A caccia di tracce
il gomitolo delle agane
La Grande guerra nel Friuli occidentale tra percorsi didattici e approfondimenti culturali
Lis Aganis Ecomuseo Regionale delle Dolomiti Friulane
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~.... ~A\ nis © 2015 Lis Aganis , Ecomuseo Regionale delle Dolomiti Friulane Via Maestri del Lavoro, 1 , 33085 Maniago (Pn) tel. + 39 0427 764425, fax+ 39 0427 737682 celi.+ 39 393 9494762 / 3 info@ecomuseolisaganis.it,www.ecomuseolisaganis.it
P.EGIQNE AUTONQMA Fr.I~LI VENEZIA GIUUA
Progetto L'altra mobilitazione. Riflessi locali per educare alla pace L.R. 11/2013. "Bando per la concessione di contributi per la realizzazione di progetti educativi e didattici finalizzati ad ampliare la conoscenza e a favorire la riflessione sui fatti storici della Prima guerra mondiale" Partner di progetto: Associazione Lis Aganis-Ecomuseo delle Dolomiti Friulane, capofila Consorzio Culturale del Monfalconese Ecomuseo Territori. Genti e Memorie tra Carso e Isonzo Istituto Comprensivo di Caneva Istituto Comprensivo di Maniago Istituto Comprensivo di Meduno Istituto Comprensivo di Montereale Valcellina Istituto Comprensivo di Travesio Istituto d'Istruzione Superiore di Maniago Istituto "Livio Saranz" Comune di Staranzano Il volume è stato curato da Chiara Aviani - Coordinatore Associazione Lis Aganis. Le immagini, fotografie e contributi sono stati raccolti nei lavori di gruppo delle varie classi e fedelmente trascritti. Le altre immagini e fotografie riportate appartengono ad archivi privati. Le mappe degli itinerari sono state realizzate da Laura Guaianuzzi. Un ringraziamento particolare a tutti gli alunni, studenti, insegnanti e dirigenti delle Scuole che hanno partecipato al progetto, all'Ecomuseo Territori e al Consorzio Culturale del Monfalconese, ad Alberta Maria Bulfon, Giuliano Cescutti, Laura Guaianuzzi e Alessandro Fadelli per gli approfondimenti e i documenti che hanno messo a disposizione.
Progetto grafico della collana e impaginazione: Interattiva , Spilimbergo (Pn) Edizione e stampa: Lito Immagine, Rodeano Alto (Ud) ISBN 978-88-973 77-53-5
A caccia di tracce La Grande guerra nel Friuli occidentale tra percorsi didattici e approfondimenti culturali
Lis Aganis Ecomuseo Regionale delle Dolomiti Friulane
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Tra gli obiettivi prioritari che l'Associazione si prefigge, la salvaguardia delle conoscenze occupa giustamente il gradino più alto. Questo progetto ha avuto l'ambizione di andare a riscoprire "La Storia" cercando di riconoscere, all' in terno di vicende che i nostri territori hanno vissuto piuttosto tragicamente, valori che le comunità locali hanno saputo custodire con gelosa riservatezza. Sicuramente interessante la scelta di andare a "toccare con mano" elemen ti che rimandano ad accadimenti che possono sembrare assurdi ma che van no certamente capiti per il contesto geopolitico del periodo. I risultati, signifi cativi dal punto di vista didattico, sono il frutto di una accurata preparazio ne della parte formativa incentrata principalmente ad una "aperta e guida ta" modalità di ricerca. Con estrema modestia, un contributo seppur picco lo crediamo di essere riusciti a darlo con questo lavoro; che è stato utile per riconoscere sia qualche elemento trascurato che, nei rimandi del passato, le giustificazioni e l'esercizio del Potere che attraverso la guerra ha aggredito po polazioni inconsapevoli della portata dei conflitti stessi e che ancora oggi, con modalità radicalmente cambiate, sia nelle forme che nei risultati, pratica.
Giampaolo Bidoli Presidente Associazione Lis Aganis Ecomuseo delle Dolomiti Friulane
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L'altra mobilitazione Riflessi locali per educare alla pace Chiara Aviani
Il progetto I; altra mobilitazione. Riflessi locali per educare alla pace ha partecipato al "Bando per la concessione di contributi per la realizzazione di progetti educativi e didattici finalizzati ad ampliare la conoscenza e a favorire la riflessione sui fatti storici della Prima guerra mondiale" relativo alla L.R. 11/2013. Un progetto dunque nato nel 2014, che ha visto l'Associazione Lis Aganis- Ecomuseo delle Dolomiti Friulane come capofila di un particolare partenariato con il Consorzio Culturale del Monfalconese - Ecomuseo Territori. Genti e Memorie tra Carso e Isonzo, l'Istituto Comprensivo di Caneva, l'Istituto Comprensivo di Maniago, l'Istituto Comprensivo di Meduno, l'Istituto Comprensivo di Montereale Valcellina, l'Istituto Comprensivo di Travesio, l'Istituto d'Istruzione Superiore di Maniago, l'Istituto "Livio Saranz" di Trieste e il Comune di Staranzano. Gli obiettivi hanno puntato sulla valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale della Prima guerra mondiale custodito dalle comunità locali; sull'opportunità di aumentare negli alunni, studenti, docenti la conoscenza e consapevolezza degli episodi avvenuti nel territorio regionale a partire dal 1914 e di favorire la riflessione e promozione del dialogo sull'educazione alla pace; sulla restituzione della memoria di luoghi e di comunità - patrimonio in continua evoluzione - alle nuove generazioni fornendo gli strumenti del raccontare. In particolare si è cercato di sperimentare il territorio ... dalla testa ai piedi e quindi con i piedi sul territorio ma soprattutto con la testa e il cuore per vivere l'esperienza di una storia che non appartiene a queste nostre generazioni, andando a censire direttamente le tracce della memoria e visitando i luoghi della Grande guerra. Tutto ciò ha per-
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messo di rendere protagonista il racconto narrato con il linguaggio dei ragazzi di oggi attraverso le loro percezioni, emozioni riflessioni e suggestioni. Dalla mappatura, dalle esperienze di classe, dagli incontri con gli esperti locali ai seminari di approfondimento, dai materiali raccolti nelle famiglie e comunità, agli archivi comunali, abbiamo cercato di disegnare un percorso incentrato sulla consapevolezza tentando di creare una nuova memoria degli episodi accaduti nel Friuli occidentale, attraverso l'analisi delle vite di comunità vissute in quegli anni, delle trasformazioni socio-economiche e del paesaggio. Sono stati proposti due approcci metodologici: uno per gli insegnanti e uno per gli alunni e studenti. Agli insegnanti presso la sede del ISIS Torricelli di Maniago, abbiamo dedicato degli incontri formativi con esperti specifici per avviare una riflessione sull'educazione alla pace partendo dagli orrori del conflitto, per capire come raccontare, come leggere i documenti, le lettere, i diari di guerra che danno una percezione della vita nelle comunità locali, del paesaggio, dell'evoluzione socio economica. Diversi temi interessanti che hanno approfondito diversi aspetti: 'Tinsostenibile arte della guerra" visione dell'installazione semi-tragica in tecnica multivideo dell'artista Alfrdo Lacosegliaz prodotta in collaborazione con il Consorzio culturale monfalconese nel 2014 e rappresentata al Mittelfest e al Peace Event di Sarajevo. "Per una didattica della guerra, le opportunità di un territorio" con Fabio Todèro, dottore di ricerca in Italianistica, cultore della materia e docente a contratto di Storia della Venezia Giulia presso l'Università di Trieste; ricercatore presso l'IRSML FVG. Si occupa da tempo della Grande guerra e della sua memoria e di storia della Venezia Giulia. "Reporter delle guerre di oggi, per riflettere sulla pace" con Barbara Schiavulli, corrispondente di guerra e scrittrice che ha seguito i fronti caldi degli ultimi vent'anni, come Iraq e Afghanistan, Israele, Palestina, Pakistan, Yemen, Sudan. I suoi articoli sono apparsi, tra gli altri, su Fatto Quotidiano, Repubblica, Avvenire e I.;Espresso. Ha collaborato con radio (Radio 24, Radio Rai, Radio Popolare, Radio Svizzera
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Italiana) e TV (Rai, Rainews 24, Sky TG24, LA7, TV Svizzera Italiana). Conduce il programma Radio bullets. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Lucchetta (2007), il Premio Antonio Russo (2008), il Premio Maria Grazia Cutuli (2010) e il Premio Enzo Baldoni (2014). "A caccia di tracce, per una mappatura della memoria" con Alberta Maria Bulfon, Alessandro Padelli e Laura Guaianuzzi, esperti di storia locale e di patrimonio etnografico del Friuli occidentale che da anni si dedicano alle ricerche di archivio per approfondire aspetti di storia locale e alla catalogazione di Beni Culturali. Hanno pubblicato diversi articoli e contributi per conto di Università, istituti ed Enti culturali. "La storia nei luoghi - l'area pordenonese" con Giuliano Cescutti, esperto di storia della Grande guerra che da anni raccoglie testimonianze di vita nelle Prealpi Carniche, documenti e materiali con la finalità di favorire percorsi culturali di valorizzazione del territorio. Ha all'attivo diverse pubblicazioni e articoli. "La storia nei luoghi - l'area dell'isontino" con Silvo Stok, architetto ed esperto di itinerari della Grande guerra che ha pubblicato diversi libri con Gaspari Editore sul tema ed è una Guida storica della Grande guerra. Questi incontri sono stati fondamentali per approfondire gli aspetti dal punto di vista geografico, sociale ed economico che la popolazione si trovava ad affrontare tra Regno d'Italia e Impero austro-ungarico: l'agosto 2014 vide oltre 80.000 emigranti rientrare in Friuli soprattutto da Germania, Austria e Ungheria, ma con quali prospettive, quali sostegni economici, quale lavoro, casa, affetti? Il progetto ha voluto proprio soffermarsi e analizzare le dinamiche, le trasformazioni sociali, economiche, paesaggistiche sin dall'avvenuto scoppio della Grande guerra. Per i bambini della Primaria e i ragazzi della Secondaria abbiamo realizzato una mappatura andando a censire direttamente le tracce della memoria: cippi, monumenti, lapidi, cimiteri, nomi di vie, oggetti.
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Per la catalogazione del patrimonio sono state realizzate delle apposite schede, facendo riferimento anche alle indicazioni del Centro regionale di Catalogazione di Villa Manian di Passariano. Per oltre 500 alunni e studenti di 28 classi accompagnati da una sessantina di insegnanti, abbiamo organizzato per l'A.S. 2014-2015 la visita a luoghi della Grande guerra nel territorio regionale con guide ed esperti che hanno proposto interessanti itinerari della memoria appositamente condivisi fra tutti noi partner. A queste s'aggiungono le numerose uscite organizzate singolarmente dalle scuole con una ventina di classi per andare a caccia di tracce sul proprio territorio a Pinzano al Tagliamento, Spilimbergo, Lestans di Sequals, Travesio e Tappo di Travesio, Meduno e N avarons di Meduno, Tramonti di Sotto, di Mezzo e di Sopra, Cavasso Nuovo, Maniago, Claut, Cimolais, Erto, Polcenigo, Coltura e San Giovanni di Polcenigo. Dalla raccolta dei materiali della mappatura, delle esperienze di classe, degli incontri con gli esperti locali e i seminari di approfondimento abbiamo elaborato dei testi dando importanza al grande lavoro fatto dalle scuole. Nasce così la pubblicazione "A caccia di tracce. La Grande guerra nel Friuli occidentale tra percorsi didattici ed approfondimenti culturali", un'antologia che raccoglie quanto indagato dagli alunni e studenti del territorio, con l'inserimento di itinerari e mappature che percorrono attraverso le tracce stesse, gli episodi accaduti nel Friuli occidentale. Vi sono poi all'interno degli approfondimenti, "Frammenti di vita", dedicati alle storie di vita delle comunità vissute in quegli anni, alla trasformazione socio-economica e del paesaggio. La pubblicazione è corredata da un QR Code (riportato sul retro di copertina) che rimanda alla visione integrale e organizzata di tutti i materiali realizzati dalle scuole, un lavoro interessante sotto molti punti di vista per il metodo e la qualità della ricerca ma soprattutto per la bellezza e il sentire che i ragazzi stessi sono riusciti a comunicare con il loro raccontare.
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Uno sfondo per un'esperienza didattica Alessandro Padelli
Ma a che cosa serve la Storia? Domanda tutt'altro che facile, alla quale molti si sono sforzati di rispondere in ogni tempo e in ogni luogo, fornendo in merito tanti e disparati pareri. Escludiamo subito quelli - non pochi, per la verità - che della nostra disciplina hanno sconsolatamente affermato la non utilità o addirittura il danno (non solo e non tanto Nietzsche, che pur ne ha scritto pagine memorabili). Gli altri si sono affannati a trovare mille possibili usi e funzioni, che qui non si possono certo riportare per intero. Una definizione molto diffusa e abbastanza accettata sostiene comunque che la Storia dovrebbe, o potrebbe, servire, attraverso la comprensione del passato, a spiegare meglio il presente e a progettare meglio il futuro: lo diceva già Cervantes, per il quale essa era «emula del tempo, archivio dei fatti, testimonianza del passato, esempio e ammonizione del presente, insegnamento dell'avvenire». Di sicuro però per molti la Storia non è più la ciceroniana magistra vitae, come si voleva un tempo, visto che gli uomini hanno dato abbondante dimostrazione di come gli sbagli - politici, economici, culturali, militari. .. - del passato poco o nulla abbiano insegnato a figli, nipoti e discendenti, ostinatamente pronti a rifarli identici o quasi ne «l'immenso pelago di errori» che è la storia dell'umanità (così la definiva Cesare Beccaria, e Montale d'altronde poetava che «la storia non è magistra / di niente che ci riguardi»). Né dovrebbe essere uno strumento usato in senso nazionalistico-patriottico, per esaltare e giustificare uno Stato, una Nazione o una Religione, come purtroppo tante volte si è fatto e ancora s'usa fare, trattando la Storia come un piede di porco per aprire porte ben serrate o, peggio, come un'arma da brandire contro gli altri, i nemici, interni o più frequentemente esterni.
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Altri sostengono invece che la Storia dovrebbe essere alla fin fine, niente di più e niente di meno, che una sorta di palestra nella quale esercitare le nostre doti di riflessione, analisi e deduzione, per affinare il nostro spirito critico e spogliarci dell'innato egocentrismo, psicologico e temporale, che ci pervade. Secondo questa impostazione, dovremmo applicarci nello studio di ben determinate e complesse situazioni del passato (il declino e la caduta dell'impero romano, le crociate, le scoperte geografiche, la rivoluzione francese, le guerre mondiali. .. ) come se fossero degli angoli della nostra palestra, dove esercitare di volta in volta alcuni dei nostri 'muscoli cerebrali'. Teoria invero affascinante, non priva di stimoli anche pedagogico-didattici. Se poi passiamo a chiederci a che cosa serve la Storia nella scuola, non abbiamo ovviamente nemmeno qui risposte certe, condivise e buone per ogni stagione. In passato, inutile negarlo, essa è stata insegnata soprattutto per aumentare il patriottismo e per creare cittadini e sudditi, ed eventualmente soldati, il più possibile onesti, fedeli, indottrinati e ubbidienti (i ragazzi che escono dalle scuole elementari - si scriveva nei Programmi del 1867 - devono essere «istruiti e savi e piegati al bene», mentre nel 1894 ci si accontentava che fossero «galantuomini operosi»). Lo si è fatto - e di nuovo basta leggere i programmi scolastici dall'unità d'Italia agli anni Cinquanta del '900 - attraverso la presentazione di eroi, martiri, grandi condottieri militari, politici insigni, re e regine, trattati, guerre giuste o sante e nemici feroci ed eterni, fra aneddoti edificanti e anatemi definitivi, con la gente comune, il 'popolino', la 'plebaglia' relegata a sfondo non essenziale. Oggi tutto ciò non ha più molto senso, soprattutto se pensiamo che quelli che cent'anni, e poi di nuovo settant'anni fa, erano i nostri nemici (gli Austriaci, i Tedeschi) sono diventati nostri 'soci' nell'Unione Europea, e che l'interesse degli storici nel frattempo si è portato sempre di più verso la gente comune e la sua vita concreta, piuttosto che verso le élite. Senza volerci addentrare troppo nell'argomento, ci limitiamo allora a trascrivere, come elaborazione più recente e autorevole, quanto è solennemente (e prescrittivamente) affermato nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione
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del 2012, valide per bambini e ragazzi a scuola dai 3 ai 14 anni: «Lo studio della storia [... ] contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni comuni» (dove appare evidente la riconosciuta importanza dello sconfinato patrimonio storico-artistico dell'Italia, e al contempo la preoccupazione per la sua adeguata conservazione e per il suo corretto utilizzo, spesso clamorosamente smentiti dai fatti). Si afferma poi che la Storia «è la disciplina nella quale si imparano a conoscere e interpretare fatti, eventi e processi del passato»; ancora, che «le conoscenze del passato offrono metodi e saperi utili per comprendere e interpretare il presente» (riemerge la magistra vitae?). Più avanti, si sostiene nelle Indicazioni che «la padronanza degli strumenti critici permette di evitare che la storia venga usata strumentalmente, in modo improprio» (come s'è detto, pericolo sempre presente, anche in Italia, dove gli stereotipi storici sono comunissimi e di facile uso ideologico e politico). Inoltre, si ribadisce che «ricerca storica e ragionamento critico rafforzano altresì la possibilità di confronto e dialogo intorno alla complessità del passato e del presente fra le diverse componenti di una società multiculturale e multietnica» ( con chiara preoccupazione qui per la variegata e mutevole situazione nostrana, continua fonte di polemiche e pure di bugie storiche). Detto poi giustamente che «le conoscenze prodotte dagli storici sono sottoposte a revisione continua» (non c'è una Verità definitiva, ma tante verità provvisorie), si sostiene infine che la scuola deve progettare «percorsi didattici che approfondiscono la conoscenza della storia e l'attenzione alle diverse fonti». Il progetto sulla Grande guerra portato avanti da Lis Aganis s'inserisce in pieno in tutte queste considerazioni d'ordine generale. Esso ruota intorno a un tema, la Grande guerra appunto, che si presta a molte puntualizzazioni didattiche, a tanti agganci con il presente, alla possibilità di parlare di fatti, persone e cose 'nostre', che ancora si possono almeno in parte vedere e toccare. Come sostengono alcuni illustri storici, la Storia si deve fare infatti, oltre che con gli occhi e le orecchie, anche con le mani, toccando il passato, e con i piedi, cam-
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minando sul passato. Quale lezione migliore quindi, per un bambino o un ragazzo, che scendere e camminare in una trincea del Carso? O sfiorare le spesse mura di una fortificazione bellica? Oppure aggirarsi fra le mute tombe di uno sperduto cimitero di guerra, piuttosto che ascoltare pazientemente ma distrattamente degli adulti che spiegano, o leggere lunghi testi, non di rado troppo difficili o distanti dai loro interessi? Ma anche uscire di classe, interrompendo quella sedentarietà così invisa ai giovani d'oggi, per cercare nel mondo reale le testimonianze di quella guerra fra tabelle stradali, monumenti ai Caduti, biblioteche, archivi comunali e parrocchiali. Oppure mettersi a frugare nei bauli, nelle soffitte e nelle cantine di casa per cercare fonti di prima mano (medaglie, attestati, materiale militare, diari, foto dimenticate), riannodando i rapporti con le generazioni che ci hanno preceduto. In questo modo gli alunni sono diventati per qualche tempo dei veri e propri storici, alla caccia di indizi e di tracce lasciate dal passato, con tutte le soddisfazioni e i dubbi che tale ricerca suscita negli storici di mestiere quando trovano un documento interessante oppure uno enigmatico. È proprio l'approccio attivo, critico, problematico, non libresco-manualistico e nozionistico-mnemonico, quello che maggiormente è stato utilizzato nei lavori delle scuole partecipanti al progetto, esattamente come si era proposto da parte dal gruppo degli esperti. Un approccio però anche il più possibile scientificamente corretto, senza facili scorciatoie, in parte basato su schedature oggettive di monumenti, immagini, oggetti e documenti che erano state presentate dagli esperti e che sono state applicate, pur con tutti i possibili e raccomandati adeguamenti, nelle varie fasi della ricerca. Un lavoro poi che è stato in costante e fecondo rapporto con il territorio circostante, che ha consentito, con opportuna guida, di sperimentare su un campo ristretto, meglio conosciuto e controllabile, metodi di indagine, opinioni e riflessioni, facendo storia 'localizzata' più che 'locale'. Un lavoro, infine, sempre aperto alla tanto agognata interdisciplinarità, al colloquio cioè fra storia, geografia, arte, musica, letteratura e altro ancora. Ne sono alla fine usciti lavori differenziati, che rispecchiano senza dubbio la personalità dei diversi docenti, le caratteristiche delle singo-
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le classi e scuole coinvolte e la specificità delle varie situazioni locali, pur mantenendo tutti un'impronta comune. Lavori pregevoli dal punto di vista didattico, ma che hanno permesso pure, in non poche occasioni, di aggiungere qualche tassello documentario in più, del tutto inedito, alla conoscenza della storia dei nostri paesi durante il conflitto. Si è fatto così pure un piccolo servizio alla memoria collettiva, spesso corta e distratta; e un servizio anche agli stessi storici di mestiere, che in questo momento in numero sempre crescente stanno indagando proprio questa specifica tematica - ormai fin troppo 'di moda' - alla ricerca di nuova documentazione sopravvissuta all'oblio.
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Soldati con maschere antigas.
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A caccia della memoria Strumenti per la conoscenza della Grande guerra Alberta Maria Bulfon e Laura Guaianuzzi
Finalità del nostro intervento all'interno del progetto "L'altra mobilitazione. Riflessi locali per educare alla pace", rivolto alle scuole di vario ordine e grado, è stato quello di mettere a disposizione dei docenti e degli studenti alcuni pratici strumenti per la conoscenza della storia della Grande guerra e delle tracce della memoria che si è conservata in un determinato periodo di tempo e di spazio, non solo geografico. La mappatura dei Beni Culturali Materiali o Immateriali relativi alla Prima guerra mondiale presenti nel territorio dell'Ecomuseo come patrimonio delle varie comunità, è stata la modalità operativa individuata per condurre insieme l'indagine sull'importante tema prescelto, secondo la guida fornita dagli specifici obiettivi contenuti nel bando del programma didattico 1: « l .Valorizzare il patrimonio materiale e immateriale della Prima guerra mondiale custodito dalle comunità locali. 2. Aumentare negli alunni e studenti la conoscenza e consapevolezza degli episodi avvenuti nel territorio regionale dal 1914 per favorire la riflessione e promuovere il dialogo sull'educazione alla pace. 3. Restituire alle nuove generazioni, fornendo gli strumenti del raccontare, la memoria di luoghi e di comunità, patrimonio in continua evoluzione».
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"Bando per la concessione di contributi per la realizzazione di progetti educativi e didattici finalizzati ad ampliare la conoscenza e a favorire la riflessione sui fatti storici della Prima guerra mondiale" relativo alla L.R. 11/2013.
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Atto preliminare a qualunque presa di coscienza di un Bene Culturale è la sua conoscenza, che si attua per fasi. Alla conoscenza si perviene metodologicamente attraverso l'acquisizione delle diverse informazioni relative al Bene Materiale e/o Immateriale, che prevede, in genere, e a seconda della natura del Bene stesso, la ricerca attraverso le fonti bibliografiche, archivistiche (figg. 1 e 2), documentarie, cartografiche, iconografiche (figg. 3 e 4 ), orali e il conseguente approfondimento mediante lo studio e l'elaborazione dei dati. Sopralluoghi e ricognizioni dirette sul campo sono previsti per alcuni tipi di Beni (architettura, monumenti, lapidi, cippi, piazze, vie, musei e raccolte, sacrari, camposanti, campi di battaglia, sentieri, trincee, etc.) (figg. 5 e 6).
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Foglio di leva dell'alpino Antonio Pellegrinato rintracciato presso un archivio privato dagli alunni della Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio, a.s. 2014-15.
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Fig. 2 Diario scritto da Osvaldo Vallar di Claut durante l'anno di occupazione austriaca (191718), reperito e catalogato da Sofia Galli, Scuola Secondaria di primo grado "Giovanni Pascoli" di Claut, classe 3' A, a.s. 2014-15.
Fig. 3 e 4 Fotografie di alpini della Prima guerra mondiale raccolte dagli alunni della Scuola Secondaria di primo grado di Travesio presso gli archivi privati delle famiglie del posto.
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Fig. 5 Le classi della Scuola Secondaria di primo grado di Meduno con Toni Martinelli, a caccia di tracce nel territorio medunese, a.s. 2014-15.
Fig. 6 La classe quinta della Scuola Primaria di Meduno in visita al Museo privato di cimeli militari di Andreino Ferrali a Meduno, a.s. 2014-15.
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Attraverso l'attività della catalogazione si attua la conoscenza del Bene, l'assunzione di una serie di elementi di carattere scientifico, che consentono di formare un quadro esauriente e comprensivo non solo delle caratteristiche materiali, ma atto anche a contestualizzarlo ai fini della valorizzazione e della conservazione. Individuare e catalogare i monumenti significa anche rilevare criticità relative allo stato di conservazione, segnalare eventuale perdita d'integrità dell'oggetto per procedere ad interventi di consolidamento e restauro. La catalogazione è dunque l'attività di registrazione, descrizione e classificazione di tutte le tipologie di beni culturali. Si tratta di individuare e conoscere i beni, documentarli in modo opportuno e archiviare le informazioni raccolte secondo precisi criteri per costituire e gestire un catalogo: atto preliminare e supporto conoscitivo all'esercizio della tutela dei Beni Culturali.
Le schede di Catalogo In base alla tipologia del Bene da catalogare e al livello scolastico di fruizione sono state fornite delle schede che ripropongono il tracciato elaborato dalla docente Silvia Pettarin presso l'Istituto d'Istruzione Superiore "Leopardi-Majorana" di Pordenone, dalla stessa gentilmente messo a disposizione, e che, in forma sintetica, riadattano la più complessa struttura dei dati delle schede dell'Istituto Centrale per il Catalogo (ICCD) del Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del turismo (MiBACT), nel rispetto della terminologia da quest'ultime fornita 2.
2 Le schede sono state presentate dalle scriventi, già collaboratrici del Centro Regionale di Catalogazione e Restauro dei Beni Culturali di Villa Manin di Passariano di Codroipo (Ud), per la catalogazione dei Beni Culturali, e da Alessandro Fadelli, insegnante, durante il corso di for, mazione per docenti organizzato nell'ambito del progetto "L'altra mobilitazione", tenuto presso l'Istituto d'Istruzione Superiore "E. Torricelli" di Maniago (PN) il 6 febbraio 2015.
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Nella specifico si tratta di: - una scheda di catalogazione per la scuola primaria (secondo biennio); - sette schede per la Scuola Secondaria di primo e secondo grado. Ad eccezione della scheda per le primarie, le altre sono state strutturate in paragrafi, campi e sottocampi secondo «criteri omogenei» 3 di contenuto, salvo piccole differenze in base al bene catalogato. In tutti i modelli proposti si è data precedenza ai paragrafi indispensabili a «identificare, definire e localizzare l'entità presa in esame» 4, con la possibilità di inserire il corredo fotografico, la descrizione e le notizie storiche riguardanti l'oggetto, anche in funzione di una sua eventuale mappatura. Seguono i paragrafi atti a raccogliere le peculiarità del bene, come quello riguardante le eventuali iscrizioni (si pensi alle lapidi o ai monumenti riportanti i nomi dei Caduti) o altri dati riferibili ai beni cartacei, utili alla trascrizione dei testi, alla descrizione di timbri o francobolli. Ampio spazio è stato dato alla raccolta degli elementi riguardanti le fonti utilizzate per la definizione e lo studio del bene e il suo stato di conservazione. Una voce di catalogo è stata pensata per mettere in relazione le varie schede. I modelli forniti presentano paragrafi, campi e sottocampi ripetibili e senza limiti di testo, per permettere a chi cataloga, anche attraverso le "eventuali osservazioni e note", di definire al meglio il bene indagato. Di seguito si propongono alcuni esempi di schede compilate dagli alunni. I modelli vuoti delle schede di catalogazione si possono reperire sul sito www.acacciaditracce.wordpress.com.
3 M.
L. MANCINELLI, Standard per la catalogazione: principi generali (http://www. iccd.beniculturali. it/index.php?it/4 73/standard-catalografici), luglio 2015.
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Ibidem.
Tracciato della scheda di catalogazione di primo livello
A CACCIA DI TRACCE , PER UNA MAPPATURA DELLA MEMORI! ! / S N. Cheda
SCHEDA DI CATALOGAZIONE OGGETTO:
................................................... ............................................................
RILEVAMENTO (misure)
............................... ............................... DESCRIZIONE
............................... ............................... ............................... ............................... ...............................
................................................................ Foto o disegno dell'oggetto.
...............................
ELEMENTI SIGNIFICATIVI (toponimi, odonimi, cognomi ecc. relativi alla Grande Guerra)
................................................................. LUOGO (Provincia, Comune, via/piazza, n. civico):
.................................................................
.................................................................................................................................
Mappa del territorio. Indica con esattezza il punto in cui si trova l'oggetto.
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Scheda di catalogazione
BENI IMMOBILI MON - MONUMENTI
SCHEDA DI CATALOGAZIONE
BENI IMMOBILI MON - MONUMENTI N. SCHEDA
OGGETTO I Definizione
I Mo numento
ai Caduti in guerra
FOTOGRAFIA
LOCALIZZAZIONE Provincia - Comune, località
PN - Claut
Luogo di collocazione
Piazza San Giorgio
Carta topografica, stradario, tavoletta IGM, mappa catastale
Scheda di catalogazione BENI IMMOBILI MON-MONUMENTI
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Scheda di catalogazione BENI IMMOBILI MON , MONUMENTI compilata dagli alunni della classe 3' A, Scuola Secondaria di primo grado "Giovanni Pascoli" di Claut, a.s. 2014-15.
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I(Foglio/data/particella) I CRONOLOGIA/DATA
lxx seco lo - Costrui to nel 192 0 e inaugurato nel 1921 MOTIVAZIONE CRONOLOGICA Bibli og rafia AUTORE o ATTRIBUZIONE AD AUTORE o SCUOLA, BOTTEGA, CERCHIA ecc. Bergamasco di Lo ngarone
I Scultore
DATI TECNICI Materia e tecnica costruttiva
Pietra, marmo sco lpito e bro nzo .
Misure (altezza x n.r. larghezza x profondità o n.r. = non rilevabile) TIPO DI ACQUISIZIONE DEL BENE I Comm ittenza
pubblica .
STATO DI CONSERVAZIONE Ottimo Buono
Mediocre
Cattivo
Pessimo
X RESTAURO (tipo e data)
PROPRIETÀ Pubblica (Stato, Regione, Provincia, Comune, parrocchia ecc.)
Privata (nome e cognome del proprietario; se invece vuole mantenere l'anonimato scrivere: coli. privata)
Com une DESCRIZIONE Mo nu mento commemo rativo in pietra a forma tronco-piram idale so rmontato da una ste le marmorea , sull a cui somm ità si trova un'aq uil a di bronzo opera del Mi stru zzi. La stele ripo rta un freg io composto da un gladio cinto da una corona di lauro e ulivo, sotto di esso so no state sco lpite le seg uenti parole:
RIF ULGE NDO DI EROISMO E DI VA LO RE SUB LI MI SULLE IMPERVIE NEVOSE A LP I E SU L PIAVE SACRO NEL FIOR E DEG LI ANNI Scheda di catalogazione BENI IMMOBILI MON-MONUMENTI
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FAC ESTE OLOCAUSTO DE LLA VITA E DEL SANGUE VERM IGLI O O FORT I O PRODI O GRANDI PER LA PATR IA E PER LA REDE NZIONE PER LA LIBERTÀ ASSURGE NDO A LLE VETT E DELLA GLOR IA IMMORTALE IRRAD IANTE E SPLENDENTE NEI SECOLI . A imperi tura memo ria e onore esaltandovi, invocandovi e bened ice ndovi compagni combattenti. Il Comu ne, i cittadini incidono a caratteri d'oro nel marmo i Vostri Nom i gloriosi esempio e mon ito ai presenti ed ai posteri XX IV MAGG IO MCMXV - IV NOVEMBRE MCMXVIII Sulla parte centrale de l mon ume nto è installata una lapide che riporta i nom i dei cad uti de lla Grande Guerra mo rti in combattime nto , in pri gionia e per malattia contratta durante il co nflitto , seg uono i cad uti in Li bia e i mo rti durante il servizio mil itare . All a base de l monume nto è stata successivame nte agg iunta un'ulteriore lapide commemo rati va de i cad uti de ll a Il Guerra Mo ndiale. Ai lati de ll 'opera ci so no due elmi, a sini stra della Prima Guerra Mo ndiale e a destra de ll a Seco nda. La parte anteriore dell'area mo nume ntale è separata dalla zo na di pubblico passagg io da una catena in fe rro sostenuta da due co lonnine in pietra.
ISCRIZIONI Classe di appartenenza
Commemo rativa/elenco nom i dei cadu ti e dei dispersi in guerra
Lingua
Itali ana
Tecnica di scrittura
Incisione
Tipo di caratteri
Lettere capitali
Posizione
Sul la lapide
Autore
Sc ultore Bergamasco di Lo ngarone
Trascrizione Motivi decorativi a corredo Presenza del nome del SI Caduto nell'Albo d'Oro x
INO INote
(www.cadutigrandeguerra.it)
NOTIZIE STORICHE Il mon umento e' stato costruito nel 1920 , a cura de ll a locale Associazione Nazionale Combatte nti , fu inaugurato nel 192 1 e posto in piazza San Giorg io, accanto all a chiesa Scheda di catalogazione BENI IMMOBILI MON-MONUMENTI
26
3
I omoni ma .
E' ope ra dell o Sc ultore Bergamasco di Longaro ne .
FONTI SU CUI SI BASANO LE NOTIZIE STORICHE • Fonte biblioarafica Autore, Titolo, luogo Lui gi Stefanutto , CLAUT, Grafi che Editori ali Po rdenones i edizione, editore, anno S.P.A. , PO RD ENONE , 198 1.
p. 33 4.
Pagina/e o tavola/e • Fonte archivistica
IT;polog;, Coll~"ooo Epoca o data • Fonte sito rafica Indirizzo sito web
www .monu mentigrandeg uerra. it (ID monume nto 599)
• Fonte orale Nome informatore Data e luogo di nascita Data e luogo dell'intervista DOCUMENTAZIONE ALLEGATA (fotografie, mappe, disegni, schizzi ecc.)
Fotog rafi a digitale
Tipologia Collocazione
April e 20 15
Epoca o data Immagine
EVENTUALI OSSERVAZIONI E NOTE
EVENTUALI RIFERIMENTI AD AL TRE SCHEDE IN.scheda
I
NOME COMPILATORE DELLA SCHEDA, SCUOLA E CLASSE Seco ndaria di Primo Grado "Giovanni Pascoli " di Claut - classe lll ' A
I Scuola
LUOGO, DATA COMPILAZIONE anno scolasti co 20 14 - 20 15
I Claut,
Scheda di catalogazione BENI IMMOBILI MON-MONUMENTI
4
27
SCHEDA DI CATALOGAZIONE
DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI N.SCHEDA
OGGETTO I Definizione
I Santino
FOTOGRAFIA
LOCALIZZAZIONE Provincia - Comune, località
PN - Erto e Casso
Luogo di collocazione Abi tazione privata Carta topografica, stradario, tavoletta IGM, mappa catastale (Foglio/data/particella) CRONOLOGIA/DATA XX sec . -1916 Scheda di catalogazione DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI
1
Scheda di catalogazione DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI compilata da Massimo Lorenzi, Scuola Secondaria di primo grado "Giovanni Pascoli" di Claut, 3' A, a.s. 2014-15. Tracciato della scheda di catalogazione.
28
PRODUZIONE, MANIFATTURA
I Poligrafica italiana, Ve nezia DATI TECNICI Materia e tecnica costruttiva Misure (altezza x lunghezza)
I
Cart oncino , stampa tipog rafi ca Cm 9,5x7 ,5
TIPO DI ACQUISIZIONE DEL BENE
I Dono de l cape llano militare al pad re de ll a proprietari a de l doc ume nto STATO DI CONSERVAZIONE Ottimo Buono
I
Mediocre
I
I
X
I
Cattivo
I
I
Pessimo
I
RESTAURO {ti()o e data) I
I
PROPRIETÀ Pubblica (Stato, Regione, Provincia, Comune, parrocchia ecc.)
Privata (nome e cognome del proprietario; se invece vuole mantenere l'anonimato scrivere: coli. privata) Corona Bruna
DESCRIZIONE Si tratta di una ri prod uz ione a stampa de l quadro raffig urante la Madonna de ll e Nevi che regge tra le mani un a corona di lauro. L'immag in e è piuttosto ingialli ta e rovin ata. Sul retro è riportata un a preg hi era, sudd ivisa in ve rsetti de ll 'S. Regg ime nto A lpini nell a quale ve ngono co niugati i valori di fede , valore e amor patrio. ISCRIZIONI Classe di appartenenza Lingua
Itali ano
Tecnica di scrittura
Stampa
Tipo di caratteri
Lette re capitali
Posizione
Ve rso / immag in e della "Madonna de lle Nevi"
Autore
Copia dal dipinto de l Frang iacomo
Trascrizione
"La Madonna de lla neve"
Scheda di catalogazione DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI
2
29
ISCRIZIONI Classe di appartenenza Lingua
Itali ano
Tecnica di scrittura
Stampa
Tipo di caratteri
Lette re capitali
Posizione
Recto I Pregh iera
Autore Trascrizione
8.
REGG IMEN TO ALP INI HO COM BA TTUTO
IL BUON COM BA TTIM EN TO HO TERM INATO LA CORSA HO CONSERVATO LA FEDE E' COSA DOLCE ED ONO RIFI CA MORIRE PER LA PATR IA DIO SIA BE NEDETTO BE NEDE TTO ILSUO SANTO NOME BENEDETTO GESÙ CRISTO VERO DIO-VERO UOMO BE NEDETTO IL NOME DI GESU' G IORNO DEI MO RT I 19 16
NOTIZIE STORICHE L'immag ine riprod uce il dipinto de ll a "Madonna de ll e Nevi" dipinta a Pal Grande nel 1916 pe r la locale cappe lla de l Bg . "Tolmezzo". FONTI SU CUI SI BASANO LE NOTIZIE STORICHE • Fonte biblio11rafica Autore, Titolo, luogo Ass. Am ici Alpi Carn iche, Carnia, Testimonianze della Grande edizione, editore, anno Guerra sui monti di Timau e dintorni, Lindo Unfer, Ed. MA. , Timau2004. Pagina/e o tavola/e
p. 107
• Fonte archivistica
In"°,.,,.
Cdl~,looe Epoca o data
• Fonte sito rafica Indirizzo sito web
www.wikiped ia.org/wiki/PalPiccolo Scheda di ca1alogazione DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI
30
3
• Fonte orale Nome informatore
Corona Bruna
Luogo e data di nascita
Ert o (P N) , 1 ottobre 1935
Luogo e data dell'intervista
Erto (P N) , marzo 20 15
EVENTUALI OSSERVAZIONI E NOTE
EVENTUALI RIFERIMENTI AD AL TRE SCHEDE IN.scheda I NOME COMPILATORE DELLA SCHEDA, SCUOLA E CLASSE
IMassimo Lorenzi, Scuola Secondaria di Primo Grado "Giovanni Pascoli" di Claut - I WA
I
LUOGO, DATA COMPILAZIONE !c1aut , anno scolastico 2014 - 20 15
Scheda di catalogazione DOCUMENTI ICONOGRAFICI CARTACEI
4
31
SCHEDA DI CATALOGAZIONE
BENI MOBILI OGGETTI N. SCHEDA
OGGETTO I Definizione
ICannocchiale de lla Grande Gue rra FOTOGRAFIA
LOCALIZZAZIONE Provincia - Comune, località
Claut, PN
Luogo di collocazione Abitazione privata Carta topografica, stradario, tavoletta IGM, mappa catastale (Foglio/data/particella) CRONOLOGIA/DATA
!xx sec. 1915-1 9 18
MOTIVAZIONE CRONOLOGICA Anali si stori ca DATI TECNICI Materia e tecnica COSI rutt iva
Ottone, ferro , pelle e ve tro.
Scheda di catalogazione BENI MOBILI ARM - ARMI
1
Scheda di catalogazione BENI MOBILI , OGGETTI compilata da Silvia Giordani, Scuola Secondaria di primo grado "Giovanni Pascoli" di Claut, 3' A, a.s. 2014-15.
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I Misure
(altezza x lunghezza)
1cm sx 11
STATO DI CONSERVAZIONE Ottimo Buono
Mediocre
Cattivo
Pessimo
X RESTAURO (tipo e data)
PROPRIETÀ Pubblica (Stato, Regione, Provincia, Comune, parrocchia ecc.)
Privata (nome e cognome del proprietario; se invece vuole mantenere l'anonimato scrivere: coli. privata) Giordani Armando
AMBITO CULTURALE PRODUZIONE Itali ano DESCRIZIONE È un cannocc hiale itali ano che risale alla Pri ma Guerra Mondiale. Il propri etari o, Gi ordani Isidoro, faceva parte de ll a Croce Rossa e ha partec ipato alla battag li a di Caporetto de l 24 Ottobre 1917. Il cannocc hi ale ha un a struttura in ottone che lo rende leggero e robusto. La rote lla al ce ntro regola le messa a fu oco de ll e immagini . La stru ttura è ricope rta di cuoio. L'oggetto è conservato in casa da due ge nerazion i. ISCRIZIONI Classe di appartenenza Lingua Tecnica di scrittura Tipo di caratteri Posizione Autore Trascrizione DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA di gitale
I Fotografi a
Scheda di catalogazione BENI MOBILI ARM -ARMI
2
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NOTIZIE STORICHE
FONTI SU CUI SI BASANO LE NOTIZIE STORICHE
• Fonte biblio11rafica Autore, Titolo, luogo edizione, editore, anno Pagina/e o tavola/e • Fonte archivistica
IT;po1og;, Cdloca,;ooe Epoca o data • Fonte silografica sito web
I Indirizzo
• Fonte orale Nome informatore
Giordani A rmando
Luogo e data di nascita
Claut (PN), 15 Febbraio 1943
Luogo e data dell'intervista
Claut, abitazione privata, marzo 2015
EVENTUALI OSSERVAZIONI E NOTE
EVENTUALI RIFERIMENTI AD AL TRE SCHEDE IN.scheda
I
NOME COMPILATORE DELLA SCHEDA, SCUOLA E CLASSE Giordani - Scuola Secondaria di Pri mo Grado "Giovann i Pascoli" di Claut - III AA
I Si lvia
LUOGO, DATA COMPILAZIONE anno scolastico 20 14 - 20 15
I Claut ,
Scheda di catalogazione BENI MOBILI ARM-ARMI
34
3
SCHEDA DI CATALOGAZIONE
FONTI ORALI - BDI (informazioni, racconto, aneddoto, modo di dire, canzone, filastrocca)
1. RILEVAMENTO DELLA FONTE
1 1 Identificazione della fonte Nome e coqnome Luoçio e data di nascita Domicilio Eventuali altre informazioni
(informatore) Fulvia De Dami ani 4 settembre 1952 Erto e Casso (P N)
1.2 Identificazione della fonte Nome e coçinome Luoao e data di nascita Domicilio Eventuali altre informazioni
(informatore) Bianca Borsatti 14 febbrai o 1941 Claut (PN)
1 3 Identificazione della fonte Nome e coqnome Luoqo e data di nascita Domicilio Eventuali altre informazioni
(informatore) Fede ri co Tomè 22 aprile 1971 Claut (PN)
1.2 Descrizione del documento
Descrizione Tipo di documento e supporto (registrazione sonora, cd, filmato, ... ) Arqomento Trascrizione del testo Linqua Eventuale traduzione Eventuali altre informazioni
Testo orale (i nformazioni) - DVD video
La Grande Guerra - Lavoriamo sull e fonti Italiano Le reg istrazioni sono state effettuate presso il Museo de lla Casa Clautana e nella sede della Sc uola Secondaria "Giovanni Pascoli " di Claut
La compilazione delle voci può essere sostituita da una registrazione o da un file su cui sono riportati i contenuti.
Registrazione File Foto Scheda di catalogazione FONTI ORALI - BDI
1
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2 EVENTUALE BIBLIOGRAFIA - SITOGRAFIA Autore Titolo Rivista o quotidiano Miscellanea Editore Luogo (non per riviste e quotidiani) e anno della pubblicazione Paçiine Tavole Indirizzo web Inedito (indicare se manoscritto e la collocazione) 3. AL TRE NOTIZIE SUL DOCUMENTO Note Il doc ume nto (filmato e fotog rafi e) prese nta un a parte de l percorso relativo al progetto L'A ltra Mobil itazione -14 -18 che hai coinvo lto la cl asse III AA de ll a Sc uola Secondaria di Primo Grado "G iovann i Pascoli " di Claut : Visita al Museo de ll a Casa Clautana co n Fulvia De Dam iani Inco ntro con l' esperto : Bi anca Borsatti Incontro con l' esperto : Federico Tomè Uscita didattica a Monte San Mi chele / Red ipugli a con Silvo Stock (solo fotografie di gitali)
Le ri prese sono state effett uate dag li alunni e dall'in seg nante di storia, Daniela Zanolin che ha anc he eseg uito il montagg io de l DVD .
DATA E NOME DELLO SCHEDATORE I Dani ela Zanoli n
I Magg io 20 15
Scheda di catalogazione FONTI ORALI - BDI 2
Scheda di catalogazione FONTI ORALI, BDI (~Bene Demoetnoantropologico Immateriale) compilata dall'insegnante di storia, Daniela Zanolin.
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Dopo aver studiato il Bene dal punto di vista bibliografico ed aver effettuato i necessari sopralluoghi, le scuole hanno potuto procedere nella ricerca e nella ricognizione dei Beni, utilizzando i modelli di scheda da noi esemplificati e proposti per i diversi livelli di istruzione. Modelli che sono stati esperiti talvolta già sul campo e in taluni casi messi a punto a discrezione di docenti e studenti a seconda delle diverse esigenze ed utilità, mantenendo o liberamente modificando ed eliminando paragrafi e campi da compilare.
ISTITUTO COMPRENSIVO DI TRAVESIO
Scuola Secondaria di 1° grado "A. Lizier" Travesio
SCHEDA DI CATALOGAZIONE
DOCUMENTI FOTOGRAFICI - cartoline Foto ricordo
N. SCHEDA OGGETTO
LOCALIZZAZIONE CRONOLOGIA i DATA STATO DI CONSERVAZIONE PROPRI ETA' DESCRIZIONE
Re ione Friuli Venezia Giulia - Comune di Travesio. DISCRETA
Privata In questa foto Vittorio Cicute e Giacinto Fabris si fanno fotografare con un bicchiere di vino. Un brindisi per sottolineare la loro amicizia e un momento di serenità prima di andare a combattere sul fronte.
Scheda di catalogazione DOCUMENTI FOTOGRAFICI-CARTOLINE elaborata e compilata dagli alunni della Scuola Secondaria di primo grado di Travesio.
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L'importanza di "raccogliere" e conservare la memoria I Monumenti ai Caduti Una tipologia di Bene in particolare, il Monumento ai Caduti, ha assunto preminenza materiale e pregnanza simbolica nell'ambito di questo progetto didattico, essendo la testimonianza principale delle vicende umane del primo conflitto mondiale in Italia e nella nostra Regione, teatro di un'immane tragedia. Sin dall'Ottocento uno dei valori più sentiti è stato l'amore per la Patria, per la figura dell'Eroe (Ettore è il testimone per eccellenza) e per i grandi italiani testimoni della Storia. In ogni paese e città dell'Italia sono stati eretti piccoli e grandi monumenti dedicati ai Caduti, a testimonianza del sacrificio di tantissimi giovani uomini - pochissimi i militari per professione, la maggioranza invece era costituita da semplici contadini, spesso analfabeti - immolatisi per il bene comune. Luoghi e monumenti presso i quali ogni an-
Monumento ai Caduti di San Giovanni di Polcenigo, piazza della Chiesa (foto del gruppo di lavoro composto da Nicola Bidese 3' A e Raul Ettari 3' B, Scuola Secondaria di primo grado "Giovanni Pascoli" di Polcenigo, a.s. 2014-2015).
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no nel giorno in cui si commemorano i Caduti le comunità si raccolgono e si vivifica il sentimento di riconoscenza nei confronti di tutti quegli uomini che sono morti per servire il loro Paese e che hanno combattuto in buona fede con il sacrificio della vita, con grande dignità e spesso senza conoscere le motivazioni "alte" per cui molti sono dovuti partire chiamati dallo Stato.
lo sono un povero ignorante, non ho avuto studi e non so descrivere per bene tutto quello che ho provato, ma dico solo che la guerra bisogna averla vissuta per rendersi conto di che cosa sia; non serve descriverla a tavolino, senza aver provato nulla. lo, da ignorante, ricordo bene la fame, la sete, la paura, il sonno, le angosce, la nostalgia, i pidocchi che mi rodevano il corpo come un martire. Giugno 1917, da una lettera dal fronte del Fante Michele Baratto 5
Dopo le tragiche esperienze delle due Grandi guerre mondiali unanime è stata la condanna della guerra e si è reso costantemente omaggio, al di là della retorica, a chi ha combattuto perdendo la vita, per perpetrarne la memoria attraverso le nuove generazioni. In questo senso si è ritenuto opportuno, nell'ambito del progetto di ricerca e documentazione, mettere in atto la mappatura di questa tipologia di Beni Materiali, attraverso le attività delle scuole (i docenti insieme ai bambini della scuola Primaria e i ragazzi della Secondaria di primo e secondo grado) anche con il tramite e il contatto con le famiglie, per scandagliare, raccogliere e censire il patrimonio monumentale ed epigrafico della Prima guerra mondiale, vale a dire i cippi, le lapidi commemorative, gli strumenti bellici, gli oggetti d'uso quotidiano, l'abbigliamento, i cimeli, le medaglie, le decorazioni, i cimiteri e la toponomastica dei luoghi della Grande guerra.
5
M. BARATTO, La mia guerra ignorata dalla storia. Diario di un soldato sul Carso e in Serbia 19161919, ordinato e proposto da Antonio Tino Scremin, Cassala (VI), Moro, 1989.
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L'assassinio di Sarajevo nella copertina della Domenica del Corriere.
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Breve inquadramento storico Giuliano Cescutti
Molti sono i temi che la didattica scolastica propone nello studio del periodo storico riferibile alla Prima guerra mondiale, che tuttavia non ci consentono di entrare completamente in quelli che furono aspetti del tutto specifici per la terra friulana. Aspetti che, nell'ambito di un progetto che vede coinvolte da protagoniste le scuole con attività di approfondimento sui propri territori, è necessario almeno tratteggiare. Che cosa rappresentò il periodo compreso fra il giugno del 1914 ed il novembre 1918 per il nostro territorio regionale e, ancor più, per il territorio della montagna e pedemontana del Friuli occidentale al quale si estende l'Ecomuseo delle Dolomiti Friulane? Il Friuli del 1914 viveva dal 1866 la condizione di terra divisa da un nuovo confine. Una terra alla quale il ricongiungimento alla Nazione italiana non aveva ancora portato un vero e proprio sviluppo economico che, solo dagli inizi del Novecento, si stava manifestando attraverso un lento ma continuo miglioramento delle condizioni socio-economiche. Miglioramento conseguente più alle rimesse degli emigranti stagionali che ogni anno lasciavano la Piccola Patria alla volta degli Imperi Centrali, partendo alla fine dell'inverno per fare rientro in famiglia verso la fine dell'autunno. Una emigrazione massiccia che fu sicuramente favorita dal clima di stabilità politica conseguente agli accordi della Triplice Alleanza che, dal 1882 e fino all'inizio della guerra, unirono il Regno d'Italia agli Imperi Centrali. Relazioni internazionali che consentirono addirittura a molti friulani di stabilirsi in modo definitivo nei due paesi alleati. E il primo tratto distintivo della storia di quel periodo per la terra friulana fu proprio legato al suo essere terra di emigrazione. I fatti
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di Sarajevo, ai quali seguirono, a partire dal 28 luglio 1914, le dichiarazioni di guerra dell'Austria-Ungheria e dell'Impero Germanico alle altre potenze europee, determinarono dagli inizi di agosto il massiccio rientro degli emigranti stagionali e anche di quelli che si erano stabilmente trasferiti in quei paesi. Il venir meno delle possibilità di lavoro, la previsione della discesa in campo anche dell'Italia (non si sapeva però da quale parte ... ), il rischio di internamento per i sudditi italiani presenti negli altri paesi in caso di guerra contro il Regno d'Italia, furono i principali fattori che determinarono quel precipitoso rientro. In poche settimane, oltre 80 mila friulani rientrarono alle proprie case. Di questi ben 28.877 nel solo circondario di Pordenone. A partire dal mese di agosto 1914 le comunità della nostra montagna e pedemontana si trovarono quindi a fare i conti con il grave problema della disoccupazione degli emigranti rientrati, per i quali era necessario garantire nuove opportunità di lavoro. Di fronte ad una popolazione che arrivò ai limiti della disperata sollevazione, in prima fila in questo tentativo furono i comuni, che attivarono un numero considerevole di opere pubbliche: strade, ponti, scuole. Ma l'opera pubblica di gran lunga più importante avviata in quei mesi fu la costruzione della ferro via pedemontana nel tratto da Sacile a Pinzano ( il tratto da Pinzano a Gemona era di fatto completato e sarebbe stato inaugurato nel novembre di quello stesso anno). L'opera, all'inizio dell'estate 1914 era già progettata e in fase di rilascio della relativa concessione: la straordinarietà del momento ne accelerò l'iter ed i lavori lungo la linea poterono essere iniziati rapidamente. Ma oltre agli emigranti stagionali, in quei mesi rientrarono dall'estero anche le numerose famiglie originarie del nostro territorio e ormai stabilitesi definitivamente negli Imperi Centrali. In particolare dalla Germania e dall'area triestina e istriana rientrarono centinaia di persone, uomini, donne, bambini, che spesso avevano perso ogni legame famigliare con i paesi di origine, che raggiungevano venendo di fatto a trovarsi in situazione di abbandono, senza lavoro e senza dimora. Fatto poco noto, furono questi profughi a subire per primi l'internamento, in particolare verso località del Piemonte e della Toscana.
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Rispetto alla contesa fra interventisti e neutralisti, in Friuli furono poche le istanze in favore dell'entrata in guerra e riconducibili principalmente alle poche centinaia di irredentisti triestini e goriziani che operarono a Udine e ad alcuni rappresentanti politici dell'epoca, fra i quali il senatore Antonino di Prampero, reduce delle guerre risorgimentali, i socialisti Riccardo Spinotti e Libero Grassi ed il deputato cattolico spilimberghese Marco Ciriani. Mentre le piazze d'Italia erano animate dalle manifestazioni interventiste del "maggio radioso", sul nostro territorio la guerra imminente si manifestava con i primi arrivi di truppe già nell'autunno 1914, sempre più intensi a partire dall'aprile 1915 per la "radunata" dell'esercito che andava a schierarsi sul confine. Da quei giorni l'intero Friuli fu zona di guerra divenendo la grande retrovia dell'esercito combattente. Nei due anni e mezzo fino al tragico autunno del 1917, anche il nostro territorio vide la presenza di strutture militari, dai campi di volo agli ospedali militari, la diffusa permanenza nei nostri paesi di reparti in riposo e in addestramento, in un rapporto non sempre facile con le comunità locali che quotidianamente affrontavano le difficoltà civili del tempo. L'assenza di padri, figli e mariti, le requisizioni, il progressivo razionamento dei generi di sussistenza come la carne, lo zucchero, il pane. E vennero quindi i giorni di Caporetto, con la fuga dalla provincia di Udine di 134.816 civili, in maggiore misura dalle città, dove erano concentrate le classi sociali più abbienti. Nelle campagne, e quindi anche nel nostro territorio montano e pedemontano, restarono sul posto anche molti rappresentanti del clero e le amministrazioni civili che in qualche modo cercarono di alleviare le dure condizioni dell'anno dell'invasione. Il nostro territorio fu invaso a partire dal 3 novembre 1917, con il superamento del Tagliamento a Comino da parte dei primi austroungarici, devastato nei giorni successivi dagli italiani in ritirata, dagli imperiali al loro inseguimento, dai combattimenti che sconvolsero molte località: Pielungo, Forno, Pradis di Sopra, Lestans, Colle, Meduno, Tramonti di Sopra, Forcella Clautana, Cimolais. Per citare solo i più importanti.
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Durante l'anno di occupazione il territorio invaso fu inizialmente diviso fra l'amministrazione militare germanica e quella austroungarica. Il territorio corrispondente ai distretti pedemontani, fino al Piave, e quindi anche il nostro Friuli occidentale, fu affidato ai tedeschi, che ne mantennero il controllo fino al 15 marzo 1918 quando si avvicendarono con gli alleati. Fu davvero un anno terribile: se all'iniziale amministrazione tedesca corrisposero anche aspetti di migliore trattamento della popolazione, con la gestione austroungarica fu completato un disegno di rapina di ogni risorsa del territorio con violenze sui civili, requisizioni di ogni tipo fino a quella delle campane e della biancheria, con la fame che sopravvenne in particolare nei mesi della primavera e dell'estate. Per il territorio del Friuli occidentale quel periodo durò esattamente un anno, il Regio Esercito giunse al Tagliamento il 2 novembre 1918 (in quella giornata si svolge la carica di Tauriano di Spilimbergo) con due giorni di anticipo rispetto alla cessazione delle ostilità disposta con l'armistizio di Villa Giusti. I tempi per il ritorno ad una relativa normalità in terra friulana sarebbero stati ancora lunghi, la smobilitazione dell'esercito ed il rientro dei profughi avrebbero richiesto alcuni mesi, la ricostruzione di un territorio devastato avrebbe richiesto anni. Una popolazione che fu spesso e a torto ritenuta tiepida nei confronti della causa unitaria o addirittura sospettata di simpatie verso l'Austria, aveva pagato un prezzo particolarmente alto: i Caduti militari, le morti e sofferenze civili nell'anno dell'invasione, la profuganza iniziata già nel 1914, la distruzione di un territorio che fu per due volte campo di battaglia. Ed erano venute meno le tradizionali vie dell'emigrazione senza vedere emergere in Friuli quelle opportunità di lavoro nelle quali molti avevano sperato. L'emigrazione riprese subito, ora diretta in particolare verso la Francia e le destinazioni transoceaniche.
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I profughi delle terre invase Alessandro Padelli
Spostamenti temporanei di persone in seguito a guerre e pestilenze si erano già verificati più volte nel passato; ma nulla di assolutamente paragonabile a quanto avvenne nei giorni immediatamente successivi al crollo di Caporetto e alla rapida invasione austro-tedesca, quando decine di migliaia di Friulani e, in minor misura, Veneti, diedero vita a un esodo di proporzioni bibliche, stimato in circa 480.000 persone delle province di Udine (compreso il Pordenonese), Belluno, Treviso, Venezia e Vicenza, che andavano ad aggiungersi ad altre 150.000 che ebbero la stessa sorte in diverse fasi del conflitto. A spingere alla fuga furono soprattutto i timori di violenze (omicidi, torture, stupri) che gli invasori, pieni di rancore verso i "traditori italiani", avrebbero potuto perpetrare ai danni dei civili. Erano giunte infatti notizie di atti terribili compiuti durante le precedenti invasioni dai soldati degli Imperi centrali contro la popolazione inerme, in particolare nel Belgio; notizie in piccola parte vere, in maggioranza amplificate o inventate di sana pianta da parte delle autorità politiche e militari per rendere ancor più odiosi i nemici e, di conseguenza, per mettere a tacere neutralisti e pacifisti e per sollecitare i nostri soldati a combattere con maggior vigore. Senza alcuna ragione reale, si parlò subito dopo la disfatta di Caporetto addirittura di truppe slave, bulgare e soprattutto turche che avanzavano, e che avrebbero di certo commesso misfatti tremendi: rinasceva così nella gente il terrore delle lontane scorrerie turche che avevano insanguinato il Friuli nella seconda metà del '400 e che erano ancora vive nella memoria popolare. Si era così creato un vero e proprio terrore dei "barbari" che convinse molti ad abbandonare le proprie case per cercare un posto sicuro, lontano dal fronte ormai spostatosi di molti chilometri ad ovest.
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Furono soprattutto le classi più agiate - nobili, possidenti, commercianti - a temere per la propria vita e i propri beni; ma furono molti anche tra coloro che non erano benestanti a intraprendere il volontario esilio. Parecchi furono i sindaci, gli assessori, i medici, i presidi, i segretari comunali e altri funzionari pubblici che se ne andarono, portando spesso con sé beni, valori, archivi e documenti importanti per non farli cadere in mano nemica. In qualche caso partirono anche i sacerdoti, a volte guidando folti gruppi organizzati di parrocchiani, a volte da soli, mentre la maggioranza dei parroci rimase al proprio posto. Sia subito che al termine del conflitto, ci fu chi giudicò questa fuga di massa della classe dirigente come un'irresponsabile vigliaccheria o, addirittura, un vero e proprio tradimento; chi invece fu più comprensivo, ponendo l'accento sulla necessità che c'era di salvare cose e persone che sarebbero tornate preziose durante e dopo il conflitto. Comunque sia, caricate frettolosamente sui carri le cose più care (ma in certi casi alcuni partirono solo con una valigia), a piedi, su cavalli, asini e muli, oppure stipati sugli ultimi treni diretti a occidente, migliaia di singole persone e di famiglie lasciarono in grandissima premura il Friuli e il Veneto invaso, diretti non si sa esattamente dove. Altri, la maggioranza, decisero di non partire per svariati motivi: chi per non abbandonare la casa, i granai e le stalle ai sicuri saccheggi e alle devastazioni; chi perché aveva ammalati, vecchi o neonati difficili da portare via; chi perché credeva che ci fosse ancora qualche possibilità che il nemico avanzante potesse essere arrestato e ricacciato indietro; chi infine perché era convinto che i timori per le possibili violenze austro-tedesche fossero esagerati. Per oltre un anno, la società friulana fu dunque spaccata in due parti, una "sotto il tallone nemico" (come si diceva), l'altra al sicuro, ma sballottata in giro per l'Italia, dall'Emilia alla Calabria, dalla Toscana alla Sicilia, dove si formarono comitati di assistenza e si ricostituirono amministrazioni comunali in esilio. Le regioni che ospitarono più profughi, oltre alla parte di Veneto non invasa, furono, nell'ordine, la Lombardia, la Toscana, l'Emilia e il Piemonte, ma non mancarono quelli destinati ad altre regioni, comprese la Calabria, la Sicilia e per-
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fino la Sardegna. Sulle condizioni di vita dei profughi, spesso difficili e destinate a segnare in un modo o nell'altro il prosieguo dell'esistenza di molti, sono stati scritti libri interi, e non è qui certo possibile sintetizzare in poche righe il vasto argomento, sicché conviene rimandare all'apposita bibliografia. Il ritorno dei profughi a casa alla fine della guerra non fu poi né immediato (nei territori occupati scarseggiava il cibo e c'erano devastazioni ovunque), né facile. Si aprirono infatti da una parte polemiche sulla presunta viltà di chi era fuggito, dall'altra accuse di furti e appropriazioni di beni dei profughi da parte dei compaesani rimasti, coperti dai saccheggi e dalle requisizioni austro-tedesche, ma anche pretese dei possidenti per rate arretrate nei confronti degli affittuari. Nelle enormi difficoltà economiche e nelle deficienze infrastrutturali del dopoguerra, fra danni incalcolabili e sospetti di collaborazionismo con gli occupanti, sortì una situazione di prolungata tensione che non si risolse presto, anzi durò a lungo e fu abilmente sfruttata da determinati gruppi politici, come il nascente Fascismo. La ricerca degli studenti di Polcenigo (cfr. pag. 317 in Appendice I problemi per la società civile: i profughi), compiuta su statistiche elaborate nel dopoguerra, ci consente di disporre dei dati relativi a tutto l'Udinese, del quale il Friuli occidentale faceva allora parte. Si riportano qui però i soli dati che si riferiscono ai comuni dell'attuale provincia di Pordenone, avvertendo che sono cifre non sempre precise, vista la complessità della rilevazione, ma comunque lo stesso molto significative. Come si può notare, le percentuali di profughi si presentano assai difformi: si va da minimi del 0,55 per cento a Tramonti di Sopra e del 1,15 per cento ad Andreis, quasi nulli, fino a un massimo del 30,4 per cento, ossia quasi un abitante su tre, per Spilimbergo. Difficile spiegare queste differenze: sicuramente ci sono stati più profughi nelle cittadine maggiormente abitate e ricche (in ordine di percentuale, dopo Spilimbergo, venivano infatti Sacile, Pordenone, San Vito al Tagliamento e Maniago, con medie tra il 20 e il 30 per cento dell'intera popolazione), che erano per di più poste in genere su strade importanti e servite da ferrovie. Altre zone con percentuali elevate di profuganza furono alcuni comuni più a est, come Pinzano, Sequals, San Martino
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al Tagliamento e Casarsa, fra i primi attraversati dal nemico in avanzata e in qualche caso luogo di scontri armati effettivamente avvenuti oppure ritenuti molto probabili dai civili, terrorizzati dall'idea di trovarsi tra due fuochi. Un minor numero di profughi partì invece dalle zone di montagna comprese tra la Valcellina e il Tagliamento e dalla bassa Pordenonese grosso modo compresa tra Brugnera, Fiume Veneto e Chions, ma il tutto con eccezioni e irregolarità. Per esempio, comuni vicini e per molti versi simili, come Caneva e Polcenigo, Fontanafredda e Roveredo in Piano, Castelnovo e Travesio, dimostrano percentuali di profughi piuttosto diverse e non facilmente spiegabili. Laddove si hanno testimonianze più ampie e precise, si può concludere che la fuga fu dettata a quanto pare più da decisioni istintive, da fatti privati e contingenti e dall'esempio trascinante di pochi piuttosto che da ragionamenti ponderati o da progetti condivisi.
Bibliografia D. CEsCHIN, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande guerra, Roma- Bari, Laterza, 2006. E. EuERo, Storia di un esodo. I Friulani dopo la rotta di Caporetto 19171919, Pasian di Prato (UD), IFSML, 2001. La Provincia di Udine e l'invasione nemica, a cura di E MusoNI, Udine, Del Bianco Editore, 1919.
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La bella, buona e giusta guerra Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Mattia Celant 3 aA, Giulia Bagatella 3a A, Patrick Franco 3aB
Chi è giunto a questo punto del nostro lavoro sulla Prima guerra mondiale - sia chi lo sta leggendo, sia noi studenti che l'abbiamo realizzato, studiando e analizzando vari aspetti degli eventi del 1914-18 - ha aumentato le proprie conoscenze sull'argomento, sul clima che si respirava in quel periodo, sulle conseguenze per la gente comune e per i soldati. Manca però ancora qualcosa per rendere più completo il lavoro e quindi la conoscenza della situazione nel periodo considerato: in un periodo in cui le comunicazioni di massa cominciano ad avere un ruolo importante, come viene vista la guerra dal mezzo di comunicazione allora principale, vale a dire i giornali? Come viene utilizzata la possibilità di fare propaganda con la stampa e con altri metodi prima e durante la guerra? Questi sono proprio i temi dei quali si è occupato il nostro gruppo.
1915 Le giornate del maggio 1915 vedono la stampa italiana pronta ad esaltare in maniera eclatante ciò che sta accadendo. Il "Giornale di Udine" del 23 maggio, per esempio, in un articolo intitolato "La nostra guerra" mette in evidenza l'opportunità di intervenire in guerra a fianco dell'Intesa contro gli austro-tedeschi, che non appaiono così forti come si potrebbe credere: questa alleanza permetterà di conquistare i territori irredenti. L'articolo si conclude poi con un'esaltazione del numero e della qualità del nostro esercito, "mai così bene apparecchiato e così bene comandato come è ora". Un giornale a tiratura naziona-
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le quale "La Stampa" apre la pubblicazione sempre del 23 maggio con l'articolo intitolato "Bisogna vincere" nel quale i verbi più usati (quasi fino alla nausea) sono "bisogna", "dovere" e "vincere". Quando, tra il 24 e il 25 maggio, viene data la notizia dell'entrata in guerra, i quotidiani sono pronti a riportare la gioia degli alleati per il nostro intervento, l'elenco dei provvedimenti presi dal governo, la "volontà di combattere e di vincere" ("La Patria del Friuli", 24 maggio 1915) delle città di confine maggiormente interessate dal conflitto e a presentare in prima pagina, con una biografia piena di particolari legati anche ai suoi antenati protagonisti dell'Unità d'Italia, la figura del Capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna ("La Patria del Friuli", 26 maggio 1915). I vari giornali vedono dunque la guerra sotto diverse sfumature ma tutti con riferimento a un unico punto di vista: inizia la guerra, tutti dobbiamo combattere per la patria, la vittoria sarà sicuramente nostra. Nessuno di essi, però, vede la guerra come un'immensa e inutile perdita di vite, anzi tale problema non viene minimamente citato. Ciò che viene esaltato è dunque il fatto di considerare la guerra come un'opportunità per vendicarsi di antiche sconfitte o come una opportunità di conquiste territoriali. Tali articoli rispecchiano quello che è il clima delle "radiose giornate di maggio" organizzate dagli interventisti. Un esempio lampante di ciò è il discorso tenuto da Gabriele D'Annunzio il 13 maggio a Roma, durante il quale il poeta afferma che "non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane". Queste sono le parole di apertura del discorso fatto a Roma da D'Annunzio, che continua il suo discorso cercando di far credere (e in molti casi riuscendoci) alla gente e ai soldati di aver di fronte un branco di incapaci e per far loro sperare in una guerra breve e veloce. Da quanto affermato da quell'abile oratore di D'Annunzio, si riesce a cogliere pienamente l'atmosfera di quei giorni in Italia: euforia, quasi una forma di fanatismo nazionale, disprezzo del nemico, visto come un frodatore e un ruffiano, erano i sentimenti che gli interventisti cercavano di diffondere utilizzando la piazza come mezzo di persuasione.
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Dunque, come abbiamo visto, l'atteggiamento della piazza ricalcava quello della stampa, o forse l'atteggiamento della stampa riprendeva quello della piazza.
1916 "La nostra grande vittoria sull'Isonzo" e "Gorizia liberata dalle truppe italiane dopo la disfatta inflitta agli austriaci - Il nemico in rotta inseguito dalla cavalleria e dai ciclisti ha lasciato oltre 10.000 prigionieri ed enorme bottino" ("Giornale di Udine", 8 agosto 1916 e 10 agosto 1916); "Gorizia italiana" e "Le dimostrazioni in tutta Italia" ( "La Patria del Friuli", 10 agosto 1916): la guerra è in questi giorni vista come un motivo di gloria, Gorizia è stata appena conquistata e i giornali raccontano solo l'evento ma non citano mai le decine di migliaia di persone che hanno dato la vita per ottenere un tale risultato e le condizioni in cui i soldati riescono a portare a termine quelle conquiste.
1917 Nel 1917 la situazione non è certo positiva per l'Italia e i giornali della zona friulana, la più interessata dalle operazioni di guerra, piuttosto che parlare di ciò preferiscono riportare le notizie relative alla beneficienza compiuta dai più abbienti o dalle associazioni ("Il conforto e l'assistenza dei danneggiati di S. Osvaldo", "La Patria del Friuli", 14 ottobre 1917) e le rassicuranti, per quanto brevi, informazioni relative all'avanzate degli alleati o alle difficoltà del nemico ("Nuove conquiste britanniche. I tedeschi seguitano a ripiegare nell'Africa Orientale", "Giornale di Udine", 15 ottobre 1917). Anche in questo periodo non vengono nemmeno accennate le difficoltà affrontate dai soldati in guerra e le battaglie vengono raccontate come un fatto positivo. I soldati che impiegano la loro vita per questo scopo sembrano non valere nulla.
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1918 I giornali locali del Friuli che abbiamo analizzato precedentemente, nel periodo dell'occupazione austriaca (1917-18) o trasferiscono la loro sede a Firenze continuando le pubblicazioni (ad es. "Giornale di Udine"), oppure le interrompono per riprenderle a guerra finita (ad es. "La Patria del Friuli"). Nel novembre 1918, però, tutti questi giornali hanno nuova vita e celebrano la vittoria italiana. Le aperture dei giornali in questo periodo hanno tutte una parola in comune (VITTORIA, scritta spesso proprio in maiuscolo) e in prima pagina riportano il resoconto delle riconquiste territoriali dell'ottobre-novembre. Soprattutto, però, è il "Bollettino della Vittoria" del gen. Diaz che occupa un posto d'onore in tutte le prime pagine dei giornali, grazie sia alla celebrazione dell'evento sia al ricordo di aver vinto con un'azione "fulminea" contro uno dei più forti eserciti dell'epoca. Come abbiamo già avuto modo di vedere continuano a mancare i riferimenti a morti, feriti, mutilati, quindi a tutte quelle vittime della guerra protagoniste di quegli avvenimenti ma che, probabilmente, non era il caso di far conoscere ai lettori. Ciò che si sottolinea è solo la vittoria, non la fatica, la distruzione e gli eventi tragici in generale che sono stati utili per raggiungerla.
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Sopra: grafico riportante il numero di morti, feriti e prigionieri degli Imperi Centrali. Sotto: grafico riportante il numero di morti, feriti e prigionieri dell'Intesa.
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Le ragioni della nostra guerra e le condizioni della nostra pace Vogliamo chiudere la nostra breve analisi delle pubblicazioni nel periodo di guerra analizzando un opuscolo che veniva distribuito ai soldati italiani, intitolato "Le ragioni della nostra guerra e le condizioni della nostra pace". Nelle prime pagine di questo manuale vengono esposti ai soldati i motivi della guerra e vengono presentati i soldati nemici. Essi vengono descritti come dei vigliacchi che calpestano i diritti delle nazioni e vengono inoltre raccontati eventi, falsi, per attribuire loro la parte dei mostri: tra i soldati italiani, infatti, come riportato nel manuale, corre la voce che i nemici, crudeli, affondino navi cariche di bambini. Dall'altro lato i soldati italiani vengono invece esaltati e descritti come degli eroi che riprendono la strada di "chi cacciò gli Austriaci da Milano e da Ancona, da Venezia e da Bologna" e che possono dunque portare a termine l'impresa cominciata da Garibaldi, come soldati che dal nemico devono prendere le uniche qualità importanti che ad esso vengono riconosciute ( che sono però poi state distorte dallo stesso) quali l'obbedienza e la disciplina. Nel paragrafetto intitolato "I due gruppi di belligeranti" viene poi fatta una distinzione molto semplice tra le parti in guerra: "buoni" e "cattivi". I "cattivi", ovvero i tedeschi, sono un gruppo costituito, secondo il manuale, di "vari elementi" che ha asservito a sé altri popoli di minore importanza. Della parte dei "buoni", invece, fanno parte le nazioni "libere" di Inghilterra, Francia, Russia e Italia. Vengono rispettate anche il Belgio, la Serbia e la Romania, in quanto si oppongono alla politica di "assorbimento" tedesca. La pagina forse più interessante di questo opuscolo è, però, quella in cui si paragonano i soldati ai contadini. Come un contadino, dopo la fatica fatta per coltivare i campi, non rinuncerebbe mai a raccogliere il "frutto" del suo lavoro, così i soldati non dovevano accettare le of-
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ferte di pace, giunte dal nemico, e continuare invece a combattere fino al raggiungimento dell'obiettivo finale: la vittoria. I soldati italiani vengono dunque "educati" a vedere il nemico in un certo modo (è colui che calpesta i diritti degli altri, in particolare quelli degli italiani) e ad agire di conseguenza fino ad ottenere la vittoria finale, fino ad avere "le terre nostre" (le terre irredente) e a far gridare anche alle popolazioni di quelle terre "un nome altissimo: ITALIA". Demonizzazione del nemico, esaltazione del contadino-soldato, irredentismo: questi i temi dell'opuscolo distribuito ai soldati, ma i problemi e le difficoltà della guerra non venivano nemmeno accennate oppure fatti intravedere ai diretti interessati. Una propaganda molto simile, dunque, a quella utilizzata dai giornali nei confronti della popolazione, così come abbiamo visto precedentemente.
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LEGENDA •
~ punti di particolare interesse.
• • • • • • • • ~ = itinerario proposto. 0DONIMI ~
in maiuscoletto i nomi di vie e di piazze riconducibili ai fatti della Prima guerra mondiale. Le elaborazioni grafiche degli itinerari e delle mappature sono state realizzate da Laura Guaianuzzi, in base al materiale prodotto dagli studenti.
Itinerari e mappature con i piedi sul territorio ... nel Pordenonese
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I monumenti ai Caduti Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Nicola Bidese 3 aA, Raul Ettari 3aB
Nella cartina abbiamo riportato le fotografie dei monumenti e delle lapidi in corrispondenza della loro ubicazione nel territorio polcenighese al momento attuale. Ricordiamo che i monumenti sono cinque in tutto e si trovano in centro a Polcenigo (2), a Mezzomonte, a San Giovanni di Polcenigo e nella chiesa di Coltura. Le lapidi che abbiamo censito nei diversi cimiteri del Comune di Polcenigo sono in tutto 11: 6 si trovano a Coltura, 4 a Mezzomonte e 1 a Polcenigo (nota bene: in corrispondenza dei cimiteri di Coltura e Mezzomonte abbiamo riportato una sola fotografia delle diverse lapidi presenti, in quanto ciò che qui ci interessa è segnalarne la presenza nel territorio). Quali tracce della Prima guerra mondiale sono rimaste nel territorio po lcenighese? Rintracciarle è stato il compito affidato al nostro gruppo, che è andato dunque alla ricerca di monumenti e lapidi che ricordano la Grande guerra. Il Monumento ai Caduti della foto accanto si trova a San Giovanni di Polcenigo in Piazza della Chiesa ed è diviso in diverse parti. La parte inferiore è formata da un basamento con lapide che ricorda i Caduti della Se-
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Il Monumento ai Caduti di San Giovanni di Polcenigo visto da un'altra angolazione.
conda guerra mondiale; quindi c'è una coppia di colonnine binate che inquadrano una nicchia decorata con disegni geometrici e con una croce al centro. Tale struttura è sovrastata da un'architrave, oltre la quale si trova un fregio floreale al cui interno è incastonata una lapide che celebra gli avvenimenti del 1915-18 (Prima guerra mondiale). Infine la parte superiore è decorata con un motivo che riprende la struttura del tetto di un'abitazione ed è sormontata da un'aquila con le ali dispiegate.
Lapidi ai Caduti nella chiesa di Coltura.
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Nella pagina precedente, le due lapidi con i nomi dei Caduti di Coltura: si trovano nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo, a destra appena entrati, nella cappella dedicata appunto ai Caduti. Riportano i nomi di 62 giovani del paese morti durante la Prima guerra mondiale. Coltura non ha un suo Monumento ai Caduti, ma queste due lapidi in chiesa, fatto non molto comune.
Questo monumento è molto semplice, creato con la roccia della montagna retrostante. Si trova a Mezzomonte; una lastra di marmo riporta l'elenco dei nomi dei Caduti del luogo durante la Prima e la Seconda guerra mondiale.
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Questo monumento si trova nella piazza centrale di Polcenigo. È composto da quattro lastre di marmo, due per parte, dedicate alle due guerre mondiali (nella foto riportiamo la sezione dedicata ai Caduti della Prima guerra mondiale). In alto si trova una campanella decorativa. La facciata è in stile neoclassico. POLCENIGO Monumcnlo
ai Caduti
Da una fotografia del 1930 possiamo notare che il monumento si presentava con più parti celebrative rispetto ad ora:
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- c'era una lampada a sospensione con il fuoco a rappresentare la memoria degli eventi bellici; - le lastre erano unite con un decoro superiore dello stesso materiale; - infine una scalinata ornata con dei bossoli di bombe e delle piante era stata posta ai piedi del monumento. Di seguito una curiosità relativa al centro di Polcenigo: dopo la Seconda guerra mondiale si era pensato di costruire un nuovo Monumento ai Caduti. Era stato fatto un progetto che posizionava il nuovo complesso nella piazza adiacente a quella dove stava: il progetto fu approvato dal Consiglio Comunale e iniziarono i lavori. Si pensava non di costruire un monumento completamente nuovo ma di utilizzare gli ornamenti e le piastre in marmo di quello degli anni Trenta, che sarebbe stato smantellato. Quando il lavoro fu quasi terminato, però, i superstiti di entrambe le guerre protestarono presso il Comune, sostenendo che la posizione della nuova struttura non era molto visibile e pretendevano che il monumento dovesse essere visto da chiunque. Così il lavoro fu bloccato e ora, dove avrebbe dovuto essere posizionato un imponente monumento, si trovano quattro tavole di marmo con un fiore. Il monumento incompiuto c'è ancora, ma senza i nomi dei Caduti in guerra.
Quest'ultimo monumento (vediamo sopra due foto) si trova nel «Cortivon», una piazza secondaria del centro di Polcenigo.
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Opera dal disegno lineare, riprende uno stile razionalista, delimitato da bossoli di bombe originali, quelli che erano già presenti nel monumento di Piazza Plebiscito, come si può vedere dalla foto degli anni '30. Oltre ai monumenti, nel territorio comunale sono ancora presenti nei cimiteri alcune lapidi di soldati morti nel corso della Grande guerra. Di seguito ne riportiamo le foto di qualche lapide esistente nei cimiteri di Coltura e di Mezzomonte.
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Le memorie dei protagonisti: mamma Angela Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Naomi Galea 3aB, Martina Franco 3 a B, Eleonora Tizianel 3 a A
Per capire come la gente comune visse gli avvenimenti della guerra sono fondamentali i loro ricordi e tra questi rientrano quelli raccolti da Ermanno Varnier nel testo 1917-1918. l.;invasione, riguardanti le esperienze di sua madre, Angela, e di altre persone vissute negli anni del conflitto nel polcenighese, in particolar modo di una coetanea della madre, Clementina Celant. Il nostro gruppo si è occupato della lettura di tale libro e del recupero delle informazioni riguardanti gli avvenimenti bellici in esso contenute così come sono stati visti dalla persone comuni.
MAMMA ANGELA 1) Chi è Angela Angela, la madre di Ermanno Varnier, nacque nel 1899 in Germania, paese in cui i genitori, così come molti altri polcenighesi, si erano trasferiti per motivi di lavoro. Lei, i genitori e i fratelli rientrarono in Italia alla vigilia della guerra, in previsione degli avvenimenti e anche per i problemi di salute del capofamiglia che, dopo anni di lavoro in una miniera di carbone, era vittima di una grave malattia polmonare (silicosi). In Italia, dopo essere stato ricoverato in ospedale ad Aviano, sarebbe morto e poco dopo la famiglia di Angela subì la perdita anche della madre. I tre figli maschi maggiorenni erano intanto partiti per la guerra e Angela si trovò a dover badare da sola agli altri due fratelli di 9 e 6 anni proprio nel periodo dell'invasione austro-tedesca del 191 7.
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2) Il primo incontro coi "tedeschi" L'incontro con i tedeschi - nome che la popolazione diede a tutti gli invasori, tedeschi o austriaci che fossero e che furono effettivamente i primi a entrare a Polcenigo seguiti poi dagli austriaci - fu traumatico. La situazione nei primi giorni dell'invasione era confusa: tutti avevano paura, pregavano; per le strade giravano soldati in fuga e chi non poteva aiutarli subiva furti di cibo e di oggetti vari; i tedeschi penetrati nei confini italiani saccheggiavano le case dei poveri paesani, tanto che rappresentavano, agli occhi della popolazione, belve e non uomini: brutti, cattivi e affamati. "Mamma Angela" narra che i tedeschi trovarono le dispense, i granai e le cantine abbastanza piene, poiché il 1917 fu un anno fortunato per l'agricoltura; i contadini provarono a nascondere il cibo, ma con esiti poco felici. Un episodio rimase particolarmente impresso ad Angela e riguarda proprio il primo incontro con i soldati nemici: il cagnolino dei suoi fratellini abbaiava furioso, così un tedesco, seccato da tale rumore, gli sparò. Il soldato, noncurante del danno provocato ai due ragazzini che piangevano disperati la morte del loro "amico", chiese poi da bere.
3) Gallina e coniglio La cugina della signora Angela, di nome Angelica, è un esempio di come la guerra faccia cambiare tutto in poco tempo. Poco prima dell'invasione aveva diversi animali (vitello, mucche, galline) e la dispensa piena avendo appena ucciso il maiale. Gli invasori le rubarono quasi tutto quello che aveva in dispensa e degli animali posseduti le rimasero dapprima solo la mucca e 3 galline: di queste ultime, però, 2 le vennero portate via in seguito. Una sola gallina dunque era rimasta alla cugina Angelica, che decise, sia per evitare che facesse la stessa fine degli altri animali, sia perché la propria bambina era affamata, di cucinarla per nutrire la piccola Camilla. Mentre stava cucinando, entrò un tedesco e Angelica nasco-
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se il pollo nel buco di aerazione alla base del focolare. Il tedesco non trovò nulla finché Camilla (2 anni) cercò, piangendo, il pollo. Il tedesco capì e rubò il pasto a madre e figlia. La fame si faceva dunque sentire tra la popolazione e un altro episodio ci fa capire fino a che punto. Poco prima dell'invasione, era stato regalato ai fratellini di Angela un coniglio da loro considerato come un giocattolo. Lo chiamarono Fiocco. L'invasione però cambiò tutto e non fu possibile tenere un coniglio in casa come compagno di giochi: visto che erano tanto affamati, Angela decise di sacrificare il coniglio e cucinarlo, anche per evitare che la stessa fine gliela facessero fare i "tedeschi". I due bambini, però, non vollero mangiarlo.
4) Il "formai imbriago" e la "donna cipolla" I contadini di Polcenigo, per nascondere i loro beni, escogitarono diversi espedienti. È il caso di ricordare un metodo usato per non far cadere nelle mani del nemico il formaggio, che venne messo sotto i cumuli di vinacce in fermentazione: gli occupanti non guardarono là sotto e quando venne mangiato assunse un sapore particolare e migliore, tanto che si è tramandato nelle usanze con il nome di "formai imbriago". Oltre a rubare cibo e oggetti alla popolazione, gli occupanti prendevano le campane delle chiese per fonderle e poi farne armi. Secondo la testimonianza di mamma Angela, gli ufficiali austriaci, dopo aver tolto 2 campane da Coltura, decisero di rivolgersi verso quelle di Polcenigo, ma una di queste cadde nel fosso e non ci fu modo di tirarla su. La gente osservava questi spettacoli, così come le requisizioni nelle proprie case, spaventata e impotente. In paese non c'era un medico locale, quindi la popolazione veniva curata dai dottori austriaci i quali non erano sempre presenti e, quando lo erano, i paesani non si fidavano di loro in quanto considerati nemici. Nel 1918, però, si stava diffondendo il morbo influenzale e anche se la gente preferiva curarsi con le solite panacee, si dovette ri-
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correre a questi medici. La stessa mamma Angela andò a farsi visitare per una dissenteria che non riusciva a curare. Il medico aveva, proprio quel giorno, un problema con una paziente che non voleva spogliarsi per essere visitata, quindi la ragazza, che conosceva il tedesco e fece da interprete tra il dottore e la donna, la convinse e ci riuscì. Il motivo della poca voglia di spogliarsi da parte della signora si scoprì subito: per evitare che le rubassero i vestiti, aveva indossato tutta la biancheria che possedeva e aveva paura che qualcuno scoprisse il suo segreto. Vedendo la scena, il medico esclamò: "Questa non è una donna, è una cipolla!".
CLEMENTINA CELANT Clementina nei giorni dell'invasione aveva 18 anni, essendo nata il 2 7 febbraio 1899. Inizia il proprio racconto ricordando gli ultimi giorni di ottobre e i primi di novembre. In paese di solito c'era pace e tranquillità, però da quando era iniziata la guerra e soprattutto in quel periodo c'era disordine e disperazione. I soldati avanzavano perché i soldati si ritiravano dall'Isonzo. Clementina chiese ad un amico, appena rientrato dal fronte dove lavorava come operaio civile, di che cosa avesse paura e lui le rispose che gli austriaci avanzavano sempre più velocemente e gettando gas asfissiante. All'inizio Clementina non credeva che gli austriaci stessero arrivando, ma poi, dopo pochi giorni, vide apparire i primi soldati; nei giorni seguenti continuavano ad arrivare soldati e autocarri italiani in fuga. Clementina ricorda che il 5 novembre dovettero partire tutti i borghesi dai 15 ai 60 anni. Quel giorno partirono anche 6 uomini della famiglia della ragazza. Il giorno seguente Clementina e sua sorella erano fuori sulla strada per vedere com'era la situazione; un signore si fermò e chiese loro se avessero paura perché gli austriaci avanzavano. Spensierate, risposero di no. Un quarto d'ora più tardi gli austriaci erano entrati nel paese.
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Dopo un po' le pattuglie si fermarono davanti al suo portone e piazzarono una mitragliatrice e in un campo vicino dei cannoni. Cominciarono a sparare: ci fu un breve combattimento tra le ultime truppe italiane e gli invasori. Tutto durò circa 3 ore e intanto alcuni soldati già entravano nelle case e rubavano lardo, burro, formaggio, uova, cognac e marsala: tutto quello che riuscivano a trovare. La stessa sera nella casa di Clementina trovarono alloggio 53 soldati di cui 3 erano ufficiali: la mattina seguente mancavano 6 conigli. I furti diventarono un'abitudine per la popolazione: un giorno, mentre Clementina e i familiari cenavano tranquilli, sentirono aprire la porta della stalla. La mamma della ragazza corse a vedere chi fosse: erano dei soldati che stavano rubando il loro asino e in cambio lasciavano un vecchio somaro e riempivano 3 fiaschi di vino. Due giorni dopo tre persone a cavallo inseguirono le galline di Clementina e a 3 di esse staccarono la testa. Per 20 giorni passarono le truppe nemiche lasciando miseria, fame e indecenza. Clementina ricorda che nella bella casa della sua vicina alloggiarono 200 soldati! La donna pregava e implorava i soldati di lasciarle almeno qualche cosa. Abbiamo già visto nel ricordo di "mamma Angela" che spesso i bambini rimasero vittime del conflitto, come in ogni guerra, magari per la voglia di giocare. Anche Clementina ricorda che a Vigonovo un gruppetto di sette ragazzi tra i 10 e i 16 anni dopo aver trovato un ordigno inesploso in un campo iniziò a giocare con esso. Solo uno di loro si allontanò da quel luogo avvertendo gli altri di fare lo stesso per paura che succedesse qualcosa, ma rimase inascoltato: poco dopo l'ordigno esplose uccidendo i sei ragazzini.
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191 7 -- Bollettini parrocchiali a San Giovanni e a Coltura Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Braian Kadiu 3 aA, Alessia Pauletti 3a A, Michael Rover 3aB
Il nostro gruppo si è occupato di analizzare due bollettini parrocchiali pubblicati nel Polcenighese all'inizio dell'anno 1917 - più precisamente a Coltura e a San Giovanni - allo scopo di capire quali fossero i temi affrontati in tali testi e se tra i due bollettini vi fossero punti in comune oppure di divergenza. I documenti sono stati reperiti rispettivamente presso l'Archivio Storico del Seminario Diocesano di Pordenone e la Biblioteca di Coltura di Polcenigo. Il primo elemento rilevante che si nota in entrambi i testi è che vengono pubblicate le fotografie dei soldati delle due frazioni Caduti in guerra fino a quel momento allo scopo di ricordarli perché hanno dato la propria vita per la Patria. In comunità piuttosto piccole come Coltura e San Giovanni è molto probabile che le decine di morti in guerra registrati nelle due frazioni abbiano colpito fortemente la popolazione, sia emotivamente sia praticamente, e che ricordarli anche nel bollettino pubblicato periodicamente dalla parrocchia sia stato quindi un momento importante per unificare ancora di più la comunità e ricordare la tragedia che si stava vivendo. Analizzando più in profondità i due documenti possiamo capire che i parroci vogliono, con gli articoli pubblicati nei bollettini, spiegare ai propri paesani l'importanza, nonostante tutto, della speranza che la guerra finisca presto. Per fare ciò vengono raccontati degli episodi nei quali la guerra funge da antagonista, distrugge famiglie, crea problemi economici, fa cessare l'autostima di ogni uomo, causa problemi religiosi e crea problemi di salute, anche mentale, e che, se non vedono sempre trionfare i valori cristiani, perlomeno sono utili come insegnamen-
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to. Tra i vari articoli ce ne sono diversi interessanti: uno, uguale per entrambi i bollettini, in cui si parla della fede in Dio da parte dei militari: un soldato che teme Dio non conosce la paura della guerra ("affronta impavido ogni pericolo") perché anche nel preciso momento della morte bisogna avere fede in Dio. In particolare viene riportata la seguente frase di De Amicis: "Chi à religione vera à coraggio ... Per andar incontro alla morte con cuor fermo e sereno, bisogna vedere qualcuno al di là che ci faccia segno: - "V'aspetto!". Un altro articolo, che si intitola: "Gli sposi, il diavolo e la vecchia ovvero la maldicenza", parla del diavolo che vuole dividere due sposi usando una vecchia che fa sempre crescere liti nel paese, ma non ci riesce fino a che non uccide la sposa. Con questo testo il parroco vuole spiegare che durante la guerra non bisogna farsi abbindolare e usare dal diavolo, perché così non si risolve alcun problema. Infine ci sembra interessante segnalare l'articolo in cui si tratta delle "bestemmie subito punite". Il parroco, scrivendo questo articolo, spiega che bestemmiare non risolve nulla, neanche un minimo problema, e se non riesce a risolvere un problema piuttosto piccolo, figuriamoci se riesce a far concludere la guerra; anzi, fa diminuire, fino a far scomparire, la fede in Dio di ogni soldato.
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Opuscolo di Coltura
Titolo articolo
Tematica
Idea principale espressa
Ai soldati, agli
Auguri di Natale e
Non è bello passare Natale e
emigranti e
Capodanno ai soldati.
Capodannointnncea lontano
alle famiglie di
dalle proprie famiglie rischiando di morire da un momento
Coltura.
all'altro. Lampada votiva.
Alcune ragazze fuori
La lampada dovrà rimanere
dal paese per lavoro,
accesa fino a che la guerra non
mandano una lampada a
finirà per proteggere il popolo.
S. Barbara. Altare
La società di mutuo
È giusto dare una degna
monumento.
soccorso S. Barbara si
sepoltura ai Caduti in guerra.
associa con i militari per raccogliere fondi per un altare. Bestemmie subito
Le punizioni dei soldati
punite.
bestemmiatori.
Le bestemmie non risolvono la guerra; chi bestemmia viene punito da Dio.
Gli sposi, il
Le insidie del diavolo.
Desiderio de I diavolo di far
diavolo, la vecchia
naufragare nel sangue un
e la maldicenza.
matrimonio felice.
Il mendicante.
Uomo povero che cerca
L'uomo non troverà ricchezza
di sfamarsi stando fuori
nei posti ricchi, ma solo nella
da una chiesa.
modestia di Cristo.
Orazione
La ricerca di "orazioni
Le ragazze sono spesso
miracolosa.
miracolose" per ottenere
interessate solo ai beni corporali
"grazie corporali".
anche se frequentano la chiesa e se si dimostrano devote.
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Titolo articolo
Tematica
Idea principale espressa
Attraversando
Le attività delle donne
Le spose dei soldati che
l'Ortugna.
che hanno il marito in
combattono per la patria e
guerra.
madri dei figli di questi, quando sono delle bestemmiatrici, che educazione possono dare ai figli?
Il soldato che
La fede in Dio.
teme Dio...
Cascata.
Padri delinquenti.
Un soldato che teme Dio non conosce la paura.
Esaltazione della natura
La natura del posto è molto
del posto.
rigogliosa.
Il ruolo del padre
I padri moderni non pensano
all'interno della famiglia.
ai loro figli: sono distratti e se il figlio cade dal carretto che stanno conducendo non si voltano neppure per vedere la fine del proprio figlio.
L'universo viaggiante.
Scoperte astronomiche.
L'uomo è nulla in confronto all'Universo, ma pur capendo ciò arriva a negare una causa creatrice, cioè il ruolo di Dio in quanto ordinatore e legislatore
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Opuscolo di San Giovanni
Titolo articolo
Tematica
Idea principale espressa
Ai soldati, agli
Auguri di Natale e
Il Natale non è bello passarlo in
emigranti, e alle
Capodanno.
guerra.
Cronaca del
I funerali dei morti in
Il dispiacere per i defunti e i
paese.
guerra.
prigionieri.
Bestemie [sic]
Le punizioni dei soldati
Le bestemmie non risolvono
subito punite.
bestemmiatori.
famiglie di S. Giovanni.
la guerra; chi bestemmia viene punito da Dio.
Gli sposi, il
Le insidie del Diavolo.
Desiderio del diavolo di far
diavolo, e la
naufragare nel sangue un
vecchia ovvero la
matrimonio felice.
maldicenza. Il mendicante.
Un uomo povero cerca
L'uomo non troverà ricchezza
di sfamarsi stando fuori
nei posti ricchi, ma solo nella
da una chiesa.
modestia di Cristo.
Orazione
La ricerca di "orazioni
Le ragazze sono spesso
Miracolosa.
miracolose" per ottenere
interessate solo ai beni corporali
"grazie corporali''.
anche se frequentano la chiesa e se si dimostrano devote.
Attraversando
Le attività delle donne
Le donne spose dei soldati che
l'Ortugna.
con il marito in guerra.
combattono per la patria e madri dei figli di questi, quando sono delle bestemmiatrici che educazione possono dare ai figli?
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Il soldato che
La fede in Dio.
teme Dio ... Cascata.
Padri delinquenti.
Un soldato che teme Dio non conosce la paura.
Esaltazione della natura
La natura del posto è molto
del posto.
rigogliosa.
Il ruolo del padre
I padri moderni non pensano
all'interno della famiglia.
ai loro figli: sono distratti e se il figlio cade dal carretto che stanno conducendo non si voltano neppure per vedere la fine del proprio figlio.
L'universo
Scoperte astronomiche.
viaggiante.
L'uomo è nulla in confronto all'Universo, ma pur capendo ciò arriva a negare una causa creatrice, cioè il ruolo di Dio in quanto ordinatore e legislatore
1917
Copertine dei due bollettini parrocchiali analizzati.
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Le memorie dei protagonisti: la maestra Nodari Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Michael Tizianel 3 a A, Mihaità Tutu 3 a A, Anna Villani 3 a B
Presso la Biblioteca di Coltura di Polcenigo è conservata copia del diario di una maestra, Caterina Nodari, che prestava servizio a Polcenigo proprio nel periodo della Grande guerra. Il nostro gruppo ha letto il diario lasciato dalla maestra raggruppando le informazioni da lei fornite in alcuni paragrafi che riportiamo di seguito.
Ottobre 191 7 L'arrivo a Polcenigo La maestra Nodari arriva a San Giovanni nell'ottobre del 1917. È qui in seguito alla richiesta del Consiglio Scolastico Provinciale di Udine. Giunge in paese proprio nel periodo in cui i tedeschi invadono il Friuli.
Ottobre~novembre 191 7 Caporetto: arriva la notizia La maestra riporta che in paese girano le voci della disfatta di Caporetto e che i tedeschi stanno avanzando. Il 28 ottobre gli operai che lavorano nelle trincee tornano a casa e dicono cose strazianti sui nemici. Molti soldati italiani tornano a casa dal fronte spesso senza armi perché le hanno buttate via considerandole un peso inutile. Tutto a un tratto
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cominciano ad arrivare dei profughi, gente stanca, vecchi, bambini al collo dei genitori: tutti si stanno dirigendo verso il Piave. Il 2 novembre la maestra va a Sacile per parlare con il vice-ispettore e per sapere del suo stipendio di ottobre che spera di ricevere. Il 5 novembre la maestra torna a Sacile per avere più informazioni e vede uno spettacolo desolante: è tutto chiuso, le ferrovie sono piene di profughi in attesa di partire, le strade di soldati; molte case sono abbandonate. Alla maestra fa molta impressione il trasporto all'ospedale di pazzi e malati. Quella sera porta i bagagli nella casa del parroco. Il 6 novembre tutta la notte rimane in attesa che i carri la conducano al di là del Piave, ma non passa nessuno. La mattina le viene detto del pericolo di un bombardamento. Non essendo riuscita a partire, rientra a Polcenigo sperando di essere più fortunata e nella sua stanza trova una brutta sorpresa: i "tedeschi" l'hanno derubata, portandole via i suoi pochi ma preziosi averi. Il 7 novembre due soldati stranieri occupano la stanza della maestra Nodari. Uno dei due guarda la cartina e dice che andranno a Venezia, Milano e Roma. Lei pensa che quelle città non le vedranno nemmeno con il cannocchiale. Nel corso del mese la Nodari subisce altri furti nella sua stanza; si reca al Comando militare e ottiene un foglio su cui è scritto che a casa sua non c'è più niente da rubare.
Dicembre 1917 ~ gennaio 1918 Un triste Natale, un brutto inizio d'anno 11 dicembre: in una casa di contadini c'è un soldato italiano arrestato dai tedeschi sul Grappa; la maestra esprime il desiderio che possa scampare alle ricerche degli austriaci. 25 dicembre, un Natale triste, la maestra pensa ai suoi parenti: non sa niente di nessuno, non sa nulla di ciò che succede nel resto della Nazione; ciò che si sa e che si sente sono i cannoni e quello che dicono i tedeschi.
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10 gennaio 1918: le scuole riaprono per ordine degli occupanti, ma cosa si può fare? Si fa "lezione" in sacrestia, perché i locali scolastici sono occupati dalle truppe. Ci sono pochi studenti, non ci sono i materiali necessari, le maestre non sono state e non vengono pagate. Il mese di gennaio vede l'affluenza di nuove truppe; più soldati arrivano, più furti si verificano. Scarseggiano i beni di prima necessità, ognuno è costretto ad arrangiarsi. Ad inizio febbraio la maestra ricorda il passaggio da Polcenigo dell'imperatore Carlo, che si sta recando al fronte. Anche i bambini vittime della guerra: il 5 febbraio la maestra ricorda che il giorno precedente una bambina ha raccolto un proiettile e, avendolo messo sul fuoco, è scoppiato facendo saltare alla piccola le dita di una mano. I prezzi salgono, le requisizioni aumentano; il 22 febbraio (anniversario della nascita di Washington) per volere dei popoli si dovrebbe festeggiare la festa della pace, che era il desiderio delle nazioni civili: i tedeschi hanno però distrutto, secondo la maestra, tale sogno. Amare considerazioni della Nodari che, reduce da alcuni giorni di febbre impossibile da curare con le medicine perché non ce ne sono, attende invano una visita del medico; intanto, di 13 insegnanti che c'erano in paese, ne sono rimasti solo 5, tra cui lei. A inizio marzo riuscirà a farsi visitare da un medico italiano rimasto a Budoia il quale le farà un certificato attestante la sua impossibilità di riprendere l'insegnamento per due mesi. Il 9 marzo cessa di funzionare il comando germanico e subentra quello austriaco: si passa solo da un padrone ad un altro, la situazione per la popolazione non cambia. Intanto la maestra viene a sapere che gli aeroplani italiani hanno da poco gettato a Vittorio Veneto dei volantini. A metà marzo la maestra si reca a Sacile: la distruzione delle case è completa, le macerie sono dappertutto. La Nodari nota la differenza tra lo spettacolo dei soldati affamati e degli ufficiali che invece si abbuffano. La popolazione intanto soffre più di tutti la fame, i prezzi dei generi alimentari sono alle stelle.
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Morti di fame e stanchi, i soldati austriaci rubano tutto ciò che possono e non hanno più voglia di combattere.
Gennaio~marzo 1918 Resta solo la speranza Tra fine aprile e inizio maggio, la maestra Nodari (che ha ripreso servizio) dice di non avere più forza né voglia di continuare a scrivere i suoi appunti e tra metà maggio e inizio luglio scrive solo una volta, il 12 giugno: dice di non credere di giungere al giorno della liberazione e parla di suicidio. Nei mesi estivi il cannone tuona senza posa; corre voce che la disfatta austriaca sia vicina. Sempre truppe in arrivo e in partenza e tutto è un mistero, la fame batte a molte porte e la maestra è sempre più disperata. L'estate sta per finire e non sembra esserci speranza di liberazione. La maestra è estenuata e ha fame.
Aprile~settembre 1918 Tempi duri Gli aeroplani italiani continuano a lanciare dei volantini nelle colline vicine; alcuni sono indirizzati agli italiani, altri agli occupanti. I testi sono i seguenti: "Austriaci! Non sappiamo che farcene della vostra cortesia! Vi risponderemo sempre a fucilate. Ma comprendete che vi odiamo? Smettete dunque questi nuovi tentativi. Unico vero atto di leale pacifismo sarebbe quello di ribellarvi alla tirannia germanica e gettate le armi. Credete. L'Intesa è più forte. L'intesa finirà col vincervi! Tanto vale per voi cedere subito e salvare la pelle. Lasciate soli a morire i superbi germanici col loro testardo imperatore." "Ai fratelli italiani. Cari fratelli italiani, oggi primo maggio, giornata sacra per tutti i lavoratori italiani, porgiamo un dolce saluto a nome dei vostri cari e nello stesso tempo raccomandiamo caldamente di
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avere sempre il pensiero verso la vostra Patria, la quale presto strapperà le catene della schiavitù tedesca. Dio vi premierà, o martiri, con una gloriosa vittoria. Dunque coraggio, fratelli d'Italia, che i vostri cari torneranno in breve".
Ottobre~novembre 1918 Finalmente liberi! Dal 24 ottobre si sentono rombi di cannone incessanti; pare che inizi la ritirata nemica, e i soldati si abbandonano a rapine e violenze, frugano ovunque, rubano persino gli anelli matrimoniali. La ritirata si accentua e continua. Il nemico risale senza speranza le valli che mesi prima aveva disceso con orgoglio. Due colpi di mitraglia avvertono tutti che gli italiani avanzano; per un po' non si sente più nulla, ad un tratto giungono i primi esploratori italiani: è il 1° novembre 1918. Soldati in bicicletta passano, rispondendo giocondamente ai saluti della popolazione; la messa in quel giorno solenne è celebrata con pompa. 2 novembre: la vittoria della patria è un sogno divenuto realtà. La maestra Nodari alle 16 si presenta all'autorità per ottenere il permesso di andare dai parenti profughi in Liguria. Vende tutto per far fronte alle spese del viaggio. Il passaggio sul Piave alle 23 è definito fantastico: soldati con le torce illuminano provvisoriamente il ponte, è una scena che commuove; alla maestra pare di vedere le file di anime che nel sacro fiume hanno trovato riposo.
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Polcenigo in una foto scattata dagli occupanti austriaci nel 1917 o 1918.
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Problemi di salute pubblica Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Erika Brieda 3 aB, Francesca Fregonese 3a A, Tommaso Mazzucco 3aB
Il nostro gruppo si è occupato delle problematiche relative alla salute nel periodo di guerra, analizzando innanzitutto un testo reperito presso l'Archivio Comunale di Sacile e intitolato "Provvedimenti relativi alla somministrazione dei medicinali, materiale di medicazione, e disinfettanti negli ospedali civili ed ai poveri", pubblicato nel 1917 a cura della Regia Prefettura di Udine, quindi facendo delle considerazioni ricavabili da alcune statistiche riportate da Ermanno Varnier nel testo "1917-1918. L'invasione" circa il numero di vittime provocate a Polcenigo dall'influenza spagnola.
Istruzione per gli ospedali e i medici Nel corso del 1916 la Commissione provinciale di assistenza e beneficenza pubblica di Udine, preoccupata per l'aumento delle spese dovute a medicinali, materiale di medicazione e disinfettanti, incarica 6 persone, che vengono così a formare una commissione speciale, di studiare il problema e proporre delle soluzioni. La commissione è composta dalle seguenti persone: - Dott. Ferdinando Alberti, consigliere nella prefettura di Udine; - Dott. A. G. Pierotti, medico provinciale aggiunto; - Dott. Corradina Angelini, medico primario nell'ospedale civile di Udine; - Dott. Luigi Borgomanero, membro della Commissione provinciale di assistenza e beneficenza pubblica;
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- Avv. Vincenzo Casasola, membro della Commissione provinciale di assistenza e beneficenza pubblica; - Farm. Silvio Conti, direttore di farmacia. La commissione, terminati i lavori, scrive in data 15 novembre 1916 una relazione al Prefetto nella quale illustra le soluzioni pensate per conciliare le esigenze di cura con quelle economiche. Innanzitutto viene suggerito di compilare una lista di medicinali per i quali la prescrizione debba essere accompagnata da ricetta medica e che comunque non debbano essere prescritti oltre una certa quantità; si ricorda la necessità che i direttori ospedalieri vigilino sulla somministrazione dei farmaci e denuncino eventuali casi di inosservanza; le visite e le cure di ambulatorio devono prevedere un rimborso da parte di chi ne beneficia; gli ospedali devono prevedere regole chiare per l'acquisto, il deposito e la consegna dei medicinali acquistati; i conti dei farmacisti, prima di essere liquidati, devono essere controllati e vistati dai direttori ospedalieri; infine gli ospedali, in quanto primariamente luoghi di cura, devono ridurre le spese per le ricerche. In seguito a tale relazione, il Prefetto il 15 dicembre 1916 scrive ai sindaci e ai direttori degli ospedali spiegando dapprima di aver creato una commissione apposita per studiare i problemi legati alle spese ospedaliere e comunicando, in base ai pareri ricevuti, le proprie decisioni, vale a dire: - compilare sempre le ricette per le prescrizioni di medicinali; - utilizzare in maniera razionale e attenta i vari medicinali per evitare sprechi; - limitare le ricerche di laboratorio allo stretto necessario; - chiedere rimborsi-spese ai malati per visite e cure di ambulatorio; - provvedere all'acquisto all'ingrosso di medicinali e presidi medici vari. Il Prefetto, dunque, riprende totalmente i suggerimenti della commissione e intima a sindaci e direttori ospedalieri di iniziare ad applicare le nuove norme al massimo dal 1° gennaio 191 7, quindi entro 15 giorni dalla comunicazione.
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Oltre alla lettera di comunicazione delle proprie decisioni, il Prefetto invia anche il "Regolamento per la somministrazione di medicinali" appena preparato in 15 articoli e l'elenco di tutti i medicinali in dotazione con l'indicazione, per alcuni di essi, delle dosi massime prescrivibili. Di seguito riportiamo un breve sunto, articolo per articolo, del regolamento emanato dal Prefetto. Art 1. Per la somministrazione dei medicinali negli istituti ospedalieri e ai poveri bisogna osservare le norme contenute nel regolamento. Art 2. Tutte le ricette devono essere scritte del medico, senza abbreviature, segni convenzionali, o numeri arabici o romani, specificando la quantità, il peso, la misura, la dose. Art 3. Nessuna ricetta può essere spedita se non è scritta sugli appositi moduli. Le ricette devono portare l'indicazione dell'uso. Art 4. Non si possono prescrivere medicinali non compresi nell'elenco che fa parte del regolamento. Art 5. La farmacia non può spedire medicinali non compresi nell'elenco. Art 6. Il sanitario ha sempre il dovere di formulare le ricette. Il medicamento non deve essere costoso ma economico. Art 7. Le ricette scritte dai sanitari per gli ammalati prima della presentazione alla farmacia devono portare il visto della segreteria. I farmacisti non possono dare prescrizioni fatte con ricette senza il visto e non si può ripetere il rimborso della spesa. Le ricette prescritte d'urgenza possono essere accettate anche senza visto purché conformi all'elenco dei medicinali. Art 8. I medicinali per uso interno devono essere prescritti nella dose giornaliera, invece per alcuni ammalati le dosi massime sono stabilite nell'elenco. Art 9. Le ordinazioni di medicamenti non conformi alle premesse disposizioni sono addebitate al medico. Art 10. Non sono consentite sostituzioni di sostanze "a forma diversa" rispetto a quelle scritte nella ricetta. Art 11. Gli ospedali dovranno acquistare all'ingrosso fiale, disinfettanti e materiale di medicazione.
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Art 12. La somministrazione dei medicinali deve essere limitata al più stretto bisogno. Art 13. Le norme indicate possono essere applicabili anche per le somministrazioni gratuite di medicinali ai poveri come prescritto dall'articolo 15. Art 14. È dovere dei direttori sanitari per gli ospedali e degli ufficiali sanitari per i comuni di vigilare con ogni cura e diligenza relativamente a quanto si prescrive nel presente regolamento. Art 15. Le amministrazioni ospitaliere provvederanno alla custodia dei medicinali, materiale di medicazione e disinfettanti acquistati all'ingrosso.
La spagnola Ogni grave influenza viene distinta con un aggettivo che richiama il luogo in cui è nata. Nel 1918 si inizia a parlare dell'epidemia "spagnola", che entro la fine dell'anno infierirà su quasi tutta la popolazione mondiale e quindi anche su Polcenigo. Il flagello si manifesta inizialmente negli Stati Uniti. L'll marzo 1918, 107 militari sono colpiti dall'influenza; guariti, i soldati vengono imbarcati per l'Europa, scendendo nei porti spagnoli. L'epidemia si diffonde terribilmente fra gli spagnoli e il re è una delle prime vittime. I morti totali nel mondo a causa di questa influenza assommeranno a 27 milioni e i paesi più colpiti furono India, Cina e Africa. Nel mese di ottobre l'epidemia esplode anche a Polcenigo, portata probabilmente dalle truppe austro-ungariche. I primi casi si registrano a San Giovanni a metà ottobre, poi a Polcenigo, Coltura, Mezzomonte. Il parroco di San Giovanni, Don Geremia Bomben, che registra le cause di morte dei parrocchiani, compila l'elenco più lungo con la sequenza di morti di febbre spagnola. A San Giovanni tra il 9 ottobre e il 9 novembre muoiono 19 persone; a Coltura tra il 29 ottobre e il 3 dicembre si contano 28 morti. A Polcenigo e Mezzomonte tra il 21 ottobre e il 3 dicembre le vittime dell'influenza arrivano ad essere 4 7.
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Riportiamo di seguito una tabella che riepiloga l'evoluzione del numero di morti tra 1915 e 1920: l'impennata, seguita da una forte diminuzione negli anni successivi, nel periodo caratterizzato dall'influenza è evidente. 1915
1916
1917
1918
1919
1920
Polcenigo
35
37
34
80
33
28
S. Giovanni
29
36
49
71
34
37
Coltura con Mezzomonte
36
38
30
62
32
34
Totale
100
111
113
213
99
99
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I problemi per la società civile: i danni di guerra Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Manuel Burigo 3 a A, Maira Dorigo 3 a B, Bianca Zimmer 3 a B
Il nostro gruppo si è occupato dei problemi relativi ai danni di guerra. Per intraprendere questo progetto abbiamo lavorato su diversi documenti, che illustreremo di seguito brevemente. Le prime informazioni le abbiamo ricavate da un inventario compilato dal personale dell'Archivio di Stato di Pordenone che contiene le informazioni relative alle richieste dei risarcimenti dei Polcenighesi una volta conclusa la Prima guerra mondiale. Da questo documento abbiamo capito che a causa dei danni provocati dalla guerra gli abitanti di Polcenigo furono costretti a chiedere risarcimenti al governo, la maggior parte per i propri mobili di casa poiché gli austriaci rubavano qualunque cosa gli capitasse per le mani, ma anche per danni relativi a furti di bestiame e alla distruzione di aziende e botteghe. In particolare vogliamo far notare che quasi il 60% della popolazione richiese risarcimenti per i mobili delle proprie abitazioni, il 10% per i propri mobili aziendali, 1'8% per i fabbricati rurali, il 5% per i fabbricati urbani, il 7% per i terreni, 1% per i bovini, e il 28% per le aziende agricole. Un altro dato interessante è che, tra le varie realtà componenti il Comune di Polcenigo, quella che ha registrato il maggior numero di richieste di risarcimenti è San Giovanni, seguita da Coltura e da Polcenigo "centro", e che anche zone quali Mezzomonte, oggi poco popolate ma allora più grandi, seppur fossero dislocate in posizioni secondarie, videro sicuramente una importante presenza degli invasori, come testimoniano le decine di richieste di risarcimenti. L'alto numero generale di queste richieste (circa 1.000) ci ha ricordato inoltre che Polcenigo all'epoca era notevolmente più popolata ri-
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spetto a oggi (la zona polcenighese più popolata allora era San Giovanni, non a caso la più colpita dai danni provocati dagli occupanti). Riportiamo ora i due grafici che riepilogano nei particolari proprio la situazione appena descritta.
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N .B. All'interno di una stessa domanda di risarcimento venivano formulati diversi tipi di richieste (ad es. mobili abitazione e terreni) per questo motivo la somma delle percentuali non corrisponde a 100. Grazie ad alcuni documenti reperiti nell'Archivio Comunale di Polcenigo, che riportano i dati relativi ai sussidi pagati dal Comune alle famiglie dei richiamati in guerra, abbiamo infine potuto capire ancora meglio le difficoltà vissute dalla gente comune durante gli anni di guerra. Ciò è comprensibile per esempio dall'aumento dei sussidi nel corso dei tre anni considerati (1915, 1916, 1917) e dal fatto che i soldi stanziati vennero effettivamente tutti destinati ad aiutare la popolazione (a parte una somma di 14.800 lire su un totale di più di 500.000 Lire). In Archivio è presente anche la lista analitica di quanti soldi vennero destinati alle singole famiglie e dalla lettura di tali documenti siamo riusciti a fare qualche ipotesi sul perché ci siano differenze tra le somme ricevute dai vari nuclei familiari: oltre alle differenze economiche di partenza delle singole famiglie (essendo alcune più povere di altre necessitavano probabilmente di trattamenti economici migliori per sopravvivere ai danni provocati dalla Prima guerra mondiale rispetto a quelle più ricche), la diversità di trattamento era legata alla numerosità del nucleo familiare. Gli elenchi, infatti, fanno riferimento sia alla presenza dei genitori del richiamato, sia della moglie e dei figli. Di seguito le fotografie relative ai documenti riportanti i dati generali de i sussidi forniti dal comune negli anni 1915, 1916, 191 7.
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Claut: vie, monumenti ai Caduti e lapidi Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Claut (IC Montereale Valcellina) - Classe 3 a A
I nostri insegnanti per coinvolgerci nel progetto dell'Ecomuseo Lis Aganis dedicato alla Grande guerra, hanno previsto una serie di attività che hanno avuto inizio con un lavoro accurato di ricerca e documentazione, ognuno di noi ha avuto modo di ricercare tra i cassetti e i ricordi di famiglia testimonianze, preziosi documenti ed oggetti di particolare fattura. Insieme in classe con la professoressa Daniela Zanolin li abbiamo analizzati e catalogati. Contemporaneamente siamo andati in visita al Museo della Casa Clautana con Fulvia De Damiani, che ci ha mostrato oggetti e raccontato vicende, poi abbiamo incontrato a scuola l'esperta Bianca Borsatti che ci ha coinvolto nella lettura di pagine da diari di guerra. Sempre in aula abbiamo avuto modo di ascoltare la Storia dall'appassionato Federico Tomè. Non è mancata infine l'uscita didattica a Monte San Michele e Redipuglia con la guida Silvo Stock. Per quanto riguarda la ricerca di tracce della Prima guerra mondiale sul nostro territorio vi invitiamo a leggere quanto segue.
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I
Cesare Battisti è nato il 4 febbraio 1875 e morto il 12 luglio 1916 a Trento. È stato un patriota, giornalista, geografo, politico socialista e irredentista italiano. Cittadino austriaco di nascita, diresse giornali nella Trento asburgica e fu deputato al Parlamento di Vienna. Allo scoppio della Grande guerra combatté per la parte italiana nel battaglione Alpini Edolo 50a compagnia. Catturato dai Welschtiroler Kaiserjager, fu processato e impiccato per alto tradimento in quanto deputato austriaco.
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La piazza è dedicata alla giornata che ricorda l'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa il 24 maggio 1915, quando dal Forte Verena sull'altopiano di Asiago partì il primo colpo di cannone verso le fortezze austriache situate sulla Piana di Vezzena. Per gli italiani è iniziata la Prima guerra mondiale.
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VIA
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Questa via è stata dedicata a Giulio Giordani, avvocato, mutilato di guerra, eletto consigliere in rappresentanza di una lista di ex combattenti. Fu ucciso (a Bologna) da un sicario sovversivo penetrato in un'aula consigliare, spalleggiato da alcuni teppisti della sua stessa risma. Era il pomeriggio di domenica 21 novembre del 1920.
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Dopo la battaglia di Vittorio Veneto dell'ottobre-novembre 1918 l'Esercito Austro-Ungarico era allo sfascio. La sconfitta si trasformò in rotta non più arginabile e mentre le truppe tentavano di rientrare in patria, a Villa Giusti presso Padova si firmava l'armistizio per far cessare il fuoco su tutto il fronte italiano. La popolazione italiana apprese il mattino del 4 novembre 1918 l'esaltante notizia.
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Il monumento commemorativo ai Caduti in guerra è stato costruito nel 1920 per volontà della locale Associazione Nazionale Combattenti, fu inaugurato nel 1921 e posto in piazza San Giorgio, accanto alla chiesa omonima. È opera dello scultore Bergamasco di Longarone.
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Il Ponte del Capitano, in località Lesis, è stato costruito dagli Alpini nel 1911. Durante la Prima guerra mondiale Erwin Rommel, con il suo esercito austro-germanico, lo attraversò dopo aver oltrepassato Forcella Clautana e località Casavento per dirigersi verso l'abitato di Claut, con l'obiettivo di raggiungere Longarone, perché sul Piave si era costituita la nuova linea del fronte orientale italiano.
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Dopo lo sfondamento a Plezzo e Tolmino nella XII Battaglia dell'Isonzo, il Battaglione da Montagna tedesco del Wurttemberg, nelle cui fila militava uno sconosciuto tenente di carriera di nome Erwin Rommel, ricevette l'incarico di fare da avanguardia della Jager Division e di raggiungere il prima possibile Longarone per tagliare la strada alle truppe del Cadore che si stavano ritirando verso il Grappa. Il percorso che Rommel scelse fu la strada costruita dagli Alpini tra il 1910 e il 1912, che collegava la Val Cellina alla Val Meduna attraverso Forcella Clautana.
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La Grande guerra e i nomi delle vie Alessandro Padelli
Terminata la Prima guerra mondiale, si è subito ritenuto opportuno, se non addirittura doveroso, lasciarne traccia e memoria duratura anche nell'odonomastica, cioè nell'insieme dei nomi di strade, vicoli e piazze che formano la rete stradale di ogni singolo paese o città. Le amministrazioni comunali conferirono quindi nuove denominazioni a strade già esistenti, oppure di nuova realizzazione, utilizzando nomi di persone, luoghi e date relativi al conflitto appena finito. Ciò è avvenuto soprattutto durante il Fascismo, che della vittoriosa guerra si fece immediatamente diretto erede e corifeo, ma anche prima, tra il 1918 e il 1922, e talvolta pure dopo la caduta del regime; e si è verificato in tutte le regioni italiane, ma ancor più nel Veneto e nel Friuli, che quella guerra avevano vissuto più direttamente delle altre, come campo di battaglia e come terre invase tra il 1917 e il 1918. Da una ricerca a tappeto dell'anno scorso è risultato che gli odonimi collegabili alla Grande guerra più diffusi in Italia sono, nell'ordine, IV novembre (al decimo posto fra le denominazioni, con circa 2.900 occorrenze su 8.100 comuni), Vittorio Veneto (dodicesimo posto, più di 2. 700 occorrenze), Cesare Battisti (sedicesimo posto, con 2.500 occorrenze), Piave (diciottesimo posto, più di 2.300 occorrenze), Trieste (ventiduesimo posto, oltre 2.000 occorrenze) e Trento (trentaseiesimo posto, più di 1.650 occorrenze). Seguono, fra i primi cento posti, Monte Grappa (anche attaccato, Montegrappa), Armando Diaz, Nazario Sauro, XXIV maggio, Isonzo e Gorizia, tutti odonimi con oltre novecento occorrenze. Più indietro, ma sempre nei primi trecento posti, troviamo Enrico Toti, Fabio Filzi, Montello, Luigi Cadorna, Francesco
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Baracca, Pasubio, Carso e Damiano Chiesa. Come si sarà notato, ci sono date (IV novembre, la vittoria, e XXIV maggio, l'entrata in guerra dell'Italia), personaggi noti e più o meno venerati, ovvero generali, eroi e martiri ( Cesare Battisti, Armando Diaz, Nazario Sauro, Enrico Toti, Fabio Filzi, Luigi Cadorna, Francesco Baracca, Damiano Chiesa) e luoghi di sanguinose battaglie e riconquiste (Vittorio Veneto, Piave, Trieste, Trento, Monte Grappa, Gorizia, Isonzo, Montello, Pasubio, Carso). A proposito di questi ultimi, è ben vero che in alcuni casi tali nomi geografici potrebbero non essere stati scelti in riferimento alla guerra, ma di certo la stragrande maggioranza sì, soprattutto quelli legati a piccole o minime entità geografiche, come Vittorio Veneto, Montello o Pasubio, che non avrebbero meritato un successo odonomastico così elevato. Riguardo al solo Friuli, IV novembre sale al settimo posto, Vittorio Veneto al sedicesimo e Piave al diciottesimo, mentre Cesare Battisti scende al ventunesimo. Nel Pordenonese i vari comuni si sono comportati in maniera assai difforme riguardo a questo tipo di odonomastica: si va da nessuna denominazione (come per Polcenigo) a molte, sia in assoluto che in rapporto al numero totale di strade e piazze. Emblematico è il caso di Valvasone, che nel suo pur limitato numero di odonimi ha parecchi riferimenti, soprattutto geografici, al primo conflitto, da Via Monte Nero a Via Trento, da Largo Isonzo a Via Monte Sabotino, da Largo Piave a Via Monte Santo e Via IV Novembre. A questi odonimi va poi aggiunta la tipologia relativa a Via/Viale/Parco della Rimembranza (o Rimembranze), che intendeva perpetuare il ricordo dei luoghi appositamente dedicati alla memoria dei Caduti nel conflitto, oggi in genere del tutto spariti. L'iniziativa, avviata nel 1922 dal sottosegretario fascista alla Pubblica Istruzione Dario Lupi con il pronto e convinto appoggio dello stesso Mussolini, prevedeva la realizzazione in ogni comune di parchi e viali, nei quali piantare un albero per ciascun caduto della Grande guerra originario del comune stesso, ognuno con una targa di ferro smaltata con nome, grado, data e luogo della morte.
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Bibliografia
E.
Una nuova indagine sulle insegne stradali dei comuni italiani, «Rivista Italiana di Onomastica», XXI (2015), 1, pp. 379-422 S. RAFFAELLI, Il primo dopoguerra e il ventennio fascista, in Le città leggibili. La toponomastica urbana tra passato e presente, a cura di A. GROHMANN, Perugia, Deputazione di storia patria per l'Umbria, 2004, pp. 155-173. CAFFARELLI,
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FINE ITINERARIO
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ll asso di Sant'Osvaldo: a\\e ore 9 de\ 9 novembre \91~ i\ tenente Romme\ diede inizlO ai attacco contro \e deboli difgge ,ta\1ane.
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Erto: le avanguardie del WQB cavallo e in bicic/e//a, entraron; i~ paege fra le 10.00 e le 11.00 del ma/1,no del 9 novembre 1917.
L sboooo della Valle del V~ont sulla Valle del Piave:_ Romme\ con pochigg1m1 uomini vi giunge a\\e ore II.OO de\ 9 novembre 1917
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Il campanile di Cimolais· é 10 g/eggo guf quale · Rommel galf all'alba dei 9 novembre 1917 per oggervare le difege italiane guf Sl. Ogvaldo.
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FADALTO
ll ponte del Capit: realizzato dagli Reggimento ne\ 19 \'igcrizione i \e avanguardie tedi attravernarono de\!8 nove
I LUOGHI DELLA groRIA OGGI
Il la90 di &Iva: ricopre oggi il fordo della Val Sli/igia percorno dal WG8 giungendo a Peco/at e alle Tronconere la gera del 6 novembre 1917.
L'antiao ponte ·Raoli n d na· su\l'attuale Lago d, "e _o . . Rommel e i guoi uomini v1 . trang1tarono ne\la 010rnata ~ del 6 mvembre 1917.
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La lapide suita Forcella Clautana ricorda /a costruzione delta strada. Qui, nella noi/e fra il 7 e 1'8 novembre 1917 Rommel Lago di Ba<~ dovei/e ritirami gconfì//o· "Sloro molto arrabbiato pei /'egifo di que9/o a/lacco no/turno. Da/l'inizio della gU1Jrra è il primo a/lacco che non mi riegce ".
MONTEREALE VALCELLINA MANIAGO
PORDENONE'
Lapide in ricordo dell'alpino Domenico Dalmasson di Corno di Rogazzo, morto il /9 s_ellembre 1911 in un incidenle durante 1 lavori di realizzazione de/la gtrada
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Sui passi di Erwin Rommel: dalla val Meduna alla valle del Piave Giuliano Cescutti
Nell'ottobre 1917 Erwin Rommel era un giovane tenente di neppure 26 anni, inquadrato nel battaglione da montagna del Wi.irttemberg (Wi.irttembergische Gebirgs Bataillon o WGB), al comando del maggiore Theodor Friedrich Sproesser. All'inizio della XII battaglia dell'Isonzo il suo reparto era schierato nella zona di Tolmino. In poco più di una giornata, dalla mattina del 25 al mezzogiorno del 26 ottobre il tenente Rommel e i suoi uomini fecero miracoli, conquistando le linee italiane fra il Kolovrat e il Matajur, catturando migliaia di prigionieri. Il 3 novembre, al WGB viene assegnato l' obiettivo di raggiungere Longarone, nel più breve tempo possibile, al fine di cogliere di sorpresa la 4a armata italiana ancora in ripiegamento dal fronte dolomitico. Inizia da qui quella parte di storia che il nome di Rommel ci ha portato troppo spesso a ritenere l'unica degna di attenzione, poco conoscendola e talvolta addirittura associandola ad episodi che nulla hanno a che fare con il giovane tenente destinato a maggiore futura fama. Proporre un itinerario legato a quella vicenda non è semplice, innanzitutto per l'estensione e poi perché il paesaggio risulta in diversi tratti modificato radicalmente in conseguenza dello sfruttamento idroelettrico le cui conseguenze furono anche tragiche. Un tentativo abbiamo però voluto farlo, attraverso le immagini dei paesaggi attuali, i segni della memoria ancora presenti, i documenti dell'epoca. Il nostro "itinerario di Rommel" prende avvio dalla località Ponte Radi, poco a nord di Meduno, dove il WGB giunse nella giornata del 6 novembre 1917, imboccando da quel punto la Val Silisia, che
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risalì attraverso la mulattiera realizzata dagli alpini nel 1911-12. Oggi quel tratto può essere percorso in auto, fino a raggiungere il lago di Selva che si attraversa sulla diga, proseguendo sulla strada prima asfaltata e quindi a fondo naturale, che ci consente di giungere fino alle Tronconere: in quelle case che oggi sono ridotte a ruderi , gli alpini del Wi.irttemberg giunsero la sera del 6 e la mattina successiva presero la salita della mulattiera che conduce ai 1.432 metri della Forcella Clautana. La mulattiera si presenta oggi come fu costruita oltre 100 anni fa, un capolavoro di ingegneria civile realizzato a forza di braccia e mine. Rommel con i suoi uomini tentò di superare la resistenza italiana sulla Clautana nella notte fra il 7 e 1'8 novembre, ma dovette ritirarsi, ammettendo che quella era la prima volta che un attacco non gli riusciva. Solo il ripiegamento da parte degli italiani consentì agli imperiali di proseguire, raggiungendo quindi Lesis, Claut e Cimolais, lungo il tratto di itinerario che, fino a Longarone, si sviluppa oggi sulla viabilità stradale. A Cimolais Rommel viene incaricato dal suo comandante di condurre l'attacco verso il passo di Sant'Osvaldo. Si spinge in esplorazione fino alla chiesetta in località La Crosetta, dal campanile di Cimolais osserva lo schieramento italiano sul passo: alle 9 del 9 novembre 1917 Rommel lancia l'attacco al passo.
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Le difese italiane cedono quasi subito, le avanguardie in bicicletta e a cavallo si lanciano a tutta velocità verso la valle del Piave. Raggiungono San Martino poco dopo le 10, superano Erto, da qui iniziano la rapida discesa verso il ponte del Colomber che, in posizione di poco retrostante l'attuale diga, attraversa la gola a 138 metri di altezza dal fondo. Il "Ponte più alto d'Italia" cade intatto nelle mani di Rommel che, con una decina di fucilieri, raggiunge la valle del Piave alle 11.00 del 9 novembre. Sulla sponda opposta la colonna italiana sta scendendo ancora in perfetto ordine di marcia. La battaglia di Longarone si protrae fino al mattino successivo, gli imperiali rischiano di essere travolti dall'impeto italiano, lo stesso Rommel rischia di cadere prigioniero. La mattina del 10 novembre la piazza di Longarone si arrende. Il bottino è ingente: 200 ufficiali e 6.000 soldati prigionieri, 60 mitragliatrici, 18 cannoni da montagna, 2 cannoni a tiro rapido, 600 animali da soma, 250 autocarri carichi, 10 camion da trasporto, 2 ambulanze. Per le imprese compiute, Rommel e il suo comandante Sproesser furono insigniti dell'ordine "Pour le Mérite" .
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Quanta storia in un santino Giuliano Cescutti
Quella piccola immagine conservata gelosamente dalla signora Bruna Corona, riporta ad un momento particolare della Grande guerra sul fronte carnico, quello che qualcuno definì il fronte della "pace separata". Certo l'attività bellica non fu paragonabile a quella dell'Isonzo e delle sue dodici battaglie, ma su quei monti i nostri soldati dovettero combattere non solo contro il nemico austroungarico ma anche contro un ambiente inospitale che, nei due inverni in alta quota, scatenò freddo, neve e valanghe che causarono più morti delle stesse azioni militari. Su quei monti erano schierati soprattutto alpini, nei battaglioni che affiancavano ai carnici anche molti giovani provenienti proprio dalle nostre Prealpi Carniche e dalla pedemontana pordenonese. Giovani che, nell'essere schierati in prima linea, vivevano una condizione di precarietà che potremmo tradurre, statisticamente, in una speranza di vita di giorni, ore, forse minuti: un attacco, il colpo di un cecchino, una granata sparata dalle valli di oltre confine potevano in ogni istante porre fine alla propria esistenza o a quella dei compagni d'arme. In questa condizione, la speranza della salvezza e nel ritorno ai propri affetti trovava alimento anche nei piccoli segni della fede: una medaglietta sacra, un crocifisso, un libro di preghiere, un santino. I santini in particolare venivano distribuiti ai soldati a commemorazione di qualche evento particolare e, oltre all'immagine sacra riportavano anche una preghiera spesso ispirata a quei valori di fede e patriottismo che dovevano essere alla base dell'accettazione delle sofferenze della guerra da parte dei soldati. A fare dono di questi oggetti di fede e patriottismo erano solitamente i cappellani militari. Figure che nella storia postunitaria del Regio
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Esercito erano state fortemente ridotte nel numero e di fatto limitate ad una presenza nelle strutture sanitarie, come era avvenuto anche nella recente guerra di Libia. All'approssimarsi della mobilitazione generale, il problema della presenza fra le truppe combattenti di cappellani militari in grado di offrire l'assistenza religiosa ma anche una visione di accettazione della guerra da parte della stessa chiesa, era ben presente allo stesso Cadorna. Una sua circolare dell'aprile 2015 dispose l'assegnazione ai vari reparti dei cappellani militari, inizialmente nominati dalle gerarchie dell'esercito, la direzione del relativo corpo fu affidata ad un Vescovo di Campo (per l'intera guerra sarà monsignor Angelo Bartolomasi) al quale spettava l'autorità disciplinare ecclesiastica su tutti i cappellani. Un cappellano fu assegnato ad ogni reggimento di fanteria, granatieri, bersaglieri, artiglieria da campagna e ad ogni battaglione di alpini e di guardia di finanza. Ovviamente il servizio fu garantito anche presso tutte le strutture sanitarie. Furono circa 2.800 durante tutta la guerra, destinatari di un trattamento privilegiato con l'assegnazione del grado di tenente, che diedero prova di valore meritando 3 Medaglie d'Oro, 13 7 Medaglie d'Argento,
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299 Medaglie di Bronzo, 94 Croci al Merito di Guerra. 93 cappellani caddero sul campo. A queste piccole note richiamate dal santino rinvenuto ad Erto va aggiunto, per completezza, che i cappellani militari furono in realtà una minoranza fra gli ecclesiastici arruolati nel Regio Esercito. Sacerdoti, seminaristi, novizi, chierici e conversi erano tenuti ad adempiere agli obblighi militari come un qualunque suddito italiano: furono oltre 24 mila quelli arruolati e circa 1O mila fra essi furono inseriti nei reparti combattenti dove vissero in più stretta comunione con i soldati contadini. Quel santino rinvenuto dai ragazzi di Claut è parte di questa storia. La proprietaria racconta che quel santino è stato donato al padre dal proprio cappellano militare, non un cappellano militare qualunque, ma uno il cui nome ancora oggi risuona nell'epopea degli alpini. Ma prima di poter sostenere con certezza chi fosse quel cappellano, dobbiamo risalire alle vicende personali del papà della signora Bruna. Per sapere qualcosa di preciso abbiamo recuperato, all'Archivio di Stato di Udine, il ruolo matricolare del militare. Da quel documento risulta che Giuseppe, figlio di Luigi e di Maria Filippin, era nato a Erto Casso il 14 febbraio 1891, era alto 1 metro e 72 con un torace di 90 centimetri. Capelli castani e ricciuti, sapeva leggere e scrivere e di professione faceva il "tornitore legno", uno dei tanti che in Val Cellina e in Val Vajont producevano durante l'inverno gli oggetti che poi le "sedonere" commerciavano in tutto il Friuli e non solo. Giuseppe è chiamato di leva il 26 maggio 1911, il 25 ottobre è alle armi e viene assegnato al battaglione Tolmezzo. Sono i giorni in cui il Regno d'Italia intraprende l'impresa libica e, verso la fine della guerra italo-turca, il 28 settembre 1912 il nostro alpino si imbarca a Napoli per la Tripolitania e Cirenaica. Anche se la guerra con i turchi si conclude ufficialmente con la pace di Losanna del 18 ottobre 1912, in terra libica si continua a combattere contro i ribelli arabi: il 23 marzo 1913, giorno di Pasqua, gli alpini al comando del generale Cantore combattono la battaglia di Assaba. Fra i battaglioni impegnati il Tolmezzo, i cui alpini raccolgono sul campo di battaglia un bimbo
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che adotteranno e battezzeranno Pasqualino Tolmezzo ... ma questa è un'altra storia. Di questa storia sicuramente Giuseppe Corona fu testimone partecipando alla battaglia di Assaba, prima di rientrare in Italia, sbarcando a Genova il 30 novembre 1913, per essere congedato il 4 dicembre, dopo due anni e mezzo di servizio militare. Il congedo dura poco poiché il 20 aprile del 1915 Giuseppe è di nuovo alle armi inquadrato sempre nel battaglione alpini Tolmezzo, fin dai primi giorni di guerra sui monti sopra Timau. Il cappellano del suo battaglione è un giovane sacerdote nato a Polcenigo nel 1891: don Luigi Janes. Un eroe, decorato con due Medaglie di Bronzo: la prima per un episodio avvenuto sul Pal Piccolo il 26 e 27 marzo 1916, la seconda sul Pal Grande il 29 giugno del 1916. È ricordato, come emerge anche dalle ricerche svolte dai ragazzi della scuola di Claut, per essere stato l'artefice della cappelletta dedicata ai prodi Caduti del battaglione Tolmezzo, come viene ricordato anche da Giuseppe Del Bianco 1:
"Nelle fredde mattine invernali, quando la tormenta accecava e flagellava il viso e non vi era un posto dove collocare l'altare; quando comporre, fuori dalla trincee, le salme dei morti, non era possibile, don Luigi Janes, cappellano del battaglione Tolmezzo, pensò ad una cappellina. La sua bella idea trovò subito favorevole accoglienza fra gli ufficiali ed i superiori Comandi. Difatti al tenente Bruno D'Andrea, che poi trovò morte gloriosa sul Carso, venne dato l'incarico di allestire il progetto, che egli tosto eseguì, nella sua baracca, alla luce di un moccolo, infilato nel collo di una bottiglia. Vennero scelti i migliori scalpellini delle tre compagnie del Battaglione, che, sotto la direzione del soldato Cipolat di Aviano, prepararono i blocchi di roccia viva. E quando, nella primavera del 1916, si sciolsero le nevi, vicino il Comando di battaglione sotto una roccia, a Casera Pal Grande, la chiesi-
l G. DEL BIANCO, La guerra e il Friuli, Vol.2°, 2a ed., Vago di Lavagna (VR), Del Bianco Editore, 2001, pp. 272-273.
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na sorse lentamente, tra lo scroscio delle artiglierie e della mitraglia, bianca come un giglio, in puro stile romanico. Il tenente colonnello Pizzarello, allora comandante il Battaglione, pensò al grande artista Fragiacomo, irredento come lui, perché dipingesse una tela, che celebrasse degnamente i morti del reparto, alla cui memoria la cappellina-monumento era dedicata. E Fragiacomo dalla Laguna salì a Palgrande, e ivi dipinse la dolce Madonnina, dal volto soave, atteggiato a mestizia, coperto di gramaglie, con la corona d'alloro". Il tenente colonnello Ugo Pizzarello, comandante del btg. alp. Tolmezzo.
La cappelletta fu inaugurata il 2 novembre 1916, ed il santino conservato dall'alpino Giuseppe Corona di Erto fu stampato proprio in occasione di quell'evento sicuramente non consueto nella vita dei soldati. Da una particolare nota riportata nel ruolo matricolare siamo in grado di avere conferma che in quei giorni il nostro alpino era dislocato in una posizione precisa del fronte, a poca distanza dalla cappelletta. Si riporta infatti che il 6 novembre 1916 Giuseppe viene ricoverato nell'ospedale da campo di Piano d'Arta in quanto "riportò una ferita al dito mignolo della mano sinistra prodotta da un vetro cadendo mentre recavasi a prendere il rancio in località denominata Passo Cavallo li 6 XI 1916". Una ferita lieve che consente all'alpino di rientrare al suo reparto già il 12 novembre. Questa nota ci conferma che in quei giorni Giuseppe si trovava effettivamente al reparto ed era schierato pres-
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so il Passo Cavallo, posizione vicinissima alla cappelletta, ad una quota più alta di circa un centinaio di metri. Forse partecipò alla cerimonia di inaugurazione, forse vide il Fragiacomo dipingere la Madonnina, certo vide sorgere la cappelletta e ricevette il santino in dono da don Janes. Nel 1917 Giuseppe verrà trasferito al battaglione alpini Monte Nero e nominato caporale Don Luigi Janes, l'indimenticabile cappellano a partire dal mese del btg. Tolmezzo (zona del Pal Piccolo). di giugno. Durante la rotta di Caporetto cadrà prigioniero in data 9 novembre 1917 e condotto in campo di concentramento dal quale rientrerà solo a guerra finita per essere inviato in licenza illimitata il 5 maggio 1919: altri 4 anni da militare per il nostro Giuseppe che, a differenza di molti suoi commilitoni, ebbe la fortuna di tornare a casa. Una storia che abbiamo potuto in parte ricostruire attraverso quel piccolo santino conservato per cento anni.
122
Bibliografia G. DEL BIANCO, La guerra e il Friuli, 2a ed., Vago di Lavagna (VR), Del Bianco Editore, 2001, pp. 272-273. A. GRANSINIGH, Guerra sulle Alpi Carniche e Giulie (La Zona Carnia nella Grande guerra), Tolmezzo, Libreria Editrice "Aquileia", 1994 R. MoRozzo DELLA RoccA, La fede e la guerra - Cappellani militari e pre-
ti soldati 1915-1919, Udine, Gaspari Editore, 2015.
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Maniago: un itinerario urbano sulle tracce della Grande guerra Giuliano Cescutti
La città di Maniago ebbe la fortuna, nei giorni di Caporetto ed in quelli della fine della Grande guerra, di non essere coinvolta da combattimenti che in altre località del nostro territorio lasciarono sul campo centinaia di Caduti. Non per questo la città è povera di memoria legata alla Grande guerra; racchiude in molti suoi luoghi storie e significati del tutto particolari forse poco noti agli stessi maniaghesi. Storie e significati che possono emergere solo dalle ricerche d'archivio o dalle testimonianze già scritte o ancora oggi depositate nella memoria di qualcuno. Attraverso i luoghi della città legati alla Grande guerra potremmo addirittura tentare di proporre un percorso della memoria partendo dalla Loggia, in piazza Italia, dove sono conservate le lapidi riportanti in nomi dei Caduti maniaghesi. Da quel punto, lo sguardo corre attraverso la piazza sulla quale i primi indizi della imminente guerra si percepirono fin dall'autunno del 1914 con la presenza in città degli alpini del battaglione Exilles. Si trattennero in città fino al successivo mese di marzo, prima di partire verso il confine: l'l l novembre 1914, alle 10.15, in occasione della celebrazione del consueto genetliaco del re, i maniaghesi assistettero alla rivista dell'intero battaglione schierato sulla piazza. Il vicino Duomo ospitò, nei giorni di Caporetto, i profughi scesi da Ampezzo attraverso il passo del Rest e Tramonti, e probabilmente non furono i soli. Di quanto accadeva a Maniago in quelle ore fra il primo e il 2 novembre rimane memoria nel diario di Giuseppe Ellero, in parte riportato da Giuseppe Del Bianco nella sua opera "La guerra e il Friuli":
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"Il borgo (Maniago nda) finora tranquillo rigurgita di carri. File di profughi carichi di bagagli guardano attoniti, cercano la via tra la folla grigioverde sulla gran piazza. Il cielo s'è andato coprendo: comincia a piovere, ma leggermente. I soldati sembrano si sfiduciati. Hanno quella allegria fittizia eh' è allegria di reazione. "Non piangete donne - dice uno di essi ad una comitiva di profughe - non vedete: noi fuggiamo gloriosamente ... ". "Dammi l'ombrello - grida un altro a una donna attonita sotto un grande ombrello contadinesco - e pigliati il fucile". E fa l'atto di scambio. La donna confusa lascia involontariamente cadere l'ombrello. Il soldato se lo piglia e se ne va. Che fare ora? Don Bullian va dall'arciprete, e come a Tramonti, ci ottiene la chiesa per la notte. Frattanto noi veniamo accolti in una osteria ospitalissima che ci concede fuoco, stanze, sedili, sofà per fare un po' di pranzo e per riposare. C'è in quella osteria una ragazza fidanzata a un giovane ampezzano. Il fatto insignificante stringe subito gli ampezzani a quella famiglia buona. Il parentado futuro opera la fusione di cuori prima di quella del sangue. Cala la notte, ci ritiriamo in chiesa. La chiesa nonostante le lampadine elettriche accese è più scura, più cupa. Sui banchi, sui gradini, sul pavimento s'intravedono fiancheggiamenti di sacchi, di gonne, di cenci ammucchiati. Noi sacerdoti (eravamo in cinque) ci ritiriamo in sacrestia. Coi tappeti componemmo il letto. Ecco una gran coltre funebre nera e traversata da una croce bianca. Sarà la mia coperta da letto. Non potevo dormire in quella sacrestia vasta e piena del russare rancoroso di un confratello. Ed ecco udiamo entrare qualcuno, parla con il parroco di Ampezzo. Che dice? Mezz'ora dopo mezzanotte dobbiamo partire: 25 autocarri saranno a nostra disposizione". Quei profughi carnici partirono da Maniago il 2 novembre di buonora, e tre giorni dopo, alle 1 7, i primi reparti bosniaci erano su questa stessa piazza: il racconto è contenuto nel diario di Rosa D'Agnolo,
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detta Rosina, a quell'epoca impiegata presso l'ufficio postale della città. Un diario prezioso che si estende a tutto l'anno dell'occupazione, già noto a Giuseppe Del Bianco che ne riportò alcuni brani, oggi è di proprietà di un privato. In quei quattro quaderni di quinta classe, Rosina racconta con queste parole l'ingresso a Maniago dei primi invasori:
"Tutto calmo, una calma pesante, di morte, solo qualche soldato che passa e continua la via per raggiungere i propri compagni. Nelle nostre faccie è scolpito il dolore, la calma apparente della lotta che ci sarà preparata. Si attende la venuta di questi austriaci. Sono qui .. . Sono qui .. . Si ode da ogni parte. Li attendono con dolore e spavento ma come una liberazione di tante giornate di angoscia e d'incertezza. Sarà poi peggio? Sarà meglio? Chi lo sa che cosa ci aspetta? Ore cinque pomeridiane dello stesso giorno ( il 5 novembre nda) . Sono arrivati. Il primo drappello in piazza grande portano il fucile con la baionetta. Dal campanile sventola bandiera bianca, e autorità le poche rimaste sono al Municipio per attenderli." E così iniziò quell'anno di occupazione: nella memoria popolare si ricorda ancora che il Duomo fu ridotto a scuderia, che la chiesetta dell'Immacolata fu trasformata in infermeria. Ma noi continuiamo il nostro itinerario imboccando via Umberto I, lungo la quale troviamo due importanti riferimenti. In primo luogo il fabbricato dell'ex Albergo Vittoria e tutto il complesso che si sviluppa in profondità alle spalle dell'attuale farmacia Fioretti: quei fabbricati furono prima adibiti a caserma che ospitò gli alpini del battaglione Exilles e quindi, dopo una iniziale intenzione di ospitarvi profughi, furono adibiti a convalescenziario. Un ospedale di
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riserva che, nel periodo dal mese di maggio 1916 e fino all'invasione accolse circa 300 militari feriti o malati. La testimonianza più significativa di quella presenza rimane in un articolo pubblicato dal settimanale "Il Tagliamento" del 30 dicembre 1916. Vi si racconta la festa svoltasi alle ore 18.00 della vigilia di Natale presso il convalescenziario, durante la quale, su iniziativa di un gruppo di signore maniaghesi, a ciascuno dei soldati ricoverati fu consegnato un pacchetto con il dono di Natale: arance, dolci, caramelle e un coltellino a ricordo della presenza a Maniago. Proseguendo lungo la via giungiamo davanti al Teatro Verdi, già all'epoca adibito a quell'utilizzo e indicato come "ex filanda Zecchin": echeggiano ancora gli applausi alle partecipatissime "conferenze" che qualche personaggio importante era uso tenere nelle varie città a scopo di propaganda e per raccolta di fondi da destinare di norma al soccorso delle famiglie dei combattenti. Lunedì 8 novembre 1915 alle 15.00, il deputato del collegio Marco Ciriani tenne quella dal titolo "La voce dei combattenti", a beneficio del locale Comitato di Preparazione Civile che si occupava di assistenza alle famiglie bisognose. Svoltando l'angolo ci immettiamo sulla via Dante Alighieri ma anche in un capitolo poco noto della storia della Grande guerra. Si tratta del capitolo relativo alle conseguenze della guerra che si manifestarono a partire dall'estate 1914 con il rientro in massa degli emigranti che stagionalmente trovavano lavoro negli Imperi Centrali. Oltre 80 mila nel Friuli di allora. Anche a Maniago la necessità di dare lavoro alla massa di rimpatriati assunse i tratti dell'emergenza che poteva essere affrontata solo avviando lavori pubblici in grado di creare opportunità di occupazione. La realizzazione del tracciato di via Dante, con apertura della breccia sulla cortina di edifici di via Umberto I, fu uno dei primi cantieri avviati dal Comune di Maniago. Ma percorrendo la via giungiamo ben presto in vista del candido e maestoso edificio delle scuole. A partire dal 1911, in tre anni il Comune era giunto a definire il luogo e a completare la progettazione dell'opera: i tempi per la realizzazione sarebbero stati probabilmente ancora lunghi ma la necessità di
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lavoro non consentiva ulteriori ritardi. L'appalto fu assegnato senza gara e i lavori iniziarono nel mese di settembre 1914: nel novembre del 1915 l'anno scolastico prese inizio nella nuova sede, non ancora completata ma comunque utilizzabile. Forse a molti dei ragazzi che quotidianamente vivono in quell'edificio, il suo legame con la storia della Grande guerra sfugge. E a questo stesso aspetto è legata anche la stazione ferroviaria, che raggiugiamo percorrendo viale della Vittoria. Se a qualcuno è noto che la ferrovia Sacile-Pinzano è stata inaugurata il 28 ottobre 1930, a molti sfuggono invece le origini della realizzazione dell'opera. Nell'estate del 1914 la progettazione era già completata, e subito si pensò a quanti posti di lavoro sarebbero stati garantiti dall'avvio dei cantieri. Fu l'impegno deciso e costante del deputato Marco Ciriani ad ottenere, nell'aprile del 1915, lo stanziamento governativo di Lire un milione per l'avvio dei lavori di sterro, pala piccone e carriola, sul tratto orientale della linea. Proprio nei giorni immediatamente precedenti al 24 maggio, le prime squadre di lavoratori furono impiegate nel cantiere della stazione di Maniago ed in quello del ponte sul Cellina. Dalla stazione, imbocchiamo l'omonima via in direzione del centro urbano e quindi via Fabio di Maniago. Ad un certo punto sulla nostra sinistra compare l'inconfondibile profilo dell'attuale Museo dell'Arte Fabbrile e delle Coltellerie. All'inizio della Grande guerra quell'edificio era sede della Società Anonima Marx e compagni, costituita a Milano nel gennaio del 1907 su iniziativa del tedesco Albert Marx di Solingen. Il capitale era a maggioranza tedesca, il direttore dello stabilimento, Paolo Hoppe, era di cittadinanza tedesca: a guerra dichiarata con l'Austria Ungheria ma non con l'Impero Germanico (i cui soldati in talune zone del fronte in realtà già combattevano al fianco degli alleati austroungarici contro gli italiani) la principale industria presente in città era in mani tedesche e lo rimase fino all'agosto del 1916. Solo allora il Regno d'Italia dichiarò guerra anche alla Germania: Paolo Hoppe fu internato e nel seguente mese di ottobre il controllo della società passò in mani italiane assumendo la nuova denominazione di "So-
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cietà anonima Coltellerie Riunite di Caslino e Maniago". Durante la guerra, lo stabilimento fu coinvolto nel complesso sistema della mobilitazione industriale, attraverso il quale la produzione nazionale veniva resa funzionale allo sforzo bellico. In quello che i maniaghesi ancora oggi identificano come "Coricama", si producevano baionette e ferri chirurgici. In funzione di tali produzioni anzi, allo stabilimento erano assegnati anche 30 "esonerati", cioè lavoratori specializzati soggetti agli obblighi militari che, in ragione del loro impiego nell'industria, venivano esentati dalla chiamata alle armi. Alle coltellerie riunite erano state assegnate le seguenti qualifiche: 2 arrotini, 2 fresatori ferri chirurgici, 1 montatore di ferri chirurgici, 5 montatori, 1 brunitore, 3 forgiatori, 1 limatore, 3 fresatori, 1 innestatore, 1 forgiatore al maglio, 2 manicatori, 1 stampista e 7 operai. Continuando lungo via Fabio di Maniago, rientriamo in piazza Italia, concludendo il nostro itinerario con le parole riportate nel diario di Rosina D'Agnolo in data 2 novembre 1918:
"Alle dieci una voce grida: sono qui, sono qui, tutti corriamo in piazza, ma non è che un Esploratore, chiede quanta truppa vi sia ancora in dietro, ci rassicura che entro qualche ora saremo liberi, i ponti tutti rotti hanno portato un po' di ritardo. Ritorniamo a casa tutte, le nostre finestre vengono imbandierate all' istante, al petto di tutte senza distinzione, sta appuntata una bella coccarda. Tutti i prigionieri armati sparano delle fucilate in segno di festa, c'è un entusiasmo, ed una trepidazione che è troppo forte per noi. Dei grandi mazzi di fiori abbiamo preparato per i nostri valorosi e da ore attendiamo con un'impazienza incredibile. Alle ore quattro è giunta una motocicletta che è presa d'assalto fra gli Urrà, Viva l'Italia e Viva l'Intesa!".
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Bibliografia
G. CEscuTTI, l.;anno dell'invasione a Maniago - Pagine di memoria, Ottobre 1917 novembre 1918, Maniago, Comune di Maniago, 2008.
G. CEscuTTr, Pagine della Grande guerra a Maniago - agosto 1914 novembre 1917, Maniago, Comune di Maniago, 2014.
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A Lestans non si può mancare la visita al monumento dedicato ai Caduti e al Museo dei Vecchi mestieri della SOMSI di Lestans in Vicolo della Latteria. In questa parte della mostra permanente abbiamo visto gli oggetti che utilizzavano i militari per mangiare o bere.
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Un giovedì pomeriggio siamo giunti a Lestans con lo scopo di trovare le tracce che la Prima guerra mondiale aveva sicuramente lasciato nel paese. Ad accoglierci c'era il signor Giacomo Bortuzzo, che ci ha portato a scoprire il monumento dedicato ai Caduti e ci ha aperto anche l'archivio comunale dove si conservano preziose testimonianze storiche. In questa parte della mostra permanente abbiamo visto gli oggetti che utilizzavano i militari per mangiare o bere. Anche l'archivio comunale conserva preziose testimonianze storiche.
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I reperti di armi della Prima guerra mondiale.
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I reperti di armi della Prima guerra mondiale.
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Museo Vecchi Mestieri di Lestans.
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Questa breve escursione ci riporta alla Prima guerra mondiale. Dopo la disfatta di Capo retto ( 24 ottobre 191 7) l'esercito austriaco dilagò nella Pianura Padana. Mentre l'esercito italiano ripiegava disordinatamente verso il Piave, anche nei pressi di Meduno ci fu una battaglia.
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Il combattimento di Roburnon Il 4 novembre 1917 gli austriaci occuparono Meduno. Una parte delle truppe italiane, che scendevano verso la Val Meduna, si posizionò presso il bivio d'Agnul per contenere l'avanzata austriaca.
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Una pattuglia di Bersaglieri siciliani si dispose con le mitragliatrici lungo la linea che dai prati del Borgo Del Bianco scendeva alle case Roburnon. Durante tutta la notte infuriò la battaglia. Per gli abitanti della borgata fu una notte di terrore e angoscia.
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Al mattino del 5 novembre 1917 gli austriaci accerchiarono i giovani soldati italiani calando dai prati sotto l'abitato di Del Bianco. Nonostante un'accanita resistenza, rimasti senza munizioni, furono sopraffatti.
Ventitré furono i Caduti italiani, ora ricordati con un monumento collocato presso Borgo Pitagora di Meduno. Sulla stele sono scolpiti i nomi di tutti i Caduti.
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I tanti feriti furono curati dalle donne. Quei giovani ricordavano loro i mariti, i figli o i fratelli che stavano combattendo in qualche posto lontano.
Questa importante pagina di storia locale ci è stata raccontata da Toni Martinelli, capogruppo degli Alpini Valmeduna.
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Le donne e la Grande guerra: l'eroismo della quotidianità Giuliano Cescutti
Fra i 100 mila Caduti del Sacrario di Redipuglia è sepolta una sola donna: si tratta di Margherita Kaiser Parodi, infermiera volontaria della Croce Rossa a 18 anni, morta il 1° dicembre 1918 di febbre spagnola, mentre continuava ad assistere i feriti e malati di quella guerra che aveva appena visto scendere il silenzio sulle armi lasciando nelle carni degli uomini conseguenze che si sarebbero portati addosso per tutta la vita. Questa presenza apre una finestra su quello che fu il ruolo delle donne nella Grande guerra: un ruolo che si è voluto finora riconoscere solo in situazioni limitate nei numeri o corrispondenti ai soli casi di partecipazione alla guerra al fianco dei soldati combattenti. Così ci è relativamente facile pensare alle infermiere volontarie che profusero la loro opera in tutte le strutture della sanità militare, o alle eroiche "portatrici carniche" le cui vicende ci sono note anche per vicinanza geografica. Meno noti ci sono i casi di donne che si travestirono per essere arruolate nelle truppe combattenti (vi furono casi anche negli eserciti imperiali) e quello delle donne che nelle fabbriche sostituirono gli uomini al fronte garantendo la continuità della produzione industriale necessaria allo sforzo bellico. Furono impegnate come "madrine di guerra" in rapporti epistolari con i soldati al fronte, profusero la loro attività nei comitati organizzati per la confezione delle divise militari. Tutte attività che le donne, alle quali all'epoca non era neppure riconosciuto il diritto di voto (per la prima volta in Italia voteranno nel 1946), garantirono a diretto sostegno dello sforzo bellico. Ma nel considerare queste sole attività come unico contributo dell'universo femminile, rischiamo di dimenticare quello che le don-
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ne seppero garantire prima di tutto nella quotidianità della vita famigliare. Non fu tanto il distacco da mariti e figli la novità, per chi era abituato ai lunghi mesi di assenza dell'emigrazione stagionale, quanto il fatto che l'assenza si prolungava per anni, con il rischio del non ritorno e venendo meno il sostentamento che il lavoro dei richiamati garantiva in tempo di pace. In queste condizioni, a rimanere la garanzia della coesione e del sostentamento delle famiglie nelle quali rimanevano solo bambini e anziani, erano le donne. Un minimo sostegno economico alle famiglie dei richiamati era garantito dallo Stato, attraverso il pagamento di un "soccorso giornaliero alle famiglie bisognose dei militari richiamati o trattenuti alle armi". Lo prevedeva il Regio Decreto Legge 13 maggio 1915 n.620, in favore delle persone "rimaste prive dei necessari mezzi di sussistenza". I congiunti del militare che potevano essere ammessi al soccorso erano la moglie, i figli di età inferiore ai 12 anni, i genitori di età superiore ai 60 anni, fratelli o sorelle minori di anni 12. In generale valeva il principio che i limiti di età erano superabili solo in caso di inabilità al lavoro. La misura del soccorso giornaliero, per un paese della nostra zona, all'inizio della guerra era determinata in 60 centesimi per la moglie, 30 centesimi per ogni figlio, 60 centesimi per un solo genitore, 1 Lira per entrambe i genitori, 60 centesimi per un fratello o una sorella, ai quali si aggiungevano 30 centesimi per ogni ulteriore fratello o sorella. Il soccorso veniva corrisposto mensilmente dal comune utilizzando i fondi messi a disposizione dal Distretto militare. Aiuto non particolarmente generoso se si tiene conto che un chilo di farina di granoturco costava attorno ai 40 centesimi, un chilo di pane di qualità progressivamente più scadente tendeva ai 60 centesimi, un chilo di carne di vacca superava anche le 2 lire e mezza. Ma c'erano anche coloro che si trovavano in stato di bisogno senza avere il diritto a percepire il sussidio riservato alle famiglie dei richiamati.
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Se in tempo di pace l'assistenza ai "miserabil" era affidata alle congregazioni di carità per conto dei comuni, la straordinarietà della situazione determinò la diffusione in tutto il Regno dei "comitati di assistenza o preparazione civile", che assunsero varie funzioni, dirette anche al sostegno dei militari al fronte ma in particolare delle famiglie senza titolo al soccorso governativo. Le condizioni di vita progressivamente aggravate dai razionamenti dei principali generi e dall'aumento dei prezzi, posero le donne, mogli e madri dei richiamati, nella necessità di rivolgersi anche a queste istituzioni benefiche con richieste che costituiscono oggi una efficace rappresentazione delle difficoltà quotidiane. Come quella con la quale Giuseppina Lizier si rivolge al Comitato di Assistenza Civile di Travesio1:
U saga li 2 lulio 1917 Onorevole comitato di sistenza civile del Comune di Travesio La sottoscritta inplora la S.V.onde ottenere un suisiduo avendo il marito sotto le armi mi trovo priva di ogni mezo per poter lasistenza ai miei fili con quel poco di suisiduo setimanale che ricevo non mie abbastanza per poterli di sfamare tanto pù che per la strema miseria tengo i fili tutti laceri e con un unico vestito in modo ce sono per fino costretti a tenerli a casa e privarli della scuola e di tutti i altri servizi fa miliari avendoli nel massimo disordine così facio una calda pregiera aquesto onorevole comitato sperando che questa mia domanda venga ben presa in considerazione e in pari tempo venga accolta. Con tutta stima mi firmo Giuseppina Lizier". La fame, il non avere neppure di che cosa vestire i bambini, condizioni difficili da immaginare oggi, per donne che dovevano farsi carico anche del lavoro dei campi che gli uomini richiamati avevano ab-
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Archivio Storico Comunale di Travesio.
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bandonato. Anche se l'esercito tentò progressivamente di sostenere le esigenze dei lavori agricoli attraverso la concessione di "licenze agricole", poche e riservate ai militari che non risultavano abili alle fatiche di guerra (cioè ai servizi di prima linea), il lavoro dei campi dovette essere garantito proprio dalle donne. Dovettero affrontare tutte queste difficoltà, da eroine della quotidianità domestica. Ma quando il campo di battaglia arrivò sulle porte di casa nei nostri paesi, nelle tristi giornate dell'autunno 1917, seppero essere eroiche anche di fronte alla guerra combattuta. Un episodio su tutti è quello narrato dal maestro Andrea Ragogna, testimone di quanto accadde dopo il combattimento del Bivio d'Agnul svoltosi fra la sera del 4 novembre ed il mattino successivo 2:
"Le sorelle Olga e Letizia Pielli colla cugina Ida, pietose eroine, sotto il fuoco nemico prestavano amorevoli cure a quanti potevano. La levatrice, Beacco Maddalena, appena finito il combattimento, volava a raccoglierli a medicarli, a confortarli. Quasi priva di materiale sanitario, sperperato dal nemico, lacerava le sue lenzuola per apprestar loro delle fasciature; e correva di casa in casa in cerca di qualche cordiale per rianimarli. Parte ne accompagnava all' ospedaletto di Toppa; parte ne assisteva giorno e notte al palazzo municipale; e parte ne visitava a Navarons in casa della maestra Anita D'Andrea, altra valorosa suora di carità. Era pure presente un uomo di grande fortezza d'animo e di profonda fede nei destini d'Italia, il medico cav. E. Zatti che girava di giorno e di notte, sempre affaticato e sempre sollecito ne' luoghi dov'erano alloggiati i feriti, e nelle case dove languivano gli ammalati nostri senza medicine. Per lenir tanti dolori e asciugar tante lagrime, durante l'anno dell'invasione nemica, metteva a dura prova tutte le risorse del suo ingegno versatile e tutta la bontà del suo cuore d'italiano."
2 Pro Asilo Infantile Di Meduno, L'ultimo manipolo d' eroi che difese il Friuli, Udine, Stabilimento Tip. G. Percotto & Figlio, 1924, pp. 8-10.
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Un racconto che ci rivela una pagina di storia e della storia del combattimento del Bivio d'Agnul che, visitando i luoghi, rischia di sfuggire alla nostra attenzione.
Bibliografia
L. CADEDDU, Le donne nella Grande guerra, Udine, Gaspari Editore, 2015. PRO Asrw INFANTILE Dr MEDUNO, l.;ultimo manipolo d' eroi che difese il Friuli, Udine, Stabilimento Tip. G. Percotto & Figlio, 1924.
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Il Monumento ai Caduti di Meduno Scuola Secondaria di primo grado di Meduno ( IC Meduno) Classi terze
Il monumento in pietra locale è costituito da una base a parallelepipedo cui è sovrapposto un secondo blocco verticale con incisi i nomi dei Caduti; da ultimo una specie di obelisco, sul quale sono incisi alcuni nomi. Ha un'altezza di circa 6 metri. Sul fronte sud dell'obelisco c'è una decorazione formata da un ramo d'alloro ed uno di quercia, legati da un nastro con fiocco.
Sotto è riportata la scritta: "Perché l'Italia viva essi son morti Meduno li ricorda ai posteri 1920" Nel lato nord sono riportati 1 nomi dei Caduti di Toppa, a quel tempo frazione di Meduno.
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ELEMENTI SIGNIFICATIVI Cognomi presenti nel monumento Raggruppati secondo la residenza nell'ambito del Comune, compaiono, di seguito, i Caduti di Meduno, Navarons e Toppa, secondo l'anno, il mese ed il giorno della loro morte. Circa il luogo non abbiamo notizie. (Sappiamo che alcuni appassionati di vicende storiche stanno cercando di trovare documentazione relativa ai luoghi, ma per Meduno si registra la difficoltà di ricerca tra quanto disponibile in Municipio).
Abbiamo notato che tra i nomi dei Caduti numerosi sono quelli riferiti a persone decedute dopo la fine della guerra. Abbiamo pensato che questi nomi corrispondano a persone morte in seguito alle ferite riportate. Non ne abbiamo, però, conferma. Di tanti, abbiamo solo la conferma orale dell'identità di Mizzaro Gio. Batta (morto il 25.11.1917), ricordato anche in una lapide nel cimitero del paese.
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Fra quanti parteciparono alla guerra, ma riuscirono a tornare, tra le informazioni raccolte dagli alunni della classe V di Meduno, abbiamo solo il nome del trisnonno di Beatrice Michielutti: Sante Paveglio, nato nel 1896, nel 1914 aveva 18 anni, perciò l'anno successivo lo reclutarono per portarlo al fronte.
Frazione di Toppa , presente nel monumento di Meduno, perché sua frazione all'epoca dell'edificazione del monumento (1920).
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Fino ai primi anni Ottanta il monumento si trovava in piazza Vittoria.
Dal 1993 ... si trova sul piazzale antistante gli edifici dell'Istituto Comprensivo Statale di Meduno.
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Al piccolo museo privato del signor Andreino Ferro li. .. Una fonte per conoscere e per capire Scuola Primaria di Meduno (IC Meduno) - Classe quinta
Il posto si trova in via Principale a Meduno. Si può visitare previo appuntamento con il proprietario.
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Fra le storie personali narrateci da Andreino, c'è quella di un emigrante friulano negli USA, che si arruolò come volontario nell'esercito americano, quindi combatté in Francia (proprio nella zona di Ypres, dove vennero usati per la prima volta i gas velenosi); tornato negli USA, ottenne la cittadinanza per il servizio prestato. Nella vetrina si osserva il suo equipaggiamento, così come documentato dalle foto.
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I due foulard ricamati sono un esempio di ciò che i soldati portarono come ricordo dalle trincee francesi.
Alcuni esempi dell'equipaggiamento dei soldati Sopra la vetrina si vede un campanello. È stato riportato a casa dalle trincee, dove serviva, appeso ad un filo, a segnalare il tentativo di assalto dei nemici. Nella vetrina si vedono alcuni strumenti in ferro come mazze di varia fattura ... simili ad armi medioevali! Purtroppo venivano usate come ultima difesa, ma anche per finire i feriti che non si potevano trasportare.
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I militari erano divisi in gruppi; sulle divise avevano dei simboli, così li riconoscevano. Lucia
Quando l'esercito italiano non bastava, prendevano anche chi si trovava in prigione per mandarlo in guerra. Angelica Un soldato distribuiva la posta ai suoi compagni nelle trincee. Elena I.;Italia tradisce il patto dichiarando guerra all'Austria. Kevin
Alla fine l'Italia riuscì a respingere l'Austria. Cristian Gli architetti e i geometri tracciavano le linee delle trincee, le postazioni dei cannoni e dei mortai. Enrico Le fabbriche Fiat costruivano armi per l'Italia. Diego Alla fine della guerra ci furono 650.000 morti solo tra i militari, e molti altri tra i civili. Tommaso
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Per le comunicazioni tra le linee si usava il telegrafo (nella foto, in secondo piano). Il signor Andreino ce ne ha mostrato il funzionamento!
Intanto le donne facevano il lavoro degli uomini che erano in guerra, e alcune procuravano il cibo per gli uomini in trincea. Flavia Nelle trincee qualche volta, poiché a causa dei bombardamenti e degli ordini non potevano uscire, dovevano restare lì anche per mangiare e dormire ... per giorni e giorni. Allora, nei momenti di pausa, si riutilizzavano i materiali e gli oggetti per nuovi scopi ... O anche solo per decorarli. Elisa C'è una cornice fatta da un signore che era stato ferito; il bordo della cornice è fatto con resti di metallo recuperati da una bomba. La foto è del fante Angelo Pradolin, di Tramonti; è stata fatta nello studio di un fotografo. Il soldato è in piedi, con una mano appoggiata sulla sedia e l'altra sul fianco.
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Sotto il vetro, c'è una lamina di rame con incise delle scritte che fanno riferimento al ferimento: il fatto era avvenuto nella notte fra il 25 ed il 26 ottobre 191 7, nello sfondamento delle linee italiane conosciuto come "rotta di Caporetto". Al centro della lamina è stata inserita una pallina nera, di piombo. Ci è stato spiegato che è un proiettile di bomba "shrapnel" (esplodeva a mezz'aria, scagliando una nube di questi piccoli proiettili in ogni direzione). Pradolin era stato ferito ad una gamba e quindi fatto prigioniero, ma era poi rientrato alla fine della guerra. Ringraziando il sig. Ferrali per la cortesia e la sollecitudine dimostrate nei nostri confronti, invitiamo tutti voi a fargli visita!
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I monumenti ai Caduti Alessandro Padelli
Finita la guerra, in tutti gli Stati che ne erano stati coinvolti cominciò l'arduo tentativo di elaborare e di giustificare l'immenso lutto che il conflitto aveva originato. La riconoscenza e la pietà per le tante vite spezzate si mescolava, in chi era rimasto in vita, a sensi di colpa più o meno consci e profondi. A livello collettivo si cominciò così a maturare un vivissimo sentimento di rispetto e di venerazione per i numerosissimi Caduti, quasi a risarcimento della dolorosa perdita inferta a padri, madri, mogli e orfani. Non era di certo una novità (già nell'Ottocento, in particolare nelle guerre risorgimentali, si erano iniziate varie forme di culto per i Caduti), ma il primo conflitto mondiale portò questa tendenza a livelli assai più elevati e universali, in tutta Europa ma anche fuori, fino in America e in Australia. Al di là del conferimento di medaglie alla memoria, attestati e pensioni, il modo migliore per onorare coloro che avevano perso la vita in armi parve allora a molti quello di erigere dei monumenti che ne ricordassero i nomi e il sacrificio a futura memoria, quasi temendo la precarietà della memoria personale e generale. La casa regnante dei Savoia, le alte gerarchie militari, le associazioni militari, di ex combattenti e di mutilati e invalidi per cause belliche, oltre che molti intellettuali, in particolare i nazionalisti e i dannunziani (altri erano invece contrari alla «grande invasione monumentale»), appoggiarono l'iniziativa, o addirittura spinsero con forza quanti al riguardo apparivano più titubanti. In particolare, a creare un clima ancor più favorevole fu la sentita e partecipata cerimonia della scelta della salma del Milite Ignoto ad Aquileia e della sua successiva traslazione a Roma nell'Altare della Patria, avvenuta il 4 novembre 1921. Si creò così un movimento d'o-
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pinione crescente che univa da una parte lo spontaneo e sincero trasporto ideale di chi aveva vissuto direttamente, e sofferto, la tragedia della guerra, dall'altra un artificioso e astuto desiderio di mistificazione nazionalistica del conflitto, avanzato da specifici gruppi politici ed élite culturali, favorevoli alla creazione di un nuovo 'mito', di una nuova 'religione della patria'. In quella che fu definita come una «sfrenata monumentomania», praticamente ogni comune si lanciò nell'impresa, direttamente come amministrazione comunale oppure sotto forma di appositi comitati. In diversi casi sorsero più monumenti nello stesso comune, anche se si trattava di paesi di non grandi dimensioni, anzi a volte piccole borgate con pochi Caduti. In questo giocarono molto i fieri campanilismi locali, poiché in certi paesi si preferì avere un proprio monumento come segno identitaria, distinto e quasi in opposizione a quello del capoluogo o di altre frazioni. La scarsità di fondi si unì in molti casi alla premura di portare comunque a termine il monumento in tempi brevi, con il conseguente ricorso a progetti troppo frettolosi e a imprese, scultori o scalpellini oberati di commissioni e non sempre all'altezza del compito. Si concretizzò così ciò che alcuni si erano invece subito sforzati di evitare, cercando di indirizzare la memoria dei propri morti verso altri modi più sobri: «gesta titaniche non si frantumano in monumentini di provincia!», scriveva Ettore Janni sulla prestigiosa rivista Emporium, e perfino Benedetto Croce, allora Ministro dell'Istruzione, sentenziò che molti manufatti realizzati affrettatamente risultavano «pessimi» e «deturpanti». Nonostante le prese di posizione scettiche o contrarie, la concreta realizzazione dei monumenti andò comunque avanti, anche se a volte richiese anni e anni, sia per i costi che alcune comunità nella difficile situazione del dopoguerra non erano in grado di sostenere, sia per divergenze anche aspre sulla forma e la collocazione. I monumenti diventarono presto una sorta di nuovo 'spazio sacro' del paese e della comunità che li aveva eretti, un 'altare civico' intorno al quale a determinate scadenze si celebravano frequentati riti patriottici che prevedevano la venerazione di simboli legati alla guerra e al-
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la nazione. Com'è stato giustamente scritto, «nonostante le polemiche sul valore artistico di molti monumenti, giudicato generalmente modesto, e le polemiche sul loro significato simbolico fra chi voleva esaltare la virilità dell'eroismo e chi voleva memorare la tragedia della guerra e la pietà del sacrificio, essi ebbero parte notevole nel preparare la base per l'istituzione ufficiale di una liturgia nazionale attorno al mito della Grande guerra e alla 'resurrezione' della patria» (E. GENTILE, Il culto del littorio, Roma-Bari 2001, pag. 32). Particolare impulso alle opere, quando non ancora realizzate, venne dato dal Fascismo appena ebbe modo di andare al potere. Il movimento politico mussoliniano, imbevuto di nazionalismo, di misticismo dell'eroismo e del sangue e di fanatica ideologia della violenza e della guerra, si propose come interprete e custode della memoria della guerra da poco conclusa e dei suoi Caduti. In breve si appropriò dei monumenti ai Caduti, utilizzandoli poi sempre di più durante il Ventennio per i propri scopi propagandistici e per collocarvi, per sovrapposizione e spesso per sostituzione, gli idoli della propria bellicosa 'religione laica'. Anche se a partire dal 1928 lo stesso Fascismo ingiunse con una direttiva statale di non costruire più monumenti, ma di ricordare i Caduti con nuove scuole, asili, ospedali, colonie elioterapiche e altre utili iniziative pubbliche e sociali, la realizzazione di nuove opere proseguì, con l'evidente beneplacito del regime, fino alla metà degli anni Trenta e anche oltre. Nella straordinaria varietà di monumenti edificati (quasi un inno all'anarchia!), in bronzo e marmo, ma anche in altri materiali meno comuni, con o senza statue e altri oggetti di corredo (bombe, catene, lampade votive ecc.), si riscontrano ovviamente approcci diversi, ma anche alcune ricorrenze. Per esempio, la stragrande maggioranza prevedeva l'iscrizione dei nomi dei Caduti, spesso organizzati secondo le gerarchie militari, dall'ufficiale in grado più alto al soldato comune (ma in certe occasioni tutto è risolto in un egalitario ordine alfabetico, senza altre distinzioni). In molti casi ai nomi si affiancano delle scritte celebrative, solitamente brevissime ma a volte anche un po' più lunghe, che accentuano con retorica spesso forzata la vittoria della Nazione e il patriottismo e l'eroismo dei Caduti a scapito del doloroso
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raccoglimento per la loro morte. Di frequente anche le statue che ornano i monumenti puntano con enfasi, a tratti quasi fastidiosamente, all'esaltazione delle virtù belliche, mostrando soldati, vivi, morenti od ormai morti, forti, fieri e quasi contenti di sacrificarsi per l'Italia, colti in gestualità esasperate e a volte pateticamente grottesche, piuttosto che strazianti scene di dolore e di morte, pur presenti in alcuni manufatti meno retorici. Tra le raffigurazioni, prevalgono nettamente quella del fante, il soldato per antonomasia, rispetto agli altri corpi militari (alpini, bersaglieri, marinai ecc.) raramente rappresentati, e quella della Vittoria alata, con rimandi più o meno espliciti in entrambi i casi all'arte classica greco-romana. Spiccano per esempio in parecchi manufatti i molti fanti nudi o seminudi e l'anacronistica presenza di elmi, scudi e gladi romani. Alla realizzazione dei monumenti parteciparono sia famosi scultori di fama nazionale, sia oscuri artisti e artigiani locali, che realizzarono a volte opere originali, ma più spesso copiarono manufatti già esistenti, o ad essi si ispirarono. A distanza di molti decenni, le migliaia di monumenti sparsi in tutta Italia documentano ancor oggi, in una sconfinata antologia di forme ormai fortemente 'datate' ma sempre emotivamente cariche di significati, un vividissimo fervore di memoria e di pietà per l'immane olocausto di vite umane che fu la Grande guerra.
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Bibliografia E. GENTILE, Il culto del littorio, Laterza, Roma-Bari, 2001. O. lvELISE, Celebrazioni e sepoltura: monumenti ai caduti e cimiteri militari, «Qualestoria», XIV (1986), n. 1-2, pp. 192-202. R. MoNTELEONE, P. SARASINI, I monumenti italiani ai caduti della Grande guerra, in La Grande guerra, a cura di D. Leoni, C. Zadra, Il Mulino, Bologna, 1986, pp. 631-670. G.L. MossE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma-Bari, 1990. A. ToNrzzo, Il ricordo dei Caduti, tra esaltazione bellica e pietà cristiana, «La Loggia», n. s., 17 (2014 ), n. 18, pp. 85-98.
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Elenco Caduti Prima guerra mondiale Scuola Primaria di Tramonti di Sotto (IC Meduno)
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Pluriclasse
Monumento di Tramonti di Sotto 1915~1918 CAPOR. FERROLI EUGENIO CAPOR. PIELLI SILVIO CAPOR. RUGO LEONARDO CAPOR. SINA SANTE SOLD. BARET G. BATTA SOLD. BEACCO GIOACCHINO SOLD. MINIUTTI ANGELO SOLD. DEL BIANCO GIACOMO FERRARA ANTONIO MINIUTTI CAMILLO RUGO FRANCESCO MINIUTTI EUGENIO MINIUTTI GIOACCHINO MINIUTTI NATALE MINIUTTI PASQUALE MINIUTTI PIETRO SINAPAOLO SINA CAMILLO DISPERSO SOLD. CORRADO PIETRO
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Iscrizione sul monumento TRAMONTI DI SOTTO QUESTO RICORDO DEDICA AI SUOI FIGLI MORTI PER LA PATRIA
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Monumento Tramonti di Mezzo Lato Ovest - Verso Chiesa Morti per la Patria
1915~18 TENENTE BIDOLI D. GIAMBATTISTA 12.3.1886 +21.10.1915 SOLDATI CORRADO EUGENIO 17.2.1894+22.7.1915 CORRADO DOMENICO 12.10.1898+24.6.1917 CORRADO LEONARDO 13.3.1897+4.l l.1917 FACCHIN ALBINO 17.9.1887+6.l.1917
GUERRA 1940~45 CORRADO ANTONIO CORRADO GIUSEPPE LORENZINI FAUSTO AGOSTINO MARMAI PIETRO MININ ETTORE LEONE RUGO GIOSUÈ SEVERINO
LATO SUD Prima guerra mondiale MARMAI PIETRO 7.6.1895+5.11.1917 RUGO GIOVANNI 31.7.1878+ 10.11.1917 MASUTTI GIUSEPPE 5.2.1895+ 15.6.1918
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MENEGON TARQUINIO 15.11.1882 + 18.10.1915 MENEGON BENVENUTO 27.12.1893+ 23.5.1915 LORENZINI VINCENZO 30.1.1893+ 27.6.1916
LATO EST MENEGON LUIGI 18.6.1876+ 18.11.1918 FERROLI PRIMO 16.10.1889+ 18.3.1917 LORENZINI ALFONSO 17.10.1879+21.10.1918 MASUTTI GIOMBATTISTA 1.12.1896+ 21.10.1815 MENEGON LUIGI-MORTO IN LIBIA 27.1.1890+ 18.1.1913 LATO NORD DISPERSI CAP. MAGGIORE BIDOLI ANGELO 19.1.1890 CORRADO LUCA 27.10.1893 VARNERIN CAMILLO 26.1.1892 MENEGON SANTE 01.01.1891
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Monumento di Tramonti di Sopra: Chiesetta Madonna Della Salute LAPIDE A SINISTRA I NOMI CARI DEI SUOI VALOROSI FIGLI CADUTI PER LA PATRIA TRAMONTI DI SOPRA ARROSSATO IL 06.11.1917 DAL SANGUE DI EROICI GUERRIERI CON CRISTIANO PENSIERO CON LEGITTIMO ORGOGLIO A QUESTO SACRO TEMPIO IN OMAGGIO E RICORDO DEI GLORIOSI MORTI ABBELLITO AFFETTUOSAMENTE AFFIDA PERCHÈ SIANO A TUTTI MONITO SOLENNE DI BONTÀ DI SACRIFICIO ANNO XI E. E 1932
LAPIDE A DESTRA SOLD. AVIENO NOÈ- 9 GENNAIO 1918 - MELLONGOVIZ SOLD. CANDERAN GIACOMO - 15 AGOSTO 1916 - CORMONS CAPOR. CROZZOLI DOMENICO - 31 MAGGIO 1918 - BUTTEM SOLD. CROZZOLI PIETRO - 9 SETTEMBRE 1915 - GORIZIA SOLD. CROZZOLI GIACOMO- 12 OTTOBRE 1916 - GORIZIA SOLD. CROZZOLI VITTORIO- 16 SETTEMBRE 1918 -OSP 226 SOLD. CROZZOLI ANGEL0-31 AGOSTO 1916- VAL DOGNA
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SOLD. DEL ZOTTO VITTORI0-1 MARZO 1896-AFRICA (non nella Prima guerra) SOLD. FACCHIN SANTE - 5 AGOSTO 1915 - PODGORA SOLD. FACCHIN COSTANTE-12 FEBBRAIO 1918-MILOVITZ SOLD. FACCHIN TOMASO- 22 LUGLIO 1916 - FONTAVILLI SOLD. FACCHIN DOMENICO - 22 APRILE 1917 - GRADISCA SOLD. FAION GIUSEPPE- 3 LUGLIO 1915 - VAL DOGNA SOLD. GAMBON PIETRO - 10 MAGGIO 1916 - CARSO AIUTO BATT. MAZZERI LEONARDO - 10 NOVEMBRE 1916 DISPERSO SOLD. MAZZERI GIACOMO - 29 (? Non si legge bene) FEBBRAIO 1916-ASIAGO SOLD. MAZZERI SEVERINO - 9 DICEMBRE 1916 - VAL DOGNA CAP. MAGG. PRADOLIN GIO BATTA - 16 NOVEMBRE 1915 DISPERSO SOLD. PECCOL ALBINO - 9 DICEMBRE 1917 - MILANO SOLD. PECCOL PIETRO- 20 AGOSTO 1915 -PORPETTO SOLD. PECCOL ANTONIO - 11 OTTOBRE 1918 - SPEZIA SOLD. RUGO GIOVANNI - 19 SETTEMBRE 1918 -AUSTRIA SERG. RUGO EUGENIO - 25 GENNAIO 1919 - MERANO CAPOR. RUGO GIACOMO - 18 OTTOBRE 1915 - VAL DOGNA SOLD. RUGO TOMASO - 3 OTTOBRE 1919 - TRAMONTI DI SOPRA CAPOR. MAGG. TRIVELLI GIOVANNI - 14 SETTEMBRE 1916 -GRADISCA SOD. TRIVELLI GINO - 25 OTTOBRE 1918 - VERONA SOLD. URBAN STEFANO- 7 GENNAIO 1919- TRAMONTI DI SOPRA SOLD. ZATTI EMILIO - 10 AGOSTO 1917 - PIOVE DI SACCO SOLD. MENEGON PIETRO - 23 DICEMBRE 1915 - VAL DSELAR
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PRO PAl TRA!. l SO A. Al SUOI GI.OFll;)$l CAOOTl tE!.L GUERRA 19i40-'19U E ltELU LOmt Cl LJBiRA
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In cimitero a Tramonti di Sopra Cippo a ricordo VITA MUTATUR NON TOLLITUR - DAVANTI FERITO A MORTE PER AVER FIERAMENTE CONTRASTATO AI NEMICI IL SACRO SUOLO DELLA PATRIA SPIRAVA IN TRAMONTI DI SOPRA VII NOVEMBRE MCMXVII IL TENENTE CLAUDIO CALANDRA NATO A TORINO VIII FEBBRAIO MDCCCXCIII NEL PENSIERO ALTISSIMO DI DIO DELL'ITALIA VITTORIOSA E DELL'UNICO FIGLIO AMATISSIMO LA MADRE POSE VITA MUTATUR NON TOLLITUR - DIETRO CON CLAUDIO CALANDRA IN DIFESA DI QUESTA TERRA DI TRAMONTI CADDERO E QUI PRESSO RIPOSANO IL CAPITANO SILVA DEL 133° FANTERIA IL CAPORALE GIUSEPPE BELLOTTI IL SOLDATO EDOARDO GUAZZI E ALTRI OTTO MILITARI IGNOTI A TUTTI PACE GRATITUDINE GLORIA.
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Monumento di Redona
REDONA RICORDA I POSTERI SOLD. FRACASSI ANTONIO-MORTO IL 18.10.1915 QUAS GIOVANNI- MORTO IL 7.12.1915 QUAS LUIGI - MORTO IL 2.7.1916 CAPOR. DA PRAT ANTONIO-MORTO IL 14.12.1917 SOLD. DA PRAT SANTE-MORTO IL 6.12.1918 MONGIAT GIUSEPPE- MORTO IL 18.12.1918 FRACASSI ANDREA - CAPORALE - MORTO PRIGIONIERO NEL 1918 Iscrizione sul monumento: QUESTE ACQUE SERBATE A CONCEDERE ENERGIA E FECONDITÀ QUESTE OPERE CHE LA FATICA E LA TENACIA COSTRUIRONO SIANO A RICORDO DI ANTONIO GAVA, GIACOMO MONGIAT, PIETRO SCHINELLA, VALENTINO FRUCCO E SILVIO BORTOLUSSI CADUTI NEL COMPIMENTO DELL'IMPRESA. REDONA AI SUOI FIGLI DISPERSI NELLA TORMENTA DI RUSSIA
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Monumento ai Caduti di Tramonti di Sopra anni Trenta.
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Dai documenti alle storie: tre fratelli tramontini nella Grande guerra Giuliano Cescutti
Ai tempi della Grande guerra, i due comuni della val Tramontina contavano oltre 5.000 abitanti, dispersi fin nelle più isolate borgate. Oggi i residenti sono ridotti a meno di 1.000 ma le due comunità mantengono ancora il fondamentale presidio della scuola. Collocata a metà strada fra le due sedi comunali di Tramonti di Sotto e di Tramonti di Sopra, in località Matan, è frequentata anche da Matilde e Maddalena che, coinvolte nel nostro progetto, hanno contribuito ad arricchirlo con le preziose storie custodite dalla loro famiglia. Le due scolarette (come si sarebbero definite cento anni fa ... ), stimolate dalle attività proposte a scuola, hanno evidentemente iniziato ad interrogare i famigliari, alla ricerca di qualche notizia interessante, forse animate anche da un certo spirito di emulazione verso i propri compagni. Chiaramente si sono rivolte prima alla nonna Lucia, troppo giovane per avere ricordi diretti ma subito in grado di indirizzare le piccole ricercatrici verso un fratello, Remo, che sarebbe forse stato in grado di raccontare qualcosa di un prozio, Pietro Trivelli, vissuto fino all'età di quasi novant'anni, ospite negli ultimi tempi proprio di Remo e della moglie Edda. Pietro Trivelli, morto da oltre quarant'anni, aveva probabilmente partecipato alla Grande guerra e forse c'era qualche cosa di interessante da scoprire. Quell'aspettativa fu subito confermata dalla scoperta che Pietro aveva lasciato anche dei documenti, gelosamente conservati da un fratello di Remo, Gino, che oggi vive a Feletto Umberto. Così le bimbe poterono tornare a scuola, portando orgogliosamente le copie di un manoscritto di non più di cinque facciate, intitola-
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to "Piccolo diario fatto da me Trivelli Pietro fu Giobatta anno 1969" e altri documenti riconducibili in particolare al periodo nel quale il loro antenato aveva svolto il servizio di leva, quasi dieci anni prima dell'inizio di quella guerra. Quel manoscritto, ispirato dalla volontà del suo estensore, a oltre mezzo secolo dall'epoca dei fatti narrati, di lasciare "alle nuove generazioni" un racconto dell'esperienza dei giorni della Grande guerra, conteneva già notizie molto interessanti. Poi, grazie a quel primo indizio, la famiglia scoprì di conservare anche altra copiosa documentazione, in particolare da lettere e cartoline risalenti proprio al periodo della guerra e addirittura un piccolo diario, due quaderni di pochi fogli, riferito al periodo dal maggio al luglio 1915. Attraverso questi documenti, le memorie famigliari e qualche ulteriore ricerca di archivio, siamo in grado di proporvi la ricostruzione della storia di una famiglia di Tramonti di Sopra nei giorni della Grande guerra, una storia che si sviluppa fra la quotidianità della vita famigliare e la straordinarietà degli eventi vissuti al fronte.
La famiglia Trivelli di Tramonti di Sopra La storia è quella della famiglia Trivelli, originaria di Reggio Emilia: il suo capostipite si stabilì a Tramonti di Sopra probabilmente per ragioni commerciali, ma non sappiamo in quale epoca. Quello che sappiamo invece con precisione è che nel periodo di nostro interesse la famiglia era costituita da Gio Batta Trivelli, nato nel 1851 a Tramonti di Sopra (quindi l'immigrazione in valle era precedente), sposato con Marianna Crozzoli, cognome indubitabilmente tramontino, nata a Tramonti di Sopra nel 1856. Dal loro matrimonio sono nati sei figli: Carlo (1878), Enrico (1881), Rachele (1883), Pietro (1885), Giovanni (1888) e Gino Mario (1891). L'attività principale della famiglia è quella commerciale, probabilmente svolta fra Tramonti di Sopra e Venezia. A Tramonti di Sopra la famiglia gestisce l'osteria e albergo ancora oggi riconoscibile dall'inse-
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Foto della famiglia Trivelli. Da sinistra nella fila in alto: Gio Batta, Carlo, Enrico, Crozzolii Marianna. In basso da sinistra: Pietro, Giovanni, Gino, Rachele.
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gna, segnata dal tempo, "Locanda Vittoria". Probabilmente acquistano anche i formaggi prodotti in zona da una attività zootecnica allora fiorente, per inviarli a Venezia dove opera la ditta "Trivelli G. Battista - Negozianti burro e formaggi friulani". Attività commerciali dalle quali dovrebbe discendere una certa agiatezza della famiglia, che tuttavia non preserva almeno due dei figli di Gio Batta Trivelli dal prendere la via dell'emigrazione. Ne abbiamo conferma dai ruoli matricolari di due dei fratelli, che saranno al centro della nostra storia. Pietro viene chiamato alla visita di leva il 16 giugno 1905 presso il Regio Consolato di Berlino: sa leggere e scrivere e dichiara di essere muratore. Emigrante in terra germanica, nel novembre di quello stesso anno viene chiamato alle armi e assegnato al 2° reggimento artiglieria. Resterà sotto le armi per quasi due anni, fino al 12 settembre 1907. Fra le carte conservate e lasciate al nipote Remo, Pietro raccoglie anche il più piccolo documento della sua esperienza militare: il foglio di congedo illimitato provvisorio rilasciato in data 4 luglio 1905 dal Regio Consolato di Budapest ( e già qui un primo mistero: fu visitato a Berlino o a Budapest? Il documento originale ci porterebbe a concludere che l'errore è nel ruolo matricolare ... ), i biglietti di identifcazione alla presentazione alle armi, il certificato di "puntatore scelto" conseguito a Padova il 30 maggio 1906, le consegne impartite da un superiore negli ultimi giorni di servizio di leva a Treviso. Pietro viene congedato con il grado di caporale, un riconoscimento che già dai giorni della leva rivela le attitudini militari del tramontino. Giovanni, di tre anni più giovane, si presenta alla visita di leva presso il consolato di Vienna nel giugno 1908. Anche lui sa leggere e scrivere e dichiara di essere muratore. Il 6 novembre dello stesso anno si presenta alle armi, assegnato al 2° reggimento Granatieri di Sardegna, ma la sua permanenza nell'esercito è brevissima poiché già il 18 di quello stesso mese viene mandato rivedibile "per deperimento organico". Viene richiamato un anno dopo e questa volta viene definitivamente assegnato ai Granatieri, presso il deposito di Parma. È ammesso
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alla ferma biennale ma rimane alle armi solo fino al 1° settembre 1910. I due fratelli verranno successivamente richiamati, Pietro per istruzione, Giovanni probabilmente per l'invio in Tripolitania e Cirenaica, ma in entrambe i casi vengono lasciati in congedo in quanto "regolarmente all'estero": inequivocabile segno che i due, come altre migliaia di friulani, continuavano la loro emigrazione stagionale verso gli Imperi Centrali. Negli anni precedenti alla guerra, mentre Pietro e Giovanni sono all'estero, la famiglia continua a svolgere le proprie consuete attività: il padre, con il figlio Carlo, gestisce il commercio di formaggi friulani a Venezia mentre la madre, con il figlio Gino Mario, si occupa dell'albergo osteria in paese, mentre la sorella Rachele pare lavori a Clauzetto. Uno dei fratelli, Enrico ( trisavolo delle nostre investigatrici Matilde e Maddalena) è nel frattempo deceduto alla giovane età di 31 anni, lasciando la moglie con due figli.
I lunghi mesi dell'attesa Il 28 giugno 1914, il duplice assassinio di Sarajevo dà inizio alla crisi fra l'Austria-Ungheria e la Serbia. Nel giro di un mese si arriva alla dichiarazione di guerra da parte della monarchia asburgica e a quella concatenazione che in pochi giorni vede le principali potenze europee scendere in campo nei due blocchi dell'Intesa e della Triplice Alleanza. Alla Triplice Alleanza, come noto, appartiene anche il Regno d'Italia che, il 2 agosto 1914, proclama la propria neutralità appellandosi ai contenuti del trattato della Triplice che prevede la discesa in campo degli alleati solo nel caso di aggressione subita da una delle tre monarchie. In quei giorni fra la fine di luglio e gli inizi di agosto le migliaia di emigranti friulani (oltre 80.000) in Germania e in Austria Ungheria iniziano un precipitoso rientro conseguente a quanto sta accadendo a livello internazionale. Si prevede che anche l'Italia sia prossima ad entrare in guerra e quindi bisogna rientrare per la mobilitazione, ma anche se la guerra fosse dichiarata contro l'Austria-Ungheria tutti gli
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emigranti negli Imperi Centrali sarebbero rinchiusi nei campi di internamento. E allora, anche per questi soli ordini di motivi, la decisione di rientrare in Friuli viene presa precipitosamente, anche da parte di chi in quei paesi si era stabilito magari da decenni, formando anche una propria famiglia. Pietro e Giovanni vengono sorpresi dalla guerra a Budapest, e sulle prime non sanno che decisione prendere. Il 10 agosto sono ancora a Budapest, come apprendiamo dalla lettera inviata dal fratello Carlo, da Venezia, su carta intestata dell'attività di commercio di formaggi friulani. Da quella lettera si percepiscono tutte le preoccupazioni e le incertezze del momento:
"Carissimi fratelli, passiamo dei momenti così critici anche qui che se le cose non cambiano andiamo male assai. Da Tramonti ho novità che la gran parte è rimpatriata nella desolazione. State in guardia di non inmischiarvene ne in prò ne in contro di quanto sucede. Nessun scritto nessun stampato che sii in vs. possesso, se avete denari guardate di fare oro perché la carta non vale nulla. Sono sempre in sospeso perché ho paura che anche qui ci sia una mobilitazione completa. Prova ne sia che tutto procede alacremente. Rimanete finchè possiate ma se nulla dovesse turbarsi per la vs. persona rimpatriate. Qui come affari male. Salute ottima e così spero di Voi. Vi bacio tuo fratello Carlo". Non sappiamo con precisione per quanto ancora i due fratelli si trattengano insieme a Budapest, ma una lettera di Pietro spedita da Tramonti di Sopra il 16 settembre 1914 ci conferma che nel frattempo il fratello maggiore è rimpatriato mentre Giovanni è ancora in Ungheria. La lettera racconta a Giovanni di quella che è la vita in paese, delle attività della famiglia, di una quotidianità che Pietro pare avere ritrovato. Ma ci parla anche degli amici, evidentemente non italiani, che
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Pietro ha lasciato a Budapest: "Carissimo fratello M'immagino che sarai rabioso per il mio ritardo nel scriverti ma abbi pazienza che in avenire saro più sollecito. Ricevetti la tua ultima e intesi il tuo parere, dunque io non so più che dirti fa pure come hai pensato giacchè si vede anche che I; italia vuole mantenere la sua neutralità. Qui in riguardo nulla di nuovo e poi tu legerai i giornali e saprai quanto succede giorno per giorno. Qui in paese fuorche otto o dieci persone sono tutti a casa, puoi immaginare che miseria, e se continua cosi per lungo tempo puoi credere quanta fame averrà. Questa settimana scorsa e giunto Paola e Carlo che lui era andato cola per il matrimonio di sua cognata. In quanto agli afari di famiglia abbiamo messo alla posta insieme agli altri L.500 dei nostri L.300 e L.200 del osteria le altre 300 lire la abbiamo qui con noi perche dobbiamo comperare un armenta che lo sai che con una sola e poco quando poi sono in Gennaio o Febbraio torneremo a vender quella che abbiamo ora, e resteremo con una vacca e la manza. In quanto al osteria quest'anno sarà magro però dopo andata Lucia ad ora e stato sempre qualche forestiero. Gino se messo alla testa e anche la licenza l'abbiamo messa a nome suo, se lo vedeste e tutto il giorno occupato e sa fare proprio il mestiere. La Rachele ancora non sa nulla se torna a Clauzetto, loro sarebbero contenti, ma facile che le facciano avere un posto più vicino. Salutami tanto il Suster e famiglia e Franie e mio compare Salamon e poi tutti i conoscenti. Fammi sapere se lavori e dove così pure se ce ne sono ancora tanti italiani cola. Ti saluto unito a tutti ti bacio tuo fratello Pieretto scrivi subito". Conclusa la lettera, sulla quarta facciata Pieretto aggiunge una annotazione che ci pare di leggere come la conferma di quel compiacimento nell'avere recuperato la quotidianità delle attività e degli affetti famigliari, non risparmiando al fratello anche una affettuosa battuta a sdrammatizzare la gravità del momento:
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"Oggi sono stato a nocciole io e Mattia nella spezza (probabilmente si riferisce alla zona della cava Spessa, nella zona dei Piani, fra Campane e Pradis nda) percio sono stanco e domani devo andar a siegare, sai che qui si lavora più che non la via". Per i mesi successivi, non disponiamo di molti documenti. Il foglio di riconoscimento della Regia Stazione Sanitaria di confine di Udine, timbrato 24 novembre 1914, ci conferma che Giovanni rimpatria da Budapest in quella data, poi più nulla fino all'entrata in guerra. Di quei mesi Pieretto, nei suoi fogli "alle nuove generazioni" ci racconta solo che "in primavera del 1915 andai a lavorare ad Avezzano dove c'era stato il terremoto, li presi la febbre di malaria e dovetti ritornare a casa". Mesi difficili nei nostri paesi, soprattutto per la penuria di lavoro alla quale si tenta di porre rimedio con tutti i mezzi avviando la realizzazione della ferrovia pedemontanta Sacile-Pinzano, scuole, strade: ma non abbastanza per le migliaia di emigranti rimpatriati e non ancora mobilitati. Il patto segreto sottoscritto a Londra il 26 aprile del 1915 fra il Regno d'Italia e le potenze dell'Intesa, impegna il nostro paese ad entrare in guerra contro l'Austria-Ungheria entro un mese. E allora si muove la grande macchina organizzativa della mobilitazione: la "radunata" dell'esercito richiederebbe quaranta giorni, Cadorna si trova a gestire una operazione quasi impossibile, ma il 24 maggio l'esercito è schierato.
La partenza La mobilitazione coinvolge subito anche i due fratelli Trivelli. Se per Giovanni l'unica informazione di cui disponiamo è quella contenuta nel ruolo matricolare, che lo conferma in "zona dichiarata in istato di guerra" fin dal 15 maggio 1915, arruolato nei granatieri, per Pietro siamo invece in grado di conoscere in dettaglio tutti i movimenti ed esperienze nelle prime settimane di guerra.
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Il racconto di Pietro è contenuto nei due quaderni-diario che coprono il periodo dal 7 maggio, giorno in cui giunge a Tramonti la cartolina di precetto per il nostro artigliere, fino al 21 luglio 1915. Poi Pietro non scrive più, o forse i suoi diari non ci sono pervenuti. Il racconto è dettagliato, anche se non riporta un particolare episodio che invece Pietro riferirà nelle pagine manoscritte oltre mezzo secolo dopo. Pietro riceve la cartolina precetto il 7 maggio e due giorni dopo, alle tre del pomeriggio, raggiunge Conegliano dove si presenta alla caserma del 30° reggimento artiglieria da campagna, assegnato alla prima colonna munizioni. Tardano ad essere consegnate le divise e la sera dell'l 1 è ancora vestito in borghese e decide di recarsi a Pordenone a fare visita a degli amici o parenti (non sappiamo chi fossero Beppi e la Romana) ma il giorno successivo, a causa del caos delle ferrovie mobilitate per il trasferimento di uomini e materiali verso il confine, non riesce a rientrare in caserma che per le undici del mattino. Al rientro trova tutti i compagni in divisa e prossimi alla partenza, a lui viene detto di aspettare. Vede partire i compagni e rimane ad attendere l'arrivo dei richiamati di cavalleria da Verona e Venezia per formare la seconda colonna munizioni del reggimento. Vestito e armato (a Pietro vengono consegnate la "sciabola B7353" e la "pistola NP23" come troviamo annotato sul retro del richiamo alle armi scrupolosamente conservato fra i documenti), consegnati i materiali ed i cavalli alla colonna, viene l'ora della partenza:
"Il giorno 25 viene l'ordine della partenza per destinazione ignota. Un idea però si sapeva avendo inteso da fonte particolare da che parte erano andate le batterie che erano partite due giorni prima. Questa partenza io l'aspettavo con tanta ansia indescrivibile sia perché stanco di stare rinchiuso in caserma ma anche per giungere al posto destinato di combattimento. Alle ore 9 antimeridiane la colonna si muove per la partenza non senza molta dificolta una perche soldati di cavelleria e percio non abituati tanto a portare la pariglia, l'altra più importante, cavalli tutti requisiti ai borghesi non usi a questo servizio. Io sono 203
destinato ad aspettare il carro trasporto che doveva condurre il pane alla colonna. Aspetto fino le undici e mezza poi vedendo che il pane non era giunto neppure in stazione parto anch'io. Arrivo a Sacile alle 2 pomeridiane e appena in paese trovo il fratello Carlo. Mi venne un brivido di consolazione nel vederlo, di li io a cavallo lui a piedi venne ad accompagnarmi fino al accampamento, piu tardi si ando a trovare Vittorio Abiz che si trovava al distretto in magiorità. Stetti col fratello fino alle 6 e poi lui dovette partire. Un abraccio doloroso, monto in motocicletta e partì. Io rimasi di quella partenza molto addolorato e pensieroso più che non quando partii di casa." Pietro è ansioso di raggiungere il fronte ed il suo posto di combattimento, come tanti giovani che in quel "radioso maggio" non immaginavano quelli che sarebbero stati gli orrori dei campi di battaglia. Quella separazione dal fratello Carlo lo rende pensieroso, probabilmente quegli stessi pensieri affollarono quella notte a Sacile, dove dormì per la prima volta "con la coperta da campo e senza svestirsi". Nei giorni successivi la colonna prosegue verso est: nel racconto di Pieretto ci pare quasi di essere con lui, fra quei carri trainati dalle pariglie, i cassoni carichi di munizioni, carri attrezzi, carri osservatorio, carri trasporto, carri bagaglio. Lungo la marcia ancora incontri con parenti e conoscenti di Tramonti, si supera Pordenone, la sera del 26 a Casarsa cena e dorme a casa di "Daniele Maleon", il giorno dopo a Codroipo saluta il dott. Zatti e incontra una zia ma non può fermarsi, la marcia prosegue. Si fermano per il rancio in una località che Pietro indica come "Spressiano" ma probabilmente corrisponde a Passariano, subito fuori Codroipo. Alle cinque del pomeriggio del 28 la colonna raggiunge Santa Maria La Longa:
"Costì mi fermai qualche giorno, la passai abbastanza bene, eravamo accantonati in un cortile di un signore e si dormiva su un fienile, però poco perché mezze le notti se le passava al osteria e si andava solo quando si era bene confezionati. La mattina del primo giugno partii di colà e alle
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ore undici antimeridiane si passò il confine. Questa non era la prima volta che io passavo questo confine ma bensì molte altre volte e poco lungi da quella via, però questo passaggio fu emozionante. Quando vidi i segnali dei confini le prime trincee, rimasi sbalordito, non però senza lo spirito fervente di vendicazione, contro quei barbari e vigliacchi dei tempi remoti. Ricordo molto bene dai libri che o letto, quello che fecero nelle nostre regioni quei crudeli che ora siamo di fronte a combatere più mi ricordo quello che raccontano ancora i vecchi del mio paese, per sentire quel spirito alto di rivendicazione. Ora è giunto il momento è dobbiamo pagare. Alle 2 pomeridiane arrivammo a Chiopris, un paese non grande ma in una bella posizione. Si ando ad accamparsi in un prato subito fuori del paese, assieme a tanti altri artiglieri e fanteria. Di li si comincio a sentire le prime cannonate pero distanti molto, in modo che non facevano alquna impresione. In questo paese si stette fino al giorno 4 con un tempo tanto schifoso, pioggia quasi tutti i giorni. La sera del 4 alle ore undici di notte si partì con molta fattica per il fango che cera venuto nel accampamento, i cavalli non volevano uscire dal prato, finalmente alla mezzanotte circa dopo non poche fatiche, due tre carri alla volta, a tre o quattro chilometri da Chiopris la colonna si unisce, e si comincia a marcia. " re assieme. Il momento atteso con ansia si sta avvicinando, in questo passaggio conosciamo un Pieretto che varcando il confine si lascia andare al pensiero delle tante volte che ha già passato quella frontiera negli ormai lunghi anni dell'emigrazione in Austria-Ungheria. Anni di lavoro per quelli che ora, a neppure un anno di distanza dal rientro precipitoso dell'estate precedente, sono diventati i "barbari e vigliacchi", secondo una terminologia in uso alla retorica dell'epoca, che evidentemente aveva convinto anche il nostro artigliere.
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Di fronte al nemico Quella notte fra il 4 e il 5 giugno 1915, muovendosi al buio perché ormai la linea del fronte è vicina e i movimenti di truppe devono il più possibile essere tenuti nascosti, la colonna punta su Cormons. All'alba gli artiglieri passano la ferrovia dove vedono il sottopasso in costruzione fatto saltare, i primi tiri di artiglieria austriaci contro un aereo italiano che sorvola poco lontano. Una prima breve fermata, poi la colonna supera una collinetta vicino a Capriva e va a collocarsi in un vasto prato circondato da vecchi e alti pioppi dove avviene il vero e proprio "battesimo del fuoco" anche per il nostro artigliere tramontino che così racconta nel diario: "Non ancora la colonna messa a posto ci sentiamo con tanto ribrezzo ar-
rivare un colpo al di sopra di noi, senza però alcuno ferire. Noi lo stesso continuiamo le nostre operazioni. Dopo un po' di tempo in compagnia di altri ci inviammo per andare in paese, ma ecco che un secondo colpo ci giunge poi un terzo e via di seguito sempre male aggiustati, quasi tutti colpi da campagna da 75. Dopo questi colpi per qualche giorno ci lasciarono in pace, voglio dire da vicino non ne sentimmo, bensì il rombo continuo dei cannoni sulla linea di combatimento, ma da noi lontano." Ma questo primo episodio, nella versione fornita da Pietro Trivelli nel suo breve diario manoscritto nel 1969, seppure collocato cronologicamente al 1° giugno, viene presentato con tratti molto più realistici consentiti solo dal lungo tempo trascorso:
"Si arrivò vicino la stazione ferroviaria di Cormons, un piccolo intervallo e si proseguì per Capriva, appena arrivati in mezzo a un grande prato circondato da grandi platani l'artiglieria nemica che ci aveva seguito tutto il nostro percorso aperse il fuoco prima con sdrapnel da 75 poi con cannoni da 305 fu un momento veramente spaventoso, fu un scappa scappa per rifugiarsi dietro le case, insomma di tutta quella sparatoria non si eb206
be che qualche ferito, finita la sparatoria tornammo tutti al nostro posto ancora tremanti. Questo fu il primo giorno che incominciai a capire che cosa voleva dire guerra. Avevamo come comandante un tenente napoletano che si chiamava Nardone, una persona molto buona ma che per servizio di guerra non valeva zero. Avevammo con noi un maresciallo che era stato in cavelleria ed era stato apiedato trasferito con noi si chiamava Bianchini era nativo veneziano, subito dopo finito il tiro nemico e tornati vicino ai nostri cavalli ci fece radunare tutti e con la pistola in pugno ci disse il primo che si muove dal reparto senza giustificato mottivo se il tiro nemico non vi colpisce uno per uno io stesso vi uciderò, figurarsi che complimenti per il primo giorno." Un chiaro esempio di che cosa significava per questi giovani, pure non impegnati in prima linea ma nelle immediate retrovie, trovarsi improvvisamente a contatto con la realtà della guerra, con il rischio di lasciarci in ogni momento "la ghirba". Momenti nei quali l'odio e lo spirito di "rivendicazione" rispetto al barbaro nemico spesso non erano sufficiente motivazione di tenuta, e spesso dovrà aggiungersi, durante tutta la guerra, la minaccia degli ufficiali e quella della giustizia militare. In quei giorni Pietro si trova con il suo reparto nella zona sopra Capriva, che possiamo individuare nella località Russiz Inferiore, in quello che oggi è l'incantevole paesaggio del Collio Goriziano coperto come allora di vigneti ai quali nel diario si fanno diversi riferimenti. Per chi volesse scoprire quei luoghi, è facile raggiungere la località da dove, salendo al colle del Mausoleo del conte de La Tour, si può godere di un punto di osservazione di sicuro effetto, sicuramente famigliare in quei giorni anche a Pietro Trivelli. Da quei luoghi Pietro scrive la sola lettera dal fronte conservata dall'archivio, non sappiamo se fu l'unica ma rappresenta un documento prezioso in quanto sicuramente scritta nel momento in cui si svolgono i fatti. Scrive alla madre rassicurandola delle sue condizioni e riferendo gli episodi con toni ancora riconducibili ad una buona dose di retorica:
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"Chapriva li 6-6-1915 Ti scrivo proprio in un momento di battaglia. Ieri arrivai qui e i proietili scoppiavano sopra il nostro capo subito arrivati, pero le nostre artiglierie seppero cosi bene agiustare la distanza che da ieri sera nel forte non si a sentito più nulla. Sono tre notti che sono in marcia e questa notte passata siamo stati a rifornire munizioni io solo con due cassoni. Non ti dico che vita o fatto però sono contento che la nostra artiglieria fa dei tiri eficacissimi. Perdite noi da questo fronte poche. Puoi credere a quello che ti dico perche ieri hanno sparato più di trenta colpi su di noi ma tutti o troppo alto lungi o corti, così ora le abbiamo distrutto il forte che dominava questa posizione e siamo al sicuro. Non ti dirò le truppe che c'è qui, che non si sa da che parte passare. Non pensare a nulla che io sono contento e sto bene. Fa sapere pure a Rachele e a mio padre che sto bene, io non o tempo di scrivere e poi mi manca i mezzi come carta. Oggi facile avanzeremo di nuovo. Io sto benone spero di voi. Saluti a tutti i parenti zii e zie baci aff. a te e Gino Fratello Pieretto. Ti scrivo alle tre di mattina perché il nostro ciclista va subito a Cormons. Qui molta popolazione e fuggita e noi beviamo tutto quello che hanno lasciato." Quello è lo scenario nel quale si collocano anche gli altri racconti di Pietro nei giorni successivi. Dall'episodio del pallone frenato italiano che viene innalzato ( erano sostanzialmente delle mongolfiere fissate al suolo, utilizzate come osservatori verso le linee nemiche) e, fatto segno dei tiri da 305 austriaci, ritirato e nascosto fra le vigne, al racconto della puntata a verificare gli effetti dei grossi calibri austriaci sotto il castello di Russiz che si conclude con una fuga a gambe levate fra le vigne:
"Il giorno 17 (giugno nda) io e altri compagni andammo a vedere dove erano scoppiati diversi colpi da 305 proprio sotto il castello Rossiz. Arriviamo li sul posto e troviamo la fanteria il 27mo accampato proprio li vicino. Non appena cominciamo a parlare con questi, ci giunge un col-
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po così secco che restiamo un momento titubanti. La fanteria fa un salto e rientra nelle sue trincee, noi prendiamo la corsa in mezzo ai vignali per andarsene al nostro accampamento lontano di circa un 300 metri". Un passaggio che ci conferma in modo preciso la dislocazione del reparto, schierato sopra Capriva, da dove lo sguardo, attraverso Mossa e Lucinico, giunge al piccolo colle che, sotto la linea dei monti ad oriente, interrompe la vista verso Gorizia: quel colle è il monte Calvario, il Podgora, percorso dalla prima linea sulla quale si fronteggiano le opposte fanterie. Il Podgora è un bastione formidabile che resisterà davanti a Gorizia fino all'agosto del 1916 quando, nella VI battaglia dell'Isonzo, gli italiani riusciranno a superarlo conquistando la città. Ma in quel mese di giugno del 1915, l'artigliere tramontino sta per essere testimone di quella che fu la prima battaglia dell'Isonzo.
Pietro Trivelli alla prima battaglia dell'Isonzo La battaglia ha inizio il 23 giugno e si protrae fino al 7 luglio, con combattimenti estesi dall'Alto Isonzo fino al mare, non porterà ad alcun risultato apprezzabile per il Regio Esercito. Pietro riporta nel suo diario questa descrizione che colloca l'inizio dei bombardamenti di artiglieria proprio al 23 giugno:
"Ai 23 di sera incomincio un fuoco accanito su tutto il fronte e duro quasi due giorni continui senza sosta, e proprio prima di cominciare questo fuoco che le nostre batterie andarono in posizione sopra Mosa. In questi due giorni di combatimento il nemico visto che era inutile ogni suo sforzo dovette ritirarsi oltre I.;isonzo. Il giorno 26 io passai aggregato alla IV batteria come guida di colegamento andai ad attendarmi sulla collina al osservatorio della V batteria. Io e Comisso da Mortegliano abbiamo fatto una bella trincea però quando piove andiamo in gondola per esempio oggi giorno di San Pietro eravamo sotto la tenda tutti bagnati e per ordine che l'acqua veniva dentro con la gavetta se la gettava fuori. Oggi pure 209
e stata celebrata la messa qui in mezzo al bosco e ci sono stato ad ascoltarla tanto volentieri eravamo molti ad ascoltarla. Questa è stata la prima messa che o assistito dopo da Santa Maria La Longa, la prima pure in territorio conquistato. Ieri ultimo del mese anno voluto di nuovo salutarci magari sforzatamente perche gia anno conpreso che e inutile ogni tentativo di resistenza contro la nostra fortezza e il nostro spirito. Ebbene ieri appena passato mezogiorno arriva un colpo da 305 (proveniente dalle colline sopra Gorizia) in direzione nostra e scoppia a destra del campanile di Mosa, ma ancora distante da noi. Dopo poco tempo ancora uno piu avanti e un altro più avanti poi tre colpi su un gruppo di case qui sotto la nostra collina, sempre nella nostra direzione. Qui più basso di noi ce una batteria della canpale pure loservatorio, il capitano vedendo cosi comanda ai suoi di ripararsi. Intanto loro continuano a sparare, in tutti saranno stati una ventina di colpi, lultimo fu sul suo asservatorio, ma tutti erano andati via cosi non fecero con tutti i suoi colpi nulla di nulla. Il più gran male fracassarono due case. Qui in cima da noi arrivò molte scheggie fortunatamente senza ferire nessuno. Oggi mattina a occhio nudo si vedeva molto bene ( subito al dilà dell'Isonzo a destra di Gorizia) una batteria da campagna nemica che sparava contro la fanteria nostra, anno sparato diversi colpi finche la nostra campale ha cominciato il fuoco e la resa subito al silenzio. Però altri pezzi suoi continuavano a sparare, e un colpo e scoppiato sopra i cavalli della IV batteria e a ferito tre soldati e 25 cavalli. Ora che scrivo nella trincea sparano ancora ma non si fa caso perche sono colpi da 75 e non fanno alcquna paura, invece sono quelli da 305 che fanno impresione." Anche in questi passaggi, che in diversi punti ci confermano che il diario viene compilato proprio al fronte, emerge la convinzione di Pietro che l'avanzata italiana stia proseguendo vittoriosa e che l'Austria sia di fatto già sconfitta, anche se quei colpi da 305 che arrivano da oltre l'Isonzo qualche dubbio glielo fanno sorgere.
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Nelle trincee sopra Monfalcone Ma mentre Pieretto è testimone di quella battaglia da una una posizione arretrata rispetto alla prima linea, in questi stessi giorni abbiamo la possibilità di incrociare le vicende dell'altro fratello, Giovanni, che si trova in trincea, sopra Monfalcone, con il 2° reggimento granatieri di Sardegna. Questo grazie ad una lettera che Giovanni indirizza, il 24 giugno 1915, al fratello Gino. È stata scritta nella scomoda posizione della trincea pietrosa, descrive le condizioni in cui il soldato vive le ore del giorno e della notte in prima linea, le sofferenze che sembrano alleviate dalla certezza che il nemico è debole. Una lettera che, nei particolari riferiti, ci consente di collocare con precisione la posizione del granatiere di Tramonti e che vi proponiamo nella trascrizione integrale:
"Carissimo fratello I; altro ieri ricevei la tua lettera e con molto piacere intesi che state bene. Io qui sono sempre il solito da sei giorni e sei notti che sono nei posti più avanzati e un ora di riposo in questo tempo nono avuto ne di giorno ne di notte. Sono stanco e spossato debole che non posso neppure star in piedi in mezzo a questi maledetti sassi che non si puo neppur trovare un piccolo posticino per riposare un'ora e tutto il giorno esposto al cocente sole e di piu di giorno quasi sempre si lavora per rinforzare le trincee e di notte stare in aguato al nemico che immancabilmente ci vengono a disturbare ma noi sempre pronti con delle buone scariche di fucileria li ricacciammo. Di giorno ora anno cominciato a tormentarsi con l'artiglieria e passano incessantemente sopra la nostra testa le palle di cannone e allora giu coperti dentro le trincee i proiettili scoppiano con fragore seminando la morte dove pigliano. Benchè stanchi questa notte pare si avanzi per impadronirsi di due colline nemiche ben trincerate e protette di reticolato domani o dopodomani ti faro sapere l'esito se avro la fortuna di poter salvarmi pero non si sa se di certo e questa sera precisa avanzeremo sono voci che corrono pero per 211
tutto questo non state a impresionarti perche tanti uomini loro non anno tanto e vero che l'altro ieri si sono arresi 12 e da loro si a potuto sapere. Il cugino Giovanni sta benissimo e saluta tutti lo vedo quasi ogni giorno e sempre accanto alla botte del vino o del vermout che lo dispensa per le compagnie. Quando riceverete la presente spero non mancherete di spedirmi qualche cosa in denaro perche sono quasi senza. A Pieretto ho scritto ieri pero non so se l'indirizzo e giusto. Io sto bene solo ogni tanto qualche dolor di testa e alle gambe. Salutate tutti quelli che domandano di me. Ti bacio e sono tuo fratello Giovanni." A queste parole che non hanno bisogno di essere commentate, aggiunge poi una nota, scritta di traverso sul foglio: "Devi compatire del mal scritto sono in trincea e ti scrivo appogiato a un ginocchio". Ma da questa lettera, oltre alle condizioni di vita in trincea, abbiamo la possibilità di ricavare un preciso riferimento storico e geografico nel passo che fa riferimento a "due colline nemiche ben trincerate e protette di reticolato": si tratta delle quote 85 e 121 sopra Monfalcone, ricomprese nel Parco tematico della Grande guerra. Fruibile al pubblico fin dal 2005, consente la visita attraverso tre diversi itinerari che si sviluppano prevalentemente lungo viabilità forestali immerse nella vegetazione carsica. Al parco si accede dal centro di Monfalcone attraverso quel sottopasso ferroviario che sicuramente fu percorso anche da Giovanni per salire alla trincea sotto la linea occupata dagli austroungarici: a quota 85, o quota Enrico Toti, oggi è collocata l'area sacra che riunisce i cippi commemorativi di reparti ed eroici Caduti, a quota 121 sono stati recuperati i resti della forte ridotta autroungarica.
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nemici di Giovanni Trivelli: ricoveri austoungarici sotto quota 85. La quota sullo sfondo è percorsa da grovigli di reticolati.
Italiani trincerati a quota 85 sopra Monfalcone: le condizioni sono esattamente quelle descrit, te da Giovanni Trivelli.
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Sono i riassunti storici della brigata granatieri di Sardegna a confermarci che le due colline alle quali fa riferimento Giovanni sono proprio quelle due quote:
"Nella 1a battaglia dell'Isonzo ( 23 giugno - 7 luglio) alla brigata, in linea nel settore di Monfalcone dal 15 giugno, è assegnato il compito di attaccare le forti ed importanti posizioni di q .121 e q. 85 contro le quali essa il 30 manda all'assalto i suoi Granatieri. Ma gli sforzi vengono infranti oltre che dai reticolati, che animosi reparti di volontari più volte tentano di svellere od intaccare, anche dal fuoco improvviso delle mitragliatrici avversarie, che procurano alla brigata perdite non lievi, e le inibiscono qualsiasi progresso." L'attacco annunciato dalla lettera diretta a Tramonti si svolge quindi il 30 giugno: la brigata lascia sul campo 46 morti, 29 dispersi e 457 feriti. Probabilmente Giovanni scrive anche al fratello artigliere che, nella parte finale del primo quaderno, in corrispondenza di domenica 4 luglio, scrive: "Oggi o ricevuto notizie per la prima volta dal fratello Giovanni e lui m'immagino sia a Monfalcone, ma non so preciso perche non puo scrivere dove si trova". Giusta la supposizione di Pieretto, che continua il suo diario ancora per un paio di settimane, trovandosi a Mossa, nella località che indica come "Valgisella", da ritenere corrispondente alla località di Vallisella con il relativo colle. In quella località continua a svolgere le sue mansioni, prevalentemente di collegamento fra le batterie e le colonne munizioni, rimaste più indietro, a Capriva, da dove vengono fatti avanzare i cassoni in base alle esigenze del tiro. Racconta ancora vari episodi che gli accadono, come quello del 7 luglio quando, accusato di non essersi fermato all'alt di una sentinella del 131 ° fanteria, viene minacciato di essere mandato alla corte marziale, ma tutto si risolve con l'intervento degli ufficiali di artiglieria che rassicurano il nostro caporale. O l'originale passaggio nel quale Pietro racconta le attività di addestramento della fanteria alle quali assiste, il 1Oluglio, in uno dei suoi tanti viaggi, pare di capire nella zona sotto il castello di Russiz:
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La lettera di Giovanni Trivelli al fratello Gino.
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"Ieri che fui a Capriva per farmi un po di pulizia vidi i lavori di prova che faceva la nostra fanteria. Fecero prima una lunga trincea sulla collina soprastante cioè vicino il castello poi fecero per circa 30 metri di reticolato davanti poi mediante materassi arrotolati andarono fin vicino il reticolato e ci misero della gelatina esplosiva quindi ritornarono indietro sempre inteso col materasso per non farsi pigliare dalle pallottole nemiche quanto furono un po distante mediante un tubo di condutura fecero esplodere la gelatina, fece un colpo formidabile ma però non con tanto risultato perché non schiantò che due o tre pali del reticolato." Con queste tecniche che si dimostravano inefficaci anche nelle esercitazioni, quei fanti sarebbero stati mandati all'attacco dei reticolati austroungarici, con esiti disastrosi in termini di perdita di vite umane. Erano probabilmente attività addestrative in vista dell'imminente inizio della seconda battaglia dell'Isonzo, che a partire dal 18 luglio e fino al 3 agosto avrebbe coinvolto il fronte dalla zona Carnia fino al mare. Con il 21 luglio si chiude il diario, o almeno la parte che ci è pervenuta, con il racconto del primo incontro con i prigionieri austroungarici condotti verso le retrovie:
"in questi tre giorni abbiamo fatto moltissimi prigionieri ed ora che scrivo continua a tuonare il cannone da tutte le parti. Ieri sera pernottarono circa 300 prigionieri di fanteria ed oggi li anno condotti a Capriva erano in pochi Triestini e gli altri tutti slavi, io o anche parlato con loro, ma pare non siano tanto contenti di essere prigionieri, portano ancora l'Austria. Un soldato di fanteria nostra un siciliano, le ha detto a questi prigionieri. E cari amici e tanto che ci chiamavate dalle vostre trincee e ci dicevate ( venite avanti italiani a bere il caffe a Gorizia che noi vi diamo il zucchero) se fossi io il padrone ora ve lo darei il caffe e invece del zucchero ci metterei il veleno pero loro non rispondevano". Mentre Pietro e Giovanni sono al fronte, quella estate del 1915 a Tramonti scorre probabilmente tranquilla. L'archivio della famiglia non conserva altre lettere di Pietro, mentre Giovanni, la cui brigata
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I nemici di Pietro Trivelli: austroungarici trincerati sul Podgora.
Enrico Toti su "La Domenica del Corriere".
Le trincee di quota 85 come appaiono oggi nell'ambito del Parco tematico della Grande guerra.
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rimane sopra Monfalcone fino al 23 agosto, il 13 di quello stesso mese scrive alla famiglia potendo rassicurare che le sue condizioni sono migliorate e ora fa il conducente di muli:
"grazie al cugino Giovanni che mi a procurato un posto fuori di compagnia cioe conducente ben sin tende faccia servizi sempre per la mia compagnia ma sono la notte e parte della giornata fuori della detta le trasporto sulla collina che sono acqua pane caffe e rancio sin ora sono solo ma in avanti quando avanzeremo di più nelle colline ne verra altri tre vedi che ora sono un pochino meglio almeno la notte quelle poche ore che si può dormire sono pacifiche e tante ore di vedetta ritto sulla trincea davanti al nemico non lefo. Ma puoi immaginarlo mai avuto muli per mano come impacciato mi trovo ma e questione di pochi giorni. Adesso mi sto pensando quando prendevo in giro Dodo con la sua Anfella ora mi trovo anche io. Il giorno 1O o partecipato ad una avanzata e la mia compagnia era proprio in prima fila e andata bene anzi per me benone perche anche questa volta mi sono salvato la pelle pero perdite ne abbiamo avute pochissime." Quell'attacco del 10 agosto, come confermato dal riassunto storico della brigata Granatieri, è ancora contro le due quote sopra Monfalcone. Poi dal 23 agosto i Granatieri vanno a riposo prima a Palmanova e poi a Cividale. E proprio da Cividale, Giovanni scrive alla madre il 18 ottobre chiedendo l'invio di un "asciugatoio quatro eravate ed un paio di guanti possibilmente di lana" e annunciando l'imminente inizio di una offensiva che definisce come "una azione decisiva se partecipiamo noi ancora non si sa niente ma si spera di no forse dopo andremo a mantenere la posizione". Lo stesso giorno in cui Giovanni scrive, hanno inizio le operazioni della III battaglia dell'Isonzo, che si svilupperanno fino al 4 novembre. I granatieri vengono assegnati alla 4a divisione ed inviati a Podsenica contro le posizioni nemiche del Sabotino, subendo in quei giorni la perdita di 32 ufficiali e 1.010 uomini di truppa.
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La guerra vuole anche Gino Quel mese di novembre reca alla famiglia Trivelli una novità importante ed inattesa. Gino, il fratello più giovane che ha assunto la gestione dell'osteria, viene richiamato alle armi. Dal ruolo matricolare risulta che, già riformato alla visita di leva, viene sottoposto a nuova visita il 15 settembre del 1915, dichiarato abile ed il 24 novembre è richiamato alle armi, per essere assegnato, il 5 dicembre, alla 5a compagnia di sussistenza. Quella di Gino non sarà una guerra sulle linee di combattimento. Già riformato, probabilmente non è "abile alle fatiche di guerra", cioè non è idoneo all'impiego in prima linea e quindi viene assegnato ad una compagnia di sussistenza, nell'ambito della grande organizzazione delle retrovie che deve garantire all'esercito combattente ogni fornitura, dalle munizioni alle divise, dal cibo agli attrezzi da lavoro. Dei tre fratelli Gino è quello che mantiene il rapporto epistolare più stretto con la famiglia, di certo con la madre e con la sorella Rachele, probabilmente anche con Pietro e Giovanni. Nell'archivio riscoperto le sue lettere scritte durante il servizio militare sono numerose e ci offrono la possibilità di esplorare altre particolarità della grande macchina organizzata per la guerra. Già il 9 dicembre scrive alla madre da Mozzecane, a 15 chilometri da Verona, dove dice di trovarsi per l'istruzione di un mese e mezzo. Pochi giorni dopo (17 dicembre, data del timbro postale) riferisce di essersi ammalato di raffreddore e tosse e di essere stato destinato sarto della compagnia. Ed in effetti dal ruolo matricolare di Gino risulta che alla leva aveva dichiarato di essere di professione sarto. Ma nonostante quell'incarico, il 1 7 febbraio, da Verona, si lamenta ancora che il suo lavoro continua a essere quello di facchinaggio, con poca paga e poca soddisfazione:
"Si diceva che il giorno dieci si cominciava ogni uno il suo lavoro invece non e statto vero; si continua ancora lavoro generale che sarebbe fac219
chinaggio in questi sconfinati magazzini; non è distinzione per nessuno, i buoni posti sono tutti occupati dagli anziani, e quindi a noi coscritti ci tocca i lavori materiali, e percio ci vuole pazienza e buona volonta." Il successivo 25 marzo scrive alla sorella Rachele, che evidentemente ha assunto la gestione dell'osteria in paese, facendo prima di tutto un riferimento al fratello Giovanni, dal quale ha appreso che ha dovuto rientrare in compagnia (quindi abbandonare quell'incarico di conducente di muli di cui era così contento) ma poi diffondendosi in una serie di puntuali raccomandazioni per la buona gestione dell'attività commerciale, che ci confermano quelle doti che anche Pietro riconosceva al fratello più piccolo:
"Guarda che la roba porcina non ti prenda da ranzego, in cantina il ardo non tenerlo nella troppa umidità, perché si scola. Il vino a momenti sarà ora di cambiarlo di botte, guarda di meterlo in recipienti piccolo da lt 3 circa poiche altrimenti col poco consumo che ai, col caldo si svapora e va in aceto. Qui il vino piu scarto che e come lacqua, lovendono a L.1,00 al litro: sotto la spina tieni il doppio litro! Le bottiglie le venderai in conformita del vino di botte. Il vermut e la marsala, cambia bichierini adopera quelli che sono nella vetrina in casa vecchia. Se vedesti qui i bichierini da marsala e da vermut costano cent. 15 e 20 e sono microscopici." Poi, da una lettera scritta ancora a Verona, il 25 novembre 1916 apprendiamo che nel frattempo il fratello Giovanni è morto e Pietro è stato destinato all'l 1° reggimento artiglieria in Alessandria.
La morte di Giovanni Giovanni Trivelli, da quanto riportato nel ruolo matricolare, risulta "morto nell'Ambulanza chirurgica dell'Armata n. IV perché riportata per fatto di guerra come da atto di morte iscritto al n. 60 pag. 62 del re-
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gistro degli atti di morte dell'Ambulanza chirurgica d'Armata", in data 11 settembre1916. Il Monumento ai Caduti di Tramonti di Sopra riporta invece come data di morte del caporal maggiore Trivelli il 14 settembre, a Gradisca. Data che coincide con quella indicata dall'Albo d'Oro che però qualifica il Trivelli come "soldato 1° reggimento artiglieria da campagna" e riporta l'indicazione "morto il 14 settembre 1916 sul medio Isonzo". Lo stesso ruolo matricolare indica l'assegnazione di Giovanni, dal 16 maggio 1915, al 3° reggimento genio. In realtà abbiamo ragione di credere che si tratti in entrambi i casi di errate ed incoerenti indicazioni, poiché riteniamo che Giovanni Trivelli sia rimasto fino alla morte inquadrato nei granatieri. Ed i riassunti storici della brigata granatieri di Sardegna offrono una conferma indiretta della data di morte, corrispondente all'inizio della VII battaglia dell'Isonzo, che si sviluppa fra il 14 ed il 18 settembre. La brigata in quei giorni opera con la 2Y divisione e fin dal 25 agosto è schierata nel settore di S. Grado di Merna - bosco pendici del Veliki. All'inizio della settima battaglia raggiunge di slancio la strada S. GradoLokvica: in quei cinque giorni la brigata lascia sul campo 1.674 uomini, dei quali 508 fra morti e dispersi. Fra loro il nostro Giovanni, che dall'Albo d'Oro scopriamo anche essere stato decorato di Medaglia di Bronzo al Valore Militare. Una medaglia che scopriamo conferita per un atto di eroismo precedente, sul monte San Michele, ben sintetizzato dalla motivazione della decorazione: "Dando fulgido esempio di spirito di sacrificio e di alto sentimento del dovere, traeva in salvo, sotto intensissimo fuoco di artiglieria nemica, il suo ufficiale, ferito gravemente: indi ritornava al suo posto, continuando il suo servizio - Monte San Michele, 5 giugno 1916". L'appartenenza ai granatieri anche alla data della decorazione, costituisce conferma alla nostra ipotesi. Quindi, alla fine del 1916, mentre Giovanni è caduto eroicamente sull'Isonzo, Pietro è stato trasferito ad Alessandria, lontano dal fronte, mentre Gino, che nel frattempo aveva annunciato che erano arrivati 100.000 metri di tela da camicie il cui taglio era affidato a lui e ad un compagno, continua il proprio servizio nei magazzini di Verona. Il vitto è scarso ("alla mattina 5 castagne
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e mezzodì e sera 3 subiotti in fondo un secchio d'acqua - idem tutti i giorni", scrive il 25 febbraio 191 7) e il rischio di essere trasferiti a servizi in zona di guerra è incombente. Con il trascorrere dei mesi arriviamo ai giorni di Caporetto.
I giorni di Caporetto Pietro, nel suo piccolo diario scritto nel 1969, ci racconta di quei momenti straordinari dell'autunno 1917. Se Gino riferiva che Pieretto era stato trasferito ad Alessandria, dal piccolo diario scopriamo che il fratello artigliere era stato assegnato al seguito di un colonnello piemontese "molto anziano" e dal 10 dicembre 1916 era stato trasferito prima a Conegliano e poi ad Alessandria, alla 78a batteria pesante campale con cannoni da 149 prolungati, passando quindi a Marengo Spinetta ed infine a Navi Ligure per istruzione su quei pezzi. Nei giorni precedenti lo sfondamento di Caporetto, Pietro si ammala di forte febbre e, dopo alcuni giorni di infermeria, viene inviato per dieci giorni in licenza a Tramonti. Partito da Navi Ligure giunge a Casarsa quanto la ritirata è già in corso, vede i treni carichi di truppe e materiali in ripiegamento ma continua la sua strada raggiungendo Tramonti. Il racconto del rientro a Tramonti e dei fatti accaduti nei giorni successivi non ha bisogno di alcun commento:
"un poco a piedi e con mezzi di fortuna arrivai a casa. La strada del monte Rest non era ancora finita così le truppe a piedi ripiegavano verso la pianura, c'era uno scompiglio che non si capiva più niente chi diceva che il fronte sarebbe rimasto sul Tagliamento chi diceva che il fronte sarebbe spostato fino al Piave, insomma una confusione enorme. Io ero indeciso se ripartire subito o fermarmi, avevo strapazzato durante il viaggio di arrivo e mi era tornata un po' di febbre così decisi fermarmi anche perché molti dicevano che la guerra era ormai finita e che sarebbe presto sistemata la pace, i nostri alpini che venivano giù disordinati stanchi dalla trincea senza armi tutti gridavano e finita la guerra. Invece non fu così un pochi 222
di giorni calma con poche truppe in paese pareva quasi fosse tutto finito, invece dopo qualche giorno si incomincio sentire le prime schiopettate vicino il paese. I tedeschi scalarono la forcella del Rest durante la notte e si trincerarono lungo le rive di Zomcleva alla fous e al mattino incominciarono una forte sparatoria contro i nostri fanti che a poco a poco i nostri dovettero ripiegare verso Meduno e molti specialmente quelli che venivano dalla valle darzino dovettero ritirarsi scavalcando Pria poi a Frasaneit Selis e Claut. Io il giorno prima che già i Tedeschi erano a Meduno benchè non mi sentivo ancora bene pensai partire e atraversare Selis la caserata e andare a raggiungere Claut. Partii vestito come ero venuto in licenza vestito da militare ma mi portai i vestiti da borghese con me, quando giunsi a Frasaneit trovai soldati nostri alpini e borghesi del luogo e mi consigliarono a non proseguire ma fermarmi tanto non lavrei fatta fino a Claut cosi tutti insieme con a capo il vecchio Facchin Giuseppe (Rasar) andare nel suo logo detto la Fratta sopra Frasanei e li ci fermammo tre giorni finche il grosso delle truppe tedesche furono partiti da Frasaneit, allora mi vestii con i panni borghesi e ritornai a casa, a casa trovai nel Albergo pieno di Germanici e nella casa mia avevano formato !ospedale e nel cortile c'erano ancora sei morti coperti con una mantellina che poi al domani li portarono al cimitero assieme a tanti altri morti in diversi punti del paese. Nessuno mi chiese mai documenti finchè rimasero il comando Germanico, quando poi mandarono a presidiare i austriaci mandarono un ordine che tutti i prigionieri italiani dovevano presentarsi a Travesio per essere poi inviati in Austria a Matauzin (Mauthausen nda) , molti di noi ci eclisanno e per tutto il periodo del invasione fummo costretti chi lontano per le montagne chi nei rifugi sacrificarsi alla fame al freddo e provare un po di tutto fino al giorno in cui fu firmato l'armistizio". Pietro, sorpreso a Tramonti dall'invasione, vi rimane per tutto l'anno, certo nascondendosi ma dando sicuramente una mano anche alla gestione delle attività di famiglia alle quali erano rimaste addette solo la mamma e la sorella Rachele. Da quel momento, per l'esercito Pietro è qualificato come disertore, in quanto non è rientrato al corpo dopo la licenza. Ed in effetti, sul suo ruolo matricolare si trova riportata
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in data 10 novembre 1917 l'annotazione "dichiarato disertore per non essere rientrato al corpo al scadere di una breve licenza" ed il 1 7 dello stesso mese la denuncia al Tribunale militare di Alessandria.
La morte di Gino Gino invece, a Verona, con l'invasione si trova separato dalla famiglia, con la quale si interrompe lo scambio epistolare. Le poche comunicazioni fra Gino e la famiglia rimasta a Tramonti avvengono in quell'anno attraverso il servizio della corrispondenza dei prigionieri di guerra della Croce Rossa. Una sola di queste cartoline è conservata nel nostro archivio e risale al maggio 1918. Gino ha ricevuto notizie da Tramonti e attraverso la Croce Rossa risponde in data 14 maggio con le poche parole consentite: "Carissima mamma noi pure in salute; ed in festa per le tue notizie. Vita vecchia, e sempre desiderosi di leggerti. Saluti figlio Gino Trivelli". Poche parole che, per arrivare a Tramonti attraverso l'ufficio informazioni della Croce Rossa di Udine, impiegheranno fino al successivo 6 agosto, quasi tre mesi, giungendo così trascritte: "Contento delle vostre notizie. Noi tutti bene. Scrivete. Saluti Trivelli Gino". Proprio nei giorni in cui scrive quella cartolina verso le terre invase e come risulta dal suo ruolo matricolare, Gino viene riformato in seguito a rassegna su determinazione dell'Ospedale militare di Verona per "Broncopolmonite interstiziale dell'apice polmonare sinistro" e congedato. Non sappiamo con certezza dove si stabilisca dopo quel congedo anche se dai documenti conservati parrebbe potersi ipotizzare che sia stato ospite presso la famiglia del fratello Carlo, nel frattempo trasferitasi a Bologna, da dove la cognata Paola scrive a Gino in data 14 maggio una lettera dalla quale pare di capire che nel frattempo anche il fratello più anziano è stato richiamato. I mesi trascorrono e la malattia di Gino si aggrava, fino alla sua prematura morte in data 25 ottobre 1918, come riportato dal Monumento ai Caduti di Tramonti di Sopra, morte collocata a Verona, il che smentirebbe l'ipotesi della permanenza del giovane presso la famiglia del fratello Carlo.
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Il prezzo di quella guerra per la famiglia Trivelli è salito ancora, dopo la morte di Giovanni anche Gino, che pure non aveva visto gli orrori del campo di battaglia, muore all'età di 2 7 anni.
È rimasto solo Pietro Sono i giorni che precedono la battaglia di Vittorio Veneto e la fine della guerra, anche per i molti che, come Pietro Trivelli, sono rimasti dietro le linee nemiche pur senza cadere prigionieri. Alla fine della guerra a Tramonti non si sa ancora che anche Gino è morto. Pietro, nel suo "piccolo diario" così racconta la fine della guerra e le successive peripezie fino al congedo:
"Immaginate appena saputo che la guerra era finita tutti i prigionieri uscirono e tutti nella piazza cantammo tutte le canzoni di guerra, eravamo allegri anche perché avevamo un po bevuto che qualcquno ci aveva dato da bere del vino che avevano nascosto. Si stette circa un mese a casa poi venne l'ordine di presentarci al concentramento a Scorzè Treviso, eravamo ottomila imaginate che confusione. Nelle campagne non si trovava più una panocchia si mangiava il grano crudo da tanta fame. Si stette li una quindicina di giorni e poi ci mandarono a Castelfranco (Emilia). A Castelfranco si stette poco, ci separarono e ci mandarono un pochi per paese nei paesi vicini, così io e Luigi del Gobo ci mandarono a Camposanto, era verso le feste Natalizie e già freddo ci asegnarono il dormitorio nella sofitta delle scuole, un po di paglia e senza coperte, imaginarsi come si stava freschi. Fortunatamente trovammo da dormire in una contadinanza del paese che alla sera nella stalla lungo il corridoio delle mucche quelle buone donne ci mettevano un po di paglia di modo che potessimo riposare meglio, alla sera molte donne e ragazze si riunivano in stalla e lavoravano di treccia di paglia per capelli. Io e mio cugino Gigi eravamo carichi di pidocchi e con il calduccio della stalla ci rosichiavano ancora meglio, li dentro alla stalla non ci si poteva gratarsi perche ci avrebbero mandati fuori, allo225
ra ogni momento si andava fuori e li c'erano le colonne in mattoni ci si dava una grattata alla schiena e poi si tornava dentro. Io ero ridotto tutta una piaga e difatti quando arivai al Regg.to ad Alessandria il capitano medico mi mando subito all'ospedale, ci stetti sei giorni poi ritornai al Regg.to li ci stetti pochi giorni poi mi mandarono a Navi Ligure e al 25 di marzo mi congedarono." In realtà i documenti attestano che Pietro partì da Navi Ligure il 7 marzo, giungendo a Meduno tre giorni dopo: ma dell'accusa di diserzione, che cosa ne fu? Ovviamente venne tutto lasciato cadere: con nota di data 23 ottobre 1917 Pietro è qualificato come "Prigioniero di guerra nel fatto d'armi del 23 ottobre 1917", rientrato il 2 novembre 1918 attraverso il concentramento di Modena, tornato al corpo il 14 dicembre. Il 6 maggio 1919 il Tribunale di guerra di Alessandria dichiara il "non luogo a procedimento". Tre piccole storie che riemergono da documenti preziosi. Tre piccole storie attraverso le quali abbiamo incrociato la storia della Grande guerra, dai giorni dell'estate del 1914 nei nostri paesi, alle prime settimane davanti all'insuperabile baluardo del Podgora, alla durezza delle trincee sopra Monfalcone, agli sconfinati magazzini di Verona, ai giorni di Caporetto. Pietro, sopravvissuto all'inutile strage, avrà una vita lunga, fino al 31 agosto 197 4, quasi novant'anni lungo i quali non dimenticherà quei giorni ed anzi, nel 1969, si preoccuperà di lasciarne memoria ai giovani. La più grande amarezza gli rimase per la sorte di Gino. Di quella amarezza abbiamo prova in una nota scritta di pugno da Pieretto: "Nel 1916 il suddetto Trivelli Gino richiamato alle armi, abile e prestò servizio a Verona fino all'autunno 1918 in quel tempo trovandosi solo perché la famiglia era invasa accettò il congedo perché dissero che era ammalato, era una cosa giusta mandarlo a casa ammalato? Per chi si era ammalato? Se lo avessero curato certamente non sarebbe morto subito dopo congedato ... ". Domande destinate, come molte altre, a rimanere senza risposta, oggi come cento anni fa.
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Il ruolo matricolare di Pietro Trivelli.
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Cento anni fa ... a Pradis la Prima guerra mondiale Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio (IC Travesio) - Laboratorio "Vuardinsi ator"
Giovedì 30 aprile 2015 tutti noi ragazzi che seguiamo l'attività "Vuardinsi ator" abbiamo percorso a piedi il sentiero storico della Battaglia di Pradis, da Pielungo a Pradis di Sopra, per scoprire alcuni aspetti della sanguinosa battaglia combattuta da soldati Italiani, Austriaci e Tedeschi, dopo lo sfondamento del fronte italiano nel 1917 a Caporetto.
Qui siamo nella piazza antistante la Chiesa di Pielungo, luogo dove sono iniziati i primi cannoneggiamenti sulle nostre truppe in ritirata.
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Logicamente scortati dalle nostre insegnanti, professoresse Bozzer e Quaglia, siamo partiti a piedi da Pielungo, paese che si trova in Val d'Arzino, e sotto l'attenta e scrupolosa guida del signor Giuliano Cescutti abbiamo percorso il sentiero che da Pielungo arriva a Pradis di Sopra. Il sentiero inizia di fronte la Chiesa di Pielungo e c'è subito una salita un po' faticosa da affrontare. Lungo il sentiero il signor Cescutti, ex sindaco di Clauzetto, ha fatto ripercorrere a tutti i ragazzi i tragici eventi vissuti in prima persona dai nostri soldati della 36a e 6Y Armata in ritirata e si è soffermato nei luoghi più tragici, dove sono avvenuti gli scontri tra Italiani e Austro-Tedeschi, spiegandoci in modo chiaro e coinvolgente i fatti veri.
Chi vuole può percorrere la stradina a piedi da solo e trovare dei cartelloni con tutte le spiega, zioni sulla Battaglia di Pradis.
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Questi militari in ritirata erano guidati dal Generale Rocca, il quale, a sua volta, doveva eseguire gli ordini del Comandante Cadorna. Dopo lo sfondamento di Caporetto, il Comandante Cadorna aveva obbligato 5.000 uomini a resistere sul Monte di Ragogna a 25.000 nemici. Una parte delle truppe che si trovavano sul fronte montano della Carnia nel frattempo poteva ritirarsi e raggiungere gli altri italiani sul Piave. Per raggiungere il Piave due battaglioni avevano ricevuto l'ordine di tagliare per la Val d'Arzino, percorrere la nuovissima strada della Val da Ras che permetteva di raggiungere poi la pianura, scendendo per Clauzetto e Travesio. L'esercito italiano purtroppo, presumibilmente per una spiata, si è trovato di fronte l'esercito austro-germanico e ha combattuto in modo eroico.
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Di questa battaglia non si conosceva molto ma grazie alla nostra guida, che molto scrupolosamente ha cercato i documenti e ha parlato con parecchi testimoni negli anni passati, rimarrà una traccia certa. Noi siamo entrati nel vivo della Prima guerra mondiale e ci siamo sentiti quasi parte attiva. I giovani militari, sfiniti da anni di guerra e quasi allo sbando dopo la ritirata di Caporetto, il 4 novembre 1917 si trovavano a Pielungo, sotto il fuoco nemico. Gli ordini arrivati erano poco chiari (prima dovevano partire subito, poi stare fermi) ed infine non arrivarono più perché le comunicazioni erano state interrotte. Su disposizione del Generale Rocca i soldati iniziarono a percorrere la strada che porta a Forno e trovarono i nemici. Gli scontri furono terribili, anche se si concentrarono tra il 5 e il 6 novembre del 1917.
In questa lapide si ricorda il primo caduto durante i terribili scontri del 5 e 6 novembre 1917.
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Il Generale Rocca si fermò a dormire in questa casa di Forno ma i nemici, forse a conoscenza del fatto, bombardarono l'edificio e tuttora si possono vedere i colpi sparati dall'artiglieria nemica da una pendice del Monte Pala.
Immagine della casa bombardata dai nemici a Forno.
In queste due foto si possono vedere, a sinistra, la parte della casa dove dormiva il Generale Rocca e a destra il luogo da dove spararono i nemici.
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A Forno i Tedeschi avevano costruito un primo cimitero dove raccogliere i corpi dei loro soldati Caduti in battaglia. Ora rimane solo il recinto e una piccola lapide. I nostri militari a Forno ricevettero l'ordine di inseguire il nemico e continuare a combattere senza fermarsi nemmeno alcune ore per riposare. Dovevano raggiungere Pradis di Sopra a tutti i costi. La situazione per i nostri diventava sempre più difficile, man mano che il tempo passava le forze fisiche e mentali tendevano a calare e gli scontri si facevano sempre più violenti.
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Lungo il percorso i militi italiani trovarono anche un ponte fatto saltare dai nostri involontariamente, per cui dovettero fare un giro più lungo per risalire la valle e raggiungere il punto stabilito dal Generale Rocca.
Da questa casa, ormai ridotta a rudere, sparavano i cecchini austriaci contro i nostri che tenta, vano di risalire la valle.
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Man mano che si saliva il percorso diventava sempre più impervio e molti di noi si chiedevano come i soldati italiani erano riusciti a farlo, stanchi e con tutto l'equipaggiamento militare sulla schiena.
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Ultime ore di quella terribile carneficina Superato il Cuel d'Orton, dove i nostri soldati hanno combattuto la notte del 6 novembre 191 7, siamo giunti al Cimitero di guerra di Val da Ras. Dato il gran numero di Caduti in questo luogo, la popolazione ha realizzato un cimitero in loco. In questo Cimitero militare di Val da Ras la gente del posto, all'indomani della battaglia (avvenuta il 5 e 6 novembre 1917), ha sepolto i Caduti italiani ed austroungarici. Terminata la guerra, i piccoli cimiteri sparsi nella zona (Pielungo e Forno) sono stati dismessi e tutte le salme sono state portate nel Cimitero di Pradis, che è stato inaugurato nuovamente nel 1920. Negli anni Trenta, con la costruzione dei grandi sacrari militari voluti dal regime fascista, i resti dei soldati italiani sono stati sistemati in altri luoghi. Le salme dei soldati tedeschi sono state collocate nell'Ossario presente sul Passo Pordoi, quelli degli Italiani si trovano nell'Ossario di Udine.
Rimangono oggi gran parte delle lapidi originali italiane, alcune tombe tedesche (segnalate dalla croce in pietra) e il monumento centrale (a forma piramidale con diverse lapidi commemorative).
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Sul Sentiero della Battaglia di Pradis Scuola Secondaria di primo grado di Vivaro (IC Maniago) - Classe III
Sabato 11 aprile 2015 noi della classe terza siamo usciti in gita con il nostro professore di storia Martino Flamia per visitare i luoghi e i sentieri della Prima guerra mondiale vicini ai nostri comuni. Siamo partiti alle ore 8 da Tesis e siamo andati al piccolo paese di montagna di Pie lungo. Per strada ci siamo fermati per vedere una lapide sulla quale era inciso il nome di un personaggio politico del Trentino che ha lottato perché la sua regione entrasse a fare parte dell'Italia ed è stato giustiziato dagli austriaci per tradimento. A Pielungo la guida ci ha illustrato, leggendo una pagina di diario di un superstite, cosa successe in quel luogo nell'ottobre-novembre del 1917: i soldati dell'esercito italiano che controllavano il territorio vivevano con la costante angoscia di essere attaccati dal nemico, che poteva arrivare in qualsiasi momento, da qualsiasi parte. Terminata la visita a Pielungo, ci siamo avviati a piedi su un sentiero di circa 3 km che i soldati italiani percorsero durante la ritirata di Caporetto con le loro attrezzature e armamenti. Il sentiero termina in un borgo chiamato Forno. Questo borgo è famoso perché vi ebbe luogo il combattimento con il maggior numero di perdite dell'esercito austro-tedesco. Lì, infatti, è stato costruito un piccolo cimitero per i soldati austro-tedeschi. Abbiamo inoltre osservato in quel luogo il muro esterno di una casa dove sono ancora visibili fori di proiettili. La visita è terminata al Cimitero dei soldati italiani a Pradis di Sopra. Il cimitero è piccolo; non ci sono corpi sepolti al suo interno, ma croci e lapidi con i nomi dei Caduti. Questa visita è stata utile per due motivi, secondo me: innanzitutto abbiamo potuto constatare con mano quanta strada dovettero fare i soldati con addosso arma-
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menti che arrivavano a pesi strazianti per il fisico. Inoltre, vedendo dal vivo i luoghi della ritirata, abbiamo potuto capire che gli italiani erano costantemente in pericolo perché potevano essere colti di sorpresa dal nemico in molti punti del percorso.
Matteo Schinella
L'l 1 aprile 2015 noi della classe III media di Vivaro siamo andati a Pradis sui luoghi della battaglia del Tagliamento svoltasi durante la Prima guerra mondiale. Siamo partiti in corriera da Tesis e siamo arrivati a Pielungo attraversando Arba, Colle, il torrente Meduna, Sequals, Valeriano, Pinzano al Tagliamento, il fiume Arzino, Casiacco e Anduins. Prima di arrivare a Pielungo, Giuliano Cescutti (la nostra guida) ci ha fatto vedere il punto dove Marcello Bernardi, scoperto e raggiunto da soldati austriaci, fu giustiziato per tradimento: egli era un suddito austriaco, essendo del Trentino, che era allora uno dei territori irredenti sotto dominio austriaco, e con altri suoi compagni si era arruolato nell'esercito italiano. Poi abbiamo raggiunto con la corriera una piazza da dove si può vedere la zona di alcune battaglie di poco posteriori al famigerato 24 ottobre 1917. In quel giorno alle ore 2 del mattino inizia un massiccio bombardamento austro-tedesco nella zona di Caporetto, prima con i gas contro le postazioni d'artiglieria italiane, poi con esplosivo ad alto potenziale sulle prime linee: quest'ultimo dura meno di due ore, ma è violentissimo e oltre a devastare le trincee italiane, distrugge le linee di comunicazione con i comandi. È l'inizio della XII battaglia dell'Isonzo, o battaglia di Caporetto. Alle 7 l'esercito austro-tedesco sfonda da Plezzo a Tolmino. Nel primo giorno della battaglia gli italiani hanno perso 40.000 uomini, di cui 35.000 catturati dal nemico. Nella notte, resosi conto della catastrofe incombente, Cadorna ordina di preparare la difesa lungo il Tagliamento. È poco oltre questa linea di difesa che si sono svolti i fatti di cui abbiamo visto i luoghi di battaglia: abbiamo percorso il sentiero che tra
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il 5 e il 6 novembre i soldati italiani in ritirata percorsero da Pielungo, attraverso Forno e il Cuel d'Orton, fino a Pradis. A Forno abbiamo visto una casa che aveva i segni dei proiettili dei tedeschi: i tedeschi attaccarono anche le case dei civili? No, probabilmente in quella casa dormiva, la notte di quegli spari, un generale italiano. Lungo il sentiero abbiamo visto due cappellette e un ruscello, mentre la nostra ultima tappa è stato il cimitero militare, dove furono raccolti nell'estate del 1920 i corpi dei Caduti italiani e austro-tedeschi, sepolti precedentemente in vari recinti dispersi sul terreno degli scontri. Secondo me la Prima guerra mondiale è stato uno snodo fondamentale nella vita di milioni di uomini: la guerra, allora, si presentò alla loro attenzione con tutta la sua terribile forza distruttiva. L'enorme quantità di morti e di distruzioni (materiali e mentali) che la società europea conobbe allora non si era mai vista. Solo con la Grande guerra si poté vedere l'effetto delle innovazioni scientifiche applicate alla distruzione di massa.
Swati Rani
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L'll aprile 2015 io e la mia classe terza ci siamo recati a Pielungo, che dista circa 5 km da Pradis di Sopra, per effettuare un'uscita didattica, accompagnati dal nostro professore di storia e geografia. La gita è stata organizzata al fine di farci conoscere meglio la Prima guerra mondiale e i luoghi che la riguardano. I paesi che abbiamo attraversato con la corriera, partendo dalla scuola media di Tesis, sono stati Arba, Colle, Sequals dopo aver attraversato il torrente Meduna, Ampiano, Valeriano, Pinzano al Tagliamento (a scuola abbiamo studiato il ponte che è stato fatto brillare dagli italiani, con il sacrificio dei 3.500 uomini della brigata Bologna, che sono stati lasciati al di là del ponte per combattere con gli austriaci). Dopo quest'ultimo paese siamo passati per Pontaiba, dove è situato un altro ponte della guerra del '15-18. Abbiamo attraversato il fiume Arzino, il paesino di Casiacco, Anduins, e in seguito una galleria costruita all'interno del monte Pala. A pochi chilometri da Pielungo ci siamo fermati, e con la guida siamo scesi dalla corriera per recarci poco distante. Ci è stato mostrato il luogo dove è morto il soldato trentino Marcello Bemardi, che si era arruolato con l'esercito italiano, tradendo l'Austria. Abbiamo dunque ripreso la corriera e, arrivati a destinazione, siamo scesi davanti alla chiesetta di Pie lungo, non lontano dal castello Ceconi, fortificazione italiana e punto di raccolta dei messaggi militari. Sul posto la guida ci ha fatto un ripasso riguardante l'anno in cui l'Italia era entrata in guerra, i luoghi delle undici battaglie sull'Isonzo, la ritirata di Caporetto e le battaglie sui ponti del Tagliamento, ed infine la data di termine della guerra, cioè il 4 novembre 1918. Alle spalle della chiesetta vi sono le alte collinette che circa 20.000 soldati italiani attraversarono durante la ritirata di Caporetto con carri, cannoni, armi e provviste. Inoltre è stato detto che c'erano due zone: una di battaglia e una di operazione; nell'ottobre del 1917 il territorio dove ci trovavamo da zona di retrovia diventò campo di guerra. Ci è stato detto che ci sono state due direttrici di ritirata italiane, determinate dalle rispettive avanzate austriache. Noi ne abbiamo percorsa una: quella che, partendo da Pielungo, dove la corriera ci aveva lasciato, arriva a Pradis di Sopra. Abbiamo
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cominciato in salita e qualcuno di noi faceva veramente fatica. Durante il percorso la guida ci ha illustrato i vari punti dove è stata combattuta la Battaglia di Pradis, un Cimitero austroungarico e una casa sulla cui facciata erano ancora incisi i buchi degli spari, arrivati dalla collina opposta alla casa. Poi ci è anche stato spiegato che, in alcuni punti che abbiamo percorso, gli italiani erano totalmente circondati dai nemici, e per questo alcune volte disertarono. Alla fine a Pradis abbiamo visitato un piccolo cimitero dei soldati morti in questi luoghi durante la Prima guerra mondiale. Siamo ritornati a scuola alle 13, molto soddisfatti dell'uscita. L'escursione che abbiamo fatto è stata molto bella e interessante: la guida era preparata e ha spiegato molto bene, abbiamo imparato cose nuove e il lavoro svolto in classe ci è stato molto utile.
Eleonora Pasqualini
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Il Sentiero della Battaglia di Pradis Un'esperienza di valorizzazione attraverso luoghi, storie, testimoni. .. Giuliano Cescutti
Era il 13 agosto 2006, domenica, quando fu ufficialmente inaugurato il Sentiero della Battaglia di Pradis: i luoghi interessati nel novembre 1917 da combattimenti poco noti e la cui unica evidenza conosciuta rimaneva il solo cimitero di guerra di Pradis, offrivano finalmente la possibilità di un percorso tematico alla riscoperta di una pagina di storia della Grande guerra. L'obiettivo era stato raggiunto anche grazie ad un contributo europeo nell'ambito del Docup Obiettivo 2 2000-2006, motivo questo di ulteriore soddisfazione poiché la validità del progetto di Pradis veniva riconosciuta al pari di altri che riguardavano zone coinvolte dalla guerra per ben due anni e mezzo, prima di Caporetto.
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Nel pomeriggio di quella ormai lontana domenica, alla prima visita guidata lungo il sentiero parteciparono ben 105 persone, fra le quali molti bambini e ragazzi, segnale particolarmente incoraggiante. Durante la visita, percorrendo i luoghi che furono teatro della battaglia, s'incontrano lungo il sentiero le otto tabelle tematiche che consentono una comprensione anche ai visitatori non accompagnati, dei fatti avvenuti. Il racconto in quella prima visita si fondava principalmente su quanto già riportato da alcune pubblicazioni e su alcune testimonianze. Fra le pubblicazioni, l'opera di Sebastiano Murari, ufficiale di stato maggiore testimone delle vicende, "Un episodio di guerra nelle Prealpi Carniche", edita da Mondadori nel 1935: seppure dal particolare punto di vista del militare che tace su diversi aspetti e nella retorica del Ventennio, quella ricostruzione degli eventi è di fondamentale importanza. Le testimonianze allora disponibili erano quelle che già avevo potuto raccogliere sul finire dello scorso millennio, da anziani del paese, di età all'epoca comprese fra i 5 e i 15 anni, e che pubblicai nel 1999 nell'opuscolo Val da Ras 1917 -La Battaglia di Pradis.
Cimitero di Forno.
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Poi, a completamento del progetto finanziato dall'Unione Europea, iniziammo il lavoro di realizzazione della pubblicazione prevista. Dall'incontro con Paolo Gaspari, editore e storico da quasi vent'anni votato allo studio e alla ricostruzione della storia della Grande guerra, scoprii l'esistenza di una ulteriore preziosa fonte per la ricostruzione degli avvenimenti. Si trattava delle relazioni, conservate presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito a Roma, compilate da tutti gli ufficiali caduti prigionieri del nemico durante la guerra, al rientro dalla prigionia. Relazioni che gli ufficiali dovevano redigere spiegando le circostanze della loro cattura e dimostrando che la stessa era avvenuta in assenza di ulteriori possibilità di resistenza. La relazione andava presentata ad una "Commissione Interrogatrice dei Prigionieri rimpatriati" che, dalla relazione e dall'interrogatorio dell'ufficiale, doveva riscontrare l'assenza di responsabilità del militare. Poiché il destino di buona parte degli ufficiali sopravvissuti nei combattimenti in Val d'Arzino e Val Cosa fu quello della prigionia, a novant'anni di distanza le loro relazioni sono riemerse dagli archivi militari nei quali erano state dimenticate: costituiscono decine di punti di vista diversi sul campo di battaglia, decine di storie personali che ci vengono rivelate grazie ad una prassi della burocrazia militare che in questo caso dimostra una sua utilità, almeno dal punto di vista della ricerca storica. Grazie a questa originale fonte, ad una capillare esplorazione del territorio, a nuovi testimoni diretti ed indiretti e alla possibilità di risalire alle famiglie di alcuni dei protagonisti di quelle lontane vicende, nel dicembre del 2007 con Paolo Gaspari abbiamo dato alle stampe Generali senza manovra - La Battaglia di Pradis di Clauzetto nel racconto degli ufficiali combattenti. È il frutto di un lavoro di ricerca al quale hanno concorso fonti diverse, un modello che rimane aperto ai contributi di chi, nei tanti nomi citati, potrà riconoscere quello di un proprio antenato, fornirci una foto nuova, una storia, in grado di arricchire la nostra ricostruzione. Una storia che in quasi dieci anni ho potuto proporre a decine di gruppi: adulti, ragazzi, classi scolastiche, turisti, escursionisti. Ultimamente l'itinerario è entrato anche nella proposta turistica regionale le-
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gata alla Grande guerra. Gruppi non omogenei sotto molti profili: è invece l'interesse verso le vicende umane dei combattenti e per quelle riportate dai testimoni locali ad accomunare la gran parte dei visitatori. Se le fasi del racconto relative a movimenti di truppe, ordini, avanzate e ritirate, tendono ad annoiare, l'interesse risulta ben più alto quando si scende al racconto della vicenda del singolo, magari documentata da una foto o da una testimonianza dai contenuti particolarmente toccanti. Il Sentiero della Battaglia di Pradis ci permette di incrociare molte di queste storie e di alcune voglio proporvi qualche spunto, invitandovi a venire a scoprire i luoghi in cui si sono svolte. Prima di iniziare il sentiero, all'incrocio sotto Pielungo, ci viene quasi incontro la vicenda di Marcello Bernardi. Una piccola croce collocata dalla Legione Trentina sulla destra della strada, protetta da due abeti, segna il luogo del sacrificio del giovane mitragliere alpino, caduto in questo punto il 6 novembre 1917. Marcello Bernardi era nato a Trento nel 1897, era suddito austroungarico e quindi arruolato nell'esercito imperiale dal quale disertò passando le linee e consegnandosi agli italiani. Prima prigioniero, ottenne poi di vestire la divisa italiana, come ufficiale, andando ad accrescere la schiera di quegli irredenti, trentini e giuliani, che durante la Grande guerMarcello Bernardi. ra scelsero di stare dalla parte italiana. Grave era il rischio che si assumevano: se fossero caduti prigionieri e riconosciuti, il loro destino di traditori della monarchia asburgica sarebbe stato inevitabilmente quello della condanna a morte. Per prevenire almeno in parte il rischio di essere riconosciuti assumevano dei "nomi di guerra" con i quali erano arruolati nel Regio Esercito. Quello di Marcello Bernardi era Bruno Montanera. Dall'iscrizione sulla croce e dalla storia ufficiale il Bernardi sarebbe caduto eroicamente in combatti-
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mento. Da una testimonianza raccolta sul posto, tramandata da allora, pare invece che il nostro giovane mitragliere sia stato catturato, riconosciuto e fucilato sul posto dagli austroungarici in discesa da San Francesco: un destino che lo accomuna a quello del ben più noto Cesare Battisti! Il sentiero prende inizio dalla piazza di Pielungo che, dal cippo in memoria di Marcello Bernardi, si raggiunge percorrendo pochi tornanti. Qui, inquadrando la vicenda delle divisioni della Carnia nel disastro di Caporetto e raccontando dello scontro di Pielungo del 5 novembre 191 7, incontriamo la storia di un alpino delle nostre valli. Una storia emersa dalle relazioni degli ufficiali combattenti e dai documenti conservati dai discendenti di Vittorio Cozzi, nato a Castelnovo del Friuli nel 1887, sergente maggiore della 154a compagnia del battaglione Monte Canin. La famiglia aveva sempre creduto che Vittorio fosse morto sul Cuel d'Orton, ma i documenti rinvenuti hanno consentito di dimostrare Vittorio Cozzi. che invece è caduto a Pielungo, attaccando con la propria compagnia il versante sotto la chiesa. Non avrebbe più rivisto la sorellina Rina, che a Paludea lo attese fino all'ultimo, prima di prendere la via della fuga oltre il Piave. La ripida salita iniziale conduce alla cappelletta di Sompielungo, in vista di Forno, dove nel pomeriggio del 5 novembre si accese il secondo dei combattimenti di quella giornaGiordano Vidoni. 251
ta. Giordano Vidoni ( 1898-1968), sandanielese aspirante ufficiale della 70a compagnia del battaglione Gemona, si trovava lì: ci sono pervenuti alcuni brani di un suo diario che racconta proprio di quei momenti. Nel racconto dello scontro emerge la figura del sottotenente Giovanni Battista Cravero, collega del Vidoni. Il giovane ufficiale, slanciatosi all'attacco alla testa dei suoi alpini, viene colpito e va a morire, da quanto racconta Vidoni, al riparo della cappelletta di Forno, sulla strada, dove muore pronunciando queste parole: "Muoio, muoio, ma son stato bravo con i miei alpini!". A Forno è collocata una testimonianza molto toccante, che mi fu riportata da un abitante del luogo: è quella riferita a Marin Pasqua, abitante della borgata, detta "la Paschin", che nelle ore del combattimento soccorreva i feriti. Ricordava chiaramente le invocazioni di un ferito tedesco: "Meine Frau, meine Kinder!". Diverse le lingue dei combattenti ma il pensiero correva indifferentemente a mogli e figli che non avrebbero più rivisti. Superato Forno, si prosegue verso il costone di Pradis entrando ben presto su quello che fu il terreno della battaglia. Poco dopo l'inizio della risalita dal fondovalle ci viene incontro la storia di Sisto Frajria. Comandante del 3° battaglione del 49° reggimento fanteria, verso la mezzanotte fra il 5 ed il 6 novembre cade alla testa dei suoi fanti attaccando le posizioni tedesche. Il maggiore Frajria, nato a Pinerolo nel 1888, era già un Sist° Frajria. eroe: si era guadagnato una prima Medaglia d'Argento in Libia nel 1915 ed una seconda sul fronte Isontino nel settembre 1917. A Pinerolo gli è intitolata una piazza, ma risalire alla sua famiglia pareva im-
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possibile, fino a quando, la memoria di una bibliotecaria del comune piemontese, mi fu di insperato aiuto. La famiglia conserva, oltre alla devozione per il proprio antenato, tutta la documentazione della sua carriera militare: le testimonianze contenute nelle relazioni degli ufficiali che gli erano vicini ed un prezioso racconto di un abitante di una vicina borgata, mi hanno permesso addirittura di risalire con precisione al punto in cui Sisto Frajria cadde nella notte di Pradis. E poi su, verso il cimitero di guerra, dove la battaglia fu più cruenta. Nel sacrario, una lapide riporta i nomi di dodici Caduti, con la località di origine: interpellati i sindaci di quei comuni, in soli due casi ottenni indicazioni utili a risalire alle famiglie dei Caduti. Fra queste la famiglia del caporale maggiore Marcello Trivero, fante del 49° reggimento, probabilmente caduto proprio nella zona del cimitero di guerra. Di quel caduto era ancora vivente la figlia Ines, nata nel 1914 (nel 2007 aveva quindi 93 anni. .. ). Dalla sua voce, in stretto dialetto piemontese, potei ascoltare il racconto della storia della mamma che venne a Pradis a cercare i resti del papà: dal parroco le fu solo indicato che era sepolto in una fossa comune con altri quattordici. E queste sono solo alcune delle storie che questo teatro ci offre. Ci mandano chiaro il messaggio che un secolo è trascorso, ma il segno di quella guerra rimane più che mai vivo nelle storie delle nostre famiglie attraverso le vicende personali di milioni di uomini, in larghissima parte ancora da riscoprire. Lungo il Sentiero della Battaglia di Pradis alcune di queste storie già oggi rivivono, e altre se ne aggiungeranno.
Bibliografia
P. GASPARI, Generali senza manovra - La battaglia di Pradis di Clauzetto nel racconto degli ufficiali combattenti, Udine, Gaspari Editore, 2007.
G. CEscuTTI -
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Cento anni fa ... a Travesio la Prima guerra mondiale Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio (IC Travesio) - Laboratorio "Vuardinsi ator"
Toppo: mostra sulla Grande guerra In questa mostra, curata dalla Signora Delia Baselli e da altri esperti di storia locale, molti di noi sono riusciti a scoprire eventi storici che hanno lasciato una traccia sul territorio. Siamo riusciti a capire che gli ordigni bellici inesplosi hanno causato vittime o danni permanenti ai giovani del luogo, anche dopo il Grande conflitto. In tutte le scuole elementari c'erano cartelloni molto grandi per segnalare il pericolo ai giovani studenti.
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Analisi di documenti Abbiamo letto, con un po' di fatica nel decifrare la grafia, alcune lettere scritte da familiari di giovani combattenti o da giovani combattenti. In tutte le lettere scorse si comprendeva la difficile situazione in cui si trovavano a vivere anche le persone che non erano al fronte. Spesso avevano gravissimi problemi di sussistenza perché non erano in grado nemmeno di acquistare il cibo necessario per sfamarsi.
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Reperti storici ritrovati in loco Inaspettatamente abbiamo toccato con mano reperti storici, come questa mantellina militare e il cappello di un alpino. La mantellina, ci ha spiegato il signor Romanzin, era essenziale per proteggere i soldati anche dal freddo. Oltre alla mantellina ci siamo soffermati con la guida per comprendere la funzione di gavette, maschere a gas, elmetti e fucili usati dai militari in guerra. Abbiamo analizzato i pannelli con foto di militari in trincea o nei momenti in cui si spostavano con gli altri commilitoni, documenti e ricostruzioni di momenti particolari attraverso modellini di persone a grandezza normale.
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Immagini di combattenti Tutti noi ci siamo fermati ad analizzare questo ed altri quadri simili che riportavano la foto e il nome dei giovani che avevano combattuto nella guerra 1915-18. Questo tipo di quadro si trovava in ogni paese e spesso veniva posto all'interno delle chiese.
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Travesio per monumenti dedicati alla Grande guerra con la guida del signor Pio Deana Un pomeriggio abbiamo abbandonato le aule scolastiche e siamo andati alla ricerca di manufatti che ricordavano la Prima guerra mondiale. Attraverso il prezioso aiuto del signor Pio Deana abbiamo analizzato prima il monumento dedicato ai Caduti della Grande guerra posto davanti all'ingresso della Chiesa di Travesio. Per ogni caduto ci ha spiegato la storia e il posto dove è stato ucciso. A piedi ci siamo spostati in una piccola piazzetta dove si trova un altro monumento dedicato agli ultimi Caduti. Queste persone sono state uccise da alcuni Tedeschi in ritirata, proprio alla vigilia della fine del conflitto mondiale. In un'uscita precedente eravamo saliti sulla collina del San Giorgio e lungo la stradina avevamo analizzato le stazioni della Via Crucis con le immagini in mosaico dei monti dove sono avvenuti i più sanguinosi conflitti durante la Prima guerra mondiale.
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La storia del grigio--verde in una mantellina Giuliano Cescutti
Dimenticata in una soffitta di Pradis, ritrovata fortunatamente da qualcuno che l'ha voluta conservare, finita fra le mani dei ragazzi che hanno così potuto toccare un oggetto protagonista di quei giorni. Quella mantellina, probabilmente, è stata fedele compagna di un soldato dei nostri paesi il cui nome non ci è noto e quindi ci rimarrà ignota anche la sua storia personale. In quella mantellina però, non c'è solo la vicenda del singolo soldato ma anche quella, non a tutti nota, legata al materiale di cui questa parte di uniforme militare è fatta: quella del panno grigio- verde. Siamo abituati, nella vasta documentazione fotografica che ci è pervenuta, alla vista dei nostri soldati in quelle divise che ci appaiono grigie (e che la nostra mantellina consente invece di apprezzare nella vera tonalità del colore) senza sapere che la loro adozione da parte del Regio Esercito era molto recente e frutto di un percorso insolito. Un percorso che prese avvio dalla constatazione che le nuove armi messe a disposizione dalla tecnologia e dall'industria bellica a partire dalla fine dell'Ottocento, erano in grado di produrre sui campi di battaglia stragi di vite umane infinitamente superiori a quelle fino ad allora conosciute. Le tecniche di combattimento che avevano trovato la loro massima espressione in epoca napoleonica con eserciti che si affrontavano a ranghi serrati su campi di battaglia coperti dal fumo della polvere da sparo e dove l'utilizzo di divise dai colori sgargianti era reso necessario anche dalla necessità di identificazione dei reparti impegnati, non erano più compatibili con l'evoluzione dei tempi. Ed erano ancora i colori delle divise, all'inizio del Ventesimo secolo, a rendere il soldato troppo facilmente identificabile sul campo di
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battaglia di una guerra europea le cui premesse si stavano realizzando nei decenni di pace seguiti al 1870. Certo le divise non erano più quelle napoleoniche, ma presentavano ancora colori che a tutto potevano ritenersi ispirati fuorchè alle esigenze del mimetismo. La divisa del Regio Esercito italiano, agli inizi del nuovo secolo, era ancora contraddistinta dal colore turchino-scuro di tradizione risorgimentale. I massacri della guerra russo-giapponese ( 1904-1905) furono una delle prime conferme degli effetti delle nuove armi: le tragiche notizie provenienti dall'estremo oriente portarono Luigi Brioschi, un civile, a prendere l'iniziativa. Luigi Brioschi, nato a Milano nel 1853, presidente della sezione milanese del Club Alpino Italiano, rientrato da un lungo soggiorno negli Stati Uniti nel 1904, ebbe l'idea di una uniforme meno appariscente che andò a proporre al comandante del battaglione Morbegno del 5° reggimento alpini, allora tenente colonnello Donato Etna. Ottenute le necessarie autorizzazioni e con i fondi messi a disposizione dal Brioschi, nel luglio del 1905 poterono essere realizzate le prime prove. Costruite due sagome di alpini, in grandezza naturale, una dipinta nell'uniforme turchino-scura allora in uso, l'altra nei colori sperimentali, si procedette quindi alle prove di avvistamento e a quelle di tiro. Le sagome grigie si dimostrarono subito meno visibili di quelle turchino-scure, in particolare nel dato oggettivo emergente dalle prove di tiro: a 600 metri la sagoma grigia in piedi veniva colpita 3 volte su 24, mentre quella turchino-scura veniva colpita 24 volte su 24. Grazie alla somma di 500 lire messa ancora a disposizione dal Brioschi, su autorizzazione del Ministero della Guerra, il 24 luglio del 1906 40 alpini della 45a compagnia del battaglione Morbegno vestirono l'uniforme sperimentale di colore grigio-creta, andando a costituire quello che storicamente è ancora ricordato come il "plotone grigio". A conclusione di un iter attraverso sperimentazioni, autorizzazioni e ostilità al cambiamento in nome dei valori della tradizione militare, la nuova divisa grigio-verde fu definitivamente adottata con la circolare n. 458 del 4 dicembre 1908. Destinata a convivere per tutto il 1913
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con l'utilizzo della vecchia divisa turchino-scura. Il 24 maggio del 1915 la divisa in panno grigio-verde è l'unica utilizzata dal Regio Esercito. Nell'ambito dell'uniforme per truppe a piedi, la "mantellina a ruota", in panno pesante grigio-verde, con colletto rovesciato guarnito di una sola stelletta e provvista di una linguetta con bottoni, costituiva il "soprabito" del militare. Dettagli del corredo del soldato della Grande guerra che, oltre ad essere sfamato e dotato di armi e munizioni, doveva essere anche vestito in modo idoneo a sopportare le difficili condizioni di vita che andavano dalle trincee del Carso fino alle più alte cime alpine. Lo sforzo richiesto per la vestizione dell'esercito non fu secondario in quantità richieste e costi sostenuti, che vi proponiamo, anche a titolo di curiosità, per alcune forniture: - panno grigio-verde metri 117.415.000 per l'importo di Lire 1.511.120.000 - flanella metri 40.086.000 per l'importo di Lire 179.316.000 - fustagno metri 6.624.000 per l'importo di Lire 16.909.000 - tela di cotone metri 523.871.000 per l'importo di Lire 966.757.000 - calzature n. 41.409.000 per l'importo di Lire 955.331.000 - coperte da campo n. 21.842.000 per l'importo di Lire 351.872.000 - farsetti a maglia n. 18.432.000 per l'importo di Lire 119.276.000 - cappotti (di panno, di panno con pelliccia, di tela con pelliccia, impermeabili con pelliccia) n. 9.055.000 per l'importo di Lire 181.490.000 - camicie n. 42.100.000 per l'importo di Lire 134.800.000 - mutande n. 39.150.000 per l'importo di Lire 81.300.000 - giubbe di panno n. 23.300.000 per l'importo di Lire 80.500.000 - pantaloni di panno n. 28.000.000 per l'importo di Lire 56.000.000 - calze di lana cotone n. 4 7.100.000 per l'importo di Lire 41.800.000 - fazzoletti di cotone n. 50.000.000 per l'importo di Lire 32.500.000 - giubbe di tela n. 16.100.000 per l'importo di Lire 26.500.000 - pantaloni di tela n. 18.150.000 per l'importo di Lire 22.000.000 - fasce di lana (le c.d. "fasce mollettiere") n.14.700.000 per l'importo di Lire 19.200.000.
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Dati in grado di offrirci una idea di quale fu lo sforzo industriale richiesto dalla guerra anche sotto un profilo poco conosciuto rispetto a quelli che comunemente attirano il nostro interesse come il numero dei soldati, dei fucili, dei cannoni. ..
Bibliografia
L. SEGATO, I.!Italia nella guerra mondiale, Volume 4, Milano, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, 1935. A. VroTTI, I.!uniforme grigio-verde (1909-1918), Roma, Stato Maggiore dell'Esercito, 1985.
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Itinerari con i piedi sul territorio ... nell'Udinese
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Cento anni fa ... a Ragogna la Prima guerra mondiale Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio (IC Travesio) - Laboratorio "Vuardinsi ator"
L'uscita a Ragogna è stata organizzata nell'ambito del Progetto "L'altra mobilitazione" per far conoscere a noi ragazzi una pagina di storia locale, che ha visto il Monte di Ragogna ed il Fiume Tagliamento quali teatri di battaglia nell'ottobre - novembre 1917, quando, in seguito alla celebre "Rotta di Caporetto", l'esercito italiano dovette ritirarsi dal fronte dell'Isonzo - Carnia alla linea del Monte Grappa - Fiume Piave. Il Museo della Grande guerra di Ragogna si trova a San Giacomo di Ragogna, in provincia di Udine, al primo piano del Centro cultu-
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rale ex Scuola "Romeo Battistig". Di proprietà dell'Amministrazione Comunale, è stato istituito nel 2007 ed è gestito dal Gruppo Storico Friuli Collinare - Museo della Grande guerra di Ragogna. La struttura è articolata su tre sezioni museali, un'ampia sala multimediale ed il vano deputato alle esposizioni temporanee. La prima sezione museale presenta un approfondito percorso didattico teso alla comprensione delle vicende legate al Primo conflitto mondiale nel settore del Medio Tagliamento, mediante molteplici tematiche sviscerate in numerosi pannelli illustrativi corredati da immagini.
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Il Fiume Tagliamento visto da Ragogna.
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Il vero "fiore all'occhiello" però è il grande plastico in rilievo, scala 1:500, che ricalca la morfologia del campo di battaglia come si presentava alla data del 31 ottobre 1917, con il Monte di Ragogna quasi privo di vegetazione d'alto fusto, il Tagliamento in piena, il numero e il posizionamento delle abitazioni nei vari paesi. La ricostruzione topografica si basa sulle mappe del 1917 e sulle immagini storiche che hanno permesso di posizionare ogni singolo edificio nel luogo in cui si trovava all'epoca.
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Sul plastico sono tracciate con dettaglio le posizioni fortificate, le linee trincerate, le vie d'approvvigionamento, i rispettivi schieramenti e gli altri dettagli essenziali alla comprensione dei fatti d'arme che investirono questi luoghi. La seconda sezione museale espone, in una decina di supporti informativi, la certosina ricostruzione cronologica dei combattimenti di San Daniele-Ragogna e Cornino-Forgaria, il compendio grafico delle
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testimonianze più significative ancora osservabili sull'ex fronte tra il Monte Peralba e il Mar Adriatico, una selezione fotografica di "graffiti di guerra" rilevati sul territorio regionale, carinziano e sloveno, le note biografiche dei personaggi celebri che tra il 1915 ed il 1918 si trovarono quali combattenti nel settore del Medio Tagliamento, la rilettura del teatro operativo ricavata a partire dallo studio delle vestigia delle fortificazioni ancora presenti sul territorio, incrociato con le fonti archivistiche e diaristiche, la curata riproduzione di telegrammi, disposizioni e carteggi (sia italiani che austro-ungarici) attinenti alla Battaglia di Ragogna e allo Sfondamento di Comino, tra cui la raccolta dei fonogrammi e l'ordine di resistenza ad oltranza ricevuti dal Comando della Brigata Bologna durante gli estremi combattimenti di fine ottobre 191 7 - gli originali di questi ultimi documenti sono custoditi e visionabili nelle bacheche del museo - e il racconto delle vicende che caratterizzarono la memoria della Grande guerra nel Comune di Ra-
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gogna (Monumenti ai Caduti, nominativi dei Caduti ragognesi, ecc). Entrambe le sezioni museali sono arricchite da una collezione d'oggettistica d'epoca, formata con reperti perlopiù raccolti sugli ex campi di battaglia o donati dai discendenti di militari combattenti. Tali reperti, catalogati e corredati da precise didascalie, offrono la suggestione che solo i pezzi "vissuti" e riportati alla luce dopo novant'anni dal loro utilizzo possono evocare. La collezione è suddivisa per argomenti definiti: ogni espositore racchiude oggetti correlati ad una precisa area tematica (la bacheca delle artiglierie, la bacheca del "Genio", la bacheca dedicata all'oggettistica personale dei soldati, la bacheca dei reticolati e via dicendo). Viene dunque offerta un'idea sì generale, ma logicamente ordinata, degli equipaggiamenti utilizzati dagli eserciti operanti sul fronte italo - austriaco del conflitto. La terza sezione museale è dedicata ai reperti del Risorgimento, delle Guerre Coloniali, del Secondo conflitto mondiale, della Guerra Civile 1943-1945 ed in generale della storia militare europea. La sezione conta centinaia di reperti ed alcuni pannelli illustrativi. L'intero territorio circostante si può considerare un vero e proprio museo all'aperto, che custodisce preziose e suggestive testimonianze della Grande guerra, visitabili senza difficoltà lungo facili sentieri segnalati e dotati
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di cartellonistica specifica. In particolare noi abbiamo percorso l'itinerario del Monte di Ragogna insieme alla nostra preparatissima guida Aldo Pascoli. Ripreso il pulmino, ci siamo diretti verso il Monte di Ragogna per un'ex carrozzabile militare che si inerpica sulle pendici sovrastanti. L'ex rotabile di guerra, rifinita da paracarri e solidi muraglioni in pietra, collegava le posizioni del Monte Ragogna con il Ponte di Pontaiba, eseguito dal Regio Esercito nel 1916. Presso il Museo della Grande guerra è esposto un cippo, ritrovato decenni or sono nel greto del maggiore fiume friulano, con il fregio del IV Reggimento Genio Pontieri, autore di quell'opera scomparsa. Risalendola, s'incontra la partenza della mulattiera di arroccamento che conquista il filo di cresta attraverso "Las Cengles", sentiero storico-turistico ( vedi itinerario seguente).
Partenza del percorso a piedi, analisi del paesaggio circostante e scoperta del primo bunker utilizzato per tenere gli ordigni bellici.
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Ancora qualche minuto di strada asfaltata, ricalcante l'originale tracciato di rifornimento per le posizioni sul Monte Ragogna, e si perviene all'area logistica della Batteria "Ragogna Bassa". lvi ci sono diverse casermette e due caverne con le pareti in cemento. All'interno si celano due autentiche scritte in matita, tracciate dai soldati italiani durante i giorni della battaglia dell'ottobre-novembre 1917. Appena valicato l'ingresso della prima galleria, è riprodotto uno stilizzato schizzo con Croce sabauda e Bandiere tricolori, accompagnato dalle generalità di "Luigi Battisti, nato a Poggio d'Asti nel 1895". Nell'altro sotterraneo, è una semplice raffigurazione dell'assalto che colpisce lo sguardo più certosino. Queste opere risalgono agli anni 1909-1912 e fungevano da deposito munizioni per la sovrastante batteria. Durante la Grande guerra, con il disarmo delle piazzole nel 1915, evidentemente esse vennero a perdere il loro ruolo originario: finirono, assieme agli edifici vicini, per servire da ricovero per il Comando della Brigata Bologna ( Colonnello Carlo Rocca) tra il 30 ottobre ed il 1° novembre 191 7. Il tragitto persevera per la rotabile sino ad una curva panoramica, dalla quale parte un sentierino diretto al sovrastante rilievo, segnato da profondi trinceramenti. Ci troviamo nella zona dove ha origine la rete trincerata, costituta tra il 1916 ed il 191 7, che con tre linee cinge il monte intero. L'avallamento che si apre a sinistra accoglie le orme di alcuni apprestamenti bellici, tra i quali una notevole cisterna idrica. Distraendosi dai trinceramenti sul lato sud, il sentiero porta alla "batteria in barbetta" che ospitava i quattro pezzi da 149 mm in ghisa, cuore dell'installazione "Ragogna Bassa". Sono qui evidenti le grandi scalinate che introducono alle piazzole vere e proprie, delimitate da ben conservati muri di sostegno dotati dei vani per la "riserva a mano" dei proiettili. L'itinerario continua sulla strada asfaltata per 500 metri circa, quando risale il boschetto a sinistra della rotabile per puntare allo spartiacque. Acquisendo quota lungo il filo, lo scenario diviene sempre più suggestivo, aprendosi sui dirupi settentrionali. Nei pressi di quota 4 7O metri si svela l'uscita di un ardito e tortuoso percorso milita-
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re proveniente dalla più bassa mulattiera "Las Cengles", chiamata "variante d'arroccamento". Grazie allo straordinario sentiero di cresta è stato appagante conquistare l'eccezionale punto panoramico di quota 51 O metri, da dove si è potuto ammirare l'intero anfiteatro prealpino, dall'Istria al Piancavallo. Ripreso il cammino lungo la dorsale abbiamo riguadagnato la strada turistica e siamo quindi ridiscesi al punto in cui avevamo appuntamento con l'autista del pulmino per far rientro a casa.
Come il signor Pascoli ci ha fatto vedere, sul Monte di Ragogna il nostro Comando Militare aveva fatto costruire due batterie permanenti per quattro cannoni in ghisa, con otto bocche da fuoco. Per rifornire il sistema fortificato di Monte Ragogna costruirono ardue mulattiere di guerra lungo gli aspri pendii che guardano il Tagliamento.
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Su questo tabellone, posto quasi all'inizio del percorso dedicato alla riscoperta delle trincee, si può comprendere come si sviluppava tutto il percorso costruito per difendere l'alta pianura friulana. Il percorso stesso è stato riportato alla luce da pochi volontari guidati dal signor Pascoli e viene tenuto pulito dallo stesso Pascoli gratuitamente.
Qui sotto si notano i ruderi di una caserma dove stavano i militari addetti alla sorveglianza dei depositi d'armi. A fianco si nota il grande serbatoio d'acqua posto all'incirca a metà collina.
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Itinerari con i piedi sul territorio ... nel Goriziano
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Le trincee delle Frasche Scuola Primaria di Tramonti di Sotto (IC Meduno) Pluriclasse I-II-IV e V
Il 13 aprile 2015, noi bambini della Scuola Primaria di Tramonti, insieme agli alunni delle classi quinte di Cavasso Nuovo e di Meduno, siamo andati a conoscere alcuni luoghi dove si è svolta la Prima guerra mondiale. Arrivati a Redipuglia, abbiamo incontrato la nostra guida, Silvo Stok, che ci ha accompagnati lungo il cammino verso le Trincee delle Frasche. Abbiamo camminato sopra le trincee, lunghi fossati e gallerie scavati nel terreno, che servivano a proteggere i soldati dagli attacchi nemici. Davanti alle trincee c'erano un reticolato profondo 4 metri e alto 2 metri e dei sacchi di sabbia per proteggere i soldati della prima linea, più esposti al fuoco nemico. Tra le due trincee, quella italiana e quella austro-ungarica, c'era la Terra di Nessuno, dove, di notte, alcuni soldati dei due eserciti andavano in cerca di informazioni per preparare la battaglia del giorno seguente. Quando veniva dato l'ordine di aprire il fuoco, i fanti andavano all'assalto per raggiungere la postazione nemica e molti morivano uccisi dai cecchini. La vita in trincea era molto dura, c'erano poco cibo e acqua; faceva freddo e il fango e le malattie facevano stare ancora peggio i poveri soldati. Mentre camminavamo abbiamo incontrato il monumento dedicato a Filippo Corridoni, il cippo a Pietro Marras, un altro monumento dedicato alla Brigata Sassari. .. Siamo entrati anche in una galleria buia e stretta e siamo sbucati
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nel valloncello, che conduce alla linea dei Bersaglieri. Lì si riparavano i soldati dagli attacchi austriaci, ma anche per il freddo, o per la malattia. Alcuni di noi hanno avuto paura! Siamo arrivati al paese di San Martino, dove abbiamo mangiato il pranzo al sacco e siamo ripartiti verso San Michele. Arrivati al Piazzale, abbiamo visto i cannoni e i monumenti, la guida ci ha detto che questo è un luogo sacro perché è stato fatto con i detriti delle caverne scavate dai poveri soldati. Questo percorso ci ha molto emozionato e, mentre camminavamo, ci sembrava di vedere i soldati salire quelle montagne con fatica, sofferenza, tristezza e tanta paura di morire o di essere feriti. Abbiamo ascoltato, imparato e capito alcune poesie di Giuseppe Ungaretti, che ha vissuto la Prima guerra mondiale proprio in questi luoghi. Una ci ha colpito in modo particolare: "Sono una creatura" Come questa pietra del San Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata. Come questa pietra è il mio pianto che non si vede. La morte si sconta vivendo. (poesia tratta da "L'allegria" 1914-1919) Questa guerra è stata veramente lunga e crudele e la visita alle Trincee delle Frasche ci ha insegnato a volere la pace e ad impegnarci per costruirla e mantenerla!
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Visita guidata alle trincee del Carso isontino Scuola Primaria di Meduno (IC Meduno) - Classe quinta
La guida ha spiegato dove erano state combattute le diverse battaglie. Oggi l'ambiente naturale dell'altopiano è ricoperto di cespugli ma anche di alberi. Al tempo della guerra, invece, il Carso era tutto spoglio. Il cartello indica il percorso da noi seguito. È indicato fra i "Sentieri di pace". Anche noi l'abbiamo seguito per capire quanto la guerra sia stata una tragedia e quindi sia necessario imparare a rispettarci e ad andare d'accordo.
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Abbiamo iniziato la camminata lungo il percorso delle trincee. Abbiamo visto alcuni resti di una postazione della "Trincea delle Frasche".
Siamo scesi lungo una stretta e ripida scalinata della trincea per entrare in una specie di grotta.
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Lungo il cammino abbiamo visto che il tunnel continuava e l'abbiamo percorso per circa 300 metri. Finalmente siamo usciti! Dopo la fine della guerra, in memoria di alcuni soldati, sono state apposte delle targhe ed eretti monumenti.
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La guida ci ha spiegato che ci furono addirittura degli uomini che partirono volontariamente per la guerra, convinti che il conflitto avrebbe risolto i problemi della società italiana del tempo. Filippo Corridoni fu uno di questi. Il monumento fu fatto erigere da Mussolini, che in quel periodo si proclamava suo amico.
Cippo che ricorda il capitano Marras La guida ci ha chiarito che il cippo non corrisponde sempre al luogo in cui la persona è morta, perché durante la guerra i morti venivano seppelliti spesso in tombe per tanti soldati. I loro resti furono successivamente in parte recuperati e portati in altri cimiteri nella regione Friuli Venezia Giulia.
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Tratto di trincea riportato alla luce, in parte ricostruito Il tempo trascorso, infatti, ha svolto la sua opera di "nascondimento" della storia passata sul territorio. Per ricordare quanto è successo qui è importante anche fare un'opera di mantenimento delle tracce. Per non dimenticare.
Della Brigata Sassari, cui è dedicato il monumento, sappiamo che combatté sul Carso, quindi sull'Altopiano di Asiago. Di quell'anno sull'Altopiano scrisse Emilio Lussu, che a distanza di circa 15 anni volle ricordare agli Italiani la stupidità degli ordini che spesso furono impartiti dai comandi militari (v. episodi sul generale Leone).Tornati a combattere di nuovo sul Carso, furono 13.000 i fanti che persero la vita.
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Queste trincee furono costruite, ed occupate, ora dagli Austroungarici, ora dagli Italiani, in momenti diversi della guerra. Talvolta le linee nemiche si trovavano a pochi metri di distanza una dall'altra.
Dopo una pausa a San Martino, abbiamo ripreso il cammino lungo l'itinerario che contò tra i soldati anche il poeta Giuseppe Ungaretti. Mentre la guida ci leggeva una poesia, abbiamo provato a immaginare quel luogo così com'era nel momento descritto dal testo.
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Trincea a greca in prossimità della cima del Monte San Michele La forma serviva a non fare arrivare le onde d'urto delle bombe a tutta la trincea, ma solo a una piccola parte. Da questa trincea a quella nemica, sulla cima del Monte San Michele, distante poche decine di metri, c'era la "terra di nessuno".
A conclusione della giornata, tornati a Redipuglia, guardando una parte dei risultati prodotti dalla guerra, abbiamo recitato una poesia sulla pace, per ricordare che oggi l'Italia rifiuta la guerra come mezzo per risolvere i problemi della nazione!!! Grazie per averci dato la possibilità di fare quest'esperienza!
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Escursione storico--naturalistica "nel cuore del fronte" Scuola Secondaria di primo grado di Meduno ( IC Meduno) Classi terze
Il Carso è un museo all'aperto dove abbiamo potuto, osservando direttamente i luoghi dei combattimenti, comprendere le difficili condizioni dei tanti soldati nelle trincee della Grande guerra. La nostra escursione parte da Redipuglia per raggiungere, lungo i sentieri e i campi di battaglia, il Monte San Michele. Il Sacrario Militare di Redipuglia ci dice che cosa è stata la Prima guerra mondiale: migliaia e migliaia di morti.
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Ad accompagnarci c'era il Gruppo Alpini «Val Meduna», guidato da Toni Martinelli. Ci ha spiegato le fasi principali delle «Battaglie dell'Isonzo», tra il 1915 e il 1917, con l'obiettivo di invadere l'impero austroungarico, l'utilizzo di nuove armi micidiali, come la mitragliatrice, i cannoni a lungo calibro e i gas asfissianti che hanno provocato, alla fine della guerra, moltissimi morti. L'impossibilità reciproca, per gli opposti schieramenti, di fronteggiare tali devastanti nuovi armamenti, stabilizzò, dopo le prime offensive, il fronte, determinando la tremenda e terrificante guerra di posizione o di trincea.
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Dopo aver visitato il Sacrario di Redipuglia, ci siamo messi in cammino per raggiungere la «Dolina dei Bersaglieri».
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La Dolina dei Cinquecento o dei Bersaglieri è un sito di notevole interesse storico. Al suo interno sono presenti resti di strutture in muratura di quello che era un posto di medicazione avanzato per la linea del fronte di San Martino.
Abbiamo osservato gli interessanti graffiti sulle pareti della struttura che riportano i nomi degli ufficiali medici che vi lavoravano.
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Il fregio del 15° Reggimento dei Bersaglieri.
La targa, posta al centro della dolina, che testimonia la presenza di una fossa comune che conteneva i corpi di 500 soldati.
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Qui abbiamo suonato «Il Silenzio».
Arrivati alle trincee del Monte Sei Busi, teatro di aspre battaglie, abbiamo camminato lungo il trincerone Mazzoldi, comprendendo meglio sia il significato di «guerra di trincea», sia le condizioni di vita dei soldati, costretti a stare curvi, sotto la pioggia o nella calura estiva, per non essere visti.
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Queste lunghe ed imponenti trincee rimaste sul terreno carsico sembrano unghiate di un mostro terribile!
Prima di riprendere il cammino abbiamo suonato «Ta pum». Durante la Prima guerra mondiale le canzoni hanno accompagnato i soldati in tutti i momenti: la partenza per il fronte, la sofferenza in trincea, la paura dell'assalto, la speranza di ritornare a casa. Le canzoni, cantate insieme, rallegravano un po' i cuori dei soldati induriti dalle atrocità della guerra.
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Lasciate le trincee del Monte Sei Busi, ci siamo incamminati verso il Cippo Corridoni, ben visibile anche da lontano. L'opera, alta 23 metri, fu voluta da Benito Mussolini nel 1933 per commemorare l'amico interventista morto in un assalto presso la «trincea delle Frasche», che non aveva mai avuto degna sepoltura. Eretto in periodo fascista, racchiude i diversi simboli di quell'epoca che ancor oggi si possono vedere e facilmente riconoscere: la mano destra aperta in segno di saluto romano, l'aquila che guarda ad est ed il fascio littorio che si sviluppa quasi tutto lungo l'altezza del monumento.
Dal Cippo Corridoni, proseguendo in salita lungo il sentiero che costeggia resti di trincee, siamo arrivati al Cippo Brigata Sassari. La lapide commemorativa dedicata alla Brigata Sassari, e cioè al 151 ° e al 152° reggimenti, ricorda i 13.000 morti ed i 18.000 feriti che la Brigata riportò durante l'evento. Qui, durante il primo anno di guerra, ha combattuto anche Emilio Lussu, autore del libro «Un anno sull'altipiano».
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Qui ad attenderci c'erano gli alpini, che avevano preparato per noi una buonissima pastasciutta!
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Dopo aver mangiato e suonato alcune canzoni, «Era una notte che pioveva» e «La guerra di Piero», abbiamo ripreso il cammino lungo i resti della «Trincea delle Frasche». Venne scavata dall'esercito asburgico nei primi mesi di guerra e venne persa solo alla fine del 1915. Il nome lo si deve all'astuzia militare dei soldati ungheresi, i quali utilizzarono dei rami per mascherarla e renderla meno visibile.
Per raggiungere il paese di San Martino del Carso e il Monte San Michele, abbiamo percorso un suggestivo sentiero, lungo l' «itinerario Ungaretti». Ungaretti diventa poeta sulle trincee del Carso. Vi arriva a 2 7 anni; era già un intellettuale con sogni e desideri precisi, e in guerra scopre un modo più diretto, più scarno, estremamente più sincero, di raccontare la sua esperienza. È proprio dalle trincee di Monte San Michele, attorno a San Martino del Carso, che Ungaretti inizia quel percorso letterario, pubblicando nel 1916 a Udine il suo primo libro di poesie di guerra, intitolato 'Porto sepolto', che lo renderà famoso in tutto il mondo.
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Da San Martino del Carso, saliti sul Monte San Michele, abbiamo raggiunto la Cima Quattro.
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Questa cima è stata aspramente contesa durante le prime sei battaglie dell'Isonzo. Un assalto per la sua conquista ha ispirato il poeta Ungaretti nella stesura della sua lirica «Veglia", scritta il 23 dicembre 1915. Un'intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d'amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
La nostra guida, Toni Martinelli, ci ha spiegato che il 29 giugno 1916 i soldati italiani trincerati tra il Monte San Michele e San Martino del Carso furono colti impreparati da un attacco con gas asfissianti. Per la prima volta il nemico vi faceva ricorso in modo massiccio. La nube di gas con cloro e fosgene uccise migliaia di soldati e ne ridusse in condizioni critiche molti altri. In un successivo assalto, gli austroungarici che riuscirono a raggiungere le trincee italiane finirono brutalmente feriti a colpi di mazze ferrate.
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La strage del Monte San Michele intensificò l'impegno difensivo italiano che si concretizzò con l'adozione della maschera antigas. Distribuita dal gennaio 1917, era contenuta in una scatola di latta indossata a tracolla.
Il Monte San Michele fu conquistato, durante la 6a battaglia dell'Isonzo ( 6- 7 agosto 1916), dalla 22a divisione dell'XI corpo d'armata che più di tutti aveva dato valore e sangue sulle pendici del monte. Nel pomeriggio del 6 agosto, la Brigata Catanzaro travolse la difesa austriaca sulle cime 1 e 2, mentre le Brigate Brescia e Ferrara, combattendo con pari slancio, conquistarono le cime 3 e 4. Gli austriaci erano costretti, tre giorni dopo, a ripiegare.
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L'altura del Monte San Michele (m 275), su cui si è duramente combattuto nei primi due anni della Grande guerra e che ancora conserva numerosi segni di quegli eventi, è stata designata 'Zona Monumentale' e trasformata in un piccolo 'Museo all'aperto'. La salita sulle quattro cime del monte ci ha consentito la visione di un eccezionale panorama sui luoghi in cui si combatté la Grande guerra sul fronte del Carso.
Inoltre abbiamo visitato il piccolo 'Museo del S. Michele', al cui interno abbiamo osservato cimeli e una documentazione fotografica della Grande guerra, e le poderose postazioni in caverna dell'artiglieria italiana.
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È stata un'uscita molto interessante perché ci ha permesso di approfondire le nostre conoscenze storiche osservando direttamente i luoghi della Grande guerra.
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Appendice Stumenti per la didattica
Soldati, Polcenigo.
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I ragazzi del '99 di Polcenigo Alessandro Padelli
L'analisi delle liste di leva dei cosiddetti 'ragazzi del '99' del comune di Polcenigo, effettuata dagli allievi della locale Scuola Secondaria di primo grado, riserva parecchi e interessanti risultati, pur trattandosi di un campione tutto sommato limitato, riguardante appena un centinaio di persone (poco meno del due per cento dell'intera popolazione polcenighese del tempo), e con dati non sempre completi. Colpisce per esempio, tra quanto rilevato nella ricerca, l'altezza media dei giovani (alcuni diciottenni, altri ancora diciassettenni) che furono sottoposti alla visita di leva tra il febbraio e il luglio del 1917, altezza che corrisponde ad appena 165 cm, misura ben distante dalle medie odierne, con massimi di 181 cm e 179 cm, un minimo di 147 cm e ben dodici individui sotto i 160 cm. Tenuto presente che l'altezza media delle reclute polcenighesi corrispondeva quasi esattamente a quella delle reclute dell'intero Friuli, che a lungo è stata la maggiore in Italia, c'è comunque da chiedersi come mai un tempo si presentassero misure così basse rispetto a quelle di oggi. La risposta, come dimostrano numerosi studi, va ricercata soprattutto nella qualità e nella quantità dell'alimentazione a disposizione sia degli stessi giovani nel corso della loro vita, sia dei loro genitori, in particolare delle madri durante la gravidanza. È infatti risaputo che, al di là di indubbi fattori genetici e quindi ereditari, che hanno un loro peso, un'alimentazione varia, abbondante e regolare stimola grandemente la statura, mentre al contrario un'alimentazione monotona, insufficiente e irregolare la deprime. E proprio di un'alimentazione di questo secondo tipo potevano usufruire i Polcenighesi degli inizi del Novecento, non diversamente del resto dagli altri Friulani dell'epoca. Il cibo principale, come attestato dalla documentazione scritta e certificato dalle testimonianze orali, era la polenta di mais (a volte con poco sale, dato il suo costo), ac-
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compagnata da scarse quantità di latte e di latticini (formaggio, bovino od ovino e anche misto, burro e soprattutto ricotta), da qualche uovo, da legumi (in primo luogo i diffusissimi fagioli), da verdura (insalata, radicchio, verze, rape e poco altro) e da qualche patata. La carne era mangiata in quantità molto ridotte, spesso una sola volta la settimana e a volte anche meno; veniva in genere riservata alle puerpere e agli ammalati. In quel poco che era consumato, più che quella bovina prevalevano la carne di capra, gli insaccati, il lardo e la carne secca o affumicata di maiale, una minima quantità di carne di coniglio e di volatili domestici (soprattutto galline), un po' di pesce, sia fresco, pescato nei corsi d'acqua locali, che conservato (aringhe, baccalà), in particolar modo nei periodi di astinenza carnea prescritti dalla Chiesa. Ci si potevano aggiungere talvolta rane, gamberi di fiume e chiocciole, impropriamente dette 'lumache'. Scarsa era sulle tavole la frutta, pur coltivata (mele, pere, fichi, susine, ciliegie ecc.) ma di frequente venduta ai mercati o ai negozi per ricevere un po' di contante; abbastanza diffuse erano le noci e le nocciole e, stagionalmente, vari tipi di erbe selvatiche commestibili (ortiche, tarassaco, silene, luppolo, pungitopo ecc.). Il vino, in genere rosso e di scadente qualità, era a volte tagliato con acqua od ottenuto da ripetute spremiture delle vinacce (il cosiddetto vinello). Una certa diffusione fra i maschi adulti avevano avuto poi tra fine Ottocento e inizi Novecento la birra e i superalcolici (grappa e cognac), consumati di solito in osterie e bettole varie: ciò era avvenuto in seguito all'emigrazione all'estero in Austria, Germania e Francia, dove si era imparato a bere queste bevande (e talvolta anche ad abusarne pericolosamente). Questa era dunque la dieta maggiormente diffusa fra gli abitanti di Polcenigo dell'epoca. Soprattutto la carenza di vitamine e di proteine, fornite queste ultime in maggior misura dalla carne, influiva negativamente sullo sviluppo della statura. Ciò è dimostrato anche dal fatto che alcuni Polcenighesi, come dimostra la ricerca, nella visita di leva furono considerati dai medici come rivedibili, o addirittura riformati ed esonerati definitivamente, per problemi fisici come la gracilità o l'insufficienza toracica, anch'esse segni probabili di deficienze e di pa-
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tologie innescate o quantomeno aggravate dall'insufficiente alimentazione. Sarà il secondo dopoguerra, e in particolare il periodo dagli anni Sessanta in poi, con la sua forte impennata dei consumi carnei, a vedere un continuo e rapidissimo aumento della statura dei giovani, in particolare dei maschi. Di passaggio va notato che quei ragazzi del '99, diventati militari, ricevettero pasti sicuramente più equilibrati e abbondanti, soprattutto di pane e di carne, pur pagando questo netto miglioramento alimentare con una vita indubbiamente più dura e pericolosa. Un altro elemento che spicca nei dati raccolti è poi il grado di alfabetizzazione dei giovani di leva. Esclusi quelli - non pochi - per i quali non si hanno al riguardo informazioni precise dalle fonti analizzate, si riscontrano ben 6 analfabeti, mentre di un settimo giovane si segnala la poca alfabetizzazione. È una dimostrazione che, nonostante le sempre più stringenti disposizioni legislative di inizio Novecento, la scolarizzazione non era ancora veramente obbligatoria per tutti, e che alcuni riuscivano a sottrarsi alla frequenza scolastica, come d'altronde si è appurato in specifiche ricerche sul tema. Alcuni infatti non frequentavano la scuola, o lo facevano in maniera molto irregolare, perché emigrati con la famiglia all'estero o, più spesso, impiegati precocemente al lavoro, soprattutto in quello agricolo, con punte di assenza a scuola coincidenti proprio con i momenti di maggior impegno dell'annata agraria (semina, raccolto) e con l'alpeggio tardoprimaverile ed estivo. C'è poi da tenere conto probabilmente di un diffuso analfabetismo 'di ritorno', parziale o totale, per quelli che, terminata la scuola obbligatoria, avevano avuto in seguito poche occasioni per esercitare e mantenere le poche abilità acquisite, ridiventando quindi pressoché analfabeti. Aggiungiamo pure il fatto che certi ragazzi con problemi cognitivi o fisici - che oggi definiremmo handicap, disabilità o difficoltà di apprendimento - nel loro breve percorso scolastico potevano facilmente non acquisire neppure le minime capacità di letto-scrittura, e rimanere dunque analfabeti da adulti. Un terzo tema interessante che emerge è la professione esercitata dai giovani. Dalla ricerca si nota che prevalevano ovviamente i contadini, soprattutto sotto forma di bracciante, e gli altri mestieri colle-
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gati al mondo rurale e silvo-pastorale, come il boscaiolo e il carbonaio (all'epoca nel comune era ancora fiorente la produzione di carbone vegetale attraverso un lungo processo di cottura del legname, soprattutto in montagna). Assai consistente era poi il numero dei minatori, ben 22, ossia oltre un quinto del totale: in quel periodo infatti molti Polcenighesi emigravano fin da giovanissimi nell'Impero austro-ungarico, in Francia, in Svizzera e particolarmente in Germania per lavorare, oltre che come manovali e cavatori di pietra, nelle miniere di carbone, sia come stagionali che più spesso per anni, ritraendo con ciò un buon salario ma andando al tempo stesso incontro a malattie devastanti (silicosi) e ad infortuni sul lavoro gravi e talvolta mortali. Non mancavano poi nell'elenco altri mestieri artigianali e altre professioni, come il mugnaio e il segantino (in paese operavano allora diversi mulini e una segheria ad acqua), il muratore, il falegname, il fabbro, il meccanico, il carrettiere, il conducente, il mulattiere, il fantiniere, nonché due studenti e un unico commerciante. Comparivano anche tre camerieri, ossia una professione allora già presente ma che si diffonderà enormemente nel primo dopoguerra e poi ancor di più nel secondo, portando i Polcenighesi a servire nei locali più prestigiosi in ogni parte dell'Italia e del Mondo. Un altro interessante riscontro è la sorte che ebbero quei giovani: di cento, solo quattro fortunatamente persero la vita durante il conflitto, nessuno direttamente sui campi di battaglia, diversamente da tanti altri compaesani, bensì in prigionia in terra straniera (Martino Piazzon, catturato dopo Caporetto e deceduto per malattia il 6 maggio 1918) oppure in ospedale per ferite o malattie contratte durante il servizio militare (Osvaldo Scussat, morto il 5 ottobre 1917 a Verona, Lucio Janes, spirato il 23 maggio 1918 a Milano, e Valentino Bosco, defunto nell'ospedale militare di Bologna il 25 febbraio 1917, appena otto giorni dopo l'arruolamento!). Alcuni, feriti o ammalati, moriranno anche diversi mesi dopo la fine del conflitto e altri resteranno invece invalidi per un lungo periodo o per tutta la vita. Ci furono anche dei renitenti, che cercarono di sottrarsi alla chiamata di leva fuggendo o nascondendosi, dei veri e propri disertori, soprattutto dopo la disfatta
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di Caporetto e la disordinata fuga delle truppe italiane, e anche certi che finirono in prigione per atti illegali compiuti durante il servizio militare: tutte evenienze non rare in quei frangenti, ma molto rischiose, visto che si poteva essere anche fucilati. Chiudiamo con una curiosità, ricordando come uno di quei ragazzi del '99, Pietro (Piero) Rigo di Coltura, abbia sfiorato per pochi mesi la fatidica soglia dei cento anni di vita, morendo nel 1999 e conservando sin quasi alla fine un'eccellente forma fisica e una notevole prontezza intellettiva.
Bibliografia
A.
Pane nero come il carbone. Polcenighesi e altri emigranti friulani a Bottrop ( Germania) agli inizi del Novecento, Polcenigo, Comune di Polcenigo, 2006. C. SOTTILE, "Appena s'incomincia, e l'istruzione ha da venire". Appunti sulla scuola a Polcenigo dal 1867 al 1917, in Polcenigo. Studi e documenti in memoria di Luigi Bazzi, a cura di A. PADELLI, Polcenigo, Fondazione Bazzi, 2002, pp. 149-162. E. VARNIER, Tacere bisognava e andare avanti, Polcenigo, s.e., 1999. PADELLI,
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I problemi per la società civile: i profughi Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: David Andreazza 3a A, Daniela Bocus 3aB, Alexandru Roibu 3a A
Il nostro gruppo si è occupato di leggere un libro pubblicato nel 1919 e conservato presso la Biblioteca Saffi di Forlì (che si ringrazia perché ci ha inviato le fotocopie del documento), intitolato "Censimento generale dei profughi di guerra" e contenente le informazioni sul numero di persone costrette a lasciare il proprio territorio nel periodo immediatamente successivo alla rotta di Caporetto. Il testo è particolarmente interessante perché è il primo a riportare i numeri relativi ai profughi provocati dagli eventi della fine del 1917. Dalla lettura delle statistiche e degli altri dati pubblicati nel testo abbiamo potuto capire che la zona interessata dal fenomeno della profuganza era vasta circa 14 .000 kmq, popolata da più di un milione di persone e che nel periodo immediatamente successivo agli eventi dell'ottobre del 191 7 non fu facile gestire la situazione delle persone in fuga dai territori occupati dagli austriaci. Per quanto riguarda il nuERRA mero dei profughi, pur non essendoci un conteggio assolutamente preciso viste le difficoltà del momento, si calcola che furono, considerando tutte le zone occupate .. o •• ...·:.~.:-· ··e quelle immediatamente vi-
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cine, più di mezzo milione. Noi ci siamo in particolar modo concentrati sull'analisi della situazione della provincia di Udine, comprendente a quel tempo anche il territorio dell'odierna provincia di Pordenone e quindi del Comune di Polcenigo.
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accompapa.oo li woure
Copia della scheda compilata dai profughi per il censimento degli stessi.
Dai dati ricavati dal testo si può notare che sia i vari distretti sia i diversi comuni dell'udinese registrarono percentuali di profughi fortemente differenti l'uno dall'altro e ciò probabilmente era dovuto alla grande confusione di quei momenti che portò le persone abitanti nel territorio udinese, il primo a essere investito dagli invasori austriaci, a reagire in maniera diversa e probabilmente, vista la rapidità degli
318
eventi, improvvisata. Tali numeri e situazione sono visibili in due cartine pubblicate anch'esse nel 1919 ad opera della Deputazione Provinciale di Udine nel testo "La provincia di Udine e l'invasione nemica", reperito presso la Biblioteca Civica di Pordenone, che riportiamo di seguito. La prima riporta le percentuali di profughi per distretto, la seconda per singolo comune della provincia di Udine.
Di seguito riportiamo i dati completi dei profughi della provincia di Udine ripresi dal primo testo considerato.
319
REGIO COMMISSARIATO DELL'EMIGRAZIONE - CENSIMENTO GENERALE DEI PROFUGHI DI GUERRA- PROVINCIA DI UDINE 1918
DISTRETTO
COMUNE
POPOLAZIONE PRESENTE AL
PROFUGHI CENSITI
o/o PROFUGHI
10-6-1911 Ampezzo
2308
856
37,09%
Enemonzo
1756
700
39,86%
Forni di Sopra
1666
80
4,80%
Forni di Sotto
1501
342
22,78%
Preone
589
95
16,13%
Raveo
574
148
25,78%
Sauris
785
6
0,76%
Socchieve
2055
704
34,26%
TOTALE DISTRETTO
11234
2931
26,09%
CIVIDALE DEL FRIULI
Attimis
3313
293
8,84%
Buttrio in piano
2413
380
15,75%
Cividale del Friuli
9886
4764
48,19%
Corno di Rosazzo
1908
269
14,10%
Faedis
4364
480
11,00%
lpplis
1001
113
11,29%
Manzano
3845
409
10,64%
Moimacco
1225
232
18,94%
Povoletto
3995
348
8,71%
Premariacco
2668
333
12,48%
Prepotto
2162
493
22,80%
Remanzacco
3248
491
15,12%
S. Giovanni di Manzano
3049
437
14,33%
Torreano
3197
428
13,39%
46274
9470
20,47%
AMPEZZO
TOTALE DISTRETTO
320
CODROIPO
Bertiolo
3052
135
4,42%
Camino di Codroipo
2150
199
9,26%
Codroipo
6574
1975
30,04%
Rivolto
3988
200
5,02%
Sedegliano
4857
239
4,92%
Talmassons
4105
170
4,14%
Varmo
4180
693
16,58%
TOTALE DISTRETTO
28906
3611
12,49%
GEMONA
3460
491
14,19%
Artegna Bordano
1087
193
17,76%
Buia
7051
709
10,06%
Gemona
9486
2786
29,37%
Montenars
1741
334
19,18%
Osoppo
2687
1979
73,65%
Trasaghis
3288
400
12,17%
Venzone
3532
3449
97,65%
TOTALE DISTRETTO
32332
10341
31,98%
LATISANA
6391
2479
38,79%
Latisana Muzzana del Turgnano
1737
281
16,18%
Palazzolo dello Stella
2157
352
16,32%
Pocenia
2629
547
20,81%
Precenicco
1735
284
16,37%
Rivignano
3851
437
11,35%
Ronchis
2204
366
16,61%
Teor
2963
143
4,83%
23667
4889
20,66%
TOTALE DISTRETTO
321
MANIAGO
Andreis
1222
14
1,15%
Arba
1471
113
7,68%
Barcis
1230
87
7,07%
Cavasso Nuovo
2707
114
4,21%
Cimolais
910
so
5,49%
Claut
2160
125
5,79%
Erto e Casso
1851
157
8,48%
Fanna
2107
244
11,58%
Frisa neo
2623
66
2,52%
Maniago
5379
1045
19,43%
1757
189
10,76%
TOTALE DISTRETTO
23417
2204
9,41%
MOGGIO UDINESE
Chiusaforte
1283
983
76,62%
Dogna
981
586
59,73%
Moggio Udinese
3381
1416
41,88%
Pontebba
2630
981
37,30%
Raccolana
1307
406
31,06%
Vivaro
Resia
2838
1902
67,02%
Resiutta
784
466
59,44%
TOTALE DISTRETTO
13204
6740
51,05%
PALMANOVA
Bagnaria Arsa
3114
354
11,37%
Bicinicco
1624
28
1,72%
Carlino
1057
90
8,51%
Castions di Strada
2927
124
4,24%
Gonars
3578
199
5,56%
Marana Lagunare
1568
963
61,42%
Palmanova
5522
2164
39,19%
Porpetto
2135
512
23,98%
S. Giorgio di Nogaro
5411
2749
50,80%
S. Maria La Longa
2301
266
11,56%
Trevignano Udinese
2586
171
6,61%
31823
7620
23,94%
TOTALE DISTRETTO
322
PORDENONE
Aviano
8143
841
10,33%
Azzano Decimo
8971
254
2,83%
Cordenons
7961
327
4,11%
Fiume
6181
141
2,28%
Fontanafredda
5261
394
7,49%
Montereale Cellina
4973
382
7,68%
Pasiano
7706
379
4,92%
Porcia
5382
227
4,22%
Pordenone
16265
4350
26,74%
Prata di Pordenone
4582
216
4,71%
Roveredo in Piano
1542
242
15,69%
San Quirino
2959
311
10,51%
Vallenoncello
1531
19
1,24%
Zoppola
5595
210
3,75%
TOTALE DISTRETTO
87052
8293
9,53%
SACILE
Brugnera
4404
129
2,93%
Budoia
3123
323
10,34%
Caneva
6543
213
3,26%
Polcenigo
4650
491
10,56%
Sacile
8331
2508
30,10%
TOTALE DISTRETTO
27051
3664
13,54%
S. DANIELE DEL FRIULI
Colloredo di Montalbano
2685
52
1,94%
Coseano
2769
91
3,29%
Dignano
2699
122
4,52%
Fagagna
5206
492
9,45%
Maiano
5940
523
8,80%
Moruzzo
2240
70
3,13%
Ragogna
3813
2377
62,34%
Rive d'Arcano
2930
100
3,41%
S. Daniele del Friuli
6905
1828
26,47%
Sant'Odorico
1687
42
2,49%
S. Vito di Fagagna
1690
63
3,73%
38564
5760
14,94%
TOTALE DISTRETTO
323
S. PIETRO AL NATISONE
Drenchia
1309
237
18,11%
Grimacco
1494
251
16,80%
Rodda
1456
263
18,06%
San Leonardo
2350
278
11,83%
S. Pietro al Natisone
3310
1204
36,37%
Savogna
1926
315
16,36%
Stregna
1748
91
5,21%
Tarcetta
2015
121
6,00%
15608
2760
17,68%
TOTALE DISTRETTO
S.VITOAL TAGLIAMENTO
Arzene
1774
93
5,24%
Casarsa della Delizia
4915
992
20,18%
Chions
4278
131
3,06%
Cordovado
2260
247
10,93%
Morsano al Tagliamento
3652
497
13,61% 4,60%
Pravisdomini
2694
124
S. Martino al Tagliamento
1728
383
22,16%
S. Vito al Tagliamento
10803
2558
23,68%
Sesto al Reghena
5641
403
7,14%
Valvasone
2202
311
14,12%
TOTALE DISTRETTO
39947
5739
14,37%
SPILIMBERGO
2956
118
3,99%
Castelnovo del Friuli Clauzetto
2133
101
4,74%
Forgaria
3058
182
5,95%
Meduno
3466
177
5,11%
Pinzano al Tagliamento
2813
839
29,83%
San Giorgio della Richinvelda
4358
575
13,19%
Sequals
2685
406
15,12%
Spilimbergo
7329
2228
30,40%
Tramonti di Sopra
1806
10
0,55%
Tramonti di Sotto
2367
54
2,28%
Travesio
1550
168
10,84%
Vito d'Asia
3132
101
3,22%
37653
4959
13,17%
TOTALE DISTRETTO
324
TARCENTO
Cassacco
2529
132
5,22%
Ciseriis
3540
425
12,01%
Lusevera
2327
345
14,83%
Magnano in Riviera
2225
178
8,00%
Nimis
4798
723
15,07%
Platischis
3084
483
15,66%
Segnacco
1951
241
12,35%
Tarcento
5617
2121
37,76%
Treppo Grande
2211
181
8,19%
Tricesimo
5022
1052
20,95%
33304
5881
17,66%
Amaro
1187
301
25,36%
Arta
2493
1504
60,33%
Cavazzo Carnico
1539
304
19,75%
Cercivento
965
167
17,31%
Comeglians
1864
410
22,00%
Forni Avoltri
1242
51
4,11%
TOTALE DISTRETTO
TOLMEZZO
Lauco
2352
262
11,14%
Ligosullo
404
4
0,99%
Ovaro
2991
324
10,83%
Paluzza
3276
1256
38,34%
Paularo
2708
473
17,47%
Prato Carnico
2298
124
5,40%
Ravascletto
1245
387
31,08%
Rigolato
1913
151
7,89%
Sutrio
1529
456
29,82%
Tolmezzo
5521
2959
53,60%
Treppo Carnico
1118
21
1,88%
Verzegnis
1570
151
9,62%
Villa Santina
1481
778
52,53%
Zuglio
1009
247
24,48%
38705
10330
26,69%
TOTALE DISTRETTO
325
UDINE
Campoformido
2980
365
12,25%
Feletto Umberto
2846
454
15,95%
Lestizza
4221
60
1,42%
Martignacco
4297
421
9,80%
Mereto di Tomba
3384
93
2,75%
Mortegliano
4601
210
4,56%
Pagnacco
2571
252
9,80%
Pasian di Prato
3077
385
12,51%
Pasian Schiavonesco
5194
565
10,88%
Pavia di Udine
4932
264
5,35%
Pozzuolo del Friuli
5055
381
7,54%
Pradamano
2084
103
4,94%
Reana del Roiale
4378
519
11,85%
Tavagnacco
2103
425
20,21%
Udine
47617
28836
60,56%
99340
44839
45,14%
TOTALE DISTRETTO
326
I morti di Coltura Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Tamara Blasoni 3 a A, Alessia Pellegrini 3 a A, Andrea Verardo 3 a B
Il nostro gruppo si è occupato di ricavare informazioni da alcuni documenti (cartoline, comunicazioni ufficiali) reperiti presso l'Archivio Diocesano di Pordenone. Tali documenti riguardano le comunicazioni dei decessi di alcuni dei militari originari di Coltura di Polcenigo morti nel corso della Prima guerra mondiale ed erano indirizzati al parroco di allora di Coltura. I documenti disponibili riguardano solo una parte (circa metà) dei soldati di Coltura morti, ma risultano interessanti perché da buona parte di essi (alcuni sono più precisi, altri meno) abbiamo potuto ricavare informazioni quali nomi, cognomi, date di nascita e di morte, età, reggimento di appartenenza del soldato in questione, i giorni intercorsi tra la data di morte e la comunicazione della stessa ai parenti (che molto spesso avveniva proprio tramite il parroco), il luogo e il modo in cui morivano i soldati. Dopo aver raccolto queste informazioni in una tabella (vedi di seguito), abbiamo ricavato dai dati a nostra disposizione alcuni grafici interessanti e relativi all'età media e al numero di giorni mediamente intercorsi tra la morte e la comunicazione della stessa. Per quanto riguarda l'età media delle persone delle quali abbiamo analizzato i documenti (ovviamente un piccolo campione rappresentativo rispetto ai morti della Grande guerra) abbiamo un dato pari a 25,25 anni, con punte minime di 20 anni (Giovanni Bravin, di Giomaria) e massime di 3 7 (Angelo Bravin, di Domenico), il che ci conferma che il conflitto influì fortemente sulle giovani generazioni; i dati sul tempo intercorso tra la morte di un militare e la comunicazione della stessa ci fanno notare che mediamente passavano 103 giorni
327
perché i familiari sapessero con certezza del decesso di un proprio caro, con punte minime di 3 giorni e massime di anche di più di 600 giorni (vale a dire quasi due anni!). Questi dati permettono di riflettere sulla grande differenza tra la velocità di comunicazione a cui siamo abituati oggi e la lentezza con cui le notizie, anche importanti, circolavano più di un secolo fa, soprattutto in un periodo così complicato come quello bellico. Di seguito riportiamo dunque la tabella con le informazioni ricavate dai documenti e i grafici relativi ad alcune di queste informazioni. N .B. Nei documenti analizzati non erano presenti informazioni per tutte le vittime, sia per quanto riguarda il tempo intercorso tra la morte e la comunicazione ai familiari, sia circa l'età dei soldati morti in guerra.
328
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1111
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330
La requisizione delle campane nel Friuli occidentale Alessandro Padelli
Tra le molte operazioni di spogliazione e appropriazione che le truppe austro-tedesche occupanti portarono avanti in Friuli e nel Veneto invaso ci fu anche la requisizione delle campane, allo scopo di ottenere del bronzo per scopi industriali e soprattutto militari. Al riguardo conviene subito sgomberare il campo da un luogo comune fin troppo diffuso, e cioè che tale pratica sia stata applicata soltanto alle terre nemiche invase come un'ulteriore prova di sopraffazione e di ferocia. La requisizione dei sacri bronzi avvenne infatti anche nelle terre dell'Impero austro-ungarico, soltanto con maggior moderazione e attenzione per gli esemplari più antichi e artisticamente di valore, che ne furono preservati. In Friuli e nel Veneto invece, nonostante le linee di indirizzo non lo prevedessero, si asportarono quasi ovunque anche le campane antiche. Si cominciò con la requisizione in alcuni luoghi già nel novembre del 1917, ma il picco fu agli inizi dell'anno successivo e poi a giugno, quando la fame di bronzo non risparmiò neppure gli esemplari di pregio, che erano stati lasciati fino a quel momento al loro posto, e nemmeno le minuscole campanelle di sperduti oratori campestri o montani. La pratica inizialmente era quella di lasciare nel campanile una sola campana, o al massimo due, scelte fra quelle più antiche e possibilmente meno pesanti, e di far cadere tutte le altre dalla cella campanaria, dopo averle staccate dai ceppi, in modo che al violento contatto con il suolo si infrangessero. Questo modo di operare fu preso dagli abitanti come un ulteriore spregio nei loro confronti, ma era in realtà dettato da motivazioni pratiche: era più facile trasportare e poi fondere i frammenti, piuttosto che pesanti campane intere, anche se in con-
331
creta molte campane non si ruppero con il lancio, ma s'incrinarono soltanto (e in qualche occasione rimasero intere nonostante il volo). La popolazione assisteva sgomenta e in massa a questa fatale 'esecuzione' delle proprie campane (costate, val la pena di sottolinearlo, grandi fatiche e tanti soldi ai paesani), quasi come se si fosse trattato di esseri umani. Esse segnavano infatti da sempre con il loro suono i momenti fondamentali della vita (battesimi, matrimoni e morti) e scandivano con periodici rintocchi le ore della giornata, ma venivano pure suonate a distesa in caso di pericoli collettivi (incendi, forti temporali, grandinate, arrivo di nemici), sia come avviso, sia perché ritenute utili a scongiurare le minacce; erano perciò considerate un elemento essenziale non solo della vita religiosa, ma anche dell'identità paesana, quasi l'anima della comunità. Si racconta di persone che, sfidando gli occupanti, si precipitarono sui bronzi appena caduti dalle torri campanarie per portarne via per ricordo qualche pezzetto, anche minuscolo, da conservare come una reliquia. Nelle fasi finali del conflitto, un po' per l'accresciuto bisogno di bronzo, un po' per infliggere forse ulteriori umiliazioni al nemico che stava ormai per sconfiggerli, gli Austriaci asportarono anche le poche campane rimaste, senza più alcun riguardo per la loro antichità o il loro peso, lasciando così alla fine centinaia di campanili assolutamente vuoti. In alcuni casi però, prevedendo la prossima requisizione, parroci o fabbricieri ebbero la furbizia di smontare e calare di nascosto una o più campane per nasconderle sotto terra o in luoghi imprevedibili: così facendo ne salvarono diverse, che sono giunte fino a noi, ma comunque sempre in un numero irrisorio rispetto a quanto esistente nel periodo prebellico. Terminata la guerra, si riuscì in breve tempo a recuperare qualche campana, integra o incrinata ma non frantumata, che doveva ancora essere spedita fuori dall'Italia o, appena giunta nell'Impero asburgico, non era stata ancora fusa. Esse furono rimandate alle parrocchie di origine, se identificabili, o prestate temporaneamente ad altre che ne erano prive. Qualche comunità, nonostante le grandi ristrettezze economiche, fece subito fondere i nuovi bronzi, mentre altre, la maggio-
332
ranza, attesero invece che cominciasse a svolgere la sua funzione l'Opera di Soccorso, con opportuni finanziamenti destinati al ripristino del patrimonio campanario distrutto dal conflitto. Nel giro di qualche anno, più rapidamente in certi casi, più lentamente e non senza polemiche in altri, i campanili dei paesi friulani ritornarono a ospitare concerti di nuova fusione che ritmavano i tempi dell'esistenza. Rimane però assolutamente non rimarginabile la ferita causata dalla perdita di alcune campane di grande valore storico e artistico definitivamente scomparse nel caos della guerra, il che ci fa maggiormente apprezzare i pochissimi esemplari antichi avventurosamente sopravvissuti e pervenutici, come, giusto per fare qualche esempio, le due campane medievali di Clauzetto, il cosiddetto 'campanone' di Valvasone (17 33) o la campana mezzana di Coltura (1778).
Bibliografia Campane e campanili dell'Alto Pordenonese, a cura dell'Associazione Scampanadòrs Furlans, Pordenone 2013. M. BERTAZZOLO, Me fregit furor hostis .. . , «Atti dell'Accademia 'San Marco' di Pordenone» 16, 2014, pp. 927-960.
333
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo (IC Caneva) - Gruppo di lavoro composto da: Erika Brieda 3 aB, Francesca Fregonese 3a A, Tommaso Mazzucco 3aB ... Il secondo documento analizzato è intitolato "Statistiche delle campane asportate dalle provincie [sic] venete dai germanici e dagli austroungarici o distrutte nella zona di guerra" ed è stato pubblicato nel 1919 a Venezia. Reperito presso l'Archivio Storico del Seminario di Pordenone, tale documento riporta una statistica dettagliata relativa al peso e al numero delle campane rubate da parte degli occupanti tedeschi e austriaci nei vari paesi e diocesi italiani occupati durante il periodo 1917-1918. Questo libricino ci ha aiutato a capire quanto sapevamo solo per sentito dire, cioè che nel periodo di dominio straniero del nord-est vennero asportate moltissime campane per poi essere fuse ericreare armi o utensili di metallo. Di seguito riportiamo i dati relativi ai singoli comuni della Diocesi di Concordia-Pordenone e quelli più generali relativi alle Diocesi delle zone occupate dal nemico.
334
STATISTICA DELLE CAMPANE ASPORTATE DALLE PROVINCE VENETE DAI GERMANICI E DAGLI AUSTRO-UNGARICI O DISTRUTTE NELLA ZONA DI GUERRA DIOCESI DI CONCORDIA-PORDENONE NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
Alvi so poli
3
3,62
Anduins
4
22,7
Andreis
5
15,8
Annone
4
31,2
Arba
3
28
Arzene
6
14,06
Aurava
3
9,5
Aviano
6
30
PAESE
Azzanello
3
9
Azzano Decimo
9
28
Bagnara
3
9
Bagnarola
3
41
Bando
3
7,45
Barbeano
7
31,15
Barcis
4
16
Barco
3
9,5
Basaldella
3
22,47
Basedo
5
6,8
Baseglia
3
8,62
Bannia
3
8
Belfiore
2
2,5
Blessaglia
3
22
Braidacurti
2
0,5
Brische
3
11
Budoja
4
11
Campane
3
14,6
Canal Di Vito
3
19
Casarsa
5
18
Casiacco
2
2,03
Castel d'Aviano
4
17,16
335
PAESE
NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
Castel novo
8
43,5
Castions
7
24,4
Cavasso
7
57
Cecchini
3
8,35 10
Cesarolo
336
Chievolis
3
21
Chions
4
24,35
Cimpello
3
11,5
Cimolais
6
24,5
Cintello
4
14
Cinto
9
31,86
Claut
5
15,4
Clauzetto
5
34,56
Colle di Fanna
3
14,6
Coltura
3
16,88
Concordia
4
24
Corbolone
4
32,65
Cordenons
12
63,85
Cordovado
8
24
Corva
4
11,15
Cosa
4
6,97
Cusano
3
11
Dardago
3
27
Domanins
3
26,8
Fagnigola
3
8,5
Fanna
5
37,27
Fiume
3
11,01
Fontanafredda
7
26
Fossalta
11
21,9
Frisanco
5
23,3
Gaio
3
8,7
Giai di Gruaro
3
21,47
PAESE
NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
Giais d'Aviano
5
23,17
Giussago
3
7
Gleris
4
8,15
Gradisca
3
16,3
Grizzo Gruaro
4
19
lstrago
7
28,35
Lestans
3
15,63
Li son
3
9
Loncon
3
3,76
Lorenzaga
3
27,2
Lugugnana
3
12
Malnisio
3
24,98
Manazzons
3
9,2
Maniago
7
30,03
Maniago Libero
5
30
Maron
3
12
Marsure
4
32,3
Mezzomonte
3
15,04
Montereale
7
35,64
Morsano
4
19,47
Murlis
2
2
Meduna
Navarons
3
17,58
Orcenico lnf.
3
13,5
Orcenico Sup.
4
21,88
Ovoledo
3
3
Pasiano
4
26,4
Pescincanna
6
10
Pinzano
5
37
Pielungo
3
19,5
Poincicco
1
1
337
NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
Poffabro
5
24,7
Polcenigo
15
25
Pordenone San Giorgio
3
22
Porcia
13
40
PAESE
Pordenone San Marco
Portovecchio
4
25
Portogruaro S. Andrea
5
27,23
Portogruaro S. Agnese
3
7,75
Portogruaro S. Giovanni
2
5,4
Portogruaro S. Nicolò
3
10,5
Pozzo
3
12
Pradipozzo
3
10
Pradis
3
12
Pramaggiore
3
25
Prata
6
60
Pravisdomini
6
13,96
Prodolone
5
21
Provesano
3
32,22
Puja
3
13,08
Rauscedo
3
12,5
Rorai Grande
3
20
Roveredo
5
30 4
Salute
338
Salvarolo
3
5
San Foca
7
20,5
S. Giorgio Richinvelda
5
41
S. Giorgio Latisana
3
27
S. Giovanni di Casarsa
10
42,3
S. Giovanni di Polcenigo
5
30
S. Leonardo di C.
3
18
S. Lorenzo di Valvasone
5
15
S. Lucia
5
8,5
PAESE
NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
S. Martino di Camp.
3
25,48
S. Martino di Valvasone
9
32,5
San Michele di Latisana
4
24,15
S. Odorico
3
4
S. Quirino
7
39,13
S. Stino
7
52
S. Vito al Tagliamento
18
90
Savorgnano
4
28,77
Sedrano
4
21,1
Sequals
11
40,8
Sesto
4
47,8
Settimo
3
9,5
Solimbergo
4
15,75
Spilimbergo
12
41,05
Summaga
4
34
Tajedo e Villutta
8
16
7
33,74
Tesis
5
18,36
Tiezzo
2
2,56
Tamai Tauriano Teglio
Tappo
6
29,5
Torrate
2
2
Torre
3
16
Tramonti di Sotto
7
31
Tramonti di Mezzo
3
17
Tramonti di Sopra
7
45
Vacile
3
11,3
Vado
3
8,5
Valeriano
4
25,35
Valle Noncello
2
15
Travesio
339
PAESE
NUMERO DELLE CAMPANE
PESO IN QUINTALI
Valvasone
3
35,6
Vigonovo
7
39
Villanova di Pordenone
4
7,85
Villanova di Latisana
4
15,4
Villotta
3
22
Visinale
5
15,75
Vito d'Asia
5
35
Vivaro
4
31,75
Zoppola
4
33
CAMIP,AN E AS,POil'i'A'i'E U.CU A.aSl'RIACJ NEL NORD· ITAl!.IA NUll'll!ll'O
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340
Foto, disponibili nel sito bildarchivaustria.at, che testimoniano l'asportazione delle campane da parte delle truppe austriache.
Trasporto di una campana asportata da una chiesa friulana (foto tratta da collezione privata).
341
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Lavoriamo
sulle fonti
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Claut (IC Montereale Valcellina) - Classe 3a A
Dopo aver osservato il Monumento ai Caduti sito in Piazza San Giorgio a Claut gli alunni hanno trascritto i nomi dei combattenti della Prima guerra mondiale. Successivamente hanno consultato i registri di morte relativi agli anni 1915-1930 custoditi presso l'archivio comunale del paese. I dati rilevati sono stati inseriti nella seguente tabella e integrati con le informazioni ricavate dal sito www.cadutigrandeguerra.it I nomi dei combattenti in grassetto corrispondono ai nominativi presenti sul monumento, gli altri sono stati trovati nei documenti d'archivio.
NOME DEL SOLDATO
DATA DI NASCITA
DATA DI MORTE
Barzan Nascimbene Capor. Bellitto Angelo di Giovanni Sold. 8° Reggimento alpini
LUOGO
CAUSA
In prigionia 1895
4marzo1918
In prigionia Mathausen
Malattia contratta in guerra
Bronchite, polmonite
Bellitto Carlo Sold.
Malattia contratta in guerra
Bellitto Eugenio di Osvaldo Sold.
1894
Bellitto Vittorio di Luigi Sold. 6° Reggimento alpini
5 maggio 1898
Bertagno Angelo di Pietro Sol d. 8° Reggimento Artiglieria da Fortezza
27 febbraio 1893
In prigionia Sep. al cimitero di Milowitz
Malattia contratta in guerra
6 novembre 1918
Ospedale da campo 0111
Malattia contratta in guerra
2 aprile1917
Val Degano, Carnia, Monte Crostis
Bronco polmonite Ferite riportate in combattimento
Caduta da Valanga: asfissia
343
DATA DI NASCITA
DATA DI MORTE
Borsatti Giacomo di Luigi Sold. 8° Reggimento alpini
13 gennaio 1878
14dicembre 1916
Candussi Ernesto di Eugenio Sold. 228° Reggimento Fanteria
13 gennaio 1896
19luglio 1917
Colman Angelo di Carlo Sold. 1° Reggimento Fanteria
Snovembre 1893
21 aprile 1917
In prigionia
Malattia
Col man Felice di Felice Sold. 34° Reggimento fanteria
28febbraio 1887
19gennaio 1917
Sul Carso
Ferite riportate in combattimento
Colman Nascimbene di Angelo Operaio militarizzato
1867
27 ottobre 1918
Erbezzo (VR)
Malattia
De Filippo Giovanni Sold. 6° Reggimento alpini
S luglio 1884
14ottobre 1918
In prigionia
Della Valentina Giuseppe di Valentino
55 anni
17 marzo 1918
Ospedale da campo 0901 Villaverla (VI)
Malattia: polmonite
Fabbro Angelo di Giuseppe Sold. 8° Reggimento alpini Decorato medaglia di bronzo al V.M.
17 maggio 1888
8 luglio 1915
Monte Pal Piccolo
Ferite riportate in combattimento
Fabbro Angelo di Carlo Sold. 8° Reggimento alpini
27 agosto 1895
8 marzo
In prigionia
Ferite riportate in combattimento
Fabbro Emilio di Giovanni Sold. 8° Reggimento alpini
27 gennaio 1880
14 settembre 1915
Monte Pal Piccolo Disperso
Ferite riportate in combattimento
NOME DEL SOLDATO
LUOGO
Ferite riportate in combattimento Sul Carso
Ferite riportate in combattimento
Ferita alla testa da scheggia di bombarda nemica
Fabbro Giorgio Sold.
Malattia contratta in guerra
Fabbro Lorenzo di Giobatta Sold. 8° Reggimento alpini
14giugno 1891
27 marzo 1916
Monte Pal Piccolo Disperso
Ferite riportate in combattimento
Fabbro Valentino di Matteo Sold. 5° Reggimento alpini
28 dicembre 1897
24febbraio 1919
Ospedale da Campon.156
Malattia contratta in guerra
Filipputti Felice Capor.
344
CAUSA
NOME DEL SOLDATO Filipputti Raimondo di Luigi Sold. ss Reggimento fanteria 0
DATA DI NASCITA
DATA DI MORTE
12 agosto 1897
31 maggio 1918
LUOGO
CAUSA
In prigionia Milowitz (Repubblica Ceca)
Malattia: edema
Giordani Giovanni Serg. M.
Malattia contratta in guerra
Giordani Giuseppe Capor. Giordani Guglielmo di Carlo Cap. 57° Reggimento fanteria
27 aprile 1896
25 maggio 1917
Sul medio Isonzo
Ferite riportate in combattimento
Giordani Riccardo fu Ignazio Sold. 7° Reggimento alpini
29 luglio 1987
21 luglio 1918
In prigionia Osjek (Croazia)
Malattia contratta in guerra
Grava Giacomo di Agostino Sold. 8° Reggimento alpini
26giugno 1889
1 novembre 1917
Grava Giovanni Sold. 8° Reggimento alpini
21 anni
16giugno 1918
Tubercolosi polmonare In prigionia Disperso Ferite riportate in combattimento
Ferita d'arma da fuoco all'arto inferiore sinistro Grava Luigi di Domenico Sold. 55° Reggimento fanteria
13 gennaio 1896
Grava Luigi di Valentino Sold. 58° Reggimento fanteria di marcia
31 ottobre 1899
Grava Vittorio di Giuseppe Sold. 1° Reggimento fanteria
15 Ottobre 1889
15 settembre 1916
16novembre 1917
18 settembre 1915
Sul Carso Oppacchiasella (Gorizia)
Sul Piave Sepolto nel cimitero di Fagarè (TV)
Ospedale da campon.231 Cormons
Lorenzi Lorenzo Sold. Lorenzi Luigi di Giuseppe Serg. 157° Reggimento fanteria
Ferite riportate in combattimento
Durante/a ricognizione dei cadaveri sul campo ebbe ferite multiple da palette di shrapnel a fucile Ferite riportate in combattimento
Scheggia di granata
Malattia contratta in guerra
Malattia contratta in guerra 20 luglio 1885
17 novembre 1917
51 Sezione di Sanità
Ferite riportate in combattimento
345
DATA DI NASCITA
DATA DI MORTE
LUOGO
CAUSA
Martini Giovanni di Giovanni Battista Sold. 8° Reggimento alpini Decorato medaglia d'argento alV.M.
1 agosto 1890
11 giugno 1915
Monte Pal Grande
Ferite riportate in Combattimento
Martini Giuseppe Sold. 8° Reggimento alpini
1887
8 dicembre 1917
In Prigionia Cassel (GR) Fatto prigioniero il 27 ottobre 1917 presso il Tagliamento
Martini Ignazio di Giovanni Capor. 116° Reggimento fanteria
11 febbraio 1893
19luglio 1917
Ospedale da campo n°144
NOME DEL SOLDATO
Martin i Carlo Ca por.
Di proiettile di fucile
Martini Luigi Sold.
Da scheggia di granata Malattia contratta in guerra
Martin i Osvaldo di Giobatta Sold. 228° Reggimento fanteria
1 gennaio 1891
14ottobre 1916
Ospedale da campo n.68
Martin i Vittorio di Giovanni Battista Sold. 55° Reggimento fanteria
31 agosto 1896
17 settembre 1916
Nella 19° Sezione di Sanità
Ferite riportate in combattimento
Martin i Vittorio di Giuseppe Sold. 116° Reggimento fanteria
25 marzo 1887
29 ottobre 1915
Val D'Assa
Ferite riportate in combattimento
Oliva Felice Sold.
346
Ferite riportate in combattimento
Ferite riportate in combattimento
Cancrena gassosa per ferita da scheggia di granata alla regione femorale
Malattia contratta in guerra
Oliva Giuseppe di Luigi Sold. 47° Reggimento fanteria Decorato con medaglia d'argento alla memoria
11 gennaio 1883
30 luglio 1915
Monte Pal Piccolo
Ferite riportate in combattimento
Parutto Angelo di Giacomo Sold. 62° Reggimento fanteria
13 dicembre 1894
15 Giugno 1916
Ospedale da campo n. 029
Ferite riportate in combattimento
DATA DI NASCITA
DATA DI MORTE
Parutto Angelo di Luigi (Poi) Sold. 8° Reggimento alpini
12 luglio 1890
Parutto Ignazio
NOME DEL SOLDATO
LUOGO
CAUSA
1 dicembre 1918
Ospedale da campo n.119
Malattia contratta in guerra Polmonite
1896
31 gennaio 1918
Sep. A Merick Trenk
Tubercolosi
Parutto Osvaldo di Giovanni Cap. M. 53° Reggimento fanteria
21 settembre 1887
29febbraio 1916
Monte Tre Cime di Lavaredo
Frattura di tre coste, enfisema, asfissia, in seguito a caduta di valanga
8° Reggimento alpini Decorato medaglia di bronzo al valor militare
13 giugno 1885
6 ottobre 1916
Monte Cauriol
Ferite riportate in combattimento
347
l' llAllA ·Ol[HIARI &ll[RRA Alt' IU~TRIA-UH&HfRIA Una n~ta italiana alle P~lmc.- Lt ~!alt Ma~ID~rc Jarlc ~cr il ~am~~
Dichiarazione di guerra, 24 maggio 1915.
Unità d'apprendimento sulla Grande guerra Scuola Secondaria di primo grado di Maniago (IC Maniago) Classe 3a A
Soldati Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.
Destinatari I discenti della secondaria di primo grado, classe III E
Tempi 8 ore
Periodo Febbraio-marzo
Strumenti Lavagna Lim, internet, fotografie, cimeli, testo in adozione e libri sull'argomento.
Finalità Questo lavoro ha un duplice obiettivo, da una parte, attraverso l'indagine guidata, scoprire aspetti sconosciuti della storia familiare e locale, dall'altra collegare tali eventi con quelli macroscopici della storia nazionale ed europea.
349
Competenze Sviluppare la coscienza del sé in relazione alla storia locale, nazionale ed europea. Comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto tra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografiche e culturali.
Abilità/Capacità Riconoscere le dimensioni del tempo e dello spazio attraverso l'osservazione di eventi storici e di aree geografiche Collocare i più rilevanti eventi storici affrontati secondo le coordinate spazio-tempo Identificare gli elementi maggiormente significativi per confrontare aree e periodi diversi Comprendere il cambiamento in relazione agli usi, alle abitudini, al vivere quotidiano nel confronto con la propria esperienza personale Leggere le differenti fonti letterarie, iconografiche, documentarie, cartografiche, ricavandone informazioni su eventi storici di diverse epoche e differenti aree geografiche
Conoscenze Le periodizzazioni fondamentali della storia mondiale I principali fenomeni storici e le coordinate spazio-tempo che li determinano I principali eventi che consentono di comprendere la realtà nazionale ed europea I principali sviluppi storici che hanno coinvolto il proprio territorio Le diverse tipologie di fonti
Metodo Brainstorming, mappa concettuale, esposizione autonoma, indagine storica, dialogo ermeneutico.
350
Attività extrascolastiche In data 17 marzo, visita ai luoghi della Grande guerra: S. Michele del Carso e il sacrario di Redipuglia.
Bibliografia~ riferimenti essenziali - Pagine della Grande guerra a Maniago di Giuliano Cescutti - Libro di testo: Silvio Paolucci - Giuseppina Signorini, I; ora di storia, val. 3, Zanichelli, 2008 - Appunti del seminario sulla Grande guerra tenuto dal prof. Fabio Todero Corsi formativi per neoassunti organizzati dall'istituto ISIS Zanussi di Pordenone
FASE 1 (tempi: 1 ora) Macrostoria Riflessione: perché ricordare la Grande guerra a distanza di 100 anni? La docente esordisce chiedendo: perché ricordare la Grande guerra del 1914-1918? Ecco alcuni spunti che permettono alla classe di ragionare sui profondi cambiamenti che tale conflitto ha portato. Nuovi equilibri internazionali Memoria di massa Prima guerra di massa della storia Prima guerra totale della storia Prima guerra della modernità Morte di massa Circa 30 milioni di feriti Crollo di grandi imperi Nascita di nuovi stati Nascita di sistemi totalitari Guerra di posizione e di logoramento Innovazioni tattiche
351
Politiche genocide Uso massiccio propaganda
FASE 2 (tempi: lora e 30) Macrostoria Conoscenze per le competenze: i grandi eventi della Grande guerra e la cronologia essenziale. La docente spiega gli antefatti che portarono allo scoppio del conflitto e l'evolversi della guerra fino alla sua conclusione, servendosi del libro di testo e di uno schema semplificato.
Condizioni socio-
.
Colonialismo: alcuni Stati dominano e controllano altri
economiche
Paesi per:
dell'Europa nei
-
ottenere materie prime
primi anni del
-
avere nuovi mercati dove vendere i prodotti delle
Novecento
proprie industrie Imperialismo: ogni Stato vuole espandere il proprio
dominio su altri territori. Nazionalismo: sentimento fortissimo di esaltazione
della propria nazione.
CASUS BELLI della
28 giugno 1914: uno studente serbo uccide Francesco
Prima guerra
Ferdinando, erede al trono austro-ungarico
mondiale
352
Eventi della
28 luglio 1914: scoppia la Prima guerra mondiale
Guerra 24 maggio 1915: l'Italia dichiara guerra all'Austria 1917: l'Italia viene sconfitta a Caporetto 1917: entrano in guerra gli Stati Uniti 15 dicembre 1917: armistizio tra Russia, Austria e Germania 3 novembre 1918: armistizio tra Austria e Italia. Fine della guerra. 1918: l'Italia ottiene Trento, Trieste, Udine e Bolzano.
Altri eventi
1917: scoppia la rivoluzione russa. I rivoluzionari, gui-
importanti
dati da Lenin, formano un nuovo governo. Aboliscono le proprietà terriere e l'industria privata
Conseguenze
.
Dopoguerra:
della guerra -
milioni di morti
-
aumento dei prezzi, povertà
-
malattie
-
criminalità e disoccupazione
Avvento del fascismo in Italia (Benito Mussolini) e del nazismo in Germania (Adolf Hitler)
353
La docente, servendosi di un'interazione dialogica, pone ai discenti dei quesiti per spiegare i passaggi storici più complessi presenti nella successiva mappa concettuale (CMAP).
l
354
.
_
J
FASE 3 (tempi: 2 ore, 1 ora in classe e 1 ora a casa) Microstoria Dalla storia mondiale alla storia locale Grazie al testo di Giuliano Cescutti "Pagine della Grande guerra a Maniago", la docente può fare riferimento ad alcuni aspetti che hanno toccato da vicino la città di Maniago quali, ad esempio, la profuganza, la disoccupazione e la mobilitazione. Inoltre, dalla riflessioni su questi aspetti di storia locale, la docente comincia a interrogare i ragazzi sulla partecipazione dei loro antenati alla guerra. A tal fine viene dato un breve questionario ai ragazzi, affinché indaghino interagendo con la famiglia su questo argomento.
Breve intervista da completare in sede domestica Rispondi, dopo aver consultato i membri della tua famiglia.
1. Dove si trovavano i tuoi familiari nel periodo che va dal 1914-1918? 2. Hanno vissuto episodi legati alla Prima guerra mondiale? Se sì, quali?
3. Sono stati conservati ricordi materiali di quell'epoca (foto, lettere, giornali, etc. .. )? Se sì, quali?
4. In famiglia, qualcuno ricorda poesie o canzoni che andavano di moda in quell'epoca? Se sì, trascrivile.
355
FASE 4 (tempi: 2 ore e 30) Raccolta e cernita delle risposte e degli elementi più significativi e funzionali alla conoscenza della storia locale-nazionale e mondiale. Le risposte vengono visualizzate sulla Lim e commentate; si ragiona sui luoghi, quindi sulla geografia della Grande guerra, sulle esperienze dei loro antenati, anche dolorose, sui sentimenti che esprimevano le canzoni, etc. Viene letta una testimonianza di un cittadino di Maniago tratta dal testo di Giuliano Cescutti.
Risposte al quesito n. 1 Dove si trovavano i tuoi familiari nel periodo che va dal 1914-1918? Alunno D. S.: "Il mio bisnonno tra il 1914-1918 ha vissuto qui a Maniago (PN)" Alunna ES.: "A Preone (UD), un piccolo paese di montagna". Alunna 0.C.: "I miei familiari si trovavano nella provincia di Treviso (TV)". Alunna P. E: "All'epoca i miei familiari paterni vivevano in una cittadina a sud-est dell'Albania, che adesso è riconosciuta come provincia". Alunna Q. I.: "I genitori di mio nonno vivevano nello stesso paese in cui abito attualmente, Campagna; mentre quelli di mia nonna vivevano a Tramonti di Sopra (PN)" Alunna S.l.: "I miei antenati si trovavano qui a Maniago (PN)". Alunna S. A.: "I miei bisnonni materni hanno vissuto in val Tramontina (Prealpi Carniche, PN) dal 1914 al 1918, quelli paterni, invece, hanno vissuto a Maniago (PN)".
356
Risposte al quesito n. 2 Hanno vissuto episodi legati alla Prima guerra mondiale? Se sì, quali?
Alunna 0.C.: "Entrambi i bisnonni hanno partecipato alla Prima guerra mondiale, il bisnonno paterno ha combattuto sul Piave". Alunna P. F: "Sì, loro hanno vissuto episodi relativi alla Prima guerra mondiale. Mio nonno mi ha raccontato che la Grecia ha attaccato da sud occupando tutta la cittadina. I greci bruciavano le scuole albanesi, rendendo ancora più debole uno stato giovanissimo nato solo nel 1912. Ebbene, mi ha raccontato che il padre del mio bisnonno paterno aveva intenzione di intrufolarsi insieme a suo cugino nello stato della Grecia per fare fortuna là. Decisero quindi di passare attraverso le montagne che separano i due stati e durante il tragitto decisero di fermarsi e riposare. Mentre riposavano, tre soldati greci li sorpresero e li picchiarono talmente forte che il cugino del mio trisavolo rimase paralizzato. Li riportarono all'interno del confine albanese e li fucilarono davanti alle loro mogli che piangevano disperate. Per le donne questo era un brutto colpo perché all'epoca le donne non lavoravano e non potevano guadagnarsi il cibo. Addirittura la moglie del cugino del mio trisavolo si trovò costretta ad abortire per potere risposarsi, mentre la mia trisnonna trovò subito marito perché giovanissima". Alunna Q. I: "Mia nonna ricorda che suo nonno le raccontava di aver partecipato alla battaglia di Caporetto e le parlava anche delle battaglie sul Piave". Alunna S. I: "Sì, hanno vissuto episodi della Prima guerra mondiale. Una volta gli invasori fecero irruzione nella casa dei miei familiari, li buttarono fuori e rubarono tutte le scorte di cibo e tutte le cose che ritenevano a loro utili". Alunno D. S: "Il mio bisnonno Domenico si trovava a combattere sul gruppo Adamello a passo Tonale a nord del Bergamasco. Il mio bisnon-
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no Domenico, verso la fine della guerra si trovava con il tenente a Passo Tonale e incontrarono un tenente austriaco in ritirata. Il tenente italiano impose all'austriaco di arrendersi, ma questi si rifiutò e il tenente estrasse la pistola e lo uccise. Il mio bisnonno, che aveva assistito alla scena, chiese al tenente se poteva prendere la cintura del nemico come ricordo". Alunno D.S.: "Mia nonna Giovanna ( Gianna) di Claut mi ha raccontato un episodio avvenuto molto tempo fa. Il nonno di mio nonna (morto in guerra) ha combattuto sopra Tolmezzo, in un paesino della Carnia dove, alla fine della Prima guerra mondiale, attendevano l'arrivo del re Vittorio Emanuele III. Nella stesso periodo, anche la nonna di mia nonna partì insieme al mio bisnonno, che all'epoca aveva solo qualche mese, per questo paese sopra Tolmezzo in cui mio trisavolo stava combattendo. Partì con il treno e mentre saliva in carrozza con il piccolo in braccio e delle "tovagliette" (perché a quell'epoca non c'erano delle valigie) s'imbatté in un signore molto distinto, basso e che indossava un lungo mantello. Costui si propose di aiutare la mia trisavola, vedendola così indaffarata e in difficoltà. Il signore distinto, nell'atto di salire con lei, aprì il mantello e si scoprirono numerose medaglie. A questo punto, vedendo lo sguardo attento della donna, chiese: "Mi riconosci?", ma lei non lo riconobbe e pensò si trattasse di un generale. Solo successivamente, raccontando l'episodio a suo marito, questi le disse: "Cara mia, mi sa tanto che hai viaggiato con il re". Alunna A.S.: "Hanno partecipato al Primo conflitto mondiale come soldati entrambi i bisnonni e il fratello di uno dei due. Il mio bisnonno paterno ha combattuto a Caporetto, è rimasto lì tre anni, successivamente si è ammalato di ulcera ed è stato ricoverato a Udine. Una volta guarito si è fermato in ospedale come aiuto-cuoco. Finita la guerra è andato a lavorare all'estero, prima in Francia e poi in Argentina. Il mio bisnonno paterno è nato nel 1887, ha combattuto sull'altopiano di Asiago e sul Monte Grappa in fanteria; ha combattuto lì
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per tutto il periodo della guerra, mentre il fratello del mio bisnonno paterno è nato nel 1899 (faceva parte dei ragazzi del '99), ha combattuto sul Pal Piccolo e sul Pal Grande nel corpo degli alpini con la carica di caporal maggiore. Entrambi i miei bisnonni hanno combattuto durante la disfatta di Caporetto e raccontavano che prima di sferrare gli attacchi dovevano bere cognac per avere il coraggio di affrontare il nemico". Viene stilato un breve "dizionario" geografico dei luoghi citati frequentemente nelle testimonianze. - Caporetto (Kobarid in sloveno, Cjaurét in friulano, Karfreit in tedesco) è un comune sloveno situato nella Slovenia occidentale, vicino al confine con l'Italia. Posta in posizione strategica nell'alta valle dell'Isonzo, è famosa per la battaglia della Prima guerra mondiale che si combatté in queste zone tra il 24 ottobre e il 26 ottobre 1917, tra le truppe italiane e quelle austriache, e si concluse con la celebre rotta delle truppe italiane che si dovettero ritirare fino al fiume Piave perché non esistevano piani per la difesa delle posizioni, essendo la strategia del Regio Esercito basata esclusivamente sull'offensiva. - Il Piave è un fiume italiano, che scorre interamente in Veneto nell'omonima valle. Nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, in provincia di Belluno, e la sua foce è nel Mar Adriatico, a nord-est di Venezia. È noto in tutta la Penisola come il "Fiume Sacro alla Patria" in memoria dei combattimenti di cui fu teatro durante la Prima guerra mondiale (la Prima battaglia del Piave e l'Offensiva del Piave, 1917-18). - Asiago è un comune italiano della provincia di Vicenza, in Veneto. Asiago ha subito, durante la Prima guerra mondiale (nella battaglia passata alla storia come Offensiva di Primavera), un terribile bombardamento che la rase completamente al suolo. - Il Monte Grappa è la principale cima (1775 m) dell'omonimo gruppo montuoso, localizzato nelle Prealpi Venete tra il canale del Brenta, la valle del Piave e il Feltrino.
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Nella Prima guerra mondiale, dopo la sconfitta italiana di Caporetto, la cima diventò il perno della difesa italiana, tanto che gli austriaci tentarono inutilmente e più volte di conquistarlo, per poi avere accesso alla pianura Veneta. - Vittorio Veneto è un comune italiano della provincia di Treviso. La battaglia di Vittorio Veneto, o terza battaglia del Piave, fu l'ultimo scontro armato tra Italia e Impero austro-ungarico nel corso della Prima guerra mondiale. Si combatté tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918 nella zona tra il fiume Piave, il massiccio del Grappa, il Trentino e il Friuli e seguì di pochi mesi la fallita offensiva austriaca del giugno 1918 che non era riuscita ad infrangere la resistenza italiana sul Piave e sul Grappa.
Approfondimento sui ragazzi del '99 Durante la Prima guerra mondiale, "ragazzi del '99" era la denominazione data ai coscritti negli elenchi di leva che nel 1917 compivano diciotto anni e che pertanto potevano essere impiegati sul campo di battaglia. Furono precettati quando non avevano ancora compiuto diciotto anni. I primi contingenti, 80.000 circa, furono chiamati nei primi quattro mesi del 1917, e, frettolosamente istruiti, vennero inquadrati in battaglioni di Milizia Territoriale. Alla fine di maggio furono chiamati altri 180.000 ed altri ancora, ma in minor numero, nel mese di luglio. Ma i primi ragazzi del 1899 furono inviati al fronte solo nel novembre del 191 7, nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il loro apporto, unito all'esperienza dei veterani, si dimostrò fondamentale per la vittoria finale. Le giovanissime reclute appena diciottenni del '99 sono da ricordare in quanto nella Prima guerra mondiale, dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), in un momento di gravissima crisi per il Paese e per il Regio Esercito, rinsaldarono le file sul Piave, sul Grappa e sul Montello, permettendo all'Italia la riscossa nel '18 a un anno esat-
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to da Caporetto con la battaglia di Vittorio Veneto e quindi la firma dell'armistizio di Villa Giusti da parte dell'Impero austro-ungarico. A partire dal primo dopoguerra, il termine "ragazzi del '99" si radicò ampiamente nella storiografia e nella pubblicistica italiana, tanto da entrare nell'uso comune per riferirsi a tutti i militari nati nel 1899.
Risposte al quesito n. 3 Sono stati conservati ricordi materiali di quell'epoca (foto, lettere, . 1·1, etc... )7. e s1, qua1·1.1 g10rna
s '
Alunna E S.: "Ci sono ancora il banco da falegname con la vite a legno e tutti gli attrezzi del mestiere e la gerla. Tutti costruiti da lui". Alunna 0.C.: "Entrambi i bisnonni hanno ricevuto la croce di guerra, quella del bisnonno paterno è a casa dai miei nonni". Alunna Q. I. "La nonna ha conservato una foto del nonno in divisa da alpino". Alunno S.D.: "La cintura che il mio bisnonno ha preso all'austriaco ucciso dal tenente. La cintura è lunga 11 O cm per 5 cm, è nera e ha cinque buchi. Mio nonno, figlio di Domenico, la tiene con cura come cimelio di guerra". Alunna S.A.: "Sì, sono stati conservati dai miei bisnonni materni la croce al merito di cavaliere di Vittorio Veneto e delle foto-cartoline ricordo: una del fidanzato della mia bisnonna e l'altra con la foto di un cugino della mia bisnonna, corredata da parole che testimoniavano il suo stato di buona salute (foto qui di seguito). Dei familiari paterni non abbiamo conservato nulla perché appena finita la guerra sono emigrati in Germania e in Olanda".
361
362
Vengono ripresi e approfonditi alcuni aspetti che riguardano l'abbigliamento e le onorificenze dal momento che i discenti ne parlano nella loro intervista.
Confronto tra la divisa da alpino della Prima guerra mondiale e la divisa attuale.
Onorificenza dell'Ordine di Vittorio Veneto L'Ordine di Vittorio Veneto è stato istituito con Legge 18 marzo 1968, per "esprimere la gratitudine della Nazione" a quanti, avendo combattuto per almeno sei mesi durante la Prima guerra mondiale o precedenti conflitti, avessero conseguito la croce al merito di guerra. Capo dell'Ordine, comprendente una sola classe di Cavalieri, è il Presidente della Repubblica; un Generale di Corpo d'Armata ne presiede il Consiglio, che provvede al vaglio delle domande avanzate dagli interessati.
363
Risposte al quesito n. 4 In famiglia, qualcuno ricorda poesie o canzoni che andavano di moda in quell'epoca? Se sì, trascrivile.
Alunna 0.C.: "Si ricordano della canzone Il Piave mormorava". Alunna Q. I.: "La nonna ricorda una canzone imparata alle elementari: Il Piave". Alunno S.D.: "C'erano delle canzoni del periodo 1915-1918 quali Il testamento del capitano, Sul cappello che noi portiamo, Sul ponte di Bassano, Il Piave". Alunna S.A. "Si ricordano la poesia di Giuseppe Ungaretti Soldati e La canzone del Piave".
Approfondimento sulla "Leggenda del Piave" Conosciuta anche come La canzone del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu scritto nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario). Nel dicembre del 1935 donò anche le prime cento medaglie d'oro ricevute, come riconoscimento per la canzone, dai comuni del Piave, da associazioni di combattenti, e da privati cittadini, come oro alla Patria insieme con le fedi sua e della moglie. Durante la Seconda guerra mondiale, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il governo italiano la adottò provvisoriamente come inno nazionale, in sostituzione della Marcia Reale. La monarchia italiana era infatti stata messa in discussione per aver consentito l'instaurarsi della dittatura fascista. La canzone del Piave ebbe la funzione di inno nazionale italiano fino al 12 ottobre 1946, quando fu sostituita da Il Canto degli italiani di Goffredo Mameli e Michele Novara.
364
La leggenda del Piave
Cenni storici (significato dei versi e cronologia degli eventi)
1. STROFA
1. Nella notte tra il 23 e il 24 maggio
Il Piave mormorava calmo e placido al
del 1915 l'Italia entrava in guerra:
passaggio
era l'occasione per completare il
dei primi fanti il ventiquattro maggio:
processo di unità nazionale e liberare
l'Esercito marciava per raggiunger la
il Trentino e la Venezia Giulia dal
frontiera,
dominio austriaco. li nostro esercito,
per far contro il nemico una barriera.
nel marciare coraggioso e silenzioso
Muti passaron quella notte i fanti;
verso la frontiera con l'Austria,
tacere bisognava e andare avanti.
passò sul fiume Piave, che espresse
S'udiva intanto dalle amate sponde
poeticamente la sua gioia con il
sommesso e lieve il tripudiar de /'onde:
tripudio delle onde.
era un passaggio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò: "NON PASSA LO STRANIERO''.
2. STROFA:
2. 24 ottobre del 1917, il nemico
Ma in una notte triste si parlò di
ruppe il fronte orientale italiano a
tradimento,
Caporetto; tutte le nostre forze ebbero
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
l'ordine di arretrare onde evitare
Ahi, quanta gente ha visto venir giù,
l'accerchiamento. Le perdite furono
lasciare il tetto,
pesanti e ad esse si accompagnarono
per l'onta consumata a Caporetto!
le polemiche.
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Si dovettero richiamare le riserve e
venivan a gremir tutti i suoi ponti.
arruolare i giovani di 18 anni, classe
S'udiva a/lor dalle violate sponde
1899, che per il valore ed il coraggio
sommesso e triste il mormorio de /'onde:
dimostrato meritarono l'appellativo di "classe di ferro''. Il Piave divenne il
come un singhiozzo in quell'affanno nero.
simbolo della Patria, che fu difesa con
Il Piave mormorò: "RITORNA LO
rinnovata determinazione sotto la
STRANIERO''.
guida del Generale Armando Diaz.
3. STROFA:
3. Sulla nuova frontiera Monte
E ritornò il nemico, per l'orgoglio e per
Grappa-Piave si decidevano le sorti
la fame
della guerra. La poderosa offensiva
volea sfogar tutte le sue brame.
scatenata dagli austriaci nel giugno
Vedeva il piano aprico di lassù: voleva
1918 cozzò contro l'eroica resistenza
ancora
degli italiani; le divisioni nemiche
sfamarsi e tripudiare come a/lor...
dovettero "ripassare in disordine il
"NO" disse il Piave, "NO" dissero i fanti,
Piave, sconfitte e incalzate dalle nostre
"mai più il nemico faccia un passo
valorose truppe" come si espresse nel
avanti"
bollettino di guerra il Generale Diaz.
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Si vide il Piave rigonfiar le sponde! e come i fanti combattevan /'onde. Rosso del sangue del nemico altero, Il Piave comandò: "INDIETRO VA'
della sconfitta. Gli austriaci e gli alleati
STRANIERO!"
tedeschi videro "cadere come foglie
La battaglia del Piave è stata una delle più gloriose della storia d'Italia: costò all'Austria 150.000 uomini e fu l'inizio
morte" nelle acque del Piave le loro speranze di vittoria, come scrisse il comandante tedesco Ludendorff dopo la guerra. 4. STROFA:
E indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento e la Vittoria sciolse le ali al vento. Fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti. Infranse a/fin l'italico valore le forche e l'armi dell'impiccatore. Sicure /'Alpi ... libere le sponde e tacque il Piave: si placaron /'onde. Sul patrio suol, vinti i torvi imperi, la pace non trovò NE' OPPRESSI, NE' STRANIERI.
4.11 24 ottobre 1918, proprio nel giorno anniversario della sconfitta di Caporetto, l'esercito italiano lanciò una massiccia e generale offensiva che portò alla vittoria dell'Italia, chiamata di Vittorio Veneto, dal luogo dove avvenne per primo lo sfondamento delle linee nemiche. L'avanzata italiana fu travolgente; dopo aver catturato centinaia di migliaia di prigionieri, il 3 novembre le truppe italiane entrarono in Trento e Trieste. Lo stesso giorno l'Austria si arrese e firmò l'armistizio, che sanciva la cessazione della guerra per il 4
E. A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta)
novembre. Solo allora si placarono le acque del Piave, quando furono sconfitti gli imperi oppressori e la Pace trovò gli italiani liberi sul patrio suolo, dalle Alpi al mare. Questa la Grande Storia condensata nella "Leggenda del Piave", la Storia di una guerra non di offesa ma di difesa della Patria, sostenuta dal popolo e valorosamente combattuta da nostri soldati per il completamento dell'unità d'Italia.
366
FASE 5 ~ Verifica finale ( 1 ora) Competenze da accertare Sviluppare la coscienza del sé in relazione alla storia locale, nazionale ed europea. Comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto tra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografìche e culturali. [La docente legge ad alta voce i quesiti per agevolare i DSA nello svolgimento del compito]
(conoscenze per le competenze) 1. Qual era la situazione dell'Europa prima dello scoppio della Prima guer-
ra mondiale? [... /10]
2. Per ciascuna affermazione indica il completamento corretto [... /10]
In Italia voleva la guerra D a. La maggioranza della popolazione D b. Una minoranza aggressiva e rumorosa L'Italia entrò in guerra Da. Nel 1914 accanto all'Austria e alla Germania D b. Nel 1915 accanto agli stati dell'Intesa Stando al patto di Londra, l'Italia, in caso di vittoria, avrebbe ricevuto D a. Il Trentino, il Sud Tirolo, Trieste, l'Istria e la Dalmazia D b. Il Trentino, il Sud Tirolo, Trieste e l'Istria
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I disagi della guerra D a. Affliggevano anche le popolazioni civili, in particolare la fame D b. Si sentirono soltanto al fronte
Le battaglie della Prima guerra mondiale erano attacchi che si sviluppavano D a. Lungo un fronte di vari chilometri e duravano a lungo, anche varie set-
timane D b. In una zona delimitata e duravano una sola giornata.
(il tempo: diacronia e sincronia) 3. Indica le date corrispondenti ai seguenti eventi. [... /10] a ............................................ .Assassino del principe austriaco Francesco Ferdinando b
Battaglia di Verdun e della Somme
c ............................................. Entrata in guerra degli Stati Uniti d ............................................. Entrata in guerra dell'Italia e ............................................. Conquista di Gorizia (da parte degli italiani)
f ..............................................Sconfìtta italiana a Caporetto g ............................................. Entrata in guerra degli Stati Uniti h ............................................. Fine della guerra ............................................... Rivoluzione d'Ottobre 4. Esercizio (Sintesi e rinforzo) [... /10] [La docente rilegge attentamente i termini in elenco e il testo da completare ai discenti DSA] Completa il testo con il seguente elenco: Serbia - guerra - Stati Uniti- pace - 1918 - posizione - poco - Francesco Ferdinando - quattro - Russia - Sarajevo - Inghilterra, America e Giappone - Germania, Turchia e Bulgaria 1915 - Caporetto.
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La Prima guerra mondiale scoppia alla fine di un lungo periodo di .................. tra gli stati. I governi pensavano che solo la .................. poteva risolvere i problemi e l'odio tra gli stati. La guerra doveva durare ............ , invece insanguina l'Europa per ............... . anni. La guerra scoppia dopo la morte di ............................... Lo uccide uno studente serbo a ............................ L'Austria dichiara guerra alla ................ Dalla parte dell'Austria combattono ...................................................................... . e contro l'Austria .................................................................................... . La guerra non è veloce come si voleva, ma diventa una guerra di .......................... . L'Italia entra in guerra nel ................. Nel 1917 si ritira la ...................perché c'è una rivoluzione interna al paese. In quell'anno entrano in guerra gli ............................. Sempre nel 1917 l'esercito italiano viene sconfitto a ........................... . La guerra finisce nel. ...................con la sconfitta degli Imperi Centrali (Austria e Germania).
5. Scrivi sulla carta i nomi degli Stati che si combatterono nella Prima guerra mondiale, utilizzando il blu per quelli dell'Intesa e il rosso per gli imperi centrali. Traccia poi la linea del fronte occidentale e di quello orientale. [.. ./10] [ai discenti DSA si richiede solo di elencare gli imperi Centrali e quelli dell'Intesa]
Imperi centrali
Stati dell'Intesa
369
6. Ora osserva attentamente la carta del nord-est Italia nel 1914: alla luce della tua e della nostra indagine, ritrovi sulla carta qualche luogo in cui hanno combattuto o vissuto dei tuoi antenati? Si tratta di luoghi significativi per la Grande guerra? Se sì, spiega perché [.. ./10].
( il confronto fra aree geografiche e culturali - coscienza del sé in relazione alla storia locale, nazionale)
370
Valutazione Ogni risposta viene valutata con un punteggio da 1 a 1O, la somma divisa per i quesiti costituirà la valutazione finale. Parametri - correttezza - completezza - chiarezza espositiva
Voto ....................... .
371
Indice
L'altra mobilitazione. Riflessi locali per educare alla pace ........................ p.
7
Chiara Aviani Uno sfondo per un'esperienza didattica ................................................................... »
11
Alessandro Fadelli A caccia della memoria. Strumenti per la conoscenza della Grande guerra ................................................................................................................ »
17
Alberta Maria Bulfon e Laura Guaianuzzi Breve inquadramento storico .......................................................................................... »
41
Giuliano Cescutti I profughi delle terre invase .............................................................................................. »
45
Alessandro Fadelli La bella, buona e giusta guerra ....................................................................................... »
49
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo Itinerari e mappature con i piedi sul territorio ... nel Pordenonese ..... »
57
Polcenigo
I monumenti ai Caduti ........................................................................................................ »
61
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo Le memorie dei protagonisti: mamma Angela .................................................... »
67
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo 1917 - Bollettini parrocchiali a San Giovanni e a Coltura ........................ »
73
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo Le memorie dei protagonisti: la maestra Nodari.. .............................................. »
79
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo Problemi di salute pubblica .............................................................................................. »
85
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo
373
I problemi per la società civile: i danni di guerra .............................................. p.
91
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo Claut Claut: vie, monumenti ai Caduti e lapidi... ............................................................ »
99
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Claut La Grande guerra e i nomi delle vie ........................................................................... »
107
Alessandro Fadelli Itinerario di Rommel Sui passi di Erwin Rommel: dalla val Meduna alla valle del Piave ...... »
113
Giuliano Cescutti Quanta storia in un santino ............................................................................................. »
11 7
Giuliano Cescutti Maniago Maniago: un itinerario urbano sulle tracce della Grande guerra ............ »
127
Giuliano Cescutti Lestans Monumenti ai Caduti ........................................................................................................... »
137
Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio Meduno La guerra a Meduno ............................................................................................................... »
145
Scuola Secondaria di primo grado di Meduno - Classi terze Le donne e la Grande guerra: l'eroismo della quotidianità......................... »
153
Giuliano Cescutti Il Monumento ai Caduti di Meduno .......................................................................... »
159
Scuola Secondaria di primo grado di Meduno - Classi terze Al piccolo museo privato del signor Andreino Ferrali. ............................. »
163
Scuola Primaria di Meduno - Classe quinta Navarons I monumenti ai Caduti ........................................................................................................ »
Alessandro Fadelli
374
171
Tramonti di Sotto - Tramonti di Mezzo - Tramonti di Sopra - Redona Elenco Caduti Prima guerra mondiale ...................................................................... p. 181
Scuola Primaria di Tramonti di Sotto - Pluriclasse Dai documenti alle storie: tre fratelli tramontini nella Grande guerra ............................................................................................................... »
195
Giuliano Cescutti Sentiero della Battaglia di Pradis Cento anni fa ... a Pradis la Prima guerra mondiale ........................................ » 231
Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio Sul Sentiero della Battaglia di Pradis ........................................................................ » 241
Scuola Secondaria di primo grado di Vivaro Il Sentiero della Battaglia di Pradis. Un'esperienza di valorizzazione attraverso luoghi, storie, testimoni. ......................................................................... » 24 7
Giuliano Cescutti Travesio Cento anni fa ... a Travesio la Prima guerra mondiale ................................... » 257
Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio La storia del grigio-verde in una mantellina ......................................................... » 263
Giuliano Cescutti Itinerari con i piedi sul territorio ... nell'Udinese ......................................... » 267 Cento anni fa ... a Ragogna la Prima guerra mondiale .................................. » 269
Scuola Secondaria di primo grado "A. Lizier" di Travesio Itinerari con i piedi sul territorio ... nel Goriziano ...................................... » 281 Le trincee delle Frasche ...................................................................................................... » 283
Scuola Primaria di Tramonti di Sotto Visita guidata alle trincee del Carso isontino ...................................................... » 285
Scuola Primaria di Meduno Escursione storico-naturalistica "nel cuore del fronte" .................................. » 293
Scuola Secondaria di primo grado di Meduno
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Appendice - Stumenti per la didattica .................................................................... p. 309 I ragazzi del '99 di Polcenigo ............................................................................................ » 311
Alessandro Fadelli I problemi per la società civile: i profughi... ........................................................... » 317
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo I morti di Coltura .................................................................................................................. » 327
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Polcenigo La requisizione delle campane nel Friuli occidentale ..................................... » 331
Alessandro Fadelli Lavoriamo sulle fonti ............................................................................................................ » 343
Scuola Secondaria di primo grado "G. Pascoli" di Claut Unità d'apprendimento sulla Grande guerra ........................................................ » 349
Scuola Secondaria di primo grado di Maniago
376
Sperimentare il territorio… il racconto è narrato con il linguaggio dei ragazzi di oggi attraverso le loro percezioni, emozioni, riflessioni e suggestioni. Dalla mappatura, alle esperienze di classe, dagli incontri con gli esperti locali ai seminari di approfondimento, dai materiali raccolti nelle famiglie e comunità agli archivi comunali… così abbiamo cercato di disegnare un percorso incentrato sulla consapevolezza, tentando di creare una nuova memoria delle vite di comunità, delle trasformazioni socio-economiche, del paesaggio e degli episodi accaduti oltre cent’anni fa nel Friuli occidentale. Cattura il codice QR con lo smartphone per accedere all’archivio integrale dei materiali raccolti dalle scuole e alla versione a colori di questa pubblicazione.