dal cap. del Genio Prospero Baglione. Questi rilievi e i precedenti in scala 1 :50.000, opportunamente ridotti, permisero l'edizione nel 1901 di una carta a quattro colori, in 36 fogli, alla scala 1 :100.000 di tutta l'Eritrea. Contemporaneamente si andavano raccogliendo nuovi elementi re­ lativi alle zone ad Ovest del meridiano di Agordat, a Nord di Cheren, della Dancalia e dell'Etiopia che confluiranno in una carta dimostrativa della colonia Eritrea e regioni adiacenti alla scala 1 :400.000 in 30 fogli la cui completa compilazione avverrà nel 1902. Nel 1 908 ripresero i lavori geodetici e fu tra l'altro misurata la nuova base di Biscia impiegando un apparato « Jadanza».


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Valeria Toccajondi

La cartografia coloniale italiana

La rete geodetica della colonia si estendeva pertanto dal mare ad Ovest di Agordat e verso Sud giungeva ai corsi dei fiumi Setit, Balesa e "En.deli. Si intrapresero inoltre i lavori di livellazione geometrica di pre�isione . mediante l'impianto di un osservatorio mareografico nel porto di Massaua (con un mareografo Thomson). Da questo caposaldo si sviluppò una linea di livellazione che, seguendo la ferrovia per circa 70 km, materializzò 70 nuovi capisaldi fino a Ghinda, con un dislivello di circa 900 metri. Menzione particolare merita l'opera del cap. Antonio Miani, che nel 1905 compilò una nuova carta corografica della colonia Eritrea ben più estesa della precedente. Questa comprendeva i territori tra il 18° e 1'11 o parallelo e delimitati ad Est dal 40o meridiano, includendo così l'area della baia di Tagiura e la costa araba. Per questa carta il Miani utilizzò innumerevoli itinerari da lui stesso rilevati, integrati da quelli delineati dal cap. Bongiovanni e dai tenn. Talamonti, Pisani, Capri e Pollera. È opportuno inoltre ricordare che a partire dal 1909, con l'impiego di un teodolite universale «Repsold», si fecero innumerevoli osserva­ zioni astronomiche lungo una serie di geodetiche contigue, seguendo il meridiano medio della colonia, finalizzate allo studio del profilo approssimativo del geoide.

I rilevamenti interessarono la regione del Goscia; la base geodetica fu determinata nella piana di Buloboda e i lavori si protrassero sino alla primavera inoltrata dell'anno successivo (1911) coprendo una superficie di quasi 1 .000 kmq. La missione si trasferì quindi a Brava per eseguire il rilevamento dell'area compresa tra la costa e l'Uebi Scebeli e gli allineamenti di Soblalle e Avai con la costa. Fu misurata una nuova base facendo poi ricorso al rilievo topogra­ fico speditivo eseguito con tavolette «Trinquier» e a vista; si coprì così una zona di circa 900 kmq. Nel settembre del 1911 la missione (dopo un altro trasferimento) misurò una terza base nei dintorni di Merca; da questa si derivarono undici triangoli principali chiusi con determinazioni zenitali. I susseguenti lavori topografici intorno Merca coprirono un'area di 800 kmq, furono eseguiti con la tavoletta pretoriana alla scala 1 :50.000 ed ebbero termine nell'estate del 1912. Questo complesso di operazioni consentì la produzione delle seguenti carte : - carta della media e bassa Goscia, 9 fogli a colori alla scala di 1 :50.000; - regione dello Uebi Scebeli presso Merca, 1 foglio in nero in scala di 1 :50.000; - carta della Somalia italiana in scala di 1 :200.000 a colori; - schizzo dimostrativo di Brava, Soblalle, Avai a colori alla scala di 1 :100.000 ; - la bassa Goscia, unico foglio in nero alla scala di 1 :200.000. Nella primavera del 1912 una nuova missione composta dal topo­ grafo Fiechter (geodeta) e dai capp. Bolis e Boschi (topografi), effettuò dei rilievi sistematici nella valle inferiore del Giuba oltre Margherita. La nuova base geodetica di circa 2. 100 metri fu misurata nella valle di Vadda e fu sviluppata una rete di oltre SO vertici determinati in planimetria ed in quota fino al raggiungimento del parallelo di Gelib. La zona successivamente rilevata topograficamente aveva un'esten­ sione di circa 960 kmq e raggiungeva Arenga a settentrione di Gelib.

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Le cartografie da rilevamento della Somalia A differenza di quanto avvenuto per l'Eritrea l'attività topocarto­ grafica in Somalia iniziò diversi anni dopo l'occupazione. Infatti sino al 191 O non si intrapresero lavori geodetici e la scarsa conoscenza di quel vasto territorio si basava su alcune carte dimostra­ tive a scale corografiche e geografiche. Fu in quell'anno che i Ministeri degli affari esteri e della guerra concertarono l'avvio di un programma di lavori geodetici tendenti a sviluppare una più organica produzione di carte in scala 1 :100.000. Una sezione dell'Istituto geografico militare, appositamente costi­ tuita, fu inviata a Giumbo, nel basso Giuba, nell'agosto del 1910 (era diretta dal cap. Silvio Egidi e ne facevano parte i capp. Piccioli, Cavicchi e Fumelli-Monti in qualità di operatori).


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1 926-1 935.

Somalia

Valerio Toccafondi

La seconda fase dei lavori geotopografici m Eritrea e in

In Eritrea e in Somalia i lavori geotopografici cessarono nel 1914 e non furono ripresi che nel 1 926 sia per la guerra mondiale e per le precarie condizioni politiche interne dei primi anni Venti, sia perché la cartografia esistente era considerata sufficiente per le esigenze del tempo; cosi questo periodo fu caratterizzato da limitati interventi per esigenze particolari. Nel 1 926 ripresero regolari lavori geodetici e topografici che dura­ rono circa un decennio e portarono all'ampliamento ed all'aggiorna­ mento dei vecchi progetti di inizio secolo e alla produzione di nuove carte; si rarmmentano qui solo le più significative : - 25 nuove tavolette in scala 1 :25.000 coprenti un territorio di circa 2.500 kmq lungo il confine eritreo con il Tigrai; - 6 fogli in scala 1 : 100.000 relativi al tracciato di una nuova ferrovia da realizzare in Somalia lungo la direttrice Adalei-Bardoa-Jet ; il foglio di Addis Abeba in scala 1 : 1 00.000; la rete stradale della Somalia alla scala 1 :400.000 ; la carta ipsometrica dell'Africa orientale in scala 1 :3.000.000. Lavori geodetici, topografici e cartografici in Tripolitania e in Cirenaica Allo scoppio delle ostilità con la Turchia i Comandi militari avevano a disposizione solo alcuni lavori cartografici parziali, carte per lo più dimostrative che l'Istituto geografico militare aveva frettolosamente allestito sulla scorta di documentazioni di difforme e varia origine. Subito dopo l'occupazione di Tripoli e Bengasi fu però varato un programma geodetico-topografico che tra il 1 9 1 2 e il 1914 portò alla compilazione delle seguenti carte: tavolette al 25.000 di Gargaresc, Tripoli, Bugrara e Tagiura; planimetria al 25.000 della piazza di Tobruch e del porto; planimetria al 2.000 della città di Zuara; conca di Ghegab al 25.000 ; carta al 25.000 del presidio di Bengasi;

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Cirene e dintorni al 10.000 ; rilievo speditivo al 25.000 di Psciara-Cuba. Fu realizzata inoltre, tra il luglio e l'ottobre del 1 9 12, una grande pianta della città di Tripoli alla scala 1 :2.000 per il nuovo piano regolatore. Ma scopo principale dell'attività geodetica fu la compilazione di una carta della colonia alla scala 1 :1 00.000 quale base di tutta la futura cartografia. Così nel 1 9 1 3, dopo la pace di Losanna, fu inviata in Libia una missione di diciotto operatori diretti dal ten. col. Baglione e dal cap. Vacchelli. Si realizzò una rete di triangolazioni appoggiata alle basi geodetiche di Gargaresc e Lebda per la realizzazione di 36 fogli nell'area compresa tra il parallelo di 36° 40' e la costa. Nel contempo il cap. Fumelli-Monti e il topografo Guardabasso iniziarono operazioni geotopografiche in Cirenaica partendo dalla base di Bengasi. I lavori, salvo temporanee interruzioni per motivi meteorologici e di riorganizzazione logistica, proseguirono fino al 1914 per un'area di 6.000 kmq La copertura interessò tutta la zona costiera dal confine tunisino a Misurata, per una profondità variabile dai 12 ai 50 km e parte del Gebel nei dintorni di Assaba e di Jefren per circa 400 kmq. La guerra mondiale determinò un periodo di stasi dell'attività geo­ topografica e soltanto nel 1 9 1 9 la missione Gianni-Fiechter riprese i lavori realizzando la misurazione della nuova base di Cirene e una secondaria, inserita nelle maglie della precedente, prolungata fmo a Sud di Bengasi e ad Est di Derna per un complesso di 260 vertici su un'area di 6.000 kmq. Pertanto nel 1 921 fu pubblicata una carta topografica della Cirenaica alla scala 1 :50.000 in 20 fogli, che precedette di poco la pubblicazione di quella alla scala 1 :1 00.000. Per circa 10 anni, per varie cause, non si ebbero ulteriori realizza­ zioni cartografiche. Nel 1 929 i Ministeri delle colonie e della guerra concertarono con l'Istituto geografico militare un programma organico e definitivo per lo sviluppo dei lavori geotopocartografici in Tripolitania ed in Cirenaica.


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Valerio Toccafondi

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Fu deciso di mirare al conseguimento di tre obiettivi ·principali: - la regolare continuazione delle levate per la carta fondamentale della Libia alla scala 1 :100.000; - la realizzazione di una carta alla scala 1 :400.000; - la compilazione di una carta generale di tutta la colonia alla scala 1 :1.000.000. I lavori relativi furono condotti ininterrottamente per oltre un decennio associando, tra l'altro, alle tecniche di rilevamento tradizionale alcune procedure di circostanza e le metodologie più avanzate. È d'obbligo ricordare che negli anni 1 937-38 si intrapresero lavori aerofotogrammetrici nella zona a Nord di Gadames lungo il confine tunisino, per la realizzazione di nove fogli alla scala 1 :100.000 su una superficie di 4.000 kmq; fu questa la prima applicazione pratica compiuta dell'Istituto geografico militare del rilevamento aerofoto­ grammetrico alla scala 1 : 100.000 appoggiato a triangolazione aerea spaziale, secondo il metodo messo a punto da Ermenegildo Santoni mediante l'impiego di un nuovo periscopio solare realizzato nell'am­ bito dell'I.G.M. Va ricordato inoltre che l'intensa attività di indagine territoriale in Libia non fu fmalizzata soltanto alla rappresentazione grafica del terreno ma si estese anche al campo geofisico e a quello del magnetismo. Infine, negli stessi anni, l'Istituto geografico militare fu contempo­ raneamente impegnato per i compiti istituzionali sul territorio metro­ politano, nelle colonie africane, nel Dodecanneso, in Spagna e in Albania; nonostante la vastità e l'onere dell'impegno i risultati conse­ guiti furono validissimi. Per la sola Libia nel 1 940 si potevano anno­ verare i seguenti principali documenti : - 25 tavolette in scala 1 :25.000 delle zone di Tripoli e Misurata rilevate negli anni 1931-39; - 40 fogli al 100.000 relativi al territorio tra Psida e Misurata e la fascia di confine da P sida a Gadames ; - rilevamenti in scala 1 :50.000 dei territori da Zava a Argub; - 60 tavolette al 25.000 in nero coprenti la fascia costiera da Bengasi a Sidi Aon;

- 23 quadranti al 50.000 della zona da Bengasi a oltre Derna e dal mare verso l'interno; - 30 fogli al 100.000 del territorio da Bengasi ad Amseat; - la carta topografica delle oasi libiche di Augila e Gialo, Gat e dintorni, Tazerbo, Zighen, Rebiana, Archenu, Cufra e El-Auenat, in scala 1 :100.000 ; carta dimostrativa della Cirenaica alla scala 1 :600.000 ; - carta dimostrativa della Libia alla scala 1 :400.000, in 45 fogli, m nero e a colori; 1 1 fogli della carta dimostrativa della Libia in scala 1 :1.000.000 ; carta magnetica della Libia in scala 1 :2.000.000. La quasi totalità delle cartografie menzionate in questa comunica­ zione e molti altri lavori di compilazione, tematici particolari e di indirizzo operativo, sono tuttora disponibili per i ricercatori ed i cultori della specifica materia presso le conservatorie storiche dell'Istituto geografico militare.

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A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

FERRUCCIO BOTTI A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

Premessa Gli anni '80 segnano una svolta significativa nel campo della storia militare italiana, con il progressivo affermarsi della tendenza a superare sia la descrizione meramente tecnica e operativa delle campagne (la cosiddetta histoire bataille), sia un tipo di storia troppo esclusivamente incentrato sugli aspetti politico-sociali e sui complessi rapporti tra enti, persone, istituzioni che ne derivano. Si sono invece avuti, negli ultimi tempi, esempi interessanti - anche se non esaustivi - di un nuovo approccio che vuole portare alla luce soprattutto le teorie d'impiego dello strumento militare, le strategie e gli aspetti ordinativi, tutto dò insomma che sta a monte delle opera­ zioni vere e proprie e ne influenza in maniera determinante i risultati 1• Superfluo, a questo punto, sottolineare che strategie e ordinamenti militari non hanno una valenza solo «interna», tecnica e non si impo­ stano ed evolvono in vacuo, ma ampiamente risentono del quadro politi­ co-sociale, e in genere di tutti i numerosi fattori condizionanti esterni. Nell'ambito di questo nuovo orientamento della storia e della sto­ riografia militare vi è peraltro un aspetto che - anche nel caso delle 1 Cfr. ad esempio (per tutte e tre le forze armate) F. BoTTI V. ILARI , Il pensiero militare italiano tra il primo e il secondo dopog11erra ( 1919- 1949), Roma, SME Ufficio Storico, 1985; per l'Esercito, F. BoTTI, Il pensiero 111ilitare italiano da fine secolo XIX all'inizio della prima g11erra IIJO!Jdiale, in « Studi storico-militari » 1986, 1987 e 1 988, Roma, SME Ufficio Storico, e la serie di volumi di F. STEFANI, Dottrina e orditiaiiJeJiti dell'Esercito italiano dal 1861 ai nostri giomi, SME Ufficio Storico, dal 1 984 in poi). Per l'Aeronautica, F. BoTTI M. CERMELLI, La teoria della g11erra aerea in Italia dalle origini alla seconda guerra 111011diale (1884- 1939) , Roma, Stato Maggiore Aeronautica, 1 989. -

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campagne coloniali - è stato finora molto poco approfondito: quello logistico-amministrativo, relativo cioè alle predisposizioni organizzative necessarie per rendere possibile alle forze armate di vivere, muovere e combattere nelle migliori condizioni di efficienza. Eppure, particolarmente nelle campagne coloniali da sempre l'aspetto logistico anziché «servire» semplicemente la strategia, camminare nel suo alveo e rendere possibili, come dovrebbe, i piani e le decisioni operative, detta loro le vere regole del gioco e in certo senso le costringe a percorrere una strada praticamente già tracciata, anzi im­ posta. Al tempo stesso, un approccio logistico-amministrativo è indi­ spensabile sia per penetrare la vera natura dei rapporti tra militari e politici, cioè tra enti utilizzatori e enti fornitori di risorse, sia per giudicare la congruità e l'aderenza alla situazione di strategie, piani, decisioni, comportamenti altrimenti difficili da spiegare e valutare. In questo quadro, il presente studio - il quale non è, e non può essere, che un'analisi molto sommaria degli specifici caratteri logistici delle nostre guerre coloniali - intende più che altro sottolineare l'utilità di questo approccio, a premessa di indagini più specifiche e approfondite. Quanto viene qui esposto, comunque, trova più ampia e organica trattazione nella Logistica dell'Esercito Italiano ( 1831- 1980), della quale lo scrivente ha finora pubblicato i primi tre volumi (dal 1 831 al 1939). Cenni sugli aspetti logistici della teoria delle guerre coloniali Nessuna specifica teoria strategica o logistica - e ciò è già un limite presiede alle guerre coloniali italiane del secolo XIX. In Eritrea esse vengono decise o meglio improvvisate sotto la spinta degli avvenimenti, senza tenere alcun conto delle esigenze della prepa­ razione militare e dei tempi occorrenti, in un clima di difficoltà parlamentari che limitano le iniziative del governo e - cosa ancor più grave - le risorse a sua disposizione, costringendolo a destinare ad imprese bene o male decise una quantità di uomini e soprattutto di quadrupedi, mezzi e materiali spesso molto inferiore alle esigenze. Tutto ciò non manca di avere pesanti riflessi prima di tutto nel campo logistico, ed è la causa principale degli immeritati insuccessi


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A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

che non premiano il valore delle truppe. Tuttavia - va detto subito - l'esercito italiano di fine secolo XIX non è il solo a trovar·si in difficoltà in un tipo di operazioni che richiede speciali predisposlzioni ed ordinamento, equipaggiamento, dotazioni, norme per il movimento e lo stazionamento molto diverse da quelli che possono dare risultati brillanti in un teatro d'operazioni europeo, e che sono stati suggeriti dall'esperienza bellica in tali teatri. In colonia tutta gli eserciti, anche quelli costituiti ad hoc, imparano soprattutto sbagliando. Lo dimostra un'opera del capitano d'artiglieria inglese Callwell significativamente tradotta nel 1887 a cura del nostro Stato maggiore, opera che può essere ben ritenuta il primo studio veramente organico sulla teoria (e sulla teoria logistica) delle guerre coloniali 2• In essa il Callwell così riassume gli ammaestramenti di venti anni di campagne d'oltremare inglesi dal 1865 in poi, ammaestramenti che - se si pensa al peso delle «guerre limitate» e delle crisi in tempo di «pace» di oggi - non hanno molto perduto di attualità:

Noi dobbiamo esser pronti per una guerra contro qualcuna delle formidabili potenze europee, ma sembra che le nostre istituzioni militari non abbiano avuto altro scopo se non questo, e che nell'adottare l'equipaggiamento delle nostre truppe non siasi pensato ad altro. Ne segue che all'aprirsi di ostilità le più insignificanti, tutto l'andamento dell'intero sistema ne soffre, perché ideato per operazioni su grande scala; mentre poi, il piccolo corpo di truppa destinato per la spedizione riesce gravemente difettoso, a causa della mancanza di organizzazione per la guerra irregolare. Allorché le grandi nazioni europee fanno la guerra, la fanno essendo sul piede di guerra ed in clima europeo, mentre noi dobbiamo essere preparati a farla stando sul piede di pace e in climi che non hanno alcuna somiglianza col nostro. È questo che forma il maggiore elemento di difficoltà nel formulare un sistema militare per l'esercito britannico» 3.

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« Venti anni di guerre irregolari, fatte in condizioni sempre diverse, valgono a gettare molta luce sulla controversa questione dell'equipaggiamento delle truppe in campagna. L'esperienza che vi si è guadagnata, non solo prova l'assoluta inutilità, in teatri di guerra come quelli nei quali d'ordinario dobbiamo lottare, di molte disposizioni delle elaborate tavole compilate al riguardo, ma suscitano dubbi circa all'utilità di alcuni oggetti in qualunque siasi circostanza. Il nostro carreggio da trasporto ed i carri da munizione per l'artiglieria sono stati riconosciuti difettosi; il fucile e la baionetta hanno dato cattivissimi risultati: l'equipaggiamento personale degli ufficiali e quello della truppa sono stati trovati sotto molti aspetti inservibili. Un grande impero coloniale è di necessità costante­ mente costretto a sostenere piccole lotte con le selvagge tribù che abitano ai suoi confini, e per tali operazioni bisogna avere un'organizzazione ed un equipaggia­ mento speciale. Allo stesso modo che le varie condizioni della guerra irregolare e da partigiani obbligano a modificare l'arte di far manovrare le truppe sul campo, l'amministrazione e l'economia interna di un esercito devono essere modificate, allorquando le sue frazioni devono agire contro guerrilleri e selvaggi. È questo un fatto sul quale non s'insisterebbe mai abbastanza.

2 C. E. CALLWELL, A mmaestramenti da trarsi daJ/e campagne nelle quali vennero, it!lpiegate le truppe britanniche dal 1865 a oggi, Roma, Voghera, 1 887, pp. 68-93.

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Effettivamente le peculiarità logistiche delle guerre coloniali, anche nella particolare fisionomia da esse assunta nel secolo XIX, sono tali da anticipare in parecchi casi la fisionomia generale assunta dalle «guerre limitate» del nostro secolo, nelle quali invariabilmente gli eserciti regolari più potenti e progrediti si sono trovati a disagio (e anche le flotte!). D'altro canto, le numerose spedizioni oltremare del secolo XIX anticipano anche taluni caratteri assunti dalle grandi guerre mondiali del secolo XX. In esse la logistica precorre nuovi orizzonti e, oltre a dettare spesso legge alla strategia e alla tattica capovolgendo antichi malvezzi, le costringe a condurre una guerra à tout azimut, ove certi capisaldi della regolamentazione non solo italiana del tempo (lo sfruttamento delle risorse locali, la netta separazione tra reparti e servizi, la conseguente dicotomia tra prima linea e retrovie, il rigido ancoraggio - tipico non solo della prima guerra mondiale - dell'organizzazione logistica al concetto di «fronte», «fianco» «avanti» e «indietro») mostrano tutti i loro limiti e mettono in crisi consolidate ftlosofie, mentalità e abitudini. Per trovare, in Italia, qualcosa di assimilabile allo studio del Cal­ lwell bisogna aspettare l'inizio del secolo XX, quando il ten. col. Carlo Ruelle, insegnante di logistica alla scuola di guerra, dedica il volume III della sua Guida allo studio della logistica (uno dei tuttora rari studi sull'argomento) alla logistica in montagna, nelle guerre coloniali e nella guerra d'assedio, con un'esauriente bibliografia 4• 3 Ibid., pp. 90-9 1 .

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Cfr. C . RuELLE, Guida allo studio della logistica, [1901] III (Sinossi per la scuola d i guerra).


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A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

L'approccio del Ruelle ha il pregio di essere eminentemente pràtico, empirico: sulla base delle esperienze in positivo e in negativo' sia delle nostre campagne coloniali che di quelle dei principali ese rciti europei, egli cerca di pervenire non a una teoria organica e definitiva delle guerre coloniali (che giudica impossibile), ma a un complesso di criteri e orientamenti di massima che devono presiedere all'orga­ nizzazione logistica, nella quale in gran parte si compendia l'orga­ nizzazione stessa delle operazioni. Probabilmente egli ha ben presente la non molto felice esperienza delle nostre campagne d'Eritrea, quando osserva che:

solo e unico mezzo di rifornimento rimane l'affluenza da tergo ( . . . ) » [quest'ultimo - va notato - è un carattere che avrebbero assunto anche le guerre europee nel 1914-1918, N .d .a.] 5.

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« In ogni genere di guerra la migliore strategia è quella che sa far convergere sul punto decisivo la maggior quantità di forze nelle migliori condizioni e nella direzione più opportuna; nella guerra coloniale la direzione più opportuna è quella che offre alla logistica minori difficoltà da superare e che consente perciò di far avanzare, nelle migliori condizioni, le maggiori forze sull'obiettivo. Anche il problema strategico dunque, come già il problema tattico, si trasforma qui in un problema logistico ( . .. ) In tali condizioni di cose il primo e più sicuro elemento di successo è una buona preparazione logistica, la quale deve dar luogo a un lavoro lungo, paziente, accurato; lavoro di mesi e talvolta di anni, e per il quale non deve mancare per compierlo il tempo occorrente, perché le guerre coloniali, per un governo illuminato e previdente, non scoppiano mai improvvisamente e non volute ( . . . ) . D'altra parte, non sarebbe possibile iniziare gli effettivi apparec­ chi di guerra senza essere in possesso di una quantità di dati positivi, la cui raccolta è di per se stessa molto lunga. Questi dati hanno il loro punto di partenza nella compilazione di uno studio geografico militare del possibile teatro d'opera­ zioni, per rispetto al clima, alle acque, alle risorse locali, alle comunicazioni, alle coste, all'indole delle popolazioni, allo stato politico, economico e sociale del paese, alle forze armate che può mettere in campo ( . . ) . Venuti così in possesso di tutti i dati occorrenti, si pensa a stabilire l'obiettivo che si vuole raggiungere, a concretare cioè il cosiddetto piano di campagna, a calcolare le forze ed i mezzi che sono necessari per attuarlo ( . . ) Mentre nella grande guerra la logistica dispone di tutti i mezzi che la civiltà progredita pone a sua disposizione, nella guerra coloniale è invece costretta a servirsi quasi sempre di mezzi primitivi, quali la bestia da soma e i portatori ; deve lottare colla difficoltà delle popolazioni; ha da fare con un nemico il quale, se è poco solido contro la massa principale delle nostre forze, è invece temibile per l'audacia dei suoi colpi di mano e l'attività dei suoi distaccamenti, audacia ed attività che hanno quasi esclusivamente di mira le comunicazioni. A tutto ciò, a questa minore potenzialità di mezzi, a questo maggiore cumulo di difficoltà e di minacce, fa riscontro una più grande mole di esigenze, perché vi manca quasi assolutamente il sussidio delle risorse locali, ed il

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Il Ruelle mette giustamente in rilievo che difficilmente, nelle guerre coloniali, gli errori commessi in fase preparazione possono essere rimediati in fase condotta: perciò (non è certamente il caso della direzione politica italiana dal 1885 al 1896) <de guerre coloniali, per un governo illuminato e previdente, non scoppieranno mai improvvise e non volute; esse non si subiscono come una necessità, ma si cercano per un interesse politico ed economico ben definito » 6.

Come si è visto, alla base di una buona preparazione vi è, per il Ruelle, un accurato studio geografico-militare del possibile teatro d'operazioni. Questo studio, compilato sulla scorta dei risultati di missioni scien­ tifiche, relazioni di viaggio, precedenti spedizioni militari nostre e al­ trui, deve essere - se possibile - controllato e ampliato con ricognizioni sul posto. Una volta che si è in possesso di questi indispensabili dati, si sceglie l'obiettivo e si calcolano le forze e i mezzi necessari per raggiungerlo e la loro fisionomia operativa e logistica, che natural­ mente deve essere ad hoc. Particolare fisionomia assumono la base di operazione e le linee di operazione che la collegano alle truppe, le quali richiedono molteplici ed onerose predisposizioni per renderle praticabili e sicure. Perno del sistema logistico (e quindi anche operativo) è la base di operazione, in genere coincidente con un porto che molto raramente ha la potenzialità, la capienza e l' orga­ nizzazione necessarie per un corretto smaltimento del traffico. Secondo il Ruelle, questa base «rappresenta, per un corpo che opera oltremare a tante migliaia di chilometri dalla madrepatria, l'unica fonte delle sue risorse e il suo unico punto d'appoggio. Su essa fanno capo e si raccolgono, prima di iniziare le operazioni, le forze ed

5 Ibid., pp. 107-108. 6 Ibid., p. 1 08.


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i mezzi, e affluiscono poi i materiali d'ogni genere e le vettovaglie . ·e i socéorsi destinati al corpo operante, già internato nel paese nemico; in essa trovano conforto e rifugio gli ammalati e i feriti. (. . . ) Alla base d'operazione nella colonia, corri�ponde nella madre patria un'altra base dove si raccolgono e donde partono i mezzi destinati al corpo di spedizione» 7.

le difficoltà di rifornimento da tergo (lunghe distanze, carenza di idonei mezzi di trasporto). e) Servizio trasporti. È quello che costantemente crea i maggiori problemi organizzativi e richiede i maggiori on�ri �na�iari, a causa della scarse possibilità di utilizzazione del carregg10 ?i t1po ��ropeo e del frequente scarso rendimento anche delle salmene di. o�igme europea� a fronte di frequente carenza di quadrupedi locali. Ne denvano freque�t1 e talvolta insormontabili difficoltà di approvvigionamento dei numerosis­ simi quadrupedi necessari per un esercito europeo, che una vol�a �ispani­ bili sono soggetti a epidemie e malattie e richiedono spes�o di ncorrere a conducenti locali infidi efo indisciplinati. Speciali provvidenze devon� essere inoltre adottate per l'organizzazione dei trasporti via mare e dei porti, che a sua volta richiede il concorso degli armatori civi� e della Marina da guerra, imponendo per la prima volta una collaboraz10ne e un coordinamento - anche nell'organizzazione dei porti di imbarco e sbarco - tra due Ministeri tradizionalmente molto attenti a mantenere la reciproca «indipendenza», come erano quello della guerra e della marina 8. f) Servizio delle tappe e delle retrovie. Il movime�to e staziona­ mento delle truppe hanno ben poco in comune con quelli che avven�o­ no in guerre europee e sono ostacolati da molteplici . d_iffi�olt�: la .scarsità e insicurezza delle vie di comunicazione, le condizlOru climatiche, le difficoltà dell'ambiente. Le misure più indispensabili da adottare sono: accurate ricognizioni e informazioni prima di compiere le marce, str�tt� osservanza della disciplina di marcia, tappe brevi (in genere non supenon ai 1 0 km) da coprire con movimenti nelle ore più favorevoli per evi�are i rigori del clima, il frequente ricorso all'�ddiaccio (o, . i� alternativa, all'attendamento) e una poderosa organizzaz10ne del serviZlO delle tappe e delle retrovie alle spalle delle truppe operanti, organizz��ione t�le d� assorbire gran numero di uomini, materiali e mezzi logistici, scaglio�at1 lungo le linee di comunicazione a distanza no�malmente n?n . supenore a una giornata di marcia. Ne consegue che i comandanti Si tro_vano spesso di fronte all'alternativa tra lasciare pericolosamente sguarrute le

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Dall'analisi del Callwell e del Ruelle si desume anche che la fisionomia dei singoli servizi assume aspetti del tutto peculiari, i quali da soli bastano a fornire anche a chi è profano di cose militari un quadro delle difficoltà da superare e del peso che esercitano su qualsivoglia disegno operativo. a) Servizi di sanità e veterinario. Assumono importanza determi­ nante le misure di prevenzione delle numerose malattie tropicali e delle epidemie in genere, con particolare riguardo alle regole igieniche nei climi caldi. I feriti in combattimento in rapporto alle guerre europee non sono, in genere, numerosi. Il loro sgombero risulta peraltro molto difficoltoso, sia per le rilevanti distanze dai luoghi di cura sia soprat­ tutto per la scarsità e inadeguatezza dei mezzi di trasporto (in genere a dorso di mulo, perché difficilmente possono essere usati i carri per trasporto feriti in uso negli eserciti europei). b) Servizio di vettovagliamento. Prima preoccupazione è il rifor­ nimento dell'acqua, che in zone che ne sono prive richiede una com­ plessa e pesante organizzazione di quadrupedi e recipienti. È inoltre necessaria un'alimentazione ad hoc, con generi costosi e quasi mai reperibili sul posto. c) Servizio vestiario ed equipaggiamento. Anche in questo caso, tenuta e copricapo del soldato e tutto ciò che porta al seguito devono essere adattati al particolare ambiente, tenendo presente che la legge­ rezza del carico individuale non deve andare troppo a discapito del­ l'autonomia e della qualità di vita che può garantire un razionale equipaggiamento (il che non è affatto facile). d) Servizio armi e munizioni. Occorre ricercare un punto d'equi­ librio tra l'esigenza di non appesantire troppo il soldato, e quella di aumentare nei limiti del possibile la sua dotazione di munizioni, date 7 Ibid., p. 122-123.

8 Sui trasporti via mare nelle principali campagne coloniali e sul rend me��o ei rispettivi sistemi attuati cfr. G.MOLLI, Le spedizioni marittime moderne ed z. trasportz mzJztarz a Massaua, Milano, Galli, 1 897.


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retrovie, rischiando di compromettere l'afflusso degli inqispens.abili rifornimenti, oppure sottrarre forze consistenti alla massa operativamente impiegabile, compromettendo il buon esito della campagna. g) Servizio amministrazione. L'amministrazione cioè la corretta· ' materiale razionale ed economica gestione del contante e del e la' correttezza e congruità delle scritture contabili e dei sistemi di ap­ provvigionamento, è sempre stata un punctum dolens della nostra strut­ tura militare, dimensionata - sul modello francese e in aderenza alle teorie dell'Odier e de Vauchelle - più per le esigenze di pace che per quelle di guerra: quest'ultime erano ritenute del tutto eccezionali e regolamentate poco e male. Essa rispecchia - né può essere altrimenti - la farraginosità, la lentezza delle procedure e l'eccessiva attenzione per i meri controlli formali e contabili del sistema amministrativo dello Stato, e si rivela perciò maggiormente inadeguata di fronte alle esigenze straordinare create soprattutto dagli approvvigionamenti di viveri, quadrupedi e materiali necessari per le colonie. Tutte queste difficoltà per un buon supporto logistico - riferite, si è visto, alle due campagne d'Eritrea e alle campagne coloniali europee del secolo XIX permangono anche alle nostre guerre coloniali del secolo XX (Libia 191 1-1912 e operazioni per la sua riconquista negli anni Venti; Etiopia 1935-1936). Esse nel secolo XIX sono tali, da richiedere in colonia l'impiego di effettivi limitati e scelti (anche fisicamente) con particolare cura, generalmente volontari. Ciò vale prima di tutto per l'esercito inglese, ma anche per quello francese, che ricorre per le sue campagne soprattutto alla Légion etrangère . «Almeno per le campagne coloniali italiane, il quadro muta rapida­ mente nei primi decenni del secolo XX, grazie alla comparsa di due nuovi mezzi che rivoluzionano soprattutto la logistica, aprendole pro­ spettive inaspettate specie in colonia: l'automezzo e l'aeroplano, ai quali si aggiungono la radio, il telegrafo, il telefono, la mitragliatrice e nuovi ritrovati per la medicina e chirurgia di guerra, sia sotto l'aspetto della prevenzione che sotto l'aspetto della cura delle malattie e delle ferite. Tutto ciò rende possibile rifornire e mantenere in buona efficienza anche eserciti molto più numerosi e aiuta a superare più agevolmente molte delle tradizionali difficoltà che incontrano in colonia le truppe europee, aumentando a favore di queste ultime il divario con le ·

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formazioni irregolari locali, specie quando queste ultime sono così presuntuose e malaccorte da accettare - come nella guerra d'Etiopia - battaglie in campo aperto. La disponibilità di automezzi e la migliore assistenza sanitaria, in particolare, incrementano le possibilità di rapido movimento e di stazionamento delle truppe nazionali e rendono quindi possibili operazioni dinamiche, che nel secolo XIX, in mancanza di mezzi di trasporto a motore, dovevano invece essere scartate dal novero delle possibilità o affidate a reparti indigeni, molto più leggeri e assuefatti al clima e all'ambiente. La fase di passaggio dal tradizionale tipo di guerra coloniale d'élite della seconda metà del secolo XIX alla guerra coloniale di massa e condotta anche da eserciti di leva, è rappresentata dalla guerra di Libia, mentre il punto di massima evoluzione - e di massimo successo della nuova formula - viene raggiunto con la guerra d'Etiopia. Su «Esercito e Nazione» del luglio-agosto 1935, alla vigilia di quest'ultima campagna per molti aspetti emblematica, il ten. col. Perugini richiama la nuova fisionomia assunta dalla strategia e dalla logistica coloniale: « la guerra coloniale è stata finora considerata come una distinta sottospecie della guerra in genere, e le regolamentazioni tattiche dei vari eserciti hanno dettato particolari norme, che in fondo non erano che adattamenti ai due principali elementi coloniali: speciale ambiente, speciale nemico. Il primo di tali elementi, più che una differenziazione di ordine tattico, costituisce una specializzazione di ordine logistico; il secondo influiva sui metodi e procedimenti tattici. Ma oggi questo secondo elemento, che poteva dare una fisionomia propria al combattimento coloniale, si è talmente evoluto che non può più costituire motivo sostanziale di differenziazione. I territori coloniali del mondo sono in gran parte soggetti a stati civili, oppure sono costituiti da popoli coloniali statalmente e militarmente organizzati. Nell'un caso e nell'altro si avrà l'impiego di masse di truppe anche ingenti, organizzate, ripartite, ed armate come i più moderni eserciti, munite di tutti i mezzi bellici più progrediti (mitragliatrici, artiglieria, carri armati, reparti motorizzati, gas, aeroplani, ecc.), le cui modalità d'azione non potranno essere diverse da quelle normali. La guerra coloniale secondo le veccbie concezioni potrà forse ripetersi in zone prettamente sahariane o quando si tratti di debellare torbidi interni delle popolazioni indigene. Ma allora si dovranno combattere nuclei non numerosi di rivoltosi (qualche migliaio), eseguendo una serie di operazioni di semplice polizia coloniale, con metodi che possono più paragonarsi ad una azione di repressione di brigantaggio, che ad una azione bellica vera e propria. La vera guerra in colonia sarà ormai guerra grossa, guerra che non ha nulla di diverso da quella che si può combattere in Europa od in qualsiasi altro continente.


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A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

No_n si tratterà più di combattere una guerra coloniale, ma una guetta in t�rreno coloruale, come Sl combattono guerre in terreno montano, in terreno boscoso, o fittamente coperto, ecc.. Si è volut? chia�i�e il moderno carattere di una guerra coloniale, e cioè impi�go . d� masse e di n:ezz1 1� ter�e�� special� , per desumerne l'importanza ed il compito sempt'e . pzu, gravoso che t servtzt logzstzct sono chzamati ad assolvere» 9. ·

È in questo canovaccio generale che vanno inserite, ciascuna nelle sua casella, le nostre campagne coloniali, per le quali ci limiteremo a indicare molto brevemente i caratteri salienti e i momenti evolutivi più pronunciati.

La prima campagna d'Eritrea (1885-1889)

conto della consolidata abitudine dei governi piemontesi . Se . si :iene e ltaham del secolo XIX di non tenere in alcun conto i riflessi militari di decisioni (spesso improvvise) di politica estera e le conseguenti _ es1genz � della preparazione militare, non v'è troppo da meravigliarsi se la p nma campagna d'Eritrea incomincia all'insegna della più com­ p�eta �mprepa�azione logistica, e rappresenta l'esatto opposto, un esem­ pw «lll negatlvo» di quanto indica il Ruelle ai fini di un buon esito �i questi _tipi di �ampagne. Le difficoltà logistiche e l'assoluta inespe­ nenza de1 quadn sono comunque attenuate da tre fattori positivi:

�) . la �apacità, l'energia e lo spiri:� d'iniziativa che dimostra, specie ,. all llllZl� , 1l comandante della sped1z1one col. Tancredi Saletta (poi capo d1 Stato maggiore dell'esercito); b) la fisionomia inizialmente assunta dalle operazioni, che si rias­ sumono nello stabilire in modo incruento il dominio italiano sull'abi­ tato di Massaua e nell'occupare gradualmente posizioni verso l'interno che lo proteggono, a distanze dell'ordine massimo di 30-40 km e - fino a Dogali nel 1887 - praticamente senza combattere; c) la razionale organizzazione di comando, facilitata dalla possibi­ lità di riprodurre per diversi aspetti anche in colonia l'organizzazione � �

9. I. ERU INI, Appunti di logistica coloniale, in «Nazione militare», 1935, 7-8, pp. 488-494. Il corsivo e m10.

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territoriale di pace della madrepatria (imperniata su comandi di corpo d'armata e di divisione territoriale, con attribuzioni sia logistiche che operative) e di applicare in linea generale la relativa regolamentazione. Anche in Eritrea tutte le attribuzioni sono accentrate nel coman­ dante, al quale direttamente rispondono gli organi direttivi dei vari servizi, nonostante che la vigente regolamentazione di guerra preveda che - ai livelli più elevati - la parte logistica sia separata da quella operativa e faccia capo ad un intendente, con conseguente possibilità di palleggi di responsabilità e incomprensioni che in effetti si verificano fino alla prima guerra mondiale compresa 10• La situazione logistica iniziale è comunque estremamente sfavore­ vole 11• Il col. Saletta viene designato comandante solo il 7 gennaio 1885, e solo il 12 gennaio - cioè due giorni prima del concentramento dei reparti a Napoli e cinque giorni prima dalla partenza da quel porto - il Saletta viene convocato al Ministero per ricevere direttive che, dato il quadro internazionale, sono assai generiche. Solo il 19 aprile 1885, sanzionando evidentemente degli stati di fatto già esistenti, sono emanate dal Ministero della guerra le prime «Norme speciali di servizio e di amministrazione per truppe d'Africa», alle quali seguono, il 1 o giugno, le «<struzioni amministrativo-contabili» per il funziona­ mento dei vari servizi. Il col. Saletta parte senza carte topografiche, la truppa ha il normale vestiario ed equipaggiamento previsto in patria, la razione viveri 10 Molto meno aderente alle esigenze l'organizzazione francese dei servizi in colonia, al tempo affidati - con gravi inconvenienti - a una Intendance mi!itaire des troupes colonia/es a parte, composta da funzionari assimilati al grado di ufficiale, poi divenuta nel 1 889 «Corpo di commissariato coloniale» e nel 1906 « <ntendenza delle truppe coloniali», alle dipendenze - con propria e molto diversa regolamentazione - del Ministero delle colonie e non di quello della guerra (cfr. M. MARTIN, L'Intmdance Jllilitaire des troupes colonia/es, Paris, Lavauzelle, 1908). L'unificazione decisa nel 1936 suscita vivaci opposizioni (cfr. articolo su «Action française» del 24 maggio 1936). 11 Cfr., in merito, MINISTERO DELLA GUERRA, Storia militare della colonia eritrea, I, Roma 1 935; L. TuccARI, L'impresa di Massaua cento anni dopo, Roma, SME Ufficio Storico, 1 985; A. BIANCHINI - R. PuLETTI, Tancredi Sa!etta a Massaua: memoria, relazioni documenti, Roma, SME Ufficio Storico, 1987; Relazione sulla operazione militare per la rioccupazione di Saati, estratto da « Rivista Militare>>, 1 988.


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è anch'essa quella normalmente prevista in Italia ed è perciò· inadeguata e insufficiente rispetto a quelle adottate, in colonia, dai principali eserciti. Essa risulta povera di carne, caffé, ortaggi e spezie, ciòè di generi il cui uso in colonia era necessario per combattere lo scorbuto e le malattie intestinali. Manca l'acqua, e mancano anche i recipienti e le attrezzature per scavare pozzi e per sbarcarla dalle navi che la trasportano. Il porto di Massaua non ha alcuna organizzazione per lo scarico dei materiali e mancano quadrupedi e mezzi di trasporto, peraltro non molto necessari, visto che per il momento si tratta solo di installarsi a Massaua. Mancano, infine, materiali per costruire ba­ raccamenti e per far dormire i soldati in giacigli sollevati da terra, perché la permanenza nelle tende e sul nudo terreno non è ben sopportata ed è causa di malattie. Molte di queste deficienze avrebbero potuto essere evitate, se fosse stato possibile sfruttare convenientemente l'esperienza di una prece­ dente spedizione inglese del 1867-1868 nella quale, comunque, secondo il Callwell si verificano seri inconvenienti, nonostante il gran numero di quadrupedi e di personale addetto ai servizi 12• D'altro canto, grazie all'impegno del Saletta e dei suoi collaboratori, che operano in un quadro di larga autonomia e indirizzano al Ministero una serie di proposte e richieste in genere prontamente accolte, i principali disser­ vizi iniziali sono eliminati in pochi mesi, la situazione sanitaria migliora notevolmente, la razione viveri regge il confronto rispetto a quelle dei principali eserciti, viene adottato vestiario ed equipaggiamento più adatto e sono migliorate anche le condizioni di alloggiamento e di vita in genere, senza peraltro che il corpo di spedizione sia in grado di condurre all'occorrenza operazioni a largo raggio verso l'interno. Quando, a fine 1887, viene deciso di rimediare all'infelice episodio di Dogali con l'invio di un corpo di spedizione di 18.000 uomini al comando del gen. di San Marzano con il compito di riconquistare Saati, in previsione di operazioni dinamiche e più in profondità i ser­ vizi logistici sono costretti a trasformarsi da presidiati e statici in operativi, con particolare riguardo alla sanità e ai trasporti. Viene

studiata, ad esempio, una speciale sezione di sanità da montagna con 2 ufficiali medici, 50 cammelli, 50 muli, strumenti chirurgici e attrez­ zature varie per trasportare su muli e cammelli oltre 150 feriti 13• Sono soprattutto i trasporti a richiedere le maggiori cure e un'im­ ponente e dispendiosa organizzazione, imperniata - fatto significativo - su una ferrovia con linea telegrafica annessa, che viene costruita in tempi serrati da ottobre 1887 a marzo 1888. Come avviene nei teatri d'operazioni europei anzi ancor di più la strada ferrata è ritenuta, anche in colonia, l'unico rimedio per ovviare alla deficienza dei qua­ drupedi e all'impossibilità di impiegare il carreggio, oltre che ai pro­ blemi che essi provocano anche quando sono in numero sufficiente. Come dimostra la sua relazione, è sul progredire dei lavori della ferrovia che il di San Marzano regola la sua prudente e lenta avanzata verso Saati, perché solo la ferrovia gli può assicurare l'alimentazione logistica delle unità in movimento, mentre i quadrupedi hanno solo il classico ruolo di raccordare con la ferrovia i reparti avanzati. Si rende tuttavia ugualmente necessario noleggiare o acquistare gran numero di quadrupedi, tra i quali 2000 cammelli e 2160 muli forniti da un'impresa, con i quali si assegnano quadrupedi fino al livello di compagnia e si someggiano le sezioni di sanità e commissariato, il parco viveri, il parco acqua (700 cammelli con doppia dotazione di recipienti), i parchi di artiglieria e del genio. Sono anche costituiti una colonna trasporti di riserva (400 muli e 800 cammelli) e un parco carreggio (con il quale si trasportano i feriti, gli ammalati e i materiali dai campi alle stazioni ferroviarie più vicine).

12

C. E. CALLWELL, Atm11aestrammti . . cit., p. 75. .

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La seconda campagna d'Eritrea (1895-1896) La seconda campagna d'Eritrea comporta operazioni dinamiche e in un raggio molto più ampio rispetto alla prima, e date le distanze da percorrere non è più possibile costruire rapidamente una ferrovia e farne il perno del sistema di rifornimento. Come dimostrano anche 13

AUSSME, C.E., Rep. L.-7, Cart.

n.

86, b. 13.


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le memone del gen. Baratieri recentemente ristampate 14, il fattore logistico influenza le decisioni operative del comandante ancor più che nella campagna precedente, e al tempo stesso è alla base 9i frequenti divergenze tra il governo e il comandante sul posto. Ancora una volta, il governo decide tardi e male e manca una chiara e tempestiva direttiva politico-strategica, con i consueti riflessi negativi che nella fattispecie risultano accentuati:

«io chiedeva successivamente - secondo che potevano essere inviate dall'Italia e da Massaua nell'Agamè - battaglioni e batterie fornite di tutto ciò che era necessario alla guerra in quel paese ed in altre condizioni, che dovevano essere conosciutissime al Ministero. E il Ministero continuava nelle sue offerte di uomini, non di reparti organici, come se soltanto il numero dei partenti dall'Italia avesse valore sul campo di battaglia, come se inflniti non fossero i bisogni di guerra, come se coll'offrire uomini il Ministero corrispondesse ad ogni suo dovere» 16•

« Mancando un chiaro, presto definito, immutabile programma governativo, mancò tutto. Presto deflnito abbiamo detto. E c10 precisamente per il tempo richiesto dai preparativi che accorrevano in ogni campo, e particolarmente nel campo logistico: sistemazione portuaria di Massaua; sistemazione stradale; costituzione di depositi; lavori idrici; organizzazione dei trasporti (requisizione e distribuzione dei mezzi e disposizioni per l'impiego). Potevano servire come orientamento in tale prepara­ zione i dati di esperienza delle spedizioni inglesi del 1 868 e del 1 876, con le dovute riduzioni relative alla nostra maggiore sobrietà. E ne sarebbe risultato, in ogni modo, che i mezzi occorrenti - specialmente trasporti - erano assai ingenti. A titolo di esempio, riferito al programma di un'avanzata verso l' Ascianghi a circa 400 km dalla base con 30-35 mila uomini (di cui un terzo indigeni), si calcola che accorrevano, oltre alle salmerie dei corpi (3500-4000 quadrupedi) 20-25 mila cammelli; o 30-40 mila muli nostri di taglia grande; o 40-50 mila muletti di razza locale» 15 .

Il governo chiede a Baratieri, anche per esigenze politicrhe interne, una rapida azione risolutiva, ma non gli fornisce forze qualitativamente adatte a operazioni dinamiche in colonia, e ritiene di aver assolto il proprio compito solo inviando un gran numero di uomini, senza l'indi­ spensabile supporto logistico. Baratieri a fine febbraio 1896 dispone di ben 25000 bianchi e 19000 indigeni con 66 pezzi, ma di questi solo 15000 sono operativamente impiegabili e concentrati al campo di Saurià vicino ad Adua. Gli altri sono addetti ai servizi e non ancora impiegabili, perché il sistema logistico non consente di alimentare in avanti, a Saurià, più di 15000 uomini. Questo, anche se il Baratieri fm dal dicembre aveva rappresentato ripetutamente e con veemenza la necessità di avere anzitutto salmerie, viveri, mezzi logistici: 1 4 Cfr. O. BARATIERI, Memorie d'Africa, Torino, Bocca, 1 898. 1 5 MINISTERO DELLA GUERRA, Storia militare. . . cit., Il, p. 66.

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Rimane, comunque, precisa responsabilità del Baratieri quella di essersi spinto troppo avanti senza resistere alle sollecitazioni politiche, senza perfezionare il sistema dei trasporti e senza attendere i cospicui rinforzi di uomini, quadrupedi e materiali che pure erano in arrivo. Ad Adua (1 o marzo 1896) i giochi sono ormai fatti, e per ragioni logistiche Baratieri è praticamente costretto ad attaccare, senza altre reali alternative: «Ecco come il 28 febbraio rispetto ai movimenti militari si presentava la questione vettovaglie: 1 o per un'operazione immediata di due o tre giorni - viveri sufflcienti; 2° per un'operazione ritardata - viveri insufficienti; 3o per una prolungata difesa a Saurià - viveri insufficienti; 4o per un'avanzata riuscita - probabile concorso del magazzino di Adi Ugri [lungo la via di comunicazione Massaua - Asmara - Adi Ugri - Adiqualà - Adua, non utilizzabile flno a che Adua non era stata conquistata - N.d.a.], a sua volta soccorso dai depositi dell'Asmara, ed apertura di una nuova via di rifornimento » 17 .

Con questi vincoli, la presenza di un intendente quale responsabile del buon andamento dei servizi non migliora affatto il supporto logisti­ co, e anzi crea a volte una non chiara situazione nelle dipendenze dei servizi stessi. Dalla relazione dell'intendente si apprendono i risvolti drammatici che prima di Adua assume il problema dei quadrupedi, dei conducenti e delle vie di comunicazione 18 : e oltre tutto, anche il sistema 1 6 O. BARATIERI, Memorie... cit., pp. 335-340. 1 7 Ibid., p. 362.

18 Cfr. Battaglia di Ad11a (Relazione del regio CoNtando trt�ppe coloniali), in «Rivista militare italiana», 1 896, pp. 1 083-1 125 ; Doctl!lle/Jti della gt�erra d'Africa - relazione del gmerale Baldissera


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di contabilità si rivela inadeguato e non è in grado di assicurare un'or­ dinata resa dei conti. Come scrive, nel 1936, il ten. gen. Vincenzotti

vere e proprie autoambulanze della Croce rossa, che possono traspor­ tare fino a 4 feriti in barella (oltre al personale sanitario, al materiale di medicazione e ad acqua e generi di conforto). Di grande rilievo anche i progressi che si compiono nella diagnosi e nella cura delle ferite con il largo impiego, sempre per la prima volta, della radiologia e dell'elettricità zo. Per altro verso, la guerra di Libia anticipa molti dei problemi logistici che poi avrebbero fortemente condizionato le operazioni della prima guerra mondiale, e causato specie all'inizio vere e proprie crisi logistiche. Tra di essi il grande consumo di munizioni, superiore ad ogni previsione e dovuto anche all'introduzione in servizio di moderne armi considerate allora a tiro rapido (fucile mod. 91, can­ none a deformazione da 75/27, mitragliatrice) e l'impiego di grandi quantità di materiali di rafforzamento, resi necessari dalla fisionomia statica - e sotto certi aspetti vicina alla guerra di trincea - che assumono le operazioni. Merita infine di essere sottolineato che, per la prima volta, la storia ufficiale della campagna (uscita nel 1927 in 5 volumi) dedica un intero volume alla parte logistica, che in questo caso, diversamente da quanto avviene per le campagne precedenti riceve adeguata ed appropriata trattazione, nella quale si dà il dovuto spazio anche agli ammaestra­ menti per il futuro21 • Accanto a questi aspetti molto positivi, dei quali non sempre si è tenuto debito conto nella preparazione dello strumento militare italiano ed europeo alla grande guerra, non mancano quelli negativi. In pratica, i presupposti strategici iniziali (guerra breve e decisiva alla moda del tempo, condotta con ridotte forze - circa 30000 uomini) sono vanificati ben presto dalla imprevista condotta delle operazioni da parte dell'av­ versario, che rifiuta lo scontro in campo aperto e dà inizio a un'efficace guerriglia ftn da allora alimentata da «santuari» oltre il confine.

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« la formazione della contabilità, benché si trattasse anche qui di forze limitate, fu quanto mai laboriosa e incerta. Alla quadratura non fu possi�i�e �iu�g�re giacché . rimanevano allo scoperto materiali e derrate per ctrca otto mthom di hre, somma imponente per quel tempo. Se ne occuparono la stampa e il Parlamento e, dopo molte e non sempre serene discussioni, l'allora ministro della guerra gen. Pelloux dovette far redigere un verbale di scarico per gli otto milioni al fine di colmare la lacuna rilevata dalla Corte dei conti» 19.

La battaglia di Adua ha suscitato per decenni accese polemiche. S� la si inserisce nel quadro politico-militare dell'intera campagna e s1 dedica la dovuta attenzione agli aspetti logistici, allora le reciproche responsabilità appaiono ben chiare, delimitate e distinte e si arriva . alla conclusione che la sconfitta è in gran parte dovuta alla sottovalutazwne del problema logistico-amministrativo e alla mancata soluzione del problema dei trasporti, soluzione peraltro al tempo estremamente ardua se non impossibile, in mancanza di mezzi a motore. La campagna di Libia (191 1-1912) Come già visto, segna un punto di svolta. Ciò avviene non solo perché vi partecipano effettivi di gran lunga superiori a quelli delle campagne precedenti (approssimativamente 100000 uomini, 14000 �ua­ drupedi, 2500 carri), ma anche perché vi viene impiegato per la pr�ma volta (ed esclusivamente in campo logistico) l'automezzo, che formsce ottimi risultati nonostante che no h sia ancora possibile chiedere al mezzo a motore di risolvere definitivamente antichi nodi dei trasporti. Degno di nota anche il salto di qualità che è possibile ottenere nel servizio sanitario per lo sgombero dei feriti. Oltre ad automezzi pluriuso non specializzati sono impiegate in Libia, per la prima volta, relativa alle operazioni militari nel secondo periodo della campagna d'Africa 1895- 1896, ibid., pp. 1452-1625. 19 L. VtNCENZOTTT, La contabilità in guerra, in «Rivista di commissariato e dei servizi amministrativi militari», 1 936, 6, pp. 596-600.

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2° Cfr. A. FREZZA, Storia della CRI, Roma, Ed. CRI, 1 958, p. 1 14; S. SALINART, Insegna111enti chirurgici ricavati dalle ulti111e guerre e specia!JJJente dalla guerra italo-turca, in « Giornale di medicina militare», 1 91 4, 1, pp. 1 84-285. 21 Cfr. MINISTERO DELLA GUERRA, Campagna di Libia (periodo ottobre 191 1 - agosto 1912) , V, Appendice, Roma 1 927.


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Ciò impone l'occupazione di tutta la costa e una penetrazione verso l'interno graduale e prudente, con presidi che spesso possono essere raccordati tra di loro solo via mare. Ne consegue, dal punto di vist� logistico, che i vantaggi del carattere statico delle operazioni sono annullati dalle difficoltà di comunicazione via terra tra i vari presìdi. Si impongono un largo ricorso al decentramento, la moltiplicazione degli organi direttivi, il frazionamento delle dotazioni e una particolare organizzazione del sistema di comando e controllo dei servizi, soggetto a frequenti mutamenti. In fase di mobilitazione emergono vari inconvenienti22, che in buona parte si riprodurranno anche nella prima guerra mondiale. L'intendenza del corpo di spedizione (cioè il Comando dei servizi) si mobilita contemporaneamente alle truppe, e in tal modo non può organizzare il loro buon funzionamento fin dal momento dello sbarco23 • Un altro inconveniente di grande rilievo, anche in vista dell'ormai prossimo conflitto europeo, è il pessimo rendimento di un'operazione fondamen­ tale come la precettazione dei quadrupedi e veicoli (il numero dei quadrupedi dichiarati idonei scende talora al di sotto del 20% dei precettabili per legge). Infine, si riscontra una forte deficienza dell'ormai numeroso personale di truppa specializzato indispensabile per il funzio­ namento di taluni servizi (portaferiti, panettieri, radiotelegrafisti, condu­ centi di quadrupedi, ecc.), la cui mancanza ritarda la costituzione dei servizi stessi. Indice sicuro, questo, della fisionomia di tipo industriale, con sempre maggiore incidenza delle macchine, che va assumendo la guerra e quindi anche la logistica; tale nuova fisionomia, evidentemente, richiede diversi criteri per la mobilitazione del personale e dei mezzi e la sicura, preventiva individuazione degli specialisti necessari. Sono come sempre i trasporti a rappresentare il clou del problema logistico. Diversamente da quanto avviene nella seconda campagna d'Eritrea la loro incidenza viene attentamente valutata dai comandanti sul posto, fino a rappresentare la prima ragione che sconsiglia penetra­ zioni a macchia d'olio in profondità. I progetti e i piani presentati dai vari comandanti per operazioni verso l'interno, infatti, non possono

?re �cind.ere dal cale�lo dell'onere di quadrupedi e cammelli anche per 11 nformmento dell acqua, onere ingente e tale da comportare molta difficol�à per l'approvvigionamento dei quadrupedi e dello speciale carreggw e per l'ordinamento e la disciplina dei trasporti. Per superare almeno in parte le difficoltà, come in Eritrea nel 1887 ancora una volta si è costretti a fare ricorso alla costruzione di una ferrovia, che in Tripolitania collega le località periferiche con i centri di rifornimento. In pochi mesi l'autocarro, mezzo sperimentale inizialmente impiegato per la movimentazione dei materiali solo sulle banchine del porto, migliora le sue caratteristiche, si adatta al terreno del deserto con l'ottimo modello Fiat 15 ter e diventa indispensabile protagonista dei trasporti, con pari dignità rispetto alla ferrovia e ai quadrupedi. Alla battaglia di Zanzur partecipano 54 autocarri che svolgono vari servizi, e in vista di operazioni verso l'interno il gen. Caneva ritiene necessari, accanto a 5000 cammelli e a 60 km di ferrovia «Decauville» anche 134 autocarri. L'impostazione del problema dei trasporti ricorda quella di San Marzano in Eritrea, con aggiunta, appunto, dell'automezzo:

1 1 42

22 Cfr. la relazione sulla mobilitazione a cura del Corpo di stato maggiore (MINISTERO DELLA GUERRA, CaJJJpagna di Libia.. cit., V, pp. 10-37). 23 Ibid., p. 1 1 . .

1 1 43

«ammesso che con 150 autocarri e con 4000 cammelli si possa provvedere a quella _ che a sviluppo completo delle operazioni sarà la lunghezza massima della linea di tappa ordinaria, ne consegue che durante il corso delle operazioni, la distanza tra le truppe e la testa della linea ferroviaria man mano avanzante a tergo di esse dovrà essere regolata in base al quantitativo di autocarri e cammelli che man mano si avranno disponibili. E così se nella prima quindicina di febbraio fossero già raccolti, come è presumibile, una metà degli autocarri e dei cammelli richiesti, la distanza tra truppe e testa di linea ferroviaria potrà essere mantenuta in 20 chilometri e poi gradualmente allungata con successivo affluire dei rimanenti autocarri e cammelli» 24.

Evidentemente, con questi vincoli di carattere logistico e in presenza di un siffatto tipo di terreno e di avversario, l'unico tipo di guerra possibile per operazioni verso l'interno non era quello basato sull'impiego massiccio di grandi unità, ma su colonne mobili, leggere, dotate di grande autonomia logistica e di molti automezzi e con il supporto anche dell'aviazione. � forze_ così ordi�a�e e organizzate si fa ricorso nelle operazioni per la nconqmsta della L1b1a negli anni Venti, che pertanto sotto questo aspetto sono molto interessanti e meriterebbero di essere meglio studiate. 24 Ibid., II, pp. 213-214.


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La campagna d'Etiopia

' <)35-1936)

Quella d'Etiopia rappresenta l'unica campagna coloniale - e anche l'unica campagna italiana - nella quale la direttiva politico-strategica (che - non è una novità - mira a guerra rapida e risolutiva) è fin dall'inizio chiara e univoca, e soprattutto trova una precisa rispondenza nell'assegnazione di uomini, mezzi, materiali e armamenti più che adeguati alle esigenze. Tutti, militari e politici, mostrano questa volta di attenersi ai presupposti tecnici del Ruelle e di saper trarre corretti ammaestramenti dagli errori delle campagne coloniali precedenti, a co­ minciare dagli errori logistici. Questa volta la direzione politica tende a predisporre e inviare uomini e mezzi addirittura oltre le richieste dei militari, e mostra di aver ben capito che solo realizzando una grande superiorità di fuoco e di forze nel momento e nel punto voluti si potrà soddisfare le esigenze politiche. Dal canto loro, i militari si guardano bene dal ripetere gli errori di Adua («Adua insegni» è un motto che ricorre molto frequentemente nella regolamentazione tattica per la campagna) e muovono in avanti - si tratti di De Bono, come di Badoglio o Graziani - senza sottovalu­ tare l'avversario e solo quando sono ben certi che la preparazione logistica e l'organizzazione delle forze e del fuoco sono a punto. In questo quadro, l'organizzazione logistica in pochi mesi realizza l'impresa (giudicata nel 1935 da molti critici militari stranieri e dallo stesso Badoglio impossibile o molto ardua) di far vivere, muovere e combattere in buone condizioni di efficienza, in terreni difficili e poveri di acqua, una massa di uomini, mezzi, cannoni e quadrupedi che non ha confronti rispetto a quella impiegata nelle precedenti campagne coloniali italiane e straniere. A guerra finita, si trovano in Etiopia 18000 ufficiali, 480000 sottufficiali e truppa compresi gli indigeni, 1600 cannoni, 500 carri armati, 19000 automezzi, 12000 quadrupedi, 1 100 carri a traino animale, con un consumo medio giornaliero di benzina di 300 tonnellate25. Il terreno è difficile, le comunicazioni sono poche e cattive, e per alimentare un così gran numero di uomini e mezzi è necessario ricor­ rere alla rapida costruzione di strade ejo a mezzi cingolati speciali

25 F.

BAISTROCCHI, L'attività dell'Esercito per l'esigenza A . O. , in « Rassegna Italiana», maggio

1939, pp. 103-112.

A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

1 145

(trattori «Caterpillar» sul fronte Sud). Ci si può inoltre avvalere su larga scala, per la prima volta, dell'aviazione impiegata anche come rapido e aderente trasporto logistico, giungendo a rifornire dall'alto, in determinate fasi operative, interi corpi d'armata. Molti sono gli scritti che mettono in luce l'eccezionale rilievo logistico di una guerra che si può dire, come nessun'altra mai, com­ battuta e vinta nel campo logistico. Fra di essi citiamo il volume dell'intendente generale Fidenzio Dall'Ora, Intendenza in A . O. 26, del 1937, dal quale risulta in tutti i particolari, senza bisogno di ulteriori amplificazioni, lo sforzo invero eccezionale e meritorio compiuto, sforzo che fa affermare ad alcuni importanti testi francesi, ancora oggi, che la logistica nel senso attuale del termine ha fatto la sua apparizione proprio nella campagna itala-etiopica (si veda la voce Logistique nel Grand Larousse Enryclopédique e nel Le Robert - Dictionnaire alphabétique). Dà la misura del lavoro compiuto, senza entrare in particolari tecnici, la situazione iniziale così descritta dallo stesso gen. Dall'Ora, il cui nome è stato finora immeritatamente ignorato dalla critica storica (e anche dallo stesso Badoglio nel suo libro sulla guerra d'Etiopia): « <l porto di Massaua era ancora nelle pristine condizioni di capacità ed attrezza­ tura, sufficienti solo per il normale e limitato traffico della Colonia. Le strade adducenti all'altopiano e verso la frontiera, poche, in parte carrarecce o semplici piste, non erano assolutamente atte a consentire e sostenere un traffico intenso di automezzi. I vari servizi (sanità, veterinario, approvvigionamenti di carattere generale, colle­ gamenti radio-elettrici, acqua potabile, produzione ghiaccio, ecc.) commisurati alle necessità della popolazione metropolitana della Colonia; scarsa disponibilità di ba­ raccamenti, tettoie, capannoni e comunque nessuna disponibilità di locali atti a dare ricovero a truppe e materiali di un Corpo di Spedizione. In sintesi: esisteva un'attrezzatura militare, ma ad uno stato organizzativo embrionale. Zona di azione a 4000 chilometri dalla Madre Patria; porto obbligato di sbarco, insufficiente e non rapidamente attrezzabile, situato, con retroterra di 50 chilometri, in zona caldissima, non facile alla vita per il clima quasi proibitivo al lavoro dei bianchi;

26

Sugli aspetti logistici e sul loro influsso sulle operazioni cfr. anche : F. BoTTI, La guerra d'Etiopia, in «Panorama difesa», 1 987, 38, e 1 988, 41 e 42; MINISTERO DELLA GUERRA, Relazione sulla attività svolta per l'esigmza A .O., Roma, Ist. Poi. dello Stato, 1936. Molti riferimenti logistici alla campagna si trovano anche sulla «Rivista di commissariato e dei servizi amministrativi militari» dal 1936 al 1939. Si veda, in particolare, A. BoLLATI, La iogistica IICJ!a campagna itaio-etiopica, 1936, 5 e 6; 1937, 1 .

17


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A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

una parte montana di 2500 metri di altezza da superare per raggiungere l'altopiano, senza comunicazioni atte ad agevole e intenso traffico automobilistico; sull'altopiano condizioni ambientali alpestri buone, possibilità pari di vita e di lavoro per i ·bianchi, ma tutto da fare: strade, pozzi, magazzini, collegamenti vari ecc.. Tutto da richiedere alla Madre Patria per la insufficienza locale di industrie ed agricoltura. D'altra parte il noto andamento stagionale delle grandi piogge, che consente lo sviluppo di grosse operazioni militari solo dal settembre al giugno successivo, fissava i limiti di tempo della preparazione per condurre la campagna con la voluta energia ed intensità risolutiva dello sforzo: o essere in grado di operare nell'autunno 1 935 o rimandare le operazioni all'autunno 1 936. Alcuni elementi del problema si presentavano poi sostanzialmente antitetici: necessità di aumentare la produzione di cereali e di foraggi nella Colonia, e di sfruttare la manovalanza indigena, in contrasto col fatto di dover mobilitare tutti gli elementi atti ed indispensabili per la costituzione del Corpo d'armata eritreo, larga disponibilità di elementi d'oltre confine che si presentavano volontari, ma che non potevano essere impiegati in posto e dovevano invece essere inviati in Libia per ragioni di sicurezza; attività civili che si sarebbero potute promuovere in larga misura, ma che le condizioni e limitate possibilità del porto di Massaua impedivano di sfruttare. La preparazione logistica di una campagna in Africa orientale, contenuta nel limite di tempo di sette o otto mesi, dei quali ben tre ad andamento stagionale sfavorevole, era pertanto compito non facile e ponderoso; e infatti una decisione positiva venne presa solo dopo matura riflessione in relazione a sicuri elementi di studio e di calcolo»27•

di automezzi non tutti idonei all'impiego militare; infine (fast but not least) scarso coordinamento tra poteri militari e civili e irrazionale organizzazione del porto di Massaua, « con troppi galli in un pollaio». Il Dall'Ora rintuzza anche, senza troppi veli, le accuse di eccessivo dispendio di mezzi e di sistemi «americani»:

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I

risultati estremamente positivi raggiunti non impediscono, però, allo stesso Dall'Ora di indicare con insolita franchezza gli inconve­ nientF8, molti dei quali antichi o risalenti alla grande guerra e alla guerra di Libia: necessità che taluni organi dell'intendenza siano costi­ tuiti fin dal tempo di pace; necessità che gli Stati maggiori siano meglio preparati a risolvere i problemi logistici; scarsa preparazione e specializzazione dei quadri addetti ai servizi, che imparano solo con l'esperienza; carenza di personale di truppa specializzato (panettieri, conducenti di salmerie, automobilisti, infermieri ecc.); necessità di regolamentare meglio il fondamentale servizio trasporti, compreso l'impiego del mezzo aereo che per il Dall'Ora è l'unico che può assicurare i rifornimenti in terreni difficili e privi di strade; inadegua­ tezza e scarsità di taluni materiali (ivi compresi bardature, effetti di vestiario, tende, materiale sanitario, effetti letterecci) ; troppi modelli

27 F.

DALL'ORA, Intendenza in A .O., 1937, pp. 301-324.

28 Ibid.,

pp.

10-12.

«Nel corso della trattazione si è cercato di illustrare criteri e modalità organizza­ tive, che in definitiva si possono sintetizzare in una sola frase: dare al Corpo di Spedizione tutti i mezzi e la possibilità di risolvere la campagna totalitariamente e nel più breve tempo possibile. Si può oggi affermare con sicura coscienza che il sistema seguito è stato altresì il più conveniente nella economia generale della campagna. Tutte le richieste furono rigorosamente vagliate e valutate, ma inoltrate senza restrizioni anche quando poteva sembrare si chiedesse il superfluo. E fu ciò che consentì di formare del Corpo di Spedizione A. O. quel valido strumento di guerra, che poté poi corrispondere ai più arditi progetti giungendo in pochi mesi alla soluzione della campagna. Vi è stato taluno che valutando invece eccessive le richieste di mezzi e materiali ha ritenuto l'organizzazione logistica in A.O. improntata ad un troppo largo dispen­ dio (organizzazione cioè di «lusso»). È pacifico che il Corpo di Spedizione avrebbe potuto essere organizzato e rifornito con diversi criteri di economia, più restrittivi: non avrebbe però in tal modo raggiunto il potenziale bellico sufficiente a tutto osare e la campagna si sarebbe allungata nel tempo in misura imponderabile. E si lascia alla considerazione generale il valutare se le restrizioni organizzative non avrebbero, in definitiva, costituito un danno anche in linea finanziaria» 29•

Fin dal 1935, quindi, era ben chiaro che la capacità di condurre una guerra rapida e decisiva dipendeva anzitutto dalla bontà dell'organizza­ zione logistica. Meditando queste parole del Dall'Ora, non si riesce a comprendere con quale logica molti studiosi tuttora sostengono che la guerra d'Etiopia - come quella di Spagna - non ha avuto grande influenza sulla deficiente preparazione alla seconda guerra mondiale. In queste guerre limitate infatti non si logorano solo materiali (peraltro non tutti antiquati per una guerra europea) in grande quantità, ma si disperdono ingenti risorse finanziarie (circa 15 miliardi) che sarebbero state invece preziose per finanziare i programmi di riarmo con materiali moderni, a cominciare dalle dotazioni logistiche e dalle artiglierie. E che dire dei carburanti, degli automezzi, del vestiario dei viveri ecc. consu­ mati dal 1935 al 1939, e che mancavano - come ben noto - nel 1940? 29

Ibid.,

p.

319.


1 148

Ferruccio Botti

Aspetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane

Al tempo stesso, non si riesce a comprendere come mai un esercito che nel 1935-1936 aveva realizzato in poco tempo un vero capolavoro logistico (improntato al motto del gen. Baistrocchi « Senza scorte• non si fa guerra di movimento») nelle successive campagne di Francia, di Grecia e anche dell'Africa settentrionale spesso sembra aver improvvisamente dimenticato, magari obtorto collo , alcuni vecchi e basilari principi logistici, compreso quello che nel deserto (e non solo in Africa) una massa di uomini con pochi automezzi e senza un accurato supporto logistici è solamente un peso. Né si comprende come eminenti tecnici e logisti come il gen. Dall'Ora (che nel 1940 troviamo comandante del corpo d'armata corazzato) non siano più stati utilizzati in una branca nella quale avevano acquisito una competenza estremamente rara e preziosa.

pensano e s1 mtegrano: se si considera ciascun aspetto a sé stante, s1 rischia di perdere segmenti importanti della realtà. Per questo riterremmo interessante e necessario un esame contestuale di ambedue le espressioni, con riferimenti precisi alla legislazione, al diritto, alla politica coloniale del tempo. Molto rari sono invece, a tutt'oggi, lavori come quello di A. Aquarone su Ferdinando Martini

Conclusione Specialmente (ma non solo) nelle guerre coloniali, lo studio dal punto di vista logistico e amministrativo delle predisposizioni, dell'or­ dinamento delle forze, degli eventi e delle decisioni che ne sono a monte è un passaggio obbligato se si vuole incastonare correttamente ciascun tassello nel mosaico, individuare coerenti e chiari rapporti di causa ed effetto e pronunciarsi sulle decisioni (o non decisioni). Molte volte il giudizio degli storici sembra ignorare che a una responsabilità operativa corrisponde anche una responsabilità logistica (da valutare perché da essa indissolubile) e che non può esistere un buon comandante che sia cattivo logista. Sotto questo aspetto la con­ dotta della guerra in colonia da parte di taluni nostri generali, sovente tacciati di timidità, incertezza e carente iniziativa, appare in realtà estremamente vincolata dalle eterne carenze di trasporti, dall'inadegua­ tezza delle vie di comunicazione e dall'insufficienza degli apprestamenti logistici in genere (tutti fattori che la storia dimostra più frequentemente soggetti a sottovalutazioni, che a sopravalutazioni ed eccessive cure). Al tempo stesso, il particolare approccio da noi esaminato fornisce lo spunto e l'occasione per altre considerazioni di carattere generale, che vanno tenute ben presenti perché, a parer nostro, costituiscono forse uno dei risultati più importanti del convegno. Abbiamo, infatti, potuto rimarcare che l'esame della logistica e dell'amministrazione militare nelle colonie presuppone continuamente - se approfondito - la ricerca di un raccordo e un raffronto con l'amministrazione civile. Amministrazione civile e amministrazione militare in colonia si com-

1 1 49

e l'amministrazione della Colonia Eritrea30 •

Sono ancora in attesa di una analisi critica e di una precisa colloca­ zione molti libri e articoli coevi di letteratura coloniale militare e - per così dire - civile, non tutti da liquidare come espressione di retorica e dai quali si possono trarre interessanti indicazioni anche su fisionomia e indirizzi della politica coloniale italiana in generale 31 • Un'altra esigenza che quasi per forza di cose emerge dal nostro lavoro e da quello degli studiosi intervenuti, è la necessità di ricercare dei documentati e approfonditi raffronti con i vari aspetti della realtà coloniale delle altre nazioni europee. È questo un passaggio obbligato se si vuole veramente pervenire a un giudizio sereno e serio sul colonialismo italiano, le sue luci ed ombre, i suoi aspetti militari e civili. Dal canto nostro e nel campo solo apparentemente tecnico, angusto, arido della logistica, spesso ci siamo chiesti - per il momento senza poter dare risposte complete e esaustive, se non altro per ragioni di spazio - quali sono state le soluzioni adottate dagli eserciti delle vere, grandi potenze colonialiste (Francia e Inghilterra), molto più di quello italiano segnati e condizionati dall'esperienza coloniale. Anche per tutto il resto, e soprattutto per le pagine più oscure e controverse, solo un raffronto con l'operato di altre nazioni può evitare giudizi passionali, superficiali, affrettati, non sereni, giudizi di parte insomma. Da sola, la storia del colonialismo italiano non basta e ha le gambe corte: per trovare la sua giusta dimensione e colloca­ zione bisogna inserirla in una storia del colonialismo europeo.

30 In «Clio» 1 977, 4, pp. 341-427. 31 Ricordiamo, ad esempio, l'importante serie di articoli e recensioni su «Nazione militare» dal 1936 al 1940 (L. SusANI, Bibliografia politico-militare della guerra italo-etiopica, 1 936, 1 0; G.

SPERDUTI, L'organizzazione deii'I!11pero, 1937,1; G. CANIGLIA, Verso una nuova vita sociale indigena, 1937, 2; R. RuGGIERI, L'Italia e gli Stati A rabi, 1937, 3; G. E. PISTOLESE, Popolamento deii'I!!tpero, 1937, 1 1 ; P. PIETRAVALLE, Trasporti e coiJJtlflicazioni deii'A .O.I., 1937, 12; R. RuGGIERI, I movimenti panarabici e gli interessi italiani, 1938, 12; infine, gli atti dell'VIII convegno Volta, sul tema «Africa», di cui si tratta in G. ONGARO, L'Africa e i suoi problemi, 1938, 12.


Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca

ELIANA CALANDRA

Prigionieri arabi a Ustica: un episodio della guerra italo-turca attraverso le fonti archivistiche

Le vicende politiche che condussero l'Italia a intraprendere l'impresa libica del 1911 son ben note. Tornato al potere nella primavera di quell'anno per il suo quarto ministero, Giolitti si trovò a dovere fronteggiare nuove forze sociali emergenti: la borghesia industriale era ormai consapevole della propria forza economica e decisa a tradurla in una più incisiva partecipazione alla :i�a polit�c� del paese (nel 1906 si era costituita a Torino la Lega degh mdustnah, trasformatasi nel 1910 in Confederazione italiana dell'industria); di un'opposizione di destra alla tradizionale mediazione parlamentare giolittiana si faceva portavoce il gruppo dei nazionalisti 1 . . retonc1 propugnatori di una ideologia per la quale imperialismo e an-' tisocialismo costituivano le due facce della stessa medaglia. Inoltre, la massiccia partecipazione dei cattolici in supporto ai can­ didati governativi nelle elezioni del 1904 grazie all'attenuazione del non expedit aveva contribuito ad alterare gli equilibri politici consolidati. In tale contesto politico-sociale, ricco di fermenti e inquietudini, l'impresa coloniale libica fu concepita dallo statista piemontese quale espediente politico in grado di suscitare il consenso di vasti strati sociali: infatti, veniva solo debolmente osteggiata da alcune forze di sinistra 2, mentre, per converso, veniva incontro sia alle richieste del1 �mesto R�gioni�ri sottol�nea la «natura di classe del processo attraverso il quale gruppo vana proveruenza liberale s1 raccolsero e si definirono intorno al programma nazionalista tanto da divenire negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale l'espression; politica delle forze più aggressive del capitalismo italiano» (E. RAGIONIERI, N11ovi equilibri di potere, in Storia d'Italia, Milano, Ottaviano, 1 976, IV, t. III, p. 1938). 2 _ Come not� Angelo Del Boca, profondamente «divisi» sulla questione libica appaiono il parato repubblicano, quello radicale e i sindacalisti rivoluzionari; una «spaccatura profonda» .

di

1 151

l'opposizione di destra, quali si erano venute delineando nel 1 o con­ gresso nazionalista tenutosi a Firenze nel 1910, sia alle pressioni di un importante gruppo finanziario come il Banco di Roma, che aveva già iniziato la sua penetrazione economica nell'impero ottomano3• In effetti, intorno all'impresa libica, preceduta da intense trattative diplomatiche e concepita (a torto, come emergerà successivamente) quale guerra-lampo, si creerà un clima di «pressoché totale union sacrée4 • Il bellicismo ad oltranza veniva propugnato in particolare dai nazionalisti (di cui D'Annunzio si fece portavoce, con le sue Canzoni d'oltremare); in generale, dalla stampa e dall'opinione pubblica, la spedizione libica, a differenza della prima guerra d'Africa, era considerata con favore5• Nell'opinione comune doveva essere intesa in funzione anti-ottomana ma non anti-araba. In realtà «l'esercito italiano incontrò un'inaspettata resistenza, soprattutto da parte di quelle popolazioni arabe la cui insofferenza del giogo ottomano era stata scambiata dalla propaganda nazionalista per una manifestazione di sentimenti filo-italiani»6• È proprio su questo aspetto della guerra itala-turca che vorremmo soffermarci: l'ambiguità ideologica che caratterizzò i rapporti tra i co-

si manifesta anche nel movimento pacifista capeggiato da Ernesto Teodoro Moneta; il partito socialista «rivela ben tre diversi atteggiamenti nei confronti dell'impresa libica», che vanno da una blanda avversione alla netta ostilità e alla accettazione delle motivazioni giolittiane della stessa. (A. DEL BocA, Gli italiani in Libia, Tripoli bel suo! d'amore 1860- 1922, Bari, Laterza, 1 988, pp. 79-85). 3 Sull'argomento, cfr. A. D'ALESSANDRO, Il Banco di Roma e la guerra in Libia, in « Storia e politica», 1968, 3, pp. 495-497; v. inoltre una pubblicazione, a cura dello stesso Banco, dal titolo Il Banco di Roma nelle colonie, nei possedimenti, nel Mediterraneo orientale, Roma, Staderini, 1 936, compilata con intenti celebrativi nei confronti dell'azione del gruppo finanziario «mosso da interessi più patriottici che speculativi» (p. 3) ; R. MoRI, La penetrazione pacifica italiana in Libia dal 1907 al 191 1 e il Banco di Roma, in «Rivista di studi politici internazionali», 1 957, 1, p. 1 13. 4 L'espressione è di E. RAGIONIERI, N11ovi equilibri . cit., p. 1 943. 5 Sul ruolo che i nazionalisti e la stampa ebbero nel caldeggiare e poi nel sostenere l'impresa libica, cfr. A. DEL BocA, Gli italiani in Libia... cit., pp. 51-64. Più avanti (p. 1 52) lo stesso autore nota che, in tale circostanza «per la prima volta nella storia del paese, tutti i mezzi di comunicazione e di propaganda vengono usati in maniera massiccia tanto da raggiungere tutti gli strati della popolazione, comprese le frange del sottoproletariato urbano e contadino». Cfr. anche M. PINCHERLE, La preparazione dell'opinione p11bblica all'impresa di Libia, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1 969, 56, pp. 450-482. 6 E. RAGIONIERI, Nuovi equilibri. .. cit., p. 1 946. ..


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Eliana Calandra

lonizzatori e la popolazione araba e in particolare la presunzion�, da parte dei primi, di un sostanziale appoggio arabo all'impresa: . Tale convinzione fu duramente smentita dai fatti: la giornata infausta . di Sciara-Sciat (23 ottobre 1911 ), con quello che venne definito il «tradimento» arabo, mutò sostanzialmente la temperie ideale che si era voluta creare attorno all'impresa. Emersero allora con più cruda evidenza i motivi economici e politici (in termini d'equilibrio di forze all'interno e di prestigio internazionale) che avevano condotto in Libia le armi italiane. Molti rividero le loro posizioni. Arturo Labriola, ad esempio, che in un primo momento, sia pur in contrasto con le direttive del suo partito, aveva assunto un atteggiamento favorevole, dopo Sciara-Sciat scrive: « <l paese ignorava che le armi italiane sarebbero state oppugnate non solo dai turchi, ma dagli arabi e dagli altri indigeni. La responsabilità del governo comincia da quando divenne manifesto che esso non si c�rò di acquistare le simpatie dell'elemento indigeno e sorpassò sui loro . sentlmentl ( . . .) . La rivolta degli arabi ha tolto alla guerra il suo carattere ideale e l'ha trasformata in una impresa repressiva che la nostra coscienza respinge ( . . . ) . Naturalmente non sarà da queste colonne che chiameremo «traditori » gli arabi che respingono un conquistatore non voluto. Questa è retorica puzzolente, alla quale non ci associamo. Gli arabi sono nel pieno diritto opponendosi alle nostre armi, ed è puerile aggravarli di colpe che non hanno» 7.

A Sciara-Sciat, dunque, sembra infrangersi il sogno della «bella avventura» iniziata il 29 settembre 1911 con la dichiarazione di guerra da parte dell'Italia all'impero ottomano dopo che quest'ultimo non aveva rispettato l'ultimatum col quale si chiedeva che la Turchia cessasse dall'inviare a Tripoli armi e soldati. Nelle intenzioni dei governanti, quella che inizialmente fu considerata una semplice spedizione coloniale doveva mirare a sostituire, in Tripolitania e in Cirenaica, i presidi turchi con quelli italiani ma senza alcun atto di ostilità nei confronti delle popolazioni arabe.

7 Pro e contro la guerra di Tripoli. Discussioni nel can1po rivolt�zionario, Napoli, Soc. Ed. Partenopea, 1912, p. 63.

Prigionieri arabi a Ustica :

lffl

episodio della gNerra italo-turca

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Le prime mosse strategiche procedono in questa direzione: il 4 ot­ tobre viene occupata Tobruk, il giorno successivo Tripoli. Qui, 1'11 ottobre sbarcano le truppe del gen. Caneva col compito di estendere l'occupazione verso l'interno. Di conseguenza, tra il 18 e il 20 ottobre vengono occupate Berna, Bengasi e Horus 8• Fin qui, tutto procede secondo i piani. L'imprevisto e «proditorio» attacco degli arabi alle armi italiane avviene di buon mattino il 23 ottobre. Così viene descritto «a caldo» dall'inviato speciale del «Giornale di Sicilia» De Luca-Aprile9, in una nota del 24 ottobre (titolo: Il tradi­ mento di Sciar-e!-Sciat) :

« Avanti le 8 del mattino un centinaio di cavalieri arabi si presentarono a 500 passi dalla Boumeliana e, scacciati da fucilate e cannonate dei nostri, si ritrassero precipitosamente eccetto una decina, che corsero come se i cavalli avessero le ali verso Sciara-el-Sciat e Sidi Mesri, al lato sinistro. Non fu compreso dai nostri, né dal generale Pecori che era sul posto, che si trattava di una finta per mascherare il vero movimento della cavalleria e fanteria arabo-turca ( . . . ) . Invece a Sciara-el-Sciat e a Sidi Mesri (. . .) mille cavalieri turchi e arabi erano piombati su quegli avamposti attaccando 1'1 1 o bersaglieri che v'era di presidio ( . . .) . Dietro le trincee italiane sono giardini con casolari e molti edifici arabi. Da codeste case e giardini sbucarono gli arabi, che i nostri credevano amici od indiffe­ renti, e diedero man forte ai turchi, circondando le nostre truppe. Presi tra due fuochi, i nostri si difesero eroicamente ma ebbero a soffrire perdite rilevanti» 10 .

8 Per una cronistoria delle operazioni militari, cfr. M INISTERO DELLA GUERRA, Campagna di Libia, Roma, Stab. poligrafico per l'amministrazione della guerra, 1922-1927, voli. 5 ; G. RoNCAGLI, Guerra ifa/o-turca, 1911- 1912. Cronistoria delle operazioni navali, I, Dalle origini al decreto di sovra11ità SII la Libia, Milano, Hoepli, 1918. 9 Il « Giornale di Sicilia» del 28-29 ottobre 1911 così titola in prima pagina: Le vittime del tradi111ento di Sdar-ei-Sciat 11endicate. Gli arabi domati si accingono alla completa sottoJIIissione. 10 L'inviato del « Giornale di Sicilia», sfidando i rigori della censura, scrive di oltre 600 morti. Dopo le prime notizie confuse e reticenti sulle effettive perdite italiane a Sciara-Sciat, i dati ufficiali vengono comunicati con notevole ritardo. Solo il 30 ottobre, infatti, Giolitti riceve dal Di San Giuliano il seguente telegramma : «Le perdite nostre nei combattimenti dinnanzi a Tripoli dal 23 al 26 sono : morti, ufficiali 13, truppa 361 ; feriti, ufficiali 16, truppa 1 42. Il Ministero della guerra si riserva di far seguire l'elenco nominativo non appena lo avrà ricevuto dal generale Caneva. La sproporzione tra morti e feriti è dovuta al fatto che alcuni reparti furono colti alle spalle all'improvviso» (ASMAI, Libia, pos. 1 04{1 f. 2, te!. 8665 del 30 ottobre 1911). Il testo del telegramma è riportato da A. DEL BocA, Gli italiani in Libia... cit., p. 1 1 7, il quale sottolinea che «i dati sono incompleti, perché soltanto nella giornata di Sciara Sciat sono caduti 21 ufficiali e 482 uomini di truppa. E più di 200 vengono uccisi il 26, nel combattimento di Sidi Mesri».


Eliana Calandra

Prigionieri arabi a Ustica: un episodio della guerra italo-!Hrca

È unanime lo sdegno per la «vile imboscata« . Il 26 e il 28 ottobre seguirono altri episodi sanguinosi. Enzo d' Armesano, recatosi sul luogo, è autore di questa sconvol­ gente testimonianza del massacro dei nostri: « Erano crocifissi, impalati, squartati, decapitati, accecati, evirati, sconciamente tatuati e con le membra squarciate, tagliuzzate, strappate ( . . . ) » 11• Dopo Sciara-Sdat, comincia a serpeggiare un'atmosfera di incertezza e di malcontento per la condotta delle operazioni militari. De Luca-Aprile, inviato speciale del «Giornale di Sicilia», scrive (sotto il titolo polemico : Non commettiamo altri errorz) :

Fin qui, ci siamo limitati a richiamare le fonti ufficiali e le cronache giornalistiche che, ovviamente, non possono fare a meno di riflettere le ideologie e gli umori degli autori attraverso cui vengono fùtrati i fatti. Le stesse fonti scrivono di «retate» di arabi nei giorni successivi alla rivolta. Così Bevione : «A massa centinaia di prigionieri furono condotti in città, tra file doppie di baionette. Non vidi mai nulla di più miserabile e sinistro di quei greggi laceri, che i nostri cacciavano avanti con le baionette» 1 6 • Gli fa eco Piazza : «La sera del 23 ottobre e la mattina del 24 fu un continuo giungere di queste mandrie legate e scortate, dalle diverse strade dell'oasi» 1 7. Molti di costoro verrano fucilati o impiccati (non si conosce con precisione il numero delle esecuzioni sommarie) ; gli altri saranno deportati ad Ustica, Ponza, Caserta, Gaeta, Favignana e in altri luoghi di pena italiani. Anche dei deportati non si conosce con esattezza il numero com­ plessivo 18• Per dò che riguarda in particolare i prigionieri mandati ad Ustica, fonti archivistiche, e precisamente alcuni fascicoli del fondo Prefettura conservati nell'Archivio di Stato di Palermo 1 9 possono dare una ri­ sposta sufficientemente esauriente agli interrogativi circa la loro sorte dopo l'arresto e fino al momento del rimpatrio dei superstiti, illumi­ nando così, in maniera oggettiva e non di parte, un episodio poco conosciuto della guerra itala-turca.

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« Qui in Tripoli non si sa ancora se il generale Caneva sia il comandante supremo del corpo di spedizione o il semplice governatore della Tripolitania e Cirenaica, non si sa se la suprema direzione della guerra appartenga al generale Caneva od al generale Pecori. Ad ogni modo, sembra che il Caneva sia il governatore, e Pecori il comandante di guerra. Qui in Tripoli nello Stato maggiore e nel comando supremo mancano l'arditezza e la rapidità della concezione e della azione. Regnano incertezza e confusione» 1 2.

La giornata di Sciara-Sdat ebbe grande risalto anche da parte dei corrispondenti esteri come Davis del « Morning Post», Bennet Burleigh del «Daily Telegraph» o Magee del «Daily Mirror», i quali nei giorni successivi registrarono soprattutto la violenta reazione dei nostri nei confronti degli arabi scrivendo di « barbara vendetta». Fra gli italiani, soprattutto i corrispondenti Piazza e Bevione descrissero tali fatti 1 3 • Luigi Lucatelli, in uno stile forse un po' retorico ma efficace, ha scritto : «La repressione è passata nell'oasi come una falce e il sangue ha pagato col sangue» 1 4• Innumerevoli le esecuzioni capitali, in parti­ colar modo le impiccagioni 15 e gli arresti di arabi.

11 12 13

E. n'ARMESANO, In Libia. Storia della conquista, Buenos Aires, Maucci, 1 912, p. 105. « Giornale di Sicilia», 28-29 ott. 1 9 1 1 . G . PIAZZA, Con1e conquistammo Tripoli, Roma, Lux, 1 912; G . BEVIONE, Come siamo andati a Tripoli, Milano-Roma, Bocca, 1912. I giornalisti accreditati presso i comandi italiani durante la guerra itala-turca furono «più di cento» (cfr. A DEL BocA, Gli italiani di Libia... cit., p. 120, nota n. 98 nella quale l'autore elenca i nomi dei corrispondenti in Libia delle principali testate italiane). 1 4 L. LucATELLI, Il volto della guerra, Roma, Tip. Italia, 1913, p. 18. 1 5 Secondo la religione maomettana, gli impiccati non possono godere dei piaceri del Paradiso e delle belle hurì; essi «non godono delle celesti concessioni» (cfr. E. n·ARMESANo, In Libia... , cit., pp. 103-104).

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G. BEVIONE, Conte sia111o andati a Tripoli... cit., p. 334. G. PIAZZA, Come conquistali/IliO Tripoli... cit., p. 333. In proposito, Sergio Romano scrive: «Millecinquecento arabi pericolosi furono deportati, secondo le statistiche ufficiali» (S. RoMANO, La quarta sponda, Milano, Bompiani, 1 977, p. 103); C. Seton Watson indica in 2.500 il numero dei confinati (C. SETON WATSON, L'Italia dal liberalismo al jascis111o, Bari, Laterza, 1967, p. 435), mentre Romain Rainero scrive addirittura di 4 o 5 mila deportati (R. RAINERO, Paolo Valera e l'opposizione dn11ocratica a/l'i111presa di Tripoli, Roma, « L'Erma» di Bretschneider, 1 983, p. 66). 1 9 ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO [d'ora in poi AS PA], Prefettura, Gabinetto, bb. 12 e 14. La b. 1 2 contiene la maggior parte della documentazione, che abbiamo utilizzato nel presente lavoro, relativa allo sbarco in Ustica dei prigionieri e al loro soggiorno nell'isola (dall'ottobre 1911 al marzo 1912) ; la b. 14 contiene documentazione relativa al rimpatrio dei prigionieri (dal maggio 1912 in poi). All'interno dei fascicoli i singoli documenti non sono contrassegnati con un numero d'ordine, pertanto nelle note successive ci limiteremo a citare solo il numero della busta che li contiene e la loro data.


Eliana Calandra

Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca

Le prime notizie in merito alla destinazione dei prigioniéri imba,rcati sul piroscafo «Rumania» ci vengono fornite da un telegramma i� data 27 ottobre 1911, dal quale risulta che il Ministero dell'interno aveya deciso il trasferimento a Favignana e Pantelleria dei 158 coatti ospitati nell'isola di Ustica, per lasciare il posto a 600 prigionieri arabF0 • Quindi un messaggio urgente, cifrato, è trasmesso dal Ministero dell'interno al prefetto di Palermo la sera del 27 ottobre (ore 1 9,47) : «Prego V.S. telegrafare ministro se come fu preannunziato sgombero coatti Ustica siasi oggi effettuato. Ad Ustica sarà diretto piroscafo Rumania partito stamane da Tripoli con 920 arabi arrestati, dei quali 600 dovranno trovare collocamento Ustica, mentre restanti 320 dovranno col medesimo piroscafo essere diretti Tremiti ove sbarcheranno. S. V. prenda accordi con autorità militari cui ministro guerra ha già dato disposizioni circa fornitura gavette e cucchiai, paglia ed altro che potes­ sero dare depositi militari. Per vitto minestra pane e per quanto altro potesse occorrere nei limiti ristretti per arrestati arabi e che a�torità militare non fosse in grado di fornire V.S. provvederà frattanto d1tetta­ mente»21. I coatti, come risulta da un telegramma al prefetto del ten. col. dei R.R.C.C. cav. Roberto Cesarò, inviato nell'isola in ispezione, saranno imbarcati «senza inconvenienti» la mattina del 28 ottobre22. Ancora la sera del 28 il programma è quello che vengano sbarcati nell'isola solo 600 dei 920 arrestati arabF3• Invece alle ore 7' 37 del 29 ottobre il ten. col. Cesarò invia al prefetto di Palermo il seguente telegramma urgente :

Dichiara inoltre non essere possibile proseguire viaggio mancanza viveri, acqua, combustibile conseguentemente effettuarsi qui sbarco totale salvo ordine contrario» 24•

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1 1 57

Il prefetto di Palermo sollecita conferma da Roma e questa arriva con messaggio urgentissimo del ministro : «Date condizioni nave Rumania esposte da quel comandante militare e stato sanitario arrestati arabi disponga S.V. che per ora sbarchino Ustica anche 320 degli arrestati arabi già destinati Tremiti salvo in seguito determinare loro forza def1nitiva» 25.

Ancora il prefetto scrivendo al ten. col. dei R.R.CC. e al direttore della colonia dei coatti di Ustica, nel comunicare la decisione di Roma, raccomanda che «siano presi accordi con capitano medico Casapinta per rigorosa vigilanza sanitaria arabi»26 . In realtà, le condizioni dei prigionieri sono preoccupanti, molti di essi sono affetti da tubercolosi, malattie infettive quali tifo, vaiolo, colera; parola quest'ultima, che nessuno osava neanche pronunciare : era ancora troppo recente il ricordo di una grave epidemia scoppiata proprio nel 191 1 . Il colera diventa «il morbo», la «malattia sospetta»; suscita grave preoccupazione il rischio del contagio. È facile comprendere come la cittadinanza di Ustica non fosse entu­ siasta di ospitare i «relegati». Di tali preoccupazioni si fa portavoce, con toni di vibrata protesta, lo stesso sindaco di Ustica in un concitato telegramma, trasmesso al prefetto di Palermo in data 1 o novembre:

'

« Comandante militare Rumania giunto ora assicura aver avuto ordine a mezzo torpediniera dal comand� base navale Augusta sbarcare qui deportati anziché Tremiti.

20 Ibid., b. 12, telegramma del 27 ottobre 1911 trasmesso dal prefetto di Palermo al tenente generale, comandante la divisione militare. 21 Ibid., telegramma del 27 ottobre 1911 (ore 9, 27). 22 Ibid. , telegramma del 28 ottobre 1 9 1 1 . Non tutti i coatti, tuttavia, verranno imbarc�tl sul piroscafo «Lampedusa», per essere rimpatriati nelle due colonie di Favignana e Pantellena : circa cinquanta di essi rimarranno in Ustica per « disimpegno servizi», secondo quanto aveva deciso il prefetto. 23 Ibid., b. 12, il telegramma n. 29370 del 20 ottobre 1911 (ore 1 8,30) trasmesso dal ministro dell'interno al prefetto a seguito del telegramma n. 28265 del giorno precedente, per confermare lo sbarco ad Ustica solo di 600 prigionieri.

« Questa isoletta appena capace di contenere cinquecento coatti colpita gravis­ sima iattura ricettare circa mille arabi pessime condizioni di salute, giornalmente muoiono malattie sospette. Comune, impossibilitato fronteggiare posizione disa­ strosa anche perché gravato debiti contratti debellare recenti epidemie senza ricevere invocati sussidi, trovasi condizioni insostenibili. Se governo massima urgenza non assumerà obbligo provvedere direttamente pubblici servizi Comune resi onerosi presenza arabi di cui domandasi riduzione numero, questa rappresen­ tanza rassegnerà dimissioni onde sottrarsi grave responsabilità di fronte paese». Firmato : Sindaco Viola» 27.

.

24 25 26 27

Ibid. , Ibid., Ibid., Ibid.,

telegramma del 29 ottobre 1 9 1 1 . messaggio «urgentissimo» del 2 9 ottobre 1 9 1 1 . nota del 29 ottobre 1 91 1 . telegramma dell'1 1 novembre 1911 (ore 12,35).


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Poco prima dell'arrivo dei prigionieri ad Ustica, il ten·. col. Cesarò e il maggiore dell'86° fanteria cav. Pietro Radicati avevano «ptoce:;duto ad una minuta visita dei locali» i quali risultano costituiti di : · « numerose camerate, sparse per il paese in un raggio di circa 800 m. e di un corpo staccato, detto della Falconiera, facente parte a sé e situato sul monte omonimo ( . .. ). Per proposta del capitano medico Casapinta sig. Giovanni, si è stabilito un locale entro l'abitacolo capace di 20 letti da adibirsi ad infermeria di malattie ordinarie e una villa privata detta Petriera, distante 200 m. dal paese capace di 25 letti da adibirsi eventualmente per locale d'isolamento » 28 .

Tali misure sanitarie sembrano del tutto insufficienti, se è da ritenere fondato l'allarme del sindaco Viola circa le pessime condizioni di salute dei prigionieri. Riguardo alla presenza di un'epidemia di colera a Tripoli al mo­ mento dello sbarco delle nostre truppe, le fonti giornalistiche, in omaggio a un'intesa patriottica e per non allarmare l'opinione pubblica italiana, generalmente tacciono. Il giornalista Edoardo Caretta «uno dei pochi che affronta questo problema spinoso » 29, scrive : « A tutto si era pensato, meno cha alla possibilità del morbo, mentre esso pure doveva entrare nei calcoli di facile probabilità, dato il luogo che diveniva teatro di guerra ( . . .) Quando scoppiò l'epidemia, non vi era col Corpo d'occupazione nulla di quanto specificatamente occorreva per il caso speciale ( . . . ). I medici, i pochi disponibili, facevano quello che potevano, ma essi avevano mezzi per curare feriti in guerra, non colerosi, d'infermieri ed assistenti nemmeno a parlarne» 30• .

Se il Martin, ottobre, durante

sindaco Viola mostra grave preoccupazione, il commissario in missione ad Ustica, in una lettera al prefetto datata 29 cerca di minimizzare, anche se è costretto ad ammettere che la traversata sono avvenuti diversi decessi :

« Provvisoriamente i prigionieri sono stati rinchiusi nei cameroni e si procede alla distribuzione del pane. Essendo durante la traversata avvenuti diversi decessi ed

28 Ibid. , nota del 28 ottobre 191 1 . 29 A. D EL BocA, Gli italiani in Libia. . . cit., p . 105. 30 E. CARETTA, Nove mesi a Tripoli, Roma, Ed. «Agenzia coloniale», 1 913, pp. 29-30.

Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca

1 1 59

essendo sbarcati alcuni in cattive condizioni salute, accordo capitano medico si

è disposto per isolamento detti individui durata 5 giorni, mentre più gravi sono stati trasportati lazzaretto ( . . . ) » 31 •

La richiesta del sindaco circa la riduzione del numero dei prigionieri arabi rimane inascoltata. I circa 900 deportati rimarranno infatti m Ustica sette mesi, fino al maggio 1912. Sulle loro condizioni di vita durante la permanenza nell'isoletta si sofferma Antonino Cutrera, direttore della colonia, in un'interessante lettera datata Ustica, 1 O febbraio 1912, indirizzata al prefetto di Palermo. Ci sembra opportuno riportare quasi integralmente tale lungo do­ cumento, dal momento che costituisce una testimonianza diretta e at­ tendibile della difficile situazione venutasi a creare ad Ustica. Ustica, 1 0 febbraio 1 912 Dalle conversazioni avute con qualche relegato arabo dei più intelligenti, ho potuto formarmi il convincimento che le cause dell'odio degli arabi contro gl'Italiani, si debbono ricercare non solamente nel fatto religioso, ma ancor per cause economi­ che e per la mancata tattica dell'esercito di occupazione. Anzitutto è da tener presente che degli abitanti di Tripoli il 90% sono ostili all'Italia, perché quella popolazione indigena è cointeressata col governo ottomano per relazioni commerciali, per dipendenza d'impieghi, cariche, forniture, appalti etc. Altra classe d'individui che cospira contro l'occupazione italiana, pei motivi d'interessi, è precisamente la colonia maltese, ed essa devesi ritenere come un nemico temibile. Sono invece solamente devoti alla causa italiana gli ebrei ed i notabili della città ( . . . ) . Gli arabi dei dintorni di Tripoli erano invece favorevoli all'occupazione italiana, per la speranza di potere vendere a buon prezzo i loro prodotti agricoli, mentre erano ostili gli abitanti del Gebel, per timore di veder conquistate le loro terre dagli agricoltori italiani. Intanto avvenuta la giornata di Sciara-Sciat le cose cambiarono di molto, perché di seguito alla vivissima repressione cruenta operata dalle truppe italiane, e per gli arresti in massa operati e per la loro traduzione in Italia, si acuirono ancor più gli adii degli abitanti di Tripoli e si cambiò in nostro danno lo spirito pubblico delle

31 AS PA, Prefettura, Gabinetto, b. 12, nota del 29 ottobre 1 9 1 1 .


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. contrade vicine Tripoli ; difatti coloro che poterono sfuggire alla repr.essione ed agli arresti in massa di gente che nulla aveva da fare con i traditori che avevano sparato contro i nostri soldati, perché quelli erano fuggiti dopo la battaglia verso ·il qtmpo turco, ritornando pieni di spavento verso le oasi annunziarono quello che avevano visto, e considerarono gl'italiani come loro nemici. La prigionia degli arabi che stanno in Ustica io la ritengo inopportuna, come tenterò di dimostrare.

1°. Perché serve a mantenere vivo il rancore contro gl'italiani, tanto da parte dei prigionieri quanto dei loro parenti, i quali sconoscono quale sorte sia toccata a loro, e finché staranno lontani, avranno motivo di dubitare sulla loro sorte e sulle sevizie alle quali li credono sottoposti. zo.

Perché la colonia dei coatti di Ustica non è sufficiente a potere contenere

900 relegati, né adatta ; difatti i relegati stanno ammonticchiati nei cameroni dei coatti, in maniera non confacente né all'umano rispetto né alla nostra dignità, costituendo ancora un grave pericolo per la pubblica salute, infatti i cittadini di Ustica ne sono giustamente allarmati. Sull'argomento è opportuno far conoscere che i cameroni ove sono chiusi i relegati ànno le latrine le cui fogne sono molto piccole e perciò occorre continuamente di vuotarle, e questa vuotatura costituisce un grave pericolo, perché esse si debbono vuotare a mezzo di grandi badili, i quali sono scaricati in fosse che si scavano nei dintorni dell'abitato.

3o. Perché non è possibile di mantenere la pulizia del corpo e dei cameroni perché manca l'acqua, ed a stento si arriva a dissetare i prigionieri. 4o. Perché la mancanza dell'igiene produce manifestazioni di malattie infettive. Difatti al colera è subentrato l'ileo tifo, che à colpito specialmente coloro che sono costretti ad aver contatto con gli arabi. Così sono stati attaccati dal morbo i due disinfettatoti che eseguivano le disinfestazioni dei cameroni dei relegati, l'infermiere che portava i medicinali agli ammalati che stanno nei cameroni, il meccanico addetto alla disinfezione degli indumenti dei relegati, l'infermiere dell'infermeria dei relegati, i due militari che mi coadiuvavano come interpreti. Non tengo conto degli altri militari e cittadini, che sono stati attaccati dal morbo. So. Perché col tenere i relegati arabi in Ustica, a causa del loro regime di vita, di mancanza d'aria respirabile e di uniformità di nutrimento, si produce la dissenteria tropicale, per la quale molti di essi son deceduti, e molti ancora ne morranno. Senza tener conto che nell'infermeria ed al lazzaretto, vi sono circa settanta ammalati che importano la spesa quotidiana di lire 200 al giorno. Spesa che si risolve anche a nostro danno morale, perché i loro parenti finiranno per credere la loro misera fine sia causa dei maltrattamenti ai quali sono stati sottoposti.

Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra itafo-turca

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6°. Perché la relegazione degli 830 arabi costituisce una spesa rilevante per l'erario che non si giustifica col fine che si è raggiunto, anzi credo che sia diventata un'arma che si è ritorta contro di noi. Mi permetto di conseguenza di proporre a V.S.Ill. perché si compiaccia di far noto al superiore ministero le sopradette ragioni, e tenendo conto delle mie deduzioni e collimandole con quelle altre che al governo potranno pervenire, si convinca di quanto sopra, e disponga perché sollecitamente i relegati arabi siano restituiti a Tripoli, con la sicurezza di raggiungere i seguenti obbiettivi : a) La pacificazione dell'anime dei relegati e delle loro famiglie motivo principale della mia proposta.

b) Compiere un'opera umanitaria e civile, impedendo che questa gente, alla quale nulla si può imputare, tranne la loro ignoranza ed il loro fanatismo, finisca per costituire un immenso cimitero, in questa isoletta (. . . ) . ) Una rilevante economia dell'erario.

c

d) Un'opportuna intimidazione per gli altri tripolini. e) Potrà ricavare dai relegati un forte contingente di zaptiè, sempre con le dovute cautele, essendo sempre opportuno diffidare degli arabi, perché da un momento all'altro possono essere sobillati. f) Si protranno ricavare buone braccia per i lavori da farsi in Tripolitania.

g) Si risanerà l'isola di Ustica. Sono sicuro che V.S.Ill. sarà compenetrato di quanto ò avuto l'onore di esporre, e vorrà rassegnarlo superiormente, tenendo conto che i relegati arabi che sono in questa non sono responsabili di altra colpa se non quella di essere stati trovati per le vie di Tripoli, ed arrestati dai soldati italiani, i quali facendo tali razzie credettero di togliersi dei nemici. A dimostrare tale circostanza basta, senza tener conto delle loro dichiarazioni, osservare che fra gli arrestati vi sono molti ragazzi e vecchi» 32 .

Scritta allo scopo di dimostrare !'«inopportunità» della prigionia degli arabi e, di contro, la necessità del loro rimpatrio a Tripoli, la relazione del Cutrera individua tre principali cause dell'odio arabo nei confronti degli italiani. Su quelle di carattere economico si sofferma maggiormente; accenna semplicemente a cause di carattere religioso e a «mancata tattica» dell'esercizio di occupazione.

32

Ibid. , doc. del 10 febbraio 1912.


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Indubbiamente, una certa xenofobia nutrita anche da fanatismo ·reli­ gioso era emersa nei confronti dell'esercito italiano duran te la giornata di Sciara-Sciat : non si comprenderebbe altrimenti la presenza, in . tale occasione, anche di donne, vecchi e ragazzi accanto ai cavalieri arabi nell'azione di rappresaglia. Proprio la partecipazione dell'i ntera popola­ zione dell'oasi e di gran parte di quella di Tripoli conferisce all'episodio bellico, come ha notato esattamente Del Boca, il carat tere di vera e propria «insurrezione generale» 33• È da notare tuttavia che le autorità politiche e militari italiane, fm dall'inizio dell'impresa, si erano preoccu­ pate di manifestare il più grande rispetto per la popolazio ne araba e per la religione maomettana : si veda ad esempio il proclama, intessuto di paternalismo, che il contrammiraglio Raffaele Borea Ricci , governatore provvisorio di Tripoli, indirizza alla popolazione il 7 ottob re (ne citiamo la frase più significativa: «Voi siete ormai nostri figli. Avet e come noi gli stessi diritti di tutti gli italiani dai quali non è lecito distinguervi. Gridate dunque con tutti i nostri fratelli d'Italia: viva il re, viva l'Italia»)34 o l'altro proclama rivolto il 9 ottobre, presente il re, dal Caneva alle truppe in partenza, nel quale si raccomanda ai soldati, tra l'altro, il «rispetto assoluto dei sentimenti e delle pratiche dell'altrui religione» 35• In realtà, fin dai primi giorni d'occupazione, i rapporti fra l'esercito invasore e la popolazione indigena non furono idilliaci, anche a causa del comportamento tenuto dai nostri soldati 36• E tuttavia, anche dopo il «tradimento» di Sciara-Sciat, l'Italia con­ tinuerà ad alimentare il mito della solidarietà araba nei confronti degli italiani contro il comune nemico ottomano, e manterrà formalmente un atteggiamento di benevola indulgenza. Persino la deportazione in Italia dei «ribelli» viene fatta passare per atto umanitario , quasi una tappa di quell'opera di civili zzazione che solleverà le popolazioni della nuova colonia italiana ad un tenore di vita mai provato prima.

33 A. DEL BocA, Gli italiani in Libia.. . cit., p. 1 09. 34 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERJ, L'Italia ÌtJ Africa. L'opera dell'Es ercito, I, tomo III, testo di M. A. VITALE, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1 964, pp. 1 1 -12. 35 C. CAusA, La guerra ifa/o-turca e la conquista della Tripoli tania e della Cirmaica, Firenze, Salani, 1 913, p. 1 07. 36 Sull'argomento, cfr. quanto scrive A. DEL BocA, Gli italiani in Libia. .. cit., p. 1 04.

Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca

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�:

A questo proposito, si legga il r�soco�to d�lla _visita ai r�legati parte della commissione militare arriVata m Ust1ca 1l 6 febbra10 1 91 2

·

«<n tale occasione si procedette all'adunanza di tutti i prigionieri cui rivolse u� _ discorso in lingua a�aba il dragomanno dell'ambasciata italiana a Costan:mopoh, cav. uff. Oscar Messir, alla fine del quale gli ar�bi «s?ontan�ame�te �� posero . all'impiedi ed alzando le mani per aria, gridarono 1n ltahan � : :r:a � I:aha». Nel suo discorso il cav. Messir pone l'accento sul fatto che l png�omen non hanno nulla da temere per sé né per le loro famiglie lasciate a Tri�oli, pe�ché il re �on vu�le che _ il bene e la felicità di tutti i suoi sudditi, e quindi anche del popoli �ella Tnpolita�la � che d'ora innanzi saranno «protetti dalle nostre leggi civil_i, rispettati nella loro relig10ne, nella famiglia, nella proprietà (. . .)» e grazie alla «nost�a rt�chezza» e :Ula «nost�a ?otenza» . in pochi anni tutto il deserto sarà trasformato in «_un oas1 fe�tile e n�ca». Es�1 sl tro:vano in Ustica perché è stato necessario allontanarli nel momenti del pe�tcolo _dal lu�ghi ov_e avrebbero potuto perdere la vita durante la guerra, fatta non agh arab1 ma al turchi. Il fatto che siano tenuti chiusi e senza possibilità di uscl_ �e dalle loro came�at� . è giustificato da precauzioni di carattere sanitario («Voi captrete subltO le rawo� [di tale isolamento] se penserete alle malattie infettive eh� f�cer� straf?e dt n01 a Tripoli, e che avete portato con voi in Italia e del�e quali Vl suamo hbe�a�do» . ( . . .) . Al più presto comunque, tutti ritorneranno sam e salv1 alle loro fa�glie. Subito dopo il �av. Messir prese la parola l'ex �apitano della gendar�ena turca Mehemet Amegj, il quale «improvvisò un efficace dtscorso col quale fec� il p�ragon� delle bellezze della ricchezza e della potenza fra l'Italia e la T�rch1a, dtmos_tro a loro che i� breve la Tripolitania sarà ricca, avrà porti, f�rrov1e, luce elettnca, commercio e Tripoli diventerà una grande e ricca metropoh».

La relazione si conclude così : «L'entusiasmo che provocò il discorso del loro connazionale sui relegati arabi fu tale che essi, sempre spontaneamente stendendo �e �raccia e �ette�do le mam_ con le palme verso il cielo, intonarono in curo e molt1 _ptangendo, 1 :ersl _del � arano col uale giurarono fedeltà. Fatto ciò si aprirono gh a�ruolamentl � sl s�nsse�o ben ovanta per entrare nel corpo dei zaptieri. Una tren�ma co�e gutde all esere1�o per _ la marcia verso il Gebel, 170 pei lavori del porto d1 Tnpoh, n. 80 ? er lavo�! della ferrovia, n. 200 manifestarono di volere tornare ai loro can;pt_ per�he cont�dllli- e n. 240 circa furono giudicati inabili a qualsiasi lavoro perche vecchi o macilenti._

37 AS PA, Prefettura, Gabinetto, b. 12, nota n. 669 del 1 5 febbrai? 1912 della r. que�tura di Palermo al prefetto, nella quale viene riferito il resoconto della v1Slt_ �, redatto d�! direttore . anco dal M _ lst ro d�lla della colonia dei coatti. La commissione militare aveva avuto l, rn � � � rr di esaminare tutti i relegati arabi in Ustica e di fare le relauve proposte m v1�ta d un ventuale rilascio, facendo fra essi un arruolamento di zaptié e di lavoranti per la ferrovia Tripoli- Ain Zara.

r:r� :


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;

Ciò fatto, i relegati furono assegnati nei cameroni secondo la loro condizi �e in attesa delle superiori disposizioni. Gli aspiranti zaptieri saranno subito addèst�ati alle esercitazioni militari» 38 . ·

febbraio 1912, risulterebbero deceduti novanta dei 920 arabi sbarcati dal « Rumania» nell'ottobre dello anno precedente. E siamo all'epilogo della vicenda : in data 24 maggio 1912 il ten. gen. Piacentini, comandante della divisione militare di Palermo, scrive al prefetto la seguente lettera :

Se confrontiamo tale resoconto di carattere ufficiale con la lettera «riservata» che sopra abbiamo trascritto, trasmessa dal direttore della colonia al prefetto, emerge chiaramente il netto divario tra sovrastrut­ ture ideol�gich� e realtà effettuale. Come in un gioco di specchi deformant1, ved1amo trasformarsi la dura prigionia dettata da contin­ g:n�e bellich: �n �tto altruistico al fine della salvezza stessa dei prigio­ ruen e le ant1g1eruche condizioni di vita in soggiorno provvisorio ma salutare per debellare le malattie già contratte a Tripoli. D'altro canto, l'odio del popolo sottomesso si trasforma in amore : gli arabi sembrano prendere per buona la versione edulcorata dei fatti e interpretano coscienziosamente il ruolo, loro imposto dalle circo­ stanze, di grati e fedeli, « sudditi» del re d'Italia. Che le condizioni della prigionia in Ustica fossero disatrose è av­ valorato anche da un'altra testimonianza : Paolo Valera, autore di un libret�o in cui �ro:w pubbl�cate le foto delle esecuzioni e degli . . massa , m un artlcolo vwlentemente polemico così si arre�tl m espnme a proposito dei deportati in Italia :

« ( ... ) Pregiomi interessare V.S. Ill.ma perché si compiaccia farmi conoscere :

1) se effettivamente tutti i detenuti arabi relegati ad Ustica hanno sgombrato l'isola. 2) Se presso codesta r. Prefettura vi sono ordini per l'eventuale destinazione in quell'isola di altri detenuti. 3) E se, in caso negativo, codesta r. Prefettura potrebbe concedere quegli stessi locali prevìa accurata disinfestazione, nel caso di un eventuale internamento di prigionieri dì guerra» 41 .

La risposta del prefetto è tempestiva (nota del

25

maggio

1912) :

« Pregìomi comunicare alla S.V. Ill.ma che effettivamente l'isola dì Ustica è stata sgombrata di tutti i detenuti arabi : è intendimento però del Ministero che in detta isola siano fatti rientrare i coatti prima destinativi. A prescindere da questa ragione non ritengo che i locali ivi disponibili siano adatti pel ricovero dei prigionieri di guerra» 42.

�< � l!stica è il numero maggiore. Luogo infetto. Luogo puzzolente. Luogo an_tlglen�co. !l colera ne ha sepolti più di cinquecento in poche settimane. La _ 1n cm sono stati tenuti ha contribuito alla falciatura delle loro vite. Nessun ffilsena paese ha trattato i prigionieri di Stato come l'Italia. Lì ha nutriti come carcerati � �on 600 grammi d� pane e_ con una gavetta dì minestra nauseosa. II loro giacigli e stato del�a pagha sterruta, buttata in terra, sparpagliata sulle pietre 0 sugli ammattonati, come per le bestie» 4o.

In un primo momento, il ministro dell'interno aveva dato al diret­ tore della colonia la disposizione di preparare il rimpatrio solo dei relegati arabi minori di sedici anni e maggiori dei sessanta nonché degli ammalati idonei a viaggiare43• Tuttavia, in un secondo momento, fu presa la decisione di sgom­ brare l'isola di tutti i detenuti ; fu accolta, cioè, la proposta che il direttore della colonia aveva formulato nel lungo rapporto da lui inviato al Ministero in adempimento agli ordini ricevuti, contenente, tra l'altro, un elenco dei relegati da rimpatriare44• In tale documento si legge tra l'altro : «<n fatto di temibilità, io credo che essa si possa

Eccessivamente trascinato dalla foga polemica, qui il Valera carica . 1l quadro di fosche tinte e, in particolare, esagera il numero dei morti di colera in Ustica. Senza dubbio più attendibile, la lettera del Cutrera indica in 830 il numero dei prigionieri : dunque, alla data del 10

24 maggio 1912. 41 AS PA, Prejett11ra, Gabinetto, b. 14, nota n. 509 M.S.T. del

38 39

IbidetJJ. P. VALERA, Le giornate di Sciara-Scia! fotografate, Milano, Tip. Borsani, 191 1 . 40 In., La fine dei prigionieri di Stato, in « La Folla», 27 ott. 1 912, 14, p. 20.

42 43

44

l

Ibid., nota n. 1810 del 25 maggio 1 912. data 29 marzo 1 912. Ibid., b. 12, telegramma del Cutrera al prefetto di Palermo in Ibid., nota n. 87 del 5 marzo 1912. ·


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Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca

escludere per tutti, perché tutti gli arabi relegati in Usticà si trovano nella stessa condizione giuridica essendo stati tutti fermati per l� . vie di Tripoli dai militari ( . . . ) ». Nel caso in cui il Ministero non fosse dell'avviso di liberarli tutti · il ' Cutrera propone di escludere quelli provenienti dal Tarhuna «perché ritenuti più audaci, e per loro natura dediti alle rapine ed alle scorrerie».

Tale rapporto porta la data del 5 marzo 1 912. Se confrontiamo i dati in esso riportati (n. 81 1 prigionieri arabi) con quelli della lettera del 1 0 febbraio (n. 830 prigionieri) emerge che, in poco meno di un mese, avvennero ben 19 decessi; altri an­ cora sarebbero avvenuti successivamente.

1 1 66

·

La relazione così continua : « L'elenco comprende n. 703 relegati arabi e siccome essi attualmente sommano complessivamente a n. 811 ne resterebbero qui, qualora non si ritenesse il caso di liberarli tutti, n. 108, ma fra di essi sono compresi quelli ricoverati all'infermeria che sono in numero di 63 dei quali si potrebbero far rimpatriare solamente color� che �l m�mento dell'imbarco sarebbero dichiarati idonei a sopportare il viaggio dal medico circondariale qui in missione ( . . .) ».

È significativo che il Cutrera sconsigli vivamente di far accompa­ gnare gli arabi durante la traversata di ritorno da militari italiani e in particolar modo da bersaglieri : « Quando poi code�to onorevole Ministero crederà opportuno ordinare il rimpa­ . tno, sarebbe converuente che a bordo non si trovino militari, e specialmente bersaglieri, i quali per un malinteso spirito di vendetta molto probabilmente li maltratterebbero, come avvenne quando essi furono qui portati, maltrattamenti che trovano scusa però nello stato d'animo del momento».

Il Cutrera, cui non fa difetto, ci sembra, una certa capacità di mediazione diplomatica, propone se stesso «insieme ad un impiegato della colonia, a sei guardie e sei carabinieri», per l'accompagnamen­ to dei prigionieri essendo egli riuscito ad « ispirare rispetto e af­ fetto» negli arabi ed avendolo gli stessi richiesto « con insistenza». Ad abundanti'am, supporta tale proposta con un motivo di carattere economico :

�'erario � perché gli arabi stanno perpetuamente avvolti nelle coperte da letto, che 1n me�a costano lire 1 O ciascuna, e siccome non potrebbe far fare loro il viaggio « Del resto la mia presenza potrebbe essere necessaria anche nell'interesse del­

s �nza nparo della coperta, dovrei curare al momento dello sbarco la riconsegna d1 tutte le coperte che costituiscono il valore di L. 7.000, nonché le gavette delle quali sono muniti ( . . . ) ».

Oggi, nel cimitero dell'isoletta, una lapide reca inciso : «<n questo cimitero dal 29 ottobre 1 9 1 1 al 9 giugno 1 91 2 furono sepolti 1 32 relegati arabi. Ustica, 31 gennaio 1913». Recentemente, il 25 ottobre 1 989, su questa tomba è venuta a pre­ gare una delegazione di 1 70 «pellegrini libici» qui giunti per ricor­ dare le vittime della deportazione. Dal cimitero di Ustica s'innalza la Fathià : così il giornale «La Sicilia» del 26 ottobre titola una corrispondenza del suo inviato ad Ustica. Nell'articolo, tra l'altro, si legge che il capo del «comitato dei fami­ liari dei deportati» Mohamed Abu Sitta, ha parlato di «risarcimenti» per le sofferenze inflitte alla Libia dal 1 9 1 1 al 1 943 e ha dichiarato, in un'improvvisata conferenza stampa a bordo delle motonave «An­ tonello da Messina» in navigazione tra Palermo e Ustica, che la contesa con l'Italia è una ferita che per i libici continua a sanguinare, e « se prima non si cancella questa pagina nera noi non potremo offrire la massima collaborazione con l'Italia, che consideriamo sem­ pre e comunque un paese amico». In questo contesto si tingono di amara ironia le parole di buon auspicio che il dragomanno dell'ambasciata italiana a Costantinopoli pronunciò il febbraio 1 9 1 2 nel suo discorso ai deportati di Ustica : «Presto voi ritornerete sani e salvi alle vostre famiglie e di questi giorni non rimarrà neanche il ricordo». E invece, a distanza di parecchi decenni, la «pagina nera» non è stata ancora cancellata, il ricordo doloroso di quella guerra e di quei lutti continua a turbare i rapporti tra i due paesi.


Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego

NICOLA DELLA VOLPE

1 1 69

realtà di sottrarre uomini validi ad alimentare la rivolta che divampava nel suo territorio. Il gen. Vittorio Zupelli 3, informato, si mostrò subito contrario all'iniziativa; riteneva infatti che l'impiego di truppe di colore al fronte italiano fosse controproducente, sul piano ideologico (l'Italia stava combattendo una guerra prettamente nazionale contro l'odiato stra­ niero) e sul piano pratico (la presenza di truppe indigene poteva essere interpretata e strumentalizzata come incapacità operativa delle truppe nazionali). Volle però, prima di dare la sua risposta definitiva a Ferdi­ nando Martini 4, sentire il parere del comandante supremo dell'Esercito, il generale Cadorna. La decisione di Cadorna fu rapida ; il giorno dopo, il 1 3 luglio, telegrafò a Zupelli che condivideva pienamente il progetto di Tassoni, stimando legittimo l'uso di ogni mezzo che accelerasse la fine della guerra, invocando il diritto alle rappresaglie contro le barbarie ne­ miche - il che fa comprendere quale uso intendesse fare delle truppe di colore -, ritenendo gli indigeni sudditi dello Stato e quindi nazionalissimi, ricordando che anche gli alleati impiegavano truppe coloniali 5 e che altrettanto avrebbe fatto il nemico se ne avesse avuto la possibilità._ La frettolosa risposta di Cadorna, che pur trova giustificazione per alcuni versi, è incomprensibile per altri : come avrebbe potuto, infatti, un contingente così modesto essere determinante a tal punto da acce­ lerare la «fine vittoriosa della guerra»? Le diverse posizioni assunte da Zupelli e Cadorna diedero il via ad un intreccio di dispacci tra i mini­ stri della guerra e delle colonie, il Comando supremo e il governatore Ameglio, subentrato a Tassoni, perché si decidesse il da farsi. Contemporaneamente in Libia la situazione precipitava. Poiché, a causa delle defezioni, i reparti libici davano sempre più scarso

Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego

Nel corso della prima guerra mondiale alcune migliaia di ascari libici furono inviati in Sicilia e tenuti nell'isola circa un anno, in attesa di un impiego al fronte. Capi politici e militari per interi mesi fecero a braccio di ferro per decidere se utilizzarli o meno in combat­ timento 1 . Alla fine gli ascari furono rispediti in Libia. Una microstoria, in parte nota agli specialisti, interessante da rivisi­ tare perché aiuta a comprendere alcuni aspetti della storia del colonia­ lismo, soprattutto per gli atteggiamenti assunti e per i ruoli giocati dai protagonisti del tempo, non ultimi i militari. È risaputo come nel 1 9 1 5 le colonie italiane, soprattutto quelle libiche, vivessero momenti difficili : rivolta araba, risveglio di insurre­ zioni locali fomentate dalla propaganda turca e tedesca, impossibilità di inviare rinforzi consistenti dalla madre patria, ritiro sulla costa dei presidi militari interni. Al fronte italiano, intanto, dopo gli iniziali effimeri successi, la guerra si stava rivelando in tutta la sua drammaticità, con la prima - di una lunga serie - battaglia dell'Isonzo. Il 12 luglio 1 91 5 giungeva al Comando supremo di Udine, attraverso il Ministero delle colonie, un progetto del gen. Tassoni, governatore della Tripolitania 2, inteso a formare una legione libica con 3-4.000 tripolini, guidati da Hussein Ben Asciur, da utilizzare in Italia nella guerra contro l'Austria. Il Tassoni, con la sua proposta, cercava in

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Ministro della guerra dal 5 novembre 1 914 al 4 aprile 1916. Ministro delle colonie dal 5 novembre 1914 al 19 giugno 1916. La Francia fece un discreto uso delle proprie truppe coloniali ; anche i francesi ebbero però a constatare come tali reparti fossero scarsamente idonei alla guerra in trincea («Illustra­ tion» del 9 giugno 1 917, in ARCHIVIO DELJ:UFFICIO STORJCO DELLO STATO MAGGIORE ESERCITO [d'ora in poi AUSSME], reg. F1, raccoglitore 1 53, cartella 6).

1 F. MARTIN!, Diario 1914-1918, Mila&no, Mondadori, 1966.

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Da tale incarico il Tassoni cessò dopo pochi giorni per rientrare in Italia; la carica fu assunta dal gen. Ameglia, già governatore della Cirenaica, che la tenne ftno al 1918. i

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affidamento, Ameglia dispose che gli ascari senza famiglia fossero disarmati, nel timore che potessero passare ai ribelli. Chiese po.i ai comandanti di truppa di sondare con cautela gli indigeni, per conoscere se fossero stati disponibili ad un trasferimento in Italia con le famiglie. E avvertì Mattini che occorreva risolvere la infelice situazione dei pochi reparti indigeni rimasti fedeli ; costretti a combattere contro parenti e amici, sobillati da elementi infidi e da infiltrati, incomincia­ vano a palesare il loro malumore. Una loro defezione avrebbe avuto conseguenze disastrose, sia operative sia psicologiche, sulla situazione già fortemente critica esistente. Comunicò inoltre a Mattini il risultato dei sondaggi fatti dagli ufficiali a stretto contatto con la truppa libica : gli ascari si erano dichiarati disponibili ad un trasferimento in Italia con le famiglie e pronti, per la maggior parte, a combattere contro l'Austria. Di conseguenza, il problema cambiava aspetto. Non si trattava più di discutere l'opportunità di arruolare nuovi reparti di colore da avviare in Italia per la guerra contro l'Austria, bensì di portar via dalla Libia le formazioni già costituite e diventate insicure. La pericolosa situazione a Tripoli e le argomentazioni di Ameglia, più che quelle di Cadorna, ebbero il loro effetto su Mattini; il quale, però, ancora il 7 agosto cercava una soluzione alternativa al problema, chiedendo ad Ameglia se fosse stato possibile inviare in Eritrea i libici e le famiglie. Lapidario il dispaccio di risposta : «Ascari libici temono odiano molto ascari eritrei per cui è da escludersi loro invio con famiglie in Eritrea». A questo punto Mattini capitolò. Incominciarono così i preparativi per il trasferimento dei battaglioni libici; Ameglia comunicò al Corpo d'armata di Palermo le esigenze logistiche per accogliere gli ascari. Sarebbero arrivati in Sicilia circa 4.700 persone, tra arruolati e fami­ liari, e cinquecento quadrupedi. Interessante, anzi sorprendente, la razione viveri giornaliera che chiese di approvvigionare a pagamento per ogni ascaro. Essa fa comprendere quanto gli indigeni fossero veramente frugali : 600 grammi di farina, 1 00 grammi di zucchero, 20 grammi di tè, 40 grammi di conserva di pomodoro, 50 grammi di olio, peperoni rossi. Ameglia non dimenticò di inviare una direttiva al col. Nigra e agli ufficiali che comandavano i reparti da avviare in Italia. Sua preoccu·

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pazione principale fu il trattamento da riservare agli ascari, nella previsione che questo potesse diventare veicolo di propaganda per gli arruolamenti una volta che i libici fossero rientrati in colonia. Il governatore si dimostrava ancora una volta profondo conoscitore della psicologia degli indigeni e lungimirante nell'opera di riabilitazione dell'Italia nelle colonie. Autonomi fmo al 1 8 agosto gli ascari, con famiglie, tende, muli, viveri e foraggi partirono da Tripoli e da Homs tra il 1 2 e il 1 3 (agosto) diretti a Siracusa ; furono imbarcati a scaglioni sui piroscafi Ravenna, Valparaiso, Re Umberto, Cornigliano, Operosità, Candia, Santa Croce. Tra il 1 4 e il 1 5 sbarcarono 62 ufficiali, 2.464 ascari, 1 .959

familiari, 497 quadrupedi 6• Il 16 agosto il col. Nigra telegrafava ad Ameglia che tutti gli scaglioni erano giunti ed erano stati alloggiati a Floridia, ad eccezione degli squadroni appiedati e del III libico, destinati a CanicattF. La popolazione locale, in un primo tempo allarmata per l'arrivo delle truppe libiche, si adattò ben presto ad una pacifica convivenza con esse. Giunti gli ascari in Italia, si poneva il problema della loro utiliz­ zazione; problema i cui termini, come accennavamo, erano diversi dalla proposta inizialmente avanzata dal Tassoni. Questa prevedeva infatti la formazione di una legione libica, di 3.000-4.000 uomini, arruolati espressamente e volontariamente per la guerra contro l' Au­ stria. Ora, invece, si trattava di impiegare ascari che si erano arruo­ lati per la difesa delle colonie e che motivi di opportunità avevano consigliato di trasferire in Italia, anche se in molti avevano manife­ stato l'intenzione e la disponibilità a combattere contro l'Austria. Non era una questione di forma, ma di sostanza. L'indigeno era essenzialmente un volontario, che volontariamente firmava un contratto e assumeva un servizio per un periodo prestabilito e a determinate condizioni, che da parte sua osservava sempre rigorosamente. Ma altrettanto rigidamente avrebbe preteso il rispetto dei vincoli del

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In altri documenti le cifre si discostano di poche unità da quelle qui indicate.

7 I reparti indigeni giunti in Sicilia erano : 1 o, 3° e So battaglione di fanteria, zo e 3o

squadrone indigeni, uno squadrone meharisti e una compagnia cannonieri.


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suo ingaggio. E rispettare i patti non era solo un'esigenza del mo­ mento, ma costituiva la migliore premessa per stimolare gli arruola­ menti futuri. Difficoltà si erano già rilevate, infatti, in tal senso, quando si era tentato di prolungare, senza il preventivo consenso degli interessati, la ferma. Era perciò necessario non solo ottenere il consenso degli ascari di Floridia a partecipare alla guerra, ma fare profonda opera di convin­ zione e, soprattutto, offrire un buon trattamento economico per la durata dell'ingaggio ; in tal modo, l'adesione parziale avrebbe favorito quella generale. Un ostacolo era tuttavia ancora rappresentato dalla presenza delle famiglie : l'ascaro era gelosissimo della propria donna ; anche se, superato il periodo di ambientamento, non si dimostrò alieno dal concedersi « licenze» con le donne locali. Era quindi necessario trovare anche in questo campo una composizione poiché, ovviamente, le mogli non avrebbero potuto seguire i congiunti al fronte. Era da tenere presente, infine, che la migliore utilizzazione delle truppe di colore poteva avvenire soltanto nell'arco della stagione estiva; d'inverno le condizioni climatiche non ne avrebbero certamente esaltato il rendimento in combattimento. Sulla base di queste premesse il gen. Cadorna chiese al m1mstro della Guerra l'immediato utilizzo delle truppe, ipotizzandone l'impiego a massa in un determinato tratto del fronte per colpire anche psicolo­ gicamente l'avversario, reputandolo non preparato alla loro comparsa. Di ciò il generalissimo informò Ameglia. Zupelli, sentito anche Salan­ dra per i risvolti politici che l'operazione poteva implicare, si dimostrò ancora una volta contrario ad adoperare i libici di Floridia. Il mese di agosto trascorse cosi in un nulla di fatto. Intanto il col. Nigra, comandante del contingente indigeno, se­ guendo le direttive ricevute da Ameglia, otteneva l'adesione unani­ me delle truppe a combattere la guerra contro l'Austria ; l'unica garanzia da esse richiesta fu la sistemazione delle famiglie, possibil­ mente in baracche. Comunicava ciò il 1 o settembre al Comando supremo ; lo stesso giorno Ameglia gli telegrafava da Tripoli, av­ vertendolo che, dalle prime lettere inviate dagli ascari a parenti e amici, trapelava preoccupazione per la loro sorte e per la loro ulteriore destinazione (il fronte) ; lo invitava pertanto a svolgere opera di persuasione per « eliminare dubbi, rassicurare animi, ispirare

fiducia» al fine di raggiungere gli scopi propagandistici che si era prefisso nel provocare il trasferimento degli ascari in Italia. Nigra rispondeva subito ad Ameglia ; le prime lettere dei libici riflettevano il timore di essere ingannati. Gli assicurava di avere ottenuto co­ munque il loro consenso ; lo informava, peraltro, di aver ricevuto ordine del Ministero della guerra, attraverso il Comando del Corpo d'armata di Palermo, di sospendere qualsiasi propaganda a favore di un impiego in guerra. Secondo Nigra non era auspicabile un impiego a breve scadenza, poiché le truppe avevano bisogno di riposo e di riadeguamenti. Nell'affare si inseriva quindi nuovamente Martini, deplorando lo scambio diretto di corrispondenza tra Ameglia, Nigra e Cadorna e tacciando di scarsa informazione il ministro della guerra e il capo di Stato maggiore. Informava, infatti, che il Consiglio dei ministri aveva deliberato di non inviare le truppe di colore al fronte. Li accusava, esplicitamente, inoltre, degli inconvenienti che potevano scaturire da atteggiamenti cosi contrastanti tenuti da autorevoli rappresentanti del governo nei confronti dei libici. Cadorna, tuttavia, non desisteva dal suo progetto e il 2 settembre reiterava le richieste con una lettera a Zupelli. L'8 settembre, Nigra, convocato a Roma, portava con sé un gruppo di ascari che fecero una buona impressione. Il 9 settembre Zupelli telegrafava a Cadorna che il governo non era più alieno dal prendere in considerazione il suo progetto, contrariamente a quanto aveva affermato pochi giorni prima Mattini; pertanto, avrebbe dovuto fargli pervenire tutte quelle proposte concrete necessarie ad assicurare un utile impiego delle truppe libiche al fronte. E mentre lo Stato maggiore del Comando supremo incominciava a porre in atto i provvedimenti necessari per il trasferimento delle truppe al fronte, dopo dieci giorni appena, il 19 settembre, il Consiglio dei ministri ritornava ancora una volta sulle sue decisioni e ordinava di sospendere ogni provvedimento per l'impiego degli ascari. Cadorna, burocraticamente, «prendeva atto» della delibera del governo, sottoli­ neando che, più che la decisione di esso, aveva accettato le argomen­ tazioni del col. Nigra - da lui ricevuto nel frattempo - contrario, per l'avvicinarsi della stagione invernale, all'impiego delle truppe indigene.

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Auspicava allo stesso tempo che nella successiva primavera gli fosse concesso di realizzare il suo progetto, mediante la costituzione ·di �ma unità a livello brigata. Con gli auspici di Cadorna si chiudeva la prima fase del ventilato impiego al fronte delle truppe di colore8•

A distanza di pochi giorni (16 marzo) il Foschini redigeva un secondo rapporto, identico al primo, eccezion fatta per la consistenza del Corpo, che veniva contratto a livello di brigata, su tre reggimenti di fanteria e un gruppo d'artiglieria. Evidentemente, la struttura organica precedente era sembrata troppo macchinosa, pesante e non più rispondente ai criteri di mobilità e sor­ presa che si intendeva attribuire ai reparti indigeni. Ovvero, non si può scartare l'ipotesi che qualcuno avesse fatto notare, realisticamente, le obiettive difficoltà d'arruolamento di una entità di indigeni tale da poter costituire una grande unità a livello divisione. Il progetto del Foschini ebbe le sue ripercussioni. A maggio il generale Porro, sottocapo di Stato maggiore dell'Esercito, incaricò il colonnello Francesco Saverio Grazioli di ispezionare le truppe indigene in Sicilia, con l'intento palese di accertarne il grado di istruzione raggiunto e con quello occulto di esaminare la possibilità di inserire gli ascari libici in una formazione speciale con la quale si prevedeva di sferrare un attacco a fondo sul fronte della 3a Armata. Al termine dell'ispezione il Grazioli, pur lodando il livello di adde­ stramento, lo spirito combattivo e la disciplina degli ascari e dei quadri, molto onestamente scrisse nel suo rapporto come non fosse possibile impiegare gli indigeni secondo gli intendimenti del Comando supremo. Riteneva il Grazioli, invece, che fosse possibile ricorrere ad essi a patto che truppe nazionali rompessero in un tratto il fronte, solle­ vando gli ascari da un compito che non avrebbero potuto assolvere per le loro inclinazioni tattiche; soltanto ad incisione realizzata, infatti, sarebbe stato possibile far penetrare nei varchi truppe di colore le quali, non più vincolate da ostacoli difensivi, avrebbero potuto pene­ trare a fondo, in qualità della loro velocità e aggressività, portando lo scompiglio nelle retrovie nemiche9• Il Grazioli incontrò anche il ministro Mattini, a cui espose breve­ mente il suo punto di vista; Mattini, benché avesse già deciso, d'ac­ cordo con Ameglio, di rinviare i libici in Cirenaica, alla luce dei

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Il 1o marzo 1 91 6, con l'approssimarsi della buona stagione, si riaccese la discussione. Il magg. Foschini, del Comando supremo, fu incaricato di redigere uno studio, da presentare successivamente al governo, i cui punti salienti asserivano che : - l'impiego delle truppe di colore sarebbe stato redditizio perché costituiva, in campo tattico, una sorpresa per il nemico ; avrebbe inoltre comportato, quale effetto collaterale, la sottrazione dalle colonie di elementi facinorosi e disoccupati, anche in vista della stasi delle opera­ zioni militari conseguenti alla stagione delle piogge in Eritrea e ai grandi calori in Libia e in Somalia. Avrebbe consentito, infine, un risparmio di nazionali, considerata la frequenza con cui classi sempre più anziane e più giovani venivano chiamate alle armi ; - la sicurezza delle colonie non avrebbe risentito dell'invio in Italia di ulteriori contingenti di truppe indigene, in quanto già erano stan­ ziate in quei territori forze metropolitane comunque sufficienti a ga­ rantirli; inoltre, dopo gli sfavorevoli esiti delle rivolte, i capi ribelli sembravano più intenti a litigare tra di loro che non ad unire gli sforzi contro gli italiani; - tenuto conto delle forze indigene disponibili in Sicilia, di quelle prelevabili dall'Eritrea e dalla Libia e di potenziali unità che era possibile formare con nuovi arruolamenti, si poteva organizzare un corpo di truppe di colore a livello divisionale, composto da un Co­ mando di divisione, 2 brigate (1 eritrea e 1 mista), ciascuna su 2 reg­ gimenti (1 o e 2° eritreo l'una; 3° libico e 4o misto l'altra), più un gruppo d'artiglieria su 4 batterie da montagna (3 eritree e 1 libica). L'autonomia logistica avrebbe dovuto essere assicurata con servizi costituiti da truppe nazionali someggiate e ordinate in una sezione di sanità, una di sussistenza, una colonna munizioni, una colonna viveri.

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documenti relativi alla prima fase sono contenuti in AUSSME, Libia, L-8, cartella 19.

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9 La relazione è allegata integralmente alla fine dello studio perché fornisce molti particolari delle truppe indigene in Sicilia e delle loro capacità e possibilità di impiego (AUSSME, reg. F1, raccoglitore 27, cartella 4; reg. L8, raccoglitore 1 9).


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criteri indicati dal Graziali, promise che, qualora il Comando supremo avesse previsto l'impiego degli ascari per uno scopo limitato e tempo­ raneo, avrebbe riproposto la questione in Consiglio dei mini�tri . appoggiandola favorevolmente. La relazione Graziali, il nuovo atteggiamento del Mattini, e un telegramma del gen. Morrone1 0, sfavorevole all'impiego degli ascari, dovettero avere indubbio effetto presso il Comando supremo : vi fu infatti fermata e sospesa una dura lettera del Cadorna, datata 1 5 maggio, che chiedeva al Consiglio dei ministri di decidere senza indugi sull'impiego delle truppe. Venne invece approntata un'altra lettera, molto più blanda, in cui, ribaditi i vecchi principi a sostegno dell'impiego di truppe di colore nella guerra d'Italia, si auspicava che il problema fosse riesaminato. Intanto il Reparto operazioni del Comando supremo, valutando le azioni intraprese dagli austriaci nel Trentina, sugli altipiani - che avevano le caratteristiche di colpi di mano e di guerriglia perché effettuate di sorpresa da nuclei di uomini specializzati, con armamenti leggeri - suggeriva di utilizzare immediatamente, in azioni di contrasto contro tali nuclei, gli ascari disponibili, per la loro capacità di movi­ mento in terreni difficili e per il loro spirito bellicoso. Con l'occasione, veniva riproposto anche il potenziamento delle unità di colore, mediante l'arruolamento di altri quattro battaglioni eritrei e l'invio in Italia dei battaglioni eritrei che si trovavano in Libia e che erano sul punto di rientrare in Eritrea per fine ingaggio. Cadorna, sollecitato da tali suggerimenti, insisteva, il 28 maggio, presso Salandra e Morrone perché fosse concessa l'autorizzazione ad utilizzare libici ed eritrei. Un evento imprevisto vanificava però le insistenze del capo di Stato maggiore; il 6 giugno Morrone gli comu­ nicava che i battaglioni eritrei dislocati in Africa, invitati a rinnovare l'ingaggio per combattere in Italia, avevano decisamente rifiutato la proposta. Nonostante ormai fosse evidente l'impossibilità di avviare un consi­ stente contingente di colore al fronte, fino a luglio Cadorna persisteva freneticamente nelle sue richieste, chiedendo battaglioni eritrei e pro-

ponendo l'invio di battaglioni territoriali nelle colonie per prelevarvi, in sostituzione, reparti indigeni. Tutto questo, sebbene già in data 24 giugno Morrone - che non condivideva le idee del generalissimo - gli avesse comunicato che i libici di Floridia erano rientrati in Cirenaica e che i responsabili politici e militari delle colonie si opponevano decisamente a qualsiasi ulteriore invio di truppe di colore in Italia 11 • La lunga diatriba terminò, e all'improvviso ; è verosimile che a far desistere Cadorna dai suoi propositi siano stati la conclusione vittoriosa delle operazioni nel Trentina, che vanificava le motivazioni delle sue richieste, l'atteggiamento ostile di Morrone, e il cambio degli uomini di governo. Sta di fatto che mai più, durante la guerra, si parlò di impiegare al fronte reparti coloniali.

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APPENDICE Relazione del col. Graziali In seguito alla presentazione di un mio «Progetto di attacco a fondo con un nucleo in formazione speciale» sulla fronte della 3• armata, nucleo speciale che io proponevo di costituire misto di truppe italiane e di truppe di colore, e dotato naturalmente di tutti i mezzi all'uopo necessari, il Comando supremo determinava di inviarmi a ispezionare le truppe libiche dislocate in Sicilia, nei pressi di Siracusa. Partii pertanto il giorno 3 maggio dal fronte e mi recai a Siracusa ove rimasi nei giorni 6-7 e 8 maggio, convivendo nei campi degli ascari e assistendo ad alcune loro esercitazioni tattiche diurne e notturne e ad istruzioni varie. Per ovvie ragioni di segretezza l'ispezione era motivata con la necessità di constatare il grado di istruzione raggiunto dagli ascari nell'impiego di alcuni materiali da trincea, ad essi inviati dal fronte. In realtà lo scopo essenziale della ispezione era il seguente. Scopo della ispezione.

Ammessa la necessità di colorire e di vivificare il quadro generale della ripresa offensiva contemporanea di tutti i corpi d'armata di 1• linea della 3• armata contro

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10 Ministro della guerra dal 4 aprile 1916 al 15 giugno 1 917.

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Documenti sulla seconda fase dell'impiego delle truppe libiche sono contenuti

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AUSSME, Fondo Libia, cartella 24 (Diario del Governo della Tripolitania) e reg. E2, cartella

21 (Corrispondenza dei ministri della guerra e delle colonie).

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i ben noti obbiettivi parziali, con un attacco a fondo da sferrarsi da Un nucleo speciale di fanteria contro un determinato tratto della fronte, allo scopo precipuo di sf'ondare la 1 • e la 2• linea nemica e di pervenire per questa via a un mutamento sensibilè della situazione e forse alla conquista di batterie o di altri organi importanti del nemico; vedere se e in quanto e con quale efficacia il gruppo di battaglioni libici da tempo dislocati in Sicilia potrebbe entrare a far parte del suaccennato nucleo speciale per l'attacco a fondo ; tenendo conto che tale nucleo dovrebbe costituire essenzialmente come la punta acciaiata di un trapano destinato a penetrare al di là delle linee nemiche, trapano che, nel suo insieme, dovrebbe naturalmente essere rappresentato da altre maggiori forze immediatamente rincalzanti.

I battaglioni sono senza salmerie (hanno appena qualche mulo per gli ordinari servizi). Dovendoli impiegare sul nostro fronte occorrerebbe costituire una salmeria di 50-60 muli per battaglione, con che si potrebbero portare al seguito 2 razioni viveri, acqua, munizioni, tende ecc. Gli ascari sono armati di fucile 70/87 e di sciabole-baionette lunghe che però sono in corso di riduzione a corte per cura dello stesso comando del gruppo. Non hanno mitragliatrici. Si potrebbero costituire buone sezioni «Fiat» 1 914 valendosi del personale delle due batterie, qualora al nucleo d'attacco si assegnassero 2 batterie someggiate italiane, invece che ridare i pezzi alle due indigene. Però, per testimonianza concorde di entrambi i comandi di batteria, qualora si ridassero [ sic !] i pezzi agli ascari si potrebbero in pochi giorni ricostituire, con lo stesso personale già provetto, due o almeno una buona batteria someggiata da 70. Un altro impiego possibile di detto personale, potrebbe essere quello di costituire una batteria di 18 pezzi di lanciaspezzoni Bettica, per il che occorrerebbe naturalmente un breve periodo di istruzione. Gli ascari di fanteria sono vestiti color kaki ed hanno la mantellina, le mollettiere, un tascapane, la borraccia, la cartucciera con 1 50 cartuccie, che è il loro munizio­ namento individuale. Portano in capo la tachia rossa e i battaglioni sono distinti con fascie alla vita di vario colore (nero il 1 o - bleu il 2o - rosso il Jo - cremisi il 4o - scozzese il So).Quasi tutti portano le scarpe. Tutti hanno le tende Bucciantini. In complesso la tenuta è in perfetto ordine e molto adatta alla guerra anche sul nostro fronte, perché è di poca visibilità e molto semplice e libera. Però occorrerebbe fornirli di una 2• tenuta e completare i materiali di equipaggiamento generale. Gli ascari semplici hanno attualmente una paga che complessivamente ammonta a lire 2 al giorno, più 0.80 di razione viveri che generalmente il comando provvede in natura. Qualora gli ascari dovessero essere impiegati sulla nostra fronte dovrebbesi aumentare alquanto la paga, ferma restando la suddetta razione viveri. Gli ascari non hanno strumento leggero da zappatore, e forse non converrebbe darglielo perché sono poco adatti ai lavori. Tutt'al più qualche zappetto a scure per lavori indispensabili. Parte degli ascari hanno con loro in Sicilia, in appositi accampamenti, le rispettive famiglie. Dovendo essere avviati sul nostro fronte, desidererebbero che le famiglie fossero riportate in Tripolitania, continuando bene inteso ad essere mantenute colà a loro spese. I due squadroni di cavalleria e lo squadrone meharisti sono riparti dotati di speciale carattere coloniale. Per tale ragione, e per la maggior loro difficoltà di reclutamento, sembra sia da escludersi a priori la opportunità di impiegarli sulla nostra fronte, e pertanto si può concludere che la forza impiegabile (di fanteria e di artiglieria) ammonterebbe in complesso a circa 2500 uomini, organizzati nel modo che ora si è detto. Vediamone ora le condizioni di spirito militare e di istruzione che ci darà un criterio concreto sul loro possibile rendimento.

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Forze libiche ispezionate (loro entità - ripartizione organica - condizioni di vita di inquadra­ mento - dotazioni di materiali vari) .

In Sicilia, presso Siracusa, si trovano raccolte dalla estate scorsa tutte le truppe indigene regolari della Tripolitania, vale a dire : 4 battaglioni (1°, Jo, 4°, So - il 2° fu distrutto a Tarhuna all'epoca dell'abban­ dono di quella località) ; 2 batterie da montagna (solo personale ufficiali e truppa, senza cannoni e senza quadrupedi) ; 2 squadroni - completamente montati, uno su cavalli italiani, uno su cavalli indigeni; 1 squadrone meharisti - appiedati e senza mehari; Circa 60 zaptié. Questa forza ammonta all'incirca a 3000 uomini presenti ed è comandata dal colonnello Nigra cav. Arturo, antico e distinto ufficiale coloniale. Pino a pochi giorni fa i battaglioni erano su quattro compagnie e avevano una forza di poco superiore ai 500 uomini. Ora, dietro ordine venuto dal Comando delle truppe della Tripolitania, si sta ricostituendo il 2° battaglione libico, mediante le quarte compagnie dei suddetti battaglioni, rinforzate dal piccolo nucleo superstite del vecchio 2°, che finora era compreso negli altri quattro battaglioni. Cosicché al presente si hanno effettivamente 5 battaglioni, tutti però su tre compagnie, vale a dire di forza ciascuno inferiore ai 500 uomini. Gli attuali battaglioni sono comandati da ufficiali superiori coloniali provetti e ottimi sotto ogni riguardo. L'inquadramento è buono anche nei comandi di compagnia. Deficiente numericamente nei subalterni fra i quali, gli ultimi giunti dal fronte, sono anche assai deficienti per qualità. Si ha qualche buon subalterno proveniente dai sottufficiali coloniali. Per completare l'inquadramento occorrerebbe dare la preferenza a ufficiali di recente nomina che furono come sottufficiali in colonia. Vi è un solo medico per battaglione (capitano). Impiegando i battaglioni sul nostro fronte occorrerebbe completare il numero dei medici.

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1 1 80 5pirito

Nicola Della Volpe militare e particolari attitudini belliche delle truppe libiche.

Le truppe indigene della Tripolitania erano da non molto tempo costituite e ave­ vano già date ripetute e brillanti prove della loro fedeltà e della loro piena efficienza bellica, quando sopravvennero i dolorosi avvenimenti che condussero allo sgombero affrettato della maggior parte del territorio da noi occupato in quella colonia sotto la pressione di una vasta insurrezione di tribù ribelli. Durante tale sgombero le giovanissime truppe libiche, ben lungi dal tradirei come fecero le bande irregolari, riaffermarono luminosamente la loro fedeltà e in più occasioni si comportarono eroicamente. Tuttavia una volta ristretti alla costa, anzi a una parte assai piccola della costa, parve al Governo della Colonia opportuno di trasferire tali truppe temporaneamente in Italia, ciò che fu fatto, scegliendo come si è detto, come loro residenza, i dintorni di Siracusa. Durante ormai quasi un anno di loro permanenza in Sicilia, le truppe libiche poterono finalmente godere di un riposo ristoratore e, grazie sopra tutto alla energia e capacità del loro comandante col. Nigra, poterono in breve riordinarsi e perfezio­ nare la loro istruzione militare, conservando inalterato il loro spirito combattivo, trattandosi di elementi ormai molto agguerriti per le ripetute prove date in numero­ sissimi fatti d'arme. Io ho trovato perciò in Sicilia un nucleo veramente modello di truppe coloniali, disciplinate, fisicamente robuste, giovani, dimostranti uno spirito militare altissimo e molto spirito combattivo e quel che più conta strettamente legate di affetto e di stima ai loro ufficiali; che per affermazione unanime e concorde mi assicurano che i loro ascari li seguirebbero dovunque. . Il nucleo è piccolo, ma per compenso è saldamente agguerrito ed affiatato così da rappresentare realmente, pel giudizio che me ne sono fatto, uno strumento perfetto, eminentemente offensivo e mobilissimo, atto tanto alla guerra di pianura quanto alla guerra da montagna, quale sarebbe difficile sperare di trarre oggidì dalle nostre truppe metropolitane. Se non che queste spiccate qualità belliche sono subordinate a speciali esigenze di impiego derivanti dal carattere particolare di queste truppe e delle quali sarebbe pericoloso non tener conto nel caso di un eventuale loro impiego sul nostro fronte. Così per esempio : a) Nessuna attitudine alla guerra statica di trincea alla quale pertanto non dovrebbero a nessun costo essere condannate, neppure per brevi periodi; b) Poco consigliabile gettare queste truppe contro ostacoli materiali resistenti che possano comunque arrestare la loro foga offensiva, quali p.e. i reticolati, che poco conoscono e che non saprebbero forse come distruggere coi mezzi troppo complicati di cui ora disponiamo per tale bisogna. Quindi tutt'al più sarebbero da impiegarsi contro reticolati soltanto nel caso si ritenga possibile il superarli di notte di sorpresa, col mezzo p.e. delle passerelle flessibili; c) Alquanto problematica la resistenza di queste truppe sotto un tiro concentrato e prolungato di artiglieria nemica, non avendo esse mai avuta occasione di trovarcisi

Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego

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ed abborrendo esse, per 1stmto, dall'assoggettarsi a lungo alle offese di un nemico invisibile, come è precisamente la potente artiglieria nemica. Conclusioni sulla impiegabilità di tali truppe libiche sul nostro fronte.

Tutto sommato dunque queste truppe libiche costituiscono essenzialmente, starei per dire esclusivamente, ottime truppe da gettare in campo aperto, per combattimenti di movimento, per imprese libere ed ardite dove sia possibile piombare di sorpresa su obbiettivi ben visibili e concreti, affrontarli faccia a faccia, sopraffarli con la irruenza e la rapidità dell'azione. In una azione di questo genere, che non potrebbe evidente­ mente essere possibile se non dopo sfondate con altri mezzi le prime linee difensive del nemico, esse sarebbero certamente preziosissime, sia perché la loro stessa mobilità le salverebbe dall'incappare sotto un tiro concentrato delle artiglierie potenti del nemico, mentre darebbe loro modo di sfuggire, con una agile corsa in avanti e con la facilità di sparpagliamento che è loro propria, alle offese delle artiglierie leggere. Tutte queste considerazioni, corroborate dal parere unanime degli ufficiali che inquadrano tali truppe, consiglierebbero pertanto ad apportare in ogni caso al «progetto di attacco a fondo» già presentato a codesto Comando alcune modifica­ zioni, e cioè ad escludere il concorso di truppe di colore nella 1 a fase (attacco di sorpresa della 1 a linea nemica) e nella 2a fase (attacco di viva forza della 2a linea), riserbandole invece esclusivamente alla 3a fase, quella che deve in certo qual modo raccogliere il frutto delle due prime. Attraverso il passo aperto nelle prime linee nemiche dall'azione di sorpresa e di viva forza di un solido e massiccio nucleo di truppe italiane, ben scelte e ben preparate e dotate di tutti i materiali necessari, lanciare in terzo tempo l'orda dei libici, tenuti fmo allora a catena, e lasciare che essi, approfittando dell'inevitabile disorientamento del nemico si spingano colla loro foga istintiva quanto più lungi è possibile, mirando prima di tutto a rovesciarsi sulle riserve nemiche accorrenti e poi sugli obbiettivi più importanti viciniori, sulle batterie sopra tutto. Questo mi sembra il miglior impiego, direi anzi il solo impiego utile che potreb­ bero avere tali truppe di colore sul nostro fronte, impiego certo assai efficace perché coronerebbe e renderebbe assai fruttuoso e completo lo sforzo poderoso di sfondo che, concentrando ogni mezzo opportuno, fosse stato compiuto in un determinato tratto della fronte da truppe regolari. Inutile dire che ove la situazione su qualche particolare tratto della fronte permettesse di passare direttamente alla 3a fase, risparmiando le due prime, l'im­ piego degli ascari troverebbe più pronto e più facile impiego. Tale sarebbe p.e. il caso quando si intendesse combinare sulla estrema ala destra della 3a armata un'avanzata per terra con una impresa di sbarco (allo sbaraglio) sulla costa Dui­ no-Sistiana. Gettando quivi di sorpresa di notte il nucleo di truppe libiche esse verrebbero di colpo a trovarsi sulle retrovie del nemico, e avrebbero largo e fe­ condo campo di impiego arditissimo, anche solo marciando verso nord per ricol­ legarsi con la colonna avanzata da terra.


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Nicola Della Volpe

Un progetto di impiego di truppe di colore quale quello che ora ho descritto riuscirebbe naturalmente tanto più promettente di fecondi risultati quanto maggiore fosse il nucleo di truppe di colore disponibili. E poiché di truppe libiche · oltre quelle di cui qui si è trattato non ve ne sono, viene logico pensare alla convenienza di aggiungervi qualche battaglione eritreo, il che (per le eccezionali qualità belligere di queste ultime truppe) varrebbe a costituire davvero un fascio offensivo irresistibile per lo scopo in questione. Quando io sono partito per la mia ispezione la concessione degli eritrei era assolutamente esclusa in seguito a deliberazione negativa presa in Consiglio dei ministri. Ma ritornato a Roma, dopo la mia ispezione, obbedendo all'ordine ricevuto da S. E. il sottocapo di S. M. dell'Esercito, mi sono presentato a S. E. il ministro Martini al quale ho riferito brevemente quanto in questa relazione è esposto, con poca speranza, confesso, di venire ad una soluzione favorevole anche solo per i libici poiché, nel frattempo, il Ministero delle colonie stesso, di concerto col gen. Ameglia, avevano deciso l'invio degli stessi libici in Cirenaica. Ma S. E. il ministro Martini alla mia succinta esposizone di quale potrebbe essere un impiego di truppe di colore sul nostro fronte, conforme ai criteri sopra indicati, dimostrò invece di intendere tutta l'importanza della questione messa in questi nuovi termini e forse non ben prospettata nel Consiglio dei ministri, dove, a quanto pare, la concessione di truppe di colore sul fronte fu esclusa più che altro per ragioni morali e perché si pensò che si volessero impiegare puramente e semplicemente nella guerra di trincea. S. E. il ministro Martini mi ha perciò dato formale incarico di riferire a cotesto Comando supremo che ove gli venisse da codesto Comando una richiesta di truppe di colore in genere (libici ed eritrei) per uno scopo determinato e temporaneo e con un programma ben corrispondente alle particolari attitudini e qualità di tali truppe, non sarebbe alieno di riportare la questione in Consiglio dei ministri e di appoggiarne una soluzione favorevole, tenuto conto della incipiente stagione delle pioggie in Eritrea e della non opportunità, ormai già affermata, di operazioni militari di espansione in Libia. Mi lasciò sperare di studiare in tal caso la eventualità di poter inviare al fronte i libici di cui nella presente relazione si è discorso, più tre battaglioni eritrei. li sottoscritto convinto della utilità di tale concorso fa voti ardenti che una tale idea possa presto diventare realtà. Le ragioni morali che dissuassero finora il governo a concedere truppe di colore al fronte, diminuirebbe di valore in vista dell'effettiva utilità di esse quando si trattasse di adoperare un fascio offensivo così robusto. L'altra abbiezione del poco affiatamento fra eritrei e libici, non ha fondamento per testimo­ nianza concorde di tutti gli ufficiali che hanno impiegato tali truppe e per l'esperienza dei recenti avvenimenti di Tripolitania. L'antipatia vi è fra eritrei e bande libiche irregolari, ma non fra eritrei e libici regolari e disciplinati come sono quelli di Sicilia.

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NICOLA DELLA VOLPE - FERNANDO FRATTOLILLO

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dell' Ufficio storico dello 5ME

I tentativi di acqu1S1re territori e possedimenti prima della nascita ufficiale del colonialismo italiano sono noti alla maggior parte degli studiosi. Storici e storiografi li hanno talora ricordati come momenti margi­ nali di una sterile ed effimera politica estera, come dotte esercitazioni introduttive alla storia del colonialismo, o come sporadici, frammentari tentativi individuali ed isolati, legati più ad intuizioni ed iniziative private che non ad un'organica politica dello Stato. Indubbiamente l'Italia post-unitaria fu, per decenni, impegnata a ri­ solvere i molti e seri problemi interni legati proprio al processo di unificazione. Non mancarono, tuttavia, spinte consistenti per la definizione di una concreta politica coloniale. Questa constatazione nasce dalla consultazione di una serie di docu­ menti - molti finora inediti - conservati presso l'Archivio dell'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito. I documenti sono di diversa natura, e fanno parte di carteggi diversi ma, estrapolati e letti assieme, danno la netta sensazione di come una volontà coloniale - lenta, graduale e costante nel tempo - si sia affermata in Italia ancor prima di Assab e di Massaua. A questo fine l'esame si soffermerà, principalmente, su alcuni docu­ menti e sui piani operativi compilati dall'autorità militare per le pro­ gettate spedizioni di Tunisi (1864) e di Tripoli (1 884). Per due motivi : per le interessanti considerazioni in essi contenute e perché, trattandosi di piani operativi, sono il risultato finale di un'idea politica che sta per essere tradotta in atto. Ad altri il compito di ricercare i motivi politici della mancata realizzazione.


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Nicola Della Volpe - Fernando Frattolillo

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dello SME

Unitamente ai piani citati daremo cenno, attenendoci àd una scan­ sione temporale, di altri documenti che attestano il crescente inte�esse italiano verso una politica di espansione e di ricerca di spazi all'mfuori del territorio nazionale per fini coloniali.

Il consiglio di sanità compilò un'apposita «<struzione per l'igiene delle truppe». Una curiosità in materia d'igiene e di uniformi : per evitare gli inconvenienti prodotti dall'eccessivo calore, si convenne di dare alla truppa un cappello ordinario grigio, morbido e a larga tesa, e se ne ordinò la fabbricazione. In pratica, un tipo di cappello che anticipa quello degli alpini. Il 1 3 giugno il magg. Ricci, giunto a Tunisi, incominciò ad inviare rapporti e memorie per l'occupazione, mentre dal Ministero della guerra gli giungevano ordini e richieste su particolari quesiti. Particolarmente interessante una memoria del Ricci spedita il 20 giugno da Tunisi. L'ufficiale premetteva due condizioni per la riuscita della spedizione : - prima condizione, un accordo politico con le altre potenze europee, o quanto meno una precisa convenzione con la Francia, per evitare complicazioni internazionali; - seconda condizione, una intesa diretta con il bey di Tunisi, che avrebbe dovuto accettare o richiedere egli stesso in prima persona l'intervento, altrimenti il corpo di spedizione, così com'era composto, non sarebbe stato sufficiente a garantire il successo della spedizione, perché inevitabilmente le truppe si sarebbero trovate a fronteggiare una rivolta araba. È soprattutto questa costante preoccupazione per l'atteggiamento degli arabi - troppo spesso sottovalutato dalla parte politica - che rende lungimirante l'annotazione, per il riscontro che troverà in tutti gli interventi futuri.

·

1 864. Progettata spedizione di Tunisi È noto come l'aumento delle tasse avesse provocato nel giugno del 1 864 una rivolta a Tunisi. La presenza nella città di una folta colonia italiana e l'accondiscendenza iniziale della Francia, che vedeva nella questione di Tunisi il rafforzamento di un'alleanza militare con l'Italia, offri al governo il pretesto per preparare un corpo di spedizione. Il ministro della guerra, Alessandro Della Rovere, incaricò il Corpo di stato maggiore di studiare la spedizione nei minimi particolari. Contempo­ raneamente inviò a Tunisi il magg. Agostino Ricci, il cap. Timoteo Bettola, il cap. Antonio Milani e il commissario di guerra di 2a classe Luigi Bosio, con l'incarico di predisporre sul posto il futuro sbarco delle truppe. Al comando del corpo di spedizione fu designato il gen. Ambrogio Longoni, come capo di stato maggiore il cap. Stanislao Mocenni. Per comporre il corpo furono scelte unità organiche : il 49o ed il 67° fanteria, il 9o battaglione bersaglieri, una batteria del 5° artiglieria e una compagnia del 1 o genio. Furono stabiliti i servizi del treno, d'ambulanza, degli ospedali, e delle sussistenze, della posta e di inten­ denza, del tribunale militare e dei Carabinieri. Il col. Corrado Politi, che aveva precedentemente soggiornato a Tu­ nisi, fu incaricato di scrivere una memoria operativa per lo sbarco. Al conte Sanvitale, per le sue passate esperienze in Algeria, furono richieste notizie su usi e costumi. Le truppe furono allertate e tenute pronte a partire per destinazione ignota; furono approntati i mezzi di trasporto per le truppe, per i viveri e per i materiali. Furono forniti i nominativi di cittadini italiani residenti a Tunisi, che potevano fare da guida e da interpreti, e furono procurate e pre­ parate carte topografiche per riconoscere il terreno. Fu previsto anche che, a sbarco effettuato, avrebbero raggiunto il corpo di spedizione due squadroni di cavalleria, opportunamente equi­ paggiati e armati in relazione al clima del paese e al terreno della lotta.

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Non v'è traccia nel carteggio di successivi provvedimenti alle os­ servazioni del Ricci; questi, anzi, il 17 agosto fu invitato a presentarsi al bey in via strettamente privata, come un ufficiale italiano in viaggio per proprio conto : niente della sua missione doveva trapelare. Negli ultimi documenti, alla data del 24 agosto, la storia si chiude : fu fermata una lettera diretta al Ricci con richiesta di informazioni, e all'ufficiale fu ordinato di rientrare a Torino con gli altri componenti della missione; cosa che fecero tutti il 30 agosto 1•

1 ARCHIVIO DELL'UFFICIO STORICO DELLO STATO MAGGIORE ESERCITO [d'ora in poi AUSSME],

reg.

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8, raccoglitore 6, b. 1 .


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Nicola Della Volpe - Fernando Frattofiffo

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dello SME

Proposta di occupazione dell'isola di Gerbi (Djerba) Il console. generale d'Italia a Tunisi, Luigi Penna, il 1 5 gennaio 1 867 suggenva al ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta di occupare l'isola di Gerbi. Dava notizie nella corrispondenza delle scarse forze a presidio dell'isola, delle attività che si svolgevano e valutava che 1 .500 uomini con tre «legni» di 2° ordine sarebbero stati sufficienti a garantire il successo dell'operazione. Tale operazione non fu più eseguita, né v'è traccia nella documen­ tazione dei motivi che indussero a tralasciare il progettoz.

Ettore Bertolè Viale, un parere sull'acquisto di una località da utilizzare come colonia penale, sull'esempio già messo in atto da altri Stati. Furono avanzate proposte per lo Sciotel, poi decadute, e per Anne­ sley Bay, che era un possesso degli inglesi, disposti però a cederlo per la somma di L. 1 .250.000. Menabrea stabilì che, con la massima discrezione, l'incarico delle trattative doveva essere affidato al magg. Bacon, per le esperienze e per le amicizie maturate fra i britannici durante la spedizione in Etiopia. Il 28 maggio Bertolè Viale informava il collega degli esteri che Bacon era stato autorizzato a recarsi a Bombay, ma che poteva essere sostituito dal cap. Osio nella missione, perché aveva uguali precedenti ed esperienze. Non vi è traccia, nel carteggio dell'archivio, delle cause che porta­ rono all'improvviso alla chiusura delle trattative4•

1 867.

1 867-1 868.

Spedizione inglese in Abissinia Al se?u�to di tale spedizione, secondo una consuetudine in voga tra .1 maggwn Stati nell'Ottocento, furono inviati come osservatori il magg. Ludolfo Francesco Bacon ed il cap. Egidio Osio. Entrambi tennero una �t�a corrispondenza con il Ministero della guerra. - mteressante del carteggio riguarda le enormi difficoltà La parte pm ambientali e logistiche, che il corpo di spedizione inglese incontrò pe; guadagnare l'altopiano etiopico. D� qu �sti i�segnamenti non fu purtroppo fatto tesoro, tanto che in s�gm�� :1 o �tmammo, al contrario degli inglesi che avevano ben capito l 'm�.t1hta d1 tenere zone così impervie, in tentativi di penetrazione nell mterno, senza neanche un'adeguata preparazione. Al termin� della �ssione, il magg. Bacon chiese di recarsi a Bombay. In .tale o�c�s1�ne, gli fu chiesto di raccogliere notizie sull'organizzazione de1 co!J?l . md1ani e sui particolari compiti da essi disimpegnati. Quesltl davvero previdenti, nell'eventualità di un nostro futuro impiego di truppe indigene3. 1 868.

Proposte di acquisto di territori Il 25 maggio 1 868 il presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli esteri, Luigi Federico Menabrea, chiese al ministro d�lla guerra, 2 3

AUSSME, reg. G 13, raccoglitore 1 1, b. 8. Ibid., raccoglitore 12, b. 13.

1 868.

1 1 87

Richiesta ad addetti militari di carte dell'Africa

Le richieste da parte del Ministero della guerra e del Corpo di stato maggiore di carte topografiche agli addetti militari all'estero erano una consuetudine abbastanza diffusa nell'Ottocento. Esse ve­ nivano avanzate per studiare il terreno di probabili conflitti o quan­ do si ipotizzava l'impiego di corpi di spedizione. Per quanto ci riguarda più da vicino, annotiamo che il 30 novembre il gen. Giu­ seppe Govone, comandante del Corpo di stato maggiore, chiese al magg. Riceski, addetto militare a Parigi, una carta del Libano pub­ blicata dal deposito della guerra francese e tutte le carte reperibili a Parigi - citiamo - « sugli stati o possedimenti che si trovano lungo la costa africana ed as1at1ca del Mediterraneo». È evidente l'interesse di riconoscere il terreno per l'eventuale preparazione di operazioni militari. Nel giro di un mese, Riceski inviò a Firenze tutte le carte che riuscì a recuperare nella capitale francese5• 4 5

Ibid., raccoglitore III. AUSSME, reg. G 24, raccoglitore 1 6.


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1 869.

Nicola Della Volpe - Fernando Fratto/il/o

Missione

in

Polinesia

Gli interessi espansionistici si spostarono man mano fino ai contirÌenti più lontani. Il sig. Emilio Cerruti, nel 1 869, stipulò una convenziohe segreta con il governo in vista di un suo viaggio in Polinesia. Gli fu affidato il compito di ricercare un'isola per l'impianto di una colonia italiana. Fu designato anche un ufficiale del genio che lo doveva affiancare nell'incarico, il cap. Giuseppe Di Lenna. Disguidi apparenti tra i Di­ casteri della guerra, degli esteri e della marina mandarono a monte l'impresa: le armi e le munizioni (1 0 fucili e 2.000 cartucce) promesse al Cerruti non gli furono più date 6• 1 875.

Missione in Marocco del cap. Giulio Di Boccard

Il cap. Giulio Di Boccard, il 6 marzo, si imbarcò sul piroscafo «Doria» per una missione in Marocco. Scopo della missione era quello di «assumere informazioni e raccogliere dati riflettenti la geografia, la struttura topografica, la statistica e la situazione politica e militare», come annotò egli stesso nel rapporto. Tutti elementi utili per preparare un piano di invasione. Dopo un'attesa di 48 giorni - il sultano, cui doveva pre­ sentarsi, era impegnato a ricevere un'analoga missione inglese - compì escursioni nell'Angera (Aniera), all'isola di Pereghil (Perejil), a capo Spartel (Sbartel) e un viaggio a Fez, ave eseguì anche la prima fotografia panoramica della città (finora inedita e sconosciuta) 7• 1 876.

Mire espansionistiche nei Balcani

Con il passare degli anni, in uno spazio di tempo comunque ristret­ to, le mire espansionistiche italiane furono rivolte anche ai Balcani. Ne è dimostrazione lo studio che Osio e il comandante di Marina Aminjon prepararono in relazione all'eventualità di operazioni militari in Albania, contro l'Epiro8• 6

AUSSME, reg. G 34, raccoglitore 14.

7 Ibid., raccoglitore 52, b. 3.

8 Ibid., raccoglitore 4, b. 7.

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei doctJmenti dello SME

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Seguirono tutta una serie di relazioni e studi, compilati da ufficiali e da addetti militari italiani residenti in tali nazioni 9• Primi anni Ottanta. Studi, memone, missioni politiche I documenti relativi all'espansionismo e al colonialismo italiano di questi anni denotano una marcata e vivace politica in tal senso, a giro d'orizzonte. Li annotiamo soltanto, lasciando ancora agli specialisti il compito eventuale di sviscerare a fondo ogni singolo argomento : - dal 1 879 al 1 885 furono raccolti una serie di dati relativi alla situazione politica e militare della Romania che fanno prevedere ipotesi di interventi 10; - a partire dal 1 880 il ten. Ettore Vespignani, il cap. Francesco Roberti, il ten. Carlo Borsarelli di Rifreddo ripresero alla mano e riu­ nirono in studi moltissime relazioni di viaggi fatti in Africa da esplo­ ratori, da civili, da militari, pubblicate e non. Particolarmente interes­ santi sono gli studi raccolti dal Vespignani e relativi a itinerari seguiti dai capitani di Stato maggiore Ferret e Galimier in Abissinia nei lontani 1 840-1 841-1 842 11 ; - nel 1 882 il cap. Camillo Crema fu inviato in missione, ancora in Marocco, e riportò indietro un diario ricco di informazioni, descri­ zioni e disegni. Sulla base delle annotazioni fatte a caldo, preparò una relazione sulla situazione politico-militare del paese 12; - nei primi mesi del 1 884 fu approntata una relazione sulla situazione politico-militare del Sudan, in coincidenza con gli eventi che accadevano in quel paese 1 3 ; 9 Ibid. , racçoglitore 28, b. 1 e raccoglitore 40 b. 3 ; vedi anche di viaggio nei Balcani, Roma, SME - Ufficio Storico, 1978. 1 0 AUSSME, G 33, raccoglitore 86, b. 9. 11 Ibid., raccoglitore 68, b. 1 . 1 2 Ibid. , raccoglitore 52, b. 4. 1 3 Ibid. , raccoglitore 51, b. 4.

A . BrAGINI,

Note e relazioni


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Nicola Della Volpe

-

- ancora nel 1 884, il cap. Alfonso Carini compilò dei ·cenni monografici su Salonicco; i documenti contengono ipotesi sulle possi. · bilità di sbarco e di operazioni militari 14. Di questo periodo, comunque, il progetto più interessante è quello compilato nel 1 884 per uno sbarco a Tripoli e per l'occupazione della Tripolitania. Sconosciuti sono, infatti, i preparativi minuti fatti per inviare un corpo di spedizione a tale fine. Ritroviamo, ancora una volta, estensore del progetto il Ricci, diventato nel fra�tempo generale e comandante in zo del Corpo di stato maggiore. Egh presentò due relazioni, entrambe su richiesta del ministro della guerra, la prima nel luglio e la seconda nel dicembre (anche se una lettera del gen. Enrico Cosenz, capo di Stato maggiore dell'Esercito, datata 27 giugno 1 884, e diretta al Ministero della guerra, relativa a osservazioni su specchi di formazione di un corpo di spedizione a Tripoli, fanno pensare all'esistenza di progetti precedenti). Nella premessa del primo progetto, il Ricci evidenziò, come già aveva fatto in altre occasioni, l'ineluttabilità dello scontro con «l'elemento arabo». Divise, infatti, il progetto in tre fasi : quella di preparazione della spedizione, quella dello sbarco e la terza dedicata alla lotta contro la guerriglia. Pur non avendo piena coscienza del concetto di controguerriglia, il Ricci suggeriva alcuni provvedimenti in linea con dottrine sviluppatesi successivamente: occorreva preventivare un addestramento delle truppe per la particolare forma di lotta che la guerriglia avrebbe richiesto ed organizzare un oculato servizio di informazione affidato a elementi mauri e berberi, più idonei a passare inosservati nell'interno del terri­ tori�, destinato, secondo il Ricci, a diventare base di preparazione e d1 partenza degli attacchi rivoluzionari. Per quanto riguarda le altre fasi del progetto, rilevanti sono le seguenti annotazioni : - il contingente avrebbe dovuto avere una forza di 1 5-16 mila uomini. Sarebbe stato opportuno, però, tener presente che, in relazione 14

Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei doc11menti dello SME

Fernando Fratto/il/o

AUSSME, reg. L 8, raccoglitore 6, b. 1 1 .

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alle esigenze verificatesi al momento dello sbarco, la forza avrebbe dovuto essere considerevolmente accresciuta; - la scelta del punto o dei punti di sbarco avrebbe condizionato fortemente l'organizzazione e il trasporto del contingente, oltre il tipo di manovra da effettuare a sbarco avvenuto ; - a occupazione avvenuta, bisognava evitare di inimicarsi l'ele­ mento mauro e berbero - dato per scontato che turchi e arabi avreb­ bero fatto resistenza - cercando di inserirli nella nuova amministrazione del paese; - occorreva successivamente occupare e fortificare le linee di penetrazione nel Fezzan e solo le maggiori oasi di questa regione, inadatta per clima ad una occupazione diffusa e permanente; - era necessaria unità di comando e di direttive tra i tre Ministeri interessati, guerra, marina ed esteri, e occorreva predisporre tutti 1 preparativi di comune accordo e nei minimi particolari 1 5• La seconda relazione del Ricci, quella del dicembre, alle considera­ zioni di carattere generale, più o meno identiche alle precedenti, aggiungeva un programma dettagliato della suddivisione dei compiti e delle operazioni militari da condurre a partire dal primo giorno dello sbarco (il giorno X) fino alla completa occupazione. La relazione chiudeva con un elenco della suddivisione dei prepara­ tivi che dovevano essere curati dal Ministero della guerra e della marina, e con la nota spesa; i fondi, cioè, prontamente disponibili al momento dell'esigenza e quantificati in 4 milioni, che il Dicastero della guerra avrebbe dovuto accantonare per le spese urgenti prima che fosse intervenuto «un voto parlamentare di approvazione dei crediti maggiori richiesti» 1 6 •

Nel leggere la relazione, si ha l'impressione di vedere in anteprima, dal punto di vista operativo, che cosa succederà in Libia quasi tren­ t'anni dopo : blocco navale e dominio del tratto di mare interessato, bombardamento di Tripoli, sbarco della testa di ponte, arrivo del 15 16

Ibid., bb. 4, 5, 8 e 12. Ibid., bb. 13 e 1 8.


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Nicola Della Volpe - Fernando Fratto/ilio

corpo di spedizione, rivolta araba, consolidamento sulla fasda litorànea, penetrazione all'interno. La possibilità di un intervento in Libia fu una preoccupazione costànte delle autorità militari. Negli anni successivi, dopo il Ricci, altri ufficiali continuarono a studiare e a produrre documenti sull'argomento. Il cap. Bonaventura Zanelli fu inviato a Tripoli in missione nel 1 885. Nello stesso anno il cap. Carini presentò un'altra relazione; contemporaneamente furono approntati gli specchi di mobilitazione di un corpo d'armata. Nel 1 891 fu studiato un altro corpo di spedizione con i relativi specchi di mobilitazione. Dal 1 884 al 1 898 Ernesto Labi, agente della Società di navigazione italiana in Tripoli, continuò ad inviare notizie al Corpo di stato maggiore, in vista dell'invio di un corpo di spedizione 17• A conclusione di queste sintetiche note, che fra l'altro sono solo la selezione di una parte dei documenti custoditi dall'archivio dell'Ufficio storico in materia di ricerca e di acquisizioni di possedimenti, protettorati e colonie, possiamo senza dubbio ancora una volta affermare che il giovane Stato italiano, desideroso di diventare una grande potenza europea, cercò continuamente non solo di farsi spazio attraverso compli­ cati giochi di alleanze politiche, ma, alla pari degli altri Stati e secondo una prassi al tempo consolidata, tentò anche costantemente di affermare la sua presenza e di imporre la sua supremazia su territori considerati «vergini» e alla mercè di chiunque fosse in grado di prenderli e possederli. Tali avvenimenti non devono però essere interpretati con metri di giudizio scorretti e parziali, né tanto meno strumentali. Lo storico sa bene che ogni evento può essere correttamente inter­ pretato solo se vagliato e analizzato alla luce dei valori (o pseu­ do-valori) validi per le epoche storiche cui sono riferiti. Nell'Ottocento non scandalizzava nessuno l'idea che popoli «civili» imponessero la loro autorità su territori e popolazioni «barbare», con la politica o, molto più spesso, con le armi. Il concetto di autodeter­ minazione dei popoli era ancora da venire e il termine «libertà» era teorizzato e inteso solo dagli Stati che avevano alle loro spalle secoli di «storia» e di «civiltà». 17

Ibid.,

reg.

L 8,

raccoglitore

6,

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11

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14;

raccoglitore

11,

bb.

1, 1 0 , 1 1 .

MARIO GAZZINI I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro

La storia dei prigionieri italiani in Africa, quella storia che comincia durante la prima guerra itala-etiopica, con la cattura di 1 . 500 soldati 1 operata dalle truppe di Menelik il 1 o marzo 1 896, durante la battaglia di Adua, e che si conclude nel 1 947 col rimpatrio degli ultimi italiani fatti prigionieri nel corso della seconda guerra mondiale, è anche uno dei capitoli più particolari, forse più rimossi, certamente meno studiati, della storia del lavoro italiano nel mondo. Nella presente comunicazione si intende accennare proprio al con­ tributo di lavoro dato dai prigionieri di guerra italiani ai paesi africani detentori, in particolare al Sud Africa. Tale scelta non deve apparire arbitraria, poiché fu proprio il lavoro, espresso spesso in condizioni al limite delle possibilità umane, il fattore che più di altri ha caratterizzato l'esperienza del prigioniero italiano, ma soprattutto il mezzo che ha consentito a centinaia di migliaia di soldati di riscattare il proprio destino e salvaguardare, anche nei confronti della comunità internaIl numero esatto dei soldati italiani fatti prigionieri nella battaglia di Adua è molto controverso. Secondo la relazione Nerazzini (Roma, 14 marzo 1 897) si trattava di 1 . 500 soldati, tra cui una cinquantina di ufficiali, con il gen. Albertone. Nel volume di M_· A. Istituto VITALE nella collana L'Italia in Africa, serie storico-111ilitare, I, tomo II, Roma, volume il fonte, un'altra Secondo i. Poligr:fico dello Stato, 1 962, si parla di 1 .600 prigionier 1

e doctlCo111itato di soccorso delle donne italiane per i prigionieri in Africa. Diario della missiom abba­ trattati 2.864, fossero prigioneri i che dice si 897, 1 Senato, del Tip. 111enti, Roma,

stanza bene, pressappoco come soldati etiopici. Secondo ras Makonnen er�n.o c�s� �uddivisi: m Adua, 2.040 in Addis Abeba e 824 presso i vari ras dello Scioa. 406 ascan, pngwmen punizione quale piede, un di e mano una di taglio furono sottoposti al supplizio del riservata ai traditori secondo la legge etiopica. Inoltre, 30 soldati italiani e 6 ascari furono barbaramente evirati.


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Mario Cazzini

I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro

zionale, la propria dignità di uomini. Ed è forse soltanto al lavoro, ai risultati ancora tangibili di quel sacrificio, se a distanza di anni e a guerra ormai lontana, è possibile, per l'Italia e gli italiani, costruire e rafforzare rapporti e legami di assoluta solidarietà con paesi e comu­ nità che, per un tratto di storia, il destino ha voluto avversari. In tale contesto, il campo sudafricano di Zonderwater, vera e propria «città del prigioniero», rappresenta una delle pagine più significative dell'e­ sperienza dei soldati italiani catturati nel continente africano durante la seconda guerra mondiale. Ma la capacità di lavoro e l'atteggiamento positivo che gli italiani hanno saputo dimostrare in Africa, anche nei difficili momenti della prigionia, si sono manifestati molto prima, fin dai tempi della sconfitta di Adua. .

Addis Abeba, citta europea « ... I prigionieri italiani si lamentano del cattivo trattamento; feci fare rimostranze. Parlasi che Menelik voglia obbligare gl'italiani di costruirgli una città europea ... ». Così scrive il gen. Antonio Baldissera, governatore della colonia Eritrea, nel telegramma che invia il 1 8 aprile 1896 da Asmara al ministro della guerra, C. Ricotti2 • Una premessa che non lasciava presagire nulla di buono. Anche perché a quel tempo, in Etiopia, i prigionieri di guerra, concentrati nella capitale o custoditi da singoli capi in lontane province, erano proprietà legittima di chi li possedeva. Un'altra testimonianza è quella del magg. Cesare Nerazzini3. Recatosi in Etiopia per stipulare il trattato di pace (26 ottobre 1 896), e la convenzione addizionale per la liberazione dei prigionieri, che prevedeva il rimborso da parte del governo italiano al governo etiopico 2 Atti parlamentari,

Ca�nera dei deputati, legislatura XIX, I sessione (1895-1896), n. XXIII ter, Documenti. DocU111enti diplomatici presmtati al Parlamento italiano dal presidente del Consiglio (Rudinì), A vvenimenti d'Africa (tnarzo-aprile 1896). Telegramma 109, p. 52. 3 ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, (d'ora in poi ASDMAE], Ministero dell'Africa italiana, Africa V, Etiopia 1896-1897, pacco 16, fase. Roma, 14.3.1 897.

Missione in Etiopia per la liberazione dei prigionieri italiani e per la stipulazione della pace (giugno-dicembre 1 896) di Cesare Nerazzini. (L'originale della relazione sulla missione Neraz­ zini, posiz. 3/14-108, 1896, è segnalata in Afi-ica I, questioni politico-militari, p. 17).

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di una somma per le spese sostenute per il mantenimento e le cure prestate ai prigionieri (fu, in seguito, versata una somma di circa dieci milioni di lire), Nerazzini scrive che già prima dell'arrivo del denaro dal governo italiano, il «barbaro» negus aveva provvedut_o a fa_r confezionare trecento e più vestiti e scarpe, anche se molto rudimentali, e inoltre aveva pagato, senza risparmio di talleri, tutti i prigionieri italiani adibiti al lavoro per suo ordine. Menelik voleva la sua città europea e il lavoro dei prigionieri italiani era l'elemento indispensabile all'attuazione del progetto. Non solo il lavoro, ma anche il temperamento, il carattere· degli italiani contribuirono a trasformare per qualche mese Addis Abeba in una città diversa. Una città europea: come desiderava Menelik e come confermavano i testimoni. La testimonianza, questa volta, ci viene da Costantinopoli, in data 26 agosto 1 897. Quel giorno, il ten. col. V. Trombi, addetto militare presso la locale ambasciata italiana, scrive una relazione al coman�ante _ _ in 2a dello Stato maggiore in Roma. Oggetto: una missione scwana presso il sultano e lo czar, guidata dal «famigerato Atos Joseph»4• L'informazione riservata è raccolta da un agente «messo alle costole di Atos» da Trombi, e ha per sfondo i saloni del 'Pera Palace', il primo albergo di Costantinopoli. L'agente di Tro �bi, eh� occupava una stanza vicina a quella di Atos, riesce a entrare m confidenza con il capo della missione abissina, così da raccogliere molte notizie interessanti. Dalla lettera di Trombi allo Stato maggiore di Roma: «Degli italiani [Atos] condanna la politica verso il suo paes�, ma si pr�fessa amico dei soldati ( ... ) dice poi, senza tuttavia mostrare di scandalizzarsi,. che 1 pn_ � gionieri si erano dati troppo al libertinaggio colle donne abissine, e che quasi_ ogru 4 Etiope, denominato Giuseppe di Let Marefià in documenti uffic�ali etiop�ci e italiani: _ a di L�t Marefia Interprete, custode e responsabile della stazione della Società geografica ltahan _ al viceconsole (1882-1884). Inviato con incarico privato per consegna � un� lett�ra � Menelik d'Italia in Aden e a Massaua, onde accertare i rapporti Itaha-Et!opla (1886). Traduttore del trattato di Uccialli (maggio 1 889). Membro della missione di ras Makonnen in Italia (lu­ glio-dicembre 1889). Capo della scorta che, insieme al russo Leontie�f, accom?agnò �allo _ m occas�one Scioa al mare i primi 50 prigionieri di Adua liberati dall'imperatore d Et10�1a, _ dell'incoronazione dello zar di Russia (agosto 1896). Plenipotenziario di Menelik nella m1ss10ne scioana a Costantinopoli e in Russia (1897).


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sera vi erano questioni per causa di donne. Io stesso, stando due giorru or sono, nel salone di lettura del 'Pera Palace', mentre l'Atos conversava ad alta voce colla mia persona di fiducia, ho udito dire da lui : ' Al tempo dei prigionieri italiani_ Addis Abeba era diventata una città europea. Di sera trovavate café-concerts, teatri e diverti­ menti di ogni specie. Date delle donne agli italiani ed essi diventano la gente più allegra del mondo. In sostanza essi stavano bene in Abissinia, tanto che alcuni rifiutavano di far ritorno al loro paese, ed il maggiore Nerazzini fu costretto a condurne via sei colla forza : di questi però due sono riusciti a fuggire ed ora si trovano ancora fra di noi'. Cinicamente poi aggiunse: fra dieci anni avremo delle belle giovinette in Abissinia, è una buona eredità che ci lasciano i soldati italiani. Sugli exploits degli italiani colle nostre donne, che in sostanza li vedevano di buon occhio, vi sarebbe da scrivere dei volumi»5.

I prigionieri di Adua rientrarono in Italia dal dicembre 1 896 al marzo 1897, ma la loro breve, e un po' romanzesca, storia presentava già alcuni elementi che caratterizzeranno le vicende di molti altri italiani che restarono prigionieri in Africa nel corso dei conflitti successivi: 6 non appena le condizioni di detenzione lo consentivano, gli italiani - esprimevano la loro capacità di lavoro, la loro creatività, il loro carattere estroverso. Un fenomeno che diventò rilevante soprattutto nel corso della seconda guerra mondiale, quando gli italiani, prigionieri e internati civili, in Africa diventarono una massa dolorosa di forse mezzo milione di relegati, suddivisi in 1 9 paesi: Algeria, Africa equatoriale francese, Camerun, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Libia, Madaga5

ASDMAE Ministero dell'Africa italiana, Africa V, Etiopia,

1896- 1897,

pacco 16, pag. 74.

6 Guerra anglo-boera (1899-1902): un numero esiguo di volontari combattenti in favore

delle repubbliche boere furono condotti prigionieri nell'isola di sant'Elena. Conflitto itala-turco (1911-1912) e operazioni militari successive per l'occupazione di Tripolitania e Cirenaica: numero di prigionieri sconosciuto. Prima guerra mondiale (1915-1918): riflessi in Libia, sgombero di numerosi presidi da parte italiana. In particolare, durante la rivolta del Fezzan, 1 .230 italiani furono catturati e 1 .960 risultarono dispersi. Le difficili trattative con i capi locali per la liberazione dei prigionieri, iniziate nel dicembre 1915, si conclusero col rientro dei prigionieri a Tripoli nel luglio 1916. Qualcuno ha ricordato questo periodo chiamandolo l'«Adua della Libia». Altri prigionieri nei cicli operativi del 1919 e seguenti. Seconda guerra itala -etiopica (1935-1936): rara e insignificante la cattura di prigionieri italiani. Nel corso di un fatto d'arme successivo, relativo all'occupazione della provincia del Goggiam, il ras della provincia fece prigioniero un ufficiale: quando le truppe alleate lo liberarono, passò a una nuova prigionia. Un'importante fonte sui prigionieri italiani di guerra in Africa è costituita dal volume di F. CoNTI, I prigionieri di guerra italiani 1940-45, Bologna, Il Mulino, 1986.

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scar, Marocco, Mozambico, Nyassaland, Rhodesia del Sud, Somalia britaO:nica, Sudan, Tanganica, Tunisia, Uganda, Unione del Sud Africa e altri territori. Centinaia di migliaia di lavoratori potenziali, molto spesso specializzati e di grande abilità, che avrebbero certa­ mente dato un po' di fiato alla difficile situazione economico-finan­ ziaria e produttiva dei paesi del continente africano. Ora, le conven­ zioni di Ginevra del 1 929 autorizzavano i paesi detentori all'impiego dei prigionieri in mansioni non direttamente attinenti la guerra, ma il lavoro coatto aveva dato luogo a negative ripercussioni morali e materiali in tutti i concentramenti. Per superare questo stato di cose, in Africa si fece qualcosa di concreto e furono prese precise iniziative anche prima della data critica dell'ottobre 1 943. In questo senso, un particolare rilievo assume l'accordo di Eldoret. L'accordo di Eldoret Nei giorni 23 e 24 giugno 1 942, nel campo prigionieri di guerra n. 356 di Eldoret, i rappresentanti dell'autorità militare del Kenya, i tenn. coll. dell'esercito inglese Alan W. Stitt ed E. S. Grogan, e gli ufficiali generali più elevati in grado tra quelli prigionieri di guerra dell'Esercito italiano, il gen. d'Armata Guglielmo Nasi e il gen. di Corpo d'armata Ettore Scala, si riunirono per determinare la natura dei lavori che, nello spirito della convenzione di Ginevra, potevano essere affidati ai militari di truppa italiani internati nei campi del Kenya (53.000; se ad essi si aggiungono gli evacuati civili, si arriva alla cifra di 80.000 internati). Il documento si articola in 1 0 punti (v. pp. 1203-1204). Il 16 giugno 1 943, il gen. di divisione Agostino Mattini, all'atto del rimpatrio, da Bari, traccia una sintesi e un commento dell'accordo di Eldoret nella relazione Il lavoro dei prigio­ nieri (v. pp. 1205-1206), indirizzata con lettera a Mussolini7, in cui valuta positivamente l'intesa anche perché, scrive in conclusione, « (. . . ) l'accordo di Eldoret avrà la sua influenza per conservare moralmente 7 ASDMAE Ministero dell'Africa italia11a, 1943), p. 90.

Gabi11etto, Africa V,

pacco 1 (fase. gen. Martini,


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I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro

e materialmente salda una massa imponente di 50.0oo· uomini per ogni evenienza pronti a servire la patria». L'occasione però non ci fu. Ci furono, invece, poco più di un mese dopo, le dimissioni di Mussolini, la nomina di Badoglio a capo_ 'de� governo e poi l'armistizio dell'8 settembre. Eventi eh� �ei campi �fncan: crearono un comprensibile disorientamento. L'armist1Z1o fra l'Italia e gh anglo-americani metteva fine, dopo le illusioni, anche alla guerra . .Era finita, proprio flnita. Ma si poteva di punto in bianco trasformars1 da nemici in amici? L'armistizio aveva creato ai prigionieri un nuovo problema. Un problema che si aggravò quando l'Italia dichiarò guerra alla Germania, diventando così paese cobelligerante. ·

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L'esempio di Zonderwater In quei difficili momenti, il maggior concentramento di prigionieri italiani in Africa si trovava a Zonderwater, nel Transvaal : 83.000 prigionieri abitavano contemporaneamente quella che era ormai di­ ventata una città a tutti gli effetti 8• Si può facilmente capire in quale delicata situazione vennero a tr?varsi _ non solo gli italiani, ma anche i sudafricani, che dovevano amm1n1strare e governare una città di quasi centomila persone, dilaniata da forti contrasti politici che vedeva delinearsi tre grandi gruppi, ognuno con un diverso atteggiamento verso gli eventi che erano maturati, ma anche verso la questione del lavoro. I «cooperatori» erano quelli che avevan_o accettato di lavorare con i sudafricani, scegliendo così anche la v1a d'uscita dal concentramento, i «politici», ovvero i fascisti dichiarati, gli «irriducibili», che flnirono relegati in campi speciali e i «non coopera­ tori», quelli che non si sentivano più fascisti, ma nemmeno se la sentivano di collaborare con il nemico del giorno prima. Ma la scelta o il rifiuto del lavoro volontario non erano sempre orientati da rigide motivazioni politiche. Scegliere il lavoro volontario 8

La storia del campo sudafricano è raccontata nel volume Zondenvater. I prigionieri in Sud di M. GAZZINI, Roma, Bonacci, 1987. In particolare, le questioni relative al lavoro dei prigionieri sono trattate nella parte I, pp. 42-57.

Africa (1941- 1947),

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voleva soprattutto dire uscire dal reticolato. In Sud Africa, i prigionieri italiani che approfittarono di questa opportunità furono circa ventimila, divisi in sedici campi esterni, centri base e di smistamento verso aziende agricole (che assorbirono il maggior numero di prigionieri) e imprese civili sudafricane. Con l'armistizio e la cobelligeranza, i su­ dafricani approfittarono volentieri della possibilità di utilizzare i pri­ gionieri italiani in un momento in cui le forze del paese erano impe­ gnate nello · sforzo bellico. Mano d'opera a buon mercato, quella italiana, e spesso specializzata. Occasioni eccezionali di lavoro che risolvevano problemi ai sudafricani, ma anche agli italiani: quando i campi esterni cessarono progressivamente di funzionare (fme 1945-pri­ mo semestre 1946) oltre duemila prigionieri rimasero presso fattorie sudafricane alle dipendenze di 756 datori di lavoro. 830 di questi sono poi rimasti a vivere e lavorare in Sud Africa, oppure vi sono tornati dopo un deludente ritorno in patria. Nel triennio 1943-46 i prigionieri di guerra italiani svolsero in Sud Africa tre milioni di giornate lavorative. Tantissime, ma comunque inferiori alle richieste dei farmers, che andavano oltre l'oggettiva di­ sponibilità di mano d'opera italiana: il lavoro dei nostri connazionali era di una qualità tale da soddisfare anche i datori di lavoro più esigenti. Secondo alcuni dati, i farmers che poterono apprezzare il lavoro italiano furono, nel solo Transvaal, 4.000. Da questi pochi cenni si può intuire come la storia dei prigionieri italiani in Africa, il cui capitolo più significativo è stato scritto dai centomila 9 del campo di Zonderwater, rappresenti davvero uno dei momenti più singolari della nobile storia del lavoro italiano nel mondo. D'altra parte, cercare di rintracciare i momenti in cui i pri­ gionieri hanno potuto dimenticare il loro dramma personale recupe­ rando la parte attiva della loro personalità, è anche un modo per guardare al prigioniero non più come a un vinto, ma come a un individuo che, malgrado i vincoli e le limitazioni della condizione di prigioniero di guerra, a questa condizione ha saputo reagire, 9 Se la massima forza raggiunta dal campo di Zonderwater è stata nel 1 943 di 83.000 uomini, il numero complessivo dei prigionieri italiani passati dal concentramento sudafricano sfiora le centomila unità.


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opponendo l'attività, magari anche rabbiosa, alle umilianti depres­ sioni dell'ozio. Questa comunicazione sarebbe comunque gravemente inco�pl.eta se trascurasse di citare l'uomo che ha consentito a decine di migliaia di italiani, prigionieri in Africa, di vivere con dignità uno dei mo­ menti più drammatici della vita di un individuo: la reclusione. Que­ st'uomo è il col. Hendrik Frederik Prinsloo, che fu nominato co­ mandante di Zonderwater proprio nel fatidico 1 943. Considerati finalmente come soldati che avevano compiuto il loro dovere verso la patria, per cui dovevano essere onorati e custoditi con giustizia, i prigionieri italiani trovarono in Prinsloo un interlocutore partico­ larmente sensibile ai loro problemi umani. Il colonnello stimolò il lavoro dentro e fuori il reticolato, convinto che quello fosse l'unico rimedio veramente efficace contro i danni della prigionia, e lo fece con iniziative che andarono spesso oltre gli stessi dettati delle con­ venzioni di Ginevra 10• Ma mentre pensava ai prigionieri, Prinsloo pensava anche al Sud Africa. « <n verità, mio marito li considerava come una miniera d'oro per la nostra industria», ha dichiarato la vedova del col. Prinsloo nell'intervista rilasciata a Stefano J. Moni

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nel corso del documentario Captivi italici in Sud Africa (194 1- 1947) 11 «( ... ) perché (.. ) non aveva mai incontrato in tutta la sua vita gente che fosse così piena di buona volontà di lavorare». E i prigionieri trovarono nel comandante del campo una persona che favorì in ogni modo lo sviluppo dei loro talenti. Non c'è da stupirsi se - come racconta sempre Grace Prinsloo .

«( .. ) dopo che mio marito ebbe fatto la sua relazione ed ebbe parlato davanti ai plenipotenziari di varie nazioni, riuniti per discutere l'applicazione dei regola­ menti della convenzione di Ginevra 1 2, questi rimasero meravigliati di quanto eravamo riusciti a fare per gli italiani. Ricordo che mi raccontava che il presidente si alzò e disse: ' Signori, abbiamo sentito molte relazioni, ma credo che il Sud Africa le superi tutte'. Si alzarono tutti in piedi e lo applaudirono a lungo. Fu molto commosso per il calore, la gratitudine e l'ammirazione che il Sud Africa in conclusione ricevette in campo internazionale».

«A Zonderwater sono state concesse tante piccole cose non con­ template nelle convenzioni di Ginevra» dichiarò, tra l'altro, lo stesso col. Prinsloo nell'intervista raccolta da chi scrive il 1 9 novembre 1 946 nel campo di Zonderwater. « Quando giunse il contributo della S. Sede venne deciso l'acquisto della fattoria di Carolina, da trasformare in convalescenzario (. . ) . Quando non era ancora sorta la distinzione in «cooperatori» e «non cooperatori» ( ... ) mi resi conto dei benefici .

L'articolo 43 della convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 prescriveva: «In ogni località dove si troveranno prigionieri di guerra, essi saranno autorizzati a designare fiduciari incaricati di rappresentarli presso le autorità militari e le potenze protettrici». Un dettato non sempre rispettato . Tn Kenya, per esempio, mediante l'accordo di Eldoret (v. all . 1), la prescritta designazione del fiduciario scomparve e venne sostituita con la nomina dei cosiddetti «ufficiali di collegamento» nei vari campi, in adesione alla gerarchica richiesta militare italiana (1942). Diversa l'interpretazione dello spirito dell'art. 43 data a Zonderwater, in Sud Africa, dove poté entrare nei concentramenti la democrazia: venne stabilito che la designazione del fiduciario avvenisse mediante votazione ad elezione semestrale di cinque prigionieri di guerra per ogni blocco e di tre per i campi separati. I gruppi così nominati designavano a loro volta un proprio presidente. Ad essi, distinti con la denominazione di «comitati welfare», le autorità detentrici riconoscevano la funzione di fiduciario (1943). I riflessi internazionali ottenuti in proposito a Zonderwater sono oggi nella III convenzione, adottata a Ginevra il 12 agosto 1949, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, ove nel cap. II Rappresentanti dei prigionieri di guerra l'art. 79 prescrive: «<n ogni località dove siano prigionieri di guerra, eccettuate quelle dove si trovano gli ufficiali, i prigionieri nomineranno liberamente e a scrutinio segreto, ogni sei mesi, come pure in caso di vacanza, delle persone di fiducia incaricate di rappresentarli presso le autorità militari, le potenze protettrici, il comitato internazionale della Croce Rossa e ogni altro ente che li soccorresse. Queste persone di fiducia saranno rieleggibili ( ...)». 10

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Sempre a Zonderwater fu concesso ai prigionieri di guerra di godere di JVeek-end per giorni di riposo e svago. Entusiastica l'adesione delle famiglie italiane residenti a Johanne­ sburg, Pretoria e altrove, che ospitavano i prigionieri. Nell'arco di un mese le uscite dal concentramento interessavano a turno circa 150 unità. Complessivamente furono autorizzati ad uscire da Zonderwater per il JJJeek-end da 13 a 20 mila prigionieri, designati di volta in volta dai capi campo e, successivamente, dai «comitati welfare». A Zonderwater è stato superato anche l'art. 34 d�lla convenzione di Ginevra del 1929 («l prigionieri di guerra non percepiranno salari per i lavori concernenti l'Amministrazione, il governo e la manutenzione dei campi») mediante la concessione della cosiddetta «paga staff», remunerazione facente capo a uno speciale «fondo prigionieri di guerra», per cui tutti i lavoratori impegnati, e non solo alcune prescritte categorie, poterono usufruire di un salario. 1 1 Il documentario Captivi italici in Sud Africa (1941- 1947) di STEPANO J. MoNI, Roma 1989, ha due edizioni: una italiana in quattro puntate e una inglese, in tre puntate. 1 2 Conferenza diplomatica, Ginevra, 21 aprile-12 agosto 1949, per la revisione della convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra del 27 luglio 1929.


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straordinari da concedere ai prtgwruen di guerra. Talvolta, mettendomi contro le stesse convenzioni internazionali, mi sono assunto la completa responsabilità perso­ nale di far uscire i prigionieri fuori dai reticolati, basandomi esclusivamente · sulla loro parola d'onore. Col tempo i fatti mi hanno dato ragione. Uomini adibiti !J.lle più disparate mansioni si sono comportati molto bene» 13.

APPENDICE

Le crudeltà di cui i prigioneri italiani sono stati oggetto nella seconda guerra mondiale in tanti campi dell'Africa settentrionale ed orientale, rientrano nella triste casistica delle cose della guerra. A Zon­ derwater, invece, si è sviluppato un esperimento, malgrado tutto, positivo. Non si tratta di dimenticare le umiliazioni vissute dagli italiani nei campi francesi dell'Algeria, in Marocco o in quelli inglesi del Kenya 14, anche perché dimenticare non si può e non si deve. Si tratta piuttosto di cercare di ricordare quello che val la pena di essere ricordato. I rari esempi in cui alcuni uomini hanno saputo riscattare il ruolo di carcerieri che la storia aveva loro assegnato. I momenti in cui molti uomini, con fatica e tenacia, hanno saputo trasformare il mondo definito dal reticolato che gli stava intorno, uscendo dallo stretto abito del prigioniero. Una liberazione molto soggettiva, ma fondamentale, che ha avuto un alleato insostituibile: il lavoro.

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L'ACCORDO DI ELDORET lS

Nei giorni 23 e 24 giugno 1942, nei locali del Campo prigionieri di guerra n. 356 (Eldoret) si sono riuniti: In rappresentanza dell'autorità militare del Kenya - li ten. col. A. Stitt; Il ten. col. S. Grogan. Gli ufficiali generali più elevati in grado tra quelli attualmente prigionieri di guerra nel Kenya - L'ecc. il gen. d'A. Guglielmo Nasi; L'ecc. il gen. di C. d'A. Ettore Scala. Allo scopo di determinare la natura dei lavori che, nello spirito della Convenzione di Gine­ vra, possono essere affidati ai prigionieri di guerra italiani internati nei campi del Kenya. Considerato: a) che la convenzione di Ginevra dà facoltà ai belligeranti di impiegare come lavoratori i prigionieri di guerra; b) che l'internamento in Kenya di circa 80.000 italiani - tra prigionieri di guerra ed evacuati - ha sensibilmente aggravato il problema degli approvvigionamenti di tale territorio nel quale vivevano normalmente soltanto circa 20.000 europei ; c) che anche sotto il punto di vista sociale è opportuno togliere i prigionieri dall'ozio e dalle sue tristi conseguenze. Riconosciuto che, dato il carattere totalitario assunto dalle guerre moderne, non è facile fare una elencazione completa dei lavori non aventi alcun rapporto diretto con le operazioni di guerra. È

stato convenuto quanto segue:

1 -

1 3 Zondenvater ... cit., Intervista a Prinsloo, pp. 1 35-153. 1 4 Un paragone diretto tra il trattamento ottenuto dai prigionieri italiani in Kenya e in

Sud Africa viene fatto dal gen. di div. Agostino Martini nella relazione Vita ed organizzazione (da ASDMAE, Ministero dell'Africa italiana, XIII, 1943): « (. . .) Nel complesso gli ufficiali, i soldati ed i civili dei campi prigionieri di guerra del Kenya sono trattati poco umanamente. Essi subiscono una menomazione di forza dovuta alla scarsa consistenza del vitto ed alla completa mancanza di qualsiasi conforto agli alloggiamenti. Questo trattamento risalta mag­ giormente quando lo si confronti con quello molto più adatto ed umano fatto ai nostri camerati prigionieri nei campi del Sud Africa (. . .). I comandi inglesi applicano a modo loro la convenzione di Ginevra e chi ne soffre è il prigioniero di guerra».

dei can1pi prigionieri di gt�erra IIC/ Kei!Ja (n. 2) A rchivio segreto, fase. gen. Agostino Martini, cl.

I prigionieri di guerra italiani possono essere adibiti ai seguenti lavori: a) qualsiasi lavoro stradale nel territorio del Kenya, compresa la costruzione di opere d'arte (ponti, tombini, viadotti, ecc.); b) qualsiasi lavoro di carattere agricolo (bonifiche e culture), compresi la riparazione, la manutenzione e l'uso di carri, trattori e qualsiasi macchina necessaria per le culture e per la lavorazione dei prodotti agricoli; c) qualsiasi lavoro inerente al taglio del legname e alla sua utilizzazione; d) qualsiasi lavoro inerente alla fabbricazione dei laterizi ed alla produzione di altri materiali da costruzione; e) qualsiasi lavoro edile, eccettuati quelli relativi alla costruzione di fortificazioni e di edifici destinati ad uso militare; 1 5 ASDMAE,

Ministero dell'Africa italiana, Gabinetto, Africa V, Docti!IICtltazione,

fase. personale gen. Martini Agostino,

1943,

classe XIII.

pacco

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f) produzione e lavorazione del cuoio per calzature, di stoffe per vestiti, di telérie per biancheria o di coperte, purché tali articoli siano destinati ad uso interno e, nella niisura del 50% , siano messi a disposizione dei prigionieri di guerra o degli evacuati italiani; g) industrie chimiche destinate alla produzione dei fertilizzanti o di sostanze antiparassitarie; h) altri lavori ed attività varie purché non abbiano alcun rapporto diretto con le operazioni di guerra. 2

- Data l'attuale situazione un numero massimo di 500 prigionieri di guerra italiani potrà

altresì essere impiegato presso le officine di Nairobi per l'esecuzione di riparazioni pesanti ad automezzi adibiti esclusivamente a trasporto non di carattere bellico. Detto numero di prigionieri, con il cambiare della situazione, potrà essere soggetto a revisione. 3 - In ciascun laboratorio od officina i prigionieri di guerra italiani lavoreranno separati dal personale asiatico ed africano, a meno che questi non siano impiegati in sottordine ai lavoratori italiani. Questa separazione dovrà essere attuata al più presto possibile. 4 - I prigionieri di guerra italiani impiegati nei lavori avranno diritto al salario stabilito dagli accordi stipulati fra i governi interessati ed un supplemento razione viveri. 5 - Il regime dei distaccamenti o cantieri di lavoro sarà simile a quello dei campi prigionieri di guerra, specialmente per ciò che concerne le condizioni igieniche, il vitto, l'alloggia­ mento, l'assistenza sanitaria, la corrispondenza, la consegna dei pacchi, ecc. 6 - I prigionieri di guerra vittime di infortuni sul lavoro avranno diritto ai benefici assicurativi previsti dall'art. 27 della Convenzione di Ginevra. 7 - Dovranno essere prese in considerazione tutte le opportunità di adoperare i prigionieri di guerra italiani per sviluppare lavori agricoli e culture atte a migliorare le condizioni annonarie del Kenya. L'ecc. generale Nasi si impegna di far selezionare espressamente ed in modo che non possano dar luogo ad incidenti, i componenti dei piccoli distaccamenti di prigionieri di guerra impiegati in lavori agricoli, la sorveglianza dei quali rappresenti, per le autorità britanniche, un onere non proporzionato ai risultati che si possono ottenere. 8 - Qualsiasi prigioniero di guerra italiano che, in coscienza, ritenga che il lavoro assegnatogli sia contrario agli interessi delle Forze armate italiane, è autorizzato dallo stesso Comando britannico ad appellarsi per iscritto all'ecc. il gen. Nasi. Il Comando britannico accetterà le decisioni che riterrà prendere la prefata Eccellenza. 9 - L'Ufficiale superiore italiano di collegamento di ciascun campo ha facoltà di visitare le officine e cantieri di lavoro per rendersi conto della natura dei lavori in corso. Qualora il predetto ufficiale superiore rilevi che presso un'officina si stanno eseguendo lavori di carattere bellico, è autorizzato a riferirne per iscritto all'Ecc. Nasi e a chiedere contempo­ raneamente al Comando Britannico la sospensione del lavoro in questione fino a quando l'ecc. Nasi non avrà deciso in merito. 10 - Subordinato a questa protezione è dovere di ogni soldato italiano di mantenere il prestigio dell'Esercito Italiano eseguendo con coscienza quei lavori che gli saranno affidati. Il suo interesse personale è pure curato col lavoro costante che gli può procurare l'accantonamento di risparmi per il futuro. Gen. G. Nasi Gen. Ettore Scala Alan W. Stitt Lt. Col. E. S. Grogan Lt. Col.

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IL LAVORO DEI PRIGIONIERI lG

Sulla fine di maggio 1 942 la situazione morale e materiale dei prigionieri del Kenya era , , quanto mai delicata e non scevra di preoc�upazioni. . gr�d? e� an�1a. �. ta, . . ele:au. _m 1� p · de1 dove cnv�va II regolamento sul Servizio in guerra as_ �� _ , nell'interesse e per il benessere dei connaz10nah, l eserc1z1o degh attnbutl disc1plinar1 e l az10ne di comando. . . . L'attenzione dell'ecc. Nasi non poteva quindi non volgersi su quanto avvemva .nel camp1 e non provvedere. . e t1moro�1. se . . . . . . . Le autorità britanniche cercavano lavoraton ed 1 pngwmen erano titubantisconosc mt1 ed accettare 0 no, specialmente perché si sentivano minacciati da intransigenti immaginarie autorità. . ente . specialm . . . . . Le relazioni tra prigionieri erano tese e potevano sfociare m mc1dent1 anche grav1, e prender potuto avessero guerra, quando, per alterne vicissitudini degli �vv�nim�nte di wnah. ant1naz incitamento a mal fare le minoranze Gli inglesi non avrebbero rifuggito dal ricorrere alle costrizioni, se non avessero trovato lavoratori volontari. Occorreva provvedere: �ate�i�le, dando salvaguardia a coloro che nel lavoro trovavano oltre che un tornaconto 1 pnglO­ per ss1mo dannos1 ma , sempr � . per quanto limitato, una distrazione dall'o�io, dannoso t1; reucola fra aree limitate nieri di guerra, costretti a vivere entro i: tutelando in maniera tangibile la disciplina, in modo da mantenere e la fisionom se a nata abbando che, massa una ad italiano o cittadin di e l'animo del soldato e la fierezza stessa' sarebbe diventata informe accozzaglia di abulici e di gente pericolosa; dal salvaguardando i diritti del prigioniero, insidiato pericolosamente dal nemico, sia lato morale che materiale; allo vigilando sulla osservanza delle Convenzioni inte�naz�o�al�, :ffi�ché nessun danno guerra. d1 en sforzo bellico della patria fosse arrecato dal lavoro de1 pngwm �, �i britanniche �el Keny L'ecc. il gen. Nasi ritenne perciò utile stipulare colle autorità militarispond m nde 1sp e eva � � entro il mese di giugno, l'accordo di Eldoret qui annesso. Esso un'idea �rettlva che pieno ai principi in esso enunciati . ed agli .scopi se.mp�e e,spressi.' secondo o d Aosta. prima di morire aveva tracciato 11 comp�a�to "V_lcere, � A.R. 1l duee: d1Amede r tornaconto magg1o che certo e ma mgles1, i interess gli anche e L'accordo favorisc . a noi che ad essi. . �1ta . l 0 m1 ? 0 . 53 i cioè e Kenya del ieri prigion i solo a � È da considerare che l'accordo riguard nette queste lim1. �azwm: di truppa dislocati in tale Colonia : l'ecc. Nasi ha voluto stabilire benm . , fuon per non trovarsi nella impossibilità di esercitare il voluto controllo lontane reg10m dalle sue responsabilità. _

_

1 6 ASDMAE,

?·.

fa� c . personale Ministero dell'Africa italiana, Gabimtto, Africa . �' p�cco sul png10men. di guera

gen. Martini, 1943, classe XIII, (12 relazioni al. cav. B. M.ussohm «Accordo di Eldoret» italiani nel Kenya, 1943, con racchiusa copia del cosiddetto 23-24/6/1942) .


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Mario Cazzini

I lavori stradali sono stati ammessi nell'accordo, nella considerazione che' la Colonia del Kenya non è attualmente teatro di operazioni e forse non lo sarà neppure nel futuro. Sono stati assolutamente esclusi i lavori sui campi di aviazione, quelli di fortificazione e quelli di costruzione di edifizi ad uso militare. L'accordo di Eldoret ha una portata soprattutto morale; ha portato la tranquillità fra i soldati, per la protezione che loro ne deriva dall'intervento delle Autorità del proprio esercito. I campi erano alla mercé dei comandi inglesi, poiché i pochi sottufficiali ammessi all'inqua­ dramento e gli ufficiali medici preposti al servizio sanitario delle truppe si trovavano nell'as­ soluta impotenza, malgrado la loro buona volontà, il loro patriottismo, la loro fede fascista, a far fronte alle esigenze del nemico e soprattutto alla insidiosa insistente propaganda. L'aver ottenuto dalle autorità britanniche che a ciascun campo venisse preposto un ufficiale di collegamento - che è comandante in tutta la estensione del suo significato, affiancato a quello inglese - e per di più di scelta dell'eccellenza, come materialmente si pratica, è una garanzia di prim'ordine ed evita l'inconveniente antigerarchico del fiduciario, previsto dalla Convenzione di Ginevra. L'appello alla stessa eccellenza e la facoltà a lui di fare visita ai prigionieri e alle officine, completano il campo delle sue attribuzioni, facendolo solo ed inappellabile comandante dei prigionieri di guerra del Kenya. Quanto ciò sia importante ad ogni fine è facile immaginare; basti solo pensare che l'accordo di Eldoret venne concretato quando le nostre armi vittoriose in Cirenaica invadevano l'Egitto, dando possibilità, ai prigionieri del Kenya, se la fortuna non ci avesse poi tradito, di essere ancora impiegati in operazioni militari. Ma anche se questo non si è verificato, l'accordo di Eldoret avrà la sua influenza per conservare moralmente e materialmente salda una massa imponente di 50 mila uomini, per ogni evenienza pronti a servire la Patria. Bari,

16

giugno

1943.

li

Generale di Divisione Agostino Mattini

RODOLFO PULETTI La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

Un argomento poco noto, poco trattato, difficilmente reperibile poiché la materia è sparsa negli archivi di vari enti (Ufficio storico SME, Ministero degli affari esteri, Museo africano, etc.) e la ricerca risulta poco agevole. Spesso si deve ricorrere ai ricordi personali dei protagonisti : ufficiali di cavalleria sopravvissuti alle guerre, agli anni e alle conseguenze di una vita spesso avventurosa. Anche se molto interessante e soddisfa­ cente, per loro stessa ammissione, e con grande nostalgia per quel mondo ormai perduto e lontano. La cavalleria nelle truppe coloniali italiane viene esaminata dividen­ done le vicende nelle tre fasi storiche e nelle tre aree diversificate, ciascuna corrispondente a un ben definito teatro operativo : Eritrea e Somalia, Africa orientale, Africa settentrionale. Il tema viene anche sviluppato tenendo presente due filoni fonda­ mentali: l'impiego della cavalleria nazionale in Africa, ossia oltremare e la creazione, lo sviluppo e le operazioni della cavalleria indigena, istituita in terra africana dall'esercito italiano. Così come nella madrepatria, la cavalleria coloniale risente del parti­ colare difetto di essere sempre percentualmente in difetto in proporzione alle altre armi. Tale sproporzione appare maggiore se il raffronto viene effettuato con le cavallerie dei principali eserciti europei. Come si può NAZIONI

Germania . Austria-Ungheria . Francia Italia .

1 871 %

1883 %

1890 %

1900 %

1914 %

7,4 5,9

1 5,4

13,6

1 1 ,6

10,8

15,8

20,0

15,8

. 1 3,4

6,2 3,01

13,6 10,0

13,9 10,0

13,5

12,1

9,6

9,1


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Rodo!fo Puletti

La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

osservare dallo schema sottonotato tra il 1871 e il 1914, ossia nell'epoca d'oro dell'Arma, per l'Italia i dati risultano in ogni epoca i più J;>assi. Pochi storici fanno osservare come questa generale carenza di cavalleria sia effetto determinante delle principali, brucianti sconfitte subite dal nostro esercito, puntualmente addebitate dall'opinione pubblica, dai vertici politici, nonché dagli stessi storici all'esercito medesimo. Senza voler entrare nel merito delle responsabilità della preparazione militare italiana, in generale, non deve meravigliare, dopo le aride, ma significative cifre indicate nello schema anzi detto, se accadono i disastri di Custoza (1866), Adua (1 896), Caporetto (1917) ed anche El Alamein (1942), dove la cavalleria avrebbe po­ tuto rendere preziosi servizi e dove invece o è assente, o è mal impiegata dagli alti comandi o è numericamente insufficiente ed inadeguata ed il suo tradizionale sacrificio può apparire perfino inutile. Non saranno esaminati i casi di Custoza e di Caporetto perché esulanti dal tema coloniale. Di Adua e di El Alamein si vedrà più avanti. L'utilizzo e l'impiego della cavalleria in Africa (sia nazionale, che indigena) risente prevalentemente di una valutazione negativa di ca­ rattere logistico. Cioè gli stati maggiori manifestano l'infondato timore che l'ambiente naturale, sia sotto l'aspetto morfologico (deserto, alto­ piano, boscaglia, savana, ecc.) che sotto l'aspetto idrico, possa essere negativo per la cavalleria. Di qui l'invio di aliquote molto modeste di cavalleria nazionale nei contingenti di truppe che hanno operato in Africa dal 1 885 al 1956 (come da schema allegato 1). Da questa erronea apprensione discende anche la limitata entità iniziale dei reparti a cavallo costituiti con truppe indigene. Sono occorsi numerosi anni per capire questo fondamentale errore ed accertare l'importanza della cavalleria nelle operazioni coloniali, così che la sua entità viene accresciuta solamente a partire dagli anni Trenta. Le vicende della cavalleria in colonia hanno inizio nel 1 885 con un plotone tratto dal reggimento «Cavalleggeri di Caserta» (17°), inviato in Eritrea con il corpo di spedizione del gen. Saletta e rimastovi un paio d'anni. Nel 1 887-1888 si formano e si inviano due squadroni nazionali costituiti con elementi tratti da tutti i reggimenti metropolitani allora

esistenti (ossia 24) ; detti squadroni rimpatriano nel 1888 non avendo avuto la possibilità di effettuare grosse imprese. In questo periodo si iniziano a formare nella colonia Eritrea bande di indigeni a cavallo che prendono il nome di orda Kaiala, il cui primo comandante è il celebre cap. Pietro Toselli. (allegato 2). Nel 1889 l'orda si trasforma nello squadrone esploratori indigeni a cavallo che il 3 settembre 1890 dà vita a due squadroni indigeni «Asmara» e «Keren», composti da ufficiali italiani e truppa indigena. Nel 1894 per motivi di economia viene sciolto lo squadrone «Asmara» lasciando in vita, fino al 1935, quale unico reparto di cavalleria di tutta l'Eritrea, lo squadrone «Keren». Un troppo modesto ed esiguo reparto, che non raggiunge i cento uomini, con le negative conse­ guenze che tra breve si vedrà. Detto squadrone partecipa a tutti i cicli operativi condotti nel periodo citato, in particolare nelle operazioni contro i Dervisci del Mahdi, contro i quali hanno combattuto nel vicino Sudan anche truppe inglesi. Il 17 luglio 1894 lo squadrone concorre alla liberazione di Cassala dai predoni mahdisti ed il capitano comandante Francesco Carchidio Malavolti cade trafitto da diciassette colpi di lancia, medaglia d'oro al valor militare alla memoria, la prima di una lunga serie concessa ai cavalieri «africani», che si riepilogano nello schema allegato 3. Nello stesso scacchiere più a Sud, in Somalia, la cavalleria è total­ mente assente con l'eccezione di un solo squadrone meharisti del Benadir (1908-1911 ), che viene trasferito in Libia per la campagna del 1912-1914. Ma l'assenza di cavalleria si fa tragicamente notare nel 1 896 nel disastro di Adua ave, nell'ingente corpo di spedizione del gen. Baratieri (oltre 20.000 uomini), non esiste un solo reparto a cavallo. Nella vasta documentazione della battaglia non si riesce a trovare traccia dello squadrone «Keren», inspiegabilmente non portato al seguito dal gen. Baratieri durante il ciclo operativo del 1895-1896 verso Adua. L'inizio delle operazioni avviene inevitabilmente sotto cattivi auspici, perché il contingente italiano è privo di elementi esploranti; entra in contatto il 6 dicembre 1 895 con le avanguardie nemiche senza essere preavvisato da alcuno. Da questo momento agli italiani non è pm possibile sganciarsi e si verificano gli episodi dell'Amba Alagi e di

19

1 209


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Rodolfo Puletti

Macallè, fulgidi sul piano spirituale, ma negat1v1 sotto il profilo dei . risultati operativi, come tutti bene sanno. In campo avversario il negus Menelik dispone di circa 30.000 cavalieri galla, con i quali mantiene il contatto con gli italiani ricev�n­ done continue, aggiornate informazioni. Il corpo di spedizione Baratieri riceve rin�orzi di varie armi, specie fanteria ed artiglieria, ma non un � o!o caval�ere, sotto l'erroneo pretesto che il terreno delle operazioni e 1mpropno ed inadatto all'azione della cavalleria. Erroneo in quanto che la cavalleria galla agisce, perfettamente libera nei suoi movimenti' non ostacolata dal terreno e logisticamente autosufficiente. Dopo le operazioni attorno a Adigrat il comando italiano appare in uno �t�t� d'a�imo incerto e snervante perché si domanda quando gli . ab1ss1m s1 dee1dano ad attaccare; tale incertezza snervante è dovuta ad assenza di informazioni sul nemico per assenza di reparti di cavalleria. Fortunatamente per noi il 29 febbraio 1 896 il negus risulta disporre soltanto di un migliaio di cavalieri galla perché ha inviato i restanti 29.000 a pascolare quaranta chilometri indietro, in terreni più erbosi e vedremo quanto costerà anche a lui questa decisione. �ome noto lo sc�ntro di Adua del 1 o marzo avviene come battaglia d1. mcontro, oss1a. d1 sorpresa, perché gli italiani non hanno cavalleria che li preceda ad osservare e riconoscere il terreno e a ricercare il nemico. Di qui gli errori di percorso e gli slegamenti tra le varie colonne, che sono isolate, perché non collegate da qualche elemento a cavallo, cioè più mobile e più celere. Ne consegue che la ricognizione del terreno, la ricerca e l'indivi­ duazione del nemico, il collegamento tra le colonne amiche sono i compiti per i quali sarebbero stati necessari alcuni reparti di cavalleria; f�rse sarebbe stato sufficiente anche il solo squadrone, di cui non si nesce, come detto, a sapere dove sia stato impiegato. D � rante la battaglia, Menelik, quando vede che gli italiani, sotto la press�one del numero, cominciano a ripiegare, pur sempre combatten­ do, s1 rende conto dell'errore commesso e si rammarica di non avere più alla mano i 30.000 cavalieri galla, ma di averne solo 1 .000. Molto probabilmente nessun italiano si sarebbe salvato o sarebbe sopravvissuto se la cavalleria galla, della cui pericolosa, temuta presenza narreranno poi i superstiti, avesse preso parte alla battaglia di Adua nella sua totalità.

La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

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Nel 1 91 1-1912 e negli anni seguenti, durante la guerra italo-turca, sono inviate in Libia le unità di cavalleria nazionali indicate nell'allegato 1 . Come si può osservare il contingente inizialmente non è molto numeroso, sempre in proporzione all'intero corpo di spedizione. La sua limitata consistenza è dovuta al timore di non trovare acqua sufficiente ad abbeverare i cavalli, al terreno sabbioso che possa fre­ nare l'andatura degli squadroni, alle difficoltà di acclimatazione. Ti­ mori che si dimostrano non del tutto fondati e la cavalleria aumenterà gradualmente, come indicato nel predetto schema allegato. Si distinguono nel corso delle operazioni i «Cavalleggeri di Lodi» che ricevono due medaglie d'argento al valor militare allo stendardo. Anche in Libia si costituiscono reparti indigeni a cavallo, dapprima sotto forma di bande irregolari e poi come vere e proprie unità, distinte in specialità diversificate per il tipo di cavalcatura, l'uniforme e l'impiego. I savari (che in arabo significa cavalleggero) sono montati su cavalli piccoli, robusti, sobri, ossia idonei all'impiego in zone desertiche, addestrati a sdraiarsi a terra, quando il savaro combatte appiedato, venendo riparato dal corpo del quadrupede. Sono equipaggiati, vestiti e montati all'europea. Gli spahis (uguale soldato) sono equipaggiati, vestiti, addestrati all'indigena, con cavallo e sella arabi, vestendo indumenti costituiti da tarbusc (berretto), farmula (giubbetto) e barracano (mantello) o burnus, versione più ricca e colorata del precedente. Infine sono costituiti squadroni meharisti (mehari, varietà di dromedario molto veloce), unità idonee a percorrere le zone desertiche e sahariane. Ogni squadrone, dell'ordine di circa cento uomini, ha un proprio colore distintivo che è riportato sul gagliardetto e sulla fascia indossata alla vita dagli uomini del reparto. A seguito della riconquista libica (1920-1930) gli squadroni vengono incrementati e ripartiti in gruppi squadroni savari, spahis o meharisti, a seconda della specialità. Sempre come indicato nello schema allegato 2, intitolato la cavalleria dei Regi Corpi Truppe Coloniali 1889-1 943. Per tali operazioni sono assegnate ai gagliardetti degli squadroni savari e spahis due medaglie di bronzo e quattro croci di guerra al valor militare. Per l'esigenza Africa orientale (1935-1936) si mobilitano i reparti nazionali indicati nel citato allegato 1 . Fra essi vi sono anche reparti autocarrati (mitraglieri di «Genova cavalleria» e dei «Lancieri di


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Rodoljo Puletti

La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

Aosta»). Essi, denominati «Cavalieri di Neghelli» per aver concorso alla presa della località omonima, ricevono due medaglie di bronzo al valor militare rispettivamente da parte del III e IV «Aosta». Sempre composti da nazionali i gruppi carri veloci, ossia leggeri, dotati del carro L3, rimasto famoso con l'appellativo di «scatolette di sardine» per la minuscola mole e per la modesta corazzatura. Alla campagna partecipano, a cavallo, il I gruppo squadroni eritreo, decorato di medaglia di bronzo a Debuk nel 1936, il gruppo spahis della Libia per l' A.O.I., anche esso decorato di medaglia di bronzo per le operazioni di Selaclaclà e dello Scirè; inoltre sono impiegate bande a cavallo regolari e non, anche di livello minore allo squadrone. In sintesi i reparti costituiti da truppe nazionali sono modernamente ordinate in formazioni autocarrate o corazzate, mentre le truppe indigene muovono e combattono a cavallo, con una velocità operativa quasi superiore, per quell'ambiente, alle forze dotate di ruote o di cingoli. Tra i primi reparti che il 5 maggio 1936 entrano in Addis Abeba vi è il predetto gruppo squadroni eritreo, denominato «penne di falco». All'Arma viene attribuita la croce dell'ordine militare di Savoia la cui motivazione è:

Ecco che viene sfatata la valutazione negativa di carattere logistico, di cui si è fatto cenno all'inizio di questo studio. Generalmente ogni gruppo squadroni è costituito da una banda di istruzione (una specie di centro di reclutamento e di addestramento preliminare); un reparto o squadrone comando che in pratica ha funzioni logistico-operative; due o tre squadroni cavalieri con una forza ciascuno da 120 a 140 uomini; un reparto mitraglieri armato con mitragliatrici di preda bellica austriaca Schwarzlose; un reparto salmerie dotato di muli italiani (carico utile 70 chili) e prevalenti muletti abissini (carico utile 50 chili). L'organico dei gruppi squadroni non è rigido, in quanto in colonia i comandanti hanno la facoltà di arruolare ascari e comperare cavalli in funzione delle esigenze operative. Di conseguenza la forza di un gruppo può variare da 300 a 500 cavalieri ed altrettanti cavalli. Questi ultimi in minima parte sono italiani, in parte arabo-berberi, ma in maggioranza sono etiopici. La sella di modello italiano, cosiddetta Del Frate, dispone di bisacce di pelo di capra nero, lungo. L'uniforme è di tela cachi con giubbetto a vita e pantaloni corti da cavallo, gambali e sandali di cuoio cachi. Alla vita fascia-distintivo (anche con funzioni pratico-igieniche di coprire il ventre e le reni) di colore diverso per ogni gruppo (ali. 5). In merito alle fasce è bene precisare che col tempo sono cambiate più volte. Nel 1939 è stato adottato, (per decisione del Ministero Africa italiana), per tutti i gruppi il colore scozzese, alternato a diversi altri colori. Ma non tutti i gruppi squadroni sono riusciti a confezionare le nuove fasce, anche per l'approssimarsi del secondo conflitto mondiale; per cui il disposto ministeriale è rimasto in parte inattuato. In testa copricapo detto tarbusc, di feltro rosso, con fascia di seta scozzese e con penna di falco sulla destra, da cui il nome. Armamento : sciabola italiana o scimitarra etiopica (guradè) ; moschetto da cavalleria modello 91 oppure Manlicher. I cavalieri hanno in dotazione bombe a mano che sono addestrati a lanciare in corsa da cavallo, al galoppo. Qualche reparto, in taluni periodi, è stato anche armato di lancia, talvolta abissina. Nel giugno-settembre 1939 per ragioni di economia vengono sciolti il IX, il X, il XII ed il XIII gruppo che vengono presi in forza

«<n terra d'Africa rinnovava le sue gloriose secolari tradizioni a cavallo, sui carri veloci, sugli automezzi; ammirevole sempre per audacia e tenacia, seppe ovunque, fedele al suo motto, gittare l'anima oltre ogni ostacolo, dando alla Patria il fremito della travolgente vittoria. 3 ottobre 1935 - 5 maggio 1 936».

Dopo il conflitto per le esigenze difensive del vasto territorio abissino sono costituiti fino a sedici gruppi squadroni cavalleria colo­ niale (ali. 4). Nell'ordinamento coloniale la cavalleria appare utile nell'esplorazione e in tutte le fasi del combattimento, specie nello sfruttamento del successo ; l'unità tattica tipo è costituita dal gruppo squadroni (ali. 4), in cui sono riepilogati la nascita e la fine, i comandanti, le denomina­ zioni e le sedi. La loro costituzione avviene gradualmente nel tempo tra il 1936 e il 1 938, a causa delle ricorrenti difficoltà di ordine finanziario, per decisione del governo generale dell'A.O.I., al fme di disporre di truppe mobili, idonee ad operare in ogni circostanza di luogo e di tempo, anche durante la stagione delle grandi piogge.

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Rodolfo Puletti La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

rispettivamente dal II, V, VI, gruppo e dalla banda a cavallo «Auasc». I gruppi squadroni di cavalleria coloniale vengono dapprima impiegati nelle operazioni di polizia coloniale e poi nella seconda guerra mondiale. Durante la prima di dette operazioni, nel corso dei combattimenti, sono decorati della croce di guerra al valor militare il I, il II ed il IV gruppo. Durante la seconda guerra mondiale i reparti di cavalleria coloniale si distinguono in molteplici combattimenti contro le più numerose e moderne truppe inglesi. Si distinguono nel luglio 1 940 il II, il III, il V ed il XV gruppo squadroni nella presa di Kassala; nell'ottobre alla difesa di Cheren il II gruppo squadroni; a Kerù il gruppo banda a cavallo dell'Amara del cap. Amedeo Guillet; il XV gruppo squadroni sempre nella zona ?i Cheren; ad Addis Alem dal 1 o al 4 aprile 1 941 il VI gruppo si 1mmola nel tentativo di salvare una colonna in ripiegamento, nella quale si trovano anche civili, donne e bambini italiani ed indigeni; il VII gruppo squadroni nel maggio 1 941 si scontra nella zona di Soddu con forze blindoco razzate inglesi. Ed infine a Gondar il XIV gruppo chiude con le sue cariche sul torrente Maghecc l'epopea della cavalleria in Africa orientale con lo spirito tramandato dai vecchi pionieri della conquista africana. Durante lo stesso conflitto in Africa settentrionale operano gruppi squadroni savari e spahis a cavallo e gruppi mitraglieri e corazzati nazionali che si oppongono allo strapotere dei carri Matilde, Valentine, Churchill, Sherman. Senza voler ripetere le numerose azioni condotte in Libia, fino ai confini dell'Egitto, nell'avanzata verso il canale di Suez e la conse­ guente ritirata dopo la battaglia di El Alamein, si vogliono porre in evidenza solamente taluni punti fondamentali. È noto che ad El Alamein la carenza di cavalleria, sia pure nella versione blindo-corazzata, è stata perniciosa. Se invece dei pochi gruppi di cavalleria corazzata, peraltro molto provati e decimati negli scontri contro forze superiori, vi fosse stato un maggior blocco di forze idonee (e non appiedate, di fanteria) si sarebbe potuto frenare e rallentare l'avanzata inglese di Montgomery, pagando un minor prezzo di caduti e di prigionieri e dando alla battaglia un diverso andamento.

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I gruppi corazzati «Nizza» «Novara» e «Monferrato» ed il raggrup­ pamento «Lodi» chiudono con il sacrificio dei loro mezzi, tecnologica­ mente superati, il ciclo africano dell'Italia, iniziato circa 60 anni prima. Oltre alle operazioni africane, definibili coloniali in termini stretti, la cavalleria partecipa anche ad altre operazioni oltremare che sono riepilogate brevemente nello schema sottostante. Come si può osservare si tratta di una partecipazione, spesso m contingenti multinazionali, in interventi verificatasi in tempo di pace, senza una formale dichiarazione di guerra. La cavalleria nelle operazioni oltremare (extra colonie)

Crimea

1855-1856

Cina

1901-1 905

Rodi

1912

Spagna

1936-1939

Albania

1939

Libano

1982-1984

Somalia

1993

Contingente alleato turco-anglo-franco Balaclava Cernaia - Sebastopoli Rivolta dei Boxer Pechino - Tien Tsin

Reggimento provvisorio cavalleggeri su 5 squadroni cavalleggeri un plotone «Cavalleggeri di Roma» 1903-1905 un plotone «Cavalleggeri di Lucca» 1903-1905

Corpo di spedizione speciale nel Dodecanneso

un plotone «Cavalleggeri di Piacenza» 1912-1 924

Guerra civile - fronte franchista

Gruppo squadroni di cavalleria del CTV (a cavallo e su carri leggeri - italo-spagnolo)

Annessione

Reggimento di formazione su: comando e gruppo dei «Lancieri d'Aosta» e gruppo di «Genova Cavalleria»

Contingente italiano nella forza multinazionale di pace

Squadrone dei «Cavalleggeri di Lodi» su autoblindo Fiat 6666

Contingente italiano nella forza ONU

Squadrone dei <<Cavalleggeri guide» squadrone dei << Lancieri di Montebello» squadrone dei <<Lancieri di Firenze» su autoblindo Centauro


1216

Rodoifo Puletti

Interventi dai risultati politico-diplomatici spesso sterili, se si eccettua la Crimea, ove si è internazionalizzato il problema dell'indipen denza italiana, per merito dell'intuito del conte di Cavour. Per tutti gli altri interventi, se si eccettua un generico senso di soddisfazione per aver agito senza secondi fini (ossia senza fare della politica reale) e senza ricevere alcuna utilità pratica, si potrebbe anche concludere che sono stati inutilmente dispendiosi. Troppo spesso la diplomazia chiede allo strumento militare di in­ tervenire, facendo ricorso alla politica della «cannoniera », senza badare troppo alle effettive possibilità e alle conseguenze sull'equilibrio del­ l'organismo militare e senza mettere quest'ultimo nelle migliori condi­ zioni per intervenire. Sovente vi è la contraddizione di voler risparmiare nelle militari, ma nello stesso tempo di voler spendere a piene mani l'eserspese cito anche in avventure inutili e pericolose, quando non dannose all'eco ­ nomia generale. Per voler concludere l'argomento della cavalleria coloniale italiana, senza voler tuttavia entrare nel merito delle motivazioni politiche sono a monte dell'impiego militare) per le quali l'Italia è andata(che in Africa, si deve riconoscere che essa ha scritto pagine leggendarie che possono costituire vanto e tradizione di qualsiasi esercito. Le truppe indigene a cavallo si sono sempre dimostrate sobrie, resistenti al clima e alle fatiche. Ben guidate (il personale di inquadra­ mento nazionale è stato selezionato con criteri e risultati positivi) hanno combattuto per la bandiera italiana distinguendosi in pace ed in guerr e lasciando in tutti coloro che vi hanno operato un ricordo indelebile.a Un ultimo accenno ai quattro squadroni di cavalleria blind inviati nel corpo di sicurezza in Somalia, dal 1 949 al 1956, nel quadrata, o dell'am­ ministrazione fiduciaria sancita dall'ONU, una specie di prim a prova che il mondo libero offre all'Italia dopo il dramma della guerra perdu ta. Al compito di garantire la sicurezza, si uniscono tutte le attività che hanno agevolato la Somalia nella sua aspirazione all'autogoverno e ciò non può che costituire alto grado di merito. Nel mentre questa relazione andava in stampa si svolgevano opera­ zioni in Somalia, sotto egida O.N. U., nelle quali venivano impiegati squadroni blindati dei «Cavalleggeri guide» dei «Lancieri di Monte­ bello » e dei «Lancieri di Firenze».

La cavalleria nelle truppe coloniali (1885- 1956) A llegato 1

- La cavalleria nazionale che ha operato

1217

in Africa 1 885-1 956

REPARTO

EPOCA

Eritrea .

Plotone «Cavalleggeri di Caserta» 1 o Squadrone cavalleria d'Africa Squadrone cacciatori a cavallo d'Africa

1885-1887 1887-1888 1887-1888

Libia .

Reggimento «Cavalleggeri di Lodi» Reggimento «Lancieri di Firenze» Gruppo «Guide» Comando rgt. «Cavalleggeri di Catania» Reggimento «Cavalleggeri di Lucca» Comando «VII Brigata cavalleria» Gruppo «Cavalleggeri di Piacenza» Squadrone «Cavalleggeri di Caserta» Gruppo «Cavalleggeri di Udine» Squadrone «Cavalleggeri di Palermo»

191 1-1913 1911-1913 1912-1914 1912 1912-1914 1912 191 1-1913 1913-1920 1913 1919

Somalia - Etiopia .

I e II Gruppo squadroni mitraglieri autocarrati «Genova cavalleria» III e IV Gruppo squadroni mitraglieri autocarrati «Lancieri di Aosta» Gruppo squadroni nazionali «Cavalieri di Neghelli» IV Gruppo squadroni carri veloci «Duca degli Abruzzi» V Gruppo squadroni carri veloci « Baldissera »

1935-1936

TEATRO OPERATIVO

Etiopia .

Africa settentrionale .

Somalia

A.F.I.S . .

IV Gruppo squadroni mitraglieri «Genova Cavalleria» V Gruppo squadroni mitraglieri «Lancieri di Novara» VI Gruppo squadroni mitraglieri «Lancieri di Aosta» X Gruppo squadroni mitraglieri «Lancieri di Vittorio Emanuele II» III Gruppo corazzato «Nizza cavalleria» III Gruppo corazzato «Lancieri di Novara» III Gruppo corazzato «Cavalleggeri di Monferrato» Rgpt. esplorante corazzato «Cavalleggeri di Lodi» Squadroni cavalleria blindata «Piemonte» «Savoia» - «Genova» e «Novara»

1935-1936 1937-1941 1935-1936 1935-1936 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1940-1943 1942-1943 1949-1956


A llegato 2

- La cavalleria dei Regi Corpi truppe coloniali

TEATRO OPERATIVO

REPARTO

Plotone (poi) squadrone esploratori indigeni (orda Kajala) Squadrone cavalleria indigeni «Cheren» Squadrone cavalleria indigeni «Asmara» Squadrone cavalleria indigeni Gruppo squadroni indigeni eritrei

Somalia .

1 889-1890 1 890-1896 1 890-1894 1 896-1935 1935

Squadrone meharisti del Benadir

1908-191 1

I Gruppo squadroni indigeni eritrei Gruppi spahis della Libia per l' A.O.I. Da 16 a 12 Gruppi squadroni cavalleria coloniale «Penne di falco» Bande a cavallo (regolari e irregolari) Gruppo bande a cavallo «Amhara»

1935-1936 1935-1936 1936-1941 1935-1941 1940-1941

Bande o squadroni : spahis, savari, meharisti Comando cavalleria Tripolitania su gruppo savari e gruppo spahis Comando cavalleria Cirenaica o gruppo squadroni savari Comando cavalleria libica su comando gruppo spahis e comando gruppo savari Comando raggruppamento cavalleria della Libia su I-III-IV Gruppo squadr oni spahis e II gruppo squadroni savari

191 1-1920 1920-1937 1920-1937 . 1938-1940 1940-1943

Libia .

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EPOCA

Eritrea .

Africa orientale

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1889- 1 943

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A Ilegato 3

- Le medaglie d'oro al val or militare individuali dell'arma di cavalleria in colonia

GRADO

NOME CASATO

REPARTO * *

LOCALITÀ E DATA

Capitano

Francesco Carchidio Malavolti *

Sqd. indigeni « Cheren» (<< Padova>>)

Tenente

Paolo Solaroli di Briona *

« Cavalleggeri di Lodi>>

Tripoli,

So Sqd. savari (« Milano>>)

Libia,

So Sqd. savari («Piacenza>>)

Cassala,

17 luglio 1 894

26 ottobre 1911 Libia , 18 aprile 1913

t �

Serg. Maggiore

Francesco Fodde *

Tenente

Ruggero Bardazzi *

Capitano

Ettore Crippa *

Carri veloci (« Guide>>)

Africa orientale,

Tenente

Franco Martelli *

Carri veloci («Genova>>)

Africa orientale,

Tenente

Francesco Azzi *

Gruppo spahis («Nizza>>)

Africa orientale,

Capitano

Amedeo De Rege Thesauro

Tenente

Emanuele Leonardi di Villacortese *

Banda a cavallo («Nizza>>)

S. Tenente

Ludovico Menicucci *

« Lancieri

S. Tenente

Antonio Brancati *

Banda a cavallo («Alessandria>>)

Maggiore

Luigi Manusardi *

S. Tenente Tenente ·-

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eli Donato *

« Lancieri

1S dicembre 193S

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1S dicembre 1 93S

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2S dicembre 193S

eli Aosta>>

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22 aprile 1913

Africa orientale,

2 febbraio 1936

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20 febbraio 1936

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8 aprile 1936

Africa orientale,

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V. Gr. sqd. cav. col. («Piemonte Reale>>)

Africa orientale,

l

Giovanni Thun Hohenstein *

I Gr. sqd. cav. col. («Vitt. Emanuele Ih)

Africa orientale,

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Bruno Jesi

Banda a cavallo («Nizza>>)

Africa orientale,

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* Alla memoria ** Tra parentesi l'ultimo reparto nazionale

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Africa orientale,

eli Aosta>>

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Africa orientale,

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26-28 agosto 1937 27 novembre 1937 28 marzo 1 938

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........_ ......

29 giugno 1938 Segue

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A llegato 3 - Le medaglie d'oro al valor militare individuali dell'arma di cavalleria in colonia GRADO

NOME CASATO

o

REPARTO * *

LOCALITÀ E DATA

S. Tenente

Giorgio Cesare Raita *

IV Gr. sqd. cav. col. (<<Aosta>>)

Capitano

Gino Berardi *

XVI Gr. sqd. cav. col. (<<Nizza>>)

S. Tenente

Antonio Corsi di Turri *

XVI Gr. sqd. cav. col. (« Genova>>)

Tenente

Mario Tacca *

XVI Gr. sqd. cav. col. («Aosta>>)

Tenente

Renato Togni *

Gr. bande a cav. («Aosta>>)

Tenente

Archimede De Martini *

VI Gr. sqd. cav. col. (<<Novara>>)

Generale

Emanuele Beraudo

Capitano

Giuseppe Rosso *

XIV Gr. sqd cav. col. (<<Piemonte R. >>)

Tenente

Vincenzo Pastore *

XIV Gr. sqd. cav. col. (<<Monferrato>>)

Tenente

Salvatore Manca *

Brg. cor. (<<Cavalleggeri di Sardegna>>)

Capitano

Ferruccio Dardi *

« Lancieri

Generale

Federico Ferrari-Orsi *

X Corpo d'Armata (<<Aosta>>)

Capitano

Gastone Simoni *

Paracadutisti (<<Genova>>)

Capitano

Costantino Ruspoli

Ten. Colonnello

Cado Marescotti Ruspoli di Poggio Suasa *

*

di Pralormo **

Africa orientale, 1 8 gennaio 1939 Africa orientale, 17 giugno 1939

Africa orientale, 21 settembre 1939 Africa orientale, 21 settembre 1939 Africa orientale, 21 gennaio 1941 Africa orientale, 1-4 aprile 1941 Africa orientale, maggio-giugno 1941

Divisione coloniale (<<Firenze>>)

di Poggio Susa *

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Africa orientale, agosto-settembre 1941

S.

Africa orientale, agosto-settembre 1941 Africa settentrionale,

clic. 1 940-feb. 1941 Africa settentrionale, 9 luglio 1 942 Africa settentrionale, 18 ottobre 1 942 Africa settentrionale, 23-27 ottobre 1 942 Africa settentrionale, 26-27 ottobre 1 942 Africa settentrionale, 4 novembre 1942

di Novara>>

Paracadutisti (<< Genova>>) Paracadutisti (<< Genova>>)

Alla memoria.

** Tra parentesi l'ultimo reparto nazionale.

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Allegato 4 - La cavalleria italiana in Mrica orientale ��

I

SClOA

II ERITREA

III AMliARA

IV

SCIOA

v AMliARA

VI HARRAR VII GALLA SIDAMO VIII SCIOA

IX

ERITREA

x AMliARA XI

SCIOA

XII HARRAR XIII

SCIOA

XIV AMliARA xv ERITREA XVI

SCIOA

1937

1936

1935

Comandanti e sedi

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Magg. Tommaso LEQUIO � � lp �ADDIS ABEBA) (MBVM 1936 a)_Slrl�

_9 MINNE

Cap. ALBAMO

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Magg. _

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_

_

ORGI

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1939

1938

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Ten. Col. Giorgio MORIGI (ADDIS ABEBA) ..J...-�---_\:=�::_=�::_:�----

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Cap. Mario TOGNOZZI (ADDIS ABEBA)

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Cap. Vittorio MOR.O (DESSIE)

Cap. Vittorio BARATTIERI (ADDIS ABEBA)

GONDAR Banda a cavallo dell'Eritrea Banda a cavallo deli'Anili;... Banda a cavallo ddl'Amhara o. ���� L C•p. Alboro BECHI LUSERNA Ten. Luigi CAVARZERAN! di NEVEA (poi Cap.) O O) Ca Po

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(ADI CAIEH) (GONDAR) (Si scioglie e si fonde con il V)

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Ten. Col. Luigi FERRIGHI

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Magg. Vincenzo DENARO

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Cap. Angelo GUERRIERO (ASELLE) -

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Magg. Nicola TORIELLO

Magg. Guido SALVADORI (GIMMA)

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Cap. Tito CHECCH!A

(Si scioglie e si fonde con il VI)

Ten. Col. Antonio AIMONE CA: (ADDIS ABEBA) Si scioglie -+ Banda AUASC)

Magg. Giulio DE SNO (poi Ten. Col.) XN (GONDAR) Ten. Col. Cesare FANNUCCI

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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Cap. Camillo D'ERRICO Magg. Ferdinando JANARI (Si scioglie esi fonde con il D) (ADI CAIEH) -

Cap. Antonio RICCOBONI

Magg. Tito AGOSTI (poi Ten. Col.) (ASELLE)

Cap. V.E. SCALFARO Ten. Alfredo FEDERICI (Banda Istruz.) (GIREN)

___

1941

Magg. Angelo SEGRETO

Magg. Giuseppe CERIO

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-

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Cap. Alfiere PERITO Magg. Luigi MANUSARDI �����-:���:7� AR o� B� o� C · E� s�__l_____���i_��1---������--JL������ m� � �d� o� - ----------------��•2� .

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1940

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Cap. Gianluigi AIROLDI di ROBBIATE (poi Magg.)

Magg. Aldo BrANCOLI

Magg. Gerardo BRANCA (GODOFELASSI)

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Cap. Giovanni CARADONNA

N N ,..._,.


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Rodolfo P11letti

1222

A llegato 5 - Fasce - distintivo gruppi squadroni A.O. FASCIA (in ordine di tempo)

GRUPPO SQUADRONI

MOTTO

(O) a strisce orizzontali (V) a strisce verticali alternate

(V) (V)

XIV

E

la morte a paro a paro

rosso - nera bianco e scozzese giallo - verde verde e scozzese cremisi celeste e scozzese rosso - azzurro cremisi e scozzese scozzese arancione e scozzese verde - rosso - scozzese azzurro e scozzese rosso - gialla amaranto e scozzese scozzese giallo e scozzese scozzese rosso e scozzese cremisi -nero viola e scozzese bianca con riga nera centrale marrone e scozzese rosso - nero - scozzese nero e scozzese verde scarlatto e scozzese bianca con riga rossa centrale azzurro e scozzese

xv

Con il cuore oltre l'ostacolo

verde e scozzese

(O)

bianco e scozzese

(O)

I

Imperatoris nomine victuri

II

Ove galoppo impero

III

Celerrim ad metam

IV

A

v

Presente in ogni battaglia

VI

Vincere e superarsi

noi i fatti

VII V III IX

Virtute duce, camite fortuna

x

Presente

XI

Per la gloria

XII

Alea j acta est

in

ogni battaglia di

sempre

XIII

XVI

(O) (V)

(V) (V) (V)

(V) (V) (V)

(O) (V) (V) (V)

(O) (V)

(O)

(V)

(O) (V)

(O) (O) (O)

VI

LA SOCIETÀ ITALIANA DI FRONTE AL COLONIALISMO


BRUNELLO VIGEZZI Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

Vorrei fare due premesse abbastanza rapide che mi sembrano op­ portune, se non indispensabili, per la relazione. Una relazione di questo genere, su Giolitti, il liberalismo, la guerra di Libia rimanda, abbastanza naturalmente, a una visione più generale, se non proprio a una « teoria» del colonialismo, o dell'imperialismo. Nel corso del convegno, del resto, abbiamo parlato abbastanza spesso di ipotesi, di teorie, o addirittura di «modelli», adatti a farci capire meglio l'imperialismo italiano e a permetterei di confrontarlo con altri imperialismi, adatti a stabilire relazioni fra politica interna e politica estera, o fra politica coloniale e politica europea, e via via. Basta pensare alle relazioni di Segrè, di d' Amoja, di Sergio Romano, ad altri testi, all'andamento di diverse discussioni. Per mio conto, tuttavia, vorrei !imitarmi ad alcune osservazioni in questo senso, che, semmai, possono offrire i presupposti di una pro­ spettiva più ampia, cui arrivare però a poco a poco. La guerra di Libia, in effetti, proprio per la suggestione fortissima di alcune teorie sull'imperialismo, spesso è stata collegata senz'altro alle vicende del capitalismo italiano. Questa considerazione mi pare fuorviante, e rischia di alterare subito il senso delle proporzioni, inducendo a fissare comunque l'attenzione (per affermare o per negare - questo importa meno ...) su alcuni aspetti o su alcune forze: il Banco di Roma, i cotonieri, l'assetto del sistema industriale o di quello finanziario, e via discorrendo. L'importanza dei «fattori» economici o sociali, in tutto ciò, resta fuori discussione. Non vorrei che nascesse un equivoco su questo punto. Ma sono anche convinto che, nell'Italia del 1 9 1 1-12, sul piano della politica generale, e specialmente sul piano delle grandi scelte della politica estera, le forze più rilevanti del capitalismo, o come si diceva un tempo del «capitalismo monopolistico finanziario», hanno


1226

Brunello Vigezzi

un ruolo circoscritto. L'Italia del 1 91 1 -1 2, piuttosto, è un paese iri via di profonda trasformazione e di sviluppo ; l'Italia, se si vuole, va ahche verso «l'industrializzazione», ma, con tutto ciò, l'Italia del 191T-12 resta un paese che vede ancora la prevalenza dell'agricoltura. Questo punto, molte volte, non è tenuto in nessuna considerazione. L'analisi dei rapporti, del passaggio fra vita economica, sociale e politica, inoltre, ha spesso indotto a confondere fenomeni di lungo e di breve periodo, e a collegare troppo rapidamente strutture di fondo, svolgimenti consistenti, pressioni meramente contingenti. I giudizi, un po' troppo perentori, sul gran peso del mercato dei Balcani, sull'espansione in Asia minore o sulla politica mediterranea, secondo me, offrono alcuni esempi tipici in proposito. Mentre, in realtà, un esame accurato delle correnti di esportazione, della loro natura, della loro entità, dei rapporti con la struttura produttiva, dei nessi eventuali con la «politica estera», è ancora da fare. La stessa classe politica, la stessa classe dirigente, d'altronde, nel 1 91 1 - 1 2 operano nell'ambito di un'Italia ancora largamente provin­ ciale e contadina, e risentono profondamente di questa condizione di cose. La mancanza di tendenze politiche nazionali consapevoli, radi­ cate e organizzate, influisce sulla formazione degli orientamenti ge­ nerali, sui criteri più diffusi, mentre lascia - e più che mai sul terreno della politica estera - una notevole libertà di manovra al governo e alle élites politiche. Una «teoria» dell'imperialismo italiano (e dei suoi rapporti con gli altri imperialismi), così, può essere plausibile, può anzi essere assai opportuna; ma può essere formulata solo tenendo conto di tutto questo, facendo riferimento alle condizioni della vita sociale e politica e della classe dirigente, senza dimenticare poi di vedere che cosa comportassero mai la teoria e la pratica della «politica estera» nell'Italia del 191 1-12. Varie teorie dell'imperialismo, direi, trascurano invece quasi completamente di stabilire qualsiasi nesso di questo tipo : come se l'imperialismo e la concezione e condotta della « politica estera» appartenessero a mondi diversi e del tutto separati 1• 1 Per lo sviluppo di questi motivi e un loro inquadramento in una prospettiva d'insieme, debbo rinviare al mio scritto su L'imperialismo e il suo ruolo 11ella storia italia11a del primo '900, in «Storia contemporanea», 1980, 1, pp. 29-56.

Il

liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

1 227

La seconda premessa può essere ancora più rapid� . La stor��grafi� ·t liana ma non solo quella italiana - in genere es1ta a stab1hre del e ideologiche e le �e�ami, dei rapporti fra le grandi tendenze politiche scelte 0 la condotta della politica estera. Questa cautela ha le . sue giustificazioni, ma spesso è spinta oltre il segno. Fausto �onz1 ha avuto ragione a notarlo, anche se, magari, si è sbila�ciato m senso pposto. «Dal piano teorico derivano i comportamenti ( ... )». Questo � un po' troppo, ma con tutte le sfumature del caso, il richiamo resta quanto mai giustificato. La guerra di Libia ha o no un rapporto con il. «liberalismo»? . rlb erar� . . Giolitti, decidendo di andare in Libia, ha adottato del cnten con 11' esso n o, per dir meglio, facendo cosl ha mantenuto o meno un . suo tipico liberalismo? Le domande risulta�o .ab?�stanza mc�nsuete, ma credo siano pertinenti. Il «liberalismo» d1 G10htt1, certo, .puo esser� di un tipo abbastanza particolare, ma, in ogni modo, s1 trat�a .d1 definirlo, di capirlo, di porsi il problema del rapporto fra s1m1l� liberalismo e la decisione di intraprendere una guerra c.o�e q� el�a d1 Libia. Quanto alla tendenza, o alla pretesa, di parlare d1 . lmpenah�mo italiano in Libia, senza nemmeno indagare la natura, 1 caratte�l, l� portata del liberalismo di Giolitti, _senza . �emmeno. s �ffermarsl su� possibili nessi fra «liberalismo» e <<lmpenahsmo», s1m1le pretesa ml sembra un po' fuori luogo, e anche un �o' st�a'.'agante. , La pretesa di separare «liberalismo» e «lmpenah�mo» puo se�br.ar� stravagante, ma, a questo punto, bisogna anche aggmngere eh� G10litt1, apposta 1n genere, e il Giolitti del 1 9 1 1-12 in specie, sembrano fattl . . t1plco suo 1l anche per escludere un rapporto _effi�a.ce fra il liberalismo, liberalismo, e la guerra d1 L1b1a. . Quando Giolitti, nel marzo del 191 1 , forma il suo governo, �l ministro degli esteri è di San Giuliano ; e nel suo caso, almeno, 1l discorso par correre senza troppe difficoltà. �iciliano, �ttento .da sem�re ai problemi dell'emigrazione e dell'espans10ne, dell Al.bama: .dell A­ driatico e del Mediterraneo, attento ai problemi dell'A�r�ca, v1cmo . a�le società geografiche e d'esplorazione interessate al c?lomalismo, �en�1b1le ai rapporti fra economia e politica �nche e p.ro,pno nel sens� 1n�1c�to da ari teorici dell'imperialismo - d1sposto c1oe a sostenere 1l cnte�10, 0 a�meno a inseguire il sogno di un'espansione dell'Italia impermat� sulle nuove forze bancarie e industriali, favorevole ad accrescere 11 _

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.


1 228

Brunello Vigezzi

ruolo dei capitali all'estero - di San Giuliano, insomma, ha molti dei connotati tipici del sostenitore dell'imperialismo del primo '900. ·An. · che se lo stesso di San Giuliano, intelligentissimo ed esperto com'è delle cose del mondo, è poi più attento di quanto comunemente si creda allo stato reale del paese; fautore di un'Italia più grande, critico di ogni «politica remissiva», ma consapevole delle debolezze, dei limiti di un'Italia che - con tutto il suo amore per l'espansione e per le colonie - non vorrebbe esporre a prove troppo ardue. Di San Giuliano, in ogni modo (pensiamo alla relazione che abbiamo appena ascoltato di Grange .. . ), è incline all'espansione coloniale. Il discorso può correre... Ma Giolitti, di primo e anche di secondo acchito, sembra il personaggio più lontano da simili tendenze. Vari studiosi, certo, hanno notato con cura «i precedenti», l'opposizione a Cairoli, l'atteggiamento favorevole a un accordo con l'Inghilterra per l'Egitto ... ; ma, anche a prescindere da altri atteggiamenti opposti e non meno significativi, come il reciso rifiuto delle velleità espansio­ niste di Prinetti all'inizio del secolo, la figura di Giolitti, nel suo complesso, a mio avviso resta profondamente aliena dai criteri, dai propositi, dai miti del colonialismo. «Piemontese», almeno quanto di San Giuliano era «siciliano», se è lecito indulgere per un istante agli stereotipi; con un senso perfino esasperato della difficoltà di una crescita dell'Italia, profondamente incline al criterio della gradualità di uno sviluppo ; assorbito dalle questioni economico-sociali, ma viste come premesse di riforme da attuare all'interno del paese; alieno dalla retorica sino al midollo ; staccato, sin troppo, dalla realtà del Mezzo­ giorno (specie dopo il suicidio dell'amico Rosano), staccato sino al punto che è giusto trovare qui uno dei suoi limiti maggiori, ma poco sensibile anche per questo alle suggestioni della politica mediterranea e ai miti dell'espansione, Giolitti, insomma, si adatta con parecchio sforzo alla figura di maggior sostenitore del colonialismo. Giolitti, certo, se si vuole, riesce a lavorare a meraviglia con di San Giuliano. Ma anche questo non cancella certe differenze profonde, che a tratti s'impongono, e che hanno rilievo anche e proprio a proposito di imperialismo. Come quando, anche nel 1913, a guerra di Libia ormai avvenuta, di San Giuliano cerca di persuaderlo dell'utilità, dell'oppor­ tunità di sottoscrivere un prestito con il governo ottomano, e Giolitti rilutta, con tutta l'anima, all'idea di «togliere dei capitali dal mercato

Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

1229

italiano (... )» 2 • L'Italia non può, o almeno non dovrebb� perm�tterselo. «Noi abbiamo molte spese da fare come governo e le mdustne hanno pure grande scarsità di capitali ( ... )». Il tratto, secondo me, rimane significativo, e colora tutta una politica. . . . . II Giolitti del 1911, poi, par lontano pm che mal dalle tentaz10�1 e dai criteri dell'imperialismo. Il Giolitti del 1911 è quello del suffrag10 universale e del monopolio delle assicurazioni. È il Giolitti, come si suoi dire con le formule correnti, che «apre a sinistra», che offre a Bissolati di entrare nel governo, sia pur senza frutto ma conservando l'appoggio del PSI, che ha comunque con sé i radicali, che rivendica - sollevando polemiche furibonde - il maggior ruolo dello Stato nell'economia, che propone il suffragio universale e che per �u.esto - spesso lo si dimentica - solleva contro di sé l'ostilità, l' oppo_s1z10n� tenace di larga parte dei settori conservatori, destando non pochi dubb1 fra i suoi stessi seguaci. Il Giolitti del 1911 è, si potrebbe �re, un Giolitti tutto riforme, politiche e sociali. Eppure, al dunque, arnvando al punto, è questo stesso Giolitti che decide di andare fn L�bia .. Il binomio, la convergenza difficile da spiegare restano quest1 ; e, _m fondo in fondo, tutti gli studiosi, e prima i politici e i polemistl, a loro modo, hanno sempre avvertito la singolarità della posizione, la natura un po' speciale del problema, impegnandosi particolarmente a trovarne una soluzione. La questione «di Giolitti e della �ibia» � p �r ��r così.' è rimas_ta una questione classica; e, al di là delle d1scus�1��1 �m teonc�e, _ a d1spetto anche delle polemiche più note o delle d1v1s10n1 pro:erb�ah _ tra . «filo>� e «anti» giolittiani, par quasi che ognuno si impegm a rmmre 1 pezz1 di un disegno, a coordinare gli elementi di un puzzle, che malgrado tutto non è così facile da ricomporre. Le interpretazioni della storia dell'Italia liberale, di Croce, di_ Salve­ mini, di Volpe, per dire di alcune fra le prime e più autorevoh, .dop � tutto, trovano un punto sensibile di differenza proprio a propos1t� d1 Giolitti e della Libia. Ma il fenomeno è continuato, e forse contmua tuttora. Nei saggi particolari o nelle storie generali, al dunque, molti, ,

·

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Si veda Giolitti a di San Giuliano, 13 gennaio 1913, in Dctflc carte di Giovanni Giolitti. a cura di C. PAVONE, Milano, Feltrinelli, 1962 p. 79.

Quarant'anni di politica italiana, III,


1 230

Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

Brunello Vigezzi

anzi moltissimi autori si sono cimentati su quel «punto sensibile», arrivando a una notevole varietà di giudizi, di ipotesi di soluzioni. che ora per comodo cercherò di ridurre a tre sole, ma senza tacere che la semplificazione, a volte, è un po' forte. Le interpretazioni, a mio avviso, sono tre; e, se non vado errato, in fondo, a tutt'oggi, dividono ancora il campo, anche perché ognuna di esse ha varianti e sottovarianti, ed ha mutato parecchio nel tempo. Le tre interpretazioni, inoltre, colgono o sottolineano aspetti abba­ stanza diversi, meritevoli di attenzione. Direi di più, e questo è un punto su cui vorrei tornare. Al dunque, spesso, esse si affiancano l'una all'altra, poiché manca un criterio effettivo di mediazione: come se, per riprendere un'osservazione che ho già fatto, fosse importante ma anche difficile intendere il rapporto fra il «liberalismo » e l' «impe­ rialismo» di Giovanni Giolitti. 1) La prima interpretazione, direi, è quella che mette senz'altro in primo piano gli elementi di rottura del vecchio equilibrio giolittiano, tendendo semmai a privilegiare i motivi d'ordine economico - struttu­ rali o meno - che hanno indotto ad andare in Libia. Mentre Giolitti si attarda nel «suo liberalismo», dipinto di volta in volta come opportu­ nista e routinier malgrado tutte le apparenze, o incline a un compro­ messo misurato e vecchio stile fra le diverse parti sociali, le forze nuove irrompono... Il Discorso su Giolitti di Togliatti (che ha avuto un'influenza così grande su una buona parte della storiografia italia­ na ... ) resta, se si vuole, uno degli esempi più chiari di questa interpre­ tazione: con la sua propensione a dipingere il declino del liberalismo e l'avvento del «capitale monopolistico finanziario»3 • Ma le forze possono essere ricostruite altrimenti; possono essere di tipo economico, sociale o anche schiettamente politico. Si pensi al prototipo offerto dal «vario nazionalismo» di Volpe; oppure si pensi a tanti altri scritti, più o meno recenti, che hanno visto in questa chiave il ruolo del «nazionalismo», collegato più o meno strettamente alla vita economica, sociale e politica del paese. 3 Si confronti P. ToGLIATTI, Discorso su Giolitti (del 1 950), in Momenti della storia d'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1963, specialmente pp. 91-92, 98-105.

1 231

2)

La seconda interpretazione ha uno spettro di variant1 mterne ancora più grande; ma, nell'insieme, tende a riconsiderare più da vicino la politica di Giolitti e i suoi rapporti con la vita italiana del tempo. Il punto chiave, semmai, sta nel fatto che, in ogni modo, il liberali­ smo di Giolitti si traduce in una sorta di «trasformismo», più o meno superficiale, più o meno esteso, più o meno negativo (e anzi, magari, più positivo che negativo per la sua capacità di riassumere e secondare le tendenze via via prevalenti...), ma pur sempre dominato dalla logica di quel mutevole adattamento alla realtà che è passato appunto in proverbio con il nome di «trasformismo». Gli echi di Salvemini, della sua immagine di Giolitti paragonato con il «sarto» intento a vestire «i gobbi», si risentono ancora; ma mescolati, se non confusi, a temi, a motivi, a criteri della più diversa origine. Giolitti, nel marzo 1 9 1 1 , apre a sinistra - suffragio universale, monopolio delle assicurazioni, legami con il PSI. .. -, ma resta il grande trasformista di sempre; e di lì a poco, per equilibrare le posizioni, promuove una politica di espansione, in modo da accontentare le destre, i conservatori, i nazionalisti, magari i cattolici, o almeno certi ambienti cattolici. Giolitti, insomma, va in Libia per « dare un conten­ tino» a nazionalisti e conservatori ... La seconda interpretazione, a tratti, può assumere questa forma sbrigativa ed efficace; ma può tradursi anche in tesi diverse e assai più elaborate, che collegano il trasformismo di Giolitti e l'impresa di Libia a motivi più complessi di politica interna, ed anzi a un moto assai più ampio, che si va diffondendo un po' in tutto il paese. Giolitti forma il suo quarto governo nel marzo del 1 91 1 ; ma 1'1 marzo è anche l'anniversario di Adua; e questa volta il ricordo custodito per tanti anni dà il via a una campagna di stampa e di opinione in pro dell'espansione coloniale, in pro della Libia, che è intensa, diffusa, incalzante, anche abbastanza orchestrata, e che trova rispondenze e consensi molteplici, diversi e persino sorprendenti. I nazionalisti, ovviamente, danno il la, con il loro nuovo settimanale «L'Idea nazionale», e con i loro svariati giornaletti locali; ma anche una buona parte della grande stampa liberale è pronta a scendere in campo, dell'ala conservatrice ma anche... dell'ala giolittiana. Il caso più clamoroso è quello de «La Stampa» di Frassati, del giornale


Brunello Vigezzi

Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

piemontese ritenuto abitualmente vicino a Giolitti, ma che ora - agisca o meno d'intesa con il governo - non esita a proclamare il suo appoggio aperto alla causa della Libia, invitando ad agire. Ci sono i giornali cattolici, vari giornali cattolici che, c'entri o meno il Banco di Roma, sono presto in prima fila, mescolando ragioni politiche, economiche e anche religiose ... , quasi si trattasse di avviare una nuova crociata. Ma c'è anche quello che potrebbe ben essere chiamato « l'imperialismo dei partiti popolari», che sta comin­ ciando a creare divisioni interne - che poi diverranno anche profonde - pro e contro la Libia, fra democratici, radicali, socialisti e sindaca­ listi più o meno rivoluzionari. L'impresa di Libia sta acquistando anzi una sua base, un suo «seguito di massa»; e qualcuno già parla della riscossa di un' «<talia proletaria», che conquista il suo spazio, sfidando le vecchie potenze capitalistiche, sperando di trovare in Libia la soluzione degli antichi problemi della fame di terra, della disoccupazione, dell'emigrazione. Il «paese», se si può dir così, chiedeva a gran voce la guerra, e Giolitti, fedele alla sua abitudine di registrare le tendenze prevalenti, se pur con qualche riluttanza, si adattava. ll suo trasformismo lo spingeva a farsi l'interprete dell'Italia del tempo, anzi il «notaio», come ha scritto con un'ombra di paradosso Sergio Romano, che nel suo libro su La quarta sponda ha ripreso e svolto con eleganza tantissimi temi di questa interpretazione4• 3) La terza interpretazione, invece, concentra la sua attenzione sulla situazione internazionale. Giolitti era intento a realizzare il suo pro­ gramma interno; e, dopo tutto, non si sarebbe risolto a una guerra, se le circostanze internazionali all'improvviso non ve l'avessero costretto, mettendo l'Italia in una situazione impossibile. La rievocazione può essere anche velocissima ... La Francia, nel 1 9 1 1 , tende ad estendere la sua azione in Marocco; ma la Germania, nel luglio, manda la «Panther» ad Agadir. La crisi si apre; poi, fortunata­ mente, si comincia a delineare un'intesa tra la Francia e la Germania. La Francia avrà mano libera in Marocco, la Germania otterrà compensi

nell'Africa equatoriale. Ma all'Italia, che resta? L'Italia - bisogna ricordarlo - da più di dieci anni stava cercando garanzie che le permettessero liberamente di sviluppare la sua influenza in Libia, poneva le premesse della sua espansione, se non dell'eventuale con­ quista. L'accordo con la Francia, che, in sostanza, metteva sui due piatti della bilancia il Marocco e la Libia, era un po' il perno dell' ope­ razione. Ma gli avvenimenti dell'estate, d'un colpo, rischiano di buttar tutto all'aria; o meglio, indicano che è venuto il momento di «riscuo­ tere la cambiale». L'Italia non può stare a guardare la Francia che si muove in Marocco, senza intervenire a sua volta in Libia. L'Italia ricorda sempre lo scacco di Tunisi; e ha già visto, del resto, la Libia in pericolo, con l'azione che ne ha ridotto il retroterra e ne ha assorbito (o minacciato di assorbire) le grandi vie carovaniere. L'Italia, se non si muove, rischia di soffocare nel Mediterraneo. O, almeno, questi sono i criteri del tempo, che anche Giolitti in larga misura condivide, e che lo inducono ad agire. La questione della Libia, cioè, diventa in breve una questione che tocca da vicino il ruolo dell'Italia fra le grandi potenze, che ne mette in forse l'effettiva capacità di farsi valere. E l'«Italia liberale» non può sottrarsi a fare la sua parte. Le tre interpretazioni, come ho accennato, si dividono ancora il campo; anche se nessuna - non è difficile accorgersene - è poi veramente preclusiva dell'altra. Se si legge uno dei tanti scritti in argomento, è anzi facilissimo che capiti di trovare motivi dell'una mescolati a quelli dell'altra. Ma tutto questo, a mio avviso, lascia aperto un problema. Le varie interpretazioni esistono, e la soluzione non sta - credo - nel confidare in un savio eclettismo. Le varie interpretazioni toccano opportunamente diversi aspetti; ma hanno, per così dire, la loro «logica», ed è meglio vedere di rispettarla, prima di cercare di confrontarle utilmente fra di loro. Personalmente, ad esempio, sono convinto che la terza interpreta­ zione ( di cui, se si vuole, si può trovare una formulazione già nella Storia d'Italia di Croce ... ) sia la più rispettosa della realtà storica del tempo, ma con una riserva : poiché un'interpretazione del genere andrebbe poi collegata, più decisamente di quanto si sia fatto, con il problema del «liberalismo» di Giolitti, dei suoi caratteri, della sua visione della politica estera e dei suoi criteri in tal campo.

1 232

4 Si confronti S. RoMANo,

1977,

pp.

8-9, 59.

La quarta sponda. La guerra di Libia 1911- 1912,

Milano, Bompiani,

1233


.,

l .

i 1 234

Il

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. Non �asta. Giolitti decide l'impresa di Libia per ragioni di politica . . mternazwnale ... Ma, una volta accettato questo, qual'è, in simili cir.co­ sta�ze� il ruol� del suo liberalismo? Che rapporto c'è fra l'ideoÌog�a . � Gli interrogativi rinascono, e, per questa via, � l �zw�e poht1ca l ult1ma mterpretazwne trova ben presto i legami effettivi con le altre due, e induce a vedere come, ad esempio, il governo di Giolitti decidendo l'impresa per ragioni di carattere internazionale ' si si� trovato di fronte alle forze economiche, o ai nazionalisti, o alla grande campagna d'opinione in corso da mesi. L� verifica, del resto, riguarda le «interpretazioni» e, come suggeri­ . . del convegno, riguarda, almeno nella stessa misura, sce l 1mpostaz10ne le «fonti». Le «fonti» sul liberalismo di Giolitti e la guerra di Libia' in effetti' sono molte, sono del genere più vario; ma, un po' come è accaduto per le interpretazioni, non sono poi state troppo collegate fra di loro. Le fonti più riservate, ad esempio quelle preziose dell'Archivio centrale dello Stato, relative allo scambio strettissimo di vedute a tre fra Giolitti, di San Giuliano e il re, non sono state messe molto s�esso a confronto con i discorsi parlamentari o extraparlamentari. Le fonti relative alla formazione delle decisioni non sono state troppo conside­ ra�e sot�� il profilo dei rapporti con le forze economiche, la stampa, o 1 partltl. n. collegamento fra i più diversi tipi di fonti, invece, può essere essenz1ale; mentre il richiamo, puntuale e parallelo, alla varietà delle inter? retazioni sollecita ancor più le domande, le ipotesi, indica l � cate� one che possono essere tenute presenti per la ricerca senza d1ment1care magari che Giolitti, per primo, con le sue Memorie, offre u�a pres�ntazione degli avvenimenti importante, ma quanto mai insi­ dws� e mgannevole : che anzi, si potrebbe dire, è importante anche per 1l �entativo, fortissimo, di persuaderei di una «verità», che poi regge fmo a un certo punto alla prova. La verifica del liberalismo di Giolitti alle prese con la guerra di Libia, insomma - tra fonti e inter­ pretazioni - può cominciare benissimo dal racconto del protagonista dall'analisi dei suoi criteri, e può sollevare più di una controversia. ' �a struttura stessa del libro, intanto, è abbastanza sorprendente: P?1c�e, � al dunq��' Gio�tti riserv� q�asi un quarto del lavoro alla guerra �1 L1b1a. C�n l amto d1 Malagod1 nevoca tutta la sua vita politica, ma, m fondo, s1 sofferma sulla Libia più che su ogni altro avvenimento ...

!iberalismo di Giolitti e l'impresa libica

1235

La guerra di Libia, certo, ha un posto rilevante nella vita italiana - Giolitti lo conferma; ma il senso delle proporzioni cosi è travolto, se non fosse che - si è indotti a riflettere - Giolitti scrive nel '22' nel dopoguerra, e tende irresistibilmente a presentare la guerra di Libia come l'esempio di guerra misurata e ben condotta da un serio statista liberale, consapevole dei veri interessi del paese, rispetto - lo si capisce ad ogni passo - alla decisione avventata dell'intervento del ' 1 5, rispetto alla guerra imposta dai «liberai-conservatori» italiani alla Salandra o alla Sonnino a un paese riluttante, senza tener conto delle conseguenze, senza capire la tremenda realtà cui andavano incontro. Le Memorie di Giolitti restano perciò una fonte indispensabile per la guerra di Libia, ma abbastanza particolare. Rendono benissimo l'idea di un'azione di governo rigorosa, efficace, complessa; offrono una quantità di notizie interessanti, ma accreditano anche l'immagine, alquanto fittizia, di un Giolitti che mantiene un dominio un po' esteriore sulle cose, una padronanza un po' incredibile sugli eventi, con la capacità costante di interpretare e riassumere gli interessi, le tendenze, le aspirazioni del paese, con l'energia necessaria per condurre con durezza «una delle solite guerre coloniali», e tutta la delicatezza indispensabile per compiere il vero e proprio «ballo sulle uova» richiesto dalla situazione internazionale5• Il lettore, dopo un po', resta perplesso. Risente l'eco delle polemiche asprissime che allora divisero i liberali italiani; avverte magari l'incer­ tezza profonda del liberalismo del tempo di fronte alle distinzioni - che parevano cosi solide, e nel 1914 sarebbero scomparse in un attimo - fra «guerra coloniale» e «guerra europea»; ma non riesce bene a misurare l'origine il valore le conseguenze di simile orienta­ mento. E le Memorie, alla fine, non per caso, lasciano irrisolto proprio uno dei problemi più delicati; giacché Giolitti, che quando vuole è scrittore chiarissimo, scrive una pagina che ha fatto arrovellare gli storici, e che getta un po' di fumo sugli avvenimenti, proprio sul punto dell'origine della guerra di Libia. 5

Si confronti, per i termini e alcuni passaggi indicativi, Milano, Treves, 1922, pp. 371-373 .

vita, II,

G. GIOLITTI, l'vie!I/Orie della 111ia


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Giolitti rievoca il programma di governo del 1 9 1 1 . « <l mio pro­ gramma conteneva tre punti fondamentali ( . . . ) ». Il primo era la «riforma elettorale»; il secondo !'«istituzione del monopolio». Quanto al terzo - nota Giolitti - esso « fu tenuto segretissimo ( . . . ) ». Il terzo era « la soluzione della questione della Libia ( . . . ) » 6 ; ma il lettore aspetta invano di sapere se Giolitti, nel marzo, al momento di formare il governo, aveva già una linea definita d'azione davanti a sé, se pensava anzi già alla guerra. ll testo può anche farlo supporre; ma le Memorie, quasi per un residuo, tacito e apprezzabile scrupolo, tendono piuttosto a lasciare irrisolta la questione, e a creare, di volta in volta, attorno ad ogni indicazione, una chiarezza illusoria, o un alone di discreta penombra. La politica di Giolitti in occasione della Libia, invece, a mio avviso, diviene tanto più plausibile e viva quanto più la si scandisce nei suoi diversi passaggi, la si distingue bene, la si vede formarsi a poco a poco, la si considera nel rapido precipitare delle decisioni. Le «fonti» ormai offrono molti elementi e, facendo tesoro delle diverse interpretazioni, si può intravedere uno svolgimento animato e ricco di significato. Nel marzo del 1 91 1 , intanto, Giolitti non pensa alla guerra; e anche nei mesi seguenti, tutto sommato, se ne sta abbastanza guardingo - specialmente, si direbbe, di fronte alle forze che stanno premendo per una « soluzione». Il governo, è ovvio, avverte la presenza di simili forze, e della grande campagna d'opinione che è in corso, ma si attiene ai suoi criteri; e il « liberalismo» tutto sommato induce, per ora, a rivendicare l'autonomia del governo ; a distinguere con una certa cura fra le ptessioni di politica interna e l'analisi della situazione internazionale; a riluttare di fronte ad una decisione così impegnativa come quella di una guerra, sia pure di una guerra coloniale. Di San Giuliano, nei suoi carteggi riservatissimi con Giolitti e con il re, segnala bensì l'azione del Banco di Roma, ne rileva la pericolosi­ tà; ma ne parla, appunto, come di una forza esterna, e anzi estranea al governo - di cui tener conto con le debite cautele. Il Banco di Roma

6

Ibid.,

pp.

287-288.

Il

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1 237

si agita, si basa sul « denaro» e sull'«intrigo », non esita nemmeno a porre una sorta di ricatto al governo, minacciando di piantare baracca e burattini e di cedere «i suoi affari in Tripolitania ad una società di banchieri austro-tedeschi». Di San Giuliano lo segnala, come un ele­ mento rilevante e magari sgradevole, che però non sposta i termini di fondo della questione 7• Il governo serba la sua libertà d'azione rispetto al Banco di Roma o agli ambienti economici. Il che non esclude certo che l'iniziativa del Banco possa disturbare; e che sia poi, probabilmente, il punto di forza all'interno della stessa colonia italiana esistente in Libia. Il peso della « colonia», tuttavia, resta, mi pare, circoscritto ; e, a parte il Banco, le mille persone presenti hanno comunque un'influenza assai limitata sul piano economico, se proprio non sono ridotte come quel «povero Maffei», rievocato anche di recente da Del Boca : fiducioso nell'espan­ sione italiana, trasferitosi da qualche tempo a Bengasi, avendo investito la sua fortuna in un piccolo albergo, e che poi, invano, «seduto sulla banchina del porto aspetta, aspetta sempre i clienti, volgendo lo sguardo sul mare ... »8• La questione centrale nel 1 9 1 1 , in realtà, resta quella politica, dei nazionalisti, dei partiti, dei giornali, della campagna d'opinione che cresce; ma, anche rispetto ad essa, il governo non pare disposto a far getto senz'altro del suo tipico liberalismo. Giolitti «è furioso contro i nazionalisti ... ». La testimonianza di Guglielmo Ferrera rievoca la Roma del maggio 1 91 1 ; e riferisce un modo di valutare la situazione sul piano internazionale che è quanto mai caratteristico. «l nazionalisti s'immaginano che la Tripolitania è il territorio di un povero merlo negro che uno Stato europeo può detronizzare quando vuole? Ma la Tripolitania è una provincia del­ l'impero ottomano e l'impero ottomano è una grande potenza europea. [E] l'integrità di ciò che resta dell'impero ottomano è uno dei principi su cui si fondano l'equilibrio e la pace dell'Europa ... » 9•

7 Di San Giuliano a Giolitti, 28 luglio e 9 agosto 1913, in Dalle carte di Giovanni Giolitti... cit., pp. 55, 57. 8 A. DEL BocA, Gli italiani in Libia, Bari, Laterza, 1986, p. 48 (ivi anche le fonti sull'episodio). 9 G. PERRERO, Potere, Milano, Ed. di Comunità, 1947, p. 326.


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La portata della testimonianza di Perrero è stata messa in forse. E l'agitazione, in ogni caso, si estende ben al di là dei nazionàlisti, sino a coinvolgere gli stessi sostenitori giolittiani, e a destare il sospetto che lo stesso Giolitti, sotto sotto, cominciasse a lasciar correre, se nòn proprio a preparare gli eventi. Gli attacchi de «La Stampa» alla politica libica, definita senz'altro come la «politica della viltà» sino dal giugno, si rinnovano ; e hanno intrigato i critici, memori dei legami tra Frassati e Giolitti. Ma la distinzione fra il governo e i partiti regge ancora; «La Stampa», sul terreno della politica estera, ha una sua tradizione d'indipendenza; e nell'estate dell'11, lo stesso di San Giuliano, co­ munque, è pronto a sottolineare la differenza : « Già ti avevo segnalato le conseguenze del linguaggio d'un giornale, ministeriale in tutto tranne che in politica estera» 10 • Il punto centrale, in effetti, per il governo resta un altro. Le «fonti», come le «interpretazioni», convergono nel segnalare che il mutamento di criteri deriva dalla situazione internazionale, dall'invio della «Pan­ ther», da Agadir, dai rapporti franco-tedeschi; e la testimonianza più pertinente, forse, resta quella di Rennell Rodd, l'ambasciatore inglese a Roma, vecchio amico di di San Giuliano che, sul filo dei ricordi, finisce con il riferire i criteri tipici del ministro degli Esteri e, in fondo, di Giolitti e del governo. L'l luglio di San Giuliano riceve da Jagow la notizia dell'invio della «Panther» ad Agadir; ed è allora che «he called in Prince Scalea, the Under-Secretary of State, and, taking out his watch, which marked five minutes to midday, observed to him that from that moment the question of Tripoli had entered on an active phase (... )» 11• L'orologio di di San Giuliano, si potrebbe dire, scandisce il tempo della guerra di Libia, con i suoi ritmi, con le sue ore. Diverse, certo - basta un accenno - da quelle destinate al «quadrante della storia» di mussoliniana memoria. Diverse, e, tra l'altro, sottoposte ancora ad un vigile, cauto controllo. L'l luglio rappresenta una svolta, ma solo relativa. Il testo più celebre, d'altronde, è quello del 28 luglio : il promemoria, con l'ag10 Di San Giuliano a Giolitti, 8 agosto 1913, in Dalle carte di Giovanni Giolitti. . . cit., p. 58. 11 F. ]. RENNELL RODD, Social and Dip!omatic Memories 1902- 1919, London, Arnold, 1925, p. 141 .

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giunta di San Giuliano «scrivo questo ( ... ) di mio pugno e ne faccio fare da persona di fiducia tre sole copie, delle quali una per Sua Maestà il re, una pel presidente del Consiglio, ed una per essere depositata nell'armadio dei documenti segreti della Consulta ( ... ) ». Ma anche il 28, in fondo in fondo, i mutamenti sono solo relativi. Il testo del 28, semmai, è uno dei testi più citati e commentati; scrutato da cima a fondo, e tirato anche per ogni verso, interpretato in diversa guisa. Come scriveva Giolitti, di San Giuliano, tra l'altro, aveva «la capacità di considerare le questioni in tutte le loro faccie ... » 12• Ma, detto questo, lasciato un margine di dubbio, il testo - mi pare - illustra ormai bene le prospettive e le alternative, le possibilità di una decisione, e i residui motivi d'incertezza e di attesa. Le ragioni predominanti, in ogni caso, restano quelle internazionali. Francia e Germania, forse, si stanno mettendo d'accordo; ma, allora, l'Italia non potrà stare a guardare : al contrario, dovrà agire, riscuotere la famosa «cambiale» libica, riacquistare anche una maggior libertà d'azione ... Tutto questo, mentre la temperatura dell'opinione pubblica cresce, e rende ancor più evidente il limite di tolleranza, arduo da ignorare. «Dal complesso della situazione internazionale e di quella locale, io sono oggi indotto a ritenere probabile che fra pochi mesi l'Italia possa essere costretta a compiere la spedizione militare in Tripolitania ... ». Di San Giuliano lo scrive; l'affermazione è importante; ma tutto questo non toglie ch'egli prosegua con l'altra frase, che ha almeno altrettanto rilievo. « È necessario ... » - di San Giuliano lo ribadisce - «tener conto di questa probabilità», certo; ma il punto essenziale non sta nell'aggiunta? « È necessario tener conto di questa probabilità, pur dovendosi, a mio avviso, cercare di evitarla». «Pur dovendosi ( ... ) cercare di evitarla». Le ragioni, di nuovo, sono quelle internazionali, che inducono a temere, se l'Italia va in Libia, che questo precipiti la crisi dell'impero ottomano, accenda le polveri nei Balcani, scateni una complicazione europea. La proposta, cosi, resta interlocutoria : che l'Italia si prepari, e alle­ stisca un corpo di spedizione, il quale, magari, servirà come strumento 12 G. GIOLITTI,

Me11torie . ..

cit.,

pp. 331-332 .


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Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

di pressione per una soluzione intermedia : un protettorato, la restau­ razione della dinastia indigena dei Karamanli, la mano libera in Libia 1 3• La linea resta duttile, aperta ancora a diverse possibilità - e Hartmut Ullrich, l'autore che a mio avviso ha seguito meglio lo svolgersi delle ultime vicende, ha rilevato giustamente l'ulteriore margine che Giolitti si riserva, le sue preoccupazioni di una guerra europea, la volontà di aspettare che l'accordo franco-tedesco sia rafforzato : almeno sino a metà settembre, ai colloqui col re, ai motivi tecnici che - chiarite le questioni maggiori - impongono la data dello sbarco 1 4. La formazione delle decisioni è graduale, lenta; la linea resta duttile; e a riconsiderare l'insieme, in fondo, si potrebbe ben riaffermare che il «liberalismo» tipico di Giolitti ispira e spiega molti aspetti di una simile condotta : la rigorosa autonomia del governo, la capacità di controllare le diverse forze e la stessa spinta dell'opinione pubblica, la costante distinzione fra le esigenze di politica interna e le prospettive di politica estera, la cautela nell'esporre il paese ai rischi di imprese avventate, la ricerca di un'affermazione sul terreno della politica coloniale, ma l'intima avversione ad ogni ipotesi di conflitto europeo. Si potrebbe ben soste­ nerlo, se non ci fosse un'ultima difficoltà da superare : poiché tanto Giolitti è stato equilibrato, flessibile, paziente, lungimirante, tanto, al momento di muoversi, diventa duro, reciso, intransigente, e anzi, com'è stato detto con qualche ragione, persino «brutale» 15 • A volte, infatti, lo si dimentica; ma l'ultimatum alla Libia, che d'un tratto chiude la questione, è un ultimatum di sole ventiquattro ore, in cui si annuncia alla Turchia che l'Italia occuperà senz'altro militarmente la Libia. L'ultimatum consente solo un'alternativa: l'Italia ha deciso l'occupazione, ed essa chiede che il governo ottomano comunichi il suo assenso, prevedendo semplicemente «ulteriori accordi» fra i due governi «per regolare la situazione definitiva che ne risulterà». Oppure l'Italia procederà per conto suo ...

L'ultimatum è uno dei più drastici che si conoscano. Ma come si conciliano, a questo punto, il «liberalismo » di Giolitti e un simile improvviso ricorso alla «brutalità»? Lo schietto uomo d'azione, una volta uscito dalle incertezze ha la ' tendenza ad abbracciare risolutamente la scelta che ha fatto · e Giolitti ' ' al dunque, secondo una lunga tradizione, è il prototipo dell'uomo d'azione ... Il liberalismo, inoltre, anche a voler prendere sul serio i criteri e le distinzioni che abbiamo visto, e a lasciar da parte il problema del carattere strumentale di ogni ideologia, ha un valore ridotto nel campo vero e proprio della politica estera attiva. O alme­ no le cose stavano senz'altro così fino alla prima guerra mondiale . . . I l liberalismo, insomma, nell'autunno del 1 9 1 1 , cede i l passo alle necessità politiche della condotta di una guerra, tanto più sbrigativa nel caso di un conflitto coloniale. Queste ragioni, che ogni tanto ricorrono, possono anche giovare a capire meglio il comportamento di Giolitti dopo il 26 settembre, e a metterei un poco nei suoi panni ; ma, secondo me, esse non risolvono il problema, che sussiste, del rapporto fra il « liberalismo» di Giolitti e la guerra di Libia. Il problema sussiste, e la soluzione, o un abbozzo di soluzione, una volta di più, può venire, credo, dall'accostamento tra fonti diverse, anzi tra le fonti più diverse - come possono essere i carteggi privatis­ simi fra Giolitti e l'aiutante di campo del re, e il discorso pubblico di Giolitti a Torino del 7 ottobre, prima manifestazione aperta dell'o­ rientamento del governo dopo l'inizio delle ostilità. Senza trascurare, va da sé, il confronto con le diverse interpreta­ zioni, le ipotesi, le « categorie», che ci possono aiutare a seguire gli avvenimenti. L'l ottobre, dunque, Giolitti scrive a Brusati, aiutante di campo del re, e gli spiega la necessità di «tener fermo il banchetto di Torino per avere occasione di spiegare ben chiaramente che l'impresa di Libia non altera il programma della politica interna ( ... ) » 1 6 •

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13 Di San Giuliano, promemoria del 28 luglio, Dalle carte di Giovanna Giolitti .. cit., pp. 525-526. 14 Si veda in particolare il capitolo su La decisione di Giolitti in H. ULLRICH, La classe politica nella crisi di partecipazione dell'Italia giolittiana, 1909- 1913, II, Roma, Archivio Storico, (Camera dei deputati) 1979, pp. 1017-1040. 15 Si veda S. RoMANO, La quarta sponda.. cit., p. 59.

1 241

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.

Giolitti a Brusati, 1 ottobre 1913, in M. PmcHERLE, La preparazione dell'opinione pubblica in «Rassegna storica del Risorgimento», 1969, 3, p. 476, (e si veda poi, per il debito rilievo dato al passo, H. ULLRICH, La classe politica. . cit., II, p. 1078). 16

all'impresa di Libia,

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20


1242

Il

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Giolitti, cioè, non solo attribuisce una notevole imp ortanza . alla riunione, ma le dà il senso dell'espressione autentica del proprio indirizzo, al di là di ogni comprensibile opportunismo. Quanto al «paese», ai partiti, ai giornali, all'opinione pubblica, l'attesa per le parole di Giolitti è evidente, e le tensioni sono già forti. I socialisti riformisti, una parte dei partiti popolari sono sconcertati e si sentono «traditi» da Giolitti, che dall'«apertura a sinistra» è passato a intraprendere addirittura una guerra. I liberali, i democratici seguono, in genere, la linea del governo, seppur con qualche esitazione ; mentre, semmai, a loro agio sono i liberai-conservatori di Salandra e Sonnino (per non dire dei naziona­ listi e di molti cattolici ... ) che, dopo tanti contrasti, vedono con gran favore l'inizio dell'impresa di Libia, predicano l'unità patriottica, incli­ nano già a distinguere fra pa�titi nazionali e nemici della nazione. Giolitti si rende ben conto della situazione ; parla a ragion veduta; e il suo «discorso di Torino» acquista rilievo anche per quest'intreccio straordinario di motivi. Ma il discorso, in questa luce, permette anche di intendere il problema del « liberalismo» ormai alle prese con la guerra; e la storiografia - a mio parere - ha avuto il torto di non considerarlo a sufficienza sotto simile aspetto. Giolitti, beninteso, rielabora anche temi cari a molti, se non a tutti i liberali, di tendenza democratica o di tendenza conservatrice. «La politica estera non può dare luogo a divisione di partiti perché domi­ nata da un solo pensiero che ci unisce tutti : quello della patria». La politica estera, Giolitti aggiunge, ha una sua natura speciale rispetto alla politica interna, poiché, spesso, deriva da circostanze complesse, indipendenti dalla volontà nazionale. Un governo, un paese, insomma, debbono cogliere le occasioni che si presentano per affermare i loro maggiori interessi; e l'Italia, dopo una decadenza di secoli, meno di altri può permettersi di mancare all'appello. La guerra di Libia, date le circostanze, è, resta perciò una « fatalità storica» ... Ma, detto tutto questo, ecco che Giolitti ribadisce punto per punto tutti i cardini della « sua» politica, la sua visione delle cose, il « suo» liberalismo, insomma : senza curarsi minimamente di semi­ nare lo scontento tra le file conservatrici. « La politica estera . . . non può dar luogo a divisione di partiti . . . », certo. « Ma - Giolitti lo specifica immediatamente - i popoli forti non devono consentire ·

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che preoccupazioni di politica estera turbino in alcun modo il loro cammino verso un grado più elevato di civiltà, e il sereno esame delle questioni di politica interna. La politica estera non deve influire in alcun modo, né direttamente né indirettamente sulla politica in­ terna, se non dal punto di vista di costituire una spinta a un più rapido progresso ... ». I conservatori, di fronte alla guerra, sognano l'unione di tutti gli elementi costituzionali, e Giolitti d'un tratto ripropone la divisione schietta, aperta, fra liberali inclini a democra­ zia e liberali conservatori sul terreno delle grandi questioni interne : il suffragio universale, il monopolio delle assicurazioni, l'apertura ai partiti e alle classi popolari. Il « liberalismo» tipico di Giolitti, insomma, continua a operare, e lo induce a disegnare una singolare prospettiva 17• In fondo, Giolitti vorrebbe condurre la guerra di Libia come una semplice guerra colo­ niale, giustificata dalla situazione internazionale, al di fuori e al riparo da ogni influenza perturbatrice sulla vita del paese. In fondo, Giolitti - lo si capisce benissimo - considererebbe una grande prova di matu­ rità che il paese, fiducioso nelle istituzioni e nelle proprie forze, conducesse la guerra seriamente ed efficacemente, senza !asciarsene turbare più di tanto. La sua prospettiva è questa, ed essa, credo, aiuta anche a capire il rapporto stabilito da Giolitti fra il liberalismo e l'ul­ timatum, fra il liberalismo e certa condotta «brutale» della guerra. Una volta scoppiata la guerra, Giolitti agisce con estrema decisione. Vari studiosi l'hanno notato, e hanno ragionevolmente chiamato in causa la sua esperienza precedente. Giolitti, con i generali e gli ammi­ ragli, agisce un po' come se si trattasse dei suoi prefetti - richiedendo una pronta, indiscussa obbedienza agli ordini. .. « Ti prego di leggere tu stesso il testo degli ordini che si danno. Ministro Marina non sa né comandare né tacere», confida ben presto a di San Giuliano 18• Giolitti, fedele ai suoi provati criteri di ministro degli interni, crede ugualmente nell'opportunità di un'azione in forze, e quando Pollio, il capo di Stato maggiore, gli propone l'invio di un

17

Da G. GIOLITTI,

pp. 259-272.

1 8 Giolitti a

di

Discorsi extraparlamentari,

a cura di N. VALERJ, Torino, Einaudi,

San Giuliano, 6 ottobre 1911, in Dalle carte di Giovanni Giolitti. . cit., .

1952, p. 67.


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Brunello Vigezzi

Il liberalismo di Giolitti e l'impresa libica

corpo di spedizione di 20. 000 uomini, egli gli ordina s enz'altro di passare a 40. 000. La presenza di tanti uomini gioverà senz'altro a tenere sotto controllo la situazione, ad affrettare la pace. Il liberalism? di Giolitti, d'altronde, ha una sua componente cospicua di paternalismo e di autoritarismo, e l'ultimatum rivela questa volontà d'imporsi, di tagliare corto, di arrivare subito al risultato. La condotta della guerra di Libia mostra subito tutti questi elementi. Ma la volontà di far presto, l'energia, la risolutezza di Giolitti hanno, credo, anche un'altra origine. La guerra di Libia, infatti, deve, dovrebbe essere una guerra breve, proprio in obbedienza al «liberalismo» caro a Giolitti. La guerra deve, dovrebbe concludersi felicemente e rapidamente, se si vuole garantire il prestigio dell'Italia nella vita internazionale, e se si vuole che, al tempo stesso, la guerra non alteri l'andamento del paese, non com­ prometta l'equilibrio interno, non rimetta in forse la distinzione essen­ ziale fra politica estera e politica interna. L'ultimatum rientra in questa logica. Lo stesso tentativo - ancora così poco studiato - di puntare sugli arabi di Libia per staccarli dai turchi, del resto, potrebbe rientrare in questo disegno. La guerra di Libia, insomma, secondo Giolitti, può nascere ancora all'insegna del liberalismo ; ma anche per questo, direi, essa è più esposta che mai alle « delusioni» che già si stanno annunciando. La ricostruzione che ho presentato, tenendo conto dell'impostazione « liberale» di Giolitti e dei suoi collaboratori, in realtà, consente di misurare assai meglio anche il contraccolpo degli avvenimenti succes­ sivi, e tutto il divario che corre fra le prospettive, le attese, i criteri della «vigilia» e gli effettivi risultati. Le «delusioni» - se si vuole usare questo termine un po' improprio in una ricostruzione storica - sono immediate e sono molte. Le « delusioni» . . . : cioè, in altre parole, il fatto che lo svolgimento assume in breve una fisionomia, una consistenza inaspettate; e soprattutto il fatto che lo svolgimento, man mano che il tempo passa, si scosta sempre di più dalle previsioni e dai presupposti « liberali» tipici di Giolitti e di buona parte dei liberali del tempo. Per un certo verso, si potrebbe dire, Giolitti ha fatto un po' come !'«apprendista stregone» della favola, scatenando mille forze che non ha saputo più dominare.

Le « delusioni», al dunque, sono proprio di tuttl 1 generi, e la storiografia, in fondo, ne offre già un elenco, se pure un po' sparso ; così che, in questo caso, può anche bastare un richiamo velocissimo. La guerra, intanto, si prolunga. Si prolunga, e muta carattere. La speranza della concordia con gli arabi contro i turchi, della funzione «liberatrice» dell'Italia, svanisce come nebbia al sole. Le prime fucilazioni dei civili locali, l'insurrezione araba, gli eccidi dei soldati italiani a Sciara Sciat, la repressione dura e spesso arbitraria , le forche, gli espatri, anzi, si inseriscono già in un processo un po' diverso dalla politica coloniale di ottocentesca memoria, cui Giolitti bene o male si rifaceva. Le reazioni si allargano. La «nazione» libica, certo, è ancora da venire. Ma le azioni e le dimostrazioni di protesta che si susseguono nelle città e nei paesi più diversi stanno prendendo comunque un significato più largo ; sia che si tratti delle manifestazioni pacifiste e anticolonialiste dell'Internazionale socialista, o delle manifestazioni panarabe, o piuttosto panislamiche. La trama è vaga, appena disegnata, non priva di elementi sputi; ma i motivi, i disegni sono altri da quelli dello schema, abituale per tanti liberali, dell'espansione europea che portava con sé la civiltà, e aveva la forza di interpretare, di assorbire le forme di protesta. La guerra di Libia, per di più, va proprio a innescare la miccia nei Balcani, come di San Giuliano e Giolitti temevano. La guerra di Libia, certo, agisce direttamente e nell'ambito di una situazione più che compromessa. L'Italia, inoltre, proprio quando le guerre balcaniche si scatenano, riesce a firmare la pace di Ouchy, quasi a sottolineare la diversità dei due processi. Ma tutti questi risultano palliativi; e la guerra di Libia, da quei giorni, è entrata nell'immaginazione comune come «una delle cause» della prima guerra mondiale . . . Le difficoltà, le crudeltà della guerra di Libia, d'altronde, hanno ripercussioni immediate anche in Italia, che sono forse ancora da misurare completamente, e che contribuiscono ad attenuare, a com­ promettere l'atmosfera, i valori, la visione della vita di stampo liberale. Lo svolgimento del resto riguarda la mentalità, l'opinione; ma tocca tanto più immediatamente e crudamente la vita politica. In breve tempo, la prospettiva, il disegno di Giolitti sono compromessi. Il «discorso di Torino», si può dire, non ha nemmeno applicazione, e cade miseramente a pezzi.

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La sfida lanciata da Giolitti ai conservatori, di fatto� gli si sta volgendo contro, poiché, come conseguenza della guerra, da un �ato la parte riformista del PSI, quella dei Turati, dei Treves, della Kuliscioff si stacca dai democratici, dà via libera all'ala rivoluzionaria; e, dall'altro, i liberai-conservatori, incalzati dai nazionalisti, dall'ipoteca cattolica, hanno buon gioco a lanciare la parola d'ordine dell'unità del «grande partito liberale». Nella primavera del 1914 Salandra si appresta a pren­ dere la successione di Giolitti, e, in questo, la Libia ha il suo peso, se pur non ha il massimo peso. A non alterare il senso delle proporzioni, a non voler anticipare troppo le cose, il «liberalismo» rimane un punto di riferimento essenziale. Quanto a Giolitti, bisogna aggiungere che, anche nel 1 914, egli ha molte possibilità di riscossa. Ma lo svolgimento storico di questi ultimi anni ha messo comunque duramente alla prova il « liberalismo», e forse ha finito con il rivelare il suo tallone d'Achille. La storiografia, come accennavo, ha già sottolineato opportunamente molti di questi aspetti; ma ha anche continuato a trascurare il rapporto fra il «liberalismo» e la «guerra», cui invece, per chiudere, vorrei tornare con qualche accenno, sia pure alquanto sbrigativo. Il liberalismo italiano, in genere, e si potrebbe anche dire il liberali­ smo europeo, dopo tutto, non si trovano molto a loro agio alle prese con un fenomeno come quello della guerra. Il liberalismo, anche se lo si dimentica spesso, è una teoria, un ideale (o un'ideologia) che presuppone la pace, o almeno tende alla pace. Il liberalismo delle origini ha, a mio avviso, e continua a mantenere anche poi, un margine rilevante di utopia. L'aspirazione alla pace fa parte, credo, di questa utopia. Il liberalismo, d'altronde, ama fare i conti con la realtà; e, posto di fronte all'indubbia esistenza della guerra, ha finito nel corso dell' '800 per assumere atteggiamenti ambivalenti, e per adottare distinzioni più o meno approfondite. ln definitiva, si potrebbe dire, anche per i liberali ci sono guerre buone e guerre cattive. Guerre buone come ad esempio le guerre di «indipendenza», le guerre «na­ zionali» ; o, più estesamente, ci sono le guerre che possono giovare alla diffusione del liberalismo, con tutto il margine di ambiguità e di arbitrio che possono comportare affermazioni del genere. La teoria e la pratica, nel corso dell' '800, suggeriscono un'altra scappatoia. La sciagura massima, l'ipotesi ad deterrendum restava la «grande guerra europea». Ma le guerre « locali» o «periferiche» erano già un'altra

Il

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cosa (come le guerre balcaniche) ; mentre le guerre «coloniali», a mag­ gior ragione, potevano essere valutate come secondarie, spesso inevi­ tabili, e magari anche utili alla diffusione della civiltà. Questi orientamenti, questa mentalità (che andrebbero studiati) sono diffusi, e hanno - secondo me - un'influenza rilevante anche nella politica effettiva. La tesi, spesso sostenuta, che il liberalismo, agli inizi del XX secolo, viene « superato dagli eventi», che perde cioè progres­ sivamente contatto con la realtà e può incidere perciò assai meno sullo svolgimento in corso - anche questa tesi può essere compresa meglio in simile prospettiva. Giolitti, in ogni caso, condivideva questa mentalità; e tutta la valutazione e la condotta della guerra di Libia risentono di questi presupposti. La sua idea che la guerra di Libia non dovesse avere ripercussioni apprezzabili in Italia, in fondo, deriva anche da lì. La « delusione» è forte, e in breve è destinata ad aggravarsi a dismisura. Giolitti, infatti, credeva soprattutto alla differenza incomparabile che correva fra le « guerre periferiche», le « guerre coloniali» e la guerra europea. La guerra europea, anzi, secondo i suoi criteri liberali, gli appariva del tutto inconcepibile; e di lì a poco, nel 1914, quando il conflitto generale scoppierà, egli non potrà che giudicarlo una vera e propria «follia» 19• La sfasatura, il distacco fra il « liberalismo » di Giolitti e la realtà, però, erano già cominciati con la Libia. La guerra di Libia, insomma, è significativa anche per questo. Essa rappresenta uno dei tentativi più singolari e più importanti di preparare, e poi di condurre, una guerra coloniale con criteri liberali : senza riuscirei. Ed è anche per questa via, credo, che si può capir meglio il suo carattere, il suo ruolo nella storia del paese, e più largamente nella storia del colonialismo (o imperialismo che sia) e del liberalismo del tempo.

19 Si confronti in tal senso la conversazione di Giolitti con Malagodi sull'origine della guerra, in O. MALAGODI, Conversazioni della guerra 1914-1919, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, specialmente pp. 24-25 (3 novembre 1916).


L'anticolonialismo italiano tra politica

ROMAIN H. RAINERO

L' anticolonialismo italiano tra politica

e

cultura

Proporsi quale tema di ricerca la storia dell'anticolonialismo italiano significa da una parte ripercorrere la tortuosa strada del coloniali­ smo-imperialismo dell'Italia tentando di riconoscere in essa un motivo ideale negativo evidenziando le idee di coloro che a questa idea dell'espansionismo italiano si opponevano con motivazioni certamente legate alle sue varie fasi. Si tratta anche, ed è questo l'impegno più stimolante, di reagire alle vecchie tesi nazionaliste e fasciste che di queste opposizioni hanno fatto piazza pulita nella storiografia esaltando, all'opposto, l'aspetto monolitico di una vera «vocazione del popolo italiano al colonialismo» ed all'imperialismo. Ed alla luce delle ricerche che si sono fatte da più parti non si possono, di certo, accettare queste tesi pur non dovendo il nostro discorso cadere nell'errore opposto sostenendo una sistematica, omogenea e conscia opposizione al colonialismo da riscontrarsi lungo l'intero arco della storia coloniale nel nostro paese da parte di una minoranza illuminata o meglio ancora da parte di una maggioranza beffata da un potere assetato di colonia­ lismo nei vari periodi e sotto le più varie bandiere, prima tra queste quella della grandezza d'Italia da affermarsi ad ogni costo e contro ogni opposizione. Una simile tesi che avrebbe valore sia nel periodo crispino, sia in quello giolittiano, sia infine in quello mussoliniano ci sembra inaccettabile e anche perché scrivere così una controstoria non potrebbe certo giovare alla ricerca della verità, di una verità storica che è più variegata ed incerta di quanto l'una o l'altra tesi potrebbe pretendere. Innanzitutto l'elemento cronologico appare determinante così come appare determinante l'elemento geografico interessato. Di tale maniera l'anticolonialismo ha potuto manifestarsi appieno in un periodo iniziale o dopo le grandi sconfitte (Dogali, Amba Alagi e Adua) ed ha potuto verificarsi a proposito di questa o di

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cultura

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quella scelta. Da una parte si riteneva che il colonialismo dovesse aspettare per l'Italia quella crescita generale del paese che certamente negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso l'Italia non registrava ancora mentre dall'altra parte era l'oggetto del progetto coloniale che suscitava opposizioni. Si era così anticolonialista in quanto an­ ti-eritreo ma non si disdegnava in taluni casi di non esserlo più allorquando si parlava di Tripolitania. Spesso peraltro ha prevalso la posizione politica generale e gli esponenti di quell'anticolonialismo erano più tentati di fare un discorso antigovernativo che un vero discorso di meditata opposizione al fatto imperialistico. In realtà l'esame delle reali condizioni nelle quali si sono sviluppate le varie iniziative coloniali dell'Italia, pare ancora da farsi. Spesso l'interesse dello studio delle condizioni diplomatiche nelle quali esse furono prese è stato troppo forte e per lo più la « questione africana» è stata vista quasi unicamente in funzione delle grandi alleanze esistenti in Europa o delle vicende diplomatiche europee. L'attenzione degli studiosi si è spesso mantenuta costante verso le sole mete più ghiotte di ricerca, che vanno dalla politica estera alla diplomazia, dagli episodi delle conquiste territoriali alle vicende militari, alle vittorie e alle sconfitte. Lo studio della questione coloniale italiana, sul piano puramente economico o su quello economico-sociale, è man­ cato e ancora oggi prevale una certa ignoranza al riguardo. Solo da taluni, ma con molte cautele e nel quadro di studi aventi altri centri di interesse, un po' di luce è stata gettata sull'aspetto più «popolare» della questione africana, che non può essere liquidata con frettolosi dinieghi circa la sua importanza presso partiti o correnti dell'opinione pubblica italiana o con una serie di episodiche prese di posizione, segnate da date «fatidiche» delle varie tappe della storia coloniale quali Assab, Dogali, Adua, Tripoli o Addis Abeba. In realtà, fin da quando in Italia si cominciò ad agitare presso l'opinione pubblica e il governo la questione coloniale, l'eventualità cioè di un'espansione italiana in Africa o in Asia, essa si trovò natu­ ralmente collegata con altri problemi la cui soluzione condizionò a poco a poco opposizioni e consensi. Sviluppo delle correnti com­ merciali, necessità di un inserimento italiano nel concerto delle cosiddette «grandi potenze» e soprattutto esigenza di risolvere, almeno a parole, il problema dell'emigrazione e la questione meridionale

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furono altrettanti pretesti o motivi di interessi degli italiàni verso le questioni coloniali . Ma la stessa eterogeneità delle scelte, delle priorità, delle aspirazioni e dei problemi da risolvere portò spesso a un intéresse generico, a diatribe continue tra i fautori delle varie soluzioni e ·al perpetuare polemiche ed amarezze. Se la seduzione dei ricordi imperiali di Roma poteva dirsi presente presso coloro che ricollegavano alla presa di Roma un valore mitico e permanente, quasi tornasse d'obbligo alla nuova Italia, con Roma capitai�, soddisfare l'ideale di una nuova «missione imperiale» da a�tu�r�1 �el mo�do, non mancarono voci che opposero a simili aspira­ . Zloill l d1meghl della realtà politica, economica e morale assai meno esaltante nella quale l'Italia si trovava a dover vivere. Ma nel com­ plesso, per una serie di motivi e di equivoci che Federico Chabod ha assai bene delineato nelle sue Premesse alla storia della politica estera italiana, la visione della missione di Roma nel mondo dagli strati più conse�va:ori dei cattolici, assertori convinti della Roma papale, passò a costltUlre premessa di azione anche presso i mazziniani, che vagheg­ gl. �vano l �avve� to d�lla terza Roma, la Roma del popolo dopo quelle �el .Cesan e del pap1. E non solo di costoro, bensì anche dei giober­ tlam, con l'eredità dell'esaltazione del primato italiano, e di chi come Quintino Sella, scorgeva in un cosmopolitismo scientifico la 'nuova missione di Roma. Ben a ragione si poté affermare che Roma tornava ad e�sere idea-base delle maggiori correnti ideologiche del pieno Ri­ sorg:ment� e che, agli occ�i della rr:aggioranza, « �orna era dunque la . . umversale, . m1ss10ne, l 1dea 1l proposlto cosmopollt. lco, Roma, missione, primat�, terza età del mondo» e che «le grandi ombre del passato torregg1avano nuovamente sulla città dei sette colli» 1. Ma, pur dando ad una simile componente dell'opinione pubblica, che travalicava i tradizionali confini della Destra o della Sinistra il ' peso che le è stato da tempo riconosciuto, va precisato che, a mano a mano che la politica italiana si avventurava, invero con incertezze e dubbi, sulla strada delle conquiste coloniali, andò precisandosi e pren­ dendo forza, a partire dai più vasti strati popolari e politici, una 1 F . CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, 1951, p. 210.

Milano-Bari, ISPI-Laterza,

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reazione anticolonialista la quale, per convinzione propria, per delusioni sociali, economiche o militari o per continuità di ideali risorgimentali, si precisò fin dalla prima occupazione coloniale italiana, prendendo via via forza dalle difficoltà incontrate in Africa o in Europa dai programmi attuati dal governo, dalle stesse vicende politiche interne italiane e dal nascere di nuovi partiti e di movimento di opinione pubblica alieni da simili pericolose «avventure». Si può ricordare quanto ha osservato Carlo Giglio, allorché sottolineava che « dal viva Massaua del 1888 si passò al via dall'Africa del 1896», e più tardi da «Tripoli bel suol d'amore» ai meditati rifiuti dopo Sciara-Sciat o dopo la lunga guerriglia cirenaica 2• Sia agli inizi sia nel primo Novecento come più tardi nel periodo imperiale, l'esasperata tensione sociale, le dimensioni della questione meridionale, gli sviluppi dell'emigrazione con la sua crisi con il blocco fascista, la depressa situazione economica dell'intero paese e molti altri fattori costituivano indubbi elementi di interesse assoluto o prevalente presso le élites intellettuali alla ricerca di una propria dimensione e di disinteresse quasi totale presso le masse che non potevano certamente essere inserite se non in via episodica e, quasi loro malgrado, nel quadro dell'anticolonialismo militante. I motivi erano chiari a tutti in quegli anni, in Italia, e lo stesso Sidney Sonnino li precisava con efficacia allorché ricordava (nel 1 872) che esisteva «nella parte più bassa e forse più numerosa della società un cumulo di sofferenze, di scontenti, di odii e di rancori» e che questa situazione minava ogni politica ed ogni governo3• La debolezza del governo stava nel fatto che «la grandissima maggioranza della popo­ lazione, più del 90% di essa, si sentiva estranea alle istituzioni» e che per questa maggioranza non si trattava tanto di vivere accet­ tando gli obiettivi e la stessa legge della minoranza, quanto di riformare ab imo «la legislazione che ne è sorta, legislazione parziale che dei principi liberali si preoccupava solo in quanto toccavano la 2 MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI - COMITATO PER LA DOCUMENTAZIONE DELL'OPERA DELJ:ITALIA IN AFRICA, L'Italia in Africa. Serie storica I. Etiopia-Mar Rosso, t. I, 1857- 1885, a cura di C. GIGLIO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1958, p. 32 3 S. SoNNINO, Del governo rappresentativo in Italia, Roma, Botta, 1 872, p. 33.

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vita e le sorti dei ceti privilegiati»4• E se queste erano le considera­ zioni di uno statista della fine del secolo, si può bene affermare che in genere questo tipo di osservazione può solo dirsi confermato anche dopo la prima guerra mondiale con, in sottofondo, ad aumen­ tare l'intensità, le delusioni dopo i sacrifici singoli e collettivi patiti per ipotetici e lontani vantaggi. Ridimensionata così la sfera di interesse e quindi di azione della maggioranza del popolo, si deve anche ricordare come per quell'oli­ garchia ideologica, che della questione coloniale in Italia si occupò nella cornice di un convinto anticolonialismo, l'azione politica ed il proselitismo fossero in un simile ambiente assai modesti nei risultati, a meno che qualche fattore esterno ed occasionale, per esempio la sconfitta militare, non provocasse spontanei quanto epidermici moti in tale senso. Anche per le questioni coloniali si possono ricordare le affermazioni sull'indifferenza operaia e popolare per la « grande politica» che de­ nunciavano taluni esponenti dell'estrema Sinistra, accusati dai gruppi operaisti di essere solo «politicanti» i quali, invece di organizzare la vera lotta di classe contro il capitale, offrivano agli operai meri diver­ sivi politici. Il disinteresse delle masse operaie non era un mistero per nessuno :

a qualsiasi movente : essa era legata all'azione e agli ideali di pochi, che seppero però preparare ed elaborare il sottofondo ideologico a quel movimento di opposizione, sempre più popolare si potrebbe dire, che si sviluppa, sia in concomitanza di sconfitte diplomatiche subite dal governo in altre questioni, sia in relazione alle delusioni economico-emigratorie provate dopo gli acquisti coloniali e sia, soprattutto, in seguito alle costose spedizioni militari in Africa e alle loro clamorose vicende negative (Dogali, Amba Alagi o Adua). Anche nelle occasioni politiche più impegnative, quali le elezioni, l'assenza di motivi coloniali è caratteristica anche nei partiti di oppo­ sizione, i quali preferiscono argomenti assai più incisivi, quali il problema economico, la questione meridionale, la polemica delle banche, i rapporti con il papa, ecc. E ciò malgrado che l'intero problema delle espansioni nel mondo fosse vivo un po' dovunque nel paese sia per l'eccezionale rigoglio di pubblicazioni geografiche, sia per l'attività svolta da molte società di esplorazioni geografiche o africaniste e da individui singolì, anche nel quadro della polemica sull'emigrazione. Proprio su questo argomento relativamente vicino al problema coloniale si può registrare da parte delle opposizioni delle estreme di Sinistra e di Destra una presa di posizione, che anticipava un argomento che poi diventerà caro alle opposizioni anticoloniali, quello della priorità dello sviluppo civile ed economico dell'Italia nei riguardi di qualunque altra politica «quasi s'illudessero - nota acutamente Bulferetti - di dovere o di potere perseguire soltanto scopi limitati apolitici» 6• Per gli uomini della Sinistra si trattava soprattutto di condannare un sistema che in quattordici anni di governo «non seppe far altro fuorché accumulare miliardi di debiti (. . . ) e scoraggiare l'opera del quotidiano lavoro produttivo, sospingendo, a migliaia per anno, i giovani nostri coloniali ad emigrare alla ricerca di un pane, da una terra ricca per natura, impoverita per malgoverno ( . . . )?». E nell'auspicare <<Una politica estera liberale e conservatrice (. . . ) non augurando altre lotte che quelle

« credete proprio - giunse persino a domandarsi " Il Fascio della democrazia" - che le dimissioni del tal deputato o le questioni dell'irredentismo o le conven­ zioni ferroviarie siano argomenti che interessino gli operai? No, essi hanno da pensare alla difesa delle primordiali condizioni di vita, vogliono vivere, prima di occuparsi di politica, e perciò in primo luogo vogliono lavoro ed una giusta retribuzione del loro lavoro, e sanno che questo si può ottenere soltanto con la lotta di classe, con la resistenza contro i padroni : l'organizzazione di questa lotta e non altro è il compito del partito operaio che si distingue per ciò da tutti i partiti borghesi (... ) » 5 .

La vicenda dell'anticolonialismo non può, quindi, almeno ai suoi primordi, essere ricollegata ad una reazione delle masse dovuta

4 In., Il suffragio universale. Discorso del deputato S.S. pronunciato alla Camera dei Deputati il 30 IJJarzo 1881, Roma, Botta, 1881, pp. 4-5. 5 I disoccupati di Torino, in «Il Fascio della democrazia», 20-21 clic. 1884.

6 L. BuLFERETTI, Introduzione alla storiograjia socialista in Italia, Firenze, Olschki, 1949,

p. 118. in «Gazzetta livornese», 25 giugno 1874, (citato da G. l'opposizione !IJBridionale, Milano, Feltrinelli, 1956, p. 129).

7 Manifesto <<livornese;; della Sinistra,

PRoCACCI, Le elezioni del 1874 e


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della civiltà e del lavoro»8 la Sinistra ricadeva anche in questa occisione in un generidsmo che non poteva mancare di tradire incertezze e i con­ trasti del programma dei suoi membri più influenti. Malgrado l'evidente interesse storico a precisare momenti e mo­ venti di queste prese di posizione anticoloniali nei vari periodi storici e a proposito dei vari protagonisti di quell'anticolonialismo, poco è stato fatto. Pur nel grande rigoglio di pubblicazioni storiche al riguardo si è più o meno ancora sulle posizioni del 1 888 quando non certo uno storico, ma un politico esortava a raccogliere docu­ menti e memorie atti ad illuminare le « origini e le responsabilità di codesto vero delitto nazionale che è l'impresa d'Africa»9• Nelle grandi storie nazionali, e persino nelle storie coloniali, poco spazio è stato riservato all'opposizione anticolonialista, che talvolta è stata inten­ zionalmente ignorata, specie nel periodo fascista, durante il quale ogni affermazione dell'anticolonialismo, di quella che allora si definiva la « simpatia pei barbari», è stata denunciata con vigore ed ogni scritto di questo tipo veniva definito riunione di « odiose parole» non degne certo di figurare in una storia «veramente nazionale» dell'Italia 10 • La storia dell'anticolonialismo italiano è ancora ferma a�la ricerca di gran parte del materiale, delle fonti e della interpreta­ zwne delle testimonianze, ben lungi quindi da quella histoire sincère che Seignobos auspicava « senza reticenza, senza alcun riguardo per le opinioni già espresse, senza accomodamenti per le versioni ufficiali, senza rispetto per i personaggi celebri e per le autorità costituite» 11. Evitando ogni illusione ed ogni preconcetto politico e non cadendo nel tranello della storia patriottica alla rovescia, che non è meno parziale e deformante dell'altra nazionalistica o peggio fascista, si può affermare che l'anticolonialismo presenta nella storia d'Italia una 8 Manifesto della «Sinistra giovane» Le elezioni del 1874 ... cit., p. 136). 9 Cfr. la prefazione di D. Papa

in «<l Pungolo», 13 ago. 1874, (citato da

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L'anticolonialismo italiano tra politica e ct�!tura

G. PROCACCI,

a G. CHIESI G. NoRSA, Otto 111esi d'Africa, Milano, Aliprandi, 1888, p. 14. 10 Sono parole di C. MAsi, Vecchio giomalis!JJO coloniale, in «Annali dell'Africa Italiana», 1943, 2, p. 357. 11 CH. SEIGNOBos, Histoire sincère de la nation française. Essai d'une histoire de l'évolution du peuple français, Parigi, Rieder, 1933, p. VII.

certa continuità di fondo che talvolta assurge a motivo popolare e dominante e quindi esso nel suo complesso, con i suoi momenti forti e le sue crisi, merita di essere posto in particolare luce. Non essendo predominio di alcun gruppo politico specifico, andando esse nel tempo dall'estrema Destra all'estrema Sinistra, dai cattolici ai socialisti, dai repubblicani agli anarchici, dai radicali ai conservatori, lo studio dell'anticolonialismo non ha la preoccupazione di ricercare in modo costante il consenso dell'opinione pubblica. E non va neppure ignorata la trappola del consenso popolare, vigoroso magari ma senza vero costrutto ideologico. Ben lo sottolineava, tanti anni or sono, il Colapietra che non man­ cava di precisare in un caso specifico, il dopo 1 896, che fa anche da cartina di tornasole per l'intero anticolonialismo : «le irruenti manife­ stazioni di massa milanesi e napoletane dopo Adua, e così l'episodio, poi generalizzato, delle rotaie divelte a Pavia sono da riportarsi più ad un'esplosione sentimentale d'insofferenza e di condanna anziché da valutarsi come soluzione cosciente di una immediata propaganda» 12• Nel lungo periodo, infatti, l'anticolonialismo italiano appare conti­ nuamente minacciato da cedimenti, crisi e revirements. Questi riguardano sia i gruppi politici sia gli uomini : fu il caso di alcuni tra i massimi esponenti del socialismo, sulla carta l'oppositore ideologico per eccel­ lenza, i quali invece indugiarono in un larvato colonialismo (Arturo Labriola, Romeo Soldi, ecc.). E così anche l'opposizione cattolica, la quale aveva deprecato il colonialismo (italiano) poco prima di Tripoli, tornerà a ricordarsi della spada e della croce per allinearsi integralmente, sotto il fascismo in occasione della spedizione etiopica, alle tesi imperiali del governo di Mussolini. È chiaro che va ricordato che non mancarono in questi strati politici coloro che si opposero a simili «tradimenti» e l'Arfè ne ha ricordato alcuni, ma vale la pena di ricercare proprio attraverso essi e la loro azione quella continuità che forse il movimento anticolonialista non riusd quasi mai ad avere sul piano organizzativo politico e partitico lungo l'intero arco della storia coloniale dell'Italia 13.

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IZ R. CoLAPIETRA, Il Novantotto. La crisi politica di fine secolo (1896- 1900) ,

1959, p. 8. 1 3 G. ARFÈ, Les socialistes italiens, in Le socialis111e et la mouvement social», oct. - déc. 1963, p. 71.

Milano, Avanti!,

question coloniale auant 1914,

in «Le


�1 Romain H. Rainero

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· Significative appaiono a questo riguardo, nel periodo pre-regime fascista, le pubblicazioni che ancora in tema di polemica coloniale puntualizzarono l'opposizione anticoloniale e le violente denunc� che esse provocarono in chi sosteneva gli «ardimenti» e accusava gÙ anticolonialisti di «lesa patria», di «micromania», o di essere semplice­ mente «spiriti gretti» e «anime perverse», « dimentichi del popolo e della patria», «ululanti d'ira partigiana» 14. E dopo l'avvento del fascismo imperiale e razzista gli oppositori saranno vittime dei tribunali speciali e spesso non distingueranno il loro discorso anticolonialista da quello antifascista che li mobilitava tutti. Sul piano delle categorie dell'anticolonialismo vale la pena di fare un po' di ordine tra le idee e gli uomini. Non potendo ovviamente essere assoluti in questa panoramica come qualcuno lo fu storicamen­ te15, si possono tuttavia ricordare molti, cinque o sei, anticolonialismi di cui uno solo di tipo ideologico completamente cosciente, coerente e permanente. Le altre oscillarono di qualità ed andarono dal tipo politico passeg­ gero, che altro non era che episodica opposizione, al tipo economico, che voleva limitare le spese o investire i risparmi in altre attività di 14 Sono espressioni di P.

in A tti della R. Napoli, 1899, 30, p. 309. 15 Per un autore anomino della flne del secolo essi erano di quattro categorie: « 1 o - I piagnoni che vengono da tutte le scuole e stanno in mezzo a tutti i partltl e rappresentano il triste fenomeno del nervosismo sociale del nostro tempo; essi fanno lamentazioni da sagrestia e piagnistei da femminette ogni volta che giunge da Genova e da Napoli notizia di emigrazioni di contadini ed artigiani senza lavoro, di professionisti senza clienti, di artisti senza impresari, di autori senza editori e lettori. 2° Gli ortodossi della politica e della economia che, chiuso l'intelletto nelle vecchie formale, l'avvenire sociale non possono dedurre dal movimento continuo degli studi e dagli esperimenti e risultati nella pratica delle teorie riguardo allo sviluppo delle popolazioni ed alle leggi politiche ed economiche che lo governano. 3° - Tutta la pleiade dei censori di ogni iniziativa e d'ogni ordinamento, i quali chiaman­ dosi democratici offendono un partito che, glorioso in tutto il mondo, in Italia specialmente ha splendore di vetuste tradizioni; questi censori che, in mezzo alla calma del popolo, vanno facendo rumore assordante di pazze contumelie e di proclami rivoltosi, male o poco o niente conoscendo gli studi sociali, fmanco non sanno o dimenticano la sapienza politica del più grande uomo della democrazia moderna, di Giuseppe Mazzini, di cui essi, proprio, si dicono discepoli, offendendone così la santa memoria. 4° - I nazionalisti inflne che, devoti al concetto classico del diritto nazionale, non possono TuRlELLO, La virilità nazionale e le colonie italiane,

A ccadn11ia di Scimze morali e politiche,

L'anticolonialismo italiano tra politica e cultura

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« �u�� governo, dal sentimentale, quasi legato al mito letterario del 1ta vahd la selvaggio» e dell'esotismo, al giuridico, che affermava ica del assoluta del principio di nazionalità e quindi l'illiceità giurid ad va fatto coloniale, a quello più parziale ancora, che si limita la essere anticolonialista perché era antieritreo o antisomalo preferendo Libia o qualche altra parte del globo per colonia. a, Con tutte queste categorie di anticolonialismo, però, la realtà italian e nsion dime dal 1 869 fino alla prima guerra mondiale, poté trovare una egri popolare che non abbracciava certo le tesi di . un Cristoforo � un d1 («Ma l'Africa ci attira invincibilmente»), ma pmttosto . �uelle . coloma�e Colaj anni («La democrazia(... ) respinge e combatte la poht1ca econo in nome della scienza e della storia, in nome del diritto, della Andrmla ea e della morale»), di un Ghisleri per 6giungere a gridare con Costa: «Né un uomo né un soldo ! » 1 . n� st.ro Sul piano degli uomini il discorso si restringe assai essendo ildefm ue panorama nazionale limitato a pochi esponenti che potremo nte: Ar­ realmente esponenti di un anticolonialismo meditato e coere � ri�ssu� cangelo Ghisleri, Napoleone Colajanni e Paolo Va�era po�son m1non mere i periodi di questo pensiero, il quale peraltro m molt1 altn no ha trovato conferme e adesioni. Da questo panorama losi dposso �lla. riu� peraltro escludere quasi tutti coloro che, attorno al . tav� Et10p 1a, s1 m ta nione di Bruxelles del 1 936 contro la spedizione fasc1s loro appa re riunirono per protestare contro l'aggressione all'Etiopia. Il da che mo, più dominato da fattori politici contingenti, l'antifascis è legata alla idealità permanenti di anticolonialismo. La loro polemica nto la loro grande battaglia contro il governo di Muss olini e perta dichiarata fede antimperialista non appare convincente né sul momento,

-

non p�sson� ascoltare la voc� dei comprendere la maggior larghezza del diritto dell'uman�tà,1gnora nt1 ed 1 nolentl nel faticoso gh ano missionari ed il rumore delle armi che trascin dramma della vita storica ». Crispi. Il Parlamento e il Paese, Roma, Voghera, (UN ITALIANO , La colonia italiana in Africa e F. 1896, pp. 13-14). 1 6 c. Negri in «Bollettino della Società geografica», 1 875, 12, p. 226 ; N. C�LAJANNI: A. CosTA, Dichiarazione alla Camera .det dep11�at1, Politica coloniale, Palermo, Clausen, 1891, p. 320; speciale su La poltttca colomale, tornata del 3 febbraio 1 887 ; A. GHISLERI, Premesse al fase.6 bis, pp. 1 17-124. 887, 1 », Critica e e «Cuor supplemento del 2° trimestre di


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né dopo. Basterebbe vedere come costoro o la loro maggi�ranza .non avesse problemi a richiedere, a guerra finita, la «riconsegna>> delle colonie italiane all'Italia ed a farlo con tutti gli argomenti che la � olita logica colonialistica della fine del secolo aveva già enunciato : l'emi­ grazione, il lavoro... la civiltà. E così solo per pochi il vero messaggio di un passato sofferto e spesso episodico di anticolonialismo poté essere consegnato alla nuova epoca italiana nel ricordo dei grandi fondatori di questo pensiero che ritrovarono attualità solo nel 1 949, allorquando Carlo Sforza eresse a politica ufficiale dell'Italia la libertà dei popoli già coloniali, propu­ gnando così l'inizio vero del processo di decolonizzazione mondiale con il primo anello delle indipendenze riconosciute alla Somalia, alla Libia ed all'Eritrea. Il pensiero dei tre grandi pensatori non tornò peraltro alla ribalta e neppure gli studi storici ne fecero costanti mete di rivisitazioni. Un paio di convegni su Ghisleri, un raduno a Como su Valera ed uno su Colajanni : ottime iniziative certo anche se spesso a margine del problema coloniale ed in ogni caso poco per ripercorrere i testi fondamentali di un pensiero che omogeneo era e che forse meritava di essere più conosciuto dall'Italia di oggi per arricchire l'Italia di domani.

ENNIO DI NOLFO La persistenza del sentimento coloniale zn Italia nel secondo dopoguerra

Sul finire di un lavoro complesso, lungo e, forse, faticoso, come quello compiuto durante questo convegno di studi, tanto ricco di voci e accenti stimolanti, oltre che l'esigenza della concisione vi è quella della conclusione in relazione al vario argomentare sviluppato in molte relazioni. Anche il tema del colonialismo italiano va riportato all'in­ terno di questo obiettivo. Il problema introduttivo consiste nel porre, sebbene in termini molto generali, una domanda preliminare : esiste oggi ancora una cultura o una mentalità colonialistica in Italia? La risposta è tendenzialmente positiva, non solo e non tanto per certi marginali e?isodi della cr�n�ca delle relazioni fra l'Italia e le sue antiche colome (come la L1b1a), quanto per un doppio ordine di ragioni più generali che rip�opo�go�o� in altre vesti, concetti antichi. La prima di questa serle. d1 ragwm s1 ricollega al concetto di «missione occidentale». L'idea che esista una «missione occidentale» rispetto ai popoli già dominati colonialmente, una missione che non si esaurisce nei concetti di espiazione o di aiuto, ma che si estende a quelli di legami permanenti e aiuto a crescere per poter dare contenuti reali a un rapporto di dipenden��/�nte:di? en­ denza, questa idea risorge nelle occasioni meno preved1b1h; s1 npre­ senta per bocca delle forze politiche più inattese. La seconda di questa serie di ragioni riguarda oggi il nodo «non separato né superato» dello sviluppo delle antiche colonie. Il problen:a ha suoi aspetti storiografici generali, che presuppongono un seno studio del trasferimento di tecnologie dalle singole madrepatrie alle colonie. Headrick, nel suo splendido saggio su questo argomento, ha studiato i contenuti reali e i limiti di tali trasferimenti, per concludere che la responsabilità principale delle potenze coloniali sia stata soprat­ tutto quella di aver trasferito tecnologia senza avere trasferito cultura


l .

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La persistenza del smtimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

della tecnologia, con il risultato di lasciare sguarniti i paesi precipito­ samente giunti all'indipendenza1 • L'analisi di Headrick present� q. sua volta il limite di essere suscettibile di una esemplificazione a contrario, che persino la cronaca politica si incarica di fornire. Si prenda ad esempio un caso che riguarda direttamente l'Italia e che è ancor oggi (fine 1989) di bruciante attualità. L'Etiopia odierna è il paese a reddito pro-capite più basso del mondo. Militarmente essa è dilaniata dalla guerra civile. Politicamente essa è stata sino a pochissimi anni fa dipendente o dalla Gran Bretagna o da una delle superpotenze. , E possibile dire, come cittadini del mondo e come italiani, che la sua indipendenza abbia avviato a soluzione i suoi problemi? O, invece, è solo il caso di dire che la fine della dipendenza ha dato un volto nuovo a problemi antichi e immutati? L'autorevole settimanale britannico « The Economist» scrive in pro­ posito : «La Banca mondiale afferma che l'Etiopia è il paese più povero del mondo ( ... ) Cinquant'anni di colonizzazione italiana hanno reso l'Eritrea

una forma sempre nascosta di neocolonialismo? Oppure è proprio il ritorno sugli antichi trasferimenti di tecnologia (così come di cultura e di capitali investiti) che consente una crescita sana benché interdi­ pendente anche nei paesi già coloniali? Non è l'interdipendenza l'ele­ mento che (sia pure in vario grado e in modi diversi) caratterizza la condizione àttuale delle relazioni economiche internazionali? Ecco dunque alcune delle domande generali suscitate dal dibattito di queste giornate. Seguirle sino alle loro estreme conseguenze sa­ rebbe tuttavia assai rischioso poiché porterebbe a trattare tematiche troppo vaste e troppo interdisciplinari, cariche di trabocchetti per chi non può essere intrinsecamente interdisciplinare. È opportuno dunque rettificare in parte l'affermazione fatta all'inizio e apparente­ mente paradossale. Certo oggi non esiste più in Italia - se non come folklore - il colonialismo vecchia maniera. Esistono modi nuovi di affrontare il problema dello sviluppo, modi che si fanno sentire anche sul piano storiografico. Ma in questa sede, e più modestamente, varrà l'impegno di discorrere unicamente del modo in cui il vete­ ro-colonialismo si estinse in Italia. Si badi bene : non è il caso, né il compito di questo intervento, quello di ripercorrere a rovescio un itinerario sul quale tanto lavoro di ricerca è già stato compiuto : da Silva a Volpe, da Chabod a Morandi, da Rainero a Rumi, da Grassi Orsini a Goglia (per non citare che pochi nomi) a grandi linee, il colonialismo italiano è stato visto nelle sue radici più profonde e strutturali; la sua cultura, scandagliata con pochi vuoti. Si sa : distruggere è più facile e più rapido che costruire. Ma cogliere le radici più profonde del processo distruttivo lo è forse meno. Per questo è stato necessario delimitare cronologicamente il tema; poi procedere per accenni e assaggi, lasciando che alcuni argomenti restino sospesi nell'attesa che altri voglia occuparsene, qualora ciò non sia già stato fatto per casi determinati3.

differente, dandole quelle infrastrutture e quello spirito commerciale che mancano ancora all'Etiopia. Nelle montagne dell'Eritrea, soldati etiopici demora­ lizzati, a fatica si contrappongono ai partigiani del Fronte di liberazione del popolo eritreo. Lontano dal fronte [all'Asmara] un capitalismo su

piccola scala, di stile italiano e lavori pubblici [anch'essi] di stile italiano tengono gli affari in movimento. L'Eritrea ha il 6 per cento della popolazione etiopica e il 30 per cento della sua industria. La maggior parte si trova all'Asmara»2• Diagnosi giornalistica, questa, che però mette il dito sulla piaga. È sempre poi vero che non vi fosse trasferi­ mento di cultura della tecnologia, oppure l'esempio citato porterebbe a conclusioni diverse da quelle suggerite da Headrick ? Si tratta di una domanda non retorica che riconduce alla questione più generale della persistenza di una cultura colonialistica in Italia. È possibile distinguere in maniera netta fra cultura colonialistica e cultura della collaborazione per lo sviluppo, quali che siano le conseguenze secondarie di questo sviluppo? Ha senso ancora considerare l'aiuto per lo sviluppo come

1 D.R. HEADRICK, The Tentacles of Progress, Technology Transfer in the Age of Imperialism 1850- 1949, Oxford, Oxford University Press, 1 988. 2 « The Economist», 21 October, 1989.

1261

3 Italia e A lgeria. A spetti storici di un'amicizia tJJediterranea, a cura di R. H. RAINERO, Milano, Marzorati, 1982 ; L'Italia e il Nordafrica contemporaneo, a cura di R. H RAINERO, Milano, Marzorati, 1 988; S. BoNo, Storiografia e fonti occidentali sulla storia della Libia 1511-1911, Roma, l'Erma, 1982; B. BAGNATO, Bourghiba in Italia nel 1951. Decolonizzazione e alleanze italiane, in Storia delle relazioni internazionali, Firenze, Olschki, 1988, pp. 395-415.


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La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

Un pnmo accenno riguarda la scelta dei criteri di delimitazione cronologica. Non tanto per il termine a quo, in un certo · senso ovvio, quanto per il termine ad quem. Generalizzando, si potr�bb� dire che il sentimento, o la nostalgia coloniale sopravvivessero in Italia sino all'estinguersi di quella generazione che quel sentimento aveva vissuto con forza. Con tutto il rispetto e - la deferenza per il ricordo dell'uomo, per la sua cultura di africanista, per il fervore della ricerca e, non ultimo, con i condizionamenti dei legami di un'amicizia personale, basti riflettere sull'itinerario culturale di uno studioso come Carlo Giglio, per lunghi anni protagonista degli studi di africanistica in Italia. Orbene chiunque scorra il suo volume ' ' pubblicato nel 1 965, su Colonizzazione e decolonizzazione4 non potrebbe non restare colpito dal grande sforzo compiuto dal suo autore per liberarsi dagli stereotipi della cultura colonialistica, ma anche dal loro prepotente riaffacciarsi, spesso conscio, talora inconscio, in molte pagine di ciò che veniva proposto come sintesi e ripensa­ mento di un'esperienza chiusa. Si parla del 1 965, ma si potrebbero citare esempi successivi. Invece la cesura viene situata nel 1 952 o nel 1 952-54. Infatti fu in quel momento che, fra la rivoluzione di Neguib in Egitto e la sconfitta subita dai francesi a Dien Bien Phu, nel Viet Nam, divenne evidente che anche i colonialisti che avevano vinto la seconda guerra mondiale non potevano farsi illu­ sioni. Si avvicinava anche per loro non il declino (già in corso da tempo) ma la fine. Il 1 960 era prossimo. E se il colonialismo dei vincitori veniva travolto dalla forza delle armi, quale mai ruolo potevano conservare le nostalgie italiane, pur anche ridotte al pro­ getto di una «bella figura» in Somalia? In altri termini, ciò che era parso ancora possibile come ipotesi culturale (concepire un ruolo di guida per le ex colonie) diventava d'un tratto desueto. La no­ zione di guida (così ricca di contenuti neocolonialistici) era travolta da quella di autodeterminazione reale. Parlarne in Italia in termini diversi da quelli meramente culturali diventava un anacronismo o un traslato dello scontro politico della guerra fredda. In quel

momento diventava allora assa1 vantaggioso fare sfoggio dell'anti­ colonialismo più accentuato. Non fu, questo, un approdo al quale si giunse linearmente. Anzi, fu un approdo che impose alla cultura politica italiana il dovere di superare molte contraddizioni e ambiguità. È appena il caso di accen­ nare, dal momento che questo intervento si colloca immediatamente prima di quello, ben più autorevole in proposito, di Gianluigi Rossi alla lunga battaglia sostenuta dagli italiani per salvare il salvabile del loro patrimonio coloniale, durante i negoziati di pace. In proposito vale tuttavia la pena di rilevare una prima contraddizione : questa battaglia si sviluppò tutta sul piano internazionale ma fu rispecchiata all'interno da una sorta di gara fra i partiti sulla loro diversa capacità di raggiungere il risultato. Destra a parte, sia il centro democristiano, sia i partiti laici, sia la sinistra socialcomunista si contendevano il primato dello zelo per mostrare chi fosse il più devoto difensore della tradizione coloniale dell'Italia 6• Già all'indomani della conferenza di Potsdam, che aveva fissato i criteri per la preparazione dei trattati di pace, si tenne presso il Ministero degli esteri, allora tenuto da De Gasperi, una riunione alla quale parteciparono, accanto al ministro, l'ex sottosegretario agli esteri, Giovanni Visconti Venosta, il segretario generale Prunas, Saragat, allora ambasciatore a Parigi e esponente di primo piano del Partito socialista di unità proletaria, e il governatore Enrico Cerulli, esperto di problemi coloniali. Dal verbale di questa riunione risulta con vivida chiarezza come, fatta eccezione per il Dodecanneso, la cui assegnazione alla Grecia era data, pur a malincuore, per scontata, e per l'Etiopia, i dirigenti della diplomazia e della politica estera italiana prevedessero di poter difendere la conservazione di tutte le colonie italiane prefasciste : dalla Tripolitania alla Cirenaica, dall'Eritrea alla Somalia. Cerulli, colonialista allo stato puro, riprendeva persino il tema del popolamento della Libia

1 262

S,

5 1980.

4

C. GIGLio, Colonizzazione e decolonizzaziom, Cremona, Mangiarotti, 1965.

Cfr. infatti G.L. Rossi, L'Aji-ica italiana verso l'indipendenza, 1941-1949, Milano, Giuffrè,

6 Cfr., ad esempio, in proposito i saggi di M. G. Enardu, R. H. Rainero, A. Canavero, D. Ardia, nel volume L'Italia e la politica di potenza in Europa, 1945- 1950, a cura di E. DI Nm.Fo, R. H. RAINERO e B. VIGEZZI, Milano, Marzorati, 1988.


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come valvola per la soluzione dei problemi demografici italiani?. Natu­ ralmente i primi contatti con la realtà delle intenzioni alleate avrebbero spazzato via queste illusioni, ma il fatto stesso che tali discorsi for�as­ sero il punto di partenza del Ministero degli esteri italiano alla vigilia dei negoziati di pace ha un'eloquenza che non esige commenti. Tuttavia, benché gradualmente circoscritte, le speranze italiane non cessavano di esistere. Nenni, come titolare del Ministero degli esteri dal giugno 1946 al gennaio 1 947, ebbe per alcuni mesi il compito di guidare la battaglia per la difesa delle colonie prefasciste, che il trattato di pace lasciò come problema aperto, demandato alle Nazioni Unite; e Togliatti, specialmente dopo che i sovietici rinunciarono, nel maggio 1 946, alla loro richiesta di ottenere l'amministrazione fiduciaria sulla Tripolitania, assunse un atteggiamento sempre più favorevole alla tesi dell'amministrazione ita­ liana, certo per contrapporsi alle tesi britanniche, ma anche senza lesinare apprezzamenti vecchio stile sulla missione civilizzatrice dell'Italia con ' dò adagiandosi nello stereotipo colonialista per definizione8• È noto del resto che anche nel 1 948, durante i negoziati per il Patto atlantico, il governo, cioè De Gasperi e Sforza, fecero la loro parte perché l'adesione italiana fosse condizionata all'appoggio dei membri del Patto in sede ONU, ai fini della concessione all'Italia in amministrazione fiduciaria almeno della Tripolitania9• Era un atteg­ giamento speculare rispetto a quello comunista, poiché trovava la sua ragion d'essere nel riferimento al quadro internazionale. Ma era pur sempre l'espressione di una sovrapposizione di concetti che rivela il profondo spessore del colonialismo italiano del tempo. Quando, il 17 maggio 1949, l'assemblea generale dell'ONU bocciò il compromesso Sforza-Bevin, che per l'appunto assegnava oltre che

7 Cfr. il «Verbale della riunione intervenuta il 1 2 agosto (1 945] per esaminare la situazione in vista della prossima conferenza della pace a Londra» in ARCHIVIo SToRICo DEL MINISTERo DEGLI ESTERI [d'ora in poi ASMAE], A rchivio riservato della segreteria generale, documenti su «Modifica di armistizio e pace 1945-1 946», fase. II, 1945 (dove il documento è riportato con la data errata del 2 agosto 1945). 8 A. CANAVERo, Nenni, i socialisti italiani e la politica estera, in L'Italia e la politica di potenza ... cit., pp. 239-241 ; S. GALANTE, Il PCI e la genesi della politica d'impotenza, ibid., pp. 305-306. 9 In proposito: M. ToscANo, Appunti sui negoziati per la partecipazione dell'Italia al Patto A tlantico, in Pagine di storia diplomatica contemporanea, II, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 445-51 9.

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la Somalia anche la Tripolitania in amministrazione fiduciaria all'Italia l'opinione pubblica italiana reagì, in grande maggioranza e attraverso i canali rappresentati dai partiti o dalla stampa d'opinione, con una brusca svolta in senso anticolonialistico. I partiti di sinistra, allora divenuti partiti d'opposizione, freschi appena della battaglia contro l'adesione al Patto atlantico e pronti a combattere quella contro la ratifica di tale alleanza, ebbero la possibilità di trasformare la sconfitta diplomatica di Sforza in un argomento contrario all'efficacia dell'ap­ poggio dei nuovi alleati, e di conseguenza in un motivo di ostilità alla ratifica. Ma proprio l'uso di questa argomentazione rivela la persistenza di un preconcetto colonialistico, poiché essa assimila il controllo coloniale alla nozione di interesse italiano. A sua volta, il governo reagì in maniera altrettanto brusca, appoggiando, diversamente da ciò che esso aveva fatto nel mesi precedenti, la tesi dell'indipendenza completa della Libia e dell'Eritrea, con un mutamento che non espri­ meva certo la presa di coscienza della fondatezza dell'indipendentismo ma la ritorsione rispetto alla politica delle potenze alleate. Questo punto mette in luce però la contraddizione di fondo che in quel momento condizionava una rielaborazione più accurata della posizione italiana rispetto al colonialismo. La partecipazione allo schie­ ramento atlantico era avvenuta, come a Roma si sapeva bene, grazie soltanto all'appoggio della Francia, la quale aveva adottato tale atteg­ giamento come punto di forza per far passare il carattere continentale e mediterraneo di un'alleanza che avrebbe dovuto garantire anche il territorio non metropolitano della Francia, cioè l'Algeria Un vincolo di gratitudine impediva agli italiani di spingere sino in fondo manife­ stazioni autonome di volontà su un piano così delicato. Ma, più ancora, non diversamente dagli Stati Uniti e certo in maggior misura, consi­ derati i rapporti di forza, l'Italia restava attanagliata dalle contraddizioni interne di un'alleanza composta da potenze tradizionalmente colonialiste 10

11

,

1 ° Cfr. in proposito C. SFoRZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, La politica estera italiana dal 1947 al 1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 126-158. 1 1 In proposito un contributo su fonti primarie in B. BAGNATo, France and the Origins of the A tlantic Pact, in The A tlantic Pact Forty Yeari Later. A Historical Reappraisal, a cura di E. DI NoLFo, Berlino-New York, de Gruyter, 1 991, pp. 79-109.


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e potenze anticolonialiste (di più o meno recente tradizione). Il tema coloniale era un potenziale elemento di rottura della NATO (come· gli eventi di Suez nel 1 956 avrebbero dimostrato), ma finché la contt�d­ dizione non fosse esplosa in modo aperto, l'Italia veniva risucchiata (come gli Stati Uniti) su posizioni di persistente (anche se latente) appoggio ai paesi coloniali, posizioni che finivano per intralciare le speranze in un'azione autonoma verso il mondo coloniale. Sul piano della cultura politica questa ambiguità, che solo la crisi del 1 956 avrebbe definitivamente consentito di superare, ma che aveva preso corpo già con l'affiorare del cosi detto neoatlantismo come espressione del progetto di far assumere all'Italia una posizione più elastica nell'applicazione degli obblighi atlantici rispetto al Mediterraneo orientale e al mondo arabo e come tendenza a rafforzare il carattere economico-politico dell'alleanza rispetto a quello militare 12, sul piano culturale la questione acquistava altre interessanti valenze, che consen­ tirebbero di mettere in luce oltre che le profonde radici del coloniali­ smo italiano, la sua capacità di adattamento alle circostanze. Un esempio soltanto. Nel gennaio 1 946, per iniziativa del Centro di studi coloniali dell'Università di Firenze, ebbe luogo nel capoluogo toscano un convegno sul tema : «Aspetti dell'azione coloniale italiana in Africa», concluso da un documento «accorato e pensoso» (cosi lo definiva Giuseppe Vedovato), nel quale si faceva appello al Ministero degli esteri perché l'Italia non fosse privata di colonie che aveva acquistato in Africa «non per fini imperialistici, ma per assoluta esigenza collettiva : l'esistenza», e che aveva fecondato «col più duro seme : il lavoro». Perciò il documento continuava auspicando che l'Italia, «rinata a vita sicuramente democratica» rimanesse «in Libia ' Eritrea e Somalia», cosi da poter continuare a svolgere quel ' compito sacro ' «che conduce all'autogoverno coloniale» da essa sentito «per indubbia istanza di tradizione e da lei svolto con sicuri segni di realizzazione». Gli atti del convegno, dominati da una relazione di Gennaro Mondaini, sono ricchi di espressioni dalle quali sarebbe

12 Cfr. su ciò in sintesi E. DI NoLFO, «Pmver Politim> : The Italian Pattem ( 1951- 1957), in Power in Europe? (1950- 1957). A t The Origins of the ECC, a cura di E. DI Nm.Fo, Berlino-New York, de Gruyter, 1 992, pp. 530-545.

dopoguerra La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo

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mente scon­ agevole trarre succose citazioni. Ma più che queste, ovvia ere l'elenco tate e, in definitiva, ben comprensibili, colpisce lo scorr i man�arono dei partecipanti al convegno e quello di coloro che .: Dan1lo De messaggi di adesione. Tra i primi, Roberto Almag1a, lo Orv1. �to � Micheli, Giacomo Devoto, Paolo Graziosi, Livio Livi, Ange Bresc1an1 Aldo Sestini ; tra i secondi : Gaspare Ambrosini, Costantino ieli, Gino Turroni, Piero Calamandrei, Enrico Cerulli, Francesco Gabr ricondu� Luzzatto, Ugo Guido Mondolfo . Personalità non certo tutte ili ai contenutl cibili a comuni matrici ideologiche e tuttavia tutte sensib . 13 . di un d1scorso che m quel momento appanva umvoco diplomatici Più ricca di indicazioni complesse è la corrispondenza dei cogliere forse italiani nell'arco di tempo trattato. Qui si possono zione e pro­ i caratteri più compositi che l'impasto fra realismo, tradi . . mo. l n1ahs posta operativa acquistava, traducendosi in in�onscio .neo�? � e, questo, Poiché al di là della candida perorazione d1 alcum mltl italiano : radi­ l'aspet:o più rilevante della persistenza del colonialismo e, per trarre cato nella tradizione di adattare le forme alle realtà nuov da queste i maggiori vantaggi. re a Parigi, Nell' ottobre 1 947 Pietro Quaroni, allora ambasciato scriveva al ministro degli esteri, Sforza: •

imperfettamente di quanto la «Temo che noi non ci siamo ancora resi conto che agandistico, impostata � for�a nostra attività per le nostre colonie sia, dal lato prop _ . E troppo chiaro che no1 mtendia­ e con formule che non corrispondono più ai tempi della Società delle nazioni, cioè una mo il mandato dell'ONU come un mandato si sono que l� eh� �ann� men� foglia di fico per coprire la parola colonia. I france . moc1 �h mglesl e g� ; figuna naso il . scrupoli di tutti, ma anche loro arricciano _ si deve parlare di mdip�ndenza, �l americani, e tutti gli idealisti dell'ONU ( . . .) . Oggi iani : ossia es�ttamente � cont�ar10 selj-government, si deve parlare di indigeni e non _di ital_ _ c1a�o col dire che nol vogliam� comm n01 di quello che noi facciamo ( . . .) . Bisogna che _ _ ( . . .) b1sogna che nol issime ndent indipe i, che le nostre ex colonie siano indipendent ni e non di colonie italiane» 14. parliamo di Commonwealth italiano di libere nazio

!

Ù� 13 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE, CENTRO DI STUDI COLONIALI, A spetti dell'azione ital ana d1 studi Centro e, Firenz 1946, gennaio 1 29-3 e Firmz i, Africa. A tti del convegno di studi colonial . . . . coloniali, 1946. 14 Lettera di Quaroni a Sforza, 6 ottobre 1947, in ASMAE, Direzione generale affan poltttct [d'ora in poi DGA P], b. 378.


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Quaroni seguiva con coerenza un disegno del quale · conosceva egli stesso lo scarso realismo. Tuttavia il suo modo di pensare ·�ra tutt'altro che isolato. Non è possibile, in questa sede, una serie troppo lunga di citazioni 15• Per dare qualche passo indicativo bastino alcuni altri assaggi. Nell'ottobre 1 953, De Strobel, responsabile dell'ufficio III della Direzione generale affari politici del Ministero degli esteri, scriveva al segretario generale Del Balzo (il quale annotava a margine del documento il suo pieno consenso) le seguenti note : « Ho la sensazione che sino al 1 9 51 circa, tutto il possibile sia stato fatto da parte italiana per salvare il salvabile nel settore coloniale, dopo la guerra perduta : fino a quando cioè vi è stata la speranza di mantenere una qualche forma di nostra ingerenza diretta nelle colonie. Dopo aver perduto tale possibilità (. . . ) non vi è più stata una politica di governo nei riguardi di tali territori ( . . . ). Ciò premesso , non voglio affatto sostenere che l'Italia debba riprendere una politica di grande ' envergure ' nei riguardi delle terre d'Africa, ispirata a un nostalgico colonialismo o a ragioni di prestigio. Mi pare però giunto il momento in cui, a livello responsabile, si debba considerare una linea d'azione e determinare degli obiettivi, grandi o piccoli che siano, rendendosi finalmente conto dell'attuale situazione ( . . . ) . Insomma o si sanziona definitivamente l'opera di liquidazione che è in corso, o si fa mac­ china indietro e si fissano i limiti e gli oneri finanziari di una politica costruttiva» 1 6 • Nelle sue annotazioni a queste proposte ispirate a buon senso postcolonialistico, Del Balzo annotava di temere le reazioni nei nostalgici del colonialismo. Vi erano ancora nostalgici? Ebbene, basta leggere la relazione sul disegno di legge per la soppressione del Ministero dell'Africa italiana (che dunque allora sopravviveva a nove anni (1 954) dalla fine delle guerra), per trovare espressioni che non richiedono commenti. La soppressione era necessaria, per adeguare la struttura dell'esecutivo a una realtà inequivocabilente mutata. Un'Africa italiana non esisteva più, se non per la breve 1 5 Si veda in generale su tale argomento B. BAGNATo, Vincoli atlantici e aspirazioni mediter1-attee, Firenze, Ponte alle Grazie, 1 992. 16 Appunto di De Strobel, per il ministro degli esteri Pella, ottobre 1953, in ASMAE, DGA P, b. 863.

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esperienza da compiere in Somalia (dove l'��ministrazione fiduciaria sarebbe giunta a termine nel 1 9 60). Il Mimstero. ��dava. soppresso e tuttavia « l'opera dell'Italia in favore della civihzzazwne e del progredire del territorio africano » non poteva essere int�rr�tta, ?erché . si apriva a essa <mn' era nuova di sviluppo, di. rel�ziom : di assistenz.a ( . . . ) per la valorizzazione economica del terntono afncano . e per Il progresso materiale e moral� �� quelle par�i .de!la po��laz10ne che . (erano) ancora in una fase di pm arretrata civilta». «V e - seguitava la relazione- tutta un'opera da svolgere, tutta una collaborazione da mettere in atto necessità da soddisfare, tanti compiti da assolvere ; e l'Italia che h� contribuito tanto efficacemente alla risurrezione di buona parte del continente africano, e che si sente legata a quelle popolazioni da vivissime correnti di simpatia, non può essere �ssente ed essere estranea da tutto ciò ; il che deve tener su e potenziare un organo che sia in grado di mettere la nazione nella possibilità di partecipare efficacemente, in collabor�zione. ed i� concor�enza con altri popoli europei, alle iniziative di ogm specie eh� nguar �ano . quel continente, sia sotto l'aspetto del suo progresso poh:Ico, sociale, economico, culturale, sia sotto il riflesso più concreto di un popola� mento emigratorio che dia possibilità di lavoro e di benessere a fo.rtl aliquote d'immigrazione da parte di paesi sovraccarichi di popolaziO­ ne», fini, questi, per i quali veniva indicato il potenziamento dell'I­ stituto italiano per l'Africa 1 7• Erano accenti non dissimili da quelli negli stessi anni usati dal « Comitato per la documentazione dell'opera italiana in Afr�ca», costi­ tuito con decreto interministeriale nel 1 952 e promotore di una mas­ siccia serie di pubblicazioni, fra le quali un numero limitato sol�anto si distaccava dal cliché nostalgico. La stessa composizione del Com1tato, come rileva R.H. Rainero, era tale da precostituire un esito scontato, dato che su 24 membri, 1 6 appartenevano alla categoria degli ex-governatori o alti funzionari del governo coloniale italiano 18 .

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1 7 Riportata nella relazione allo schema di disegno di legge concernente il riordinamento dell'Istituto italiano per l'Africa, in ASMAE, DGA P, 1954, b. 56. . . m Italza daglz anm. 60 1 8 R. H. RAINERO, Gli studi sul colonialismo italiano, in Gli studi ajrzcamstzcz ad oggi, Ron1a 25-27 giugno 1985. Atti del convegno, Roma, Istituto itala-africano, 1986, pp. 95-117. .

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La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

Ennio Di Nolfo

Si trattava saltanti di residui, che gli eventi del 1 952-54 stavano spazzando via? La questione può essere risolta con una pura e semplice risposta affermativa. La rivoluzione nasseriana in Egitto e la ribellione delle colonie francesi nell'Africa settentrionale fecero capire anche ai nostalgici che l'era del colonialismo tradizionale era conclusa per sempre e che gli italiani potevano considerare ora con un certo distacco la passata delusione per l'insuccesso di tutti i tentativi di tenere un piede in Libia. Nel 1954-56 appariva assai più produttivo mantenere rapporti di collaborazione con l'Egitto anticoloniale e sviluppare ve­ nature critiche contro il colonialismo francese. Tuttavia resta da chie­ dersi quanto, in tale atteggiamento, fosse il risultato del cambiamento generazionale e culturale e quanto fosse il frutto del sentimento di rivalsa : la soddisfazione perché la nemesi storica ripagasse in egual misura chi aveva voluto condannare il colonialismo italiano senza rendersi conto del fatto che tale condanna portava dentro di sé la condanna di tutti gli altri colonialismi europei. Tuttavia, la crisi di Suez, consentendo la saldatura fra posizioni italiane, anticolonialismo americano, esigenze legate alla lealtà verso la massima potenza atlantica, e vaghezze del neoatlantismo, finiva per rappresentare un'occasione quasi unica perché al suo seguito si verificasse una sorta di catarsi anticoloniale. Dopo di allora le tracce del passato scomparvero rapida­ mente dall'azione politica italiana e persino sul piano culturale, a una storiografia rimasta tenacemente attaccata ai modelli tradizionali inco­ minciò a subentrare una storiografia più attenta a svincolarsi dalle formule tradizionali per affrontare in modo diverso temi che il movi­ mento anticoloniale aveva incominciato a proporre come temi di ricerca sull'identità degli stati nuovi più che come temi di ricerca sulla bontà (o efferatezza) dell'azione dei colonizzatori antichi 19• L'intervento potrebbe considersi concluso a questo punto. Ma come ora sottrarsi alla necessità di un ritorno all'esordio? Nei trent'anni trascorsi dalla fine del colonialismo molte cose sono cambiate sia politicamente, sia culturalmente, sia storiograficamente (pertanto . Le nostalgie colonialistiche hanno lasciato il passo alla cultura anticalo-

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19

Un bilancio in Gli st11di africanistici.. . citata.

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nialistica. Questa, ai temi dello sviluppo e dei rapporti fra colonizza­ zione, postcolonizzazione e sviluppo. Non è forse il caso, se è lecito concludere con una domanda, di tentare allora una sintesi più ampia, meno appassionata forse, ma capace di tener conto dell'involuzione verificatasi nel mondo africano e in altre terre già coloniali dopo la fine del colonialismo per studiare con più cura, come l'opera di Headrick suggerisce, il reale contenuto dei trasferimenti accaduti du­ rante il periodo coloniale, le ragioni della persistenza di alcuni di essi, le ragioni della scomparsa di altri : le ragioni, in altri termini, del diverso processo di sviluppo seguito dai paesi già coloniali, in quanto correlate con l'esperienza della colonizzazione? Ma di procedere senza i preconcetti della condanna in nessuna delle due direzioni che l'impeto dell'azione politica suggeriva in passato e forse può ancora suggerire?


INDICE DEGLI AUTORI Aga Rossi Elena, II, 771 Barletta Giuseppe, II, 997 Bertinaria Pier Luigi, II, 1 063 Bessis Juliette, II, 793 Betti Claudio Mario, II, 702 Botti Ferruccio, II, 1 124 Bronchini Silvano, II, 1 1 1 1 Brandina Michele, I, 600 Cadioli Beniamino, II, 959 Calandra Eliana, II, 1 1 50 Calchi Novati Giampaolo, I, 1 66 Ciampi Gabriella, II, 669 Crociani Piero, II, 1 1 01 D'Amoja Fulvio, I, 521 Della Valle Mauro, I, 21 1 Della Valpe Nicola, II, 1 1 68, 1 1 83 De Vergottini Tomaso, I, 560 Di Nolfo Ennio, II, 1259 D'Ippolito Lucia, I, 488 Durante Michele, II, 1 008 Ferrara Patrizia, I, 77 Filesi Cesira, I, 464 Fonzi Fausto, I, 438 Frattolillo Fernando, II, 1 1 83 Gabriele Mariano, II, 1 076 Garcea Antonio, I, 1 49

Gazzini Mario, II, 1 1 93 Ghisalberti Carlo, I, 379 Goglia Luigi, II, 805 Grange Daniel J., I, 547 Grispo Renato, I, 1 5 Guillen Pierre, I, 200 Iacona Erminio, I, 1 1 3 Lala Donatella, II, 1 029 Lodolini Elio, I, 57 Mack Smith Denis, I, 1 96 Marcus Harold G., II, 728 Martina Giacomo, II, 905 Melis Guido, I, 41 3 Minerbi Sergio, II, 943 Missori Mario, I, 253 Moffa Claudio, I, 259 Mulas Maria Antonietta, II, 9 1 4 Ortolani Salvatore, I, 287 Pankhurst Richard, II, 735 Pastorelli Pietro, I, 31 Pellegrini Vincenzo, I, 294 Pescosolido Guido, I, 566 Petricioli Marta, II, 691 Pieretti Marina, I, 334 Puletti Rodolfo, II, 1207


1274

Rainero Romain H., II, 1248 Ricci Aldo G., II, 1 050 Romano Sergio, I, 21 Sbacchi Alberto, I, 87 Scrivano Riccardo, II, 645 Segrè Claudio, I, 536 Serio Mario, I, 45

Indice degli autori

Surdich Francesco, i, 477 Taddia Irma, I, 349 Toccafondi Valerio, II, 1 1 1 6 Tosatti Giovanna, I, 366 Triulzi Alessandro, I, 1 56 Vigezzi Brunello, II, 1225

III. PoLITICA E IDEOLOGIA

IND I CE

RICCARDO SCRIVANO, Letteratura e colonialismo GABRIELLA CrAMPI, La scuola nelle colonie MARTA PETRICIOLI, Le missioni archeologiche CLAUDIO MARIO BETTI, Le missioni religiose HAROLD G. MARCUS, To Be or not to Be Emperor : Haile

Sellassie and Ita!J, 1936- 1939 RICHARD PANKHURST, Resistance to Itafian Colonialism : the Case of the Ethiopian Patriots (1936- 194 1) ELENA AGA RoSSI, Il futuro delle colonie italiane nella politica inglese e americana durante la seconda guerra mondiale JuLIETTE BESSIS, La minorité italienne de Tunisie LUIGI GOGLIA, Africa, colonialismo, fotografia : il caso italiano ( 1885- 1940) GIACOMO MARTINA, << La Civiltà cattolica>> e il problema coloniale italiano

MARIA ANTONIETTA MULAS, Un funzionario del Ministero degli esteri nello Stato liberale : Giacomo Agnesa ( 1860- 1919)

IV.

645 669 691

702 728

735 771

793 805

905 914

ECONOMIA E SOCIETÀ

SERGIO MINERBI, Tentativi territorialisti ebraici in Tripolitania ed in Etiopia

BENIAMINO CADIGLI, Il problema delle comunicazioni postali fra

Italia ed Eritrea dall'insediamento in A ssab all'occupazione di Massaua (1879- 1885)

943 959


1276

l

Indice

Indice

GIUSEPPE BARLETTA, L'apporto del Salento alla colonizzazione

agricola e demografica in Libia alla vigilia della seconda guerra mondiale MICHELE DURANTE, Pesca, ostricoltura e ricerca idrobiologica nelle colonie italiane d'Africa attraverso le carte dell'A rchivio del regio Laboratorio di biologia marina di Taranto DoNATELLA LALA, L'emigrazione dal Salento in Africa orientale italiana negli anni 1935- 1940 ALDO G. Rrccr, La ferrovia Tunisi-La Goletta nella crisi ifa­ lo-francese del 1880- 188 1

VI. LA SOCIETÀ ITALIANA DI FRONTE AL COLONIALISMO

' 997 1008 1029

nelle campagne coloniali MARIANO GABRIELE, La Marina militare, le esplorazioni geografiche e la penetrazione coloniale PIERO CROCIANI, Costituzione e scioglimento della Polizia dell'Africa italiana SILVANO BRONCHINI, L'A eronautica della Somalia ( 1950- 1960) VALERIO ToccAFONDI, La cartografia coloniale italiana FERRUCCIO BoTTI, A spetti logistici e amministrativi delle campagne coloniali italiane ELIANA CALANDRA, Prigionieri arabi a Ustica : un episodio della guerra italo-turca attraverso le fonti archivistiche NICOLA DELLA VoLPE, Truppe coloniali e prima guerra mondiale : studio di un mancato impiego NICOLA DELLA VOLPE - FERNANDO FRATTOLILLO, Mire espansionistiche e progetti coloniali italiani nei documenti dell'Ufficio storico dello SME MARIO GAZZINI, I prigionieri italiani in Africa. Appunti sulla questione del lavoro RODOLFO PULETTI, La cavalleria nelle truppe coloniali ( 1885- 1956)

BRUNELLO VIGEZZI, I/ liberalismo di Giolitti e l'impresa libica RoMAIN H. RAINERO, L' anticolonialismo italiano tra politica e cultura

ENNIO Dr NoLFo, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra

Indice degli autori

1050

V. MILITARI E POLITICA COLONIALE PIER LUIGI BERTINARIA, Dottrina, strategia, tattica e logistica

1277

1063 107 6 1 101 1111 1116 1 124 1 150 1 168 1 183 1 193 1207

1225 1248 1259 1273


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