PARTE PRIMA
STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO
ALBERTO ROVIGHI
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE (Giugno 1940-Novembre 1941)
VOLUME I
NARRAZIONE PARTE PRIMA
ROMA 1995
INDICE GENERALE Presentazione .
Pag. III
ABBREVIAZIONI ED AVVERTENZE
Pag.
INTRODUZIONE
Pag. VII
V
1. La guerra in A.O.I.: una campagna poco o male conosciuta
»
VII
2. Una sintesi degli avvenimenti nel quadro del conflitto mondiale (IO giugno 1940 - 28 novembre 1941)
)>
X
PARTE I L'AMBIENTE E LA SITUAZIONE PRECEDENTE IL CONFLITTO CAPITOLO I
- L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
1. Cenni geografici .
Pag.
3
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12
Pag.
17
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20
Pag.
25
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38
3. Le forze italiane - loro caratteristiche generali
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40
4. Situazione logistica dell' A.O. I. all'inizio del conflitto .
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44
2. Alcune considerazioni di carattere operativo . CAPITOLO Il - ORDINAMENTO POLITICO-AMMINISTRATIVO E SITUAZIONE POLITICA DELL' A.O.I. I. Ordinamento politico e amministrativo
2. Situazione politica interna CAPITOLO III - LA SITUAZIONE MILITARE DELL'A.0.I. PRIMA DEL CONFLITTO I. L'ordinamento .
2. Le forze italiane: loro entità in personale e mezzi; loro dislocazioni iniziali
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORI.ENTALE
5. Alcune considerazioni in merito alla efficienza operativa delle forze italiane .
Pag. 49
CAPITOLO IV
- L'AVVERSARIO
Pag. 53
CAPITOLO V
- ORIENTAMENTI OPERATIVI E PROVVEDIMENTI ATTUA TI IN VISTA DI UN EVENTUALE CONFLITTO COINVOLCOLGENTE L'IMPERO .
CAPITOLO VI
Pag. 66
- ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SITUAZIONE MILITARE DELL'A.0.1. ALL'INIZIO DEL CONFLITTO.
Pag. 83
PARTE Il IL 1940: PERIODO DI PREVALENZA ITALIANA
Pag. 87
CAPITOLO VII - LE OPERAZIONI NEI PRIMI DUE MESI DI GUERRA (giugno-luglio 1940).
Pag. 89
CAPITOLO VIII - LA CONQUISTA DEL SOMALILAND (3-19 agosto 1940).
Pag. 101
CAPITOLO IX
CAPITOLO X
- LA DECISIONE DI ATTENERSI AD UNA STRATEGIA DI ATTESA ANCHE DOPO LA FINE DELLE GRANDI PIOGGE (luglioottobre 1940) .
Pag. 127
- A FINE 1940 UN PERIODO DI RELATIVA STASI VEDE UN RAPIDO MUTAMENTO DELLA SITUAZIONE E PONE LE BASI DEGLI A VVENÌMENTI SUCCESSIVI (novembre e dicembre 1940) .
Pag. 143
1. Il rafforzamento britannico .
2. Operazioni nel settore di Cassala: i combattimenti di M. Sciusceib (3-11 novembre) .
Pag. 143 »
145
INDICE GENERALE
3. Operazioni offensive britanniche a Gallabat (6-7 novembre) Pag. 148 4. Operazioni nel settore Keniota: El Uach (15 dicembre).
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151
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154
5. Le decisioni britanniche in vista di nuove iniziative offensive dal Sudan e dal Kenia . CAPITOLO Xl
- PROVVEDIMENTI E DIRETTIVE DEL COMANDO SUPERIORE IN A.O.I. DI FRONTE ALLA PROSPETTIVA DI UNA IMMINENTE OFFENSIVA BRITANNICA Pag. 157
1. La situazione alla fine del 1940 .
2. Le decisioni del Comando Superiore di Addis Abeba nei riguardi della strategia difensiva da seguire (24 dicembre 1940)
Pag. 157 »
162
PARTE III
L'OFFENSIVA BRITANNICA AL CUORE DELL'IMPERO
(Gennaio-Maggio 1941)
Pag. 175
CAPITOLO XII - GLI ULTIMI PROVVEDIMENTI IN VISTA DELL'IMMINENTE OFFENSIVA Pag. 177 BRITANNICA (gennaio 1941) CAPITOLO XIII - L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA.
Pag. 187
1. II ripiegamento da Cassala e da Gallabat e la battaglia di
Agordat-Barentù
a. Il terreno
Pag. 187 »
187
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194
c. Varianti alle circoscrizioni dei grandi Comandi militari
»
204
d. La battaglia di Agordat e Barentù: caduta delle due località
»
206
2. La battaglia di Cheren e l'occupazione britannica dell'Eritrea
»
220
a. Il terreno della battaglia di Cheren
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220
b. La situazione iniziale ed una sintesi delle operazioni .
»
224
c. Il primo tempo della battaglia (2-13 febbraio).
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228
b. La «contrazione» dello schieramento sul fronte Occidentale eritreo
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
d. Il secondo tempo della battaglia (14 febbraio - 14 marzo). Investimento della Piazza di Cheren anche dal Nord
e. Il terzo tempo della battaglia (15-27 marzo) .
Pag. 240 »
243
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258
4. Le operazioni nel Settore di Arresà e nel Tigrai Occidentale
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262
5. La difesa e la caduta di Massaua .
»
263
3. I combattimenti di Ad Teclesan (28-31 marzo) e la resa di Asmara (1 aprile)
CAPITOLO XIV - L'ATTACCO CONTRO LA SOMALIA
Pag. 271
1. Il terreno
Pag. 271
2. Gli avvenimenti precedenti l'offensiva britannica e la situazione alla fine del 1940 .
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275
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278
4. Le forze avversarie ed i loro intendimenti .
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5. Le operazioni nell'Oltre Giuba e l'evacuazione di Chisimaio
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297
3. Direttive e provvedimenti nell'imminenza dell'offensiva britannica
6. La difesa al Giuba e le operazioni sul fronte della 102a Divisione (Basso Giuba)
7. Il ripiegamento della 101 a Divisione dal Medio Giuba sul Galla e Sidama e sull'Harar
8. L'occupazione britannica di Mogadiscio ed il ripiegamento delle unità superstiti su Giggiga ed Harar .
.
INDICE DEGLI SCHIZZI NEL TESTO n.
1 - Etiopia: clima e precipitazioni
pag.
5
n.
2 - A.O.I.: comunicazioni stradali e ferroviarie .
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6
n.
3 - A.O.I.: principali comunicazioni stradali permanenti in esercizio nel 1940 e relative distanze .
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7
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19
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27
6 - Organizzazione di Comando in A.O.I. attuata in esito alle disposizioni del 24.5 .1940 e successive
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36
7 - Situazione delle forze contrapposte all'inizio delle ostilità secondo le stime dei Comandi Italiani
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37
8 - Basi navali ed aeree, italiane e britanniche in Africa Orientale
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45
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69
n. 10 - Le operazioni di frontiera (luglio 1940) .
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93
n. 11 - Le operazioni di Cassala (luglio 1940)
))
95
n. 12 - La zona di Gallabat -Metemma.
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97
))
105
n. 4 - Organizzazione politico-amministrativa dell' A.O.I. in tempo di pace . n. n. n. n. n.
5 - Ordinamento normale delle Forze Armate dell'Africa Orientale Italiana
9 - Gibuti e la costa francese dei Somali: Piani "G" e "G.I. "
n. 13 - Somaliland: dislocazione delle forze britanniche secondo i dati in possesso al Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I. n. 14 - Somaliland: dislocazione effettiva delle forze britanniche
sulle posizioni di Hargheisa-Tug Argan . pag. 107 n. 15 - Somaliland: visione d'insieme delle operazioni
))
109
n. 16 - Somaliland: le operazioni dall' 11 al 19 agosto
»
113
n. 17 - La zona di M. Sciusceib a N.O. di Cassala .
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146
n. 18 - La zona di El Uach .
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152
I LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
n. 19 - Le direttive del Comando Superiore FF.AA. dell' A .O.I. in data 24 dicembre 1940 per la costituzione dei ridotti nei vari Scacchieri .
»
167
n. 20 - Schieramento delle forze contrapposte al 1O.1.1941, nell' imminenza della offensiva britannica e secondo le informazioni risultanti al Comando italiano
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178
n. 21 - Il terreno delle operazioni in Eritrea .
»
188
n. 22 - Eritrea - Gli allineamenti montani .
»
192
n. 23 - Eritrea - Schema delle comunicazioni nel quadrilatero Cherù-Aicotà - Barentù-Agordat
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193
n. 24 - Eritrea - Le operazioni prima della battaglia di Cheren, fino al 2 febbraio 1941
»
195
n. 25 - Eritrea - Schieramento delle unità dello scacchiere nord alla data del 20 gennaio, e successivi spostamenti fino all'inizio della battaglia di Che'ren .
»
196
n. 26 - Variazioni alle circoscrizioni dei grandi Comandi militari alla fine di gennaio 1941
»
205
n. 27 - Cedimento della linea Agordat-Barentù: la battaglia di Agordat (27 - 31 gennaio 1941)
»
207
n. 28 - I combattimenti nella zona di Barentù
»
211
n. 29 - La battaglia di Cheren - Visione d'insieme (3 febbraio 27 marzo 1941).
»
221
n. 30 - La battaglia di Cheren - Le operazioni dal 3 al 13 febbraio 1941 .
»
229
n. 31 - La battaglia di Cheren - Forze contrapposte al 5-6-7 febbraio 1941 .
»
232
n. 32 - La battaglia di Cheren - Le operazioni dal 15 al 27 marzo 1941
»
244
n. 33 - La battaglia di Cheren - Forze contrapposte al 24 marzo 1~1
pq.~4
n . 34 - I combattimenti di Ad Teclesan (28-31 marzo 1941
»
259
n. 35 - L'occupazione di Massaua (8 aprile 1941)
)>
264
n. 36 - L'attacco contro la Somalia: gennaio-febbraio 1941
»
272
n. 37 - Le operazioni sul Basso Giuba dal 13 al 22 febbraio 1941
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283
PROPRIETÀ R!St:RVATA Tulli i dirirri riservati Vierata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione
© Ufficio Srorico SME - Roma 1988
Ja Edizione - Roma 1988 2a Edizione - Rmna 1995
Tipografia Fusa Editrice S.r. l. - Rom;,1 Via di Malagr'otta, 293 - 00050 Pome G aleria Finito di Swmpare - 011obrc 1995
PRESENTAZIONE Con questa pubblicazione «Le Operazioni in Africa Orientale 1940-41» l'Ufficio Storico prosegue nel suo programma di rielaborazione ed approfondimento delle attività che hanno visto impegnato l'Esercito Italiano nel corso della seconda Guerra Mondiale. La descrizione dei fatti d'arme nei vari Scacchieri del grande Teatro Operativo del «corno d'Africa» fu, a suo tempo, curata molto validamente dal Col. Ugo Leone nella monografia dal titolo «La guerra in Africa Orientale 1940-41» edita nel 1951. Cosicché, per quanto concerne la pura narrazione delle vicende belliche sono state apportate soltanto alcune varianti minori, suygerite da altri documenti emersi o dalla disponibilità odierna delle Relazioni Ufficiali degli Eserciti che furono allora nostri avversari. È stato, invece, approfondito l'esame delle condizioni poste dall'avversario, da/l'ambiente e dalle specifiche situazioni temporali, nell'intento di acclarare le circostanze e le difficoltà di fronte alle quali comandanti e truppe ebbero a confrontarsi. È stata, soprattutto, portata particolare attenzione sulla genesi
delle decisioni strategiche, e condotto un esame critico, ma sereno delle operazioni al precipuo scopo di rispondere ai molti interrogativi che sono emersi dall'andamento di questa campagna. A suo tempo, un partecipante in vista agli avvenimenti in quel Teatro ebbe a dire - leggendone la bozza della prima edizione - che dall'esame delle vicende non risultava nè come, nè quando, nè perché il conflitto in Africa Orientale si fosse concluso con i nostri insuccessi nè se vi f assero stati errori o colpevolezze, nè a chi essi potessero farsi risalire, nè - infine - se sarebbe stato possibile conseguire qualche diverso risultato. D'altra parte, non meno critici sulla condotta impressa alle operazioni dai nostri comandi sono stati, durante il conflitto, autorevoli commentatori stranieri, i quali - peraltro hanno più recentemente·rivisto i loro giudizi esprimendosi in modi meno sfavorevoli.
IV
1, E OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Il generale Alberto Rovighi, per molti anni valente insegnante di Storia Militare alla nostra Scuola di Guerra, risponde senza infingimenti e debolezze a questi interrogativi: in modo credibile, obiettivo, convincente. A lui l'apprezzamento e la gratitudine dell'Ufficio Storico.
IL CAPO UFFICIO STORICO
ABBREVAZIONI ED AVVERTENZE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI USATE NEL TESTO O NEI DOCUMENTI:
a. a. som. Aba A.O.I. brg. btg. btr. C.A. cav. CC.NN. col. Comando Superiore
artiglieria = artiglieria someggiata
= Addis Abeba Africa Orientale Italiana = brigata
E.A.(Brg.)
battaglione batteria = Corpo d'Armata cavalleria = Camicie Nere coloniale; se dinanzi a nome = colonnello = Comando Superiore Forze Armate dell' A.O.I. = compagnia = Divisione = Est Africa (Brigata Est Africana)
f.
= fanteria
FF. AA. g. G.C.(Brg.)
Forze Armate = genio = Gold Coast (Brigata Costa d'Oro)
gen. gr. leg.
= generale = gruppo
cp. Div.
KAR
= · legione = Kings's African Rifles = fucilieri africani
Min. A.I.
del re. = Ministero Africa Italiana
VI
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Nig. (Brg.)
= Niger (Brigata Nigeriana)
rgpt.
= raggruppamento
rgt. S.A . (Brg. o Div.)
= reggimento = South Africa (Brigata o Divisione Sud Afri-
SMG (o Stamage)
cana) Stato Maggiore Generale
= Stato Maggiore Regio Esercito SMRE Supercomando A.O.I.= Comando Superiore Forze Armate dell' A.O.I. T./.0. = Terre Italiane d'Oltremare INDICAZIONE DEI REPARTI
Brigate e battaglioni italiani sono indicati con numeri romani; i reparti britannici sono indicati sempre con numeri arabi, eccetto che le compagnie indicate con lettera alfabetica maiuscola (es.: squadrone B del Royal Tank Regiment).
SIMBOLI DELLE UNITÀ Negli schizzi sono impiegati i simboli allora vigenti, il cui significato è riprodotto in "legenda".
TOPONOMASTICA
Per la topomastica nel testo ci si è attenuti, di norma, alla grafia adottata dal servizio cartografico del Ministero dell'Africa Italiana nella carta 1:2.000.000, aggiornata al 31 dicembre 1939, e dall'Istituto Geografico Militare nella carta 1:1.000.000 ediz. 1935; per i documenti è conservata la grafia degli originali.
INTRODUZIONE
VII
INTRODUZIONE 1. LA GUERRA IN A.O.I.: UNA CAMPAGNA POCO E MALE
CONOSCIUTA
Le operazioni condotte in Africa Orientale dell'Esercito Jtaliano nel corso della 2a Guerra Mondiale si concludevano nello spazio di quasi 18 mesi, dall'll giugno ~940 al 28 novembre 1941. Esse si erano svolte in maniera relativamente autonoma, nel territorio dell'Impero solo recentemente conquistato e costituito il 9 maggio 1936 e nelle aree contermini; sicché, meglio di altre, possono essere considerate unitariamente e quasi indipendentemente dagli avvenimenti che si andavano sviluppando in altri fronti. Il loro peso non fu determinante sull'esito del conflitto; oggidì è scarsa l'attenzione rivolta ad esse dalla pubblicistica militare. Tuttavia, ciò non sembra giustificato; e non solo per la giusta esigenza di assicurare il ricordo di importanti operazioni allora condotte dalle unità del nostro Esercito e di dare doverosa testimonianza nei riguardi degli ingenti sacrifici umani e materiali sostenuti dal nostro Paese in terra d'Africa; ma in quanto vi è la possibilità - in base alla accresciuta disponibilità di notizie ed alla maggiore distanza dagli avvenimenti - di esprimere giudizi critici e di ricavare ammaestramenti da una campagna di guerra che ebbe aspetti assai complessi: sia nei riguardi delle influenze potenziali esercitabili e di quelle effettivamen- te esercitate sull'esito del conflitto generale; sia nei riguardi delle operazioni fra unità di eserciti «europei» contrapposti in un ambiente coloniale; sia, infine, nei riguardi della difesa degli interessi militari e civili in un territorio infestato da operazioni di guerriglia sostenute ed alimentate dall'esterno. L'Africa Orientale Italiana, per la sua situazione geografica rispetto ai contemùni territori nemici (I), rappresentava infatti una grave minaccia potenziale alle più vitali vie di collegamento dell'Impero Britannico ed alle sue possibilità di realizzare ogni libera manovra delle ·
(I) Vds. la carta n. I.
VIII
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIÉNTALE
risorse e dei mezzi fra la Madrepatria ed i vari Dominions. Viaterra tale minaccia gravava sul grande collegamento longitudinale CairoCapo, vera spina dorsale del sistema coloniale inglese' in Africa. Una nostra eventuale occupazione di Atbara e di Khartum avrebbe infatti spezzato la continuità territoriale del collegamento britannico e avrebbe dato a noi la possibilità di effettuare il collegamento territoriale fra l' A.O.I. e la Libia. La occupazione di questi centri avrebbe avuto inoltre gravi ripercussioni sull'intero mondo indigeno, estensibili all'Africa Centrale ed al Kenia. Operazioni verso il Basso Sudan e l'Alto Egitto avrebbero potuto concorrere a favorire offensive dalla Cirenaica verso il Nilo ed il Canale di Suez, con le ovvie ripercussioni sia nei riguardi di manovre estese all'intero Medio Oriente sia nella possibilità di far accedere forze marittime all'Oceano Indiano. Dalle sue basi navali di Massaua e di Assab e da quelle aeree in Eritrea, I' A.O.I. poteva minacciare le rotte che dall'Oceano Indiano portano a Suez, mentre la base navale di Chisimaio era l'unica base dell'Asse che avesse accesso libero all'Oceano Indiano; la sua importanza sarebbe risultata rilevante in caso di intervento del Giappone nel conflitto. D'altra parte una Gran Bretagna nemica aveva la possibilità di tagliare le comunicazioni fra Italia ed A.O.I. con il controllo aereomarittimo del Mediterraneo e con il mantenimento del possesso dell'Egitto e del Canale di Suez o, a maggior ragione, con la conquista della Libia. Indubbiamente l'esito di un conflitto italo-britannico ed anche, in conseguenza, la permanenza e~ la estensione del potere coloniale nell'area da parte di una delle due Potenze erano subordinati all'esito delle operazioni in Europa e nel Mediterraneo; tuttavia le posizioni reciproche erano tanto interconnesse e minacciavano vicendevolmente la loro. continuità da esigere e giustificare tutti gli sforzi di entrambe, volti a mutare al più presto a proprio favore una situazione pericolosa e non accettabile. Nel 1940, nella presunzione di una rapidissima conclusione del conflitto a seguito del crollo francese ed in relazione a molteplici circostanze che esamineremo nelle loro premesse e nelle loro conseguenze,
INTRODUZIONE
IX
l'Italia non effettuava, nei primi mesi del conflitto, quegli sforzi volti a sfruttare le possibilità strategiche che si sarebbero potute esercitare. L' A.O.I. veniva a trovarsi - fin dall'inizio delle ostilità ed, appunto, per la sua situazione geografica - del tutto isolata: bloccata sulle frontiere marittime dalla superiore potenza navale inglese, e circondata da colonie nemiche sulle frontiere terrestri.
Senza possibilità di apprezzabili rifornimenti esterni le forze in A.O.I. dovevano fare assegnamento soltanto su quanto disponibile, o approntabile in posto con le limitate possibilità industriali esistenti. Data la iniziale inferiorità locale delle forze avversarie la situazione avrebbe potuto essere considerata con fiducia nel caso di una rapida conclusione del conflitto generale. Di fronte, invece, ad una guerra di lunga durata la situazione strategica dell' A.O .I . divenne fatalmente e rapidamente assai difficile per un sommarsi di condizioni avverse sotto tutti gli aspetti di qualche rilievo: eventi sfavorevoli nel quadro generale del conflitto (sconfitte italiane in Cirenaica e sul fronte greco; attacco alla Mari- · na italiana a Taranto); libero afflusso nel Sudan e nel Kenia di forze avversarie bene equipaggiate; limitata disponibilità di mezzi, specie di quei mezzi che sono predominanti e decisivi in una guerra moderna (carri ed aerei); difficoltà logistiche di ogni genere ed in particolar modo nelle possibilità dei trasporti specie nella stagione delle piogge; difficoltà per l'aggravarsi delle condizioni interne di sicurezza; stato di decadimento del morale e della efficienza dei reparti coloniali che costituivano il grosso delle forze. La perdita di terre verso le quali il popolo italiano aveva rivolto grande interesse per oltre mezzo secolo e per la cui recente conquista erano stati spesi grossi sforzi umani e finanziari colpì gravemente il morale della nostra gente. La rapidità, con cui situazioni di relativo vantaggio ebbero arovesciarsi e si arrivò alla perdita dell'Africa Orientale, consentì agli avversari facili motivi di propaganda ed indusse anche nostri commentatori a giudizi fortemente critici, sottolineando aspetti meno positivi o addirittura lanciando accuse di comportamenti infamanti quali causa determinante di una campagna fallimentare.
X
LE OPERAZIONJ-IN AFRICA ORIENTALE
Se.non si può negare l'influenza negativa di tardive o improvvide decisioni e l'esistenza di diffuse deficienze strutturali dello strumento bellico, il riesame degli avvenimenti oggi compiuto fa ritenere che, date le circostanze, l'esito della campagna non potesse essere mutato, né sensibilmente differito. Esso consente di chiarire questioni e momenti assai discussi e di correggere giudizi critici, e talora anche denigratori~ espressi sul comportamento di Comandanti, Quadri e Truppe in questa campagna, nella quale, anzi, la grande maggioranza comptinteramente il proprio dovere e sostenne grossi sacrifici anche se sfortunati. Per la guerra in Africa Orientale molti italiani caddero in difesa di una terra che avevano considerato una promessa di lavoro e di prosperità; molti altri vi persero ogni sostanza e, quanto meno, spesero lunghi anni di vita: in difficilissime condizioni ambientali di lavoro, di lotta, di prigionia; sotto la nostra Bandiera combatterono e cadder<;> molti indigeni, eritrei, somali ma anche numerosi etiopi. Il sacrificio di tutta qùesta gente è rimasto senza giusta ricompensa né adeguato riconoscimento, anzi è stato spesso vituperato; il loro ricordo e una ricostruzione fedele delle loro traversie e degli avvenimenti possono costituire il migliore omaggio che l'Esercito Italiano possa loro rivolgere.
2. UNA SINTESI DEGLI AVVENIMENTI (11 giugno 1940 - 28 novembre 1941) O).
Una migliore comprensione degli avvenimenti può essere agevolata dalla anticipata presentazione di una loro sintesi nel quadro del secondo conflitto mondiale. La partecipazione dell'Italia al secondo conflitto mondiale data,, come è noto, dall'll giugno 1940. In Europa erano in corso le operazioni offensive dell'Esercito tedesco che, iniziate il 10 maggio, avevano rapidamente: portato alla resa delle Armate belga e olandese; costretto le forze inglesi allo sgombero a Dunkerque; consentito successi ormai decisivi sull'Esercito (1) Vds. la carta n. 2.
INTRODUZIONE
Xl
francese che sarebbe stato obbligato, il 17 giugno, a chiedere un armistizio entrato in vigore il 25 successivo. L'Esercito italiano si era unito alle operazioni conclusive contro la Prancia con la breve offensiva sulle Alpi Occidentali. In Africa era stato mantenuto un atteggiamento difensivo dinnanzi alle possibilità dei due Imperi Alleati; in Africa Orientale si era particolarmente orientati ad operazioni verso il possedimento francese di Gibutti dal quale si temevano eventuali future offensive al cuore dell'Impero. Rimasta in guerra la sola Inghilterra non veniva sostanzialmente a mutare la situazione di accerchiamento e di isolamento dell' A.O.I.. Ivi vennero effettuate, nel luglio, operazioni di frontiera a carattere locale ed occupate Cassala, Gallabat, Kurmuk, Ghezan, il fortino di Todignac sul lago Rodolfo, Moyale, il saliente di Mandera. Cessato, un mese dopo l'armistizio con la Francia, lo stato di guerra col possedimento di Gibuti, i nostri attaccarono il Somaliland. Le operazioni ebbero inizio il 3 agosto e si conclusero il 19 con . l'occupazione di Berbera. Tenace fu la resistenza dei Britannici appoggiata ad opere semipermanenti che sbarravano le due piste camionabili da Hargeisa a Berbera. Conquistato il Somaliland·, non venne attuato nessun altro progetto offensivo per non incidere ulteriormente sulle già scarse riserve, mentre persisteva la convinzione di una prossima favorevole conclusione del conflitto attraverso l'atteso sbarco tedesco in Inghilterra, cui si accompagnavano le favorevoli operazioni offensive italiane dalla Cirenaica verso Sidi el Barrani, iniziate il 13 settembre. Fino al 17 gennaio 1941 (data sotto la quale il fronte eritreo si mise in movimento), la stasi operativa in A.O.I. fu turbata solo da alcune incursioni britanniche nella zona di Cassala e del lago Rodolfo e da azioni offensive britanniche di maggiore consistenza, seppure a carattere locale, portate a Gallabat (6 novembre) ed El Uach (16 dicembre). La prima si era conclusa con un netto successo difensivo delle forze italiane, mentre la seconda aveva portato alla distruzione di quel nostro presidio avanzato. Nel gennaio 1941 la situazione militare italiana era divenuta fortemente critica.
XII
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Il 28 ottobre 1940, era stato ordinato l'attacco alla Grecia (quasi contemporaneamente aveva avuto inizio la partecipazione del Corpo aereo italiano alle operazioni aeree contro l'Inghilterra). Il primo urto alla frontiera albanese aveva portato le nostre truppe nella zona di Vovonsha (a 15 Km. da Metzovo) a Kalibaki ed oltre il Kalarnas. Ma i Greci, dopo l'iniziale ripiegamento, avevano contrattaccato con forze soverchianti e obbligato i nostri a retrocedere riuscendo a cacciarli da Santi Quaranta, da Argirocastro e da Corcia. L'afflusso di nuove forze dall'Italia aveva dato luogo ad un'importante battaglia di arresto, che era valsa ad impedire che l'avversario portasse la sua immediata minaccia sugli obiettivi della sua offensiva: Berat, Tepeleni e Valona. Questa parziale ripresa dei nostri era costata però perdite notevoli ed uno sforzo logistico molto oneroso. Contemporaneamente, il 9 dicembret in Africa Settentrionale, i Britannici, inferiori nel numero ma meglio armati ed organizzati, avevano attaccato le posizioni di Sidi el Barrani. L'offensiva, travolta la resistenza italiana, aveva proceduto rapida verso il confine cirenaico spingendosi fin su Halfaya, Sollum e Sidi Ornar; costretta la difesa a ripiegare su Bardia che cadeva il 5 gennaio, investiva Tobruch, che cadrà il 24 e successivamente Bengasi, che cadrà il 6 febbraio. Sul mare, intanto, la nostra Marina, pur dando ripetute prove del consueto tradizionale ardimento, aveva subìto perdite notevoli: un audace attacco di aerosiluranti nel porto di Taranto (12 novembre) aveva danneggiato gravemente tre navi da battaglia su sei esistenti in squadra. Quindici giorni dopo, una nostra formazione navale della quale facevano parte due corazzate si era scontrata al largo della Sardegna (battaglia di capo Teulada) con una formazione nemica forte anche di una porta-aerei, infliggendo e subendo nuove perdite. Altre unità avevano cagionato e riportato danni nella successiva battaglia combattutasi tra il 9 e il 12 gennaio, nel Canale di Sicilia. Questi avvenimenti assorbirono l'attenzione e le attività del Comando Supremo a Roma e ogni disponibilità di mezzi aerei. L' A.O.I. restò com~letarnente abbandonata a se stessa, tanto che per un paio di mesi mancò il collegamento postale con l'Italia ed il rifornimento anche di materiali, di poco peso e volume, indispensabili al funzionamento di mezzi importanti che restarono così inutilizzati (es. bronzine per carri armati).
INTRODUZIONE
XIII
L'offensiva britannica in A.O.I. si iniziò quasi contemporaneamente in Eritrea e in Somalia. In Eritrea, il Comando Superiore decise di sottrarsi alla manovi:a avversaria e, il 15 gennaio, ordinò alle truppe schierate tra Cassala e Tessenei di rompere il contatto col nemico e portarsi sull'altopiano. Dal 26 al 31, la lotta si svolse accanita a Barentù e Agordat. Il 1° febbraio, carri armati fortemente corazzati penetrarono nelle nostre linee a sud di Agordat. Ordinato il ripiegamento su Cheren, si combattè attorno a queila conca la più sanguinosa battaglia della campagna. Essa si sviluppò attraverso tre tempi: nel primo (3-13 febbraio) l'avversario non conseguì risultati tangibili e per l'usura subita fu costretto ad allentare la pressione; nel secondo (14 febbraio-14 marzo) limitò la propria attività a piccole azioni locali e tiri di artiglieria; nel terzo (15-27 marzo), dopo un'azione distruggitrice e demoralizzatrice dell'artiglieria e dell'aviazione, il nemico, impadronitosi di M. Dologorodoc, concentrò i suoi sforzi a cavallo della valle Dongolaas riuscendo, dopo dura lotta, ad assicurarsi il dominio della stretta omonima e, quindi, la possibilità di transito per i carri cingolati. Dopo l'occupazione di Cheren (27 marzo), superata dall'avversario un'ultima resistenza nella zona di Ad Teclesan, Asmara veniva ceduta, il 1° aprile, quale città aperta. Il 3, forze motorizzate britanniche raggiungevano Adigrat. Poche nostre forze, riuscite a portarsi al sud, da Asmara, da Arresa e da Adua, si raccoglievano tra Dessiè e l'Amba Alagi, attorno al Vicerè, Governatore Generale e Comandante Superiore delle FF. AA. dell' A.O .I.. L'8, le forze inglesi occupavano anche Massaua: tutta l'Eritrea era caduta, così, in possesso del nemico. Frattanto, il 22 gennaio, l'avversario aveva passato il confine neU' Oltre Giuba. Era contenuto nella boscaglia ad occidente del fiume, ma poteva conseguire la occupazione di Chisimaio, sgomberata. Tra ii 17 e il I 8 febbraio, attraversava il Giuba presso la foce e lanciava i suoi mezzi meccanizzati verso Margherita; il 22, occupava, dopo aspro combattimento, Gelib; il 24, era a Modun: Perduta col Giuba ogni possibilità di ulteriore resistenza in Somalia, il Comando Superiore ne decideva lo sgombero. Mogadiscio veniva occupata il 26. I superstiti del Basso Giuba sfuggiti alla cattura raggiungevano il territorio dell'Harar per Belet-Uen, Gabredarre, Sassabaneh; i nazionali
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIEN1"ALÈ
del Medio Giuba e i pochi indigeni che non avevano disertato raggiunsero invece, per Dolo, il Galla e Sidama. Nella nuovà situazione le. forze del Somaliland venivano fatte ripiegare a protezione della ferrovia di Gibuti. Poco dopo, il 16 marzo, l'avversario sbarcava a Berbera. La sua avanzata da Giggica su Harar veniva contrastata, ma la situazione generale ed il propagarsi delle defezioni fra i reparti di colore inducevano il Comando Superiore a ordinare che le forze dello scacchiere si raccogliessero sul fiume Auasc. La posizione dell' Auasc, forte àI centro, ~raperò aggirabile per le ali; il Comando Superiore ordinava quindi a queste truppe di ripiegare nel Galla e Sidama: la strada su Addis Abeba restava così libera. Il Vicerè decideva di lasciare nella capitale, che non poteva essere difesa, un presidio di polizia e di ripiegare su Dessiè. Preoccupandosi dell'incolumità dei numerosi nazionali raccolti in Addis Abeba, dava di ciò.notizia agli Inglesi perchè non bombardassero la città indifesa e perchè affrettassero la loro marcia. La città veniva occupata il 6 aprile. Il 9, gli ultimi automezzi e i superstiti dell' Auasc giungevano nel Galla e Sidama. Con la perdita dell'Eritrea, della Somalia, dell'Harar e dello Scioa era spezzata l'unità dell 'A: O. I.. Le nostre residue forze si raccoglievano in ridotti nel nuovo scacchiere Dessiè-Amba Alagi, cui già si è fatto cenno, e nel Gondarino. Nel Galla e Sidama le truppe avevano abbandonata la fascia di frontiera ed erano state ritirate sull'altopiano. Vano riusciva l'arduo tentativo di alcune tra le colonne o di presidi più lontani di raggiungere l'uno o l'altro sistema difensivo. La situazione militare italiana in Africa Settentrionale e in Balcania, dopo il non favorevole inverno 1940-41, si schiariva. t1otevolmente in primavera senza tuttavia lasciar sperare in possibili immediate favorevoli ripercussioni sulla sorte dell'A.0.1.: -
in Africa Settentrionale forze italo-germaniche liberavano, il 4 aprile, Bengasi e, oltrepassataTobruch ove gli Inglesi si erano fortemente organizzati a difesa, raggiungevano Porto Bardia;
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nei Balcani l'Esercito greco, attaccato frontalmente dai nostri ed a tergo dai Tedeschi, capitolava il 22 aprile;
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avevano luogo successivamente le operazioni per la occupazione di Creta, ·completata a fine maggio.
INTRODUZIONE
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Mentre, il 22 giugno, aveva inizio l'attacco tedesco alla Russia, la Gran Bretagna consolidava il suo controllo del Medio Oriente con le operazioni in Irak ed in Siria, ed in Libia continuava la resistenza a Tobruk ed il contrasto con le forze italo-tedesche al confine cirenaico. In Africa Orientale le forze britanniche continuavano a perseguire la completa eliminazione della presenza italiana in quel territorio. Le operazioni contro l'Amba Alagi furono precedute da quelle contro le posizioni di Dessiè, che 200 Km. più a sud costituivano un elemento di saldatura con le forze di Dancalia e con quelle di Gondar. Travolte queste, tra il 19 e il 26 aprile, la nostra difesa venne arretrata alla stretta di U aldià. il Vicerè da Alomatà si trasferì a Mai Ceu. Caduta anche la stretta di Ualdià la difesa fu limitata alla parte più elevata del massiccio dell' Alagi al M. Corarsi ed ai passi di Togorà, ad occidente, e Falagà, ad oriente, col proposito di resistervi ad oltranza. I passi furono attaccati a partire dal I O maggio ed occupati, rispettivamente il 4 e 1'8. La resistenza del presidio sulla so~mità dell'Amba si protrasse, in un cerchio di fuoco, fino al mattino del 17 maggio, giorno in cui il Viceré decise la resa. Eliminate le aliquote principali delle nostre forze e la minaccia strategica sulle rotte del Mar Rosso, rappresentata dalle basi eritree, le forze inglesi potevano ora con maggiore sicurezza volgersi alla eliminazione delle forze rimaste isolate nell'interno del territorio. Le forze italiane residue, tuttavia, continuavano a resistere, essenzialme?,te nel tentativo generoso di apportare un contributo al successo delle operazioni in Africa Settentrionale e di poter eventualmente approfittare di un loro esito favorevole. Le possibilità effettive di sopravvivenza erano peraltro ben scarse; di fatto furono condizionate essenzialmente dalle possibilità britanniche di sfruttamento del successo e di superamento delle difficoltà logistiche, nonchè dalle condizioni climatiche ed ambientali. L'l 1 giugno, unità navali inglesi si presentarono innanzi alla baia di Assab. Nella mattinata stessa la città venne occupata. I presidi della Dancalia si arresero un mese più tardi. I nuclei della lontana Migiurtinia, rimasti isolati, furono eliminati in maggio da autocolonne armate provenienti dal Somaliland e da forze giunte, via mare, al Capo Guardafui. Mentre si svolgeva l'offensiva britannica contro l'Eritrea e la Somalia, il Galla e Sidama, che era stato impegnato solo con azioni
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
locali (Mega, Afodù, Gambela), ritirava le truppe sul ciglio dell'altopiano. Ai primi di maggio, l'avversario concentrava i suoi sforzi nella zona di riva sinistra dell'Omo avanzando su Soddu, sia dallo Scioa per Sciasciamanna, sia da Neghelli. Dopo aver duramente combattuto specie a sud- est dei laghi, nella lunga e sanguinosa battaglia di Uadarà, definita in «The Abyssinian campaigns»: «forse la più dura azione dell'intera guerra» , il 22 occupava Soddu con truppe corazzate. Il 5 giugno, passava l'Omo Bottego sopravanzando anche quelle fra le nostre truppe del settore sud-oriehtale che erano riuscite a raggiungere, ma non a superare, il fiume. La situazione intorno a Gimma precipitava. Il comandante dello schacchiere ordinava l'arretramento del fronte e si trasferiva egli stesso nella zona fra i fiumi Didessa e Dabus. Il 21, dopo lunghe trattative, le truppe britanniche prendevano possesso di Gimma. Dal 24 al 26, venivano lanciati da occidente attacchi attorno a Dembidollo nuova s~de del comando. Tra il 28 giugno e il 2 luglio, gli ultimi pres~d1 isolati (Bedelle, Dembi, Belletà, Gore, Jubdo), esausti, cedevano le armi. Il 3, dopo aver respinto sul Burta ripetuti attacchi di forze belghe del Congo appoggiati da artiglieria, veniva accettata dal Comandante Superiore la proposta nemica di cessazione delle ostilità . Gli accordi estesi a tutte le truppe dello scacchiere sud erano conclusi nella notte sul 4. Unica efficiente restava ancora, in A.O ., la difesa del!' Amara, che era stata, nel frattempo, organizzata con lo scopo di «durare» il più a lungo possibile. Essa si appoggiava a un ridotto centrale (Gondar-Azozò) che faceva sistema con una serie di capisaldi isolati destinati a sbarrare le principali comunicaz;.oni con Gondar. Già in maggio l'avversario ne aveva saggiato la consistenza in aspri infruttuosi attacchi contro il caposaldo di Celgà. Dopo la caduta di Debra Tabor (6 luglio), col graduale scemare delle piogge, il nemico riprendeva, in settembre, la pressione, a nord, sul caposaldo dell'Uolchefit: i difensori del passo, il 28, esaurita ogni scorta, cedevano alla fame. Gli sforzi nemici si concentravano allora contro le difese di Culquaber: si combatteva il 12 e il 13 novembre e, infine, più duramente il 21. L'ultima battaglia per il possesso di Gondar durava 4 giorni (24-28 novembre).
PARTE PRIMA
L 'AMIHENTE E LA SITUAZIONE PRECEDENTE IL CONFLITTO
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CAPITOLO I
L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA I . CENNI GEOGRAFICI (I)
L'Africa Orientale Italiana costituiva la parte maggiore del cosiddetto «Corno d'Africa», una specie di grande penisola che dal tozzo corpo del continente africano si spinge verso levante fino al Capo Guardafui nella Somalia. Situata tra il 18° parallelo nord ed il 2° sud e fra il 32° ed il 52° grado di longitudine est, la regione, oltre ali' A.O.I. con una superficie di 1.708.000 kmq. ed una popolazione valutata in 13 + 15 milioni di abitanti (secondo stime molto variabili) e circa 150.000 nazionali, comprendeva anche: la Costa dei Somali francese (21.000 kmq. e 70.000 abitanti; il Somaliland britannico (171.000 kmq. e circa 350.000 abitanti); alcune parti confinarie.del Sudan Anglo-Egiziano e del Kenia britannico. L'Impero italiano dell' A.O. era stato proclamato il 9 maggio 1936, al termine del conflitto italo-etiopico, e vedeva riunite le antiche colonie dell'Eritrea (120.000 kmq. e circa 600.000 abitanti) e della Somalia (600.000 kmq. e circa 1 milione di abitanti) con l'ex Impero etiopico (circa 989.000 kmq. e 11 + 13 milioni di abitanti). L' A.O.I., grande quasi 6 volte l'Italia e con 8.700 km di confini, terrestri (4.800 km.) e marittimi (3.900 km.), si affacciava sia al Mar Rosso con la costa eritrea (circa 1.400 km.), che controllava la spalla africana dello Stretto di Bab el -Mandeb, sia all'Oceano Indiano con la costa somala (circa 2.500 km.). Il controllo delle coste africane era peraltro interrotto dalla Somalia francese e da quella britannica, le quali offrivano le più dirette (I) Vds. la carta n. J.
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LE OPERAZIONI IN AFRJCA ORIENTALE
possibilità di accesso all'interno della regione etiopica, incrementate dalla esistenza della ferrovia Gibuti-Addis Abeba. Verso l'interno, l' A.O.I. confinava: ad occidente, con il Sudan Anglo-Egiziano per circa 2.000 km.; a sud, con il Kenia per quasi 1.400 km .. La regione è estremamente varia per le forme del suolo, i climi, le vegetazioni e le popolazioni. I tre quinti della intera superficie del1' A.O.I. sono occupati dall'Altopiano Etiopico con una quota media superiore ai 2:000 metri e cime anche di oltre 4.000 metri. Esso presenta la sua maggiore estensione pressapoco all'altezza del parallelo di Addis Abeba; da qui esso si restringe gradatamente andando verso nord fino a formare una stretta catena costiera con quote decrescenti; verso sud esso si scinde in lunghe catene parallele, che le alte valli dell'Omo, del Giuba e dello Uebi Scebeli incidono fortemente dando luogo a contrafforti e speroni montani. Sull'Altopiano predominano rilievi tabulari assai estesi con orli periferici sovente rialzati e scendenti all'esterno con scarpate ripide, rotte e spezzettate da valli, sormontati spesso da potenti espansioni di materiali vulcanici antichi e rotti poi da fratture e dislocazioni tettoniche. La più ~ospicua di tali fratture è costituita dalla cosiddetta «fossa dei laghi» (dal Lago Rodolfo allo Zuai) che, proseguendo con la valle del fiume Auasc e con la depressione dancala, divide le due maggiori regioni naturali, l'Etiopia e la Somalia, che in tempi geologici lontani ·erano unite. Ad ovest della «fossa» abbiamo l'Altopiano Etiopico vero e proprio, che si eleva a notevoli altezze e prosegue verso nord con l'Altopiano Eritreo; entrambi cadono piuttosto precipitevolmente verso i bassopiani orientali (eritreo e dancalo) ed il mare, mentre scendono più dolcemente, a grossi salti o gradoni, sulla depressione sudanese percorsa dalla valle del Nilo e dai suoi affluenti di destra. Ad oriente della «fossa» vi è _immediatamente l'altrettanto elevata e difficile catena dei Monti Baie e Cercer o dell'Hararino; questa costituisce il limite nord-occidentale dell'Altopiano Somalo ed un forte elemento di separazione, che prosegue verso est con rilievi più dolci, che corrono parallelamente alla costa somala del Golfo di Aden.
L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
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SCHIZZO N. 1 CLIMA E PRECIPITAZIONI
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 2
COMUNICAZIONI STRADALI E FERROVIARIE
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L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
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SCHIZZO N. 3
SCHEMA DELLE PRINCIPALI COMUNICAZIONI STRADALI PERMANENTI IN ESERCIZIO NEL 1940, E RELATIVE DISTANZE
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORJBNTALE
Il versante sud orientale dell'Altopiano Somalo scende assai gradatamente verso i bassopiani somalo e migiurtino e l'Oceano Indiano e verso le regioni semidesertiche dell'Alto Kenia, senza offrire ostacoli al movimento se non per la consistenza variabile dei suoli e la vegetazione. Pochi i grandi fiumi: a nord, il Barca che riceve l' Anseba e sbocca nel Mar Rosso; verso l'interno ed il Nilo, i grandi suoi affluenti costituiti dal Tacazzè che confluisce nell' Atbara, e dal Nilo Azzurro con il suo affluente il Didessa; verso l'Oceano Indiano scorrono il Giuba e lo Uebi Scebeli. Notevoli due fiumi che alimentaao due bacini chiusi, percorrendo in direzione inversa la «fossa dei grandi laghi» partendo dalla zona immediatamente a meridione di Addis Abeba: verso sud l'Omo Bottego che raggiunge il grande lago Rodolfo; verso nord l' Auasc che, raggiunta la zona degli Aussa, si perde in acquitrini nel bassopiano dancalo. Tranne il Tacazzè, l' Atbara, il Nilo Azzurro e, in parte, il Giuba, che hanno carattere perenne, tutti gli altri e gli innumerevoli corsi d'acqua minori hanno carattere torrentizio e non costituiscono, di per sé, ostacolo al movimento se non nella stagione delle piogge (da metà giugno a metà settembre) quando divengono intransitabili per la forte velo~ità delle correnti. Presentano, comunque, spesso un ostacolo di entità variabile per il carattere deIJe sponde e dei pendii vallivi di accesso agli altopiani circost.anti. Scarse le fonti e le sorgenti; la disponibilità di acqua costituisce spesso l'elemento limitatore delle possibilità di vita, dei movimenti e degli stazionamenti di grosse forze o degli stanziamenti e dei trasferimenti delle popolazioni. Assai variabili le colture e la copertura assicurata dalla vegetazione: scarsa o cespugliosa nei bassopiani talora desertici, diviene di erbe aite e folte nelle zone calde ed aéquitrinose; piuttosto rada sui rilievi al nord del Tacazzè diviene rigogliosa nelle zone meridionali ove possono prosperare colture quali quelle del cotone e del caffè ed esistono zone fortemente boschive. I maggiori fattori climatici sono costituiti dalla latitudine, dalla altitudine e dalle correnti monsoniche provenienti dal Mar Rosso e dall'Oceano Indiano, con venti predominanti tutto l'anno da Levante.
L'AFRICA ORIENTA LE ITALIANA
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Le temperature medie annuali e le condizioni di vita sull'Altopiano sono generalmente abbastanza confacenti; non così quelle esistenti nei bassopiani costieri sia del versante dancalo-somalo sia di quello nilotico, particolarmente aggravate da un forte tasso di umidità. Il periodo di maggiori temperature è quello di marzo-maggio <1>. La piovosità è generalmente elevata ed a carattere ciclico in funzione delle correnti monsoniche; in particolare: il monsone di S.0. (dall'Oceano Indiano) determina il periodo delle grandi piogge estive (giugno-settembre, con massimo in agosto) proibitivo ai fini della condotta di grandi operazioni; il monsone di N.E. (dal Mar Rosso) provoca un periodo invernale di piccole piogge che possono assumere maggiore consistenza in alcune regioni quali la Somalia, che riceve maggiori piogge nel periodo settembre-novembre. Le condizioni di vita nei bassopiani e nelle bassure interne erano rese penose per la diffusione di forme gravi di malaria, tifo, malattie tropicali e, per i quadrupedi, dalla peste equina. I movimenti erano strettamente limitati e resi difficoltosi o proibitivi nei periodi delle grandi piogge; quelli logistici erano vincolati, allora, alle ancora scarse linee di comunicazione a fondo artificiale, per quanto notevolmente sviluppate dal Governo italiano nei pochi anni susseguenti alla conquista del paese. Per il complesso delle condizioni climatiche e della percorribilità il periodo più favorevole alle operazioni va dall'ottobre al marzo successivo; ciò, eccetto che in Somalia in cui il periodo favorevole ha inizio nel dicembre. Esigue le linee ferroviarie esistenti e la loro potenzialità per complessivi 1.157 km.: Gibuti-Addis Abeba (783); Massaua-AsmaraAgordat-Biscia (350); Mogadiscio-Villaggio Duca degli Abruzzi (114). I maggiori collegamenti stradali erano costituiti dalle rotabili a fondo artificiale <2>: - Massaua-Asmara-Cheren- Agordat-Barentù-Tessenei (km. 471), - Asmara-Adua-Gondar (km. 554), (1) Vds. schizzo n. I.
(2) Vds. carta e schema delle comunicazioni'rotabili: schizzi n. 2 e n. 3.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA O RIENTALE
Asmara-Adigrat -Dessiè-Addis Abeba (km. 1.037), Addis Abeba-Dire Daua (km. 436), Dire Daua-Gibuti (km. 342), Dire Daua-Giggiga-Mogadiscio (km. 1.285) ancora incompleta.
Questa.rete maggiore era integrata da altri collegamenti in corso di completamento: -
Gondar-Debra Tabor (Dessiè) (km. 550), Dessiè-Assab (km. 535), Addis Abeba-Lechenti (km. 336), Addis Abeba-Gimma (km. 353), Addis Abeba-Sciasciamanna (km. 300), Mogadiscio-Merca-Gelib-Chisimaio (km. 529), Mogadiscio-Lugh Ferrandi-Dolo- Neghelli (km. 893).
Al di fuori di tali rotabili i collegamenti seguivano piste camionabili che potevano essere percorse solo nelle stagioni secche; molte località ed intere regioni rimanevano isolate nelle stagioni delle piogge. La viabilità a fondo artificiale, quindi, era ancora scarsa (4.500 km.) e limitata a collegamenti essenziali fra i grandi centri, spesso ancora incompleta soprattutto per l'onere costituito dalla esigenza di grandi opere d'arte a cavallo delle zone di frattura. Eguale chilometraggio era que.llo già in esercizio delle linee permanenti di telecomunicazione. Relativamente sviluppate, in relazione ai tempi, le comunicazioni aeree che vedevano esercitate varie linee, fra le quali: Roma-Addis Abeba via Cairo e Khartum (6.379 km.) <1>; Asmara-Assab-Gibuti (710 km.); Asmara-Mogadiscio (1.930 km .); Asmara -Gondar (358 km.); Addis Abeba-Gibuti (637 km.). La distribuzione e la composizione delle popolazioni erano molto variabili nei vari territori dell'Impero, con una prevalenza di popolazioni cuscitiche, arabo-somale, galla, a chiazze di diverse tribù, tutte con differenti costumi, idiomi, religioni, e spesso contrastanti interessi politici ed economici. Nella grande maggioranza gli indigeni erano dediti alla agricoltura e, nelle regioni più aride, all'allevamento nomade del bestiame. (1) Durante il conflitto il collegamento veniva effettuato collegando l'oasi di Uweinat (a sud di Cufra) con l'aeroporto di Asmara superando una distanza di oltre 1.600 km.
L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
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L'organizzazione della vita economica dell'area etiopica era a carattere proprietario-feudale; quella dell'area somala a carattere comunitariotribale. Si trattava di una economia con magre risorse che alimentava tuttavia piccole esportazioni di caffè, cotone, cuoio; le produzioni agi:icole, sebbene non eccedentarie, potevano consentire, di massima, una autosufficienza alimentare; il maggior problema era costituito dalle possibilità di trasporto interno, di conservazione e trasformazione. Le attività industriali, sia quelle estrattive sia quelle di trasformazione, nonostante le grandi speranze alimentate prima della conquista, erano ancora a livelli piuttosto modesti. La popolazione nazionale, nonostante i rimpatri delle forze che avevano partecipato alla conquista, aveva subìto un incremento relativamente notevole; oltre a quella operante nelle strutture politicoamministrative e militari, una parte notevole era impiegata negli imponenti lavori di costruzione della rete viaria, avviati secondo programmi pluriennali, nei trasporti automobilistici, nell'impiego e nella manutenzione degli impianti e dei macchinari importati. In relazione alla politica intesa ad aumentare la popolazione nazionale e ad evitare la commistione razziale con il diffondersi del fenomeno del «madarnato», già piuttosto frequente nelle vecchie colonie specie in quella eritrea, era stato incoraggiato l'afflusso dall'Italia delle famiglie, piuttosto numerose nei grandi centri. La tutela della popolazione civile costituirà, nel corso del conflitto, una grave preoccupazione con grosse ripercussioni sull'impiego delle forze. I centri abitati di qualche importanza erano pochi e situati a grandi distanze, generalmente al centro di vasti territori, distinti per caratteri ambientali ed umani; fra essi: 6 con oltre 10.000 abitanti (Addis Abeba, la capitale e centro della regione dello Scioa con circa 90.000 abitanti dei quali poco meno di 20.000 italiani; Asmara con 91.000 abitanti dei quali oltre 50.000 italiani; Harar con circa 40.000 abitanti; Dire Daua con 30.000; Mogadiscio con 30.000; e Massaua con 15.000); una quindicina con oltre 5.000 abitanti, aventi peraltro più il carattere di grossi villaggi (Adi Ugri, Adua, Axum, Gondar, Macalle, Dessiè (7 .000), Debra Tabor, Debra Marcos, Gambela, Giggica, Merca, Brava, Chisimaio.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Le scarse capacità di lavoro industriale potevano considerarsi riu- . nite nei centri di Asmara, Addis Abeba ed Harar e particolarmente nel primo. Nonostante, infatti, l'incremento dato alle attività nella capitale e nell'Hararino il centro propulsore della vita economica era tuttora costituito dalla vecchia colonia eritrea, anche perché la maggior parte delle esigenze di prodotti finiti dovevano essere soddisfatte ancora con importazioni dall'Italia via Massaua; sicché in Asmara e centri vicini esistevano fin dal periodo del conflitto italo etiopico le maggiori possibilità di manutenzione, riparazione e conservazione di materiali e di risorse.
2. ALCUNE CONSIDERAZIONI DI CARATTERE OPERATIVO
Sul piano strategico, nei riguardi sia della possibilità di esercitare qualche influenza sull'esito del conflitto generale sia di quella della sopravvivenza del controllo italiano nell'area, appare subito, a prima vista, l'importanza prioritaria e la convenienza di garantire il possesso dell'Altopiano Etiopico e soprattutto delle sue regioni settentrionali eritree . . Dal punto di vista di nostre offensive, nella situazione del 1940, infatti, le possibilità teoriche di sfruttamento del porto di Chisimaio quale base di attività marittime nell'Oceano Indiano erano nella realtà inficiate dalle condizioni di netta inferiorità del nostro potere aereo e navale. A nord, invece, le basi marittime ed aeree di Massaua e di Assab, il controllo delle isole Dahalach e la possibilità di installare artiglierie ·sulla penisola di Raheita, sul versante africano dello stretto di Bab-el-Mandeb, avrebbero potuto consentire un predominio aeromarittimo limitato alla parte metidionale del Mar Rosso, interdicendone la navigazione. Tuttavia, la possibilità effettiva di esercitare qualsiasi azione offensiva al traffico marittimo britannico, anche in una situazione di inferiorità di forze navali di superficie, avrebbe potuto essere realizzata ove fossero stati programmati e predisposti i mezzi: naviglio leggero e di corsa, sommergibili idonei ad operare nel particolare ambiente, aerosiluranti, una organizzazione adeguata di cooperazione
L'AFRICA ORIENTALE ITALIANA
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aeronavale di attività di ricerca e di attacco. Con l'invio dall'Italia di mezzi aerei idonei, tale possibilità avrebbe forse potuto essere sviluppata anche a conflitto iniziato. Nei riguardi di nostre possibilità offensiv~ verso l'interno del Continente africano, esse erano minime, anzi nulle, nella regione di confine compresa, a nord, dal Nilo Azzurro fino al Lago Rodolfo, a sud, per le proibitive difficoltà ambientali. Anche azioni offensive verso il Kenia e l'Uganda avrebbero dovuto superare ampie e difficili regioni semidesertiche per poi portare ad investire regioni ubertose, ma eccentriche e di scarso significato nell'economia generale del conflitto. Pure il raggiungimento dell'importante porto di Mombasa non avrebbe conferito alla azione marittima maggiori possibilità, data la indisponibilità di una flotta oceanica, mentre ebbe a sfuggire, forse, la convenienza di una conquista di questa località come mezzo per impedire qualsiasi possibilità offensiva avversaria in questo settore, imp,e dendone una alimentazione. Essa, avrebbe, comunque, impegnato in una campagna logisticamente molto onerosa per le grandi distanze. Una azione offensiva nella regione sudanese a nord del Nilo Azzurro aveva, invece, grosse prospettive di ordine strategico permettendo di puntare, per le direttrici Gallabat-Ghedaref- Khartum e Cassala-Atbara, a recidere le comunicazioni stradali, ferroviarie e fluviali del grande collegamento longitudinale Cairo-Il Capo, lungo la valle del Nilo.
In connessione con il controllo sul Mar Rosso, ciò avrebbe portato ad una difficile alimentazione delle forze inglesi in Egitto, effetuabile solo attraverso il Golfo Persico, l'Irak e la Palestina, con conseguenze ben immaginabili, almeno per la guerra nel Medio Oriente. Il raggiungimento di questa zona avrebbe consentito di collegarci con forze provenienti dal sud cirenaico e, comunque, di facilitare i trasporti aerei con l'Italia diminuendo il braccio dei collegamenti fra Libia ed A.O.I.; grandi sarebbero state le ripercussioni di ogni ordine anche in tutto il mondo indigeno africano vietando ogni sostegno esterno ai ribelli in Etiopia e probabilmente ponendo fine ad ogni sovversione.
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Uno sforzo offensivo in tale area avrebbe potuto conseguire grandi risultati soprattutto se esercitata in coordinamento con grosse operazioni nel Mediterraneo ed in Africa Settentrionale, determinando dispersione di forze e difficoltà di ogni genere alla resistenza inglese in Egitto. Le possibilità offensive avrebbero richiesto di superare larghi spazi con forze idonee e proporzionate non solo alle esigenze di prima occupazione di vasti territori ma anche a quelle successive di difesa dalle reazioni avversarie e di avvio a sforzi ulteriori. La loro effettuazione non era possibile nella stagione delle piogge (inizio a metà giugno e fino a tutto settembre) per le limitazioni al movimento. La conformazione compatta dell'Impero e la sua collocazione conferivano alle forze italiane favorevoli possibilità teoriche di manovra per linee interne, almeno nelle regioni servite da vie di comunicazione; tali possibilità in realtà furono vanificate dalla insufficienza dei trasporti automobilistici, soprattutto per la mancanza di gomme, mentre la manovra delle forze aeree risulterà impossibile per la insufficiente disponibilità di velivoli. Azioni offensive avversarie trovavano ampie possibilità nella estensione dei confini e nel numero consistente di direttrici di penetrazione. Queste, peraltro, venivano ad essere ridotte in funzione delle possibilità effettive di alimentazione e di raggiungimento, attraverso di esse, di obiettivi decisivi. Le azioni offensive esercitabili, inoltre, erano vincolate ad una manovra esterna, le cui basi di partenza e di alimentazione non avrebbero potuto essere variate che con molta difficoltà, e che avrebbero dovuto necessariamente essere costituite dalle aree di Aden-GibutiBerbera, oppure da quelle dell'Alto Sudan comprese fra Porto SudanCassala-Khartum, oppure infine da quella di Mombasa-Nairobi. L'afflusso di forze e mezzi rilevanti a queste aree avrebbe potuto essere elemento indicatore della manovra avversaria. Ai fini della sopravvivenza unitaria dell'Impero poteva considerarsi più pericolosa la direttrice Costa dei Somali-Addis Abeba che, alimentabile più agevolmente, per la via più breve avrebbe permesso di puntare sulla Capitale e di recidere le comunicazioni fra Nord e Sud dell'Etiopia, con gravissime ripercussioni su tutti i territori di più recente conquista.
L'APRICA ORIENTALE ITALIANA
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È da dire, però, che una offensiva alleata su questa direttrice non avrebbe ridotto le possibilità offensive esercitabili dall'area eritrea verso il traffico marittimo nel Mar Rosso e verso l'asse nilotico. Azioni offensive dal Kenia verso la Somalia ed il meridione del1'Etiopia si riteneva non avrebbero portato a risultati decisivi e fossero improbabili, soprattutto per la vastità degli spazi da superare e la difficoltà dei movimenti, specie in alcune stagioni. Subordinatamente a quella sulla direttrice Gibuti-Addis Abeba era considerata, quindi, come più probabile una azione offensiva avversaria volta alla occupazione dell'Eritrea. Contro possibili attacchi dal mare erano state rafforzate con potenti artiglierie le difese a mare delle basi portuali di Massaua e di Assab. Sulle direttrici terrestri da Porto Sudan a Massaua e da Cassala su Asmara e Massaua l'avanzata di forze britanniche, del resto non esrstenti al momento, avrebbero potuto incontrare posizioni successive abbastanza forti naturalmente e rafforzabili con una certa facilità. Operazioni offensive avversarie in quest'area avrebbero consentito dì privarci radicalmente della possibilità dì esercitare le minacce strategiche a cui si è accennato, ma avrebbero prèsentato aspetti di particolare onerosità operativa e logistica. In ultima analisi le possibilità di offesa esterne richiedevano impegni di forze e logistici, che non avrebbero potuto essere affrontati se non dopo tempi adeguati di ammassamento. Essi avrebbero trovato condizioni non agevoli particolarmente se avesse potuto essere contrastata la alimentazione delle basi di partenza di tali sforzi, costituite dalle zone portuali di Gibuti- Berbera, Porto Sudan e Mombasa. Piuttosto che dalle azioni esterne la possibilità di controllo del1'A.O.I. era immediatamente minacciata dalla eventualità di un rapido estendersi della insurrezione interna e di un cedimento delle forze militari, costituite prevalentemente da truppe coloniali. Su tutte le direttici operative le maggiori difficoltà per la condotta di qualsiasi manovra, offensiva o difensiva, da parte di entrambi i contendenti, erano soprattutto rappresentate dai fattori di ordine logistico.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Gli sforzi effettuabili, più che dal numero degli uomini, che potevano anzi divenire un peso per i loro consumi particolarmente idrici, erano determinati soprattutto dalla possibilità di far operare unjtà mobili e potenti nelle particolari condizioni di terreno, clima e viabilità. In relazione alla vastità degli spazi l'arma aerea aveva grandi possibilità di intervento e di esercitare effetti determinanti a favore della parte che avesse conseguito la superiorità.
CAPITOLO II
ORDINAMENTO POLITICO AMMINISTRATIVO E SITUAZIONE POLITICA DELL' A.O.I. 1. ORDINAMENTO POLITICO E AMMINISTRATIVO
I lineamenti principali dell'ordinamento politico ed amministrativo dell' A.O.I. erano stati definiti con il Regio Decreto Legge n. 1019 del 1 giugno 1936 «Ordinamento e amministrazione dell' A.O.I.», convertito in Legge n. 285 dell' 11 gennaio 1937, e modificato con il R.D .L. n. 1857 dell'll novembre 1937 «Istituzione del Governo della Scioa». In data 15 novembre 1937 il Regio Decreto n. 2708 aveva più particolareggiatamente stabilito l' «Ordinamento politico, amministrativo e militare dell'Impero». L'amministrazione dell' A.O.I., insieme a quella della Libia, era posta alle dipendenze del Ministero delle Colonie, mutato dal R.D. n. 431 dell'8 aprile 1937 in Ministero dell'Africa Italiana, cui fu preposto il Sottosegretario di Stato Alessandro Lessona fino al dicembre 1937, essendo la carica di Ministro assunta dallo stesso Capo del Governo Benito Mussolini. Al Lessona succedette Attilio Teruzzi, che assunse poi l'incarico di Ministro (31-10-1939). Nell'ambito del Ministero dell'Africa italiana, a fianco di varie Direzioni Generali, esisteva un Ufficio Militare con più sezioni: Stato Maggiore, Aeronautica, Personale, Servizi, Amministrazione. La organizzazione amministrativa dell' A.O.I. prevedeva la costituzione di un Governatorato Generale, presieduto da un Governatore con il titolo di Viceré d'Etiopia. Questi aveva alle proprie dipendenze un Vice Governatore civile, funzionario dei Ministero A.I., ed un Comandante Superiore delle Truppe. Il territorio era stato suddiviso, in un primo tempo, in un Governatorato di Addis Abeba ed in cinque Governi (Eritrea, Somalia,
2. Le Opc:rai.ioni in Africa Orientale • Voi. 1
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18
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Harar, Amara, Galla e Sidama); successivamente, con il decreto dell' 11 novembre 1937, era stato soppresso il Governatorato di Addis Abeba e costituito, invece, un sesto Governo dello Scioa <1>. A capo di ciascun Governo era un Governatore che, pur dipendendo per coordinamento dal Governatore Generale in Addis Abeba, aveva anche dipendenza e possibilità di comunicazioni dirette con il Ministero dell' A.I. in Roma: cosa che non risulterà scevra da inconvenienti. Ogni Governatore aveva alle sue dipendenze un Segretario Generale, preposto agli Uffici amnilnistrativi di Governo, ed un Comandante delle Truppe (se il Governatore era un funzionario civile, come di norma in tempo di pace). Il territorio di ogni Governo era suddiviso in Commissariati (in totale 75), questi in Residenze (in totale 315), a loro volta divisi in Vice-Residenze. Preposti a tali ripartizioni amministrative potevano essere sia funzionari civili, a mano a mano che si rendevano disponibili e l'intelaiatura di governo e di polizia si andava sviluppando, sia i Comandanti delle unità che presidiavano i vari territori. In effetti, in una terra selvaggia, dai violenti contrasti, in parte ancora 'poco o imperfettamente conosciuta, dove alle brulle montagne degli altopiani ed alle grandi foreste dell'Amara, dei Galla e Sidama e dell'Harar, facevano riscontro le immense piane e l'arida boscaglia dei bassopiani con vaste pieghe infestate dalla malaria e dalla dissenteria; in un territorio dove piogge irruenti, repentine e torrenziali, con l'improvviso-gonfiarsi dei fiumi, allagavano periodicamente le campagne; in un paese ove innumerevoli genti e diversi Linguaggi si incontravano e si sovrapponevano; in un ambiente coloniale tutt'altro che sicuro dove le dolorose misure di sicurezza riuscivano ritardatrici e vincolatrici dell'azione di colonizzazione, anche perché non disponevano di automezzi attrezzati per superare le difficoltà causate dalle grandi piogge, era stato instaurato troppo presto un ordinamento essenzialmente civile ed uniforme conservando un'organizzazione militare atta solamente ad operazioni di polizia. (I) Vds. schizzo n. 4.
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LE OPERAZIONI IN AFRI CA ORIENTALE
2. SITUAZIONE POLITICA INTERNA
Nonostante gli sforzi notevoli compiuti per pacificare ed organizzare le attività amministrative nel vasto paese, la situazione interna nei territori di recente occupazione non aveva conseguito una piena normalizzazione, particolarmente nei territori dell'Amara e dello Scioa costituenti il nucleo centrale del vecchio Stato etiopico. Ciò era conseguente a molteplici fattori, nella maggior parte dovuti alla politica «imperiale» e «razziale» imposta da Roma. Era una politica che non intendeva avvalersi, per l'amministrazione del territorio, dei Capi e feudatari locali; ma intendeva spingere verso una colonizzazione accelerata di elementi nazionali che dovevano amminists_are direttamente tutti gli elementi locali, nazionali e sudditi indigeni. Si trattava di una politica che, in un certo senso, presentava molti punti di vantaggio per le popolazioni musulmane, galla e di altre razze, a suo tempo soggette; ma che non facilitava l'affermazione del controllo. Inoltre, essa provocava il risentimento delle popolazioni prima dominanti e sconvolgeva l'assetto sociale basato su criteri di proprietà terriera o di concessioni feudali. Il ricorso alla mano dura in occasione di movimenti di ribellione, il cui verificarsi era abbastanza comprensibile dopo una così rapida conquista che aveva provocato una forte dispersione incontrollata di armati, era stato accompagnato da qualche eccesso e da errori, soprattutto nei riguardi della Chiesa nazionale copta. Infine, non erano mancate le difficoltà connesse con una certa duplicità, che non risultava sempre complementare, delle organizzazione civile e di quella militare, €he risultava fortemente coinvolta sia per la condotta di grandi operazioni di polizia, sia per la tutela dei centri e delle vie di comunicazione, sia per l'amministrazione diretta delle regioni periferiche, inospiti od insicure. E, tuttavia particolarmente dopo la nomina a Governatore Generale e Viceré del Duca d'Aosta, Principe Amedeo di Savoia, avvenuta nel dicembre 1937, la situazione aveva visto notevoli miglioramenti. In molte regioni e presso molte popolazioni la sovranità italiana risultava ormai gradita ed apprezzata: anche nelle regioni dell'Amara e dello Scioa essa era generalmente riconosciuta come ineluttabile e gli episodi di ribellione nel 1939 erano ormai fortemente ridotti.
ORDINAMENTO POl,JTICO AMMINISTRATIVO E SITUAZIONE POLITICA DELL' A.0.1.
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Appariva chiaro, tuttavia, come questa situazione avrebbe potuto sussistere fino a quando la sovranità italiana poteva essere affermata nettamente da una forza preponderante. Ciò, del resto, era fenomeno del tutto naturale presso le popolazioni che non potevano essere animate, nonostante le affermazioni propagandistiche in contrario, di spirito di «fascistica italianità» e, del resto, atavicamente orientate al rispetto del più forte. Una situazione interna di normalizzazione delle attività amministrative ed economiche, che avrebbe potuto consolidarsi in ulteriori arini di sviluppo pacifico, risulterà invece sconvolta dagli avvenimenti bellici ed offrirà grandi opportunità alle forze interne ed esterne di opposizione. La tensione con la Francia aveva già indotto questo Paese ad alimentare la ribellione con propri emissari ed aiuti fin dal I 93 8 O); . nel corso del 1939 anche la Gran Bretagna iniziava attività similari, che, intensificate già a partire dai primi di maggio del 1940 nel Goggiam, nel Beghemeder e nell'Uolcait, erano seguite con preoccupazione dalle nostre Autorità. L'azione degli emissari nemici era volta a convincere le popolazioni indigene che gli Inglesi avrebbero agito presto e sarebbero penetrati nell' A.O.I. conquistandola col favore della ribellione interna. Ciò provocava effervescenza, sia nelle popo!azioni a noi devote e fedeli sia in quelle mal sottomesse, e causava l'intensificarsi di atti aggressivi da parte di gruppi di predoni e di ribelli che non si limitavano a compiere razzie e vendette, ma assalivano anche presidi e rep·arti. Ai primi di maggio, un migliaio di armati con mitragliatrici, provenienti dal Beghemeder, in una incursione nel Bughnà distruggevano villaggi a noi sottomessi; ai primi di giugno, forti formazioni ribelli attaccavano nostri reparti in movimento tra ~ngiabara e Danghila; il 5, in regione Guraghè, formazioni valutate in 800-1000 armati attaccavano un'autocolonna con comando brigata; l' 11 veniva sorpreso il presidio di Gildù nel settore Ambò; il 13, un migliaio di armati procedeva a rappresaglie nel Lasta contro popolazioni a noi fedeli e sottomesse (località indicate nella carta n. 2). (I) Cfr. Revue Historique de l'Armée: n. 4/1963 e n. 4/1971.
, 22
LB OPBRAZIONI IN AFRICA ORIBNTALB
Un piano organico sembrava presiedere questi atti di ribellione tendenti ad obbligarci a distrarre molte forze per la tutela dell'ordine interno a detrimento di quelle da destinare ai confini; le direttrici di movimento dei gruppi ribelli sembravano orientate v_erso le grandi strade che fanno capo ad Addis Abeba: strada imperiale a nord di Dessiè; strada per Gimma e per Harar; strada Amb.ò-Lechènti. Lo Scioa era la regione più infida e più subdolamante irrequieta (la stessa ·città di Addis Abeba era da considerare se non un fornello da mina certo un pericoloso focolarè di infezione); dei battaglioni che la presidiavano, 14 facevano parte della riserva generale del Comando Superiore delle FF .AA .. In condizioni quasi analoghe si trovava l'Amara, giacché la propaganda avversaria , ricca di mezzi ed efficace presso popolazioni naturalmente irrequiete e facilmente impressionabili, agiva oltreché dall'interno anche dalle province contermini; l'infiltrazione propagandistica era particolarmente facile dai confini del Goggiam assai difficilmente sorvegliabili. Detta regione però, per la sua maggiore eccentricità e per la mancanza di importanti obiettivi territoriali, preoccupava meno il nostro Comando anche perché un'eventuale ribellione avrebbe potuto essere colà più facilmente circoscritta. Nelle altre regioni dell' A.O.I. il fenomeno della ribellione non aveva assunto le proporzioni dello Scioa e dell'Amara. Le autòrità inglesi seppero assai abilmente sfruttare l'animosità contro di noi dei rifugiati oltre confine e dei fuorusciti, che avevano possibilità di rientrare nell'Impero, promettendo loro grandi vantaggi con la restaurazione del Negus e fornendoli di amù ed elargendo denaro. Con questi elementi valutati in numero di circa 8.000 <1> venne a costituirsi lungo tutti i nostri confini una minaccia potenziale. (!) Nel Kenia: un nucleo di circa 1.400 fuorusciti etiopici distesi lungo la fascia confinaria 'ai fronte al nostro "Oltre Giuba" con centro di gravitazione intorno a Garissa; un nucleo di forze imprecisate a Marsabit; un nucleo di circa 800 uomini a lsiola; un nucleo di circa 400 uomini in zona Mombasa.
Nel Sudan; un nucleo di circa 460 uomini nella zona Gambela-Kurmuk; un nucleo di forza imprecisata di nuovi rifugiati riella zona di Ghedaref, un nucleo di forza imprecisata nella zona di Khartum. Complessivamente i fuorusciti nel settore erano valutati in 3.000 uomini armati intenti all'addestramento militare. Nella Costa Francese dei Somali: un nucleo di circa 300 uomini concentrati nei pressi di Gibuti. Nel Somaliland: un nucleo di circa 600 uomini dislocati lungo la fascia di confine.
ORDINAMENTO POLITICO AMMINISTRAT IVO E SITUAZIONE POLITICA OELL'A.0.1.
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Mobilissimi, liberi da ogni vincolo, eccitati contro di noi, desiderosi di vendetta, con molte parentele e interessi nell'interno dell'Impero, perfetti conoscitori del terreno nonché dei nostri posti di confine, essi potevano, in qualunque momento, infiltrarsi nel paese, trovarvi appoggio ed asilo e fomentare la ribellione. Per fronteggiarli, nel caso che necessità operative ai confini ci avessero costretto di distogliere molte forze dall'interno, il Comando Superiore predispose la costituzione di pochi ma piuttosto forti presidi: tutela per le popolazioni che, sebbene istigate, avessero voluto mantenersi fedeli; monito per quelle incerte. La situazione politica interna doveva naturalmente evolvere molto, in relazione all'andamento generale del conflitto in Europa ed alle prospettive di successo del Governo italiano. Un altro fattore rilevante risulterà quello economico-finanziario, costituito dal fatto che le popolazioni indigene tendevano a preferire sempre la moneta in metallo pregiato (tallero d'argento) alla carta moneta. A conflitto iniziato, e particolarmente dopo che le prospettive divennero sfavorevoli, il valore della nostra moneta risultò rapidamente eroso; questa, spesso, finì per essere completamente non accettata dalle popolazioni. Ciò rese anche difficile la situazione nei riguardi delle truppe coloniali, ora pagate con moneta svalutata, mentre ingenti risultavano le possibilità di gioco politico conferite ai Britannici dalla larga distribuzione di denaro (sterline oro) effettuata tramite i loro emissari.
f
CAPITOLO III
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO I. L'ORDINAMENTO
L'ordinamento militare dell' A.O.I. nel maggio 1940 era ancora, dal punto di vista giuridico, quello stabilito il 12 settembre 1936 dal Consiglio dei Ministri, e con piccole modifiche approvato nel novembre 1937 <1>. Era un ordinamento riferito alla organizzazione politico-amministrativa data al territorio ed alle esigenze di pace. Per quanto si riferiva ai rapporti tra Roma ed Addis Abeba, questo ordinamento attribuiva ogni responsabilità ed autorità al Ministero dell'Africa Italiana sottraendole al Ministero della Guerra, che pure doveva fornire personale e materiali. Ciò non doveva facilitare il supporto delle forze dell'Impero, le cui esigenze dovevano essere soddisfatte tramite un Ufficio militare esistente nel Ministero del!' Africa Italiana, che riceveva gli stanziamenti di bilancio, ma erano poi inoltrate allo S.M. del Ministero della Guerra. Questo, d'altra parte, negli anni successivi alla conquista dell'Impero, doveva affrontare molti gravi problemi connessi con le tensioni in Europa senza disporre di risorse adeguate e finiva per dare minore attenzione alle esigenze dell'A.O ..
A ciò si aggiunga che le responsabilità del coordinamento di carattere operativo venivano attribuite al Capo di S.M. Generale, Maresciallo Badoglio, mentre, per tutte le questioni di qualche rilievo - e spesso anche per quello di minore interesse -, continui erano gli interventi sia di Mussolini, quale Capo del Governo O'come Ministro della Guerra, sia del Sottosegretario alla Guerra, generale Pariani, sia del Sottosegretario e poi Ministro per l'Africa Italiana, Attilio Teruzzi. (I) Ordinamenwdel 15 novem bre 1937 (in stralcio), documento n. 1.
ORDINAMENT O
NORMAI
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LE OPERA210NI IN AFRICA ORIENTALE
I rapporti fra l'Amministrazione centrale del Paese e quella dell' Impero erano perciò piuttosto complessi; essi poi erano molto sensibili al variare degli interessi e delle attenzioni di ordine interno e di politica estera predominanti nel Governo di Roma, che, dopo la conquista, si erano allontanati alquanto dalla scena etiopica. Il citato ordinamento del 1937 prevedeva forze terrestri relativamente esigue, sufficienti a soddisfare le esigenze normali di pace, per circa 2.500 Ufficiali (2.000 in spe) e 1.600 sottufficiali (tutti nazionali); 21.000 uomini di truppa nazionali e 43 .000 indigeni, con una forza bilanciata annua di 67 .000 uomini. L'organizzazione di Comando prevista, alle dipendenze del Viceré Governatore Generale, era cos~ituita da <1>: -
uno Stato Maggiore con: un Capo di S.M., Ispettorati vari, una Direzione Superiore dei Servizi; da esso dipendevano il Comando Piazza di Addis Abeba e le forze della Capitale;
-
Comandi di Truppa, alle dipendenze di ciascun Governo.
Dal Viceré dipendevano anche un Comando Superiore dell' Aeronautica e.d uno della Marina, nonché un Comando della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale che disponeva di unità permanenti (una Legione per ogni Governo) e di unità mobilitabili, che inquadravano i civili nazionali e soprattutto gli operai delle imprese di costruzione di vie di comunicazione. I Governi disponevano anche di unità dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia dell'Africa Italiana (PAI) in corso di costituzione. Era previsto che le truppe fossero organizzate in: -
ùnità nazionali, costituite essenzialmente dalla Divisione «Granatieri di Savoia», dalle Legioni Camicie Nere, da unità di artiglieria e del genio;
-
unità coloniali, a costituzione organica "regolare" (16 Brigate; battaglioni autonomi; gruppi di sqd. di Cavalleria; gruppi bande di confine; ecc.) (I) Vds. schizzo n. 5.
LI\ SITUAZIONE ~11LITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFI ITTO
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
-
organi dei Servizi: Sezioni od Uffici di ciascun servizio presso ogni Governo, ed organi esecutivi vari;
-
un deposito territoriale per ogni Governo come centro di mobilitazione.
Potevano essere formate «bande» a costituzione irregolare di indigeni sia da parte delle Autorità militari sia da parte delle Autorità civili reggenti i Commissariati e le Residenze, con compiti essenzialmente di polizia e di controguerriglia. P er il mantenimento e l'istruzione di queste forze era fissato un bilancio ordinario di circa 580 milioni di lire. Ma l'ordinamento previsto era stato attuato solamente nelle sue linee generali, mentre le esigenze di completamento della occupazione dei territori e di contrasto delle forze ribelli avevano impedito una contrazione della forza alle armi nell'Impero <1>. All'inizio del 1937, nonostante l'avvenuta stipulazione, il 2 gennaio 1937, della «Dichiarazione congiunta anglo-italiana» (Gentlemen 's Agreement), seguita poi dagli accordi dell'aprile 1938 <2) che avrebbero dovuto porre termine alla tensione fra Roma e Londra, e probabilmente anche in connessione con i nuovi contrasti per la questione spagnola, con un foglio segreto del 22 febbraio (3) il Capo del Governo stabiliva di: portare a 100.000 uomini le forze terrestri dell' Impero (di cui 50.000 nazionali),; costituire riserve mobilitabili dinazionali e di indigeni; iniziare a fine anno la costituzione di una «armata nera» da portare a 300.000 uomini per il 1940-41; dare priorità al conseguimento dell'autarchia dell'Impero «in tempo di pace e soprattutto di guerra» tenendo «sempre presente che in caso di guerra la madrepatria non chiederà nulla all'Impero ma non potrà dare nulla». Della particolare delicatezza della situazione dell'Impero in caso di conflitto in Europa aveva già dato testimonianza anche l'allora Sottosegretario alla Guerra Generale Ettore Baistrocchi con una sua lettera del 18 settembre 1936, che tendeva ad opporsi alle decisioni (I) Nel 1937 erano ancora alle arini 255.000 uomini (135.000 nazionali e 120.000 coloniali).
(2) Vds. i testi degli Accordi nel documento n. 2. (3) F. 15044 Segreto del 22.2.1937, documento n. 3.
LA SITUAZIONE MlLITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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di richiamare in Italia tutte le divisioni metropolitane e di recuperare buona parte dei materiali di equipaggiamento inviati per la campagna di Etiopia (I). Avveniva peraltro che, anche in relazione alle tensioni in Europa ed alle esigenze di invio di materiali in Spagna ed in Albania, tali rimpatri ed il recupero particolarmente dei mezzi più moderni venissero attuati progressivamente; sicché le accresciute esigenze di grandi operazioni di polizia nell'Impero venivano soddisfatte con semplici atti amministrativi e con un incremento delle truppe coloniali, dotate di armamento leggero e generalmente vetusto. In conseguenza, negli anni successivi al 1937, si verificava contemporaneamente: -
un susseguirsi di nuovi progetti di ordinamento, che, per motivi vari soprattutto finanziari, non trovavano concreta attuazione; una diminuita disponibilità di mezzi particolarmente moderni, ed una contrazione delle unità nazionali; un incremento notevole delle unità coloniali, particolarmente di quelle irregolari, spesso di scarsa idoneità bellica eccetto che per operazioni di polizia locale.
In particolare, il 9 aprile 1937, il Maresciallo Graziani aveva trasmesso al Ministero dell'Africa Italiana - in relazione alle disposizioni del Capo del Governo sulla costituzione dell'«armata nera» un progetto di mobilitazione dell'Impero facendolo seguire da progetti particolari relativi all'articolazione di tale «armata», alla costituzione delle unità, al fabbisogno per un anno di autosufficienza, alla assegnazione di unità servizi, ecc .. Nella prima decade di giugno il Ministero dell' A.I. trasmetteva a quello della Guerra copia del carteggio intercorso con l'Africa Orientale riservandosi di sottoporre al suo esame il complesso problema dell'organizzazione dell'armata nera non appena ultimati gli scambi di vedute col Governo Generale dell' A.O.I.. Nel frattempo, però, come si è detto, il divampare della ribellìone in taluni territori dell'Impero imponeva, nell'autunno 1937, misure militari eccezionali che superavano di gran lunga l'ordinamento previsto e lo stesso aumento annunciato dalle direttive di Mussolini. (1) Lettera riprodotta nel documento n. 4.
30
LE OPERAZIONI IN AFRICA OR1ENTALE
La constatata insufficienza dell'ordinamento politico-amministrativo-militare induceva il Ministero dell' A.I. a richiedere, anche per ragioni di bilancio, un progetto di ordinamento suppletivo che il Governo Generale del Maresciallo Graziani trasmetteva il 1° dicembre. Detto progetto (l), tenute anche presenti le necessità di difesa contro minacce esterne, richiedeva tra ~'altro: 3 brigate corazzate (una per la frontiera Eritrea, una per la frontiera Amara-Beni Sciangul-Sudan, una per la frontiera del Kenia), 24 batterie anticarro, 3 gruppi di artiglieria contraerei, 6 battaglioni carri armati ed autoblindo , 5 autogruppi.
II Ministero della Guerra (cui l'ordinamento suppletivo venne trasmesso per esame) rispondeva E-2> comunicando l'ammontare approssimativo della spesa ed i tempi di approntamento ed esprimendo l'avviso che il progetto dovesse limitarsi, per il momento, a quanto era assolutamente indispensabile per la tutela dell'ordine interno dell' Impero, e che quanto invece occorreva per la mobilitazione e la difesa delle frontiere dovesse essere stralciato per essere esaminato nel quadro generale degli apprestamenti bellici dell'Esercito (necessità metropolitane e coloniali) sia pure col grado di precedenza consigliato dalla lontananza dell'Impero dalla madrepatria . Ma, in rel~one alla maggiore attenzione ora rivolta ad altri problemi ed alle limitazioni di bilancio, le richieste a favore dell' A.O.I. finirono per pon trovare a Roma né possibilità di accoglimento né alcun concreto interessamento per soò,disfarle. Sicché i programmi allora presentati non ebbero alcun seguito, né lo ebbero richieste di finanziamenti presentate nel settembre 1938 dal Generale Cavallero, Comandante Superiore delle FF.AA. dell'A.O.I. , in una sua visita in Italia <3) . Tuttavia, nei primi mesi del 1939, a causa delle tensioni fra Roma e Parigi per le rivendicazioni italiane su Tunisi, Corsica e Gibuti (1) F. 28740 dell'l.12.1937, documento n. 5. (2) F. 163 14 del 9.4.1938, documento n. 6. (3) In data 21 dicembre 1937 al Maresciallo RODOLFO GRAZIANI era succeduto il Principe AMEDEO Duca d'Aosta nella carica di Viceré-Governatore Generale. Alle dipendenze di questo era stato designato un "Comandante Superiore delle Forze Armate dell' A.O.I." nella persona del Generale di e .A. Uoo CAVALLERO .
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRI MA DEL CONFLITTO
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e per la eventualità di operazioni intese ad occupare la Costa francese dei Somali, il Governo di Addis Abeba inoltrava richieste urgenti di unità e mezzi moderni, quali aerei da caccia e da bombardamento, carri leggeri e medi, artiglierie CaJJlpali e controaerei. Il Capo del Governo aderiva, in linea di massima, a tali richieste; ma esse saranno soddisfatte solo in parte entro il giugno 1940. La questione della preparazione militare dell'Impero veniva ancora affrontata 1'8 maggio 1939 dal Ministro Teruzzi che, in un promemoria riepilogativo al Viceré, richiamava, fra gli argomenti di maggiore importanza ed urgenza, i problemi relativi alla costituzione dell' «armata nera», alla mobilitazione ed alla definizione di piani operativi <1>. Nell'imminenza della 2a guerra mondiale si avrà, poi, nel luglio e nell'agosto 1939, una serie di iniziative volte a definire meglio attribuzioni e responsabilità in caso di conflitto. In particolare, veniva emanata la legge n. 1193 del 26 luglio 1939 «Organizzazione bellica delle terre d'oltremare» (2). Questa legge cercava di mettere un poco d'ordine in una materia che rimaneva però assai complessa e con aspetti insoddisfacenti. Essa prevedeva infatti, per l'Africa Orientale, che: -
la responsabilità della preparazione bellica spettasse al Capo di Stato Maggiore Generale (Maresciallo Badoglio) sulla base degli ordini del Duce e sentito il Ministero dell'Africa Italiana; egli peral.tro si sarebbe limitato a dare direttive;
-
il compito esecutivo spettasse ai Capi di S.M. delle Forze Armate, nelle rispettive sfere d'azione, alle quali peraltro non venivano fatte assegnazioni di bilancio;
-
gli stanziamenti erano previsti a favore del Ministero dell 'Africa Italiana che poteva devolverli direttamente ai singoli Governi dell' A.O.I. per le spese di carattere ordinario oppure disporne l'impiego per le spese di carattere straordinario. All'articolo 2 era previsto che i Comandi Superiori delle forze (I} F. 806989 dell'8.5.1 939, documento n. 7. (2) In stralcio, documento n. 8.
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LE OPERAZ IONI IN AFRICA ORI ENTALE
armate delle Terre Italiane Oltremare (T.1.0.) dovevano ricevere direttive: -
dai rispettivi Governi Generali, per le esigenze di ordine interno,
-
dai Capi di S.M. di forza armata in collegamento col Ministero dell' A.I., per la preparazione alla guerra, dal Capo di S.M. Generale, per lo svolgimento delle operazioni.
-
Ma, in effetti, mentre le attività relative alla Marina ed alla Aeronautica rimanevano affidate prevalentemente alle rispettive Forze Armate, per quanto si riferisce alle forze terrestri ed alle attività di preparazione alla guerra, queste rimasero essenzialmente competenza del Ministero dell'Africa Italiana sulla base delle direttive del Capo del Governo e del Capo di Stato Maggiore Generale. A guerra iniziata, poi, le operazioni e tutte le attività conseguenti saranno dirette dallo Stato Maggiore Generale, divenuto Comando Supremo in esito alla circ. 5569 del 4 giugno 1940 (1). Tra il maggio e il settembre 1939 il Duca d'Aosta faceva pervenire al Ministro A.I. parecchi fascicoli relativi alla preparazione per un eventuale conflitto, quali: -
predisposizioni di mobilitazione e disposizioni preliminari; progetto di autosufficienza·A.O.I.; disposizioni preliminari operative; piani operativi;
-
disposizioni di mobilitazione.
Per quanto riguarda in particolare l'autosufficienza, il progetto, pervenuto nel mese di giugne, prevedeva una spesa complessiva di L. 4.830.000.000. Presentato nell'agosto al Capo del Governo esso rion poteva aver corso per difficoltà di carattere finanziario. In tale considerazione veniva anzi stabilito di limitare l'autosufficienza a quanto possibile attuare coi fondi già stanziati in bilancio, senza ulteriori assegnazioni straordinarie. Il Governo Generale tornava sull'argomento il 2 settembre con un secondo progetto di autosufficienza basato sul fabbisogno milita.re di un anno e assai ridotto, rispetto al primitivo. Il nuovo progetto (I) Testo della circolare, documento n. 9.
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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prevedeva una spesa complessiva di L. 1.453.000.000. La richiesta veniva accolta solo in parte e, in definitiva, il 30 novembre il Ministero delle Finanze assicurava che con apposito provvedimento di variazione al bilancio sarebbe stata disposta l'assegnazione straordinaria della somma di 900 milioni. La nostra impreparazione a sostenere un'eventuale guerra, con tutte le probabilità di guerriglia nelle nostre retrovie, fu nuovamente rappresentata nella riunione tenuta dal Ministro dell'A.0.1. a Villa Italia in Addis Abeba nella seconda metà di febbraio 1940. In questa riunione il gen. Gazzera, Governatore del Galla e Sidama, espose chiaramente l'impreparazione del suo territorio, l'inadeguatezza dell'armamento delle poche truppe, l'inesistenza o quasi di comandi e di servizi sul ·fronte sud e il Vicegovernatore generale, gen. Nasi, con parole anche più esplicite confermò l'inconsistenza delle forze nell' Impero per ,una guerra contro l'Inghilterra. Il Duca d'Aosta si recò a Roma per insistere sulle gravi deficienze militari dell' A.O.I. e sulla necessità di un apprestamento di tutti i mezzi che una guerra moderna avrebbe resi necessari. Il 6 aprile, alla presenza del Capo del Governo si riunivano per esaminare la situazione militare dell' A.O.I.: il Ministro dell' A.I., il Sottosegretario alla Guerra, il Viceré d'Etiopia. In tale riunione, considerate la situazione e le necessità dell'Impero, nonché le necessità e possibilità metropolitane, veniva stabilito di provvedere alle più impellenti e indispensabili esigenze dell' A.O.I. con l'invio di un blocco di materiali e personale. Con decreto interministeriale del 18 stesso mese (58 giorni prima della dichiarazione di guerra) veniva finalmente fatta l'assegnazione dei 900 milioni da tempo concessi. Ma, nel corso degli ultimi mesi prima del conflitto, poteva essere inviato e raggiungeva l' A.O.I. solo un numero limitato di mezzi moderni, già richiesti .a suo tempo per l' «esigenza Gibuti». Solo nell'imminenza dell'entrata in guerra dell'Italia, e precisamente nella terza decadé del mese di maggio, aveva inizio l'attuazione di una nuova organizzazione mi.Iitare. Per essa tutti i p0teri politici, amministrativi e militari venivano concentrati nelle mani del Governatore Generale Viceré d'Etiopia,
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTAL,E
Amedeo di Savoia duca d'Aosta, alla cui immediata dipendenza erano posti: il Vicegovernatore generale, governatore di colonie dott. Giuseppe Daodiace, ed il Capo di S.M. del Governo Generale (con rango di Vicegovernatore generale) gen. di C.A. Claudio Trezzani. A questi saranno attribuiti dal decreto di nomina n. 1139 in data 27 luglio 1940, poteri particolarmente ampi, rafforzati dalla fiducia che in lui riponevano il Capo del Governo ed il Capo di Stato Maggiore Generale (1) (2). Per effetto delle disposizioni circa il Comando Supremo in guerra, emanate a pochi giorni dal nostro ingresso nel conflitto, e delle disposizioni esecutive dell'8 giugno 1940 <3>, tutta la responsabilità della direzione militare delle operazioni in A.O.I. risaliva così, sulla base delle direttive del Capo del Governo, al Capo di S.M. Generale, Maresciallo P ietro Badoglio, che la esercitava direttamente per le Terre Italiane d'Oltremare. Tale attribuzione, teoricamente ideale ai fini di un coordinamento delle operazioni, contrastava però con la costituzione di un Comando Supremo del tutto impari ai compiti, che nella concezione del Mar. Badoglio avrebbero dovuto limitarsi alle direttive di larga massima, e con una organizzazione farraginosa di tutte le relazioni con gli organi operativi ed amministrativi dei Ministeri interessati. Per quanto si riferiva all'Africa Orientale, il Mar. Badoglio poteva ritenere di essere perfettamente in grado di esprimere tali direttive in relazione alle sue precedenti esperienze in Libia e nell' A.O.I. medesima, che considerava sua creatura. Egli poi aveva quale suo Capo Reparto Operazioni il gen. Quirino Armellini che era appena rientrato dall'Africa Orientale, dove aveva ricoperto l'incarico di Comandante élelle Truppe del Governo Amara, cioè in una delle regioni più tormentate dai ribelli. Infine egli poteva esercitarvi uno stretto controllo su tutte le attività militari attraverso il gen. Trezzani, di sua fiducia e da lui designato all'incarico di Capo di S.M. del Governo ·Generale. (1) ~ .D. 27 luglio 1940 n. 1139, documento n. 10. (2) Appunto del Capo del Governo in data 21.4.1940, documento n. 11. (3) F. 1-D del Comando Supremo in data 8.6.1940, documento n. 12.
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFUITO
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La nuova organizzazione di governo civile e militare, attuata così affrettatamente all'inizio delle ostilità, prevedeva, accogliendo quasi integralmente le proposte del Viceré <1>: - uno Scacchiere Nord (gen. di C.A. Luigi Frusci), fronteggiante il Sudan Settentrionale: tale scacchiere comprendeva i territori dei governi dell'Eritrea (meno la Dancalia) (comandante truppe: gen. Vincenzo Tessitore) e dell'Amara ( comandante truppe: gen. Agostino Martini); - uno Scacchiere Sud (gen. des. d' A. Pietro Gazzera), fronteggiante il Sudan meridionale ed il Kenia settentrionale, e comprendente il territorio del Galla e Sidama e aliquote del territorio della Somalia fino a Dolo; - uno Scacchiere Est (comandante: gen. di C.A. Guglielmo Nasi; vicecomandante: gen. di C.A. Sisto Bertoldi), che fronteggiava la Costa Francese dei Somali ed il Somaliland Britannico, e comprendeva i territori dei governi di Harar (comandante truppe: gen. di div. Carlo de Simone) e dello Scioa (comandante truppe: gen. di C.A. Ettore Scala), della Dancalia, di Dessiè e Ourra Ilù, nonché dell'Ogaden, Mudugh, Nogal e Migiurtinia; - un Settore Giuba (gen. di C.A. Gustavo Pesenti), fronteggiante il Kenia e comprendente aliquote dei territori del governo della Somalia; - un Comando Marina (ammiraglio Carlo Balsamo); - un Comando Aeronautica (gen. di S.A. Pietro Pinna). Circa le forze, si prevedeva che, «considerato che una vasta incastellatura, avrebbe richiesto elementi ausiliari (Stati Maggiori, collegamenti, servizi, ecc.) non disponibili, ritenuto che data molteplicità situazioni derivanti da intrecciarsi azioni offensive e difensive con situazione interna, in scacchieri amplissimi, fosse necessario strumento agile, snodato, modificabile secondo situazioni di volta in volta affacciantesi», dovesse attuarsi una organizzazione con le seguenti caratteristiche: - dosamento iniziale delle forze nei vari scacchieri non uniforme, ma adeguato alle prevedibili necessità del momento; (!) Vds. schizzo n. 6 e f. 200391 del 10.5.1940 con le proposte del Comando Superiore FF.AA. dell'A.0.l., documento n. 13.
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LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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SCHIZZO N. 7
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I 38
LE OPERAZIONI IN AFRIC A ORIENT ALE
-
raggruppamento organico delle forze in: battaglioni, brigate ed occorrendo divisioni coloniali (di due o più brigate), comandi scacchiere;
-
ripartizione delle forze per l'impiego in: truppe a disposizione dei comandi degli scacchieri riserva generale nelle mani del Comandante Superiore le FF.AA. dell' A.O.I..
e
2. LE FORZE ITALIANE: LORO ENTITÀ IN PERSONALE E MEZZI; LORO DISLOCAZIONI INIZIALI
Come si è posto in luce, in relazione alle esigenze di sicurezza interna, le forze italiane, costituite prevalentemente da unità coloniali, erano numericamente piuttosto cospicue anche nel corso del 1939 e nei primi mesi del 1940. Le possibilità.di ulteriore espansione trovavano invece limiti consistenti nei riguardi della mobilitazione di personale nazionale, in buona parte impiegato in strutture essenziali della vita del paese. Anche le possibilità di arruolamento o di richiamo di personale indigeno, teoricamente assai elevate, trovavano limiti soprattutto nella disponibilità di personale d'inquadramento idoneo; di fatto l'efficienza operativa delle unità coloniali di nuova costituzione risultò insoddisfacente soprattutto per deficienze in tale settore. Le nostre forze all'inizio delle ostilità risultano dai documenti n. 14 e n. 15 (v. anche schizzo n. 7 e carta fuori testo n. 3). Sono in totale 7.000 ufficiali e 84.000 sottufficiali e truppa nazionali (inclusa finanza, marina ed aeronautica) e circa 200.000 coloniali; con un armamento di 3.300 mitragliatrici, 5~300 fucili mitragliatori, 670.000 fucili, 24 carri M, 39 carri L, 126 autoblindo (o autocarri attrezzati con appositi scudi). Nello specchio n. 16 è riportato anche il numero dei pezzi distinti per calibro (4 obici da 149/13; 4 cannoni da 120/45; 26 cannoni da 120/24; 59 da 105/28; 216 da 77/28; 92 da 70/15; 312 da 65/17 e circa un altro centinaio dei più diversi tipi). Gli aerei,all'inizio della campagna erano 325 (vds. documento
n. 16J.
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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La forza presente in A.O.I. subì un incremento nei primi mesi di guerra per effetto della mobilitazione in sito di nazionali e coloniali <1>, che ebbe i_nizio a partire dal 10 maggio 1940. Queste cifre risultano: per il personale, dagli specchi periodici trasmessi a suo tempo a Roma dal Comando Superiore delle FF .AA. dell' A.O.I. e, per il materiale, da uno specchio alla data del 15 luglio 1940 del Ministero dell'Africa Italiana. Circa l'entità del personale si può rilevare come, in ultima analisi, l'organizzazione militare avesse garantito una forza complessiva anche superiore a quella posta come obiettivo dalle direttive relative alla costituzione di una "armata nera". Risulterà invece deficitaria la situazione dei mezzi disponibili, e particolarmente di quelli moderni, per dare a questa massa effettive possibilità operative contro un esercito di tipo eqropeo. La situazione in alcuni settori fu solo parzialmente migliorata con l'invio di personale e mezzi il cui afflusso era stato già previsto in funzione della prospettiva di una eventuale "operazione Gibuti"; disposto fin dal 1939 esso sarà eseguito solo nell'aprile-maggio 1940. In particolare, all'inizio delle ostilità, per quanto si riferiva all'Esercito risultavano partiti ed arrivati in A.O.I. -
1 compagnia speciale carri M 11: 24 carri con il relativo personale;
-
1 compagnia speciale carri L: 24 carri e relativo personale;
-
3 gruppi da 105/28: 32 cannoni e relativo personale; 2 gruppi da 75/46: 16 cannoni e relativo personale; 4 batterie da 20: 24 mitragliere con nuclei di personale, (con soli proietti e.a. e senza congegni di puntamento); 4 compagnie mortai da 81 (solo materiale); 300 ufficiali e una modesta aliquota di personale specializzato.
-
Nulla di quanto previsto per l'armata coloniale era stato avviato in A.O.I.. Le aliquote di materiale che nella riunione del 6 aprile 1940 il Ministero della Guerra si era impegnato di anticipare (avrebbero dovuto essere reintegrate con l'impiego di materie prime da assegnare al Commissariato generale per le fabbricazioni di guerra) rimasero {I) Vds. schieramento forze contrapposte alla data del IO gennaio 1941 (schizzo n. 20).
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LE OPBRAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
giacenti a Napoli per il sopraggiunto stato di guerra e furono successivamente utilizzate in Africa Settentrionale e in patria. Cominciarono, invero, i primi invii: un piroscafo di gomme salpò da Genova ma prima di giungere a Napoli fu richiamato; altri ne partirono e proseguirono ma non giunsero a destinazione: il ''Marin Sabaudo", che trasportava materiali per la costituzione di altre 8 compagnie mortai, fu.dirottato dagli Inglesi su Tobruch; il "Verbania", con 60 mitragliere da 20 mm., su Porto Sudan. Giunse in Africa Orientale qualche materiale mandato in aereo guerra durante (ad esempio 4.000 colpi per mitr. da 20 anticarro); ma· 1n definitiva la guerra laggiù si fece con quel che c'era. Infatti, complessivamente il comando servizi aerei speciali da e per l' A.O.I. poté trasportare, nel corso delle operazioni 1. 739 passeggeri e solo 346 tonn. di materiale, bagaglio e posta. 1
La dislocazione al 10 giugno 1940 risulta dalla carta fuori testo n. 3.
Si può porre in rilievo la gravitazione delle forze a favore degli Scacchieri Nord ed Est ed in particolare di quest'ultimo che disponeva fra Addis Abeba e. Dire Daua di quasi tutte le forze nazionali e di tutte le unità carri, autoblinde ed artiglierie più moderne. Ciò, evidentemente per gli orientamenti offensivi connessi con la eventuale esecuzione del "Piano O.I." per l'occupazione di Gibuti e del Somaliland britannico.
3. LE FORZE ITALIANE: LORO CARATTERI GENERALI
Le forze italiane erano costituite da due tipi di forze n~ttamente distinte: quelle nazionali e quelle coloniali_. Le prime erano ·costituite esclusivamente con personale nazionale, avevano una costituzione similare a quelle in Italia ma con organici e mezzi generalmente ridotti ed adattati al particolare ambiente. Le Grandi Unità nazionali costituite furono: -
la Divisione «Granatieri di Savoia», esistente fin dal tempo di pace, che comprendeva: il 10° reggimento gra. (Col. Borghesi Alberto, caduto ad Ad Teclesan) su due battaglioni gra. ed il btg.
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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alpini «Uork Amba»; l' 11 ° reggimento gra. (Col. Corsi Corso) su due battaglioni gra. ed un battaglione bersaglieri; un battaglione mitraglieri; un battaglione Camicie Nere poi 11 a Legione (Console Gresele); un gruppo di squadroni di cavalleria «Neghelli»; il 60° reggimento artiglieria (Col. Lamborghini Renato) su due gruppi someggiati da 65/17 di 12 pezzi; -
la Divisione Fanteria «d'Africa», costituita solo parzialmente per mobilitazione durante l'anno 1940, con il 210° e 211 ° reggimento fanteria, ciascuno su due battaglioni; un battaglione CC.NN.; elementi vari.
Vi erano inoltre reparti della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale con unità di vario tipo: la maggioranza con compiti presidiari; alcune unità motorizzate; ma tutte con organici ed armamenti leggeri. Erano m~zionali tutti i reparti dotati di mezzi pesanti o complessi (artiglierie dei vari calibri escluse quelle da 65/17; artiglierie e.a.; carri armati ed autoblindo), i reparti del genio e delle trasmissioni, quelli dei trasporti automobilistici e delle unità dei servizi. Gli organici (I) dei reparti erano relativamente ricchi in fucili mitragliatori e mitragliatrici; scarsi i mortai; assenti le armi e.e. e e.a.; scarsi i mezzi di collegamento radio; i trasporti organici erano a soma; eventuali movimenti motorizzati dovevano avvenire con l'assegnazione temporanea di autocarri. La grande massa delle forze era rappresentata dalle unità coloniali costituite da: -
Brigate coloniali (16 previste dall'organico, elevate a 23 già al 1° gennaio 1940, portate successivamente a 29 per mobilitazione); ogni brigata era costituita da un numero variabile di battaglioni coloniali (da tre a cinque) ognuno su tre compagnie fucilieri e una compagnia mitraglieri con complessivi 18 fucili mitragliatori e sei mitragliatrici e da una unità di artiglieria (1 gruppo oppure una o due batterie someggiate da 65/17);
-
Battaglioni coloniali autonomi;
(1) Notizie sugli organici. di alcuni reparti italiani, nazionali e coloniali, nel documento n. 17.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
-
Gruppi Squadroni di cavalleria coloniale; Gruppi di artiglieria coloniale someggiati.
-
Bande e Gruppi Bande a costituzione regolare o irregolare.
Nelle unità coloniali erano nazionali gli ufficiali, alcuni sottufficiali e gli elementi specializzati del genio e delle trasmissioni. La truppa era nelle mani essenzialmente dei graduati indigeni, generalmente eritrei, ottimi e fedeli esecutori. Solidità ed efficienza di tali unità erano assai variabili in relazione alla loro composizione etnica, alle tradizioni ed alla esperienza bellica del reparto, alla personalità dei Comandanti, Ufficiali nazionali e graduati indigeni. In particolare esse risulteranno elevate là dove erano comandate da Ufficiali competenti, coraggiosi ed avveduti, buoni conoscitori delle lingue e dei costumi locali. Peraltro non risulterà facile disporre di tali elementi in numero rilevante; sicché i battaglioni di nuova costituzione spesso non furono pari alla bisogna e si verificò una difformità di comportamenti. I reparti indigeni avevano spesso composizione mista accogliendo anche volontari di varia provenienza; tuttavia la maggioranza era costituita da uomini della region~ del centro di reclutamento, presso il quale veniva costituito il «campo famiglie» nel quale risiedevano i familiari dei militari. I battaglioni pertanto, pur essendo mobili e potendo partecipare a lunghi periodi di operazioni, erano piuttosto legati alla regione di provenienza. Questo elemento farà.sì che essi tenderanno ad esserne attivi difensori, ma che, una volta che essa sarà persa, la truppa cercherà di allontanarsi dai ranghi per tornarvi e tutelare le proprie famiglie. Così, ~on il ripiegamento e l'abbandono di vaste aree, mentre rari rimarranno gli episodi di ribellione o di ammutinamento, si verificheranno vasti fenomeni di diserzione individuale o più spesso in massa di truppe coloniali, che si allontaneranno dai reparti per fare ritorno alle proprie case portando talora con sé il proprio armamento individuale. Trattandosi poi di soldati mercenari si verificò che, sotto le minacce ed i ricatti dei «patrioti» oppure per le lusinghe di paghe più elevate, parte di essi veniva assunte;> dai Britannici e partecipava, ma
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solo in tempi successivi e nelle fasi finali della campagna, a combattimenti contro le nostre unità superstiti. Tutte le unità, nazionali ed indigene, erano organizzate essenzialmente per il movimento ed il combattimento a piedi; la grande massa delle artiglierie era someggiata e costituita da pezzi di piccolo calibro (65/ 17) con gittate limitate. Si trattava di unità leggere e molto mobili in terreni accidentati ma la cui possibilità di grandi movimenti era modesta per il livello bassissimo della motorizzazione. La disponibilità di. autocarri nel Teatro consentiva l'effettuazione di trasporti motorizzati tra località servite dà rotabili (o da buone piste nelle stagioni favorevoli) ma non una motorizzazione delle unità. I mezzi automobilistici erano costituiti, infatti, generalmente, da autocarri medi con due sole ruote motrici; solo alcune unità di artiglieria da I 05/28 disponevano di trattori; esiguo il numero delle «autocarrette» per trasporti su strade malagevoli. Non era quindi possibile una motorizzazione organica anche limitata ad alcune unità, né tanto meno una meccanizzazione. Le effettive possibilità di ricorso ai trasporti automobilistici sul piano strategico e logistico risulterà poi limitata sia per le difficoltà ed i tempi delle traslazione in un'area così vasta e con scarse rotabili sia per la mancanza di gomme, disponibili solo nella proporzione di 1,6 gomme per ruota all'inizio del conflitto e rapidamente divenuto elemento critico, date le forti usure causate dallo stato delle strade e delle piste. L'aviazione scarsa, con apparecchi lenti, antiquati, a limitata autonomia, non poteva essere di ostacolo all'azione britannica né di appoggio alle nostre truppe; ardimento, sovente temerario, opporranno i nostri CR 42 all'armamento degli Hurricane e dei Curtiss; tanto meno i vecchi e pesanti CA 133 potranno competere con:· i Blenheim, i Wellesley ed i Fairey.Battle. La nostra aviazione sarà tuttavia impiegata: per azioni sulle linee, per concorso nelle operazioni di polizia contro i ribelli, per servizi di osservazione aerea e per collegamenti; ciò fino a quando l'aviazione nemica, superiore qualitativamente e quantitativamente, non ne annullerà ogni capacità di azione. Le sue possibilità di utile intervento erano fin dall'inizio limitate da una organizzazione insufficiente della cooperazione aeroterrestre e dei relativi collegamenti; esse risulteranno progressivamente diminuire per le perdite non ripianate.
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LE OPERAZIONI IN AFRJCA ORIENTALE
Infatti, oltre ai 325 aerei iniziali poterono essere inviati per via aerea 71 apparecchi; ma, per effetto delle perdite in combattimento ed al suolo e per le deficienze di parti di ricambio, la disponibilità di aerei per attività operative si ridusse rapidamente, particolarmente nei primi mesi del 1941 quando si esercitò in pieno l'offensiva britannica. Gli aerei efficienti, infatti, che erano ancora 235 al 10 gennaio 1941, si riducevano a 71 al 3 febbràio ed a soli 40 il 15 marzo successivo (I ) . La Marina disponeva di un limitato numero di unità, essendo stato considerato che tutto ciò che fosse stato al di là del Canale di Suez sarebbe stato probabilmente perduto. Le possibilità operative risultavano, poi, menomate da una assai debole possibilità di appoggio da parte dell'aviazione. Buone, invece, le difese a mare delle sue basi. In complesso del tutto insufficienti le condizioni della Marina ad assolvere quei compiti di intercettazione del traffico nel Mar Rosso che si sarebbe voluto attribuirle <2>.
4. SITUAZIONE LOGISTICA DELL'A.0.1. ALL'INIZIO DEL CON-
FLITTO
In relazione alla lontananza dalla madrepatria ed alle difficoltà dell'ambiente, la organizzazione dei servizi in A.O.I. aveva caratteri di particolare autonomia e doveva soddisfare le esigenze spesso con soluzioni eterodosse. A mettere in evidenza alcune di queste difficoltà basti qui ricordare che, in tempo di pace, le truppe dislocate a Calam e a Magi dovevano essere rifornite per via aerea (da Ginuna o da Neghelli), oppure, per concessione del Governo inglese, dal Kenia a mezzo di un fornitore italiano colà ·appositivamente inviato; e che per i rifornimenti di Gambela e di parte del territorio del Galla e Sidama, si provvedeva dal Sudan, per la via fluviale del Baro. (1) Una sintesi delle situazioni aeree successive al giugno 1940 nel documento n. 18, quali risultano dall'opera di O. SANTORO, " L 'aeronautica italiana nella 2• Guerra Mondiale" .
Lo schiv.o n. 8 indica le basi navali ed aeree, italiane e b ritanniche, esistenti in Africa Orientale.
(2) P.F. LUPJNACCI "Le operazioni in Africa Orientale" - Voi. X de "La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale" , Roma, I961.
LA SITUAZIONE M!LIT ARE lTAL!ANA PRIMA DEL CONFUITO
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SCHIZZO N. 8
BASI AEREE E NAVALI ITALIANE E BRITANNICHE IN AFRICA ORIENTALE
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIEl'ITALE
Inoltre in relazione alle scarse attività industriali locali, tutte le esigenze logistiche dovevano essere soddisfatte essenzialmente con un aumento delle scorte; anche riparazioni di qualche rilievo richiedevano il rinvio dei materiali in ltàlia. La prospettiva di una difesa autonoma dell'Impero richiedeva quindi sia un potenziamento degli organi dei Servizi per garantire loro molto più ampie possibilità di funzionamento e di sicurezza sia un incremento delle scorte. Le direttive del settembre 1939 per la difensiva dell' A.O .I. e per eventuali operazioni offensive prevedevano che fosse assicurato al1' Impero autonomia di mezzi di funzionamento sulla base di: -
20 unfoc per armi portatili;
-
10 unfoc per artiglierie;
-
scorte viveri, foraggi, vestiario, materiale sanitario, ecc. per dodici mesi;
- scorte di carburante per un anno, corrispondenti al numero di veicoli che si possedevano. Ma la suddetta autonomia logistica, che pur lasciava insoluto il problema dell'armamento moderno, solo in parte aveva potuto essere assicurata. Si deve, anzi, qui ricordare che nel 1939 era stata imposta una forte riduzione di forza dei reparti e del relativo inquadramento, quando, per esigenze varie (è di questo anno l'operazione in Albania) anche i migliori autocarri avevano lasciato l'Impero. Il Governo Generale dell' A.O.I., già prima dello scoppio del conflitto, ma specialmente nel periodo di non belligeranza, si era in ogni modo adoperato per aumentare le scorte, onde accrescere le possibilità difensive dell'Impero nell'eventualità che l'Italia fosse coinvolta nella guerra. A tale scopo si era accresciuta l'entità dei rifornimenti di cereali, zucchero, carburante, materiali vari ecc. e nel contempo si erano ristretti i consumi civili. Si attivò la produzione agricola con ritmo crescente già nel 1939 e più ancora nel 1940 e nei primi mesi del '41. I raccolti nel Galla e Sidama dettero quantitativi sufficienti
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DEL CONFLITTO
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alla regione e alle truppe operanti in essa con un'eccedenza tale da consentire di cedere al Governo Generale di Addis Abeba 200.000 quintali di cereali e 150.000 quintali di caffè a un prezzo pari a 1/3 o 1/2 di quello praticato sul mercato di Addis Abeba. Si impresse maggiore sviluppo alla trazione animale, all'uso dei gassogeni e si incrementarono, nel complesso, tutte le industrie atte a valorizzare i prodotti locali. Si accelerò la costruzione di impianti atti ad effettuare sul posto la riparazione di armi e di macchine, la produzione di cartucce, ecc .. Ma non tutti questi provvedimenti poterono essere attuati completamente prima dell'inizio del conflitto. L'isolamento completo dalla madrepatria e la non raggiunta prevista autosufficienza fecero assurgere fin da principio il problema logistico a condizione determinante e fondamentale per la soluzione di ogni altro problema militare e, per diretto riflesso, politico. Soltanto la soluzione del problema logistico avrebbe potuto infatti garantire: a) la rapidità di manovra delle forze armate, così da farle·tempestivamente accorrere nella quantità ed efficienza volute su qualsiasi punto del confine e dell'interno; b) la necessaria alimentazione dei mezzi di vita e di combattimento per dette forze. Sotto il primo aspetto la soluzione del problema poggiava essenzialmente sul trinomio: gomme, autocarri, carburanti. Il problema delle gomme si presentava come estremamente preoccupante; l'autosufficienza prevedibile sulla base dei movimenti normali andava da uno a due mesi . Per rimediare in qualche modo a tale deficienza furono attuati e tentati tutti i provvedimenti possibili: requisizione di tutte le gomme per i tipi di autocarro di più comune impiego (Fiat 634 e Lancia Ro); precettazione delle gomme di ogni altrO tipo, nuove ed usate; riparazioni spinte al massimo; riduzione di tutti i movimenti non indispensabili degli autocarri; utilizzazione della trazione animale per brevi trasporti, mentre si sollecitarono aiuti sia dalla madrepatria che
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
dall'estero, tenendo presènte che la difesa dell'A.0.1. dipendeva dagli automezzi, i quali dipendevano infine, evidentemente, dalla disponibilità di gomme e di carburante. Gli autoc~rri efficienti e disponibili all'inizio della guerra erano 5.300 di cui 1.800 di requisizione. Il tenerli in efficienza non preoccupava; si vedeva anzi la possibilità di aumentare il numero rimettendo in assetto quelli tratti dai «parchi auto guasti»; si raggiunse così la disponibilità di 6.200 autocarri. La disponibilità raggiunta di carburanti era ritenuta sufficiente (in relazione agli automezzi esistenti) per un periodo di 6-7 mesi, salvo che necessità operative non avessero aumentato di molto i consumi medi previsti e che l'azione nemica non distruggesse quantità notevoli di carburanti (ciò avverrà in alcune località: es. Assab). Per diminuire tale pericolo si trasferirono i depositi costieri in depositi interni interrati ·e si frazionarono i depositi in fusti pure interrati. Per quel che si riferiva all'alimentazione della truppa e del combattimento la situazione, se non rosea, non appariva neppure preoccupante. In particolare essa era così riassunta i11 una relazione del Viceré in data 16 luglio 1940: -
alimentazione: di fronte alla incompleta autosufficienza iniziale si era provveduto a ridurre le razioni viveri e foraggi e a fare acquisti dal commercio; coi provvedimenti attuati la scorta alimentare si riteneva potesse considerarsi sufficiente fino a marzo 1941;
-
vestiario ed equipaggiamento: era in lavorazione tela per 330.000 uniformi; la dotazione scarpe nei magazzini bastava appena per le truppe da mobilitare mentre.occorreva rinnovare 120.000 paia di scarpe e 280.000 paia di sandali; con le risorse in posto si contava di poter avere, in sei mesi, 60.000 paia di scarpe e 120.000 paia''di sand~li; insoluto era (e tale rimase) il problema dei teli di tenda, la cui deficienza avrà serie ripercussioni sul fisico delle truppe nel periodo delle piogge;
-
armamento: grave, nel suo complesso, appariva la situazione; pur se l'armamento individuale era sufficiente, molto sentita era invece la mancanza di armi contraeree (in tutto l'Impero non si avevano che 4 batterie da 20), e assoluta la deficienza di armi controcarro.
LA SITUAZIONE MILITARE ITALIANA PRIMA DE.L CONFLITTO
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Tali deficienze, date le caratteristiche della guerra moderna, eserciteranno influenza capitale in campo tattico a nostro svantaggio. Mobilitati i reparti previsti, ogni riserva di mitragliatrici e di fucili mitragliatori venne pressoché esaurita. Quanto al munizionamento, le dotazioni delle artiglierie erano di 10 unità di fuoco, quelle dei fucili soltanto di 6; -
materiali sanitari: ad eccezione dei medicinali alterabili nel tempo si poteva assicurare il fabbisogno per tutto il 1941. La capacità di posti letto era stata portata da 5.000 a 14.000; quadrupedi: in servizio erano oltre 50.000, e si ritennero bastevoli alle necessità di parecchi mesi.
«In conclusione - scriveva il Governatore Generale - per la manovra delle forze siamo in crisi di gomme; nessun tentativo per superare questa crisi va trascurato; qualunque apporto è utile (t). Per l'alimentazione della vita e del combattimento possiamo tirare avanti ancora per 6 o 7 mesi» <2).
5. ALCUNE CONSIDERAZIONI IN MERITO ALL'EFFICIENZA OPERATIVA DELLE FORZE ITALIANE NEL GIUGNO 1940
Nel confronto con quelle avversarie, le nostre forze disponevano indubbiamente di una decisa prevalenza numerica iniziale. Ma questa prevalenza non costituiva un vantaggio nel particolare ambiente, soprattutto per le conseguenti esigenze logistiche. È chiaro, infatti, che il numero può essere inutile se non addirittura dannoso in una guerra contro una potenza modernamente armata, quando i disponibili non abbiano armamento, ordinamento e addestramento adeguati e quando non siano sostenuti da servizi idonei per dotazioni e mobilità. (!) Sin dal dicembre 1939 il Ministero A.I. aveva sollecitata l'assegnazione della valuta necessaria all'acquisto delle materie prime per costituire congrue scorte di pneumatici in A.O.I., ma soltanto il 30 maggio 1940 (12 giorni prima dell'inizio delle ostilità) il Ministero Scambi e Valute aveva concesso la chiesta autorizzazione.
(2) Nel documento n. 15 sono indicati il munizionamento e la cons.istenza carburante e derrate al I O luglio 1940.
J. Le- Operazioni in Africa OrientaJe . Voi. I
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Le disponibilità di armamenti, relativamente abbondanti solo nelle armi leggere e spesso di tipi obsoleti, potevano consentire soprattutto la costituzione di unità di fanteria. Tutte le unità, sia nazionali sia indigene, avevano costituzione organica deficitaria in armi e mezzi pesanti, decisamente inferiore a quella delle unità avversarie; soprattutto mancava l'armamento contro carri ed aerei. Le n~stre truppe coloniali in A.O.I. erano agguerrite per la lotta contro i ribelli; riunite in piccoli reparti, armate di fucile e d'arma bianca, avevano qualche nozione delle misure per sottrarsi alla vista e per proteggersi dall'aviazione awersaria, ma non erano però addestrate ad operare in più ampio quadro sotto il fuoco dell'artiglieria, né sapevano valersi della cooperazione tattica della propria aviazione, come non avevano ·idea di carri armati.. Spesso, ufficiali e graduati non conoscevano, o conoscevano ben poco, la lingua dei loro ascari; talora ascari di diversa provenienza non si comprendevano agevolmente fra loro. I pochi reparti di truppe nazionali erano formati dai così detti «volontari», quasi tutti uomini di età superiore ai 30 anni rimasti nell'Impero dopo la conquista etiopica, desiderosi di avvicinarsi alle famiglie lasciate· in patria nel 1935 o di assicurarsi una lucrosa sistemazione stabile in A.O.I. Da potersi richiamare per mobilitazione non c'erano che i nazionali adibiti a funzioni di governo al centro e nelle residenze esterne e coloro che erano venuti in terra d'Africa per svolgervi commercio, attivare piccole industrie o dedicarsi alla agricoltura: uomini tutti, che oltrepassavano già i 30-40 anni, punto desiderosi di fatiche di guerra e pensosi piuttosto del proprio avvenire economico. I comandanti di compagnia e di plotone, quasi tutti richiamati a domanda, erano anch'essi elementi eterogenei per età, qualità fisiche e morali, per attitudini professionali. La loro preparazion~ non era adeguata alle esigenze di una guerra contro eserciti modernamente armati; la loro conoscenza di lingue indigene era quasi nulla sicché nei battaglioni coloniali tutte le comunicazioni al di fuori di quelle inerenti alla ristretta vita giornaliera dovevano esser fatte attraverso uno o più interpreti sempre improvvisati, con inconvenienti di ogni genere.
LA SITUAZIONE MILITAR E ITALIANA PRIMA DEL CONFI.ITTO
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I reparti coloniali riuniti in così dette brigate (che in realtà erano reggimenti misti senza amministrazione reggimentale), non avevano potuto essere addestrati per una guerra contro avversario dotato di artiglierie, di carri armati e di aerei: l'aveva impedito il loro pressoché continuo impiego in operazioni di grande polizia e in lavori stradali, ed il loro sparpagliamento in battaglioni o compagnie nell'immenso territorio. Sulle gravi deficienze e sulla vetustà del materiale e del munizionamento non è necessario soffermarsi a lungo. I reparti coloniali erano armati con fucili Mannlicher (1), fucili mitragliatori Breda e mitragliatrici Schwarzlose; i nostri cannoni, all'infuori del gruppo da 75/46, non avevano gittata superiore ai 7 chilometri (i cannoni britannici da 88 mm., con gittata massima di 11 chilometri, potranno perciò svolgere, sovente indisturbati, la loro azione di fuoco~: le nostre truppe non disponevano di armi contraeree ed anticarro (le 24 mitragliere da 20 mm. non avevano i congegni di puntamento per il tiro contraereo e non un colpo per il tiro anticarro; 4.000 colpi giungeranno solo ai primi del '41); non disponevano di mine di sbarramento, di equipaggi da ponte e di parchi attrezzi; il materiale radio in dotazione era deficiente per numero e qualità (in alcuni momenti salienti la mancanza di pile o di valvole impedirà gli indispensabili collegamenti e le urgenti comunicazioni operative). Del resto, i materiali disponibili erano generalmente i residuati di quanto inviato per il conflitto italo-etiopico; spesso, per difficoltà obiettive, non avevano potuto essere conservati in modo appropriato. Risulterà, per esempio, un numero notevole di scoppi mancati nel munizionamento di artiglieria, pari - addirittura, in taluni casi - a due colpi su tre secondo testimonianze di fonte ufficiale avversaria, con le ovvie conseguenze di ordine morale ed operativo. Le prospettive di impiego saranno largamente influenzate dagli orientamenti dottrinali nella madrepatria e dalle esperienze di guerra coloniale. La grande maggioranza dei Quadri superiori aveva fatto la I Guerra Mondiale ed, in Patria, aveva avuto un orientamento verso forme di conflitto piuttosto statiche, in terreni montani, da attuarsi prevalentemente con fanterie ed artiglierie operanti su fronti ristretti (1) In parte anche con fucili Vetterly '70 / '87.
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e con profondità limitata. La manovra era intesa essenzialmente come frutto di movimenti motorizzati per l'ammassamento preventivo delle forze o l'intervento delle riserve; mancava qualsiasi orientamento all'impiego coordinato di carri ed aviazione con l'arma base per dare dinamismo e profondità all'azione; ciò anche in relazione agli orientamenti ad una guerra "alpina". I Quadri coloniali erano più orientati ad una guerra di ampi movimenti, di colonne autonome operanti con relativa rapidità (a tappe anche di 40 +- 50 Km.) e che affrontavano con immediatezza l'avversario; ma questo era sempre stato costituito da forze male armate, che non avevano possibilità di reazione controllata contro gli interventi della nostra aviazione e delle artiglierie, anche se non in entità rilevante. A tutti i livelli mancava l'orientamento ad una guerra di motomeccanizzati e, quando l'evidenza degli avvenimenti in Europa e le medesime esperienze in Africa dovevano dimostrare le possibilità operative connesse con l'impiego coordinato di mezzi moderni, i nostri Quadri e le nostre unità non potranno far fronte alle nuove esigenze per l'assoluta indisponibilità di mezzi idonei nonché di una organizzazione dei collegamenti adeguata alle esigenze di coordinamento. Avveniva, anzi, che la acquisita consapevolezza delle possibilità dell'avversario e delle corrispondenti esigenze finirà per deprimere il morale circa le possibilità di c~ntrastarlo con successo; possibilità che potrà essere realizzata solo là dove le condizioni del terreno montano, come a Cheren, consentiranno una resistenza in condizioni compatibili con i mezzi in dotazione. L'esito quasi costantemente sfortunato di combattimenti, sostenuti da Comandanti ed Unità che in altre occasioni avevano avuto buoni comportamenti, fa ritenere che esso non possa attribuirsi a manchevolezze individuali o specifiche di singole unità, ma piuttosto a condizioni generali e strutturali di inferiorità, che hanno potuto essere superate solo in qualche caso.
CAPITOLO IV
L'AVVERSARIO Territori e mari controllati dai possibili avversari circondavano ed isolavano l'A.O.I., che confinava a nord e ad ovest con il Sudan anglo-egiziano, a sud con il Kenia britannico, ad est con la Costa dei Somali francese e con il Somaliland inglese oltre che con il Mar Rosso e l'Oceano Indiano, sui quali la Gran Bretagna era in grado di esercitare un dominio incontrastato. In questi territori, peraltro, nella imminenza del conflitto, non vi erano forze militari rilevanti, fatta eccezione per la Costa de! Somali francese. A Gibuti, infatti, i Francesi avevano rinforzato la guarnigione portandola a circa 12.000 uomini Oe nostre stime la facevano ascendere a circa 10.000 uomini) e potenziandone le possibilità difensive con importanti opere fortificatorie sulle direttrici .più pericolose, a cavallo delle rotabili e della ferro via che conducono da Aiscia a Gibuti percorrendo il versante meridionale del Golfo di Tagiura. A seguito accordi intercorsi con le Autorità britanniche, al Comandante francese, Generale Legentilhomme, era affidato, in caso di conflitto, il comando congiunto delle forze proprie e di quelle inglesi piuttosto deboli nel Somaliland, che eràno autorizzate a ripiegare eventualmente su Gibuti e che avevano il compito di concorrere alla difesa di questa base importante garantendo da possibili avvolgimenti per la direttrice che da Buyalè portava a Zeila. Le forze franco-britanniche nell 'area non avevano, certamente, al momento, grosse possibilità offensive; ma, sostenute dalle opere difensive costruite e dalle forze aeronavali britanniche dislocate ad Aden, avrebbero potuto condurre una vigorosa battaglia difensiva per mantenere il posse:;so di una base così impor~ante ai fini di successive iniziative offensive. Il suo mantenimento avrebbe infatti consentito l'afflusso e l'alimentazione di rinforzi che avrebbero potuto agire sulla direttrice più pericolosa e di maggiore potenzialità ai finì dell'attacco al cuore dell'Impero italiano.
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Nella Somalia britannica erano dislocati un battaglione del reggimento della Rhodesia Settentrionale e 5 compagnie cammellate, per complessivi 1.500 uomini circa; a queste forze si aggiungeva a metà maggio 1940 un secondo battaglione fucilieri del reggimento «King's African Rifles» (KAR). Anche negli altri territori britannici le forze presenti erano esigue. La Gran Bretagna, prima del conflitto italo-etiopico, aveva in tutto il Medio Oriente deboli forzi di polizia e poche unità militari a Suez, Cipro e nell'Irak. Afferma il Playfair (I) che essa era stata spronata dalla tensione per quel conflitto a considerare la possibilità di una guerra con l'Italia e le conseguenti esigenze: di basi sicure ed adeguate; di un supporto logistico efficiente come condizione necessaria di qualsiasi sforzo operativo; di una stretta dipendenza di ciascuna forza armata dalla azione delle altre due. In particolare, era emersa l'esigenza di proteggere convenientemente il traffico del Mar Rosso per garantire i rifornimenti all'Egitto, area prioritaria di tutto il Medio Oriente. Nel corso degli anni successivi a fasi di schiarita nei rapporti italo-britannici si erano alternate fasi di tensione; ma, nonostante il risveglio di interesse, le forze localmente disponibili , eccetto che in Palestina per le tensioni tra Arabi ed Ebrei, erano rimaste molto ridotte, pur provvedend9si a rafforzare le installazioni logistiche in alcune basi quali Malta, Alessandria ed Aden. Solo lo scoppio del conflitto in Europa induceva, nel settembre 1939, ad incrementare tutte le forze nel Medio Oriente. Si verificava così che, mentre il periodo della «.non belligeranza» non era sfruttato convenientemente dal Governo Italiano sia per le deficienze di ordine finanziario e produttivo sia per le incertezze ed i ritardi di ordine programmatico e decisionale, politico e strategico, esso conferiva alla Gran Bretagna un tempo di respiro che le permetteva di migliorare alquanto la situazione locale, particolarmente nel settore aereo. Venivano allora trasferiti <2>: -
in Egitto: 3 squadroni di bòmbardieri ed 1 squadrone da trasporto;
(1) S.O. Playfair: "History ofthe II W. W.: The Mediterranean and Middle East" Voi. I H.M.S.O. Londra • 1954: Cap. I - pag. 3.
(2) Ibidem: Cap. III - pag. 41.
L ' AVVERSARIO
-
ad Aden: 1 squadrone idrovolanti, in Kenia: 1 squadrone rhodesiano;
-
nel Sudan: 1 squadrone della RAF.
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La situazione generale si presentava inoltre sotto una luce nel complesso favorevole data la minaccia alle forze italiane in Libia rappresentata dalle forze francesi nel Nord Africa e dalla possibilità di attingere alle forze in raccolta in Siria (Armata Weygand). Per quanto si riferiva ali' A.O.I. le direttive impartite nell'ottobre 1939 al Gen. Wavell, Comandante delle forze britanniche nel Medio Oriente, prevedevano che ci si limitasse a quanto necessario per mantenere aperta la rotta del Mar Rosso ed a difendere il Sudan, rinviando a tempo debito la possibilità di alimentare la ribellione in Etiopia e di sostenerla con piccole colonne. L'atteggiamento doveva essere, quindi, difensivo senza escludere le attività offensive consentite dalle risorse disponibili O). Nel corso della primavera del 1940, sebbene le forze britanniche nell'area rimanessero ancora piuttosto scarse, tuttavia veniva accelerata l'adozione di misure precauzionali. Il 29 aprile Londra disponeva per l'afflusso di unità terrestri ed aeree in Egitto, ad Aden, neL Kenia. In particolare, oltre a provvedere a rafforzamenti delle forze aeree, dovevano trasferirsi: ad Aden, un battaglione indiano; nel Kenia, 2 brigate dell'Africa Occidentale ed I brigata sudafricana; nel Somaliland, un battaglione rhodesiano (2) . Ai primi di maggio si costituiva ad Aden, una consistente «Forza Navale del Mar Rosso». Venivano inoltre: accelerate le predisposizioni di carattere logistico, definiti gli atteggiamenti da tenere di fronte ad eventuali offensive italiane e predisposte misure precauzionali di varia natura. Fra queste ricorderemo i ritardi ed i fermi imposti a navi italiane dirette all'Africa Orientale, con i quali si otterrà di impedire l'afflusso di quantitativi'rilevanti di materiale bellico in corso di attuazione, e l'adozione di misure idonee ad evitare sabotaggi e l'ostruzione del Canale di Suez. Tuttavia, al 10 giugno 1940, sebbene a (1) S.O. Playfair, op. cit.: Cap. III pag. 55. (2) Ibidem: Cap. V pag. 83.
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LE OPERAZ.lON.1 IN AFRICA ORIENTALE
punto e bene equipaggiate le forze inglesi nell'area erano ancora molto ridotte: -
nel Sudan: 3 battaglioni britannici O), la «Sudan Defense Force» (21 compagnie, di cui 5 (e poi 6) di mitraglieri motorizzati), elementi vari) per complessivi 9. 000 uomini;
-
nel Kenia: 2 brigate dell'Africa Orientale e 2 batterie, per circa 8.500 uomini;
-
nel Somaliland: 2 battaglioni fucilieri e 5 compagnie cammellate, per circa 2.500 uomini;
-
ad Aden: 2 battaglioni indiani.
Era una situazione di assoluta inferiorità di forze che diveniva assai pericolosa improvvisamente per il precipitare della situazione francese e per la prospettiva di una prosecuzione del conflitto su basi inattese. Tuttavia la situazione non era così negativa come in apparenza: le colonie britanniche avevano un assetto politico ed amministrativo stabile da lungo tempo né vi erano problemi di sicurezza interna; vi erano un buon numero di funzionari civili e militari perfetti conoscitori dell'ambiente e larga possibilità di mobilitazione di uomini idonei ad operare in ambienti c9loniali; le unità inglesi, nazionali od indigene, erano costituite da personale permanente, bene armato, equipaggiato ed addestrato; le unità erano potenti e mobili, idonee ad operare con larga autonomia negli ampi spazi coloniali (2). In armonia alla situazione ed al compito strettamente difensivo loro attribuito, le forze inglesi_ dovevano garantire prioritariamente il possesso di «punti chiave», costituiti da: Khartum e Porto Sudan, nel Sudan; Mombasa e Nairobi, nel Kenia; Berbera (Gibuti), nel Somaliland. La difesa esercitata alle frontiere doveva essere mobile, wn una azione tendente a frenare eventuali offensive italiane, controllandole e logorandole. (1) 2° btg. del West Yorkshire Regiment, 1° btg. del Worcestershire Regiment, 1° btg. del Essex Regiment. (2) Notizie sugli organici delle unità britanniche nel documento n. 19.
L'A VVERSARJO
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Le possibilità locali di mobilitazione umana ed industriale erano esigue sicché la situazione militare britannica avrebbe potuto essere difficile inizialmente e rimanere tale per qualche tempo; tuttavia, purché fosse stato possibile garantire il possesso dei citati punti chiave, sarebbe stata sempre aperta la possibilità di far arrivare successivamente forze rilevanti dai D6minions, ed in particolare dall'India e dal Sud Africa. In ultima analisi, qualunque avesse potuto essere l'andamento delle fasi iniziali del conflitto il suo esito finale sarebbe stato determinato dalla possibilità di mantenere queste località vitali e di garantire l'afflusso marittimo di forze sufficienti a battere un avversario la cui consistenza non avrebbe potuto essere sensibilmente aumentata. Questa, anzi, si sarebbe potuto erodere nel tempo, per effetto dell'esaurimento delle scorte nonché degli impegni per il controllo del territorio, accresciuti attraverso il sostegno politico, finanziario e militare fornito alle forze etiopiche ribelli. Un elemento sfavorevole per i Britannici era·costituito dal fatto che le attività operative.si sarebbero esercitate su fronti assai distanti fra loro; ciò non permetteva rapide variazioni nella gravitazione degli sforzi e tendeva a rendere più difficili la manovra e la sorpresa. Tuttavia esisteva un importante fattore di vantaggio costituito dalla esistenza, al Cairo, di un unico Comando responsabile e coordinatore di tutte le operazioni nei vari settori del Medio Oriente. Pur sollecitati da Londra, il Gen. Archibald Wavell quale Comandante in Capo, e il Mar. dell'Aria Arthur Longmore erano in grado di avere una visione più aderente alla situazione e di adottare provvedimenti tempestivi ed a'deguati circa manovre delle forze, atteggiamenti da assumere, operazioni da eseguire. Infatti il Comando britannico del M.O. aveva, già dal giugno 1939, alle sue dipendenze tutte le forze inglesi in Egitto, Palestina e Sudan. Il 13 gennaio 1940 venivano poste sotto il Comando operativo del Gen. Wavell anche le forze nel Somaliland e quelle nell'Africa Orientale. Dal 15 febbraio del 1940 egli era nominato Comandante in Capo del Medio Oriente, mentre dal 13 maggio il Maresciallo dell'Aria aveva il comando di tutte le forze aeree, che ammontavano - per quanto si riferisce all' A.O.I. - a 116 apparecchi con abbondanti
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riserve (in totale 163 aerei). Queste disponibilità tenderanno ad aumentare in modo consistente soprattutto a partire dal settembre 1940, quando affluiranno anche aerei Hurricane con prestazioni molto superiori a quelle degli aerei italiani. Il Cairo eserciterà la sua azione coordinatrice con una visione unitaria che risulterà generalmente felice, e realizzerà una manovra attenta e tempestiva delle forze lasciando, peraltro, l'intera responsabilità della condotta dell'azione sui singoli fronti ai Comandanti locali: - il generale William Platt nel Sudan; - il generale D.P. Dickinson nel Kenia (sostituito dal generale Alan G. Cunningham il 1° novembre 1940); - il generale A.R. Godwin-Austen, nel Somaliland. Nel giugno 1940 le informazioni italiane attribuivano all'avversario circa 40.000 uomini nel Kenia; 31.000 uomini nel Sudan; 5.300 nel Somaliland e 10.000 ad Aden per complessivi oltre 86.000 uomini, in luogo dei 21.000 effettivamente esistenti. Essendo, come lo.saranno spesso in prosieguo eçl anche su altri fronti, viziate in ecct:sso ed attribuendo al nemico forze 4 volte superiori al reale,. tali valutazioni influenzeranno negativamente le nostre decisioni. Tutt~via, anche co~ì distorte. indicavano una inferiorità, almeno momentanea, dell' avversario, che, in linea teorica, avrebbe potuto essere sfr.uttata. Esse, poi, erano molto generiche e potevano essere di qualche utilità al livello più elevato; mancavano invece notizie circa le dislocazioni, gli atteggiamenti e le attività locali sicché anche le informazioni disponibili risulteranno insoddisfacenti ai fini della condotta delle battaglie ed a maggior ragione per quella dei combattimenti; ciò anche in relazione ad una organizzazione deficitaria, iri uomini e mezzi, del nostro Servizio Informazioni Operativo. Nel corso del conflitto affluirono nei vari territori inglesi Grandi Unità e numerose unità di supporto e dei Servizi; in prosieguo saranno date notizie più particolareggiate di volta in volta per i vari settori di interesse. In questa sede ci limitiamo a fornire un disegno schematico qi tali afflussi, che rion risulteranno in alcun modo impediti per il mancato controllo aeronavale sul Mar Rosso.
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In particolare, dopo l'armistizio con la Francia, venivano fatti affluire nel Somaliland altri tre battaglioni fucilieri (2° btg. del rgt. «The Black Watch»; 1° btg. 2° rgt. Punjab; 3° btg. 15° rgt. Punjab) ed altre unità minori, portando le forze britanniche a circa 17 .000 uomini. Nel Sudan affluivano essenzialmente: la 5a Divisione indiana, che iniziava lo sbarco a Porto Sudan il 5 settembre 1940, e la 4a Divisione indiana, che affluiva, nel gennaio 1941, in parte via mare a Porto Sudan ed in parte via Nito e ferrovia, provenendo dall'Egitto ove era stata impegnata a Sidi el-Barrani contro la 10a Armata italiana. A queste forze si aggiungevano unità combattenti e logistiche che portavano le forze britanniche nel Sudan, all'inizio del 1941, a circa 90.000 uomini <1>. Nel Kenia, alle due brigate ·iniziali dell'Africa Orientale si aggiungevano una terza brigata dell'Africa Orientale e due brigate del1'Africa Occidentale (Costa d'Oro e Nigeria). Affluivano, inoltre, nel corso del 1940, tre brigate sudafricane (1 a_2a_5 a). Con tali brigate, variamente riunite, venivano costituite la 1 a Divisione sud africana e la 11 a e la 12 a Divisione africana <2). Le unità africane erano costituite in buona parte da truppe indigene (kenioti o senegalesi e nigeriani) con un forte inquadramento di coloni inglesi; le unità sudafricane erano costituite da personale bianco. Le forze britanniche nel Kenia ascenderanno nel dicembre 1940 a circa 100.000 uomini. Tutte le unità, di qualsiasi provenienza, avevano costituzione similare a livello battaglione, brigata e divisione, secondo il modello britannico stabilito nel 1939 a carattere ternario. Le forze terrestri inglesi erano organizzate essenzialmente attorno al livello divisione; questa era costituita da <3>: -
tre brigate di fanteria, ciascuna di tre battaglioni su tre compagnie; (1) Notizie sulle forze britanniche nel Sudan alla data del 20 gennaio 1941 nel documento
Il. 20.
(2) Notizie sulle forze britanniche nel Kenia alla data del I O gennaio 1941 nel documento
n. 21. (3) Vds. documento 11. 19.
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LE OPERAZ IONI IN AFRICA ORIENTALE
tre reggimenti di artiglieria da campagna, ciascuno su tre gruppi e 24 pezzi; un reggimento controcarri; tre compagnie genio ed una compagnia parco campale; un reparto trasmissioni; vari reparti dei Servizi.
Una divisione di fanteria disponeva di circa 14.000 uomini; la brigata di 2.500 ed il battaglione di circa 800. Vi erano inoltre unità non indivisionate di cavalleria, carriste, di artiglieria, ecc .. Le unità ed i servizi erano largamente dotati di automezzi; ampia la disponibilità di «camionette», veicoli veloci, a quattro ruote motrici particolarmente idonei al movimento fuori strada nell'ambiente.coloniale. Unite alla elevata disponibilità di mezzi di trasmissione radio, le buone possibilità di movimento e di supporto logistico conferivano al Comando britannico notevoli possibilità di manovra e, soprattutto, di controllo permettendo di: sottrarsi al contatto quando opportuno, infiltrarsi e determinare i settori critici avversari, realizzare. sorprese e manovre in profondità, sfruttare opportunamente successi e infiltrazioni, consentire una visione accurata e tempestiva della situazione e l'adozione di decisioni appropriate. Le unità inglesi disponevano di armi e mezzi generalmente di prestazioni superiori a quelle italiane; ricorderemo fra essi: l'ottimo fucile mitragliatore Bren e le mitragli.1.trici pesanti cal. 12, 7; i cannoni da 25 libbre (88/27) con gittata di 11 km., e altri di calibri e gittate superiori; le carrette cingolate; le «camionette» a quattro ruote motrici; i carri «I» (I), con forte corazzatura e cannone e.e. da due libbre (40/50) in torretta girevole seppure piuttosto lenti, oltre a carri leggeri e medi; mezzi di collegamento a filo e radio in larga distribuzione ed idonei a permettere il collegamento fra colonne ed elementi distaccati anche a grandi distanze. Si trattava insomma di unità idonee a condurre combattimenti coordinando reparti e mezzi moderni, mobili e potenti, quali impie(i) La sigla "I" stava per "Infantry''; denominali anche MK II e "Macilda" .
L'AVVERSARIO
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gabili in conflitti europei, ma attrezzate - dal punto di vista trasporti e collegamenti - ad agire autonomamente nei larghi spazi e nei diffi'cili ambienti coloniali. Le unità combattenti, sebpene poco numerose, costituivano però il ferro di lancia di una organizzazione logistica complessa e solida che ne assicurava ampie possibilità operative; queste erano, poi, esaltate da un funzionamento generalmente assai curato dei Servizi Informativi, che consentivano iniziative e decisioni a ragion veduta, e da una forte superiorità di intervento di fuoco aereo e di artiglieria, garantito da efficienti mezzi di collegamento. In ultima analisi, superate le difficili condizioni iniziali dell'estate 1940, le forze britanniche successivamente affluite godranno di assai favorevoli condizioni di organizzazione di Comando, di armamento e di supporto logistico, che consentiranno loro di sottrarsi al combattimento quando non conveniente e di affrontarlo generalmente in condizioni di assoluta superiorità, tale da consentire il successo con perdite relativamente esigue. Fecero parte delle forze britanniche anche due battaglioni della «Francia Libera» 0), che operarono nel quadro della 7a brigata della 4a Divisione indiana sulla direttrice Porto Sudan-Cheren, e successivamente nell'attacco a Massaua, nonché unità palestinesi. Parteciparono, infine, alle operazioni contro il Galla e Sidama forze belghe del Congo agli ordini del Gen. Gilliaert, cui, nella regione di Dembidollo, si arrese il Gen. Gazzera il 4 luglio 1941 con le ultime forze operanti nelle regioni meridionali dell'Etiopia. Nel corso del conflitto si unirono alle forze britanniche, operando in modo autonomo oppure coordinato con le prime da piccoli gruppi di «consiglieri» («missioni» costituite, ciascuna, da: I ufficiale, 4 oppure 5 sottufficiali con mezzi di collegamento, nuclei armati di senegalesi o di fuoriusciti etiopici), quelle rappresentate dai ribelli o «patrioti» etiopici. Esse erano costituite solo in rari casi da unità «regolari» di fuoriusciti, armate ed addestrate nel Sudan e nel Kenia dagli Inglesi. Nella maggioranza dei casi si trattava di armati al soldo dei capi indigeni, che man mano andavano ad ingrossare le file dei sostenitori del ritorno dell'Imperatore Hailè Selassiè. Fra questi, talora, erano anche disertori delle unità coloniali italiane, indotti a cooperare (1) 3° btg. del reggimento del Tchad, 14° btg. della Legione Straniera.
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dalle prospettive di maggior guadagno o dal desiderio di evitare rappresaglie. Vi erano, infine, orde di razziatori che troveranno negli avvenimenti occasioni favorevoli per vendette e razzie. Sebbene non fornite di larghi mezzi, queste masse di armati trovavano nel numero e nell'estrema mobilità la possibilità di impegnare forze notevoli. Generalmente incapaci di sopraffare grossi presìdi e colonne abba.stanza coi:isistenti, essi erano in grado di causare grosse perdite e di provocare, nelle regioni da loro controllate, condizioni generali di isolamento e di insicurezza dell'intera struttura di governo e di controllo militare italiana. Lanciate all'attacco dei nostri reparti le forma~ioni irregolari abissine ebbero spesso a sostenere forti perdite non computate daÌle relazioni britannich_e. Ancora limitate nel corso del 1940 ed operanti esclusivamente in alcune regio~rdèll' Amara e dello Scioa, le formazioni ribelli aumentarono enormemente.di consistenza, pericolosità e diffusione nel 1941, fino a rappresentare, soprattutto nel Gimma e nel Gondarino, una ·parte consistente della minaccia; le forze britanniche potevano limitarsi a dirigerne e sfruttarne gli sforzi subendo perdite esigue. La assoluta indisponibilità di dati sulla consistenza delle formazioni abissine non permette confronti di forze che, operati esclusivamente tra quelle italiane e britanniche, possono portare a conclusioni del tutto erronee. Le successive esperienze di eserciti «regolari», quali quelli britannico, francese e statunitense, impegnati in ambienti particolari quali Malesia, Algeria ed Indocina contro insorti indigeni, hanno messo in larga evidenza l'oneroso impegno di uomini e le difficoltà sostenute,. con esiti spesso deludenti nonostante la dovizia dei mezzi im. piegati. Alla luce di queste esperienze sembra si debbano rivedere molti giudizi circa i risultati ottenuti dai Comandi italiani con unità nazionali ed indigene in un Paese appena conquistato, contro forze locali ampiamente sostenute da una Potenza esterna ed in una situazione generale, politica e militare, in rapido deterioramento per gli avvenimenti in Grecia, nel Mediterraneo ed in Libia.
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Il successo britannico ebbe un concorso importante, anzi determinante dopo l'afflusso dei caccia Hurricane, nella superiorità aerea
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conseguita dalle unità della RAF dislocate ad Aden e nel Sudan e da quelle della Rhodesian Air Force e poi della South African Air Force (SAAF) dislocate nel Kenia. Al giugno 1940 le forze aeree inglesi erano costituite, come si è accennato, da soli 163 aerei (85 Wellesley e Blenheìm; 9 Vincent, 24 Hartbeest, l~_)u 86, 30 caccia biplani Gladiator o Fury). Affluivano però già nel settembre 1940 alcuni aerei Hurricane che sì opponevano con successo alla nostra caccia. Nel corso dei primi mesi del 1941 le forze aeree britanniche realizzavano progressivamente una assoluta superiorìt~ numerica e qualitativa, conseguendo infine di poter quasi impunemente operare sul cielo delle unità italiane. Mentre le azioni aeree sugli aeroporti realizzavano la distruzione dei pochi aerei italiani residui, le incursioni sulle città di Asmara, Massaua, Assab, Addis Abeba ed altre tendevano a deprimere lo spirito di resistenza degli Italiani. Frequentell lancio di volantini per indurre le popolazioni indigene e le nostre truppe coloniali alla ribellione, mentre le forze sul campo di battaglia e le colonne in movimento erano frequentemente attaccate a bassa quota senza poter disporre di alcuna difesa attiva. Non è il caso di sottolineare gli aspetti connessi con la superiorità marittima inglese che doveva permettere l'esecuzione indisturbata di tutti i propri movimenti: di evacuazione dal Somaliland nell'agosto 1940, e di afflusso di forze a Mombasa, Aden, Porto Sudan ed all'Egitto. Anche le previste attività dei sommergibili e del naviglio minore italiano nell'attacco al traffico avversario dovevano avere ben scarsi risultati. Nonostante la netta superiorità, tuttavia, le forze britanniche non eserciteranno attacchi diretti alle nostre basi navali sia per le condizioni non favorevoli delle coste sia per le buone difese a mare; almeno fino a quando ciò non risulterà agevole, per il crollo generale delle difese.
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CAPITOLO V
ORIENTAMENTI OPERATIVI E PROVVEDIMENTI ATTUATI IN VISTA DI UN EVENTUALE CONFLITTO COINVOLGENTE L'IMPERO Il problema della difesa dei possedimenti italiani in Africa era stato preso in esame fin dall'epoca della campagna italo-etipica (1935-36) in relazione all'atteggiamento ostile assunto dalla Gran Bretagna, naturalmente limitandolo - soprattutto per quanto si riferiva all'Eritra - alla frontiera sudanese. Con la costituzione dell'Impero e successivamente nel 1937, nonostante l'apparente distensione conseguente al riconoscimento internazionale del fatto compiuto ed al riavvicinamento tra Roma e Londra sanzionato dal <<Gentlemen's Agreement», e dai successivi accordi dell'aprile 1938, non era mancata, in alcuni settori politici e militari, l'attenzione alle esigenze difensive dell'Impero nella eventualità di un conflitto europeo, come sottolineato dalla ricordata lettera del Generale Baistrocchi al Capo del Governo. Anche in sede di esercitazioni con i Quadri ad alto livello erano" state esplorate le possibilità offensive e difensive connesse con il nostro controllo di vaste aree nell'Africa Settentrionale ed Orientale; e si era concluso addirittura con il ritenere l'Africa sede determinante della decisione di un eventuale conflitto futuro, almeno per quanto si riferiva alle possibilità di successo di una politica imperiale italiana. Di questo interesse verso le possibilità operative connesse con la nostra presenza in A.O. era testimonianza la già citata direttiva del Capo del Governo del febbraio 1937 (J) circa la costituzione di una grossa «armata nera» entro il· 1940-41. (1) Vds. documento n. 3.
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Ma, successivamente, l'attenzione di tutto il mondo politico romano e le preoccupazioni degli Alti Comandi militari si dovevano rivolgere alle questioni europee, e semmai verso il nostro rafforzamento in Libia e nel Mediterraneo Centrale. Per quanto si riferiva all'Impero, le risorse finanziarie erano devolute essenzialmente alla realizzazione di vasti ed impegnativi programmi di sviluppo urbanistico e stradale e di accelerata colonizzazione, mentre il riaccendersi della ribellione in taluni territori faceva rivolgere l'attenzione delle Autorità militari soprattutto ai problemi della sicurezza interna. D'altra parte, dinnanzi alla prospettiva di una guerra contro Francia e Gran Bretagna alleate ed alle loro ingenti forze navali e coloniali il problema era visto potersi risolvere esclusivamente in chiave strettamente difensiva. Non vennero, così, mai contemplate decise azioni offensive dalla Libia e dall'Etiopia verso l'Egitto e le regioni del Medio Oriente, verso le cui popolazioni, tuttavia, erano rivolte così rumorose attenzioni di propaganda politica. Gli orientamenti operativi relativi all'Africa Orientale rimarranno sempre sostanzialmente difensivi e le predisposizioni saranno rivolte essenzialmente a garantire una mobilitazione degli uomini e delle risorse disponibili per assicurarne la sopravvivenza. Non risulta, inoltre, essere stata mai definita una precisa strategia difensiva diversa da una difesa statica ai confini; il solo generale Cavallero aveva proposto nel 1938 che, in caso di conflitto, venisse ricercato di mantenere il più a lungo possibile le possibilità di interdizione delle comunicazioni inglesi nel Mar Rosso e nella Regione Nilotica, garantendo prioritariamente il possesso dell'Eritrea e di Massaua e suggerendo un ripiegamento difensivo sull'Acrocoro etiopico; ma, con la partenza del Cavallero, questo disegno era stato abbandonato. . Alla mancanza di orientamenti e piani precisi corrispondeva anche una completa assenza di predisposizioni ai confini , od in profondità nel territorio. Lungo la frontiera esisteva soltanto un sistema di copertura attuato da reparti e bande confinarie, non appoggiate ad organizzazioni difensive vere e proprie neppure nei punti più sensibili, ed aventi,
ORIENTAMENTI OPERATIVI E PROVVEDIME NTI IN VISTA DEL CONFLITTO
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più che compiti di sicurezza nei riguardi di un nemico esterno, compiti di polizia (repressione del contrabbando delle armi, del movimento dei fuorusciti, ecc.). Nell'interno, i presidi delle varie località erano sistemati in fortini idonei a conferire protezione esclusivamente da attacchi di indigeni con armamento leggero. Solo all'inizio del 1939, per effetto della aumentata tensione con la Francia, l'attenzione di Roma e di Addis Abeba si era rivolta alla possibilità di agire offensivamente verso Gibuti. Venivano perciò studiate e definite, in un «Piano G», le attività volte a realizzare l'occupazione di questo territorio, che avrebbe richiesto l'impiego di forze più moderne e potenti di quelle idonee all'impiego interno(*). In questa occasione (I) il Viceré richiedeva un aumento delle forze aeree dislocate in Africa Orientale (4 squadriglie di caccia di tipo moderno; 4 squadriglie di bombardieri S79 o BR20; 1 squadriglia di R037 da ricognizione); venivano anche inoltrate richieste di unità e mezzi relativamente moderni, quali: 6 batterie da 105/28; 2 batterie da 149/35; 14 batterie da 20 mm. (84 pezzi); 8 batterie mortai da 81; 1 gruppo art. e.a. da 75 CK; carri leggeri e medi. Queste richieste, soddisfatte solo in parte, saranno alla base degli invii effettuati nell'immediata antecedenza del conflitto. Sempre nel corso del 1939, ed in corrispondenza dell'estendersi delle preoccupazioni di un possibile conflitto, veniva lamentata la difficoltà di una difesa del lungo confine occidentale e settentrionale dell'Eritrea e rappresentata anche dal Governo di Asmara la opportunità di impossessarsi di Cassala come mezzo per impedire l'utilizzazione di questo centro, servito da linea ferroviaria, come base di operazioni principali verso l'Eritrea (I), Infine, probabilmente in relazione al rinnovarsi delle tensioni italo-britanniche dopo l'occupazione dell'Albania ed in tutto il mondo politico europeo per la politica germanica, il Ministro per l'Africa Italiana, Attilio Teruzzi, sollecitava ai primi di maggio il Governo di Addis Abeba a riprendere in esame le questioni della sicurezza (I) 1:'ele 2742 del 27.1.1939, documento n. 22. (2) Vds. in merito lo scambio di corrispondenza tra il Governatore dell' Eritrea, DAOD1ACE,
ed il Vice Governatore Generale, NASI, del luglio ed agosto 1939 nei documenti n. 23 a-b-c. (*) Vds. schizzo 11. 9.
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dell'Impero, rimaste in ombra per il prevalere delle esigenze di sicurezza interna (I). Il Governo Generale dell' A.O.I, richiamandosi a lontane direttive del Maresciallo Graziani del 1937, il 15 maggio 1939 ordinava ai Governatori che venissero compiuti studi circa «la sistemazione difensiva dei territori e la sicurezza delle frontiere e delle principali vie di comunicazioni interne», ed eventuali operazioni oltre confine» (2). In attesa dell'esito di tali studi venivano diramate anche direttive per il caso dell'insorgere di un conflitto improvviso. Tali direttive chiarivano doversi «fronteggiare qualsiasi situazione facendo soltanto assegnamento sulle proprie forze e sui propri mezzi» e prevedevano: -
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per le forze terrestri, atteggiamento esclusivamente difensivo con l'eccezione delle operazioni previste dal «Piano G» verso la Costa francese dei Somali; .per le forze navali, una energica «guerra di corsa, senza economia di forze, contro il traffico avversario nel Mar Rosso ... »; per le forze aeree un inizio immediato dell'azione, con caratteri fortemente offensivi, a favore delle forze marittime e terrestri e la «predisposizione di eventuali operazioni a massa contro le linee di comunicazioni affluenti a Karthum e Atbara, nonché contro gli obiettivi di Cassala e Porto Sudan».
Ma il Capo di S.M. Generale, Maresciallo Pietro Badoglio, informato di tali direttive, comunicava il 16 giugno 1939 <3> di tener «presente che, per ora, quello che interessa è che l' A.O.I. sia in grado di tenere a freno il Paese contro sollevazioni che subito si produrrebbero non appena scoppiate le ostilità in Europa». Tali direttive erano trasmesse al Governo Generale dell' A.O.I., con foglio del Sottosegretario di Stato Attilio Teruzzi, il 4 luglio 1939 <4>. Solo in connessione, poi, con la crisi in Europa della fine agosto 1939, l'Ufficio del Capo di S.M. Generale emanava le circolari n. 46n del 27 agosto <5) e n. 4691 del 29 agosto <6), che davano (!) (4) Vds. documento n. 7.
(2) F. 2284 Op. Segreto in data 15.5.1939 e allegati, documento n. 24 a-b-c. (3) F. 4507 del 16.6.1939, documento n. 25. (4) F. 807903 del 4.7.1939, documento n. 26. (5) F. 4672/5 del 27.8.1939, documento n. 27. (6) F. 4691 del 29.8.1939, documento n. 28.
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rispettivamente: «Direttive per la preparazione bellica delle Terre Italiane d'oltremare» e «Direttive di carattere operativo per la T.I.O. in dipendenza dell'attuale situazione internazionale». Le prime confermavano una visione tendenzialmente difensiva in vista di una sopravvivenza di almeno 12 mesi, pur prevedendo che non si trascurasse misura alcuna atta a consentire azioni offensive verso quegli obiettivi il cui possesso «potrebbe imporsi». Le seconde prescrivevano, per l' A.O.I. come per la Libia, di assicurare l'ordine interno e l'integrità delle frontiere. Veniva previsto altresì di «tenere aggiornato lo studio dell'operazione offensiva contro Gibuti non trascurando di considerare l'eventualità di azione simultanea, o successiva, contro la Somalia inglese». Veniva infine previsto di «studiare la possibilità di un indiretto concorso alla difesa della Libia orientale, per vincolare forze angloegiziane, a mezzo di operazioni partenti dalla frontiera nordoccidentale». Si noti, al riguardo che queste ultime operazioni erano previste al solo scopo di alleggerimento e senza obiettivi ambiziosi in profondità, dal momento che le forze in Libia dovevano anch'esse mantenere atteggiamento difensivo. Le concezioni.relative agli atteggiamenti da tenere in A.O.I. prendevano infine corpo nelle «Direttive Operative» del Corpo di S.M. dell'Esercito (Piano P.R. 12 in data 18 settembre 1939 che risultava confermato da una nuova edizione del I O marzo 1940, che si limitava ad aggiornare i dati sulla situazione presunta dell'avversario) <1). Questo Piano prevedeva distinte: «direttive per la difesa dell'A.O.I.», nell'ipotesi di conflitto contro Francia, Inghilterra ed Egitto alleati, che sottolineava ancora una volta la priorità della tutela della sicurezza dell'interno e delle frontiere; «direttive per operazioni offensive nell' A.O.I.>>, che definiva tali operazioni come «eventuali e subordinate alla situazione del momento ed alle forze che potranno rendersi disponibili» e da eseguire solo a seguito di ordini del Capo di S.M. Generale. (I) Vds. nel documento n. 29 il promemoria di presentazione, in data 17 maggio 1939, della I bozza del Piano, con una simetica motivazione dei suoi lineamenti fondamentali.
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Le operazioni previste' erano: in un primo tempo, l'occupazione di Gibuti e della Somalia inglese («Piano O.I.»); in un secondo tempo, la penetrazione.nel Sudan «per raggiungere la linea Porto Sudan-Atbara rompendo in due il territorio angloegiziano» («Piano S»). Le direttive sottolineavano che questa seconda operazione aveva particolare valore per il suo concorso ad operazioni nell'Africa Settentrionale, ma che «ha però importanza preminente l'occupazione di Gibuti», la cui attuazione doveva «attuarsi il più celermente possibile con una decisa azione di forza intesa a travolgere la difesa avversaria prima dell'arrivo dei rinforzi». Nei riguardi delle operazioni nel Sudan ne venivano intesi i vantaggi; ma si valutava che «una nostra operazione offensiva in questo scacchiere presenta difficoltà specie nel campo logistico e richiederebbe un notevole impiego di forze. Dovrà, comunque essere studiata per l'eventualità che la situazione consenta, nel corso del conflitto, di attuarla». Le forze a disposizione sarebbero state quelle mobilitabili sul posto. Il loro impiego era devoluto al Comandante ,Superiore delle FF.AA. dell'A.0.I., cui era affidata la condotta delle operazioni su direttive del Capo di Stato Maggiore Generale. L'importanza strategica dell'Impero in campo aereo, navale e terrestre, per la minaccia ch'esso rappresentava per le linee di comunicazione del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano e verso le colonie confinanti, era considerata tale da far supporre che l'avversario avrebbe cercato di compromettere ed eliminare il nostro dominio, sia fomentando la rivolta interna, sia agendo con azioni militari presumibilmente attuate: dalle Somalie, francese ed inglese, verso Harar; e dal Sudan nord-orientale verso l'Eritrea e l'Amara. Erano considerate meno pericolose, e perciò meno probabili, azioni dal Sudan meridionale e dal Kenia verso il Gimma e la Somalia. Azioni in gr~mde stile, tali cioè da compromettere il nostro dominio in A .O .I. , si prevedevano solo in un secondo tempo, perché avrebbero presupposto l'impiego di notevoli rinforzi di truppe che avrebbero dovuto affl11ire d'oltremare.
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In base alle direttive del P .R. 12 il Governo Generale dell'Africa Orientale Italiana emanava in data I O ottobre 1939 la circolare n. 4.000 «Criteri fondamentali sulla condotta della guerra nell'Impero», che dava i lineamenti in base ai quali i piani di copertura e radunata furono compilati e diramati tra l'ottobre 1939 e il marzo 1940 (1), I criteri di massima ai quali sf ispiravano, comuni a tutti i governi escluso quello dello Scioa, i_ntesi a lasciare alla riconosciuta competenza dei comandanti delle truppe la possibilità di impiegàre le loro forze nel modo ritenuto più efficace, erano i seguenti: -
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avere ai confini, in ogni governo, una copertura da rinforzare all'atto della guerra utilizzando anche i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia dell'A.0.I., le bande di commissariato e residenziali; presidiare il territorio in- ogni governo con il minimo di forze indispensabili e battere il territorio stesso, da presidio a presidio, se necessario, con colonne mobili; tenere accentrate in ogni governo le rimanenti truppe in località opportunamente scelte, costituendone delle masse di manovra a disposizione dei governatori.
Il Governo Generale dell' A .O.I. doveva avere una sua massa di manovra che avrebbe rinforzato, se possibile, con le masse di manovra dei governi non invasi e che non avessero forti ribellioni interne. Questa massa di manovr~, rinforzata o meno, sarebbe stata impiegata per linee interne proiettandola, tutta o in parte, nel territorio di quel governo che ne avesse avuto maggior bisogno. Se poi le condizioni dell'Impero lo avessero consentito (sia riguardo a invasioni dall'esterno, che a ribellioni interne) si sarebbe potuto pensare a compiere, con le masse di manovra disponibili, eventuali azioni offensive oltre i confini. Come si è detto, veniva data la priorità assoluta alla azione offensiva su Gibuti, da attuarsi con immediatezza prima che le forze franco-inglesi delle due Somalie avessero potuto ricevere rinforzi. Tuttavia un messaggio a Roma, in data 28 agosto 1939 del Viceré, aveva prospettato come la preparazione di tale operazione richiedesse, (1) Stralcio della circ. 4.000, documento n. 30.
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«per sola radunata truppe e mezzi logistici, 30 giorni circa e impiego oltre 2.000 tonnellate carburante. Condizioni successo è guadagnare massimo tempo possibile per prevenire ulteriori rinforzi franco inglesi. Prego comunicare se posso iniziare subito movimento radunata da regioni. più lontane e cioè Somalia e Galla Sidamo, che concorrono con loro forze» <1>. A tale radunata si era poi soprasseduto per la «non belligeranza» dichiarata dall'Italia; ma per ovviare a tali tempi lunghi si era poi provveduto ad avvicinare a quei confini unità di previsto impie~ go nelle operazioni del «Piano G.I.». Venivano, fra l'altro dislocate a Dire Daua e altre locaJ-ità dell'Hararino le unità carri e d'artiglieria più moderne disponibili nel Teatro d'Operazioni. L'episodio comunque sottolineava quanto oneroso, lungo e difficile sarebbe stato qualsiasi spostamento gravitazionale delle forze rispetto a quello esistente o predisposto, e come fossero necessarie decisioni pronte e tempestive per impostare ed eseguire qualsiasi manovra delle unità fra i due scacchieri di qualche interesse offensivo: del Sudan e della Somalia. Al riguardo la circolare 4.000 così si esprimeva: «la prima azione (Piano G.I.) ha importanza preminente sulla seconda (Piano S). Ove la prima fosse limitata, in relazione alla situazione internazionale del momento, alla sola occupazione della Somalia inglese, la seconda azione potrebbe assumere importanza preminente sulla prima». Circa le forze disponibili e le manovre offensive ritenute possibili era considerato che, su una disponibilità complessiva di circa 130 battaglioni, approssimativamente 100 battaglioni fossero necessari per la difesa ai confini e per il controllo del territorio. Poiché per l' «esigenza G. I.» era previsto l'impiego di una forza di circa 40 battaglioni e che una forza più o meno analoga era considerata necessaria per l' «esigenza Sudan», insieme a circa 2.20() automezzi per motorizzarla (sui circa 5 + 6.000 disponibili), ne derivava che le operazioni avrebbero potuto aver luogo solo in tempi successivi ed a conveniente distanza di tempo. (1) Messaggio in data 29.8.1939, documento n. 3.
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In tale situazione la priorità data alla operazione su Gibuti e la preventiva dislocazione delle unità più efficienti e moderne in funzione di questa operazione costituivano un elemento fortemente condizionatore. Nel dicembre 1939 il C~po di S.M. Generale, Maresciallo Badoglio, approvava le direttive del Governo di Addis Abeba comunicando che avrebbe espresso il suo parere definitivo dopo aver esaminato i piani conseguenti; infine, in data 14 maggio 1940, egli, esaminati detti piani di copertura e radunata e il piano per la difesa costiera, scriveva: <<Di massima, nulla ho d_a obiettare: solo confermo quanto già comunicato con foglio n. 5057. del 27 dicembre 1939 e cioè che tutti i piani relativi ad azioni offensive partenti dall'Impero debbono avere carattere di studio e di orientamento, perché il compito delle truppe dell' A.O.I. è, nell'attuale situazione, essenzialmente difensivo; operazioni offensive potranno essere attuate solo in casi specialissimi» <1>. Oltre,e indipendentemente da tali piani il Sottosegretario di Stato per l'Africa Italiana, Attilio Teruzzi, nel settembre 1939, su suggerimento di Addis Abeba, aveva prospettato al Capo di S.M. Generale i vantaggi di azioni anche a scopo limitato su Cassala e Ohe'daref, viste come «colpi di mano» destinati a migliorare la nostra situazione alle frontiere ed a provocare favorevoli ripercussioni politiche all'interno ed all'estero <2>. Essendo stata approvata la sua proposta, egli aveva invitato il Governo Generale di Addis Abeba a «prevedere due ipotesi CassalaGhedaref aut soltanto Cassala» (3). Durante il periodo della «non belligeranza» venivano eseguiti limitati lavori di carattere difensivo; fra essi: lavori di non grande entità e con mezzi di circostanza e limitati a taluni punti lungo la frontiera; altri lavori nell'interno, in quei territori dove la situazione politica, per l'atteggiamento diffidente e incerto della popolazione indigena, si presentava sfavorevole e delicata; si trattava, peraltro dei cosiddetti «fortini» provvisti di debole parapetto in terra ed ancor più debole reticolato. (I) F. 5414 del 14.5.1940, documento n. 32. (2) F. 809077 del 5.9.1939, documento n.' 33. (3) F. 809077 dell'S.9,_1939, documento n. 34.
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In conclusione, però, tutti questi lavori, allo scoppio delle ostilità in A.O.I., avevano scarsa consistenza e non potevano essere considerati vera e propria organizzazione difensiva, capace di dare valido appoggio alle truppe di manovra nella difesa dell'Impero. In tale periodo venivano anche attuati provvedimenti di qualche potenziamento della organizzazione di mobilitazione del personale e della struttura logistica, di cui si è fatto cenno. Si trattava di provvedimenti che trovavano però non poche difficoltà obiettive, oltre che qualche remora nella particolare situazione locale. Le incertezze del periodo di «non belligeranza», unite alle preoccupazioni per l'ordine interno ed al complesso degli interessi dell'Impero ad evitare l'isolamento, facevano infatti ritenere da molti che il nostro ingresso nel conflitto fosse assolutamente da escludere; come, del resto, era confermato da dichiarazioni autorevoli di Badoglio e dello stesso Mussolini fino a date assai prossime al maggio 1940. Ciò non poteva non avere negative influenze nei riguardi dei preparativi in vista di un conflitto che incomincerà a profilarsi imminente solo nell'apri~e del 1940 a seguito della diramazione da parte del Capo del Governo della nota «Memoria» del 31 marzo 1940 (1) nella quale prosp_ettava l'esigenza di entrare nel conflitto a scadenza più o meno ravvicinata e, pur prevedendosi un contegno difensivo su quasi tutti i fronti, si faceva eccezione per l' A.O.I. prevedendo l'azione offensiva su Gibuti ed altre operazioni offensive a Ghedaref e Cassala «per garantire l'Eritrea». Si trattava quindi di quelle azioni da tempo previste, volte essenzialmente a sfruttare la situazione iniziale di superiorità per migliorare le possibilità difensive dell'Impero e della sua sopravvivenza. Lontana era qualsiasi idea di .operazioni offensive a grande respiro volte verso l'Egitto ed il Canale di Suez, «idea da scartare» secondo quanto espresso dal Capo-di S.M. Generale. Una conferma degli orientamenti verso una guerra esclusivamente difensiva era data ancora dal Capo del Governo al Gen. Trezzani il 21 aprile 1940 quando gli confermava per iscritto le sue direttive verbali in occasione della sua designazione a Capo di S.M. del Governo Generale dell' A.O.I.. (I) Testo della "memoria", documento n. 35.
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Nell'aprile, dopo il rientro in Africa Orientale del Viceré, e nel maggio iniziava quindi una intensa attività rivolta a mettersi in grado di affrontare il conflitto con quegli orientamenti difensivi che il Capo di Stato Maggiore Generale aveva ancora confermato con le direttive del 14 maggio dichiarando l'eventualità di operazioni offensive «solo in casi specialissimi». Dopo ampia consultazione con i Governatori militari il Viceré proponeva al Ministro Teruzzi, il 10 maggio, (I) i lineamenti della nuova organizzazione di Comando e di amministrazione anche civile in Scacchieri, che entrerà in funzione sul piano giuridico dal 2 giugno 1940 <2). Venivano altresì: proposta la costituzione di Comandi di divisione quali leggeri organi di coordinamento esclusivamente operativo delle brigate, nonché richiesti l'assegnazione di 12 miliardi di lire per l'autosufficenza finanziaria di un anno, e l'invio di personale e di mezzi bellici moderni. Si trattava di provvedimenti che rispondevano a criteri perfettamente razionali e che venivano a rappresentare utili fattori di stimolo e di organizzazione ma che erano molto tardivi; la loro esecuzione non sarà esente da grossi inconvenienti verificandosi immediatamente prima o addirittura a conflitto già iniziato. I Comandi di Scacchiere si sovrapponevano infatti a Governi e Comandi Truppe che avevano operato fino ad allora con larga autonomia; mentre i Comandi di divisione non erano che organi demoltiplicatori senza possibilità di intervento a favore delle brigate. Mancavano poi Comandanti e Quadri, particolarmente di S.M., per la costituzione di tanti nuovi Comandi. Anche la disponibilità di Quadri superiori capaci era assai ridotta e già lamentata in tempo di pace; le esigenze di costituzione di nuovi reparti rendevano difficile una situazione già precaria (al 1° settembre 1938 su 6.246 Ufficiali solo 1.609 erano in spe e ben 4.637 erano di complemento, trattenuti o riassunti, anche in gradi elevati). L'invio di circa 300 Ufficiali in spe dall'Italia potè essere effettuato solo in parte per il sopravvenuto scoppio del conflitto; molti degli Ufficiali di più recente assegnazione (1) F. 200391 del 10.5.1940, documento n. 13. (2) Tele 15953 del 31.5.1949, documento n. 13.
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avevano una ben scarsa prepara~ione ambientale; l'esito dei richiami per mobilitazione fu generalmente deludente soprattutto sotto l'aspetto qualitativo, ed anche sotto quello quantitativo per il forte numero di esoneri resosi necessario per consentire la continuazione della vita del Paese. L'attuazione dei provvedimenti risulterà accelerata dopo un messaggio del Capo del Governo, Benito Mussolini, che il 18 maggio comunicava al Viceré: «rispondo a vostro rapporto circa provvedimenti in caso di emergenza e premetto che tale caso può profilarsi come, se non imminente, prossimo per cui non c'è più un minuto - dico un minuto - di tempo da perdere ... » (I). In particolare, una mobilitazione occulta, con la costituzione di nuove unità specie coloniali ed il completamento di quelle esistenti, aveva inizio il 19 maggio (2) mentre venivano adottati provvedimenti per elevare le scorte di viveri e limitare i consumi di carburanti. Venivano altresì accelerati i provvedimenti per garantire una maggiore protezione alle scorte, soprattutto di carburanti, trasferiti dai depositi costieri ai depositi interrati nell'interno o dispersi in piccoli depositi di barili interrati. ·Tuttavia, i provvedimenti potevano migliorare solo limitatamente una situazione che il nuovo Capo di S.M., generale Trezzani, lamentava - in una sua lettera del 23 maggio (3) - essere «non allegra ma neanche gravissima». Egli scriveva anche: «Lavoro a tutt'uomo: 1°) per convincere tutta questa gente, che fin qui visse in uno stato di inesplicabile euforia, che la guerra può scoppiare da un momento all'altro; 2°) per non perdere un'ora nella preparazione che mi sforzo di spingere avanti il più alacremente possibile. Il lavoro proçede con quella rapidità che è consentita dalla natura dell'ambiente e dalle enormi distanze. Oggi, ripeto, la situazione non è allegra; se avremo tempo un mese sarà buona». Poiché nella sostanza non si poteva mutare molto nella situazione anche dopo un )11ese, questa avrebbe potuto essere migliore non solo perché avrebbero avuto termine i provvedimenti in corso, di riorganizzazione del Comando e della mobilitazione, (I} Tele 204491/S del 18.5.1940, documento n. 37. (2) Così risulta dal Diario Storico del Comando Truppe Eritrea . (3) Stralci,) le1 tera del gen. TR EZ.ZANI al gen. Sooou del 23.5.1940, documento n. 38.
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ma soprattutto perché si sarebbe entrati nella stagione delle piogge, che avrebbero escluso grosse possibilità operative, e quindi rinviato ogni problema, offensivo e difensivo, al settembre-ottobre successivo. Gli orientamenti nettamente difensivi e comunque limitativi nei riguardi di qualsiasi operazione offensiva venivano ancora confermati negli ultimi giorni prima dell'inizio del conflitto, anche quando la resa della Francia appariva già scontata. Evidentemente, come appare dalla valutazione espressa nella «situazione politico-militare» del 1° giugno 1940 (l), la difficile situazione francese dinnanzi alla offensiva tedesca faceva profilare la eliminazione della Francia dal conflitto in Europa; ma si temevano le possibilità offensive francesi in Africa nel caso di un nostro prematuro ingresso nel conflitto. Il 28 maggio, nell'approvare la nuova «organizzazione delle Forze Armate dell' A.O.I. per l'emergenza», il Maresciallo Badoglio ribadiva che lo scopo da raggiungere era «la conservazione integrale del territorio e, in casi specialissimi, svolgimento di azioni offensive e controffensive» (2). L'atteggiamento difensivo per tutte le forze nei territori oltremare era ancora confermato dal messaggio 5.500 del 30 maggio <3) in cui si comunicava la possibile apertura delle ostilità in qualsiasi momento dopo il 5 giugno e si prescriveva che «fino a nuove disposizioni compito forze armate ai vostri ordini est strettamente difensivo». Dinanzi a questa direttiva il Viceré il 2 giugno faceva presente come i piani vigenti prevedessero una azion~ offensiva su Gibuti da eseguire con immediatezza e che, poiché si erano sospese le relative preparazioni, sarebbero stati necessari non meno di 15 giorni fra un eventuale ordine di Roma di eseguire l'operazione ed il suo inizio <4) . Il 4 giugno il Capo di Stato Maggiore Generale confermava di attenersi ali' ordine del 30 maggio (5). (I) Vds. documento n. 39.
(2) F. 5482 del 28.5.1940, documento n. 40. (3) Vds. documento n. 41.
(4) Tele 52485 in data 2.6.1940 del Viceré, doçumento n. 42. (5) Tele 5573 in data 4.6.1940 del Capo di S.M.G., documento n. 43.
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In Africa Orientale, dunque, si doveva completare la mobilitazione ed assumere un atteggiamento difensivo; una eventuale offensiva su Gibuti avrebbe richiesto 15 giorni di preparazione dall'ordine; una eventuale offensiva verso il Sudan, dato che le forze più consistenti e moderne erano nell'Harartno, avrebbe richiesto tempi maggiori.
Mentre ci si avviava verso l'ingresso italiano nel conflitto, Addis Abeba non sollecitava Roma alla assunzione di particolari iniziative, ma la questione dell'atteggiamento da tenere e delle eventuali iniziative offensive da intraprendere era intanto dibattuta nell'ambito dello Stato Maggiore Generale. Dinnanzi alla prospettiva di una rapida conclusione della guerra contro la Francia l'operazione offensiva contro Gibuti appariva ora come non più necessaria o conveniente. Come bene risulta da un promemoria di lavoro presentato il 5 giugno dal Capo Reparto Operazioni del Comando Supremo generale Armellini (I), veniva considerata anche la possibilità dÙntraprendere le operazioni previste verso il Sudan per concludere che, date le forze avversarie, si trattava di operazione non attuabile; e poiché anche quella prevista contro Gibuti avrebbe potuto non essere eseguita, si prospettava la possibilità di un'azione offensiva su Cassala, di cui si paventavano non tanto le difficoltà di esecuzione quanto quelle connesse con le possibili reazioni avversarie. Il fattore che rendeva più dubbiosi circa la possibilità effettiva di intraprendere azioni offensive era·, poi, la situazione interna dell' Africa Orientale. Infatti, il 6 giugno il Maresciallo Badoglio inviava al Viceré un messaggio (2) in cui affermava: «Possibilità operazioni offensive fuori territorio che est mia competenza ordinare est subordinata at situazione politica interna ... prego pertanto inviarmi brevissima sintetica telegrafica relazione.-.. ». A questa richiesta il Viceré rispondeva il giorno 8 giugno <3): «situazione Eritrea, Harar, Galla e Sidama, Somalia buona. In Amara oscura per aggressioni notevoli anche recenti, contrastanti con numerose piccole sottomissioni forse per sfiducia forza oltre confine più probabilmente per ingannarci. (l) Promemoria in data 5.6.1940 al Capo di S.M.G., documento n. 44.
(2) Tele I 6356 del 6.6. I940, documento n. 45. (3) Tele 52984 dell'8.6.1940, documento n. 46.
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Scioa incerta per capi decisamente ostili e forrnazioni che sbandate si ricostituiscono. Nostre operazioni offensive fortunate assicurerebbero ordine interno. Se sfortunate potrebbero fare divampare incendio ... ». Questo scambio di idee si concludeva con un messaggio del Capo di Stato Maggiore Generale dell'8 giugno stesso <1>, che escludeva l'ipotesi di una operazione Sudan da attuarsi solo presentandosi condizioni particolarmente favorevoli e richiedeva di studiare la possibilità di effettuare una operazione su Cassala di cui si prospettavano i vantaggi morali, materiali e difensivi, con l'occupazione di una buona posizione a difesa dell'Eritrea. Che tutte le operazioni offensive dovessero rimanere sul piano dello studio era ancora confermato da un messaggio del 9 giugno <2>, che comunicava: «situazione politica internazionale in· sviluppo ma non completamente definita. Duce intende primo tempo non prendere iniziative contro Francia ma solo et eventualmente contro Inghilterra. Azioni Impero subordinate gran parte situazione interna di cui mio n. 3. Concetto generale: garantire possesso Impero, operando essere sicuri successo, successo sia reale et non effimero. Su tali basi direttive sono queste: 1° contegno strettamente difensivo; 2° tenersi pronti at reagire subito et violentemente; 3° studiare varie possibilità offensive da attuare dietro mio ordine. Tenermi corrente situazione. Badoglio». Un altro messaggio nella stessa data informava il Viceré, perché avesse il tempo di dare ordini alle navi dipendenti, che la dichiarazione di guerra sarebbe avvenuta alle 17 del giorno 10 giugno, con inizio delle ostilità alle ore 24 (3). Circa l'atteggiamento da tenere, se il problema era chiaro per quanto si riferiva alle operazioni delle forze terrestri, non lo era per quanto si riferiva alle forze aeree e marittime; ciò in quanto una rinuncia ad azioni offensive contrastava con le caratteristiche e le previsioni di impiego sempre contemplate e che sarebbero state utili e necessarie, particolarmente in una guerra contro l'Inghilterra. (I) Tele 41/0p. dell'S.6.1940, documento n. 47. (2) Tele 61/0p. del 9.6.1940, documento n. 48. (3) Vds. documento n. 49.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Il Viceré manifestava tali dubbi con un messaggio <1> del mattino del giorno 10 giugno in cui_si prospettava: «mentre starò fermo con forze terrestri chiedo se at mezzanotte per prevenire inglesi come sarebbe indispensabile posso attaccarli per cielo e per mare Alt Urgemi risposta esplicita». La risposta esplicita del Maresciallo Badoglio era: «Non effettuate alcuna azione offensiva ma assicurate possesso territorio» <2>.
(l) Telè 6.000 del 10.6.1940, documento n. 50.
(2) Tele 88/0p. del 10.6.1940, documento n. 51.
CAPITOLO VI
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA SITUAZIONE MILITARE DELL'A.O.l. ALL'INIZIO DEL CONFLITTO Sono stati espressi giudizi molto critici nei riguardi dei generali italiani che, nel giugno 1940, non avrebbero preso immediatamente l'offensiva contro le colonie inglesi per approfittare delle scarse forze inizialmente ivi dislocate e della favorevole situazione provocata dal crollo della Francia. Si è ritenuto opportuno, perciò, considerare con maggiore attenzione le condizioni in cui le forze italiane in Africa Orientale entrarono nel conflitto e da chi, dove, come e quando vennero prese le decisioni sugli atteggiamenti da tenere e sulle operazioni da intraprendere. A prescindere dalle strane idee del Capo del Governo che, a fine marzo 1940, prevedeva di entrare nel conflitto mantenendosi dappertutto sulla difensiva e attribuendo compiti offensivi alle sole forze in Etiopia, cioè a quelle in peggiori condizioni per affrontare compiti di tal fatta, risulta che l'intera organizzazione militare italiana, dagli Alti Comandi di Roma a quelli in Addis Abeba, era orientata ad una strategia essenzialmente difensiva. Anche la esecuzione di offensive verso Gibuti e nel Sudan era· rivolta: la prima, a chiudere quella che era considerata la porta maggiore aperta all'invasione e ad una avanzata verso il cuore dell'Impero; la seconda, a migliorare la situazione difensiva delle regioni settentrionali stornando la minaccia esercitabile verso Asmara e Massaua. Le forze relativamente ingenti, nella maggioranza coloniali, erano in gran parte impegnate nell'opera di consolidamento e di sicurezza dell'interno, che vincolava anche notevoli forze nazionali particolarmente nella zona di Addis Abeba-Harar. Incomprensioni, ritardi burocratici, l'attenzione verso altre esigenze avevano impedito un tempestivo afflusso di mezzi ed unità moderne; le forze disponibili
4, U Opcralioni in Africa OrienHtlc . Voi. I
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per una azione offensiva erano prevalentemente dislocate ed orientate per una azione eventuale verso Gibuti, effettuabile peraltro solo una quindicina di giorni dopo l'ordine di Roma. Qualsiasi altra grande manovra offensiva avrebbe chiesto maggiori tempi per la radunata di forze e mezzi in questo teatro vasto quasi sei volte l'Italia; si può supporre circa un mese. Poiché era mancato qualsiasi orientamento offensivo prima del 10 giugno, ed anzi tutti gli ordini di Roma erano stati per il mantenimento di un atteggiamento strettamente difensivo, era esclusa qualsiasi grande operazione di tale tipo nell'imminenza della stagione delle piogge. Verso un abbandono della «op_erazione Sudan» vi fu indubbiamente anche il fattore costituito da una valutazione eccessiva delle forze britanniche ritenute presenti ed immediatamente disponibili in questo Scacchiere, sùlla quale si basava iJ giudizio dello Stato Maggiore Generale. Non mancò chi, particolarmente nell'ambito dello Scacchiere Nord, ebbe a prospettare la possibilità e l'opportunità di rinunciare alla ormai inutile operazione di Gibuti e/o della Somalia britannica per eseguire subito una operazione su Atbara e, meglio, su «Jahia Junction» recidendo ogni possibilità di alimentazione degli sforzi britannicì da Port9 Sudan, come appare da una lettera del Comandante dello Scacchiere Nord, generale Frusci, del 28 maggio '40, diretta al generale Trezzani (l). Ma le decisioni in merito a tali operazioni erano esclusivamente del Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo _Badoglio, il quale aveva così ripetutamente espresso i suoi radicati orientamenti verso atteggiamenti difensivi, le sue preoccupazioni soprattutto per la possibilità di controllare l'interno e, nello stesso tempo, la fiducia che, ove ciò potesse essere salvaguardato, l'Africa Orientale potesse resistere il tempo necessario perché in Europa fosse raggiunta la decisione. Al generale Pesenti, in partenza.per l' A.O.I. nell'aprile 1940 egli aveva dichiarato: «Con 300 mila armati, se saprete mantenere i gangli vitali, i punti chiave e le comunicazioni fra le parti dell'Impero, e non vi avventurerete in offensive pericolose ... l'Impero nelle sue parti vitali si deve poter mantenere» <2>. (1) Testo della lettera del gen. FRUSCI, documento n. 52. (2) Cfr. G. PESENTI, "Fronte Kenia", Bertello, Borgo S. Dalmazzo, 1952, pag. 9.
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA S!TIJAZIONE MILITARE ALL'INIZIO DEL CONFLITTO
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Appare ovvio che, nella presunzione di un rapido crollo della Francia e di una fine imminente del conflitto, abbia potuto apparire l'utilità, proprio per la supposta brevità della guerra, di effettuare qualche sforzo offensivo, magari poco costoso ma redditizio come quello di Cassala; ma in pratica gli orientamenti difensivi del Capo di Stato Maggiore Generale venivano rafforzati dalle titub~nze del Capo di S.M. del Governo Generale in Addis Abeba, Trezza.ni., e dello stesso Viceré, che 1'8 giugno comunicavano: «operazioni offensive fortunate assicurerebbero ordine interno. Se sfortunate potrebbero fare divampare incendio». Nella situazione di forze nemiche ritenute esistenti nel Sudan, e soprattutto nel timore dei rinforzi che..gli Inglesi avrebbero potuto far affluire dal Medio Oriente, vi era quanto bastava per confermare, il 9 giugno, «un contegno strettamente difensivo». Come definito, del resto, dalle attribuzioni legislative la responsabilità degli orientamenti strategici dei piani e delle decisioni del momento va attribuita esclusivamente allo Stato Maggiore Generale ed alla strategia politica e militare di Roma. L' A.O.I. non era stata preparata convenientemente a sostenere un conflitto che, per garantirne il possesso, avrebbe dovuto essere evitato. Le decisioni strettamente difensive del momento furono in qualche modo influenzate da qualche esagerata valutazione delle forze avversarie; ma essenzialmente furono provocate dalle incertezze di ordine politico con cui si entrava nella guerra e dalle preoccupazioni per la solidità del nostro controllo e per le conseguenze di eventuali nostri insuccessi. La influenza delle indecisioni di ordine politico e strategico del vertice di comando a Roma sono bene poste in luce dallo scambio di messaggi dell'ultima ora fra Addis Abeba e Roma, circa l'esecuzione o meno di attacchi immediati per cielo e per mare alle forze inglesi. La risposta assolutamente negativa del Capo di S. M. Generale non può certamente attribuirsi a insensibilità o incompetenza di ordine militare, ma è piuttosto testimonianza di quel disordine degli obiettivi politici con cui l'Italia entrava nel conflitto. Entrando nella guerra con una strategia esclusivamente difensiva ed in uno stato, almeno iniziale, di così passiva inattività la nostra situazione generale in A.O.I. poteva giudicarsi buona se riferita ad una guerra di breve durata.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORI ENTALE
Essa era, però, insidiata da numerosi problemi interni e da gravi insufficienze di ordine logistico, che, sebbene non ancora di preoccupanti proporzioni, erano.Però già quasi ovunque in potenza e tali che, nell'ipotesi di una guerra lunga, avrebbero preso sempre maggiore sviluppo e finito per provocare gravi conseguenze, sì da compromettere ogni possibilità operativa. Essa avrebbe, poi, subito le ripercussioni dell'andamento del conflitto in altri Teatri e della possibilità dell'avversario di far affluire quei rinforzi che a noi erano negati dal quasi completo isolamento.
PARTE SECONDA
IL 1940: PERIODO DI PREVALENZA ITALIANA
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CAPITOLO VII
LE OPERAZIONI NEI PRIMI DUE MESI DI GUERRA (GIUGNO-LUGLIO 1940) Alle ore 24.00 del 10 giugno 1940 aveva inizio la guerra dichiarata dall'Italia alla Francia ed alla Gran Bretagna. In aderenza agli ordini tassativi ricevuti, le forze italiane dell' A.O. mantenevano un atteggiamento assolutamente difensivo per terra, per mare e per cielo; impegnate nel completamento della mobilitazione e nel raggiungimento delle località assegnate, esse si astenevano da qualsiasi attività operativa contro l'avversario. Si verificava, invece, un inizio immediato di incursioni aeree britanniche sugli aeroporti di Asmara, Gura, Adi Ugri, Agordat ed un attacco, respinto, al nostro presidio di Moiale, sulla frontiera Keniota. Solo nei giorni successivi avevano inizio anche nostre incursioni aeree su Aden, Wajir (Kenia), Berbera, Porto Sudan. Mentre le due opposte aviazioni sviluppavano le loro attività, volte prioritariamente a distruggere velivoli e installazioni sulle basi avversarie ed a conseguire così la superiorità aerea, nel settore terrestre continuava una stasi quasi assoluta. Le operazioni nel mese di giugno si limitarono, infatti, a piccole azioni delle forze confinarie, aventi lo scopo di ricercare notizie con incursioni e colpi di mano. Secondo la pianificazione avrebbe dovuto essere eseguita con immediatezza l'offensiva verso Gibuti e Berbera prevista dal «Piano G.I.», ma l'operazione, come abbiamo visto, non veniva disposta da Roma, evidentemente in quanto le prospettive di un crollo imminente da parte francese facevano ritenere non necessario uno sforzo bellico per il conseguimento di obiettivi ormai a portata di mano attraverso le trattative armistiziali. Anche dopo l'armistizio con la Francia, mentre si dubitava della opportunità o necessità della operazione
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Gibuti e Somaliland, non si riteneva nemmeno possibile orientarsi a decise operazioni offensive verso il Sudan soprattutto in relazione alla situazione interna, ed anche per la esigenza di pervenire prima ad una chiarificazione della situazione politica e militare nei riguardi della Colonia francese (!) . La situazione nei riguardi della Costa dei Somali rimaneva, infatti, ambigua anche dopo la stipulazione dell'armistizio; questo, chiesto il 17 e firmato il 24 giugno, non considerava alcuna cessione territoriale in A.O. ed il controllo del territorio continuava a rimanere ai Francesi. Il testo della convenzione armistiziale <2) stabiliva che, durante le ostilità contro l'Impero Britannico e per la durata dell'armistizio stesso, il territorio della «Costa Francese dei Somali» sarebbe stato interamente smilitarizzato e l'Italia avrebbe avuto pieno e costante diritto di usufruire del porto e delle installazioni di Gibuti e della ferrovia Gibuti -Addis Abeba nel tratto francese per trasporti di qualsiasi specie. Pur evitandosi così nostre onerose operazioni offensive, si trattava di risultati solo in parte positivi; ciò in quanto la possibilità di uso del porto e della ferrovia sarebbe rimasta di ben scarso significato dato il blocco navale britannico, e Gibuti completamente smilitarizzata sarebbe rimasta esposta a qualsiasi ritorno offensivo avversario. Ma a complicare la situazione contribuiva per oltre un mese l'atteggiamento del generale Legentilhomme, comandante delle forze francesi nella Colonia. Il Comando Superiore FF.AA. del A.O.I., apprese dalla radio la conclusione dell'armistizio e le sue condizioni, aveva cercato di prendere contatto con le autorità francesi di Gibuti per la sua esecuzione; ma ogni tentativo di intesa falliva di fronte all'asserzione di quel Comandante che sosteneva di non poterlo applicare non avendo ricevuto dal suo Governo istruzioni. Mentre una nostra azione di forza era esclusa dalla esig.::nza di non violare l'armistizio e dal timore che quel Comandante potesse indurre il presidio a passare nei ranghi del generale De Gaulle, tutta (I) Vds. foglio del 18.6.1940 del Viceré al Mar. BADOGLIO ed al Min. TERUZZI, documento n. 53. (2) Testo della Convenzione armistiziale del 24.6.1940, documento n. 54.
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l'attenzione del Comando Supremo, a Roma, era volta a risolvere la questione direttamente con pressioni sull'Alto Comando francese, nel quadro della generale osservanza delle condizioni armistiziali. Ciò sarà conseguito, con l'allontanamento e la sostituzione del Legentilhomme da parte dei Francesi, ma solamente il 27 luglio, cioè oltre un mese dopo l'armistizio e quando già si era entrati nel periodo delle piogge. Così, per un lungo periodo utile per eventuali operazioni, il dispositivo italiano rimaneva con le armi al piede in funzione di eventuali interventi nella Costa dei Somali francese; mentre la Gran Bretagna aveva utile tempo di respiro, che le permetteva di far affluire forze, nel Somaliland ed altrove. Nella seconda metà di giugno, dinnanzi alla nuova situazione creata dall'uscita della Francia dal conflitto, il Comando italiano era stato posto dinnanzi a nuove opportunità: in particolare, alla possibilità di assumere iniziative offensive nei riguardi delle forze inglesi, il cui stato almeno temporaneo di inferiorità era noto. Ma il Capo del Governo, aderendo del resto al parere di Addis Abeba, confermava ancora una volta la priorità da dare al controllo della situazione interna e di mantenere un atteggiamento difensivo "nella attesa degli sviluppi della situazione europea" O) mentre il Capo di Stato Maggiore Generale, ad una richiesta del Viceré d'Etiopia, precisava che le condizioni di armistizio con la Francia non contemplavano nostre occupazioni territoriali "e perciò il Duce ordina che si astenga da qualsiasi azione (2). Nei riguardi delle possibilità operative che si offrivano in quella: situazione ricorderemo che la pianificazione prevedeva la necessità qi devolvere una parte notevole delle forze (circa 90-100 battaglioni) al mantenimento del controllo del territorio, ed una disponibilità residua di forze e di mezzi di trasporto sufficiente per uno solo dei due sforzi offensivi di qualche entità previsti: per Gibuti, o per il Sudan. Data la imminenza del periodo delle piogge e la dislocazione delle forze più moderne e della riserva generale nello Scioa e nell'Harar, ivi vincolate in attesa della chiarificazione nella questione di Gibuti, (1) Vds. fono 1/735/0P del 21 giugno, documento n. 55. (2) Fono 1/785 (non rinvenuto).
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veniva ad essere esclusa la possibilità di esercitare immediatamente grossi sforzi offensivi verso l'Alto Sudan, e tanto meno verso altri territori quali quello Keniota. In queste circostanze l'Alto Comando italiano decideva di intraprendere azioni offensive a carattere limitato che, con l'impiego delle forze disponibili nei singoli schacchieri, permettessero di conseguire qualche successo, soprattutto suscettibile di incidere favorevolmente sulla situazione interna ed al contempo di migliorare la situazione difensiva in alcuni settori. Veniva così disposta l'effettuazione di alcune operazioni di frontiera che ebbero luogo nella prima quindicina di luglio a Cassala, Gallabat, Kurmuk, Ghezan, Moyale ed altre località (schizzo n. 10). Di maggiore rilievo era l'operazione offensiva su Cassala che era stata sempre auspicata, fin dal tempo di pace, come operazione minore intesa a migliorare le possibilità difensive della Colonia eritrea. Ricorderemo anche come il Comando Supremo avesse richiesto il 4 giugno ad Addis Abeba un giudizio circa la possibilità di eseguire questa operazione, la cui esecuzione era attivamente sollecitata anche dal Comando scacchiere nord, preoccupato di eseguirla prima della imminente stagione delle piogge. Cassala veniva giudicata «obiettivo non lontano né difficile la cui conquista, oltre a sensibili ripercussioni morali sulle popolazioni sudanesi, ci avrebbe dato il possesso di un importante nodo stradale». Dubbi e difficoltà sollevati da Roma fecero segnare un tempo di arresto a queste operazioni i cui vantaggi venivano precisati dal Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I. in data 26 giugno, nei seguenti termini <1>: - «chiudere il principale accesso all'Eritrea; - impadronirsi di un nodo stradale indispensabile per eventuali azioni offensive a più largo raggio; - tenere alto il morale tra le truppe e il nostro prestigio fra le popolazioni». Il successivo I luglio il Comando Supremo autorizzava l'operazione, la cui esecuzione veniva fissata per il 4 luglio a cura del Comando truppe Eritrea (gen. Vincenzo Tessitore). (1) F. 330478/0P del 26.6.1940, documento n. 56.
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I PRIMI DUE MESI DI GUERRA (GIUGNO - LUGLIO 1940)
SCHIZZO N. 10
OPERAZIONI DI FRONTIERA
FRONT IERA SUDANESE LUGLIO 1940
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LE OPERAZlON.1 IN AFRICA ORIENTALE
Cassala distava dal confine eritreo una trentina di chilometri; il terreno intermedio era facile; la stretta di Mocràm che difende direttamente la città era facilmente aggirabile (schizzo n. 1I). Le forze avversarie a difesa diretta di Cassala erano stimate essere: 1 compagnia sudanese, 1 sezione cannoni anticarro; 6 carri armati leggeri; circa 35 autocarri, più o meno attrezzati e armati di mitragliatrici, con un totale di circa 300-350 uomini. Si riteneva però non doversi escludere l'intervento di nuclei (per una forza complessiva di circa 3.000 uomini) segnalati in località varie e nella zona di Khashm el Girba, località distante circa 60 km. da Cassala <1>. La possibilità d'intervento di tali forze e la necessità di assicurare il mantenimento delle posizioni, una volta raggiunte, inducevano il Comando Superiore FF.AA. dell'A.O.I. a impiegare nell'operazione: 4.800 coloniali, 1.500 cavalieri, 2 gruppi di artiglieria someggiata, 12 carri medi e 12 leggeri, forze che vennero ordinate su tre colonne e una riserva. Era previsto anche il concorso dell'aviazione. Le nostre truppe alle ore 9 del 4 luglio giungevano, senza incontrare resistenza, sull'allineamento M.di Cassala-Catmia-M.Mocràm. L'attacco della posizione, per l'attardarsi della colonna centrale a causa di difficoltà del terreno, veniva sferrato dalle due colonne laterali. La colonna di destra impegnava frontalmente con l'avanguardia appiedata la stretta di Mocràm, che forzò poi al galoppo con tre gruppi di cavalleria, mentre con un quarto gruppo l'aggirava da nord. In questo episodio il nemico lasciava dei morti sul terreno e venivano fatti alcuni prigionieri. La colonna di sinistra, intanto, superata la montagna, progrediva lungo la ferro via ed avanzava verso la città; un contràttacco di mezzi armati ed autoblindo veniva fermato dalle nostre truppe e, poi, disperso dall'aviazione. Nella giornata veniva completata l'occupazione di Cassala e costituita una testa di ponte sul fiume Gasc, includente Cassala ed appoggiata con l'ala sinistra a M. Cassala e con l'ala destra a M. Mocràm. (1) Nel.la realtà le forze inglesi erano costituite da due sole compagnie motorizzate della Sudan Defence Force: s• Cp. mitraglieri mot.; 6 3 Cp. fanteria autoportata. Partecipò inoltre ai combattimenti la 3• Cp. mitr. mot. proveniente da Ponte El Butana.
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I PRIMI DUE MESI DI GUERRA (O IUGNO - LUGLIO 194-0)
SCHIZZO N. 11
LE OPERAZIONI PER LA OCCUPAZIONE DI CASSALA (4 LUGLIO 1940)
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SCHIZZO N. 12
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORI ENTALE
L'operazione per la conquista di Cassala si concludeva con lievi perdite: 2 ufficiali morti e 4 feriti; 41 ascari morti e 110 feriti. Il nemico aveva reagito soltanto con le truppe in posto e quelle viciniori, essenzialmente con il fuoco a distanza, manovrando in ritirata ed evitando di farsi agganciare. Le sue forze ripiegavano su Ponte El Butana sul Gasc. Non vi era stato alcun intervento della aviazione avversaria. L'operazione, negli intendimenti del Comando italiano, avrebbe dovuto essere integrata immediat~ente da una espansione del1' area controllata attorno a Cassala; ma essa fu seguita, il giorno seguente, da un succedersi di granfii pioggie che resero difficoltosi i movimenti e impedirono la prosecuzione di qualsiasi operazione in questo settore. Solo dopo due mesi di stasi assoluta, nei primi giorni del settembre, poterono essere eseguite alcune ricognizioni offensive: a nord verso Tegalhus, ed a sud, verso Malawiya, volte a garantire i fianchi della nostra occupazione della località. L'operazione di Cassala aveva conseguito i suoi obiettivi; essa aveva favorevoli ripercussioni di carattere politico e doveva preoccupare non poco i Britannici, consapevoli della debolezza delle loro forze nel Sudan e stimolati così all'invio di rinforzi a questo settore. Però essa avevaan~he messo in luce qualche incertezza nella condotta della azione e nelle attività di comando e di coordinamento, riconducibile a deficienze nelle attività informativa, di esplorazione e di sicurezza, provocate essenzialmente dalla scarsa disponibilità ed efficienza dei collegamenti. Si trattava di motivi di inferiorità che si troveranno spesso a fondamento degli insuccessi e della onerosità delle perdite sostenute dalle nostre unità, insieme alle deficienze di armamento e di mezzi di trasporto. Co~temporaneamente all'occupazione di Cassala, nostre truppe dell'Amara, del XXVII btg. col. e del 1° Gruppo Bande, con un colpo di mano conquistavano il fortino inglese di Gallabat prospiciente il nostro posto di confine di Metemmà ( t) . Già il 14 giugno e, successivamente, il 30 il nemico aveva effettuato puntate offensive in detta località; il 30, era stata anche temporaneamente occupata da (I) Vds. schizzo n. 12.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
forze irregolari sudanesi la collina di Re Giovanni che domina Metemma da est. Si decise perciò di occupare l'intero costone di Gallabat e l'operazione fu compiuta col concorso dell'aviazione il mattino del 4 luglio, dopo che il settore era stato rinforzato da un battaglione coloniale. Lievi furono le nostre perdite (3 morti e 16 feriti) e lievi quelle dell'avversario, sottrattosi in tempo al combattimento. Con l'occupazione di Gallabat le nostre truppe si assicuravano il possesso di un importante nodo stradale sul quale convergevano le piste provenienti da Ghedaref e da Om Ager, rendendo più difficili le infiltrazioni dei ribelli verso il Goggiam. Sempre nella prima quindicina di luglio, sulla stessa frontiera col Sudan, si ebbero alcune azioni locali intese a migliorare la nostra situazione confinaria al limite nord-occidentale del Galla e Sidama: il 7, i nostri eseguivano una incursione su Kurmuk; qualche elemento penetrava nel fortino ma il colpo di mano non riusciva.
Il 12, sotto la nostra pressione il nemico abbandonava la località; successivamente la nostra occupazione veniva estesa e migliorata spostandola sulle colline circostanti. Il 14, nostre bande occupavano, con azione di sorpresa, Ghezan a nord-est di Kurmuk. Con l'occupazione di Kurmuk e Ghezan la nostra situazione al confine in quella zona veniva migliorata perché da tali località si potevano meglio controllare le provenienze che da KhartumTisalgono la valle del Nilo Azzurro. Anche lungo la frontiera del Kenia le truppe dello scacchiere sud e del settore Giuba svolsero operazioni a preve raggio con obiettivi di carattere locale. La conquista di Moyale inglese veniva iniziata il 10 luglio con una riuscita azione di sorpresa. Contrattacchi tendenti a 1::_istabilire la situazione furono respinti e il 15 il nemico, sotto la forte pressione delle nostre truppe, abbandonava definitivamente la località inseguito da colonne leggere in direzione di Buna. Contemporaneamente, lo stesso giorno 15, più ad oriente nostre forze occupavano le località di Terkali e Tagaba, mentre altre si impadronivano di quelle di Danisa e Cocaia. Con tale operazione veniva eliminato il saliente inglese di Mandera, e realizzato un raccorciamento del fronte verso il Kenià di circa 300 Km.
I PRIMI DUE MESI DI GUERRA (GIUGNO - LUGLIO 1940)
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Sempre in questo scacchiere, l'avversario, il 31 luglio, con azione condotta da reparti del «King's African Rifles» e del 1° reggimento Niger tentò di ricacciare le nostre truppe che avevano raggiunto, da Moyale, la località di Debel. Fu respinto da tre compagnie coloniali e lasciò nelle nostre mani il gagli;udetto del VI battaglione K.A.R .. Ritornò cinque giorni dopo in forze ~ioccupò la località che i nostri sgombrarono senza impegnarsi. Successive puntate offensive portarono i nostri elementi esploranti a Ajau e Batalo ma con scopo semplicemente informativo e di molestia, essendo stato sancito, da recenti direttive (l), che sul fronte del Kenia dovesse tenersi atteggiamento difensivo: direttive ispirate al concetto di non lasciarsi attrarre da obiettivi territoriali di scarso valore, che avrebbero lasciato alle spalle dei nostri zone predesertiche esponendo le linee di comunicazione a facili incursioni nemiche.
(!) F. 331427 in data 27.7.1940 del Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I., documento
n. 57.
I
CAPITOLO VIII
LA CONQUISTA DEL SOMALILAND (3-19 agosto 1940) A partire dal luglio, dunque, le grandi piogge si presentavano come un grave ostacolo a grossi trasferimenti di forze ed allo svolgimento di grandi operazioni verso il Sudan. Queste difficoltà erano meno sentite nei riguardi di operazioni verso il Somaliland, dato il diverso regime pluviometrico della regione e la dislocazione più prossimà delle forze già orientate alla «operazione O.I.». Continuavano, poi, sia a Roma sia ad Addis Abeba, le preoccupazioni nei riguardi del problema ancora irrisolto di Gibuti. Il Governo Generale di Addis Abeba era quindi indotto a dare attenzione alla possibilità di garantirsi ulteriormente sulla direttrice Gibuti-Addis Abeba intraprendendo la occupazione del Somaliland britannico, azione isolata già prevista dai piani in alternativa od in combinazione con quella della Costa dei Somali francese. I vantaggi dell'operazione venivano così sintetizzati, fin dal 14 luglio, dal Comando Superiore delle FF.AA. dell'A.0.1. <1>: -
«impedire ogni possibilità di sbarco di forze inglesi ed eliminare il pericolo di una loro offensiva verso Harar;
-
togliere il contatto diretto fra Inglesi e Francesi di Gibuti e, se del caso, consentire, in secondo tempo, un'azione su Gibuti da sud, oltre che da ovest e da nord;
-
ridurre la fronte da invigilare da 1.150 km. di frontiera terrestre a 720 km. di frontiera marittima, con possibilità di ricupero di notevoli forze per altri impieghi;
-
profonde favorevoli ripercussioni sulla situazione interna».
Del resto, che effettivamente i Comandi britannici considerassero questa direttrice operativa come la più conveniente e fossero (1) F. 33 1030 in data 14.7.1940, documento n. 58.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORlENTALE
orientati ad una sua futura utilizzazione è oggi confermato dalla conoscenza degli intendimenti operativi del Gen. W avell O).
Di fatto, anche dopo la stipulazione dell'armistizio con la Francia, la Gran Bretagna aveva confermato la volontà di difendere ad oltranza il Somaliland inviandovi in rinforzo tre nuovi battaglioni (1 ° battaglione del 2° Reggimento «Punjab»; 3° btg. del 15° rgt. «Punjab»; 2° btg. del rgt. «Black Watch») ed elevando la forza complessiva nel territorio a circa 11.000 uomini. Nel frattempo affluivano nel Teatro rinforzi aerei che permettevano ai Britannici di intensificare le loro attività (45° Squadrone da bombardamento dalla Libia al Sudan; 11 ° Squadrone cacciabombardieri Blenheim dall'India ad Aden anziché all'Egitto; unità varie dell'aviazione Sudafricana al Sudan (1 ° Squadrone cacciabombardieri con aerei Gloster Gladiator e poi Hurricane) ed al Kenia (12° Sqd. bomb. Ju 86; 2° Sqd. cacciabombardieri; 40° Sqd. cooperazione aeroterrestre). La eventualità di future iniziative offensive britanniche da Aden, via Gibuti e Somaliland, apparivano tanto più probabili quanto più, fin dai primi momenti del conflitto, risultavano piuttosto deludenti la portata e la incisività delle nostre operazioni aeree e navali per il controllo delle acque del Mar Rosso e dell'Oceano Indiano. La necessità della operazione era confermata da Addis Abeba ancora il 23 luglio <2). Permanevano, peraltro, dubbi circa l'opportunità di eseguire una operazione che si profilava estremamente onerosa soprattutto sotto il profilo logistico, e di cui non tutti condividevano la necessità. Da Roma, comunque, il Comando Supremo, che vedeva soprattutto nell'azione gli aspetti vanta,ggiosi di ordine politico e propagandistico in vista di una conclusione del conflitto prevista come assai prossima, chiaritasi il 27 luglio la situazione di Gibuti con l'accettazione-delle clausole d'armistizio, stabiliva che le operazioni per i'occupazione del Somaliland avessero inizio la sera del 3 agosto. In particolare, il Diario Storico del Comando Supremo riporta (I) Cfr. I.S.O. Playfair, Op. cit., pagg. 26 e 171-2. (2) F. 331305 del 23.7.1940, documento n. 59.
LA CONQUISTA O:EL SOMALILAND
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in data 28 luglio: «Ho conferito col Duce nei riguardi del Piano presentato dal Viceré per l'azione su Zeila e Berbera e viene stabilito che l'azione abbia luogo - Badoglio». Il Somaliland è una regione arida e desolata, che si affaccia al golfo di Aden (Aden-Berbera, km. 300). Morfologicamente, il settore in cui si svolsero le operazioni è costituito dalle propaggini dell'altopiano Hararino (e dell'Ogaden), che arriva a 20 km. da Berbera (altitudine di Giggica: l. 700 m.; di Hargeisa: 1.300; altitudine massima della càtena: 1.952 m.). Terreno, quindi, di medio piano, talora impervio, sempre rotto da numerosi alvei asciutti, desertico o coperto dalla tipica boscaglia somala spinosa. Nessuna strada propriamente detta percorreva la zona; solo due piste camionabili portavano a Berbera partendo da Hargeisa e da Burao. La pista camionabile lungo la costa, segnata sulla carta I:I milione, poteva praticamente considerarsi come non esistente. Fuori delle piste il terreno non era percorribile dagli autocarri e lo era molto difficilmente dai carri armati M 11. Le distanze in linea d'aria, lungo le direttrici che più interessano sono: Bio Caboba-Zeila, km. 155; Zeila-Berbera, km. 190; confine Hargeisa-Berbera, km. 270; Curati-Oadueina, km. 200; OadueinaAdadleh-Mandera, km. 90. Si sapeva, in linea generale, che gli Inglesi avevano concentrato le loro forze e preparato successive linee di resistenza a cavaliere della pista Giggica-Hargeisa-Berbera. In realtà queste linee di resistenza si appalesarono molto più solide ed estese di quel che non si. sapesse e si pensasse. Soprattutto la prima, quella dell' Argan, approntata a cavallo della camionabile su un fronte di 20 km., organizzata in profondità con capisaldi naturalmente forti e potentemente armati, poggiante i suoi fianchi alle due regioni dell' Asa e del Gaan Libah, praticamente inaggirabili, costituì per i nostri una sorpresa. Insieme a questa inattesa robustezza della difesa un grosso sbaglio della nostra carta (riprodotta da una carta inglese del 1926),
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SCHIZZO N . 13
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
che non riportava l'unica pista camionabile Hargeisa-DarborukLaferug - Berbera e dava, invece, come pista camionabile il sentiero Adadleh-Laferug, provocò gravi errori di riferimento, sia da parte della ricognizione aerea, sia da parte del S.I.M., che si tradussero poi in un più grave errore nella impostazione dell'attacco della linea dell' Argan. Le forze nemiche, secondo i dati che possedeva il nostro Comando, erano rappresentate da circa 11.000 uomini ripartiti in cinque nuclei (schizzo n. 13) corrispondenti ai settori: a) settore costiero di Zeila; b) settore di Dobo; e) settore centrale; d) settore di Hargeisa; e) settore orientale; scarse e poco precise le notizie circa le dislocazioni e le predisposizioni difensive avversarie. I vari nuclei risultavano così costituiti:
Nucleo a). Settore costiero di Zeila: 1a banda Hilalos (irregolari indigeni); elementi di polizia (550 uomini). Nucleo b). Settore di Dobo: 1 comando (Northcol); 1 compagnia del Corpo cammellato; 1 banda Hilalos; 1 compagnia di polizia (900 uomini). Nucleo e). Settore centrale: 1 comando truppe del Somaliland; 1 comando settore (Norwun: comando 1° battaglione reggimento Rodesia del Nord); 3 compagnie del Corpo cammellato;. 3 compagnie Hilalos; 1 battaglione del reggimento della Rodesia del Nord; 1 battaglione del reggimento indiano Punjab di Aden; 1 compagnia cannonieri somala; 1 reparto d'istruzione somalo di artiglieria; 2 compagnie di polizia; fuorusciti etiopici; genio, autotrasporti e servizi (7 .200 uomini). Nucleo d). Settore di Hargeisa: 1 comando (Southcol); 1 banda Hilalos; 3 compagnie del Corpo cammellato; 1 compagnia di polizia (1.600 uomini). Nucleo e). Settore orientale (Erigavo e confine sud-orientale): 1 banda Hilalos; 1 compagnia di polizia (900 uomini). I nuclei a) e b) risultavano notevolmente lontani dal grosso delle forze e non avevano strade per raggiungerlo; notizie recenti facevano ritenere probabile un concentramento dei nuclei e) e d) nella regione
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
più alta (tra passo Karrim e passo Jerato) e meglio difendibile del territorio attraversato dalla nostra direttrice principale di azione verso Berbera. Il nucleo e), per la sua dislocazione e per il suo sparpagliamento, poteva essere trascurato. Dalla relazione del gen. Wavell si rileva che: «Al 1° agosto 1940 lo schieramento delle forze nel Somaliland era il seguente: «Truppe di copertura: a) Zona di Dobo: 1 compagnia del Corpo cammellato somalo, meno una banda. b) Zona di Hargeisa: compagnia motorizzata del Corpo cammellato somalo, meno una banda; una banda del Corpo cammellato somalo; I compagnia del reggimento Nord Rhodesia K. A. R .. c) Burao: 1 compagnia e 1 banda motorizzata del Corpo cammellato somalo. «Una pattuglia di ufficiali con stazione radio era sulla strada costiera fra Zeila e Berbera. Un gran numero di Hilalos operava nelle zone avanzate, generalmente sotto il controllo di ufficiali distrettuali, per raccogliere informazioni sui movimenti nemici. «Posizioni del Tug Argan Cl): a) Reggimento Nord Rhodesia, meno una compagnia; 1 compagnia mitragliatrici; 1 compagnia del Corpo cammellato somalo e la 1 a batteria leggera Est-Africana mantenevano la posizione principale. b) Il fianco sinistro della posizione del Tug Argan era difeso dal 2° King's African Rifles, con quartier generale a Mandera. c) Il 3° battaglione del 15° reggimento del Punjab era concentrato a Laferug. All'arrivo del 2° battaglione del Black Watch, il 7 agosto, il 3° battaglione del 15° reggimento del Punjab si distese sul fianco destro delle posizioni del Tug Argan, per proteggere gli accessi alla costa attraverso le alture tra le posizioni e la stretta di Shell Gap. Il Black Watch divenne forza di riserva a Laferug. (I} Vds. schizzo n. 14.
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LA CONQUISTA DEL SOMAl.,ll.ANO
SCHIZZO N. 14
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SCHIZZO N. 15
CONQUISTA DEL SOMALILAND
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
«Altre posizioni: Il 1° battaglione del 2° reggimento del Punjab occupava lo Sheikh Pass, lo Shell Gap (sulla strada costiera da Zeila), il Bihendì Gap ad est di Berbera e la base di Berbera» (I). Le forze inglesi dell'aviazione dovevano venire da Aden ed avevano, pertanto, autonomia di intervento piuttosto scarsa. Da parte nostra il Corpo di operazione, agli ordini del generale Nasi, fu costituito con 26 battaglioni (23 coloniali e 3 nazionali); 21 batterie di vario calibro (10 nazionali e 11 coloniali), con una forza complessiva di 4.800 nazionali (ufficiali, sottufficiali e truppa) e 30.000 coloniali. Esso era così articolato (Vds. schizzo n. 15): I O - colonna di sinistra (gen. Bertoldi): LXX e XVII brigata coloniale con un complesso di 8 battaglioni di cui 3 nazionali (2 di cc. nn. e 1 mitraglieri dei «Granatieri di Savoia») e 4 batterie. Base di partenza: Agin; obiettivo: Zeila. Colonna costiera (luogoten. gen. Passerone): 1 battaglione cc. nn., I reparto speciale, 1 battaglione coloniale, 1 sezione artiglieria. Base di partenza: Zeila; primo obiettivo: Bulhar. 2° - Colonna del centro (gen. de Simone): divisione speciale Harar costituita dalla XIII, XIV e XV brigata coloniale e da reparti motorizzati con un complesso di 11 battaglioni e 14 batterie. Base di partenza: Giggica; obiettivo finale: Berbera <2>. 3° - Colonna di destra (gen. Bertello): 1 battaglione arabosomalo; 2 gruppi dubat e 1 batteria. Base di partenza: Curati; primo obiettivo: Oadueina. 4° - Riserva del comando scacchiere (col. Lorenzini): II brigata coloniale (su 4 battaglioni e 2 batterie) . . 5° - Aviazione a disposizione: 27 apparecchi da bombardamento; 23 apparecchi da caccia; 7 apparecchi da ricognizione. (I) Dal «The Supplement to the London Gazette» n. 37594. Lo Sheil ed il Bihendì (varchi, strette) non sono indicati sulle .carte in possesso dell'Ufficio; il Bihendì Gap si può, forse, identificare nella sorgente Bihen segnata nello schizzo n. 15. (?) Nel corso delle operazioni passeranno a far parte della divisione speciale Harar: la colonna di destra, a partire dal 7 agosto; la Il brigata, a partire dal 10; la LXX, a partire dal 13.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
L'operazione nel Somaliland si presentava complessa perché: da una parte, l'entità delle forze nemiche e la robustezza di opere fortificatorie semi permanenti (l'organizzazione di queste ultime era stata perfezionata nel 1939) richiedevano l'impiego di forze consistenti; mentre dall'altra la lunghezza della linea di operazione (dal confine a Berbera vi sono 270 km.), svolgentesi in zona torrida e desertica, imponeva di ridurre al minimo il contingente per contrarre le esigenze logistiche. Notizie contraddittorie sulla percorribilità delle piste e sulle risorse idriche· rendevano ancora più oscuro il problema, che veniva affidato, anche per tali difficoltà, prevalentemente a unità coloniali, seppure di buona fama. L'azione fu preparata di lunga mano con afflusso di buona parte delle truppe e di forti quantità di materiale da località lontane oltre mille chilometri per strade rese difficili dalla stagione delle piogge. Essa fu imperniata sul concetto base: Berbera è la chiave del Somaliland; bisogna, trascurando ogni altro obiettivo, conquistarla. Le due piste camionabili portanti a Berbera rispettivamente da Hargeisa e da Burao attraversavano la cintura di alture al varco del Tug (torrente) Argan largo circa 4 miglia e al passo Sheick ove la pista correva attraverso un passaggio stretto e scosceso. Una direttrice che consentisse l'uso di una camionabile era obbligatoria per le nostre necessità logistiche legate agli autocarri. Si cercò di ingannare il nemico fingendo di voler procedere per entrambi gli itinerari mentre poi si scelse il primo. In previsione della difficoltà di sfondare la linea fortificata si studiarono due aggiramenti: uno larghissimo (km. 343) per Zeila lungo la costa, l'altro, a più ristretto raggio, ma con percorso più difficile fra il primo e la strada di Adadleh. L'azione, che si svolse tra il 3 e il 19 agosto, può dividersi in tre fasi.: preliminare, attacco della linea fortificata, sfruttamento del successo.
Prima fase (3-6 agosto). - Nella prima fase, di avvicinamento, i nostri non incontrarono resistenze e, superata qualche azione di arresto svolta da armi anticarro e da mitragliatrici poste a sbarramento della strada per Hargeisa e vinta qualche difficoltà logistica, poterono occupare Zeila-Dobo-Hargeisa-Oadueina, costituendo un
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semicerchio da cui partire contro l'obiettivo finale: Berbera, che ne rappresentava il centro di figura. In questa fase, l'aviazione portò il suo efficace contributo proteggendo la radunata e la marcia delle nostre colonne. Il compito fu assolto con azione indiretta, mercé reiterati bombardamenti delle forze aeree di Aden e con l'interdizione dei campi d'appoggio nel Somaliland. L'aviazione nemica costretta a partire da campi lontani compì azioni saltuarie e mai tempestive; quasi sempre trovò nel cielo d' azione i nostri caccia in protezione diretta che ne frustrarono i tentativi d.i piombare sulle nostre truppe. Il giorno 6, il generale Nasi ordinava: alla divisione speciale del Har_ar di proseguire celermente l'avanzata movendo da Hargeisa con direttrice generale la rotabile, per smontare le posizioni nemiche e aprirsi la strada su Berbera; -
alla colonna di destra, di avanzare da Oadueina con direzione generale Adadleh per concorrere con manovra avvolgente all'attacco della divisione speciale del Harar;
-
alla brigata di riserva di avanzare ad una tappa di distanza dalla divisione speciale del Harar, gravitando a nord della rotabile tenuto conto che il suo speciale impiego sarebbe stato quello di agire per la nostra sinistra su Argan (I) per cadere su Laferug; alla colonna di sinistra (che già aveva raggiunto i suoi obiettivi) di avviare ad Aubarre tre battaglioni (LXX brigata agli ordini del gen. Milller) e un gruppo di artiglieria quale riserva a sua disposizione.
Seconda fase (7-15 agosto) - La battaglia del/'Argan. - Un telegramma del Viceré a Roma in data 9 così riassumeva la situazione nemica: «Gli Inglesi che occupavano inizialmente varie località (Girreh, Dobo, Hargeisa, Oadueina), al primo sentore della nostra avanzata sono rapidamente ripiegati (in genere elementi cammellati) sull'acrocoro centrale dove hanno concentrato tutte le loro forze e tutto fa credere·occupino la linea di alture passante all'incirca per Argan, Adadleh, forse M. Mirgo e sembra che intendano accettare battaglia. (I) Che praticamente sul lerreno doveva intendersi El Anod.
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LE OPERAZIONI IN A FRICA ORIENTALE
«A quale scopo non saprei dire: o per dar tempo di sgomberare su Berbera e di qui ad Aden, oppure per guadagnare tempo in attesa di rinforzi» (I). Le ricognizioni aeree e il S.I.M. avevano intanto fornito qualche informazione più precisa sulle forze e le difese nemiche che sbarravano le piste camionabili Hargeisa-Laferug-Berbera e BuraoSheikh-Berbera. Ma, invero, la consistenza e l'ampiezza delle suddette linee erano state molto sottovalutate (sia dal S.I.M. che dall'aviazione) e soprattutto ne era stata errata la ubicazione, perché ogni dato topografico veniva riferito alla pista camionabile che, come già accennato, era, sulla carta in dotazione, spostata a oriente di oltre 20 km. rispetto alla realtà. Fra l'altro, la località di Argan (che costituì una indicazione capitale per l'impiego della brigata di riserva che doveva aggirare l'estrema destra del nemico) era segnata 20 km. a occidente della pista camionabile, mentre in realtà la pista passava quasi per quel punto. Qualche cosa il gen. de Simone, riuscì a precisare alla vigilia dell'attacco, ma l'errore fondamentale non fu svelato che a Berbera, quando venne trovata una carta esatta nell'archivio inglese <2>. A partire dal 7 agosto, la colonna principale (divisione speciale Harar) marciava da Hargeisa su Darboruk; alla sua sinistra, sulla costa, una colonna formata da un reparto volontari tratti da tutte le forze armate, da un battaglione cc.nn., da un battaglione ascari e da una sezione d'artiglieria (al comando del luogotenente generale Passarone) riceveva, il 9, l'ordine di muovere dalla zona di Zeila in direzione di Bulhar e Berbera; sulla destra, i dubat convergevano da Oadueina sulla colonna principale per proteggerne il fianco destro. Il 10 agosto, la colonna centrale giungeva a contatto del sistema fortificato britannico (schizzo n. 16). Il nemico risultava organizzato a difesa tra Adadleh ed Argan sulle pendici di riva destra del Tug Argan, che limitava a nord la piana di Darboruk. Il paese di Darboruk, costituito da poche misere capanne, giaceva a cavallo della pista a nord del passo di Godayere. A settentrione del Tug Argan, il terreno saliva rapidamente, con buon dominio su tutta la pianura di Darboruk e consentiva un'ottima posizione difensiva. (I) F. 331756 del 9.8.1940, documento n. 60. (2) Lo schizzo n. 16 è stato basato su una copia della suddetta carta.
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LA CONQUISTA DEL SOMALILAND
SCHIZZO N. 16
LA CONQUISTA DEL SOMALILAND (4-19 AGOSTO 1940) LE OPERAZIONI DALL'll AL 19 AGOSTO
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LE OPERAZ IONI IN AFRICA ORIENTALE
Chi, risalite le alture del passo Godayere, si affacciava sulla piana, fronte a nord-est, notava: -
a destra: il blocco roccioso e tondeggiante del monte Dameir che si alzava a 5-600 metri;
-
al centro: la sella sul cui fondo correva la pista Hargeisa-Berbera che aveva, a destra, un'altura conica rocciosa alta 2-300 metri denominata «Sandalo!» (fortino n. 1). Altre due alture, coniche anch'esse (fortino n. 2, «Bipartito» o «Castello») e allineate colla prima, si stagliavano in direzione approssimativa sud-ovest nordest all'orizzonte, indicando, a un dipresso, l'andamento della pista. Questa infatti, attraversato con un guado il torrente Argan, ne risaliva la riva destra, passando ad occidente del Sandalo!, volgeva poi lievemente ad oriente sfiorando le estreme pendici occidentali del Dameir, e proseguiva infine con direzione generale sudovest nord-est, passando ad oriente delle accennate alture coniche;
-
a sinistra: un gradino roccioso, quasi senza soluzione di continuità, formava la sponda destra del Tug Argan ad occidente della pista precipitando pressoché verticalmente sul torrente.
Tutta la fascia di terreno compresa fra la linea del passo Godayere e il Tug Argan era solcata da numerosi impluvi che avevano andamento quasi perpendicolare al torrente. La copertura era rappresentata da una rada vegetazione di acace ombrellifere nane limitata ai margini degli impluvi e agli avvallamenti compresi fra le varie alture rocciose che erano brulle, come la piana di Darboruk, sulla riva sinistra del Tug Argan. Le stesse caratteristiche, a un dipresso, presentava il terreno di riva destra del torrente pur sémbrando un poco più coperto. Il giorno 10 era essenzialmente impiegato per l'organizzazione dell'attacco della posizione di Darboruk-Dameir che doveva aver luogo l'indomani 11. Per l'attacco erano in prima schiera la XIV brigata (gen. Tosti) che aveva raggiunto il crinale a occidente di passo Godayere (a sinistra) e la XV brigata (col. Graziosi) schierata a sud del Tug Argan (a destra). Era in seconda schiera: la XIII brigata (gen. Nam).
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La colonna dei mezzi motorizzati seguiva a distanza, meno le artiglierie che dovevano schierarsi per sostenere l'attacco. La XIV brigata aveva il compito di aggirare le posizioni nemiche organizzate sui due rilievi rocciosi prossimi alla pista DarborukLaferug (i quali secondo le notizie giunte dal servizio informazioni e dalle fotografie aeree pareva fossero le sole che sbarravano la strada su Laferug) e puntare sul bivio per Mandera con direzione di attacco le pendici occidentali delle alture coniche vicine alla pista e con obiettivo il rovescio del fortino n. 2. La XV brigata doveva, a sua volta, aggir~re da destra il M. Dameir, che sebbene non segnato nelle carte in distribuzione, costituiva visibile forte spalla dello sbarramento di Darboruk, e cadere anch'essa su Mandera. Contemporaneamente: -
sulla costa, la colonna di sinistra doveva iniziare l'aggiramento a largo raggio partendo da Zeila;
-
la II brigata, già di riserva, passata alle dirette dipendenze del comando divisione speciale Harar, puntando per El Anod, doveva·, senza lasciarsi attrarre dalla battaglia di Darboruk, effettuare un aggiramento a breve raggio a sinistra e raggiungere con largo giro Laferug, per cadere alle spalle delle difese avanzate del nemico;
-
la colonna di destra doveva dirigersi su Adadleh e quindi su Sik puntando al Passo Jerato e Mandera.
Fra le ore 7 ,35 e le 8 del giorno 11, in tre successive ondate, nostri apparecchi S. 81 effettuavano il bombardamento delle posizioni nemiche nella zona Mandera- Laferug e fra il M. Dameir e il fortino «Bipartito». Alle 8, aveva inizio il tiro di preparazione di artiglieria. La XIV brigata, che era giunta, il 10, sul Godayere dopo una tormentosa marcia effettuata in condizioni assai difficili, aveva i propri effettivi e parte della base mobile non ancora al completo pel disguido di alcuni reparti e dello scaglione salmerie, causato dal cattivo funzionamento dei mezzi di collegamento. Il suo movimento aveva nondimeno subito inizio. Nel corso della preparazione raggiungeva la base di partenza per l'attacco a ridosso delle basse ondulazioni di riva sinistra del Tug Argan (destra della pista di Berbera) ove sostava secondo gli ordini ricevuti. Verso le 12,30, i primi elementi della XV brigata erano
S. Le Operazioni in Africa Orienta.le: . Voi. I
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
sul Darneir; veniva allora prescritto alla XIV brigata di iniziare anch'essa l'attacco e alla II di muovere verso Laferug spostandosi molto a sinistra. Non appena le teste dei battaglioni della XIV brigata giungevano nei pressi del paese di Darboruk si rivelava intensa la reazione dell' avversario, specialmente di artiglieria; un primo obiettivo, situato all'altezza e ad ovest del fortino «Sandalo!» (n. 1) veniva raggiunto ma i reparti, duramente provati, erano costretti ad arrestarsi davanti ad estese linee di reticolati. L'organizzazione difensiva britannica si manifestava, nel corso della giornata, assai consistente, ampia e profonda, e la XIV brigata, che aveva urtato contro il forte del disposi,;., tivo, era costretta, nella notte, a ripiegare sulla posizione di partenza. La II, più a sinistra, incontrava anch'essa forti resistenze. Nelle prime ore del giorno 12, attacchi effettuati d'iniziativa da reparti avanzati della XIV brigata, spostatisi nel corso dell'azione sulla sinistra della pista di Berbera, non conseguivano risultati positivi; la ricerca dell'estrema destra avversaria da parte della II brigata rivelava anche verso occidente l'esistenza di una sistemazione difensiva sempre più estesa, robusta e profonda, mentre sul M. Dameir, la XV non riusciva ad eliminare del tutto le residue resistenze britanniche. La colonna di destra del Corpo d'operazione, pur dando protezione al fianco e~posto della divisione speciale, non poteva far sentire la sua azione né verso la XV brigata, né verso passo Jerato; non diversamente avveniva per la colonna costiera che, a causa dell'insabbiamento degli automezzi, poteva soltanto raggiungere il T. Bareris a nord-ovest di Bulhar. Nella notte sul 13, la XIV brigata si raccoglieva tutta sulla sinistra della pista di Berbera. Poco prima delle 6, mentre i reparti si accingevano a riprendere l'avanzata, un violento fuoco d'artiglieria e di mitraglfatrici .si abbatteva sulla zoria da essi occupata causando disordine e turbamento. Intervenivano nostre artiglierie e mortai, e ardite pattuglie avanzavano nuovamente in esplorazione; ma la brigata, dopo tre giorni di aspri combattimenti, non era più in grado di persistere nell'attacco. Veniva quindi disposto che l'indomani essa fosse sostituita dalla XIII.
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Il 13 la XV brigata conseguiva qualche progresso; a tarda sera respingeva un contrattacco effettuato dall'avversario da nord e da ovest con reparti autocarrati armati di lanciabombe, ma isolata com' era, in località Mirgo (la colonna di destra non riusciva a prender contatto con essa nel cuore dell'organizzazione avversaria) si trovava in situazione non facile. Anche la II brigata realizzava scarsi progressi nella giornata del 13, caratterizzata dall'accentuarsi della crisi nei collegamenti. Il 14, venivano effettuati colpi di mano sui fortini n. 1 e n. 2 («Sandalo!» e «Bipartito») con l'appoggio dell'aviazione. Verso le ore 14,30 due ondate di tre apparecchi Ca 133 bombardavano il fortino n. 2 con visibile precisione, ma l'attacco che seguiva era arrestato dall'intenso fuoco avversario e da minacce sul fianco destro; anche l'azione contro il fortino n. 1 falliva. Si realizzava però uno spostamento in avanti della parte centrale dello schieramento, mercé la conquista di due fortini ad occidente del «Sandalo!» e del «Castello». La relazione del gen. Wavell così tratteggia la situazione alle primè ore del 15 agosto: «L'Observation Hill, che era vitale per là difesa dell'intera posizione, era dominata dall'artiglieria a breve distanza, dal Round Hill. Molte delle difese erano state distrutte; la guarnigione, che aveva validamente resistito per 4 giorni, era stanca. Tentativi di sloggiare il nemico dal Mirgo Pass e dal terreno a sud di Castle Hill erano falli ti. C' era anche la minaccia della colonna nemica avanzante da Zeila lungo la strada costiera, sebbene la sua avanzata, sotto il bombardamento di navi da mare e della R.A.F. dal cielo, non procedesse con grande decisione <1). «Gli attacchi aerei nemici sulle truppe e sui trasporti allo scoperto erano stati continui: non erano stati molto pericolosi, ma avevano dato considerevole disturbo. «In tali condizioni, il gen. Godwin Austen venne alla conclusione che la ritirata su Berbera e l'evacuazione costituissero il solo mezzo per salvare le forze inglesi da una pericolosa disfatta e da un possibile annientamento; in conseguenza telegrafò al G.Q.G. del Medio Oriente, rappresentando le due alternative: immediata evacuazione (1) In realtà la marcia fu ostacolata e poi arrestata dalla difficile percorribilità dell'itinerario e da un insufficiente rifornimento idrico.
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LE "OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
o continuazione della resistenza con probabile perdita di una grandissima parte delle forze militari. «Il tenente generale Sir H. M. Wilson, che reggeva temporaneamente il comando del Medio Oriente durante la mia permanenza in Gran Bretagna, decise per l'evacuazione. Non ho alcun dubbio che sia le proposte del generale Godwin Austen sia le decisioni del generale Wilson siano state giuste». Fermo nel convincimento che fosse necessario sbloccare la pista camionabile, il comandante la divisione speciale, in seguito all' arrivo di una batteria da 105/28 e in attesa che giungesse in posto anche quella da 149/13 e la LXX brigata, su due battaglioni, preannunciati dal comando scacchiere, decideva di tentare, nel pomeriggio del giorno 15, un attacco contro il solo fortino n. 1, che occupato avrebbe costituito buona base di partenza per la successiva azione contro il fortino n. 2. Nel frattempo giungevano al comando di divisione direttive del comando di scacchiere, compilate in base ad ordine del Comando Superiore, che prescrivevano, nel caso l'attacco del fortino n. 1 non riuscisse, di troncare ogni azione offensiva e riordinare le brigate in vista di eventuali nuove operazioni basate su altro indirizzo. Alle ore 15, aveva inizio, come stabilito, il tiro di preparazione di artiglieria, intenso e preciso; alle 16, l'artiglieria divisionale allungava il tiro sul fortino n. 2 e le fanterie muovevano accompagnate dal fuoco del XIII gruppo da 65 I 17 diretto sulla parte media del f ortino e spostato sempre più in alto a mano a mano che le fanterie serravano sotto. Verso le ore 16,30, le prime pattuglie varcavano la profonda zerìba di spine e l'insidioso reticolato~dirigendosi celermente su per le pendici rocciose del «Sandalol»; altre seguivano e si irradiavano dappertutto. Alle ore 17, una bandiera bianca sventolava sul fortino. Grµppi di ascari sempre più numerosi oltrepassavano i reticolati mentre le prime pattuglie erano già a metà della salita. Il gruppo da 65/ 17 batteva, ormai, la cima. Nell'oscurità che sopravveniva aveva inizio il rastrellamento delle numerose caverne; soltant.o nuclei isolati resistevano ancora qua e là. Alle ore 19, il fortino era in nostro saldo possesso.
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Contemporaneamente la II brigata occupava le posizioni che controllavano l'estremo limite settentrionale della linea nemica e il passo 'che sbarrava la piana di El Anod, presso il quale si raccoglieva nella notte. La caduta del fortino n. 1 denominato dagli Inglesi «Gibilterra» costitµiva un episodio determinante nei riguardi dell'ulteriore corso delle operazioni. Il «Sandalo!», come del resto tutti gli altri fortini del complesso sistema difensivo nemico, si presentava accuratamente e sapientemente organizzato: aveva numerose caverne naturali ed artificiali (circa 20) con volte in cemento e feritoie ampie e ben mascherate; numerose erano le armi a tiro teso e a tiro curvo che, da postazioni accuratamente scelte, battevano intensamente e per notevole profondità tutto il terreno circostante; era dotato di munizioni e viveri in abbondanza; una rete di collegamenti multipli a filo e senza filo assicurava la tempestiva trasmissione degli ordini e la più accurata condotta del fuoco; tabelle affisse ad ogni feritoia, che riportavano distanze e punti di riferimento, permettevano immediatezza e precisione di tiro. L'acqua, in ogni elemento della difesa, era assicurata da un impianto idrico che, con tubazioni interrate, sollevava l'acqua del Tug Argan, ne riempiva un serbatoio in cemento sul ridosso della collina del «Sandalo!» e la distribuiva, con varie diramazioni, ai fortini. Piste di arroccamento a tergo assicuravano i rapidi spostamenti ed i rifornimenti. L'organizzazione era completata dalle difese passive costituite da fasce di ramaglia spinosa che mascheravano vari ordini di reticolati. Grovigli di filo spinato coprivano tutta la collina. L'artiglieria aveva postazioni multiple, collegate da tronchi di decauville per il tempestivo e rapido spostamento dei pezzi. Sul «Sandalol», in vetta, tra blocchi rocciosi collegati da strutture in cemento armato, era l'osservatorio dal quale lo sguardo spaziava per 360 gradi fino alle colline di Godayere. Terza fase (16-19 agosto). - Il mattino del 16, il Capo di S.M. del Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I. e il comandante dello scacchiere esaminavano in posto la situazione. Potendosi considerare
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
la crisi felicemente risolta veniva decisa la ripresa dell'azione. Subito dopo tale decisione si aveva notizia dell'avvenuta occupazione del fortino «Bipartito» da parte della XV brigata; più tardi il nemico si ritirava da El Anod e la II brigata procedeva su Dalaad. A sera la situazione era la seguente: -
II brigata: raccolta davanti a Dalaad, si preparava a puntare per Gorka Malgoi e Siyane su Berbera;
-
XIII brigata: nella zona del fortino «Bipartito» pronta a riprendere nella notte la marcia su Dalaad;
-
XV brigata: in marcia su Mandera ad est della camionabile e sull'alto;
-
XIV brigata: si stava raccogliendo nella zona di Darboruk per riordinarsi;
-
LXX brigata: in marcia per raggiungere la zona del Tug antistante al fortino «Bipartito» (a 5-6 km. a nord del predetto fortino);
-
colonna di destra: nella zona di Sik, si accingeva a prendere contatto con le forze nemiche di passo Jerato per occupare se possibile il passo, indi proseguire su Mandera;
-
colonna costiera: aveva subìto qualch_e bombardamento dal cielo e dal mare; <liretta a Bulhar non incontrava resistenza, ma era in condizioni tali da sconsigliare il proseguimento della marcia per lo stato della pista e per la mancanza di risorse idriche.
Allo scopo di riprendere il contatto col nemico ripiegato rapidamente dalla zona dei fortini e per non dargli il tempo di sistemarsi a difesa su posizioni retrostanti , il comandante la divisione speciale decideva di costituire, con la LXX brigata, reparti mitraglieri, autoblindo, carri veloci e artiglierié varie, una colonna mista ai suoi diretti ordini, su due scaglioni e in parte autocarrata, per spingersi con essa in direzione di Laferug. Verso le ore 11 del 17, il 1° scaglione affacciatosi coi suoi elementi esploranti (gruppo bande P Al) sulle pendici sud della conca di Laferug veniva arrestato da intenso fuoco di mitragliatrici, cannoni anticarro, bombarde e artiglieria. La successiva azione di due battaglioni coloniali della stessa colonna di formazione, che dovevano risalire le alture ad ovest di Laferug
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per raggiungere le pendici nord-occidentali della conca e cadere cosi alle spalle della difesa, realizzava solo qualche progresso, mentre si intensificava la reazione dell'avversario che sul Barkasan contrastava il movimento della XV brigata. La XIII brigata alle 16 era a Dalaad e cioè notevolmente indietro, rpentre la colonna di destra, trovato passo Jerato sgombro, poteva facilmente iniziare la discesa su Mandera ove giungeva alle ore 19. In questa situazione, nel tardo pomeriggio inaspettatamente si affacciava sulle alture a nord di Laferug la II brigata che era stata costretta a rinunciare all'itinerario assegnatole per le difficoltà che le si prospettavano, specie nei riguardi del rifornimento idrico. L'avversario, vedendo minacciata seriamente la propria via di ritirata, approfittava dell'oscurità e ripiegava sotto la protezione di energiche azioni di retroguardia che sfruttavano le forti e impervie posizioni del M. Barkasan. L'alta e ampia mole del Barkasan con pendici cadenti quasi a precipizio sulla piana a settentrione consentiva infatti a poche forze di ostacolare i progressi dei nostri specie di notte e permetteva di occultare il ripiegamento su Berbera lungo la pista di Sheikh. Il nemico si sottraeva così all'accerchiamento. I reparti indigeni inglesi reclutati sul posto si scioglievano e i componenti rientravano nei rispettivi paesi. Le forze italiane che il 3 sera avevano varcato il confine, il 19 sera erano a Berbera. Le truppe inglesi, a quell'ora, sotto la protezione delle loro navi da guerra, si erano già imbarcate abbandonando tutti i materiali e le armi pesanti. Le perdite subìte dai nostri ammontarono in totale a 2.029 u. (nazionali morti, feriti e dispersi 161; indigeni 1.868) così ripartite nei tre tempi dell'operazione: primo tempo 59; secondo tempo 1.445; terzo tempo 525 (1). A queste si devono aggiungere le perdite subite dall'aviazione (che ebbe 4 apparecchi abbattuti) in 13 morti, 3 feriti e 7 dispersi. Le perdite del nemico non possono essere precisate che nel numero dei prigionieri da noi catturati: inglesi bianchi 26 (di cui 11 (1) Ufficiali: morti 16, feriti 46,; sottufficiali: morti 6, feriti 11, dispersi I; truppa nazionale: morti 17, feriti 64; truppa coloniale: morti 426, feriti 1.409, dispersi 33.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
ufficiali); di colore 38. Il gen. Wavell nella sua relazione segnala le seguenti perdite britanniche: 8 ufficiali inglesi uccisi, 4 feriti, 4 dispersi; 8 graduati britannici uccisi, I 8 feriti, 17 dispersi, 22 indiani o africani uccisi, 80 feriti, 99 dispersi e annota: «che queste perdite fossero relativamente leggere fu dovuto al fatto che la maggior parte delle truppe attaccate era in solide difese e che il ripiegamento abilmente compiuto col favore della oscurità non fu ostacolato o incalzato dal nemico, presumibilmente in conseguenza delle forti perdite da esso subìte durante il giorno». Rimasero in mano nostra: 5 cannoni, 5 lanciabombe, 30 mitragliatrici pesanti, 71 mitragliatrici varie, 5396 fucili, qualche milione di cartucce, 3 carri armati, 128 automezzi efficienti o riparabili, derrate varie per 75 mila quintali circa, materiale del genio per 50 mila quintali circa. I nostri segnalarono 9 apparecchi britannici abbattuti e 5 distrutti al suolo; il gen. Wavell precisò le perdite in 7 aeroplani abbattuti, IO gravemente danneggiati e un certo numero leggermente danneggiati. L'operazione aveva conseguito gli obiettivi prefissi; di particolare rilievo erano quelli di ordine politico. In un momento di particolare delicatezza dopo la crisi francese ma di relativa stasi operativa, l'Impero Britannico risultava scosso dalla nuova sconfitta che era commentata amaramente dal Primo Ministro Winston Churchill nelle sue dichiarazioni al Parlamento di Londra. Molto favorevoli erano le ripercussioni nell'interno dell'Etiopia, nella quale le forze ribelli tenderanno ad assumere un atteggiamento di attesa ed a contrarre le loro attività, che saranno riprese solo nel 1941 in una situazione completamente mutata. Tuttavia le forti perdite sostenute testimoniavano: manchevolezze nella preparazione delle nostre unità e nella condotta delle azioni Òffensive: inefficienze informative e della esplorazione aerea e terrestre; deficiente organizzazione della sicurezza e della presa di contatto in alcune unità; scollamenti fra Comandi ed Unità e fra queste ultime; difficoltà nella realizzazione di un efficace supporto di fuoco aereo e terrestre all'ar~a base. Si trattava di inconvenienti che potevano farsi risalire essenzialmente alla scarsa disponibilità ed efficienza
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dei mezzi di collegamento, che inducevano a formazioni serrate, e ad una insufficiente attività ricognitiva. Esse, poi, non permettevano una azione efficace di coordinamento e controllo a tutti i livelli, cui Comandi ed Unità finivano per non essere affatto abituati. L'operazione poi era risultata molto più onerosa del previsto dal punto di vista logistico portando ad un grave logorio degli oltre 1300 autocarri impiegati, parte dei quali risulterà impegnata anche successivamente per le esigenze di controllo del nuovo territorio e per le necessità delle forze che vi rimarranno dislocate. Sottolineando le difficoltà operative e logistiche connesse con grosse operazioni offensive portate in profondità nel particolare ambiente, le esperienze della conquista del·Somaliland tenderanno poi, insieme ad altri fattori, a dissuadere il Governo di Addis Abeba da ulteriori sforzi offensivi, la cui effettuazione era in corso di esame in vista della ripresa delle attività operative che sarebbe stata possibile con l'esaurirsi della stagione delle piogge, verso la fine di settembre. Come si è già accennato, Roma aveva visto nella esecuzione della offensiva essenzialmente obiettivi di propaganda sia interna sia nei riguardi dell'alleato; essa avrebbe dovuto testimoniare la nostra capacità di condurre operazioni di «guerra lampo», similari a quelJ~ germaniche. Si era rimasti turbati perciò, per le difficoltà di progressione fra il 12 ed il 14 agosto come risulta chiaramente da un messaggio O), in cui Badoglio, su istruzioni di Mussolini, diceva fra l'altro: «fate affluire Somaliland tutte riserve disponibili per rinvigorire azione» e «se ritenete opportuno inviate Trezzani per esaminare sul posto situazione»; ciò, oltre a chiedere un flusso maggiore di informazioni. Il successivo forzamento delle posizioni britanniche rendeva superato questo messaggio e provocava l'invio di uno successivo <2> con il compiacimento del Capo del Governo per il successo, accompagnato peraltro da un altro invito a superare rapidamente ogni ulteriore resistenza perché «successo .... riempirà di gioia tutta l'Italia et susciterà ammirazione degli Alleati». (I) Tele 1884/0p. del 14.8.1940, documento n. 61 . (2) Tele 1941/0p. del 17.8.1940, documento n. 62 .
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Il Viceré tendeva, quindi, a soddisfare la sete di informazioni di Roma con una relazione riassuntiva delle operazioni del 19 agosto (I) seguita da un altro messaggio del 23 <2>. Peraltro si trattava di comunicazioni che tendevano a sorvolare sui ritardi con cui era stata realizzata la rottura e proseguita l'azione in profondità, che a Roma erano state attribuite ad una condotta troppo prudente dei maggiori Comandanti della operazione. Questa impressione veniva piuttosto confermata da una comunicazione personale del gen. Trezzani al mar. Badoglio in data 25 agosto <3>, che non era molto favorevole né per il gen. De Si°mone, comandante la colonna centrale, né - in fine dei conti - per il gen. Nasi, comandante dell'intera operazione. In verità, successivi accertamenti di come fossero andate le cose, mentre confermavano certe deficieJ?.ze, connesse con la struttura medesima delle nostre forze e con la scarsa idoneità degli uomini e dei mezzi a operazioni coordinate interarmi, dovevano correggere questi giudizi sui maggiori responsabili della condotta dell'azione. In particolare: il gen. De Simone riceverà successivamente incarichi più elevati venendo designato al comando del settore Giuba; il gen. Nasi continuerà a godere della più ampia fiducia del Viceré. Nella sua relazione, il gen. Nasi fece sul ciclo operativo del Somaliland. alcune considerazioni <4): le «informazioni avevano sottovalutato le difese localizzandole a cavallo della camionabile o poco più mentre avevano una estensione (da El Anod a Adadleh) di una ventina di chilometri. «Si ritenne così di poterle facilmente aggirare e di poter impostare l'attacco più sulla manovra che sul fuoco . E vicever~a la manovra a raggio stretto fu durissima e quella a largo raggio impossibile per le difficoltà del terreno e l'autonomia (someggiata) insufficient_e delle nostre brigate. Perciò, pur avendo impostato l'attacco sull'aggiramento delle difese nemiche, l'attacco fu frontale o presso a poco. (I) F. 332013/0p. del 19.8.1940, documento n. 63. (2) F. s.n. del 23.8.1940, documento n. 64. (3) F. 1222 del 25.8.1940, documento n. 65. (4) Vds. stralcio della relazione, documento 11. 66.
LA CONQUISTA DEI. SOMALILANL>
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«L'unico aggiramento a largo raggio riuscito (anche se non giunse a fondo) fu quello della colonna costiera (1). La colonna, di destra non trovò grande impiego tattico (anche perché essendo cammellata aveva scarsa mobilità in quel terreno montuoso) ma fissando il nemico ~ul fronte di Sheikh ne impedì la manovra coprendo e alleggerendo l'ala destra della colonna centrale. Facendo astrazione dei 6 giorni di combattimento, le brigate impiegate nell'azione superarono ii:i 10 giorni i 270 km. lungo i quali si snoda la camionabile dal confine a Berbera, con una media che tenuto conto delle deviazioni dovute al fatto che le unità marciavano in formazione, di notte, fuori strada, e attraverso boscaglie, può calcolarsi superiore ai 30 km. al giorno. «Vettovagliare 35.000 uomini portando spesso l'acqua anche per i quadrupedi a 100-200 km. di distanza dalle rispettive basi, rifornirli di munizioni e di quanto altro necessario, autotrasportare riserve che dovevano affluire d'urgenza, sgombrare feriti in una regione deserta talora senza strade propriamente dette, con poche piste camionabili, spesso impantanate o insabbiate, marciando in genere di notte per sfuggire ai bombardamenti aerei nemici, ha rappresentato uno sforzo logistico più che notevole».
(I) 1115 agosto il Primo Ministro britannico e,bbea dire in Parlamento: «Gli Italiani puntano su Berbera anche da occidente lungo la costa con unità motorizzate. La situazione del Somaliland si presenta molto grave».
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CAPITOLO IX
LA DECISIONE DI ATTENERSI AD UNA STRATEGIA DI ATTESA ANCHE DOPO LA FINE DELLE GRANDI PIOGGE (LUGLIO-OTTOBRE 1940). Nel luglio e nell'agosto 1940, mentre si verificava il periodo delle grandi piogge e venivano effettuate le operazioni di frontiera e quelle del SomaliJand, si andavano anche dibattendo, fra Roma ed Addis Abeba, le prospettive operative da affrontare al termine di tale periodo, cioè quando avrebbe potuto riprendersi l'attività in grande stile, da parte nostra o dei Britannici. Nell'interno dell'Impero la situazione politica era del tutto soddisfacente <1> e le informazioni disponibili sull'avversario, pur testimoniando un certo rafforzamento del suo dispositivo nel Sudan e nel Kenia, assicuravano ancora l'esistenza di un nostro vantaggio, che sarebbe certamente diminuito nel prosieguo. A Roma vi era sempre la convinzione di un imminente e risolutivo attacco tedesco all' Inghilterra sulla Manica, cui corrispondeva il desiderio di qualche iniziativa nei Teatri di nostro interesse. Era anche il momento in cui venivano meditate offensive contro la Iugoslavia o la Grecia ed esercitate pressioni sul Maresciallo Graziani per la effettuazione di operazioni offensive sul fronte cirenaico verso l'Egitto. Così, per quanto si riferisce all' AOI, il 1° agosto, nell'imminenza cioè dell'azione su Berbera, il Maresciallo Badoglio fermava la sua attenzione sulla frontiera del Sudan, ove riteneva non fosse da escludersi il tentativo di operazioni offensive da parte dei Britannici per toglierci quanto era stato da noi occupato, e invitava il Comando Superiore FF.AA . dell'A.0.I. a studiare e riferire sulla possibilità di ( I) Tele 789727 della Dir. Gen. Affari Politici in data 3.8.1940, documento n. 67.
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estendere la nostra occupazione a tutta la striscia di confine che si affaccia alla zona predesertica (l). «Qualora sviluppando le operazioni che hanno portato all'occupazione di Cassala, Gallabat, Kurmuk e Ghezan, si potesse occupare tutta la striscia confinaria che si affaccia alla zona semidesertica, potremmo costituire un cuscinetto fra noi e l'occupazione inglese sulla linea Atbara, Khartum, Sennar, che offrirebbe una certa garanzia di sicurezza ai nostri territori dell'ovest dell'Impero». Queste direttive si incrociarono con una lettera del 2 del Viceré nella quale era detto <2) «Mentre è in corso questa azione [del Somaliland] penso al Goggiam e al Sudan e mi sorriderebbe molto una azione nel triangolo Ghedaref, Singa, Roseires; mi riservo di prospettarvi vantaggi e svantaggi di questa operazione». E in data 8, mentre precisava il suo pensiero, chiedeva risposta, sia pure approssimativa, alle seguenti domande <3): «Quali sono le previsioni sulla durata della guerra? «Posso contare su grossi rifornimenti di gomme? «Perché se la guerra dovesse durare molto, è chiaro che bisogna rinunciare ad ogni sforzo non indispensabile per conservare le forze il più a lungo possibile». 1113, il Maresciallo Badoglio tornava sull'argomento e, con riferimento alla prevista offensiva del Maresciallo Graziani in Egitto, scriveva (4): «Salvo i conti che, come giustamente dite, dovrete fare dopo le operazioni in corso per riguardo alla situazione logistica io penso che la vostra futura linea di condotta potrebbe essere la seguente: I O mettersi sulla difesa a sud per essere in grado di fronteggiare un eventuale attacco proveniente dal Kenia; ' 2° migliorare la situazione all'ovest ponendo fra noi e gli Inglesi il cuscinetto rappresentato dalla zona predesertica, col quale ostacolare un intensificarsi della propaganda e la conseguente ripresa della ribellione; (I) Tele 1622 dell'l.8.1940, documento n. 68. (2) Foglio s.n. del 2.8.1940, documento n. 69. (3) F. 331742 dc11'8.8.1940, documento n. 70. (4) F. 1882 del 13.8.1940, documento n. 71.
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3 ° avviare gli studi e pensare a concentrare i mezzi e gli sforzi per una offensiva verso il Sudan. Tale offensiva dovrebbe svilupparsi in concomitanza con quella che il Maresciallo Graziani sferrerà alla fine di settembre-primi di ottobre, tendendo al canale di Suez. P rego farmi conoscere il vostro pensiero e le vostre possibilità». Seguiva uno scambio di telegrammi in data 22 nei seguenti termini: «Condizione assolutamente indispensabile per fare quanto proponete è l'invio entro il 15 settembre di 100 aeroplani, 10.000 gomme e 10.000 tonnellate di carburante. Amedeo di Savoia» <1>. «Se mi fosse possibile vi manderei il doppio di quanto richiedete. Sto tentando tutte le vie ma finora senza successo. Perciò state fermo finché non possa rimpolparvi. Badoglio» <2>. Il 26 dello stesso mese, in risposta ai quesiti del Viceré circa le previsioni sulla durata della guerra e le possibilità di rifornimenti di gomme, il Maresciallo Badoglio scriveva: <3> «Determinare a priori la durata della guerra è cosa praticamente impossibile. Vi posso dire che i Tedeschi ritengono di poter condurre felicemente a compimento lo sbarco in Inghilterra e quindi concludere la guerra entro il mese di ottobre prossimo venturo. Con ciò non si nascondono le difficoltà dell'impresa, che dopo aver accuratamente studiata e preparata, perfezionano continuamente in tutti i particolari. .. Credo che si possa concludere così: speriamo che la guerra termini realmente entro ottobre, ma prepariamoci all'idea che duri più a lungo. I rifornimenti di gomme dal Giappone pare finalmente si stiano bene avviando. Quelle autorità militari - secondo una comunicazione giunta il 24 corrente - hanno infatti deciso di effettuare la nota spedizione per l' A.O.I.. .. Il piroscafo partirebbe a metà settembre. Speriamo che non intervengano nuove difficoltà e che tutto proceda regolarmente. (I) Tele 60049 del 22.8.1940, documento n. 72. (2) Tele 2052 Op. del 22.8.1940, documen10 n. 73. (3) F. 2!05 Op. del 26.8.1940. documento n. 74.
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Comunque qui non ci si basa e ci si fida di questa sola via, ogni altra viene studiata e tentata... Per l'aviazione vi ho già dato notizie con mio telegramma 2045 in data 22 corrente. Anche questo è un problema difficile che si sta risollevando. Si studiano, tra l'altro, speciali accorgimenti per poter inviare in volo gli aerei da caccia CR 42. In quanto a condotta di operazioni siamo, mi pare, perfettamente d'accordo. Con la mia 1882 vi avevo esposto un piano organico, che aveva lo scopo principale di orientarci sulle idee di non disperdere sforzi. È naturale che l'attuazione di qualsiasi piano sia subordinata alle possibilità. Il vostro telegramma 60049 data 22 corrente ed il mio 2052 stessa data hanno messo il punto su questa questione. Sempre in tema di idee io vi pongo una domanda: assicurato il triangolo Cassala-Ghedaref- Roseires per le note ragioni di sicurezza al fianco, è più conveniente - potendolo - puntare su Khartum o su Porto Sudan? Tenete presente che i nostri ultimi obiettivi sono il canale di Suez e le comunicazioni del Mar Rosso. Ma poiché voci continue di rinforzi al Kenia giungono da fonti diverse, bisogna ora mettere la fronte sud in condizioni di poter resistere ad una forte pressione. Come giustamente voi avete affermato in un vostro telegramma, prima essere sicuri delle porte di casa e poi pensare ad uscire fuori». Nel corso del mese di agosto, dunque, ci si andava orientando solo ad operazioni minori verso l'Alto Sudan, intese a migliorare la nostra posizione difensiva; ulteriori operazioni offensive erano solo «allo studio» e connesse con favorevoli sviluppi della situazione in Africa Settentrionale, come appare chiaramente anche da una comunicazione del Comando Supremo al Ministero Africa Italiana in data 30 agosto 1940, che fa il punto sulla situazione quale vista da Roma e riassume le «direttive per le operazioni in A .O.I.» date dal Capo di S.M. Generale <1>. (1) F . 2201 in data 30.8.1940, documento n. 75.
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Ma che grosse operazioni offensive verso il Sudan non potessero essere assolutamente affrontate veniva fatto chiaramente intendere dalla risposta data dal Viceré ai quesiti del Capo di S.M. Generale <1). In essa - approvata nelle sue conclusioni dal Maresciallo Badoglio <2) - veniva riconosciuta _la necessità di assumere un atteggiamento di attesa, dicendo: «Ho letto attentamente il vostro 2105 op. del 26 u. s. e rispondo: 1° Prevedevo che anche a voi sarebbe riuscito impossibile vaticinare con certezza il termine della guerra e comprendo che quanto mi comunicate in materia è il massimo che si può dire. Esso mi è servito come orientamento che, se bene ho compreso, si può riassumere così: - prima di ottobre la pace è impossibile; - dopo ottobre vi sono delle probabilità. Dire in che percentuale è forse più che altro questione soggettiva ed anche relativa. Infatti dal mio punto di vista pace significa non solo caduta dell'Inghilterra ma crollo dell'Impero Britannico; perché solo con questo conquisteremo il dominio del mare dal quale dipende la sicurezza definitiva del nostro Impero; -
per queste ragioni ed esaminando il problema esclusivamente dal mio punto di vista - cioè sotto l'aspetto del compito primitivo e fondamentale: garanzia dell'integrità politica e territoriale dell'Impero - dovrei concludere indicando come unica soluzione possibile il completo raccoglimento per consumare il minimo di energia sì da conservare le forze il più a lungo possibile. Dico di più: poiché è mio dovere prevedere lontano e guardare in faccia l'ipotesi peggiore mi sto già preparando al caso di non poter più, per mancanza di autocarri, manovrare le mie forze e perciò studio un decentramento delle mie riserve e delle risorse così da disporle in corrispondenza delle principali linee di irruzione nemica tanto da resistere a lungo nella speranza di aver tempo di far affluire a piedi rinforzi tratti dagli altri scacchieri. È una situazione a cui mi rassegnerò quando proprio
(1 ) F. 332340 del 2.9.1940, documento n. 76.
(2) F. 2346 del 7.9.1940, documento n. 77.
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vi sarò costretto perché comprendo benissimo che essa mi porterebbe fatalmente ad un atteggiamento passivo che è il peggiore al quale può essere ridotto un comandante in guerra. 2° Queste sono le conclusioni alle quali devo addivenire accettando l'ipotesi peggiore di una guerra molto lunga ed esaminando il problema dal mio punto di vista. Ma se la difesa dell'Impero è un aspetto importantissimo della nostra guerra non è ancora tutta la guerra e non devo escludere che quello che posso chiamare ilmio interesse debba cedere il passo ad un interesse più vasto. Voi stesso mi avete accennato all'offensiva dell'Ecc. Graziani in Egitto alla quale un concorso, sia pure indiretto e lontano, delle mie forze potrebbe riuscire utile. È chiaro che questo concorso sarà tanto più efficace quanto più immediato nel tempo e soprattutto più vicino nello spazio. Di qui una prima conclusione: difensiva fronte a sud (Kenia); esame di possibilità offensive in direzione di ovest o di nord; per essere più espliciti: obiettivo Khartum oppure obiettivo Porto Sudan. Quando vi ho parlato della conquista del triangolo Ghedaref Singa-Roseires più che ad una grande offensiva verso Khartum pensavo al cuscinetto che voi mi suggerivate di frapporre fra il Sudan ed il Goggiam per meglio tenere questo a freno. Poiché creare una striscia a cavallo del confine è pressoché impossibile per la natura del terreno impervio e desertico al di qua e paludoso al di là di esso, avevo pensato al noto triangolo non tanto come pedana per Khartum q•.1anto per copertura del confine, anche se non escludevo di potere poi, in secondo tempo, spingere il vertice verso Khartum.
Ma se si astrae da questo risultato di copertura che sar~bbe implicitamente assicurata dall'offensiva su Khartum, mi sembra che tutti gli altri fattori del problema propendono per l'azione verso il nord . A Khartum è pressoché impossibile arrivare direttamente da Cassala marciando diritto verso ovest; sono oltre 400 km. di deserto e noi non potremo mai avere i mezzi - aviazione ed autocarri - per superare una simile difficoltà logistica. Molto più facile sarebbe arrivarci scendendo a cavallo del Nilo anche se la strada è molto più lunga (oltre 560 km. in linea d'aria); ma per questa soluzione dovrei crearmi una grossa base logistica nel
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Goggiam. Ma qui ho il solo materiale logistico necessario per le truppe in posto; dovrei portare tutto dall'Eritrea e dallo Scioa; sono, tanto da una parte quanto dall'altra, dai 6 ai 700 km. di trasporti da fare per una strada che al di là di Gondar e di Lechenti è pessima. Inoltre partirei da un territorio che non sarà mai così sicuro da assicurarmi che tutti i traffici vi si possano svolgere senza molestia alcuna. D'altra parte penso che indirettamente padroni di Khartum potremmo essere anche senza mettervi materialmente i piedi. Khartum è la punta dell'Egitto nel Sudan; la sua vita gravita sull'Egitto af quale è ottimamente collegato per acqua e per terra, dal quale riceve ordini e risorse. Se noi tagliamo questo fascio di comunicazioni praticamente siamo padroni di Khartum e dell'Alto Sudan. E questo credo si possa ottenere con la conquista del paese di Atbara. Atbara è un grande nodo stradale al quale convergono le comunicazioni provenienti dall'Egitto, dal Mar Rosso e dall'Alto Scioa. Forse la conquista di Atbara avrà dal punto di vista politico una risonanza mondiale inferiore a quella di Khartum, ma dal punto di vista strategico ha un'importanza notevolmente superiore. Se del caso, quando fossimo padroni di Atbara ed i mezzi ce lo consentissero, potremmo sempre puntare su Khartum. Oltre al grande valore strategico dell'obiettivo l'azione su Atbara offre questi vantaggi: -
parte dall'Eritrea, sicura all'interno, solcata da ottime strade e fin d'ora dotata di una aliquota di mezzi - autocarri, munizioni e viveri - all'incirca sufficiente senza che occorrano grossi trasporti da altri scacchieri;
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Atbara è l'obiettivo più vicino: da Cassala ad Atbara vi sono 360 km. mentre da Cassala e Khartum ve ne sono 410 e da Metemma a Khartum via Ghedaref 520 e 560 da Kurmuk lungo il Nilo;
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il grosso delle truppe operanti su Atbara paese marcerebbe lungo l' Atbara fiume con notevole semplificazione del grave problema rifornimenti idrici; infine e, forse più importante, l'azione su Atbara è quella che ci porta più vicino all'azione di Graziani e perciò quella che meno indirettamente la aiuterebbe.
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«Atbara rappresenta l'obiettivo principale e su di esso occorre convogliare la massa principale delle forze, ma questa colonna non può essere unica. Occorre garantire e fiancheggiare l'azione principale con altre sussidiarie e precisamente: - per garantire la base di partenza Sabderat-Cassala-Tessenei occorre occupare Khashm el Girba; - per fiancheggiare la colonna principale è necessaria una puntata da Karora su Porto Sudan per Tokar per occupare un porto importante sul Mar Rosso ed una porta di afflusso di notevoli rinforzi. E se anche non potessimo arrivare sino a Porto Sudan attireremmo da questa parte forze non disprezzabili a favore della colonna principale. Infine allo scopo di distrarre l'attenzione nemica si potrebbe tentare qualche incursione offensiva molto più a sud; ad esempio da Kurmuk in direzione di Roseires e da Gallabat in direzione di Ghedaref. Riassumendo l'azione potrebbe avere questa impostazione generale: a) azioni dimostrative diversive: puntate in direzione di Roseires e di Ghedaref; b) conquista di Khashm el Girba a garanzia della base di partenza; e) puntata contemporanea da Karora su Porto Sudan ed azione a fondo su Atbara. Le forze tattiche per queste operazioni le avrei e potrei inviarle sulle basi di partenza senza depauperare gli altri scacchieri cioè lasciando 20 battaglioni nell'Harar; 17 nel settore Giuba; 36 battaglioni nello scacchiere sud; 45 battaglioni nell'Amara e 31 nello Scioa. Ma queste forze sono solo una parte di quanto mi occprre; per intraprendere a ragion veduta questa azione molto più poderosa di ogni altra mi sono indispensabili: aeroplani, gomme e carburanti. Ho richiesto 100 apparecchi (di cui 70 da bombardamento e 3'0 da caccia), 10.000 gomme, 10.000 tonnellate di carburante. So che voi eccellenza vi adoperate a tutt'uomo per farmele avere e ve ne ringrazio. Ma è miri dovere dirvi con la massima sincerità e con tutta chiarezza che fino a quando non avrò ricevuto questi rifornimenti io non mi posso assolutamente muovere altro che per difendermi ed anche questa difesa, senza rifornimenti, diventerà col tempo sempre più difficile ed aleatoria».
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Sul tema "aviazione" il Viceré ritornava qualche giorno più tardi, l' 11 settembre, nel fare il punto della situazione generale ad avvenuta conquista del Somaliland, mentre era in corso il rientro della maggior parte delle truppe che avevano partecipato all'azione O>: <<In questo mese le forze nemiche sono notevolmente aumentate oltre che di numero per qualità. Sono entrati in linea gli apparecchi Handley Page «Hampdem» che hanno una velocità di 430 km. e un'autonomia di circa 2.300 km .. Mentre prima potevamo salvarci tenendo gli apparecchi nei campi più interni ed adoperando quelli periferici come campi appoggio, oggi tutti i nostri campi, compresi quelli segreti, sono alla mercé del nemico. A queste offese non possiamo agevolmente sottrarci perché i campi sono allagati e gli apparecchi sprofondano nel fango perciò trattili dalla rimessa bisogna scaglionarli lungo le piste ed il pericolo di perderli diminuisce di poco. Se il nemico è libero di impunemente fare tutto quello che vuole, abbassarsi a 10 metri per mitragliare un autocarro isolato o un gruppo di tre fusti di benzina è chiaro che la difesa passiva diventa pressochè inutile. Per salvarsi non c'è che la reazione attiva tanto è vero che nei pochi luoghi dove noi abbiamo dei caccia o non vengono o se vengono quasi sempre lasciano qualche penna. Oggi in tutto l'Impero (che è vasto quattro <2) volte l'Italia e dove gli obiettivi da difendere distano a volte migliaia di chilometri gli uni dagli altri) noi abbiamo sei batterie antiaeree (4 antiquate) e 4 batterie da 20 mm .. E di caccia efficienti ne abbiamo sì ·e no una trentina. Il nemico che se ne è accorto e che cresce giorno per giorno in attività e baldanza, scorrazza sull'Impero mitragliando e spezzonando e le nostre perdite aumentano con inesorabile progresso e la popolazione indigena sgomenta invoca inutilmente protezione; a neutralizzare l'effetto delle bombe vicine non basteranno più le notizie di vittorie lontane. Le conseguenze materiali e morali di tutto ciò sono troppo evidenti perché occorra commentarle. Il passare del tempo conferma sempre più le previsioni iniziali sulla complessiva linea di condotta inglese: attendere il progressivo esaurimento delle nostre risorse affrettandolo con persistenti martellamenti aerei intesi, in primo luogo, ad eliminare la nostra scarsa (1) F. 332456 dell' 11.9.1940, documento n. 7{J.
(2) Per l'esattezza quasi sei.
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aviazione, poi a colpire i depositi principali (benzina e munizioni) ed, infine attraverso alle azioni sulle città principali terrorizzare le popolazioni per prepararle alla rivolta, se nere, per ridurle all'accasciamento, se bianche. Debilitato, così, il nostro organismo essi pensano di squassarlo con il propagarsi di una rivolta in grande stile dall' Amara per lo Scioa, fino ad Addis Abeba; dopo averci così paralizzati attaccarci colle grosse forze che intanto si vanno raccogliendo ed organizzando oltre confine. Riuscirà questo piano tipicamente inglese? Non lo credo; ma non mi nascondo il pericolo che esso può contenere, pericolo che col progressivo esaurirsi delle nostre possibilità si farà sempre più grave. Noi abbiamo forze numerose (siamo sui 350-360 mila uomini), solide e battagliere. L'armamento e munizionamento sono sufficienti; l'equipaggiamento ha attraversato una notevole crisi, ma va lentamente migliorando con lo sfruttamento di tutte le risorse locali; i viveri non ci mancano e perciò nel complesso si potrebbe non solo reggere, ma reagire. Ma tutta la. nostra forza, che pure è grande, è minata da alcune deficienze che si fanno sempre più acute e dolorose e che in un tempo più o meno lontano finiranno per metterci molto a mal partito. Ritengo mio dovere, a costò di apparire noiosamente insistente, rinnovare le richieste già fatte di quelle poche cose che ci sono indispensabili e che elenco in ordine d'importanza: gomme, aviazione, carburanti, armi contraeree, armi anticarro. Dateci, nella misura strettamente necessaria, questi me~zi e l'Impero a guerra finita sarà più vasto e più solido; ma se la guerra si protrae e se questi mezzi non ci potranno arrivare noi con tutti i ripieghi, con tutte le economie e con tutta la nostra volontà non potre.mo che prolungare la resistenza. E non sempre resistere significa vincere». La comunicazione del Viceré si incrociava con quella del Maresciallo Badoglio del 7 settembre, già citata, che concludeva la questione dell'atteggiamento da tenere dopo la fine delle grandi piogge approvando un atteggiamento definito «di attesa».
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«L'orientamento è ora raggiunto e si può considerare definitivo, poiché io mi associo in pieno alle vostre conclusioni. Siamo altresì perfettamente d'accordo che l'esecuzione del vostro piano è subordinata alle possibilità logistiche e che - di conseguenza - se non si riesce a superare le difficoltà inerenti non c'è che da assumere atteggiamento, che non voglio dire passivo, ma che definisco di attesa. Il primo rifornimento dal Giappone è avviato, il contratto è concluso, verso la metà del mese dovrebbe partire il piroscafo Jamayuri Maru il quale trasporterà: - benzina avio tonn. 2.500; - olio tonn . 200; - coperture e camere d'aria n. 6.000; - zucchero tonn . 500; - riso tonn. 1.000; - olio di ricino. Approdo a Chisimaio. Speriamo arrivi felicemente in porto; non avrete tutto quello che vi occorrerebbe, ma una parte non disprezzabile. L'esperienza che faremo servirà di guida per tentare m,1ove spedizioni. È inutile vi dica che su questa via di rifornimento è indispensabile mantenere il più assoluto silenzio e garantire il più rigoroso segreto». Arriverà un piroscafo dal Giappone che porterà riso, 800 tonn . di gasolina e gomme, ma queste ultime non serviranno per i nostri autocarri perché di misure diverse da quelle necessarie. È da rilevare, comunque, che persisteva. a Roma la concezione di operazioni offensive a raggio strettamente limitato, intese a migliorare le possibilità difensive sia alla frontiera Keniota sia verso il Sudan ed a fornire concorso alle azioni in Africa Settentrionale. Gli obiettivi di tali operazioni non erano affatto le basi e le posizioni chiave avversarie, ma solo quello di allargare i «cuscinetti» a copertura dei nostri territori in una difesa dell'integrità territoriale dell'Impero. Conseguenza di t.ali orientamenti sarà che, una volta che i Britannici avranno potuto rafforzare il loro dispositivo e intraprendere a loro volta
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iniziative offensive, lo scontro verrà ad essere sostenuto alla periferia dell'Impero, nei bassopiani più favorevoli all'impiego di forze motorizzate. Addis Abeba, almeno per quanto riguarda il Sudan, vedeva più in là: essa considerava anche la possibilità di concentrare mezzi e sforzi per una offensiva che tendesse verso Suez in concomitanza con quella delle forze in Marmarica, ed indicava nella occupazione di Atbara un obiettivo che avrebbe consentito di essere «praticamente padroni di Khartum e dell'Alto Sudan». Addis Abeba conosceva la situazione britannica di inferiorità (anche se tendeva a sopravvalutare le forze avversarie) e riteneva di poter disporre delle forze sufficientLa conseguire l'obiettivo («le forze tattiche per queste operazioni le avrei senza depauperare gli altri scacchieri») pur se si affacciava, qua, un concetto di rinuncia ad ogni ovvio criterio di manovra. Ma, nella valutazione operativa del Viceré due erano i fattori il cui peso stava diventando e diverrà sempre più dominante, oltre alla preoccupazione per la situazione interna. Il primo era costituito dal fatto che, nel particolare ambiente e con le forze terrestri disponibili, una azione offensiva non poteva essere condotta se non con una decisa superiorità aerea, che invece non esisteva più soprattutto per le caratteristiche degli aerei disponibili. L'altro fattore era costituito dalle possibilità logistiche dei trasporti, condizionata dalla indisponibilità di gomme e dalla scarsezza carburanti. Così, anche Addis Abeba, rinunciando per le deficienze di supporto aereo e logistico alle iniziative offensive, si andava orientando ad una stretta difensiva da condursi in un «completo raccoglimento per consumare il minimo di energia sì da conservare le forze il più a lungo possibile». Ma, in previsione di non poter più manovrare, non si pensava a raccogliere le forze, a diminuire le entità dei percorsi, a sfruttare le migliori possibilità del terreno; ci si andava adeguando alle direttive di Roma, orientandosi a un decentramento delle riserve e delle risorse così da disporle in corrispondenza delle principali linee di irruzione nemica «in una difesa all'estrema periferia dell'Impero», in quei bassopiani ed in quelle «zone cuscinetto» in cui le offensive di frontiera ci avevano portato.
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Si fini va così per non avere, sia a Roma sia ad Addis Abeba, alcun disegno strategico difensiyo ma solo, come Badoglio Io definisce, un atteggiamento «di attesa>>. Sulla base di queste decisioni il periodo delle piogge si concludeva; il dispositivo italiano cons,eguiva allora il massimo di efficienza ma continuava in una stasi operativa quasi assoluta. Nell'interno dell' A.O. venivano intensificate le operazioni antiguerriglia e la situazione era quasi insolitamente calma; come si è accennato: a nord ed a sud di Cassala, venivano spinte ai primi di settembre ricognizioni offensive a breve raggio verso Tegalhus e verso Malawiya, mentre sul fronte Kenjota, nella zona del lago Rodolfo, nostre forze del presidio di Calam, in ricognizione oltre frontiera, occupavano, il 19 agosto, il fortino di Todignac.
I britannici nel frattempo facevano affluire forze e miglioravano costantemente le loro possibilità difensive nei settori di particolare delicatezza, nel Sudan e nel Kenia. Verso la fine di settembre andavano già verificandosi alcuni sintomi di peggioramento nella situazione, rappresentati: all'esterno, da un progressivo aumento di forze nemiche lungo il confine, particolarmente intenso a Cassala e sulla direttrice Ghedaref -Metemma; ali' interno, da un accentuarsi della propaganda anti-italiana nell'Amara, resa assai più efficace dalla presenza dell'ex Negus nel Sudan e dalla sempre maggiore consistenza che la rivolta, largamente potenziata dagli inglesi, andava prendendo specialmente nel Goggiam. Lo stato di irrequietezza delle popolazioni Amara, l'addensarsi della minaccia esterna, le insistenti voci che correvano circa una prossima azione inglese sulla direttrice Gallabat-Metemma con obiettivo Gondar, inducevano il Comando Superiore FF.AA. dell'A.0.I. ad affidare il Goggiam, già facente parte dello scacchiere nord, al gen. Nasi, comandante lo scacchiere est e responsabile già dello Scioa, l'altra regione più infestata dai ribelli <1>. Il provvedimento, .più che a ragioni di ordine militare intese ad affidare al Comando scacchiere nord essenzialmente la responsabilità delle operazioni difensive alla frontiera, rispondeva a motivazioni (1) Foglio s.n. del 30.9.1940 de) Vicerè a Badoglio, documento n. 79 e F. 333099 in data 5.10.1940 del Comando Superiore FF.AA. del!' A.O.I., documento n. 80.
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di carattere politico. Il gen. Nasi, già Vice Governatore Generale, di apprezzata conoscenza dell'ambiente e di nota abilità politica nei suoi contatti con i Capi indigeni, avrebbe potuto così meglio impiegare le sue forze militari ed esercitare le sue attività politiche, opponendosi più utilmente all'attività del col. Sandford da poco penetrato nel Goggiam. Il Comando Superiore provvedeva altresì a rinforzare adeguatamente il settore Gondar-Metemma inviandovi truppe tratte dalla riserva generale. Il Comando Amara rimaneva tuttora incaricato del supporto logistico al Goggiam. In un quadro generalmente orientato all'attesa non mancavano dibattiti sulla opportunità di esercitare qualche iniziativa offensiva e anche tentativi di migliorare la situazione creando qualche preoccupazione nell'avversario. Ricorderemo, a tale proposito, le proposte inviate ancora il 22 ottobre dal Comando scacchiere nord per l'attuazione di un «Piano K» in vista di operazioni verso Ghedaref o Atbara già sollecitate nell'agosto <1). Si tentava anche di estendere le operazioni offensive alla zona dell'Alto Sudan. Il 15 ottobre, il gruppo bande «Rolle», proveniente da Addis Abeba, varcava il confine a nord-est di Kurmuk per compiere, in base ad ordini diretti avuti dal Comando Superiore, colpi di mano sulle retrovie avversarie in zona Roseires. Si addentrava per oltre 100 km. in territorio nemico, attraverso terreno cespuglioso e senz'acqua, sorvegliato e mitragliato da aeroplani da caccia. Sulla via del ritorno si avvicinava al Nilo Azzurro ove prendeva contatto con elementi britannici di un battaglione di frontiera alla confluenza dell'Qffat. La tormentata incursione, si concludeva, il 29 a Ghezan. Il gruppo bande, che aveva perduto alcune decine di uomini per stenti e gran parte delle salmerie, dopo una breve sosta di riposo in Asosa ripartiva per rientrare ad Addis Abeba. Il tentativo, non efficacemente predisposto e sostenuto, rivelava la difficoltà di operare in una zona così difficile, nella quale del resto - erano nulle anche le iniziative avversarie. (1) F. 012342 in data 11.8.1940 del Comando scacchiere nord, documento n. 81.
LA DECISIONE DI ATTENF.RSI AD UNA STRATEGIA DI ATIESA ANCHE DOPO LA FINE DELLE GRANDI PIOGGE (LUGLIO-OTTOBR E 1940)
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La questione della eventuale ripresa di iniziative offensive verso il Sudan era ancora considerata nell'ottobre, i.n vista di azioni, dimostrative o meno, coordinate con le operazioni previste in Africa Settentrionale per le forze del Maresciallo Graziani verso Marsa Matruh ed Alessandria O>. II Comando Superiore delle FF.AA. in A.O.I. concludeva, ancora una volta, in una lettera del 23 ottobre <2>, di non poter affrontare grosse iniziative per difficoltà logistiche e di non ritenere producente azioni semplicemente dimostrative; comunque, si riservava di studiare operazioni utili a migliorare soprattutto la situazione interna agendo nella zona Cassala-Ghedaref (ma lamentava peraltro che «nel Sudan gli Inglesi hanno su di noi una schiacciante superiorità aerea») ed eventualmente verso Porto Sudan. Questa comunicazione, poi, risultava superata, ai primi del mese successivo, dalle notizie di rafforzamento del dispositivo avversario e dagli scontri che si verificavano nel settore di Cassala ed a Gallabat. Comunque, il Capo di Stato Maggiore Generale aveva già disposto, in data 30 ottobre, che il compito essenziale per l'Africa Orientale era di «durare» (3) .
(I) F. 2831 del Mar. Badoglio in data 1.10.1940, doçumento n. 82. (2) F . 20/S del 23.10.1940, documento 83. (3) F. 3479/0 p del Mar. Badoglio in data 30. 10.1940, dowmento n. 84.
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CAPITOLO X
A FINE 1940 UN PERIODO DI RELATIVA STASI VEDE UN RAPIDO MUTAMENTO DELLA SITUAZIONE E PONE LE BASI DEGLI AVVENIMENTI SUCCESSIVI (Novembre e Dicembre 1940) 1. IL RAFFORZAMENTO BRITANNICO
In relazione all'importanza attribuita al controllo dell'Egitto e del Medio Oriente gli Alti Comandi britannici avevano sempre avvertito anche la necessità di garantire quanto più possibile la rotta del Mar Rosso.' In conseguenza si erano preoccupati di rafforzare le forze esistenti, particolarmente nel Sudan, prima che avesse termine la stagione delle piogge. Fra l'altro era stato provveduto al rafforzamento delle difese antiaeree di Porto Sudan ed all'invio, attraverso tale base, della 5a Divisione Indiana, di due reggimenti di artiglieria campale ed altre unità entro il settembre (I). A fine ottobre le forze inglesi nel Sudan erano salite a circa 28.000 uomini. Con i sei battaglioni indiani della 5 a Divisione ed i tre battaglioni inglesi preesistenti erano state costituite tre brigate miste, ciascuna di un battaglione britannico e due indiani, dislocate nelle zone di: -
Porto Sudan, la 29a brigata (già 21 3 ) ; Ponte di Butana, sul Gasc fronteggiante Cassala, la 9a brigata; Ghedaref, la 10 3 brigata.
A contatto delle forze italiane nell'area di Cassala era anche la «Gazelle Force» costituita con unità motorizzate, di entità complessiva pari ad una brigata. (1) J.S.0. Playfair, Op. Cit., pag. 247.
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LE OPERAZION I IN AFRI CA ORIENl 'ALE
Lungo le frontiere del Sudan, a sud di Gallabat, vi erano forze di copertura della «Sudan Police)> e dell' «Equatorial Corps» della «Sudan Defence Force)>, in entità relativamente limitata data lanatura dei luoghi e le difficoltà quasi proibitive di qualsiasi nostra avanzata. Anche le forze aeree dislocate nel Sudan e ad Aden erano state rinforzate con l'invio di bombardieri Wellington e caccia Blenheim Mark IV nonché, nel settembre, anche di alcuni aerei Hurricane. Sempre nel corso dell'estate erano state prese iniziative volte ad avviare su nuove basi politiche e militari la ribellione in Etiopia. Il 7 luglio l'ex Negus Aile Selassiè era stato fatto arrivare a Khartum ove, nell'agosto, si era iniziata l'organizzazione di 4 battaglioni di fuoriusciti etiopici. Nel corso dello stesso mese era stata avviata nei territori italiani del Goggiam la «Missione 1O1» con il Col. Sandford, che doveva dirigere tutte le attività di stimolo politico e finanziario alla ribellione, in nome del deposto imperatore. Analogamente, soprattutto per le preoccupazioni del Gen. Smuts e del Sud Africa nei riguardi di eventuali nostre iniziative offensive verso il Kenia e l'Uganda, erano state notevolmente rafforzate le difese britanniche nel settore Momhasa-Nairobi. Entro la fine di giugno del '40 erano affluite nel Kenia due brigate dell'Africa Occidentale; successivamente affluivano: la 1a Divisione Sud Africana, una brigata antiaerea, nonché due compagnie di carri armati e molte altre unità dei servizi e dei trasporti sudafricane. Notevole era anche il potenziamento delle forze aeree sudafricane nel Keni~, che andavano assicurandosi una decisa superiorità su quelle italiane contrapposte, anche per la gravitazione di queste ultime a favore dello scacchiere nerd. Nel settembre, poi, il Gen. Wavell aveva impartito direttive volte a dare alla difesa un carattere attivo, con attacchi locali a Gallabat e~ altrove, quando avessero avuto fine le piogge. Analogo atteggiamento si sarebbe dovuto tenere nel Kenia <1). Una sollecitazione verso una ripresa offensiva veniva anche dalla visita del Ministro Eden al Medio Oriente, che il 28 ottobre a Khartum aveva contatti con tutti i Comandanti del Teatro. In tale occa(1) l.S.O. Playfair, Op. cii., pag. 392.
MUTA LA SITUAZIONE (NOVEMBRE-DICEMBRE 1940)
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sione venivano approvati: un attacco anticipato ai primi di novembre a Gallabat; una offensiva a Cassala ai primi di gennaio; una offensiva verso Chisimaio non appena possibile in relazione alle piogge autònnali ivi prevalenti ed alla situazione logistica; nell'attesa, una operazione nella zona del Lago Rodolfo o altre minori di assestamento. Nel complesso, dunque, i Comandi britannici, pur non disponendo ancora delle forze e del supporto che permettessero loro di effettuare immediatamente grandi sfor.zi offensivi, erano orientati ad assumere iniziative minori volte a risolvere problemi locali, saggiando e migliorando contemporaneamente la preparazione delle unità. Da questo orientamento avranno origini alcuni fatti d'arme quali quelli di M. Sciusceib, Gallabat, El Uach.
2. OPERAZIONI NEL SETTORE DI CASSALA: I COMBATTIMENTI DI M. SCIUSCEIB (3-11 novembre) (Schizzo n. 17).
Il settore dell'Eritrea occidentale era rimasto praticamente inattivo dopo l'occupazione di Cassala, la cui difesa era affidata a 4 battaglioni coloniali della XII brigata ed a due battaglioni CC.NN (CL e CLXX). Nel mese di settembre, ed ancora di più nell'ottobre, si erano verificate incursioni di pattuglie motorizzate britanniche che si erano spinte anche a tergo del nostro schieramento, attaccando piccoli drappelli in movimento o danneggiando nostre installazioni telefoniche, nei settori di Tessenei, Cassala e Sabderat. Il Comando dello scacchiere nord ritenne perciò opportuno dare maggiore respiro alla nostra occupazione di Cassala presidiando località circostanti, di qualche interesse ai fini del controllo delle piste nella regione. A tal fine, il 31 ottobre il CI battaglione della XLII brigata, rinforzato da una batteria cammellata, veniva spinto sulle pendici nord di M. Sciusceib (pozzi di Tamiam) dominanti la pianura sudanese verso Aroma e le piste confluenti su Cassala. Nessuna reazione disturbò il movimento; l'avversario, soltanto l'indomani, effettuò alcuni sondaggi con mezzi meccanizzati seguiti, il 2, da tiri di aggiustamento di artiglieria; il 3, lanciò il primo attacco di una certa consistenza, fu respinto e si ritirò lasciando neUe nostre mani un carro armato ed una autoblindo; il giorno successivo svolse
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solo azioni di logoramento con intervento di aerei, e il 5 fu visto defluire con mezzi meccanizzati a tergo delle posizioni tenute dal battaglione. Lo stesso giorno 5 (avuta notizia della presenza di forze indiane che provenienti da Aroma erano in marcia nella zona a nord di M . Tandellai) un gruppo bande della Polizia Africa Italiana (P .A.I.), rinforzato da un battaglione su due compagnie coloniali (XXXV btg) e da 1 sezione artiglieria da 65/17, riceveva dal comando della 4a divisione l'ordine di proteggere, muovendo da Serobatib Oocalità di confine ad una tappa dai pozzi), una carovana cammellata che, attraverso il passo tra M. Tandellai e lo Sciusceib, doveva rifornire il presidio di Tamiam. Il battaglione doveva sostare al torrente Ghirghir; su di esso era previsto dovesse ripiegare il gruppo bande nel caso avesse trovato la stretta occupata dal nemico e non fosse riuscito a forzarla. Il movimento delle bande della P .A.I. oltre il torrente Ghirghir ebbe inizio alle 23 circa e·cioè oltre mezz'ora dopo il tramonto della luna, con notte fonda. Dopo circa un'ora di marcia, le due centurie si affacciarono alla stretta tra i roccioni del Tandellai e dello Sciusceib. Furono accolte da un nutrito fuoco di fucileria e di mitragliatrici che impiegavano pallottole traccianti. Ne seguì un aspro combattimento svoltosi nel buio della notte: mentre le armi appostate sui declivi delle alture, battevano la piana sottostante, automezzi corazzati, sboccati dalle pendici orientali dello Sciusceib, si gettavano sulla carovana e sugli uomini di scorta mitragliandola e tagliandola in due: un troncone veniva gettato contro le pendièi del M. Tandellai ove continuava a combattere fino all'indomani, ma era poi soverchiato; l' altro, ricacciato verso il Ghirghir, si univa alle compagnie in sosta lungo il corso del torrente e con esse ripiegava su Serobatib. La scarsità di forze di quel presidio non consentì una reazione immediata. Dopo questi avvenimenti aumentò la pressione contro il presidio dello Sciusceib. La giornata del 9 fu caratterizzata da tiri di interdizione sui pozzi, che erano situati al centro dello schieramento dei reparti, e da un minaccioso invito al distaccamento perché cessasse l'inutile resistenza. Ma i manifestini lanciati da un aereo non riuscirono a minare là coesione degli ascari che risposero col fuoco alle intimidazioni. Perduta la speranza di un successo incruento, i
6. Le Ope:ruiooj in Africa Orientale . Voi. I
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Le OPERAZIONI IN Al'RICA ORIEN"IALI:.
Britannici attaccarono le posizioni tenute dal bauaglione, il mattino dell' 11. Per tutta la giornata misero a dura prova la saldezza dei difensori, ma all'imbrunire ripiegarono ovunque. Nella notte sul 12, reparti del presidio di Serobatib e della XLI e XLII brigata, rinforzati da aliquote di artiglieria e carri armati, agli ordini del comandante la 4a divisione (gen. Alfredo Baccari), mossero per rilevare il battaglione e la batteria da 65/ 17 ai pozzi di Tamiam. La colonna giunse a M. Sciusceib senza colpo ferire perché il nemico aveva in precedenza sgombrato la zona dopo il fallimento dei suoi attacchi del giorno J 1. Le perdite nel combattimento del 5 e 6 novembre assommarono a circa 150 caduti ed a un'ottantina di prigionieri in gran parte feriti. Il presidio di Tamiam ebbe 19 coloniali uccisi; 2 ufficiali, 3 sottufficiali e 46 coloniali feriti; 17 dispersi. L'episodio aveva visto un buon comportamento delle nostre truppe coloniali che avevano respinto bene gli attacchi al nostro presidio; esso però aveva ancora una volta sottolineato la difficoltà dei nostri Comandi di seguire e coordinare le operazioni per le deficenze nei collegamenti, nonché quella di controllare con successo gli spazi interposti fra le posizioni. difensive, di fronte·aue incursioni delle forze motoblindate avversarie.
3. OPERAZIONI OFFENSIVE BRITANNICHE A GALLABAT (6-7 novembre) (Schizzo n. 12).
Occupata Gallabat nel luglio, le forze italiane nell'area erano state mantenute ad un livello piuttosto elevato e più recentemente rafforzate nonostante le difficoltà ùella permanenza in zona molto ins1lubre ed esposta, in quanto idonee a sbarrare la via più diretta ed agevole di infiltrazione dal Sudan alle regioni della guerriglia etiopica del Goggiam e dello Scioa. Ai primi di novembre presidiavano la zona GallabaL-Metemma (tcn. col. Alessandro Castagnola): 2 compagnie mtr. e I plotone fucili anticarro della divisione «Granatieri di Savoia»; nuclei carabi• nieri e della guardia di finanza; 3 battaglioni coloniali della IV brigai a (XXV ,XXVII e LXXVll); 2 compagnie mtr. coloniali; 1° gruppo
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bande di confine; I compagnia colo11ialc mortai da 81; 1 se;,ionc art. da 65/17; l sezione art. da 70/1 5; una banda irregolare. Gli Inglesi , sulla base delle direttive sanzionale dal Ministro Eden nella sua visita a Kharlum del 28 ottobre, inlendcvano cserd tarc u,, grosso sforzo 'su questa direttrice per aprirla, appuntn, al flusso di aiuti alla ribellione etiopica e per dare ad essa l'innesco di un fatto d'armi di successo. A tal fine avevano previsto l'attacco alle forze italiane da patte della 10 3 brigata anglo-ind iana (gen. b . Slim) (1° btg. inglese del reggimento Essex e due battaglioni indiani: 4 ° / 10° Baluchi e 3°/I 8" Garhwal) sostenuta da uno squadrone misto di carri incrociatori e leggeri (squadrone B del Royal Tank Regimcnt con 6 carri «cruiser» e 6 carri leggeri). L'attacco doveva avere inizio il 6 novembre: preceduto da violenti attacchi aerei su Gallabat e Metemma ad ondate successive, di circa 30 aerei da bombardamento e da caccia; e sostenuto da una forrn dj artiglieria abbastanza consistente (un reggiment o di artiglieria con circa 24 pezzi di vari calibri). Precedute, quindi, da una robusta preparazione <li fu()co aereo e terrestre che sconvolgeva le posizioni tenute dai nosl ri, alle 7, 15. le fanterie (Sudanesi, Indiani e Britannici) mossero all'attacco precedute dai carri armati. Il presidio di Gallabat (XX VI I blg. col.), che non disponeva d i adeguate opere di difesa anche per la natura rocciosa e.lei luogo. <le·· cimato e scosso dai violenti bombardamenti , non era in grado <li opporre una resistenza prolungata; l'avversario occupava la posizione mentre nostri elementi superstiti ripiegavano su Metcmma. Ma l'azione dei fucili anticarro , insieme a quella delle mine predisposte intorno alle posizioni ed ai danni provocati alle cingolaturc dalle asperità trachitiche del terreno, riuscivano ad imnìobilizzare quasi tutti i carri armati britannici. Mentre si svolgeva l'attacco su Gallahat sci apparecchi da caccia, fatti inviare e.lai Comando Amara, appari vano nel cielo della battaglia, piombavano arditamente sugli aerei avversari e ne abbattevano sette senza subire perdite; un pilota inglese, lanciatosi con il paracadute, veniva fallo p rigioniero. Conquistata Gallabat, le forze britanniche proseguivano la loro azione superando il fosso Abuchi ncira e le posizioni di Mclcmma ;
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
ma esse venivano arrestate frontalmente dal fuoco dei reparti mitraglieri, nazionali e coloniali, e dalla resistenza del 1° gruppo bande di confine (Cap. Giovanni Braca), mentre venivano contrattaccate da un battaglione di formazione, costituito da due compagnie del LXXVII btg. e due compagnie del XXV btg. (T. Col. Carmelo Liuzzo). Questo battaglione, precedentemente spostato sulla destra dello schieramento, eseguiva un vigoroso contrattacco che sorprendeva e costringeva al ripiegamento la fanteria nemica; nell'azione l'unità perdeva tutti gli Ufficiali dei reparti di primo scaglione e subiva perdite piuttosto ingenti. Al sacrificio del battaglione si accompagnava l'intervento tempestivo di una grossa formazione di bombardieri S. 79 che, giunti in quel momento, rovesciavano sulle truppe e sulle artiglierie avversarie numerose bombe e spezzoni, provocando danni e panico fra le fila britanniche ed imponendo loro un tempo di arresto. Per il prosieguo della giornata l'artiglieria e l'aviazione avversaria continuavano a battere le nostre posizioni di Metemma distruggendo metodicamente installazioni e depositi, ma le fanterie non reiteravano i loro attacchi ed, anzi, ripiegavano su Gallabat. Nella giornata successiva, mentre parte delle nostre forze venivano portate sulle colline boscose delle vicine «alture di Re Giovanni» in zona in cui avrebbero potuto meglio contrapporsi ad una eventuale azione dei carri avversari, altre rimanevano sulle posizioni di Metemma assicurandone il possesso; infine, arrivava nella giornata, a tergo delle nostre posizioni, la colonna Polverini <1). Si trattava di un battaglione cc.nn. e di reparti coloniali, dislocati fra Blagir e il Gandua (su circa 100 Km. di percorso) per dare sicurezza alle autocolonne di rifornimento dirette a Metemma che, nella giòrnata del 7, muovevano per via ordinaria e, sfruttando anche mezzi in transito, raggiungevano tale località. Il nemico, nel pomeriggio del 7, scosso per le perdite del giorno precedente ed avvertito dell'afflusso in zona dei rinforzi avversari, iniziava lo sgombero delle posizioni di Gallabat lasciando in posto soltanto truppe di copertura. (1) Era costituita da: DCCXXXI battaglione cc.nn.; comando IV brigata (col. POLVERINI) coi battaglioni XIV e XXIX; 1 sezione da 65/17 e 1 sezione mortai da 81.
MUTA LA SITUAZIONE (NOVEMBRE-DICEMBRE 1940)
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Da parte nostra la rioccupazione del territorio di Gallabat, iniziata nel pomeriggio dell'8, veniva ultimata a tarda sera del giorno stesso <1>. In questo settore, però, una lotta di pattuglie continuò assai attiva a causa dello stretto contatto tattico tra le unità contrapposte. I Britannici riconosceranno di «non aver raggiunto il principale obiettivo e cioè la distruzione di Metemma e con essa la possibilità di un aiuto efficace ai patrioti abissini attraverso le carovaniere controllate da quel centro» <2). Pur ritenendo di aver conseguito qualche utile risultato dando dimostrazione di un atteggiamento più attivo in questo settore di frontiera, essi furono peraltro assai sfavorevolmente impressionati dall'insuccesso subito e dalle perdite sopportate per effetto degli interventi aerei italiani. Ciò li indurrà, nel prosieguo, a non ripetere consistenti azioni su questa direttrice. Il Comando italiano non ebbe immediatamente la percezione dell' importanza del successo difensivo conseguito e, ritenendo possibili ulteriori sforzi nemici, continuò a mantenere nell'area forze piuttosto cospicue, nonostante le perdite provocate dalle pessime condizioni sanitarie. L'andamento delle operazioni era stato fortemente influenzato dal successo degli interventi aerei e dalla superiorità da noi allora conseguita. L'aviazione dell' AOI aveva sostenuto uno sforzo notevole (129 missioni) che in occasioni successive non fu più in grado di rinnovare; d'altra parte i Britannici si convinsero de!la assoluta necessità di realizzare una decisa superiorità aerea come premessa necessaria di qualsiasi azione offensiva, e ne tennero conto nelle predisposizioni delle operazioni successiv·e.
4. OPERAZIONI NEL SETTORE KENIOTA: EL UACH (15 dicembre)
(Schizzo n. 18). In corrispondenza dello schacchiere sud e del settore Giuba, nonostante il consistente rafforzamento conseguito dal dispositivo bri(1) Nostre perdite dal 6 all'S novembre: ufficiali: 5 morti, 5 feriti, I disperso; nazionali: 8 morti, IO feriti, I disperso; coloniali: 174 morti, 224 feriti. (2) Da «The Abyssinian campaigns», pag. 27.
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tannico, le nostre unità coloniali regolari ed irregolari coni inuavano a mantenere anche nell'autunno del 1940 un buon controllo della vasta e difficile zona confinaria. Ancora nella terza decade di novembre una colonna nemica In movimento verso Todignac (sul lago Rodolfo) era stata sorpresa e costretta a ripiegare col concorso di armati della fedelc popolazione Gheleba. Tuttavia le forze inglesi andavano rapidamente migliorando la loro efficienza operativa, che dovevano saggiare con una azione offensiva, effettuata di sorpresa e con una decisa superiorità di forze contro il nostro posto avanzato di El Uach. I vi era dislocato un presidio abbastanza robusto, composto da un gruppo dubat di recente formazione (Clll), dal CXCI battaglione coloniale, da una banda confinaria, da una batteria cammellata e da due batterie da 70/ 15. Ma i britannici riuscivano a superare, non avvertiti dalla ricognizione aerea né da idonee misure di sicurezza una distanza di circa 180 km. con una colonna motorizzata della forza di due brigate (l 1 brigata Sud Africana e 24 8 brigata Costa d'Oro) rinforzate da autoblindo <1>. Preceduti da attacchi aerei e sostenuti da intenso fuoco di appoggio, il 15 dicembre 1940 essi attaccavano il presidio travolgendolo; ingenti le nostre perdite; nostri elem·enti sbandati ripiegavano attraverso la boscaglia su Lugh Ferrandi. Le forze nemiche non si spingevano oltre la tagliata di confine e non mantenevano l'occupazione della località; ma l'esito e andamento della operazione dovevano avere assai sfavorevoli ripercussioni: sia per la dimostrazione avversaria di una elevata efficienza operativa in azioni coordinate di aerei e di forze motocorazzate, sia per l'evidenza di nostre carenze nelle attività esplorativa e di sicurezza nonché nelle possibilità di difesa e.e. e nei collegamenti. Basti dire che il Comando del settore Giuba non ebbe alcuna notizia, diretta ed immediata, dell'attacco in corso e del suo esito. (I) Costitu1.ione delle forze bri1a n11irhe impiegate a El Uach, documento n. 85.
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LB OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Roma ebbe conoscenza degli avvenimenti dai comunicati dell'avversario e chiese conto a Addis Abeba ed a Mogadiscio, che non avevano ancora avuto alcuna informazione sulla caduta dell'importante località né sulle sue modalità.
5. LE DECISIONI BRITANNICHE IN VISTA DI NUOVE INIZIA, TIVE OFFENSIVE DAL SUDAN E DAL KENIA
Essendo ormai a buon punto l'afflusso di unità e di mezzi, in una conferenza tenutasi al Cairo l' 1 ed il 2 dicembre il Gen. Wavell dava ulteriori istruzioni: per un aumento degli aiuti alle forze ribelli, per il mantenimento della pressione a Gallabat, per un attacco a Cassala all'inizio del 1941, ed a Chisimaio dopo la fine delle piogge invernali (l). Gli obiettivi territoriali delle operazioni erano limitati alla conquista di Cassala e di Chisimaio quali possibili basi di eventuali operazioni offensive italiane. La 4a Divisione Indiana, operante in A.S., avrebbe dovuto essere avviata nel Sudan a fine dicembre, dopo aver partecipato alle operazioni contro l'Armata Graziani. Ma l'entità e la rapidità del successo contro le forze italiane in Africa Settentrionale inducevano il Governo e l'Alto Comando Britannico a dare maggiore impulso alle operazioni in Africa Orientale. In vista anche delle possibili complicazioni nei Balcani, ove le truppe tedesche erano entrate in Bulgaria e da lì avrebbero dovuto agire contro Grecia e Turchia, ed anche per il possibile effetto dissuasivo verso il Giappone e nei riguardi dei movimenti indipendentistici in India, si intendeva far presto e risolvere il problema prioritario della occupazione dell'Eritrea e di Massaua entro l'aprile <2>. Il rapido successo della offensiva iniziata il 9 dicembre a Sidi el Barrani consentiva, poi, al gen. Wavell di impartire, già il giorno 11, l'ordine alla 4a Divisione Indiana (meno la 6a brigata br.) di lasciare il fronte e di trasferirsi entro dicembre, parte via mare a Porto Sudan (7a brigata), e parte via Nilo e ferrovia nella zona di Cassala (10a brigata). (1) I.S.O. Playfair, Op. cit., pag. 393. (2) Ibidem, pag. 3.
MUTA LA SITUAZIONE (NOVEMBRE-DICEMBRE 1940)
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Il primo intendimento era di iniziare l'offensiva verso Cassala 1'8 febbraio; ma successivamente l'avanzato stato dei preparativi e le notizie di alleggerimenti in corso dello schieramento italiano ne facevano anticipare l'inizio al I 9 gennaio. Analoghe decisioni di anticipo nelle operazioni venivano adottate per quJf.lto si riferiva alle offensive dal Kenia, via via che la larga disponibilità di automezzi consentiva al Comando britannico di poter vedere risolti favorevolmente i problemi logistici dei trasporti nel superamento delle zone aride dell'Oltre Giuba. Il piano del gen. Wavell prevedeva un movimento convergente verso il centro dell'altopiano etiopico, operando a nord dal Sudan (gen. Platt) ed a sud dal Kenia (gen. Cunningham); si confidava soprattutto nell'apporto che poteva essere conferito dalla ribellione. Tuttavia, nella sua relazione del luglio 1945, il gen. Wavell dichiarerà che il gen. Platt e·il gen. Cunningham agirono in base a sue direttive generiche; e che il movimento a tenaglia su larga scala, attraverso l'Eritrea e la Somalia, convergente su Amba Alagi, combinato con l'attacco diretto delle forze dei «patrioti» attraverso l' Abissinia occidentale, non era stato previsto nel piano originario, ma si delineò gradualmente in base allo sviluppo degli avvenimenti. «Fu in effetti una improvvisazione secondo la concezione britannica della guerra - egli dice - piuttosto che un lavoro in serie secondo la concezione germanica». In previsione delle offensive le truppe inglesi del Sudan <1> assumevano le seguenti dislocazioni: -
la7a brigata della 4a Divisione indiana, rinforzata, rimaneva nella zona di Porto Sudan; l'altra brigata (11 a) si dislocava nella boscaglia del delta del Gasc a nord di Cassala, ove già si trovava la «Gazelle Force», costituita da 6 compagnie mitraglieri motorizzate (tre delle quali assegnate in rinforzo alla 10a brigata indiana), da reparti di cavalleria blindomotorizzata e da unità di artiglieria mobile;
-
la 5a Divisione indiana, già in posto, si concentr.ava con le brigate 10 3 e 29a ad occidente di Tessenei, lasciando la 9a a fronteggiare temporaneamente Gallabat. (I) Notizie sulle forze britanniche nel Sudan alla data del 20.1.1941 , documento n. 20.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Affluivano nel Sudan anche unità di carri armati da crociera e leggeri, compagnie varie di trasporti meccanizzati, aliquote di rinforzo di artiglierie di medio calibro e grandi quantità di rifornimenti. Rilevanti erano gli afflussi di aerei, particolarmente moderni, che permettevano di eseguire attacchi sempre più violenti alle nostre basi ed ai centri urbani e logistici e di conseguire una crescente e schiacciante superiorità. Nel Kenia, a seguito di afflussi di nuove forze e del riordino di quelle preesistenti, il settore Lago Rodolfo veniva affidato alla la (e poi 11 a) divisione africana, mentre nel settore Nairobi-Mombasa andavano raccogliendosi la 2a (e poi 12a) divisione africana e la I a divisione sud africana. Alle tre divisioni sopraindicate si aggiungeva un complesso di varie unità di artiglieria, carri ed un vastissimo supporto di unità del genio, idriche, dei trasporti (I). Su questo fronte il rafforzamento conseguito dalle forze aeree sudafricane permetteva ora una superiorità schiacciante; la nostra aviazione poteva effettuare ormai solo sporadici e deboli interventi mentre l'aviazione britannica poteva esercitare impunemente attacchi alle nostre forze, ai movimenti, alle basi ed ai centri di qualche importanza. Soprattutto essa era in grado di riconoscere ed informare costantemente sulle nostre dislocazioni, mentre ciò non avveniva a favore delle nostre unità che risulteranno spesso investite di sorpresa da colonne avversarie ·che avevano superato i vasti spazi semidesertici senza essere preventivamente segnalate ed -individuate. I bombardamenti ripetuti sui centri cli Chisimaio e Mogadiscio, non contrastati efficacemente, avevano forti ripercussioni nella popolazione, particolarmente quella indigena, e sulle truppe ,dell'area, quasi esclusivamente coloniali di' reclutamento locale.
(l) Notizie sulle forze b ritanniche nel Kenia alla data del 1.1.1941, documento 11 . 21 .
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PROVVEDIMENTI E DIRETTI VE D EL COMAN DO SUPERIORE DELLE FORZE ARMATE I N A.O.I. DI FRONTE ALLA PROSPETTIVA DI UNA IMMI NENTE OFFENSI VA BRI TANN ICA
I. LA SIT UAZ IONE ALI./\ FINE 1.>EL 1940
Verso la fine del 1940 la si! uazione generale del con nitt o e quella in Africa Orientale andavano decisamente modi ficandosi a nostro danno. Oltre alle noti7.ie abbastanza aggiornate circa gli afflussi di forze avversarie nel Sudan e nel Kenia, gli episodi di M. Sciusceib, Gallabat ed El Uach e le attività nelle retrovie, rivelate dalla osservazione aerea, costituivano segni non dubbi circa imminenti iniziative offensive britanniche <1>. Inoltre, anche se - nel complesso - gli ultimi mesi del 1940 potevano apparire d i stasi quasi assoluta, alle peggiorate prospettive nel Teatro si accompagnava un dcdso deteriorament o nella si tuazione generale del conflitto in cui l' Italia si era impegnata. La resa della Gran Bretagna, che era sembrata imminente, non si era veri fi cata né aveva avuto luogo l'attacco tedesco olt re la Manica. L'Italia aveva dat o ini zio, il 28 ottobre, ad una guerra contro la Greda che non aveva tardato a dimostrarsi più onerosa e difficile del previsto impegnando uomini e risorse; il 12 novembre era stata fortemente intaccata, a Taranto, la nostra possibilità di esercitare una minaccia mari ttima nel Mediterraneo; infine, il 9 dicembre le forze britanniche avevano iniz.iat o la loro fortunata o ffen siva che da Sidi cl -I3arrani doveva portarle, nel gennaio del I 941, a Bardia, Tobruk cd oltre. (Il
Vd s. noti1.iario 30/ S del 15.11 . i'HO del Comando Superiore fF.AA. dcli' A.O.I.. do -
c 11111e1110 n .
86.
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LE OPERAZIONI IN AfRICA ORIENTALE
Questi avvenimenti non mancavano di avere ripercussioni anche in Africa Orientale sia galvanizzando gli avversari e ponendo a loro disposizione maggiori risorse, sia incidendo sulla possibilità del Comando Supremo italiano di devolvere attenzioni e sforzi a favore delle forze nell'Impero. Invero, nei primi mesi del conflitto il Comando Supremo aveva esercitato uno stretto controllo sulle attività delle forze italiane in A. O.; ma, per effetto degli avvenimenti in Albania, il 12 dicembre Badoglio era stato esonerato dalla carica; ora tutte le Autorità politiche e militari romane rivolgevano la loro attenzione ed i loro sforzi ali' esigenza prioritaria di dominare gli eventi in Albania ed in Africa Settentrionale. Così, mentre il Comando britannico del M.0., il 2 dicembre al Cairo, stabiliva i lineamenti delle operazioni offensive da condursi in Africa Settentrionale con inizio il 9 dicembre, e successivamente contro l'Eritrea ai primi di gennaio del 1941, il nostro Comando Superiore in Addis Abeba vedeva allontanarsi sia l'eventualità di una fine prossima del conflitto sia la possibilità di ricevere concorsi per effetto di una evoluzione favorevole della guerra marittima nel Mediterraneo e di quella terrestre in Africa Settentrionale. Veniva anche ad essere .fortemente diminuita la possibilità di ricevere mezzi aerei ed altri materiali a mezzo dell'aviotrasporto, per l'incidenza delle nuove esigenze divenute prioritarie per Roma e l'allontanamento delle basi aeree di partenza. Da questo momento· Roma non sarà in grado di dare rinforzi e non darà nemmeno direttive né ordini. Il Comando Superiore di Addis Abeba dovrà affrontare e risolvere da solo il problema di garantire la sopravvivenza dell'Impero nella nuova situazione, caratterizzata: dalla progressiva diminuzione del nostro potenziaìe bellico per il graduale consumo delle risorse, per il logorìo dellé truppe coloniali e per il diffuso malessere tra le popolazioni; e dal rapido aumento delle forze nemiche (soprattutto in mezzi tecnici moderni) e del loro morale per effetto anche dei successi conseguiti su altri fronti. Il passaggio dei Britannici dall'atteggiamento difensivo a quello offensivo assicurava ad essi il vantaggio dell'iniziativa delle operazioni in un momento che, a nostro maggior danno, coincideva con la fine del periodo delle piogge, che ridava libertà di movimento alle formazioni ribelli ed ai loro emissari.
PROVVEDIMENTI E DIRETIIVE DEL COMANDO SUPERIORE DI FRONTE A PROSPETIIVE
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Alla peggiorata situazione militare, generale e locale, si accompagnava infatti - abbastanza naturalmente - un deciso aggravarsi della situazione interna. Sul finire del 1940, gli intensificati collegamenti interni fra le formazioni ribelli, la diffusione di messaggi negussiti originali o apocrifi, e di lettere di fuorusciti o di ribelli creavano una vera e propria rete di propaganda e di intrigo; messaggi e lettere pervenivano anche ai capi a noi fedeli e talvolta ai militari coloniali, scuotendone la fiducia e seminando tra di essi l'indecisione. Questa forma di propaganda, non più generica ma specifica, che speculava su ogni conoscenza e relazione individuale, larga di promesse concrete, che sfruttava ogni episodio passato, diveniva sempre più pericolosa sia per gli effetti che aveva sui nostri capi, sia perché tendeva a rianimare e a riunire le disperse forze dissidenti. Emissari di numerosi formazioni ribelli, grandi e piccole, percorrevano il territorio, allacciavano relazioni e mantenevano contatti. Le lettere intercettate e consegnate ai comandi erano molte; ma, in complesso, la rete ordita a nostro danno era di difficile controllo, e soltanto operazioni a mano armata che riuscissero a sconvolgere il campo avversario avrebbero potuto spezzarla. La stasi militare aveva ripercussioni tanto più avvertite in quanto faceva seguito ad azioni il cui rapido e fortunato svolgimento aveva notevolmente influito sugli indigeni a noi indifferenti o ostili. Il crollo francese, sebbene attenuato nelle sue ripercussioni dalla mancata occupazione di Gibuti, le operazioni di Cassala, di Gallabat, di Kurmuk, di Moyale, e l'occupazione del Somaliland, avevano fortemente impressionato le popolazioni, e, soprattutto, quelle dello Scioa e del Hararino. La inattività successiva, il prolungarsi della guerra, il disagio provocato dalle sempre crescenti restrizioni dovevano invece preparare un terreno favorevole alla propaganda nemica. L'aiuto inglese non era ora più limitato a promesse che si ripetevano da anni; se lasciava ancora dei dubbi nel Beghemeder, nel Uollo, nello Scioa, ed in alcune parti dello stesso Goggiam, si era ormai trasformato in una realtà nell'Ermacciò e nell'Agaumeder, nelle regioni cioé a nord e a sud della strada che da Metemma porta a Gondar, nelle quali la ribellione era compatta e prendeva un aspetto
Il· Ol't-1(,\i'l(INI I N .\1-fllt \ <11{11-1',l ·\I I
dccisamrntc politico e nazionalistico. L'aiuto non si limitava pili ai soli bandi negussiti, che pur creavano irrequiete1.1a e destavano nostalgici se11tiJJ1enti appena sopiti, ma si concretava in denaro, radio, armi, munizioni; era rappresentato dall'intervento diretto di emissari inglesi e di nativi e persino dall'atterraggio, nel cuore del Goggiam, di aeroplani nemici. Ciò chL: maggiormente influiva su questa nuova fase della situazione politica interna, era soprattutto la rarefazione dei 11ostri mezzi <li trasporlo. Tale rarl'fo1.io11e, oltre a paraliuarc ben spesso l'imrnc<liatcua della nostra azione politirn e della reazione militare, incideva sui prca.i c non consentiva adeguati rifornimenti alle zone politicamente più srnsibili, anche se altrove vi era esuberanza di prodotti. I ccreali ; eccedenti i bisogni locali e di prezzo irrisorio nel Uolavevano raggiunto in Eritrea prezzi talmente proibitivi da crcan: lo, una vera e propria crisi d'ordine politico, ollre che economico.
li sale nei territori dello Scioa e del Goggiam aveva raggiunto prezzi mai conosciuti, neanche nel cessato regime negussita; essi toccavano in certe località le 1.200-1.400 lire al quintale. Né all'insufficienza dei trasporti poteva supplire il traffico carovaniero che pur rispondeva un tempo alle modeste esigenze dell'economia etiopica, e che a causa della guerra, delle requisizioni e delle strade, era stato fortemente intaccato od era, in certe zone, addirittura scomparso. I.a mancanza dei tessuti (conseguenza della chiusura 1ci t raffi L'Ì) e quella del sale (conseguenza della rarefazione dei mel.Zi di trasporto), l'inevitabile tendenza di ogni popolo primitivo a tesaurizzare in µuerra la moneta metallica, avevano decisamente influito sul corso del tallero. Al cessato equilibrio fra tallero, sale e tessuti, si aggiungevano, a determinare il rialzo del tallero, il rincaro e la mancanza di tutti gli altri prodotti italiani, commerciabili in lire, così che veniva ridotto di fatto, cd in modo molto sensibile, l'effettivo potere d'acquisto della valuta italiana.
l'IH)VV l'IJIM[ NTI f' l)IIU' rll\T 1)1 I C-Cl\1ANl>O ' l ' l'I IUORf PI I MO'll I .\ l'll<l'l' I 111\'I
1(,J
E poiché l'economia indigena aveva wmc mezzo principale di scambio il tallero, l'aumento del suo prezzo da f. 12 in media a (. 35 circa, senza accenno a stabilizzarsi, incideva in modo grave e preoccupante, specie su quell'enorme massa di nativi, circa 500.000, c he percepivano paghe in lire e rappresentavano l'ossatura milit are e politica dell' A.O.I.: il loro sfaldamento poteva significare lo sl'alda111c11to totale di tutta l'organizzazione d el territ o rio 11). Q uesto complesso di cause, 11011 aveva ancora provocato in dicembre situazioni nette, né fatti nuovi di grande rilievo, 111a si rivelava in sintomi che denotavano un aggravarsi giornaliero della situazione interna. Erano sintomi del momento: il polarizzarsi di armati intorno agli esponenti della ribellione che intensificavano incitamenti, promesse e arruolament i e le cui forze erano dovunque segnalate in aume nto; la decisa recrudescenza delle diserzioni, più che triplicatesi nel mese di novembre e in costante aumento; la irrequietezza generale e l'aggressività avversaria che si manifestava con a zioni armate, con minacce alle famiglie dei nostri militari e ne i tentativi di isolamento dei nostri mercati, soprattutt o nell'Amara. Le compagini ribelli erano in attesa degli av'vcnimcnti che sentivano prossimi, attesa particolarmente irrequieta là dove era più intensa l'azione del nemico e più vicina la guerra. Per il momento si era lontani ancora da un fronte unico della ribellione; dissensi profondi dividevano le formazioni ribelli nel Beghemeder, nelle regioni a nord e ad ovest di Gondar; mancava l'animatore della ribellione nello Scioa. Ma il Comando Superiore non poteva non tenere presente che questo fronte poteva costituirsi in qualsiasi momento sotto la pressione straniera; che le formazioni ribelli (I) Nel progressivo s,a(kre <ld rote re di a,quis10 della mnncta italiana e di quella etiopi,:a si possono di stinguere le ~cguenti la.\ i: I• fuse: la lirn carta circola nt'I rnppo110 di 12 lire Jl<'r un tallero:
l" fuse: la lira carta 11011 è più accct1ata dagli indi~l·ni che ~i lihcra tu) 11111i di quella i11 loro possessl• cedc11dol11 nl ca mbio cli IO lire calla per 6 li1c nikd;
1° fase: la mo11c1a i11,llntia non ha più ,;1p11cità di a,qu iMo; si i: cowc11l a mc11t:rt· su l 111nca· 10 k riserve In 1atlnl; 4 • f ase: i talleri perdono potere d'acquisJo, ttli operai ~ono paguti in p~11r ron ~aie: 5" fase: venijlrno rlfiu t:ui anc:hc i talleri argento. tulio ~i riduc.: allo ~l'ambio tli n1l'1t·I.
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LE OPERAZIONI IN AFRl<.:A ORIENTALE
tentennanti e in relazione con noi, potevano, da un momento all'altro, riprendere la loro aggressività; che potevano ricostituirsi quelle formazioni che la combinata azione politica e militare aveva spezzate e disgiunte; che, infine, la fedeltà di molti, di moltissimi capi era in relazione diretta con la nostra forza. L'aggravarsi della situazione economica non mancava di avere ripercussioni negative anche sul morale delle nostre truppe coloniali, poco idonee ad una guerra difensiva e di usura, come lamentato da una lettera del Viceré al Maresciallo Badoglio, del 18 novembre 1940 <1) .
2. LE DECISIONI DEL COMANDO SUPERIORE DI ADDIS ABEBA NEI RIGUARDI DELLA STRATEGIA DIFENSIVA DA SEGUIRE
Nel novembre e dicembre 1940, dinnanzi al progressivo mutare della situazione, la questione della strategia da seguire in caso di sempre più probabili iniziative avversarie diveniva argome.nto di dibattito fra i maggiori Comandi in Africa Orientale. Il più pronto ad avvertire i sintomi del mutamento era il Comando dello scacchiere nord; posto in allarme dalle notizie di afflussi di forze e dall'andamento degli avvenimenti di M. Sciusceib e di Gallabat, in una lettP.ra dell'8 novembre <2), esso invitava i Comandanti delle truppe dipendenti a «tutto prevedere, anche il peggio. E pertanto dobbiamo cominciare a considerare, non solo come orientamento ma come pratico studio di carattere precauzionale, la intelaiatura di una difesa arretrata; nell'Eritrea la linea dei vecchi forti rappresenta di già una base da considerarsi; nel!' Amara la piazza di Gondar con lo sbarramento delle comunicazioni al margine dell'Altopiano». In questa lettera si parla ancora, per la prima volta, di questa zona «quale ridotto centrale di difesa». In due fogli successivi, del 22 e del 27 novembre <3) il Comando Superiore di Addis Abeba dava al Comando scacchiere nord notizia dei rafforzamenti conseguiti dall'avversario e manifestava le sue (I) Vds . documento n. 87.
(2) F. 015745/0p. in data 8.11.1940, documento n. 88. (3) Fogli n. 334479 del 22.11. I940, documento n. 89, e n. 35/S del 27.11.1940, documen-
to n. 90.
PROVV EIJ IMENTI E DIRETTIVE DEL COMANDO SUPERIORE DI FRONTE A PROSPETTIV E
1.63
previsioni di una imminente offensiva inglese. Pur invitando a predisporre difese ad oltranza di posizioni arretrate esso esprimeva un orientamento a sostenere una battaglia nel Bassopiano: «fermare frontalmente contromanovrare sui fianchi e sul tergo» avvalendosi del possesso di alcune località quali perni di manovra. A tale concetto di «battaglia di arresto manovrata sulle posizioni attuali» aderiva, in una sua lettera al Comando Superiore del 27 novembre (1), il generale Frusci, il quale però riferiva circa le direttive emanate 1'8 novembre per predisporre anche le difese arretrate e circa la possibilità di ripiegamenti contenendo l'avanzata nemica su successive linee di attestamento. Su tale concetto di «difesa in posto» per «mantenere l'integrità di tutto il territorio dell'Impero» erano ancora impostate le direttive del Comandante dello Scacchiere nord ai Comandanti dipendenti, del 3 dicembre I 940 <2>, le quali, peraltro, si diffondevano in istruzioni circa un eventuale ripiegamento ed una difesa arretrata essendo «necessario pensare, fin d'ora, alla possibilità di dover addivenire ad una contrazione dello schieramento su posizioni arretrate, difensivamente più idoneé per fattori geografico-militari e meglio rispondenti alla qualità delle nostre forze». Appare evidente come esistesse una differenza di vedute fra il Comando Superiore di Addis Abeba, orientato ad una battaglia manovrata nel Bassopiano, ed il Comando scacchiere nord, che aderiva alle direttive ma era piuttosto convinto della oppòrtunità di una contrazione e di una difesa arretrata al margine dell'Altopiano . La possibilità di un'offensiva nemica di vasta portata contro l' A.O.I., manifesta nella prima decade di novembre, si trasformava in quasi certezza verso la. fine del mese. Preparativi affrettati erano evidenti e notizie varie, se pur non controllabili, indicavano la prima decade di dicembre come data probabile d'inizio dell'attacco . Senonché, all'improvviso, l'atteggiamento nemico subì un deciso cambiamento: la pressione già in progressivo aumento diminuì di intensità; i quotidiani bombardamenti di Gallabat, divennero meno rabbiosi; l'afflusso delle riserve verso I' Atbara rallentò. Nell'azione aerea le singole spedizioni furono affidate a pochi apparecchi. (1) Foglio 016684 in data 27.11.1940, documento n. 91 .
(2) F. 016921/0p. del 3.12. 1940, documento, n. 92 .
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l·.vidcnterncntc ciò era conncs-;o con l'intcndi111c1110 britannico di allrontare preventivamente la minaccia che le nostre forze nell' i\frica Sctlcntrionak si accingevano a portare verso !\farsa Matruh. 11 9 dicembre aveva i11i1io. infatti, l'offensiva hritannica a Sidi clBan ani. che riportava immediatamente grossi successi e che doveva avere latalmcnlc gravi ripercussioni sulla situai.ione in Africa Orientale. Ciò ern avvertito dal ( ·apo del Governo che, in un suo messaggio del 14 dicembre <11, aflcnnava <<est ch iaro che quanto è accaduto in Mar111arica avrà in tc111po 11011 remoto il suo seguito ai confini C'tiopici» cd invitavu alla mas..,,irna vigila111.a . Oa parte sua il Comanùo ùcllc l ·I· .AA. dcli' A .O. I . ne deduceva che i Britannici in tendevano ricacciare la minaccia delle nostre truppe in Africn Settentrionale prima di allac<.:arci nell'Africa Orientale e s<.:riveva in un rapporto al Capo del Governo in data 16 dicembre 1~!: «Tolto ogni carattere di minacciosità alle nostre truppe del Nord Africa avrebbero fallo convergere sul nostro fronte tutta la loro aviazione e probabilmente buona parte delle loro unità motorizzate per un colpo a fondo contro di noi che, riuscendo, segnerebbe il principio della fine dell'Impero». Mussolini rispondeva nei seguenti termini: «Concordo <.:on quanto esponete. Data e soprattullo ampiezza azione nemica sarà determinata da quanto succederà nel prossimo tempo negli scacchieri del Mediterraneo libico e greco che impegnano imponenti forze nernid1e. Dislocamento in atto di ingenti forze aeree tedesche nel Mediterraneo non permelterà almeno per qualche tempo rapida manovra verso Etiopia forze aeree inglesi. Nel fnlltempo faremo quanto possibile per rafforzare aviazione A.O .. Sono assolutamente sicuro che Voi e tutti, sul Vostro esempio, terrete sino a!Pultlmo. Est necessario fa re quanto è possibile dal lato morale e materiale per assicurarci lealtà truppe ind igene e soprattutto per ev itare la sorpresa» Ol. Dunque, l'imm inente offensiva britannica non costituiva una sorpresa né erano ignoti l'entità cd i mezzi delle forze che ci fronteggiavano . È <la ritenere, peraltro, che non venissero attribuite aWavversario le possibilità risolutive e le <.:apacità di penetrazione che doveva (I) Tclt: 4664/0p. del 14. 12. 19-IO, dornlll<'lllo 11. 9.1 . (2) F.42/S del 16.12.1940, dow111e1110 11 . 94. (J) Tele 4881 del 22. 12. 1'140, do,·11111c1110 11 . 95.
P l(C)\\l'l>l\11·!'. l l I• f)IIO· lll\' I
D l i ( t1\l\ ' . I H) , 1.J 1 l l{lttUI• IJI J l{cl~II
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poi rivdarc attra \'aso l:1 !-.II IH.'I 11>111 ù :ILTl'.t 1· l'i111 picgo di i'or;l' n111hi . li e 11wlot:()félt.1.a1e so~tt·n111c d .. 1111,1 1·nrtt· .111ig.li ...·ria . C<)ntinuava quindi u11a c1·1ta f idu,:i:1 d1 i,1111 f"II L' 1:ilkn t,111· 1.· , , 1· dd caso, co11tct1l'l"l' cd :in rst an- l':l\·a111..11a :1cavallo dei p1 i11cipali iti ncrari si raclali, 111c111 n: 1·cvc11111;ili1;'1 di i11~ul'1·t·s-.i era lt.'111tll :i ,upr:11
111110 i11 rda1.io11e al t·1111., qu 1L·111 e 11rcved1h1k a.1!J.!l'.lv:11 si ddh ~i111:11i1 111°'· i111 crna. Di fro111c al delim·a, si della 11uo\·a si111a1io11e il Cu111;111d11 Supe riore aveva ri nforzal o lo Sc.1t:d1krc Nord: nel scflMc erilH'<i, ron 4 liri.u:llc della ,11.1 riscrv:1 li i . ~I. XVI. X l. I), I l>a ttaglionc 10110 da t\ ssah. I grnppn da 105 1· 1t111 i i 1'111:ili ant icarro di preda bellica disponihili; nel scltorc di Gallahat , co11 la VI e la I .X l hritial.i. ml fntppn bande Uollo Amha!-,;l'I cd allri ekmc111i minori (I gruppo da l(HI , I balleria da 20, l plo1011c a1nirarro, I com pagnia mitra!llil'ri, I compag11ia mo n ai da 81). Erano restai i a disposizione del Co111 a11do Superiore: ndl'Hararino: 2 brigale ri1cn11t \.: inc.lispcnsabi li per rinfornm: L'Vrn1ualrncntc il settore (ìiuba, per difendere il Soma liland cd cve11 1ualmcnte la Cosla Francese e.lei Somali; ad Addis Abeba: 4 battaglioni della divi-.ionc «Cacrialo ri d 'Africa» per la clifcsu ùcl presidi o e delle i111111cdiatc vici11a111..c e la divisione «Granatieri di Savoi:.n, (9 bàtlaglioni di cui J rc. 1111 . ) pn cont ribuire, col concorso di altri 7 balt aglioni cc.:. 1111., a tenere a freno lo Scion, e per l'ullima difesa della Capitale. · L'a1 tcggiamen to da tenere veniva inl inc fissa to dal Comando SuJK'riorc di Addis Abeba in c.lire11i,·c.: diramate, il 24 ùiccmbrl', ai rnmandanti di ·scacchiere, dcli ' Aeronautica e della Marina Cli e notificate al Comando Supremo il 30 dello stesso mese !ll . Va posto in rilievo che, a differenza di precedenti occasioni <'SSL' lll)ll erano co nseguenti ad ordi ni o direll.ivc di Roma né eran o state
precedentemente approvate. Esse cos1 ituiscono una tcstimoniam•a della si1uazionc di isolamento delle for ze in A.O. e rappresentano 1·1111ica (I) F. n . 3J5270 del 24. 12. 1940, clorn111c1110 11 . Yò.
(2) F. -1~/ S dl'I 30.12. 1940, rlornmc1110 11 '17.
166
LE OPERAZIONI IN AfRICA ORIENTALE
risposta che il Comando Superiore crederà di poter dare al profilarsi dell'offensiva avversaria. Esse rappresentano un documento importante in quanto saranno le uniche direttive espresse da quel Comando, cui faranno seguito solo ordini e provvedimenti esecutivi in vista di contrastare in qualche modo le iniziative e le manovre dell'avversario. Si ritiene utile, perciò, riportarle qui per esteso: «SCACCHIERE NEMICO.
. «Notizie accertate danno contro di noi una forza valutabile dai 210 ai 230 mila uomini così ripartiti: -
da Mombasa al lago Rodolfo, circà 100.000 uomini in condizioni di attaccare quanto lo scacchiere Giuba tanto quello sud;
-
dal lago Rodolfo al Nilo, numero imprecisato (forse 5.000) di elementi irregolari e di fuoriusciti inquadrati da Inglesi; dal Nilo a Porto Sudan, una massa di forza imprecisabile perché in continuo aumento valutabile dai 100 ai 110.000 uomini; ad Aden, una massa dai 10 ai 20.000 uomini in attesa, molto probabilmente, di tentare uno sbarco nel Somaliland oppure a Gibuti o in entrambe le regioni.
-
«PROBABILI INTENZIONI AVVERSARIE (I).
«Dobbiamo pertanto aspettarci in 4n tempo più o meno imminente: «1° - Un attacco a fondo dal Nilo a porto Sudan:
«Sulle sue modalità esecutive si possono fare queste due ipotesi: a) attacco a fondo sulla direttrice di Gallabat-Gondar (primo
obiettivo Gondar) sussidiato da due azioni concomitanti su Gubba-Uomberà a destra, e su Om Ager a sini$tra; questo attacco sarebbe preceduto od accompagnato da un'azione dimostrativa suf fronte Om Ager (escluso)-M. Maman (compreso); b) attacco a fondo contro l'Er_itrea sul fronte Tessenei-M. Maman con primo obiettivo Agordat; questo attacco sarebbe sussidiato da quello su Gallabat in direzione Gondar e più tardi potrebbe essere rinforzato da un attacco su KaroraCheren. (I) Per la Toponomastica Vds. carta n. I e schizzi nn. 19 e 21.
PROVV EDIMENTI E DIRETTIVE DEL COMANDO SUPERIORE DI FRONTE A PROSPETTIVE
167
SCHIZZO N. 19
DIRETTIVE DEL COMANDO SUPERIORE FF.AA. DELL'A.0 .1. IN DATA 24 DICEMBRE 1940 PER LA COSTITUZIONE DI RIDOTTI NEI VARI SCACCHIERI
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«/\11(1 stato ;111uak dèlk l'OS'-'. la pri111a ipolcsi appa1c piit probahik della scù111da. «2" - Alfaffo a fondu co1111·0 il /i·onte sud: <<f: probabile che esso preceda nel 1empo 1',11io11e precedcnlc 111a non si puù neanche c~dlldcre che esso si svol~!a dopo la riu -
scita vittoriosa di C<.,sa. «Dallo schieramento 11cl Kcnia 11\Jll si possono dcsu111c1c le li11cc generali del pia,w :ivvcrsario.
«Come semplice ind111i1111c <;Ì può credere: a) un 'azione sussidiaria El Uach -Bardera e forse Lugh Fcrrandi
per creare un fianco di fcnsivo L' per interrompere la strada Mogaùiscio-Negllclli; IJ)
in seguito at1acco da sud e da ovest su Chisimaio per eliminare 111 possibilitù di una nostra azione controffensiva sul loro fianco destro nel caso di attacco della fronte Manucralago Rodolfo.
<<3° - Sharrn Somalilmu/. Gihuti, nel caso di sviluppo vittorioso dei due allacchi precedenti, con ohicllivo I/arar.
«Non è neanche da escludere un'azione in Migiurtinia a scopo impcgnatl\'o. <<NOS IKE POSSIIIII.I I A.
«li rapporto numerico assoluto fra le nostre forze e quelle avversarie dà a noi una .certa superiorità numerica; ma bisogna tenere conto: a)
che una aliquota sensibile delle nostre forze è impegnata per tenere a freno la rivolta interna;
b) che il nemico avendo l'iniziativa può fare massa dove vuole, e pur
essendo complessivamente più debole può, nel punto voluto, raggiungere una schiaccianlc superiorità; e)
che il nemico ci soverchia per carri armati, autoblindo. artiglieria autoportata, per autocarri, per armi antiaeree e per aviazione; cioè proprio lù dove noi siamo deboli per mancanza quasi assoluta di armi anticarro e antiaeree, per grande deficienza di carburante e gomme, per illf'eriorità quantitativa e qualitativa di apparecchi.
l'I\Cl\' \ l ·lll~TI N 11 I' lll~t' I rl \'I· 111'1
< 11\1,\N I l< > ~I l'I 1111 liii PI I I« IN I I• '\ l' I« l ~l ' I I 111 1·
I(,')
«Noi possiamo contare sulle migliori capacità co mbat tive delle nostre truppe e su l più alto valore della nostra aviazione; d) che la quasi totalità delle nostre forze è costituita da truppe indi -
gene ottime per l'attacco, meno buone per la difesa, irruenti, non tenaci, facili allo sgomento se le cose si mettono male. Molte cli esse sono costituite da elementi di fedeltà tutl 'altro che provata, pronti ad abbandonarci, se non a rivol tarsi, qu ando vedono ch e la vittoria è deglì Inglesi. « PROVVE DI MEN J'I PRESI.
«Convinto che il primo uno sarà al nord del Nilo e che se riuscissimo a rintu zzarlo , anche sugli altri fronti l'offensiva sosterebbe dandoci qualche mese di respiro e forse consentendoci di arrivare alla stagione delle piogge, ho concentrato nel settore nord tutte le for ze che avevo a mia disposizi one e credo che vi potranno resistere. Il gen. Frusci sa che buona pane delle sorti dell'Impero è nelle sue mani . Egli ha fid ucia; se terrà duro anche gli altri scacchieri potranno resistere; se egli sarà travolto tutto crollerà . « DIRETTIVE PER L'A VV EN IRE .
«Bisogna avere fiducia e sperare bene, ma è anche doveroso prospettarsi le ipotesi peggiori; se non si avvereranno tanto meglio, se si realizzeranno saremo preparati ad affrontarle. «Se noi fossimo sfondati dall'attacco nemico avremo contro non so lo le popolazioni ribelli , ma anche quelle oggi incerte che si butteranno sulle nostre retrovie rendendole impercorribili; molte delle nostre truppe indigene si sbanderanno durante la lunga ritirata. Non solo, ma perderemmo progressivamente tutto l' Impero per ridurci ad un un ico ridotto centrale nel quale dovremmo concentrare tutt a la popolazi one bianca che non potremmo alimentare. «È pertanto assurdo pensare ad un fronte unico semicircolare progressivamente restringentesi su lla capitale. «Per evitare i mali di c.ui sopra è necessario formare in ciascuna delle più impananti regioni dell' Impero un ridotto nel quale ogni scacchiere dovrà resistere ad oltranza con i propri mc~.Li . «Si allega un lucido - da sovrapporre alla can a al 1: 1.000.000 - - dal q uale appare a puro tiwlo oriemarivo l'and<1mc1110 generale
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
che potrebbero avere i ridotti di ogni regione: Eritrea, Amara, Goggiam, Dessié, Scioa, Galla e Sidama, Mogadiscio, Harar (vds. schizzo n. 20). «I comandanti in indirizzo mi diranno entro il IO gennaio p.v._ il loro parere in materia con l'indicazione delle linee esterne e dei capisaldi dei ridotti e l'andamento della cintura del nucleo centrale. «È sottinteso che a questi ridotti bisogna venire solo quando ogni difesa più ampia e più continua fosse materialmente impossibile.
«In caso di attacco nemico le truppe di ciascuno scacchiere dovranno impegnarsi a fondo per respingerlo non irrigidendosi nella difesa passiva di posizioni che potrebbero sempre essere accerchiate o sfondate, ma tenendo testa con poche forze per poi contrattaccare accanitamente sui fianchi. Ciò non è difficile perché risponde allo spirito delle nostre truppe, perché le strade utili sono poche e ben determinate, perché al nemico sono indispensabili molti automezzi, e distruggerli vuol dire fermarlo. «Il largo uso di interruzioni stradali e l'impiego su vasta scala dei pezzi da 65 in funzione anticarro saranno parte eminente della nostra tattica. «Mentre, verificandosi l'ipotesi che si considera, le truppe di terra saranno costrette a frazionarsi nei singoli ridotti e svolgervi azione isolata, l'aviazione continuerà ad avere un impiego accentrato in base agli ordini che darò all'Eccellenza Pinna di volta in volta. Decentrati invece resteranno i mezzi sia per avere un maggiore contatto con i comandanti di scacchiere che continueranno ad impiegare la rispettiva aviazione con le norme attuali sia per non dover agglomerare i mezzi su pochi campi. Ciò non toglie che di volta in volta si possa far massa a favore di quello o quell'altro scacchiere. «Alla Marina oltre al compito attuale - molestare il traffico nel Mar Rosso - competerà la difesa di Massaua. «Ove per assoluta prevalenza numerica dell'avversario non si potesse fermarlo al confine e se anche i successivi contrattacchi durante la sua avanzata non riuscissero, ciascun comandante di scacchiere provvederà a raccogliere tutte le forze utili nei ridotti di cui al numero VI, ed in essi e per essi resisterà ad oltranza anche se completamente circondato ed isolato.
PROVVEDIMENTI E DIRETIIVE DEL COMANDO SUPERIORE 0 1 FRONTE A PRQSPETIIVE
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«In questi ridotti si raccoglieranno tutte le truppe regolari; le bande di sicura fedeità resteranno fuori per agire sulle retrovie nemiche e per organizzare ed appoggiare l'azione analoga delle popolazioni restateci fedeli. «Tutta la popolazione nazionale dovrà essere raccolta nei ridotti. «I comandanti di scacchiere provvedano fin d'ora e con le dovute cautele, per non destare un panico prematuro, a raccogliere nell' ambito del rispettivo ridotto tutte le risorse per vivere e combattere. «Per conto suo questo Comando provvede ad organizzare un ridotto centrale costituito da: -
una serie di capisaldi avanzati all'incirca nelle regioni di DessièDebra Berhan-Ficcé-Ambò- Uolisò-Moggio;
-
una serie di capisaldi arretrati nelle regioni di Sendefà-SulultàOlettà-Sabatà-Acachi-Ciaffendenza; un ultimo ridotto costituito dall'attuale cinta di sicurezza di Addis Abeba.
«Nel dettare queste direttive ho voluto di partito preso considerare l'ipotesi per noi più sfavorevole, ma ciò non significa affatto che io la consideri fra le più probabili; semplicemente essa non è impossibile. Ma quand'anche avesse una sola probabilità su mille di verificarsi dobbiamo considerarla e predisporre tutto quanto è predisponibile perché, se per sciagura dovesse verificarsi, animi e mezzi siano pronti a fronteggiarla. «Queste direttive si rivolgono esclusivamente ai comandanti in indirizzo.
«Proibito darne comunicazione anche solo parziale a qualsiasi ufficiale od ente dipendente. «Esse servono esclusivamente per loro orientamento, perché studino fin d'ora le decisioni che dovranno prendere, perché possano attuare i provvedimt)nti esecutivi possibili senza gettare nelle truppe e nelle popolazioni il panico e senza che esse indeboliscano la resistenza che dobbiamo opporre al nemico sul confine lottandovi con tutta l'energia e con tutta la fede. - Il Viceré d'Etiopia Governatore Generale dell' A.O.I. Comandante Superiore delle Forze Armate Amedeo di Savoia».
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LI: OJ'ER ,\LJON J IN J\rH IC A Okl l '.'- 1,\J.r
- - -- - -- - - - - - - - - ~ - - - - - -- - - ~ Evidentemente queste direttive erano intonate ad una valutazione pessimistica della situazione dinanzi alla quale veniva prevista una resistenza accanita ma non una vera e propria strategia difensiva. Il fatto è che, in quel momento, non si prevedeva l'allargamento del conflitto a Russia, Giappone e Stati Uniti e si era sempre fiduciosi in una vittoria in Europa, mentre si stava divenendo sempre più coscienti della situazione disperata, a più o meno lunga scadenza, dell' Impero. Ma, ad Addis Abeba, nessuno voleva essere accusato di condotta debole ed incerta o di pessimismo disfattista, con l'abbandono volontario di territori e posizioni appena ieri conquistati; cosa diversa sarebbe stata se abbandoni e ripiegamenti fossero stati imposti dalla pressione avversaria. In secondo luogo si temevano le ripercussioni interne di arretramenti che rivelassero la nostra debolezza; forse, anche, non si avvertivano appieno né si attribuivano ai Britannici quelle possibilità di rapido successo che erano loro conferite da un ampio ricorso a mezzi potenti e moderni; a quei mezzi che, del resto, avevano consentito a noì la rapida conquista dell'Etiopia solo alcuni anni prima e il cui impiego ora doveva risultare agevolato dallo sfruttamento di quella rete cli <;tracie e di opere d 'a rte che il nostro lavoro aveva così rapidamente costruiro in Etiopia. Infine, ci si preoccupava di creare agglomerazioni di forze che potessero tutelare le popolazioni civili nazionali dinanzi alle possibili esplosioni di odio razziale dei ribelli in caso di eventi sfortunati.
L: vero che venivano indicati ridotti e posizioni f'onJamcntali su n1i condurre la rcsistc111a ad nit ran za o per il lllaggior tempo possi-
bile; rna, in prnt ica, <;Ì t ratt :1, a ,olo di 1111 orienta111c11tn mrntale dei <'p111a11da11t i di scan:llier1.' (~·l it' non dovevano pa1 lai 1.· :1 11cssu110 di q 1H·,1c dirc1tive) \'('l'SO 1111a <;C1l11t·io1H· di ripkgo ;1 cui rit·c,rrcrc solo q· e q11ando obbligati dalla 111anon:1 avversaria.
La prima battaglia Jiknsiva era prevista ancma ;,Ile fro11ticrc . a difesa dcll'intcgritù dcll'lmpno; veniva sc111plii:c111c11tc introdotto il concetto che tale battaglia doveva essere manovrata e 11011 ridotta a 111cra resistenza passiva di po1,i1ilHli e che un eventuale insuccesso 11011 avrebbe dovuto significare il crollo, in quanto la resistenza avrebbe dlH uto proseguire nei ri dotti.
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/\nelle l'apptl'/1:1111l·11to t''-f•rc·,,11 rrl·i 1ii•.u:irdi dl'il' in q ,1111 :1111:r prioritaria <kllo hc:1c1:hicrc 11Prd 11011 ,i t r:1<1111.·e,·:1 i11 cln-i,iP11i :Hk guate; infatli il rnffor1a111l·1 1t(1 ckllt1 s1.·:il·cl1i(Tl' vcni,·.t d ·lc-11 11:1111 pre. vak111c111e1He l'On foue co lt1nia li 111t·111re llllll' k u111t:1 na1in11:ili cra11n lllanll'tlllte all<HIW ad /\ddi, Abeba: llL' si veniva i11co111rc1 alle csi , gc11zc da tempo prospc11 :11 c d,dll1 "rnl'chi crc di ripil'ga rc cLil lla,stipiano e ùi organizzare la ba11aglia ùifcmi va sull'/\ltopiano. :su po sizioni più ido11cc /\11cura, 11011 vc11i, a al fatto avvc1 tita la di n il'olli, Lii predisporre cunlclllpora11ca111c111e la difL·sa al cu11li11ç e q11i.:lla dl·i ridotti, né di cu1111.: ~i said1lw p01u1i passan: d.ill'um, al l' al11:i, .ill'ul ti11Hi 111u111r11lll l' sollo la prcss io1 1e di ant.·1sari piit 1nubili l' pPlL'll li . 111 pratica, s i 1i11via,·a ogni d,.:'-·i,i11111.· di 111a11mTa ;il 11 1< >1 lll'lllu 111 cttt essa ro-.si.: stata 11cces., aria cd i111pllst.1 d:.111 'av\'l'r~:11 i(1, 1itL'll c1 Hl(1 p<1,; .. sibik di co11trollarla l' 1H111 an\'!'ll'lldll qua11to l'e'> itP a, rt·lll ll.· 11pt11t(1 essere.: disastroso quando t·sçg11i1a in tali Cl>nd i1.io11i. Orientando. poi. ogni si.:aù·hil'rc alla co11dot1a di 1111;1 t1il·c,a a11 llllllllllél alla frontil'r..i e 111.'i 1idt)l ti. 1.'ssa com·a lida\'a k prL (ll.' l'ltp:i1io11i l' k tc11dc11n · di l'iascun roinanda111c a condu r, L' la prnp1 i:1 !!ll(Tr:1 l' rinum:iava a rcaliuan.: una 111 ;111t1, ra di.:lk for,c; qlll'Sla . i11l :111i , 1.•1;1 vista limitatament e all'impiego de lle forte aeree. ()11:into insodclisraccnt i f"os'- CW queste clircltiv<: ~1pp:iri\·a 11tlk osserva1in11i del (ìrn. (ìancra, d11.: il 5 µc1111aio <1l: sot tPli11c;1va l'i111 porta111a ùi a1111arc in prccnk111a quei l'OllCl'11tra111t·n1i di 11.11iona li e Lii l'or;c che si ritl'lll:'Ssero utili e nccc<;saric, criticav~, l'irn piC'gP eccessivo di forze li favore ùi Addis /\bch,t e proponeva la co'lilu1il ll c di due l!rossc 111asst' di t'orza. sctll'lllrionak e meridionale. 111:1 'i<1'1c11nc ba1taglic in l:..tmpo aperto . f: \Cro che am:h't1.!li prcvt·tk\'a di cedere volontariu111cntc il mc1w p<1~~ihilc del territorio e '> i laccva parecchie illusioni circa la pos<;i bil i1:ì d i <c una rcsistl'nta m~11tO\Tala fino all'ultimo)) ùl frnntc ad un m·vcrsmio più idoneo alla 111:111ovr:i. 1
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
ma comunque era contrario ai ridotti e suggeriva manovre a tutela di quelle che considerava le posizioni fondamentali strategiche: l'Eritrea e Mogadiscio. Anche il Comando Scacchiere nord con un foglio dell'8 gennaio (I), pur aderendo formalmente alle direttive, in pratica ne contrastava l'orientamento ad una prima difesa sulle posizioni fino ad allora occupate e proponeva invece di alleggerire immediatamente il presidio di Cassala e di orientarsi ad una battaglia difensiva sulle posizioni arretrate dell'Altopiano, già suggerite da tale Comando nelle sue comunicazioni del novembre e del dicembre. Come si è accennato, queste direttive, a differenza di quanto era avvenuto fino all'allontanamento di Badoglio, non erano conseguenti ad ordini o direttive di Roma né erano state preventivamente approvate dal Comando Supremo cui saranno inviate per informazione solo il 30 dicembre. Esse indicano una assunzione di responsabilità del Comando Superiore delle Forze Armate dell' A.O.I., ma ci dicono che, evidentemente, il Viceré ed il suo Capo di SM, il gen. Trezzani, non si sentivano l'animo di fare scelte precise e coraggiose che avrebbero potuto però essere oggetto di critiche e accusate di visione rinunciataria e disfattista. Vi era, in essi, evidentemente, la speranza che la resistenza potesse prolungarsi almeno fino al luglio 1941, quando la nuova stagione delle pioggie avrebbe potuto dare un tempo di respiro; nel frattempo qualche decisione favorevole avrebbe potuto essere raggiunta in Europa. Mentre testimoniano una valutazione abbastanza informata e corretta della situazione, esse rivelano una mancanza di decisione di come meglio affrontarla, alternando un rassegnato pessimismo circa l'esito finale della lotta con motivi di speranza in eventi favorevoli, al di fuori - però - del proprio controllo. L'orientamento ad una strategia di «attesa periferica», seguita da resistenze ritardatrici e da una difesa ad oltranza dei «ridotti» rispecchia, insieme al prevalere di preoccupazioni di ordine politico, anche la mancanza di una esatta valutazione delle possibilità risolutive di forze avversarie relativamente esigue ma meglio armate e sostenute da un efficiente dispositivo logistico. (I) F.01149/0p. in data 8.1.1941 del Comando Scacchiere nord, documento n. 99.
PARTE TERZA
L'OFFENSIVA BRITANNICA AL CUORE DELL'IMPERO (Gennaio-Maggio 1941)
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<ìLl ULTI1'v1I PROVVEDIMENTI IN VISTA 1.>r,LLJ\ I ~1M I Nt-:NTI'. OFFFNSI V J\ BR ITA NN ICI\
L'anno 19111 aveva rns ì ini1io. in una situa1.ionc di al lesa di i111mi11e111i .sfoJ'l.i offensivi hrita1111ici . rn i si sarebbe co nt1appos1:1 un;1
~11 alcgia difensiva iu1lia11a oric111 :11a: a sostrnc1c il pri,111, 111 tn alla pc1 il'cria Lkll'Jmpcro , a rcsistc,11.L·, itardarrki in prnl'omlitù, e ad una rcsistcn1.:1 ad oltranza i11 riJ01t i dis1i11 ti per ciascun srnccliicre e in un ridotlo crntralc attorno alla Ca pitale (l'ds, schizzo 11. 20). ì\ ta, co111c si è giù iudicato, ,:~ istcvuno 11d Comando si.:an:liicrc ,wrd u na <lccisa sfiducia nella l'L•<.sibili1à <li sostenere lo s frn:1.0 di ·
fcn sivo nel Bassopiano cd un o, ic1111111c11Lo ad am;trare il grosso ddk: for 1.c alle fot Ii po!>i,.ioui <ldla <dilll·:i dl'i vc1.:chi l'orli>> (Cuh Cuh, Cltc .. rc.:11, Agor<lat , Darc11t ù).
In cunscgucnzn, Il IOgc11n:1i() , aveva luogo ad Addis Ahcha 1111n riunione presieduta dal Vice, é nella quale veniva csami1F1t;1 l'oppor · tunitù di u11 n CVt'rH11ak t.:onl r ,1i'.Ì011c dl'llo sc hicrnmcnto ~111 Ironi e 111·. cid\.·ntak eritreo; ad essa part eci pavano: il gcn. Trczznui, il Vil·egovernatore dott. Dnodiar:c, l ' /\Ilo Commissario senatore Ga. <;parini. il generale Pinna , il capo ufficin oper:v.ioni ùcllc FF./\:\. col. t\1o11tc1.ernol o eù il Capo di SM del co111a11do sc,K~·hicr,: 111.Hll , ..:ol. Pi n orno. Questi, in rapprcscnt:11m1 del comandante che aveva gi:\ scillcvata la questione col foglio in data 1, c~primcva il parere che 1111:1 hall aglia 11d Bassopian o ..:ont n1 fo rze pwv-.istc cli men.i 111ctTat1 ii' 1..11 i i11 larga niisura, ;111chc se 1:nr i-:;11rn.·11tc vit1u1iosa, avrebbe.: 1ncs:,o k 11,1~tre truppe in !(ravi condi7io ni e nella inipossibilitù di l'ront cggiarc ulteriori tentativi d ' invasione per l'uc;111a del com ha1ti111 c1110, che sarebbe stata gravi s-; ima, t.: per la skura perdi ta cli unità is(ilatc.: l'spostc al pc rkolo di a..:ccn:hiamenl1).
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 20
SCHIERAMENTO DELLE FORZE ITALIANE AL 10-1-41 E STIMA, A QUELLA DATA, DELLE FORZE BRITANNICHE CONTRAPPOSTE
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ULTIMI PROVVEDIMENTI
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Parere contrario al ripiegamento espressero le due autorità politiche e civili presenti alla riunione (il Vicegovernatore Daodiace e l'Alto Commissario senatore Gasparini) in vista delle ripercussioni che esso avrebbe avuto sul morale delle popolazioni. Il Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I. sottoponeva l' 11 gennaio <1> la questione alla decisione di Roma e con l'occasione chiedeva anche il benestare per l'arretramento delle truppe dislocate nel settore Gallabat-Metemma, già progettato anche per sottrarle all'azione della malaria. «Da Gallabat a M. Maman ho a stretto contatto circa 60.000 Inglesi divisi in due masse. Massa sud 20.000 gravitante su Gallabat; massa nord orientata su Agordat. A Gallabat potrei resistere ma malaria decima truppe perciò le ripiegherei gradatamente su Ammanit fra Celgà e Metemma. Ripartizione massa nord fa chiaramente intuire intenzione nemico aggirare nostre ali puntando per Tessenei su Barentù et da Maman su Cherù per poi proseguire su Agordat. Terreno piatto, unito , che boscaglia copre senza ostacolare, facilita manovra del nemico prevalentemente motorizzato. Data ampiezza fronte ho fin qui tenuto mie forze divise in nuclei di qualche battaglione su principali linee irruzione ma esse erano facilmente avvolgibili con grave pericolo di essere battute isolatamente. Ho pertanto fatto ripiegare massima parte sulla fronte bivio est Tessenei-Sabderat-Cherù, il che comporta in tempo più o meno vicino abbandono concessione Tessenei. Su questa linea potrei accettare battaglia con non molta probabilità vittoria; se battuto, non escludo di dover ripiegare su Cheren, abbandonando parte o·ccidentale Eritrea. Da punto di vista esclusi' vamente militare converrebbe considerare linea Tessenei-SabderatCherù come posizione intermedia transito per ripiegare sulla linea Agordat-Barentù, ove terreno limitando azione automezzi ci darebbe maggiori probabilità di vittoria. Ma questa soluzione importa il gravissimo incoveniente dell'abbandono non solo di Cassala et Tessenei, ma intero territorio ad ovest della linea Agordat-Barentù ed il ripiegamento da Om Hager con quasi sicuro isolamento settore Eritrea da quello Amara con gravissime ripercussioni interne e soprattutto sulla situazione internazionale. Queste sfuggòno mio apprezzamento. Perciò prima di orientarmi su questa soluzione chiedo vostro consenso. - Amedeo di Savoia». (I) Tele 50/S dell'll.1.1941, documento n. 100.
1. L, Operazioni in Afnt.a. Orien11lit , Voi t
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Il Capo di SM dello scacchiere nord, rientrando dalla riunione di Addis Abeba, recava al proprio comandante le direttive emanate dal Comando Superiore sull'arretramento dello schieramento in attesa della risposta del Comando Supremo <1). In particolare il Comando scacchiere nord: era lasciato libero di decidere lo sgombero di Gallabat e Metemma su Ammanit; era autorizzato a sgomberare Cassala di tutto lo sgomberabile lasciandovi però un presidio tale da impedire un colpo di mano prima deU' inizio dell'offensiva; era invitato: a lasciare in posto i battaglioni di Mesfintò e Amba Zaul, ad imbastire la difesa di una posizione retrostante ad Om Ager tenendo tuttavia dette località finché non fosse deciso lo sgombero dell'Uolcait, a raccogliere le altre forze in due masse: una a nord tra Sabderat e Cherè destinata a fermare un attacco proveniente da nord-ovest con obiettivo la strada Cassala-Agordat; l'altra, a sud (regione ad est di Tessenei), con compito di opporsi a un attacco nemico che proveniente da Khashm el Girba puntasse in corrispondenza della Tessenei-Barentù. Rispondendo al promemoria, il generale Frusci informava, il 12 (2), che le direttive in esso contenute erano già in atto; esprimeva il parere di sottrarre, in un primo tempo, le truppe all'usura gravissima di una battaglia nel bassopiano in attesa di favorevoli circostanze, insisteva inoltre sulla necessità di affrontare e decidere il problema dell'Uolcait e chiedeva di essere autorizzato all'immediato sgombero dei due presidi più avanzati: Amba Zaul e Mesfintò. Lo stesso giorno sia le disposizionj già attuate sia quelle preannunciate venivano approvate da ·Roma col seguente telegramma <3>: «Premesso che decisioni di carattere operativo devono partire da premesse et relative conseguenze di carattere strettamente militare - cioè dalle maggiori o minori probabilità di vittoria - vi prego di non preoccuparvi delle ripercussioni di carattere internazionale che potrà avere abbandono località di confine da voi segnalate. Quanto alle ripercussioni di carattere interno, intendo sulle popolazioni locali, adottate i provvedimenti del caso la cui efficacia sarà in relazione (I) Tele 563287 in data ll.l.l94l del Comando Superiore, documento n. 101.
(2) Tele 06096 in data 12.1.1941 del Comando Scacchiere nord, documento n. 102. (3) Tele 5393 in data 12.1.1941 del Comando Supremo, documento n. 103.
ULTIMI PROVVEDIMENTI
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all'andamento più o meno propizio delle operazioni militari. Venendo alla situazione approvo vostro progettato ripiegamento truppe su posizioni fra Celgà e Metemma. Essenziale est conservare le truppe per il combattimento non perderle per la malaria. Per quanto riguarda settore nord-est approvo ripiegamento su linea Tessenei-SabderatCherù anche se ciò importa abbandono Cassala-Tessenei. Su questa linea impegnerete la battaglia più o meno a fondo a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di forze. Nella peggiore delle ipotesi battaglia ritardatrice, che dovrebbe permettervi di concentrare le forze sulla linea Agordat-Barentù dove resistenza dovrebbe farsi ad oltranza et dove, dato terreno e spazio, vi è possibilità di manovra da parte nostra e difficoltà d'impiego di forze meccanizzate nemiche. Abbandonare terreni est sempre doloroso, ma quando si preservano le forze vi è la probabilità di riconquistarli attraverso la vittoria; quando le forze sono menomate o sconfitte il riacquisto dei territori diventa problematico. Non bisogna dimenticare che il destino dell'Africa sarà deciso da quello che si farà in Europa e convincersi che l'Asse vincerà poiché non vi è altra alternativa. Riassumendo trovo le vostre disposizioni attuate e quelle che mi preannunciate logiche, inspirate dal buon senso et adeguate alla situazione. Il compito che vi attende è arduo ma non superiore alle vostre qualità di capo e di combattente e soprattutto alla vostra volontà, alla capacità dei vostri collaboratori e al valore delle vostre truppe. - Mussolini». Il 15 gennaio, nell'imminenza dell'offensiva avversaria, il Comandante Superiore delle FF.AA. dell' A.O.I. informava <1> il Comandante dello scacchiere nord che ulteriori notizie sul nemico confermavano le previsioni fatte sino allora: attacco in forze contro l' Eritrea con primo obiettivo Agordat; eventualmente, preceduto, accompagnato o seguito da altro sulla direttrice Karora-Nacfa-Cheren; e aggiungeva che meno decisa sembrava invece la volontà di attacco per Gallabat su Gondar; che fra queste due direzioni era ritenuto probabile un attacco intermedio su Om Ager, ma per il momento questo appariva meno direttamei:ite minaccioso. L'azione più importante si delineava nel settore di Agordat e lo schieramento avversario poteva far pensare ad un disegno operativo attuantesi attraverso l'azione di due tenaglie una interna all'altra. (I) F 53/ S del 15.1.1941, documento n. 104.
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Quella interna, più potente, con le branche partenti a nord dalla zona Serobatib-Goz Regeb-Eriba e a sud dalla zona SarsareibKhashm el Girba, e con probabile obiettivo la recisione delle strade Cassala-Agordat (a sud di Vaccai) e Tessenei-Barentù. Quella esterna, meno. forte, ton branche partenti dalla regione Derudeh (a nord) e Showab (a sud) che agendo a più largo raggio avrebbe potuto puntare direttamente sugli obiettivi Agordat e Barentù. Il terreno fra Sabderat e Cherù era favorevole all'impiego dei mezzi meccanizzati, sicché il nostro schieramento Cassala-Tessenei rischiava di essere tagliato fuori senza possibilità di efficace reazione. Per parare a tale minaccia, che se attuata avrebbe aperto al nemico la via Cheren -Asmara, il Comando Superiore ordinava l'arretramento dello schieramento sulla lipea Cherù-Algheden -Aicotà, che per la sua natura a rilievi montuosi si prestava a una più facile difesa contro mezzi meccanizzati (vds. schizzi n. 22 e n. 23). Raggiunta questa linea, il Comando Superiore delle FF.AA. si riservava, in base alla situazione del momento, di accettare battaglia oppure di ripiegare ancora sulla linea Agordat -Barentù più forte della prima. In pari tempo detto Comando confermava l'autorizzazione per lo sgombero di Gallabat e Metemma, e l'occupazione delle posizioni di Arnmanit. Restava invece in sospeso, per il momento, ogni decisione circa l'abbandono o meno di Om Ager e con esso dell'Uolcait, abbandono che, a parere del Coniando Superiore, avrebbe consentito al nemico di recidere la strada Tacazzè-Gondar isolando l'Eritrea dall'Amara. Il comandante lo scacchiere nord replicava, il 16, confermando la necessità dello sgombero dell'Uolcait e insistendo per l'immediato ritiro dei lontani presidi di Amba Zaul e Mesfintò (I), costituiti a suo tempo in vista del controllo di certe aree che non avevano più alcun interesse operativo. Il ripiegamento ebbe inizio nella notte. Nei riguardi del complesso delle disposizioni emanate in quei giorni non si può non rilevare come, a fronte di un apprezzamento abbastanza esatto degli intendimenti avversari, continuasse la tendenza (I) Tele 01563/0p. del 16.1.1941, documento n. 105.
ULTI MI PROVVED IMENTI
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al rinvio delle decisioni ritenute poco piacevoli e mancasse, in definitiva~ una precisa idea di come e dove affrontare la battaglia difensiva. Il Comando Superiore di Addis Abeba non si rendeva conto dei tempi necessari per le operazioni di ripiegamento di forze appiedate fronteggianti altre motorizzate in quei terreni, e per l'organizzazione di efficienti posizioni difensive; quindi, dell'urgenza di decisioni. Esso chiedeva a Roma una autorizzazione all'abbandono del Bassopiano in termini piuttosto equivoci non apparendo evidente se la caldeggiasse o meno; e, mentre autorizzava subito un inizio di esecuzione, contrastava però le richieste dello scacchiere per il ritiro dei presidi più lontani. In questa occasione la risposta del Capo del Governo era la più corretta, autorizzando qualsiasi soluzione che fosse rispondente alle esigenze militari e dando la più completa autonomia di decisione al Comando di Addis Abeba. Appare anche come vi fossero incertezze su quali linee impostare la battaglia decisiva: se sulla linea Cherù -Algheden-Aicotà, oppure su quella Agordat-Barentù o quella di Cberen; e che si intendeva rinviare la decisione alla situazione del momento, ripiegando sulla prima ma riservandosi di continuare il ripiegamento per affrontare la battaglia sulla seconda. Si riteneva, quindi, di poter disporre, nei nuovi terreni, di superiore capacità di manovra che avrebbe dovuto consentire - fermati i mezzi corazzati e motorizzati alle strette montane ed in corrispondenza delle interruzioni - di investire e battere i fianchi delle colonne avversarie oppure di reiterare a volontà le resistenze ritardatrici e gli irrigidimenti ai successivi «gradini» del)' Altopiano Eritreo (vds. schizzo n. 23).
Risultava comunque che si era orientati ad una battaglia difensiva incentrata prevalentemente sulla resistenza alla linea AgordatBarentù, indkate anche nella lettera del Capo del Governo come «le posizioni dove la resistenza dovrebbe farsi ad oltranza». Circa le modalità di condotta non appare senti ta l'esigenza di coordinamento fra le unità ripieganti sulle varie diret trici, ed in particolare fra quelle sulla direttrice Cassala-Agordat e sulla TesseneiBarentù, considerate autonome fra loro (vds. schizzo n. 24).
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In conclusione, seppure verrà conseguita la sorpresa sull'avversario realizzando felicemente la prima delicata fase della rottura del contatto, la manovra di ripiegamento era tardiva, non predisposta convenientemente eccetto che sulla direttrice Gallabat-Celgà sulla quale era da tempo in via di organizzazione, insufficientemente coordinata anche per le difficoltà nei collegamenti. Insufficienti erano anche le predisposizioni e gli orientamenti relativi alla condotta delle operazioni difensive, forse anche in relazione alla presunzione di voler o poter condurre una battaglia «manovrata» per la quale però non si disponeva né dei mezzi né di una struttura adeguata. Per quanto si riferiva al settore Giuba, dopo il fatto d'armi di El Uach (16/12) ed in base alle notizie circa l'entità delle forze avversarie affluite, si era passati dagli orientamenti ad una battaglia nell' Oltregiuba e ad una difesa ad oltranza di Chisimaio a quelli per una resistenza sul Giuba ed una costituzione di un ridotto attorno a Mogadiscio. In esito ai fatti di El Uach ed in relazione alle valutazioni pessimistiche, espresse dal Comandante del settore, gen. Pesenti, in un colloquio con il Viceré, questi lo allontanava dal Comando e lo sostituiva, il 29 dicembre, con il gen. di div. Carlo De Simone O). In data 1° gennaio 1941 la denominazione del settore era mutata in quella di scacchiere e le forze disponibili venivano articolate in divisioni anziché in settori; tuttavia esse rimanevano praticamente invariate perché il <:::ornando Superiore poteva assegnare in rinforzo la sola XV brigata coloniale che raggiungeva Mogadiscio a metà gennaio 1941. Ora, la difesa al Giuba risultava arretrata rispetto a quella della base navale di Chisimaio, che avrebbe costituito il primo, evidente, obiettivo dell'offensiva britannica; sicché le esigenze di forze per l'una e per l'altra venivano ad essere competitive fra loro e si faceva strada la scarsa fiducia di poter mantenersi a Chisimaio. Ma la notizia di sgomberi di materiali e combustibili da questa base provocava l'intervento dello Stato Maggiore Marina <2>, che sottolineava la sua importanza quale unico porto attraverso il quale erano possibili eventuali rifornimenti marittimi dal Giappone, ed una perentoria richiesta di chiarimenti da parte di Mussolini <3>. (1) Vds. F. 44/S del 26.12.1940, documento n. 106. (2) F. 205 del 4.1.1941 dello Stato Maggiore Marina, documento n. 107. (3) Tele 5162/0p. del 4.1.1941, documento n. 108.
ULTIMI PROVVEDIMENTI
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La risposta del Viceré precisava gli intendimenti di Addis Abeba di una manovra in ritirata nell'Oltregiuba seguita da una difesa ad oltranza sul Giuba. Veniva confermata anche la difesa ad oltranza di Chisimaio, ma «con le truppe materialmente in posto» e si spiegavano gli sgomberi in atto da Chisimaio sia con il desiderio di usufruire di quanto di utile nella base, sia «per salvare - in ogni dannata ipotesi - il salvabile» <1>. La risposta evidenziava come Addis Abeba andasse orientandosi a privilegiare la difesa arretrata sul Giuba rispetto a quella di Chisimaio, il cui attacco era «molto probabile se non certo» con una operazione considerata «non difficile essendo Chisimaio l'obiettivo più a portata di mano delle loro forze (200 km.)» e che «può essere sussidiata dalla flotta». Lo schieramento delle forze contrapposte all'inizio dell'offensiva britannica (e più esattamente alla data del 10 gennaio) risulta dallo schizzo n. 21. La situazione delle forze avversarie nei territori limitrofi dell' A.O.I. riportata nello schizzo è quella approssimativa che risultava al servizio informazioni del Comando Superiore. La dislocazione dei nostri reparti ed il raggruppamento delle forze britanniche operanti sui vari fronti verranno precisati trattando delle operazioni nei singoli scacchieri.
(I} F 48/S del 5.1.1941, documento n. 109.
I
CAPITOLO XIII
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA 1. IL RIPIEGAMENTO DA CASSALA E GALLABAT E LA BATTAGLIA DI AGORDAT-BARENTÙ
a. IL TERRENO (vds. schizzo n. 21). Il bassopiano occidentale eritreo che le truppe britanniche risalirono da Cassala per Cherù su Agordat, da Tessenei per Aicotà su Barentù, si estende presso a poco dal meridiano di Biscia ai confini occidentali della colonia, elevato, movimentato da rilievi, e coperto spesso da folta vegetazione. Pianure estese si riscontrano soltanto in corrispondenza dei tre maggiori fiumi della regione: il Barca, il Gasc, ed il Setit; hanno fondo argilloso o sabbioso e, spesso, in vicinanza dei fiumi, dunoso; quelle del Setit e del Gasc pendono leggermente verso occidente e, nella striscia che si estende fra Tessenei ed Oro Ager lungo il confine occidentale della colonia, hanno altitudine media di 600 m.; quelle del Barca sono più estese, particolarmente sabbiose ed hanno altitudine media di soli 250-300 metri. Nel rimanente, il bassopiano occidentale è costituito da una regione pendente da est verso ovest, di altitudine fra i 1.000 e i 700 metri, prevalentemente pianeggiante, nella quale si elevano rilievi che toccano anche i 1.300 metri. Procedendo verso occidente, tali rilievi si fanno meno frequenti e di dimensioni più modeste, sì che, a poco a poco essi appaiono come isole rocciose in mezzo al circostante terreno di trasporto. I corsi d'acqua del bassopiano, nel passare dall'una all'altra zona pianeggiante, attraversano questi rilievi in strette lunghe e tortuose come avviene per il Gasc a Curcuggi.
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SCHIZZO N . 21
RAZIONI IN ERITREA
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIBNTALE
L'ATIACCO CONTRO L'ERI TREA
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Tra il Barca e il Gasc i rilievi, pur mantenendosi staccati uno dall'altro, tendono a disporsi su allineamenti presso a poco meridiani. I principali rilievi sono: -
monti di Biscia (m. 1.226) sul cui prolungamento verso sud si trovano i monti Tabamba (m. 1.188), Denderà (m. 1.336); M. Debengheré (m. 1.430), M. Scirbò, M. Goga; M. Siror, M. Cherù (m. 1.169), M. di Alghedén (m. 1.327), M. Laudana (m. 1.308); M. Caucauab (m. 1.099), M. Barongià (m. 1.020), Madhaué Sabderat (m. 1.050), M. Aritoben (m. 1.376), M. Cassaloi (m. 1.248).
Tali rilievi si presentano come residui di catene, dalle dorsali strette, dai fianchi assai ripidi sull'alto e dolcemente inclinati in basso e hanno talora l'aspetto di enormi ammassi di ciottoli (M. Cassaloi). A nord e ad ovest le alture sono più modeste, più frazionate e disposte in ogni senso. La regione fra Gasc e Setit, generalmente inospite, è costituita da: -
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una zona prevalentemente montuosa che dal vecchio confine della colonia Eritrea con l'Etiopia (fra Mareb e Setit), si estende verso occidente presso a poco fino al meridiano di Gullui; una zona di grandi pianure che da tale meridiano si estende, oltre i limiti della colonia, fino all' Atbara.
A oriente di Biscia si elevano, a cavaliere del Barca, i monti di Agordat che chiudono in una conca l'abitato omonimo. Hanno altitudine compresa fra i 700 e i 1.100 metri. Sorgono isolati o raggruppati in brevi catene, sono brulli, a fianchi ripidi, a vette spesso rocciose e talora dentellate (M. Caianeic a nord -ovest di Agordat); a sud, si estendono, sempre più discontinui, fino al ·torrente Sadun che li divide dalla catena dei M. Liban. A causa della discontinuità de~ rilievo è agevole circolare in questa regione. Si trovano frequentemente, in particolare a sud
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTA LE
dell'abitato di Agordat, lungo la strada per Barentù, estese zone pianeggianti; nei dintorni immediati dell'abitato di Agordat, invece, il terreno è leggermente movimentato ed ha l'aspetto di dune solidificate. Il Barca taglia questi rilievi in successive strette. L'abitato di Barentù si stende ai piedi di una collina. A raggio medio di circa 4 chilometri da questa, sulle fronti ovest e nord, si sviluppa una serie di alture di altitudine media di 1.000 metri, che recingono completamente senza interruzione la conca di Barentù. Sul fronte est, il terreno è piatto, senza nessun appiglio. A sud, è piano fino a qualche chilometro oltre il bivio di Tessenei- Biacundi; si susseguono poi lievi ondulazioni. Sulla zona di Agordat convergono sia le provenienze dalle regioni etiopiche di Cafta e di Bircutan (direttrice Om AgerCurcuggi-Agordat; direttrice Biaghela-torrente Sittona-Barentù-Agordat) sia le provenienze dal basso Gasc, cioè dal Sudan anglo-egiziano (direttrice Cassala -Biscia -Agordat). Ad Agordat tali direttrici si fondono e, per la via segnata dalla ferrovia e dalla rotabile Agordat-Cheren, proseguono per Asmara o, per la valle del Lébca, verso il mare. Da qui l'importanza militare di Agordat, confermata dai combattimenti sostenuti nel giugno del 1890 e nel dicembre 1893 contro le forz;e mahdiste. I monti di Agordat, sia perché forti naturalmente, sia per il dominio che esercitano sul terreno che si estende intorno ad essi, ben si prestano alla difesa çlel centro omonimo, e allo sbarramento delle direttrici sopra indicate. Però bisogna tenere presente la possibilità di aggjramenti dovuta alla discontinuità del rilievo. Il Barca, al quale la difesa eventualmente può appoggiarsi, scorre vicino all'abitato; il suo corso subalveo fornisce ai pozzi acqua abbondante in ogni stagione; le sue rive boscose offrono riparo dall'osservazione aerea. La conca di Agordat e i monti viciniori sono invece completamente brulli e scoperti. Ai fini della condotta delle operazioni difensive l'orografia della
regione presenta fra Cassala ed Agordat quattro allineamenti montani che costituiscono altrettanti «gradini», sfruttabili per
L'ATIACCO CONTRO L' ERITREA
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la costituzione di allineamenti difensivi o per condurre resistenze ritardatrici (vds. schizzo n. 22). I primi allineamenti che si incontrano risalendo da Cassala sono, più che catene ininterrotte, un discontinuo emergere di cime e creste dalla pianura; i successivi divengono man mano più elevati e continui. Poiché i corsi dei fiumi Gasc e Barca rendevano difficili operazioni di avvolgimento, le penetrazioni britanniche verso l' Altopiano e l'Asmara non potevano che avvenire nel corridoio di terreno compreso fra i due fiumi, seguendo, anche per esigenze logistiche, le direzioni servite dagli unici itinerari rotabili importanti (vds. schizzo n. 23): quello costituito, a nord, dalla rotabile a sfondo naturale Cassala-Sabderat-CherùBiscia che si innesta in questa località nell'itinerario principale, e quello costituito dalla rotabile asfaltata meridionale Tessenei -Aicotà- Barentù - Agordat. Le due rotabili procedevano ad una distanza approssimativa di 50 + 60 km. fra loro ed erano collegate da piste e sentieri di scarsa percorribilità; ma esisteva una pista camionabile importante che da Aicotà portava sull'itinerario settentrionale passando tra il secondo ed il terzo allineamento montano lungo la vallata del Mogareb e raggiungendo la zona di Biscia, estremo limite settentrionale del terzo allineamento e capolinea ferroviario della MassauaAsmara- Biscia. L'itinerario meridionale, giunto a Barentù, proseguiva verso oriente - verso Arresa ed Adi Ugri per la valle Ambessà solo con difficili piste; la rotabile volgeva verso nord -est e raggiungeva Agordat per poi salire, attraverso terreni montani sempre più elevati, sull'Altopiano Eritreo, costituendo l'unico accesso rotabile verso la conca di Cheren ed Asmara. Le distanze fra unità dislocate a Cherù ed Aicotà sul secondo allineamento montano, a Biscia sul terzo, ed a Barentù ed Agordat sul quarto si aggiravano sui 50 km. ed oltre. Queste unità, appiedate, erano, quindi, a distanze superiori ad una tappa, sicché una loro qualsiasi manovra era destinata ad essere sventata e superata da quella di unità ad elevato livello di motorizzazione quale quelle britanniche.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 22
GLI ALLINEAMENTI MONTANI
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SCHIZZO N. 23
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
b. LA CONTRAZIONE DELLO SCHIERAMENTO SUL FRONTE OCCIDENTALE ERITREO (I).
Abbiamo visto come il Comando Superiore FF.AA. dell'A.O.I. fosse giunto alla decisione di sottrarsi alla manovra avversaria e, il 15 gennaio, ordinasse di rompere il contatto col nemico tra Cassala e Tessenei e di ripiegare sulla linea Barca-CherùM. Adal-Aicotà-fiume Gasc (2>. Le disposizioni del comando scacchiere nord per il nuovo schieramento prevedevano: la costituzione di una massa di manovra in zona Cherù e di un'altra in zona Aicotà, tra M. Elit e il Gasc; la costituzione di una riserva in zona Biscia e la creazione di un appoggio retrostante per le masse operanti nei capisaldi organizzati di Agordat e Barentù; gli orientamenti erano per un atteggiamento aggressivo e reattivo (3). Il ripiegamento, iniziato la notte sul 17, venne eseguito senza destare l'attenzione del nemico, che solo due giorni dopo spinse avanti le sue forze meccanizzate per riprendere il contatto. Il 18, nei pressi di Uaccai - tra Cherù e Sabderat - ebbero luogo i primi scontri di nostri reparti, provenienti da Cassala, con mezzi meccanizzati avversari della «Mobil Gazelle Force». L'indomani una efficace azione ritardatrice veniva effettuata dalla XII brigata coloniale (col. Federico Rocco). Il 20, ultimati i movimenti previsti, era in atto il seguente schieramento: -
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I a divisione (gen. Nicola Carnimeo) (V e XLIV brigata coloniale; compagnia cammellata; banda P .A.I.) in zona Karora-Chelamet; 4a divisione (gen. Giuseppe Baccari) (XII e XLI brigata coloniale, gruppo bande a cavallo e raggruppamento P.A.I.) in zona Cherù; 2 a divisione (gen. Angelo Bergonzi) (VIII e XVI brigata coloniale) in zona Aicotà-Gogni;
Vds. schizzi n. 24 e 25.
(2) F. 53/S del 15.1.1941, documento n. 104. (3) F.0/1703/0p. del 19.1.1941 del Comando Scacchiere Nord, documento n. 110.
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SCHIZZO N. 24
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA LE OPERAZION I PRIMA DELLA BATTAGLIA DI CHEREN FINO AL2FEBBRAIO 1941
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LE OPERAZIONI IN AFR ICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 25
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA SCHIERAMENTO DELLE UNITÀ DELLO SCACCHIERE NORD ALLA DATA DEL .20 GENNAIO E SUCCESSIVI SPOSTAMENTI FINO ALL' INIZIO DELLA BATTAGLIA DI CHEREN (3 FEBBRAIO 1941)
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L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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XLII brigata coloniale (col. Gino Luziani) a presidio della piazza di Agordat; II brigata coloniale (col. Orlando Lorènzini) in zona Cheren (si trasferirà la notte sul 22 ad Agordat); XI brigata coloniale (col. Francesco Prina) nei pressi di Asmara; XLIII brigata (ten. col. Carlo Postiglione) in zona Om Ager; 1 battaglione cc. nn. e 3 battaglioni coloniali (gen. Antonio Rizzo) in zona Uolcait; VI, LXI e IV brigata coloniale (gen. Agostino Martini) in zona Gallabat-Metemma.
In questa data, il Comando Scacchiere nord, ritenendo che la contrazione dello schieramento potesse considerarsi a buon punto dopo il successo conseguito nella rottura del contatto, emanava una circolare tendente soprattutto ad evitare le ripercussioni morali conseguenti all'abbandono di territori e popolazioni <1>. Avuto sentore dell'imminenza di nostri ripiegamenti da Cassala, 1Britannici avevano accelerato le loro predisposizioni relative alla offensiva che inizialmente avrebbe dovuto iniziarsi ai primi di febbraio. Colti di sorpresa dalla nostra avvenuta rottura del contatto del giorno 17, essi anticipavano ulteriormente l'inizio della loro offensiva al giorno 19 gennaio. Sulla direttrice Sabderat -Cherù- Biscia-Agordat operava la 4 a divisione di fanteria indiana (gen. Beresford-Pierse) che aveva in testa l' 11 a brigata seguita dalla 5 a brigata ancora in afflusso. Sull'itinerario la precedeva la «Gazelle Force» che, con i suoi mezzi motorizzati e blindati, assicurava un'azione ricognitiva su vasta fronte. Sulla direttrice Tessenei-Aicotà-Barentù operava la 5 a divisione di fanteria indiana (gen. Heath) con in testa la 10a brigata seguita dalla 29a brigata. La 9a brigata di questa divisione continuava ad operare nel settore Gallabat-Om Ager, mentre la 7a brigata della 4a divisione dall'area di Porto Sudan (I) F. 01715/0p. del 20.1.1941, documento n. JJJ.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA OR[ENTALE
doveva avanzare successivamente sulla direttrice di KaroraElghena-Cub Cub-Chelamet estendendo la minaccia al nord dell'Eritrea. Avveniva però che, nonostante che i Britannici avessero iniziato la loro avanzata solamente il giorno 19, il giorno successivo essi erano già in condizione di impegnare le nostre forze più arretrate sull'allineamento Cherù-Aicotà. Il giorno 20, infatti, mentre sul fronte della nostra 2a divisione pochi elementi meccanizzati prendevano contatto con nostre pattuglie a circa IO chilometri·ad ovest di Aicotà, una massa notevole di autoblindo e di automezzi nemici si ammassava a Vaccai e procedeva verso Cherù. Gli attacchi di questi reparti, sostenuti da unità appiedate, vennero rintuzzati da nostre forze col valido contributo dell'aviazione, che, nella giornata del 20, perdette ben 13 apparecchi. L'indomani mattina nuovi attacchi furono sferrati senza successo contro le nostre posizioni di Cherù tenute dalla XLI brigata: una nostra banda a cavallo del gruppo Amara caricò una batteria d'artiglieria gettando bombe a mano e sacrificandosi a gloria dell'Arma (l). Gli attacchi avversari venivano rinnovati nel pomeriggio. Sull'itinel'ario meridionale la 10a brigata della 5a divisione indiana, intanto, aveva occupato Tessenei il giorno 19 ed aveva continuato la sua avanzata occupando senza opposizione Aicotà, la mattina del giorno .21. Era avvenuto infatti che le posizioni difensive occupate dalla nostra VIII brigata della 2 a divisione, per qualche inesplicabile disguido e forse in relazione ai compiti attribuiti del mantenimento della posiziope quale «perno di manovra», er(\nO state dislocate in zona di Aicò, (i) In "The Abyssiniam Campaigns" si legge: «Quando la batteria inglese prese posizione, un gruppo di cavalleria indigena italiana guidato da un ufficiale su un cavallo bianco, la caricò dà! nord piombando giù dalle colline. Con un· coraggio eccezionale questi soldati galopparono fino a trenta inetri dai cannoni sparando dalla sella e gettando bombe a mano, mentre i nostri artiglieri voltati i cannoni di 180° spararono con l'alzo a zero. Le granate scivolavano sul terreno senza esplodere mentre alcune squarciavano addirittura il petto dei cavalli, ma prima che quella carica da pazzi potesse essere fermata il Royal Rgt. dovette ricorrere alle mitragliatrici». Ma la carica non era da pazzi perchè mirava ad evitare l'accerchiamento dell'intero gruppo. Fu condotta da volontari di una delle bande agli ordini del ten. Renato TOGNI che morì col cavallo su un carro armato nemico.
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ad est di Aicotà, e non alla stretta di M. Elit ad ovest di tale località, mentre la XVI brigata era stata portata ancora più ad est, in zona di Gogni. Ciò consentiva ai Britannici di accedere senza sforzo alla valle di Mogareb e di avanzare anche sulla pista camionabile Aicotà-Biscia. Su questa trasversale la 5 a divisione indiana, mentre procedeva sull'itinerario per Barentù con la 29a brigata, lanciava un raggruppamento motorizzato della 10a brigata che, superate facilmente le resistenze di una nostra compagnia in zona di Ada! poteva incidere sulle comunicazioni dell'itinerario settentrionale, alle spalle delle nostre forze schierate in zona di Cherù. Dinnanzi a notizie piuttosto frammentarie di infiltrazioni a tergo del nostro schieramento e ad una situazione poco chiara che indicava comunque essere le forze avversarie ben più mobili, manovriere e potenti del previsto, particolarmente nei terreni ancora piuttosto facili del Bassopiano, il Comando scacchiere era indotto a vedere l'esigenza di sostenere la battaglia difensiva sull'allineamento in profondità AgordatBarentù anziché su quello avanzato Cherù-Algheden-Aicotà, com'era nei piani iniziali. La sera stessa del 21, infatti, il comandante dello scacchiere, ritenendo scarsamente garantito lo schieramento delle masse di manovra di Cherù ed Aicotà per la distanza di esse dai perni di manovra di Barentù e di Agordat, e per l'esistenza di una vasta zona intermedia di terreno piatto facilitante il giuoco dei mezzi meccanizzati avversari, proponeva al Comando Superiore FF.AA. l'arretramento delle masse stesse su posizioni ravvicinate ai perni suddetti <1). Il Comando Superiore, pur facendo rilevare il pericolo contingente insito nel provvedimento, lasciava il comandante dello scacchiere arbitro di attuarlo dopo aver alleggerita la pressione nemica (2). Sul terreno, il giorno 22, ripetuti attacchi portati sul fronte di Cherù contro unità della XLI brigata (gen. Fongoli) venivano (l) Tele 0/1757 del 21.1.1941, documento n. 112. (2) Tele 533546 del 21.J.1941, documento n. J/3.
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respinti e la pressione si allentava in seguito ad un contrattacco effettuato da un battaglione verso le 11. Anche sull' itinerario meridionale la spinta avversaria era contenuta in zona di Aicò. Ma le notizie crescenti di infiltrazioni e di scontri sulla direttrice Aicotà-Biscia inducevano il Comando scacchiere ad accelerare la manovra di ripiegamento su Agordat per rafforzarne le difese; così sia le unità dislocate nella zona di Cherù sia quelle della massa di riserva in zona di Biscia ricevevano l'ordine di ripiegare su Agordat. Peraltro le unità della 10a brigata indiana, a seguito del loro movimento aggirante, erano ormai in grado di cadere sulla via della ritirata della XLI brigata dalle posizioni di Cherù. Questa che, nelle sue predisposizioni, era piuttosto orientata a temere infiltrazioni ed investimenti dalla valle del Barca, sulla sinistra della propria direzione di movimento, sarà invece sorpresa di fronte e sul fianco destro dalle unità britanniche provenienti dalla zona di Adal, sulle cui infiltrazioni minacciose non risulta essere stata convenientemente informata. Il movimento da Cherù era stato iniziato dalla brigata alle ore O del 23 e aveva proceduto indisturbato per circa 18-20 kqi . . Ma, poco dopo le 5,30, il primo scaglione veniva investito da fuoco di mitragliatrici ed attaccato da autoblindo nemiche che percorrevano il terreno in tutti i sensi sparando e lanciando razzi. Le autoblindo, incuneatesi fra detto scaglione e il grosso, attaccavano contemporaneamente, con violento fuoco di cannoncini e di mitragliatrici, i battaglioni che seguivano. La scarsa visibilità e l'accanimento della lotta provocavano l'inevitabile frazionamento dei reparti; nuclei superstiti di due battaglioni si buttavano verso il Barca e seguendolo lungo la sponda destra raggiungevano Agordat fra il pomeriggio e la sera del 24. I reparti che, in base al compito ricevuto, erano rimasti nella stretta di Cherù a protezione dello sfilamento del grosso furono più tardi e a loro volta attaccati durante il movimento. In complesso riuscirono ad aprirsi la strada su Agordat solo 1.200 uomini con 12 ufficiali. Fra i catturati fu il comandante della brigata~ L'abbandono della posizione di Biscia ed il ripiegamento di tutte le unità della nostra 4a divisione coloniale su Agordat
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scoprivano ora la linea di comunicazioni fra Agordat e Barentù, località sulla quale ripiegavano le forze della nostra 2a divisione dopo aver sostenuto il giorno 25 ,. nella zona di Gogni, scontri vivaci, che vedevano impegnata la nostra XVI brigata coloniale contro la 29a brigata indiana. Intanto la lotta si estendeva al settore di Om Ager. Il 23, il presidio, dislocato nella zona dell'abitato, teneva testa con contrattacchi alla pressione frontale; ma elementi motorizzati si insinuavano alle sue spalle, mentre, per effetto dell'avvenuto ripiegamento delle truppe di Cassala sulla linea AgordatBarentù, tutto il settore Om Ager veniva a trovarsi col fianco destro scoperto. Il ripiegamento, iniziato il 25, lungo il SetitTacazzè, consentiva a queste truppe (XLIII brigata coloniale) e a quelle del settore Uolcait, più a sud (1 battaglione cc.nn. e 3 battaglioni coloniali) di rompere il contatto col nemico e di raggiungere successivamente, attraverso notevoli difficoltà logistiche, posizioni più arretrate nella zona Tolè-Az Darò, subendo però perdite in personale, mezzi pesanti ed automezzi. La colonna nord, proveniente da Om Ager, nel successivo ripiegamento da Tolè su Arresa respingeva col tiro dell 'artiglieria someggiata puntate di autoblindo e di carri armati leggeri alla stretta di Mai Gualà a sud-ovest di A Toqualù (7 febbraio). Le truppe della colonna sud (settore Uolcait) attraverso il bassopiano del Tacazzè affluivano intanto nel Tigrai occidentale, in zona Az Darò, ad ovest di Adua. Per il ripiegamento delle truppe del settore di Gallabat (gen. Martini: IV, VI e LXI brigata coloniale) il comando truppe Amara poteva contare su una disponibilità di soli 330 automezzi; esso aveva scelto, per il nuovo schieramento, posizioni adatte nella zona di Blagir-Celgà e proceduto ad una prima imbastitura della difesa con reparti di nuova costituzione. Le truppe erano state divise in otto scaglioni, dei quali sei autocarrati e due appiedati. Le unità appiedate, scavalcandosi su posizioni prestabilite, avevano compito di reciproco appoggio e di protezione dei reparti autocarrati, costituiti nella maggior parte dalla massa delle artiglierie.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Le operazioni di ripiegamento, nelle quali si inserì lo sblocco ed il recupero della banda di Cor Adar e del presidio di Amba Quarà assediato da tempo e rifornito a mezzo aviolanci di viveri e medicinali, vennero iniziate la notte sul 27 gennaio d' iniziativa del Comando di Scacchiere, che aveva ricevuto · un consiglio sospensivo dal Comando Superiore, sempre contrario a qualsiasi ripiegamento che non fosse imposto dalle circostanze e dubbioso del successo di una manovra in ritirata intrapresa in così difficili condizioni. Il contatto col nemico, infattì, era strettissimo; il complesso delle truppe e dei materiali da ripiegare notevole; la distanza da superare rilevante: 140 km. Nella notte sul 29 i Britannici attaccavano Gallabat, presidiato dal XXIV battaglione e venivano respinti. Durante la giornata del 31 sottoponevano alle consuete azioni di artiglieria le posizioni di Gallabat e di Re Giovanni. Il 1° febbraio, poco dopo la mezzanotte, i nostri, approfittando di una tregua nelle azioni di pattuglia, lasciavano le due posizioni e si dirigevano verso Comar. Raggiunti gli autocarri ed effettuato il caricamento, iniziavano subito il movimento passando alle 8 dalla linea di sbalzo stabilita sul torrente Maccià a 50 chilometri da Metemma. Il nemico non avvertiva l'abbandono delle posizioni da parte della VI brigata e del LVII battaglione che avevano lasciato sul posto pattuglie di- copertura che compirono, indisturbate, la loro missione. Il mattino del 30, il Comandò Superiore, tramite Comando scacchiere, chiedeva al comando Amara se non ritenesse di poter soprassedere al ripiegamento in corso per impiegare le truppe in altra impresa. Il comando Amara faceva presente che, essendo la massa delle artiglierie già arrivata al ciglione di Celgà ed il materiale logistico ridotto allo stretto indispensabile per la manovra in corso, non era in grado di provvedere a nuove imme<;liate esigenze. Le operazioni potevano considerarsi virtualmente concluse al mattino del 2 quando l'ultimo scaglione a piedi aveva ormai potuto interporre fra sé e il nemico circa 80 chilometri, su un itinerario lungo il quale erano stati predisposti frequenti interruzioni e campi minati.
L'AT TACCO CONTRO L'ERITREA
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La 9a brigata di fanteria indiana, che pur aveva svolto continua attività di pattuglie, era completamente sorpresa e muoveva soltanto due giorni dopo l'abbandono di Gallabat. Intanto il I O gruppo bande di confine, partito il 23 da Comar alla volta di Quarà (situata a tre giornate di marcia a sud-est di Metemma), per recuperarne il presidio ivi assediato, il mattino del 27 poneva piede sul primo gradino dell'Amba; attaccate notevoli forze ribelli che si opponevano al suo congiungimento con la banda del presidio, superava la resistenza nemica con grave sacrificio di sangue e, alle 19, entrava nel fortino. Sulla via del ritorno, il 29, i ribelli attaccavano la colonna poco dopo la partenza. L'azione avversaria, contenuta dapprima col concorso di un aereo che efficacemente spezzonò il nemico, veniva scossa nella stessa giornata da un duro prolungato combattimento e stroncata ihfine il 30 con ripetuti contrattacchi. Nelle lunghe, estenuanti marce dei giorni seguenti il gruppo bande veniva rifornito a mezzo lanci aerei di munizioni e viveri; il 5 raggiungeva la pista di Ammanit (t). L'S febbraio, rientrata nel ridotto Amara anche la colonna di Quarà e procedutosi al brillamento delle ultime interruzioni stradali fra Ammanit e Blagir, potè dirsi precluso al nemico l'accesso su Gondar. Il ripiegamento aveva interessato comandi e reparti per un totale di 2.182 ufficiali e truppa nazionale, 13 .102 coloniali, 59 pezzi di artiglieria e mortai, 2.896 quadrupedi e circa 1.500 tonnellate di materiale pesante vario. L'opportunità dell'effettuato ripiegamento dalla linea CassalaTessenei-Om Ager-Gallabat veniva confermata dai successivi avvenimenti; fra l'altro si aveva avuto il vantaggio che l'aviazione nemica, probabilmente ancora impegnata in Africa Settentrionale, non aveva esercitato che deboli e sporadiche azioni di disturbo. Da documenti trovati dal Comando Superiore FF.AA. dell'A.0.I., si apprese che una manovra a tenaglia (l) Perdite della colonna di Quarà: l ufficiale e )29 coloniali morti; 4 ufficiali e 222 coloniali feriti e cioé oltre il 25% della fqrza complessiva.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
doveva essere attuata all'alba del 19; i nostri avevano ripiegato la sera del 17. Radio Londra, la sera del 24, affermava che l'arretramento era awenuto poche ore prima che le truppe britanniche serrassero quelle italiane in una sacca nella quale avrebbero trovato completa distruzione. Il movimento, anche se ci era costato la perdita di parte della XLI brigata, di artiglieria e materiali vari poteva dirsi tecnicamente riuscito malgrado le varie circostanze sfavorevoli che lo avevano caratterizzato. Il nemico, infatti, agiva esclusivamente con automezzi: carri armati, autoblindo e camionette velocissime, che, rese ardite dalla loro invulnerabilità, davano prova di molta intraprendenza (l). I battaglioni preceduti dalle camionette muovevano esclusivamente in autocarro. I nostri non potevano contrapporre che una velocità di spostamento di 5 chilometri all'ora a quella avversaria di ben 30 chilometri; mentre alla fine del secondo giorno di ripiegamento essi avevano due tappe di vantaggio sul nemico, alla fine del terzo erano sopravanzati.. I nostri mezzi radio non funzionavano in seguito ai gravi eripetuti guasti dovuti alla vetustà del materiale. Sebbene nel complesso riuscito, e per quanto la necessità di esso fosse da tutti riconosciuta, il ripiegamento generava nei Quadri amarezza e sconforto e, nelle truppe indigene, demoralizzazione. C. VARIANTI ALLE CIRCOSCRIZIONI DEI GRANDI COMANDI MILITARI
(schizzo n. 26).
Alla fine di gennaio, la situazione generale politico-militare in A.O.I. ed, in particolare, la minaccia incombente sulle comunicazioni tra Eritrea e Amara determinata dall'abbandono della regione dell'Uolcait indussero il Comando Superiore FF.AA. ad una nuova e più adeguata ripartizione dei grandi comandi militari. (I) Costituite da autocarri leggeri a otto ruote espressamente costruiti per muovere nel deserto, blindate tutto attorno, coperte di una rete metallica elastica antibombe a mano, erano armate con una mitragliatrice da 12 mm. che agiva anche in tiro antiaereo; equipaggio 5 persone; ogni macchina aveva un radio telefono.
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L'ATTACCO CONTRO L' ERITREA
SCHIZZO N. 26
VARIANTI ALLE CIRCOSCRIZIONI DEI GRANDI COMANDI MILITARI DURANTE L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
L'offensiva delle forze regolari inglesi contro l'Eritrea e la situazione interna dell'Amara, ove le forze ribelli avrebbero dovuto, nell'intenzione nemica, far massa agli ordini del Negus per ributtarci dalla regione e marciare poi contro lo Scioa e Addis Abeba, avevano creato una situazione di fronte alla quale un'azione di comando e di manovra unitaria da Gallabat al Mar Rosso era pressoché impossibile. Diverse erano le forze avversarie e diversi i loro obiettivi; eccessivamente esteso lo scac.chiere di operazione e, proprio nel settore Amara, ove l'azione politica si compenetrava e quasi si sovrapponeva a quella militare, le nostre forze erano divise perché dipendenti in parte da Asmara e, in parte, da Debra Marcos. Ad elinùnare tali inconvenienti veniva disposto che lo scacchiere nord fosse limitato alla sola Eritrea, esclusa la Dancalia; che si costituisse un nuovo scacchiere «ovest» comprendente i territori dei governi Scioa e Amara più l'Uolcait; che lo scacchiere est perdesse il territorio dello Scioa. Rimanevano immutate le circoscrizioni degli scacchieri sud e Giuba O). In conseguenza, sotto la data del 4 febbraio, venivano poste alle esclusive dipendenze del comandante lo scacchiere ovest (gen. Nasi) tutte le forze militari distacc·ate nell'Amara e sotto il suo completo controllo politico e militare l'intero territorio della regione mentre il comandante lo scacchiere nord (gen. Frusci) veniva messo in grado di dedi~arsi esclusivamente alle gravi esigenze della situazione militare dell'Eritrea. d. LA BATTAGLIA DI AGORDAT-BARENTÙ:CADUTADELLEDUE LOCALITÀ (schizzo n. 27).
I Britannici, eliminate le nostre retroguardie, sfrutta{ldo la superiorità di mezzi, rapidamente serravano contro le nostre posizioni di Agordat e Barentù e, il 26 gennaio, interrompevano con forti infjltrazioni le comunicazioni fra le due località. Sul fronte di Agordat, già presidiato dalla XLII brigata coloniale (ten. col. Luziani), erano affluiti, tra il 22 e il 26 gennaio, la II e la XII brigata ed elementi della XLI, del ragg~uppamento P.A.I. e del gruppo bande a cavallo Amara. (I) F. 563718/ 0p. in data 30.1. 194 1 del Comando Supedore FF.AA. dell' A.O.I. , docu-
mento n. I 14.
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L ' ATT ACCO CONTRO L'ERITREA
SCHIZZO N. 27
CEDIMENTO DELLA LINEA AGORDAT-BARENTÙ LA BATTAGLIA DI AGORDAT (27 -31 GENNAIO 1941)
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LE OPÉRAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Il col. Lorenzini, già comandante della II brigata, aveva assunto il comando della 4a divisione. La linea difensiva, con uno sviluppo di circa 22 chilometri, si appoggiava ai monti Taninai, Caianaic, Itaberré, Laquatat e Cochen, ed era presidiata da 5 battaglioni coloniali, 1 battaglione cc. nn. ed 1 compagnia volontari tedeschi (1). Una massa di manovra, costituita da 2 battaglioni della II brigata, carri M e carri L, veniva dislocata (il 27) dietro il Laquatat, a ridosso dei bassi speroni boscosi del Cochen; 2 battaglioni (della XII brigata) nei pressi di Agordat, anch'essi a disposizione del comando di divisione, avevano il compito di concorrere all'azione che presumibilmente la massa di manovra sarebbe stata chiamata a svolgere o tra M. Laquatat e M. Cochen o lungo l'ampio alveo del Barca; un altro battaglione della II brig. era tenuto in riserva per eventuale azione verso la stretta di Entraieb; il raggruppamento P.A.I. era incaricato di presidiare le alture del Damtai. Sul fronte di Barentù (col. Delitala, comandante la piazza) alle truppe in posto (1 raggruppamento squadroni autocarrato, 1 battaglione coloniale, 2 compagnie del genio artieri, 1 batteria da 105/28, 1 batteria da 75/13, 1 sezione da 70/15), si aggiungevano, il giorno 19, 1 battaglione cc. nn. ed 1 batteria da 70/15 e successivamente, reparti della XVI e dell'VIII brigata coloniale ripiegati dalla zona di Aicotà e di Gogni. Sulla linea di Agordàt-Barentù si intendeva resistere ad oltranza; peraltro la relazione del Viceré del 27 gennaio risultava piuttosto venata di pessimismo (2). Il 27, in zona Agordat, tra l' Abermannà e l'Itaberré, nume' rosi autocarri (della «Gazelle Force») attraversavano il Barca spingendo elementi in ricognizione verso il M. Caianic; la reazione delle nostre artiglierie e delle nostre pattuglie ed il terreno non percorribile dagli automezzi arrestavano il movimento. Più a sud, altre forze autocarrate (11 a brigata di fanteria indiana) appiedavano in valle Entraieb e ne risalivano (I) La compagnia era stata formata con volontari provenienti dagli equipaggi delle navi che all'inizio della guerra si erano rifugiate a Massaua. (2) F. 57/S del 27.1.1941, documento n. 115.
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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gl'impluvi tra M. Cochen e M. Damtai. Questa azione faceva cadere il mito della inaccessibilità del Cochen che, scelto come pilastro di estrema sinistra della linea di difesa, era debolmente presidiato solo sulle pendici settentrionali. All'alba del 29, il nemico, che conservava ancora il possesso della cima ovest del Cochen (uno dei tre spuntoni costituenti la q. 1151), sferrava, con reparti della 5a brigata indiana, un attacco in forze sul caposaldo del Laquatat. Dopo un violento bombardamento riusciva ad occupare alcune quote che venivano però in parte riconquistate subito; un contrattacco effettuato più tardi nel pomeriggio, fruttava ai nostri la cattura di armi e munizioni. Il 30, il combattimento si estendeva; sul caposaldo del Laquatat e nella piana tra Laquatat e Cochen, ampia tre chilometri e mezzo, il nemico scatenava, con largo impiego di artiglieria, carri leggeri e autoblindo, un nuovo violento attacco contenuto dallo slancio· di un battaglione Amara; sul massiccio Cochen-Damtai l'azione per eliminare le infiltrazioni avversarie, ripresa dai nostri <1> al mattino, si protraeva con alterne vicende e gravi perdite per tutta la giornata. Durante la notte sul 31 continuava accanita la lotta sul Cochen per snidare l'avversario che aveva piazzato numerose bombarde dietro gli alti picchi rocciosi della q. 1151. All'alba, un violento fuoco di artiglieria si abbatteva sul tratto di fronte Laquatat-Cochen; un primo attacco in forze di fanterie, carri armati medi e autoblindo, dopo una leggera inflessione, era contenuto e respiRto grazie anche al preciso tiro di repressione dei nostri 105. Ma il nemico non desisteva, l'artiglieria riprendeva più violento il tiro mentre nuove forze, appoggiate da 16 carri armati di dimensioni mai viste fino allora, intervenivano nella lotta. La situazione appariva gravissima. Era necessario contenere l'infiltrazione avversaria che progredendo avrebbe tagliato fuori tutti i reparti della destra dal Laquatat in poi. Ma i battaglioni a disposizione del comando di divisione, (1) Parteciparono i battaglioni IX e X della II brigata e XXXVI e XLIII della XIII brigata, nonché il gruppo bande a cavallo Arnara.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
compresi quelli costituenti la massa di manovra dislocata dietro il Laquatat e a ridosso dei bassi speroni del Cochen, erano stati tutti impiegati per la riconquista del Damtai e del Cochen. Le poche forze che il comandante raccoglieva (spostando un battaglione coloniale, due compagnie cc. nn., e la compagnia volontari tedeschi dal settore di destra, ·p er ricostituire, coi carri già in posto, una riserva nel punto che appariva più minacciato) non potevano mutare le sorti della giornata. Dalle pendici del Cochen, dalle alture del Laquatat, da q. 726 si tentava ostacolare l'avanzata, ma i carri ·armati, alcuni dei quali incassavano senza risentire danno i colpi da 77 /28, erano ormai padroni della piana e raggiungevano la strada Agordat-Cheren verso il km. 2, seguiti subito da reparti di fanteria. Eroico era il sacrificio dei nostri carri armati, che i carri avversari, di tonnellaggio tre o quattro volte superiore, mettevano in breve fuori combattimento nella quasi totalità senza subire perdita alcuna. Verso le ore 14 del 31 gennaio, mentre aerei nemici padroni incontrastati del cielo mitragliavano e bombardavano, la bat:taglia di Agordat era perduta; al comandante non restava che prendere le disposizioni necessarie perché la ritirata, che s'imponeva sollecita, non si convertisse in fuga disordinata (I). Esclusa la possibilità di imbastire una nuova resistenza al Carobel, a così breve distanza dalla linea perduta, con i reparti in piena crisi, veniva ordinato il ripiegamento su Cheren. Esso, sebbene protetto da due battagliohi dislocati sulla riva destra del Barca a cavaliere della rotabile, obbligava le unità a frazionarsi e a seguire, specie nella zona montuosa, itinerari multipli, per sottrarsi all'azione degli automezzi avversari. I reparti, tuttavia, ripiegavano contrastando l'avanzata del ,nemico. Contemporanea all'azione di Agordat si svolgeva quella su Barentù (schizzi n. 27 e 2S) <2>. Il 27, dopo-intensa preparazione di artiglieria, i Britannici attaccavano il fronte nord della piazza a cavaliere della rotabile per Agordat e ripetevano, senza successo, i loro tentativi fino a sera. (I) Stralci della relazione del Col. LORENZINI, documento n. I 16. (2) Stralci della relazione del Col. DELITALA, documento n. I 17.
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L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
SCHIZZO N. 28
OPERAZIONI DI BARENTÙ
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORJENTALE
Il 28, la lotta si riaccendeva sul fronte nord: a un lieve cedimento faceva riscontro un contrassalto che, dopo alterne vicende, vedeva i nostri riaffermarsi sulle posizioni prima abbandonate; anche mezzi meccanizzati che erano riusciti a risalire la vecchia pista di Agordat verso la piana di Suzena, venivano ricacciati; sul fronte ovest, un'importante altura caduta in mano dell'avversario era riconquistata prima di sera. Il 29, episodi locali si svolgevano sulle colline Aliscià e Basali, ma in complesso la giornata si chiudeva col ristabilimento della situazione su quasi tutta la linea. L'indomani, sull'intero fronte di Barentù era un succedersi di assalti e contrassalti; a nord del paese la difesa cedeva, ma un contrattacco ricacciava l'avversario dalla posizione occupata. Il 31, le nostre truppe, a costo di gravi perdite, riuscivano ancora a mantenersi sulle posizioni, che abbandonavano nella notte sul 2 febbraio, dietro l'ordine impartito dal Comando scacchiere a seguito della caduta di Agordat. La situazione, alle ore 10 del 2 febbraio, veniva così sintetizzata in un telegramma del Comando scacchiere nord al Comando Superiore FF. AA. in Addis Abeba:
«... Caduta Agordat ha imposto ripiegamento truppe Barentù dopo lotta che definisco eroica. Forze nemiche rilevanti avanzano su Cheren. Est probabile attacchino subito la piazza aut che semplicemente la investano et tentino invece risalire da alto Barca per valli Gulà et Ghergher aut Ferfer verso Asmara. Valle Ghergher est accessibile camionette. Avversario punterà certo anche su Adi Ugri come prova forte pressione che esercita in questo momento su Bergonzi che ripiega (I'). Da Tolè si può giungere con camionette ad Az Darò dove si inizia camionabile per Adua. Situazione nostra: A Cheren sono concentrate le truppe più efficienti et cioè reggimenti granatieri et brigata Prina <2>. Tra Cheren et Asmara sono in ricostituzione le brigate logore. At Asmara tre battaglioni di milizia che costituisco con la mobilitazione dei nazionali e con i quali (I) Da Barentù su Tolè e Arresa. (2) Colonnello PRINA, Comandante la Xl brigata coloniale.
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presidierò gli sbarramenti delle anzidette tre vie di facilitazione dal Barca at Asmara <1l. In marcia sulla strada Tolè-Arresa Bergonzi et Postiglione assai provati. Allo sbarramento di Arresa mando il gruppo P .A.I.. A Selaclacà mando le truppe provenienti dall'Uolcait. Dappertutto ho mobilitato i paesani per concorrere alla difesa del territorio». Il Comando Superiore FF. AA . rispondeva alle ore 17,05 col seguente telegramma: «Notizie certe da più fonti danno che gli Inglesi hanno subìto perdite gravissime tanto è vero che fanno affluire da Porto Sudan e Gallabat tutte le forze disponibili per sostituire quelle ormai impotenti a combattere. Nostra situazione est grave ma tutt'altro che disperata e basta volere per fermare l'offensiva nemica. Lasciate a Cheren minimo forze necessarie a difendere quella posizione per la sua natura fortissima; occupate i colli alle testate delle tre valli indicatemi; sorvegliate il resto con paesani spinti verso il nemico e tenete il massimo delle forze sulla congiungente Cheren-Asmara-Adi Ugri pronto a lanciarle ove si presenti il nemico. Generale Nasi manderà una. brigata ad Enda Selassiè per disimpegnare od aiutare Rizzo. Non dimenticate che Asmara si difende soltanto sulla linea CherenAdi Ugri-Enda Selassiè e che da resistenza su questa linea dipende salvezza Impero, di cui allo stato attuale delle cose non abbiamo ragione alcuna di dubitare». Nella stessa giornata il Comando Superiore diramava le sue direttive per la organizzazione della difesa della linea Cheren-_ Arresa <2l. A Cheren nei giorni 1, 2 e 3 febbraio si raccoglievano gli elementi assai provati delle brigate II e XLII, parte di quelli della XII e i gruppi di artiglieria in ripiegamento da Agordat. Il ripiegamento su Arresa dei reparti che avevano combattuto a Barentù veniva effettuato sotto la protezione di elementi di retroguardia dislocati alla stretta di Tolè. Attraverso questa (I) Ristabilita la situazione i battaglioni cc. nn. vennero sciolti nella seconda quindicina di febbraio per restituire alla vita civile elementi indispensabili alle officine, alle industrie e al commercio.
(2) F. 59/S del 2.2.1941, documento n. ll8.
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stretta erano già sfilati i reparti ripieganti da Om Ager (XLIII brigata) che avevano perduto, strada facendo, quasi tutti i Cunama e i Baria allontanatisi per rientrare ai loro paesi invasi dal nemico. Con gli effettivi assai ridotti giungeva nella zona di Arresa l'VIII brigata coloniale che da Barentù aveva ripiegato fuori strada (vds. schizzo n. 26). Notevoli le perdite di artiglierie e materiali; infatti: -
i reparti che ripiegavano da Agordat, per le infiltrazioni avversarie sulla strada, avevano dovuto, in parte, seguire un itinerario pedemontano a nord della ferro via e, i rimanenti, un itinerario lungo il Barca non percorribile dagli automezzi; la colonna che aveva combattuto a Barentù ripiegando per Tolè aveva portato al seguito le artiglierie ed il materiale automobilistico; ma, poiché l'ultimo tratto dell'intinerario di ritirata su Arresa era rappresentato da una unica mulattiera e non si volevano creare piste che avrebbero potuto essere utilizzate dal nemico, il comando scacchiere radiotelegrafava di distruggere in posto i superstiti cannoni, bruciare gli automezzi e proseguire col solo personale; alla XLIII brigata che, oltrepassata dalla 2a Divisione, aveva assunto le funzioni di retroguardia, ordinava di cessare da tale compito per raggiungere anch'essa, lungo il percorso più opportuno, Arresa dopo di aver reso inservibili i materiali d'artiglieria e gli automezzi che non potevano esser portati al seguito.
Anche le truppe dell'Uolcait, che avevano raggiunfo il Tigrai occidentale seguendo l'itinerario Adi Remoz-Cac-Ha- torrente Mené-Az Darò, dovettero, data la mancanza di strade, abbandonare il materiale d'artiglieria da posizione e quello automobilistico, dopo averlo reso inutilizzabile. Le perdite in uomini, quadrupedi e materiali, verificatesi presso i reparti dipendenti durante le battaglie di Agordat-Barentù e il ripiegamento, assommavano complessivamente a: -
179 ufficiali; 130 sottufficiali; 1.230 uomini di truppa nazionale; 14.686 uomini di truppa coloniale;
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- 4331 quadrupedi; 329 fucili mitragliatori; 231 mitragliatrici; 96 pezzi; - 141 automezzi; 7 motocicli; 15 can-i L; 9 can-i M. Anche l'aviazione, che aveva concorso efficacemente alle operazioni spezzonando e mitragliando posizioni e colonne avversarie e distruggendo numerosi mezzi meccanizzati, aveva subìto sensibili decurtazioni. Tra il 17 e il 31, aveva perso 17 apparecchi per azioni di guerra e 3 per incidenti di volo; altri 24 erano stati tanto gravemente danneggiati da richiedere, per essere nuovamente impiegati, almeno 2, 3 mesi. Il t O ed il 2 febbraio il Vicerè rappresentava a Roma la situazione sempre più critica della nostra aviazione ridotta a 71 aerei fra cui 29 obsoleti Ca 133, 11 CR 32 e 5 CR 42: sia per le perdite subìte; sia, soprattutto, per la superioriLà conseguita dall'aviazione avversaria con l'impiego degli aerei HmTicane e Gloster. Egli rappresentava, quindi, la necessità del!' invio urgente di aerei in numero adeguato «per fronteggiare situazione resasi assai difficile» Ol (2). Mentre veniva provveduto per l'afflusso di forze nel settore di Cheren, venivano anche attuati provvedimenti cli riorganizzazione delle difese al sud di tale località, a sbarramento delle vie cli penetrazione montana verso Asmara, Adi Ugri ed Adua. In particolare, il 7, veniva costituito e affidato alla 2a divisione (col. Delitala) il «settore del Seraé» (XVI brigata coloniale, XLIII, resti VIII e raggruppamento P.A.I.; sede del comando ad Adì Ugri) col compito di sbarrare le provenienze dalla direttrice Tolé-An-esa e valli del Ferfer, dell'Obel e del Mareb.
Il 10, la 3" divisione (costituita sotto la stessa data con la Xll brigata avuta dalla 4a divisione disciolta il 4 febbraio, e la VI, proveniente dall'Amara) (gen. Bergonzi) veniva dislocata tra i capisaldi di Cheren e di Arresa a sbarramento delle provenienze sulla direttrice principale Cheren-Asmara. Nello stesso periodo di tempo il comando scacchiere disponeva la costituzione del «settore ciel Tigrai occidentale». Alle truppe (I) Tele 42563 dell'l.2.1941, documento n. I 19. (2) Tele 42744 del 2.2. J 941 , documemo 11. 120.
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provenienti dalla regione Uolcait (gen. Rizzo) O) che avevano raggiunto la zona di Az Darò, ordinava di organizzare a difesa il territorio col compito di sbarrare le provenienze dal Tacazzè e provvedere alla sicurezza sulla rotabile Adua-Gondar. Dette truppe si dislocarono a Az Darò, Enda Selassiè e Af Gagà. In circa 10 giorni, tra il 21 ed il 31 gennaio, il ripiegamento dal Bassopiano e da Cassala, iniziato così felicemente con una rottura del contatto ben riuscita, si era mutato in una precipitosa ritirata sulle posizioni difensive di Agordat-Barentù ed era stato seguito immediatamente da una serie di insuccessi su quella linea, che avrebbe dovuto essere difesa ad oltranza e che doveva essere invece precipitosamente abbandonata dopo aver subìto perdite assai onerose. Nella presentazione del terreno abbiamo posto in rilievo le relazioni intercorrenti: fra i vari allineamenti montani, che costituivano «gradini» progressivamente più elevati fra il bassopiano occidentale e l'altopiano eritreo; fra le due rotabili CherùAgordat e Aicotà- Barentù e le trasversali Aicotà- Biscia e Barentù-Agordat; nonché, infine, fra tutte queste località in corrispondenza delle quali lo scacchiere nord aveva previsto di distribuire le sue forze: a Cherù ed Aicotà quali perni di manovra avanzati; a Biscia una massa di manovra; ad Agordat e Barentù quali perni della resistenza arretrata. Ma, in fase condotta, dinnanzi alla superiore manovrabilità delle forze inglesi, apparirà scarsamente fondata la concezione del Comando Superiore delle Forze Armate in A.O.I., che prevedeva di sostenere una prima fase della battaglia difensiva sulla linea avanzata considerando Cherù ed Aicotà' due perni di manovra che avrebbero dovuto consentire l'intervento aragion veduta della massa di manovra concentrata a Biscia. Questa concezione, d'altra parte, non si armonizzava con quella cui era orientato il Comando scacchiere, che vedeva l'allineamento Cherù-Aicotà come semplice posizione ritardatrice di un ripiegamento, che avrebbe dovuto consentire di portare le (I) Verrà soslituito il 16 marzo dal Col. DELITALA che cederà il comando della 2• divisione al gen. VALLETII BORGNINI.
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forze a sostenere la battaglia difensiva sull'allineamento arretrato Agordat-Barentù. Della giustezza di questo orientamento è testimonianza, ancora anni dopo, l'affermazione dell'allora Capo di SM dello scacchiere, gen. Pizzorno, che scriverà nel 1959: «fu errore concepire ed attuare, in quel rapporto di forze e di mezzi, una battaglia in Bassopiano» <1> L'esistenza e l'andamento della trasversale Aicotà-Biscia avrebbero richiesto poi che l'accesso e l'uso di tale comunicazione da parte dell'avversario fossero impediti almeno fino a quando le unità sull'itinerario settentrionale non avessero già ripiegato da Cherù; in caso contrario la loro ritirata su Biscia avrebbe potuto essere intercettata _, come avvenne - da una manovra avvolgente da sud. Ciò avrebbe richiesto il presidio della stretta di M. Elit ad ovest di Aicotà, che non venne invece occupata organizzandosi la difesa su alture ad est di Aicotà, considerate probabilmente più idonee al compito di perno di manovra. Analogamente, visto che le comunicazioni di Barentù erano possibili solo attraverso Agordat, una battaglia difensiva, che avesse voluto mantenere il possesso di entrambe le località, avrebbe dovuto essere predisposta sul terzo allineamento montano mantenendo ad oltranza la zona di M. Biscia-Denderà, a copertura dell'unica via d'accesso a Barentù. Se ciò non si fosse voluto, il presidio di Barentù con forze ingenti risultava senza scopo; questa località finiva, infatti, per costituire solo un avamposto di Agordat sull'itinerario principale, il cui presidio era destinato ad essere alimentato o ripiegato solo con difficoltà. Appare quindi che, nell'eventualità di una battaglia difensiva al quarto allineamento montano, le maggiori forze ed attenzioni avrebbero dovuto essere devolute alla difesa della conca di Agordat, sfruttandone convenientemente i rilievi e le strette. Al riguardo va considerato che la città di Agordat costituiva un utile possesso soprattutto dal punto di vista logistico; ma la conca risulta piuttosto aperta verso occidente mentre ad oriente è chiusa da una serie di alture più difficili e ravvicinate, sì da permettere una difesa assai più forte. (I) Cfr. G. PIZZORNO" Da Cassala a Cheren" (Lo Scacchiere nord in A.O.) Tip. Regionale· Roma~ 1959, pag. 31.
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Una battaglia difensiva ad oltranza in corrispondenza di Agordat, quale era prevista ad ogni livello, avrebbe potuto quindi prevedere anche una prima resistenza ad ovest; ma avrebbe dovuto garantire una resistenza ad oltranza in profondità, al limite orientale della conca; ad essa avrebbero dovuto essere devolute forze più consistenti attuando con anticipo il ripiegamento ed il recupero di unità e mezzi sulle altre direttrici, di assai minori pericolosità e importanza strategica. Ciò non avvenne: sia per i ritardi e le indecisioni da parte del Comando Superiore di Addis Abeba circa i ripiegamenti da 'Om Ager e dall'Uolcait; sia per la mancanza di chiara visione e di coordinamento dei ripiegamenti sulle due direttrici di Agordat e Barentù da parte dello scacchiere nord. In effetti entrambi i Comandi risultarono sorpresi dalla rapidità dell'avanzata britannica e persero il controllo delle necessarie e possibili reazioni soprattutto per l'insufficiente conoscenza delle situazioni, conseguente al funzionamento insoddisfacente dei collegamenti e del servizio informazioni operativo , mentre, al minore livello, le unità tendevano a risentire nel morale per la facilità con la quale le forze britanniche realizzavano superamenti ed aggiramenti tagliando loro la via della ritirata ed attaccandole quasi impunemente e spesso di sorpresa ai fianchi ed a tergo con mezzi potenti e veloci, quasi invulnerabili alle nostre reazioni di fuoco . In pratica le forze in ripiegamento da Om Ager e Uolcait avevano subìto perdite ingenti, in uomini, automezzi e artiglierie, senza aver portato alcun contributo alla battaglia,difensiva. La divisione in due masse quasi eguali di Agordat e Barentù aveva significato compromettere le possibilità difensive di Agordat; la buona resistenza esercitata a Barentù non aveva offerto alcun concorso a quella sulla posizione principale; essa poi era stata seguita dalla dolorosa perdita di tutti i materiali pesanti sulla pista di Arresa .. Anche la condotta dei combattimenti attorno ad Agordat presentava qualche manchevolezza nell'organizzazione e nella condotta. In quei giorni, infatti, venivano allontanati dal Comando
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sia il Comandante della 2a sia quello della 4a divisione, del resto giunti da poco dall'Italia senza precedenti esperienze dell' ambiente coloniale e che non avevano dato buona prova. Ad Agordat solo il giorno 26 il Comando era stato affidato al colonnello Lorenzini, comandante della II brigata, che non poteva che cercare di porre riparo con i suoi contrattacchi sul M. Cochen ad errori di distribuzione di forze ed alla mancata organizzazione di opportune attività ricognitive, di osservazione, nonché a deficienze nella organizzazione in profondità della difesa e del fuoco (I). La battaglia difensiva che lo scacchiere nord aveva inteso condurre prima di Agordat ed in corrispondenza di questa località, si concludeva così con un chiaro insuccesso e con una perdita notevole di forze e di mezzi. A tergo, sulla direttrice che adduceva ad Asmara vi erano senza dubbio posizioni forti, quali quelle di Cheren e di Ad Teclesan, idonee all'effettuazione di rinnovate resistenze; ma esse erano sembrate eccessivamente arretrate, sicché non vi era stata effettuata alcuna seria predisposizione difensiva; su di esse non era stato previsto uno schieramento di forze né vi era stato alcun effettivo orientamento di Comandi; sicché appare abbastanza spiegabile come, in questi giorni, il Comando scacchiere ritenesse già compromessa ogni possibilità ulteriore di resistenza. Dello stato d'animo dei Comandanti in Africa Orientale si può immaginare leggendo quanto riportato dal Contrammiraglio Bonetti a Supermarina (Roma) il 27 gennaio 1940 <2>: «Ieri 26 corrente mi sono recato ad Asmara ... La situazione della Colonia Eritrea può precipitare da un momento all'altro. Qualora non sia possibile resistere efficacemente ad Agordat e Barentù, completando il ripiegamento disposto, è da presumersi che sia eseguito un attacco su Massaua... ». Dunque, si era convinti che la caduta di Agordat non avrebbe permesso di poter condurre ulteriori resistenze efficaci; ed, in effetti, solo gli interventi del Viceré e l'afflusso di nuove forze da tergo permisero di superare un difficile momento. (I) Vds. in merito la relazione molto critica dello stesso Col. LORENZJNJ, documento
n. 112. (2) Foglio n. 97 R.P. del 27.1.1941. documento n. 121.
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VISIONE
SCHIZZO N. 29
LIA DI CHEREN
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-27 MARZO 1941)
D'INSIEME
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La successiva battaglia di Cheren sarà il risultato di uno sforzo disperato di uomini ed unità, che trovavano nel terreno ed anche in qualche fortunata circostanza la possibilità di imbastire una prima affrettata difesa, successivamente organizzata e protratta con accanimento. L'esito sfortunato della battaglia nel Bassopiano aveva visto molte manchevolezze di ogni genere, che daranno poi luogo a critiche, contrasti di opinioni e polemiche (I).
È tuttavia da ritenere che indecisioni, errori e manchevolezze non debbano essere sopravvalutati nelle loro conseguenze ai fini dell'esito così disastroso. In realtà lo strumento a disposizione dei Comandanti italiani era nettamente impari rispetto a quello avversario e ad operazioni manovrate in quel terreno; per le deficienze di informazioni, collegamenti, mobilità e potenza, ogni ritardo, ogni anche minimo inconveniente od errore, così comuni sul campo di battaglia, diveniva causa irreparabile di un aggravamento inarrestabile della situazione locale e generale, che le manovriere unità inglesi sapevano sfruttare. Il maggiore errore, come ha affermato il Pizzorno, era stato accettare la battaglia nel Bassopiano e ad esso avevano concorso sia esigenze di ordine politico sia, indubbiamente, la mancata percezione preventiva negli alti Comandi militari italiani, delle possibilità risolutive e di manovra di Grandi Unità moderne motocorazzate operanti in un simile ambiente, ad alto indice di scorrimento. 2. LA BATTAGLIA DI CHEREN (schizzo n. 29)
a. IL TERRENO DELLA BATTAGLIA. Cheren, capoluogo del Senait, giace nel mezzo del rilievo omonimo, in un'amena conca ricca di acque, dal fondo movimentato, dal clima mite, dominata a settentrione dalla grande mole del monte Laal Amba (m. 2.048). Il Senait si eleva ad occidente dell'altopiano dei Mensa, sulla sinistra dell' Anseba; la parte a nord di Cheren arieggia ancora (I) Cfr. BRUTTINI e PUGLISI "L'Impero tradito" e F. CARGNELUTT! "Africa orientale -
Scacchiere Nord".
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ad altopiano ed è conosciuta col nome di altopiano dei Bogos, la parte a sud è conformata decisamente a catena. L'altopiano dei Bogos, che in pochi punti raggiunge i 2.000 metri, digrada dolcemente ad ovest ed a nord, mentre ad oriente cade a picco sull' Anseba; verso nord-ovest si raccorda agli altopiani dei Maria nelle Rore. La catena dei monti Senait che corre sulla sinistra dell'Anseba, molto ravvicinata al fiume ha, fino a sud di Cheren, altitudini superiori ai 2.000 metri (M. Suardum 2.379 metri, M. Dagaisò 2.060 metri), poi si allarga e si abbassa in molti contrafforti collinosi che separano il bacino del Barca da quello dell' Anseba. Un semicerchio montano circonda la cittadina di Cheren, interrotto: a sud-ovest dalla stretta e ripida gola di Dongolaàs, attraverso la quale passano la rotabile Asmara-Cheren-Agordat-Cassala e la ferrovia Asmara-Cheren-Agordat-Biscia; e, a nord, dalla stretta dell' Anseba attraversata dalla pista per Cubub. Il crinale di tutto il sistema si eleva ad una altezza media di metri 1. 700 ed è', in genere, caratterizzato da una serie di picchi e cuspidi, più o meno torreggianti, da speroni, e da burroni con pareti a strapiombo. La gola di Dongolaas è serrata fra M. Dologorodoc, a sudest, e M. Sanchil, a nord-ovest; il primo digrada verso sudovest in uno sperone roccioso che in qualche tratto si eleva in punte: fra queste notevoli le due dette dagli Inglesi «Pinnacle» e «Pimple»; l'altro è preceduto ad ovest, a guisa di antemurale, da un poggio indicato con q. 1.616, dal quale è diviso da un avvallamento che discende ripido nella gola; tali accidenti formano e controllàno l'imboccatura della stretta. L'interno di essa ha pareti rocciose e ripide dalla parte del Dologorodoc; meno aspre e più facilmente accessibili sono invece le pendici sud-occidentali del Pinnacolo. La catena a sud-est del Dologorodoc si spinge, rocciosa ed intagliata, verso oriente culminando colle vette di M. Falestoh, di punta Zelalé, di M. Agher Sugà: alture separate fra loro da anguste sellette che pongono in comunicazione l'ampia val
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Bogù, a meridione di esse, con la piana di Cheren, che si allarga a settentrione. Dal Sanchil, il sistema si estende alto e sconvolto verso nordovest, e torreggia nel massiccio tricuspidale del Roccione Forcuto ed in quelli più ampi e selvaggi di M. Amba, dei monti di Samanna e di M. Beit Gabrù; massicci tutti che precipitano, a sud, nella sottostante valle Hagas con stretti e profondi calanchi o con burroni ed anfratti rocciosi. A nord di M. Beit Gabrù, la catena si spezza nel colle Aful; raggiunge poscia M. Dobar e volge ad est; forma, in terreno arido e roccioso, il passo Dobac; prosegue, con la stessa direzione, elevandosi nei monti Trongò e Laal Amba e da qui volge verso nord-est colle cime Bab Harmas, Cubub e Engiahat. La depressione ad oriente di M. Laal Amba, quella settentrionale di Ander e quella intermedia della valle dell' Anseba facilitano le comunicazioni fra nord e sud attraverso questo tratto della catena. La rotabile e la ferrovia seguono, serpeggiando, la valle Hagas. L'Hagas lungo il suo alto corso, riceve, da nord, una serie di torrenti che hanno origine fra Roccione Forcuto e M. Gabrù e da sud-est il torrente Bogù che, lambito il costone M. Agher Bacac-Falestoh, si immette nell'Hagas alla sua testata, nella gola di Dongolaas. Un sistema difensivo che si appoggiasse al complesso montano ora descritto, offriva senza dubbio considerevoli possibilità difensive pur essendo naturalmente debole in corrispondenza dei valichi. La catena montana, sviluppandosi a semicerchio a ridosso della piana e dell'abitato di Cheren, consentiva infatti all'avversario, che dall'esterno forzasse e superasse uno o più dei valichi, di cadere immediatamente sulla città e sul rovescio dell'intera organizzazione difensiva. Le possibilità naturali del terreno non erano state d'altra parte messe in valore da un armonico comple~so di lavori: nessuno scavo vi era stato praticato, nessuna trincea, nessun ricovero per truppe in linea, nessun elemento di reticolato; anche l'interruzione stradale già preparata nella stretta di Dongolaas, attuata poi efficacemente il 1° febbraio, e l'altra, in corso di
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approntamento, a nove chilometri a nord della stretta dell' Anseba erano tali da poter assolvere soltanto un compito di temporaneo arresto. Nei riguardi delle condizioni poste dal terreno alla offensiva britannica sembra sufficiente ricordare il rapporto del gen. W. Platt sulle operazioni in Eritrea ed in Abissinia, che così tratteggia gli elementi che influirono sulla decisione di attaccare Cheren: «Quasi dal giorno del primo contatto a Cheren furono fatte ripetute ed ampie ricognizioni verso nord e verso sud per. cercare un'altra strada per superare il ciglione .... Ad Arresa vi era un possibile passaggio, ma la strada si era dimostrata così difficile che gli Italiani, nel ritirarsi da Barentù, erano stati costretti ad abbandonare tutti i loro veicoli. Ora, non solo vi erano difficoltà naturali, ma la via era bloccata da forze nemiche. Non esisteva alcuna rotabile che consentisse di alimentare una forza sufficiente per aprirsi una strada combattendo e il tempo che sarebbe occorso per costruirne una avrebbe permesso al nemico di rendere la posizione di Arresa formidabile quanto quella di Cheren. Le piogge avrebbero paralizzato il movimento di automezzi fra Barentù e Arresa. Anche a nord non fu trovata alcuna strada. Era chiaro che Cheren era il solo accesso praticabile alle quote più alte del ciglione, per una forza di una certa entità>>.
b . LA SITUAZIONE INIZIALE ED UNA SINTESI DELLE OPERAZIONI. Le posizioni della cintura montana di Cheren erano, durante la battaglia di Agordat, sguarnite di truppa. L' 11 ° reggimento «Granatieri di Savoia» (col. Corsi) aveva però ricevuto in Addis Abeba, il 24 gennaio, l'ordine di raggiungere Asmara quando la perdita della XLI brigat~ a Cherù aveva fatto intravedere le difficoltà del ripiegamento e della .difesa sulla linea di Agordat-Barentù. Da Asmara, tra il 29 gennaio ed il 1° febbraio, mentre si profilava il disastro ad Agordat, i suoi battaglioni venivano trasferiti a Cheren, in parte con autocarri ed in parte per ferrovia. Il Comando dello scacchiere nord, che il 1° febbraio aveva assunto il comando diretto delle operazioni, provvedeva subito ad attuare un primo schieramento per sbarrare gli accessi alla conca a forze motorizzate britanniche. A tale scopo faceva
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dislocare: il li battaglione, a difesa delle alture che rinserrano la gola di Dongolaas (dalle pendici nord-occidentali di M. Sanchil alla selletta del Falestoh); il III (bersaglieri), alla stretta di Cubub, per fronteggiare le provenienze dalla valle dell' Anseba; il I, in regione Scinnara, a difesa dei passi Aful e Dobac. Il I O febbraio, alle 21, il capo di SM dello Scacchiere faceva brillare le mine predisposte nell'interno della stretta di Dongolaas; tale brillamento provocava una notevole interruzione stradale e ferroviaria. Alla suddetta data, nella zona di Cheren erano dislocati, oltre l' 11 ° granatieri: l'XI brigata (col. Prina) e il III gruppo squadroni cavalleria coloniale, a nord-est dell'abitato, pure provenienti da Asmara; - il IV gruppo di cavalleria coloniale, al campo avio a nordovest della città; - il CIV gruppo artiglieria 77/28, in zona M. Dologorodoc; - I compagnia genio e elementi sussistenza. I reparti della 4 a divisione coloniale, in ritirata da Agordat, si andavano frattanto raccogliendo , per riordinarsi e ricostituirsi, nella wna di Habi Mente! Oocalità sulla strada di Asmara a 12 chilometri da Cheren). -
Lo stesso giorno 1, il comando scacchiere nord affidava la difes a della piazza di Cheren al gen. Nicola Carnìmeo (comandante la 1a divisione coloniale dislocata tra Karora e Chelarnet) e ne disponeva il trasferimento a Cheren con parte delle sue truppe: V brigata coloniale (da Alghena), e V gruppo artiglieria (da Mersa Taclai) <1>. Il movimento veniva iniziato la notte stessa; i materiali poterono essere autotrasportati, ma gli uomini dovettero invece percorrere a piedi ben 290 chilometri in soli 5 giorni. Nella notte sul 2, il comandante la piazza provvedeva a dislocare i battaglioni.dell'XI brigata coloniale in modo meglio corrispondente alla situazione: -
LVI battaglione in zona M. Tetri-M. Amba;
(I) A presidiare le difese della zona di Cub Cub rimanevano la XLIV brigata coloniale, il Il gruppo cavalleria e una banda P .A.I. (Per la topomastica, vds. schizzo n. 25).
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LI battaglione a diretto sbarramento della stretta di Dongolaas; LII battaglione tra sella Zelalé (colle Acqua) e M . Agher; LXIII battag~ione alla «Missione» a sud-ovest di Cheren; comando brigata a sella Zelalé. Il CVI gruppo artiglieria autoportato da 77128, giunto nella notte stessa da Cub Cub, veniva piazzato con le sue tre batterie lungo il margine orientale della piana di Mogareh; a nordovest della piana, al XV gruppo cavalleria coloniale veniva affidato il compito di eliminare eventuali infiltrazioni dal colle Aful e dal passo Dobac Cl); gli accessi attraverso la catena montana a nord di Cheren rimanevano sotto il controllo del I battaglione granatieri e del III (bersaglieri) in attesa che si precisassero le eventuali direzioni d'attacco britannico <2>. (1) XV e III gruppo verranno trasferiti ad Ad Teclesan rispettivamente il giorno 3 e il giorno 6 in seguito ad ordine del comando scacchiere nord. Ii III verrà sostituito dal II proveniente da Cub Cub.
(2) Le forze britanniche operanti sul fronte eritreo, in uno studio del Comando Superiore FF. AA. dell'A.0.1. in data 24 febbraio, risultavano cosi dislocate e raggruppate:
Zona di Cub Cub: tra Cub Cub e Uad Giaba: 1 brigata senegalese (tre battaglioni); 1 battaglione sudanese; 1 battaglione indiano; I gruppo artiglieria; I compagnia del genio; mezzi corazzati; a sud di Mersa Gulbub: 2 bande cammellate sudanesi; I banda savari sudanese a cavallo; mezzi corazzati; ad Aquiq: 2 battaglioni inglesi. Zona di Porto Sudan: 1 battaglione egiziano; I battaglione arabi dello Yemen; I compagnia del genio; 2 batterie costiere; elementi di polizia. Zona di Cheren: 4• divisione anglo-indiana, composta da: 2 brigate anglo-indiane (5° e 7•), I battaglione inglese di riserva, elementi di artiglieria motorizzata, I compagnia 1.appatori minatori, mezzi corazzati vari. Zona di Arresa: 5• divisione anglo-indiana composta da: 2 brigate anglo-indiane (9• e 10•, I battaglione montato sudanese, I compagnia volontari greci, I gruppo di artiglieria, 2 compagnie zappatori-minatori, mezzi corazzati. -
Zona Agordat e zona Goz Regeb-Aroma: - reparti non accertati. Si può rilevare, a parte qualche errore di identificazione, una valutazione abbastanza aderente delle forze che ci fronteggiavano; peraltro, non risultava l'avvenuto tfasferimento di unità della 5• divisione anglo-indiana della zona di Arresa a quella di Cheren, ove successivamente entrambe le divisioni 4 • e 5 • rinnoveranno i loro sforzi offensivi.
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Si temeva infatti una estensione prossima della minaccia alle provenienze da nord. Le forze britanniche, entrate in Agordat e Barentù rispettivamente il 1° ed il 2 febbraio, riprendevano immediatamente la loro avanzata, dopo una rapida riorganizzazione. Sull'itinerario meridionale procedeva verso Arresa un raggruppamento motorizzato della l oa brigata fanteria indiana (5 adivisione); su quello settentrionale l'avanzata era ripresa dalla «Gazelle Force», che peraltro veniva ritardata per tutta la giornata dell' 1 dalle difficoltà del superamento del Barca per l'avvenuta demolizione della maggiore arcata del ponte in ferro «Mussolini» ad est della città ed il minamento degli accessi ai guadi, per qualche tempo battuti da nostre armi. Superato questo ostacolo la «Gazelle Force» riprendeva il movimento e giungeva nel tardo pomeriggio del 2 febbraio alle interruzioni predisposte nella gola di Dongolaas a circa 8 km. da Cheren. Essa precedeva nel movimento l' 11 a brigata con in testa gli scozzesi del 2° /Cameron High'landers, seguito dal I O /6° Rajputana e - il 3 febbraio - dal 3° /14° Punjab. Arrivavano poi in zona: il 5 febbraio, il 3° /1 ° Punjab della 5a brigata fanteria indiana ed il 6 tutte le rimanenti unità di questa brigata. Da quest'ultima data la 4a divisione di fanteria indiana era in grado di attaccare con due brigate al completo. La battaglia di Cheren si svilupperà attraverso tre tempi: -
primo tempo (2-13 febbraio). Il mattino del 2 il nemico, con le forze provenienti da Agordat, iniziava subito una serie di attacchi tendenti a scardinare la nostra difesa. Effettuati all'inizio con la sola 11 a brigata e poi proseguiti con le due brigate della 4a divisione indiana, tutti gli attacchi erano respinti rimanendo all'avversario solo l'occupazione dello sperone di quota 1.616. Gravi erano le nostre perdite, ma non meno gravi quelle dell'avversario, che era costretto ad allentare la sua pressione;
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secondo tempo (14 febbraio - 14 marzo). Entrambi i contendenti riorganizzavano forze e schieramenti; sul fronte
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occidentale e meridionale di Cheren la lotta si limitava a piccole azioni locali, a tiri di artiglieria ed attività di pattuglia; nel settore nord, invece, si aveva una accentuata pressione contro la nostra occupazione avanzata di Cub Cub; che ci costringeva a ripiegare su passo Mescelit (20 chilometri a nord di Cheren); terzo tempo (15-27 marzo). La battaglia infuriava su tutto il fronte di Cheren: i monti di Samanna, il Roccione Forcuto, M. Sanchil, M. Dologorodoc erano teatro di lotta cruenta. Impadronitosi del Dologorodoc l'avversario esercitava gli sforzi di due divisioni (4a e 5a) a cavallo della valle Dongolaas riuscendo a determinare una pericolosa sacca ed a riattare l'interruzione stradale, che aveva fino allora impedito il transito dei carri e delle camionette. Nella notte sul 27, le truppe italiane, esauste, ricevevano l'ordine di ripiegare su una linea difensiva a cavallo della strada per Asmara, in zona di Ad Teclesan.
IL PRIMO TEMPO DELLA BATTAGLIA (2-13 FEBBRAIO) (schizzo n. 30).
Come già accennato, nel pomeriggio del 2 febbraio unità motorizzate della «Gazelle Force», seguite da unità della 11 a brigata di fanteria indiana risalivano la valle Hagas e prendevano contatto con il nostro sistema difensivo. Elementi corazzati si spingevano nella stretta di Dongolaas ma, bloccati dall'interruzione stradale, venivano respinti; altri dilagavano in val Bogù, ai piedi dello Zelalé, senza tuttavia poter trarre dall'irruzione apprezzabili vantaggi. L'indomani, mentre erano tuttora in corso di completamento i movimenti ordinati dal gen. Carnimeo, l'artiglieria britannica apriva il fuoco su q. 1616, sulle pendici sud-occidentali del Sanchil e sul Dologorodoc; carri armati da crociera e camionette penetravano nuovamente nella stretta di Dongolaas spingendosi fino all'interruzione stradale, altri mezzi celeri risalivano la val Bogù e s'inerpicavano sulle pendici sud-occidentali dello Zelalé verso il colle Acqua nella vana ricerca di una pista. Poco dopo le 16, il 2° battaglione «Camerons» scozzesi attaccava 1' altura di q. 1. 616 presidiata da una compagnia granatieri.
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LE OPERAZJONI IN AFRICA ORIENTALE
Il combattimento si protraeva violento finché, nel tardo pomeriggio, i pochi granatieri superstiti non venivano sommersi e costretti a ripiegare sul Sanchil. All'alba del 4, i reparti britannici venivano contrattaccati e respinti oltre la sommità dell'altura, ma l'intervento di rinforzi e l'intenso fuoco di artiglieria arrestavano i progressi dei granatieri. Il comando piazza disponeva che l'azione fosse ripresa l'indomani con la compagnia granatieri in sito, 2 compagnie del LI battaglione e 2 compagnie del LVI battaglione coloniale. Due altre compagnie, del III battaglione bersaglieri, trasferite dalla stretta dell' Anseba a quella di Dongolaas, dovevano dislocarsi sulla sommità e sulle pendici nordoccidentali del Sanchil: a presidio della posizione l'una; pronta ad intervenire, contrattaccando, l'altra. L'attacco era predisposto per le prime ore del 5, ma, nella notte, l'avversario rinforzato da elementi della 5a brigata indiana riusciva ad occupare il costone del Roccione Forcuto, costringendo il LVI battaglione coloniale a ripiegare su M. Amba e minacciando da nord il Sanchil. Nelle prime ore del mattino, i «Punjabs» erano già in vista dell'abitato di Cheren e si affacciavano sulla piana di Mogareh, mentré un altro battaglione dell' 11 a brigata indiana (1 ° /6° «Rajputana») avanzava da q. 1.616 lungo il costone occidentale del Sanchil. In questa situazione il comandante della piaz~a ordinava che l'operazione progettata la sera precedente si mutasse in azione di contrattacco: il LVI battaglione (meno una compagnia da lasciare a presidio di M. Amba) avrebbe attaccato da nord il fianco sinistro dei «Punjabs»: i granatieri e le due compagnie bersaglieri, già in movimento su M. Sanchil, si sarebbero opposti, contrassaltando, a qualsiasi progresso del 1° /6° «Rajputana»; il LI battaglione avrebbe contrastata ogni azione avversaria nell'interno della stretta di Dongolaas. Ma gli Indiani, allargata la propria fronte sui costoni meridionali del Sanchil, si frazionavano in gruppi e risalivano la montagna passando di roccia in roccia cauti e decisi. Alle 9, l'artigFeria britannica concentrava il fuoco sulla sommità del monte e la fanteria, con un supremo sforzo, muoveva all'assalto
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delle posizioni tenute dai nostri; i granatieri, decimati dal fuoco avversario, opponevano tenace resistenza, ma erano costretti a cedere in qualche tratto; due pezzi da 65/17 trasportati a spalla sulla cima del Sanchil «Nido d'aquila» colpivano da brevissima distanza le fanterie britanniche. La lotta era ormai prossima alla crisi risolutiva: i difensori esaurite quasi del tutto le munizioni erano allo stremo delle loro possibilità fisiche, quando due compagnie bersaglieri, inerpicatesi nella notte su per le scoscese pendici del monte apparivano sotto il torrione e con travolgente assaito rovesciavano nei sottostanti burroni i gruppi indiani che avevano già posto piede sul «Nido d'aquila». I «Rajputana» venivano intanto minacciati alle spalle dal XCVII battaglione coloniale che, giunto a Cheren da Alghena dopo 5 giorni di marce forzate, era stato avviato alla stretta di Dongolaas e stava risalendo il Sanchil a tergo dei reparti britannici che ne avevano ormai raggiunto la sommità. Esausti, pressati sul fronte e sorpresi dall'attacco alle spalle i «Rajputana» infine ripiegavano nella sottostante valletta e da qui sulla q. 1.616. Il XCVII battaglione proseguiva il suo movimento, raggiungeva a sera la vetta del Sanchil e, nella notte, ne presidiava le pendici nord per fronteggiare l'avversario che occupava ancora il costone del Roccione Forcuto. L'attacco di quest'ultima posizione, che in mano dell'avversario rendeva la nostra situazione sul Sanchil oltremodo pericolante, venne predisposto per il giorno successivo e fu affidato allo stesso XCVII battaglione coloniale rinforzato da elementi bersaglieri con mortai. Il comandante della piazza raccoglieva nel tratto Dongolaas-M. Amba gran parte delle truppe a sua disposizione ed otteneva dal comando scacchiere l'autorizzazione ad impiegare qualcuno dei reparti della II brigata in via di ricostituzione ad Habi Mentel (schizzo n. 31). Nelle prime ore del mattino, dopo breve preparazione d'artiglieria, il XCVII battaglione, su due scaglioni, muoveva all' assalto, sorprendeva l'avversario, ne scuoteva la resistenza; ascari e bersaglieri incalzavano; altri reparti (del LVI battaglione) avanzavano dal M. Amba per ristabilire il collegamento
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colle truppe del Sanchil, mentre aerei britannici lanciavano bombe a tergo delle posizioni tenute dai nostri e sulle strade di accesso per impedire l'accorrere di nuovi rinforzi. Dopo tre ore di dura lotta l'attacco fu coronato da pieno successo; i «Punjabs» furono costretti ad abbandonare il Roccione Forcuto (I). Occorreva però strappare all'avversario anche il possesso delle quote 1.616 e 1.567. Per eliminare l'una e l'altra occupazione veniva disposta un'azione di tre battaglioni coloniali (CVI, LXIII e LVI) moventi da M. Amba con direzione i costoni di q. 1.605 e 1.567; i reparti del Sanchil, schierati lungo le pendici meridionali del monte, dovevano tenersi pronti a concorrere all'attacco di q. 1.616. A movimento iniziato, formazioni aeree britanniche in successive ondate bombardardarono, spezzonarono e mitragliarono per oltre due ore i reparti attaccanti. L'azione contro le due posizioni non ebbe i risultati sperati: esse rimasero entrambe nelle mani del nemico. Nello stesso giorno il Viceré, in una lettera al gen. Frusci <2): ribadiva la necessità di resistere ad oltranza sulle posizioni di Cheren-Arresa, invitava a dare dinamismo alla difesa ed a proseguirla eventualmente con operazioni di guerriglia, dava notizia dell'invio di rinforzi. Veniva anche detto, però, che «con questo avrò fatto quanto mi è umanamente possibile fare per venire fin che posso incontro alle vostre necessità». Il mattino del giorno 7, chiari indizi facevano ritenere prossimo un ritorno offensivo dell'avversario con diverso obiettivo. Rinforzato dalla 5a brigata della 4a divisione il nemico intendeva infatti risalire la val Bogù e l'impluvio di «Acqua» in R. Scescilembi per minacciare sul rovescio le nostre posizioni del Falestoh e del Dologorodoc e procedere in direzione dell'altura della «Missione» che si affaccia su Cheren. (I) I picchi del Roccione Forcuto furono chiamati dai Britannici «Brigadier's Peaks» (Brig's Peaks) per ricordare la presenza in linea del comandante la brigata. (2) F.s.n. del 6.2.1941 del Vicerè al gen. FRUSCI, documento n. 122.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA O RIENTALE
Durante tutta la giornata una violenta azione di artiglieria si abbatteva sul M. Dologorodoc. Il movimento dei reparti aveva inizio la sera. I fucilieri indiani risalivano le alture ad oriente ed occidente del colle Acqua e, all'alba, irrompevano sulle posizioni tenute dai nostri, mentre l'aviazione britannica in costante crescendo svolgeva intensa azione di bombardamento. Di fronte alla superiorità avversaria alcuni reparti del IX battaglione coloniale, che presidiavano il Falestoh, erano costrett~ a cedere. Rapida era la discesa degli Indiani e il dilagare di una parte di essi verso la «Missione», ostacolata soltanto dai pochi granatieri posti a guardia della selletta Falestoh-Zeban. Forti nuclei assalivano intanto da tergo i difensori del colle Acqua, già premuti frontalmente, e consentivano a nuove forze di straripare nel versante prospiciente Cheren. Alle ore 0,30 del giorno 8, elementi indiani raggiungevano I' abitato contrastati da successive frammentarie resistenze dei reparti del IX battaglione. Il destino di Cheren sembrava segnato e già giungevano all'Asmara incontrollate sinistre notizie sulla sorte toccata alla cittadina. Ma il comando della piazza riprendeva l'iniziativa nella notte e mentre lanciava il III gruppo cavalleria coloniale all'assalto dei «Rajputana» che stavano raccogliendosi ai margini meridionali dell'abitato, ordinava al IV battaglione coloniale (ammassato ai piedi del forte di Maio a nord~est di Cheren) di portarsi celermente sulla pista che sale al Zelalé per attaccare e respingere contro il monte i Britannici scesi in piano; al I battaglione granatieri (dislocato a Scinnara) di trasferirsi al margine occidentale di Cheren lasciando pochi elementi a guardia dei passi Aful e Dobac; al II gruppo cavalleria coloniale (in marcia da Cub Cub) di forzare il movimento e raggiungere Cheren nel più breve tempo possibile; all'artiglieria tutta della difesa di concentrareil fuoco sulla sella di Zelalé e sul Falestoh per dare alle truppe britanniche più avanzate la sensazione dell'isolamento nel qy~le erano venute a trovarsi. Gli ascari eritrei del IV battaglione coloniale «Toselli» ed il III gruppo cavalleria si lanciavano sugli Indiani con travolgente impeto che rianimava i combattenti del IX, arretrati poche ore
L'ATTACCO CONT RO L' ERITREA
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prima. La lotta raggiungeva, tra l'una e le tre, la più alta drammaticità; assalti e contrassalti si susseguivano repentini e violenti. I reparti avanzati dei battaglioni indiani contenevano, in primo tempo, l'azione decisa dei nostri; ma poi la loro capacità reattiva si attenuava, ed essi finivano col ripiegare. Serrati contro i costoni dello Zelalé e del Falestoh, ne risalivano le pendici; tentavano sulle sommit à un'ultima difesa e accennavano a qualche contrattacco; ma efficacemente battuti dal fuoco delle batterie italiane e sospinti dall'impeto incalzante degli ascari ridiscendevano nella val Bogù trascinandosi dietro numerosi feriti. Le giornate dell'8 e del 9 erano caratterizzate da intensa attività dell'artiglieria avversaria, integrata da ricognizioni aeree, spezzonamenti e mitragliamenti. La nostra artiglieria (data la limitata gittata), unitamente ai mortai da 81, reagiva più che altro per ostacolare il movimento nelle immediate retrovie nemiche. Nel pomeriggio del1'8 il comando dello scacchiere nord disponeva l'avviamento in rinforzo alla piazza di Cheren del battaglione alpino «Uork Amba» del 10° reggimento «Granatieri di Savoia» (da dislocare su M. Agher Bacac) e della XLIV brigata coloniale coi battaglioni CV e CVII. 11 CXII battaglione della stessa brigata rimaneva a Cub Cuba difesa dello sbarramento di Cam Ceu. Il 10 febbraio una colonna composta dal 1° Royal Sussex occuperà Mersa Taclai e proseguirà su Nacfa. Il fronte di Cub Cub verrà compreso nel sistema difensivo di Cheren a decorrere dallo stesso giorno. Alla sera del 9, la sistemazione difensiva della piazza era la seguente: -
-
settore Becana-Zelalé-Falestoh (col. Lorenzini): II brigata coloniale (battaglioni IV, IX, X, CLI); I battaglione granatieri, batteria artiglieria 65/ 17; settore Dologorodoc-Sanchil (col. Corsi): II battaglione granatieri; III battaglione bersaglieri (meno una compagnia); battaglione «Tipo» eritreo; CIV gruppo artiglieria da 77/28; 10a batteria dz. 65/17 e pezzi anticarro;
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-
settore Roccione Forcuto-M. Amba (col. Oliveti); XCVII; LVI; LVIII; CVI battaglione coloniale; II gruppo artiglieria 65/17; settore colle Aful- passo Dobac: II gruppo cavalleria coloniale; settore nord-Anseba: I compagnia bersaglieri; I squadrone cavalleria del II gruppo.
A disposizione del comando piazza restava il III gruppo squadroni cavalleria. Il battaglione alpino «Uork Amba», al suo arrivo, si dislocava (come previsto) su M. Agher; la XLIV brigata invece, d'ordine del Comando scacchiere nord, nel pomeriggio del giorno 10, dovrà trasferirsi a Chelamet (a 56 km. da Cheren) essendo stati segnalati movimenti di truppe britanniche al confine settentrionale dell'Eritrea. Il Comando scacchiere nord proponeva al Comando Superiore e veniva autorizzato ad attuare un proprio piano che intendeva alleggerire la pressione su Cheren e parare la minaccia rappresentata dall'estendersi delle sue basi dalla regione di Agat I ai pozzi di Sciotel, con tendenza ad avvolgere l'ala sinistra del nostro schieramento. Venivano perciò disposti movimenti di truppe nella zona del bacino del Barca; in particolare O): -
la VI brigata, proveniente dall'Amara, avrebbe dovuto nei giorni 9 e 1O eseguire puntate offensive in direzione nord e discendendo la valle Ghergher, puntare al fianco destro dell'avversario dislocato di fronte a Cheren;
-
il XV gruppo squadrqni avrebbe dovuto operare in Val Gullà prendendo collegamento ·c on la colonna della VI brigata;
-
il battaglione alpini «Uork Amba», in afflusso ed in sosta all'Asmara, doveva raggiungere M. Becanà ed effettuare, partendo da questa base, puntate offensive in alta valle Bogù.
Affrettatamente organizzata, l'azione controffensiva risulterà rallentata dalle difficoltà degli itinerari e sarà arrestata senza aver conseguito risultati concreti; la VI brigata ed il XV gruppo (I) Per la toponomastica vds. schizzi n. 21 e 29.
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squadroni ripiegavano l' 11 febbraio senza aver preso contatto con il nemico. Nella stessa giornata il battaglione alpino veniva ritirato dal settore e fatto affluire a quello del Sanchil. Il mattino del 10, la valle Hagas pullulava di veicoli di ogni genere; il Comando britannico spingeva innanzi, per la ripresa dell'azione, quanto era ancora arretrato della 4a divisione; la valle Bogù era gremita·di artiglierie. L'attacco si riprometteva, come già il precedente, di aggirare la sinistra del nostro schieramento e, come quello, prevedeva un'azione contro le nostre posizioni ad occidente della gola di Dongolaas: -
-
l' 11 a brigata indiana (rinforzata da truppe fresche dopo gli avvenimenti del 4) doveva rinnovare, a sinistra, i suoi tentativi su Roccione Forcuto e M. Sanchil; la 5a brigata doveva ritentare, a destra, il superamento della sella tra punla Zelalé e Falestoh; la 29a brigata (avuta in rinforzo della 5 a divisione indiana) era dislocata in val Bogù, in seconda schiera, dietro la 5 a, per sfruttare il successo di quest'ultima.
La «Gazelle Force», in riserva, doveva tenersi pronta a sfociare e dilagare al di là dei monti. Nel pomeriggio del 10 i bombardamenti terrestri divenivano più serrati e violenti, mentre l'azione aerea aumentava anch'essa d'intensità. Il Roccione Forcuto e il Sanchil erano investiti quasi contemporaneamente. La lotta si svolgeva cruenta con alterne vicende. Sul Roccione Forcuto gli ascari del XCVII battaglione coloniale, decimati e demoralizzati da tre giorni di snervanti bombardamenti, cedevano, verso le ore 16, e i superstiti si sbandavano nel sottostante vallone sul quale l'avversario si affacciava minaccioso; erano gli stessi ascari che con tanto slancio i1 giorno 6 avevano assalt ato e conquistato quelle posizioni. Alla selletta del Sanchil, i bersaglieri erano a loro volta aspramente impegnati, ma contenevano il nemico. Un loro vigoroso contrattacco riconquistava il Roccione Forcuto e consentiva di farvi affluire, durante la notte, munizioni, viveri ed acqua. Ma, all'alba, un ritorno offensivo dell' avversario li ricacciava dalla po,sizione .
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LE OPERAZIONI IN AFRICA OR IENTA LE
Il comandante della difesa, che non aveva riserva di truppa a sua disposizione, insisteva per il ritorno a Cheren della XLIV brigata già partita per Chelamet; l'otteneva e al giungere di essa inviava il CV battaglione sul rovescio di M. Amba ed il CVII dalla «Missione». Per tutta la giornata dell' 11 febbraio, l'avversario ripeteva i suoi tentativi contro la selletta, ma era contenuto sempre dalla tenacia dei difensori e dal tiro delle batterie della difesa; sulla posizione di Roccione Forcuto ammassava intanto uomini, armi e munizioni. In tale situazione, il comandante della piazza ordinava che il battaglione alpini «Uork Amba» si portasse, al più presto, dall' estremità sud-orientale del fronte su M. Amba per attaccare, nella notte stessa da nord, la posizione del Roccione Forcuto. Il movimento del battaglione veniva c~lermente effettuato su automezzi. Alle ore 20, gli alpini raggiungevano la sommità di M. Amba, a mezzanotte la base di partenza per l'attacco. Di qui sferravano, colla tradizionale bravura dei soldati della montagna, un immediato assalto a bombe a mano cadendo sul fianco della posizione britannica; le opposte artiglierie ed i mortai si accanivano su attaccanti e difensori interdicendo anche l'afflusso dei rinforzi dai costoni della q. 1.616. L'imprevista .direzione dell'attacco disorientava i Britannici, e li costringeva ad abbandonare con l'altura tutto il materiale che vi avevano raccolto. Padroni delle tre cime del monte, i nostri vi si organizzavano saldamente. Il colpo inferto dagli alpini induceva l'avversario a desistere da ulteriori tentativi di impadronirsi del Sanchil e del Roccione Forcuto, ma lo lasciava aggrappato all'altura di q. 1.616, unico suo appiglio al nostro sistema difensivo. Il Comando inglese anzi, ritenendo insufficienti le forze dislocate nella zona, spostava su tale altura il 2° battaglione «Maharatta» della 29a brigata, già schierata nella Val Bogù per l'operazione che stava per essere attuata sul colle Acqua. All'alba del 12, l'artiglieria britannica investiva con una tempesta di fuoco a massa il colle fra punta Zelalé e M. Falestoh;
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forti pattuglioni di Indiani, che durante il tiro di preparazione avevano serrato sotto, sostavano ai piedi della siepe di filo spinato che limit~va lo spalto; il battaglione dei Sikhs da val Bogù risaliva il costone meridionale; i «Rajputana rifles» si accanivano contro il Falestoh; altri reparti rimontavano la testata della val Bogù e la valle Romiù col proposito di affacciarsi sullo stradone di Asmara. Da parte italiana: gli ascari del X battaglione coloniale difen; devano la sella; la 1a compagnia granatieri occupava i due pilastri del colle per sbarrarne l'accesso col fuoco dei mortai; il battaglione «Toselli» presidiava il Falestoh; il CLI battaglione era disteso lungo tutto l'impervio costone M. Agher-M. Becanà a protezione dall'alta valle Bogù per la quale si accede ad Habi Mente!; il IX battaglione era in riserva. I combattimenti acquistavano rapidamente carattere di estrema violenza. Elementi nemici riuscivano a penetrare nella selletta e a procedere in direzione della piana di Giufà; ma un contrattacco eliminava l'infiltrazione. Le batterie italiane, dopo brevi tiri di inquadramento, iniziavano un efficace concentramento sulle artiglierie avversarie schierate in val Bogù, mentre da M. Amba prendevano sotto il loro fuoco autoveicoli in sosta nella valle Ascidirà. L'avversario persisteva nel tentativo di aprirsi la via su Cheren e riusciva infatti a conseguire qualche progresso sul fronte del nostro IV battaglione (rinforzato da 2 compagnie del CVII e da I compagnia del LII battaglione coloniale) che, nella dura lotta, perdeva 12 ufficiali ed oltre metà dei graduati e degli ascari. Gravi erano anche le perdite fra i granatieri di Savoia delle unità mortai. A partire dalle prime ore del pomeriggio, la forza di penetrazione avversaria lentamente si affievoliva, fino a che la situazione si capovolgeva e il successo si delineava nettamente a nostro favore. Il nemico (al quale era anche giunta la notizia che una nostra brigata coloniale in marcia nella valle del Barca tendeva al ponte di ferro a tergo della divisione) ripiegava inseguito da reparti degli stessi battaglioni che ne ave.vano per lunghe ore sostenuto il poderoso urto e da reparti di formazione di conducenti. Depositi di munizioni costituiti dall'avversario (circa 40.000 colpi) erano fatti saltare; armi e materiali venivano rastrellati.
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Svaniva così, la speranza dei Britannici di poter progredire nel settore meridionale, risalendo quel ramo della val Bogù che avevano denominato «Happy Valley)) (valle della felicità). «Era essa che aveva dato la falsa speranza di trovare una strada che permettesse dr aggirare la fortezza nemica, strada che il Comando britannico doveva cercare invano per un mese; e fu su di essa che le truppe indiane ebbero a ritirarsi due volte sconfitte, ma non scoraggiate» <1>. Il 14, i carri armati, che erano stati disseminati sotto gli alberi in attesa che l'azione della fanteria permettesse loro di irrompere per la strada, furono visti ripiegare lungo la rotabile verso occidente; il nemico desisteva, per il momento almeno, dai suoi propositi d'attacco.
d. IL SECONDO TEMPO DELLA BATTAGLIA (14 FEBBRAI0-14 MARZO). In questo periodo le unità britanniche venivano fatte ripiegare dalla zona avanzata per ripristinarne gli organici e potenziarne l'efficienza: la 5a divisione, ritirata la 29a brigata da val Bogù, la 9a da Oallabat e la 10a da Barentù, si raccoglieva nel territorio compreso tra Cassala e Tessenei; la 4a divisione si concentrava in valle Ascidirà, dopo aver sostituito, su q. 1.616, l' 11 a brigata con la 5a; le artiglierie assumevano schieramento più arretrato. Da parte nostra si procedeva al consolidamento della difesa ed al riordinamento dei reparti: le posizioni, che erano state obiettivo di reiterati attacchi avversari nel settore più sensibile del fronte occidentale, venivano organizzate a capisaldi con il compito di resistere ad oltranza anche se oltrepassate (la mancanza di idonei mezzi tecnici consentì però soltanto di approntare col materiale pietroso disponibile sul posto un limitato numero di ripari); col filo spinato che potè essere racimolato nella zona venivano costruite siepi, efficaci soprattutto perché, riducendo le possibilità di sorprese locali, valsero a dare al difensore maggior tranquillità. (I) Da The Abyssinian campaigns - The officiai story of the conquest of East Africa, pag. 38.
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Alla fine del mese, il comandante la piazza di Cheren, in vista della ripresa dell'offensiva britannica, rappresentava nuovamente al comando scacchiere nord la necessità di rinforzare le truppe della difesa. Affluirono nella conca i seguenti reparti: XII brigata coloniale (battaglioni XXXVI, XLI, CIII); VI brigata (battaglioni XIX, XXIV, XXXI, XXXIV); 11 a legione cc. nn. (2 battaglioni); XLIV battaglione cc. nn.; 3a compagnia carabinieri di formazione. Nella prima decade di marzo, la difesa poteva così disporre di 28 battaglioni di fanteria (7 nazionali) con una forza media di 400 uomini ciascuno (circa 12.000 in totale); 30 batterie di artiglieria (120 pezzi di piccolo calibro). Durante questo periodo, come già accennato, l'attività operativa sul fronte sud-occidentale del sistema difensivo di Cheren si limitò à tiri di artiglieria, incursioni, attacchi locali e azioni di pattuglie: i nostri effettuarono ricognizioni offensive in val Bogù, sulle pendici sud-orientali del Dologorodoc e in valle Aful, e colpi di mano su q. 1616, in valle Ascidirà e su M. Blaga Ghetao; i Britannici attaccarono, il 4 marzo, M. Tetri riuscendo ad occuparlo temporaneamente (la situazione fu ristabilita l'indomani da un contrattacco di una compagnia di carabinieri che mosse dalle pendici nord-occidentali di M. Amba) e tentarono, senza successo, nei giorni 13 e 14, di occupare M. Beit Gabrù. Sul fronte nord, l'attacco alle nostre posizioni avanzate di Cub Cub difese da retroguardie (la XLIV brigata, come già ricordato, era affluita a Cheren il 9 febbraio lasciando in posto il CXII battaglione) venne iniziato il 14 dalle unità della Brigata Francese d'Oriente facenti parte della «Briggs Force» <1>. Tra il 16 e il 20, l'avversario occupò il costone antistante Cam Ceu. Rinnovò l'attacco il mattino del 21 con un tentativo di aggiramento; respinto, lo riprese nel pomeriggio, ma fu ancora (1) La «Briggs Force» dal nome del suo comandante, ger.. H.R. BRIGGS. Questa forza rist1ltava al comando della piazza di Cheren così costi!Uita: battaglione Royal Sussex; 16" reggimento Punjabs; I reggimento della legione straniera francese; 1 battaglione senegalesi inquadrati da ufficiali francesi; un complesso di artiglierie di ogni calibro; elementi meccanizzati. La relazione del gen. Platt riporta invece la seguente composizione: 7• brigata indiana, 143 battaglione della legione straniera e 3° battaglione di marcia (Tchad) francesi, truppe suppletive.
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· tE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
validamente contenuto. Il 24, però, mentre forze nemiche tenevano fortemente impegnato Cub Cub, altre riuscivano ad infiltrarsi passando a sud e ne accerchiavano ed eliminavano il piccolo presidio raggiungendo Chelamet. Il 25, il nemico veniva a contatto con le nostre difese di passo Mescelit {I) e del settore nord di Cheren, che peraltro dovevano, da questo momento, vedere impegnate maggiori forze (II e IV Brigata coloniale). Il 5 marzo, la «Briggs Force» al completo si schierava di fronte alla cintura settentrionale di Cheren, contro la quale le sue artiglierie iniziavano tiri di inquadramento. Il 13, reparti della legione straniera tentavano di forza la stretta di Ander, ma erano respinti; altri attacchi condotti contro M . Engiahat, nei giorni 14 e 15, si infrangevano contro la resistenza degli ascari del CLI battaglione; un tentativo di aggiramento dell'ala destra era sventato da elementi di cavalleria del XV gruppo. Il cerchio attorno a Cheren si andava tuttavia stringendo, mentre le nostre forze si diradavano per la defezione di buona parte degli ascari del bassopiano. Le quattro settimane seguìte ai cruenti combattimenti della prima fase, se consentirono il riordinamento dei nostri reparti e un certo consolidamento della difesa di Cheren, valsero però anche ad accentuare la schiacciante superior:ità avversaria in artiglieria specialmente in aviazione (2) (3 ). L'atteggiamento della popolazione eritrea non destava preoccupazione, ma i Britannici non trascurarono di fomentare l'esodo dei militari reclutati nei territori che si erano dovuti abbandonare, allettandoli con la ripresa dei mercati, organizzando vendite a prezzi in:isori, offrendo lauti compensi per le informazioni, confermando in carica i vari capi-paese.
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La relativa stasi delle operazio11i ed informazioni esagerate circa le perdite inflitte ai Britannici illudevano il Comando Superiore in Addis Abeba di aver potuto conseguire l'arresto definitivo dell'offensiva britannica dal Sudan. In quei giorni stava divenendo, invece, disastrosa la situazione in Somalia; sicché (1) Per la toponomastica vds. schizzi nn. 24 e 29. (2) Nella gìà ricordata pubblicazione dal titolo The Tiger Strikes sì legge: «Dopo la battaglia sul col dell'Acqua l'aviazione·nemica disturbò raramente la 4• divisione. La RAF stabilì la sua completa supremazia aerea e gli aeroplani nemici apparvero assai di rado sopra Cheren». (3) Aerei esistenti in A.O.I. al 15.3. l 94 l = 40 (Doc. n. 18).
L'ATIACCO CONTRO L'ERITREA
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esso inviava a Cheren un Ufficiale del proprio Comando per esaminare in luogo la possibilità di disporre di unità ivi schierate e, il giorno 12 marzo, chiedeva di poter avere il battaglione alpini <1>. Ma il Comando scacchiere resisteva a tali richieste <2) rappresentando una situazione di impegno di tutte le proprie forze sui vari settori dello scacchiere e le prospettive di imminenti offensive avversarie (3). Queste avevano inizio nei giorni immediatamente successivi.
e.
IL TERZO TEMPO DE LLA BATTAGLIA (15 -27 MARZO) (schizzo n. 32).
All'inizio di questo periodo, le nostre forze attorno a Cheren erano così dislocate: - settore Becanà-Zelalé -Falestoh: XI brigata coloniale (battaglioni LI, LII, LVI, LXIII); XLIV gruppo da 65/17 cammellato; 1 batteria da 75/13; - settore Dologorodoc-Sanchil: 11 ° reggimento «Granatieri di Savoia» (I e II battaglione granatieri; III battaglione bersaglieri); battaglione coloniale «Tipo»; XI e V gruppo da 65/17; batteria e.a. da 20 mm.; batteria e.e. da 47/32 (in corrispondenza della stretta di Dongolaas); - settore roccione Forcuto-M. Amba-M. Ròtondo: V brigata coloniale (battaglioni XCVII e CVI); battaglione alpino «Uork Amba»; V battaglione coloniale; I/60° gruppo artiglieria da 65/17; gruppo da 105/28; batteria e.e. da 75/27 C. K.; - settore Scinnara (M. Beit Gabrù-M. Dobac): XII brigata coloniale (battaglioni XXXVI, XLI, CIII); 1 batteria da 77/28; 1 batteria da 65/17; IV battaglione coloniale; - settore nord: II brigata coloniale (battaglioni IX, X e CLI); VI brigata coloniale (battaglioni XIX, XXIV, XXXI, XXXIV); XLIV battaglione cc.nn.; II, VI e XII gruppo da 65/17; 2 batterie da 77/28; (I) Tele 564684 del 12.3. 1941, documento n. 123.
(2) Tele 061006 del 12.3. 1941, documento n. 124. (3) Tele 061002 del 12.3. 1941, documento n. 125.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
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a disposizione comando piazza: 11 a legione cc. nn. (su due battaglioni) sulle pendici orientali di M. Rotondo e M. Amba; XLIV brigata coloniale (battaglioni CV e CVII) a nord di Cheren; 3 a compagnia carabinieri di formazione sulle pendici est di M. Amba; XV gruppo squadroni cavalleria nella piana di Mogareh.
L'avversario si apprestava ad attaccare le nostre posizioni da sud-ovest con la 4 a e la 5 a divisione indiana O), rinforzate da carri I e da artiglierie e mortai, mentre, come già accennato, premeva da nord con la 7 a brigata indiana rinforzata (Briggs Force). La 4a divisione indiana doveva assicurarsi il possesso del massiccio del Sanchil; la 5 3 doveva attaccare il pilastro orientale della stretta di Dongolaas, mentre mezzi corazzati avrebbero tentato di forzare il passaggio in fondo valle. Nel frattempo le truppe provenienti da Karora dovevano impegnare le forze del settore nord per impedirne l'afflusso sul fronte principale della lotta e cercare di infiltrarsi fra le colline per interrompere la rotabile ad est di Cheren. Considerata però la difficoltà di attaccare direttamente il Sanchil lungo ·le sue ripide pendici meridionali ed occidentali, i Britannici avevano deciso ancora una volta di assicurarsi in primo tempo il possesso del roccione Forcuto e il dominio delle sellette fra l'altura stessa e M. Amba a nord, e M. Sanchil a sud, per mettersi in grado (ammaestrati dalle esperienze precedenti) di fronteggiare, nelle direzioni più probabili, i nostri contrattacchi. La conquista di M. Samanna doveva inoltre garantire le truppe operanti da sorprese lungo la valle Ascidirà e da eventuali azioni contro le posizioni di q. 1.701 e 1.710 che, nelle mani dei nostri, avrebbero costituito grave minaccia per lo schieramento delle artiglierie e per le linee di comunicazione delle truppe attaccanti. Il 15, all'alba, il nemico intensificava nel settore nord il tiro d'artiglieria, già notevole fin dai giorni precedenti alla stretta di Ander; la sua aviazione smantellava le nostre posizioni sul (I) La composizione delle divisioni indiane 4" e 5• è indicata nel documento n. 20.
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L,E OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
fronte occidentale del sistema difensivo di Cheren e paralizzava ogni movimento nell'abitato. Più tardi, mentre velivoli a volo radente intensificavano la loro opera di distruzione e demoralizzazione, l'artiglieria, senza risparmio di munizioni, concentrava il fuoco sui monti Samanna, Amba, Forcuto, Sanchil e Dologorodoc e nell'interno della stretta di Dongolaas. Le nostre posizioni, sconvolte da circa 30.000 granate, scomparivano sotto un nugolo di polvere e di fumo. Lo stesso giorno bombardamenti terroristici su Asmara provocavano numerose vittime fra i civili, mettendo in angoscioso orgasmo la popolazione che non si sentiva in alcun modo protetta. Durante la preparazione, le fanterie britanrùche serravano sulle predisposte basi di partenza per l'attacco (valle Ascidirà, regione Lucarava, q. 1.616). «Dietro le pendici della q. 1.616 si concentrano la 9a e la 29 3 brigata di fanteria indiana. L'attacco al forte Dologorodoc deve essere condotto dal 2° Highland Light Infantry che si avvicina all'obiettivo da sud-ovest. Questa azione non deve però iniziarsi fino a che non siano stati occupati il M. Sanchil e il roccione Forcuto» (1). Le unità della 4 3 divisione indiana sferravano l'attacco, alle ore 8 circa, in tre direzioni principali verso q. 1.677 (propaggini sud-orientali dei monti di Samanna), verso il roccione Forcuto e verso la selletta del Sanchil. La battaglia divampava con grande accanimento da ambo le parti e si svolgeva con alterne vicende. I Britannici si aggrappano al M. Samanna e alla selletta del Sanchil, ma non riescono a superare la cortina di bombe che i difensori rovesciano su di loro; pongono piede sul roccione Forcuto, ove si scontrano coi granatieri del I battaglione. Alle 10,30, giudicati soddisfacenti i progressi anche sul Sanchil, lanciano ad un contemporaneo nuovo assalto le due divisioni nell'intento di scardinare la difesa della gola di Dongolaas, mentre mezzi corazzati tentano di forzarne il passaggio: i carri, all'imbocco della stretta, sotto l'azione di predisposti ordigni incendiari ed ( 1) Dalla relazione del generale PLATI.
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'efficacemente battuti dalle nostre batterie del Dologorodoc e da mortai da 81 postati sui due versanti della gola, sono costretti a ripiegare subito; alla selletta del Sanchil l'attacco è respinto dai bersaglieri dell' 11 ° granatieri dopo sanguinosa lotta; all' ala opposta, verso il pilastro di sinistra della stretta, sotto l' azione di fuoco che si scatena dalle pendici del Sanchil, le truppe della 5a divisione indiana non riescono neppure ad attraversare la rotabile. A mezzogiorno la battaglia si estende verso nord-ovest. L'intero costone da M. Amba fino a M. Samanna è investito dalla 4a divisione; gli alpini del battaglione «Uork Amba» ne sostengono con estremo valore i furiosi attacchi; i battaglioni coloniali XCVII e CVI, ridotti considerevolmente di numero ed esausti, cedono in qualche tratto, ma non consentono ai battaglioni «Rajputana», «Maharatta» e «Sikhs» sensibili progressi. In valle'Aful, una colonna di palestinesi e di ebrei, preceduta da elementi corazzati leggeri, tenta la conquista del colle e delle alture che lo delimitano (M. Gabrù e M. Dobac) ma è respinta e inseguita. Nel settore nord, tra la stretta di Anseba e M. Engiahat, le truppe della II e VI brigata sventano tentativi di aggiramento da parte di reparti francesi. Anche sul M . Forcuto, ove i combattimenti si sono protratti aspri e sanguinosi per tutto il giorno, la situazione dei Britannici appare critica. Ben presto però la situazione muta, all'imbrunire. Una tempesta di fuoco si abbatte sulla cima e sul costone sud-occidentale del Dologorodoc; i reparti della 5a divisione, attraversata la strada, si addossano alle pendici meridionali del monte ed iniziano l'attacco del pilastro orientale della stretta di Dongolaas, riuscendo dopo aspra lotta a soverchiare gli estremi difensori del «Pinnacle» e del «Pin:iple». Dalla sommità del monte (q. 1. 50 I) i reparti non ancora impegnati del II battaglione granatieri accorrono nella notte per riconquistare le posizioni perdute. Ma, nel contempo, un battaglione inglese (West Yorks), lasciate le posizioni di attesa a sud di q. 1.616, avanza rasentando il costone occidentale del Dologorodoc, risale il monte nell'oscurità e, superate non lievi difficoltà di terreno, punta
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direttamente sul vecchio fortino di q. 1.501 costruito dai nostri, dopo la conquista dell'Eritrea, a dominare la strada Cheren-Agordat e la sottostante piana ad occidente di Cheren. La resistenza delle pattuglie d'artiglieria che presidiano l'osservatorio installato nella vecchia costruzione e la reazione degli artiglieri ai pezzi non riescono ad impedire che la cima venga occupata nelle prime ore del mattino del 16. Il comandante la piazza, che nella notte stessa aveva deviato verso il Dologorodoc due compagnie del CVII battaglione coloniale già in movimento verso il roccione Forcuto, ordina anche al XV gruppo cavalleria (dislocato all'estremità orientale del settore nord) di portarsi a celerissima andatura sul Dologorodoc e alle truppe dell'XI brigata coloniale (del settore «Zelalé») di puntare attraverso il Falestoh, in direzione nord-ovest fra M. Zeban e il Dologorodoc. Al mattino del 16, verso le sei, la difesa è duramente impegnata anche sul Sanchil, sul roccione Forcuto e sulle sellette a settentrione dei due monti, mentre viene premuta sulla depressione dell' Anseba e alla stretta di Ander e minacciata di aggiramento da M. Engiahat. Nella mattinata, il comandante la 5a divi~ione indiana (che sul fronte sud si appresta a lanciare tutta la 9a brigata all'attacco di M. Falestoh e di M. Zeban) alimenta l'azione sul fronte occidentale della piazza, passando la 10a brigata a rinforzo della 4a divisione operante alla sua sinistra. I nuovi battaglioni scavalcano quelli che si mantengono abbarbicati al terreno fra Sanchil e il roccione Forcuto e rinnovano furiosi assalti contro le posizioni dei nostri; più a nord-ovest i battaglioni ~<Rajputana», «Maharatta» e «Sikhs» riprendono gli attacchi su q. 1.677, M. Samanna e M. Tetri. Gli uni e gli altri urtano però contro una salda difesa. I granatieri del Sanchil, i carabinieri; gli alpini e gli ascari del Samanna sanno trovare sufficiente vigore per impedire agli attaccanti di affacciarsi sulle posizioni che essi difendo no e per ricacciare quelli che vi pongono piede. Per arginare l'avanzata su M. Zeban, il cui possesso avrebbe determinato il superamento della stretta e l'aggiramento di tutto il sistema difensivo italiano, lo stesso giorno 16, veniva ordinato
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un contrattacco, che doveva esser condotto dai battaglioni CXII e CV, da reparti dell'XI brigata e dai resti del XV gruppo squadroni appiedato che aveva contenuto, all'alba, i progressi del nemico verso la piana di Cheren. Ma l'azione era stroncata fin dal suo inizio dall'aviazione avversaria e da un concentramento di artiglieria che si abbatteva violento sui reparti operanti. Il comandante lo scacchiere nord, avuta conoscenza della situazione (gli venne rappresentata nella notte dal capo di S.M. del comando piazza), emanava le seguenti direttive: 1° sta bene per il nuovo attacco al M. Dologorodoc, non con impiego a massa, ma col criterio dell'infiltrazione di nuclei così da non offrire esca all'artiglieria ed al bombardamento aereo; 2° se non riesce, risulteranno inopportuni ulteriori tentativi; 3° in tal caso provvedere al consolidamento della nuova linea che dal Falestoh, per le pendici dello Zeban ci riallaccia al M. Sanchil in località Pozzo; 4° l'interruzione sia tenuta sotto il costante controllo da parte del presidio di M. Sanchil; azioni di pattuglie evitino il riattamento della strada; 5° occupato o no il Dologorodoc, riordinare i reparti eliminando i frammischiamenti ·e ricostituire le riserve di settore e di piazza; 6° fare attenzione all'estrema destra, dove da vari segni appare evidente intenzione del nemico di puntare su Habi Mente!». Giungevano, intanto, a Cheren (col comando della LXI brigata, ten. col. G. Giordano) i battaglioni coloniali provenienti da Gondar Le LVII; l'uno veniva inviato alla stretta di Dongolaas, l'altro su g. 1.407, caposaldo a controllo diretto dell' interruzione stradale. Con essi e con le truppe in sito, il comando piazza predisponeva il nuovo contrattacco per la riconquista del Dologorodoc. Ma il comando della 5 a divisione britannica, deciso a sfruttare il sucéesso ottenuto il giorno prima,
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
aveva a sua volta ordinato fosse ripresa l'azione nelle prime ore del mattino del 17 con obiettivo M. Zeban e la piana di Cheren. Alle 4, le posizioni italiane venivano sconvolte dai tiri concentrati di numerose batterie e mortai; alle 5, le truppe britanniche muovevano dalle proprie posizioni; alla stessa ora aveva inizio il contrattacco italiano. I battaglioni Le LVII si scontrava coi battaglioni «Worcestern e dei «Punjabs» avanzanti in direzione nord e lungo le pendici occidentali del Dologorodoc. I nostri ressero all'urto fin verso le 9, furono poi soverchiati dal fuoco vicino e lontano dell'avversario e costretti a ripiegare; gli ascari dell'XI brigata furono sopraffatti a loro volta sulle pendici sud-occidentali di M. Zeban, mentre, ad opera di un battaglione di secondo scaglione, subivano ugual sorte, nella selletta Falestoh-Zeban, i superstiti del II battaglione granatieri che vi si erano raccolti. Alle 9,30, anche M. Zeban veniva conquistato. La situazione si faceva in quel momento estremamente critica. Esigui isolati drappelli di ascari rallentavano la marcia in avanti dei Britannici. Questi però non erano in grado di proseguire subito l'azione, sia per l'accanita resistenza che era stata loro opposta,. sia per evidenti difficoltà logistiche (nel tardo pomeriggio velivoli a bassa quota provvederanno infatti ai rifornimenti delle truppe attaccanti). Il comando della piazza di Cheren traeva profitto della temporanea crisi avversaria e lanciava al contrattacco di M. Zeban il CV battaglione coloniale. L'azione suscitava un'ondata di fiducia fra le nostre truppe; i reparti pur ridotti nei loro effettivi si ricostit"'1ivano, ed avanzavano su M. Zeban e verso la sommità del Dologorodoc. La resistenza dei battaglioni della 29 3 e della 9a brigata indiana sembrò vacillare di fronte all'inatteso impeto ed ardimento dei nqstri, ma il proseguimento dell'azione veniva stroncato da un violentissimo fuoco aereo-terrestre (I). (I) La nostra situazione in fatto di aviazione veniva così sintetizzata in un telegramma del Comando FF.AA. deH'A.0.I. diretto a Roma la sera del 17 marzo: «Oggi, che tutto lo sforzo inglese è concentrato su noi, gli apparecchi da bombardamento in linea sono ridotti a tre 79, tre 81 et nove 133. Esclusi i 133, che possono essere impiegati soltanto in operazioni segue
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Il cc;>mandante la difesa disponeva acché la truppa sostasse sulle posizioni raggiunte; chiamava a sé il comandante la II brigata e gli impartiva ordini per l'ulteriore proseguimento dell'azione; reparti della brigata dovevano essere distolti temporaneamente dal settore nord e trasportati celermente alla stretta di Dongolaas. Nell'accingersi ad eseguire l'ordine il gen. Lorenzini veniva colpito a morte da una scheggia di granata. Alle 15, le truppe indiane, rianimate da una vigorosa azione delle proprie artiglierie, rioccupavano la serie di gobbe che dall' osservatorio del Dologorodoc digradano sulla stretta di Dongolaas; contemporaneamente la «Briggs Force» attaccava le posizioni del settore nord arrestando il predisposto movimento dei reparti della II brigata verso il Dologorodoc. La giornata del 17 si chiudeva così, dopo aver consentito ai nostri soltanto di ridurre l'inflessione e averli riportati sotto il Dologorodoc. Nella selletta del Sanchil e del roccione Forcuto l'avversario era stato ancora una volta costretto a ripiegare. La nostra linea, dal M. Falestoh si riallacciava al Sanchil per q. 1.552, q. 1.407 e collinetta delle batterie anticarro ali' ituerno della stretta. Sul fronte nord, i tentativi, delle truppe britanniche e dei battaglioni francesi liberi, di conquistare il M. Engiahat e di raggiungere la rotabile Cheren-Asmara non avevano avuto successo. L'indomani, le truppe britanniche alleggerivano su tutto il fronte la loro pressione; evidenti segni di stanchezza avevano caratterizzato gli ultimi sforzi offensivi sulle alture dal Sanchil al Samanna. nell'interno e gli S. 81 ripartiti uno per scacchiere, debbo sostenere la battaglia di Cheren con tre 79, laddove l'avversario impiega decine e decine di apparecchi e bombarda in continuazione le nostre linee. Le truppe indigene hanno paura soltanto del bombardamento aereo e, difronte alle perdite gravissime, si demoralizzano e si sbandano. Ieri il 105° e il 112° battaglione, partiti entusiasticamente al contrattacco, sono stati quasi distrutti dall'aviazione e ridotti non più impiegabili. Di fronte a ciò noi nulla possiamo fare. Se volete, fate ancora in tempo ad aiutarci, inviando non un apparecchio alla volta, ma decine di apparecchi. Dal 2 febbraio ad oggi abbiamo ricevuto uno - dico uno - 79, mentre abbiamo inviato in Italia equipaggi per ritirarne dodici. Se non volete correre seri rischi di compromettere la battaglia di Cheren mandateci a qualunque costo apparecchi . Fine telegramma>>.
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Il comando piazza, al quale era stato preannunciato l'arrivo della XLI brigata (i battaglioni CXXXI, CXXXII e IC giungeranno a Cheren in giorni successivi nell'ordine suddetto), considerato che il possesso del pilastro orientale della stretta, necessario per il controllo della interruzione stradale, era premessa indispensabile per ogni possibile ulteriore resistenza, trasferiva il battaglione alpini «Uork Amba» da M. Samanna nella zona a oriente della gola per tentare ancora un volta la riconquista del Dologorodoc. Il battaglione costituiva la colonna centrale di un dispositivo di attacco, che aveva il L battaglione coloniale come colonna di destra e il CXXXI come colonna di sinistra. Procedendo a cavaliere della rotabile Cheren-Dologorodoc gli alpini si lanciarono, verso la mezzanotte sul 19, all'assalto della contesa posizione giungendo fin sullo spalto che circonda il «forte». Una lotta accanita si svolse attorno alla bianca costruzione che l'artiglieria britannica isolò coprendo di fuoco le pendici occidentali ed orientali del monte ed impedendo così ogni progresso delle colonne laterali. Dopo due ore di duri combattimenti i valorosi alpini, falciati sui fianchi dal tiro delle mitragliatrici e contrassaltati dalla sommità dell'altura, erano costretti a ripiegare. Seguirono otto giorni durante i quali fu manifesto il proponimento nemico di produrre col continuo martellamento aereo effetti terrificanti sulle truppè, specie su quelle coloniali per deprimerne il morale prima di riprendere l'azione. Nostri tentativi di riconquistare di sorpresa il M . Dologorodoc, effettuati, la notte del 21 marzo, dal battaglione Toselli, e, la notte sul 23, dall'LXXXV battaglione coloniale si alternarono con azioni avversarie sulle pendici del Sanchil, con prove di penetrazione da parte di carri armati alla stretta di Dongolaas, con attacchi di sorpresa (colle Àful), con puntate (M. Falestoh) e saggi di infiltrazione. Il 24 marzo, il comando dello scacchiere eritreo ordinava di desistere da ogni contrattacco e di stabilizzarsi sulla linea Falestohpendici meridionali di M. Zeban - Pozzo (l 407)- pendici est di M . Sanchil.
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Le truppe della difesa avevano in tal giorno la seguente dislocazione: -
settore Becanà-Zelalé-Falestoh (col. Ossoli): battaglioni LII, LXIII e CV, 1 batteria del CVI gruppo;
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settore Dologorodoc (col. Prina): battaglione alpini «Uork Amba», battaglioni col9niali L, LVIII , LXX, LI e LVI ; 46 3 e 2!3 batteria del V gruppo;
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settore M. Sanchil (col. Corsi): 11 ° reggimento «Granatieri di Savoia», 10a batteria del V gruppo;
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settore M. Amba (col. Oliveti): battaglioni coloniali V e CVI; 11 a legione cc. nn.; 3a compagnia carabinieri; gruppo artiglieria 100/ 17;
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settore Scinnara (col. Bonelli): btg. coloniali XXXVI e XLI;
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settore nord (col. Rocco): II, VI brigata coloniale, XII gruppo artiglieria;
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a disposizione comando piazza: battaglioni coloniali CXXXII e IC, XV gruppo squadroni cavalleria.
L'ubicazione dei reparti è riportata nello schizzo n. 33. I battaglioni coloniali, che vi appaiono numerosi, erano in realtà ridotti ad una forza oscillante fra i 180 e i 250 uomini ciascuno con scarsissimi ufficiali. Le compagnie avevano perduto la loro consistenza organica. Avvantaggiato dal terreno guadagnato e dal conseguito dominio della stretta il Comando inglese progettava per il mattino del 25 marzo, un attacco frontale ed aggirante dei costoni del Sanchil. Mentre nel tratto Sanchil-M. Tetri, le posizioni italiane dovevano essere attaccate o impegnate dalle unità britanniche della 4a divisione indiana che le fronteggiavano, alla stretta di Dongolaas (fra la sommità di M. Dologorodoc e le pendici sudorientali di M . Sanchil) doveva operare la 5 a divisione indiana su 3 brigate (9a, 10 3 e 29 3 ) e tutta l'artiglieria del contingente britannico del Sudan; obiettivo d'attacco: M. Zeban e piana di Cheren.
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LE .OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 33
LA BATTAGLIA DI CHEREN DISLOCAZIONE DELLE FORZE CONTRAPPOSTE AL 24 MARZO 1941
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In data 27 marzo, poi, l'attacco doveva essere esteso al settore nord di Cheren da parte della «Briggs Force» all'Engiahat; l'attacco, peraltro, cadrà nel vuoto per l'avvenuto ripiegamento delle nostre forze. Durante le notti sul 24 e sul 25 aerei nemici, avvalendosi di razzi illuminanti, spezzonarono e mitragliarono da bassa quota le nostre posizioni. Il 25 verso le 4,30 il nemico scatenò un violento bombardamento di artiglieria su tutto il fronte con particolari concentramenti su q. 1407, sulla collinetta della batteria anticarro, sulla ferrovia e sulla sommità del Sanchil. Bocche da fuoco di tutti i calibri effettuarono il martellamento, mentre un'intenso crepitare di armi automatiche concorreva ad infrenare ogni proposito di reazione. Poco o nulla era possibile osservare data la semioscurità e la foschia prodotta dal bombardamento stesso. Profittando delle tenebre, reparti di attacco, usciti dalla galleria a sud di q. 1616, si scaglionarono nei numerosi tombini lungo il tratto neutro della strada ferrata, tenendosi pronti ad avanzare; altre unità scesero lungo le propaggini settentrionali del fortino e dall'altura Pan di Zucchero. In particolare: la 9a brigata, a destra, avanzata in massa dal Dologorodoc, con parte delle sue forze occupò q. 1407, q. 1425 e la zona dei pozzi, con le rimanenti proseguì verso nord e sboccò in piano: alpini ed ascari ne contrastarono i progressi fin verso le 8,30; la 29 3 , al centro, premendo nella stretta, serrò contro la collina, ove era piazzata la batteria anticarro; la 10a, a sinistra, assecondò il movimento avanzando lungo le pendici sud-orientali del Sanchil e si affacciò anch'essa al piano. Gli obiettivi raggiunti dalla 5 a divisione consentivano ormai ai genieri britannici di provvedere, con relativa sicurezza, a1 riattamento della strada; il lavoro fu iniziato il giorno stesso; carri armati si spinsero fino alla interruzione per trasportare materiali e proteggere con le loro corazzature i genieri. Col CLXX battaglione cc. nn., che affluì a Cheren nel pomeriggio, e coi battaglioni coloniali XXII e XXXIII, della XVI brg., che giunsero nella notte, il comando piazza tentò un'ultima volta, il 26, dLriconquistare il fortino di q. 1501 sul M. Dologorodoc, impiegando anche due compagnie del XXXV
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
battaglione, già riserva del settore Zelalé. Camicie nere ed ascari posero piede sulle alture che controllano i pozzi e su q. 1407, ma sotto violento fuoco di artiglieria furono costretti a ripiegare sulle posizioni di partenza. La sera del 26 il comandante lo scacchiere eritreo, prevedendo ormai prossima la possibilità di transito dei carri cingolati e delle camionette, ordinava: la cessazione di ogni resistenza a Cheren, il ripiegamento delle artiglierie ed il loro schieramento su nuove posizioni al margine dell'altopiano, la ritirata delle fanterie superstiti ed il loro concentramento in zone di raccolta a sud e ad est di Ad Teclesan. Il movimento veniva compiuto nella notte; poco dopo l'alba, mezzi meccanizzati nemici superavano l'interruzione stradale di Dongolaas. Così, dopo 55 giorni, e mentre dal lontano scacchiere est a partire dalle 16,40 - la radio di Harar più non rispondeva per l'incalzare della offensiva del gen. Cunningham, aveva termine la battaglia di Cheren. «La R.A.F. con la sua varietà di macchine dagli «Hurricanes» ai «Vincents» aveva conquistato il dominio dell'aria ... assicurando all'esercito l'immunità contro gli attacchi aerei avversari... L'artiglieria britannica tra il 15 e il 27 marzo aveva sparato oltre 110 mila proiettili!»: così scriveva il gen. Platt nella sua relazione. Il miglior riconoscimento del valore dimostrato dalle nostre truppe nel corso dell'aspra battaglia venne dallo stesso nemico contro cui esse si erano strenuamente battute. Le perdite britanniche nei combattimenti sostenuti a Cheren sono state indicate in 536 morti e 3 .229 feriti. Secondo stime abbastanza attendibili le forze italiane ebbero fra i nazionali circa 3.000 morti e 4.500 feriti; non noto il numero delle perdite coloniali valutate in circa 9.000 morti ed una cifra assai superiore di feriti. In complesso vi sarebbero stati circa 12.000 morti ed una cifra doppia di feriti. La forte differenza nelle perdite fra le due parti testimonia come le nostre perdite possono ascriversi, in buona parte, al
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largo ricorso britannico agli interventi aerei e di artiglieria, i cui effetti erano particolarmente rilevanti in un terreno roccioso che offriva scarse possibilità di riparo. Il prolungamento della resistenza, sostenuta con perdite così elevate, testimonia un comportamento particolarmente onorevole di tutte le unità impegnate, nazionali e coloniali. A fine marzo 1941, la caduta di Cheren e di Harar e particolarmente della prima, segnava un momento di grave crisi, di incalcolabili conseguenze nei riguardi della prosecuzione della resistenza in Etiopia. Dopo gli insuccessi di Agordat e Barentù, il valore delle nostre truppe aveva permesso di ricostituire una posizione difensiva in Eritrea, sfruttando le forti posizioni montane che consentivano di limitare il predominio dei mezzi britannici e dando un tempo di respiro. Ma la stessa evidenza di quanto avveniva in Somalia ed a Cheren medesima avrebbe dovuto indicare al nostro Comando Superiore l'esigenza di puntare ad un arresto delle offensive avversarie contraendo il dispositivo e organizzando resistenze sulle posizioni montane più forti. Addis Abeba aveva provveduto ad inviare rinforzi a Cheren ma non in misura adeguata, né aveva attuato una decisa manovra delle forze. Come abbiamo visto, anche per insufficienti informazioni ed errate valutazioni circa lo stato e gli intendimenti delle forze del generale Platt, esso arrivava a confidare che l'arresto dinnanzi a Cheren potesse considerarsi ormai definitivo e, il 12 marzo, giungeva perfino a richiedere al Comando scacchiere nord di cedere parte delle sue truppe per destinarle altrove. Quando, poi, apparirà evidente l'entità dello sforzo avversario nel settore di Cheren l'i.nvio dei rinforzi, che avrebbe potuto essere provvidenziale alcuni giorni prima, risulterà tardivo sia per rinforzare la difesa a Cheren sia per imbastire una resistenza organizzata sulle posizioni di Ad Teclesan. La situazione finirà poi per precipitare per lo stato di assoluta inferiorità della nostra aviazione, ormai scomparsa dai cieli.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
3. I COMBATTIMENTI DI AD TECLESAN (28-31 marzo) E LA RESA DI ASMARA (1 aprile) (schizzo n. 34)
Il ripiegamento delle truppe da Cheren era disturbato dall'aviazione. Nel pomeriggio del 28, mezzi meccanizzati attaccavano un primo sbarramento dei nostri sulla strada per Asmara. All'imbrunire, i superstiti ripiegavano per sottrarsi alla cattura. Le ultime riserve, costituite nel loro nucleo principale dalle forze disponibili del 10° reggimento granatieri <1> affluivano intanto da Addis Abeba verso nord, col compito di arginare l'avanzata del nemico, che procedeva verso Asmara ostacolato ormai soltanto da tre ostruzioni stradali predisposte dall'arma del genio lungo la rotabile. Le nuove posizioni difensive dette di Ad Teclesan includevano in zona avanzata i monti Scindoà e M. Zahalò con compiti di osservazione e copertura e si appoggiavano ai monti Fansciboca-AddigaresDebra Harmaz-Uarà, ultima corona di alture dominanti l'altopiano fra Cheren e Asmara, quale posizione di resistenza. Lo Scindoà e lo Zahalò che si ergono isolati rispettivamente ad ovest e ad est della rotabile, consentivano di controllare le mosse del nemico. La difesa, nel suo complesso, poteva creare ancora un ostacolo al progredire delle unità meccanizzate nemiche. Alla sera del 27, le posizioni avanzate erano presidiate da 2 battaglioni coloniali (XL VII e CXIV), la posizione di resistenza solo da 3 compagnie di camicie nere. Lo schieramento delle artiglierie era invece in atto e fu completato il giorno 28 <2>. A tarda sera il gen. Carnimeo assumeva il comando del fronte subentrando al gen. Bergonzi. Lo stesso giorno 28, il M. Scindoà venne attaccato ed occupato dai Britannici. Reparti del I battaglione del 10° granatieri, che stavano prendendo posizione sull' Addigares, furono lanciati contro il nemico in direzione dello Scindoà. (I) Il 10° reggimento granatieri (costitutito nell'organico di 2 battaglioni granatieri, 1 battaglione alpini, I battaglione mitraglieri, 2 compagnie mortai da 81) aveva allora disponibili solo il I e II battaglione granatieri, I compagnia mortai da 81 e I compagnia mitraglieri. le altre forze erano state impiegate in altri settori di combattimento o di presidio. (2) I gruppo obici da I 00/ 17 su sei pezzi, I batteria obici da I49/ I 3 e 1 gruppo da 77 /28 su tre batterie, in località Deca-Gabrù; 1 gruppo da 105 ridotto su quattro pezzi in località Dic-Dic; 1 batteria obici da 75/13 fra km. 46 e 47 della rotabile Asmara-Cheren; 1 bau.eria su due pezzi da 77/28 a sud di q. 2129 (ovest di km. 46).
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L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
SCHIZZO N. 34
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA I COMBATTIMENTI DI AD TECLESAN
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIEl'ffALE
L'azione si sviluppò nella notte ed ebbe il suo sfortunato epilogo al mattino. Il battaglione, operante al buio attraverso un terreno rotto e scosceso, fu attaccato da forze preponderanti e minacciato di esser tagliato fuori dall'azione di carri armati e di camionette nemiche che (pur contrastati dal gruppo bande a cavallo «Amara» ali' altezza del km 52) lo oltrepassarono sul suo fianco destro lungo la rotabile. Esaurite le munizioni, caduto il comandante del reggimento (col. A. Borghesi), il battaglione ripiegò, incalzato da vicino sul1' Addigares e sulla selletta a sud-ovest dell'altura stessa. Il giorno 29, l'avversario lanciò i suoi mezzi corazzati in corrispondenza dell'interruzione stradale del km 51, mentre con la fanteria tentava la conquista dell' Addigares. L'azione non ebbe successo ed a sera, al languire del combattimento, il sistema AddigaresFanscibocà era sempre in mano dei nostri O>. Il II/10° granatieri intanto, giunto a tarda notte ad Uarà, aveva preso posizione su Debra Harmaz collegandosi col CXIV battaglione al M. Zahalò. Il CVIII battaglione coloniale, giunto anch'esso nella zona il mattino del 29, era stato inviato in regione Scherdebbà per prendere contatto coi reparti coloniali a M. Zahalò e coi difensori del Debra-Harmaz, e completare così la difesa su quel tratto di fronte. Il mattino del 30 marzo, il nemico riusciva ad occupare il costone nord. dell' Addigares ed a consolidarsi sulla quota 2160. Lo stesso giorno, il comando della fanteria del settore di Ad Teclesan veniva affidato al ten. col. Luziani. Nel tardo pomeriggio, un intenso tiro di artiglieria si abbatteva sul M. Zahalò costringendo gli ascari del CXIV battaglione a ripiegare: non più di un centinaio di uomini raggiungevano però le posizioni dell'Harmaz tenute dal Il/10° granatieri. Per effetto dell'azione del mattino lo schieramento sull' Addigares era minacciato sul fianco destro; un gruppo squadroni appiedato (truppe nazionali), giunto nella notte, fu perciò destinato a fronteggiare (I) - Elementi del Cl battaglione coloniale (autotrasportato da Massaua il 26 marzo): costone nord M. Addigares; - I/10° granatieri (430 uomini) e parte 155' compagnia cc. nn. : M. Addigares-selletta; -
elementi del LXXX battaglione coloniale (autotrasportato da Adi Areai il 29 marzo) e I plotone granatieri mortai da 45: M. Fanscibocà;
-
rimanenza 155• compagnia cc. nn. e 2 plowni mitraglieri: pressi cantoniera n. 3;
-
CC. RR.: ciglione rotabile testata impluvi Bat. Arais.
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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tale minaccia. L'LXXXVIII battaglione coloniale, giunto anch' esso prima dell'alba, veniva in parte dislocato sul Fanscibocà e in parte tenuto in riserva. Nelle prime ore del mattino del 31, il nemico, che era riuscito ad infiltrarsi lungo la ferrovia nella valle Anseba ed era giunto ad Adi Naamen minacciando di rovescio l'intera difesa di Ad Teclesan, scatenava un violento bombardamento sulle nostre linee della selletta e dell' Addigares dilagando quindi in ogni direzione con direttrice di movimento la rotabile. A rallentare i progressi avversari su questo fronte contribuiva l'azione del CXI battaglione coloniale (XLII brigata) che, autotrasportato da Massaua, era appena giunto nella zona. Nella mattinata stessa sul fronte di Debra Harmaz alcuni centri di resistenza avanzati del caposaldo di q. 2336 venivano occupati dal nemico e riconquistati dai nostri, ma tutta la posizione doveva poi essere abbandonata a sera col delinearsi di una minaccia sul rovescio dei difensori già premuti frontalmente e bombardati dall'alto. Pochi granatieri si raccolsero nella notte ad Ad Teclesan, la trovarono sgombra e proseguirono per Asmara. Furono quindi avviati a Massaua ove giunsero la sera del 2. Di fronte al precipitare della situazione, il Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I. disponeva: - la cessione di Asmara al nemico quale città aperta per risparmiare l'abitato e salvaguardare la popolazione civile; - lo sbarramento delle provenienze da nord con le truppe ripiegate da Arresa e Adi U gri su Adi Caiéh e da Enda Selassié su Adua; - la difesa di Massaua - organizzata a ridotto - con le truppe della piazza rinforzate da quelle provenienti da Ghinda; - la raccolta sull'Amba Alagi delle forze recuperabili per tentare una estrema difesa; - la chiusura da ogni parte del ridotto di Gondar e del Galla e Sidama per resistere il più a lungo possibile; - la raccolta delle poche forze rimaste a Dessiè per coprire, da nord, Addis Abeba. Nella capitale veniva lasciato un presidio di circa 6.000 bianchi composto di carabinieri, polizia A.I., battaglioni camicie nere e milizia speciale per difendere la popolazione dal brigantaggio degli indigeni.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Asmara fu ceduta il I O aprile (il centro della città era stato colpito con bombe di grosso calibro il 28 marzo). I movimenti di ripiegamento si svolsero indisturbati fino a tutto il 2 aprile. Il giorno 3, il nemico lanciò ancora all'inseguimento le sue forze motorizzate che, nella stessa giornata, raggiunsero Adigrat .
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4. LE OPERAZIONI NEL SETTORE DI ARRESA E NEL TIGRAI OCCIDENTALE (I)
Nella prima decade di febbraio, come già ricordato, le truppe del settore Barentù (2 3 divisione) e del settore Om Ager (XLIII brigata) erano affluite in zona Arresa, ove già ai primi del mese era stato dislocato il raggruppamento P .A.I. per organizzarvi la difesa. Il 21, la XLIII brigata sostituiva il raggruppamento passando alle dipendenze della divisione suddetta. Il ciglione di Arresa, alto qualche centinaio di metri sulle sottostanti pianure, si svolge a semicerchio intorno al paese, dal quale dista in media 5 chilometri in linea d'aria, e impedisce l'accesso alla strada che da Arresa conduce a Adi U gri. Nella «impossibilità di arrivare ad Arresa con le ruote» i Britannici limitarono la loro azione su quel fronte ad attacchi parziali (6-13 marzo) ai quali fecero riscontro ricognizioni da parte dei nostri. Più consistenti, e preceduti da intensa preparazione di artiglieria, questi attacchi si rinnovarono nei giorni 21, 26 e 27 marzo senza conseguire risultati positivi. Intanto la situazione nel settore di Cheren si andava aggravando e il comando scacchiere disponeva che tre battaglioni coloniali (XXII, CXIV e CIV) lasciassero la XLIII brigata è il settore di Arresa per raggiungere Ad Teclesan. Il 31, le rimanenti forze, meno un battaglione di copertura, ricevevano l'ordine di portarsi al più presto ad Adi Caiéh. Ivi giunte, constatata l'impossibilità di imbastire comunque una difesa consistente ad Adi Caiéh, proseguivano su Adigrat e Amba Alagi. Durante il ripiegame.nto il raggruppamento P .A.I., su automezzi, veniva attaccato da autoblinde nemiche; il XLIV battaglione coloniale, con le salmerie e la parte someggiata del comando (I) Per la toponomastica vds. schizzo n. 26.
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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di brigata, veniva tagliato fuori sulla strada Mai Haini-Coatit dall'avversario che aveva già occupato Adì Caiéh; raggiungeva l'Amba Alagi, il 7 aprile. Le truppe che, come già ricordato, provenienti dall'Uolcait si erano dislocate, ai primi di febbraio, a Enda Selassié, Af Gagà e Az Darò, sostarono in detta zona sino alla fine di marzo, disturbate solo di quando in quando dai ribelli dell'Uolcait unitisi a quelli del posto. Il 1° aprile, dopo aver assicurato il passaggio lungo la stretta di Dembeguinà a reparti provenienti da sud Tacazzé e diretti a Asmara, furono autotrasportate ad Adua (il presidio di Az Darò seguì il movimento il 2). Ivi provvidero a dar sicurezza allo sgombero dell'abitato occupando il passo Gasciorchi a sbarramento delle provenienze di Adi Qualà. In Adua ricevettero l'ordine di proseguire su Adigrat; mossero la notte sul 2, giunsero il mattino successivo ad Adigrat, vi sostarono tutto il giorno e, a sera, partirono alla volta dell'Amba Alagi.
5. LA DIFESA E LA CADUTA DI MASSAUA (schizzo n. 35)
Nel gennaio 1941 la organizzazione, fronte a terra, della base navale di Massaua, era costituita da una serie di opere costruite intorno alla città a distanza di 5 o 6 chilometri dall'abitato, munite di mitragliere, provenienti da navi danneggiate. Tale linea si appoggiava, nella parte centrale, alle ·a lture di M. Uadi e di q. Segnale e ai vecchi forti Vittorio Emanuele e Umberto I. Era previsto il concorso delle batterie contraeree dislocate sulla sommità delle piccole alture che circondano il porto e delle batterie costiere da 120 mm. All'inizio dell'offensiva britannica vennero discussi, presso lo Sta7 to Maggiore dello scacchiere, presente il Comandante superiore di marina, alcuni provvedimenti da adottare per migliorare la difesa di Massaua. Fu deciso di rafforzare e dare profondità al fronte a terra costruendo una linea di centri di resistenza avanzati a circa 1.500-2.000 metri da quelli già esistenti. La sistemazione fu rafforzata con un sottile reticolato e con campi minati: notevole fra questi quello del settore nord in zona pianeggiante, nel quale furono impiegate alcune centinaia di torpedini da blocco e bombe da getto, le une e le altre non più utilizzabili per il loro impiego or'iginale.
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LE OPER,\ZIONJ IN AFRICA ORIENTALE
SCHIZZO N. 35
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA L'OCCUPAZIONE DI MASSAUA (8 APRILE 1941)
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L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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Il 28 gennaio, il Comando Superiore FF. AA. dell' A.O.I. costituì, sotto la data del 1° febbraio, la piazza di Massaua quale parte integrante dello scacchiere nord, includendo in essa le forze navali mobili, la difesa fronte a terra e quella fronte a mare; ne affidò il comando al contrammiraglio Bonetti. Per iniziare la costituzione del presidio del fronte a terra e per eseguire i lavori di rafforzamento fu inviato a Massaua, in primo tempo, il CXXXVI battaglione cc. nn. e, successivamente, un gruppo mobilitato della guardia di finanza, tre batterie da 77128 Skoda ed una da 120. Il 21 febbraio~ durante la seconda fase della battaglia di Cheren, il comandante lo scacchiere nord, considerato che la sistemazione difensiva della piazza di Massaua, già consigliata dal terreno, aveva sviluppo inadeguato alla scarsezza delle forze disponibili ordinava il trasferimento a Massaua della XLII brigata coloniale su tre battaglioni e, su proposta del contrammiraglio, concentrava la difesa della piazzaforte sul suo margine interno organizzandovi dei capisaldi sui quali avrebbero a mano a mano ripiegato i reparti che presidiavano il margine esterno. Questi capisaldi dovevano essere rafforzati con ostacoli antkarro da costruirsi sulle fasce costiere nord e sud e in zona Moncullo. Tra il 25 e il 29 m,arzo, la XLII brigata venne richiamata sull'altopiano·-m-zona Ad Teclesan. Pochi giorni dopo, caduta Asmara, affluirono a Massaua parte dei superstiti di Cheren. Complessivamente giunsero nella piazza, insieme ad alcuni generali e Stati Maggiori: circa 350 uomini dell'XI battaglione di formazione granatieri, 210 del battaglione alpini «Uork Amba», 250 cc . nn. , 50 bersaglieri, 200 genieri, 40 artiglieri e 1.100 Amara. Questi ultimi però, data la scarsa fiducia che si poteva riporre su di loro, vennero disarmati e, muniti di muletti e di una somma di denaro, furono fatti uscire alla spicciolata dal ridotto. Ai primi di aprile, sul fronte a terra della difesa di Massaua (affidato al col. Oliveti) erano schierati: -
il gruppo mobilitato misto della guardia di finanza dell'Eritrea e il battaglione granatieri nel settore nord; 2 battaglioni di formazione di marina (compagnie di nazionali e di ascari) nel settore centrale; 1 battaglione cc. nn. nel settore sud.
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Lf:: OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Conclusasi la battaglia di Cheren, le truppe britanniche della 7 a brigata di fanteria indiana, che, provenienti da Karora avevano partecipato alla battaglia sul fronte nord, mossero direttamente verso la costa e presero contatto con la difesa del settore settentrionale della piazzaforte. Dopo l'occupazione di Asmara, anche forze della 5a divisione indiana con carri armati e cannoni, per Ghinda, discesero verso Massaua. Il 2 aprile, il comandante inglese, servendosi di una linea telefonica che funzionava ancora tra Asmara e Massaua, avvertiva il comandante italiano della base navale che non avrebbe assunta la responsabilità di provvedere all'alimentazione della popolazione italiana dell'Eritrea e dell'Abissinia se qualcuna delle navi esistenti nel porto di Massaua fosse stata affondata o fossero stati danneggiati gli impianti portuali. L'ammiraglio comandante la piazza faceva rispondere che non poteva, né intendeva, modificare gli ordini ricevuti e le disposizioni prese. Il Comando Superiore FF.AA. dell'A.O.I. ed il Super Marina, subito informati, approvarono e confermarono tale decisione. Il 3, la 1oa brigata indiana prendeva contatto con la 7 abrigata e con reparti di «Francia Libera» che investivano da nord le difese a terra della base navale alle dipendenze anch'esse della 5a divisione incaricata di coord,inare gli attacchi. Le nostre batterie del settore nord aprivano il fuoco sui reparti e sugli automezzi che affluivano nella zona di Emberemi. L'azione a fuoco, ripresa il giorno 4, fu intensificata da ambo le parti, all'alba del 5. Nel pomeriggio dello stesso giorno, si presentò alle nostre linee sulla strada di Moncullo una autovettura inglese con bandiera parlamentare. Ne scesero due ufficiali che, accompagnati al comando piazza domandarono, a nome del loro Generale, la resa della città onde evitare un inutile spargimento di sangue. L'ammiraglio comandante, privo di carri armati, di mezzi anticarro e di aviazione, chiese istruzioni al Ministero della Marina. In attesa della risposta si addivenne ad una tregua delle opposte artiglierie. Roma decise la resistenza ad oltranza. Notificata la decisione al Comando inglese, venne dalle due parti ripreso il cannoneggiamento.
L' ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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La sera del 7, dopo aver rimosso o aggirato i campi di mine dei settori centrale e meridionale, le truppe indiane occuparono le colline fronteggianti la linea di difesa interna e le opere campali abbandonate della difesa esterna. Nel settore nord, ove il campo minato antistante alla linea esterna era armato con mine marittime ed era più agevolmente vigilato, perché in terreno pianeggiante, i Britannici si limitarono a bonificare la pista per Otumlo. All'alba dell'8, l'attacco si sviluppava violento su tutto il fronte. Nel settore ovest, il nemico occupava fin dalle prime ore del mattino quota «Segnale», una compagnia di ascari muoveva al contrattacco, riusciva a portarsi sul ciglione di levante dell'altura ma non poteva progredire essendo la sommità fortemente battuta dal fuoco nemico; carri britannici «I» risalivano lo schieramento verso nord fino a M. Uadi. Sul fronte nord, le nostre batterie prendevano sotto il loro tiro automezzi in movimento verso Emberemi; le truppe contrastavano l'azione di pattuglie e di reparti del reggimento Sussex, e catturavano prigionieri; alcune posizioni cadute in mano del nemico venivano rioccupate con arditi contrattacchi; il gruppo mobilitato della guardia di finanza e i residui dell' 11 ° reggimento granatieri gareggiavano fra loro per impeto e decisione; ma, nella mattinata, la linea era, ciò nonostante, rotta in più punti e i carri armati penetravano da varie direzioni nell'abitato. Anche dopo la resa della città, nel settore nord, ove più sanguinosamente si era combattuto, la resistenza continuava con alterne vicende, e durava finché giungeva l'ordine di desistere dalla lotta. Nuclei di prigionieri catturati dalla guardia di finanza affluivano scortati a Massaua quando la città era già occupata dalle truppe della 5 a divisione indiana e della legione straniera francese. La perdita di Massaua aveva significato anche la perdita di 11.500 uomini caduti prigionieri. La caduta della piazza fu preceduta dalla distruzione degli impianti e dall'autoaffondamento di parte del naviglio mercantile. Le forze subacquee e, in parte, le unità da guerra di superficie riuscirono invece ad allontanarsi. I preparativi dell'esodo erano comtnciati nel mese di febbraio. Durante la nuova luna fu possibile predisporre per la partenza delle unità da guerra di superficie: Eritrea, Ramb L Ramb II; dei sommergibili
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Lf: OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
Perla, Archimede, Galileo Ferraris, Guglie/motti e delle unità mercantili m/n Coburg, p./fo Warteufels, m/n Himaiaia <O. Le unità da guerra di superficie, a motore, che disponevano della autonomia necessaria furono destinate a porti del Giappone. I sommergibili e la m/n Coburg furono invece avviati a un porto francese dell'Atlantico (furono predisposti rifornimenti in mare di combustibile, acqua e viveri). Il piroscafo Warteufels fu approntato per raggiungere Diego Suarez nel Madagascar e la motonave italiana Himalaia un porto nel Brasile. Delle dieci unità, nove raggiunsero le rispettive destinazioni: l'incrociatore ausiliario Ramb I incontrò nell'Oceano Indiano l'incrociatore inglese Leader, accettò l'impari combattimento, lo sostenne per circa un'ora, e fu infine incendiato ed affondato. Anche un piroscafo (il Bertram Reckmers) tentò di raggiungere un porto amico ma, cannoneggiato da una unità leggera inglese, si autoaffondò. Per i piroscafi rimasti in rada era stato previsto l'affondamento in modo da inutilizzare il porto. Rimanevano alla base le unità da guerra di superficie che non avevano autonomia sufficiente per raggiungere un qualsiasi porto amico. Si trattava di tre cacciatorpediniere della classe Tigre e di tre cacciatorpediniere della squadriglia Manin. Il Ministero della Marina, al quale il contrammiraglio Bonetti aveva proposto di mandare le unità ad autodistruggersi sulla costa dell'Hedjaz per dar modo agli equipaggi di scendere a terra, essere internati e forse qualcuno almeno rimpatriato, approvò in massima la proposta, impartendo la direttiva di fare con tale naviglio un'azione contro una località della costa controllata dagli Inglesi (Perim, Porto Sudan, Suez) e procedere quindi alla prevista distruzione. (I) All'inizio del conflitto i sommergibili dislocati a Massaua erano otto, tutti di tipo antiquato. La loro attività fu compromessa dalle condizioni climatiche della zona e da guasti negli impi:mti di refrigerazione interna, a cloruro di metile, che produssero intossicazioni ed asfissie negli equipaggi. Essenzialmente per questo quattro andarono perduti nelle due prime settimane di guerra: il Maca/lé , il Galilei, il Galvani, il Torricelli. Quest'ultimo, comandato da.I capitano di corvetta Pelosi, sostenne un lungo combattimento in superficie contro tre cacciatorpediniere e una cannoniera inglesi e, prima di autodistruggersi, affondò il cacciatorpediniere Kartoum e danneggiò la cannoniera.
L'ATTACCO CONTRO L'ERITREA
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Dopo la caduta di Cheren, fu tentata dalla squadriglia Tigre una puntata contro Suez ma il cacciatorpediniere Leone, che navigava, di notte, in testa alla formazione, urtò contro uno scoglio subendo gravi danni che ne procurarono l'incendio. Le altre due unità, vista l'inutilità d'ogni sforzo per salvare la nave, procedettero al salvataggio del personale e rientrarono a Massaua. Fu decisa allora un'incursione su Porto Sudan. Le unità delle due squadriglie (ad eccezione del Battisti, che ebbe un'avaria alle caldaie) giunsero in prossimità di Porto Sudan al mattino; subito avvistate dalla ricognizione aerea vennero attaccate con accanita resistenza da numerosi aerei. Il Sauro, colpito al centro, affondò in poco più di un minuto a poca distanza da Porto Sudan. I superstiti dell'equipaggio, circa 100, furono ricuperati nel tardo pomeriggio e portati a Porto Sudan. I cacciatorpediniere Pantera, Tigre e Manin diressero verso la costa araba. Il Manin, colpito, perse il contatto con le altre unità ed affondò. Una parte dell'equipaggio fu salvato da unità inglesi. Il Pantera e il Tigre poterono accostare allo Hedjaz a sud di Gedda: le navi vi furono affondate e gli equipaggi sbarcati a terra. Anche il Battisti riuscì a raggiungere la costa. Il posamine Ostia, la torpediniera Orsini, la m/ n Niobe, le vedette Biglieri e Matteucci si affondarono a Massaua. Nessuna unità che avesse un qualche valore militare cadde, così, in mano ai Britannici.
• • • Caduta Massaua, quasi tutta l'Eritrea era ormai in possesso del nemico; il nostro avversario ci aveva tolto ogni possibilità di esercitare una minaccia di ordine strategico alle sue comunicazioni e poteva considerare conseguito il suo obiettivo prioritario. L' 11 aprile il Presidente Roosevelt dichiarava il Mar Rosso aperto alle navi USA, rendendo così più agevole la soluzione del problema dei trasporti marittimi britannici. In questi stessi giorni il Comandante inglese del Medio Oriente disponeva per l' afflusso della 4 3 divisione anglo-indiana e di unità sud-africane al Teatro del Nord Africa ove erano in corso le fortunate operazioni controffensive dell'Armata italo-tedesca che ci avrebbero riportato al confine egiziano.
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LE OPERAZION I IN AFRICA ORIENTALE
Le operazioni in Etiopia, con provenienza dal Nord sarebbero state proseguite dalla 5a divisione anglo-indiana variamente rinforzata. Con la perdita del territorio le forze italiane avevano anche perduto non solo l'aliquota maggiore del proprio dispositivo di unità combattenti, ma anche le maggiori attrezzature e risorse logistiche. Complessivamente le perdite subite dai nazionali dello scacchiere nord nel corso delle operazioni in Eritrea si erano elevate a circa 8.000 uomini (ufficiali: morti 120, feriti 260; truppa: morti 3.000, feriti 4.500); non si hanno notizie sulle perdite dei reparti coloniali.
CAPITOLO XIV
L'ATTACCO CONTRO LA SOMALIA 1. IL TERRENO (I)
La ripartizione del territorio dell'Impero in «scacchieri», entrata in vigore poco avanti la dichiaraZione di guerra, aveva lasciato al settore Giuba la giurisdizione politica e amministrativa dell'intero territorio della Somalia, ma aveva sottratte dalla sua dipendenza militare le regioni dei Migiurtini e degli Ogaden, affidate allo scacchiere est. Geograficamente il paese è caratterizzato da una estesa pianura piatta, arida,, uniforme, che dal mare risale, in direzione S.E. -N.W., così lievemente che la curva di livello dei 200 m. corre ad una distanza media di 4-500 chilometri dalla costa. Con la stessa direzione S.E.-N.W., il terreno, dall'allineamento Gherlogubi-Callafo-Dolo, va successivamente elevandosi, dapprima con pendenze medie lievi, per balzare poi, verso le montagne degli Arussi e la zona dei laghi (Galla e Sidama), a maggiori altezze con forme sempre più aspre. I corsi d'acqua che attraversano la regione, si riducono a due soli: ìl Giuba, che, nei pressi di Dolo, raccoglie le acque del Daua Parma, del Ganale Doria e dell'Uebi Gestro; e l'Uebi Scebeli. Entrambi hanno lo stesso andamento generale dei rilievi fino alla costa, quivi deviano verso S.W., il Giuba per un breve tratto, e l'Uebi Scebeli, invece, per oltre 300 chilometri lungo i quali corre parallelo alla costa alla distanza media di 30 chilometri da essa, per scomparire poi nel sottosuolo a circa 30 chilometri da Giuba. Sia il Giuba che l'Uebi Scebeli hanno regime fluviale; nella stagione che precede le pioggie, però, diventano poverissimi di acqua (nel febbraio 1941 erano pressoché asciutti) ed in molti tratti sono (1) Per la toponomastica vds. schizzi n. 36 e 37.
LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIÉNTALÈ
SCHIZZO N. 36
L'ATTACCO CONTRO LA SOMALIA GENNAIO-FEBBRAIO 1941
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L'ATTACCO CONTRO LA SOMALIA
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facilmente guadabili. In particolare: il letto del Giuba, a sud di Dolo, è molto tortuoso e poco profondo fin presso Giumbo, dove, in vicinanza della costa, si allarga e si infossa notevolmente. In questo tratto, per tutto il suo sviluppo, le rive si mantengono di massima a pari quota, meno che davanti a Ionte (sud di Margherita) ed a Bardera, ove la sponda destra ha leggerò dominio su quella di sinistra. A nord di Bardera, il terreno a sinistra del fiume è punteggiato dai caratteristici «bur» somali, piccoli rilievi di rocce granitiche a pan di zucchero distribuiti in modo regolare per grande esten~ione. Tutta la regione, comprese le zone di media elevazione, ha fondo polveroso ed è, in genere, scoperta od al più rivestita dalla tipica boscaglia somala, bassa, rada, spinosa e priva di ombra. In prossimità dei corsi d'acqua, però, la vegetazione diventa più fitta, più alta e più verde, specie attorno ai centri abitati e lungo le «concessioni». Le coste, fiancheggiate a breve distanza da un lungo e sottile cordone di dune sabbiose, càdono sul mare con un basso orlo roccioso, interrotto frequentemente da estesi tratti di spiaggia e da insenature. Solo l'insenatura di Chisimaio, che ha fondali sufficientementi profondi ed è protetta contro i venti dalle due grosse isole dei «Pescecani» e dei «Serpenti», può essere utilizzata come porto per l'ormeggio di navi di grosso tonnellaggio in qualunque condizione di tempo, mentre Mogadiscio, indifesa dai venti, consente anche alle navi di piccolo tonnellaggio solo l'ancoraggio a distanza dalle banchine. Facili, in genere, le operazioni di sbarco quasi ovunque. La rete stradale, che sulle carte appare a maglie molto fitte, si riduce in realtà ad un insieme di piste che congiungono fra loro i centri abitati, prive di manutenzione regolare, poco frequentate e che le pioggie e la siccità rendono sovente intransitabili, pel fango o per la sabbia, ai mezzi automobilistici pesanti. Grandi strade di sicuro transito, nel 1940, sono solo quelle che da Mogadiscio adducono a Giggica, nell'Harar (bituminate fino a Fer Fer), a Neghelli, nel Galla e Sidama (di cui alcuni lotti erano già dati in appalto per la bitumazione) ed a Chisimaio (a fondo completamente naturale). Discreto l'allacciamento fra Bardera e Belet Uen, per Iscia Baidoa e Tigieglò. Discrete le due piste che fiancheggiano il Giuba, su entrambe le rive fino a Bardera, e quella che prosegue poi da sola lungo la destra del fiume; ottime tutte e due fino ad Alessandra perché mantenute a beneficio delle concessioni.
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LE OPERAZIONI IN AFRICA ORIENTALE
La presenza di numerosi allacciamenti interni e la conformazione del terreno, consentono però, quasi dappertutto, il movimento anche fuori delle piste principali, a mezzi meccanizzati leggeri e opportunamente gommati. Tutta la regione è, durante la stagione secca, priva di risorse idriche, tranne che in vicinanza dei corsi d'acqua o lungo la costa, dove zone di pozzi salmastri s'incontrano a distanza di qualche giornata di marcia a piedi. Gli abitati sorgono solo lungo la costa e lungo i corsi d'acqua, nelle zone dei pozzi. La linea di confine fra la Somalia e il Kenia non corrisponde ad alcun elemento geografico caratteristico. Essa è artificialmente segnata da una tagliata rettilinea della boscaglia nella vastissima piana che si estende fra il fiume Giuba ed il fiume Tana; è attraversata a Colbio, Diff, Gherilli ed El Uach, da cattive piste che fanno capo, da una parte, in territorio britannico, a Garissa e Wajir; e dall'altra, a Chisimaio, Gelib e Bardera; in corrispondenza di tali località esistono tre ponti militari di barconi, i soli lungo questo tratto del Giuba. Fra il confine e il Giuba, la boscaglia è, più che altrove, fitta ed inospitale, interrotta solo, molto di rado, da qualche piccolo gruppo di case, dimora, nella stagione delle pioggie, di tribù pastorizie; propizia, quindi, all'occultamento di forze anche rilevanti quanto contraria all'osservazione terrestre. Dal punto di vista operativo la Somalia, ai suoi confini ed anche all'interno, non presenta posizioni .tatticamente forti che possano consentire una sistemazione difensiva consistente; i suoi fiumi sono guadabili in buona parte dell'anno e del loro corso. Tuttavia essa presenta particolari difficoltà nei rispetti di grosse operazioni offensive in tutte le .direzioni, e particolarmente verso il Kenia e viceversa, per la scarsa viabilità - che diviene impercorribilità in certe stagioni - e per la scarsezza idrica che impedisce l'impiego di grosse forze e vincola le manovre alla conquista ed al mantenimento ·di poche località ben determinate. In conseguenza, le condizioni'ambientali favoriscono l'impiego, nella sola stagione secca, di unità motorizzate che dispongano di mezzi idonei e di buona potenza di fuoco piuttosto che di uomini, precedute, protette e sostenute da una attiva aviazione.
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2. GLI AVVENIMENTI PRECEDENTI L'OFFENSIVA BRITANNICA E LA SITUAZIONE ALLA FINE DEL 1940
Nell'estate del 1940, come si è già detto, in relazione alle condizioni ambientali nelle zone di confine, non si era ritenuto possibile né conveniente - ad alcun livello - di intraprendere operazioni offensive verso il Kenia; neppure, date le notizie sulle forze avversarie, si erano attribuite al Comando britannico grosse possibilità offensive. Il Comando del settore aveva mantenuto, perciò, un atteggiamento sostanzialmente difensivo pur svolgendo una buona attività di pattugliamento nelle zone di confine. Era stato anche provveduto - peraltro assai limitatamente data la indisponibilità di cemento, reticolati, mine ed altri materiali di rafforzamento - a effettuare lavori per imbastire una organizzazione difensiva della regione, che era impostata su: -
-
un sistema di avamposti: a El Uach, Cantama e Fafadun, nel settore del Medio Giuba; a Afmadu e Beles Gogani, nel Basso Giuba. Elementi dei gruppi dubat autonomi e delle bande confinarie estendevano l'occupazione a Malca Marra, Sadei, Gherilli, Liboi, Golbio O); due distaccamenti ai guadi di Bardera e Dugiuma <2>; due teste di ponte sull'Uebi Iero (braccio del Giuba che recinge da ovest l'isola di Alessandra): a Mansur ed a Bua Barugi.
Nel corso del 1940 il Comando settore aveva provveduto ad una mobilitazione integrando le unità esistenti e costituendone anche di nuove, peraltro con qualche scadimento nella efficienza di alcune di esse per deficienza di Quadri idonei e per il reclutamento esteso anche a uomini di tribù con scarse tradizioni guerriere. Infatti, eccettuati i piccoli nuclei di specialisti del genio, la compagnia mitraglieri, i carabinieri e le due batterie contraeree della M.V.S.N., tutte le altre unità che si trovavano in Somalia erano costituite esclusivamente da elementi coloniali del luogo. Data la scarsa (1) Delle bande confinarie addette al servizio di vigilanza sulla frontiera solo qualcuna aveva in distribuzione un apparecchio radio, di guisa che tutte le trasmissioni dalle località più avanzate per centinaia di chilometri venivano fatte con portaordini a piedi. (2) A fine dicembre il Giuba che nel medio e basso corso aveva un buon volume d'acqua poteva essere guadato solo. nelle suddette località.
11. I.e Oncr:l.7ioni in Afric:1. Orienmle . Voi. I
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densità della popolazione, la mobilitazione aveva fatto affluire ai reparti, male inquadrati, uomini di 70 anni e giovanetti di 14. In media ogni battaglione aveva da 6 a 8 ufficiali richiamati quasi tutti e del tutto inesperti dell'elemento indigeno. Alla fine del 1940, lo scacchiere Giuba <1> disponeva delle seguenti truppe: A) Truppe operanti: 3 brigate (XX, XCI e XCII) con complessivi 14 battaglioni coloniali; 1 compagnia CC. RR. (zapité); 1 raggrup-
pamento dubat (su 5 gruppi); 2 battaglioni costieri (della forza di 800-1.000 uomini ciascuno); 4 bande presidiarie (di forza variabile fra 300 e 500 uomini); 1 battaglione genio coloniale (2 compagnie artieri e 1 pontieri); 1 battaglione cc. nn. (con una sola compagnia regolarmente costituita); 27 batterie di artiglieria di vario calibro (in postazione fissa, da posizione, motorizzate, cammellate e contraerea) <2>; 16 mitragliere da 13,2 della Marina, in postazione fissa contraerea; 6 fucili Colt da 6,5 della Marina, anch'essi in postazione fissa contraerea. B) Truppe territoriali (ripartite fra i vari presidi): 1 battaglione CC.
RR. (su 3 compagnie miste, nazionali e coloniali); 2 compagnie Guardia di Finanza miste (nazionali e coloniali); 1 compagnia radiotelegrafisti dell'esercito; I reparto M.V.S.N. forestale, basi territoriali dei battaglioni coloniali; 1 autogruppo coloniale; I deposito territoriale; 1 deposito coloniale; ospedali territoriali; magazzini vari di artiglieria, genio e commissariato.
Già nell'agosto 1940, la fascia di frontiera era stata divisa in due settori (Medio e Basso Giuba); limite di settore: la congiungente (I) li settore Giuba assumeva la denominazione di scacclùere a partire dal I O gennaio 1941. (2) 2 batterie da 120/45 della Marina (con postazioni fisse); 2 batterie da 120/25 coloniali (con postazioni fisse); 7 batterie da 77 /28 coloniali da posizione; 2 batterie da 77128 coloniali motorizzate; 5 batterie da 65/17 coloniali cammellate;
3 batterie da 70/15 coloniali da posizione; 4 batterie da 76/40 della Marina in postazione fissa aerea; I batteria da 76/40 della M.V.S.N. in postazione fissa e aerea; I batteria da 75/27 A.W. della M.V.S.N. in postazione fissa e aerea.
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Diff-Dugiuma. Nell'ottobre successivo, le forze dei due settori avevano assunto rispettivamente la denominazione di 101 a e 102 3 divisione coloniale; la mancanza di organi di servizio mobili e di adeguati mezzi di trasporto aveva tuttavia lasciata immutata la loro tipica struttura di unità territoriali non idonee ad operazioni mobili, tanto più che il vasto territorio dall'una e dall'altra parte del Giuba mancava per centinaia di chilometri di profondità di ogni risorsa logistica naturale o predisposta. Le due divisioni anche sotto la loro nuova suggestiva denominazione, continuarono cioè ad essere due improvvisati raggruppamenti di unità minori, rispondenti ad esigenze locali, mancanti di vincoli organici e di unità di indirizzo addestrativo e disciplinare. Nel dicembre 1940, la maggior parte delle forze, dedotte le poche destinate alla difesa della città di Mogadiscio e della costa ed il raggruppamento dubat a diretta disposizione del comando scacchiere era, in armonia ai concetti operativi che prevedevano un atteggiamento difensivo su tutto il fronte pur vivificato con azioni di contrattacco, raccolta a gruppi in corrispondenza delle principali vie di transito attraverso il Giuba, col nucleo più forte attorno a Chisimaio stessa (una recente segnalazione del Comando Superiore dava come imminente un attacco in forze su Chisimaio), e con un tentacolo avanzato in corrispondenza dell'abitato di Afmadù. L'Aeronautica, nel gennaio 1941, aveva in Somalia una decina di apparecchi CR 133, ripartiti fra i campi di Mogadiscio e Gobuen, due apparecchi M. 32 e uno M. 42 da caccia normalmente dislocati nel campo di Mogadiscio. La Marina, oltre alle batterie del fronte a mare e della difesa e.a., disponeva, nel porto di Chisimaio, di alcuni rimorchiatori di piccolo tonnellaggio. In questo porto, fin dall'inizio delle ostilità, erano ancorate 17 navi mercantili (11 italiane, 5 tedesche, 1 jugoslava); un piroscafo giapponese, che vi giunse in secondo tempo, ripartì dopo aver effettuato lo scarico del materiale e il carico di sale. L'entrata del porto era sbarrata da mine. In caso di attacco era previsto che tutti i piroscafi, non utilizzabili in colonia e di sufficiente autonomia ed efficienza, raggiungessero porti neutrali o francesi controllati.
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L,E OPERAZIONI IN AFRJCA ORIENTALE
3. DIRETTIVE E PROVVEDIMENTI NELL'IMMINENZA DELL' OFFENSIVA BRITANNICA
L'esito del combattimento di El Uac~ (16 dicembre) e la esecuzione da parte britannica di grosse incursioni aeree sui centri maggiori praticamente indifesi avevano fortemente impressionato la pc;>polazione indigena ed inciso sul morale delle nostre unità coloniali. Le informazioni abbastanza accurate circa imminenti offensive britanniche e sulle forze avversarie portavano, poi, ad un certo nervosismo di cui erano testimonianza le proposte che sarebbero state presentate dal gen. Pesenti, in un colloquio riservato con il Viceré in data 16 dicembre, di intraprendere passì per accordi armistiziali con l'avversario. Le pessime risultanze circa l'andamento dell'azione ad El Uach ed il comportamento dei Comandanti sul posto ed a Mogadiscio, sui quali il Duca d'Aosta riferiva con il foglio 44 S. del 26 dicembre 1940 (I), portavano al rimpatrio immediato del Generale Pesenti ed alla sua sostituzione con il Generale De Simone, il quale era stato accusato di avere diretto con scarsa energia le operazioni offensive nel Somaliland e successivamente riabilitato dopoché erano stati meglio conosciuti i particolari di quegli avvenimenti. Il nuovo Comandante in effetti, in un primo tempo, non ebbe molto a modificare quanto predisposto anche perché le sue forze rimanevano praticamente quasi invariate, eccetto l'assegnazione della XV brigata Amara, facente parte della riserva generale del Comando Superiore FF .AA. dell' AOI e già dislocata nell'Harar, che era messa a disposizione dello scacchiere e raggiunse Mogadiscio il 15 gennaio. Né apportavano un utile chiarimento le direttive deÌ 24 dicembre del predetto Comando Superiore che prescrivevano che, in ciascun Scacchiere, le nostre forze, se sopraffatte e costrette a ripiegare, dovessero raccogliersi in un rid.otto. Poiché tali direttive prevedevano tale ridotto al centro di Mogadiscio, venne dato inizio ai più urgenti lavori per una sistemazione, che la completa mancanza di materiali di costruzione, di attrezzi da lavoro, di mano d'opera e di armi pesanti, resero di non facile e di non rapida attuazione. (I) Foglio n. 44/S del 26 dicembre 1940, documento n. 106.
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Ma tali lavori erano stati iniziati da poco quando giunse l' ordine che Mogadiscio dovesse essere considerata città aperta e perciò non difesa. Si intensificò, invece, nel gennaio 1941, l'attività per l'apprestamento difensivo di Chisimaio ritenuta sempre obiettivo principale dell'offensiva nemica. L'offensiva contro la Somalia quindi, era prevista dal Comando Superiore FF.AA. dell' A.O.I.; si sapeva anche con quali forze probabilmente sarebbe stata condotta. Di fronte a questa eventualità il nostro Comando considerò l'alternativa o di rifiutare la battaglia e sgomberare tutta la Somalia (Mogadiscio compresa) o di affrontare la lotta su quelle posizioni che meglio avrebbero potuto prestarsi allo scopo. Abbandonare la Somalia senza colpo ferire non fu ritenuto conveniente per considerazioni varie; tra l'altro, avremmo perduto anche le truppe visto che i Somali si sarebbero sicuramente sbandati per tornare alle loro cabile a tutela dei loro beni. Fu deciso dunque di resistere sul Giuba pur sapendo che il fiume, in quel periodo di massima magra, non avrebbe rappresentato un vero e proprio ostacolo potendo essere guadato, anche con automezzi, in molteplici punti. Nel gennaio, come già accennato, il Comando Superiore FF. AA. dell'A.O.I. rinforzò lo scacchiere con una brigata della riserva generale e dette le seguenti direttive: «In caso di attacco nemico in forze non irrigidirsi in una difesa del confine praticamente impossibile, ma cedere terreno fino al Giuba; difendere ad oltranza la linea del Giuba, difendere ad oltranza Chisimaio con le truppe materialmente in posto, contrattaccando con altre il fianco sinistro dell'avversario». Il Comando scacchiere Giuba doveva perciò essere in grado di fronteggiare con i propri mezzi sia la minaccia su Ghisimaio, sia quelle, non meno pericolose, dirette verso l'Alto e il Medio Giuba. Un'azione in forze su Dolo e Lugh Ferrandi avrebbe, infatti, dischiuse all'avversario: verso nord, le strade di Neghelli e dell'Alto Uebi Scebeli e, verso est, quelle di Mogadiscio e del Medio Uebi Scebeli. Analogamente, se condotta da Bardera e da Gelib, essa sarebbe caduta a tergo dell'intera linea del Giuba, aprendo agevolmente la via verso tutto il corso dell'Uebi Scebeli e sullo stesso territorio dell' Harar.
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La difesa di Chisimaio assorbiva una grossa aliquota delle forze della 102a divisione (gen. Santini); i sei battaglioni della 101 a (generale Carnevali), non erano molti per fronteggiare l'avversario su un fronte di 600 chilometri circa che le recenti puntate nemiche su Buna (Galla e Sidama) avevano esteso fino a Malca Rie e Malca Marra, presidiate entrambe da forti distaccamenti. Lo spostamento dell'intero raggruppamento dubat, facente parte della riserva scacchiere, da Brava a Margherita, in posizione centrale fra Chisimaio e Gelib effettuato nella prima quindicina di gennaio, fu inteso sia a dare la possibilità di alimentare un nostro contrattacco contro una massa nemica diretta su Chisimaio, sia a concorrere ad interdire a tale massa l'accesso alla camionabile Gelib-Mogadiscio. Restava a disposizione del comando scacchiere soltanto la XV brigata, né esso poteva fare assegnamento su ulteriori rinforzi di uomini e di artiglierie avendo il Comando Superiore incondizionatamente esclusa tale possibilità lasciando solo sperare in un eventuale aumento di mezzi aerei «all'ultimo momento» qualora ne fossero giunti dall'Italia <1>. In attesa pertanto che le intenzioni nemiche si palesassero, il comando scacchiere, per porsi in misura di fronteggiare l'eventuale attacco su ciascuna delle tre principali direzioni (settentrionale, centrale e meridionale), dispose (24 gennaio) che la XV brigata si dislocasse (con automezzi in proprio) a Brava, bivio delle due autopiste per Bardera e Gelib, e stabilì che il raggruppamento dubat non potesse essere impiegato senza la sua preventiva autorizzazione.
4 . LE FORZE AVVERSARIE ED I LORO INTENDIMENTI
All'inizio del 1941 il gen. Cunningham era in grado di operare con la 1 a divisione Sud africana verso il Galla e Sidama e con due divisioni, la 11 a e la 12 a africane, in corrispondenza della frontiera con la Somalia. La composizione di queste divisioni e le unità ulteriormente dislocate nel Kenia, quali appaiono da documenti e relazioni ufficiali britannici, sono specificate nel documento allegato n. 21. (!) Alla fine di gennaio giungevano da Addis Abeba 2 soli aerei S.79.
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Le notizie in nostro possesso circa l'entità e la dislocazione delle forze britanniche, disponibili alla data dell 22 febbraio 1941 e specificate nel documento allegato n. 126, erano abbastanza accurate e permettevano di avere un'idea precisa circa l'imminenza di azioni offensive avversarie e le loro direttrici più probabili. Da rilevare la segnalazione della presenza non accertata di unità australiane, in realtà assenti dal Teatro, dovuta a tentativi dei servizi informativi britannici di far apparire l'arrivo di forze ulteriori ed una gravitazione della minaccia verso il Medio ed Alto Giuba ed il Galla e Sidama. Tali tentativi non dovevano avere, peraltro, peso rilevante nei successivi avvenimenti; l'orientamento nemico ad una azione prioritaria volta alla conquista di Chisimaio e ad operazioni verso il settore di Gelib sul Basso Giuba fu perfettamente valutato ed inteso dal nostro Comando di scacchiere. Gli intendimenti brittanici erano di esercitare una minaccia a carattere dimostrativo nel settore fra il lago Rodolfo e Moiale simulando di voler avanzare attraverso il Gimma su Addis Abeba, facendo successivamente seguire un attacco a fondo nel settore somalo. Circa quest'ultima operazione, nella relazione del gen. Cunningham, è detto: «Il mio piano per la conquista di Chisimaio prevedeva che la 12a (A) divisione (1 a brigata S. A., 22a E. A. e 24.a Costa d'Oro) movesse dalla zona Garissa-Wajir su Afmadù. Di qui una colonna (1 a brigata S. A.) doveva marciare verso sud, occupare Gobuen e costituire una testa di ponte a Giumbo, mentre un'altra (24a brigata Costa d'Oro) doveva occupare Buio Brillo, muovere su Alessandra e minacciare Gelib ... «In considerazione dell'importanza di Gobuen, il grosso dell'aertiglieria e i carri armati vennero assegnati alla 12a divisione. «L' 11 a divisione (23 a brigata della Nigeria) dalla zona di Bura, avanzando per il lago Badana, doveva attaccare ed occupare Chisimaio». Le operazioni delle forze terrestri potevano essere agevolate da una netta superiorità dell'aviazione britannica nel Kenia, che aveva raggiunto livelli assai elevati di aerei e di efficienza (t). (1) Cfr. J .A. BROWN «A gathering of eagles: the S.A.A. in ltalian East Africa» PURNELL, Città del Capo, 1969.
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5. LE OPERAZIONI NELL'OLTREGIUBA E L'EVACUAZIONE DI
CHISIMAIO (schizzi 36 e 37)
AI principio della seconda metà di gennaio, l'attività esploratrice nemica, mai sopitasi dopo l'episodio di El Uach, si andava estendendo a tutta la frontiera dello scacchiere, facendosi più aggressiva. Anche i grossi si avvicinavano al confine e forti distaccamenti motorizzati attaccavano i nostri posti avanzat_i. Con ininterrotte imboscate e con l'ardito impiego di bottiglie incendiarie le nostre bande riuscivano per più giorni a tenere a bada gli elementi esploranti avversari. Il 21, il 24 e il 25, autocolonne miste di camionette, fanterie autoportate, autoblindo e carri leggeri passavano il confine rispettivamente a Diff, a Liboi e a Golbio. Con successo venivano contenuti i progressi del nemico a Digh Merer e Matauarsisa, mentre, più a nord, altre bande ne rendevano difficoltosa l'avanzata a Gherilli e a El Uach. Meno fortunati erano invece gli sforzi fatti per contenere i progressi nemici sulla pista di Liboi, ove una nostra banda era costretta a ripiegare prima su Tabda e, dopo un nuovo scontro, il giorno 30, su Beles Gogani; qui però il nostro presidio, che era stato nel frattempo rinforzato, reaglva e contrattaccava il giorno 31 si chè il nemico desisteva per il momento della sua azione. II 2 febbraio, la colonna che fino allora era rimasta apparentemente inerte davanti a Matauarsisa attaccava quel presidio e procedeva su Afmadù contrastata da elementi in agguato nella boscaglia. Altri scontri avevano luogo contemporaneamente lungo le piste che per El Mergis e Fafadun adducono a Bardera sul fronte della 101 a divisione.
li giorno 4, al mattino, dopo una preparazione di circa due ore di bombardan1ento aereo e tiro di artiglieria, una forte colonna di truppe africane precedute da autoblindo attaccava il presidio di Beles Gogani, a sud ovest di Afmadù_. Il combattimento s'impegna con decisione dall'una e dall'altra parte e si protrae fino alle 11, quando il sopraggiungere di notevoli rinforzi all'attaccante e la perdita delle salmerie coi rifornimenti, sbandate dal mitragliamento aereo, mettono in crisi i difensori; poiché la linea di ripiegamento su Afmadù è già intercettata, 1'8° dubat, fortemente decimato, per evitare la cattura abbandona la pista di Gelib e si getta nella boscaglia. Anche più
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L'A lT ACCO ('ON I RO L,\ ,O~·IALIA
SCH IZZO N. 37
L'ATTACCO CONTRO LA SOMALIA LE OPERAZIONI SU L BASSO GIUBA DAL 13 AL 22 FEBBRAIO 1941
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a sud, lungo la pista di Golbio, il nemico era attivo; il suo movimento veniva contrastato, il giorno 6, a Baddada e successivamente al posto di sbarramento di Lach Bada. Più a nord, eliminati i nostri elementi avanzati, le colonne nemiche riprendevano la marcia sia su Fafadun (verso Bardera), che su Afmadù (verso Gelib); avvalorando così l'ipotesi che esse intendessero aprirsi la strada attraverso il Giuba là dove incontravano minore resistenza. Per lo sbarramento dell'importante nodo stradale di Bardera la difesa dispone di tre battaglioni e quattro batterie; sul Basso Giuba, a difesa della direttrice Gelib-Mogadiscio, vi sono invece complessivamente nove battaglioni, dieci batterie e due compagnie mortai 81/35, di cui tre battaglioni e cinque batterie destinati alla difesa di Chisimaio.
Nel bilancio complessivo delle nostre forze , ora che la minaccia nemica appare non più limitata alla sola occupazione di Chisimaio, come prima si riteneva, il mantenere impegnati un terzo dei battaglioni e metà delle batterie della 102 a divisione per la sola difesa di queste località, eccentrica e staccata dalla linea di resistenza, appare al Comandante lo scacchiere antieconomico e rischioso, dato che il Giuba è divenuto quasi ovunque guadabile. Egli viene, quindi, nella determinazione di rinforzare la linea del Basso Giuba fra Gelib e Giumbo a spese della difesa di Chisimaio e di ripartire la propria riserva in due blocchi dislocati lungo le due presumibili direttrici principali dell'attacco nemico , Wajir-Bardera e Garissa-Gelib. Gli ordini relativi, diramati il giorno 8, cominciano ad avere esecuzione nella notte stessa. Il nemico, che coi combattimenti del 3 e 4 febbraio si è aperta la strada da Matauarsisa e Beles Gogani su Afmadù, fa sentire più decisa la sua presenza il giorno 5. Vivace è la reazione delle forze assegnate alla difesa di questo importante nodo stradale. Esse, ad eccezione di una compagnia che costituisce il presidio interno del ridotto, sono tutte appostate entro la boscaglia circostante la quale, oltre ad una discreta copertura alla vista, offre anche una certa protezione contro l'irruzione improvvisa di mezzi blindati e buone possibilità di agguati e contrattacchi che si realizzano con successo il 6, 1'8 e il 9 febbraio. Il mattino del 10, però, l'aviazione e l'artiglieria nemica intensificano il tiro su Afmadù che, verso le ore 9, viene
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investita da un largo spiegamento di truppe a piedi precedute da autoblindo. Accolta da violento fuoco di fuéileria ed artiglieria e molestata sui fianchi dai nostri nuclei rimasti appostati nella boscaglia, la fanteria africana si arresta e quindi ripiega sulle posizioni di partenza. Dalle ore 15 all'imbrunire, bombardieri pesanti si susseguono ad ondate di mezz'ora sulla zona rovesciandovi centinaia di bombe di grosso calibro. Segue, per tutta la notte, insistente il tiro di artiglieria. Intanto Gelib ha raggiunto un discreto assetto difensivo. Il compito affidato al presidio di Afmadù può quindi considerarsi ormai pressoché assolto; l'ulteriore permanenza sul posto potrebbe compromettere il tempestivo recupero di questo apprezzabile nucleo di forze che più utile impiego può ora trovare nella difesa del settore di Gelib. A sera, pertanto, _il Comando dello scacchiere autorizza quello della 102a divisione a ripiegare detto presidio su Gelib. Il mattino seguente, dopo un nuovo intenso bombardamento aereo, i Britannici avanzano su tre colonne circondando il ridotto, che i dubat hanno appena lasciato, e se ne impadroniscono. Le truppe del presidio (meno la squadra autoblindo e gli automezzi con i feriti che ripiegano direttamente su Gelib) si gettano a sud del ridotto là dove è più fitta la vegetazione, nella speranza di poter meglio sfuggire all'accerchiamento dei mezzi celeri avversari e raggiungere la pista che porta a Gelib per Bua Barrugi; ma, avvistate dagli aerei, spezzonate e mitragliate da bassa quota, raggiunte dalle truppe motorizzate finiscono con lo sparpagliarsi nella boscaglia; gli autocarri con le batterie da 65/ 17, la compagnia mortai da 81, ed altri materiali rimangono immobilizzati negli acquitrini. Un successivo tentativo di recupero non ha successo. Il mattino del 10 febbraio, giunge in volo a Mogadiscio il Viceré. Accompagnato sul Giuba visita lo schieramento delle truppe e i lavori difensivi della piazza di Chisimaio ove pernotta. Ivi comunica che, accettando la proposta già fatta dal Comando scacchiere, è venuto nella determinazione di fare arretrare le nostre truppe dietro il Giuba e di contrastare ad oltranza, dietro questo ostacolo, l'avanzata nemica. Chisimaio deve perciò essere sgombrata al più presto ricuperando tutto quanto ancora è possibile e distruggendo il resto. Nessuna illusione egli si fa, però, circaJa resistenza che le nostre truppe
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I. E OPERAZIONI IN AFRICA ORJENTALE
potranno opporre. Il Giuba, ormai quasi completamente asciutto, meno che negli ultimi 15-20 chilometri, ha perduto quel limitato valore di ostacolo che in periodo di piena gli si può attribuire. La vasta, piatta, arida e scoperta pianura che per circa 700 chilometri si estende cial Giuba alle prime propaggini dei rilievi Hararini, d' altra parte, non offre alcuna possibilità di ostacolare ulteriormente l'avanzata delle colonne motorizzate dell'invasore né consentirebbe la vita stessa alle nostre fanterie costrette a ripiegare a piedi incalzate dappresso, se non addirittura precedute, per terra e nell'aria, dall'avversario. Il mattino dell' 11 febbraio, vengono date le disposizioni per l'immediato sgombro del caposaldo e del porto. Le operazioni hanno immediato inizio e procedono senza interruzione con febbrile ed ordinata alacrità fino al 13, giorno in cui tutto quanto poteva essere recuperato nella piazza di Cbisimaio ha già raggiunto o sta per raggiungere la nuova destinazione oltre Giuba. Tutti i piroscafi in grado di navigare ricevono ordine di prendere il mare e dirigersi su qualche porto neutrale od in stato di armistizio (Diego Suarez nel Madagascar). La petroliera Pensilvania deve raggiungere prima Mogadiscio per ulti(Ilare lo scarico della nafta e poi regolarsi tome gli altri piroscafi. Le navi che non possono lasciare il porto vi devono essere affondate nei punti prestabiliti per ostruirne l'ingresso. Ih fatto: il Pensilvania, riuscì a raggiungere Mogadiscio seguito l'indomani da un piccolo rimorchiatore germanico, ma nei giorni successivi fu messo in fiamme dal tiro di un incrociatore inglese da 10.000 tonnellate; due piroscafi riuscirono a raggiungere Diego Suarez; durante la navigazione due si autoaffondarono e cinque furono catturati; di tre altri non si ebbero più notizie. I rimanenti vennero affondati nella rada.
6. LA DIFESA AL GIUBA E LE OPERAZIONI SUL FRONTE DELLA 102 3 DIVISIONE (BASSO GIUBA) (schizzo n. 37)
La nuova dislocazione delle forze lasciò immutato il limite di settore fra le due divisioni e si ispirò al criterio di sorvegliare il Giuba lungo tutto il suo sviluppo limitandone l'occupazione ai punti di più facile passaggio. Solide teste di ponte dovevano essere costituite a
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Giumbo, Margherita, Gelib, Bardera, Lugh Ferrancli e Dolo; forti rincalzi dovevano essere tenuti in zone centrali. In sintesi: -
il settore Medio Giuba (1 O1a div.), già ripartito in due sottosettori: • sottosettore Bardera, affidato alla XX brigata (colonnello Azzolini); • sottosettore Lugh-Dolo, affidato alla XCII brigata (colonnello Giaume); venne riassettato in armonia ai nuovi criteri, ma non rimase influenzato dallo sgombero di Chisimaio;
-
il settore Basso Giuba (102 3 div., ora rinforzata) venne diviso in-
vece in tre sottosettori contigui: • sottosettore Giumbo (col. Bernardi) compreso fra il mare e il parallelo di Torda, con uno sviluppo di 40 chilometri; lungo il tratto di fiume meno guadabile era presidiato: dai battaglioni V costiero e CXCV coloniale; dal CXXII gruppo misto d'artiglieria (1 batteria da 120/25 e 2 da 77/28); da 1 batteria da 70/ 15 da posizione ed 1 da 20 mm .; da 1 compagnia mortai da 81/3 5 e da 1 cp. genio; • sottosettore Margherita (col. Bivona), con una ampiezza di circa 44 chilometri, fra i paralleli di Torda e di Cansuma; affidato alla XCI brigata coloniale (CXCIII, CXCIV e CXCVI battaglioni coloniali. Il CXCIII doveva trasferirvisi dal settore Giumbo, appena sostituito dal CXCV in ripiegamento da Chisimaio) rinforzata da I compagnia mobile CC.RR. , da I banda, da I batteria da 77/28 (ripiegata da Gobuen) e da I da 65/17 autoportata (rimase inoltre temporaneamente a Margherita, per mancanza di mezzi di trasporto, il III gruppo dubat che doveva raggiungere il proprio raggruppamento a Dinsor); • sottosettore Gelib (col. Mazzi), da Cansuma a Dugiuma (130 chilometri circa di estensione), affidato a: LXXV e XCIV battaglioni coloniali e VIII gruppo dubat; I battaglione di formazione misto della Marina (nazionali e coloniali con 22 mitragliere); il VII battaglione genio; I sezione autoblindo Fiat (3 autoblindo), I sezione M.V.S.N. e I compagnia presidiaria; 4 batterie d'artiglieria (I da 65/ 17 someggiata, I da 70/ 15 autocorazzata, 2 da 77/28 motorizzate); I compagnia mortai da 81/35.
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Il giorno 13 febbraio, dopo un'azione di reparti esploranti, una colonna di truppe appiedate ed autoblindo appoggiata da violento fuoco di artiglieria e da spezzonamento di aerei a bassa quota attaccava frontalmente la testa di ponte di Mansur che contemporaneamente veniva minacciata sul rovescio da Buio Brillo. La difesa era costretta a ripiegare dietro l'Ueb Jerò, il ponte sull'Ueb veniva distrutto, andavano perdute una batteria da 70/15, una da 20 e due autoblindo che non fu possibile rimuovere dal posto. L' indomani, la nuova posizione occupata dai nostri sulla sinistra dell'Ueb veniva attaccata da un battaglione di fanteria con autoblinde appoggiate da fuoco di artiglieria, lanciabombe ed aerei, mentre altri reparti premevano più a sud sulla testa di ponte di Bua Barugi. Il mancato successo di questa azione, e forse, l'ancora incerta percorribilità delle piste a settentrione, inducevano il nemico a cercare un passaggio attraverso il Giuba più a valle. Pur persistendo, infatti, nel tentativo di sfondare la nostra linea di resistenza in corrispondenza di Gelib, le forze britanniche deviavano in parte verso sud, costringevano il presidio di Sato a ripiegare su Margherita e comparivano, il mattino del 14, contemporaneamente davanti a Gobuen e Chisimaio. Il battaglione di retroguardia (CXCV), lasciato in Chisimaio per le ultime operazioni di sgombero e distruzione, aveva appena cominciato ad attraversare il fiume, quando i primi colpi dell'artiglieria giungevano presso il ponte. Nella giornata le truppe britanniche occupavano la città dopo averla sottoposta ad intenso bombardamento aeronavale e terrestre. Rimanevano tagliati fuori alcuni nostri reparti distaccati molto avanti e le bande che avevano continuato a difendere i posti di sbarramento. Durante le giornate del 15, 16 e 17, le nostre posizioni del basso Giuba ed in particolare di Giumbo furono tenute sotto il continuo bombardamento dell'artiglieria e degli aerei nemici al quale, il giorno 15, si sovrappose per un paio d'ore anche il tiro di due incrociatori portatisi a breve distanza dalla costa. Nella stessa giornata, il nemico con ripetuti attacchi tentava raggiungere il quadrivio di Gelib forzando la linea dell'Ueb. Respinto, riprendeva a martellare le nostre linee col fuoco dell'artiglieria, mentre l'aviazione e la marina indisturbate (i nostri disponevano ormai di 1 M. 32 e 1 M. 42 e 3 soli bombardieri) bersagliavano senza posa le retrovie. In Mogadiscio
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ondate successive di bombardieri uccidevano in una sola volta 120 persone; Modun per due ore consecutive era sottoposto al tiro di unità navali; l'abitato di Gelib era completamente distrutto dal lancio di bombe incendiarie ed ugual sorte toccava all'ospedale da campo 0310, all'ospedaletto di Dinsor e alla stazione radio di Bardera. Il convincimento della invulnerabilità dei mezzi nemici penetrato nell'animo delle truppe indigene provocò le prime diserzioni e creò un certo senso di iniziale sfiducia in taluni reparti. Fu necessario ritirare indietro, per rimetterli in efficienza, i due battaglioni che avevano combattuto a Mansur e sull'Ueb, nonché il XCIV che, con lunga diversione, aveva ripiegato da Afmadù e l'VIII gruppo dubat inviato a Madoca. Pertanto il comando scacchiere, il giorno 17, metteva a disposizione del comando 102a divisione l'intera XV brigata (gen. Brunelli), fino allora rimasta a Brava; contemporaneamente, tenuto conto che sul fronte della 101 a divisione i progressi nemici sembravano seriamente ostacolati dalle condizioni stradali e che la direzione dell' attacco principale appariva ormai precisata, disponeva che il raggruppamento dubat (gen. Bisson) (meno il III gruppo lasciato nel settore di Gelib in luogo del XCIV battaglione) si trasferisse anch'esso da Dinsor (nel settore della 101a divisione ad est di Bardera) alla zona di Modun- Brava, a disposizione dello scacchiere. Intanto nel settore Giumbo la situazione si aggravava improvvisamente. Alla sera del 17, il guado di Bulo Merere cadeva in possesso del nemico e anche il reparto a difesa del guado di !onte era costretto a ripiegare. Un tentativo effettuato a tarda sera per ricacciare i reparti passati al di qua del fiume non ebbe successo. L'azione fu rinnovata all'alba del giorno seguente. Il tiro delle numerose mitragliatrici che coronavano la testa di ponte nemica, delle artiglierie e dei mezzi corazzati schierati in posizione dominante al di là del fiume, ebbe buon giuoco sulle nostre truppe che operavano per ampio tratto in terreno completamente scoperto. Il battaglione attaccante subi sensibili perdite e fu costretto a ripiegare su Buio Boda, ove venne rinforzato con 2 compagnie del V battaglione costiero, con 1 sezione da 70/ 15 e 1 da 20 mm. e ove, nella notte, affluirono da Margherita il CXCIII battaglione e 1 compagnia carabinieri. Queste truppe avrebbero dovuto eliminare la testa di ponte nemica che nella notte aveva raggiunto una estensione di circa 3 chilometri ed una profondità variabile dai 500 ai 1000 metri. Senonché verso le 10,30 del 19, prima
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cioè che il nuovo attacco, che peraltro era stato rinviato all'indomani, fosse sferrato, numerosi automezzi avversari avanzarono dal fiume su larga fronte. I pochi mezzi d'artiglieria già sul posto aprirono subito il fuoco contro i carri e le autoblindo ed il CXCIII battaglione attaccò arditamente sul fianco la testa della colonna. Ma tale reazione non bastò ad arrestare i mezzi corazzati nemici che continuarono ad incunearsi fra i nostri reparti falciandoli inesorabilmente. Il combattimento, frazionatosi in singole azioni, si protrasse per circa quattro ore durante le quali da ambo le parti si ebbero perdite non precisate, ma rilevanti. Alla fine, il nemico frantumata la nostra resistenza si divise in due colonne che, in direzioni opposte, puntarono l'una, su Giumbo e, l'altra, su Torda, mentre autoblindo e carri leggeri penetrati nella boscaglia, si davano alla caccia degli sbandati che sfiduciati per la propria impotenza erano in cerca di scampo. Nella notte sul 20, un reparto nemico sbarcato presso El Moghe, sul rovescio dell'abitato di Giumbo, completava l'accerchiamento di quel saliente tagliando ai superstiti difensori ogni via d'uscita. Cadevano in mano del nemico 22 ufficiali e circa 100 nazionali. Alla colonna nemica da Buio Boda, che avanzava verso nord, veniva sbarrata la strada ali' altezza di Torda. Ma, intanto, l'atteggiamento di molti ascari di razza inferiore, da poco reclutati, si andava facendo sempre più allarmante; spesso sotto la violenta azione dell'artiglieria, degli aerei e dei carri sfuggivano al controllo dei propri ufficiali; alcuni avevano abbandonato la linea dell'Ueb Jerò gettando le armi e dichiarando di voler andare a casa (l'ordine era stato ristabilito spingendo avanti reparti già provati), altri, che avevano disertato di recente, erano stati catturati con le armi alla mano fra gli atfaccanti. Esaminata in posto la situazione il comando dello scac;chiere dette direttive perché le truppe del sottosettore Margherita, ove non fossero riuscite a contenere la pressione nemica da sud, ripiegassero verso nord su linee successive, man mano restringendo la propria fronte, pur conservando sempre allo schieramento l'attuale andamento ad «L» con un lato cioè rivolto alle provenienze da sud e l'altro lungo il Giuba in modo da evitare che il settore Gelib venisse a trovarsi improvvisamente scoperto sul fianco. Il comando della 102a divisione doveva completare questo schieramento ripiegando la propria fronte
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anche a nord di Gelib, sì da dare ad essa la forma di un rettangolo con il lato posteriore aperto, cosa che de) resto era già in atto fin da quando l'VIII dubat era stato inviato a Madoca. Per la eventualità, poi, che la situazione anche nel settore Gelib dovesse aggravarsi tanto da rendere assolutamente impossibile ogni ulteriore resistenza da parte delle truppe che vi erano schierate, il comandante lo scacchiere indicava come meno sfavorevole ad una sosta delle nostre truppe per azioni intese a non lasciare del tutto libera alle autocolonne nemiche la strada per Mogadiscio ed Harar, la linea che passa per Brava, Modun, A vai (ove le dune costiere, ripiegando per breve tratto verso nord, restringono alquanto la pianura interposta fra le dune stesse ed il letto dell'Uebi Scebeli); e l'altra segnata all'ingrosso dal canale di scarico dello stesso Uebi Scebeli tra Merca e Genale, distanti rispettivamente dal Giuba 160 e 2-50 chilometri, entrambe facilmente aggirabili e difficili da raggiungere a piedi attraverso una zona arida, piatta, scoperta e polverosa. La decisione di ripiegare dal fiume doveva essere presa, previo consenso del comando di scacchiere, solo quando si fosse trattato di salvare gli ultimi reparti non più in condizione di resistere; per tale ripiegamento dovevano essere sfruttati al massimo i mezzi di trasporto disponibili. A parte l'ordine del Comando Superiore FF.AA. di resistere ad oltranza sulla linea del Giuba, un ripiegamento di molte forze, senza protezione aerea, con pochi mezzi di trasportò, in terreno privo di acqua, si sarebbe presto fatalmente trasformato in una rotta disordinata. Direttive furono anche impartite, il 19 febbraio, per l'eventuale sgombero di Mogadiscio; per la distruzione di quanto non essendo necessario alle popolazioni, avrebbe potuto riuscire utile al nemico; e per la messa in efficienza, a disposizione del comando scacchiere, di tutti i reparti ed elementi isolati che si sarebbero resi disponibili in conseguenza dell'evacuazione della città. Delle direttive sopra esposte il comando scacchiere mise al corrente il Comando Superiore FF.AA. chiedendo, data l'assenza completa della nostra aviazione dal cielo della battaglia, che gli venisse inviato almeno uno o due apparecchi da caccia. Ma in tutta l' A.O.I. non vi erano allora che 5 apparecchi M. 42. «Il piano del comandante la 12 3 (A) divisione per l'occupazione di Gelib fu il seguente - dice il geo. Cunningham nella sua relazione-: la 22a brigata ebbe l'ordine di avanzare da Mabungo lungo una
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pista segnata sulla carta, ma delle cui condizioni nulla si sapeva, per tagliare la strada per Mogadiscio circa 18 miglia ad est di Gelib. Nel frattempo la brigata Costa d'Oro doveva avanzare verso sud da Mabungo e la I brigata S.A. verso nord da Ionte». Verso le ore 16,30 del giorno 20, colonne britanniche motomeccanizzate, provenienti da sud apparvero davanti alle nostre difese di Torda. Avvistate e battute tempestivamente ed efficacemente dalla artiglieria, le teste delle colonne si disordinavano e si arrestavano. Autoblindo, carri e camionette colpite dal tiro venivano abbandonate, mentre truppe a piedi cercavano di occultarsi nella boscaglia. Un pronto contrattacco del IL battaglione «Amara» condotto su entrambi i fianchi dell'attaccante dette luogo ad un violento combattimento che si concluse col ripiegamento del nemico sorpreso dalla improvvisa reazione dei nostri. Nel frattempo però l'avversario passava il Giuba anche a Mabungo (50 chilometri circa a nord di Gelib) e ciò induceva il comandante della 102 3 divisione a disporre il ripiegamento delle truppe dipendenti verso la zona di Brava Modun con sbalzi successivi sulle linee: Bar Tuculle-Omboi-Etille; e Cugni Barrò-El Callafo. Il comandante dello scacchiere disponeva allora che il comando della 101 a divisione (gen. Baccari) <1> inviasse subito da Bardera, in direzione di Gelib, un battaglione e una batteria autocarrata per attaccare, sul fianco e sul tergo, le truppe britanniche che stavano passan·do o avevano passato il Giuba fra Dùgiuma e Gelib; ordinava alla 102 3 di sospendere ogni movimento e si recava ad Omboi. Ivi giunto, avuta notizia della crescente demoralizzazione delle truppe, decideva di portarsi a Gelib per conoscere dalla viva voce del comandante in posto lo stato reale delle cose in quel settore. Qua e là, attorno a Gelib, la boscaglia era in fiamme e qualche colpo di cannone di medio calibro giungeva fin dentro l'ampio braciere ove prima sorgeva l'abitato: eran circa le ore 24. A Gelib constatò che la situazi~me si era venuta aggravando sull' Ueb Jerò dove, a causa delle continue perdite, non si riusciva più a mantenere gli ascari sulle posizioni durante i violenti concentramenti di artiglieria ed i bombardamenti aerei che accompagnavano l'avanzata (I) Aveva sostituito il gen, CARNEVALI, il IO febbraio,
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dei carri; che era da attendersi da un momento all'altro, venissero travolti il LXXV ed il CXCIV battaglione ormai ridotti agli estremi; che la situazione non era migliore a Madoca, ove anche l'VIIJ dubat, uno dei reparti meglio inquadrati, e il XCIV battaglione ridotto ad un terzo delle forze, davano dubbia garanzia di poter ulteriormente resistere; che mancavano notizie recenti sulla situazione a Margherita. Il comandante dello scaccp.iere decise perciò che venisse iniziato il ripiegamento, fermo restando che dovevano essere arretrate per prime le truppe meno solide e che la fronte doveva essere man mano raccorciata arretrando progressivamente le ali a cominciare dalla sinistra (settore Margherita), fino a ridursi ad una ristretta testa di ponte attorno a Gelib, che avrebbe-a sua volta ripiegato sotto la protezione di altri reparti già in posizione.sulla linea Bar Tuculle-Etille. Rientrato in sede, dava, per radio, comunicazione dettagliata al Comandante Superiore le FF.AA. della situazione e delle misure che aveva dovuto prendere. Il Viceré rispondeva che, avendo quotidianamente seguito ed apprezzato i tenaci sforzi fatti per ottemperare all'ordine da lui dato, si rendeva pieno conto della ineluttabilità della decisione, dolente che la situazione generale non gli consentisse di venire in alcun modo in aiuto delle sue truppe. Nella notte sul 21, rotto il contatto a Torda, i nostri raggiungevano Illane (sud di Margherita). Il mattino successivo, alle 10,30, una forte colonna nemica, preceduta ed accompagnata da azione aerea e da mezzi corrazzati attaccava quella posizione. L'attacco era contenuto dal tiro della nostra artiglieria e da un contrattacco del IL battaglione che sarà poi decimato e in parte catturato per effetto del successivo intervento di batterie avversarie autoportate. Raggiunta Margherita, le colonne nemiche cadevano alle spalle del CXCVI battaglione, che, vedendosi preclusa la strada per Etille, si gettava sulla pista che conduce alla seconda linea di sbalzo. Nel sottosettore Gelib la giornata del 21 era caratterizzata da una maggiore tranquillità. A nord di Madoca, il nemico era lontano e inattivo; fra Bua Barugi e Cansuma, l'attività delle due parti si limitava a scontri di pattuglie. Solo sull'Ueb si aveva qualche ora di crisi perché il CXCIV, sottoposto ad azione di artiglieria, abbandonava la prima linea trascinandosi dietro il LXXV battaglione. La situazione
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però veniva ristabilita dal pronto intervento del XCIV battaglione spostato da Madoca a Mansur, tanto che il comando sottosettore Gelib chiedeva di essere autorizzato a soprassedere al ripiegamento sempre che fosse possibile dar sicurezza al suo fianco sinistro. Le poche forze disponibili del sottosettore centrale ricevevano l'ordine di sbarrare, fra Etille e Laeto, le due piste provenienti da Margherita, ma esse erano ben poca cosa per poter fermare la valanga che stava piombando loro addosso; verso mezzogiorno, fanti e artiglieri venivano sommersi dalle prevalenti forze avversarie: circa 100 automezzi, fra cui una trentina di autoblindo e carri ed una decina di pezzi di medio calibro, sfilavano in direzione di Omboi. Già alle ore 8 del 22, il nemico aveva avio-lanciato un messaggio al presidio di Gelib invitandolo a desistere dalla valorosa, ma vana resistenza. Premuti ora da numerosi carri e da blindo che avanzano lungo la strada di Margherita e con movimento aggirante, si dirigono verso il lato nord del paese, i nostri decidono di raccogliersi nell'isola di Alessandra ed ivi resistere ancora. Ma, intanto, una colonna proveniente da nord forte di molti carri e autoblindo sferra un violento attacco contro le posizioni di Madoca dove i nostri la contengono e la contrattaccano, e altre forze premono su Mansur; da tutto il cielo della battaglia e delle retrovie l'aviazione nemica non dà tregua; ogni comunicazione fra il comando settore e il comando della divisione è interrotta. Il combattimento si frantuma in singoli episodi: a Madoca il XL battaglione perde più di metà dei suoi uomini; perdite gravi subiscono anche il III dubat e il battaglione «M» fra Bua Barugi e Gelib. Le forze nemiche sono in continuo aumento: Gelib è ormai piena di autoblindo, carri, autocarri. Alle 15,30, il comando del sottosettore viene catturato (I). L'intervento della 101 a divisione a Chedful non ha modificato le sorti della battaglia. Il LXXVI battaglione giunto dopo un percorso di 220 chilometri alle spalle della colonna britannica in marcia su Madoca ne attaccava di sorpresa la coda provocando allarme e confusione; ma per timore di essere a sua volta colto a tergo da unità avversarie in secondo scaglione, si disimpegnava dal combattimento e rientrava a Bardera. (1) In una corrispondenza dal Cairo venne riferito che a Gelib il giorno 22 erano stati catturati 64 ufficiali, 420 nazionali e 866 coloniali.
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Dopo l'annientamento pressoché totale della 102a divisione e dei reparti inviati in suo rinforzo, non appatve possibile, con le sole forze disponibili (3- battaglioni e 5 batterie di cui I battaglione e 2 batte-' rie ancora in marcia) sbarrare a Modun l'avanzata delle autocolonne nemiche, perché uscendo dalla strada esse avrebbero potuto agevolmente superare, tenendosi fuori anche dal tiro delle artiglierie, i limiti estremi della nostra fronte, e proseguire direttamente su Mogadiscio sorprendendola in pieno sgombro. Si ritenne quindi opportuno arretrare di più la difesa sbarrando gli accessi ad ovest e a nord della città e cioè a Vittorio d'Africa, Afgoi e Balad, ove le esistenti opere d'arte avrebbero potuto essere utilmente sfruttate per rallentare i movimenti dell'awersario. In tal senso il comando scacchiere dava disposizioni lo stesso giorno 22. A Modun veniva lasciato un distaccamento con funzioni ritardatrici.
7. IL RIPIEGAMENTO DELLA 101 a DIVISIONE DAL MEDIO GIUBA SUL GALLA E SIDAMA E SULL'HARAR (I)
Il crollo della linea difensiva del Basso Giuba mise in condizioni critiche le unità della 101 a divisione che, frazionate lungo un estesissimo fronte, potevano essere agevolmente aggirate e sopraffatte, l'una dopo l'altra, dalle colonne celeri nemiche padrone ormai di tutta la rete stradale sul loro tergo . Era necessario perciò, che la divisione riunisse le proprie forze, al più presto e fuori del contatto nemico. Per. le considerazioni sopra esposte, la sera stessa del 22, il Comando scacchiere ordinava alla 101 a divisione di ripiegare, a marce forzate, direttamente sulla zona di Callafo per organizzarvi un nuovo fronte difensivo contro le provenienze da ovest e da sud, in cooperazione con le truppe provenienti da Vittorio d'Africa che avrebbero preso posizione nella zona di Scillave. In obbedienza all'ordine ricevuto, il comando della 101 a divisione, nella notte sul 23, decideva di raccogliere le proprie forze a Lugh Ferrandi e di qui portarsi poi su Callafo, per Oddur. Disponeva perciò che le truppe schierate nella zona di Bardera raggiungessero Lugh Ferrandi su due colonne: l'una, a piedi, al comando del (1) Per la toponomastica, vds. schizzo n. 36.
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comandante la XX brigata (col. Azzolini), (costituita dal LXXIII e LXXIV battaglione, CIII gruppo dubat, 40a batteria da 67 /17 e dalle salmerie), per «sinistra Giuba», fuori pista, lungo un itinerario malagevole, ma meno arido e meno esposto ad incursioni di mezzi mecca: nizzati; l'altra, al comando dello stesso comandante della divisione, formata da tutte le artiglierie e dalle stazioni radio del comando, caricate su autocarri, lungo la pista di riva destra. Riunitesi in Lugh alle truppe già sul posto ed a quelle provenienti da Dolo, esse dovevano riprendere la marcia su Callafo. I servizi da !scia Baidoa si sarebbero trasferiti, direttamente a Callafo, assieme al CXCVII battaglione, ivi in formazione, non appena raggiunti dal LXXVI battaglione di ritorno da Chedful al quale era affidato incarico di dar loro protezione durante la marcia e di imbastire la prima difesa nella nuova zona. La notte sul 25, i movimenti predisposti erano in corso allorché un radiogramma urgente del Comando Superiore ordinava che la 101 a divisione anziché su Callafo, ripiegasse su Neghelli, nel Galla e Sidama, e che le rimanenti forze dello scacchiere fossero avviate nell'Harar. Durante la giornata successiva, l'aviazione nemica bombardava intensamente i centri di Baidoa, Lugh e Dolo e le piste interposte, provocando perdite fra gli uomini ed i materiali ed influendo sinistramente sugli .animi degli ascari già turbati dalla preoccupazione che elementi di razza inferiore, rimasti senza controllo, potessero abbandonarsi, prima ancora delle truppe nemiche, ad atti di violenza e di rapina contro le loro famiglie. Atti.d'indisciplina si verificarono fra le truppe che chiedevano il pagamento dei propri risparmi ed il proscioglimento dal servizio. Il comando della divisione con le batterie 2 a, 3 a e 11 a da 77/28 e 39a, 93a, 94a da 65/17, che andaval).O perdendo per la strada tutto il personale indigeno·, raggiungeva Dolo, abbandonata dal CXCII battaglione che, alla notizia di dover lasciare il paese, si era dileguato con le armi nella boscaglia. Caricati gli ufficiali, i nazionali, un centinaio di ascari fedeli, i cannoni, le armi automatiche, la radio ed i viveri sugli autocarri ancora in grado di marciare, il comando della 101 a divisione, passato dal mattino del 25 alla dipendenza del comando scacchiere sud, iniziava la marcia verso Neghelli e Dalle. Attraverso molte difficoltà dovute al pessimo stato di alcune piste, all'inefficienza degli automezzi e alla deficienza di personale, raggiungeva Dalle, il 7 marzo.
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Lo stesso giorno, pochi superstiti nazionali della XX brigata che avevano marciato lungo la sinistra del Giuba raggiungevano stremati di forze e senza viveri Lugh Ferrandi già in mano degli Inglesi. La colonna dei servizi in movimento sulla strada per Callafo veniva richiamata, ma, ridotta anch'essa, per la diserzione di tutti gli ascari, ai soli quadri, al personale nazionale ed alle armi automatiche (del LXXVI e CXCVII battaglione), non poteva per ragioni di sicurezza tornare indietro e proseguiva su Callafo e, poi, per Daga Medò in territorio dell'Harar.
8. L'OCCUPAZIONE BRITANNICA DI MOGADISCIO ED IL RIPIEGAMENTO DELLE UNITÀ SUPERSTITI SU GIGGICA ED HARAR (I)
L'idea di eventualmente impegnare una battaglia nei pressi di Mogadiscio era già stata scartata. Le forze superstiti disponibili in posto si riducevano infatti alle poche impiegate fra Modun e Vittorio d'Africa ed ai reparti, di dubbia efficienza, già destinati a sbarrare i ponti dell'Uebi Scebeli ad Afgoi e Balad; in tutto il rimanente territorio dello scacchiere, rimaneva ancora solo qualche piccolo presidio interno, formato in prevalenza da inabili e da reclute o da nuclei di carabinieri ed il IV battaglione costiero diluito lungo parecchie centinaia di chilometri (780 fra El Sole e El Arar). A Vittorio d' Africa non si poteva quindi avere la presunzione di fermare il nemico a lungo ma appena il tempo necessario per far defluire da Mogadiscio tutto quello che poteva essere ancora utilizzato. Assolto questo compito le truppe superstiti dovevano ripiegare verso nord, lungo l'unica direttrice che avrebbe lasciato loro una ulteriore possibilità di azione, fino a raggiungere una linea che più e meglio si sarebbe prestata ad ostacolare l'avanzata dei mezzi meccanizzati nemici e sulla quale sarebbe stato possibile raccogliere tutte le forze in ripiegamento dalla Somalia, ed, eventualmente, quelle inviate in rinforzo dall' Harar. Indipendentemente, però, da ogni decisione circa la resistenza da opporre nella zona di Mogadiscio alle truppe provenienti dal Basso (1) Per la toponomastica, schizzo n. 36.
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LE OPERAZIO N I IN AFRICA ORIENTALE
Giuba, l'impossibilità di un intervento tempestivo della 101 a divisione era già scontata, data la lunghezza degli itinerari che le truppe avrebbero dovuto necessariamente percorrere a piedi, essendo gli automezzi disponibili appena bastevoli al trasporto delle artiglierie e dei materiali pesanti. In relazione a ciò erano state impartite le disposizioni già descritte circa il ripiegamento di quella divisione verso il Galla e Sidama. Per quanto si riferiva alle forze nel settore di Mogadiscio, avveniva che il 23 febbraio il distaccamento di Modun, attaccato da formazioni meccanizzate nemiche, dopo aver reagito, ripiegava su Vittorio d'Africa per sottrarsi all'accerchiamento imminente. A sera, il nemico raggiungeva tale località; arrestato dal fuoco dell'artiglieria e delle armi automatiche davanti al canale, riusciva, con largo giro, a portarsi sul rovescio delle nostre posizioni cogliendo alle spalle e di sorpresa i difensori che nella lotta ingaggiata in così critiche condizioni venivano messi in gran parte fuori combattimento; i superstiti ripiegavano per Audegle su Afgoi. Il comandante dello scacchiere, mentre disponeva che una commissione, composta dal podestà, dal commissario e dal direttore di governo più anziano fra i rimasti in sede, si facesse trovare con bandiera bianca, alle ore 7 del giorno seguente, sulla strada per Vittorio d'Africa, al 240° chilometro da Mogadiscio, per trattare la consegna della città alle autorità britanniche, ordinava che le truppe rimaste ripiegassero su Balad e quindi su BeIet Uen. Il giorno 26, i Britannici occupavano Mogadiscio senza incidenti. La loro celerità ed autonomia aveva reso impossibile ai pochi elementi, sfuggiti il giorno 22 fra Madoca ed Etille alla sorte dei più, di trovare scampo arretrando. Gli uni dopo gli altri, costretti dalla sete e dalla fame ad avvicinarsi ai centri abitati avevano finito, dopo stenti e privazioni, col cadere nelle mani del nemico. Tutto quel che si era potuto salvare venne fatto procedere a sbalzi protetto da retroguardie su Gabredarre, Dagabur e Giggica. Oltre Gabredarre qualche fucilata dalla boscaglia disturbò il movimento: trattavasi però solo di gruppi di predoni che poche scariche di mitragliatrice tennero distanti. Il 28 febbraio, la maggior parte dei superstiti (in numero imprecisato) aveva già oltrepassato Dagabur. L'aviazione nemica era stata imprevedutamente assente. Dal 1° al 4 marzo,
L'ATfACCO CONTRO LA SOMALIA
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gli elementi rimasti indietro potevano essere recuperati ed avviati a loro volta a Giggica ed Harar. Il presidio di Dagabur venuto a contatto con punte meccanizzate nemiche ripiegava svolgendo efficace azione ritardatrice. Il giorno 9, il comandante dello scacchiere Giuba, convocato in Harar dal Comandante Superiore delle FF.AA. giuntovi in volo da Addis Abeba, visitava le posizioni occupate dal.le truppe dello scacchiere est fra Harar e Giggica. L'indomani, assumeva il comando di detto scacchiere e la reggenza del governo dell'Harar.