ALCUNI PRINCIPI DI STRATEGIA MARITTIMA

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UFFI C IO STORICO DELLA M A RI NA MILITARE

JULIA N

ALCUNI

S. C ORB E TT

PRINCIPI DI

STRATEGIA MARITTIMA

ROMA 1995


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INDICE

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Presentazione Introduzione all'edizione italiana

INTRODUZIONE

Lo studio teorico della Guerra - La sua utilizzazione e le sue limitazioni

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PARTE l: TEORIA DELLA GUERRA

r La teoria della guerra

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CAPITOLO

n Natura delle guerre - Offensive e difensive

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CAPITOLO

m Natura delle guerre - Limitate e illimitate

43

CAPlTOLO

iv Guerre limitate e imperi marinimi - Sviluppi della teoria di Clausewitz e ]omini su un obiettivo territoriale limitato e sua applicazione alle moderne condizioni imperiali

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v Guerre d 'intervento - Interferenza limitata in guerre illimitate

59

CAPITOLO

CAPITOLO

CAPITOLO VI

Condizioni di forza nelle guerre limitate - V-

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PARTE Il: TEORIA DELLA GUERRA NAVALE CAPITOLO

Teoria dell'obiettivo - Dominio del mare

CAPITOLO II

Teoria dei mezzi - La composizione delle flotte

CAPITOLO

85 101

m Teoria del metodo - Concentrazione e dispersione delle forze

119

PARTE III: CONDOTTA DELLA GUERRA NAVALE CAPITOLO

Introduzione 1 - Differenze intrinseche nelle condizioni della guerra terrestre e di quella marittima 2 - Forme tipiche di operazioni navali

CAPITOLO H

Metodi per assicurarsi il Dominio del Mare 1 - Come ottenere una decisione 2 - Il blocco

CAPITOLO lll

151 163

Metodi per disputare il Dominio del Mare 1 - Operazioni difensive navali - "Fleet in being" 2 - Contrattacchi minori

CAPITOLO IV

141 146

185 198

Metodi per esercitare il Dominio del Mare 1 - Difesa contro l'invasione

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2 - Attacco e difesa del traffico marittimo

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3 - Attacco, difesa e sostegno delle sped izioni militari '

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Indice delle illustrazioni

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Indice dei nomi

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Indice dei toponimi

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Indice analiti co

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PRESENTAZIONE È con vero piacere che l'Ufficio Storico presenta la traduzione italiana di Alcuni Principi di Strategia Marittima di Sir Julian S. Corbett. È questo l'ultimo lavoro svolto dal Traduttore, l'ammiraglio Antonio Flamigni, un ufficiale ben noto per le sue belle doti, che ha saputo conjugare con passione !'" impegno operativo" e la "tensione intellettuale", I"'azione" e il "pensiero". A Lu i va la riconoscenza dell'Ufficio Storico e di quanti ne hanno conosciuto ed apprezzato l'opera.

La revisione del volume è stata curata, con particolare sensibilità , dall'a mmiraglio Renato Sicurezza, che ha ritenuta utile riportare alcu ne osservazioni del Traduttore, e d inserire qualche chiarimento su parti€olari terminologie. Il volume va a collocarsi accanto al precedente lavoro della stessa serie, L 'influenza del Potere Marittimo nella Storia (1660 -1783), del Mahan, parimenti tradotto dall 'ammiraglio Flamigni. La serie comincia quindi ad avere una sua consistenza, ed ancor più è destinata ad aumentare prossimamente, consentendo q uindi a pieno titolo all 'Ufficio Storico d i qualificarsi anche nel campo della formazione degli ufficiali e della dottrina. Il libro si presta particolarmente a questo scopo in quanto il volume raccoglie le conferenze del Corbett al Naval War College britannico. Va da sé che il libro è figlio del suo tempo, e deve quindi essere letto tenendo bene a mente il periodo in cui fu scritto (fu pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1911), un periodo denso di cambiamenti, di grandi progressi nella tecnica delle costruzioni navali e di notevoli innovazioni nelle tattiche. - 1 -


Di lì a poco scoppiava la prima g uerra mond iale. Successivamente, al Corbeu furono mosse critiche. Nei suoi scritti aveva mancato di "prevedere" il grande sviluppo dell'offesa portata dai somme rgibili e, aggravante, non aveva dato sufficiente considerazione alla tattica dei convogli. C'è del giusto in queste critkhe; a sua scusante c'è da dire che neanche il Navy Hstablisbment aveva visto giusto. Ma al di là di queste defaillances, i principi strategici rimangono sempre validi, nell 'era della vela come in quella nucleare. Ed è questo che il lettore deve saper cogl iere, assieme a quello spirito di amore per la professione e per il mare che pervade ruuo il volume. Una buona conoscenza della storia della Marina britannica aiuterà nella leuura. Torna anche utile un riferimento all'opera del Mahan.

Roma, ottobre J995 IL CAPO DELl.' UFFlClO STORICO Amm. Div. Mario BURACCHIA

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INTRODUZIONI



INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA Fino agli inizi di questo secolo, quello degli studi strategici è stato un campo riservato quasi esclusivamente a ufficiali effettivi. Militari di professione che pubblicavano le proprie idee e le proprie concezioni sull'argomento solo dopo svariati anni di servizio attivo, quando non al termine della carriera. In questo panorama , rimasto invariaro per secoli, sono invece rari gli studi di strategia compiuti da "civili "; e ancora più rare le opere che abbian o mantenuto qualche valore non p uramente storiografico. Fra queste ultime spicca per interesse e per la grande attualità l'opera del Corbett. Nato nel 1854, Sir Julian Stafford Corbett apparteneva a una famiglia abbastanza faco ltosa da consentirgli, nonostante avesse sei fratelH, di vivere agiatamente di rendita. La sua fu la classica educazione britannica del tempo: frequentò il Trinity College, a Cambridge, dove conseguì la laurea in Giurisprudenza. Ma non esercitò mai la professione di avvocato. Viaggiò invece moltissimo in tutti i continenti. Però il suo Paese p referito era l'Italia, che visitava quasi ogni anno. Fu solo nel 1889, a ben 35 anni, che Corbett iniziò a dedicarsi agli studi s torici e in particolare a quelli 1·iguardanti le operazioni navali. Un'attività nella quale ebbe immediato successo e che gli consentì quattro anni dopo (nel 1893) di entrare a far parte della famosa Navy Records Society, i cui meriti nella divu lgazione dei documenti storico-navali britannici sono indiscussi. Il primo lavoro jmportante cli Corbett in questo settore fu Drake and the Tudor, Navy:0 ) due volumi nei quali l'autore dimostrò una capacità d i ricerca documentaria e di sintesi storica sorprendenti per un dilettante . Tanto notevoli che i suoi lavori suscitaron o l'immediato

(1) Longmans, Green & Co, London, 1899.

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e vivo inte ressamento della RoyaJ Navy, che in quel periodo era alle prese con una pericolosa "disaffezione" per gli studi strategici dei propri ufficiali, abbacinati, per così dire, dai rivoluzionari progressi tecnologici dell'epoca (propulsione a vapore, corazze d'acciaio, cannoni in torretta sempre più potenti e precisi grazie alla rigatura e alle polveri infumi, mine, siluri e radio). Ad interessarsi particolarmente della sua opera fu l'ammiraglio Fischer, che contattò Corbett, facendo in modo che divenisse, sepp ur ufficiosamente, un importame consigliere storico per l'Ammiragliato.

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Fu così che nel 1900, quando a Cambridge venne inaugurato i1

ava! War College, Corbett fu chiamato a tenervi un regolare corso come conferenziere. Ed è dalla raccolta di quelle brillanti lezioni che, nel 1911, nacque il libro qui tradotto: l'unica opera di Corbett dedicata esclusivamente alla strategia. L'ATfUALITÀ DELL'OPERA DI CORBETI

A ottant'anni cli distanza ci sono almeno tre validi motivi per continuare a leggere ecl a studiare quest'opera, nonostante i continui progressi tecnologici abbiano relativamente rivoluzionato quella che un tempo si a mava chiamare, e a ragione, Arte della guerra sul mare.

Il prinw motivo è che i1 libro <li Corbett è indispensabile per inquadrare e comprendere correttamente l'uso delle Marine (ed in particolare di que lla italiana) in entrambe le guerre mondiali cli questo seco lo . li secondo motivo è che, mutatis mutandis, gran parte dei concetti elaborati eia Corbett, se correttamente applicati alla attuale situazione sia di prog resso tecnolog ico sia di politica internazionale, mantengono ancora intatto il loro valore. Il terzo motivo, infine - e forse qui risiede il suo maggior pregio è che la concezione della strategia navale di Corbett può fornire, o l-

tre a spunti interessa nti, un oLLimo "canovaccio" per la riscrinura aggiornata dell'impiego de lle forze navali, richiesta con urgenza da questo momento storico caratterizzato da gravi incertezze nelle relazioni internazional i. Per quanto riguarda la corretta comprensione del comportamento che le marine militari , e in particolare la Regia Marina , hanno tenuto - 6-


nel corso dei due conflitti mondiali, avviene troppo spesso di leggere racconti e resoconti "critici" degli eventi navali, dai quali si deduce la t0tale mancanza da parte degli autori della comprensione delle basi fondamentali dell'Arte bellica marittima. Sarebbe bene, invece, che chi si dedica ad esprimere giudizi su operazioni navali, sulla Mari na Militare, o sulle diverse strategie marittime, si armasse di umiltà intellettuale, studiando prima accuratamente quanro Corberr scrisse ottanta anni fa. Se ciò fosse stato fatto prima , almeno p er quanto riguai-cla l'Italia, ci sarebbero stari risparmiati giL1dizi "apodittici e definitivi" da parte di persone che poco o nulla hanno capito della guerra navale, pur pretendendo cli scriverne. Il secondo motivo per rileggere con attenzione l'opera cli Corbett è di carattere, per così dire, soprattutto metodologico. L'incero capi-

tolo introduttivo è dedicato alla definizione della strategia come teor ia empirica, alla sua importanza per il raggiungimen to degli obiettivi bellici e , soprattutto, alla precisa ed insisten te delimitazione delle sue applicazioni n ella pratica belLica. Tale parte riveste impo1tanza per due ordini di motivi: il primo è storico e riguarda la propensione della classe dirigente britannica alla pratica rispetto alla teoria, alla quale invece si rivolge l'autore. Un pragmatismo (che trova corrispettivo anche nella filosofia) che impregna nell'identico modo sia la concezione e l'applicazione del diritto (basti pensare alla Common Law) che, a maggior ragione, l'esercizio della g uerra. I principi strategici che Corbett individua nella storia navale non restano mai astratti, ma vengono sempre esemplarmente applicati in concreto alla situazione marittima dell'allora Impero Britann ico. Il secondo, di sorp rendente attualità e acutezza, è il modo con cui Corbett mette in luce l'apparente contradditrorietà tra i due elementi necessari al raggiungimento d i ogni obiettivo militare: pianificazione a tavolino e improvvisazione sul campo da parte del comandante. Una contraddizione che Corbett supera con semplicità ed eleganza svelando quello che deve essere l'unico scopo possibile di un accurato studio delle teorie strntegiche: e cioè aiutare i comandanti a delineare immediatamente gli obiettivi raggiungibili e paganti e formare menti in grado di valutare in un batter d 'occhio la situazione, sempre diversa, e capaci d i reagire a questa ed agli imprevisti, con rapidità e successo. La teoria strategica, secondo Corbett, non deve in nessun caso "dire al comandante" cosa deve fa re. -7 -


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Anzi. Per Corbett la teoria strategica è ben lu ngi dal costituire una "legge" da seguire pedissequamente (atteggiamento che porta a risultati disastrosi) . T suoi scopi sono anzitutto quelli di eliminare prelimina rmente ogni considerazione inutile per trasformare i vaniloqui in vere discussioni e di fornire una sorta di paradigma teorico definito «normale• che, fungendo da termine d i paragone, permetta la rapida ed efficace valutazione di ogni singola, e sempre diversa, situazione reale. "Avere determinato la normalità" - sottolinea l'autore - "ci pone immediatamente in una posizione di.forza"'. Ma allo stesso tempo Corbett mette in guardia contro l'estrema astrattezza di queste norme teoriche e sottolinea l"importanza che rivestono l'esperienza e le capacità in te llettuali e reattive dei comandanti; capacità pratiche d i ragionamento veloce e preciso che, secondo Corbett, devono essere sv iluppate e diffuse il p iù possibile proprio altravcrso un accurato e giustamente inquadrato studio della Strategia. Per quanto riguarda invece la definiz ione di Strategia, se s i tiene conto che nello stesso anno fu pubblicata l'opera cli A. T. Mahan sulla Strategia navale,<2) che rappresenta un tentativo di estendere e applicare sul mare le teorie di Jomini, si comprenderà facilmente quanto originale fosse all'epoca la lettura che Corbett fece di Clausewitz, da lui stesso definito il "massimo autore". Diversamente da quanto è accaduto nella scuo la prussiana, Corbett ha afferra to con immediatezza l'intima e fondamentale differenza fra "Guerra Assoluta" e "Guerra Reale". Una differenza che Clausewicz prende in considerazione confusamente solo nel primo libro e, con una chiarezza di poco maggiore, nell 'ottavo. Sempre per quanto riguarda l'attualità dell 'opera basta esaminare le considerazioni di Corbett sull 'Offensiva e la Difensiva e s ulle Guen·e limitate, che potrebbero e ssere state scritte ai giorni nostri. Un esempio per tutti: nel VJ capitolo l'autore cita la guerra russo-giapponese (1905) come" il caso che presenta (le condizioni della guerra limitata) ... nella.fonna più chiara e semplice ... Abbianio qui un esempio particolarmente so,prendente di una piccola potenza che ha imposto il suo volere a una potenza superiore 'senza abbatter/a.', cioè senza aver distrutto il suo potere di resistenza". Sembra d i leggere l'epitaffio degli Stati Uniti dopo la guerra del Vietnam.

(2) A. T. Mahan, Naval StrateR.Y, Sampson Low, london, 191 I.

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Per quanto riguarda infine il terzo, e forse più importante, motivo per rileggere il Corbett - cioè come spunto per una ridefinizione della strategia marittima - è innegabile che in questo momento sto-

rico non solo stiamo assistendo a continue innovazioni tecnologiche che nulla hanno da invidiare, quantitativamente e qualitaUvamente, a quelle di inizio secolo, ma l' improvviso crollo del "blocco orientale" ci ha messo di fronte alla necessità di rivedere completamente strategie e tattiche marittime, con conseguenze importanti per lo sviluppo dello strumento navale. In questo contesto d i grande incertezza nelle relazioni internazionali, l'opera di Corbett può fornire il canovaccio, la guida per una riscrittura aggiornata della teoria dell 'impiego del lo strumento navale . Naturalmente la seconda e la terza parte dell'opera (teoria della guerra navale e condotta della guerra navale) risentono dell'epoca in cui furono scritte. Corbett non poteva prevedere né l'uso dei sommergibili pet la guerra di corsa, né tantomeno il peso che avrebbe assunto l'aereo. Tuttavia le sue riflessioni sui principi generali e gli obiettivi possibili della guerra marittima rimangono ancora oggi una valida guida per l'elaborazione di una strategia che consenta un efficace sfruttamento delle innovazioni tecnologiche e delle potenzialità di una nazione. I principi generali della guerra marittima, secondo Corbett, non mutano con il mutare dei tempi. Le innovazioni tecnologiche, allora come oggi, potranno modificare la forma che questi principi assumeranno nella pratica, potrà variare il loro grado di importanza e di peso reciproco e relativo. Ma, come dimostrano gli esempi di Corbetr, anche con l'avvento delle nuove tecnologie tali principi restano a grand i linee validi, basta saperli individuare e valutare correttamente, al di là della nuova forma imposta loro dal progresso. Anzi . l'avvento del sommergibile ha riportato in auge problematiche d i difesa del traffico commerciale che Corbett riteneva risolte con la Dichiarazione di Parigi che aboliva la guerra di corsa privata; e la pressione psicologica esercitata sul traffico marittimo dai gommoni dei pasdaran iranian i armati di lanciarazzi non ha nulla da invidiare a quella esercitata un tempo dai corsari e, ai tempi di Corbett, dalla comparsa delle torpediniere. La grande flessibilità delle forze navali, con l'aereo divenuta parte integrante della loro panoplia, la possibilità µi muoverle se nza

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restrizioni su sette decimi del globo terrestre e di colpire la quasi tota lità dei restanti tre decimi, la rapidità di intervento nelle tre dimensioni fisiche e in tutte quelle e lettroniche, rendono la forza navale uno srn.1mento ancora più valido ed e ffica ce d i quanto non fosse ai tempi di Corbett. Purché se ne riconoscano i limiti e si sappia sfruttarne le enormi potenzialità per il consegu imento degli obiettivi fissali dalla strategia marittima. STRATEGIA MARITIIMA COME STRATEGIA INTERFORZE

Una efficace riscrittura delle teorie di impiego dello strumento navale non può però prescindere, secondo la stessa lezion e corbettiana, dalla concezione della strategia marittima come di una Strategia Interforze. La comprensione di questo co rrcetto, e laborato dall'autore grazie a un'acuta analisi delle strategie navali applicate con successo per secoli dalla Gran Bretagna, è di fondamentale importanza per l'elaborazione di una qualsiasi teoria sull'uso dello strumento navale. L'esempio più evidente dell 'efficacia cli una Stra tegia Interforze è costituito dall'occupazione del Canada durante la guerra dei Sette

Anni. Fu la Flotta a trasportare l'Esercito, appoggiandolo anche lungo i fiumi, ma fu l'Esercito a occupare il territorio canadese. La Flotta d a sola non avrebbe potuto tanto. Un ottimo esemp io contrario (andie se di qualche anno posteriore all'opera di Corbect) è stato fornito da Chu rchill. Quando all'ini7.io de ll 'ope razione di Gallipoli, nel 1915, il quarantunenne Primo Lord dell'Ammiragliato ordinò alla Flotta di "... prendere la penisola di Gallipoli con Costan.tinopoli corne obiettivo finale" commise proprio l'errore di non capire che avrebbe dovuto tratta rsi di un'operazione inte rforze e non prename nte navale. Come avrebbero potuto le navi occupare la penisola di Gallipoli e una città cli un milione di abitanti? Ma non bisogna commettere l'errore di limitare il concetto di Strategia Interforze, elaborato da Corbett, al mero coordinamento tra Esercito e Marina (ai quali oggi bisogna aggiungere l'Aviazione) nel la contingen:.ca di un conflitto. Corbett spiega chiaramente già nell'introduzione come la stessa strategia navale militare non possa essere isolata, ma de bba, anzi possa essere e laborata esclus ivamente in fun zione di quella che deve essere una chiara e ben definita strategia marittima complessiva di una nazione. - 10 -


Il rapporto di compl eta su bordinazione della s traregia nava le a quella marittima è tuttavia solo appa rente. TI compito, infatti , di decidere la strategia marittima di una nazione spetta a lla classe politica che governa il paese. Ed è soprattutto a questo punto del processo decisiona le che, seco ndo Corbe LL, il concetto di cooperazion e interforze (Potere poJitico, Marina ed Esercito) diventa determinante per il raggiungimento degli obiettiv i a breve, medio e lungo termine che una potenza marittima s i pone. Pe r l'elaborazio ne di una strategia marittima, infatti , la classe politica no n p uò prescinde re dalla "cons ultazione" sia della Forza Navale che di quella Terrestre. Solo gli esperti della Forzl:I ava le possono indicare a lla forza politica quali possono essere i limiti oggettivi alle aspi razioni marittime di un Paese , in bas~ alle potenzialità economiche della Nazione e alle capacità della sua Forza Terrestre, o ltre che d i quella avale. E solo dopo che la Forza politica avrà e laborato la s trategia maritt ima della Nazione che dirige, de finend o la in obiettivi precis i, la Marina, l'Esercito e, ora, l'Aviazione potranno e laborare insieme la strategia ed individuare g li strumenti più adatti per raggiungere cali obiettivi. "!,a strategia navale non è una cosa isolata " s piega l'Autore nell 'introduzi o ne, " ... è solo una parte detta strategia marittinia.

Strategia mariltima che ci insegna che uno stato mari/limo, per con durre con successo una guerra e per realizzare le particolarità della sua f orza, deve concepire e usare !et rnarina e t'esercito come strumenti tra di loro in limaniente legati, così come lo sono le tre anni di terra". Tale subordinazione delJe strategie navali rispetto alle strategie marittime complessive di una Nazione riemerge chiaramente ne lla terza parte de ll'opera (ca p. TT-2, Il blocco): nell 'esami nare il comportam e nto d i Howe in relazio ne alla spedizione deila floua francese contro l'Irlanda nel 1796, l'autore sorrolinea come, in quel momemo, la p olitica della Gran Bretagna fos se completamente rivo lta a lla press ione offens iva sul commercio e s ul territorio nem ico, tralasciando la d ifensiva. Tale " ... politica può essere stata errata, ma non è questo il problema'' afferma Corberr, " il problema era se la strategia andava bene p er quella politica o meno" . Non solo. Affinché la Ma rina possa elaborare la s trategia nava le p iù oppor tuna pe r raggiungere gli obiettiv i della strategia m a rittima , secondo Corbett è fondamentale che la forza politica comunichi tempestivamente e in modo chiaro ed univoco tali obiettiv i all a forza navale. È sufficiente p e nsa re al costo e agli anni necessari all 'imposta zione di una nave da guerra (che potrà poi -

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rispondere solo a determinale esigenze tattiche e strategiche e non ad altre) per comprendere l'urgenza che Corbetl a ttribuisce alla corretta comunicazione degli obiettivi marittimi cl i una nazione alla Forza Nava le. Questo concetto corbcttiano di strategia interforze è di un'attualità sconcertante, anche perché l'odierna situazione internazionale (novembre 1994) sembra avviarsi a ricalcare quella di cento anni fa: una superpotenza (allora la Gran Bretagna, ora gli USA) dotata di una Marina senza rivali , ch e ce rca di "controllare e fl emmatizzare" i con flitti locali ovunque questi avvengano. Anche ora, come ai tempi di Corbett, la Superpotenza chiede l'appoggio degli alleati per evitare la facile accusa di imperialismo latente e assoluto (attua lmente il consenso delle Nazioni Unite rappresenta una condicio sine qua non per ogni azione militare). Le operazioni che vengono così condotte sono identiche a quell e operazioni o ltremare d escrilte da Corbett e che, secondo l'Autore, richiedono una strategia marittima inte rforze. Anche le potenze di secondo rango interessare a questo tipo di operazioni, come l'Italia (vedasi Gu erra del Golfo. intervento in Somalia etc.) dovranno impostare e adottare una s trategia marittima inte rforze ispirata al concetto corbettiano, se vorranno operare in modo adeguato alle mutevo li esige nze - per tipo di impiego. quantità e qualità di forze, distanza d ella zona d'azione, presenza o meno di basi locali ccc. . che questo tipo di interventi comportano.

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La speranza cli chi scrive è che questa traduzione possa stimolare q ualche giovane ufficiale allo studio e a lla riscrittura aggiornata di qu esti "Principi ".

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Trieste, novembre 1994

I CONTRAMMIRAGLIO (r) Anton io FLAMIG!Vl

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INTRODUZIONE· LO ST UDIO TEORICO DELLA GUERRA LA SUA UTILIZZAZIONE E LE SUE LIM1TAZTONI

ffrontare lo studio de lla gue rra con una teoria sembra, a prima vista, la cosa meno pratica e me no pro mettente sotto il profilo dei risultati utili. Sembra invero ci sia q ua lcosa di contraddittorio fra l'abito della mente<1) che ricerca una guida teorica e quello che consente cl.i condurre con successo una guerra. L~ condotta cl.ella guerra è talmente una questione di personalità, di carattere, di senso comune, di decisioni rapide basate su fattori compless i e sfuggenti e questi fattori stessi sono così va ri , intangibili, dipendenti da condizioni fisiche e morali incostanti, che sembra impossibile ricondurre il tutto a qualcosa che asso migli ad una vera analisi scie ntifica. AJla semplice idea di una teoria o "scienza" deJla g uerra la mente ricorda con inquietudine i ben noti casi ne i q uali uffi ciali assai "scientifici" hanno fallito come condottie ri. D'altro canto, nessuno negherà che dal momento in cui i grandi teorici de l diciannovesimo secolo tentaro no di produrre una teoria logica della gueITa, la pianificazione e la condotta della stessa abbiano acquisito un metodo, una precisione e una sicurezza di intuizione sconosciuti in precede nza. An cor meno si negherà il valore che i condottieri più sagaci e di maggio r successo hanno dato alle opere di strategia degli scrittori classici.

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La verità è che la sfiducia ne lla teoria nasce da un'errata interpretazione di ciò che la teoria stessa pretende di offrire. Non pretende affatto di dona re la capacità di agire s ul campo, ma solo di accrescere (1) TI termine habil of mind era molto usato ne lla filosofia pragmatista, allora all 'api-

ce, per indicare la Jonna me111is globale di un individuo, composta dalle sue esperienze, conoscenze, credenze, imeressi e, soprarrutto. il suo modo peculiare di affrontare i problemi. Secondo il fonda tore del Pragmatismo Charles S. Pcirce (Collected Papers 5.397) l'a bito è " ... /o stabili,:si 11ella noslra nciwra di una regolci di azione" (NdT).

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tale capacità effettiva. Il s uo p rin cipale valore p ratico è che può assislere un uomo abile nell 'acquisizione cl i una visione ampia, grazie alla quale egli sarà più certo che il suo piano coprirà runo lo s pettro dei casi e grazie alla quale potrà afferrare con maggiore rapidità e certezza tutti i fattori di un improvviso cambio di situazione. Il più grande fra i teorici dichiara francamente che lo stud io teorico "deve educare la mente dell'11omo che deve comandare in guerra o, piuttosto, deve guidarlo ad autoed11carsi, ma non deve accompagnarlo sul campo di baltaglia ".(2)

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Tuttavia, la sua utilità pratica non è affatto limjta1a agli e ffelti che può produrre s ulle capacità de i comandanti. Non è sufficiente che un capo possieda l'abilità cl i decidere correttamente: i suoi subord inati devono afferrare immedfatamente il vero significato della sua decisione e devono essere capaci di trasformarla con certezza in un 'azione ben precisa. Per questo motivo ogni uomo inleressato all'incero processo deve essere stato addestralo a pensare nello stesso modo; l'ordine de l capo deve svegliare in ogni mente lo stesso processo di pensiero; le sue parole devono avere lo stesso significato per tutti. Se ne l J 780 fosse esistita una leoria tattica e se il comandante Carkett ne fosse stato opportunamente istru ito, egli non av rebbe in alcun modo frainteso il segnale di Roclney. Così com'era, il vero significalo ciel segnale era oscuro e la dimenticanza di Rodney di spiegare l'es pediente tattico che il segnale sotl inle ndeva , privò il suo Paese di una vittoria nel mome nto i11 cui gli era più necessaria. Non c'era stato alcun precedente addestramento tattico per ovviare a tale omissione e l'eccellente concetto tattico cli Rodney rimase incomprensibile a tutti, salvo che a lu i stesso.c3>

( 2) ClausewiLz. Del/et Guerra, Libro II cap. 2, 27 (NdT).

(3) L'er,isod io è accaduLo nella baccaglia della D ominica (17 aprile 1780) Lra Rodney e de Guichen, descritta da Alfred T. MAHAN nel capitolo X de L'influenza del Potere Mari/limo sulla Storia fvedi traduzione di A. FLAJvllGJ\I, pubblicata nel 1994 dall'Ufficio SLorico della Marina M ilitare (U.S.M.M.), pagg. 395, 3961. Rodney scrisse una severa lettera di rimprovero :il capita no di vascello Cark ett, coma ndante della nave di testa della linea inglese:· la vostra guida. nel m odo in e tti la eseguiste, ind11sse altri a seguire un cosf cctttivo esempio e dimenticando cbe il segnale per la linea era di 1111a distcmza di solo due gomene (400 yards, cioè un q uinto cli migl io) ji"a le navi, la divisione in avanguardia fu da lei g11 idata a pitì di due legbe di distanz a (6 miglia na ut iche) dalla divisione di centro la quale fu , di conseguenza, esposta al maggior impeto d el nemico e non propriamen te sostenuta" ( Life of Nodney, voi. I. p. 351) (NdR).

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Kart von Clausewitz (1780-1831).


A(fred ThayerMahan (1840 -1914).


Non è solo perché vi sia corrispondenza fra il modo di pensare del capo e dei suo i subordinati che la teoria è indispensabile. Essa ha un va lore ancora più elevato nel produrre un'ana loga concordanza di pensie ro fra il capo e i suoi superiori al tavolo deJ Consigl io cli Guerra in patria. Quante volte è accaduto che atri ufficiali abbiano supiname nte accetta to cli condurre op eraz ioni mal concepiLe sem plicemente per la mancanza di una preparazione oratoria e menta le idonea a dimostrare ad un Ministro impaziente gli errori insiti nel suo piano? Inoltre, quante volte uomini d i stato e militari, anche nel le riunioni più armoniose. non sono sta ti in g rado d i decidere un coerente piano di guerra a causa dell'incapacità di a nalizzare scientificam e nte la situazione che dovevano fr onteggiare e di riconoscere il carattere particolare dello scontro che stavano per in trapren dere? Ci si può aspettare che raramente la vera natura della guerra possa esse re compresa dai conte mporan e i così c hiararnenle come lo è in seguito, a lla luce della sroria. A "distan za ravvicinata", i fat to ri accidenta li assumeranno un'indebita preminenza e tenderanno ad oscurare il reale orizzonte. Sarà difficile eliminare completa mente simili errori, ma con lo studio teorico possiamo ridurli. Non vi sono altri mezzi per avvicinarsi a quella chiara visione con la quale i poste ri giudicheranno i nostri e rrori . In effetti la Leoria è una qu estione d i educazione e d i d eliberazione, niente affatto di esecuzione. Quest'ultima dipende da quella combinazione di intangibili qualità umane che ch iamiamo abilità esecutiva. Qu esto è quanto i più gra ndi studiosi ha nno p reteso dalla teoria, ma, per lo meno il maggiore tra loro , dopo an ni di servizio aLtivo nello Stato Maggiore , ha assegnato a qu esta pretesa la massima importanza. "! pitì" scrisse in uno dei suoi ultimi memoranda "agiscono ... sotto l 'impulso del proprio criterio: cosa che riesce più o meno bene, a seconda della loro maggiore o minore genialità. È così che hanno agito i più grandi generali ... Sarà sempre cosi. ogni qualvolta si tratterà d 'agire: e l'intuito è pienamente sufficiente allo scop o. Peraltro, quando non si debba agire p er proprio conto, ma, chiamati a far parte di un consiglio. si presenti il compito di far en trare negli altri il con vincimento proprio, allora occorre possedere noz ioni ch iare e dimostrare l'intima concatenazione delle cose. Poiché la cultura è molto arretrata in quest.o campo, la maggior parte delle conferenze si riduce a vane contese verbali senza fondamento. - 15 -


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o shocca per reciproca deferenza in un comproniesso fra opposte opinioni, compromesso che in realtà è privo di valore•·. C4 )

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L'esperienza dell'autore in questo genere di discussioni è stata ricca e di prima mano. Ai suoi occhi , il rimedio per evitare discussioni approssimative e senza scopo era quello di avere concetti chiari delle idee e dei fattori coinvolti in u n problema bellico e di esporre in modo preciso le relazioni che intercorrono fra gli stessi . Tali concezioni ed esposizioni sono lutto ciò che inLendiamo per teoria o scienza d ella gue rra. È un processo atlraverso il quale coord iniamo le nostre idee, definiamo il significato delle parole che usiamo, afferriamo la differenza fra i fattori essenziali e q uelli che non lo sono, fissiamo ed esponiamo i dati fondamenlali sui quali tuni concordano. In ca1 modo prepariamo l'apparato per una discussione pratica, ci assicuriamo i mezzi per ordinare i fattori in una forma maneggevole e per dedurre d agli stessi, con precisione e rapidità, una linea d'azione pratica. Senza un tale apparato nemmeno due soli uomini possono pensare allo stesso modo; ancor me no possono s pera re di distinguere i veri punti di divergenza e di isolarli in modo da giungere a una soluzio ne serena.

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el nostro caso, questa visione ciel valore della teoria strategica assume un significato particolare molto più ampio d i quello contemplato dagli sLudiosi continentali. Per un Impero marittimo mondiale il s uccesso nella condotta della g uerra dipenderà non solo dalle decisioni dei Consigli di guerra in patria, ma anche dai risultati delle consultazioni in tutte le parti ciel mondo, fra i comandanti delle sq uad re nava li e le autorità loca li , sia civili che militari, e perfino di quelle fra i comandan ti in capo di aree adiacenti. In tempo di guerra o di preparazione per una guerra che interessa l'Impero, i p iani dovranno essere sempre basati in sommo grado sulle relazioni reciproche fra consiclerazion1 cli carattere navale, terrestre e politico. La linea della giusta efficienza, sebbene indi cat~1 d alla patria, dovrà sempre essere trovata localmente e ri cavata da fattori dei quali nessun servizio,

(4) Clausewi1.z, Della G1terra. La citazione riporta la traduzione del Col. Graham dalla 1erza edizione germanica, ma le paroJe non sono sempre corrispondenti. Questa è la nota del Corbett. In effetti vi sono diversità fra la frase citata dal Corbeu, la traduzione inglese cli 1-Ioward e Parer e quella italiana. Si è preferito riportare integralmente la traduzione italiana. La citazione si ri ferisce alla nota incompiuta d i pag. 12 dell'edizione Mondaclori 1970 ( NcJT).

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militare o civil e, è comp letamente padrone. Le riunio ni sono sempre necessarie e affinché il confronto abbia successo ci devono essere un comune strumento d"espressione ed un comune schema di pensiero. Solo lo studio teo ri co pu ò fo rnire questa preparaz ione essenziale; in essa risiede il s uo valore pratico per tutti colo ro che aspirano all e più alte responsabilità del servizio Im periale. Da questo punto di vista, il va lo re dello studio strategico astratto è così grande che dobbiamo g ua rdarci da una s ua so p ravvalutazio ne. Ben lungi dal pretendere, per la loro cosiddetta scienza, più delle possibilità che abbiamo indicato, gli strateghi classici insistono continuamente s ul perico lo cli chiedere ad essa ciò che non può e.lare. Essi ripudiano perfino lo stesso no me cli ''Scien za". Preferiscono il vecchio termine di "Arte". Non ammettono leggi o regole. Tali leggi, affermano, nella pratica possono solo sviare, perché l'attrito al quale sono soggcrre da parte degli incalcolabili fatto ri umani è più fo rte della legge stessa. È un vecchio adagio degli avvocati che nulla è così ingannevole quanto un precetto legale, ma in combattimento un precetto strategico è indubbiamente e sotto ogni aspetto ancor meno affidabile. Quali sono allora, ci si domanderà, i risultati tangibili che possiamo sperare di ricavare dalla teoria? Se tutto ciò su cui dobbiamo costruire è così indeterm inato, come si può raggiun gere un qualsiasi obiettivo pratico? È vero che i fattori sono infinitame nte mutevoli e difficili da determinare, ma si deve ricordare che proprio questo è ciò che enfatizza la necessità di pervenire a quei vali di punti di vista che sono raggiungibili. Q uanto più è vago il problema che dobbiamo risolvere, tanto più dobbiamo essere risoluti nel ricercare i punti di partenza dai quali possiamo iniziare a tracciare una rotta, tenendo sempre d 'occhio gli accidenti che possono sorprenderci e avendo sempre preserne le lo ro influ e n7.e deforma nti. E questo è quanto lo studio teorico della strategia può fare. Può quantomeno determinare la normalità. Dall 'accurata raccolta di eventi del passato risulta chiaro che certe linee di condotta tendono normalme nte a produrre certi efferri ; che le guerre tend ono ad assumere certe forme, ciascuna con una spiccata idiosincrasia; che queste forme sono normalmente legate all'obiettivo della guerra e al valore che ad esso assegna no uno o ernrambi i be lligeranti; che un sistema di operazion i che va bene per una forma non è dello vada bene per un 'altra. Possiamo anche - 17 -


anelare oltre. Seguendo un metodo storico e comparativo possiamo constatare che persino il fattore umano non è così ind eterminabile. Possiamo affermare che certe siwazioni produrranno normalmente, in noi o nei nostri avversari, certe cond izioni di mo rale sulle quali è possibile contare. Aver determinato la normalità ci pone immediatamente in una po. sizione di maggiore forza . Ogni proposta p uò essere comparata ad · essa e possiamo procedere a discutere in modo chiaro il peso dei fattori che ci sp ingo no ad al lontanarci dalla normalità. Ciascun caso deve essere g iudicato valutando i pro e i contro, ma senza avere come paragone il caso normale non possiamo esprimere alcun vero giudizio; possiamo solo tirare ad indovinare. Ogni caso diffe rirà sicuramente dalla normalità in maggiore o minor misura ed è altrettanto certo che i maggiori s uccessi in gue rra furono dovuti alle più ardite clisgressioni dalla normalità. Tuttavia, per la maggior parte, furono disgressioni fatte ad occhi aperti eia uomini di genio che potevano percepire· negli accidenti del caso particolare la giusta ragione per trasgredire . Prendiamo un esempio ed il regno della teoria strategica diverrà immediatamente chiaro. La navigazione e quella parte dell'a rte marinaresca che le appartiene d evono affrontare fenomeni molteplici ed imprevedibili come quelli della condotta della guerra. Insieme formano un'arte che dipende dalle capacità dell'individu o tan to quanto vi dipende l'arte ciel comando. Le leggi che governano le tempeste e le maree, i venti e le corre nti e l'intera meteorologia , sono soggette a va riazioni infinite e incalcolabili. Eppu re chi negherebbe oggigiorno che dal lo ro studio teorico l'a rte mari naresca abbia g uadagnato coerenza e forza? Un tale studio non produrrà, di per se stesso, né un ma rina io né un navigatore , ma senza di esso oggi nessuno può pretendere di chiamarsi marinaio o navigatore . Poich é le tempeste non si comportano sempre allo stesso modo, poiché le correnti sono irregolari, potrà il più esperto dei marinai negarè che lo studio de lle condizioni normali gli sia inutile p er prendere decisioni pratiche? Pertanto, se si affronta in questo modo lo sn1dio teorico della strategia - cioè se lo si considera non un sostituto della capacità di giudizio e dell'esperienza, ma come mezzo per fertilizzare entrambe- allora non può produrre alcun danno. Il pensiero individuale e il senso comu ne rimarranno padroni e guide per indicare la direzione generale q uando la massa degli avvenimenti comincia a crescere in modo sconcertante. - 18 -


La teoria ci avvertirà nel momento in cui lasciamo il terreno battuto e ci consentirà di decidere ad occhi aperti se la deviazione è ne cessaria e giustificata. Soprattutto, nelle riu nioni dei Consigli, manterrà la discu ssione entro le linee essenziali e contribuirà a tenere al loro posto le questioni marginali. Tuttavia, o ltre a tutto questo, la teoria della guerra contiene un ulterio re elemento di particolare valore per un Impero marittimo. Siamo abituati , in parte per convenienza e in parte per la mancanza di un abito mentale scientifico, a trattare di stra tegia navale e di strategia terrestre come se fossero due distinti rami del sapere, senza alcunché in comune. È la teoria della guerra che evidenzia la loIO intima relazione. Essa rivela che a comprenderle en trambe è una più ampia strategia che considera la fiotta e l'eserc ico come un'unica arma, che coordina la loro azione e indica le linee lungo le quaU ognuno di essi deve muoversi per ottenere da entrambi il massimo risu ltato. Ci indicherà come assegnare a ciascuno il suo compito appropriato in un piano di guerra; consentirà a ciascuna forza armata di co'm prendere al meglio le limitazioni e le possibilità di successo della funziqne ad essa assegnata e come e quando le s ue proprie necessità dovranno cedere a più importanti o urgenti bisogni dell'altra. In b reve ci svela che la strategia navale non è un affare a sé stante, che molto raramente o quasi mai i suoi problemi possono essere risolti tenendo presenti solo considerazioni di carattere navale, ma che è solo una parte della strategia marittima. Strategia marittima che ci insegna che uno stato marittimo, per condurre con successo una gue rra e per attuare la particolarità della sua forza , deve concepire ed usare la marina e l'esercito come strumenti fra loro intimamente legati, così come lo sono le tre armi di terra. tS) È per queste ragioni che è di poca utilità affrontare la strategia navale al di fuori della teoria de lla guerra. Senza una tale teoria non potremo mai comprenderne lo scopo e il significato né sperare di intuire q uali siano le forze che influenzano più profondamente il suo fine .

(5) Allude, natllralmenle, alle tre armi dell'esercito: fameria, cavalleria e artiglieria (NdT).

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PARTE I

TEORIA DELLA GUERRA


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CAPITOLO I LA TEORIA DELLA GUERRA

'ultima cosa che un esploratore fa è q uella d i compilare una mapp a completa dell'intero territorio che egli stesso ha percorso; ma per coloro che lo seguono e che vogliono approfittare delle sue conoscenze ed estenderle, la sua mappa sarà la prima cosa dalla quale cominciare. Così è con la strategia. Prima di iniziare il suo studio dovremo cercare una carta che ci mostri a colpo d'occhio quale sia esattamente il terreno che dobbiamo coprire e quali siano i tratti principali che determinano la sua fo rma e le sue caratteristiche. Solo una "teoria della guerra" può fornirci una tale carta . È per questo motivo che nello studio della guerra dobbiamo aver chfara la nostra teoria prima di poterci avventurare in cerca di conclusioni pratiche. La complessità della guerra è così g rande che senza una tale teoria siamo certi di perdere la strada fra le sconcertanti molteplicità di sentieri ed ostacoli che ci si parano davanti ad ogni passo. Se i1 valo re della teoria è stato abbondantemente provato per la strategia terrestre, la sua necessità è perfino maggiore per la strategia marittima, dove le condizioni sono ben più complesse.

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Per strategia ma rittima incendiamo i principi che governano una guerra nella quale il mare rappresenta un fattore sostanziale. La strategia navale è quella parte della strategia marittima che determina i movimenti della flotta qua ndo la strategia marittima stessa ha determinato quale parte la flotta debba giocare in re lazione alle azioni delle forze terrestri; poi.ché è appena il caso di dire che è quasi impossibile che una guerra possa essere decisa solamente con azio ni navali. Senza aiuti Ja pressione navale può agire solo per mezzo d i un processo cli logoramento. Pen:anto i suoi effetti sono sempre, di necessità, lenti e disturbano sia la nostra comunità commerciale sia i neutrali. - 23 -


La tendenza è quindi sempre quella cli acceLtare termini cli pace che sono ben lontani dall'essere conclusivi. Per una decisione stabile si richiede una forma di pressione più rapida e clraslica. Poiché l'l10 mo vive sulla terra e non sul mare, i grandi scontri fra nazioni in g ue rra sono sempre stati decisi - eccetto rarissimi casi - o da ciò che l'ese rcito può fare contro il Lerritorio e la vita della nazione nemi ca, o ppure dal timore di ciò che la fl otta può consentire all'esercito di fare. Quind i, la preoccupazione principa le della straLegia marittima è quella di determinare le reciproche relazioni che, in un piano di guerra ben strutturalo, devono instaurarsi fra l'esercito e la marina. Quando ciò sia stato fatto, e non prima, la strategia navale può in iziare a studiare il modo col quale la flotta può assolvere la funzione assegnatale. Il problema di una tale coordinazione è suscettibi le cli soluzioni molto diverse. Può darsi che il controllo del mare sia di un'importanza così impell ente che l'esercito debba dedicarsi ad assistere la flotta nel suo compito s pecifico prima di poter agire direttamente contro il terrirorio e le forze terrestri nemiche. D'altro lato può darsi che il compito immediato della flotta sia quello di assistere l'azione militare terrestre prima di essere libera di dedicarsi inre ramente alla d istru zione delle forze navali nemiche. I semplici precetti riguardanti gli obiettivi primari, che sono risultati validi nelle guerre continentali ,{]) non hanno mai funzionato bene, quando il mare ha influenzato seriamente una guerra. In questi casi non è più sufficiente afferma re che l'obiettivo primario dell 'esercito è quello di distruggere l'esercito nemico o che quello della flotta è di distruggere la fl otta nemi ca. Le delicate azioni reciproche dei fattori terrestri e marittimi producono condizioni troppo complicare per soluzioni così nette. Perfino le equazioni iniziali che presentano sono troppo complesse per poter essere semplificate con la semplice applicazione di massime in1provvisate. La maniera giusta

(1) La dizione britannica di "continenta le" ha il doppio sign ificato d i terrestre e di

riferimento al continente europeo. Si è mantenuta, anche in s<:gu iLo, que/lta dizione perché a noslro parere, è, un indice significativo della nena distinzione che i britannici usavano fare fra "marittimo" - e quindi insulare e britannico per eccellenza - e terrestre, e quindi appartenente al contineme di cu i la Gran Bn.:ragna non faceva parte (NdT).

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per trattarle dipende dai più ampi e fondamentali principi dell a guerra ed è come punto d·osservazione, dal quale avere una visione chiara e libera delle vere re lazioni fra i vari faLto ri , che una teoria della guerra ha forse il suo massimo valore. La teoria che ora predomina è che la guerra, fondamentalmente, sia la continu azione della politica con altri mezzi. T1 processo con il quale gli strateghi terrestri vi sono arrivati implica a lcuni difficili ragionamenti filosofici. Sebbene fossero veterani pratici ed esperti, il loro metodo non è tale da essere fa cilmente assorbito dal nostro mod o di pensa re . Sarà bene, quindi, tentare di presentare prim a di tutto le loro conclusioni in forma concreta, tale da rendere subito intel ligibile l'essen za de lla questione. Ora, prendete il caso no rmale di uno StaLO Maggiore, navale o terrestre, al quale sia chi esto di preparare un piano di guerra conLro un certo stato e di suggerire i mezzi necessari. A chiunq ue abbia considerato questi problemi risu lta ovvio che la risposta comporta una domanda: quale è lo scopo de lla guerra? Senza una risposta chiara o risposte alternative a questa domanda, uno Stato Maggiore può fare poco cli più che cercare di rendere il più efficienti possibili le forze che il paese si può permettere . Prima di poter fare qua lsiasi ulteriore passo egli deve conoscere molte a ltre cose. Deve sapere se ci si aspetta che cauuri qualcosa a l nemico oppure ch e si impedisca al nemico cli conquistare qualcosa di nostro o di qualche altro Stato. In quest'u lrimo caso le misure da prendere dipenderanno dalla sua posizione geografica e dalla sua forza in mare e in terra. Anche qua ndo l'obiettivo è chi aro sarà necessario sapere quale va lo re gli atlribuisce il nemico. È un obiettivo per il quale egli combatterà probabilmence fino alla mone, oppure è tale che lo abba ndonerà di fronte ad una resiste nza relativamen te debole? Nel primo caso no n possiamo sperare d i avere successo senza distruggere inLeramenLe le s ue capacità di resistenza. Nel secondo caso sarà sufficie nte, come lo è s pesso stato, mi ra re a qualcosa di meno costoso e rischioso e più vicino alle nostre possibilità. Tutte queste so no domande che devono essere rivolte ai ministri responsabili della politica estera del paese e, prima che lo Stato Maggiore possa procedere con iJ pi ano di guerra, esse debbo no ricevere una risposta da parte di quei ministri. In breve, lo SLato Maggiore deve chiedere loro quale po liti ca la diplomazia intende persegu ire e dove e quando ci si aspella che essa fallisca e ci costringa a prendere le armi. Quando la diplomazia ha - 25 -


fallito, infatti, lo Stato Maggiore deve continuare a perseguire l'obiettivo previsto e il metodo che userà dipenderà dalla natura cli quell'obiettivo. Arriviamo così, seppur in modo rozzo, alla nostra teoria che la gue rra è la continuazione della politica, una forma di relazioni politiche nelle qua li combattiamo battaglie invece cli scrivere note diplomatiche. È stata ql1esta teoria, semplice e a prima vista perfino insignificante.

che ha fornito la chiave per il lavoro pratico cli dar forma a un moderno piano di guerra e che ha rivoluzionato lo studio della strategia. È staro solo agli inizi de l diciannovesimo secolo che si è arrivati a una tale teoria. Per secoli gli uomini hanno scritto sull"'Arte della Guerra·· ma, in mancanza di una teoria operante, l'insieme dei loro sforzi è stato non-scientifico, riguardante, per la maggior parte, discussioni su mode effimere ed elaborazione di luoghi comuni. È vero che un buon lavoro è stato fatto sui dettagli , ma non è stata ottenuta alcuna ampia visione che ci consentisse di determinare le relazioni che quelli hanno con le costanti fondamental i dell'oggetto. Non è stato ottenuto alcun punto d 'osservazione dal quale poter individuare quelle costanti e distinguerle da ciò che è puramente accidentale. Il risultato è stato una tendenza a discutere troppo esclusivamente degli ultimi esempi e di venire invischiali in ragionamenti errati, cercando di applica re alla guerra in generale i metodi che aveva no otrenuro l'ultimo s uccesso. Non c'era alcun modo per determinare fino a che punto quel particolare successo era dovuto a condizioni particolari e fino a che punto e ra invece dov uto a fattori comuni a tutte le guerre. Furono le Guerre della Rivoluzione e napoleoniche, coincidenti come furono con un reriodo cli auività filosofica. che rive larono la superficialità e la natura empirica di tutto ciò che era stato fatto fino a quel momento. Sembrò ai contemp oranei che i metodi di Napoleone avessero prodotto una così energica rivoluzione nella condotta della guerra terrestre eia fa rie assumere un aspetto comp lecamenre nuovo . Ed era ovvio che quei concetti, prima s ufficienti, erano diventati inadeguati come base cli solidi studi. La gue rra terrestre sembrava essere mutata da una serie di calcolate botte e risposte, di parale e stoccate fra eserciti permanenti , in una carica a testa bassa cli una nazione in armi contro l'altra, ognuna desiderosa della vita dell'altra e decisa ad averla o a perire nel tentativo . Gli uomini si sentirono cli fronte a una manifestazione cli energia umana che non aveva precedenti, almeno in tempi civili. - 26 -


Q uesta convinzione non era inte ramente vera perché, sebbene il Co ntinen te non avesse mai prima adottato i metodi i.n questione, il nostro stesso paese non vi era estraneo sia in mare che in terra. Come vedrem o, la nostra Rivoluzione nel diciassettesimo secolo aveva prodo tto en ergici metodi di conduzione della g uerra, molto vicin i a quelli che Na poleone assimilò dai cap i della Rivoluzione Francese. Un 'osservazio ne più filosofica avrebbe suggerito che il fenomeno non era rea lm ente eccezionale, ma piuttosto lo sbocco naturale del l'energ ia popo lare ispirata da un ideale politico esaltance. Tuttavia il preceden te britann.ico era stato dimenticato e il turbamento causato dai nuovi metodi fran cesi fu così profondo che i s uoi effetti sono ancora presenti. Siamo infani. ancora dom inati dal l'idea che dall'era napoleonica in p o i la g uerra sia diventata sostanzialmen te una cosa diversa. T n ostri maestri lendono a sostenere che attualmente esiste un solo modo cl i fare la guerra, quello cli Napoleone. Ignoran do il fatto che alJa fine egli h à perso, marchiano come u n'eresia il semplice suggerimento che vi p ossano essere altri modi e, no n contenti di affermare che il suo sis tema va bene per tutte le guerre terrestri per q uanto grand i siano le d ifferenza d i tipo e cli obiettivi ch e le caratterizzano, vorrebbero imporre la stessa camicia di forza anche alla guerra navale, neJla probabile convinzion e che in questo modo la re ndono presentab il e e le danno n uovo vigore . Osservando q uanto para lizzan te sia d iventata l'idea napoleonica, sarà ben e determinarne esattame nte le caratteristiche p rim a cli procedere . Ma non si tratta di u n 'im presa fac ile . Nel momento in cui la affrontiamo con s pirito critico com incia a d iventar e nebu losa e difficile da definire . Possiamo tentare cl i ricavare q uattro idee distinte, confu se in quella che è la nozione corre nte dell' idea stessa. Per p iima cosa vi è l'idea di condurre la gue rra non semplicemente con un esercito d i mestie re, bensì con l'intera nazione armata, u na con cezione che, natura lme n te, non fu in ve rità elaborata da Napo leone . La ereditò dalla Rivolu zione, ma era, inver o, mo lto p iù vecch ia . Fu la rinascita di una p ratica universale che p revaleva negli stadi ba rbarici dello sviluppo sociale e che ogni civil tà ha a turno a bbandonato come econo micamente insana e contraria alla specializzazione della cittad inanza . I risu ltati del s uo abba ndono furono a volte bu on i e a volte cattivi, ma le cond izioni esatte sono state s tudiate an cora in modo troppo im p erfetto per giustifi care q ualsiasi ampia generalizzazione. - 27 -


Secondo, c'è l'idea di uno sforzo strenuo e persistente: non fermarsi per assicurarsi ogni piccolo vantaggio, ma premere sul nemico senza posa o riposo fino a quando egli sia completamente sbaragliato. Un'idea nella quale Cromwell aveva anticipato Napoleone di un secolo e mezzo. Appena distima da quesra idea, ve ne è una terza: quella di prendere l'offensiva. In questa idea non vi era realmente nulla di nuovo poiché i stio i vantaggi erano sempre stati compresi e Federico il Grande l'aveva portata all'estremo con poca meno aticlacia dello stesso Napoleone, anzi con colpevole imprudenza, come i maggiori sostenitori dell'idea napoleonica ammettono. Infine vi è il concetto cli conside rare come obiettivo principale le forze armate del nemico e non il suo territorio. Questa è forse giudicala la più evidente caratteristica del metodo napoleonico e tuttavia anche qui siamo confusi dal fatto che indubbiamente, in alcune occasioni molto importanti, per esempio la campagna di Austerlitz, Napoleone sce lse come obiettivo la capitale avversaria come se fosse convinto che la sua occupazione fosse l'azione più efficace per demolire il potere nemico e la sua volontà di resistenza. Eg li non fece certamente del principale esercito nemico il s uo obiettivo primario perché il principale esercito nemico non era quello di Mack, ma quello dell'Arciduca Carlo. Tutto considerato quindi, quando qualcuno parla del sistema Napoleonico sembra voglia includere due gruppi di idee: uno, che comprende il concerto della guerra fatta con l'inte ra forza de lla nazione; l'altro che include l'idea cromwelliana dello sforzo continuo, la prefe re nza di Federico per l'offensiva quasi a qualsiasi costo e, infine, l'id ea che le forze armate de l nemico siano l'obieLLivo principale, idea che fu anch'essa di Cromwell. CZ) È la comb inazione di queste idee nie nt'affatto orig inali né molto chiare che, si afferma, ha ponato un cambia mento così drastico nella condotta della guerra cla farla diventare una cosa affatto diversa . Non è necessa rio, per il nostro scopo, cons iderare fino a che punto

(2) L'esempio di Cromwcll non calza interamente perché si rifrrisc:c ad un contesto di guerra c ivile in un tcrriLorio ben limitato. È ch iaro che in quel caso l'obiettivo non poteva essere altro che l'esercito nemico, la cui sconfi 1ta avrebbe, c:ome ha. automaticamente as:.ic:uraco il controllo del territorio. Sul Con1inente europeo le forze in gioco erano ben diverse CNdT).

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Napoleone (1769-1821).



i farti sembrano confermare una tale conclusione perché è nell 'intrinseca natura delle cose che essa debba essere considerata radicalmenle falsa. Né la guerra né alcun'a ltra cosa possono murare la loro essenza. Se così ci sembra è perché stiamo ancora confondendo l'acciclenrale con l'essenziale, e quesro è esattamente ciò che accadde ai più acuti pensatori del tempo di Napoleone. È vero che per un po' essi furono disorientati, ma appena ebbe-

ro il tempo per schiarire le loro menti dallo strepitio dello scontro al q uale avevano preso parte, cominciarono a vedere che i nuovi feno meni erano, dopo tutto, accidentali. Compresero che i metodi di Napoleone, che avevano sorpreso il mondo con la violenza di un uragano, avevano avuto successo solamente in guerre di una certa natura e che quand 'egli aveva tentato d i applicare gli stessi metodi a guerre di natura diversa e ra andato incontro al fallimento e al disastro. Come lo si poteva spiegare? Quale teoria, per esempio, poteva descrivere i successi di Napoleone in Germania e in Italia ed i suoi fallimenti in Spagna e Russia? Se l'intera concezione della guerra era mutata , come si poteva giustificare il s uccesso dell'Inghilterra, che non aveva mutato i suoi metodi? Per noi inglesi la risposta a queste domande è di vitale e incalcolabile importanza. Il nostro punto di vista è ancora immutato. C'è ancora qualcosa di insito nell'essenza della guerra che nel nostro caso giustifichi questo atteggiamento? Abbiamo il diritto cli aspettarci che ci dia lo stesso successo che ci ha dato nel passato? Il primo a formu lare una teosia che spiega i fenomeni dell'era napoleonica e li coordina con la storia precedente, è staro il Generale Ka,d Von Clausewitz, un uomo a cui il lungo servizio nelJo Stato Maggiore e l 'effettiva esperien za nella comp ilazione di ordjni ad alto liveUo, avevano insegnato la necessità cli rendere sistematico lo studio della sua professione. Egli non era un sen1p lice professore, ma un soldato allevato alla più severa scuo la di guerra. Allievo e amico di Sharnhorst e Gneisenau, aveva servito nello Stato Maggiore di Bli.icher nel 1813, era stato Capo di Stato Maggiore di Wallmoden nella campagna contro Davoust nella Bassa Elba e del Terzo Co rpo d 'Armata Prussiano nella campagna del 1815. Quindi, per più di dieci anni, fu Direttore della Scuola Superiore di Guerra a Berlino e morì ne l 1831 come Capo di Stato Maggiore del Marescia llo Gneisenau. Nei cinquanta anni che seguirono la s ua morte, le s ue teorie e il suo sistema furono attaccati, come egli stesso aveva previsto, da tutti i lati. Ebbene, oggigiorno il suo lavoro rappresenta più

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che mai l'indispensabile base di tutto il pensiero strategico, soprattutto per la scuola tedesca del ''ferro e sangue''. Il processo attraverso il quale sviluppò la sua famosa teoria può essere dedotto dal suo classico lavoro Della Guerra e dalle Note che lo riguardano e che ci ha lasciato. Secondo la moda filosofica del tempo egli cominciò cercando cli formulare un'idea astratta della guerra. La definizione dalla quale partì era che "la guerra è un atto cli violenza per costringere il nostro avversario ad accettare il nostro volere''. Ma quell'atto di violenza non consisteva solamente ne "l'urto delle armi ", come Monrecuccoli l'a veva definito un seco lo e mezzo prima. Se l'astratta idea de lla guerra dovesse essere portata alle sue estreme conseguenze, l'atto di violenza dovrebbe essere esegu ito con tutti i mezzi a nostra dispos izione e col massimo sforzo della nostra volontà. Ci immaginiamo, di conseg11enza , due nazioni in armi che si scagliano l'una contro l'altra e continuano lo scontro con la massima forza ed energia possibile fino a quando l'una o l'altra non è più in grado di resistere. Questa fu chiamata da Clausewitz "Guerra Assoluta ". ma la sua esperienza pratica e il maturo studio della storia gli dissero immedia tamente che la "Guerra Reale" era qualcosa cli diverso. È vero, com 'egli disse, che i meLOdi cl i Napoleone si e rano avvicinati all'assoluto ed avevano dato un qualche senso all'uso dell 'id ea assoluta come teoria pratica. "Ma", con acume si chiede, "dobbiamo essere soddisfatti da questa idea e giudicare t11tte le guerre di conseguenza, per quanto possano da quella d(f!erire? Dobbiamo da essa dedurre tutti i requisiti della teoria? Dohhiamo decidere su questo punto perché non possianio dire nulla di valido per quanto riguarda w, piano di guerra.fino a quando non avremo deciso se la g uerra debba essere solo di questo tipo o se ve ne può esse1·e un altro ". Egli vide s ubito che una teoria costruita s ull'idea astratta o assoluta de lla guerra non avrebbe risolto il problema e , pertanto, non avrebbe potuto fornire ciò che era richiesto a scopo pratico. Avrebbe escluso quasi tutte le guerre dai tempi cli Alessandro a quelli di Napoleone. E q uale garanzia ci sa rebbe stata che la guerra successiva sarebbe stata di tipo napoleonico e si sa rebbe adattata alla teoria astraLCa? "Questa teoria ", ammette, " è ancora piuttosto inefficace di fronte alla forza delle circostanze". E così accadde, perché le guerre della metà de l diciannovesimo secolo ritornarono, in e ffetti , al tipo pre-napoleonico. In breve, la diffico ltà di Clausewitz nell 'adottare la sua teoria astratta come regola operativa, era d ovu ta a l fatto che la sua mente - 30 -


pratica non poteva dimenticare che la guerra non era com inciata con l'era rivolu zionaria, né e ra presumibile che terminasse con essa. Se quell'e ra aveva cambiato la condotta della guerra , si doveva presumere che la guerra potesse cambiare di nuovo in altri tempi e in altre condizioni. Una teoria della guerra che non preved esse ciò e che non includesse tutto quanto era accaduto prima, non era una teoria. Se una teoria della guerra deve essere di quaJche utilità come guida pratica, d eve includere e spiegare non solo l'estrema manifestazione delle ostilità, della quale egli stesso era stato testimone , ma ogni manifestazione avvenuta nel passato e che probabilmente si sarebbe ripresentata in futuro. Fu nella ricerca delle ca use profonde delle oscillazio ni in energia ed intensità man ifestate dalle relazioni ostili, che egli trovò la soluzione . La sua esperienza nello Stato Maggiore e i suoi studi sulle ragioni più riposte del1a guerra , gli mostrarono che non era , in effetti, una questione di semplice sforzo militare mirante sempre all 'estremo di ciò che era possibile o vantaggioso da un punto d i vi sta pu ramente militare. L'energia messa in campo sa rebbe stata sempre mod ificata da considerazioni politiche e dai profondi interessi nazionali nei confronti dell'obiettivo bellico. Egli co mprese che la vera guerra era, in e ffetti, una relazione internazionale eh.e differiva dalle altre relazioni internazionali solo nel metodo adottato per raggiungere l'obiettivo della politica. Fu così che giunse alla sua famosa teoria che: "la guerra. è semplicemente la continu.azione della po-

litica con altri mezzi".

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A prima vista sembra che vi sia ben poco in questa affermazione . Può sembrare di aver assistito alle doglie cli una montagna che abbia partorito un topolino. Ma è solo su tali semplici, perfino ovvie, formule che è possibile costruire con sicurezza un q ualsiasi sistema scientifico. Dobbiamo solo sv ilupparne il significato per vedere quanto importanti e pratiche siano le linee g uida che ne derivano. Tenendo presente l'idea che la guerra è la continuazione delle relazioni politiche, è chiaro che q ualsiasi cosa che si trovi fuori dal concetto politico , qualsiasi cosa, cioè, che sia strettamente inerente alle operazioni militari e navali, riguarda solamente i mezzi che usiamo per raggitmgere il nostro scopo politico. Di conseguenza, la prima cosa che si richiede ad un piano di guerra è che i m ezzi adottati siano il meno possibile in conflitto con le condizioni politiche dalle quali - 31 -


nasce la guerra. Naturalmente nella pratica, come avviene in tutte le relazioni umane, ci sarà un compromesso fra i mezzi e i fini, fra le esigenze politiche e quelle militari. Tuttavia Clausewitz sostenne che la politica deve sempre dominare. L'ufficiale responsabile della condotta della guerra può, naturalmente, chiedere che le tendenze ed i punti di vista politici non siano incompatibili con i mezzi militari messi a sua disposizione. Ma per quanto questa richiesta possa, in casi panicolari, agire fortemente sulla politica, l'azione mjlitare deve sempre essere considerata solamente come una manifestazione della politica; non deve mai sostitui rsi ad essa. La politica è sempre il fine, la guerra è solo il mezzo col quale otteniamo il fine e il mezzo deve sempre tenere in vista il fine. L'imporranza pratica di questa concezione diverrà ora chia ra . Si vedrà che consente la spiegazione logica e teoretica di quanto abbiamo esposto n e lla sua forma puramente concreta. Quando ad un Capo di Stato Maggiore si richiede un piano di guerra, egli non deve dire: faremo la guerra in questo o quel modo perché questo era il modo di Napoleone o <li MolLke. Egli deve chiedere quale è l'obiettivo politico della guerra, quali sono le condizioni politiche e quale peso il problema in questione riveste rispettivamente per noi e per i nostri avversari. Sono queste considerazioni che determinano la natura della guerra. Ottenuta risposta a queste prime domande, egli sarà nelle co ndizioni di dire se la guerra è della stessa natura di quelle nelle quali i metodi di Napoleone e di Moltke ebbero successo o se la sua natura è una di quel le nelle quali quei metodi fallirono. Egli preparerà, quindi, e proporrà un piano e.li guerra non perché ha il marchio e.li questo o quel gran maestro, ma perché è quello che si dimostra più idoneo al lipo di guerra del momento. Assumere che un particolare metodo pe r condurre la guerra vada bene per tutti i Lipi <li guerra significa cadere vittima della teoria astratta e non essere profeta della realtà, come i più stretti discepoli della scuola napoleonica rendono a considerarsi. Quindi, dice Clausewitz, la più cri[ica e importante decisione sulla quale l'uomo di Stato e il Generale debbono esercitare il proprio giudizio è quella cli determinare la natura della guerra, essere sicuri di non confonderla con qualcos'altro né cercare di farl a diventare qualcosa che, per le sue condi?.ion i intrinseche, non potrà mai essere. "Questa", egli afferma, "è la prima di I/ate le questioni strategiche e quella di maggior portata". - 32 -


Perranto, il prLmo pregio di questa teoria è che fornisce un indirizzo chiaro per determinare la natura della guerra che stiamo per intraprendere e per essere certi che non cerchiamo di applicare a una guerra d i una ce rta nawra un particolare tipo cli operazioni solo perché esso ha avuto successo ù1 una guerra d'altra natura. Clausewitz insiste nell'affermare che è solamente considerando la guerra non come qualcosa cli indipendente, ma come uno strumento politico, che possiamo leggere corretlamente le lezioni della storia e comprendere, a scopo di guida pratica, come le guerre differiscano nel loro caranere secondo la nanira dei motivi e delle circostanze dalle quali derivano. Egli afferma che questo concetto è il primo raggio di luce che ci può guidare verso una teori a della gue rra e consentirci, pertanto, di classificare le guerre e distinguere le une dalle altre. Jomini, suo contemporaneo e rivale, sebbene usi un metodo meno filosofico, ma non meno chi aro, conferma pienamente questa opinione. Soldato di ventura svizzero. la sua esperienza, molto simile a quella di Clausewitz, si era formata principalmente nello Stato Maggiore del Maresciallo Ney e, successivamente, in quello del Quartier Generale Russo. Egli non giu nge ad alcuna precisa teoria della guerra, ma le sue conclusioni fondamentali sono le stesse. li primo capitolo del suo ultimo lavoro, Précis de l'art de la Guerre, è dedicmo a "La Po litique de la Guerre''. In esso egli classifica le gue rre in nove categorie dipendenti dal lo ro scopo poli tico e afferma , come proposizione base, che ''questi differenti tipi di guerra avranno più o meno influe11za sulla natura delle operazioni che si richiedono per ol/enere il risultato desiderato, sulla qua1ttilà di energia che deve essere impiegata e sulla vasNtà dell'impresa nella quale dobbiamo impeg11arct. ··e; saranno", aggiunge, "grandi dijferenze nelle operazioni a seconda dei rischi che dobbiamo correre". Entrambi pertanto, sebbene spesso divergano amp iamente SLJ i particolari dei mezzi da impiegare, concordano nell 'affermare che il concetto fondamentale cleJJa guerra è politico e naturalmente anche nel dire che se isoliamo nella nostra mente le forze impegnate in qualsiasi teatro di guerra, il concetto astratto riappare. Per quanto riguarda quelle particolari forze, la guerra è un cornbauimento nel quale ogn uno dei due contendenti deve cercare, con tutti i mezzi a sua disposizione e con tutte le sue e ne rgie, di distruggere l'altro. Ma an~he così, essi possono scopriJ·e che certi mezzi sono a loro proibiti - 33 -


per ragioni poliliche e in ogni momento le fortune della guerra o un cambiamento delle limitazioni imposte dalle condizioni politiche, possono riportarli indietro al1a teoria politica fondamentale. Sarebbe senza profiuo, a questo punto, discutere ulteriormente questa teoria. Sia sufficiente, per ora, segnalare che essa ci fornisce un concetto della guerra qt1ale uso della violenza per assicurarci un fine pol itico che desideriamo ottenere. Da questa generica e semplice formula possiamo subito dedurre che le guerre varieraru10 secondo la natura del fine e l'intensità del nostro desiderio di ottenerlo. Per ora possiamo fermarci qui e raccogliere forze ed idee per esaminare le considera.zioni pratiche che immediatamente ne derivano.

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CAPITOLO II NATURA DELLE GUERRE - OFFENSIVE E DIFENSIVE

A. vendo determinato che iJ carattere delle guerre varia secondo la 1"1.natura e l'importanza del fine, ci troviamo ad affrornare il problema che le variazioni sono infinite ed infinite le sue possibili sfumature . In effetti la varietà che si presenta è Lale che d'acchito appare difficile farne la base di uno srnclio pratico. Tuttavia , ad un successivo esame, si vedrà cl1e applicando il soli to metodo analitico, l'intero soggetto è suscettibile d i essere notevolmente semplificato. Tn breve, dobbiamo tentare di trovare un qualche sistema dì classificazione; dobbiamo cioè verificare se sia possibile raggruppare le varianti in alcune categorie accuratamente fondate. Con un soggetto così complesso e inafferrabile il raggruppamento deve essere, naturalmente, fino ad un certo grado, arbitrario e in qua lche caso le linee di demarcazione risu lteranno nebulose. Ma, se si è trovato che la classificazione era possibile e utile in zoologia e in botanica, nonostante le infinite e piccolissime variazioni individuali che si dovevano considerare, non dovrebbe essere meno possibile e uti le nello studio della guerra . .,. In ogni modo la teoria politica della guerra ci fornisce due ampie e ben precise dassificazioni. La prima è semplice e ben nota e dipende dall o scopo della guerra che può essere positivo o negativo. Cl) Se è

(l) J termini inglesi ··pos'itive" e" negative", avrebbero potuto forse essere meglio tra-

dotti con "attivo'' e "rassivo", ma tale u-acluzione avrebbe snar.uralO l'originale connotazione spregiativa cl.ella sudd ivisione, dovuta, oltre che al mito·napoleonko, alla diffusa co ncezione q uasi "romantica" d<::lla guerra, cui fa cenno anche Corbctt, che vedeva nella difesa un atteggiamento poco "onorevole", al quale andava prefe ri ta l'offensiva ad ogn i costo, l'assalto anche inuti le purché e roico. Una conce:done che rispu nterà a nche al capitolo IIl, dove vengono usati i termini di "via più alta" e "via più bassa" (higer e lower road), per indicare l'offensiva e la d ifensiva. Le argomentazioni cli Corherr in favore della difensiva, come emerge da l res to deH'opera, erano però ben lontane da questo tipo cli categorie (NclT).

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positivo - cioè se il nostro obiettivo è quell o di tog liere qualcosa a l nemico - all o ra la nostra guerra sarà, ne lle sue linee generali, offen siva. D'a ltro lato, se il nostro o bie ttivo è negativo, e cerchia mo solamente di impedire al nemi co di otte nere qualche vanraggio a nosLro d iscapito, allora la guerra, nel suo indirizzo generale, sa rà dife nsiva. È solo come concetto generico che questa class ificazione ha valore. Sebbene fiss i le I inee genera li de lle nostre operazioni, non influ enzerà, d i per se stessa, il loro carattere. Almeno nel caso di un a

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Potenza ma rittima è ovvio che così d ebba essere, perché per una tale potenza è impossibil e, in qualsiasi circostanza , attuare la difensiva o sviluppare interamente l'offensiva senza prima essersi assicurala un indiscusso controllo del mare con azioni aggressive contro le notte ne miche . Ino ltre, noi ing lesi abbiamo sempre constatato che, per quanto strettamente difensivo sia il nostro scopo, il modo più sicu ro per raggiungerlo è quello di contrattaccare oltremare o per a iutare direttamente un alleato, oppure per privare il nemico dei suoi possedimenti coloniali. Quindi, nessuna delle due categorie esclude l'uso di operazion i offensive né l'idea di respingere iJ nemico per quel ranto che sia necessario per il raggiungimento del nostro fine. In ness uno dei due casi quel concetto ci conduce ad un obiettivo d iverso dalle forze armate ciel nemico e, in particolare, dalle s ue forze navali. L'unica vera differenza è la seguente : se il nostro obiettivo è positivo il nostro piano generale deve essere o ffensivo e dovremmo perlomeno aprire le ostilità con t 111 vero movimento offensivo; mentre, se il nostro ob iettivo è difensivo, il nostro piano generale sa rà preven tivo e po tremo aspettare un 'occasio ne migliore pe r il nostro contrattacco. Entro questi limiti la nostra azione deve sempre tendere all 'offensiva, poiché il contrattacco è l'anima della difesa. La difesa non è un atteggiamento pass ivo perché ciò rappresenterebbe la negazione della guerra. Ben conce piLO, è un atteggiamento di vigilante allesa. Aspettiamo il momento nel quale il ne mico si esporrà ad un contrattacco il cui successo lo danneggerà talmente eia renderci relativamente abbastanza forti pe r poter passare noi stessi all 'offensiva. Da queste considerazio ni appa rirà chiaro che, pe r quanto rea le e logica sia questa classificazione, dare alla gu erra la designnione di "offe ns iva e dife nsiva·· sia biasimevole sono tutti i punti d i vista . Per prima cosa, questa classificazio ne non mette in evid e nza quali siano - 36 -


le diversità reali e logiche; insinua che alla sua base non ci sia tanto una di fferenza di obiettivo quanto una differenza dei mezzi impi egati per raggi ungere quell'obiettivo. Di conseguenza ci trov iamo continuameme alle prese con la falsa supposizione che la guerra posiliva significhi attaccare e che qu e lla negativa si accontenti d ella d ifesa. Qu esto è già sufficientemente sconcertante; ma una seconda obiezione è molto più seria e dimostra come questa classificazione possa essere generatrice di errori perché la classificazio ne in "offensiva·· e ·'difensiva·· implica che offensiva e difensiva siano idee che si escludono a vicenda mentre la verità è, ed è u na fo ndamentale verità bellica, che esse sono reciprocamente complementari. Tutte le guerre, e tutte le forme di guerra, debbono essere sia offensive sia difensive. Per q uanto chiaro sia il nostro scopo positivo o per quanto grande sia il nostro spirito offensivo, non possiamo sviluppare interamente un'aggressiva azione strategica senza il sostegno della difensiva su tutte le linee di operazione, escl use quelle principa li . Lo stesso avviene nella tattica. Il più convinto assertore dell'attacco ammette la necessità d ella vanga così come quella ciel fucile. E anche se co nside riamo uomini e materiali sappiamo che senza un certo grado di protezione né navi , né can noni, né uomini possono sviluppare al massimo 1a loro ene rgia in potenza offensiva e mantenerla ne l tempo. Non c'è mai, in effetti, una scelta netta fra attacco e difesa. Nelle operazion i offensive la d omanda è sempre questa: fino a che punto i metodi che impieghiamo devono essere influenza ti d all a difesa onde ottenere il massimo dalle nostre risorse per spezzare o paralizzare la forza de l nemi co? Lo :;tesso vale pe r la difesa. Perfino nella sua forma più pura essa deve sempre essere integrata dall 'attacco. Anche dietro le mura di una fortezza gli uomini sanno che, prima o poi, la piazia è clcstinarn a cadere se un contrattacco contro le o pere ossid ionali del nemico non indebolisce la potenza d 'attacco di quest'ultimo. Sembrerebbe, pe rtanto, che sia meglio mettere compl etamente eia parte la designazione "offensiva" e "difensiva·· e sostiruirla con i termini "positivo" e "negativo". Ma qui , di nuovo, siamo di fronte ad una difficoltà. Ci sono stare molte guerre nelle quali me todi positivi sono stati usati per tutta la loro durata per assicurarsi fini negativi: e tali guerre non troverebbero facilmente posto in nessuna delle due classi. Per esempio, nella Guerra di Successione Spagnola il nostro obiettivo fu principalmente quello di impedire che il Mediterraneo, con l'unione - 37 -


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delle coro ne di Francia e Spagna, diventasse un lago francese. Ma il metodo con il quale riuscimmo a raggiungere il nostro scopo fu di occupare le posizio ni navali di Gibilterra e Minorca e quindi, in pratica , il nostro metodo fu positivo. Di nuovo, nc!Ja recente Guerra russo-giappo nese il principale obiettivo del Giappone era di impedire che la Corea fosse assorbita d alla Russia. Quell'obiettivo era preventivo e negativo. Ma l'uni co modo e ffica ce di assicurarsi quell'obiettivo era, per il Giappone, q uello di pre ndersi egli slesso la Corea; ecosì, pe r lui la guerra fu, in pratica, positiva. D'altro lato non possiamo dimenticare il fatto che, nella maggioranza delle guerre, la parte che aveva un obiettivo positivo ha agito generalmente all'offensiva e l'altra parte in difensiva. Pertanto, per quanto la distinzio ne sembri non pralica, non è possibile elimin arla senza domandarci perché sia così . Ed è in questa indagine che si trove ranno i ris ul tati pratici: vale a dire che essa ci costringe rà ad analizza re i vantaggi relativi de ll'offensiva e de lla difensiva. Una chiara comprensione delle loro possibilità re lalive è la chiave cli volta degli stu di strategici. Ora, i vantaggi dell 'offensiva sono evidenti e riconosciuti. È solo l'offensiva che può produrre risultati positivi e allo stesso lempo la forza e l'energia che sono creati dallo stimolo morale dell'attacco sono cli un valore pratico che supera quasi ogni altra considerazione. Ogni uomo coraggioso desidere rebbe impiegare l'offensiva, sia che il suo obiettivo sia positivo sia che esso s ia negativo: eppure vi è un buon numero di casi nei quali alcuni d ei condottieri più energici hanno scelto la difensiva, e con successo. Essi l'hanno scelta quando si sono trovati a essere materialmente inferiori al ne mi co e quando erano convinti che, per quanto aggressivo potesse essere il loro spirito, mai avrebbe sopperito a quell'inferiorità. Ovviame nte, quindi, nonostante tutta l'inferiorità d ella difesa come forma draslica di guerra, essa d eve avere qualche vantaggio intrinseco che l'offensiva non possied e . In guerra adottiamo ogni metodo per il quale abbiamo forza sufficiente. Quindi, se adottiamo il meno desiderabile metodo della difesa, ciò deve significare che o non abbiamo forza sufficiente per l'offensiva o che la difesa ci fornisce qualche forza particola re pe r il raggiungimento del nostro obiettivo . Quali sono, quindi, questi elementi di forza? È necessario scoprirlo non solo pe rché così possiamo sape re che se sia mo costretti in d.i - 38 -

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fcnsiva, per un certo tempo, non tullo è perduto, ma anche perché possiamo giudicare con quanta audacia dobbiamo spingere la nostra offensiva per impedire al nemico di assicurars i i vantaggi della difesa. Come principio generale sappiamo rulli che il possesso è i nove decimi della 1egge. È più facile mantenere il danaro nelle proprie tascl1e che prenderl o eia quelle cli un altro. Se qualcuno vuole derubare un'altra persona , egli deve essere più forte o meglio armato, a meno che non lo possa fare scaltramente o furrivamencc: e questo è uno dei vantaggi dell'offesa . La parte che prende l'iniziativa ha, di solito, la migliore possibilità di assicura rsi vantaggi con destrezza e segretezza . Ma non è sempre così. Se, in terra o in mare , possiamo prendere una posizione difensiva talmente buona da non poter essere aggirata e che debba essere distrutla prima che il nemico possa raggiungere il suo obiettivo, allora il vantaggio della destrezza e della segretezza passa a noi stessi. In questo modo siamo noi a scegliere il terreno su l qua le fare la prova di forza. Noi ci nascondiamo in un terreno conosciuto mentre il nemico è esposto in un terreno a lui meno familiare. Quand'egli è più pericolosamente esposto possiamo preparargli imboscate e sorprese per un contrallacco. Di qu i la conseguenza paradossale che laddove la difesa è solida e ben progettata, il vantaggio della sorpresa è conrro l'attaccante. Si vede, quind i, che qualsiasi siano i va nLaggi che appartengono alla difesa. essi dipendono dalla conservazione dello spirito offensivo. La sua essenza è il contrattacco, aspettare deliberatamente l'occasione per colpire, non l'inattività timorosa. La difesa è una condizione di attività frenata , non una semplice condizione di riposo. La sua vera debolezza è che se viene prolungata sem::a necessità, essa Lende ad affievolire lo spirito offensivo. Questa è una verità così vita le che alcuni autori, nell 'entusiasmo di sottolinearla, l'hanno travisata nell'erronea massima che: "La miglior difesa è /'attacco ". Di qui anche la nozione dilettantesca che la d ifesa è sempre stupida e pu sillanime, che porta sempre alla sconfitta e che ciò che è chiamato "spirito militare'' non significa altro che prendere l'offensiva. Nulla è più lontano dagli insegnamenti e dalla pratica dei più grandi condottieri. Come Wellington a Torres Vedras, rutti usarono a volte la c1u·ensiva fino a quando gli e lementi di forza di quella forma di guerra, a fronte d el logorante sforzo insito nella forma cli guerra da loro imposta agli avversari, non consentirono loro di essere abbastanza forti da poter usare la forma di guerra più positiva. - 39 -


La confusione cli pensiero che ha portato a questo fraintendimento nei riguardi della difesa come metodo di guerra è dovuta a di\·erse, ovvie cause. Con lrattacchi scaturiti da un atteggiamento generalmente difens ivo sono sta ti considerati una vera offensiva come. per esempio, le più note operazioni di Federico il Grande o il brillante contrallacco dell 'Ammiraglio Tegethoff a Lissa. oppure le nostre stesse operazioni contro l'Jn uencih/e Armada. Inoltre, la difensiva si è fatta un cattivo nome perché è stara confusa con un'offensiva erroneamenre contenuta, quando la Potenza maggiore , con un obiettivo positivo, mancava ciel coraggio di usare la s ua superiorità materiale con s ufficiente energia e perseveranza. Contro una tale Potenza un nemico inferiore può sempre rimediare alla propria inferiorità passando ad un'offen$iva rapida e temeraria , acquisendo così un impe lo sia mora le sia fisico che più che compensa la sua mancanza di forze. La difensiva ha anche fallito quando è stata scelta una caniv~, posizione che il nemico poteva avvolgere o cvila re. Un a ueggiame nco dife nsivo non vale niente, i suoi elementi di forza scompaiono interamente, a meno che non sia tale che il nemico debba spezzarlo di forza prima di poter raggiungere il s uo obiettivo finale . È fal lito ancor più di frequente quando il belligerante che l'adottava, scoprendo di non avere alcuna posizione difensiva in grado di ferma re l'ava nzata nemica, tentava di proteggere ogni possibj le linea d 'attacco . Ovviamente il risu ltato è che, assottigliando la s ua forza, egli accenllla solamente la sua inferiorirà. Per quanlo chiare e ben provate siano quesle considerazioni ne i riguardi della guerra terrestre, Ja loro applicazione alla guerra marittima non è così ovvia. Si obietterà che in mare non esiste alcuna dirensiva. Ciò risulta generalmente vero pe r la tattica, ma anche così non sempre. Pos izion i difensive taniche sono possibili in mare come nel caso degli ancoraggi difesi. Questi sono sempre una realcà, e le mine hanno aumenLato le lo ro possibilità. Ne lla più recente evolu zione della g uerra navale abbiamo visto i giapponesi preparare, alle Isole Elliot, una autentica posizione difensiva per coprire lo sba rco della loro Seconda Armata nella Penisola d ello Liao-tung. Strategicamente l'a fferm azione non è affatto vera. Una difensiva strategica è scata tanto comune in mare come in terra, e uno dei nostri più seri problemi è stato spesso quello di come demolire un tale atteggiamento quando questo veni va assunto dal nostro nemi co. Norma lmente significava che il nemico rimaneva nelle sue acque e vicino alle sue basi, dove - 40 -




era quasi impossibile per noi attaccarlo con esiti decisivi, e da dove poteva sempre minacciarci con un contrattacco nei momenti di debolezza. come fecero gli ola11desi a Sole Bay{2) e ne] Medway. La difficoltà di aver ragione cli un nemico che adottava questa linea d'azione fu compresa fin dall 'inizio daUa nostra marina e eia sempre una delle nostre principali preoccupazioni è stata ed è di impedire che il nemico si avvalga di questo espediente, inducendolo a combattere all 'aperto o, per lo meno, ponendoci fra lui e la sua base per costringerlo all'azione. Probabilmente la più notevole man ifestazione dei vantaggi che possono <lerivare, in condizioni idonee, dalla difensiva strategica, sì può trovare anche nella recenLe Guerra russo-giapponese. Nel momento fina le del conflitto navale, la flotta giapponese fu in grado di avvantaggiarsi del suo atteggiamento difensivo nelle proprie acque, atteggiamento che la flotta russa del Baltico fu costretta ad abbandonare se voleva otLenere iJ suo scopo. E il risultato fu la più decisiva vittoria navale mai registrata. Il potere deterrente di operazioni abili ed energiche, appoggiate acl una tale posizione, era ben noto alla nostra vecchia tradizione. L'espediente fu usato diverse volte, specialmente nelle nostre acque di casa, per impedire ad una flotta che non potevamo distruggere al momento. per la nostra debolezza locale, di portare a termine il compico assegnatole. Una tipica posizione del genere fu quella al largo delle Scilly, e fu ripetutamente provato che anche una flotta superiore non poteva sperare di fare alcunché nella Manica fino a quando la flotta al largo delle Scilly non fosse stara costretta ad un'azione decisiva. Ma l'essenza dell'espediente era la conservazione deilo spi ri to aggressivo nell a sua forma più audace poiché il successo dipendeva principalmente dalla volontà di afferrare ogni occasione per arditi e violenti contrattacchi, quali quelli che Drake e i suoi colleghi eseguirono contro l'Invincibile Armada. Sottomettersi al blocco in modo eia attirare l'attenzione dì una Dotta nemica s uperiore, è un'altra forma di difensiva, ma essa è quasi

(2) La battaglia di Sole Bay (o Solebay, o Somhwolcl Bay). 28 maggio 1672, è amp iameme descritta da Alfred T. Mahan nel capitolo II de L 'i1;/luenza del potere marittimo suffa storia, (U.S.M.M., pagg. 179 e segg.) (NdR).

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completamente negaliva. Può essere buona per breve tempo, per permettere altrove operazio ni offensive che alrrimcmi sarebbero impossibili. Ma se viene prolungata distruggerà, prima o poi, lo spirito delle nostre forze e le renderà incapaci di mantenere una reale aggressività. La conclusione è q uindi che, sebbe ne la classificazione delle guerre inoffensive e difensive sia di scarsa utilità per l'uso pratico di inqu adrare e valutare i pian i di guerra, una chiara comprens ione degli imrinscc i vantaggi rec iproci c.lell'offensiva e della difensiva è essenziale. Dobbiamo comprendere che in certi casi, purché lo spirito agg ressivo sia sempre preservato, la dife nsiva consente ad una forza inferiore cli ottenere qualche risultato quando l'offensiva porterebbe probabilmente alla s ua d istruzione. Ma gli e le menti cli forza dipendono interamente dall 'intuito e dalla volontà d i sfe rra re rapidi colpi nei momenti in cui il nemico abbassa la guardia. Appena la difensiva cessa di essere considerata come un mezzo per aumentare: la propria potenza cli auacco e ridurre quelln del nemico. perde ogni sua forza. Cessa perfino di essere un'attività differira, e ogni cosa che non sia ,Hlività non è g ue rra. Con queste indicazioni generali sui reciproci vantaggi dell'offcnsiva e della difensiva, possiamo, per ora, abbandonare questo argomento. Natu ralme nte è possibile cata logare i vantaggi e gli svantaggi d i ogni forma, ma una qualsiasi ardita affermazione in questo senso, priva di esemp i concre ti ch e ne s p ieghino il signifi cato , apparirà sempre controversa e ind urrà all'inganno. È meglio tenere in serbo le conside razioni s ull'inte ro argomento per quando tratteremo delle operazioni strategiche e sa remo in grado di notare i lo ro effetti reali sulla condotta della guerra nelle sue va rie forme. Lasciamo, pertant:o, la nostra prima classifi cazion e delle guerre in offe nsive e d ifensive e passiamo alla seconda classificazione che è l'unica che abbia una reale imporranza pratica.O>

(3) Appare qui opportuno ripor1:1re il commen to scritto c.J all 'ammira~ lio Fl:imigni sul testo inglese. durante la I rad uzion<.:: " l a d(/esa viene a do/I ala dal pi1ì debole fler sjìc111care il {Jilì forte. Per ollenere questo risultato s, appoggia a posizio11i preparate. cioè al terreno. In mare 11011 ha senso, percbé /"1111icaforma di difesa è quel-

la di stare in porlo, il che 11 011 solo 11 011 sjìm,ca l"awersario. ma lo lascia libem di fare ciò cbe vuole. Le altre forme di di(esc1 cilate in queste pagine 11011 so,w a/fallo d((esa ma scelta di posizioni s/rategicbe" (NdR).

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CAPITOLO III NATURA DELLE GUERRE - LIMITATE E ILLIMITATE

T a seconda classificazione a cui s iamo portati dal la teoria poliLiLca della guerra , è una classificazione che Clausewitz ha formulato per prima ed a lla q uale egli attribuì la massima importanza. Pe rtanto, diventa necessario esaminare i suoi punti di vista nel dettaglio, non perché ci sia u na qualche necessità di considerare un soldato continentale, CI) per quanto insigne, come un'ind ispensabile au torità pe r una nazione marittima. La ragione è piuttosto l'opposta. Il fatto è che un accurato esame della sua dottrina su q uesto punto dimostrerà quali sono le differenze sostanziai i fra la Scuola Strategica Germanica, o Continentale, e q uella Bri tannica , o Marittima, cioè la nostra scuola tradizionale che troppi autori, da noi e all 'estero, tranquillamente ritengono non esista. La funesta tende nza cl i questa supposizione deve essere messa in evidenza con forza e lo scopo prin cipale di questo capitolo e dei successivi sarà quello cli dirnostrare come e perché anche i più grandi strateghi con tinentali hanno ma ncato d i comprendere interamente il concetto caratteristico della tradizione britannica. Secondo la classificazione in questione, Clausewirz d istinse le guerre fra quelle che avevano un obiettivo "Limitato" e q ue lle il cu i obiettivo era "Illimitato". Una Lale classificazione rappresenta una sua caratteristica peculiare perché si basa non solo suJJa naLura maLeria le dell'ohiettivo, ma anche su certe considerazioni morali alle qual i egli, per primo, assegnò il giusto valore bellico. Altri autori, corn eJomin i, avevano tentato di classificare le guerre secondo lo scopo specifico

(1) Vedasi nota l Pa rte I, Cap. l (NdT) .

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per cui erano combattule, ma la lunga esperien,::a di stud io cli ClausewiLz lo convinse che una tale distinzione non era filosofica e non aveva alcuna appropriata relazione con qualsiasi sostenibile teoria della guerra. Cioè, contava molto se una guerra era positiva o negativa, ma il suo scopo specifico, se per esempio, secondo il sistema diJomini, e ra una guerra per ·· t ·c~/Jermazione dei diritti" o per "assistere un alleato " o per "acquisire dei territorio" , non conwva affatlo. Qualsiasi fosse l'obieuivo, la questione vitale e suprema era l'intensità con la quale l'anima dell a nazione si dedicava al suo consegu imento. Il vero punto da deLerminare nell'affrontare qualsiasi piano di guerra era: che cosa significa l'obienivo per i due belligerami? Quali sacrifici farebbero per lui? Q uali rischi sono pronti a correre? Fu così che Cla usewitz espresse il suo punto di vista: "Minore è il sacrificio che chiediamo al nostro auuersario, minori, presrunibilmente, saranno i mezzi di resistenza cbe egli impiegherà e, minori i s11oi mezzi, minori saranno quelli et noi richiesti. Similmente, più piccolo sarcì il nostro obiettivo politico, minor valore gli daremo e pii, fa cilmente saremo indotli ad abbandonar/o". Così, l'obiercivo politico deJla g ue rra, il suo movente originale, non solo determ inerà reciprocamente per e ntrambi i belligeranti il livello delle forze che useranno, ma sarà anche la misura dell'intensità degli sforzi che compiranno. Pertanlo, egli conclud e, ci possono essere guerre di tutte le sfumature d'importanza ed energia. da una guerra d i sterm inio giù fino al semplice uso di un esercito d 'osservazione. Lo stesso vale in campo navale, dove vi può essere una lotta mortale per la supremazia marittima oppure ostilità che non vanno mai o ltre il blocco. Gna cale visione sign ificava . naturalmente, allontanarsi di mollo dalla Leoria de lla "Gue rra Assolu La" da cui era partito ClausewiLz. Secondo quella teoria, la "G uerra Assoluta·· era la forma ideale alla quale cune le guerre avrebbero dovuto tendere e quelle che non lo facevano erano gue rre imperfette, paralizzate da lla mancanza di v.ero spirito militare. Ma, appena egli ebbe afferralo il fatto che nella viLa reale l'elemento morale deve sempre dominare il puro fattore militare, vide che stava lavorando su una base troppo ristreua, una base che e ra puramente teorica in quanto ignorava il fatto re umano. Egli cominciò a percepire che era logicamente errato assumere a fonda mento di un sistema stralegico l'esistenza di un solo mod ell o al quale tutte le guerre av rebbero dovuto conformarsi. Alla lu ce della s ua piena e fina le comprensione del valore ciel fattore umano, egli vide - 14 -


che le guerre ricadono in due ben definiLe categorie, ognuna delle quali avrebbe pocuto essere leginimameme affrontata in modo radica !mente diverso e no n, necessariamente, secondo le lince della "Guerra Assoluta". Egli vide che vi era un tipo cli guerra nella qua le l'obieuivo polit ico era cli così vitale impo rta nza per e ntrambi i be lligeranti che, per assicurarselo, essi '>arcbbero stati indotti a combattere fino all"estremo limite delle loro possibilità. Ma ve ne era anche un altro tipo, nel qua le l'obicLLivo era di minore importanza, ne l quale cioè il valore dello stesso. per uno o per entrambi i belligeranti. non e ra così grande da meritare !>acrifici di sangue e di danaro illimitati. Erano questi i due ti pi di gue rre che egli designò , provvisoriam e nte, "Illimi tata" e "Limitata··: con il che non intendeva dire che non bisogna usare la forza impiegata con rurro il vigore possibile, ma che ci pmrebbe essere un llmi te.okre il quale sa rebbe cattiva politica cons umare quelle c.:nergie, un punto nel qua le, ben prima che la nosLra fo rza sia esauriLa o anche solo intcramence impiegata, sarebbe saggio abbandonare l"obieLlivo piullosto che insistervi sopra. È assolutamente necessario comprendere bene questa distinzione perché spesso, con superficiali Là, si confonde con la distmzione a cui abbiamo fatto cenno , con qu ella all a quale Clausewitz giunse nella prima parte del suo lavoro, cioè la distinzione fra ciò che egli chiamò il carattere della guerra moderna e quello delle guerre che precedettero l'Era Napoleonica. Si ricordetà che egli ha insistito s ul fatto che le g ue rre del suo tempo era no stare guerre fra nazio ni armate, con la tendenza di scagliare l'imcro peso della nazione sulla linea del fuoco me ntre, nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, le g ue rre erano condotte da eserciti professionisti e non dall"incera nazione in armi. La distinzione. naturalmente, è reale e ha implicazioni di grande importanza, ma non ha alcuna re lazione con la distinzione fra guerre "Limitate" e "Illimitate". La g uerra può essere condotta col sistema napoleonico per un obiettivo sia limitato sia illimitato.

Un esempio moderno servirà per chiarire: le idee. La recente guerra russo-giapponese è staLa co1nbattura per un obiettivo limitato: la rivendicazione di ceni diritti su un terriLOrio che non faceva parte dei possedimenti di alcuno dei due belligeranti. le ostilità sono state condolle secondo g li indirizzi moderni da due nazioni arma te e non da eserciti pwfèssionisti. tvla nel caso di uno dei belligeranti il suo - •i5 -


interesse nell'obiettivo era così limitatO da indurlo ad abbandonarlo ben prima che l'i ntera sua forza, come nazione armata, fosse esaurita o, perfino, interamente spiegata. Il costo in vite umane e in danaro che la lotta richiedeva superava il v~ll ore de ll 'ob iettivo. Clausewitz considerò che questa seconda distinzione - cioè quella fra guerre Limitate e Tllimitate - avesse maggiore importanza di quella che aveva scoperto prima, sulla natura positiva o negativa delrobietti vo. l i suo grande lavoro Della Guerra, così come ce lo ha lasciato, segue quasi interamente il concetto dell'offensiva e della difensiva così come è applicato nell'ideale napoleon ico de lla g ue rra assoluta . La nuova idea g li venne verso la fine, nel la piena maturità dei suoi prolungati studi, e gli venne nel tentativo di applicare le sue speculazioni stra tegiche al processo pratico d i impostare un piano cli guerra in previsione di una rottura con la Francia. Fu solo nell 'ultima pane, Il Piano di Guerra,(2) che comi nciò a tratta rla. Tn q ue l momemo aveva afferralo il primo risultato pratico al quale la sua teoria portava. Egli vide che la distinzione fra guerre Limitate e Tllimi tate rarpresentava una d istinzione ca rd ina le nei metodi per condurle. Quando l'obiettivo è illimitato, scatena di conseguenza l'intero potenziale bellico avversario ed è evidente che non si può ouenere a lcuna decisione definitiva fino a quando il potenziale bellico nemico non sia stato diMruno. A meno che non si abbi::t una ragionevole speranza d i essere in grado d i farlo, è cattiva politica cercare di raggiungere i propri fini con la forza; in altre parole, non bisogna entrare in guerra. Nel caso d i un obiettivo limitato, tuttavia , la completa d istJuz io ne delle fo rze armate cie l nemico va oltre il necessario. È chiaro che si rossono raggiungere i p ro pri fini im pad ronendosi d e ll 'obiettivo e, sfruttando gli elementi di forza insiti nella difensiva, creare una situazione tale che la riconquista costerehbe al nemico mo lro più cl i qu anto no n va lga per lu i l'obie ttivo stesso. Esistevano quind i ampie diffe re nze ne i postulati fo nda mentali de l pia no cli guerra. Nel caso di una guerra illimitata la principale offensiva strategica deve essere d iretra contro le fo rze armate ciel nem ico; nel caso d i guerra limitala non è necessa riamente così, anche se l'obiettivo è positivo. e le condizioni sono favorevoli, potrebbe essere

(2) Si traua , come no to, del Libro VIJl " /)ella G'11e1-ra" (NdT).


sufficiente fare dell 'obiettivo stesso l'oggetto dell'offensiva strategica principale. È chiaro quindi che Clausewitz era giunto a una distinzione teorica ch e modificava il suo intero conceLlO d i strategia. Non vi è più quindi. da un punto di vista logico, un solo tipo di guerra, que lla Assoluta. non più un unico legittimo obietri,·o, le forze armate del ne mi co. Essendo una teoria concettu almeme hen fondata essa aveva naturalme nte un valore pratico immediato pe rché si trattava, owiamenrc, di una distinzione della quale l"effeui\ o lavoro di preparazione d el piano di guerra doveva tener conto fin dall'inizio. Una curiosa conferma della correttezza cl i questi concetti è che ]omini era giunto quasi alle stesse conclusioni da solo e per una via compleLam<..:nte dive rsa. 11 s uo me roclo, che e ra assolutamente co ncreto. fondato su ll a comparazione di fatti osservati, lo condusse. altrettanto bene del metodo astratto del suo rivale. alla conclusione che esisteva no due distinte classi di o biettivi. " Vi sono d11e d{f.Jèrenti tipi". dice, "11110 cbe può essere chiamato territoriale o geograji'co ... l'altro, al co11trario, consiste esclusivamente Hel!et dislruzione o disorganizzazione delleforze del nemico senza preocc11parsi di qualsiasi tipo di cara lleristica geografica". È nella prima categoria della sua prima classificazione principale, "Delle guerre offensive per rivendicare i propri diritti", che egli tratta di quelle che Clauscwitz chiamerebbe "G uerre Limitate". Cìtancio, come esemp io, la guerra di Federico il Grande per la conquista della Slesia. afferma: .. In 1111a tale guerra ... /e operazioni offensive devono essere proporzionali allo scopo previsto. La p rima mossa è. naturalmente, quella di occupare le province ri()endicate" (si noti che non è quella di dirigere l'attacco contro le principali forze <lei nemico)." Dopo di che", continua, '·si può spingere l'o.fJensi()a secondo le circoslanze e le forze relative i11 m odo da ottenere la desiderala cessione minacciando il nemico in casa sua". <3) Abbiamo qui l'intera dottrina deUa '·Guerra Limitata" di Clausewirz: anzitutto il mo mento primario o territoriale, ne l quale s i cerca di occupare l'obie ttivo geografico. e quindi il momento secondario o coercitivo, nel quale s i cerca, eserciLando una pressione generale su l ne mico, di costringerlo ad accettare l'avversa s ituazione che è stata creata.

(3) Pag. 14 ddl 'edizionL' in lingua inglese ·''l'he Philadc:lphia 1862 CNdT).

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Ari o/ \11/al'',

.J .B. Lippinrn tt & Co,


Ovviamente, un tale metodo di fare la guerrn differisce in modo fondamentale <la quello adottato abitualmente da Napoleonl!, rnttavia esso ci viene proposLo da Jomini e Clausewitz, i due apostoli del metodo napoleonico. Naturalmente la spiegazione è che entrambi avevano abbastanza esperienza per sapere che il metodo m1poleonico era applicabile solo quando si può esercitare una vera preponderanza, fisica o morale. Se esiste una tale preponderanza, entrambi sono sicuri della necessità di usare i mezzi estremi. alla maniera di Napoleone. 1 0n è che raccomandino la strada più bassa come migliore di quella più alta , ma essendo sperim entati ufficiali di Stato .Maggiore, e non semplici teorici, sapevano bene che un belligerante può a volte trovare che la strada più alla è superiore alle sue forze o superiore allo sforzo che l'animo della nazione è disposto a sopportare per l'obiettivo in visi a e, e.la uomini pratici qual i erano, si dedicarono allo studio delle pocenzialità dell a strada più bassa, nel caso la necessità li costringesse a percorrerla. Scoprirono che, in certe circostanze. queste potenzialità sono grandi. Quale esempio cli un caso nel quale la forma inferiore cli guerra era più appropriala, ]omini cita la campagna di Napoleone contro la Russia del 1812. Secondo lui sarebbe sta to meglio se Napoleone si fosse accontentato di iniziare con il metodo inferiore, con un obiettivo territoriale limitato, e atcribui"ice il fa llirnemo dcll'Tmperatore all'abuso cli un metodo che, per quamo fosse adatto per le sue guerre in Germania. non poteva ottenere successo nelle condizioni che una guerra in Russia presentava. Ricordando quanto grande fosse l'opinione che Napoleone aveva diJomini come maestro nell'arte della guerra, è curioso notare come oggigiorno siano ignorate le sue idee sul le due nature della guerra. È ancora più curioso nel caso cli Clausewitz perché sappiamo.che, nel pieno della sua autorità. egli finì col considcrnre questa classificazione come la chiave di volta dell'intero argomento. La spiegnione è che ta le d istinzione non è chiararrie nte formulata nei suoi primi sene libri, gli unici che lasciò quasi completati. <4 > Non fu se non quando scrisse l'ottavo libro , il Piano di Guerra. che vide l'importanza vitale della distinzione attorno alla quale aveva fino ad allora girato. In que l libro la distinzione è chiaramenl(! descritla, ma il libro, sfortunatamente, non fu mai terminato. Tuttavia, col manoscritto ci lasciò

( i) Tn cffeni Clau.sewitz rnnsidcrnva completo solo il Cap. I del 1 libro (NdT).


anche una "Nota" nella quale ci ammonisce a non considerare i suoi primi libri come completamenre rappresentativi de ll o sviluppo delle sue idee. Dalla nota appare anche evidente che egli pensava che la classificazione che aveva evidenzialo era della massima importanza, e che avrebbe chiarito wne le difficoltà che aveva incontrato nei suoi precedenti libri; difficoltà che egli aveva intravisto nascere da una considerazione troppo esclusiva del metodo napoleonico di condurre la guerra.

"Guardo ai prirn i sei Libri", scrisse nel 1827, "solo come una massa di materiale che è ancora senzafonna e che deve ancora essere revisionato. ln questa revisione i due tipi di guerre saranno considerati. ovunque, in modo più distinto e con ciò tutte le idee guadagneranno in chiarezza, precisione ed esattezza di applicazione ". Evidentemente egli era insoddisfatto della teoria della Guerra Assoluta con la quale aveva iniziato. La sua nuova scopena l'aveva convinlo che quella teoria non sarebbe servita come campione per tutti i tipi di guerre. "Dobbiamo", si domanda nel suo ultimo libro, .. dobbiamo

essere soddisfatti di questa idea e con essa giudicare tutte le guerre, per quanto diverse esse siano?". (S) Egli risponde negativamerne alla sua domanda: ''Non si possono determinare le esigenze di tutte le guerre ricavandole dal tipo napoleonico. Tenete presente quel tipo e il suo metodo assoluto e usatelo quando potete oppure quando dovete, ma tenete egualmente presente che le guerre sono di due nctture principali'' . Nella nola che scrisse allora, quando concepì per Ja prima volta questa distinzione, egli definisce nel modo seguente queste due forme di g uerra: "Nella prinia forma , lo scopo della guerra è di atterrare

,·avversario, sia distruggendolo polit'icamente, sia mettendolo semplicmnente nell'impossibilità di d(fendersi. e imponendogli quindi la pace che si vuole. Nella seconda forma , lo scopo della guerra si limita al proposito di.fare qualche conquista lungo la.frontiera dello Stato, sia che si intenda conservarla, sia che si voglia sfruttarla come mezzo vantaggioso di scambio nelle trattative di pace". <6> È nell'ouavo libro che egli intendeva, se fosse vissuto, sviluppare la pregnante idea che aveva concepito. Di quel libro disse: "qu i sopral/u/to,Jarò risultare i due

(5) "Della G11erra», Libro VIll Cap. II. (6) Jbid. (pag. 9 dell 'edizione iLa liana Oscar Mondadori 1970).

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punti di vista suaccennati che sempl(/ichera11110 e uiu(/i'chera11no /"assieme . .l1Iedia 11te questo libro, spero di cancellare- come co11 lfn colpo di.ferro- molte pieghe inveterate nelle idee degli strateghi e degli uomini di Stato. lii ogni caso, mostrerò almeno cbe cosa sia Lllta guerra e che cosa occorra pre11Clere in co11siderazione i11 rapporto a tale euento .. _<7 > Quella speranza non fu mai realizzata ed è forse per questo che la sua penetrante analisi è stara così tanlo ignorata. L'ottavo lihro, quale ci è giu nto. è solo un frammenlo. Nella primavera de l 1830 - in un momenm cli preoccupazione, quando sembrava che la Prussia avrehhe avuw bisogno del meglio di se stessa per un alLro scontro con la Francia - egli fu ch iamalo a un comando attivo. Ciò che lasciò nel libro su "Il Piano di Guerra'' fu da lui descritto come "un semplice la voro di esplorazione della materia, destinato ad attlfare u11 primo orie11tame11to di studio per constatare i punti salien ti ''. Era sua intenzione, affe rm a, cli "riporta re lo spirito di qlleste idee a 11che Ilei primi sei libri", coronare il suo lavoro elaborando cd insistendo sulle sue due grandi proposizioni, cioè che la guerra è una forma d i polìLica e che, essendo così, può essere LimiwLa o Illimitata. Ciascuno è libero di giudicare fino a che punro egli avrebbe Lrasfuso le sue nuove idee nell'intero lavoro, ma rim ane indiscutibile che lo avrebhe fatto. Nell'inverno, a causa de l minaccioso aueggiamento della Francia nei confronti del Belgio, egli preparò un piano di guerra ch e non corrispondeva al meLodo napoleon ico cli fare delle forze armate ciel nemico il principale obiettivo strategico, ma prevedeva di occupare un limitato ohiectivo territoriale e costringere i francesi a una svantaggiosa controffensiva. 11 movimento rivoluzionario in tutta Europa aveva ridotto a pezzi la Santa Alleanza. Non solo la Prussia

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(7) !bici. pag. 1O. La traduzione del Corbell di queste frasi del Clausewitz differisce leggermcnce dalla tradu ziom: italiana. Si è preferito riportare quella dell'edizione italiana rer due motivi: primo, pcrch(: una doppia 1:r:1cl1c1zione è, se possibile, da evirare; secondo, perché la Lraduzione italiana è molto più corrispondente di quella del Corbcu alla traduzione inglese di M. Howard e P. Parei 0976) e a quella francese di D. Navill{: 0955). Purtroppo non si è roturo fare Llll confron to con l'originak: perché nd l'ecl izionc in nos1ro possesso (Lipsia 1937) no n sono riportme le note del luglio 1827 e del 1830 (l\dT).

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si trovava da sola contro la Francia. ma era essa stessa minata dalia rivolu zione. Adottare la fo rma cli guerra più alta e cercare d i distruggere le forze armare del nemico era o ltre le sue possibilità. Ma poteva ancora usare la forma più bassa e, occupando il Belgio , poteva imporre alla Francia un compito così pesante che la sua forza poteva ben o ttenere il s uccesso. Fu esa ttamente così che noi stessi ci sforzammo d i iniziare la Guerra dei Sette Anni; è s LatO esattamente così che i giapponesi co ndussero con successo la guerra contro la Russia; -e, ciò che è ancor più significativo, fu seguendo questa linea che nel 1859 Molcke, in circostanze simili. preparò il suo primo piano d i guerra alla Francia. La sua idea, a quel tempo, era in linea con quella che Jomini sostiene avrebbe dovuto seguire Napoleone nel 1812. No n intendeva attaccare direttamente Parigi o il principale esercito francese , ma occupare l'Alsazia-Lorena e mantenere quel territorio fino a quando il cambiamento delle condizion i gl i avrebbe dato la necessaria preponderanza pe r procedere nella forma più alla della guerra o per ottenere u na pace favorevole. In conclusione, q uindi, dobbiamo notare che il frutto maturo del periodo napoleonico fu una teoria della g uerra basata non su una singola idea assolu ta, ma sulla doppia distinzione di guerra Limitata e Il.limitata. Qualsiasi sia l'impo nanza pratica che si voglia assegnare a questa distinzione, questo è q uanto si ded uce dalle affe rmazioni, chiare e precise, di Clausewitz e Jomini. La s ua importanza pratica è un'altra questione. Si può onestamente argomentare che, per ragioni che appariranno in seguito, nella gue1Ta continentale - nonostante gli esemp i citati dai due autori classici - la s ua importanza non sia così grande . Ma si deve ricordare che la guerra continenta le non è la sola forma di guerra nella quale sono decise le grandi questioni inte rnazionali. Rimanendo sLd pu nro fina le raggiunto da Clausewitz e Jomini, ci troviamo solamente sulla soglia d ell'argomento. Dobbiamo cominciare d a dove essi sono giunti e scoprire che cosa le loro idee possono djrci rig uardo alle condizio ni moderne d i Stati impe riali mond iali, cond izioni nella quali il mare diventa u n fatto re d iretto e vitale.

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CAPITOLO IV GUERRE LTMl 'J'ATE E IMPERT MARITTTMI SVILUPPI DELLA TEORTA DI CLAUSEWITZ E JOMTNl SU UN OBIETrIYO TERRITORIALE LlMlTATO E SUA APPLTCAZ fONE ALLE MODERNE CONDIZIONI IMPERIALI

pi ani d i guerra germanici prima cita ti, basati rispettivamente sull'occupazione del Belgio e dell 'Alsazia-Lorena, e le osservazioni ciiJomini sulla disastrosa campagna di Russia di rapoleone, dimostrano efficacemente fino a che punto e rano giunti gli strateghi continenta li su lla strada che Clausewitz pe r primo aveva chi aramente ind icato. Dobbiamo ora considerare la sua applicazione alle moderne condizioni imperiali e, soprattullo, vedere dove l'elemento marittimo si impone con forza. Vedremo così quanto poca sia stata la strada pe rcorsa se paragonata agli effetti di grande portata che essa ha per una Potenza marittima e soprattu tto insulare.

I

È chfaro che lo stesso Clausewilz non comprese mai l'intera po rtata della sua brillante teoria. La sua visione era puramente continen-

tale e le li mitazion i della guerra continentale tendono ad offuscare il pieno sign ificato clel principio a cu i egli ba dato fo rma. Fosse vissuto, ci sono pochi dubbi che l'avrebbe sviluppato fino alle sue logiche conclusioni , ma la sua morte conda nnò la teoria del la guerra limitata a ri manere nelle cond izioni rudimentali nelle quali egli l'aveva lasciata. i osserverà che in tutlo il suo lavoro Clausewitz, com'è naturale, ebbe in mente u na guerra fra due stati continen ta li contigui o al-

meno ad iacenti, e una b reve considerazio ne dimostra subito che in questo tipo di guerra il principio dell 'obiettivo limitato raramente, forse mai , si impone con perfetta precisione. Lo stesso Clausewirz lo affe rmò p iuuosto chi arame nte. Presumendo un caso nel quale la "d istruzione ciel nemico" - cioè la guerra illimitata - sia oltre le nostre

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possibilità, egli puntualizza che non per questo s i debba necessariamente agire sulla difensiva. La nostra azione può ancora essere positiva e offensiva, ma l'obiettivo p uò non essere nulla cli più che la "conquista di parte ciel territorio n emico". Egli sapeva ch e una tale conquista può indebolire il nemico o rinforza re la nostra posizione in modo da consentirci di ottenere una pace soddisfacente. Il corso della s coria è invero cosparso di s imili casi. Tuttavia egli fu abbastanza prudente da evidenzia re che una tale forma di gue rra s i p resta alle obiezioni più serie. Una volta occupato il territorio prescelto, l'azione offens iva , di solilo, s i arresta. Si deve allora assumere un atteggiamento difens ivo ed egli aveva preceden temente dimostrato che un tale arresto dell'a zione offensiva era, se non altro p e r ragio ni cli morale, intrinsecamente pernicioso. In aggiunta ci si può trovare nella cond izione in cui , nello sforzo di occupare l'obiettivo territoriale, le nostre forze d 'attacco siano così irrimediabilmeme se parate dalle forze di difesa del nostro territorio da non essere in condizione cli opporsi al nemico se questi è in grado di rispondere, secondo la forma di gue rra illimitata, con un colpo diretto al cuore delle nostre forze. Questo fu il caso della campagna di Austerli tz , q uando l'obiettivo dell'Austria era di strappare il orci Italia all 'Impero di Napoleone. Essa inviò il suo esercito principale, sotto l'Arciduca Carlo, ad occupare il territorio desiderato. Napoleone attaccò immed iatamente verso Vienna. distrusse l'esercito Lerricoriale austriaco e occupò la ca pitale pri ma che l'Arciduca Carlo potesse ritornare per sbarrargli la strada. La questione quindi è la seguente: poiché qualsiasi attacco strateg ico tende a lasc iare scoperti su lla propria fronte , si renderanno sempre necessari provvedimen ti difensivi più o meno g randi. È pertanto ovvio che, se si mira a un obiettivo terri toriale limitato, la quantità di difesa richiesta tenderà a essere molto maggiore rispetto a quella necessa ria quando l'attacco è diretto contro le forze principali del ne mico. In una g uerra illimitata l'attacco stesso produrrà la difesa tomie del resto perché costringe rà il n emico a concentrarsi conLro dì esso. Pertanto, se la forma limitata sia o meno giusLificabile dipend e, come ha ev ide nziato Clausewitz, dalla posizione geografica dell 'obiettivo. Fino a questo punto l'esperienza b ritan nica gl i dà rag ione. Ma egli poi prosegue affermando che più il territorio in qu estione è prossimo e p uò essere annesso a l nostro, più questa forma di guerra è s icura perché, in questo caso, la nostra azione offensiva può sicurameme

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coprire la nostra patria. Come esempio egli cita Federico il Grande che iniziò la Guerra elci SeLte Anni con l"occupazione della Sassonia: un ·azion e che rinfo r7.ò materialmente la difesa prussiana. Ma non dice nulla d e i britann ici che ini ziarono la stessa guerra in Canada. Il suo modo di vedere era troppo e elusivamente continentale perché gli venisse in mente di co nfrontare la sua dottrina con un caso di notevole successo nel qua le il te rrito rio a cu i si mirava era distante da lla madrepatria e non poteva in alcun modo esse re usato per proteggerla. Se vi avesse pensato, avrebbe visto quanto più consisteme, come esempio de i vantaggi della guerra li mitata, fosse il caso del Canada in confronto a quel lo della Sassonia. Inoltre. avrebbe a nche visto che le difficoltà che. nonostante la sua fiducia nella sua scoperta accompagna vano il suo tentativo d i applicazione, nasceva no dal fatto che gli esempi che aveva selezionato non e rano, in realtà, per nuU a esempi. Quando concepì l'idea della guerra limilata, l' unico tipo di obiettivo limitato che aveva in n1e nte era, per usa re le sue stesse parole , ·'qualche conquista alle frontiere del paese 11emico", come la Slesia e la Sassonia per Federico il Grande; il Belgio, nel suo stesso piano di guerra e l' Alsazia-Lorena in q uello di Mohke. O ra è ovvio che quest i obiettivi non sono propriamente li mitati, per d ue ragion i: in primo luogo tali terriLOri fanno normalmente parte organica del paese nem ico oppure sono così importanti per il nemico stesso, che egli sarà dispos to ad impiegare sforzi illi mitati pur d i mantenerl i; in secondo luogo, non vi è alcun ostacolo strategico che impedisca al nemico di usare l'intera s ua forza a questo scopo . Per soddisfare in p ieno il concetto d i un ob iettivo limitalo è essenzia le un a dell e seguenti due condizioni: la prima, è che l'obiettivo non deve essere semplicemente limitato in ampiezza, ma deve effettivamente avere una limita ta importa nza politica; la second a, è c he l'obielli vo d eve essere s iLuato in modo tale da essere già strategicameme isolato o da poter praticamente esserlo per mezzo di operazioni strategiche. Se nessuna di queste due cond izioni suss iste, è n e! pote re di uno dei belligeranti, come lo stesso ClausewiLz intravide, passare alla guerra illimitata se lo desidera e, ignorando l'obiettivo terriroriale, attaccare al cuore il nemico e costrin gerlo a desiste re. Quindi, se si considera solo la guerra fra due staLi conti11enta li contigui, nella quale l'obienivo è la conquisca di un pe7.zo cli territorio ad iacente a ll e loro fron tie re, non s i ri cava alcuna rea le, ge ne rica differenza fra la guerra Jimitarn e quel la illimitata. In ogni caso la linea - 55 -


che le divide è troppo nebulosa o instabile per forni re una classificazione di una qualche consistenza. È una differenza di gradazione più che di tipo . Se, d'altro lato, si estende l'osservazione alle guerre fra imperi mo ndiali, la distinzione diventa subito fonclarnenralc. Possedimenti che si trovano olt remare o alle estremità di vaste :wne di territorio non completamente abitate, rientrano in una categoria comp letamente diversa dagli obiettivi limitati contemplati da Clausewitz. La sto ria d imostra che questi non potranno mai avere l'importanza politi ca degli obiettivi che sono parte organica dell'Equilibrio europeo e dimostra anche che le operazioni navali possono s uffic ientemente isolarli in modo eia porre le condizioni per una vera g ue rra limi tata. Jomini si avvicina al nocciolo dell a q uesti one, ma senza coglierla. Nel capitolo ·'S11llegrandi invasioni e spedizioni lontane" , egli evidenzia quanto sia pericoloso considerare le condizioni belliche fra due stati contigui e applicarle sommariamente ai casi in cui i belligeranti sono separati da ampie zone d i terra o cl i mare. Egli gira attorno al fattore mare, avve rtendo q uanto grande sia il s uo peso, ma senza riuscire ad avvicinarsi alla reale diversità . TI suo concetto cli a7. io ne reciproca fra le flotte e gli eserciti non si solleva mai oltre l'effettiva cooperazione, in contatto fra di loro, in lontani teatri operativi. Egli ha in mente l'assistenza che la Flotta lìritannica fornì a Wellington nella penisola iberica e i sogni napoleonic i d i conqu iste in Asia e afferma che tali invasioni a distanza sono impossibili nei temp i modern i eccetto, forse, quando è disponibile una potente flotta che possa procurare successive basi avanzate per l'esercito d'invasione. on fa alcun cenno al fo ndamenta le valo re cl1e hanno le funzion i di isolamento e di p revenzio ne eia parte della flotta. Anche qua ndo tratta di operazioni oltremare, come fa in certa misura, non riesce ad avvicina rsi al nocciolo . È in effetti significativo d i quanto il pensiero continentale abbia com pletaineme mancato d i penetrare l'argomento. il fatto che, pur dedicando oltre trenta pagine all'e numerazio ne dei principi riguardanti le operazioni oltremare, egli , co me Clausew itz, non facc ia menzione della conquista del Canada. Eppure è il caso principale nel qua le una Potenza militarmente debole, riuscì, usando una forma di guerra limitata, ad imporre il s uo volere ad una più forte. Ed ebbe successo perché con razione navale fu in grado di assicurare la difesa della madrepatria e l'isolamento de ll'ob ieui vo territoriale. - 56 -


Pertanto , date le nostre idee su ciò che sono i veri obiettivi limitati, dobbiamo abbandonare i teatri continentali e passare a considerare le guerre miste o esclusivamente mariuime. Dobbiamo considerare casi come q L1elli del Ca nada e dell 'Avana nella Guerra dei Sette Anni e Cuba nella Guerra ispano-americana, casi nei qua li fu possibile il completo isolamenm dell'obiettivo per mezzo di azioni naval i; o esempi come la Crimea e la Corea, ove fu possibile un sufficiente isolamento, sempre per mezzo dell'azione navale, a causa della lunghezza e delle difficoltà delle comunicazioni terrest1i nemiche e della situazione strategica del territorio disputato. Questi esempi servirnono anche a sp iegare ed a mette re in evid enza il secondo punto essenziale di questo tipo di guerra. Come si è già detto, per mirare ad un vero obiettivo limitato occorre avere non solo la capacità cli isolamento, ma anche, tramite una sicura d ifesa della madrepatri a, q ue lla di interdi1·e un contrattacco illimitato . Queste conc.)izioni esistevano in tutti i casi citati; in essi i belligeranti non avevano front ie re contigue, e q uesto punto è vitale. Perché è ovvio che , se due belligeranti hanno una frontiera in comune, è consentito a ch i è superiore, non importa quanta lontano o quanto facile sia isolare l'obi ettivo limitato, passare a sua d iscrezione alla guerra illimitata, invad ~ndo il terriwrio avversario. Questo processo è possibile anche q uando i belligeranti siano separati eia uno Stato neutrale , dal momento che i1 territorio di un debole neutrale sarà violato se l'obiettivo è sufficiente mente importante e , anche quando lo stato neutrale è troppo forte per essere coartato, rimane ancora la possibilità d i assicurarsi la sua alleanza. Formuliamo quindi la segue nte proposizione: che la guerra limitata è permanentemente possibile solo a Potenze ins ulari o fra Potenze che sono separate da l mare e , anche allora, solo quando la Potenza che intende condurre una guerra limitata è in grado di dominare il mare a tal punto da essere capace non solo d i isolare l'obiettivo lontano , ma anche di reo.de re impossibile l'invasione del te rritorio palrio. Quindi, a questo punto, arriviamo al vero significato e al più alto valore militare di ciò che chiamiamo dominio del mare, e scopriamo così il segrero del successo dell'Inghilterra contro Potenze militarmente a le i mo lto s uperiori. È solo naturale che un tale segreto sia stato penetrato per primo d a un inglese. Perché così fu, anche se si deve ammettere che è solo al la luce della dottrina di Clausewitz che si rivela - 57 -


l'i ntero significato del famoso aforisma di Bacone. "Questo è certo··, disse il g rande elisabett iano ci rca l'esperienza della nostra prima guerra imperiale, "colui cbe domina il mare ba grande libertà e p11ò impegnarsi 11ella guerra a suo piacime11to mentre coloro cbe sono più forti sulla terra si trovano, ciò nonostante, molte volte in grandi difficoltà". Sarebbe difficile esprimere più concisamente il fondamentale sign ificato della dotcrina di Cla usewitz. La sua verità cardinale è chiaramente indicata : le guerre lim itate non rigua rdano la forza armata dei belligeranti, ma riguardano quella porzione d i forza che ess i possono o vog liono impiegare nel punto decisivo. È un vero pecca to che Clausewitz non sia vissuto abbastanza per vedere con gli occhi di Bacone e svi luppare l'intera portata della sua dottrina. La sua ambizione era di formulare una teoria che spiegasse tutte le guerre. Pensava di averlo fatto , eppure è chiaro che non seppe mai quanto completo sia stato il suo s uccesso e neanche quanto gra nde sia stato il campo coperto dalla sua indagine. Sembra che sia stato incensa pevole, fino alla fine, cli aver trovato una spiegnione al più imperscrutabi le problema della storia - l'espansio ne dell'Inghilterra - almeno per la parte dovuta a guerre vittoriose. Che un piccolo paese, con un debo le esercito, sia stato capace di assicurarsi le più ambite regioni della terra, e assicura rsele a spese delle maggiori Potenze militari, è un paradosso con il quale quelle Potenze trovano d iffic ile riconciliarsi. Il fenomeno è sempre sembrato dovuto al caso: un accidente senza alcun fondamento nelle costami essenziali della guerra. Doveva essere Clausewicz a scoprire, senza sa perlo, la spiegazione, e ce la rivela con la forza intrinseca della guerra limitata quando mezz i e condizioni sono favorevoli al suo uso.

Quindi, se osserviamo un panorama più ampio d i quello preso in considerazione da Clause\.Yitz e sottoponiamo le sue ultime idee all a prova de lle attuali cond izioni imperiali, troviamo che, ben lungi dal mancare di coprire l'argomento, esse acqu istano incero significa to e solida base. Applichiamole alla guerra marittima e diventerà chiaro che la d istinzio ne fra guerra lìm icara e illi mitata non poggia solamente sul fattore mora le. Una gue rra può essere limitata no n solo perché l'importanza dell'obiettivo è troppo limitata per causare l'imp iego de ll 'intera forza della nazione, ma anche perché si p uò fa re in modo che il mare diventi un insuperabile ostacolo fisico per l'uso di quella forza. In altre parole , una guerra può essere limitata tanto fisicamente, dall'isolamen to strategico dell 'obiettivo, quanto moralmente, dalla sua relativa poca importanza. - 58 -


CAPITOLO V GUERRE D'INTERVENTO

L'ffERFERENZA LIMITATA IN GUEIUlE ILLIMITATE

rima di abbandonare le considerazioni ge nerali s ulla g uerra lìmiP caca, dobbiamo ancora trattare di una sua forma non ancora menziona ta. Clausewitz le d iede il nom e provvisorio cli "Guerra lim itata

all'assegnazio11e di un con/ingente diforze··W e non poté trovarle alcun posto nel suo sistema. Gli sembrò che differisse essenzialmente dalla guerra limitata nell'obiettivo politico ovvero, come d isse Jomini , dalla guerra con un obiettivo territoriale. Tuttavia doveva essere (')l'esa in considerazione e spiegata, se non alcro per la parte che ebbe nella storia eu ropea. Essa richiede il nostro esame più accurato, non solo perché il grande stra tega germ anico fu frustrato ne l concil iarla con la s ua teoria della guerra, ma anche perché è la forma ne lla quale la Gran Bretagna dimostrò, con molto successo, la potenzialità che un piccolo esercito, che agisce insieme a una !lotta predominante, ha d i interferi re d irettamente sul continente. Le o perazio ni comb inate, che e rano l'es pressio ne normale del metodo britanni co di fa re la guerra su base limitata, si dividevano in due classi principali. Primo, vi erano quelle destinate solamente alla conquista degli obiettivi per i quali en travamo in guerra, obiettivi che

( l) L'espressione ·'contingente" presuppone l'esistenza di un alleaco al quale quel con-

Lingentc di for7c sia Stato assegnato. La partecipazione alla guerra da parte dello Stato che assegna il <:oncingcnte è, ovvinmenw, di canmerc limit:iLO, ma non è detto che la gu<:rra sia limitata. Vedasi "De/fa Guerra" Libro VIII Cap. \Il pa r. a. Corbeu usa l'e:,pressione • 111/ar by co11ti11gent " fra virgolette, ma non c:,iste un'espn.:ssionc simile in Clausewilz, anche se il con<:erto 0 lo stesso (NdT).

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di solito erano coloniali o lontani te rri tori oltremare ; secondo, operazioni più o meno su lla costa euro pea, progettare non per la conquista permanente, ma come metodo per disturbare i piani dei nostri nemici e rinforzare i nostri alleati e la nostra stessa posizione. Tali operazioni potevano prendere la fo rma di insignifican ti diversioni costiere oppure potevano salire ne ll a sca la dell'importanza fino a diventare, come le operazioni cli Wel lington nel la Penisola Iberica,(2) indistinguibili, nella forma, da una regolare guerra continentale. Sembrerebbe, perciò, che queste o perazio ni si distinguano non tanto per Ja natura dell·obiettivo quanto pe r il fatto che dedicavamo lo ro non l' intera nostra fo rza militare, ma solo una certa parte, nota come "disposal force"< 3). Di conseguen za esse sembrano richiedere una specifica classificazio ne e rientra re naturalmente nella categoria che Clausewitz chi amò "Guerra limitata a/rassegnazione di 11n contingente diforz<!'. È ne l sesto capitol o del suo ultimo libro che Clausewitz intendeva trattare questa forma anomal a di ostili tà. La sua morte pre matura , tuttavia , ci ha lasciati con solo un frammento nel quale confessa che qu esti casi sono "imbarazzanti per la sua teoria". Il proble ma, aggiunge, sarebbe abhaslanza semplice se le fo rze ausi liarie fossero messe, sen za riserva; a dis pos izio ne del principale belligcranle. In effetti sarebbe, a llora, la stessa cosa di una guerra illimitata con l'aiLiLO d i una forza s ussidiaria. Ma in p ratica . osserva, ciò avviene di rado perché il continge nte di Lrup pe è se mp re stato più o me no contro llato secondo gli specifici fini poliLici ciel Governo che lo forniva. Conseguentemente l'unica conclusione a ll a quale po té giungere era che si trattava di una forma di g uerra limitata che d oveva essere tenuta in conside razione e che sembrava diffe rire in modo esse nziale da quella limitata nelJ 'obi ercivo. Di farro ricav ia mo l'impressione che ci debbano essere due tipi di guerra limitata .

(2) li traduttore giustamente usa l'espressio ne '·Penisola Iberica"; ma J' A. usa invece l'espressione "Pe11i11s11/a", intendendo ovviamente la Spagna; anche più avanri nc.:l testo, quando si parla d i \q11erre pe11insu/ari", per tal<.: espressione si deve intendere •·guerre co111ro la Spag11a··. Tn altri termini, per la Gran Bretagna, potenza insulare e marittima per antonomasia, la Spagna era la " Pe11ins11/c1" per ecceUen7.a ( ·dR). (3) Si è lasciata l a dizione inglese perché la traduzi one italiana ·'forze a dispo.~izione" no n renderebhe il doppio significato di forze a disposizione, ma anche ''spendibili'' (NdT).

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Ma se seguiamo il suo metodo storico ed esaminiamo i casi nei quali questo genere di guerra ha avuto successo e quell i nei quali non l'ha avuto, troveremo che, laddove il successo è assunto come indice del loro corretto impiego, la distinzione pratica fra i due tipi di guerra limitata tende a scomparire. Le indicazioni sono che quando i fattori essenziali che giustificano l'uso della guerra limitata nell'obiettivo sono presenti nella guerra lin1itata all'assegnazione di u n contingente di forze, allora questa forma cli guerra tende ad avere successo, ma non altrimenti. Di fatto siamo portati alla seguente proposizione: che la distinzione "limitata all'assegnazione di un contingente di.forze" non è u na d istinzione che sia inerente alla guerra ed è piuttosto fuori della teoria che abbiamo sottomano; in realtà, essa non è una forma di guerra, ma un rnetodo che può essere impiegato sia nella guerra limitata sia in quella illimitata. In altre parole , la guerra limitata all'assegnazione di un contingente di forze, se proprio deve essere considerata una forma legittima di guerra, deve decisamente assu mere l' una o l'altra forma. Delle due l'una , o il contingente assegnato agisce come unità organica, senza alcuna restrizione, della forza che conduce la guerra illimitata; oppure gli deve essere dato un preciso obiettivo territoriale, con una organizzazione indipendente e indipendenti, limitate funzioni. La nostra stessa esperienza sembra indicare che la guerra limitata all'assegnazione di u n contingente di fo rze o la guerra con le "disposaiforces" ottiene il massimo successo quando si avvicina il più possibile alla vera guerra limitata: cioè, come nel caso della Penisola Iberica e della Crimea, quando l'obiettivo è di strappare al nemico, o proteggere dallo stesso , una data parte di territorio che può essere, io maggior o minor misura, isolato con operazioni navali. La sua efficacia operativa, di fatto, sembra avere qualche diretta relazione con il livello di coordinamento con il quale possono essere attuate le azioni navali e terrestri, così da dare al contingente impiegato un peso e una mobilità ben superiori alla sua potenzialità intrinseca. Q uindi, se vogliamo districarci dalle difficoltà della guerra limitata all'assegnazione cli un contingente d i forze, sembra necessario distinguere fra la sua forma continentale e quella britannica. La forma continentale, come abbiamo visto, differisce concettualmente di poco dalla guerra illimitata. Il contingente cli truppe è assegnato, almeno apparentemente , allo scopo di essere utilizzato dal principale stato belligerante per aiutarlo a sconfiggere il comune nemico e - 61 -


il suo obiettivo sarà la forza organizzata del nemico o la sua ca pita le. Può anche dars i che il conlinge nte cli truppe debba essere usato come un'armata d 'osservazione per prevenire un contrattacco, così da facilitare e proteggere il principale movimento offensivo del principale stato belligerante. In ognuno di q u esti casi, per qua nto piccolo sia il nostro contributo alla forza alleata, usiamo la forma illimitata e miri amo a un o biettivo illimitato e non ad un puro obiettivo territoriale.

Se torn iamo ora all 'esperienza britannica cli guerra limitata all'assegnazione di un contingente di fo rze, troviamo che la forma co ntinentale è s tata frequentemente usata, ma troviamo anche che è stata quasi invariabilmente accompagnata dall'avversione de l popolo, com e se ci fosse in essa qualcosa di contrario all'istinto nazionale . Un caso e mble matico è qu ello dell'ass istenza che o ffrimmo a Federico il Grande durante la Guerra dei Sette Anni. All'inizio della g ue rra laripugnanza popolare fu talmente grande che l'aiuto fu giudicato impossibile; e fu solo quando l'abbagliante resistenza cli Fede rico alle po tenze cattoliche lo rivescì d e lla gloria di eroe protestante che Pitt poté fa re ciò che aveva sempre voluto. Il vecchio ardore religioso fu risvegliato; il più potente d i tutti gli istinti nazi onali in fiammò il p opolo cli un generoso fuoco che superò l'innata antipatia per le operazioni conti ne ntali , e fu p ossibi le inviare un sostanzioso contingente di truppe in aiuto a Federico. Alla fine l'a iuto raggiunse il suo scopo, ma s i deve no tare che anche in qu esto caso le operazioni erano limitate non solo ne lla qu antità di forze, ma anche nell 'obiettivo. È vero che Federico era impegnato in una guerra illimitata nella quale l'esistenza della Pruss ia era in gioco e che la forza britannica era un elemento organico del su o piano di gu erra . Ciò nonostante quella forza era pa rte di un 'armata, sovvenzionata dalla Gran Bretagna, com andata da l Principe Ferdinando di Brunswick il quale, sebben e nominato da Federico, era un Comandante in Capo britannico. La sua a rmata era , d al punto cli vista o rganizzativo, completamente dis cinta dall 'esercito di Federico e ad essa fu assegnato il compito limitato di impedire a i francesi cli occu p are l'IJannover e di aggirare così il fianco destro prussiano. Infine s i deve notare che l'a bilità di q uest'armata ne llo svolgimento del suo compito fu d ovuta al fatro che il teatro d 'o perazioni assegnatole era tale che in n essun caso avrebbe perso contatto col mare, né il n emico avrebbe potuto cag liare le su e linee d i rifornimento e di ritirata. È opportuno che q ueste ca ratteristiche dell 'impresa s iano notate ; esse differe nzia no l'impresa stessa dall'uso che avevamo facto in - 62 -


preceden za della guerra limitata all'assegnazione di un con tingente di forze, della quale sono tipiche le campagne di Marlbo rough, e 1110strano quella forma pa rticolare che Marlborough avrebbe scelto se le esigenze politiche l'avessero permesso e che divenne caratteristica degli sforzi ingles i dal tempo d i Pitt in poi. Nel metodo applicato dal nostro pjù grande Ministro della Guerra abbiamo non solo il limite delle forze impiegate, ma anche il limite d i una funzione definita ed indipendente e, infine, abbiamo iJ contarto col mare. Questo è il vero fattore vitale e da esso, come risulterà chiaro tra poco, dipende l'efficacia del metodo. Nella prima parte della Grande Guerra (4) u sammo la stessa fo rma ne lle nostre operazioni nell'Europa nord-occidentale. C'era anche la funzione limitata cli salvare l'Olanda e di mamenere il completo collegamento col mare, ma il nostro teatro d'operazioni non e ra indipendente. Vi e rano coinvolte strette, co ncertate azioni con altre forze e il risultato, in tutti i casi, fu fa llin1entare. In seguito, in Sicilia, dove e ra possibile un completo isolamento, l'efficacia del metodo ci consentì di raggiungere risultati duraturi con mezzi alquanto ridotti. Ma i ris ultati furono puramente dife nsivi. Fu solo quando la guerra si estese alla Penisola Iberica che trovammo un teatro di guerra limitata nella quantità di mezzi impiegati nella quale erano presenti tutte le condi zion i per il successo. E anche lì, fino a quando il nostro eserci to fu considerato solo come un contingente ausiliario dell'esercito spagnolo, si ebbe il solito fallimento. Solo in Portogallo, la cui difesa era un vero obietti vo limitato e dove avevamo un teatro cl'operazioni circondata dal mare e indipendente da alleati estranei, il successo fu ottenuto fin dall'inizio. In questo caso quel m etodo di guerra fu così efficace, e così stressante quello iinposto al nemico che, col tempo, l'equilibrio de lle forze fu rovesciato e fummo in grado di passare ad una decisa offensiva . Il vero segreto del s uccesso di Wellington - a parte il s uo genio fu che, in condizioni perfette, egli applicava la forma limitata cl i guerra a una g uerra illimitata. Il nostro obiettivo era illimitato: nie nte di meno che la caduta di Napoleone. Un completo successo in mare aveva fallito allo scopo, ma quet s uccesso ci aveva d ato la possibilità d i

(4.) Al lude, ovviamente, alla guerra contro Napoleone (NdT).

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applicare la forma limitata di guerra, che era la forma o ffen siva pw decisiva a portata de i nostri mezzi. Il suo sostanzia le contribuw al raggiungimento cle ll'obietl ivo finale è o ra universa lmente riconosciuto. Quindi , la conclusione generale di qu este considerazion i è che la g ue rra limitata nella quantità di forze impiegate, nella sua forma contine ntal e, raramente o mai differisce genericamente dalla guerra illimitata perché rara me nte o mai sono presenti le condizioni richieste da una guerra limitata. Ma ciò che può essere chiamata la forma britannica o marittima cl i g uerra è, in e ffetti , l'applicazione del metodo limitato a lla fo rma illimitata, come aus iliaria alle più vaste o perazioni dei nostri alleati; un met0do che abbiamo potuto usare perché il controllo del mare ci consentiva d i scegliere un teatro operativo veramente limitato. <5) E se le condizioni del conflitto nel quale desideriamo inte rvenire sono tali che non è disponibile un vero teatro limi tato? In tale caso dovremo sceglie re: o assegnare un contingente di truppe ch iaramente a disposizione del nostro alleato o limitarci alla diversione costiera , come facemm.o nel le prime campagn e d e lla Gue rra dei Sette Anni dietro richiesta di Federico il Grande. Tali o perazio ni possono rarame nte essere sodd isfacenti per entrambe le parti. La scarsità di risultati positivi ottenuti dai nostri sfo rz i in interve nti cli questo genere hanno, in effetti , cont ribuito più di ogni altra cosa a l discred ito di qu esta form a d i g ue rra e l'hanno marchiata come indegna di una grande Potenza. Tuttavia rimane il farro che tutti i grand i condott ie ri contine ntali hanno temuto o apprezzato l'intervento inglese di questo tipo anche nelle condizioni più sfavorevoli. Ciò perché g uardavano più agli effetti della minaccia che a quelli dell'azione. I nostri alleati non contavano affatto su risu ltati positivi: sapeva no che, fin o a quando qu esti inte rventi e rano di ca ratte re anfibio, il loro effetto cli distu rbo su lla situazio ne eu ropea era sem pre spro po rzionato rispetto alla forza impiegata o a i risultati che potevano ottenere. Tn p ratica, queste

(5) L'opinione di Wellingron su quello che secondo lui era il f:mon: es:.l'nziale fu espressa da llo swsso al rear-admirai Markham. inviato in Spagna dall'Ammiragliato per conferire l'OO il Generale nel setrembre 1813. '"Se q11alc11110" disse "desidera conoscere la storia di questa f! 11e1n1, g li dirò che è la 11ostra superiori/ci mc1ri1ti111a che mi dei la possibilità di ma111e11ere il mio esercito mentre il 11emico è i11capcice di.fc1re altreflanto " . (Lette,·s o/Sir T. Bya111 Martin ii. p. 499).




operazioni avrebbero potuto oltenere risultati positivi a meno che non fosse ro contrastare con forza; in altre parole, la loro azione era negativa. TI loro va lo re risiedeva nel poter contenere fo rze nem iche p reponderanti. Ciò è tutto quanto si può loro accreditare, ma può anche essere ru tto quanto è loro rich iesto . No n è il metodo p iù drastico d 'intervento, ma ha provato di essere il più drastico per una Potenza le cui forze non sono adeguare per metodi più risolutivi. Federico il Grande è stato il p rimo gra nde soldato a riconoscerlo, e Napoleone l'ultimo. Per anni non l'ha considerato, ne ha sorriso, l'ha copeno di un disprezzo che diventava sempre più risentito. Nel 1805 chiamò la spedizione d i Craig una "combinazione p igmea", ma Ja preparazione di un'altra forza combinata, per una destinazione completamente d iversa, lo indusse a guardare alla p rima come all'avanguardia d i un movimento che non poteva ignorare e a sacrificare la sua flotta in un impotente sforzo per contrastarlo. Tu ttavia, so lo q uattro anni dopo fu costretto ad apprezzare la va lidità di quel principio. Ed è abbastanza curioso che sia stato convinto da una sped izio ne che noi abbiamo finito col considera re, al disopra di tutte, come l'esempio più riprovevole delle operazion i anfib ie sul continente. La spedizione di Walcheren è ora normalmente considerata come il caso limite di un a condo tta dj guerra su perfi.ciale . Gli storici non trovano parole sufficientemente brulle per descriverla. Essi ignorano il fatto che fu un passo - quello fina le e più difficile - della nostra politica s uccessiva a Trafalga r per impiegare l'esercito al fine di completare il nostro dominio del mare contro una flotta che agiva ostinata mente sul la dife nsiva. Cominciò a Copenhagen nel 1807: fallì ai Dardanelli perché Ja flotta e l'esercito erano separa ti; ebbe successo a Lisbona e Cadice con la sola dimostraiione d i forza. L'operazione d i Wa lcheren, a lungo contemplata, era stata posposta fino all'ultimo momento perché consid erata la più d ifficile e la me no urgente. Napoleo ne se l'aspettava fin da q uando l'idea fu accennata nel nostro paese, ma col passa re de l tempo senza che fosse attuata, il pericolo fu sempre più ignorato. Finalmen te ven ne il mo menLo, q uando egli era pcsa ncemente im pegnate in Austria e costretto a richiamare la massa delle sue forze per opporsi all 'Arciduca Carlo. I rischi e rano ancora grand i, ma i1 Governo Britannico li affrontò coraggiosamente ad occhi aperti; era allora o mai più. li governo - 65 -


intendeva impiegare la maggior pane delle sue forze terrestri nella Penisola Iberica e fino a quando una potente e crescente flotta rimaneva nel Mare del Nord, la cessa avrebbe costituito un freno a quell'impiego. Agli occhi del Governo le prospettive di successo erano di gran lunga superiori alle probabili perdite in caso di insuccesso. Così, quando Napoleone meno se lo aspeLLava, il Governo decise di agire e lo colse cli sorpresa. Le difese di Anversa erano incornplere, non c'era alcun esercito a parare il colpo: nulla se non un ammasso poliglotta senza StalO Maggiore né uffi ciali. Per almeno una settimana il successo fu nelle nostre mani. La flotta di apoleone si salvò per sole ventiquattro ore, eppure il fa llimento fu non solo completo , ma disastroso. Ciò nonostante, le cause del fallimento furono così completamente accidenta li e la spedi7.ione era giunta così vicino al successo, che apoleone ne rimase fo rtemenle co lpito e si aspettò una pronta ripetizione del LentaLivo. In effetti egli considerò tanto seriamente lo scampato peri colo che fu costretto a riconsiderare l'intero sistema di difesa territoriale. on solo giudicò necessario spendere grandi somme cli danaro nell'incremento delle difese fisse di Anversa e Tolone, ma ordinò anche al suo Direttore della Leva di preparare uno schema per forn ire una forza permanente di non meno cli 300000 uomini della Guardia Nazionale per la difesa delle cosce francesi. "Co n 30 000 uomini su trasporti nei Downs" , scrisse l'Imperatore. "gU Inglesi possono paralizzarne 300000 del niio esercito e questo ci ridurrà a livello di u11aPotenza di secondo rango ··.<6) li concenlramenro degli sforzi britan nici nell a Penisola Jberica, evide ntemente, rese non necessaria la realizzazione di questo progetto: vale a dire, la nostra linea d'ope razione fu resa evidente e la minaccia cessò. Ma, ciò nonostante, resta agli atti il riconoscime nto di Napoleone del principio - non in uno dei suoi discorsi per qualche fine ulteriore - ma in un ordine destinato al principale ufficiale interessato. Si ritiene generalmente che i moderni progressi nell'organizzazione 1nilitare e nei trasporti consentiranno a una grande Potenza continentale di ignorare simi li m inacce. Napoleone le ignorò nel passalo, ma solo per riconoscere la verità che in guerra ignorare una minaccia significa molto spesso creare un'opportunità. Il principio che sia Lord Ligonier sia Wolfe formularono per questo genere di operazioni è che

(6) Correspo11da11ce de Napoleon, XIX, 421. Sett. 4.

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non è necessario ricercare la sorpresa fin dall'inizio. Noi inglesi abb iamo di solito dovuto creare o attendere la nostra occasione; troppo spesso perché non erava mo pronti o non eravamo abbastanza a L1daci da afferrare la prima occasione ch e si presentava. I casi nei quali un tale in tervento è ris ultato più efficace si dividono in due classi. Primo 1 vi è l'intrusione in un p ia no che il nemico ha progettato senza tener conto del nostro possibile intervento , p iano n el quale egli è irrevocabilmente impegnato a ca}isa dei suo i movimenti iniziali . Secondo, v i è l'intervento pe r privare il nemico dei frutti della sua vittoria. Questa forma trova la sua efficacia nel principio che le guerre illimitate non sempre sono decise dalla distruzione degli eserciti. Normalmente resta, in segu ito, il difficile compito di conquistare la popolazione con 1m esercito spossato. In questi casi l'intervento dal mare di u na piccola forza fresca può essere sufficiente a far pendere l'ago della bilancia dall'altra parte, come successe nella Penisola Iberica, e come, secondo autorevoli opinioni, avrebbe potuto avvenire in Francia nel 1871.

Un tale suggerimento sembrerà q uasi eretico, un peccato contro il principio che condanna una riserva strategica. Si affer ma che l'in tera forza d isponibile deve essere preparata per il momento vitale dello scontro. Oggigio rno non si trova alcu no che lo metta in d iscussione. È ovviamente vero quando si tratta di un conflitto fra forze organizzate, ma in assenza di prove siamo autorizzati a dubitare che lo sia anche per il periodo, spossante e demoralizza nte , che segue l'urto d elle armi .

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CAPITOLO VI CONDIZIONI DI FORZA NELLE GUERRE LIMITATE

l~ elementi d i fo r~a nelle.guerre _limitate.s~no ~olto vicini a quelli generalmente 111ere nt1 alla difesa. C10e a dire, come un corretto uso della difesa consente talvolta ad una fo rza inferiore d i raggiungere il suo scopo contro una superiore, così vi sono casi nei quali il corretto uso della forma limitata di g uerra consente ad una Potenza milHare debole di ottenere il successo contro u na più forte, e questi casi sono troppo numerosi per co nsenlirci di consid erarne fortu iti i risultati .

G

Un ovvio elemento di forza, qu ando le condizion i geografiche sono favorevo li, consiste nel fatto che possiamo usare la nostra Marina per ridurre la quan tità di forze che il nostro esercJto dovrà affrontare. Di fatto possiamo fa r intervenire la nostra flotta per riequilibrare lo svan taggio dell e nostre forze terrestri. Ma , oltre a questo motivo molto pratico, ve ne è un altro insito nel p ri mo principio della strategia. U faLtO è che la guerra limitata consente l'uso della difensiva, senza gli usuali inconvenienti, a livelli che sono impossibili nella gue rra illimitata. Questi inconvenienti sono dovu ti p rincipalmente al fa tto che la difensiva tend e a cedere l'ini ziativa al nemico e èi priva dell 'esaltazione mo rale dell 'offensiva. Ma nella guerra limitata, come vedremo, non è detto che ciò accada, e se siamo in grado cli agire principalmente sulla d ifensiva senza questa rinuncia , la nostra posizione d iventa estrema men te forte.

L'asserto non ammette alcun dubbio perché , anche se non siamo interamente d 'accordo con la dottrina di Clausewitz sulla forza - 69 -


della difesa, possiamo a lmeno accetta rne la mod ifica fatta da Mol[ke. Questi sostenne che la più forte forma di guerra - cioè la forma che economicamente consente di sviluppare maggiormente le pOLenziaJità d i una data forza - è l'offens iva stra tegica combinata con la difens iva tattica. Ora, queste sono in effetti le condizioni che una guerra limitata dovrebbe offrire; sempre che il teatro d'operazioni ed il metodo adottato siano scelti correttamente. Ricordiamo che l' uso d i questa forma d i guerra pres uppone che, grazie a ll a su periore p rontezza o mobilità o perché situati in posizione più conveniente, si sia in grado di occupare l'obiettivo territoriale prima che il nostro oppositore possa riun ire le fo rze per imped ircelo. Riusciti in q uesto , l'iniziativa dive nta nostra e il nemico. essendo nella nostra ipotesi incapace di attaccarci sul nostro [en-itorio nazionale, dovrà confonnarsi alla nostra mossa, cercando di espellerci dal territorio da noi conquistato. Saremmo così nella posizione di opporci al s uo attacco sul terreno di nostra scelt:i e di avva lerci di quelle opportunità cli contrattacco che i suoi lontani e quindi faticosi movin1enti offensivi, verosimilmente offriranno. Presu mendo, come nel nostro caso clobbian:10 sempre presumere, c he l'obie ttivo terriLOriale sia circondato dal mare e che il nostro nemico non sia in grado di dominarlo, queste opportunità si presenteranno sicuramente e, anche nel caso non siano sfruccate, creeran no grandi d ifficoltà all 'altacco principale, come fu abbondantemente d imostrato dal nervosismo dimostrato dai russi durante l'avanzata nella Penisola del Liao-tung, a causa ciel timore di un contrattacco giapponese provenie nte da l Golfo cli Pe-chi:li. In realtà questo procedimento dimostra che la nostra principale strategia è offensiva; cioè il nostro movimcnco principale è positivo avendo come scop o l'occup azione dell'obiettivo territoriale. La s trategia secondaria c he ne segue, dovrebbe essere difensiva nelle sue linee generali; destinata, appena il nemico si prepara a sloggiarci. a sviluppare il massimo di energia in quel contrattacco che le nostre forze: e le occas ioni tattic he giustific he ranno. Ora, se consideriamo il generale riconoscimento delrimpossibilità, nelle condizioni attuali della guerra terrestre, cli tracciare una linea cl i demarcazio ne fra la tattica e la strategia opera tiva, abbia mo pralicamente a nostro favore l'identica situazione che Moltke con- 70 -


siderava come la p iù efficace rorma di guerra. Cioè a dire la nos Lra strategia principale è offensiva e la nostra strategia operativa è difensiva.< 1 ) Quind i, se la forma limitata di guerra offre questo elemento di forza in più rispetto a quella illimitata , deve considerarsi corretto usarla quando non si è forri abbascanza per usare quest'ultima e quando l'obiettivo è limitato; così come è corretto usare la difensiva quando l'obiettivo è negativo e quando si sia troppo deboli per l'offensiva. Il punto è del la massima irnportanza perché rappresenta la negazione diretta della dottrina corrente per la quale in guerra ci può essere un solo obiettivo legitlimo, la sconfitta dei me7.zi cli resistenza del nemico, e per la quale le sue forze annate devono sempre rappresentare l'obiellivo principale. Tn effetti solleva il problema se non sia talvolta legittimo e perfino corrello mirare direttamente all"obiettivo ulteriore della guerra. Sembra prevalere l'impressione - nonostante ttmo ciò che Clausewitz eJomin i banno detto sull 'argomento - che la domanda ammetta una sola risposta. Per esempio, Von der Golrz pone particolare enfasi nell'affermare che, in una guerra mod erna, l'obiettivo deve sempre essere la distruzione del nemico. Egli lo formula come "il primo prin cipio di un conflitto moderno·· per il q uale "l 'obiettivo immediato contro il quale tutti i noslri sforzi deuono essere direi/i è il principale esercito avven,ario". Tn modo simi le il Principe Kraft ha formulato la massima secondo cui "il primo scopo deve essere quello di sopraffare l'esercito del nemico . Tutto il resto, /"occupazione del paese etc .. 11iene solo i11 seconda linea''. Si osserverà come egli ammetta che l'occupazione ciel territorio nemico sia un'operazione distinta dalla sconfitta delle sue forze. Von de r Goltz va o ltre e protesta contro il comu ne errore d i considerare l'annientamento del principale esercito nemico come sinoni-

pri11cipate" che, è bene ri cordarlo, nel caso citato da Corben, cioè per l 'Impero Britannico. si ìdemifica <.:0n la strategia marittima. Per quanro riguarda la ·strategia operatil'a", invece, la dizione originale è" mlnors/r(,(fc>gy•· <.:he, essend o s imile al vecchio con<.:etto di "gra nde fallica- corrisponde più o meno a quello di "S/ratep,ia operatil'a·• anche se questa dizione è stata a suo tempo riconosciLlla ufficialmente solo dagli Stati Maggiori germanico e sm·ietico (KdT>.

(1) Abbiamo Lradolto " 111ajor stral.egy'" con "strategia

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mo di obiettivo completamente raggiunto. Egli ha cura di precisare che la dottrina corre nte è giusta solo "quando i due stati belligeran ti sono approssimativamente della stessa natura". Quindi, se ci sono casi nei quali l'occupazione del territorio deve essere intrapresa come operazio ne distinta dalla sconfitta d e lle fo rze nemiche, e se in questi casi le condizioni sono tali per cu i si può occupare il territorio vantaggiosamente senza prima sconfiggere il nemico, sarebbe certamente pura peda nteria insistere che dobb iamo astenercene fino a domani quando possiamo farlo meglio oggi. Il principio germanico è, naturalmente, giusto se si tratta cli occupare l'inte ro territorio nemico, o anche una s ua parte sosta nziale, ma non tutte le guerre sono di un cale carattere. l 'insiste nza sul principio di "sopraffare", e a nche la sua esagerazione , aveva un valore a suo tempo, per prevenire il ripetersi <lei vecchi e discred itati met0di. Ma il s uo comp ito è stato esau rito e la cieca aderenza allo stesso, senza riguardo ai principi sui quali poggia, tende a trasformare l'arte della guerra in un semplice gioco a randellate. In ogni caso Clausewitz, come ha evidenz iato il genera le Von Caemmerer,< 2> era un soldato troppo esperto per impegnarsi in una affermazione così astratta e così rigida per i te mpi moderni. Se ciò fosse vero, non sarebbe mai stato possibi le, in qualsiasi caso, per una Potenza più debole condu rre con successo una guerra contro una più forte; un'affe rmazione abbondante mente contraddetta dall'esperienza storica. Che la fo rma più alca come l'offensiva sia la più drastica è certo, se le condizioni p e r appli carla sono adatte; ma Clausewirz, occorre ricorda rl o, s pecifica chiaramente che tali condizion i pres uppongono che il belligerante che impiega la fo rma più alta possieda una grande superiorità fisi ca o morale o un grande s pirito d 'iniziativa: un 'innata prope nsione per il rischio estremo. ]o mini non è andato neanche così lontano. Egli avrebbe certamente escluso "un 'innata propensione per il rischio estrem o" perché a suo giudizio fu questa innata propensione che indusse 1 apoleone ad abusare della fo rma p.iù alta fino all a propria rovina. A tal punto la storia , non meno della teoria, rifiuta di confermare l'idea che vi sia una unica risposta al problema e perfino in Germania sembra stia iniziando

(2) '· !)evelop111e111 0JS1ra1egica/ Science".

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qualche reazione sull'autentico significato del pensiero di Clausewitz. Nell'interpretarlo, Von Caemmerer afferma: '·Poiché la maggiorparte dei pii) iniportanti autori militari del nostro tempo sostiene il principio che in guerra i nostri sforzi devono essere sempre diretti al loro limite estremo e che il deliberato impiego di mezzi limitati più o m eno tradisce debolezza, mi sento costretto a dichiarare che ho sem pre altamente ammirato l'ampiezza deip11nti di vista di Clausewitz''. Cìò che Clauscwitz sostiene è precisamente questo: quando le condizioni non sono favorevoli per l'uso della forma più alta, l'occupazione di una piccola pane del territorio nemico può essere considerata una corretta alternativa alla distruzione delle sue forze armare. Ma egli chiarameme considera questa forma di guerra come un ripiego. Il suo punto di vista puramente continentale gli impedisce di considerare che vi possano essere casi nei quali l'obiettivo è di carattere così limitato che la forma inferiore di guerra può essere , allo stesso tempo. la più efficace e la più economica. In una guerra continentale, come abbiamo visto, questi casi occorrono raramente, ma acquistano importanza quando il fattore marittimo interviene in misura abbastanza consistente. La tendenza britannica di ricorrere al la forma inferiore o limitata di guerra è sempre stata tanto evidente quanto l'opposta tendenza su l continente. Attribuire quesra tendenza, come è talvolta di moda, a un'innata mancanza di spirito combatt ivo, è sufficientemente con traddetto dai risultati che essa ha o ttenuto. In effetti non vi è alcuna rag ione di sminuirla invece di considerarla come un sagace istinto per il tipo cli guerra che meglio si adatta alle condizioni della nostra esistenza. Questo istinto è slato così forte che ci ha indotto, normalmente, ad impiegare Ja forma limitata non solo quando l'obieuivo della guerra e ra ben definito territorialmente, ma anche in casi nei quali era meno ovv io che questa forma fosse opportuna. Come è stato spiega to nel precedente capitolo, l'abbiamo applicata, in generale con successo, quando abbiamo agito di concerto con alleati conti nentali per un obiettivo illimitato: c ioè quando l'obiettivo comune era la distru zione del comune nemico. La scelta fra le d ue forme in realtà dipende dall e circostanze ciel caso. Dobbiamo considerare se l'obiettivo politico sia effettivamente limitato, se, illimitato in astratto, possa essere ridotto a un obiettivo - 73 -


concreto limitato e, infine, se le condizioni strategiche sono tali da prestarsi con successo all 'applicazione della forma limitata. Ciò cli cui abbiamo ora bisogno è di determinare con gran precisione tali condizioni e questo sarà fatto meglio cambiando il nostro metodo, scendendo nel concreto e scegliendo un caso esemplare. Il caso che presenta tali condizioni nella forma più chiara e semplice è, senza dubbio, la recente guerra fra la Russia e il Giappone. Abbiamo qui un esempio partico larmente sorprendente cli una picco la Potenza che ha imposto il suo volere a una Potenza molto superiore senza "abbatterla" - cioè senza aver distrutto il suo potere di resistenza - cosa che oltrepassava completamente le possibilità del Giappone. Questo fatto era così evidente sul continente europeo , ove la completa disfatta del nemico era considerata l'unica forma ammissibile di guerra, che l'inizio delle ostil ità da parte dei giapponesi fu considerata una follia. Solo in Inghilterra, grazie alla sua tradizione e all'istinto per ciò che una Potenza insulare può ottenere con mezzi limitati, si giudicò che il Giappone avesse qua lche ragionevole possibilità di successo. Il caso colpisce particolarmente poiché tutti ritenevano che il reale obiettivo della guerra fosse, in astratto, illimitato, cioè che fosse effettivamente da decidere se la potenza predominante dell'Estremo Oriente dovesse essere la Russia o il Giappone. Come la guerra franco-tedescaC3) del 1870, anche questa aveva tutti gli aspetti di ciò che i tedeschi chiamano "una prova di/orza". Una guerra simile è di quelle che sembrano soprattutto incapaci di condurre ad una conclusione decisiva, salvo che con la completa sconfitta dì una o l'altra delle due Potenze. Non vi era alcuna compli cazione di alleanze né ne erano previste. TI Trattato anglo-giapponese aveva isolato lo scontro . Se qualcosa condizionava le forze combattenti dei due bel li geranti, l'es istenza di questo trattato sembra essere stata l'unica. Dopo gli eventi siamo inclini ad attribuire il risultato alle qualità morali e al superiore addestramento e preparazione dei vincitori. Senza dubbio qu este quali tà giocarono la loro parte e non devono essere minimizzate; ma chi può contestare che se il Giappone avesse tentaco

(3) Così nel testo, ma è un errore, avrebbe dovuto essere .. franco-prussiana" (NdT).

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di fare la guerra alla Russia come la fece Napoleone non sarebbe finito come l ui? Il Giappone non aveva que lla preponderanza che C]ausewitz stabilì come una p recondizione per tentare di abbattere il nemico; cioè per adottare la guerra illimitata. Fortu natamente per il Giappone le circostanze non richiesero l'impiego di q uesti mezzi estremi. Le cond izioni politiche e geografiche erano tali che fu in grado di tradurre l'obiettivo astratto dell'affermazione del p roprio prestigio, nella forma puramente concreta di un obiettivo territoriale. La pe ne trazione russa in Manciuria minacciava l'assorbimento della Corea nell 'Impero Russo, e ciò era considerato dal Giappone come fa tale per la sua stessa posizione e per gl i sviluppi futuri. Il poter mantenere l'integrità della Corea sarebbe sta to il segno esterno e visibile della sua capacità di affermarsi come Potenza del Pacifi co. Il suo contrasto astratto con la Russia poteva pertanto essere crista!Jizzato in un obiettivo concreto nello stesso modo nel quale il contrasto delle Potenze Occid entali con la Russia nel 1854 si cristallizzò nel concreto obiettivo di Sebastopoli. Nel caso del Giappone l'immediato obiettivo politico era eccezionalmente ben adatto all'impiego della guerra lim itata. Data la posizio ne geografica della Corea ed i vasti e sottosviluppati territori che la separano dal centro del potere russo, essa poteva essere isolata praticamente con operazioni navali. Oltre a questo , soddisfaceva la condiz ione a cui Cla usewitz assegnava la massima importanza: cioè l'occupazione dell'obiettivo particolare, lungi da ll 'indebolire la difesa. del territorio giapponese, avrebbe avuto l'effetto d i in crementare grandemente la forza della sua posizione. Sebbene offensiva nei fa tti e nelle intenzioni l'occupazio ne della, Corea rappresentò anche, come quella della Sassonia da parte d i Federico, un buon lavoro d ifensivo. Lungi da esporre i centri nevralgici g iapponesi, essa servì per coprirli in mo do quasi inespugnabile. Il motivo è evidente. Data l'amp ia separazio ne fra i due arsenali russi di Port Arthu r e di Vladivostock, con uno stretto con trollato dal Giappone, la posizione navale russa era molto difettosa. Per la Russia l'u nico modo di correggerla era di assicurarsi una base nell o stretto d i Corea, e per questo aveva lottato con mezzi diplomatici a Seul per q ualche tempo. Strategicamente l'integrità della Corea era, per il Giappone, sim ile a quella che era per noi l'integrità dei Paesi Bassi, ma in q uest'ultimo caso, poiché era imposs ib ile isolarli, il nostro potere di azione diretta - 75 -


è sempre stato relativamente debole. Il Portogallo, con il suo incomparabile porco strategico di Lisbona, fu un caso analogo durante le nostre scorse guerre oceaniche, e poiché era possibile isolarlo in certa misura con mezzi navali dalle forze del nostro grande riva le, vi restammo, quasi continuamente, con successo.

Tutto sommato si può affermare che, nonostante il successo che ottenemmo nella nostra lunga serie cli g uerre condotte secondo principi limitati, in nessuna cli esse le condizioni ci sono state così favorevoli come erano, in questo caso, per il Giappone. In nessuna delle nostre guerre passate la nostra principale manovra offensiva ha assicurato così completamente la difesa della madrepatria. Il Canada era quanto di più possibile eccentrico alla nostra linea di difesa nazionale; mentre in Crimea la nostra offensiva scoprì in modo così completo le Isole Britanniche che dovemmo appoggiare la nostra manovra contro l'obiettivo limitato, inviando la nostra flotta principale a controllare l'uscita del Baltico conu·o il pericolo di un contrattacco nemico illimitato. C4) Ha poca importanza sapere se i giapponesi concepirono fin dall'inizio la guerra secondo questo principio o meno . Le considerazioni fondamental i sono che, con un obiettivo territoriale così favorevole come la Corea, la guerra limitata era possibile nella sua forma più formidab ile; che la guerra si svolse in effetti secondo linee limitate e che ebbe interamenle successo. Senza aspettare di assicurarsi il dominio del mare il Giappone iniziò Je ostilità con l'occupazione a sorpresa di Seul e quindi, con la copertura di operazioni minori

(4) L'obiettivo strategico per il quale fu deciso l'invio della flotta ciel Bakico, fu ccrramente quello di prevenire un contrattaccai cioè, la sua fu nzione primaria, nel nostro piano cli battaglia, era negativa. La sua funzione positiva e ra secondaria e cli carattere solamente diversivo. Aveva anche un obietlivo pol itico, che fallì completamente. Quello di dimostrare i nostri sforzi per formare una coaJizione baltica contro la Russia. L'opinione pubblica, che non comprese la situazione, si aspettava che questa flotta ottenesse risu ltaci immediati e positivi, perfino la conquista d i San Pietroburgo. Un'operazione simile avrebbe trasformato la guerra da limitata in illimitata. Avrebbe significato" la completa sconfitta del nemico ", un comp ito che eccedeva la Forza degli alleati senza l'appoggio delle Potenze baltiche. Anche così, il loro appoggio 11 011 avrebbe giustificato il mutamenro nella natura della guen-a, a meno che Svezia e Prussia no n Fossero state disposte a condurre una guerra il limitata . Nulla era più lontano dalle loro intenzioni.

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della flotta, procedette a completare l'occupazione della Corea. Nel momento in cui affrontò il secondo stadio, quello di assicurare la difesa della sua conquista, si dimostrò ulteriormente la natura favorevole del suo obiettivo geografico. La debolezza teorica deJla guerra limitata è rappresentata, a questo punto, dall'arresto dell'azione offensiva. Ma in questo caso un tale arresto noo era né necessario né possibi le, per le seguenti ragioni: al fine di rendere sicura la conquista non solo si doveva rendere inviolabile la frontiera coreana , ma la Corea doveva essere anche permanentemente isolata dal lato mare. Ciò comportava la distruzione della flotta russa e questo, a sua volta, richiedeva l'occupazione di Port Arthur con mezzi militari terrestri. A questo punto, quindi nel secondo stadio, il Giappone si trovò impegnato su due linee d 'operazione con due distinti obiettivi, Port Arthur e l'esercito russo che stava lentamente concentrandosi in Manduria: una situazione piuttosto difficile. Tuttavia, la conformazione geografica del teatro era così favorevole che, agendo con prontezza e usando arditamente il mare, non ancora dominato, quella situazione poteva essere portata a condizioni più eque. Continuando l'avanzata in Manciuria d ell 'armata dislocata in Corea e sbarcando un'altra fo rza fra la stessa e quella davanti a Port Arthur, i tre scaglioni potevano essere concentrati e la svantaggiosa separazione deJle linee d'operazione poteva d iventare vantaggiosa. I tre scaglioni di fo rze potevano essere combinati in modo ta le da minacciare un con trattacco aggirante su Liao-yang prima che la concentrazione offensiva russa potesse essere completata. Liao-yang era non solo il p unto di concentramento russo , ma anche una buona posizione per d ifendere la Corea e coprire l'assedio d i Port Arthur. Una volta occupata avrebbe dato ai giapponesi tutti i vantaggi della difesa e costringeva i russi ad esau rirsi in operazioni offensive superiori alle loro forze. E non fu solo in terra che fu guadagnato questo vantaggio. Il s uccesso de l metodo, che culm inò con la caduta di Port Arthur, andò oltre. Non solo rese il Giappone relativamenre su periore in mare, ma gli consentì di assumere la difensiva navale costringendo così la Russia a prendere la decisione finale in mare, con tutti i vantaggi cli tempo, luogo e forza a favore del Giappone. Con la battaglia di Tsushima l'obiettivo territoriale fu completamente isolato da l lato mare e la posizione del Giappone in Corea fu - 77 -


resa tanto inattaccabile quanto quella di Wellington a Torres Vedras. Tu tco ciò che rimaneva da fare era di passare al terzo stadio e dimostrare alla Russia che era per lei più vantaggioso accettare la situazione che si era creata piuttosto che continuare a tentare di modificarla. Ciò fu conseguito dall"avanzaca fi nale su .Mukden e il Giappone raggiunse il suo scopo poco dopo aver sconfitto il suo nernko . La potenzialità offensiva della Russia non era mai stata così forre, mentre quella del Giappone era quasi, se non completamente, esaurita. Da q uesto punto di vista il conflitto dell'Estremo Oriente si è sviluppato lungo le stesse linee delle nostre grandi guerre marittime del passato, q uelle guerre che gli strateghi continentali hanno costantemente escluso dal loro campo di studio. Esso presenta le normali tre fasi: la manovra offensiva iniziale per occupare l'obiettivo territoriale; la seconda fase, che costringe il ne mico ad un 'offensiva striminzita; la fase finale di pressione, nella quale c'è un ritorno a ll 'offensiva "secondo", come diceJomini, "le circostanze e le.forze a vostra di-

sposizione, per ottenere le concessioni desiderate". Non si deve pretendere, ovviamente, che queste fas i siano sempre chiaramente definite. L'analisi strategica non può mai dare risultati esatti. Mira solo ad approssimazioni, a combinazioni che serviranno come guida, ma che lasceranno sempre molto al ragionamento giud izioso. Le tre fasi della guerra russo-giapponese, sebbene insolitamente ben definite, si sovrapposero in contin uazione. E deve essere così, perché in guerra l'effetto di una operazione non è 1nai confinato nei li miti delle sue conseguenze inunediate o principali. Così l'occupazione della Corea ebbe il secondario effetto difensivo di coprire la madrepatria, men tre il colpo inizia le che l'ammiragUo Togo sferrò a Port Arthur per coprire l'iniziale manovra offensiva dimostrò, con la demoralizzazio ne che causò nella flotta russa, di essere un passo d istinto dalla seconda fase: quella di isolare il te rritorio conquistato. Nell 'ultimo periodo della guerra la linea d i demarcazione fra ciò che era essenziale per impostare la seconda fase d.i perfezionamento dell 'isolamento e la terza fase di pressio ne genera le , sembra essere diventata molto incerta. È in questo stadio che la strategia giapponese è stata più severamente criticata ed è stato proprio a questo punto che i giapponesi hanno dato l'impressione di deviare dal concetto cli guerra limitata; ammesso che, in effetti, essi abbiano mai afferrato il concetto stesso, almeno nei - 78 -


termini in cui lo intendeva Pitt il vecch io . Si è osservato che, nel loro ardente desiderio d i sferrare un colpo decisivo al p rincipale esercito nemico, essi hanno dimenticalo cli devolvere forze sufficienti alla cattura cli Port Arthu r, mossa essenziale per completare la seconda fase. Sia che le esigenze del caso re ndessero inevitabile una tale distribuzione cli forze, sia che ciò sia imputabile a un errato calcolo delle diffico ltà, il lisultato fu un contrattempo molto costoso. Perché non solo produsse una grossa perdita cli tempo e cli vite nella stessa Pon Arthur, ma quando la sortita della flotta russa in gi ugno din1-ostrò a i giapponesi il loro errore, il movimento offensivo su Liao-yang d ovette essere ritardato e si perse l'opportunità per un contrattacco decisivo al concentramento dell'esercito nem ico. Questa sventura, che doveva costare così cara ai giapponesi, può forse essere attribuita, almeno in parte, alle influen ze continentali sull 'addestramento del loro esercito. Almeno a noi sembra cli poter rintracciare la visione illimitata della guerra nelle pagine della St0ria dell o Stato Maggiore germanico. Quando si tratta ciel piano d 'operazioni giapponese si presume che J'occupazione della Corea e l'isolamento di Port Arthur fossero solo p reliminari ad un'avanzata concentrica su Liao-yang, "cbefu tenuta presente come il prinio obiettivo delle operazioni terrestri" . Ma certamente, secondo ogn i teoria bel1ica, il primo obie Ltivo terrestre dei giapponesi era Se ul, dove si aspettavano di dover combattere la loro p rima importante battaglia contro truppe provenienti da llo Yalu . E certamente il secondo era Port Arthur, con la sua flotta e il suo arsenale , che si aspettava no d i poter catturare con d ifficoltà poco minori di quelJe che avevano incontrato dieci ann i prim a contro i cinesi. Tale, almeno, fu l'effettivo svolgimento degli eventi e le critiche che considerano operazioni cli tale grandezza e importan za decisiva come semplici incidenti d i spiegamenti strategici possono essere giustificate solo dall 'imperare dell'idea napo leonica de lla guerra, u n' idea sulla cui universa le applicazione Clausewitz ha così solennemen te protestato. Tale idea è il p rodotto di uo mini che hanno una naturale d iffi coltà a concep ire un piano di guerra che non cu lmini in una Jena o in una Sedan. È un pu nto di vista che è sicu ramente il p rodotto della teoria e che non ha alcu na relazione con la realtà d ella guerra in argomento né fornisce alcuna spiegazione del suo s uccesso fi nale. La verità è che, fino a quando i giapponesi agirono secondo i principi - 79 -


della guerra limitata, così come furono form ulati da Clausewitz e da ]omini e chiaramente deducibili dalla nostra ricca esperienza, progredirono oltre tutte le loro aspettative, ma appena li abbandonarono e si lasciarono confondere dalle teorie continentali, furono sorp resi da inesplicabile fa llimento. L'espressione "Guerra Limitata" non è, senza dubbio, molto felice. Ciò nondimeno non se ne è trovata un'altra che riunisca i due concetti di ohiettivo limitato e di interesse limitato, che rappresentano la sua caratteri stica peculiare. Tuttavia, se si tiene presente come u n caso tipico l'esempio citato, non ci sa ranno co nfusioni sul significato del termine. Resta solo da mettere in evidenza un punto importante. Il fatto che la dottrina della guerra limitata contrasti la credenza attuale che il primo obiettivo debba sempre essere la forza armata del nemico può porcare all'errata d eduzione che essa rifiuti anche il corollario che la guerra significa battaglie. Nulla è più lontano da questo concetto. Qualsiasi sia la forma di guerra , non v'è alcuna possibili tà di ritornare al vecchio errore di tentare di decidere le guerre con la sola manovra. Tutte le forme richiedono battaglie allo stesso modo . Secondo la nostra teoria fondamentale la guerra è sempre " la continuazione della politica nella quale il conibattimento sostituisce le note diplomatiche". Per quanto grande sia l'influ enza del controllo s ull'obiettivo politico, essa non deve mai oscurare il fatto che dobbiamo guadagnare il nostro fi ne per mezzo del combattimento. È ancor più necessario insistere su questo punto perché l'idea cli fare cli una parte cl i un territorio il nostro obiettivo può portare a confonderla con il vecchi o metodo di condurre la guerra, quello nel quale gli eserciti si accontentavano cli manovrare per ottenere posizioni strategiche e lo scendere in battaglia veniva quasi considerato come un esempio di cattiva abilità militare del capo. La gue rra limitata non ha nulla in comune con simili parate. La sua condotta differisce da quella della gue rr~ illimitata per il fatto cl1e,' invece cli dover distruggere l'intero potenziale di resistenza del nemico, si deve sconfigge re solo q ue ll a parte della sua forza attiva che egli può o vuole impegnare per prevenire la nostra occupazione dell 'obiettivo territoriale, o il suo completamento.

Pertanto, la prima considerazio ne da fare q uando ci si impegna in una guerra simile è cli tentare d i determinare a quanto am mo nterà cale forza . Prima cli tutto dipenderà dall 'importanza che il nemico - 80 -


attribuisce all'obiettivo limitato, tenuto conto della natura e dell'ammontare deUe sue preoccupazioni altrove e, in secondo luogo, d ipenderà dalle difficoltà naturali de1 Je sue linee di comunicazione e di quanto possiamo a umentare quelle difficoltà con la cond otta delle operazioni iniziali. Pertanto, in condizioni favorevoli (e qui sta il grande valore della forma limi tata di guerra) siamo in grado di contro llare la quantità di forze che dovremo incontrare. Le circostanze più favorevoli, e le u niche delle quali no i stessi possiamo approfittare , sono quelle che permettono il completo isolamento dell'obiettivo tramite operazioni navali, e un ta1e isolamento non può essere mai stabilito fino a quando non siano state sconfitte le forze navali nemiche. Entriamo così nel campo della strategia navale. Possiamo ora abbandonare la teoria del la guerra in generale e, allo scopo di preparare la strada per le nostre conclusioni finali, dedicare la nostra attenzio ne in parti.colare alla teoria dell a guerra navale .<5)

(5) Anche q ui sembra opportu no riportare il commento dell'ammiraglio Flamigni a fine Capitolo: "Fino ad ora, per lo meno, non ha considerato cbe una guerra può essere limitata perimo dei due antagonisti e Ulhnitataper l 'al!ro. Gli esempi prodolli riguardano quasi sempre la Gran Bretagna (o il Giappone che era nelle stesse condizioni). Volendo considerare gli Stati Uniti come la Gran Bretagna, il Vietnam non è più spiegabile con la Teoria del Co1'bett. Questo percbé per il No rd Vietnam la guerra era a scopo illimitato mentre per gli US.A . era limi:tata (anche da impedimentf di carallere politico internazionale). Il risultato è stato contrario a quanto la teoria p revedeva" (NdR).

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PARTE II

TEORIA DELLA GUERRA NAVALE


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CAPITOLO I TEORIA DELL'OBIETTIVO D0M1Nl0 DE1. MARE (1)

'ob iettivo della guerra navale deve sempre essere, direttamente o indirettamente, quello di assicurarsi il dominio del mare o di impedire al nemico di ottenerlo.

L

Si deve notare con particolare attenzione la seconda parte di questa affermazione al fine d i evitare un modo di pensare che è una dell e p iù comuni fonti di erro re nel pensiero navale. L'errore consiste nella genera le credenza che se un belligerante perde il dominio del mare questo passi immediatamente all 'altro belligerante. Anche il più su perfic iale degli studi sulla guerra navale è sufficien te per dimostrare la falsità d i una tale supposizione. Si nota subito come la situazione più comune in t1na guerra n~1vale sia quella in cui nessuna delle due parti ha il comando del mare; la condizio ne nonnale non è u n mare " dominato ", bensì un mare "non doniinato " . La semplice asserzione , che nessuno nega, che l'obiettivo della guerra navale è quello di guadagnare il domin io del mare, implica in effetti che il dominio è normalmente disputato. È a questo stato di disputa che la strategia navale è più da vicino interessata perché quando il dominio è raggiunto o perso, finisce la p ura strategia navale . Questa verità è talmente ovvia che non meriterebbe nemmeno di essere ricordata se non fosse per il costante rico rre re di frasi come: "Se l 'Inghilterra perdesse il dominio del mare sarebbejìnita". La fallacia dell'idea risiede nel fatto che ignora le potenzialità della difensiva

(1) NeJJ'inglese "COMMAND OP THE SEA" (NdR).

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strategica. Tale idea pres ume che se ci trovassimo, a causa di qualche straordinaria coalizione nemica o per qualche straordi naria disgrazia, senza sufficiente forza per mantenere il dominio del mare saremmo, di conseguenza, troppo deboli per impedire al nemico di ottenerlo: una negazione dell'intera teoria della guerra che perlomeno ri chiede ulteriori dimostrazioni, più di quanto sia stato fauo finora. Questa affermazione non solo rappresenta una negazione della teoria: è anche la negazione sia dell'esperienza pratica sia dell'op inione espressa dai nostri più grandi condottieri. oi stessi abbiamo usato la difensiva in mare con s uccesso, p er esem r io durante il regno di Guglielmo III e la Guerra cli Indipendenza americana, mentre durante le nostre lunghe guerre con la Francia questa L'ha usata abitualmente e in modo tale che ta lvolta per anni, sebbe ne avessimo una sostanziale preponderanza, non potemmo ottenere il dominio del mare e per anni ci fu impossibile portare a compimento i nostri piani di guerra senza serie interruzioni da pane della sua flolla. Ben lungi dall'essere un fauore insignificante, o anche una semplice perniciosa e res ia com'è normalmente definita, in mare la dìfensiva è, naturalmente, presente in tutte le guerre e, come abbiamo visto, il problema strategico supremo, in mare come in terra, ruota attorno alle possibilità relative de ll'offensiva e della difensiva e sul le proporzioni relative secondo le quali ognuna di esse deve entrare nel nostro piano di guerra. ln mare il più potente e aggressivo bel ligerante non può evitare i suoi alterni periodi <li difesa, che risultano dagli inevicabHi arresti dell'azione offensiva, più cli quanto li possa evitare in terra. Pertanto, la difesa deve esse re tenuta in considerazione. Ma prima di poter essere in condizioni cli farlo con profitto dobbiamo procedere con la nostra analisi della frase: "Dominio del Mare'' e scoprire esattamente cosa intendiamo dire con questa espressione in tempo cli guerra. Per p rima cosa il "Dominio del Mare", ne lle sue condì:doni strategiche, non è identico alla conquista di un territorio. ;\ìon si può paragonare l'uno al l'altro, come normalmente si fa. Frasi come: "La conquista del territorio acqueo" e "Fare della costa nemica la nostra frontiera" avevano il loro uso e significato nella bocca di chi le ha pronunciate, ma sono poco più che espressioni retori che basate su false analogie, e la falsa analogia non è una base sicura per una teoria della guerra. - 86 -


L'analogia è falsa per due ragioni ed entrambe riguardano mate1-ialmente la condotta della guerra navale. Non si può conquistare il mare perché esso non è suscettibile di essere posseduto, almeno fuori delle acque territoriali. Non si può, come d icono gli avvocati , "prenderne possesso" perché non si possono escluderne i neutrali. come invece si può fare in un territorio conquistato. In secondo luogo non si possono mantenere le forze armate su d i esso, come invece si può fare sul territorio nemico. Chiaramente, quindi, trarre deduzioni dal presupposto che il dominio del mare sia analogo alla conquista de] territorio non è scientifi co e porta sicuramente ad errori. L'unico metodo sicuro è di indagare su cosa ci possiamo assicurare e cosa possiamo negare al nemico allraverso il domin io del mare . Ora , se escludiamo i diritti di pesca, che sono irrilevanti per il nostro argomento, l'unico altro diritto che noi e il nostro nemico possiamo avere in mare, è il diritto di passaggio. In altre parole l'unico valore positivo che .l 'alto mare può avere per la vita nazionale è come mezzo di comunicazione. Per la vita attiva di una nazione questo mezzo può significare molto o poco, ma ha un certo valore per qualsiasi stato marittimo. Di conseguenza, negando al nemico questo mezzo cli comunicazione si controlla il movimento in mare delle sue attività nazionali nello stesso modo con il quale le si controlla a terra occupandone il territorio. Fino a q uesto punto v'è analogia, ma non o ltre. Questo per q uanto riguarda il valore positivo che il mare ha nella vita della nazione. Tuttavia il mare ha anche un valore negativo perché non è solo un mezzo di c0Ii1unicazione, ma contrariamente ai mezzi d i comunicazione terrestri, è anche una barriera. Conquistandò il dominio del mare si rimuove tale barriera dal nostro cammino e ci si mette nel le condizioni di poter esercitare una pressione militare terrestre contro la nazione nemica mentre, allo stesso tempo, per il nemico quella barriera risu lterà più invalicabile che mai e gli impedirà di esercitare direttamente contro di noi la sua azione mi1itare. Il dominio del mare, pertanto, non significa altro che il controllo delle comunicazioni marittime, per scopi commerciali o militari. L'oggetto della guerra marittima è il controllo del le comunicazioni e non, come per la guerra terrestre, la conquista del territorio . La d ifferenza è fondamentale. Invero, si dice spesso che la strategia terrestre sia p rincipalmente una questione cli comunicazioni, ma queste sono comunicazioni in un a ltro senso. L'affermazione si riferisce - 87 -


alle comunicazioni del solo esercito e no n alle più ampie comunicazioni che sono parre d e lla vita della nazione . Tuttavia, anche a terra vi sono vie di comun icazio ne essenziali per la vita nazionale: le comunicazioni inte rne che collegano le principa li aree industriali. Anche qui abbiamo un 'analogia fra i due tipi di guerra. La guerra terrestre, come ammettono i più devoti fautori della visione moderna de lla gue rra, non può raggiungere i suoi fini solo con vittorie militari. La distruzione delle forze armate del nemico non sarà completamente va lida a meno che non s i abbiamo in riserva forze s uffici enti per completare l'occupazione de lle comunicazioni inte rne e dei principali nodi di scambio nemici. Questo potere rappresenta il vero frutto dell a vittori a, il p otere di stran golare l'intera vita dell a nazione nemica. È solo quando q uesto potere sa rà ottenuto che un nemico fiero cd orgoglioso accetterà Ja pace e il nostro volere. È esattameme in questo modo che il domin io d el mare contri buisce ad impo rre la pace ad uno Stato continentale, anche se, naturalmente, in maniera molto meno coercitiva. Occupando Le s ue comunicazioni m::irittime e bloccando ne i te rminali, distruggiamo le sue attività marittime e interrompiamo pertanto la vitalità delle attività a terra nella misura in cui qu este dipendono da que lle. Ved iamo così ch e, fin o a quando manteniamo il potere e la capacità di bloccare le comunicazioni marittime, l'analogia fra il dom inio de l mare e la conquista del territorio è, sollo questo aspetto, valida. E l'a nalog ia è de lla mass ima importanza praLica perché attorno ad essa ruota la più scottante questione della guerra marittima, questi one che sarà bene crauare subito. È ovvio che se l'oggetto e il fine della gue rra navale è il controllo delle comunicazioni , esso deve cornrorrare il diritLo di pro ibire, se possibile, il transito in mare di proprietà pubbliche o private. Ora, l'unico mezzo che abbiamo per esercitare un tale controllo delle comunicazioni commerciali marittim e è, in definiliva, la cattura o la distruzione delle suddette proprietà. Tale ca ttura o dist ruzione è la punizione che impo niamo al nemico per il s uo tentativo cli usare le comunicazioni di cui non possiede il controllo. Nel ling uaggio giuridico, è la sanzione definitiva d ell 'interdizione che tentiamo di appli care . IL termine corrente "D istru zione del Commercio" non è in rea ltà una definizione che rende esattameme l'idea strategica che ne è a lla base. Per essere più chiari dovremmo dire "Ostacolare il Commercio". - 88 -


I metodi di questa azione per "Ostacolare il Conune rcio" non hanno alcuna parentela con la vecchia e barbarica abitudine al saccheggio e alla rappresaglia così come, a terra , non l'hanno quelli della ordinata requisizione nei confronti appunto del saccheggio e della devastazione. In effetti nessuna forma di guerra ca usa una sofferenza umana così limitata come la cattura di proprietà in mare. Essa è più simile a un processo legale - come un sequ estro, l'esecuzione di una sentenza o il fermo di una nave - che ad una operazione militare. Un tempo, è vero, non era cosi. Nei giorni dei corsari privati C2) fu troppo spesso accompagnata, particolarmente nel Mediterraneo e nelle lndie Occidentali, da esecrabili crudeltà e illegalità e l'esistenza di simili abusi fu il motivo reale che portò all'accordo generale della Dichiarazione di Parigi che abolì la guerra di corsa privata. Tuttavia questo non fu il solo motivo. L'idea della guerra d i corsa privata era una reliquia di un primitivo e non scientifico concetto della guerra che era influenzato principalmente dalla nozione generale d i fare al nemico il maggior danno possibile e èondurre rappresaglie per i danni da lui prodotti. Alla stessa classe di idee apparteneva la pratica del saccheggio e della devastazione del terriLOrio avversario.Tuttavia nessuno di questi metodi di guerra fu abolito per motivi umanitari. In e(fetti essi scomparvero come pratica generale ben prima che il mondo cominciasse a parlare di umanità. Furono aboliti perché la guerra divenne più scientifica. Il d iritto di saccheggio e di devastazione non fu negato, ma si scoprì che il saccheggio demoralizzava le truppe e le rendeva inabili al combattimento e la devastazione mostrò di essere un mezzo coercitivo su l nemico meno efficace dello sfruttamento del territorio occupato, tramite metodiche requisizioni, per riforn ire il proprio esercito ed aumentarne il raggio offensivo. ln breve, la riforma nacque dal desiderio di sfruttare le risorse del nemico a proprio beneficio invece di sprecarle inutilmente .

(2) Si è tradotto con "corsaro privato" il termine inglese ''privateer" che designa un privato cittadino che armava una nave p e r proprio conto o per conto di un gruppo di finanziatori e riceveva dal sovrano le "lettere d i corsa" che lo autorizzavan o a condurre, appunto, la guerra cli corsa. Era questa procedura ed erano quelle lettere che facevano del "privaLeer" un corsaro in vece di un p irata. Senza le leuere di corsa, se catturalO, sarebbe stato impiccato; con esse era invece considerato prigioniero dj guerra. Tradurremo Lnvece come "corsaro" Il cot saro mjJirare, cioè sia la nave s ia il comandante cli una nave militare decfaa alla guerra d i corsa (NclT).

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Allo stesso modo la guerra di corsa privata ha semp re avuto un e ffetto debilitante su lle nostre stesse forze. Aumentò notevolmente le difficoltà di armare le navi militari e gli occasionali grossi profitti dei corsari privati ebbero un 'influe nza d emoralizzante sulJ e nostre forze navali. Questo modo di fare scorrerie teneva vivo lo spirito corsaro medievale a scapito del moderno spirito militare che tendeva invece ad operare d irettamente contro le forze armare nemiche. Era inevitabile che a mano a mano che il nuovo movimento d'opinione guadagnava forza portasse con sé la convinzione che, per operare contro il traffico marittimo, attacchi sporadici non avrebbero mai potuto essere canto efficaci quanto un sistema operativo o rganizzato r er assicurarsi un vero controllo strategico delle comunicazioni marittime nemiche. Una visione più matura e saggia della g ue rra rivelò che quello che p uò essere chiamato un blocco commerciale tattico - cioè il blocco dei porti - roteva essere esteso e integrato dal blocco strateg ico de lle grandi rotte del traffico. Dal punro di vista mora le non v'è differenza fra i due. Si ammetta il principio del blocco tattico o stretto e fra belligeranti non si"può co n.dannare il principio del blocco strategico o d istante. Eccetto che pe r le loro conseguenze nei confronti dei neutrali, non v'è alcuna differenza giurid ica fra i due. Dopotutto, perché questo rrocesso bellico, umanitario quantunque drastico, dovrebbe essere rifiutato in mare quando lo stesso è accettato in te rra? Se in terra si consento no tributi e requisizioni , se si ammette l'occupazione delle città, dei porti e delle comunicazioni terrestri - senza le qua li nessuna conquista è compl eta e nessuna gue rra possibile - perché si dovrebbero rifiutare gli stessi procedimenti in mare dove essi ca usan o sofferenze individuali molto minori? Se si rifiuta il diritto di controll are le com unicazio ni in mare, si deve rifiutare lo stesso diritto sulla terra. Se si ammene il diritto alla requisizione in terra, si d eve amme ttere il diritto cli ca ttura in mare. AltrimenLi si darebbero alle Potenze Terrestri i diritti estremi della guerra e si lascerebhe ro le Potenze Marittime senza a lcun d iritto effettivo. Verrebbe a mancare la loro ullima risorsa. (3)

(.3) Come si vedrà di seguito, l"autore accenna qui e nel paragrafo precedente ad un

argomento che era vivacemente cli~cusso all 'it1izio del secolo. q uello della lihertà dei mari anche in tempo di guerra. Pochi anni dopo, la Prima Guerra Mondiale avrebbe dimostrato praricameme quanto illusorie fossero quelle 1eorie che l'autore conl'robau.e in queste p.igine (NdT).

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Fino a q uando l'idea di abolire la cattura cl eUe proprietà p rivate in mare è di carattere umanitario e fino a quando si fonda sulla cre-

denza ch e rinforzerebbe la nostra posizione di Stato marittimo commerciale, lasciamo pure che sia trattata onorevol meme. Ma, in base a ciò che i suoi sostenitori hanno finora argomentato, la proposta sembra essere basata su due erro ri . Uno è che si possa evitare l'attacco rinunciando al potere offensivo e fidando solo sulla difèsa; l'altro, l'idea che la guerra consista solamente di battaglie fra eserciti e flotte , ignorando il fatto fond amentale che le battaglie sono solo un m~zzo per consentirci d i fare ciò che realmente porta alla fine delle guerre: cioè esercitare pressione su i cittadini e su lla collettività avversaria . "Dopo aver distrutto il p rincipale esercito nemico ", dice Von der Goltz, "un compito separato e, in certe circostanze, più dijficile è quello di costringere alla pace .. far sentire al paese neniico 'il fardello della guerra con tale forza che prevalga il desiderio di pace. Questo è il pun,to nel quale Napoleone Jallì... Può essere necessario occupare porti, centri. commerciali, importanti linee di trajfico, fortificazioni e arsenali, in altre parole tutte quelle importanti installazioni che sono necessarie all'esistenza del popolo e dell'esercito ". Quindi, se ci si priva del diritto di usare mezzi analoghi in mare , l'obiettivo per il qua le si combattono le battaglie navali cessa quasi di esistere. Se anche sconfiggessimo le flotte del ne mico, egli si troverebbe in condizioni ben poco peggiori. Avremmo aperta la strada pe r l'invasione, ma qualsiasi Potenza continen tale riderebbe dei nostri tentativi di invaderl a da soli. Se non possiamo raccog liere i frutti del nostro successo distruggendo le attivi[à nemiche in mare, ci sarebbero negati gli unici, legittimi mezzi di pressione a nostra disposizione. La nostra flotta, se dovesse eseguire operazioni secondarie tali da costri ngere il nemico alla pace, sarebbe trascinata ad attuare barbari esped ienti quali il bombardamen to di città portuali e delle coste ostili. C4) Se fossero abol iti sia in terra sia in mare i mezzi d i pressione adottati dopo combattimenti vitto riosi, ci sarebbe quest'argomento a favore del cambiamento : forse significherebbe la fine della gu erra fra

(4) È chjara l'allusione al la Jeurre école dell'ammiraglio francese Aube, teoria di guerra mari ui ma che nel l 91 I e ra già stata abba ndo nata per la s ua dimostra La inconsistenza (NdT).

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gli Stati civili perché la guerra diventerebbe così inefficace che nessuno si preoccupe rebbe cli impegnarvisi. Sarebbe un affare fra eserciti e flone nel quale i popoli avrebbero ben poco interesse. Le controversie internazionali tenderebbero a prendere la forma delle dispute private medievali che era no risolte eia sfid e fra campioni, un'assurdità che portò rapidame nte all 'adozione di procedure purame nte lega li. Se le co ntroversie interna ziona li potessero percorrere la stessa strada, l'uma nità avrebbe fano un gran passo avanti. Ma il mondo non sembra pronto per una simile rivoluzione. Ne l frattempo, abolire il diritto di interferire su l flusso delle proprietà pri vate in mare senza abolire il corrispondente diritto in te rra , distrugge rebbe so lo i fini d e i filantropi. Il grande deterrente, il più forte freno alla guerra, sarebbe scomparso. Sono il commercio e le attività finanziarie che, ora più che mai, controll ano e limitano la politica estera delle nazioni; se quelle rischiano di subire perdite a causa d e lla guerra, la loro influe nza per una soluzione pacifica sa rà grande. E fino a quando esisterà il diritto di cattura in mare delle proprietà private, in ogni guerra marirtima comme rcio e attività finanziarie risch iano pe rdite immed iate e inevitabili, qualsiasi possa essere il risultato fina le. Abolite questo diritto e il d eterrente scomparirà; anzi, commercio e attività finanzi arie potranno perfino ottenere g uadagni immediati dato l'improvviso aumento delle spese governative che le ostilità produrranno e l'increme nto de l comme rcio marittimo creato dalle necessità delle forze armate. Se qualsiasi interferenza con la proprietà privata viene confinala alla rerra, qualsiasi perd ita, che nelle attua li condizioni la guerra marittima deve immediatamente infliggere, sarà 1·emota, invero non sa rà mai seria eccetto che in caso di comple ta sconfitta; e nessuno e ntra in guerra prevedendo di essere sconfitto. È d a lla speranza di vittoria e di guadagno che nascono le guerre di aggressione. Il timore di perdire rapide e certe è la misura preventiva più sicura. Pertanto l'uma nità , in una troppo fretto losa ricerca di ideali pacifici, dovrà stare attenta a non abbandonare l'arma migliore che ha per curare quel male che non ha ancora la capacità di e liminare . Pe rtanto, nell e pagin e che seguono si intende considerare come ancora valido il diritto a lla cattura in mare di beni privati. Senza di esso , invero, la gu e rra navale è quas i inconcepibile e, in ogn i caso, nessuno ha alcuna esperienza di un metodo così limi tato di guerra sul qu ale possa essere costruito uno studio utile.

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Il metodo principale, quind i, con cui usiamo la vittoria o la preponderanza in mare e la facciamo pesare su ll a popolazione nemica per assicurarci la pace, è la cattura o la distruzione delle proprietà del nemico , siano esse private o pubbliche. Ma, nella sim ilitudine d i qu esto processo con quello analogo ·dell'occupazio ne del territorio e dell'Lmposizione di tributi e requisizioni, dobbiamo osservare una sostanziale differenza. Entrambi i processi costituiscono quella che potrebbe essere chiamata "pressione economica". Ma a terra la pressione economica può essere esercitata solo come conseguenza di una vittoria o di una dominazione acquisita in seguito a s uccessi militari. In mare il processo inizia subito. Anzi, il più delle volte il primo atto d i ostilità nelle g uerre marittime è stata la cattura di proprietà private in mare. In un certo senso questo è vero anche a terra. Il primo passo di un invasore, dopo aver attraversato la frontiera, sarà quello di controllare, in maggior o minor misura, quelle proprietà private che è in grado di usare per i suoi scopi. Ma tale inte1ferenza con la proprietà privata è essenzialmente un atto militare e non fa parte della fase secondaria della pressione economica. In mare invece sì, e il motivo risiede in alcune differenze fondamentali fra la guerra terrestre e quella marittima, differenze che sono implicite nella teoria delle comunicazioni della guerra navale. Per chiad re quesLo punto occorre ricordare che le comun icazioni marittime, che sono al la base dell'idea del dominio del mare, non sono analoghe alle comunicazioni militari nel senso comune del termin e. Le comun icazioni militari si riferiscono so lamente alle linee di rifornimento e di ritirata dell'esercito. Le comunicazioni marittime hanno Ltn significato più ampio. Sebbene, in effetti, comprendano le linee di rifornimenro della flotta, esse corrispondono, per valore strategico, non alle linee militari di rifornimen to, bensì a quelle linee interne cli comunicazione per mezzo delle quali a terra si mantiene il flusso della vita naz.io nale . Di conseguenza le comunicazioni marittime si trovano su un livello completamente diverso da que1lo delle comunicazioni terrestri. In mare le comunicazioni so no , per la maggior parte, comuni a enu·ambi i belligeranti menb·e a terra ognuno possiede le sue nel suo proprio territorio. La conseguenza strategica è di gran.de portata perché significa che in mare l'offensiva e la difensiva strategiche tendono a convergere in un modo che è sconosciuto a terta. Poiché le comunicazioni marittime sono comu ni, come regola non - 93 -


possiamo attaccare quelle del nemico senza difendere le nostre. Nel le: operazioni militari terresLri dì regola accade l'opposto. Norma lmente un attacco alle comunicazioni del nemico tende a scoprire le nostre.

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la teoria delle comu nìcazioni comuni diventerà chiara con un esempio. ~elle guerre contro la Francia le nostre comunicazioni con il MecliLerraneo, l'lndia e l'America correvano dall 'uscita della Manica passando per Finisterre e St.Vincent; quelle della Francia, almeno quelle dai suoi porti arlamici, erano le stesse rer quasi tutta la lunghezza. Nelle nostre guerre con gli olandesi l'identità era anche maggiore. Perfino nel caso della Spagna, le sue grandi linee di traffico segu ivano, per gran parte della loro lunghezza. le nosLre stesse linee. In conseguenza, le mosse iniziali che effettuammo per difendere il nostro commercio, occupando quelle lince,<5 l ci posero nel la cond izione di attaccare il commercio nemico. Si creò la stessa sicuazione anche quando le nostre direttive inizial i erano intese a difenderci clall"invasione della madrepatria o da auacchi alle nostre colonie, perché la posizione che la nostra floua doveva assumere a quegli scopi era sempre vicino o nei punti Le rmina li e focali delle rotte comme rciali. Faceva poca differenza se il nostro obiettivo immediato era quello cli ingaggiare la notta principale del nem ico o esercicare una pressione economica. Se il nemico era alLrettanLO desideroso cli battersi, era in una delle aree terminali o focali che e ravamo più sicuri di prendere contatto. Se egli desidernva ev itare una decisione, il modo migliore per costringerlo all"azione era di occupare le sue rotte commerciali sempre in que i punti. Se ne deduce, quindi, che mentre a terra il processo della pressione cxonomica, a lmeno nel conceLto moderno di guerra, dovrebbe iniziare solamente dopo una vittoria decisiva, in mare comincia auto maticamente fin dall'inizio. Invero, una tale pressione può essere l'unico mezzo per forzare la decisione che ricerchiamo, come apparirà più chiaramente quando tratteremo dell'allra fondamentale diffe renza fra la guerra terrestre e quella marittima.

(5) Così nel cesto. Tuuavia il verbo esano avrebbe <lovuco essere ·comrollare·· poiché in mare non si '"occupa ". È dt1 1enert: pc:rò presente che l"au1ore si riferisce al tcmpo clcllt1 vela nel quale la grande autonomia delle navi consentiva di rimanere in loco per lungo tempo e la necessi1à di percorrere rotte con venti prevalenti riduceva la sçcl ta <ldle lince cli trnffico (NdT).

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Nel frattempo possiamo notare che in mare, l'uso della pressione economica fin dall'inizio è giustificato da due considerazioni. La prima, come abb iamo visto, è che si ottiene un'economia dei mezzi se usiamo le nostre posizioni difensive per attaccare, quando l'attacco non invalida quelle posizioni. Ed esse non saranno invalidate se le unità della flotta opereranno senza limitazioni. la seconda è che l'interferenza contro il traffico nemico ha due aspetti. È non solo un mezzo per esercitare una pressione economica secondaria, ma anche uno dei mezzi principali per distruggere il potere di resistenza del nemico. Le guerre non sono decise esclusivamente dalla forza militare , terrestre e navale. Le capacità finanziarie no n sono meno importanti. A parità cli altre condizioni, vince chi ha la borsa più fornita. È questo che talvolta ha rovesciato il rapporto fra le forze armate contendenti e dato la vittoria alla Potenza fisicamente più debole. Pertanto, qualsiasi cosa siamo in grado di fare per minare le finanze ciel nostro nemico costit1.1isce un passo verso la sua disfatta e il mezzo più efficace che possiamo impiegare a questo scopo contro 1.ino Stato marittimo è quello di negargli le risorse del commercio marittimo. Pertanto è evidente che nella guerra navale, per quanto intensamente si indirizzino gli sforzi verso la distruzione delle forze a1mate del nemico quale mezzo diretto per la sua disfatta, sarebbe follia non approfittare delle opporcunilà che automaticamente si presenteranno per minare Ja sua posizione finanziaria, dalla quale dipende così largamente il sostentamento de lle sue forze armate. Quindi, l'occupazione delle comunicazioni marittime del nemico e le operazioni cli confisca che ne conseguono sono, in questo senso, operazioni primarie e non, come in terra, secondarie. Q ueste sono, a llora, le conclus ion i astratte alle quali giungiamo nel tentativo di analizzare l'idea del dominio del mare e ciarle un'esatta configurazione come controllo d elle comunicazioni comu ni. Il loro valore concreto risulterà evidente quando tratteremo delle varie forme che le operazionj navali possono assumere, come "la ricerca della flotta nemica", il blocco, l'attacco e la difesa del traffico e la sicurezza nelle operazioni combinate. Per ora ci rimane di trattare i va ri tipi cli dominio del mare che derivano dal concetto di comunicazioni. Se l'obiettivo del dominio d el mare è quello di controllare le comunicazioni, è ovvio che quel dom ini o può esistere a vari livelli. Possiamo essere in grado di controlla re tutte le comunicazioni comuni - 95 -


in seguito ad una grande preponderanza iniziale o ad una vittoria decisiva. Se non siamo sufficientemente forti per farlo, possiamo tuttavia essere in grado di controllare alcune comunicazioni; in altre parole il nostro contro llo può essere generale o locale. Per quanto ovvio ciò sia è necessario enfatizzarlo a causa di una massima che è diventata corrente: "i/ mare è un tutt'uno". Com<.; altre massime simili, essa porta con sé allo stesso tempo una verità e un erro re. La verità che contiene sembra essere semplicemente questa: che, come regola, potremo avere il controllo locale solo temporaneamente poiché, fino a quando il nemico ha una flotta sufficiente, ovunque essa sia, è teoricamente in suo potere coglierci il controllo di una particolare area di mare.

In effetti si tratta di un'affermazione poco più che retorica, usata per enfatizzare l'alta mobilità delle flone, in contrasto con quella degli eserciti , e l'assenza di ostacoli fisici che possano limitare questa mobilità. È un bene che questa caratteristica vitale della guerra navale sia consacrata in una massima, ma quando la sua caricatura diventa una dottrina, come talvolta avviene, per la quale non si può muovere un battagli o ne pe r mare fino a quando non si è compleLamente sconfitta la flocra nemica , allora deve essere condannaca. Sarebbe come sostenere che in guerra non si deve rischiare nulla. Sembrerebbe sia stata la perversa influenza cli questa travisata massima a causare la paralizzata e timorosa strategia degli americani nella loro recente guerra con la Spagna. Essi avevano abbondanti rorze navali per assicurarsi il dominio locale e temporaneo del Golfo del Messico così da consentir loro cli trasferire a Cuba , in appoggio agli insorti e secondo i loro piani, tutte le truppe che avevano disponibili. Avevano ino ltre forze sufficienti per assicurarsi che le comunicazioni con il corpo di spedizione non fossero interrotte in permanenza. Eppure, poiché gli spagnoli avevano in mare, in qualche luogo, una fl otta non ancora sconfitta, esitaron o e quasi si smarrirono. I g iapponesi non ebbero tali illusioni. Senza aver eseguito azioni nava li di alcun genere e con una flotta ostile effenivamence nel teatro d 'operazione, cominciarono i loro essenziali movimenti milita ri oltremare, sebbene non potessero assicurarsi il controllo della linea di passaggio, accontentandosi di essere nella posizione di negare al nemico il controllo effettivo. La nostra stessa storia è piena di operazion i simili. Esiste un'ab bond anza di casi nei quali i risultati di un felice colpo oltremare, prima che si fosse ottenulO il dominio permanente del

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mare , erano abbastanza grandi da giustificare un rischio che, al p a ri dei giapponesi , sapevamo come minimizzare col giudizioso uso d e lla nostra favorevole posizione geografica e di un certo sistema di protezione, ciel qua le s i p arl erà in seguilo. Quindi, al fin e di concepire un piano cli guerra o di campagna , si deve assumere che il dominio cie l mare può esistere in va ri s tati o livelli, ognuno de i quali ha le proprie caratte ristiche possib ili tà e limitazioni . Può essere generale o locale, e può essere permanente o temporaneo . Il d ominio generale può esse re permanente o temporaneo, ma il semp lice dominio loca le, eccetto che in condizioni geografiche molto favorevoli, deve raramente essere considerato poco più che temporaneo poiché, normalme nte , è sempre soggetto ad essere in terrotto fin o a quando il ne mico possiede un 'effettiva forza navale, anche se dislocata in altri teatri. Infine s i deve notare che anche il domini o genera le e p e rmanente no n può, in pratica, essere assolu to. Nessun livello di s uperi o rità navale può te nere le nostre comunicazioni al sicuro da s poradici attacchi di singoli incrociatori o di squadre corsare, se sono impiega ti con audacia e d isposti a rischiare di essere dis trutti. Pe rfino dopo che la d ecisiva vittoria di Ilawke a Quibe ron (6) aveva completato la disfatta delle forze navali nemiche, un tras porto britannico fu catturato fra Cork e Po n smouth e un Tnd ianman <7) in v ista del Lizarcl, e sono ben noce le lagnanze di Wellington, quando si trovava ne lla Penisola Iberica, per l'insicurezza d ell e s ue comu nicazioni. C8) Con l'espressione "controllo permane nte e generale" no n intendiamo d ire che il nemico non p ossa fare alcunché, ma che egli non può interferire con il nostro traffico mari ttimo e le nostre op erazioni oltremare in modo co-

1759, tra rTawke i.: Conflans, combattuta in condizioni cli ecceziona le inleresse per l 'insieme delle circosL,111ze di venti di tempesta. mare grosso e vicinanza di cosca souovenco. Una eccellente descrizione di questa bacwglia è ne "L'influe11za del potere marillimo sulla storia", di Alfrecl T. Maban, U.S.M.M., pag. 321 e segg. (NclR). (7) " lndia11111 an" erano i mercantilì che dalla Gran Bretagna raggiungevano l'India e viceversa (NdT). (8) Per essere giusti si deve dire che le lamentele cli Wellingron erano dovllte a fal si rappo1'l'i che trasformavano un paio cli insign ifi c:i nli catture in una seria im erruzione ciel traffico. (G) Battaglia cl i Qu ibc ro n Bay, 20 novembre

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sì serio da influire :;ull'esito della guerra e che non può conLinuare il suo traffico e le sue operazion i se non a un tale rischio e pe ricolo da poterle considerare eliminate dal campo della strategia pratica. fn altre parole significa che il nemico non può più attacca re efficacememe le nostre linee di rransiro e le nostre comunicazioni e che no n p uò usare o dife ndere le proprie. Per completare le nostre conoscenze al fine di apprezza re ogni siLUazione per la quale le operazioni devono essere pianificate, è necessario ricordare che quando il dominio del mare è controverso la condizione generale può essere cli un equilibrio slab il e o instabile. Può darsi che la potenza di ciascun contendente non sia in g rado di preva lere in mi sura apprezzabi le . Può a nche darsi che la s uperiorità sia dalla nostra parte o eia quella ciel nemico. NaLUralmente questa prevalenza non dipenderà interamente d all'effeniva forza relativa , sia fisica sia morale, ma sarà influenzata da ll e interre lazion i delle posizioni navali e dai vantaggi relativi alla loro ubicazione rispetto all'obiettivo della guerra o della campagna. Con "p~sizio ni navali" indichiamo, primo, le basi navali e, second o, i term ina li delle grandi lince dicomunicazione, ovvero delle rone commerciali e le aree focali ne lle quali te ndono a convergere, come Finisterre, Gibilterra , Suez, il Ca po cl i Buona Speranza , Singapo re e molti a ltri. Dal grado e dalla distrihuzione di q uesta superioriLà dipenderà, in via generale, la misura secondo la quale i nostri piani saranno influenzati dal concetto della difesa o dell 'offesa. Genera lmente sarà vantaggioso per la pa rte che preva le rice rcare un a decisione il più rapidamente possibile in modo da e liminare la situazione di crisi. Inversa mente, la pa rte più debole cercherà, di regola, di evilare e posporre una decisione ne lla s pera nza cli riusci re attraverso operazioni mino ri , i casi della guerra o con l'a rruo lamento di forze fresche, a far pendere la bilancia in suo favore. Questa fu la linea di condotta che la Francia adottò frequentemente nelle sue guerre contro d i noi, talvolta giustificaramentc, ma talvolta in modo così eccessivo da demorali aare seriamente la sua flo tta . La s ua espe rienza ha po rtato alla frettolosa deduzione che, anche per la Potenza più debole, la difensiva in mare è puro peccato. Una tale conclusione è estranea ai principi fondamentali d ella gu erra . È ozioso escludere l'adozione di un atteggiamento d 'attesa perché in se stesso non può portare al successo final e o perché, se usato in - 98 -


eccesso, conduce alla demoralizzazione e alla perdita della volontà di attacca re . L'errore sembra essere nato dall'insistenza sugli svantaggi della difesa da parte di autori che ce rcavano di persuadere il loro paese a preparare, in tempo di pace, forze navali sufficienti da giustificare l'offens iva fin dall'inizio. Avendo così fissato i principi fondamentali che sottolineano il concetto di Dominio de l Mare, siamo ora ne lle condizioni di considerare il modo secondo il quale le flotte sono composte al fin e di rende rle idonee al loro compito.

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CAPITOLO II TEORIA DEl MEZZI LA COMPOSlZIO E DELLE FLOITE

e lle guerre navali di tutte le epoche le navi da guerra hanno avuto la tendenza a differenziarsi in gruppi a seconda della funzione primaria assegnala ad ogni classe di navi. Ciò che intendiamo come composizione della flott a è costituito da questi raggruppame nti o classificazioni. Una triplice differenziazione in navi di linea, incrociatoli e unilà minori ha dominalo così a lungo il pensiero nava le che siamo portati a considerarla normale, perfino essenziale. O> Può darsi che sia così, ma una tale classificazione è ben lungi dall 'essere stata costante nel tempo. Non solo sono esistite a ltre idee sulla suddivisione delJa flotta, ma esse hanno resistito, per lunghi periodi, alla prova della guerra ed è poco scientifico e pericoloso ignorare questi fatl i se vogliamo giungere ad una dottrina valida.

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La verità è che l e classi cl i navi che costituiscono una flotta rappresentano o dovrebbero rappresentare l'espressione material e del le idee strategiche e tattiche che prevalgono in quel momento; esse, qu indi, mulano non so lo con quelle id ee, ma anche in seguito al

Cl) l termhù sono di per sé evidenti ed ancor più si clùa riranno in questo capi1olo; qui è forse opportuno illustrare il termine ··incrociatore" usato dall'ammiraglio Flamigni per tradurre la parola "cruiser". Era no queste delle unicà con un armamenco re laLivo, ma cli buona velocità e capaci di stare a lungo in crociera (" 10 cru ise"), alle quali veniva affidato il compito dello "sco11/i11g ". cioè della perlustrazion e, del l'esplorazione, d ella ricogni zione. In tal senso, come d ice l'A., gli incrociato ri erano "gli occhi della flottc1 ".

Parimemi è opponuno chiarire che il termine inglese "jlollilla". tradotto con "f!oitiglia ", si ri fe risce in generale a" naviglio minore'' (NdR).

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maleriale disponibile. In senso più lalo si può anche dire che variano al variare della teoria della guerra che domina in quel momento, più o meno consapevolmente, il pensiero navale. È vero che raramente è srnca formulata una teoria della guerra e altrenanco raramente si è stati chiaramente consapevoli d e lla sua influenza; ciononostante tali teorie sono sempre esistile e anche nelle loro forme più nebulose e intangibili sembrano avere esercitato un 'evidente influenza sulla composiz ione delle flotte. Risalendo agli inizi dell'epoca moderna, notiamo che all'inizio del sedicesimo secolo, quando la gue rra d i galee raggiunse il suo culmine. la suddivisione delle flotte era triplice, con una superficiale analogia a quella che siamo slati indotti a considerare come normale. Vi erano le galeazze e le galee pesanti corrispondenti alle nostre navi da battaglia, galee leggere corrispondenti ai nostri incrociatori mentre le unità sottili erano rappresentate eia piccole "fregate", "b1igantini" e scafi simil a ri che come rematori non avevano schiavi, bensì l'equipaggio combattente. Queste navi a vela armate, quando c·crano, erano considerate come ausiliarie e formavano una categoria a parte, così come le navi-incendiarie e le navi-bomba nel periodo velico e come i posamine oggigiorno. Ma il paragone non deve essere spinto all'eccesso. La diversità di funzion i fra le due classi di galee non era così forte come quella fra le uniLà leggere e le galee; in altrl' parole, la differenziazione scienlifica fra navi da battaglia e incrociatorì non era srata ancora così saldamente stab ilita come lo fu in seguito e le galee più piccole prendevano normalmente posto nella linea di battaglia. Con l'avvento della nave a ve la come tipica nave da guerra , comparve una suddivisione complerameme nuova: la classificazione prevalenLe dive nne bi naria. Si trattò di una classificaz ione d i unità con propulsione ''dipendente", che usavano le vele , e unità con propulsione ··libera", che usavano i remi. Fu secondo queste lince che la prima Royal Navy fu organizzata da Enrico VIII, un espe rto che, nella scienza bellica. era uno dei signori d"Europa più illuminati. Questa suddivisione è di livello concettu almente inferio re a quella del periodo delle galee, poiché manca una ben precisa disLinzione fra navi da baltaglia e incrociatori. Così com'era originalmente progctrata la flotta di Enrico, praticamen te tulle le navi da bauaglia erano a vela, sebben e sia vero che quando i frances i trasferirono galee dal Mediterraneo egli dislrihuì i remi alle navi migliori. La flotta era in effetti composta da - 102 -


Enrico VJ/1 (1491-1517).


George Anson (1697-:L 762).


navi da battaglia e da un ità sottili; non c'erano incrociatori, almeno come 1i intendiamo noi. L'esplorazione era affidata a "Row-barges" (barche a remi, nclt), "P inacce"(2) eia poco introdotte nella flottiglia di unirà sottili, mentre per la protezione del commercio i baslimenti mercantili dovevano cli norma badare a se stessi; i più gross i erano normalmente armati per autodifesa. L'influenza d i q uesta suddivisione binaria continuò a lungo anche dopo che le condizioni che l'avevano originata erano scomparse. In un ceno senso si pLLÒ dire che sia durata duecento anni. Durante le guerre anglo-olandesi del diciassettesimo secolo , che sancirono definitivamente la predominanza della nave eia guerra a vela, praticamente tutte le autentiche navi a vela - cioè i vascelli che non avevano una propulsione ausilia ria a remi - prendevano posizione nella linea di battaglia. Le "Fregare" del tempo non differivano affaLLO dalle "Grandi navi" per la loro funzione, ma solo per la loro costruzione. Tuttavia , all'inizio del diciottesimo secolo cominciò a riaffermarsi la vecchia tendenza ad Lma organizzazione ternaria, ma fu solo dalla metà del secolo che il processo evolutivo poté essere considerato completato. Fino alla fine della guerra di Successione Austriaca - epoca che è normalmente considerata u n periodo cl i notevole crisi nell'arte na-

vale - la classificazione delle nostre unità a vela maggiori era puramente arbitraria. Le classi di navi (che erano state introdotte durante le guerre anglo-olandesi) non avevano alcuna relazione con qualsiasi concetto filosofico dei complessi compiti cli una flotta . Nella prima classe vi erano navi da J 00 cannoni; nella seconda quelle da 90 can noni, tmre a tre ponti. Fin qui il sistema d i classificazione era abbastanza giusto. ma quando osserviamo la terza classe troviamo che includeva navi da 80 cannoni, anch'esse a tre ponti, memre la maggioranza erano navi da 70 cannoni a d ue ponti. La quarta classe era anch'essa composta da navi a due ponti-deboli unità da 60 e 50 cannoni - e questa era cli gran lunga la classe più numerosa. Queste quattro classi erano tutte cons iderare di navi di linea. Socco di loro veniva la quinta classe che, sebbene avesse navi usate come incrociatori, non

(2) '·Barcaccia di pino ...da vela o da remo ...usata per la guardia delle coste e dei p orti ". Guglielmotti: Vocabolario Marino Militare (NdT).

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aveva un nome preciso. In effeni q ue lle unità differivano dalle navi di linea solo per livello di potenza, essendo tutte deboli dueponri da 44 e 40 ca nno ni , e devo no essere considerate, a mmesso c he rappresentino qualcosa di logico nella guerra navale, come le antenate della classe "Intermed ia", costituita nell e epoche successive dalle navi da 50 cannoni e, oggigiorno, dagli incrociatori corazzati. L'unico vero incroc iatore si trovava ne lla sesta classe, che comprendeva piccole e deboli navi arma te con 20 canno ni ; fra quest'ullime e le "quaranta" non vi era a lc unché. Al disotto, ma di nuovo senza alcuna chiara d iffe re nzi azione, venivano i non classifica ti s loops che costitu ivano la flottiglia di navi sottili . In un tal e s istema di classifi cazio ne non vi e ra alcuna distinzione logica fra le navi da battaglia grandi e piccole o fra le navi da battag li a e gli incroc ia tori , o fra gli incrociatori e le navi solti li. L'unico chiaro divario, nelJa graduale classifica a scalare, e ra q ue ll o fra le du ep onti d a 40 canno ni e gli incrociator i da 20 cannoni. Poiché questi ultimi, così com e gli s loop s, usavano remi da galera per la propulsione ausìliaria , dobbiamo concludere che l'unica base per la classifica era quella adottata da Enrico vm che, p e r quanto fosse corrett~1 al la s ua epoca, aveva cessato da lungo tempo di avere una qua lsiasi effettiva relazione con le reali cond izioni d e lla guerra navale. Fu solo al tempo dell'indimenticabile amministrazione di Anson che fu ris tabilito un sisLema scientifico di classificazione e che la flotta assunse finalmente la composizione logica che ha mantenuto fino ai nostri g iorni. Ai primi due live lli comparve la classe delle navi ammiraglie di squadra, tre ponti da 100 e 90 cannoni rispettivamente; tutti i treponti più piccoli vennèro e liminati. Nell e successive due classi trovia mo la "truppa" della linea cli battagl ia: due ponti da l cl islocamento accresciuto - cioè con 74 cannoni nella terza classe e 64 nella quarta. Tuttavia, vi è q ui una legge ra irregola rita ,n e lla perfezione del sistema perché la quarta classe includeva anche navi a due p onti da 50 cannoni le qu a li, durante la g uerra dei Sette Anni , cessa rono cli essere considerate navi di linea . L'esperienza bellica stava e liminando le piccole navi da battaglia e, pertanto, riclucse un tipo intermedio fra la nave da battaglia e l'incrociat0re, delle cui funzioni tral tere mo s ubito . In pratica, queste unità formarono presto una classe a parte nella quale, per gli s tessi motivi, dovevano f inire, mezzo secolo d opo, le nav i da 60 cannoni. - 104 -


Ma la più significativa di tutte le riforme di Anson fu l'introduzione di un vero incrociatore: non più una piccola nave da battaglia, bensì una unirà costruita appositamente per le sue funzioni e distinta sia dalle navi da battaglia sia dalle unità sottili. Furono aboliti i tip i da 40 e quelli da 20 cannoni e al loro posto comparvero due classi di incrociatori - la quinta con vere fregate da 32 cannoni e la sesra con fregate da 28 cannoni - per le quali non era previsto alcun impiego in battaglia. Tnfine, ben distinti, venivano i non classificati sloops e le unità minori, che costituivano la flottiglia per compiti costieri o rivieraschi, servi7.io dispacci e altri compiti affini. Le ri forme del grande Primo Lord equivalevano, cli facto, a una ben concepita composizione ternaria, nella quale i vari gruppi erano esplicitamente specializzati secondo le funzioni che ognuno di essi doveva svolgere. La specia lizzazione, si noti, è il marchio del processo cli sv ilu ppo. Non c'è p iù il centalivo di aclalléll'C la flotta ai suoi molteplici compiti, moltiplicando una tipologia relativamente debole di navi eia guerra che potessero servire nella linea di barraglia e allo stesso tempo fossero in numero sufficiente per proteggere il commercio, ma che non e ra no idonee a nessuno dei due compiti. Notiamo invece il chiaro riconoscimento del principio che le navi da battaglia devono essere le più potenti possibile e che, per consentire il loro necessario svi luppo, devono essere sostitu ite nelle funzioni di crociera da una classe cli unità specificamente adatte allo scopo. La domanda che dobbiamo considerare è: questa specializzazione, che si è mantenuLa fino ai nostri giorni, seguiva veramente l'indirizzo dello sviluppo? Era, di fatto, la corretta espressione delle necessità ind icate dalla teoria della guerra navale? Per teoria della guerra navale, lo ripetiamo, intendiamo null'altro che l'enunciazione dei principi fondamentali che caratterizzano tutta la guerra navale. Si troverà che quei principi, se li abbiamo determinati correuamence, danno forma non solo alla strategia e alla tattica, ma anche al materiale, qualsiasi siano i mezzi di guerra navale in uso in quel particolare momento. Viceversa, se troviamo che la strategia, la Lattica o l'organizzazione mostrano una tendenza a riprodurre le stesse forme in condizioni di merodi e di materiali largamente diversi, dovremmo essere in grado di dimostrare che quelle forme hanno una relazion e costante e prec isa con i p rincipi che la nostra teoria cerca di esprimere. - 105 -


Nel caso dell 'organizzazione ternaria d i Anson, non è d ifficile trovare tale relazione, sebbene sia stata oscurata da due massime: la prima è che "il dominio del mare dipende dalle navi da battaglia", e l'altra secondo cui "gli incrociatori sono gli occhi della /fotta". li male intrinseco di tutte le massime è quello di tendere a travalicare il loro significato originale. Entrambe queste massjme esprimono una verità, ma n essuna del le due esprime l'intera verità. Non c'è alcuna teoria della guerra navale per la quale possiamo attenderci d i dominare il mare con navi da battaglia né c'è alcuna teoria delle comunicazioni per la quale possiamo considerare l'esplorazione per ]a flotta quale funzione primaria degli incrociatori. È perfettamente vero che il controllo dipende fondamentalmente dalla flotta da battaglia, se il controllo è conteso da una flotta da battaglia ostile, come normalmente accade. È anche vero che, per quanto è necessario mettere in grado la flotta da battaglia di assicurarsi quel controllo, dobbiamo fornirle i nostri incrociatori come mezzi di scoperta; ma non ne consegue che q uesta sia la funzione primaria degli incrociatori. La verità è che li dobbiamo distogliere dalla loro funzione p rimaria al fine di svolgere un compito che la flotta da battaglia non può svolgere da sola. Così ben radicata è la massima di "occhi della flotta", che sarebbe molto difficile dimostrare che gli alti comandi non hanno sempre considerato la ricognizione come la funzione primaria degli incrociatori. Almeno nella pratica di Nelson la lo ro funzione principale era quella di esercitare il controllo assicurato dalla sua squadra da battaglia. Non c'è n ulla di più familiare, nella stmia navale, delle sue incessanti richieste di avere un maggior numero di incrociatori in Mediterraneo, ma il significato di quelle richieste si è perso. Non era perché i suoi incrociatori non fossero abbastanza numerosi in proporzione alle sue navi da battaglia - erano di solito in numero quasi doppio - ma piuttosto perché egli era così profondamente convinto della lo ro funzione e li usa va a ta l punto per esercitare il controllò che talvolta riduceva il numero degli incrociatori della flotta sotto il limite della pura necessità. In una indimenticabile occasione il risultato fu l'evasione della flotta da battaglia nemica, ma il risultato ulteriore è da considerare altrettanto importante: quell'evasione della flotta nemica non lo p rivò del controllo che aveva il compito di mantenere. Il suo giudizio può essere stato errato, ma la distribuzione strategica delle sue forze fu logica per tutto l'intero periodo del suo comando nel Mediterraneo. Giudicandolo dai risultati, nessun uomo ha mai afferrato - 106 -


più chiaramente di Nelson come l'obiettivo della guerra navale fosse il controllo delle comunicaz io ni e se riteneva di non avere un sufficiente mtmero di incrociarori per esercitare quel controllo e per fornire allo stesso tempo cli occhi la sua flotta da battaglia, allora era La flotta che doveva soffrirne; e sicuramente questo è almeno il punto di vista logico. Diverso sarebbe stato se i francesi fossero stati pronti a rischiare la soluzione del problema del controllo con un'azione fra le flotte. Allora egli sarebbe stato nel giusto se avesse sacrificato l'esercizio del controllo per il tempo necessario ad assicurarsi che l'azione avesse luogo e volgesse decisivamente in suo favore. Ma egli sapeva che ì francesi non erano pronti a correre un simile risch io e si rifiutò di permettere che un atteggiamento puramente difensivo da parte del nemico lo distogliesse dalla particolare funzione che gli era stata assegnata. Se l'obiettivo della gueua navale è quello di controllare le comunicazioni, allora l'esigenza fondamentale sono i mezzi per esercitare quel controll o. Logicamente, pertanto, se il nemico rinuncia ad ingaggiare battaglia dobbiamo relegare la flotta da battaglia in posizione secondaria poiché i mezzi per esercitare il control lo sono gli incrociatori; la flotta da battaglia è il mezzo per prevenire interferenze nel loro compito. Mettete ciò alla prova della p ratica effettiva: in nessu n caso possiamo esercitare il controllo con le sole navj da battaglia. La loro specializza~ione le ha rese inadatte al compito e così costose da non essere mai numericamente sufficienti. Pertanto, anche se il nostro nemico non avesse alcuna flotta da battaglia, non potremmo esercitare un controllo effettivo solo con navi da battaglia. Avremmo in ogn i caso bisogno di incrociatori specializzati per quel compito e in numero sufficiente per coprire le aree necessarie. Ma l'inverso non è vero; infatti potremmo esercitare il controllo con i soli incrociatori se il nemico non avesse alcuna flotta da battaglia per interferire con loro. Quindi, se volessimo cercare una formula che esprima le conseguenze praliche della nostra teoria, suo nerebbe più o meno così: dagli incrociatori dipende l'esercizio del controllo; dalla flotta da battaglia dipende la sicurezza ciel controllo. Questa è la logica concatenazione delle idee e ci mostra che la massima corrente è, in verità, la conclusione di una argomentazione logica nella quale non si devono dimenticare i passi iniziali. La massima secondo cui il dominio del mare dipende dalla flotta da battaglia è perfettamente giusta nella misura in cui essa include tutte le altre realtà dalle quali esso dipende. La - 107 -


vera funzione della flotta da battaglia è quella cli proteggere gli incrociatori e le unit~ sottili nel loro compito particolare. li mezzo migliore pe r fa rlo è naturalmente quello di distruggere il potere di interferenza del nemico. Si riafferma qui la dottrina che robiettivo principale è la d istruzio ne d elle forze annate del nemico, e si riafferma così fonememe da consemire, per tutti gli scopi pratici, la rozza generaliuazione che il dominio del mare dipende dalla flotta da battaglia. Di quale utilità pratica, ci si può chiedere, è quindi questo spaccare il capello in quattro? Perché non lasciare intatta la convinzione che il nostro primo e più importante compilo sia q uello cli sconfiggere la Dotta da battaglia nemica e che tutti i nostri sforzi debbano essere concentrati a questo fine? La risposta sta nel dare rilievo al d ilemma d i Nelson. Era un dilemma che, all'epoca d'oro della guerra navale , ogni ammiraglio in mare doveva risolvere da solo, e ha sempre rapprese ntato uno dei dettagli più difficili di ogni piano di guerra navale. Se cerchiamo di assicurare l 'efficace azione della flotta da battaglia assegnandole un buon numero di incrociatori, indeboliamo proporziona lmente l'effett ivo e continuo eserciz io ciel contro llo ciel mare. Se cerchiamo cli rendere efficace il controllo devolvendo ad esso una buona parte degli incrociatori, mettiamo in forse nel la stessa mis ura le nostre possibìlicà cli prendere contatto con la flotta eia battaglia nemica e di sconfiggerla, che è in realtà !"unico mezzo per rendere perfetto il controllo. La soluzione corretta ciel dilemma dipenderà, naturalmente, dalle condizioni di ogni singolo caso: principalmente dalla forza relativa e da ll'auività de lla flotta eia battaglia avversaria e dalle probabili intenzioni del nemico. Ma, anche quando turti i fatti rilevanti siano stati completamente catalogati, non possiamo sperare cli giungere a conclusioni corrette se nza un giusto apprezzamento di tutti gli elementi che influiscono sul dominio del mare e senza la capacità di misu ra re la loro importa nza relativa. Questo, e solo questo, deciderà in definitiva sul vitale problema cli quanta parte del la nostra forza di incrociat0ri sia giusto devolvere alla flona da battaglia. Se la dottrina cie l controllo da parte degli incrociatori è corretta. allora ogni incrociatore assegnato alla flotta da battaglia è un incrociatore sottratto alla sua vera funzione. Queste soLtrazioni sono inevitabili. Una squadra cli navi eia battaglia è un organismo imperfetto, incapace di svolgere il suo compito senza l'assistenza degli incrociatori - 108 -


JTora/.io Nelson (1758-1805).



e poiché l'assolvimento d el suo compito è essenziale per la libertà degli incrociatori, alcu ni di questi debbono essere sacrificati. Ma in quale proporzione? Se ci limitiamo a credere che il dominio del mare dipenda dalla flotta da battaglia, a llora dobbiamo assegnarle il numero d i incrociatori che il suo comandante ritiene necessario per rendere assolutamente cerro il contatto col nemico e per circondarsì d i uno schermo impenetrabile . Se sapessimo che il nemico è ansioso come noi d i raggiungere una decisione, questa soluzione sarebbe giustificata. Ma la situazione normale è che se noi desideriamo una decisione è perché abbiamo chiare speranze di successo e il nemico, d i conseguenza, cercherà di evitarla alle nostre condizioni. In pratica ciò significa che se abbiamo perfezionato i nostri preparativi per la distruzione della principale flotta da battaglia avversaria, questa rifiuterà di esporsi fino a quando non intravedrà un'opportunità più favorevole. E quale sarà il risultato? Il nemico rimarrà su ll a difensiva e tutto il successivo periodo d i inattività sarà a suo favore. Svolgerà il suo compito senza muovere la sua flotta dal porto. Tanto più ci indurrà a concentrare la nostra forza di incrociatori per fronteggiare la sua flotta da battaglia, tanto più renderà libero il mare per il suo commercio ed esponà il nostro alle scorrerie d ei suoi incrociatori. L'esperienza, quindi, e in eguale misura la teoria ind icano che, come principio generale, gl i incrociatori dovrebbero essere considerati come interessati principalmente al controllo attivo delle comun icazioni e che le sottrazioni a favo re della flotta dovrebbero essere ri-· dotte all'estremo limite d i un rischio ragionevole. Quale debba essere quel limite p uò essere deciso solo dalle circostanze di ogni singolo caso a l suo apparire e dal carattere personale degli ufficiali responsab ili. L'abitudi ne di Nelson era di ridurre g li incrociatori della flotta ad un numero inferiore forse a qu ello di ogni altro comandante. In effetti fu così piccolo il margine di efficienza che lasciò che, nella campagna citata, quando le sue capacità di giudiz io erano mature al massimo, un colpo di sfortuna - il tradimento della sua posizione da parte d i una nave neutrale - lo privò della decisione che ricercava e consentì alla flotta nemica di sfuggire. Arriviamo, quindi, a questa concl usione generale: l'obiettivo della guerra navale è il controll o delle comunicazioni marittime . Allo scopo cl i esercitare efficacemente tale controllo è necessario avere una numerosa classe di vascelli particolarmente adatti all'inseguirnentO. Ma la loro capacità di esercitare il controllo è proporzionata al livello - 109 -


del nostro dominio, cioè alle nostre possibilità di prevenire il nemico dall'interferire con le loro operazioni. Il loro potere dì resistenza è inversamente proporzionale al loro potere di esercitare il controllo; in altre parole, più numerosi e più adatti sono per la caccia al commercio e ai trasporti, più debole sarà la loro potenza bell ica individuale. In generale non possiamo fornir loro il potere di resistere agli attacchi senza, allo stesso tempo , ridurre il loro potere cli esercitare il controllo. La soluzione al problema, accettata durante il periodo della grande scuola cli Anson , fu q uella di forni r loro una fo rza dì copertura di un ità da battaglia particofarmente adatte allo scontro. Ma q ui sorge una difficoltà. Più diamo a ll e nostre unità da battaglia potenza combattiva, di tanto riduciamo la loro capacità dì scoperta, e la scoperta è essenziale alla loro efficacia operativa: la flotta eia battaglia deve avere occhi. Ora, bastimenti adatti al controllo delle comunicazioni sono anche molto idonei come "occhi". Diventa normale, pertanto, ritirare dalle operazioni cli controllo un numero sufficiente dì unità per consentire alla flotta da battaglia di coprire efficacemente le operazioni di quelle che rimangono ad esercitare ìl controllo. Tali erano i principi di massima jn base ai quali l'inevitabile dilemma doveva essere sempre risolto e sui quali era basata l'organizzazione di Anson. Essi discendono istintivamente dalla teoria delle comunicazioni della guerra marittima, e fu questa teoria che dominò il pensiero navale, come appare dall' uso tecnico di espressioni quali " linee di passaggio e di comunicazione" . I piani di guerra dei grandi srrateghi, da Anson a Barham, possono sempre essere scomposti ìn questi semplici elementi;~ q uando troviamo che l'Ammiragliato perde la sua presa su di essi abbiamo la confusione e gli alquanto inutili fa llimenti della guerra di Indipendenza Americana. In quella guerra malamente condotta, l'errore fondamentale fu che consentimmo alle flotte da battaglia nemiche di raggiungere e occupare le vitali linee di "passaggio e comunicazione" senza prima costringerle alla battaglia, un errore ìn parte dovuto alla impreparazione di una amministrazione debole e, in parte,. al l'ìnsuffic iente assegnazione di incrociatori che assicurassero il contatto nel momento e nel posto gi usto. Fino a questo punto, quindi, sono chiari i principi sui quali è stata costruita la nostra supremazia navale. Contro i nemici che dovevamo affrontare il sistema di Anson era mirabilmente concepito. Sia la Spagna che la Francia tenevano tanto alla teoria delle comunicazioni che si accontentavano di considerare come un successo la capacità di - 110 -


disturbare continuamente il nostro comrollo senza alcun vero tentativo di assicurarselo per loro stesse. Per sconfigge re una tale po litica le idee di Anson e la strategia che ne derivava e rano perfettamente adatte e facili da applicare. Ma non ne deriva affatto che questa dortrina rapprese nti l'ultima paro la. Perfino al Lempo di Anson s i erano cominciate a sviluppare complicazioni che tendevano a confondere la precisione del s uo sistema . l\ell'anno che cu lminò a Trafalgar c'erano già indicazioni che il sistema cominciava a diventare sorpassato, finché i nuovi metodi e i materiali usaci dagli americani nel 1812 lo compromisero definitivamente. Lo scompiglio creato allora 11a continuato a progred ire ed è necessario conside rare quanto seriamente ciò abbia reso confuso il problema della struttura della flolla. An zirutto c'è la generale ammissione, sempre ovvia per noi , che il più drasrico, economico ed efficace modo per assicurarsi il controllo è di gran lunga quel lo di distruggere i mezzi nemici che possono interferire con esso. Nelb nostra Marina questa idea della "d isfatta del nemico·· ha sempre teso ad affermarsi con tale fo rza che occasionalmente i meZ7. i sono diventali, per un cerco tempo, più importanti del fine. In altre parole, le circostanze furono tali c he in qualche occasione fu conside raco opporcuno sacrificare per qualche tempo l'esercizio d e l conrrollo al fine di privare rapidamence e rerm anente menLe il nemico di tutti i mezzi con i quali poteva interferire. Quando c'era una ragionevole speranza che il nemico accettasse il risch io di uno scontro decisivo, qu esta consideraz ione te ndeva ad oscurare rutLe le altre. Ma quando. come nel caso di Nelson nel .Medicerraneo, questa speranza era fievole, l'esercizio del contro llo tendeva a essere considerato preminente. Il secondo probl ema nasceva dal facto che per quanto forte fosse la copertura dell e nostre navi da battaglia, ern assolutamente im possibile meuere al sicuro il controllo degli incrociatOri dalle interferenz e prodotte eia attacchi sporad ici. Una gra nde nave isolata, sfruttando le o pportunità de l mare, poteva elude re anche il blocco più streuo e se tale nave riusciva a raggiungere le linee di comunicazione, poteva paralizzare le operazioni di un cen o nume ro di unirà più debo li. Queste ultime d oveva no o fugg ire o concentrarsi e in emrambi i casi il contro ll o veniva interrono. Se a causare l'interferenza era un a squadra di navi pesanti , la prass i era di inviarle contro una d ivisione della fl otta da battaglia di copertura . Ma era q_vviamente alquanto incomodo e contra rio al principio stesso su cui - lii -


era basata la compos izione d ella Dotta acconsentire che ogni insignificante minaccia al controllo degli incrociatori allentasse la coesione della notta principale. Era quindi necessario dare alle lin ee d i incrociatori qualche capacità cli resistenza. Una volta ammessa quesra necessità, sembrava non esserci più alcun limite al quale fermarsi nell'aumentare la potenza di combattimento degli incrociatori e presto o rarcli, a meno che non si fosse trovato qualche mezzo per li mitare questo processo, sarebbe praticamente scomparsa la distinzione fra incrociatori e navi da battaglia. Questo mezzo fu trovato in quella che può essere chiamata la nave "intermedia". Le fregare continuarono invero ad aumentare in dimensioni e in potenza di fuoco per luteo il resco dell'era veli ca, ma non fu solo in questo modo che si ottenne la capacità di res istem:a. I perversi risultati di questo meccanismo furono arrestati dall'introduzione di una nave cli sostegno a metà strada fra la fregata e la vera nave cli linea. Talvolta classificata come nave da battaglia, e in questo caso prendeva il suo posto ne lla linea, In nave da 50 cannoni diventò essenzialmente una nave di rinforzo alle squadre di incrociatori. Queste navi compaiono più comunemente come navi ammiraglie dei commodori in comando degli incrociaLOri oppure erano dislocate ne lle acque ai lunìti delle linee cli comunicazione marittime o in punti focali dove raids sporadici erano più probabili e più pericolosi. La conseguenza strategica della presenza di un tale bastimento in una linea cli incrociatori era di dare in una certa misura all'intera linea la fo r7,a de lla nave intermedia perché qualsiasi incrociatore nemico che tentasse di disturbare la linea ern esposto a doversi n1is urare con la nave di sostegno; allo stesso tempo, se una fregata e una nave da 50 ca nnoni si trovavano insieme potevano competere perfino con una piccola nave di linea. Naturalmente, al tempo della vela questa potenza della nave cli sostegno era debole a causa degli imperfetti mezzi di comunicazione a distan za fra le navi in mare e a ll 'inesistenza di tali mezzi oltre l'orizzonte ottico. Ma, con lo sviluppo della telegrafia senza fili, non è irragionevole attendersi che il valore strategico della nave intermedia o di sostegno diventerà più grande cli quanto sia mai st::no al tempo della vela e che, per quanto riguarda il contrasto cli incerferenze sporadiche, la tendenza sarà che il pote re cli resistenza di una linea cli incrociatori si avvicin erà sempre di più a quello clell"unità più forte. - 112 -


Bouexic de Gu:ichen (1772- 1790).


Abraham Duques11e.


Per il servizio con la flotta il potere di resistenz.1 di un incrociatore non era meno prezioso perché, sebbene si parli degli incrociato ri assegnati a lla flotta come d egli occh i della stessa, il loro fine era quasi altrettanto quello di accecare il nemico. TI loro compito non era e non è solo quello di scoprire i movimenti del nemico. ma anche <li agire come un o sche rmo per nascondere quelli propri. Questo punto è stato ben evidenziato nei blocchi, dove la vecchia nave da 50 cannoni si trovava quasi sempre con la squadra di incrociatori sotto costa per impedire che indiscrete fregate la costringessero a ritirarsi. Per quanto ai vecchi tempi s ia stato importante questo potere di resistenza nello schermo, è ora dieci volte più importante e la conseguente difficoltà d i tenere gli incrociatori distinti dalle navi da battaglia è più grande che mai. 11 motivo per questo stalO di cose sarà più evidente considerando la terza e più seria causa di complicazioni. La terza causa di complicazioni è rappresentata dall'acquisizione di potenza di fuoco da parte delle unità sottil i. Questa è una nov it à assoluta nella guerra navale,rn praticamente ignota fino al completo sviluppo del siluro. È vero che la nave incendiaria, così com'era orig inalmente concep ita, e r::i consid e rata d ota ta di ca ratteristiche che si avvicinavano a qualcosa di simi le. Durante le guerre con l'Olanda quand'era in gran voga - le pocenzialità che si accreditavano al brulotto furono in qualche occas ione effettivamente realizzale, come nclrincendio della nave amm iraglia di Lord Sandwich a ll a battaglia di Sole Bay e la distruzione della flotta ispano-olandese a Palermo da parlc di Duques ne. Ma, con l'aumenLare de ll'"agil ità" delle grand in avi per il maturare de ll 'arte marina resca e dell'architettura navale, la n.1,e incendiaria divenne un'arma quasi trascurabile, mentre si scop rì c he una flotta a ll'an cora poteva benissimo essere difesa dai s uoi stessi battelli di guardia. J n e ffetti, verso la me tà del diciottesimo secolo le occasioni nelle quali la nave incendiaria poteva essere usata pe r il suo specifico compito e rano con s iderate assolutamente ecce;donali e, sebbe ne quel tipo di na ve sia staio man tenuto fino alla nnc del secolo, le sue funzioni non differivano affauo da quelle del resto della flotLiglia di c ui faceva parte.

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Ma non senza analoghi prcct·denti. Alla fine ciel ~tedio Evo a piccoli banelli fu assegn:na la fu nzione, in lx 1uaglia , di i nca tastare i timoni delle navi maggiori o di forarne lo scafo sulla linea cli galleggiamcnLo. Vedasi Figblin~ I11str11c1io11s (N,1vy Record Sociecy), p. 12.

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Quel le funzioni, come abbiamo visto, csp1imevano l'idea della crociera nel suo senso più puro. Erano il numero e la mobilità che determinavano i tipi d i naviglio soLLi le, piuttosto che l'armamento o la capacità cli permanenza in mare. Il loro compito primario era queJlo cli contro llare le comunicazioni nelle acque Lerritoriali o coloniali contro corsari debolmente armati. 11 tipo di nave che fu scelto per quest i compiti era adeguatamente idoneo al compito secondario di operare con la flotla sotto costa o di portare dispacci per la stessa. Inoltre, fu all"ubiquità che il loro numero consentiva e alla loro capacità di affrontare bastimenti disarmati o poco armati, che abbiamo affidato la nostra prima linea cli difesa contro le invasioni. Questi ultimi compiti furono ovviamente eccez ionali e la Navy List non conteneva, di regola, un numero di navi sufficiente per lo scopo. Ma un valore peculiare di questa classe era quello di potersi espandere rapidamente e quasi illimitatamente, prelevando unità dalla Marina mercantile. Qualsiasi cosa potesse portare un cannone aveva un suo uso; durante il periodo della minaccia napoleoniGt la flottiglia cli difesa salì considerevolmente oltre le mille unità. Per quanto una flottiglia cli questo tipo fosse formidabile ed efficace per i fini cui doveva servire. ovviamenle non influiva affatto sulla sicurezza della flotta da battaglia. Ma, appena le unità souili acquisirono potenza di fuoco !"intera situazione fu modifica ca e i vecchi principi, su cui si basava la costruz ione degli incrociatori e la loro dislocazione, furono faui a pezzi. La flotta da battaglia divenne un organismo più imperfetto di quanto non sia mai stato. Prima e ra solo il suo potere offensivo che richiedeva di essere integrato: la nuova s itu a:done comportava che se la fl otta da battaglia non era aiutata non poteva più assicurare la sua stessa difesa. Ora era richiesto uno schermo cli copertura non solo per l'osservazione, ma anche per difendersi dagli attacchi delle unità sottili. La debolezza teorica di un'offensiva bloccata ri ceveva un esempio prat ico e concreto ad un livello che la guerra aveva raramente conosciuto. Le nostre più amate tradizioni strategiche erano scosse dal le fondamenta. 11 ''posto giusto" per la nostra f1oua da battaglia era sempre stato "sull e coste nem iche" ed o ra quello era esattamente il posto dove in nemico sarebbe stato più felice di vederla. Che cosa si poteva fare? Una così splendida tradizione non poteva es!>ere messa eia pa1te con leggerezza, ma il tentativo di preservarla ci trascinava sempre più profondamente nell'eresia. Il problema\ itale, più difficile e più intere!>sante non era più quello - 11-i -


di come au mentare il potere d 'attacco della flotta da battaglia. che è un affare relativamente semplice, ma come difenderla. All'aumentare del potere offensivo delle unirà sortili il problema diventava pressan te con un 'intensità quasi sconcertante. Ad ogni aumento del la velocità e della tenuta al rnarc della torpediniera il problema dello schermo diventava sempre più impegnativo. Per tenere la flottiglia di unilà sotti li nemiche fuori dalla portata d'attacco nouurno lo schermo doveva esse re a llargato sempre cl i p iC1 e questo significava sem pre p iù incrociatori d istolti dalla loro funzione primaria. Non solo: lo schermo cloYeva essere reso il più impenetrabile possibile. In altre parole, il suo potere cli resistenza doveva essere incrementato lungo tutta la linea. I mere squadre di incrociatori corazzati dovettero esse re assegnate alla flotta eia battaglia per appoggiare le unità più deboli dello schermo. L'evidente necessità cli quesco tipo di nave innescò una rapida corsa per aL1memare la loro potenza di fuoco e con ciò cadd e con egua le rapidità la possibilità econom ica cl i dare all a classe degli incrociatori la sua essenziale consistenza quantitativa. L'inevitabile risultaw è che cì troviamo coinvolLì nello sforzo di restituire a lle un ità sottili parte de lle loro vecchie capacità di incrociato ri, dotandole di cannoni. d i migliorare la loro tenuta al mare e di fornirle di apparati per le comunicazioni a distanza: il tutto a costo della specializzazione e d i un maggior sforzo economico. Sempre g iudica ndo in base all 'esperienza passata, q ualche sistema pe r aumentare il numero dei tipi di navi eia crociera è indispensabile, né è chiaro come sìa possibile assicurarsi anche l'essenziale numero dì incrociatori verì e p ropri. Non è stato trovato alcun Lin1ite a l quale fosse poss ibil e fe rmare la tenden za d i q uesta classe di bast imen ti ad aumentare in dimensioni e costo per riporta rla alla posizione strategica che era solita occupare. Così insicura è la squadra eia battaglia, ed è d iventata così imperfetra come a rma a utonoma, che le s ue necessità hanno infranto il vecchio o rdi ne delle cose e la funzione primaria delle navi da crociera tende a non essere più l'esercizio del controllo sono la copertura della flotta da battaglia. La nocca da battaglia ora richiede la p ro tezione della nave da crociera e ciò di cui ha bisogno la flotta da battaglia è ritenuto cli prima necess ità. Giudicata secondo la vecchia pratica navale, quella in cui ci troviamo è una situazione affatto anomala. Ma l'intera aree navale ha subito una rivolu 7.ione che su pera ogni espe ri.e nza preced ente ed è possibile che la vecchia pratica non rappresenti più una guid;'l sicura. Spinea - 115 -


dalle stesse necessilà , ogni Potenza navale sta seguendo la stessa via. Ciò può essere giusto, può essere e1Talo; nessuno, che non sia un ignorante o un avventato, si azzarderà ad esprime re giudizi ca tegorici. n meglio che possiamo fare è di tenta re di comprendere la situazione nella quale, nonostante tutti i cattivi presentimenti, ci troviamo e di ricercare esempi simili negli eventi ciel passato. È indubbiamente un compite difficile. Come abbiamo visto, nel-

la struttura delle flolle sono prevalsi nelle varie epoche diversi memdi per esprimere le necessilà della guerra navale . TI sistema attuale differisce da LUtti i precedenti. Da un lato abbiamo il fatto che gli ultimi sviluppi della potenza degli incrociatori hanno definitivamente eliminato ogni distinzione logica fra incrociatori e navi da battaglia; così ci troviamo vicini alla composizione della notta delle vecchie guerre contro l'O landa. Dall 'a ltro, tuttavia, abbiamo incrociatori corazzati organizzati in squadre e assegnali alle flotte da battaglia non solo per scopi sLrategici , ma anche per una funzione tattica in battaglia non ancora chiarita. fn q uesto caso ci avviciniamo agli ultimi sviluppi dell'era velica, quando cominciarono ad apparire nell 'organizzalione delle flotte da battaglia squadre "Avanzate'' o "Leggere". li sistema nacque verso la fine del diciottesimo secolo in Mediterraneo, dove le condizioni del controllo richiedevano una d ispersione così vasta e un così gran numero di incrociatori che era quasi imperaLivo per una squadra da battaglia in quel mare svolgere molta parte della sua stessa ricognizione. Ft1 certame nte a questo scopo che le navi di linea più veloci e leggere furono raggruppate in unità separate e la prima designazione che ricevcnero fu quella di "Squadre d'osservazione··. Spettava a Nelson tentare di dotarle cli una funzione Lattica, ma la sua idea non fu mai realizzata né da lui né dai suoi successori.

Fianco a fianco a questo nuovo elemento ne1l'organizzazione della flotta da battaglia, che forse si potrebbe meglio denominare "Divisione leggera", abbiamo un a ltro fatto signifi cativo. Non solo questa divisione non è sempre stata composta interamente cli navi di linea, soprattutto nella Marina francese, ma nel 1805, l'a nno del suo pieno svil uppo, vediamo Sir Richard Strachan usare le fregate pesanti assegnate alla sua squadra da bauaglia come una "Divisione leggera'', dando loro una precisa funzione tattica. li crollo della Marina francese pose fine a ogni ulteriore sviluppo cli e ntrambe le idee. Dove -

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avrebbero condotto non ci è dato sapere. Ma è impossibile non vedere le indicazioni d i una crescente tende n7.a verso il sistema che esisle attu almemc. È difficile ignorare il fatto che sia Nelson sia Strachan in que ll'anno crucia le scopri ro no che la realtà della guerra richiedeva q ualcosa che non e ra allora previsto n ella composizione della flotta, ma che lo è oggigiorno. Ciò di cui Ne lson sentiva il bisogno era una nave da battaglia con la velocità di un incrociatore. Ciò che Strachan desiderava era un incrociatore idoneo a svolgere un compito tattico in un'azione fra flotte. Ora li abbiamo entrambi. ma con quali risu ltati? La specializzazione per tipi cli Anson è quasi scomparsa e la nostra attuale compos izion e della flotta è difficilmente distinguibile da que lla del diciassettesimo secolo. Manteniamo la nomenclacura ternaria , ma il sistema stesso è in effetti scomparso. Le navi da battaglia sfumano neg li incrociatori corazzati, gli incrociatori corazzati in incrociatori protetti. Possiamo a fatica rilevare una qualche vera distin zione che non sia quella binaria fra bastime nti il cui armamento principale è il canno ne e quelli il cui armamento pri ncipa le è il siluro. Ma anche qui r esistenza di un tipo cli incrociatore destinato ad operare con le flouigli e di unità sottili rende confusa la linea di demarcazione mentre , come abbiamo visto, le unità maggiori della flottiglia di unità sottili stanno avvicinandosi al livell o degli incroc iatori. Ci troviamo così faccia a faccia con una situazio ne che trova il suo esempio più recente nelle flotte prive di struttura del secolo diciassettesimo. È abbastanza curioso che il pe nsiero navale abbia ripercorso così da vicino i propri passi nel corso cli due secoli , ma è ancor più impressionante se consideriamo quanto diverse siano le cause all'origine dei due d iversi casi. La spinta cl1e ha porlato alla situazione presente è dovuta ovviamente a due cause. Una è l'eccessivo sviluppo della nave '· imermedia", progettata per la protezione de l commercio e richiesta eia una minaccia che l'esperienza della G ue rra Americana ci ha insegnato a rispettare. L'a ltra è l'introduzione de l siluro e la conseguente vulne rabilità de lle squadre da battaglia, se non sono fo rteme nte scortate. Nu lla de l genere ebbe a lcuna influen za su lla strULtura d e lla flotta nel diciassettesimo secolo . Ma se andiamo più a fo ndo, vi è una considerazio ne me no ovv ia che, per quanto possa valere, è troppo singolare per essere ignorata. È stato suggerite più sopra che la stru ttura d elle flotte sembra avere una più o meno ravvisabile rela zio ne con la preva lente teoria della gue rra. Ora , fra rune le nostre incertezze, possiamo affermare con -

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tuLta fiducia che la Leoria prevalente a l giorno d'oggi assomig lia molto eia vicino a quella che predominava nei sol da Li-ammiragli (.i) del tempo delle g uerre con l'Olanda. Era la teoria della "Disfatta del nemico", la fede sicura nell 'azione d ecisiva quale chiave di Lutti i problemi strategici. Essi se l'erano portata in mare dai campi di battaglia del New Mode l Anny e gli o landesi li affrontarono sullo stesso. piano. Almeno nella prima guerra il loro commercio dovette lasciare il campo all'esigenza di gettare nel la banag lia qt1alsias i cosa che potesse influire sul risultato. on si pretende, naLUralmente, che questo aueggiamenlo sia stato dettato da una teoria della guerra assoluta concepira con chiarezza. Fu dovu ta piuttosto al fatto c he, date le condizioni geografiche relative, tuLti i tenrarivi d i salvagua rdare il traffico commerciale erano inutili senza il dominio delle acque di casa nel Mare del Nord e q uesta verità ricevette unn stringente enfasi morale dalla pretesa britannica di e ffetcivo dominio dei Mari RistreLti. Fu. in effetti, una guerra che assomigliava al le cond izioni della conquista te rritoriale su l continente piuttosto che agli avvenimenti navali che caratterizzarono la nostra rivalità con la Francia. È quindi possibile, per quanto possiamo opporci a questa concl usio ne nel ris petto della tradizione ottocentesca, che la nascita di una nuova Potenza na vale al posco dell'Olanda<5>debba riportarci ai drasli cL seppur grossolani metodi delle guerre o landesi e costringerci a calpestare la più piacevole ingegnosità del sistema di Anson? È questo che ci ha indotti a diffidare di qualsiasi tipo di bastimento che non possa essere scagliaro in battagli a? La rinascita di un formidabile rivale nel Mare ciel Nord non è stata certo la prima causa della reazione ; questa co mi nciò prima che la minaccia sorgesse. Tuttavia ha indubbiamente accelerato l'a ndatura e anche se non ne è stara la causa può benissimo esserne una giustificazione.

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( 1) Si ricorda che sia Monk sia 13lakc, i princi pali Ammiragli inglesi in q uelle guer-

re, erano Colonnelli dell'esercito e furono nominaci "G'e11erals nl sea" (\ldT). (5) Si ri fe ri sce ovviam ente alla Germania Guglielmina ( :'-JdT).

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CAPITOLO III 1'EOR1A DEL METODO

CONCF:NTRAZTO~E E DISPERSIONE DELLE FORZE

al punto di vista d e l me todo co n cui s i o cte ngono i suoi fini, la strategia è spesso descritta come l'arte di riunire la massima forza al mo mento e nel posto giusti. Questo metod o è eletto

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"Con centrazione". A prima vista il termin e sembra semplice e abbastanza chiaro , ma se lo si analizza s i troverà che include idee diverse e distinte alle quali il termine è applicato indiffe re ntemente. Il risultato è fonte di qualche confus ione, anche pe r gli auto ri più lu cidi. "la parola concentrazione", ha scritto recente mente uno cli loro, "evoca l'idea di un rag-

g ruppamento di/orze. Crediam o, infatti, di non p oter fare la guerra senza raggruppare navi in squadre e le squadre in flotte" .(]) Qui , in una sola frase, il s ignifica to de lla paro la ondeggia fra la formazio ne delle flotte e la loro ripartizione strategica. Simili imprecis ioni imbarazzeranno lo s tud ioso in ogni istante. A volte trove rà che la paro la viene usata per esprimere r antitesi della divisione e dispersione delle forze; alrre vo lte per es prim e re la dislocazione s trategica , che implica una suddivisione più o meno estesa. La troverà usata per indicare il processo di riunione di una forza così come p e r le cond izioni della forza quando qu el processo è completato. La verità è che il termine, che è uno d e i più comun i e necessari nella discussione strategica, non ha mai acquis ito un significato preciso e questa mancanza di precisione è una d e lle più comuni cause di conflitto d 'opinioni e di giudizi discutibili . Inve ro n essun termine strategico richiede

(1) Daveluy, l'Esprit de In Guerre Nat1ale, Voi. I pag.

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26.

oow.


una chiara determinazione delle idee che sottintende più urgentemente di questo. Nella fraseologia militare terrestre. dalla quale è presa, la parol.i "co ncentrazione" ha tre significati diversi. Essa è usata per indicare la riunione delle unità di un esercito doro la loro mobilitazione. In questo senso la concentrazione è principalmente un processo amministrativo; logicamente significa il compleramento del processo di mobilitazione attraverso cui l'esercito attua la sua organizzazione ùì guerra e diventa pronto a scendere in campo. ln secondo luogo è usata per il processo di spos tamento dell 'esercito, una volta radunato o in via di esserlo, verso le località dalle quali le operazioni possono essere iniziate nel modo migliore. Questa è una vera tappa strategica che culmina in ciò che è noto come spiegamento strategico. Infine, è usata per l'ultimo stadio, quando l'esercito così spiegato viene serrato sotto una ben precisa linea d 'operazione, pronto per l'azione tattica; cioè è riunito per sferrare un colpo con vergente. Sebbene questa terminologia sembri servire bene a terra, dove i processi tendono a sovrapporsi, si richiede qualcosa di più esatto se cerchiamo di estenderla al mare. Una tale estensione esalta l'errore ad ogni passo e diventa difficile pe nsare con chiarezza. Anche se mettiamo da parte il primo significato, cioè lo stadio fina le della mobilitazione, abbiamo ancora a che fare con gli altri due che sono in gran parte fra lo ro contraddittori. Ciò che contraddistingue in modo essenziale la dislocazione strategica, che contempla la dispersione alfine di una scelta di successive riunioni, è la flessibilità e la libertà cli movimento. Le caratteristiche cli un esercito ammassato per sferrare un attacco sono la rigid ità e la rid otta mobilità. Nel primo significato di concentrazione inte ndiamo una disposizione delle forze che nasconde le nostre intenzioni al nemico e che ci permetterà di adattare i nostri movimenti al piano di operazioni che egli svilupperà. Nel secondo, l'occultamento strategico è concluso; abbiamo effe ttuato la nostra scelta e siamo impegnati in una ben determinata operazione. Chiaramente, quindi, se vogliamo applicare i principi della concentrazione terrestre alla g uerra navale è opportuno decidere quale delle due fasi dell 'operazione intendiamo con tale tennine . Allora , quale significato è più strettamente connesso con l'uso comune della parola? l dizionari definiscono la concentrazione come "la condizione di essere portati verso un punto o centro comune" e - 120 -


questo coincide esatta mente con lo stadio di un piano di guerra che sla fra il completamento della mobilitazione e l'ammassamento o lo spiegamento fin a le per la ballaglia. È un atto incompleto e continuo; la sua conseguenza finale è la massa. È il metodo per assicurare la massa delle forze al momento e al posto giusti. Come abbiamo visto, l'essenza della condizione dello spiegamemo strategico a cui porta questo metodo è la flessibilità. In guerra la scelta ciel tempo e del luogo sarà sempre influenzara dalle disposizioni e dai movimenti del nemico o dal nostro desiderio di sferra rgli un colpo inaspettato. In questo senso, q uindi, il merito del la concentrazione è che può permetterci di formare per tempo la nostra massa in uno dei numerosissimi dive rsi punti nei qu ali la massa stessa può essere richiesta. È per queslo che i più recenti testi tendono a limitare in questo senso la concentrazione, definendola come "concentrazione strategica". Tunavia anche questo termine è poco soddisfacente perché il successivo processo cli raccolta del l'esercito in una data posizione per lo spiegamento tattico è anch'esso una concentrazione strategica. Si richiede, quindi , un'ulteriore specializzazione del termine. La differenza analitica fra i due processi è che il primo è un'operazione di strategia primaria e l'altro di una secondaria e se d evo no essere es pressi interamente dobbiamo appesanlirci con termini come .. con-

centrazione strategica primaria e secondaria". Una ta le scomoda terminologia è troppo sgradevole da usa re; serve solo a far notare che lo stadio mediano differisce logicamente dal terzo tanto quanto dal primo. In pratica si riduce a questo: se intendiamo usare "concentrazione'' nel suo significato nan1rale dobbiamo considerarla come qualcosa che viene dopo la comp leta mobilitazio ne e si ferma prima della fo rmazione della massa. Almeno nella guerra navale questa distinzione fra la concentrazione e la massa è essen ziale per un ch iara valutazione e conduce a conclusioni della massima importanza. Per esempio, una volta formata la massa, l'occultamento e la fless ibilità non esistono più. Perta nto, più lo ntano dalla for mazione della massa finale possiamo fermare il processo di concentrazione, miglio re sarà la sua proge ttazione. Meno saremo legati ad una particolare massa e meno indicheremo quale e dove debba essere la nostra massa, più formidabile sarà la noslra concentrazione. Pe rciò, al termine concentrazione L'idea di divisione è essenziale quanto quella di connessione. È quest.o aspetto del processo - 121 -


che, a lmeno rer la guerra navale, un importanLe ed aULorevole criLico ha fortemente e nfatizza to: "Tale", egli dice, "è la co11centrazio11e ragio11evolme11te intesa: non u11'amm1rccbiata disordinata come un g regge di pecore, ma una distribuzione per w10 scopo comune, unita insieme dall 'efficace energia di unCl sola volontèl".< 2 ) Eg li paragona la concentrazione cli navi ad un ventagl io che si apre e chiude . Da quesLO punto di vista la concentrazione indica non un corpo omogeneo, ma un o rganismo com pl esso contro llal o da un centro comune e abbastanza elastico da permettergli d i coprire un ampio campo senza sacrificare il mutu o sostegno fra le s ue part i. Qu indi, se escludiamo il signiricato di semplice assembramento e quello d i massa, ci rimane un signifi.cato che esprime una coerente disposizione attorno ad un cemro strategico. È questo significato, come vedremo. che fornisce a lla guerra nava le proprio la definizione operativa che ricerchiamo come complemento allo spiegamemo strategico nella guerra terrestre. L'obiettivo della concentrazione navale, come pe r lo s piegame nto strategico, sa rà q uello di coprire la più ampia area possibile e cli preservare al lo stesso tempo una coesione clastica cosi da assicu rare rapide riuni oni d i qualsivoglia due o più parti del l'organismo, in qualsiasi parte dell 'a rea da coprire, secondo il volere della mente dirigente e, soprattu tto, di assicurare un a immancabile e rapida riunione ciel tutto nel centro strategico. lnolLre . una concentrazione cli q uesta natura sarà l'espressione di un pia no di g uerra che, mentre è solidame nte basato s u una massa finale centrale, conserva anche la facoltà di sferrare od o ppo rsi ad attacchi minori in qualsiasi direzione. Ci consentirà di esercitare il controllo del mare me ntre attend iamo e ci pre pari amo per l'opportunità di una decisione che dovrà assicu rarci quel controllo in modo permane nte e lo consentirà senza pregiudicare la nostra abil ità di portare in campo la mass ima forza qu ando arriverà il mome nto dell a decisione. La concentrazione, di fatto, implica un continuo conflitto fra coesione ed estensione e, praticamente, è il corretto aggiustamento di queste due tensioni - cli forza sempre variabile - che costiluisce la maggio r parte della strategia pratica.

(2) Mahan, Sea l'ou.:er in its rela1 io11s lo rbe W'r1r of /812, ! , pag. 3 16.

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Nella guerra navale questo stadio di concentrazione ha un significato pani colare nello sviluppo d i una campagna e in mare ciò è individuabile più chiaramente che a terra. A causa delle grandi dimensioni degli eserciti moderni e della natura limitala delle loro linee di movimento, ollre che della loro inferiore mob ilità intrinseca, se paragonati alle flone, i processi di assembramento. concentrazione e formazione della massa da battaglia te ndo no a sfumare l'uno nell 'altro senza alcuna diffe renza di valore pratico. t ·n esercito raggiunge frequentemente lo stadio di spieganìenco strategico direttamente dalle basi di mobilita7,ione delle sue un ità e in famose occasioni la sua unica , vera concentrazione ha avuto luogo sul campo cl i batlaglia . Nella guerra terrestre, quindi, c'è minor difficoltà ad usare il termine per comprendere i tre processi; la loro tendenza è sempre quella di sovrapporsi. Ma in mare, dove le comunicazioni sono libere e prive di ostacoli e dove la mobilità è elevata, questi tre processi sono suscettibili di una nella differenziazione. La no rmal e proced ura per una nOlta è qu ella cli riunirsi in un porto, procedere quindi. con un movimento ben definito, verso il centro strategico e diramarsi nel mare divisa in gruppi second o le necessità. La concentraz io ne s ul centro può essere molto lontana dalla massa e la formazione finale della massa stessa non ha alcuna somiglianza con nessuno dei movimenti precedenti e sarà affatto distima. Tultavi a, p er quanto una flotta sia libera dai particolari vincoli che ha un esercito, in mare csislOno sempre condizioni peculiari di attrito cbe inceppano la libe rtà di schierame nto. Una d e lle fo nti di questo aurito è la prorezione d e l commercio. Per quanto il nostro piano possa insistere sul bisogno cli una concentrazione serrata, la necessità d i proteggere il commercio richi ede rà semp re la dispersio ne delle forzC;: . L'altra fonte è la particolare libertà e segretezza dei movimenti in mare. Così come non conosce strade che limitino o indich ino le nostre linee d 'operazione, il mare ci dice be n poco anche s u qu elle del nemico. I punti più distanti e a mpiamente dispersi devono essere considerati come possibili obiettivi d el ne mico. Quando a questo aggiung iamo che due o piC1 flotte posso no agi.re congiuntame nte da basi molto distanti con una sicu rezza ben superiore a quella possibile per gli eserciti, diventa ovvio che la va rietà delle combina zioni è molto maggiore in mare che non in te rra e la varietà delle com binazio ni è in cosrn nte o pposizione all'ammassamento cenrrale. - 12:$ -


Ne segue che, fintanto che la flotta nem ica è divisa e q uin di mantiene varie possibilità di un 'a zione concentrata o sporadica, la nostra distribuzione delle forze sarà dettara dalla necessità di essere in grado di fronteggiare un a varietà di combinazioni e di proteggere una varietà di obiettivi. La nostra concentrazione, pertanto, deve essere tenuta quanto più possibile aperta e flessibile. La storia comunque ci dimostra che quanto più matura e fresca era la nostra esperienza e pW sicura la nostra padronanza della guerra, tanto più lasche erano le nostre concentrazioni. L'idea dell 'amrhassamento, come virtù intrinseca, è originata dalla pace non d a guerra; essa indica la debilitante idea che in guerra si debba cercare di evitare la d isfatta invece di infliggerla. Vero, i sostenitori della massa si trincerano dietro il plausibile concetto che il loro scopo è quello di infliggere schiaccianti sconfitte, ma anche questa è un'idea da tempo di pace. La guerra ha pienamente dimostrato che le villorie non solo devono essere vinte, ma anche guadagnate. Esse devono essere guadagnate con audaci combinazioni strategiche le quali di regola impongono almeno una dispersione apparente. Esse possono essere ottenute solo assumendo rischi e il magg iore e più efficace di questi è la suddivisione delle forze. ln conseguenza del prolungato periodo di pace la "concentrazione" è diventata una specie di parola d'ordine così che la suddivisione di una floua tende quasi a essere considerata un sicuro segno di cattiva leadersbip. I critici hanno com inciato a perdere di vista l'esperienza delle guerre scorse; cioè che senza una divisione delle forze non è possibile alcuna combinazione strategica. La divisione delle forze è negativa solo quando è spinta oltre i limiti di uno spiegamento ben ord ito. È teoricamente errato dislocare una sezione della flotta in una posizione tale da impedirle di ripiegare su l suo centro strategico quando incontra forze superiori. Natu ralmente, rali ritirate non possono mai essere date per certe; esse dipenderanno sempre in qualche misura dall'abilità e dalle risorse dei comandanti avversari e dalle co nd izio ni me teorologiche, ma i rischi vanno corsi. Se non rischia mo nulla raramente otterremo qualcosa. Il grande capo è colui che è in grado di misurare correttame nte fino a quale amriezza dello schieramento può estendere la sua concentrazione. Questa capacità di coraggioso e sicuro aggiustamento fra la coesione e la dispersione è invero una prova suprema di quel discernimento che nella condotta della guerra pre nd e il posto della teoria strategica. - 124 -


Michiel Adriaanszoon De Ru_yter (1607-16Z6).



È difficile trovare esempi di cattive sudd ivision i delle forze nella swria navale britannica. Il caso p iù comunemente citato è u no dei primi; avvenne nel 1666 durante la seconda guerra contro r o landa. Mònk e Ruperl erano in comando della flotta principale ch e, dalle sue basi di mobilitazione nel Tamigi e a Spithead, s i era concentra ta ne i Downs . Da q ui aspettavano ch e la flotta di De Ruyter prendesse il ma re trova ndosi in una posizio ne dalla quale potevano opporglis i sia che il suo obie ttivo fosse un attacco su l Tamigi sia che inte ndesse riunirsi ai francesi. Li raggiunse allora la voce che la squadra di Tolo ne e ra diretta nella Manica per cooperare con gli oland esi. In seguito a questa falsa informazion e, la squad ra fu suddivisa e Rupert ritornò a Portsmouth per coprire quel porto nel caso fosse l 'obiettivo dei francesi. De Ruyter prese subito il mare con una flotta ben su periore alla divisione di Monk. Tuttavia Monk, approfittando d ella foschia che era calata , lo sorprese all'ancora e, reputando d i avere u n sufficiente vamaggio tattico, lo attaccò con impeto. Nel frattempo s i conobbe la situazio ne reale; non esisteva alcuna squadra francese e Rupert fu richiamato. Egli riuscì a ricongiu ngersi con Monk dopo che l'azio ne d i quest'ultimo contro De Ru yter era continuata per tre gio rni. Nel corso d i questa azio ne Monk era sta lo du ramente impegnato ed era stato costretto a ritirars i nel Tamigi. Si ritenne generalmente che solo l'arrivo di Rupert, seppur tardivo, ci avesse salvato d a un vero disastro. C3)

In questo caso la strategia vie ne normalmente condannata senza attenuanti e le si fa carico dell'intera responsabilità del rovescio. Monk, che come soldato aveva dato prova cli essere uno dei migliori strateghi de l suo tempo, è accusato cl i aver commesso un grossolano errore per pu ra ignoranza dei principi e lementari. Si suppo ne che avrebbe dovuto tenere la sua flotta riunita , ma i suoi critici manca no di osservare che, almeno secondo l'opinione dell 'epoca, questo non avre bb e risolto il problema. Se avesse tenuto il tutto riu nito per opporsi a De Ruyter, è probabile che questi non avrebbe preso il m are m en tre è certo che Portsmouth e l'Isola di Wight sarebbero state indifese se i

(3) Questo scontro navale, in iziato 1·11 g iugno 1666, è conosciuto come l a "Ba/taglia dei Quattro Giorni" - Per una eccellente descrizione cli quanto avvenne si rimanda

a "L'injluenza del Potere Marittimo sulla Storia". Al fred T. Mahan , U.S.M .M., pag . 149 e segg. (NclR).

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francesi fossero giunti. Se avesse mosso la sua massa per contrastare i francesi avrebbe esposto il Tarniigi a ll'azione di De Ruyter. Era una situazione che no n poteva essere risolta con la semplice applicazione di q uella che i francesi chiamano la masse centrale. L'unico modo per d ifendere da attacchi entrambi i posti era cli dividere la flotta, così come Nelson ne l 1801 nello stesso teatro fo costretto a dividere la sua forza di difesa. In entrambi i casi la sudd ivisione delle forze non fu un errore, perché si trattò d i una necessità . L'errore nel caso d i Monk e Rupert fu che estesero le distanze senza appropriati provvedimenti per preservare la coesione. Si sarebbero dovuti mantenere stretti collegamenti fra le due divisioni per mezzo cl i incrociatori e Monk non avrebbe dovuto impegnarsi a fondo fino a quando non avesse avuto Rupert al suo fianco. Questa, ci dicono, era l'opinione d i molti dei suoi ammiragli; essi sostengono che non avrebbe dovuto combattere come invece fece. La linea di condotta corretta, secondo il principio di Kempenfelt, avrebbe dovuto essere q ue ll a d i mettersi alle costole di De Ruyter così da impedirgli cl i fa re alcunché e cli ritirarsi lentamente, tirand osi dietro gli o landes i fin o a quando la sua concentrazione, che era lasca, fosse stata di nuovo serrata. Se De Ruyter si fosse rifiutato di seguirlo negli stretti, ci sarebbe stato tutto il tempo per riunire la flotta. Se invece lo avesse seguito, De Ruyter avrebbe dovuto comba tte re in una pos izio ne dalla quale non esisteva via d'uscita. L'errore , infatti, non fu strategico, ma piuttosto cl i valutazione tattica . Monk sopravvalu tò il vantaggio della sorpresa e le relative capacità belliche delle due flotte e credette di poter vincere da solo . Il pericolo della suddiv isione delle forze è quello di essere sorpresi e d i esse re costretti a combattere in condizioni di inferiorità; questo no n fu il caso di Monk. Egli non fu sorpreso e avrebbe potuto facilmente evitare l'azione se l'avesse desiderato. Giudicare un caso come q uesto usand o semplicemente la concentrazio ne come pietra di paragone può solo dare sostegno a qvei discutibil.i modi di pensare che hanno condannato }'ancor più famosa divisio ne di forze che avvenne durante la crisi della campagna del 1805 e dell a q uale discuteremo più avanti. Usare in questo modo parole o massime costituisce generalm ente un pericolo e ovviamente è particolarmente imprudente nel caso della concentrazione e della divisione delle forze . La regola corrente è che sia male dividere a meno che non si abbia una grande superiorità; eppure vi sono state numerose occasioni n elle quali , essendo - 126 -


in gLterra contro un nemico inferiore , ci siamo trovaci in imbarazzo principalmente per il fatto che egli tenesse divisa la sua flotta e fosse così capace cli creare qualcosa di simile ad una sicuazione senza via d 'uscita. Il principale obiettivo delle nostre operazioni navali dìventava allora quello di trovare quella via d 'uscita. Costringere un nemico inferiore a concentrarsi è in effetti il preliminare quasi necessario per assicurarsi una di quelle schiaccianti vittorie alle quali dobbiamo sempre tendere, ma che si ottengono così raramente. È forzando il nemico a tentare cli concentrarsi che possiamo cogliere, con un 'accorta disposizione, la nostra opportunità di annientare completamente le s ue divisioni. È inducendolo a riunirsi che semplifichiamo il nostl'O problema e che lo costringiamo a scegliere fra lasciarci l'esercizio del dominio del mare o lasciare che lo stesso sia deciso da una grande battaglia.

r sostenitoli della concentrazione se1Tata delle forze risponderanno che ciò è abbastanza giusto; cerchiamo spesso di costringere il nemico a concentrarsi, ma ciò non dimostra che la concentrazione sia uno svantaggio , perché noi stessi dobbiamo concentrarci se vogliamo costringere il nemico ad un'analoga concentrazione. Invero, è diventata corrente la massima che concentrazione genera concentrazione, ma non è esagerato dire che questa è una massima che la storia contraddice decisamente. È vera se il nemico è disposto a rischiare tutto in una battaglia; ma se siamo troppo s uperiori o la nostra concentrazione è troppo ben disposta perché egli possa s perare di vincere, allora la nostra concentrazione ha quasi sempre avuto l'effetto di costringerlo a disperdersi per agire in modo sporadico. Questo cisulLato era così certo che, nelle guerre passate nelle quali eravamo generalmente superiori d i fo rze, abbiamo sempre adottato le concentrazioni più allentate possibile onde prevenire azioni sporadiche. È vero, la tendenza dei fra nces i di adottare q uesto modo di condurre la guerra è normalmente attribuito a qualche inettitudine congenita che sta al di fuori della teoria strategica, ma questo punto di vista è frutto più dell 'irritazione che questo metodo ci ha causato che di u n assennato ragionamento. Per un belligèrante relativamente debole l'azione sporadica era meglio di niente e l'unica sua a ltra alternativa era quella di fa re il nostro gioco, azzardando quella decisione che era nostro principa le interesse ottenere. Da sola l'azione s poradica non avrebbe mai dato al nostro nemico il dominio del mare, ma poteva provocarci danni e intralciare i nostri piani e c'era sempre la - 127 -


speranza che avrebbe potuto disperdere talmente la nostra concentrazione da fornirgli una buona occasione per ottenere successi in una serie di decisioni minori . Prendiamo ora il caso limile del 1805. Tn quella campagna la distribuzione delle nostre forze era molto ampia ed era basata su diverse concemrazioni. La prima aveva il suo ce ntro ne i Downs e si esLendeva non solo trasversalmente al la linea di passaggio dell'esercito invasore, ma anche sull'intero Mare del Nord così da prevenire interferenze col nostro traffico o con il nostro s istema cl i d ifesa costiera sia eia parte degli olandesi nel Tcxel s ia da parte delle squadre francesi dirette a nord. La seconda, che era nota come la Squadra Occidentale, aveva il s uo centro al largo dell'isola di Ognissanti e controllava l'intera baia cl i Biscagl ia per mezzo di squadre avanzate di fronte a ferro ! e Rochefort. Con un'ulteriore squadra al largo della costa irlandese, poteva penetrare profondamente in AtJantico al fine di proteggere il nostro traffico. Di fatto faceva la guardia non solo ai porli francesi, ma anche agli approcci alla Manica dove erano i terminali delle grandi rotte commerciali meridionali ed occidentali. Una terza concentrazione, al comando di Nelson, era nel Mediterraneo con centro in Sardegna e sottocentri periferici a Malta e Gibilterra e copriva l'intera zona da Capo St.Vincent, fuori dello stretto, a Tolone, Trieste e i Dardanelli. Quando scoppiò la g ue rra con la Spagna nel L804, si conside rò opportuno d ividere questo comando e le acque spagnole fuori dallo stretto furono tenute da una quarta conce11trazione il cui centro era al largo di Cadice e il cui limite settentrionale era Capo Fin iscerre , dove si univa a lla concentrazione dell'isola d'Ognissanti. Per ragioni che erano pcrsonaU piuttosto che strategiche. questa disposizione non fu mantenuta a lungo né, d opo alcu ni mesi, ve ne fu p iù bisogno poiché la squadra d i Tolone aveva cambiato la sua base in quella di Cadice. Con questo sistema di vasta portata tutti i mari europei erano controllati per scopi sia mil itari sia commerciali. Nelle aeree terminali lonta ne, come le Indie Orientali e Occidentali, vi erano nuclei di concentrazio ni con i necessari meccanismi connenivi permanentemente stabiliti e, per renderli efficaci, furono fatti preparativi affinché le varie squad re europee potessero inviare d istaccamenti per aumentare la loro forza a qualsiasi livello i movimenti del nemico lo rendessero necessario. Per quanto vasta fosse questa d istr ibuzione delle forze e per quanto grandi fosse ro le dis tanze, un alto grado di coesione ru mantenuto non solo fra le parti di ogni singola concentrazione, ma anche fra le - l28 -


Silveslre de Villeneuve (1763 -1806).


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tcimssics:zy de Nelson

La Campagna navale del 7805.


stesse diverse concentrazioni. Tramite un cen tro minore di incrociatori nelle Iso le del Canale, la concentrazione dei Downs e quella di Ognissa nti potevano rapidamente riunirsi. Similmente la concenb·azione di Cadice era legata a qllella d i Ognissanti a Finisterre e la coesione fra le concentrazioni del Mediterraneo e cli Cad ice sarebbe stata altrettanto forte se non fosse stato per attriti e disaccordi persona li. Infine c'erano preparativi, che possiamo definire magistrali, per riunire tutte le concentrazion i in una grande massa nel punto cruciale al largo di Ognissanti prima che, secondo ogni prevedibile possib ilità, un a massa ostile potesse radunarsi in quella zona . Per i migliori amm iragli di Napoleone "che conoscevano a mestiere del mare", la flotta b ritannica così d isposta era in u no stato d i concentrazione che nulla avrebbe potuto rompere , eccetto un colpo d i fortuna che superava i limiti cli ogni logica previsione. Decrès e Bruix non ne dubitavano e la consapevolezza di questa realtà sopraffece Villeneuve al giungere della crisi. Dopo aver eseguito la concentrazio ne pianificata da Napoleone fino al p unto d i aver riunito tre divisioni a Fermi, Vi lle nel!ve sapeva che le tre sezioni este rne della nosD·a squadra occidentale erano scomparse da lle acque di fronte a Ferrol e Rochefort. Ai suoi occhi, così come a quelli dell'Ammiragliato britann ico, questa squadra, nonostante la sua dispersione nella baia di Biscagl ia , era sempre rimasta "concentrata". Non fu questo che lo fece pet·dere d'animo; fu la notizia che Nelson era ricomparso a Gibilterra ed era stato visto fa r vela verso nord. Per Villeneuve tu tto questo significò che l'intera flotta europea del suo nemico si stava concentrando. "La loro concentrazione di/orze", scrisse più tardi, "era in quel momento più seria che in qualsiasi precedente occasione ed em tale che si trovava no in una posizione da poter aj/rontare in condizioni di superiorità le forze riunite di Brest e di Ferro!" e per quel motivo, spiegò, aveva giudicato che il gioco fosse perso. Per l'occhio non pratico di Napoleone, invece, era impossibile vedere l'essenza del problema. Paragonando l'elasticità della distribuzio ne delle forze navali britann iche con la relativamente ingombrante e ristretta rnohilità degli eserciti , egli la giudicò una dispersione avventata e niente affatto consona ai principi della guerra. La sua ampiezza sembrava indicare una così grande sensibilità per obiettivi discanti a portata di mano delle s ue disperse squadre, che pensò di poter ulterio rmente d isperdere le nostre flotte con una dimostrazione di azioni sporadiche e quindi , con una concentrazione serrata, ann ie ntarne la parre principale. - 129 -


Fu un chiaro esempio cli clispersio11e nemica che ci costrinse ad adottare la più slegata delle concentrazioni e la nostra relativa dispersione indusse il nemico a concentrarsi e a rischiare una decisione. Non si può dire che lo abbiamo costretto iptenzionalmente alla mossa fata le; fu piuttosto l'effetto del la legge strategica messa in moro dalla nostra audace distribuzione. Eravamo determinati a far sì che questa minaccia d'invasione, per quanto formidabile fosse, non ci costringesse ad una concentrazione così serrata da lasciare soggetti a minaccia i nostri estesi interess i. Non si può neanche dire che il nostro primo scopo fosse quello di impedire il tentativo del nemico cl i concentrarsi. Ognuno dei suo i porti era controllato da una squadra, ma si riconosceva che ciò non avrebbe impedito la co ncentrazione; l'evasione di una d ivisione avrebbe ben potuLo rompere la catena. Tuttavia quella consideraz ione non modificava le cose; la distribuzione delle nostre squadre davanti ai suoi porti era essenziale per prevenire azioni sporadiche. La loro distribuzione era sufficientemente giustificata dalla difesa del commercio e dei territori coloniali e alleati, cioè dalla nostra necessità di esercitare un dominio generale anche se non potevamo d istruggere le forze ciel nemico. L'intera corrispondenza di Nelson in questo peri odo dimostra che il suo obiettivo prin cipale era la protezione dei nostri traffici in Med iterraneo e dei territori napole tano e turco. Quando Villeneuve gli sfuggì, la sua irritaz io ne fu causata non dalla prospettiva cli una concentrazione francese, che non lo allarmava perché sapeva che erano state prese contromisure per questo caso; essa fu causata piuttosto dall 'aver perso l'opportunità che il temarivo di concentrazione gli aveva messo a portata di mano. Egli seguì Vill eneuve nelle Indie Occidentali non per prevenire la concentrazione, ma, prima cli rutto, per proteggere il commercio locale e la Giamaica e, in secondo luogo, nella speranza di una seconda possibilità di sferrare quel colpo che aveva mancato. Lord Barham era esattamente della stessa idea. Quando, alla notizia del ritorno di Villeneuve dalle Indie Occidentali, inviò ad incontrarlo le tre division i della squadra occidentale, cioè della concemrazione di Ognissanti, affermò espressamente che il suo compito non era cli prevenire la concentrazione , ma quello di dissuadere i francesi dal tentare azioni sporadiche . "L'intercettazione della flotta in questione durante il suo ritorno in Europa ", scrisse, "sarebbe il maggior obiettivo che io conosca . Scoraggerebbe ogni spedizione fu tura e dimostrerebbe all'Europa che può essere opportuno rilassare - 130 -


occasional,nente il sistema del blocco allo scopo preciso di mettere [il nemico] nelle nostre mani al momento opportuno''. Invero, non avevamo alcuna ragione per prevenire la concentrazione ciel nemico; essa e ra la nostra migliore occasione per risolvere definitivamente la s ituazione che dovevamo affrontare. La nostra vera strategia era quella di assicurarci in modo permanente il dominio ciel mare con una grande battaglia nava le. Fino a quando il nemico 1·imaneva diviso non potevamo aspettarci di ottenerla. Infatti fu solo quando egli tentò la sua concentrazione e quando essa raggiunse ìl suo ultimo stadio, che la situazione fu in mano n ostra. L'intricato problema nel quale ci eravamo dibattuti fu ridotto alla semplice riunione della nostra s tessa concentrazione nel centro strategico al largo di Ognissanti. Ma nell'ultima fase il nemico non poteva affrontare la formidabile posizione che tenevamo; la sua concentrazione fu bloccata. Villeneuve si ritirò a Caclice e il problema, per noi, ricominciò a essere di nuovo complicato. Fino a quando mantenevamo al largo di Ognissami la massa che la nostra grande concentrazione aveva prodotto, eravamo a l riparo dall'invasione; ma questo non era suffic iente perché lasciava i mari liberi per sporadiche azione dai porti spagnoli. C'erano a portata di mano convogli dalle Indie Occidentali e Orientali ed erano in pericolo la nostra spedizione in Mediterraneo e un'altra sul punto di salpare da Cork. Né Barham all'Ammiragl iato, né Cornwallis in comando aJ largo cli Ognissanti, esitarono un attimo; con una induzione simultanea decisero entrambi che la massa doveva essere divisa. La concentrazione doveva esser di nuovo aperta, e ciò fu fatto. Napoleone chiamò la manovra una insigne betise, ma fu la mossa che lo sconfisse e l'avrebbe comun que battutO, qualsiasi fosse stata l'a bilità dei suoi ammiragli, perché le due squadre non persero mai il contatto. Egl i s i trovò invischiato in una situazione dalla qua le non c'era nulla eia sperare. La s ua t1otta non era né concentrata per un colpo decisivo né distribuita per azionì sporadiche. Egli aveva semplicemente semplificato il problema del suo nemico. La nostra presa era più sicura ch e mai e in un disperato tentativo di districarsi fu costretto ad esporre la sua flotta alla decisione finale che noi cercavamo. L'intera campagna serve bene a comprendere che cosa si intendeva per concentrazione alla fine delle grandi guerre navali. Per Lord Barham e per gli abili ammiragli che interpretavano i suoi pian i, significava 1a possibilità di far massa al momento e nel posto giusto. -

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Significava. in stretta analogia con lo schieramento scracegico terreslre, la distribuzione di squadre attorno ad un centro strategico dal quale le t1otte possono, concentrate, dirigersi in qualsiasi direzione per un'azione di massa e sul quale possono ritirarsi quando soggette ad eccessiva pressione. Ln questo caso il centro finale era lo stretto della Manica, dove l'esercito di Napoleone era pronto per la traversata, ma non ci fu alcu n ammassamento su quel centro. Una distribuzione così grezza a, rebbe significaco un'actitudine puramente difensiva. Avrebbe significato attendere e.li essere attaccati invece cli cercare di attaccare; un tale atteggiamento costituiva un'estrema eresia per i nostri vecchi condou ieri. Fino ad ora abbiamo considerato la concentrazione quale è stata applicata in guerre nelle quali ave, amo la preponderanza di forze navali, ma i principi restano perlomeno altrcnanto validi anche quando una coalizione ci mette in condizioni di inferiorità. JI caso classico è la ca mpagna in ratria del l 782; essa fu condotrn secondo linee puramente difensive. Le nostre informazioni erano che la Francia e la Spagna intendevano concludere la gucl1'a con un grande sforzo combinato contro le nostre i:;ole nelle Indie Oc:cidemali, in parti<:olarc Giamaica. Si riconobbe che il modo migliore per affrontare La minaccia era d i concentrare ne l Mar dei Caraibi, pe r l'azione offensiva, tutto ciò che non era assolutamente indispensabile per la difesa della patria . Pertanto, invece di cercare d i essere abbastanza forti da tentare l'offensiva in entrambe le aree, fu deciso di rendere sicura l'area più critica. Per farlo, la flotta nelle acque di casa dovclle essere tanto ridotta in confronto a quanto il nemico aveva nelle acque europee. che l'offensiva era fuori discussione. Mentre Rodney ebbe l'area offensiva, a Lord Ilowe fu assegnata l'altra. J1 suo compito era di impedire alla coalizi one di o uencre un domini o delle acque di casa nostra cale da ridurre a ll a sua mercé i noseri traffici e le nostre coste; non prometteva cli essere un compito facil e . Sapevamo che il piano del nemico era d i combinare un allacco alle Indie Occidentali con un tentativo di controllare il Mare del Nord e possibilmente lo stre tto di Dover, con una squadra olandese composta da dodici a quindici navi cli linea, mentre una flotta congiunta franco-spagnola di almeno quaran ta basrimenli avrebbe occupato l'ingresso ciel Canale della Manica. Era inoltre possibile che queste due forze avrebbero tentato di riunirsi. In ogni caso l'obiettivo - 132 -


delle due operazioni congiunte sarebbe stato quello di paralizzare il nostro traffico commerciale, di disturbare le nostre coste e pertanto costringerci a trascurare l'area delle Indie Occidentali e i due ohiettivi spagnoli: Minorca e Gibilterra. Tutto sommato avevamo solo trenta navi cli linea nell e basi nazionali e sebbene gran parte di esse fossero trepontì, molte non potevano essere pronte a prendere il mare prima dell 'estate. Per quanto inferiore fosse la forza disponibile, non si pensò neanche per un momento ad una difesa puramente passiva; non avrebbe riso1Lo il problema. Qualcosa doveva essere fatto per interferirc con le operazioni offensive degli alleati nelle Indie Occidentali ed a Gibilren'n, altrimenti essi avrebbero raggiunto lo scopo della loro campagna nelle nostre acque naziona li. Si decise di farlo con piccoli contrattacchi alle loro linee di comunicazioni all'estremo limite della noslra portata difens iva. Avrebbe significato una considerevole estensione della nostra concentrazione, ma eravamo decisi a fare tutto il possibile per impedire ai rinforzi di giungere, da Brest, alle Tndie Occidentali, per intercettare il traffico francese a ogni occasione favorevole e, infine, per soccorrere Gibilterra a quasi qualsiasi cosLO. In queste condizioni la concentrazione difensiva fu basata su una massa centrale o riserva a Spithead, una squadra nei Downs a controll are il Texel per la s icurezza ciel traffico del Mare ciel No rd e un'a ltra più a ovest per controllare Brest e interrompere le <;ue comunicazioni transatlantiche. r<empenfelt, in comando di quest'ultima squadra , aveva appena dimostrato cosa si poteva fare con l'eccellente a7.ionc che aveva condotto alla cattura del convoglio cli Guichen pieno cli rifornimenti mi litari e nava li per le In d ie Occiden ta li. All'inizio della primavera fu rilevato eia Barrington il quale fece ,eia il 5 aprile per riassumere la posizione al largo di Ognissanti. Le sue istruzioni erano di non combattere contro un nemico superiore, salvo che in circostanze favorevoli . bensì di ritirarsi a Spithcad. Stette in mare tre settimane e ri tornò dopo aver cattu rato u n convoglio fra ncese carico d i truppe e provvigioni per le lndie Orientali e le due navi di linea che formavano la sua scorta. Fino a quel momento non c ·era stato a lcun segno immediato cli grande movimento dal sud. La flotrn franco-spagnola che si era - 133 -


riunita a Cadice era inutilmente impegnala a Lenta re di impedire cl1e piccoli aiuti raggiu ngessero Gibi lterra e a proteggere il proprio traffico dire tto a i porti nazionali. Tuttavia, gli olandesi cominciavano a diventare attivi e si stava avvici nando la stagione del ritorno a casa dei nostri trasporti dal Baltico. Ross, nel Mare del Nord, aveva solo q uattro navi di linea per controllare il Texel e non era in condizioni di affrontare il pericolo. Dì conseguenza ai primi di maggio il peso della concentrazione nelle acq ue cli casa fu spostato nel Mare del Nord. Il giorno 10 Howe fece vela con Barrington e il grosso della flotta per riunirsi a Ross nei Downs, mentre Kempenfelt riprese la posizione di Ogn issanti. Solo circa la metà della squadra di Brest era scesa a riunirsi agli spagnoli a Cad ice e a Kempenfelt fu detto che il SL10 primo dovere era quello di intercettarne il resto .se fosse u.sciLo in mare, ma, come per le istruzio ni a Ba rr ington , se avesse incontrato una squadra superiore in numero avrebbe clovu t.o titirarsi nella Manica a ridosso e.Lella costa inglese e riunirsi a Howe. Nonostante il fatto che fra gli equipaggi della flotta imperversasse l'influenza, gli riuscì di mantenere inattivi i frances i. Howe, con le stesse difficolLà da frontegg iare, ebbe alrrettantO successo. Gli olan desi avevano preso il mare, ma rientrarono all e basi appena seppero dei suoi movimenti e, incrociando al largo del Texel, Howe ve li tenne, conservando così il completo dominio del Mare del Nord fino al sicuro rientro in patria dei no.stri trasporti dal Baltico. Per la fine di maggio questo obiettivo era raggiunto e q uando il nostro servizio informazioni indicò che scava per cominciare il grande movimento eia Cadice , Howe, al quale era stata lasciata una certa libertà d'azione, decise che era giunto il momento di sposwre il suo peso .still'altra ala e serrò sotto Kernpen felt. Il Governo, tuttavia, sembrava pensare che egli avrebbe dovuto usare la $Lia posizione per operazioni o ffensive contro il traffico olandese, ma secondo l'opin ione dell'a mmiraglio questo voleva dire perdere l'essenza del piano e sacrificare troppo la coesione a l raggio d'azione delle forze. Egli informò il Governo che non aveva ritenuto opportuno inviare distaccamenti della s ua flotta contro il Lraffico "non sapendo quanto

improvvisamente ci sarebbe stata la ricbiesta, alrneno per gran parte di essa [flotta], di procedere verso ovest '' . Pertanto, in conformità alle sue direttive generali lasciò a Ross una g rossa squadra d i nove - L34 -


navi cli linea , s ufficiente a tenere in scacco e perfino "prendere e distruggere" le relativamente deboli navi olandesi, e con il resto ritornò ve rso ovest. c4) La sua inte nzione era di procedere con la massima rapidità pe r riu nirsi a Kempenfelt al largo della costa francese , ma, a causa dell'infuriare dell'influenza, non g li fu possibile. Anche Kempenfelt fu costretto a rientrare e iJ 5 giugno la riunione fu completa ta a Spithead. L'epidemia fu così grave che per tre settimane non poterono muoversi. Arrivò quindi la notizia che la flotta di Cadice, al comando cli Langara, aveva preso il mare il giorno in cui Howe era giunto a Spitheacl ed egli decise di fare una puntata con tutte le navi idonee a prendere il mare per impedirle d i raggiu ngere Brest. Era troppo card i; prima che potesse giungere in posizione le sq uadre di Langara e di Brest si erano riunite e gli alleati avevano occupalo in forze l'entrata della Manica. Con l'aggiu nta delle navi di Brest la flotta riunita assommava a quaranta navi d i linea , me ntre tutte quelle che Howe poteva raccogliere erano ventidue, ma fra cli loro vi erano sette treponti e tre da 80 cannoni e avrebbe presto ricevuto r inforzi. Tre delle più piccole navi di Ross furono Jichiama te e cinque altre era no quasi pronte , ma Howe non poteva aspettarle; il convoglio prnveniente dal la Giamaica era vicino e d oveva essere salva to a ogni costo. Che cosa si doveva fa re? Non appena avvistò il nemico Howe comprese che un'azione vittoriosa era fuori d iscussione. Il 12 luglio, di prima mattina, "a quindici leghe a S.S.E. di Scilly ", Langara, con trentasei navi d i linea, fu avvistato verso ovest. "Appena" , scrisse Howe, "fu accertata la loro forza credetti opportuno evitare di venire a battaglia in quelle circostanze e, pe1"tanto, feci rotta per nord per passare ji-a Scil~y e Land's End. Il niio scopo a questo proposito era quello di portarmi ad occidente del nemico sia per proteggere il convoglio dalla Giamaica sia per guadagna re il van taggio della posizione che la d{fferenza n unierica rendeva desiderabile prima dell'ingaggio" . Con un brilJame lavoro di abilità marinaresca il pericoloso movimento fu eseguito quella notte senza incidenti e si rivelò un completo successo.

(4) Si riteneva cbe gli olandesi avessero 16 navi cli linea: una 74, seue 68 e le rimanenti con me no di 60 cannoni. La squadra di Ross aveva una treponti e due da 80 cannoni .

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Gli alleati non si sarebbero avventurati ne lla Manica fino a quando non avessero incontrato e sconfitto Howe e la sua impresa senza precedenti li aveva efficacemente tolti di mezzo. Assumendo , evidenteme nte, che egli fosse passato d ietro la loro re troguardia e avesse d iretto per il mare aperto, lo cercarono verso sud e per un mese batterono il mare in quella direzione in una in utile ricerca. Nel frattempo Howe, dopo aver inviato avanti i s uoi incrociatori a raggiungere il convoglio al largo della costa sudoccidentale dell 'Islanda, aveva portato l' intera sua flotta a incon trarlo a circa duecento miglia a ovest degli Skelligs. Venti d i tramontana gli impedirono di raggiungere in tempo la giusta latitudine, ma aveva poca importanza. Il convoglio passò fra d i lui e il s ud dell'Irlanda e, poiché il nem ico aveva effettuato un rapid o movimento verso Ognissanti, poté entrare nella Manica in sicurezza senza avvistare u na sola vela n emica. Ignorando quanto era avvenuto , Howe incrociò per una settimana esercitando le navi "in nianoure complesse così particolarmente necessa rie al 1110111.ento attuale" . Così, con le sue navi in condizioni ottimali per eseguire taltiche preventive, secondo la ben nota idea d i Kempenfelt,<S) ritornò a cercare il nemico verso est allo scopo di attirarlo lontano dalla sua posizione al largo di Scilly e d i aprire così il ca nale della Manica. Per via seppe eh.e il convoglio era passato e, con la menLe libera da qu esta preocet1pazione, si d iresse al Lizard dove lo aspettavano i rinforzi. Qu i scoprì che la Manica era libera; per mancanza di p rovvigioni il nemico era stato costretto a ritirarsi in porto e Howe ritornò a Spithead per fare i preparativi per i soccorsi a Gibilterra. Mentre procedeva questo lavoro, la squad ra de l Mare del Nord fu d.i nu ovo rafforzata nel caso dovesse ripre ndere il blocco del Texel e coprire l'arrivo dei convogli autunna li dal Baltico. Tutto fu faLto con completo successo; non u na singola nave cadde in mano al nemico e la campagna, in effetti la gue rra, finì con Howe che portava la massa de lla sua forza a GibiJterra, compiendo la notevole impresa cl i soccorrerla a dispetto della squadra spagnola . Non c'è migliore esempio della 'potenza e della portata d i una ben pianificata concen trazione . Ora , se cerchiamo, dall'esempio p recedente e ei a altri simili, d i ricavare principi che servano da guida fra la concentrazione e la divisione troveremo, prima cli tutto , il seguenle: il livell o di d ivisione

(5) Vedi successiva parte lii , cap. JTI-1 .

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Richard 1-Jowe (1726-1799) . Vincitore della Battaglia del "Glorioso Primo Giugno " {1° giug no 1. 794).


0/iL•er Cro111well ( 1599-1658).


di cui avremo bisogno è proporzionale al numero di porti dai quali il nemico può agire contro i nostri interessi marittimi e all'estensione della linea costiera lungo la quale questi porti sono cusrribuiti. È un principio che sgorga dal profondo della nostra vecchia tradizione, quello di cercare sempre non solo di prevenire gli attacchi nemici al nostro centro principale, ma anche di colpire il nemico stesso nel momento in cui tenta qualcosa. Dobbiamo trasformare ogni suo tentativo in un'opportunità per un contrattacco. La divisione delle forze che questo obiettivo impone, varia grandemente a seconda del nemico. Nelle nostre guerre con la Francia, particolarmente quando la Spagna e l'Olanda era no sue alleate, il numero dei porci di cui occuparsi era considerevole e la loro distribuzione molto ampia. D'altra parte, nelle nostre guerre contro i soli olandesi il numero e la distribuzione dei porti erano relativamente limitati e in questo caso la nostra concentrazione è sempre stata serrata. Tuttavia, questo non è l'unico principio per la suddivisione delle forze; la concentraz ione non dipenderà solamente dal numero e dalla posizione delle basi navali nemiche. Essa sarà modificata a seconda di quanto le linee d'operazione che partono da quei porti interferiscono con le acque di casa nostra . La ragione è evidente: qualunque cosa il nemico ci opponga e qualunque sia la natura della gLterra, dobbiamo sempre tenere una flotta nelle acque di casa. In qualsiasi circostanza essa è essenziale per la difesa dei terminali nazio11ali del nostro traffico marittimo ed è essenziale anche come riserva centrale dalla quale possono essei-e distaccate divisioni per rinforzare terminali distanti e cogl iere le opportunità per contrattacchi. Essa è " La molla principale", come la chiamò Lord Barham, "da lla quale devono procedere tutte le operazioni offensive". Questa squadra, q uindi, è p ermanente e fissa come le fondamenta del l'intero nostro sistema ed è chiaro che se le linee d'operazione del nemico non attraversano le nostre acque di casa, come nel caso delle g uerre con la Francia, una concentrazione serrata su di esse non servirà al nostro scopo. D'altro lato, se quelle linee attraversano le acque di casa, come nel caso delle guerre con l'Olanda, tutto ciò che si richiede è una concentrazione in quelle acque . La nostra suddivisione sarà allora eiettata dalla quantità della nostra eccedenza di forze e dal limite fino al qua le ci sentiamo in grado cli distaccare squadre navali per azioni offensive contro i lontani interessi marittimi del nemico, senza pregiudicare la nostra capacità di controllare i terminali nazionali del le s ue - 137 -


linee d'operazione e la possibilità di colpirlo di rettamente quando si muove. L·osservazionc si applica, naturalmente, alle operazioni della flotra principale . Se il nemico possiede lontane basi coloniali dalle quali può disturbare il nostro commercio, allora con centrazioni minori devono essere disposte in quelle aree. Dobbiamo anch e notare che quando le squadre d e l nemico sono amp iamente distribuite in numerose basi, non possiamo sempre semplificare il problema lasciandone alcune libere in modo da indurlo a concentrarsi e allo stesso tempo ridurre il numero cli porti da controllare perché, se lo facessimo, lasceremmo le squadre non controllate libere di condurre azioni sporad iche. A meno di non essere sicuri che il nem ico intende concentrarsi in vista di un'azione decisiva, il so lo meno per semplifica re la s itu azione è quello di controllare ogni porto abbastanza strettamente da interferire con qualsiasi azione sporadica. Allora , essendogli negata l'a7.ione spo radica, il nemico o non agisce o deve concentrarsì. Il principio successivo è quello della nessibilicà. La concentrazione deve essere predisposrn in modo tale c he due parti qualsiasi possano riun irsi libe ramente e che tutte le pani possano rapidamente concentrarsi in una massa in qualsiasi punlo delrarea di concentrazione. Il motivo per trattenersi dal forma re subito la massa è di negare al nemico sia la co noscenza del l'effe ttiva ripa rtizione delle nostre forze s ia le loro intenzioni in un dato momento e, allo stesso tempo. assicurarci che la massa stessa sarà formata per contrastare qualsias i movimento pericoloso il n em ico p ossa intraprendere. Oli.re a questo il nostro obiettivo non deve essere solo quello di prevenire che ogni singola parte sia sopraffatta da una forza supe1iore, ma anche quello di considerare ogni squ adra dista ccata come una trappo la per adescare il nemico e distruggerlo. In breve , la concentrn7.ione ideale è un 'a pparenza cli debolezza che nasconda una reallà di forza.

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PARTE III

CONDOTTA DELLA GUERRA NAVALE


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CAPITOLO I INTRODUZIONE 1 DTFFERENZE lNTRINSECHE 1\TELLE CONDJZTONl DELLA GUERRA TERRESTRE E DI QUELLA MAR.ITr.lNlA

rima di tent~re di applicare alla condotta della guerra navale, in maniera definitiva, i principi generali traltati nei precedenti capitoli , è necessario sgombrare il campo da certi ostacoli che si oppongono all a correttezza de1 ragionamento. La graduale spiegazione della teoria della guerra, occorre ricordarlo , è stata quasi interamente opera di militari dell'esercito, ma il lavoro che han no fatw è così ammirevole, e così filosofico il metodo che hanno adottato, che si è affermata la tendenza, molto naturale, d i presumere che le loro conclusioni cl i hase s iano applicabili universalme nte. Nessuno nega che le linee guida che essi hanno individuato siano, in un certo senso, quelle che devono governare tutta la strategia. Essi sono stati i veri p ionieri ed i loro metod i devono essere in gran parte i nostri metodi, ma dobbiamo ricordare che iJ Lerritorio che dobbiamo percorrere è radicalmente diverso da quello nel quale essi hanno acqu isito la loro esperi enza.

P

Una semplice consid erazione mostrerà quanto le differenze siano d i grande portata. Domandiamoci quah siano le idee principali attorno alle quali ruota tutto il pensiero militare terrestre . Sì può assumere in linea di massima che i principi generali sian o tre . Primo: la concentrazione delle forze, cioè l'idea di sconfiggere la forza p1incipa le del nemico scagliandogli contro il massimo peso e la massima energia a nostra disposizione; secondo: la strategia è principalmente una questione d i ben determinate linee di comunicazione; terzo: la concentraz ion e dello sforzo; il ch e s ignifica tenere particolarmente - 141 -


d'occh io la forza che si intende sconfiggere senza riguard i per obiettivi ulteriori. Ora, se esaminiamo le cond izioni che hanno dato a questi principi una così sicura base nella g uerra terrestre troveremo che in tutti e tre i casi essi sono diversi in mare, sostanzialmente diversi. Prendiamo il primo che, a dispetto cli tutte le eccezioni che dobbiamo sollevare nel caso d i guerre limitate, resta il dom inante. Lo stringato precetto che esprime la sua essenza è che il nostro obiettivo primario è la forza principale del nemicc). Nella letteratura navale contemporanea la massima è applicata alla guerra navale con una formu la simile a questa: "// primo obiettivo della nostra .flotta da battaglia è di cercare e distruggere quella del nemico". D'acchito nulla sembra p iù logico, ma quali sono le condizioni che stanno alla base dell'una e dell'a ltra massima? Il valore p ratico de lla massima in termini terrestri è basato su l fatto che nella guerra terrestre è sempre teoricamente possibile attaccare l'esercito principale del nemico, ammesso che si abbia la forza e il coraggio cli superare gli ostacoli e affrontare i rischi. Ma in mare non è così; nella guerra navale ci troviamo di fronte ad un fatto di grande portata che è interamen te sconosciuto in terra . Si tratta semplicemente cli questo: che è sempre possib il e per il nemico far uscire interamente dal gioco la sua flotta . Può ritirarla entro un porto fortificato, dove è assolutamente irraggiu ngibile senza l'aiuto <Jj un esercito. Nessuna q uantità di forze navali né di s pirito offensivo può essere d 'aiuto. Il risultato è che nella guerra navale te nde ad affermarsi un dilemma imbarazzante. Se si ha una s u periorità che giustifica una vigorosa offensiva ~ s pinge a ricercare il nemico in vista cli una decisione, le probabilità sono di trovarlo in una posizione dove è intoccabile. L'offensiva è arrestata e ci si trova in q uella ch e , almeno teoricamente, è nota come la posizione generalmen te più d ebole in guerra. , Questo è stato u no déi primi insegnamenti che abbiamo ricavato in strategia. Invero, era la conseguenza immediata ed inevitab ile d ell'aver scoperto che il modo p iL1 drastico per condu rre la guerra e ra quello d i concentrare ogni sforzo contro le forze armate del nemico. Trattando della teoria della g uerra in generale abbiamo già diffidato della supposizione che questo metodo sia stato un'invenzione di Napoleone o d i Federico o che sia stato affatto importato dall 'estero. Almeno secondo il punto di vista dei nostri storici militari l'idea nacque con - 142 -


Cromwell e il New Model Army durante la nostra guerra civile; essa fu la caratteristica più evidente che distinse la nostra guerra civile da tulte le precedenti guerre de i tempi moderni. Il suo s uccesso fu così straordinario - come notarono gli osservatori stranieri - che fu naturalmente applicata in mare da i nostr.i soldati-ammiragli appena scoppiò la guerra con gli olandesi. Qualunque sia la pretesa dei soldati di Cro mwe ll di aver inve ntato per la guerra terrestre c iò che all"estero è considerata la caralleristica principale cie l met0do napoleon ico, non c'è alcun dubbio che essi meritano questo credito per il mare. Tutte e tre le guerre con l'Olanda avevano un obiettivo commerciale e tuttavia, dopo la prima campagna, l'idea genera le non fu mai quella di considerare come obiettivo primario il commercio nemico. Quel posto fu semp re occupato dalle flo tte eia bauaglia nemiche e a lm e no sotto Monk e Rupert quegli obiettivi furono perseguiti con una unicità d'intento e una veemenza ostinata che erano completamerne napoleoniche. Tuttavia negli ultimi stadi del conflitto, quando cominciammo a predominare, s i scoprì che il metodo aveva cessato d i funzionare. Il tentativo di ricercare il nemico in vista di un'azione decisiva veniva d i volta in vo lta frustrato da l fatto che egli si ritirava nelle s ue coste dove o no i non potevamo raggiungerlo o le s ue difese rendevano impossibile un risultato decisivo. Di fatto egli assunse un arceggiamenro d ifensivo che non eravamo in grado di contrastare e di tanto in tanto, nell'autentico spirito della difesa, appe na ne vedeva l'opportunità, saltava fuori per sferrarci un contrattacco. (1) Si comprese ben presto che l'unico modo per contrastare questo atteggiamento era quello di adottare qualche mezzo che obbligasse il nemico ad u scire in mare e lo costringesse ad esporsi alla decisione che ricercavamo. Il più potente mezzo a portata di mano e ra quello cli minacciare il suo commercio. Perta nto, invece di tentare di ricercare direttamente la sua flotta , la nostra avrebbe atteso lungo le rotte di rientro in patria del suo traffico mercantile, nel Dogger Bank o altrove, creando così una situazione che s i sperava sarebbe costata a l ne mico il suo commerc io o la sua flotta da battaglia o, possibilmente,

(I) Si riferisce alla splendida campagna difensivo-offensiva di De Ru ytcr dura nLe la

cerza guerra anglo-olandese (NclT).

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entrambi. Così, nonostante il fatto che con la nostra crescente predominanza l'ansia per la battaglia decisiva fosse diventata più forte che mai, ci trovammo costretti a ripiegare su operazioni sussidiarie che avrebbero raggiunto risultati strategici più lontani nel tempo. È un curioso paradosso, ma è un paradosso che sembra intrinseco in modo peculiare alla guerra navale, quello che permette che le forze armate siano del tutto rimosse dal gioco. La seconda peculiarità distintiva della guerra nava le, che si collega all'idea delle comunicazioni, non è così marcata, ma non è meno importante. Si ricorderà che questa caratteristica concerne le linee di comunicazione in quanto esse tendono a determinare le linee d'operaz ione; è una semr lice queslione di strade e di os Laco li. Nella guerra terrestre possiamo determinare con una certa precisione i limiti e la direzione dei possibili movimenti del nemico. Sappiamo c he essi dipe ndono p ri ncipalmente dalle strade e dagli ostaco li. Ma in mare non esistono né strade né ostacoli. In mare non c'è niente del genere che possa assisterci nel localizzare il nemico e determinare i suoi movimenti. È vero che al tempo della vela i movimenti erano entro certi lim iti condizionati dai venti prevale nti e dal l'esdusione di rotte praticamente impossibili, ma col vapore anche questi fattori determinanti sono scomparsi e n on vi è praticamente nulla che limiti la libertà di movimento, eccetto le esigenze di combuslibile. In conseguenza , nel cercare di co lpire il nemico l'event ualità di mancare il co lpo è molto p iù grande in mare che in terra e le possibilità di essere elusi da colui che cerchiamo cli costringere a batlaglia diventano un tale freno per la nostra azione offensiva da costringerci a considerare con ca utela la massima che ci incita a "scovare la flot-

ta nemica". La difficoltà si impose nello stesso momento in cui nacque l'idea. Si può risalire indietro - almeno per qu anto riguarda la guerra moderna - fino alla famosa valutazione cli Sir Francis Drake nell'anno dell' Invencible Armacia. Quel famoso dispaccio fu scritto quando era sorta un'acuta differenza di opinioni su ll 'opportunità di manrenere la flotta nelle acque di casa oppure di inviarla lungo le coste spagnole. L'obiettivo del nemico era molto incerto; non potevamo sapere se il colpo sarebbe stato sfen:aro nella Manica o in Irlanda o in Scozia. La situazione era complicata dalla presen za cl i un esercito spagnolo d ' invasione pronto alla traversara s ull a costa fiamminga e dal la possibilità di un'azione congiu nta dei Guisa da lla Francia. Per Drake la - 144 -


soluzione del problema era quella di dislocare la flotta al largo del porto d i partenza dell'A rmada e, pienamenLe consapevole del rischio che una tale mossa comportava, egli rafforzò le sue ragioni puramente strategiche con considerazioni morali della massima importanza. Ma il governo no n si convinse; non, come normalmenLe si crede, per pura viltà o per mancanza di inmito strategico, ma perché le possibilità che Drake mancasse il contatto sarebbero state troppo grandi se l'Armada avesse fatto vela prima che la nostra floL La potesse giungere in posizione. 11 nostro terzo pr incipio e leme ntare è l'idea della concentrazione degli sforzi e la terza caraneristica della guerra navale che si scontra con questO principio è che, o ltre e prima del compito di vincere battaglie, le flotte hanno quello di proteggere il commercio. Nella guerra terrestre. almeno da quando la devastazione di una parte indifesa del territorio nemico ha cessato di essere considerata un'operazione strategica, non vi è una corrispondente dispersione delle mere operazioni militari. È inutile che i" puristi ci dicano che la distrazione di forze per 1a protezione del commercio non dovrebbe allontanarci dal nostro scopo p rinci pale; abbiamo a che fare con gli spietati casi della guerra e l'esperienza ci dice che anche solo per ragioni economiche, a parte la pressione de lla pubb lica opinione, nessuno è mai riu cito a trascurare complerameme questa distrazione di forze. In effetti la vitalità finanziaria è così fondamentale in guerra che, il più delle vo lle, il mantenimento del flusso commerciale è stato considerato determinante. Perfino nei giorni migliori delle nostre guerre con l'Olanda, quando l'intero piano era basato sull'ignorare il commercio nemico come obiettivo, ci trovammo a volte costretti a proteggere i nostri stessi traffici con conseguenze che ci disturbarono seriame nte . Né è più Ùtile dichiarare che l'unico modo corretto per proteggere il commercio è quello di distruggere la flotta nemica. Come enunciazione d i un principio è una verità così palese che nessuno la mette in discussione; come regola di strategia pratica non lo è perché si riafferma q ui d i nuovo la nostra p ri ma distrazione di forze. Che cosa fare se il nemico rifiuta di farsi distruggere la fl otta? Non si possono lasciare i propri traffici alla mercé di raids cli squadre o di incrociato ri mentre si aspetta quell'opportun ità e p iù si concentrano le forze e gli sforzi per assicurarsi la decisione desiderata, più si espongono i propri traffici ad attacchi sporadici. Il risultato è che non si è - 145 -


sempre liberi di adottare il piano meglio calcolato per indurre il nemico ad una decis ione. Ci si può trovare costre tti ad occupare non le posizioni migliori, ma quelle che danno una buona possibilità di prendere il contatto in cond izioni favorevoli e, allo stesso tempo, fo rniscono unn rag ionevo le copertura per i propri traffic i. Di qui la massim a che la costa nemica dovrebbe essere la nostra frontiera. on è un a massima puramente militare, come quella di scova re la Dotta nemica, anche se le due sono spesso usa le come se fossero inte rcambiabili. Le nostre usuali posizioni sulla costa nemica erano dellate tanto dalle esigenze della pro tezione del commerc io qu a nto eia ragioni strategiche primarie . Mantenere un contro llo rigoroso al largo dei po rti nemici non è ma i stato il modo miglio re per indurlo ad un'azione decisiva - abbiamo, a proposito, la ben nota dichiarazione cli Ne lson - ma è il modo migliore , e spesso l'unico, di mantenere il mare libero per il transito del nostro commercio e per le o perazioni dei nostri incrociatori contro quel li ciel nemico. Per ora q uesti punti importantissimi non hanno bisogno cli essere ul teriormente sviluppali; procedend o nella trattazione de i merodi della guerra navale essi acqu isteranno forza e chiarezza. È srnco eletto abbastanza per segnalare le secche e per meLterci in guardia; per qLJanlO mirabilme nte costruita sia la barca che g li strateghi militari ci hanno fornito, dobbiamo navigare con molta cautela. Prima di procedere, tuttavia, è ulte riormente necessario semplificare ciò di cu i trattiamo tentando cli raggruppare in una forma maneggevole l'intrica ta molte plicità delle o perazi o ni navali. 2

FORME TLPICHE DI OPERAZION I NAVALI

ella condotta della guerra navale tutte le operazioni possono essere riferite a due ampie classi di obienivi. Uno è qu e llo cli o ttenere o disp utare il dominio del mare e l'altro è quello cli esercitare quel contro llo delle comunicazioni di cu i siamo entrali in possesso, sia che il completo dominio del mare sia stato assicurato o meno. È su questa distinzione logica e pratica tra i due tipi di obiettivi navali che, come abbiamo visto, fu basata la struttura delle fl otte nel pieno ciel periodo velico, quando le guerre marittime era no quasi continue e modellavano l'esistente distribuzione del pote re nel mondo. - 146 -


ln ogni caso, in qu~ I periodo q uesta duplice concezio ne era alla radice dei metodi e della politica navali e, anche come logica conseguenza dell,1 teoria della guerra, possiamo tranquillamente prenderla come base per la nostra ana lisi de lla condotta delle operazioni nava li. Naturalmente, in pratica- possiamo raramente afferma re in modo caregorko che una qualsiasi operazione bellica abbia un solo, chiaramente definito, obietti vo. Una squadra da battaglia la cui funzi one primaria era quella di assicurare il dominio del mare era spesso d islocata in modo eia consentirle cli esercitare iJ control lo e vice versa linee di incrociatori che avevano principalmente lo scopo di esercitare il co ntro llo sull e rotte commerciali, era no considerate come avamposti della flott a da battaglia pe r fornirle informazioni su i movimen ti delle squadre ostili. Così Cornwallis, durante il suo blocco di Brest, d overre a volte allen tarlo per coprire l'a rri vo cli convogli contro incursioni di squadre nemiche. Allo stesso modo, quando Lord Barha m chiese a Ne lson il suo punto di vi sta circa le linee d i pattugliamento degli incrociatori, quest'ultimo si espresse come segue: ··/\'avi che svolf!,ono questo servizio non solo polrebbero prevenire le razzie dei corsari, ma anche essere in co11dizione di tenere d'occbio qualsiasi squadra nem ica cbe incroci la loro rutta ... Pertallfo le informazio11i sarebbero rapidame11te passate e. penso, 11011 si perderebbe mai di vista il nemico".m Istrw~ioni in qu esLo senso furono inviate da Lord Barham ai commodori interessati. Si vede, perciò, che in entrambi i casi i du e tipi cli ope razione si sovrapponevano. Tuuavia , a scopo cli analisi. la distinzione resta valida ed è preziosa per ottenere una chiara visione del ca mpo d 'azione. Prendiamo, per primi , i metodi per assicurarsi il dominio del mare, c.:on i qual i intendiamo tog liere al nemico la possibilità di usare con efficacia le comu nicazioni marittime o cli interferire materialmente con il nostro uso de lle stesse. Troviamo che i mezzi impiegati e rano due: la decisione in battaglia e il blocco. Dei due, il primo era quello meno frequ e nteme nte ottenibile, ma era que llo che la Marina b ritannica ha sempre preferito. Era naturale che fosse così se si osserva che la nostra condizione no rmale era di su periorità ne i confronti del nemico e, fino a quando vie ne mantenuta una ta le pol it ica cl i s uperiorità, è probabile che anche questa preferenza ~ia mantenuta.

(2) Lcuera di Nelson a 13arham cld 29 Agosto 1805.

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Ma, oltre a questo, l'idea sembra essere radiéata nelle più anckhe tradizioni della Royal Navy. Come abbiamo visto, il convincimento del la Marina che la guèrra sia in primo luogo una questione di battaglìe e che le battaglie, una volta iniziate in condizioni di forze appena equivalenti, debba no essere combattute fin o all 'ultimo respiro, è qualcosa che non ha nulla da imparare dalle più recent i scoperte effeuuate nell 'Europa contin entale. Gli ammiragli di Cromwell ci hanno trasmesso la memoria d i battagl ie che duravano tre e anch e quattro giorni. Il loro credo è conservato in quel drastico articolo del cod ice cli guerra secondo iJ quale furo no condannati Byng e Calde1-;l3) e ne ll 'apoteosi cli Nelson la Ma rina ha divinizzato l'idea della battaglia. È vero che ci sono stati periodi nei quali quest'idea sembrava aver perso smalto, ma è nondimeno così profondame nte radicata nel concetto britannico di guerra navale, che non ci resterebbe niente altro

da dire se non fosse per le inevitabili modifiche con cui dobbiamo temperare la dottrina dell'annientamento. "Usa quel mezzo", disse uno dei suoi più noti sostenitori, ·' quando puoi e quando devi". Per quanto devoti possiamo essere a ll a fed e nella battaglia, non sempre è possibile o saggio agire conformemente ad essa. Se siamo forti possiamo premere per l'esito de lla battaglia quando è poss ibile , se siamo debo li non l'accettiamo a meno che non vi siamo costretti. Anc he se le circostanze sono a noi favorevoli, non sempre siamo in grado di giungere ad una dec isione e se siamo in svantaggio, non sempre siamo o bbligali a combattere. Quindi, scopriamo che !'apparente mente semplice dottrina della battaglia è stata qu asi sempre intralciata dai due più d ifficili proble mi che hann o ossessionato i nostri vecchi ammiragli. Le questioni più spinose che dovevano risolvere erano queste: in co ndizioni normali di forze,< JJ il problema non era come

(3) L'amm iragl io Ryng fu proce~~ato, as:mlLo dall 'accusa dì codardia, ma condannato a morte pt!r non aver fatto il massimo che glì era stato richiesto per la d ifesa di i\lino rca nel 1756 durante la Guerra dei Sette J\nni. Calder non fu fucilato, ma finì sotto Corte Marziale ed ebbe un "rimprovero solenne" per non aver preso contatto con Villeneu vc, di rito rno dalle Indie Occiclemal i. cli fronw a La Coru1ìa nel luglio 1805. Da notare che non prese concauo, ma catturò due navi france~i (NdT). Per i dettagli su Byng vedi ca p. Vlll de "L 'h((l1te11za del P otere ,lfarillimo s11/lu S101·ta ,. di Alfred T . Mahan , U.S.M .M. (NdR). (4) Per " no rmale" l 'autore intende quando la floua britannica era superiore a quella avversari a (NdT).

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sconfigge re il nem ico, ma come costringerlo a ll'azione; nei pochi casi di debolezza temporanea, non si trattava di come vendere cara la pelle, ma di come mantenere la flotta attivamente sulla difensiva così che nello stesso tempo fosse negata al nemico la decisione che egli ricercava e gli fosse impedito cli ottenere il suo obiettivo ulteriore. Da queste considerazioni deriva che siamo in grado di raggruppare tutte le operazioni navali in qualcosa del genere: primo, nell'unica supposizione che possiamo permetterci. cioè che cominciamo le operazioni belliche con una preponderanza o vantaggio di forze, adotteremo i metodi per assicurarci il dominio ciel mare. Questi metodi si dividono anch'essi in due: anzitutto vi sono le operazioni per raggiu ngere una decisione con la hattaglia e in questo caso, come è staro spiegato, dovremo principalmente preoccuparci dei metodi per indurre all'azione un nemico riluuante e del valore da dare, a quel fine alla massima "Scovare la/lotta nemica". In secondo luogo, vi sono le operazioni che diventano necessarie quando non è ottenibile alcuna decisione e il nostro piano di guerra richiede l'immediato controllo delle comunicazioni. ln questo caso sarà conveniente considerare tutte le forme di blocco, sia militari che commerciali, sebbene, come vedremo, alcune forme di blocco militare e perfino commerciale siano pri ncipalme nte interessate a costrin gere il nemico alla decisione finale. Il nostro secondo gruppo principale riguarda le operazioni alle quali dobbiamo far ricorso quando la nostra forza relativa non è adeguata per entrambi i tipi di operazioni idonee ad assicurarci il dominio del mare. ln queste condizio ni dobbiamo accon tentarci d i sforzarci di continuare a disputare il dominio del mare, in alLre parole , ci sforziamo, per mezzo di operazion i d i difesa atti va, cli im pedire al nemico di assicurarsi o cli esercitare il controllo per gli obiettivi che si è prefisso. Tali sono le operazioni implicite nel corrette concetto cli "jleet in being'. In q uesto gru ppo devono ino ltre essere incluse anche quelle nuove forme di contrattacchi minori che sono entrate nel campo d ell a strategia da q uando sono stati inLrodotti il s ilu ro e il minamento offensivo. Nel terzo gruppo principale dobbiamo trauare dei metodi per eserc itare il control lo de lle zone di Lransito e d e lle comunicazioni. Qu este operazioni sono cli carattere diverso a seconda dei diversi scopi per i quali si desidera quel controllo e si vedrà che esse prendono una - 149 -


delle seguenti tre forme generali. Primo, il controllo delle linee cli passaggio cli un esercito invasore: secondo, il controllo delle rotte e dei terminali del traffico marittimo per l'attacco e la difesa del commercio e, terzo, il controllo delle linee di passaggio e di comu ni cazione pe r le nostre stesse spedizioni oltremare e il controllo delle aree obiettivo per l'appoggio attivo a quelle operazioni. Per maggior chiarezza possiamo ricapitolare il tutto in questa forma schematica . T - Merodi per assicurarsi il dominio: 1 - ottenendo una decisione; 2 - con il blocco. II - Metodi per disputare il dominio: 1 - principio della "fleet in being"; 2 - contrattacchi mi nori. IIl - Metodi per esercitare il dominio: 1 - difesa contro l'invasione; 2 - attacco e difesa del commercio; 3 - attacco, difesa e appoggio a spedizioni militari.

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CAPITOLO II METODI PER ASSICURARSI IL DOMINIO DEL MARE 1 COME on-ENERE UNA DECISIONE

ualsiasi sia la natura della guerra che stiamo combattendo, sia essa limitata o iJlimitata, il dominio permanente e generale del mare è la condizione per il successo fina le. L'unico modo p er assicurarsi un tale dominio con mezzi nava li è quello di ottenere una decisione in battaglia contro la flotta nemica . Prima o poi deve essere fatto e prima è meglio è; questo era il vecchio credo britannico. È ancora il nostro credo e non ha bisogno di commenti; nessuno lo metterà in d ubbio, nessuno si preoccuperà nenuneno di discuterlo. Giu ngiamo quind i con fi ducia alla conclusione che il primo dovere della nostra flotta è quell o di scovare la fl ona nem ica e di distruggerla.

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Nessuna massima può incarna re megl io di qu esta lo spirito britannico di condotta della guerra in mare e a niente può essere consentito di tentare d i spegnere questo spirito. Può perfino essere considerato pericoloso esaminare la sua pretesa di essere la logica conclusione della nostra te oria della gue rra, eppure nulla è così pericoloso come il permettere che le massime d iventino un sostituto della ragione . Esaminiamo le sue credenziali e, come primo passo, mettiamo la alla p rova dei d ue casi più recenti. Si deve notare che entrambi erano casi d i Guerra Limitata, che è la forma più comune delle nostre azion i e, invero, anche l' unica forma alla quale la nostra organizzazione bell.ica, con la sua sostanziale preponderanza dell'elemento navale, è sempre stata, in realtà, adatta. Il p rimo caso è la g uerra ispano-americana e il secondo la guerra fra la Russia e il Giappone. - 151 -

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Nel primo caso gli americani imbracciarono le arm i per liberare Cuba da l dominio spagnolo: un obiettivo rigorosamente limitato. Non vi è alcuna evidenza che la natura della guerra sia stata mai chiaramente formu lata da entrambi i contendenti, ma in corretta conformità con le condizioni politiche generali, il piano d i guerra americano mirava ad iniziare le ostilità con un movimento che assicurasse l'obiettivo Lerritoriale . Essi intendevano stabilirsi nella zona occidentale di Cuba, in appoggio ai colo ni rivoltosi, al più presto possibile. Tutto d ipendeva da l p rendere l'iniziativa con decisione e rapidità. La sua imporranza morale e materiale giustificava il massimo rischio e tale era la conformazione del mare che l'Esercito americano doveva attraversare, che un atteggiamento strettamente d ifensivo, o di copertura da parte della loro flotta avrebbe ridotto il rischio qL1asi a zero. Eppure, gli americani erano così insensatamente dominati da massime recentemente riscoperte che quando seppero, alla vigilia del movimento vita le, che una squadra spagno la stava attraversando l' Arlantico, la loro forza di copertura fu spostata dalla sua posizione difensiva e inviata a "scovare !a flotta nemica e distruggerla". Portorico e ra il posto più ovvio nel quale cercarla e all'ammiraglio Sampson fu permesso di andarvi, senza riguardo per la verità più elementare: in questi casi ciò che è ovvio per voi, no rmalmente lo è anche per nemico. Il ris ultato fu che non solo gli americani mancarono il contatto, ma essi scoprirono anche la linea di passaggio del loro Esercito e paralizzarono il movimento iniziale. Alla fine fu per puro caso che fu loro consentito cli rimediare al l'errore che avevano commesso. Se la squadra spagnola fosse e ntrata in un porto cu bano collegato per ferrovia con il principa le Esercito Realista, come Cienfuegos o l'Avana, invece di correre a Santiago, l'intera campagna sarebbe stata persa. "Sembra ora", scrisse l'ammiraglio Mahan nel suo Lezioni della Guerra con La Spagna, "non solo che la puntata verso est della nostra divisione dell :Avana sia stata sfortunata, ma che si sarebbe dovuto comprendere fin dall'inizio che era sbagliata perché incompatibile con un buon principio della guerra generalmente accettato e La cui inosservanza non era imposta dalla situazione. Il prin cipio è quello che condanna movimenti eccentrici. In questo caso, trascurando la regola scoprimmo sia l'Avana sia Cienfuegos, che era il nostro obiettivo per bloccare la divisione nemica ". Sia che consideriamo la spiegazione dell 'errore, da parte dell'ammiraglio Mahan, consona o meno al vero principio vio lato, il movimento - 152 -


fu in effetti non solo eccentrico, ma non necessario. Se gli americani si fossero accomentali di tenere la loro fl.olta riunita nella sua giusta posizione difensiva , non solo avrebbero coperto la linea di passaggio del loro Esercito e i l blocco dell'obiettivo territoriale, ma avrebbero anche avuto una ben maggiore possibi lità di costringere gli spagnoli all'azione. Gli spagnoli dovevano incontrare gli americani oppure sarebbero rimasti fuori del teatro delle operazioni; in questo caso non avrebbero potuto influire in alcun modo sul risultato della guerra eccetto che a loro danno, minando il morale deJJa loro stessa guarnigione a Cuba. È il classico caso della lettera che uccide lo spirito, di una massima attraente alla qua le è permesso di sbattere la porta in faccia alla ragione. In questo caso, l'offensiva strategica non era la difesa migliore. Lo "scovare lajlotta nemiéa " era destinato a finire in un p ugno all'aria che non solo avrebbe mancato di ottenere alcun ris ultato offensivo, ma avrebbe anche sacrificato il principale elemento difensivo del piano americano sul quale l'offensiva concava per i1 successo. Stigmatizzare un tale movimento semplicemente come eccentrico è una censura molto blanda.

Un caso inverso è quello della guerra russo-giapponese nella quale il senno zittì l'aforisma. È vero che durante la prima fase del le operazioni navali i giapponesi ricercarono la flotta nemica, nel senso che avanzarono la loro base vicino a Port Arthur; ma questo fu fatto non con l'ossessionante intenzione di distruggere la flotta russa - c'erano poche speranze cl i poterlo fare in mare - bensì perché non avevano altro mezzo per coprire le linee cli transito dell'esercito, la cui sicurezza era affidata alla flotta, dal momento che le vere operazion i offensive erano quelle terrestri . Mai, eccetto una sola volta per espressi ordi ni di Tol<io, gli ammiragli Togo e Kamimura spinsero i movimenti offensivi in modo tale eia mettere a repentaglio il compito preventivo cl1e il piano cl i guerra aveva loro assegnato. Ancor meno l'amm iraglio Togo "ricercò" la flotta nemica nella fase fina le , quando tutto dipendeva dalla clistrnzione della flotta del Baltico. Egli e ra soddisfatto, come avrebbero dovuto esserlo gli americani, di aver creato una situazione tale che e ra il nemico a dover accorrere per demolirla , se voleva influire s ul risu ltato della guerra. Così egli attese sulla difensiva, si assicurò che il nemico venisse a lui e pertanto manovrò in modo da avere Ja certezza che ciò accadesse, come si può essere certi in guerra, sicché quando sarebbe venuto il momento per l'offensiva tanica il suo attacco sarebbe stato preciso, - 153 -


improvviso - per la concentrazione di una forza preponderante - e decisivo o ltre ogn i precedente. È chiaro, quindi, che alla massima di "scovare lajlotta nernica " non deve essere consentito cli sostituirsi ad un giudizio ben motivato, nonostante tutta la sua influenza morale, tutto il s uo valore come espressione cli un e levato e giusto spirito nava le. Da servitrice fidata quale è, sarebbe una cattiva padrona , come g li americani scoprirono a loro serio rischio. Tuttavia percepiamo istinrivamente che essa esprime, come nessun altro aforisma, il segreto del SLtccesso britannico in mare. Non possiamo fa rne a meno; ma non possiamo usarla n uda così com'è. Cerchiamo di rivestirla con il s uo vero significato , con i veri principi che implicitamente esprime. Cerchiamo di determinare la sostanza di èui è fatta; a questo scopo non v'è modo migliore di quello di ripercorrere la sua crescita graduale fin dai giorni in cui nacque dall 'istinto rozzo e virile dei più vecchi maestri.

Il germe si trova nel d ispaccio, già menzio nato, che Drake scrisse da Plymouth alla fine del marzo 1588. I s uoi argomenti non erano puramenle navali , perché il problema da risolvere era complesso: la difesa contro u n'invasione. Ciò di cui egli cercava di convincere il Governo era che il nocciolo della questio ne non era tanto l'esercito d 'invasione del Principe di Parma nelle Fiandre, quanto la flotta che si stava approntando in Spagna per assicurargli la traversata. Il Governo sembrava agi re secondo l'opposto punto di vista. Howarcl , con il grosso della flotta, era di base nel Medway a distanza cli sostegno del la squadra leggera che bloccava i porti fiamm inghi di concerto con gli o landesi. L0 stesso Drake era stato inviato verso ovest con un'a ltra sq uadra leggera con qualche vaga idea d i un suo servizio quale sq uadra d'osservazione o per essere usata, secondo la moda medievale, per un con trattacco eccentrico. Essendo stato invitato a dare la p ropria opinione su questa d isposizione delle fo rze, egli la definì pessima. Ai suoi occhi ciò che la situazione richiedeva era un movimento offensivo contro la flotta principale nemica. "Se, con qualsiasi mezzo, si può in qualche modo costringere la flotta a rimanere o fermarsi in Spagna, così cbe essi non possano ven ire come conquistatori attraverso il mare" egli esortò "allora il Principe di Parma subirebbe uno scacco pari alle nostre a~pettative". Ciò che egli aveva in mente chiaramente non è tanto un'azione definitiva, bensì un'interruzione dell'incompleta mobilitazione nemica, come quella che aveva così brillanteme nte esegui to l'anno precedente, perché in seguito - ]54 -


Francis Drake (1540-1596).



dice che "Secondo solo alla potente protezione divina, il vantaggio di tempo e luogo sarà il solo e principale mezzo del nostro bene, laonde umilmente imploro le loro signorie di perseverare in ciò che hanno iniziato poiché con cinquanta vele faremo di pù7 sulle loro coste di quanto molte più navi non farebbero qui in patria e prima partiamo meglio saremo in grado di impedirli". Non dice di "distruggerli". "Impedire" sjgni ficava "prevenire ". È chiaro quindi che ciò che aveva in mente era una ripetizione della strategia dell'anno precedente, per mezzo della quale era stato in grado di frantumare la mobilitazione spagnola e cli "impedire" all'Armada di far vela. Non chiese nemmeno la concentrazione dell' intera flotta per questo scopo, ma solo che la sua stessa squadra fosse rinforzata come ritenuto opportuno. Le effettive argomentazion i che diede per il suo consigli o erano puramente morali: cioè egli insistette sull'incoraggiante e ffetto di colpire per primi e d i attaccare invece di aspettare di essere attaccati. La nazione "sarà persuasa ", fu la sua esortazione, "che il Signore darà a Sua Maestà e al suo popolo coraggio e audacia non per non temere l'invasione, ma per ricercare i nemici d i Dio e di Sua Maestà ovunque si trovino".

Qui è il germe della massima. La conseguenza di questo dispaccio fu la convocazione a partecipare al Concilio. La decisione della conferenza non fu una mezza misura, che era turto q uanto egl i aveva osato consigliai-e nel suo dispaccio, ma qualcosa che incarnava un'espressione più pregnante della sua idea generale e assomigliava da vicino a ciò che sarebbe stato consacrato come la nostra normale disposizione in casi simili. L'intera flotta principale, eccetto la squadra d 'osservazio ne sulla costa fiammi nga, fu ammassata verso occidente per cop rire il blocco dei trasporti del Parma, ma la posizione assegnatale fu all'inte rno della Mani ca anziché all'esterno, il che tatticamente era un male perché avrebbe quasi certamente ci.aro i l vantaggio del vento all'Armada. Nessun movimento fu permesso sulle coste della Spagna - no n necessariamente, va l bene ricordarlo, per pusillanimità o per incapacità di afferrare l'idea di Drake - ma per il timore che un movimento in avanti, come ne l Tecente caso americano, potesse finire in un fendente in aria e scoprisse la posizione vitale E;enza costringere il nemico all'azione. Tuttavia, quando la partenza dell'Armada venne tanto ritardata , l'insistenza di Drake fu rinnovata con l'appoggio di Howard e d i tut- 155 -


ti i suoi colleghi. Alla fine oltenne il permesso desiderato; la flotta fece vela per La Corufia ove era noto che l'Armada, dopo una mancata partenza da Lisbona, era stata sospinta dal tempo cattivo. E accadde qualcosa di simile a ciò che il governo te meva. Prima che potesse raggiungere la sua desti nazione la flotta incontrò bu rrasche da sud, il suo potere offensivo fu esaurito e dovette torna re a Plymoutb incapace d i agire con p ro ntezza proprio quando l 'Armada fina lmente fece vela. Q uando gli spagnoli apparvero essa era ancora in porto per raddobbare e approvvigionarsi . Fu solo grazie ad un atto di abilità marinaresca eccezionale e senza precedenti che la situazione fu salvata e Howard fu in grado d i guadagnare la posizione ortodossa al largo del nemico .

Fino a quel punto, quindi, era giustificato il cauto aggrapparsi del Governo ad un atteggiamento generalmente difensivo, anziché ricercare la flotta nemica, ma bisogna ricordare che Drake aveva insistito fin dall'inizio sul fa tto che era una questione di tempo così come di luogo . Se gli fosse stato permesso di effettuare il movimen to q uando lo propose per la prima volta, v i sono buone ragio ni per credere che gli stadi finali della mobilitazione spagnola no n avrebbero potuto essere completati quell'anno; in altre parole le diverse divisioni dell'Armada non avrebbero pott1 to essere riu nite in una flotta. Ma in quel momento le informazioni s ulle sue condizioni erano molto incerte e inoltre, in vista dei negoziati che erano iniziati, vi erano importanti ragioni politiche per non intraprendere un'offensiva troppo drastica, fi nché sussisteva una ragionevole alternativa a lla guerra. Q uindi, i principi che distilliamo da questo, che è il primo esempio dello "scovare laflotta nemica", sono: an zitutto, il valo re morale del prendere l'iniziativa; secondo, l'importanza cli col pire prima che la mob il itazione del nemico sia completata. L'idea di sconfiggere il nem ico per mezzo di una grande ba ttaglia nava le no.p. è presente, a me no che non si voglia rintracciare tale idea in quella, non chiaramente formula ta dagli ammiragli elisabettiani, di colpire una flo tta quand o è demoralizzata, come lo era l'Annada d o po la s ua prima mo rt ificazione, o q uando è appena uscita in mare e non ha ancora assunto la sua fo rmazio ne. Nella nostra successiva guerra navale con gli olandesi, nella seconda metà ciel d iciassettesimo secolo, il principio della distruzione della flotta nemica venne pienamente sviluppato, come abbiamo visto. Esso - 156 -


Maarten 'l'rornp (1598-1653).



costilul la nota fondamenta le della strategia che venne allora elaborata e le condizioni che costrinsero alla s ua accettazione mettono in ev ide nza anche i principi della ricerca e della distruzione. Si trattò di un caso di pura lotta in mare, nel quale non vi erano considerazioni militari terrestri che potessero svia re la sHategia navale . Inoltre, fu una questione di mari ristretti e il rischio di mancare il contatto, che aveva paralizzato gli elisabettiani nel loro teatro oceanico, era un fattore trascurabile. Tuttavia, si presentarono presto nuove obiezioni all'uso della massima cli ·' scovare il nemico " qua le panacea strategica. La prima guerra cominciò senza alcuna t1·accia del nuovo principio. La prima campagna fu concepita interamente alla vecchia maniera con l'attacco e la difesa del traffico e le azioni non decisive che si ebbero furono semplici incidenti di percorso. Sembra che nessuno, eccetto forse Tromp, abbia compreso l'errore di un tale metodo. Gli ordini generali che Tromp ricevette dicevano che "i/ primo e principale obiettivo era di produrre il massimo danno agli inglesi" e a questo fine ''gli era stata data una.flotta allo scopo di prendere il mare a danno e offesa della }lotta inglese e anche cli condurre convogli a ovest". Comprendendo immediatamente l'incompatibilità dei due compiti, egli chiese istruzioni più precise. Che cosa avrebbe dovuto fare. per esempio, se vedeva la possibilità di bloccare la flotta inglese nella sua base? Doveva dedicarsi al blocco e "lasciare l'intera flotta mercantile quale preda di una squadra di veloci fregate", oppure doveva continuare il s uo compito di scorta? Desideroso com'era di affrontare la principale flotta nemica, egli era perplesso per la difficoltà pratka - troppo spesso din1enticata - che la semplice supremazia su lla flotta da baLtaglia nemica non risolve il problema del controllo del mare. Non gli furono inviate nuove istruzioni per chiarire la sua perplessità ed egli poté solo continuare a protes tare. "Vorrei" scrisse, "essere cosz'_fortunato da avere solo uno di questi due compiti, trovare il nemico o scortare i convogli, perché è con grande d~(.fìcoltà che si può attendere a entrambi". L'indecisa campagna che naturalmente derivò da questa mancanza di intu izione strategica e cli concentrazione degli sforzi, si concl use con la parziale sconfitta che Tromp inflisse a Blake al largo di Dungeness il 30 novembre 1652. Sebbene, nonostante le sue proteste, gli fosse stato assegnato il compito di scortare un g rosso convoglio, l'ammiraglio olandese lo aveva rispedito a Ostenda quando - 157 -


scoprì che Blake e ra nei Downs e poi, libero da altre preoccupazìon i, e ra andato a scovare il nemico. Fu l'effetto che questo colpo senza precedenti ebbe sul forte intuito militare del governo di Cromwell che portò a quelle famose riforme che fecero di quel l'inverno una così memorabile pietra miliare nella storia n avale britannica. Mon k, il più completo soldato professionista al serviz io inglese, e Deane, anch 'eglì generale, furono un iti a Blake nel coma ndo e con il loro arrivo fu ìnstillaro nella Marina l'alto spirito militare del New Model Army. A q uell'i:nvemo dobbiamo non solo gli Articles of War, che resero possib ile una forre d isciplìna , e il p rìmo tentativo d i formulare le "Istruzioni di Combattimento", nelle q uali fu concepito un regolare sistema tattico, ma anche altri due concetti che vanno a completare l' idea moderna di guerra navale . Uno fu la convinzion e che la guerra in mare s ign ificasse operazion i contro le fl otte armare del nemico, allo scopo di d istruggerne il potere di resistenza navale, come distinte dalle operazioni di rappresaglia contro il suo commercio; l'altro era che una s ìmile guerra richiedeva, per essere efficace, una flotta di navi dello Stato specìalizzate per la guerra, con il minimo d i assistenza da parte di navi private. Non è strano che tutte e quattro q ueste idee abb iano preso forma insieme, tanto co rrelate esse sono. Il fine indica i mezzi. Disciplina, tattica, e una Marina di navi da guerra erano indispensabili per fare la guerra nel senso moderno del termine. I risultati s i videro nelle tre grandi battaglie della prima vera successiva, la prima con i tre generali e le altre due con il solo Monk. Nell' ultima egli portò così lontano le nuove idee eia proibi re di p rendere possesso dei bastimen ti dan neggiati perché nulla avrebbe dovuto limitare il lavoro d i distru zio ne . Tutti dovevano essere affondatì , con tanta sensib ili tà per la vita uma n a q uanta era permessa da ll a loro d istru zione. Nello stesso modo la seconda g u~rra fu caratterizzata da tre grandi azioni naval i un a deile quali, dopò che Monk ebbe r iassu nto iJ comando, d urò no n men o d i quattro giorni. In effe tti la nuova dottrina era portata fino all'esagerazion e. Il pensiero navale era così ìnteramen te foca li zzato sull'azione delle flotte da battaglia che nessun provvedimento fu preso per u n adeguato esercizio ciel controllo . Almeno nel nostro caso, l'ammassame nto per l'azione offensi va fu spinto a tal p un to che non si pensò a sostenerlo con riserve . In consegu enza la nostra potenza offens iva soffrì periodi di esaurimento, quando la flotta doveva ritornare alla sua base, e aglì olandesi fu - 158 -


lasciata sufficienle libertà non solo per protegge re il loro traffico , ma anche per colp ire severamente il nostro. I loro contrauacchi culminarono nel famoso attacco a Sheerness e Chatham. Il fatto che sia stata loro concessa una s imile opportLtnitù deriva direttamente da una esagerazione del la nuova dottrina. NeJla convinzione del Governo britanni co il Combattimento di SL. ja:~1es - l'ultima delle tre azioni - aveva deciso la questio ne del dominio del ma1è: . Si aprirono negoziati di pace e il Governo era contento di raccogliere il frutto delle grandi battaglie predando il commercio olandese. Avendo, come si credeva , fatto il proprio lavoro, la maggio r parte della flotta da battaglia fu messa in riserva per ragioni finanziarie e gli o landesi afferrarono l'opportunità di d imostrare le limitazioni deU'abusata domina. Cl ) La lezione è una cli quelle che non abbiamo mai dimenticato, ma il suo valore è per metà perso se altribui amo il disastro alla mancanza di comprensione della dottrina della florta da battaglia anziché ad una esagerazio ne del le sue possibilità. La verità è che noi non avevamo ottenuLo una vittoria sufficientemente decisiva da clism1ggere la flotta nemica. La lezione più preziosa della guerra fu che tali vittor ie devono essere costruite faticosa mente, e in particolare nei casi in cui i belligeranti s i fronteggiano dalle sponde di un mare rislretto . È stato provato che in tali cfrcosranze , grazie alla facili tà d i ritirata e alle lim itate possibilità d 'insegu imento, non ci s i può aspetta re u na completa decision e senza u na preparazion e strategica molto parlicolare. In effetti la nuova dottrina diede alla strategia quella nuova direzio ne di cui abbiamo già trattato . Non era più qu esti one cli dec idere se l'obiettivo primario dovesse essere il commercio o la flotta ciel nemico, ma di come e ntrare in contatto con la sua flotta in modo tale da giu ngere a una azione decisiva. Ricercare semplicemente il nemico su lle sue cos te voleva dire essere certi ch e nessuna azione decisiva avrebbe avuto luogo. Si dovevano prendere m is ure per costrin gerlo a prendere il mare lontano dalle s ue basi. L'espediente favorito fu quell o di sostitu ii-e i vecchi attacchi sporad ici con operazioni strategiche organizzate contro il suo commercio; la flotta cioè, p re ndeva una posizione idonea a fermare completamente il su o commercio n on sulle ;me coste , ma in alto mare, lungo le principa li rotte marittime . Le operazion i fallirono p er

(l ) Allude, ovviamente, all'azio ne di D e HuyLcr nel T amigi e nel Meclway (NdT) .

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mancanza di provvedimenti che consentissero a lla fl otta rimpiazzi sistematici per man tenere la sua posizione, ma ciò nonostante questo fu il germe del sistema che in seguito , con un 'organizzazione più matura, si dimostrò così efficace da prodtirre azioni come il " Glorioso Primo di Giugno". <2 >

Nella terza guerra, do po che questo esped iente aveva fal li to più volte, ne fu te ntato un altro. Fu un 'idea dello stesso Carlo II: quella di usare la minaccia di una spedizione militare. Trasporti con ci rca 15000 uomini furo no trasferiti a Yarmouth nella speran za che gli olandesi sarebbe ro usciti per sbarrare loro il passaggio attraverso L'a perto Mare del Nord; cosa che avrebbe permesso alla n ostra flotta di prend erli alle spalle. Tuttavia, non vi fu un appropriato coordinamento tra le due forze e il progetto fallì. Questo metodo per assicurarsi una d ecisione non fu dimenticato ; Anson cercò di usarlo durante la guerra dei Sette Anni. Per due anni ogni tentativo cli scovare la flotta del nemico non aveva prodotto alcunché salvo l'esaurimento d ella nostra stessa flotta . Ma quando Pitt cominciò le sue scorrerie su lla costa francese, Anson, che aveva poca fidu cia nella loro utilità per scopi militari, pensò di vedervi precise possibilità navali. Di conseguenza quando nel 1758 g li fu dato il comando del la fl otta d ella Manica per coprire la spedizione contro St.Malo, egli tolse il blocco cli Bresr e prese posizione vicino all'Isola di Batz, fra la flotta principale nemica e la rotta di transito d ell'esercito. Tuttavia, la flotta di Brest non era in condizioni cli muovere e non vi fu di nuovo alcu n risultato. Fu solo nel 1805 che si ebbe un caso nel quale lo stratagemm<1 ebbe successo, ma in quell 'occasione no n fu impiegato deliberatamente. Fu una spedizione congiunta anglo-russa nel Mediterraneo C3) che costrinse Napoleone a dare a Villene uve quell 'a vventato ordine di prendere il mare da Cadi ce, risolvendo così il problema di c ui Nelson non vedeva la solu zione . Lissa può rappresentare un caso analogo. Ma qui gli italiani, consid~ rando l'attacco

(2) Si rife risce alla battaglia del 1° g iugno 1794 c he negli annali della RoyaJ Navy ha preso appunto il no me d i "The Glorious First offune". È vero che in quella battaglia i francesi persero selle navi da guerra, ma Vi lla rel-Joyc usc sacrlficò se stesso e Je s ue navi per consenLi re al p rezioso c;onvogl io d i granaglie c;hc stava scorLando, cli raggiungere indenne la Francia. Ci 1;;~1rebbe q uindi da d iscutere pe r c;hi fu più glorioso quel 1° cli giugno (NclT). (3) È la spedizione di Craig, v . pag. 65 (NclR) .

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a terra come il vero attacco anziché un espediente strategico, furono essj stessi sorpresi da lla flotta austriaca e sconfitti. Questi esempi sono utili per far notare l'importanza ciel fatto che, sebbene le nostre stesse sped izioni militari abbiano raramerne portato a decisioni navali, l'inverso sia stato invece quasi sempre vero. Il tentativo d el nemico di usare il suo esercito contro il nostro territorio è stato la più frequente fonte dell e nostre grandi vittorie navali. Dovremmo essere sempre felici cli sapere che il nemico intende invadere queste sponde o compiere qualche seria sped izione contro i nostri domini o interessi o ltremare. A meno che la storia no n smentisca se stessa, sappiamo che tali tentativi sono il mezzo più sicuro per darci ciò che vogliamo. Abbiamo i ricordi cli La Hogue, Quiberon e Abukir per ra~sicurarci che prima o poi quei tentativi devono condurre a una decisio ne in mare e tutto ciò che possiamo chiedere alla "Sorte de11e Armi" è la possibilità cli ottenere una decisione conclusiva. Si è detto abbastanza per dimostrare che "scovare la.flotta nemica" non è in se stesso sufficiente ad assicurarci una tale decisio ne. Ciò che la massima realmente significa è che, per prima cosa, dobbiamo cercare la posizione n.1igliore per poter prendere contatto e ottenere quindi una compl eta decisione a nostro favo re , non appena lo consentano le altre condizion i, politiche e militari, del nostro piano cli g uerra . Se l'offensiva pri ncipale è terresLre, come lo era nel caso giapponese e in quello americano, allo ra lo sforzo per ass.icurarsi tale controllo deve , se p ossibile, essere subo rdinato ai movimenti dell'esercito, altrimenti alla difensiva deve esse re data la precedenza sull'offensiva. Tuttavia, se l'offensiva terrestre non può essere garantita fino a q uando la difensiva nava le non sia perfezionata, come sarebbe nel caso che il nemico d isponesse la sua flotta sulle rotte di passaggio ciel nostro esercito, allora la nostra prima mossa deve essere quella cl i assicurarci il contatto con le fo rze navali avversarie. L'errore del metodo inverso cli procedere è ovvio. Se am mettessimo che il significat0 della massima sia que llo che il primo compito del.la nostra flotta è di scovare il nemico ovunque egli sia , d iremmo, in parole povere, che ci dobbiamo conformare a lle d isposizioni e ai movimenti del nemico; gli si lascerebbe la possibilità cli condurci ovunque egli d esidera. Q uesto fu u no degli errori che fece fa llire tuLte le combinazioni navali di Napoleone , il fatto che credesse che i n ostri incalli ti ammiragli si sarebbe ro comportati in questo - 161 -


modo ingenuo; nulla era più lungi dalla loro astuzia. Vi è un Lipico ordine di Cornwallis che serve bene a rimarcare il loro atteggiamenLO. È un ordine che egli diede all'Ammiragl io CoLLOn , su o Secondo in Comando, passandogli le consegne della squadra occidentale al largo di Ognissami nel luglio 1804: '·Se i francesi escono in mare··, disse, "senza cbe alcu110 dei nostri bastimenti li avvisti. non seg11iteli a meno che non siate assolutamente sicuro della rotta cbe ha11no preso. Se lasciate l'entrata della Manica senza protezio,,e. il nemico potrebbe approfillarne e appoggiare l'i1wasione che minaccia i domini di Sua Maestà, la cui prntezione è il vostro pri 11cipale obiettivo". È invero opinione comune che elson concedesse a se stesso un solo scopo, l'inseguimento della flotta nemica e che, ignorando la cautela che CornwaJlis inculcò a Cotton , sia cacluLo nella fac ile Lrappola. Ma si deve notare che non h a mai tolleraro cli essere indotto, dall 'inseguimento di una flotta , ad all ontanarsi dalla posizione che era stato in caricato d i mantenere, fino a quando e a meno che non l'avesse resa sicura lasciandosela alle spalle. La sua famosa caccia fino al le Indie Occìdcnrali è il caso c he, per insufficiente riguardo alle c ircostan ze gene ra li , ba portato ai maggiori fraintendimenti. Nelson non inseguì Villeneuve con il solo e neanche il principale ohieLtivo cli costringerlo all'azione; il s uo obienivo predominante e ra di salvare Giamaica dall'essere occ upata. Se fosse sta la so lo una questione di presa dì contatLO egli si sarebbe certamente sentito in posizione più sicura anendenclo il ritorno di Villeneuve al largo di St.Vincent o avvicinandosi al cen Lro strn legico a l largo di Ognissanti. Ino ltre, si deve osservare che Nelson, con i1 suo inseguimento. non scoprì ciò che era suo compito difendere; la posizione mediterranea era stata resa alquanto sicura prima che egli si avventurasse nel s uo movime nto eccemrico. Infine, abbiamo il fatto importanLe che, per quanto l'effetto morale dell'implacabile perseveranza e rapidiLà di Nelson sia stato inestimabile, è impossibile dimostrare che come mero movimento strategico abbia avuto alcun a influenza sul co rso della campagna. La sua apparizione nelle Indie Occidenta li può aver salvato dal saccheggio una o due piccole isole e dalla cattura una huona quantità di commercio; può anche aver accelerato di a lcuni g iorni il ritorno di Vil leneuve, ma ciò non fu a nostro vantaggio. Se egli fosse tornalo anche solo un a senimana dopo non ci sarebbe stata alcuna necessità d i leva re il blocco di Rochefort. Barham avrebbe avuto abbastanza navi al suo comando da conservare wcci i suoi blocchi, come - 162 -


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aveva inteso fare fino a quando la noti.zia del Curieux sul precipitoso ritorno di Villeneuve gli forzò la mano prima che fosse pronto. Se desideriamo un tip ico esempio del modo col quale i vecchi maestri usavano la dottrina dello "scovare il nemico", esso deve essere scelto non nel magnifico inseguimento di Nelson, ma nella misurata audacia degli ordini di Barham a Cornwall is e Ca lder. Le istruzioni che ricevettero per trovare Villeneuve erano di procedere sulle sue due possibili linee di avvicinamento per un tempo e una distanza che avrebbero reso quasi certa un'azione decisiva e allo stesso tempo , se il con tatto fosse sta to mancato, avrebbero permesso di conservare le vitali posizioni difensive . Barham era troppo astuto per fare il gioco di Napoleone, per lasciarsi guidare ciecamente dal nemico ed essere ingannato sacrificando la posizione che il nemico stesso voleva assicurarsi. Se alla nostra massima fosse concesso di usurpare il posto del giudizio dell'esperienza, il quasi inevitabile risultato sarebbe che cad remmo proprio in quel tipo cli errore che Barham evitò. 2 TL BLOCCO

Nel termine blocco includiamo operaz.ìon i che variano notevolmente per il loro carattere e per le loro intenzioni strategiche. ln primo luogo il blocco può essere sia navale sia commerciale. Con il blocco navale cerchjamo o di impedire alla forza armata del nemico di lasciare il porto, o di accertarci che la stessa sia costretta alla battaglia p r.i ma che possa porta re a term ine lo scopo ulteriore per il quale esce in mare. La forza armata può essere solo navale o può essere composta, inte ramenLe o in parte, da una spedizione m,ilitare. Se è puramente navale, allora iJ nostro b locco è un metodo per assicurarsi il dominio del mare; se è puramente militare, è un metodo per eserci tare n dominio e come tale lo tratteremo quando considereremo la difesa contro le invasioni. Tuttavia, poiché le spedizioni militari sono normal me nte accompagnate eia scorte navali, le operazioni p er prevenire la loro partenza non riguardano .so lamente l'esercizio del dominio ciel mare. Pertanto, a scopi pratici, il blocco navale può esse re considerato come un metodo per assicurarsi il dominio e come una funzione delle squadre da battaglia. Il blocco commerciale, d'altro can to , è essenzialmen te un metodo per esercitare il dominio ed è prìncipalmente u n compito assegnato agli incrociatori. - 163 -


Il suo obiettivo immed iato è q ue llo di interrompere il flusso del commercio marittimo nemico, sia che sia trasportato da bastimenti suoi o neutrali, negandogli l'uso delle linee di comunicazione commerciali. Pertanto, dal punto cli vista della. condorra della guerra abbi.a mo due ben definite categorie di blocco: navale e commerciale. Ma la nostra classificazione deve andare oltre perché il blocco navale in se stesso ha scopi egualmente vari e ric hiede pertanto un'ulteriore sudd ivisione. A rigor di term ini la parola imp lica il desiderio di chiudere il porto bloccato e di imped ire al nemico di p rendere il mare; ma non sempre l'intenzione è stata questa . Il più delle volte il nostro desiderio è stato che iI nemico prendesse il mare in modo che potessimo costringerlo alla battaglia e per farlo, prima che egli potesse raggiungere il suo scopo, dovevamo controllare il porto più o meno strettamente con una flotta. Per questa operazione non vi era un nome specifico; per quanto il suo obiettivo differisse molto dall'a ltra, era normalmente chiamata blocco ed è ben nota la p rotesta di Nelson per la conseguente confusione concettuale. "Non è mia intenzione" , disse , "controllare da vicino Tolone' ; e ancora, " lZ mio sistema è l 'esatto con trario del blocco. Al nemico è stata offerta ogni opportunità di uscire in mare ". È pertanto desiderabile adottare termini che distinguano !è d ue forme. "Stretto" e "aperto" esprimono l'amitesi suggerita dalla lettera cli Nelson e i clue termini servono abbastanza bene per rimarcare la caratteristica di ciascu na operazione. È vero che il blocco stre tto, così come concepito un tempo, è generalmente considerato non più praticabile; ma le idee antitetiche che caratterizzano le due forme di blocco non possono mai e ssere escluse dalle considerazioni sLrategiche. La strategia del blocco navale dovrà sempre essere interessata al rapporto tra queste due forme , qua lsiasi aspetto esse assu meranno in futuro . Per quamo riguarda il blocco commerciale, in stretta sintesi esso non dovrebbe essere trattato in una ricerca che S"i interessa dei metodi per assicu rarsi il dominio del mare e dovrebbe essere incluso nella parte che tratta dell 'esercizio del dominio e che si imeressa dell'attacco al traffico e della sua difesa. Tuttavia , è necessario Lraltare alcu ni s uo i aspetti in relazione al blocco navale per due ragioni: primo , perché di regola il blocco navale è indissolubilmente unito acl un subordinato blocco commerciale; secondo, perché la forma commerciale, sebbene il suo scopo in1mediato sia l'esercizio del contro llo, ba quasi sempre un obiettivo ulteriore che riguarda l'assicurarsi il - 164 -


controllo, cioè a dire, mentre il suo obiettivo imm ediato è di tenere chiusi i porti commerciali del nemico , il suo obiettivo ulteriore è q uello di costringere la flotta avversaria ad uscire in mare. Pertanto , il blocco commerciale ha un'intima relazione con il b locco navale nella sua forma aperta. Adottiamo quella forma quando deside riamo che la flotta del nemico esca in mare e il blocco commerciale è normalmente il mezzo più efficace che abbiamo per costringerlo a quel movimento che gli lasciamo la possibilità di tentare. Chiudendo i porti commercia li del nemico esercitiamo il massimo potere che il dominio del mare può darci per danneggiarlo. Soffochiamo il flusso dell e sue attività in mare nello stesso modo in cui l'occupazione miJitare del suo territorio lo soffoca a terra . Egli deve, pertanto o sottomettersi docilmente, come se avesse subito una sconfitta nava le, oppure deve combattere per liberarsi. Può essere in grado di scegliere l'una o l'altra alternativa, ma in ogni caso non possiamo fare dj più, con i soli mezzi navali, per costringerlo ad accettare la nostra volontà. A lungo anelare è quasi certo che un blocco rigoroso e ininterrotlo finirà per esa urire il nemico prima che esaurisca noi , ma la fine sarà lontana e costosa. Come regola, pertanto, abbiamo scoperto che quando avevamo una sostanziale predominanza il nostro nemico preferiva sottom ettersi al blocco comme rciale nella speranza che i cas i della guerra o lo sviluppo dj nu ove forze lo ponessero in seguito in u na posizione più va ntaggiosa per uscire allo scoperto. Che venisse fuori e giocasse tutto in battaglia è stato quasi sempre il nostro d esiderio ed era ovvio che un blocco navale troppo rigoroso non e ra il modo per o ttenere lo scopo desiderato, né per raccogliere il risu ltato strategico che ci potevamo aspettare para lizzando il suo comm ercio. Perta nto , quando il desiderio per una decisione in rnare no n si scontrava con più eleva te considerazioni militari, come era nel caso d i un'invasione imminente, o quando noi sressi avevamo un' importante spedizione in corso, era nostro interesse indurre l'a nimo del nemico alla scelta più audace. Tl mezzo era di tentarlo con una spe ranza d i successo, o sp ingendolo a credere che la forza bloccante era minore di quanto in effetti fosse, o allontanando la stessa ad una distanza tale da indurlo a tentare di evitarla , opp ure usando entrambi gli espedienti. Un caso emblematico di u n tale blocco aperlo fu la dislocazione della flotta - 165 -


di Nelson al largo cli Cadice q uando egli tentava di costringere Villeneuve all'azione nel 1805. Ma lasciare semplicemente aperto un porro non esaL1disce l'idea del blocco aperto e , in questo caso, all'opportunità e alla tentazione Nelson aggiunse la pressione del blocco commerciale dei porti vicini nella speranza di costringere Villeneuve a prendere il mare. Infine, in un confronto generale fra le due forme, dobbiamo osservare che il blocco stretto è essenzialmente un metodo per assicurarsi il dominio del mare locale e temporaneo. Il suo scopo p revalente sarà di norma quello di prevenire l'azione della flotta nemica in una certa area e per u n certo scopo. All 'opposto il blocco aperto , in q uanto mira alla distruzione della forza navale nemica, rappresenta un passo ben preciso per assicurarsi il dominio permanente. A questo punto si è detto abbastanza per dimostrare che la scelta fra un blocco stretto e uno aperto è u n problema dì estrema complessità. In verità, la nostra letteratura navale presenta i vecchi maestri divisi in due scuole volendoci fa r credere che una fosse in favore della forma de l blocco stretto e l'altra di quello aperto. Siamo perfino indotti a credere che la scelta dipendesse dallo spirito milita re dell'ufficiale interessato; se il suo spirito militare era elevato, egli sceglieva la forma più esigente del bl6cco stretto; se era debole, si accontentava di quella meno esigente del blocco aperto. È vero che ci si dice che gli appartenenti a quest'ultima scuola basavano le loro obiezioni al blocco stretto sull 'eccessivo logoramento della flotta che lo eseguiva, ma si è troppo spesso insinuato che questo atteggiamento non foss e che la maschera di un insufficiente spirito aggressivo. Quasi mai si sollecita un confronto delle loro decisioni con l'intenzione strategica del momento, co~ i i'ischi che le condizioni giustificavano, o con il consumo di energia che il risultato desiderato poteva legìttin1amente richiedere. Eppure tutte queste.considerazio ni devono influire sulla scelta e con un esame più accurato dei casi principa li si scoprirà che esse hanno un peso straordinario sulla natura del blocco adottato e una relazione quasi costan te con lo stesso. Nel considerare il blocco aperto si devono tenere a mente tre postulati: p rimo, poiché il nostro obiettivo è che il nemico esca in mare, la nostra posizione deve essere tale da offrirgli l'opportunità d i farlo; secondo, poiché desideriamo i1 contatto per una battaglia decisiva , quella posizione non deve essere così lontana da l suo porto da - 166 -


essere incompatibile con il cosuingerlo all 'azio ne prima che possa raggiungere il suo scopo. Terzo, c'è la nozione di economia: cioè l'idea di adottare il metodo che esaurisca d i meno la flotta e che preser vi al meglio le sue capacità combattive. È proprio su quest'ultimo punto che sopravvivono la maggiori differenze di opinione. Un blocco stretto ha sempre teso ad esaurire una flotta e lo farà sempre. Ma, d 'altro canto, si è affermato che questo esa urimento è compensato dall'elevata tempra e dalla superiorità morale che il mantenimento di un blocco stretto p roduce in una buona flotta , mentre la relativa facilità di un controllo distante e sicuro tende a deteriorare il morale. Prima di esaminare questi opposti punti d i vista è necessario un avvertimento. Si presume normalmente che l'alternativa al blocco stretto sia la sorveglianza del nemico da uno dei n ostri stessi porti, ma questo non è essenziale. Ciò che si richiede è una posizione interna e se possibile segreta, che possa rendere certo il contatto. Con i moderni sviluppi dei mezzi di comun icazioni a distanza, una tale posizione si trova di solito meglio in mare che in porto. È possibile in effetti ottenere una posizione di sorveglianza , libera dalla tensione di una navigazione pericolosa e dall'incessante obbligo di attaccare, senza sacrifi care l'addestramento in mare . Tenendo presente queste considerazioni molto pratiche, possiamo procedere alla p rova dei meriti d elle due forme secondo principi astratti. È stato sempre giudicato ovvio che un blocco stretto fosse una delle più deboli e meno desidera bili forme di guerra. Quando diciamo "più debole" non intendiamo però "meno efficace", bensì che era sfibrante e che tendeva a impegnare una forza maggiore di quella contro cui stava agendo. Questo non perché non si potesse contare su una flotta bloccante - temprata e indurita dalla sorveglianza e col grande vantaggio della posizione tattica - per ingaggiare con successo una flotta inesperta, di forza uguale, in uscita dal porto; ma perché, al fine di mantenere la su a efficienza operativa, richiedeva ampie riserve per l'avvicendamento delle unità. Così severo, per uo mini e navi, era il logoramento che anche i p~ù strenui sostenitori ciel sistema considera vano che almeno un q uinto della flotta dovesse sempre essere in riparazione e in tutti i casi furon o sempre impiegati d ue ammiragli per rilevarsi fra di loro. Nel 1794 un a del le massime autorità della Marina conside rava che , pe r mantenere u n e ffi cace blocco stretto - 167 -


di Brest, fossero necessari due completi Stati Maggiori e che non meno di un quarto della squadra dovesse essere sempre in porto.<4J Queste debolezze connesse al blocco stretto, influivano ovviamente sull 'apprezzamento del valore di q uest'ultimo. Il peso delle obiezioni tendeva naturalmente a diminu ire con l'a umentare delle qualità marinaresche, di quelle del materiale o dell'organizzazione, ma fu sempre un fattore da considerare. È anche vero che sembra aver avuto in alcuni uomini un peso maggiore che per altri, ma, se cerchiamo di seguire lo sviluppo ciel pensiero su quesco argomento, si dimostrerà altreltanto vero che queste obiezioni erano ben lungi daJJ.'essere l'unica causa determinante. Fu durante la guerra dei Sette Anni, sotto l'amministrazione d i Anson , che il blocco stretto continuo fu per la prima volta usato sistematicamente, ma fu un'idea di Hawke. Nelle prime tre campagne era stato in voga il vecchio sistema di sorvegliare Brest da un porto occidentale britannico, ma aveva per due volte mancato d i prevenire una concentrazione francese sul vitale teatro canadese. Nella primavera del 1759 Hawke era in comando della flotta della Manica con le usuali direttive per la sorveglianza, ma, essendogli stato ordinato cli incrociare davanti a Brest e osservare l 'interno ciel porto, egli rese nota la s ua intenzione di rimanere al largo cli quel porto invece di ritornare a Torbay, a meno che non avesse ricevuto ordi ni in contrario. Il motivo era che aveva visco in porto una squadra che egli riteneva intendesse recarsi nelle [ndie Occidentali e giudicava fosse meglio prevenirne la partenza piu ttosto che lasciarla uscire in mare e cercare cli raggiu nge rla. In altre parole, egli ritenne che nessuno dei normali porti occidentali d'osservazione fosse in posizione interna rispetto alla usuale rotta francese per le Indie Occidentali. Poiché circolavano voci di invasione, era meglio, ovviamente, avere a che fare con le squadre nem iche nelle acqu~ di casa ed evitare cl i disperdere la flotta alla loro ricerca. Pertanto, nonostante condizioni meteorologiche straordinariamente cattive, fu permesso ad Hawke di

(4) Lettera del C.V. Philip Patton a Sir Charles Middleton (poi Lord Barham, NdT), 2 giugno 1794. Barham Papers, fl -393. Patton aveva forse la maggior esperienza belli.ca di qua lsiasi uffic iale allora vivente. Si riteneva che possedesse una speciale conoscenza dei problemi del personale e come Ammiragl io d i Squadra divenne Second Sea Lord sotto 13arham nel J 804.

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agire come p roponeva. Con Boscawen come rimpiazzo, la nuova forma di b locco fu mantenuta da allora in poi co n comple Lo s uccesso. Ma si deve notare che questo successo fu dovuto più al fatto che i frances i non fecero nessun ulteriore sforzo per attraversare l'Adanrico che non al fatto che il b locco sia s Lato mantenuto con sufficiente rigore per impedir loro di farlo. In alcune condizioni meteorologiche la nostra Dotta fu costretta a levare il blocco e correre a Torbay o Plymouth. Tali Lemporanei ritorni alla forma del blocco aperto davano quasi sempre ai francesi l'opportunità d i uscire e dirigere verso SLLd con un vantaggio di due o tre giorni. Tuttavia, co ntro ogni tentativo francese d i dirigere per est o per nord allo scopo di disputare il dominio de lla Manica o di altre acque cli casa nostra , il sistema fu interameme efficiente e non fu influenzato dagli intervalli nei quali fu adottata la forma aperta . Possono essere state queste considerazio ni che, durante la guerra cli Indipendenza Americana, indussero un ufficia le di qualità superioii come Howe ad essere fortememe in favore di un ritorno al vecchio sistema. Il teatro v itale era di nuovo oltre Atlantico e non vi era alcuna seria preparazione per un'invasione dell a Gran Bretagna. Bisogna anche ricordare, nel giudicare Howe in confronto ad Hawke, che nella guerra dei Sette Anni avevamo una tale preponderanza in mare da consentirci d i avere ampie riserve per mantenere u n blocco serrato, mentre nella guerra citata eravamo numericamen te inferiori alla coalizione ostile. Poiché era impossibile impedire ai frances i d i raggiungere le Indie Occidentali e i l Nord America, se erano decisi a farlo, la nostra poli tica fu di ::;eguirli con flotte di uguale consistenza e di ridurre le forze in patria al limite più basso richiesto da quella politica, coerentemente ad un ragionevole grado cli sicurezza. La forza richiesta poteva ben essere inferiore a q uella nemica poiché era certo che tutti i tentativi nell a Mani ca sarebbero stati fatti con una forza impacciata e rabberciata, composta da unità frances i e spagnole. Secondo l'opinione di Howe, q Ltesta particolare situazione non poteva essere risolta tentando di chiudere Brest e nulla è più ingannevole che forzare una tale opinio ne o ltre le circostanze cui intendeva far fronte. Egli riten eva che non gli fosse possibile ch iudere quel porto. Il n emi co, sosteneva, poteva sempre essere pronto a sfuggire dopo una tempesta di vento che avrebbe allontanato e disperso la squadra bloccante, danneggiato seriamente le navi e rinfrancato il nemico stesso. "Un nemico", d isse, "non può essere trattenuto dal prendere il - 169 -


mare a causa di una posizione assunta al largo del suo porto da una squadraappenàsuperioreallasua". L'esperienza del 1805 sembra contraddirlo. Allora, una squadra appena superiore ebbe successo nell'impedire l'uscita cli Ganteaume, ma, sebbene la squadra e ffettivamenle impiegata fosse appena superiore, essa aveva ampie riserve cli navi per mantenere la sua efficienza n ume1ica. lnolcre, fu solo per poco tempo che dovette fronteggiare un vero te ntativo di evasione; dogo il 20 maggio a GanLeaume fu proibito di uscire in mare. Vi furono certamente diverse occasioni, d urante il famoso blocco, nelle quali avrebbe potuto evadere verso sud se Napoleone io avesse desiderato. Questo caso, pertanto, non può essere scelto per condannare il giudizio d i Howe. La sua funzione particolare nel piano di guerra era, con una forza ridotta alla difensiva, q ue !Ja d i impedire al nemico d i ottenere il dominio delle nostre acque d i casa. Non era certamente suo compilo intraprendere operazioni per le quali la sua forza non era adeguata. 11 suo primo compito era di Lenerla pronta per il suo scopo principale. A questo fine egli decise per un blocco aperto basato su una riserva generale a Spithead o a S. Elena, ove poteva economizzai-e le sue navi e addestrare le reclute mentre, mentre allo stesso tempo proteggeva il nosuo commercio e le nostre comunicazioni e molestava quelle del nemico. Kempenfelt, all'epoca il più appassionato sostenitore dell'azione, approvò interamente questa politica, almeno per i mesi invernali, e nel suo caso non si troverà nessuno che possa suggerire che ciò era dettato da mancanza di spirito aggTess.ivo o da amore per il quieto vivere. Per quanto riguardava l'estate c'erano, in verità, poche divergenze d'opinione sul fatto che la flotta dovesse o meno essere tenuta in mare , poiché l'addestramento in mare durante l'estate compensava abbondantemente l'usura del materiale che poteva essere ca usata da intermittenti periodi di cattivo tempo. Anche per l'inverno le due politiche si avvicinarono. Così, alla fine del. 1759, durante il mese critico da metà ottobre a metà novembre, Hawkè non riuscì a tene re la sua posizione per circa metà del tempo e quando prese contatto con Conflans lo fece partendo da Torbay, non eia Ognissanti. Tuttavia si può d ubitare che senza la confidenza generata dall a veglia tempestosa, la battaglia di Qu iberon sarebbe stata combattuta come lo fu .C5)

(5) Vds. L'itiflu.enza del potere marittimo sulla storia, di Alfrecl T. Ma han , Cap. VIII, U S.M.M. (NdR).

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Hctwc1rd Hawke (]7]5- 7 78 l).


Il

Geor!,!es Bryclges Rodney ( 1718-1792).


Fresco di questa esperienza, Kempenfelt sostenne apertamente l'opportu nità di cenere la flotta in porto durarne l'inverno. "Supponete", scrisse da Torbay nel novembre 1779, "che il nemico esca in nzare con la sua flotta (cioè da Brest), cosa che desideria nio moltissimo; agiamo intelligentemente e teniamo la nostra i11 porto. Lasciateli alla mercé delle lunghe notti e delle dure tempeste. Questefaranno di piiì in vostro favore di quanto possa fare la vostra }lotta ". Ancm meglio, egli pensò cli dedicare l'inverno a preparare la flotta per la campagna successiva così da avere " il uantaggio cli essere 'il primo in campo". "Teniamo'", concludeva, " una robusta squadra verso ovestpronta ad osservare le mosse del nemico. Non voglio dire di tenerla in niare. per indebolirsi lottando contro il vento, ma a Torbay, pronta ad agire secondo quanto ·/'intetligence' potrà suggerire".C6) Pertanto, si può vedere come non si debba accettare troppo fretto losamente la concl usione che il blocco stretto sia sempre stato H mezzo migliore per ottenere il miglior renclime nco della flocta per la funzione che doveva svolgere. T motivi che indussero Howe e Kempenfelt a preferi re il blocco aperto erano principalmente basati proprio su questa considerazione. Avendo in mente tmre le condizioni ambientali, secondo la loro altamente quali ficata opinione , la via più sicura per l'effiòenza bellica delle forze disponibili era un'accurata preparazione invernale ed esercitazioni tattiche estive. D"altra parte durante la g Lterra di Ind ipendenza Americana il sistema del blocco aperto non ebbe molt0 successo. Ma prima d i condannarlo senz'altro, dobbiamo ricordare che le cause del fallimento non erano tutte inerenti al sistema. Anzitutto la necessità cli soccorrere periodicamente Gibilterra impedì alla squadra occidentale cli dedicarsi interamente a questa vigilanza; in secondo luogo, a causa cli una amministrazione difettosa , non sì dedicò sufficiente energia a preparare la flotta in inverno affinché fos5e la prima in campo in primavera. Infine, dobbiamo riconoscere che la mancanza cli successo non fu dovuta tanto al fatto cli aver permesso ai francesi di attraversare l'Atlantico, quanto al fatto ch e, quando il contatto fu ottenuto all a lo1"0 destinazione finale, mancammo di agi.re come si doveva . Ovviamente non si può dire niente a favo re della politica dello "scovare il nemico " e contro quella cli prevenirne l'uscita in mare, a meno che non si

(6) Bctrbc1111 Papers, l-302.

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sia decisi, quando lo si trovi. a distruggerlo o ad essere distrutti. È qui che Rod ney e i suoi amic i mancarono. li sistema fallì tanto per,un'esecuzione difettosa quanto per una pianificazione difettosa. Nella guerra s uccessiva Howe era ancora in auge, in comqnclo de lla fl otta della Manica; e conservò il suo sistema. Lasciando aperto Bresr costrinse i francesi ad uscire in mare con operazioni contro il lo ro tra ffico e fu ripagato dalla battaglia d el Primo di Giugno. Nessun tentarivo fu effettuato per mantenere un blocco stretto durame l'inverno successivo. Ai fran cesi fu consentito di far ve la e la loro disastrosa crociera del gennaio 1795 giustificò in pieno le previsioni di Kempenfclt. Il danno subito fu così g rande che essi abbandonarono ogni idea cli usare la fl otta nel s uo insieme. Il sistema di IIowe fu continuato. ma non più con risultati interame nte favorevo li . Nel 1796 i francesi fu rono in grado di raggiungere l'Irlanda e per questo Ilowe ricevette un severo rimprovero. Il suo metodo è stato sprezzantemente confrontato a quello che St.Vincent adottò quattro anni più tardi , sen za alcuna considerazione pe r la situazione che i due ammiragl i dovevano affrontare , di nuovo nell a presunzion e che la chius ura di Brest avrebbe risolto il primo problema alcrenanto bene cli come risolse il secondo. Nel 1796 non eravamo sulla difensiva come eravamo invece nel 1800. La fl otta francese e ra stata pra cicamcnte distrutta; non c'era minaccia d 'invasione. Con la possibilità di costringere la Francia alla pace, la nostra politica era diretta all'azio ne offensiva contro il commercio e il territorio francesi al fine di sostenere, con una pressione generale , le nostre offerte di accomodamento. Tale politica può essere stata errata, ma non è q uesto ìl problema; il problema è se la strategia era adeguata a quella politica o meno. Si deve anche rico rdare che era vamo in guerra con l'Olanda e che ci aspellavamo d i entrare in guerra con la Spagna, una eventualità che ci costringeva a tenere d'occhio la d ifesa d e l Portogallo. Tn queste circostanze null a era più lon ùino dal nostro desiderio che il tenere in porto ciò che era rimasto della flotta di Brest. La nostra speranza e ra di costringerla, con la nostra azione offensiva co ntro g li inte ressi marittimi francesi, ad esporsi per difendere quest'ultimi. Impegnare la flotta nel blocco di Brest voleva dire paralizzarla nella sua azione o ffensiva e fare il g ioco de l nemico. La reale dislocazione della Home Fleet fu pianificata in modo da preservare la sua attività offensiva e allo stesso tempo assicurarne la s uperiorità in qualsiasi parte delle nostre acque il nemico potesse tentare un contrattacco. La flotta fu suddivisa in tre squadre operative: una ne l - 172 -


Mare del Nord, u na di fronte a Bre~t e una in crociera verso occidente; più una forte riserva a Po rtsmou th . È la dislocazione della riserva che è stata ridicolizzata con leggerezza nell'affrettata presunzione che fosse semplicemen te la riserva della squadra dislocata d i fronte a Brest mentre, in veri tà, essa era una riserva generale, destinata ad intervenire nel Mare del Nord o in qualsiasi altro luogo fosse stato necessario. Allo stesso tempo essa serviva come squadra d i addestramento e deposito per aumentare la nostra potenza sul mare in vista del probabile congiung imento della squadra spagnola alle fo rze navali dì Napoleon e. Esaurire la nostra flotta semplicemente per prevenire scorrerie da Brest, scorrerie che potevano benissimo partire dal Texel o da Dunkirk, era proprio ciò che il ne mico avrebbe potuta desiderare . La dislocazione dell e unità fu in effetti un buon esempio cli con centrazione: cioè , dislocazione atto rno a un centro srraregico per Lasciare flessibilità all'offensiva senza mettere a risch io le necessità difens ive . Eppure sono proprio i più ardenti sostenitori della concentrazio ne e dell'offensiva che hanno più severamente condannato le disposizioni di Howe in questo periodo . Alla fine la dislocazione d ella flotta mancò di prevenire lo sbarco di parte delle forze destinate all'Irlanda, ma rese l'impresa così difficile che dovette essere diffe rita fino a metà inverno e allora il cattivo tempo, ch e aveva consen tito l'evasione, rallentò la spedizione e le negò ogni possibilità di importanti successi. Di fatto fu un altro esempio del funzionamento d ella regola di Kempen felt sul cattivo tempo invernale . Per quanto riguarda Ja difensiva navale, quella dislocazione rappresentava tutto ciò che era necessario. La spedizione per l'frlancla fu vista lasciare Brest dalla nostra sq uadra di incrociatori sottocosta; fu segnalata a Colpoys, ch e aveva la squ adra eia battaglia al largo, e fu solo una densa nebbia che le consentì di sfuggire. Si trattò, in effetti, d i nulla più che l'evasione di una piccola forza corsara: una eventualità contro la quale nessuna difesa navale può da1·e garanzie certe, specialmente d 'inverno . Fu in condiz ioni comple tam enre diverse che, alla fine de l 1800, fu resu scitato il s istema di Hawke. L'assu nzione da p an e di St. Vincent del coma ndo d ella flotta co inc ise con il defi nitivo co ntrollo di Napoleon e su.i destini della Fra ncia; era cominciato il nostro g rande duello con lui . Le misure ch e egli stava prende ndo resero evidente che stavamo ancora una volta affrontando la vecchia lotta per la vita o p e r la morte, per la supremazia navale; eravamo apertamenre - 173 -


minacciati cli invasione e avevamo una nerra superiorità in mare. In breve, dobbiamo riconoscere iJ fauo che i metodi della guerra dei Sette Anni furono resuscitati quando si presentarono di nuovo i problemi ed i fouori cli quella gue rra. Quando quei problemi crebbero in intensità, come avvenne dopo la pace cli Amiens, e quando la minaccia di invasione divenne realmente form idabile, allora aumentò anche la :;everità del blocco stretto. Sono Cornwa llis e Garclner esso fu mantenuto in modo tale da negare ai francesi. per quanco fosse possibile alle azioni umane, ogni possibilità di uscire in mare senza combattere. Nonostante l'importanza cl i affrontare le squadre nemiche a piccoli gruppi, non si corse alcun rischio per indurre Ganteaumc ad un'azione decisiva. La nostra prima necessità era l'assoluto dominio locale. La crisi dell'invasione era così acuta da ric hi edere che la flotta di Uresr fos!-ie costretta in porco e ogni volta che Ganrcaume mostrava un piede fuori dalla porta gli ammiragli britannici accorrevano e lo respingevano indietro. Solo una volta, durante questa cri!-ii, il rigore di questo atteggiamento fu mitigato e questo allo scopo di occuparsi di ciò che al momento era robictrivo principale; quello cli incontrare Villeneuve al suo ritorno dalle lncl ie Oceìdentali. Ma anche allora il rilassamento del blocco fu così ben congegnato che non fu dato a Ganteaume il tempo di avvantaggiarsene. L'ana logia fra le condizioni del blocco inaugurato da St.Vincent e quelle della guerra dei Sette Anni di, encano ancor più significative quando notiamo che, mentre nelle acque di casa Cornwallis e Gardner portavano il blocco stretto ai Limiti dell'estremo rigore, in Mediterraneo Nelson non lo usava affatto. Eppure anc he per lui la preoccupazione principale era quella cli prevenire l'invasione. La sua prima funzione, così come lui e il suo governo la vedevano, era quella d i prevenire un 'incursione dalla Francia meridionale su l territorio napoletano o levantino. Perché allora 'elson non applicò il blocco stretto? S.i presume normalmenre che sia stato a causa ciel suo irresistibil e desiderio di indurre a battaglia la squadra d i Tolone. Frasi occasionali nelle sue lettere danno verosimiglianza a questa interpretazione. ma la disposizione delle s ue forze mostra chiarame nte che il desiderio dl dare battaglia era scientificamente tenuto subordinato a l compito difensivo che gli era stato assegnato. Il blocco stretto era il mezzo più efficace per assicurarsi questo fine, ma nel suo caso era assente una delle condi:r, ioni che abbiamo visto accompagnare sempre il s uccesso di un blocco stretto. Egli non aveva una tale preponderanza - 17'1 -


cl i forze che gli consentisse di nutrire quel blocco fino al punto della perfetta continuità. In quelle circostanze la forma del blocco stretto era troppo debole o estenuante pe r lui perché la potesse usare con 1e forze a sua disposizione. Se qualcuno non accettasse questo esempio particolare come dimostrazione del punto di vista di Nelson, abbiamo una sua conferma sc ri tta del 1801 assolutamente chiara. È una testi monianza particolarrneme forte perché, all'epoca, egli era responsabile della difesa contro l'invasione dell'Inghilterra. Con d iverse squ~tcl re di incrociatori egli doveva impedire che le forze nemiche uscissero da un certo numero d i porti che andavano da Flessinga a Dieppe e d irigeva le operazio ni dai Downs. All'avvicinarsi dell 'inverno fu co]pito clall'Lnopporrunità di tentare di continuare il blocco stretto e scrisse all'Ammiragliato quanto segue: "So no dell'opinione, cbe sottometto al piiì alto giudizio delle Loro Signorie. che occorra aver cura di mantenere le nostre squadre compatte e in buon ordine ...sotto Dungeness come loro base principa!e ... Col tempo buono le nostre squadre dovrebbero uscire e.farsi vedere, ma non rischiare mai di essere danneggiate o trascinate nel Mare del Nord; in questo ,nodo saremo sempre sicuri di avere una forza efficiente, pronta ad agire secondo /'occasione richiesta".(7)

Ovviamente, il caso non rientta interamente nell'argomento perché riguarda il problema d i una resistenza di retta all'invasione e non quello d i assicurarsi il dominìo del mare. Il suo valore risiede nel fatto che ci forn isce il pun to cli vista di Nelson su un problema più ampio, quello d i bilanciare i rischi: cioè, i l rischio di rilassare il bJocco stretto contro il rischio di distruggere l'efficienza delle navi, mantenendolo b·oppo rigorosamente . Con Ne.lson che aveva queste idee , non ci si può sorprendere di scoprire che ancora nel 1804 il pens iero navale non fosse completam ente sedimentato sui vantaggi reciproci cie l blocco strelto e di quello aperto, perfino ne l caso d i m inaccia d'invasione. Esattamente un anno prima che fosse combattuta la battaglia cli Trafalgar, Cornwallis premeva sull'Ammi ragliato per avere maggiori forze che gli consen tissero di mantenere efficiente il suo blocco. Lord Melville, che a quel l'epoca aveva Barham al suo fianco, rispose raccomandando la "politica di rilassare la severità del blocco, precedentemente instaurata". Afferrnò

(7) Nel.son Despatches, Nicolas, 484, a Evan Nc pean, 4 sett. 1801.

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che i mezzi disponibili erano insufficienti per "sostenere il necessario volume di forze navali, se le vostre navi sollo destinate ad essere/alfe a pezz i da un eterno COl({litto con gli elementi durame i tempestosi mesi in vernali ". CH) Melville desiderava arclcmementc un'azione decisiva per porre fine all'insopportabile usura. ·'Permelletemi di ricordarur. aggiunse, "cbe le occasioni nelle quali sia mo stati in grado di portare il nostro nemico alfa ba/taglia e le nostrejlotte alla villoria si sono geHeralmente verijì'cateq11c111do eravamo ad una certa distanza dalle posizioni di blocco". Alla fine, come sappiamo. Cornwallis l'ebbe vinta e ìl verdetto de lla storia è stato d i approvazione della decisio ne solo per il suo valore morale. Conflitti simili sorgeranno sempre. '· La g11erra '', come disse Wolfe, "è 1111asceltafra difficoltà" e la scelta deve sempre oscillare da una parte all 'a ltra a seconda d i come le circosta nze tendono a sviluppare i risp~ttivi vantaggi di ciascuna forma di blocco. Non potremo mai dire che il blocco serrato è meglio del blocco aperto, o l'inverso; sarà sempre una questione cli corretto giudizio. Non ci sono, quindi, principi che possano essere dedotti dalla vecchia pratica per aiutare il nostro giudizio? Si possono tracciare almeno al cune lin ce generali. La doma nda principale sarà: è vantaggioso, te nuto conto delle cond izioni straLegiche, blocca re il nemico in porto e farlo uscire in mare per l'azione decisiva? Presumibilmente la nostra po litica sa rà sempre quella cli cercare una decisione il più presto possibile. Tuttavia si può dover passa r sopra quel desiderio per la necessità o per il vamaggio panicolare cli bloccare strettamenLe una o più sq uadre nemiche. Questa situazione può verifi carsi in du e casi: primo , può essere necessa rio assicurarsi il do minio locale e te mporaneo di un certo teatro d'opera zioni. come avviene quando quell'arca è minacciata d'invasione o quando desideriamo far attraversare la stessa eia una spedizione m ili tare, o per esigenze parricolari riguardanti l'attacco o la difesa ciel commercio. Secondo. anche laddove ricerchiamo una grande azione decisiva possiamo bloccare strettamente una squadra nemica al fi ne cli indurl a àcl una decis io ne nel pumo a no i più vantaggioso. In altre paro le, possiamo bloccare una o più squad re del nemico in modo da indurlo a tentare di rompere il blocco con una o più de lle sue altre squadre. In tal modo possiamo indurlo o a rischia re di essere attaccato a piccoli gruppi o a concentrarsi dove desideriamo si concentri .

(8) Per l'opinione definitiva di Barham nel 1805 cfr. Barho111 Papers, lii. 90-3 .

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Per una qualsiasi di queste ragioni possiamo dccìderc che ìl modo migliore per raggiungere il nostro obiettivo sia quello di usare il blocco srretro, ma la questione non si esaurisce qui. Dobbiamo anche considerare se il blocco stretto rientri nei limiti della forza disponibile e se sia il metodo migliore per svilu ppare al massimo le potenzialità di quella forza. Poiché il blocco su·erro è la forma di blocco più sfibrante, esso richiederà una forza più consistente di quella avversaria. Non possiamo bloccare strettamen te per un certo periodo cli tempo senza una forza relativamente superiore; ma se attuando il blocco aperto di una sq uadra nemica siamo sicuri del contatto quando le consentiamo di uscire in mare, sappiamo che, anche con una forza leggermente inferiore, possiamo ingaggiarla in modo da impedirle di assumere un controllo locale sufficienLe per distruggere la nostra difesa mobile o ad interferire seriamente con il nostro commercio. Infine c'è la questione ciel rischio. Ai vecch i tempi, prima della propu lsione a vapore e del telegrafo senza fili e prima che le un ità sottili avessero acquisito capacità combanive, c'era sempre il rischio cli non riuscire a prendere contatto in tempo per impedire danni. Questa considerazione era particolarmente predominante quando il nemico aveva una squadra navale nel teatro d"operazioni o vicino allo stesso. Pe rtanto, quando c'e ra minaccia d' invasi.one, la nostra politica era e.li bloccare strettamente Brest quasi a qualsiasi costo. C'era sempre una vaga possibilità che con !"evasione o grazie ad un vantaggio di vento, una squadra ab bastanza vic ina alla linea <.l' invasio ne potesse prendere un sufficiente domfoio temporaneo dell'area vitale prima che potesse essere costretta a battaglia. Era una possibilità che non si realizzò mai ne i canali e.l'Irlanda e d'Inghilterra e poiché la mobilità delle flone ed i mezzi di comunicazione a distanza sono così grandemente aumentati sia in autonomia sia in ce rtezza, e poiché il potere cli resistenza delle unità sottili è diventato così alto, il rischio è probabilmente minore di quanto non lo sia mai stato e il campo d'applicazione e.lei blocco aperto è, in conscguen1.a, meno ristretto. Tuttavia, non c'è alcuna necessità di accettare questi principi come incontestabili. An che se prend iamo il grande blocco del 1803-05, che da a llora ha sa ldamente dominato il pensiero navale su ll 'argomento, si può plausibilmente sostenere che la situazione avrebbe potuto essere riso lta più rapidamente ed efficacemente lasciando che Ganteaume uscisse da Brest, almeno tanto quanto Togo fu costretto a lasciare che i russi uscissero da Port Arrhur, sebbene le sue ragio- 177 -


nì per tenerveli dentro fossero perfino più forLi delle nostre nel 1805. In ogni caso l'evidenza dei fatti non ammette dubbi s ull 'intrinseca debolezza del blocco sereno come forma di guerra. Così come, con i moderni sviluppi tecnologici, sono aumentate le possibilità del blocco aperto, non sono certamente dim inuite le difficoltà e i pericoli ciel blocco sLretto. È inoltre probabile che certi vantaggi che all'epoca della vela contribuivano molto a compensare la sua debolezza, abbiano perso molta del la loro validità. Una flotta di navi a vela rinchiusa in porto non solo perdeva rapidamente cli mordente, ma. essendole impedito l'addestramento in mare, non poteva essere tenuta in condizioni cl i efficienza, mentre la flotta bloccante era rapidamente portata al più alto grado <li prepara1.:ione fisica e morale dallo sforzo nella vigilanza e dal conrinuo pericolo. Fino a quando lo sforzo non oltrepassava i limiti de lle possibilità umane, era tanto di guadagnaLO. Ai vecchi tempi, pur con rimpiazzi molto contenuti, il limite non fu mai ragg iunto ccl i sacrifici ch e furono fatti in que lle estenuanti veglie furono venti volte ripagati dall'assoluta fiducia in se stessi nel giorno della battaglia. Possiamo aspettarci ora lo stesso compenso? Il b ilanciamento fra la forza e la debolezza rimarrà quale usava esse re? Di fronte alle condizioni così grandemente mutace e alla limitata esperienza, è ai principi generali che dobb iamo rivolgerci per la risposta. Qual è. in effeui , la debolezza intrinseca del blocco stretto? La teoria stra tegica risponderà subito che è un'orerazione che comporta" 1111 arresto de/1 'qjfensiua ", t9i una situazione cl 1e è normalmente considerala come espressione di ogni tipo di svantaggi. Il blocco stretto è essenzialmente un'operazione offensiva, sebbene il suo obiettivo s ia normalmente negativo; cioè è un movimenLo in avanti per impedire che il nemico porti a compimento qualche operazione offensiva o d'iniziativa o come contrattacco. Fi no a questo punto si può perdonare la tendenza comu ne di confondere lo "scotiare la/lolla nemica" con il 'fare della costa nemica la propria jì"ontiera··. Ma le due operazioni sono mollo diverse in quanto hanno ob iertivi differe nti. Nello "scouare laflotta nemica·· il nostro obiettivo sono le forze armate del nemico. Nel "fare della costa nemica la propria frontiera", l'obienivo è inseparabile dall 'ulteriore scopo della gue rra navale. In quest' ultimo

(9) In questo passaggio l'autore non è molto chiaro, ma più avanti spiega cosa inwnde per "'arresto dell'o.[(c•11siva" (NdT).

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caso l'obiettivo sono le comunicazion i comuni. Stabilendo un blocco operiamo offensivamente contro quelle comunicazioni; le occupiamo e poi non possiamo fare nient'altro. La nostra offensiva viene arrestata, non possiamo continuarla fino alla distruzio ne della Gotta nemica. Dobbiamo attendere in un atteggiamento difensivo, mantenendo le linee di comunicazione che abbiamo conquistato, fino a quando il ne1nico decide cl i attaccare per demolire il nostro "possesso" di quell'acquisto. Durante quel periodo di sosta il vantaggio della sorpresa - il vantaggio più importante in guerra - passa al nemico, secondo una regola ben riconosciuta. In effetti, siamo cosrretli sulla dife nsiva senza nessuno dei vantaggi materiali della difensiva . Resta il vantaggio morale di aver preso l'iniziativa , ma questo è tutlo. li vant.:'lggio che abbiamo così g uadagnato avrà ovviamente lo stesso tipo di effetto deprimente sulla flotta bloccata come l 'aveva un tempo, ma a mala a pena in così alto grado. Il degrado di una flotta a vapore in porto non può essere così rapido o debilitante come lo era quando i nove decimi dell'abilità marinaresca risiedevano nel manovrare le ve le iJ1 modo brillante. È anche vero, però , che per la flona bloccante gli effetti del cattivo tempo, che una volta erano la causa principale cl i logoramento, non !;Ono più così severi. Ma, d'altro carno, lo sforzo fisico per gli ufficiali e per gli equ ipaggi e le 'difficoltà cli rifornimento saranno molto maggiori, almeno fino a quando il carbone i~imarrà il combustibile p rincipale. Il vento non limita più i movimenti del nemico. Per prevenire sorprese il destino di chi blocca sarà una vigilanza stretta e incessante, ben oltre quella conosciuta dai nostri predecessori. Inolt1·e, un tempo la sorpresa significava, al peggio, l'evasione del nemico, ora può significare la nostra stessa distruzione con mine o siluri; non è necessario approfondire questo pu nto. È troppo ovvio che, nelle condizioni auuali, un blocco stretto del vecchio tipo presenta i difetti di l rn a "o.ffensiua arrestata " in così alro grado da proibirne praticamente l'uso. Che cosa si può fare q uind i? Dobbiamo, in tutte le situazioni, accontentarci del sisten1a di Howe , che l'esperienza p iù matura condanna per i casi cl i esu·ema necessità? Non si può dare al vecchio blocco stretto u na fo rma più moderna? Certamente sì. Ai vecchi tempi il limite sottocosta della flotta bloccante si situava appena oltre la gittata delle batterie costiere e ad una squad1·a era assegnata in continuazione questa posizione. In questi tempi d i difesa mobile quel limite, per analog ia, è la distanza coperta di notte dai cacciatorpediniere e d i giorno dai - 179 -


sommergibi li , ovvero la metà della distanza che possono rispettivamenle percorrere fra l'ini zio della notte e l'alba e viceversa, a meno che e ntro quei li miti non possa essere istituita una base a prova di attacchi di siluranti. In linea di principio, un blocco di questa natura corrisponderebbe a un blocco stretto del vecchio tipo; ma non nella prat ica. Come è sta to provato dal blocco giapponese di Port Arrhur, ciò che avverrà sarà materialmente diverso. La distanza alla quale si deve tenere la squadra da battaglia sembrerà, a prima vista, negare la certezza cli un contatto immediato: cioè l'essenza del blocco stretto. Ma in verità altri nuovi fattori , già notati, ridurranno in pratica quella distanza. Più rap idi e più certi mezzi di comunicazione fra l'ammiraglio ed i,suoi esploratori. l'assoluta libertà di movimento e la possibilità di ritardare l'effeltiva uscila del nemico con il minamento, possono in gran misura riportare le cose alle loro vecchie relazioni reciproche. A Port Arthur l'hanno certamente fatto. Allora, se, come in qu e l caso, il nostro obieuivo principale è que llo di te nere il nemico in porto, non sembra esserci alcu na ragione per non dislocare le forze secondo il principio ciel blocco stretto; le distanze saranno maggiori, ma questo è tutto. on si deve inoltre dimenticare che posizionarsi davanti un porto nemico al vecchio modo non è, pe r una sq uadra navale, l'unico mezzo per cffettuare un blocco stretto. Essa può anche ouencre il suo scopo, almeno temporaneamente, appoggiando i posamine o le block ships-"sinlwrs", come venivano chiamate. OO) È vero che quest'ultimo espediente ebbe poco successo negli ultimi tentativi, ma ancora nella guerra russo-giapponese le sue possibilità erano tutt'allro che esaurite. Dobbi amo penanto co nclud ere che, laddove le condizioni strategiche richiedano chiaramente il blocco stretto, il nostro piano d'operazi oni sarà modificato in quella d irezione con i mezzi ancora a nostra disposizione. Tuttavia, se il nostro obiettivo non è così ben definito, se, nonostante il nostro desiderio di nega re il mare al nemico. siamo pronti

(10) Erano navi, in generale mercantili, che si cercava cli affondare all'imboccatura del port<> nemico per os1ruirne ma1erialmen1c l'uscila. Furono usate, con risulltlti nulli , anche durante la guerra ru s!lo-giapponese cul si allude d i seguilo. Sembra che l'URSS, durante le guerra fredda, avesse previsto questo lipo di operazione all'inizio delle ostilità (NdT).

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ad affrontare rischi per ottenere una decisione , allora non tutto è chiaro. Si osserverà che l'allentamen to che le nuove condizioni impongono al blocco stretto - allentamento che aumenta di an no in anno renderà ad avvicinare sempre di più, in pratica, il blocco stretto a quello ape rto. Pe rtanto si presen terà il problema se non sia più confacente ai fondame nta li elementi di forza adottare senz'altro, e in ogni caso il blocco aperto. Dovremmo così sostituire ad una offensiva arrestata una vera dislocazione difensiva e, teoricamente, questo è in se stesso u n gran vantaggio. I benefici pratici, qualsiasi siano i co rrispettivi svantaggi , sono egualmente chiari, né sono meno grandi ora di quanto non apparissero a Howe e Kempenfelt. Si eviterà un cons umo di macchinari , cli carbone e di u omini che, alme no per le necessarie forze leggere cli scorta, sarebbe maggiore di quel lo che si doveva affro ntare ai vecch i tempi. Si avrà perl o meno l'opportunità di occupare una posizione protetta da sorprese e d i mantenere contLm,amente la flotta al più elevato livello d i efficienza. Infine, presumendo che le condizioni geografiche offrano una ragionevole possibilità di co ntatto, sarà più probabile una decisione rapida, cosa che la guerra moderna richiede sempre d i più. Con una Lale dislocazione, naturalmente, si può raramente essere certi del contatto . Il nemico , che l'ipotesi del blocco presume sia ansioso di evitare il contatto, avrà sempre una possibilità d 'evasione , ma sarà sempre così, anche con il più stretto dei blocchi ora possibile . Possiamo anche andare o ltre e pretendere che il blocco aperto o ffra le migliori possibilità di contatto; perché adottando i suoi principi avremo, secondo la teoria della difesa, gli ul teriori vantaggi d i poter megli o dissimulare la dislocazio ne delle nostre fo rze e , conseguentemente, d isporre agguati per JI nemico come quello che Nelson prepa'rò per Villeneuve ne l Golfo del Leone nel 1805. L'obiezione a questa condotta che sembra ave r maggior peso nell'opinione corrente, è d i carattere morale ed è inseparabile da qualsiasi deliberata scelta della d ifensiva. Se la flotta che sorveglia rimane in u na base fortificata in patria, si deve presumere s ubisca la usuale degradazione morale . Ma il metodo non implica l'ingloriosa sicurezza di un a Lale base. Una giusta posizione p uò essere trovata in u na località come que lla occupata dall 'Ammiraglio Togo mentre aspettava la fl otta ciel Baltico; in quel caso non vi fu alcuna visibile - 181 -


degradazione cU qualsiasi tipo . Né vi è qualche evidenza che questa ob iezione avesse qualche peso sostanziale per gli oppositori del punto di vista di Howe. La loro obiezione era di tipo puramerne fisico: il blocco aperto lasciava al nemico troppa libertà di razzia sulle rotte del nostro commercio. Il sistema di sorveglianza può essere sufficiente per tenere in porto una riluttante flotta eia battaglia o per spin gere all'azione una più avventurosa, ma non può controllare squadre corsare. Questa fu certameme l'obiezione cl i Barham. " Se", scrisse a Pitt nel 1794, "i francesi avessero qualche intenzione di manda re in mare la loro.flotta con questo vento da levante e Lord Howe continuasse a rimanere a Torbay, i nostri convogli de/Mediterraneo e dalla Giamaica sarebbero in una situazione molto critica. Entrambi dovrebbero ora avvicinarsi alla Manica e non vi possono entrare mentre si mantiene questo vento da est". Questo pericolo sarà sempre con noi , specialmente in acque ristrette come il Mare del Nord. In teatri più aperti la difficoltà non è così grande perché, con spazio sufficiente, il traffico può prendere, natural.mente o perché ordinatogli, una rotta protetta dalla d islocazione delle nostre forze cli sorveglianza. Così avvenne con Nelson nel caso d i Tolone; le sue posizioni normali sulla costa sarda coprivano efficacemente il flusso del nostro traffico verso il Levante e le Due Sicilie, che era tutto ciò che c'era a quel tempo. La verità è che, nel tentare di decidere fra il blocco stretto e quello aperto , ci troviamo di fronte a quelle particolari difficoltà che distinguono così nettamente la guerra navale da quel.la terrestre. Non possiamo scegliere basandoci solo su considerazioni puramente navali. Nella guerra navale, per quanto grande sia il nosu·o desiderio d i concentrare i nostri sforzi contro le forze principali del n ~mico, si imporrà semp re l'obiettivo ulteriore. Dobbiamo fin dall'inizio fare del nostro meglio per controllare le comu nicazioni marittime e, poiché queste linee d i comu nicazione sono cli norma comuni , non possiamo evitare d i occupare quelle del nemico senza , aHo stesso tempo, trascurare ed esporre le nostre. Così, ne l caso di Brest, un blocco strerro era sempre desiderabi le, specialmente durante la stagione dei convogli, perché le grandi rotte commerciali che passavano a distanza d'intervento da quel porto erano comuni a tutti, rncntre nella regione cli Tolone -

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le linee principali non erano comuni, eccetto che lungo le coste dell'Africa e dell'Italia Meridionale e queste ultime erano ampiamente protette dal blocco ape rto di Nelson. Quindi la conclusione generale è che. per quanto grandi siano le ragioni puramente navali e strategiche per adottare il blocco aperto come mezzo mig]jore per ottenere una decisione contro la flotta nemica, l'inevitabile .intrusione di un obiettivo ulteriore, sotto forma di protezione del traffico o della sicurezza di spedizioni milirnri, raramente ci lascerà completamente liberi dì usare il metodo ciel blocco aperto. Dobbiamo essere preparati, di fatto, a fronteggia re almeno qualche volta la necessità di usare una forma di blocco Larno vicina al vecchio blocco stretto quanto sarà permesso dalle attuali condizioni.

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CAPITOLO III METODI PER DISPUTARE IL DOMINIO DEL MARE

OPERAZIONI D1FENSTVE NAVALI "FLEET IN EETNG"

el discutere della teoria del dominio d e l mare si è attirata l'attenzione sull'errore di presumere che se siamo incapaci di otte nere il dominio del mare, di conseguenza lo perdiamo. È stato fatto presente cbe questa asserzione, Lroppo spesso implicita nelle discussioni strategiche, in e ffetti nega che in mare sia possibile qualcosa come la difensiva ed ignora il fatto che in guerra la condizione normale del dominio del mare è quell a di essere disputato . La ceoria e la storia concordano su questo punto; entrambe affermano che una Potenza troppo debole per ottenere il dornu_:uo con operazioni offensive può tuttavia avere s1,1 ccesso ne l mantenerlo in discussione, assumendo un atteggiamento generale difensivo.

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Che in mare un tale atteggiamento in se stesso non possa portare ad alcun risultato positivo, è fuori di dubbio; tuttavia può impedire al nem ico, anche pe r periodi prolungati, di ottenere risultati positivi e dare così tempo al l'altro belligerante di dominare la situazione ass icurandosi i suoi obieLtivi terrestri. Noi siamo stati raramente costretti, anche per b revi periodi, ad adottare un tale atteggiamento difensivo, ma i nostri nemici l'hanno fatto frequentemente, causandoci seri problemi e perdite . Nella guerra dei Sette An ni, per esempio , i francesi, evitando operazioni offensive che avrebbero probabilmente portato ad una decisione e limitandosi alla difensiva attiva , furono i11 grado di impedirci per c inque campagne di occupare il Canada, obiettivo della guerra. Se ave::;!;ero - 185 -


giocato tutto in una grande battaglia navale nel la prima campagna e se il risultato fosse stato a loro contrario, noi avremmo certamente raggiunto il nostro obiettivo in metà tempo. Naturalmente, alla fine non riuscirono a impedirci d i conquistare il Canada, ma durante tutto iJ Lempo nel quale la catastrofe fu rinviata la Francia ebbe abbondanti opportunità di guadagnare altrove territori che, così a lmeno essa cred eva, al tavolo della pace ci avrebbero costretti a rinunciare alla nostra conquista. Ancora, durante la nostra ultima grande guerra navale, Napoleone fu in grado, evitando battaglie decisive, di mantenere in forse il dominio del mare fino a quando, con alleanze ed altro , ebbe raccolto la forza che riteneva s ufficiente a giustificare un ritorno all'offensiva. Alla fine quella forza si dimostrò impari a l compito, tuttavia , quando fallì e il dominio del mare passò al suo nemico, egl i aveva avuto il tempo di consolidare talmente il suo potere che la perdita della s ua flotta sembrò avere scarsa .influ enza e fu capace di continuare la lotta per altri nove anni. Tali esempi - e ve ne sono molti - servono a dimostrare quale serio problema sia la difensiva nava le per una grande Potenza militare in possesso di altri mezzi d'offesa. Ci dicono quanto difficile sia contrastarla e, pertanto, quanto seria sia la necessità, anche per la Potenza navale più forte , cli s tudiarla con cura. E non solo per questa ragione, ma anche perché la Potenza navale più fone, se affronta una coalizione, può rrovare che è impossibi le esercitare una dra,s tica offensiva ovunqu e, senza ridurre temporaneamente le s ue forze in certe aree ad un punto relativamente così basso da non consentire altro che la difensiva. L'esempio più evidente di una tale situazione, situazione che dovremo cl i nuovo considerare q uanto prima , è fornito dagli avvenimenti della guerra d i Ind ipendenza Americana quando, come abbiamo ,,i~to, al fine dj assicurare un'adeguata concentrazione offensiva nelle Indie Occidentali fummo costretti a ridurre la Home Fleet a livel lo difensivo. Quindi, che cosa incendiamo per difesa navale? Per arrivare al la risposta giusta dobbiamo prima di tutto liberarci la mente dalle confuse ombre proiettate dai casi della d ifesa terrestre. Naturalmente, sia in terra sia in mare, la difesa significa prendere misure per differire una decisione fino a quando gli avvenimenti n1ilitari o poi itici ristabiliscono l'equilibrio delle forze tanto da consentirci cli passare all 'offensiva. - 186 -


Nelle operazioni degl i eserciti il mezzo normalmente impiegato è quello di mantenere le posizioni e d i costringere il nemico ad esaurire la slla forza s uperiore nell"actaccarle. In conseguenza l'idea della difesa terrestre è dominata da l concetto cli posizioni trincerate e di fortezze. Nella guerra navale non è così. In mare l'idea principale è quella di evitare l'azione decisiva per mezzo di attività strategiche o tattiche in modo da tenere la nostra flotta " in being •· fino a quando la situazione si modifica a nostro favore. All'epoca d 'oro <lella nostra marina la chiave di volta della difesa nava le era la mobilità, non la sosta in pono. L'idea era quella di disp utare iJ controllo ciel mare con operazioni di distmbo, cli esercitare il controllo in q ualsiasi luogo e in q ualsiasi momento ne avevamo l'opportunità e di impedire al nemico di esercitare il controllo a dispetto della sua superiorità, re nendolo continuamenLe impegnato. l'idea cli mera resisten za era praticamente assente. Tutto era "contrattacco", sia contro le forze nemiche sia contro Le sue comunicazioni marittime. Naturalmente questi metodi di difesa sono ben noti anche a terra, ma essi appartengono più a ll~t guerriglia che alle operazioni regolari. Nella guerra normale, con eserciti permanenti, per quanto bri llantemente siano usate le operazioni cli disturbo e di contrattacco, l'idea fondamentale resta quella de lla posizione difesa o difendibile. Similmente in mare, sebbene l'essenza della difesa sia la mobilità e un 1nstancabjLe spirito aggressivo piuLLosto che la sosta e la resistenza, v i sono anche posizio ni difese e da difendere che non si possono escludere; ma sono usate solo come ultima risorsa . Una flolla può ritirarsi tempo raneamente in acque di difficile accesso, ove p uò essere attaccata solo con grande rischio, o in una base fortifi cata, dove è praticamente fuo ri gioco e non p uò essere assolutameme attaccata da lla sola flotta nemica. Tuttavia le occasioni nelle quali simi li espedienti possono essere usa[i in mare sono molto più rare cbe in terra. Invero. salvo che per scopi assolu rnmenre temporanei, questi espedien ti possono diffi cilmente essere considerati come ammissibili in mare, per quanto grande sia il Loro valore a terra. Il motivo è semplice: una flotta cl1e si ritira in una tale posizio ne consente al nem ico di raggiungere l'ob iettivo ulteriore, che è il controllo delle comunicazioni marittime; mentre a terra un esercito in buona posizione p uò, anche per u n lungo periodo, coprire l'obiettivo ulteriore, che norma lmente è d i ca rattere territori.aie. Inoltre , un esercito in posizio ne d ifensiv_a fa sempre qualcosa per esaurire l'avversario e per - 187 -


rettificare la situazione cli squ ilibrio di forze, ma una flotta inattiva consente troppo spesso al nemico cli condurre operazioni che tendono ad esaurire le risorse del suo Paese. Per una potenza marittima, qu indi, una difensiva navale non significa altro c he mantenere la flotta " attiva in potenza " - non semplicemente in viLa - ma in una v ita attiva e vigorosa. Nessun a frase come " Fleet in being" p uò esprimere megl io l'intero significato cli questa idea, se essa è giustamente compresa. Sfortunatamente, per un fraintendimento delle circostanze nelle quali essa fu inventata, si è fini to col restringerla ad un particolare tipo d i d ifesa. Se ne parla come se fosse essenzialmente un metodo d i difesa contro l'invasione, perdendone così l'intero suo significato. Tuttavia, se fosse estesa fino ad esprim ere la difesa contro ogn i tipo d i attacco nava le, sia contro il territorio sia contro le comu nicazioni marittime , la sua validirà diventerebbe eviden te e ci restittiirebbe il vero significato ch e la Marina britannica le ha sempre assegnato. L'occasio ne ndla qu ale fu usata p er la prima volta fu LLna di qu elle che meglio mostrano le particolari possibilità della difensiva n avale. Fu nell'anno 1690 quando , allea ti con gli olande!>i, eravamo in guerra contro la Francia e, sebbene in realtà superiori, ci trovammo in una s ituazione che ci poneva temporaneamente in una posizio ne molto svantaggiosa nelle acqu e di casa. l francesi , con una sorprend ente rapidità di mobilitazione e concentrazione, ci avevano prevenu Li p1ima che la nostra mobilitazione e la nostra concentrazio ne fossero completate. Re Guglielmo, con la parLe migliore dell 'Esercito , s i trovava in Irlanda per contrastare un 'invasione francese in appoggio a Giacomo e una squadra di sette n avi , al comando di Sir Clouclesley Shovel, era s tata d istaccata nel Mare d'Irla nda per assicurare le st ie comunicazioni. Un'altra squadra, con sedici navi di linea britanniche e o landesi al comand o dell'Ammiraglio Killigrew, era stata inviata a G ibilte rra per attaccare il traffico avversario e tenere d 'occhio Chateaurenault il quale, con una squadra leggermente inferiore, si trovava a Tolone. Si presumeva che q uest'ultimo avrebbe cercato cli raggiungere Brest, dove la fl otta principale francese stava mobilitandos i al comando del Conte de Tourville, e Kill igrew aveva l'ordine di seguirlo se avesse attraversato lo Stretlo. Chateau re nault l 'attraversò; Killigrew non riuscì a intercettarlo e invece d i seguirlo immediatamente andò a Cadice per comp letare i preparativi del convoglio in partenza e per scortare quello che doveva riportare in p atria . Ciò che - 188 -


Anne 1-lilarion de Cotantin (1642-1701) . Con te di Tourville.



ovviamente avrebbe dovuto fare, secondo la pratica di tempi più sperimentati, era di lasciare questo compito ad un gruppo di incrociatori e, dopo aver mancato il contatto con Chateaurenault, avvicinarsi subito al centro strategico con la sua squadra da battaglia. Nel frattempo la Home Fleet, che Lord Torrington avrebbe dovuto comandare, non era ancora riunita. Era sud divisa in tre divisio ni, ai Downs, a Portsrnou th e a Plymouth, mentre una considerevole parte de l contingente promesso dagli o landesi non era ancora apparso. Era una splendida occasione per i francesi di impadronjrsi del controllo de lla Manica prima che fosse attuata la concentrazione e di sconfiggere i britannici a piccoli gruppi . Perciò , il 13 giugno, appena arrivato Chateauren au lt, Tourville prese il mare con circa settanta navi d i linea. Il giorno prima , tu ttavia, Torrin gton aveva alzato l'insegna ai Downs, riu nito le sue due divisioni p rincipali a Portsmouth , e quando Tourville comparve al largo dell'Isola di Wighc aveva, con gli ultimi arrivi di vascelli sia olandesi sia britannici, circa cin quantasei navi di linea a SL. Helen Roacl. Non sapendo che il contingente d i Tolone si era riunito a Tou rville, prese il mare con l' intenzione di combattere, ma renden dosi conto della grande su periorità dei frances i decise, d 'accordo con il suo consiglio cli guerra, di agire su lla difensiva e , prima cli offrire battaglia, cercare cli assicurarsi la r iu nione con Killigrew, Shovel e la divis ione d i Plymouth dirigendo verso ovest. Se avesse trovato impossibile seguire questa linea d'azione senza dover combattere, il suo piano era cli ritirarsi di fronte a Tourville "ancbe jìno al Gunfleef' dove, fra i bassifondi dell'estuario del Tamigi, riteneva di poter avere buone possibilità d i respingere con successo un attacco. lvi , inoltre, contava d i poter essere ri11forzato non solo dalle navi ancora a Chatam, ma anch e possibilmente da navi provenienti da occidente e che avrebbero potuto procedere furtivamente lungo la costa e raggiu ngerlo "attraverso i bassi fondali" per canali ignoti ai fra ncesi. Giud icava che combattere nelle condizioni in cui si trovava significasse fare il gioco del nemico . "Sefossimo battuti", d isse nel comunicare i suoi p iani al Governo," diventando assoluti padroni del mare (i francesi) avrebbero la possibilità di fare molte cose che non osano/are men-

tre noi li controlliamo e possiamo dirigere verso occidente per riunirci all'Ammiraglio Killigrew e alle (altre) nostre navi". Fu un p iano concepito secondo i m igliori principi della d ifesa : attendere fino a quando l'acqu isizio ne cli forze fresche avrebbe giustificato un rito rno all'offensiva. Tutto ciò è interessante anche quale - 189 -


chiaro esempio di difesa navale con nessun obiettivo ulteriore che non fosse quello del controllo delle acque di casa. L'opinione ciel Governo era che non ci fosse alcun indizio di un chiaro tentativo cli invasione attraverso la Manica, ma l'invasione dell 'Irlanda era in alto, luni gli aiuti ad essa diretti dovevano essere impediti e le nostre comun icazion i dovevano essere mantenute libere. Vi erano, inoltre, sia la seria preoccupazione che i francesi potessero estendere le Joro operazioni alla Scozia, sia il convoglio cli Killigrew, diretto in patria, che si stava avvicinando. La s ituazione e ra tale che, ovviamente, non poteva essere risolta efficacemente altro che ottenendo un dominio del mare asso luto, ma secondo Torrington il pericolo poteva essere e liminato mantenendo in discussione lo stesso dominio. [) suo piano , pertanto , fu quello di agire su lla difensiva e di impedire al nemico di ottenere qualsiasi risultato positivo fino a quando egli stesso non fosse scato in grado di combatterlo con buone probabilità di vittoria. Egli ritenne che una difensiva temporanea fosse runico modo per ottenere il dominio, mentre azzardare una decisione con forze inferiori sarebbe stato il modo migliore pe r perderlo. Questo modo d'agire è in completa arm onia con i principi della migliore strategia, così come li intendiamo oggigiorno. Esso era indubbiamente in anri cipo rispetto a quanto era stato fatto fino a q1.1el momento e non sorprende che il Governo, come normalmente avviene, mancasse cl i appre:aarc il piano. Il rigetto di quest'ultimo è stato molto severamente criticato. Tuttavia sembrerebbe che il Governo, più che non apprezzare il piano, lo abbia male interpretato. Il Conte di Nottingham, che era a capo del Governo, credeva, come dimostra chiaramente la sua risposta all'ammiraglio, che Torrington inrendesse ritirarsi immediatamente nel Gunfleet; mentre è cgualmeme chiaro per noi che il Gunfleet avrebbe dovuto essere il pu nto estremo della sua ritirata e che non intendeva ritirarsi così profondamente a meno che i francesi non lo avessero costretto. Il ministro mancò cli comp re ndere, come altri hanno fatto in seguito, che cosa l'amm iraglio intend esse per "Fleet in bei11g". Egli pensò che l'idea cl i "in being" cli Torrington fosse quella di una flotta sicura in porto e non in contatto col nemico, mentre Torringron non intendeva questo. Avendo così interpretato le intenzioni dell'ammiraglio, ottingham vide che in questo modo s i sarebbe potuto salvare la flotta, ma tutto il resto sa rebbe stato esposto alla distruzione. In altre parole, egli era oppresso dalla peculiare caratteristica della guerra navale che consente sempre - 190 -


l'azione contro l'obiettivo ulteriore quando il nemico nega qua lsiasi possibilità di agire contro la sua forza navale. In seguito a questo equivoco, che invero non è giustificato dal testo ciel dispaccio di Torringto n, egli OLtcnne dalla regina un ordine del seguente tenore: "Temiamo ", diceva, "che le conseguenzedellavostra ritirala al Gunfleet siano così fatali che abbiamo scelto che, appena avrete vento favorevole, diate battaglia al nemico piullosto che ritirarvi oltre il necessario per ottenere un vantaggio sul nemico stesso". Tuttavia, fu lasciato aUa sua discrezione cli allontanarsi verso occidente per completare la sua concentrazione ammesso, diceva il dispaccio, "che non perdiate mai di vista laflottafrancese in modo che essa non abbia l'opportu n itcì di eJfettua re tentativi contro la costa o nei fiumi di Medway e del Tamigi, o di allontanarsi senza combattere ". Questo ordine è stato severamente giudicato dai critici moderni, sebbene contempli chiaramente una vera operazione di osservazione preventiva e perfino, come suggeriscono le ultime parole, l'idea contenuta nel ben noto detto di Nelson: "che, una volta che il nernico avesse duramente sconfitto la nostra flotta, per quest'a11 no non ci farebbe pii, alcun danno ". È vero che Nelson poteva contare, al tempo, sulla provata superiorità britannica nave per nave, ma è anche vero che ottingham e i suoi colleghi del Governo avevano informazioni che li inducevano a sottova lutare notevolme nte la forza di Tourville. Questo risulta evidente dal dispaccio cli Nottingham che accompagnava l'ordine reale; invero così ev idente che Torrington avrebbe forse ben potuto sospendere l'esecuzione di un ordine che era così ovviamente basato su informazioni errate. Ma, sapendo probabilmente quali intrighi si complottassero contro di lui a Corre, egli scelse di co nsiderarlo come un ordine perentorio cli ingaggiare il nemico ogni volta che si fosse trovato sopravento. Per q uanto una visione più scientifica de lla strategia navale possa farci ammirare l'idea di Torrington, non sembra ci sia alcuna ragione di irritarsi per il piano governativo. Era certamente un modo per risolvere il problema e, osservando quanto grandi fossero le nostre riserve, una sconfitta non avrebbe rappresentato un disastro. Nondimeno, esso fu senza dubbio dettato dall 'inca pacità di afferrare la forza strategica dell'insolito piano di Torringron, un piano che non solo era più sicuro , ma anche calcolato per ottenere, infine , maggiori risu ltati positivi. Il vero e rro re del piano del Governo era che, - 191 -


sebbene avesse uno specioso aspetto di audace offensiva, non avrebbe potuto ottenere altro che un risultato negativo. In quelle circostanze il massimo che una battaglia avrebbe potuto offrire sarebbe stato di lasciare in forse il dominio del mare e, al peggio, avrebbe dato al nemico un risu ltato positivo che avrebbe gravemente compromesso la campagna di Guglielmo in Irlanda. To rrington rispose al Governo in questi termini. Trattando della preoccupazione governativa per le navi che si trovavano ad occidente e per il convoglio del Mediterraneo , essendo il pericolo che li minacciava l'esplicita ragione per proibirgli di ritirarsi al Gunfleet, fece notare che non avrebbero corso molti rischi se avessero badato a se stesse perché, ripe té , "fino a quando li controllianio i francesi non possono effettuare alcun tentativo contro le navi o la costa senz a correre grandi rischi, mentre se siamo battuti ogni cosa è esposta alla loro mercé". Così, senza sottolineare in modo particolare l'errata interpretazione del suo d is paccio d a parte del ministro, no tificò che la s ua intenzione era q uella di tene re sotto osservazione il nemico e non semplicemente di ritirarsi. Torrington, nel momento in cui inviò questa risposta , era già stato respinto fino a Beach Head ; non era più possibile d irigere verso occidente e il giorno seguente, trovandosi sopravento, attaccò. Ma , ancora convinto della sua idea di difesa , e trasferendola nella sua tattica, si rifiutò di offrire ai francesi la possibi lità di un'azione veramente decisiva e ruppe il contatto appena una caduta del vento glielo consentì. Si ritenne giustificato nell'interpretare fino a questo punto ordini che sapeva essere basati su false informazioni. Egli era certo, come disse nel giustificare il modo col quale aveva condotto l'azione, "che la Regina non avrebbe potuto essere indotta a firmare un tale ordine se non le fossero state nascoste sia la nostra debolezza sia la forza del nemico ".

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La s ua fl otta aveva subito danni tali che ritenne che il suo piano non avrebbe potuto più fu nzionare. "Solo Iddio Onnipotente", scrisse nel suo giornale di bordo, "sa quali potranno essere le conseguenze di questa sfortunata battaglia, ma oso credere che, se mi.fosse stata lasciata la ·inia libertà d 'azione, avrei impedito ogni tentativo contro la costa e dato sicurezza alle navi occidentali, quelle di Ki fligrew, e ai mercantili ". In realtà egli ebbe s uccesso in tutto. Ritirandosi lentamente verso o riente si trascin ò dietro i frances i fi no - 192 -


a Dove r, prima di entrare nel Nore, e Tourville non poté ritornare verso ovest p rima che tutte le navi m inacciate fossero s icure a Plymouth. Nonostante Torrington fosse stato costretto a combattere al momento e nel posto s bagliati, il suo piano aveva avuto un notevole successo. Non solo aveva imped ito ai francesi di fare qualsiasi cosa che potesse influenzare l'esito d ella guerra , ma avevà anche completamente fr ustrato i l piano di Tourville cli distruggere la flotta britan nica un pezzetto alla volta. Questo è ciò egli aveva compiuto, ma n on aveva più la possibilità di raccoglie rne i frutti passando all'offens iva. Che Tourville, o il suo Governo, fossero impressionati dall'efficacia del metodo fu dimostrato l'anno seguente quando q uesti, a sua volta, si trovò in una inferiorità tale che gli negava ogni sp eran za cli poter ottenere una decisione vittoriosa in battaglia. Durante l'estate mantenne la sua flotta a giron zolare al largo dell'entrata della Manica senza dare all'ammiraglio bri tannico la possibilità di un conta tto. Il suo metodo, tuttavia, differiva da quello cli Torrington e raggiunse solo l'obiettivo negativo perché sì tenne completamente fuo ri vista del nemico. Secondo la sua opin ione, se una flotta rimaneva in mare controllando da vicino un nemico deciso, l'azione non poteva essere evitata. "Se (all'ammiraglio)" , scrisse ne l suo me mo randum all'argomento, "viene ordinato di tenere il mare per cercare d i distrarre il nemico e di fargli capire che siamo in posizione di attaccarlo se tenta un 'in-

cursione, penso sia mio dovere dire che in questo caso dobbiamo deciderci alla fine a combatterlo pe1·ché, se veramente il nemico ricerca la battaglia, sarà sicuramente in grado di ingaggiarci, considerando cbe è imposs-ibile piroettare a lungo vicino a una }lotta senza giun gere al contatto ".Cl) Il che è come dire che per una ".fleet in being " è necessario avere un luogo sicuro d ove ritirarsi temporaneamente. E questa era u na parte essenziale dell'idea di Torrington. Ai tempi di Torrington e Tourville, qu ando le navi erano poco m an eggevoli e la tattica navale n ell a su a infa nzia, la cUfficoltà di evitare il combattimento, una volta che un nemico risoluto avesse preso contatto, era indubbiamente grande, a me no che non fosse a portata di mano un porto ove ritirarsi. Ma, con lo sviluppo dell 'arte de lla guerra nava1e, le potenzialità di una ''. fleet in being" furono considerate

(1) Delarhre, Tonrvute et la marine de son temps, p.

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molto più ampie, quanto meno nella Marina britannica. Passarono quasi cento ann i p rima che fossimo di nuovo costretti a usa re lo stesso espediente su larga scala e allora si ritenne che una velocità superiore e la precisione tattica fosse ro fattor i s ui quali si poteva contare quas i senza limiti. Abbiamo un memorandum su questo argomento scritto da Kempenfelt nei giorni più neri della guerra di Indipendenza Americana che non solo ci fornisce l'idea ampliata di "jleet in heing" e c.lell 'alco spirito aggressivo che ne è J'essenza. ma spiega anche il s uo va lore non soltanto come espediente difensivo, bensì come mezzo per consentire una drastica offensiva anche quando si è, nel complesso, inferiori. "Quando si conoscono i piani del nemico", dice, "per poter/are qualcosa di efficace si deve cercare di essere a lui superiori in quelle zone dove eglipianffica di agire e dove, se avesse successo, ci produrrebbe il massimo danno. Se la flotta viene divisa così da essere dovunque inferiore al nemico, questi avrà buone possibilità di successo ovunque e.ffettui i suoi tentativi. Se non si può formare una squadra forte abbastanza per ajfrontare quella nemica nelle sue acque, sarà pii) va 11taggioso lasciare che l'inferiorità diventi ancor maggiore a/fine cli ottenere fa superiorità in qualche altro luogo".

"Quando si è inferiori al nemico e si ha solo una squadra d'osservazione per vigilare e seguire le sue mosse, una tale squadra, per assicurare la sua missione, dovrebbe essere composta solo di navi a due ponti (cioè nav i molto veloci). Questa squadra deve avere un va11taggio di velocità sul nemico, altrimenti in certe circostanze sarà costretta a battaglia o a lasciare che le navi più lente siano catturate. È assolutamente necessario avere u1ta tale squadra veloce che talloni le grosse.flotte nemiche poiché impedirà loro di suddividersi in squadre separate per intercettare il nostro commercio o cli disperdere lenavi per una pi1ì ampia ricognizione. Si sarà sempre pronti ad approfittare di ogni separazione accidentale o dispersione della flotta nemica a causa di burrasche, nebbie o altre cause. Si possono intercettare ri.forninienti, i1~formazioni, etc., inviati al nemico. Infine, una tale squadra sm·à un vincolo e un freno ai suoi movimenti e potrà prevenire molti dei danni che altrimenli potrebbe.fare". Tre anni prima, quando era appena stato nominato Capo di Stato Maggiore d e lla flotta della Manica, aveva attirato l'attenzione sugli stessi pu n ti. "Molto", scrisse nel luglio 1779, "posso dire tutto, dipende da questa fio/la. Essa è inferiore a quella avversaria. Pertanto la massima abilità e destrezza sono il requisito per contrastare i piani del - 194 -


nemico,. per osservare e afferrare l'opportunità.favorevole per l'azione e cogliere il vantaggio di colpire l'una o l'altra parte debole dello schieramento nemico; ovvero, se non si offrono queste opportunità, mantenersi vicin·i al nemico, tenerlo a bada e impedirgli di tentare qualsiasi cosa senza rischio e pericolo; calamitare la sua attenzione e obbligarlo a pensare a null'altro che a stare in guardia contro il nostro ,attacco".c2> Fu secondo queste linee che fu condotta la guerra. L'area delle Indie Occidentali, nella quale si trovava l 'obiettivo principale del nemico , fu considerata come il teatro offensivo e le acque di casa come quello di fensivo. Per quanto la flotta del la Manica fosse inferiore alle flotte europee degli alleati , I.e sue operazion i difensive si dimostrarono adeguate a impedir loro d i ottenere un qualche s uccesso. Né ques to fu tutto , perché Kempenfelt fu in grado di dimostrare, nel modo più brillante e convincente, il lato positivo della sua teoria. Trattando della concentrazione abbiamo visto come, in comando di una squadra veloce quale egli postulava, sia stato in grado cli afferrare, al largo di Ognissanti, una favorevole opportunità d 'azione che ebbe come risultato la catL,.1ra di un convoglio cli material i militari essenziali alle operazioni fra.ncesj nelle Indie Occidentali, sotto il naso di de Guichen che aveva una scorta dalla forza quasi doppia della sua. Certamente Nelson condivideva il punto di vista di Kempenfelt circa le possibilità di una flotta inferiore tenuta attivamente "in being'' . "Per quanto riguarda la nostra/fotta" , scrisse dal Mediterraneo nel 1796, "sotto un Comandante in Capo come SirJohn]ervis, nessuno ha paura ...Abbiamo, in questo momento, ventidue navi di linea . Le flotte riunite nemiche non ne avranno più di trentacinque ...Scommetto la mia vita che Sir]ohnjeruis le sconfiggerà. Non intendo con una battaglia regolare, ma con l'abilità del nostro ammiraglio e lo spirito combattivo dei nostri ufficiali e marinai. Questo paese (la Gran Bretagna, NdT) è il più.favorito possibile per questo tipo di azioni con una flotta infèriore. Poiché i venti sono così variabili, una volta in ventiquattr'ore si può essere in grado di attaccare una parte di una grande }lotta mentre l'altra è in bonaccia o ha venti contrari. Pertanto spero che il Governo non sarà preoccupato per la nostra sicurezza".

(2) Barham Papers, I, 292.

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I' Si può invero affe rmare che un lale concello de lla difens iva è cliventato comune nella Marina britannica. Esso fu parte del ragionamento per il quale nel 1805, dopo l'evasione dal Med iterraneo di Vi lleneuve, Sir Jo hn O rde decise di ritirarsi a Ognissanti invece cli entra re negli stretti. "Oso credere", scrisse. "che Lord Nelson, con le sue dodici navi di linea e numerose.fregate, si troverà nelle condizioni cli agire sulla difensiva senza perdite e perfino d i restare attaccato alle sottane della flotta nemica nel caso che questa tenti q1talcosa, specialmente quando è impacciata da lrasporti di truppe".<:>> In tutte queste conside razio ni s u lle potenzialilà di una "jleet in being" che opera in modo difensivo, non si deve mai dimen ti care che trattiamo de lle sue possibilità in relaz ione al d ominio generale ciel mare - alle sue p otenzial ità generali di mantenere in forse un tale dominio - così come fece To rrington. La sua capacità di impedire una particolare o perazione, per esempio un "invasio ne dal ma re, è un 'a ltra questione, una questione che dipenderà sempre dalle condizioni locali. Se una 'jleet in being" può essere conte nuta in modo tale che le sia impossibile raggiungere la linea di passaggio delle forze d'invasione, non sarà di alcun ostacolo all 'invasione stessa. Nel 1690 i francesi, per quanto riguarda la flotta di Torrington, avrebbero potuto. se l'avessero voluto , effettuare un 'incursione per esempio a Ports mouth mentre Torrington s i trovava ne l 'ore. Ma la flotta di Torrington non era l'u nico fattore . La sua ritirala cos trinse Tou rville a lasciars i indietro senza combatterle le squadre di Shovel e Killigrew e, pe r quanto rig uardava il co ntro llo di una linea cl i passaggio per l'invasion e, TourvHle aveva a ltrenante limitazioni qu ante ne aveva Torrington. In effetti, le condizioni della difesa nava le conrro un'invas io ne sono così complesse, se paragonate alla difesa navale in generale, da richiedere di essere trattate più avanti come un ramo speciale dell'argomento. La dottrina della ''fleet in being ", così come fu formulata e praticata da To rrington e sviluppata d a Kempenfelt, non va oltre qu esto: qu and o un nemico conside ra il d ominio genera lizzato di un'arca marittima come necessario per i suoi scopi o ffen sivi, lo s i può prevenire nell'ottenere queslo dominio usando la flolla in modo dife nsivo, rifiutando quella che Ne lson c hiamò una battaglia regolare e

(3) Campaign of Trafalgar, pag. 65.

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afferrando ogni opportunità per un contrattacco. Usare la flotta come la usò Tourville nella sua famosa crociera deterrente, quando l'intero obiettivo dei francesi era offensivo e non poteva essere ottenuto sa lvo che con l'offensiva, è tutt'altra cosa. È invero difficile comprendere l'ammirazione con la quale è sta-

ta considerata in Francia la sua campagne au large. Nell'estate del 1691 Tourville rimase in mare al largo dell'entrata della Manica per cinquanta giorni e per quaranta di quei giorni la nostra flotta della Manica non fece alcun sforzo sistematico per scovarlo. Egli era stato inviato in mare nella speranza di intercettare il nostro grande "convoglio di Srnirne '', che allora era la spina dorsale del nostro commercio estero. Russell, con la principale tlotta britannica, prese semplicemente posizione per coprire l'avvicinamento del convoglio fino a quando fu al sicuro, presumibilmente sapendo che Tourville avrebbe dovuto avvicinarsi a lui se avesse desiderato raggiungere il suo scopo. Quando il convoglio fu in sa lvo, Russell si diresse al largo di Ognissanti, cioè fra il nemico e la sua base. Le comunicazioni di Tourville furono così tagliate, la sua linea di ritirata minacciata ed egli afferrò la prima opportunità di eludere Russell e ritornare in porto. Salvo catturare alcune navi di uno dei convogli delle Indie Occidentali, non combinò alcunché. la principale offensiva francese in Irlanda fu infranta con la battaglia del Boyne e il prestigio dell'Inghilterra sul mare fu ripristinato. È vero, il nostro commercio nel Mare del Nord ne soffrì, ma questo non fu direttamente dovuto alla concentrazione che la crociera di Tourville cj impose, ma piuttosto alla mancanza da parte degli olandesi - evidentemente per un malinteso - di eseguire un effettivo blocco di Duokirk. Ad occhi britannici apparirà evidente che l'eresia latente nelle istruzioni di Tourville era u n seme che soffocava tutte le migliori aspirazioni della Marina francese . Il piano della sua crociera del 1691 può probabilme nte essere considerato come s ufficientemente aggressivo poiché , visto quanto instabile era il nuovo trono di Guglielmo, un colpo al commercio britannico che avesse avuto risonanza, insieme all 'attesa vittOria in Irlanda, poteva essere sufficiente a rovesciarlo. Tuttavia, in seguito l'idea fu estesa ad occasioni alle quali non si adattava e sembra aver p rodotto la credenza che quando l'obiettivo della guerra dipendeva semplicemente dall'ottenere un reale dom inio del mare, quell'obiettivo poteva ancora essere ottenuto con operazioni navali difensive. È vero che in molti casi una politica che aveva ridotto - 197 -


al lumicino la Marina fra ncese non lasciava ai suoi marinai altra via e se con la loro inferiorità avessero tentato l'offen siva la fine sarebbe stata più rapida, se non più certa. Nel criticare la storia marittima francese d obbiamo aver cura cli d istinguere la politica dalla strategia. Non fu sempre la strategia difensiva ad essere cattiva, bensì la politica che condannò i suoi amm iragli ad operazioni negative . Considerato che la Francia era una potenza continenta le con aspirazioni continentali, si trattò spesso di una politica dalla quale le sue esigenze militari non consentivano alcuna evasione. Ciò nondimeno questa politica fu doppiamente detestabile: fu una maledizione per la Francia sia quando essa era debole sia quando era forte. L'uso prolungato della d ife nsiva produsse un abito mentale che sembra averla resa incapace d i colpire duro quando ne aveva la forza. Perlomeno, non possiamo sp iegarci altrimenti il comportamento di una nazione di così elevate doti rnmtari qu ando essa ebbe le sue possibilità di rivincita nella guerra cli Indipendenza Americana. È qui, nei suoi effetti s ul morale, che risiede il pericolo della difensiva, un pericolo così insidioso ne lle sue conseguenze che ci indurrebbe a non pronunciare mai q uesta parola. Tuttavia, con l'opinione di Torrington, Kempenfelt e Nelson ancora nelle nostre orecchie, sarebbe fo lle ignora rla per noi stessi e, ancora di più , ignorare il faLicoso sforzo che ci può imporre il s uo uso da parte ciel nostro nemico. La difensiva deve essere studiata, se non altro per imparare come spezzarla. é lo studio sarà pericoloso se teniamo a mente lo spirilo di incessante e vig ilante contrattacco che Kempenfelt e Nelson consideravano esserne !"essenza. È vero, ora mancano alcune delle condizioni che nei g iorni della vela fornivano opportunità per il contrattacco. ma ne rimangono ancora molle. Cambi di vento e calme non ne offriranno più, ma foschie o temporali possono ancora fa r sì che l'a bilità marinaresca, la prontezza e la coesione abbiano tuttora il peso che hanno sempre avuto. E non c'è alcuna ragione per d ubitare che sia ancora p ossibile che il duro andar per mare faccia in modo che "l'attività e lo spirito dei nostri t(t{iciali e marina i" d iano i risultati che Nelson si as pettava con tanta sicurezza. 2

CONTRATIACCHI MfNORI

Per il più debole di due bell igeranti gli attacchi minori hanno sempre esercitato un certo fascino. Quando una Poten za era così inferiore in forze navali da pote r d iffi cilme nte s perare cl i pote r disputa re il dominio del mare con operazioni navali, rimaneva la speranza di ridurre - 198 -


l'inferiorità relativa mettendo fuori combauimento una pane della flotta nemica. Tali speranze sono state raramente realizzate. Nel 1587 Drake riuscì a fermare l'invasione spagnola con un contrattacco come quello condotto contro la divisione di Cadice dell'Armada mentre questa non era ancora mobilitata. Nel 1667 gli o landesi ottennero un successo sim ile contro la nostra divisione di Chatham quando questa fu smobilitata ed era indifesa. Quell'azione, assicurò loro, probabilmente, più favorevoli termini di pace. Ma non si pu ò dire ch e le vecchie guerre mostrino qualche caso nel quale la decisione finale sul dominio del mare sia stata seriamen te influenzata eia contrattacchi minori. Tuttavia, l'avvento del siluro ha dato all'idea una nuova importanza che non può essere sottovalutata. Il valore d i questa importanza non può essere, al momen to, valutato correttamente. Quantomeno no n c'è alcuna evidenza che sarà molto alta in condizioni normali fra flotte di o rdinaria efficienza. L'unico caso, fino ad ora, è il relativo successo dell'attacco iniziale giapponese contro la squadra di Port Arthur e laddove esiste un solo esempio è n ecessario usare estrema cautela nel valutarne il s ignificato. Prima di poter.ne dedurre qualcosa che abbia un valore permanente dobbiamo considerare molto attentamente sia le sue condizioni sia i sisultati. Tanto per comincia re fu un'esperienza nuova, con un nuovo tipo d i arma e non ne deriva necessariamente che il successo di u n espediente inedito possa essere ripetuto con ris ultati simili. Non sarà inutile richiamare ancora. l'esempio dei brulotti. All'inizio dell'età della vela, nel 1588, questo espediente p reparò la strada per un decisivo successo contro una flotta non protetta. Nelle guerre s uccessive quest'arma occupò un posto predominante nell'organizzazione delle flotte d'alto mare, ma i suoi successi non s i ripeterono più. Produsse, occasionalmente , buoni risultati contro navi in porti mal difesi e d urante il periodo in izia le della tattica n avale i s uoi effetti., morali e anche materiali , nelle azioni fra flotte furono evidenti. Ma, con lo sviluppo della scienza navale e con la più accurata valutazione delle limitazion i dell'arma, questa ebbe sempre meno su ccesso fin o a quando, nel diciottesimo secolo, fu conside ra ta quasi inutile. Perfino il suo effetto morale fu perso e il brulotto cessò di essere considerato un'unità combatte nte . Ora, se esaminiamo da vicino il caso cli Port Arthur, troveremo che esso dimostra l'esistenza di certe condizioni non diverse eia <.tu el-

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le che discreditarono i brulotti come falla re decis ivo in gu e rra. Nonostante l'apparenremenre formidabile natura di un attacco di sorpresa con s iluri , l'evidenza dell'unico caso in esame indica che le con dizio ni sono più favo revoli alla d ifesa che all'altacco. La prima condizione s i riferisce a Ila difficoltà di individuare esattamente l'obiettivo. È ovvio che, per questo tipo di operazione, è essenziale avere informazioni più precise possibili e d i tutte le informazioni la più difficile eia on e nere in guerra è la dis locazione de ll a flotta avversari a g io rno per giorno. I giapponesi avevano info rmazioni abbastanza accurate che il grosso d e ll a squadra di Port Arthur s i trovava nell'ancoragg io esterno, ma essa era in continuo movimento e si aveva notizia che tre navi da battaglia erano state dis taccate d al grosso. La notiz ia era fa lsa, ma il risultato fu che delle cinqu e squadriglie di cacciatorpediniere dispo nibili, due furon o inviate contro Dalny, dove non trovarono alcun nemico . Tali incertezze esisteranno sempre e in ness una circostanza saranno minori di quando, come n el caso giapponese, l'attacco è sferrato senza dichiarazione di guerra e mentre sono ancora a pe rti i normali ca nali info rmati vi. Inoltre , si deve notare che nonostante le relazioni fossero sta te molto rese p er alcune setti mane e u n atta cco di sorpresa con s iluri fosse considerato m o lto probab ile, i russ i non avevano preso alcu na precauzione per confondere il n e mico. È ovvio cl1 e in tali casi s i possan o e s i de bbano pre ndere misure p er preve nire un'accurata lo calizzazione d elle forze. Ma c'è dell 'a ltro. Confondere il n e mico con s im ili m ezzi è solo un m o do per indurlo a conclusioni errate e per prepa rarg li un agguato che pu ò inghiottire il grosso della s ua forza di cacciatorped iniere nelle prime ore del conflitto. Si deve teme re, tuttavia , che i rischi di una rai e eventualità s iano così g ra nd i, p e r un contrattacco m inore d i qu esta natura, ch e sarà probab ilme nte molto difficile indurre un nemico inferiore ad esporre in questo modo le s ue unità sottili. Quesla osservazio ne riceve maggi or enfasi d al secondo punto che il caso di Port Arthur serve a dimostra re, e cioè: le grandi possibilità che anche la più superficiale delle difese ha comro allacch i di questa n atura. In altre parole, Jc possibilità cli successo p ossono ra ramente essere così grandi d a giustificare il rischio. Tutto era a favo re dei giappon esi. La squad ra russa aveva ri cevuto, du e o tre notti p ri ma , ordini per prepara rsi contro un attacco con siluri, ma la d isciplina era caduta così in basso che g li o rdini furono eseguiti in m odo mo lto - 200 -


superficiale. T cannoni non erano caricati, i serventi non erano ai pezzi né le reti e rano stese. L'unica vera precauzione fu che due cacciatorpediniere , e non cli più, erano stati inviaci fuori del porto in pattugliamento, ma perfino a loro fu proibito di aprire il fuoco contro qu als iasi cosa prima d i averne r ife riLo all'ammiraglio o prima cli essere loro stessi sotto il fuoco. La difesa contro un attacco a sorpresa avrebbe difficilmente potuto essere più debole, eppure, così alta era la tensione nervosa nella forza d 'attacco che la difesa si dimostrò p iù forte di quanto ci s i poteva ragionevolmente attendere. La semplice esistenza del pattugLiamemo e la necessità di evitarlo gettò nella confusione l'avvicinamento giapponese, una confusione dalla quale i giapp o nesi furo no incapaci di riprendersi completamente e l'attacco perse l'esse nziale spinta e coes ione. lnoltre, per quanto imperfetta fosse la preparazione della squadra russa e trascurati raddestramento e la disciplina, a quanto ne sappiamo. nessun siluro colpì il bersaglio dopo che i cannoni russ i ap rirono il fuoco e le fotoe lettriche furo no accese. Tale sviluppo cli forza nella difesa sembra una condizione ovvia contro un attacco minore e non sembra ci siano motivi per aspettarsi, eia questo tipo di attacch i, mig lio ri risu ltati in casi no rmali. Ma, nel dedurre principi dal caso di Port Anhur, ci s i deve sempre r icord are che esso era ben lontano dalla normalità. Fu un attacco prima della dichiarazione di guerra , quando la minaccia dovuta alle tese relazion i fra i d ue paesi, per quanto compresa , e ra stata qu as i interamente ignorata dai russi. In tali eccezionali e quasi incredibili circostanze si può sempre contare su un cerco successo da parte di un attacco minore . A questo dobbiamo aggiunge re il fatto che la squadra russa, che n on e ra cli solito efficie nte, sembrava essere caduta in condizioni così trascurate che difficilmente s i ripeteranno nel caso di u na qua ls iasi altra Poten za navale. l nfine, dobbiamo chiederci: pur con tutte le anormali condizio ni così favorevo li all'attacco, quale fu l'effe ttivo risultato materiale? Ebbe qualche influe nza reale su l problema final e del dominio del mare? È vero che spostò in modo tale la bilancia a favore dei giapponesi che essi furono in grado d i esercita.re il controllo locale abbastanza a lungo per sbarcare le loro truppe e isolare Port Arthur, ma il p iano dei giapponesi per assicurars i il definitivo dominio del mare si basava s ulla loro capacità di pre nde re Pon Arthur p er mezzo cli operazioni lerresLri, sostene ndo l'assedio da l mare. Ciò nondi meno, nonosta nte tutte le condizio ni favorevol i al successo, l'efferto mate ri ale dell'a cracco - 20 1 -


fu così limitato che perfino senza l'aiutto di un adeguato arsenale la squadra ne s uperò le conseguenze e divenne di nuovo potente prima ancora che l'assedio potesse prendere fo rma . Gli attacchi minori che seguirono il primo fallirono tutti, non ebbero alcun effetto apprezzabile sia che fossero lanciati comro il porto sia contro squ adre in mare. Allo stesso tempo occorre ricordare che, dopo quella g uerra , l'arte dell'impiego de i siluri si è sviluppata molto rapidame nte; l'autonomia e la potenza offensiva del siluro sono aumentate più rapidame nte d e i mezzi per contrastarlo. Tuttavia , quei mezzi sono m igliorati ed è probabile che una squadra in un porto militare o in un ancoraggio opportuna mente difeso non sia attaccabile più facilmente ora di quanto non lo sia mai stata . Al lo stesso tempo una squadra in mare, fino a quando cambia continuamente di posizione, rimane ancora molto difficile da localizza re con s ufficiente precisio ne perché un attacco minore possa avere successo. L'ancora non provata efficacìa de i sommergibili aumenta semplicemente la foschia che avvolge la prossima guerra in mare. Da un punto cli vista strategico non possiamo dire altro che occorrerà tener conto d i un nuovo fattore ch e forn isce n uove poss ibilità ai contrattacch i minori. È una possibilità che, ne ll'ins ieme, pone a disposizione de lla difensiva navale una nuova carta che, :abilmente giocata im;ieme a ope razioni difensive della nona, può dare nuova importanza alla ·'f!eet in beìng ". Ci si può ulteriormente attendere che, qualsiasi potranno a lla fin e essere le possibilità effettive delle o perazioni minori riguardo l'acqu isizio ne cie l dominio del mare, l'infl uenza mo ral e sa rà considerevole e, almeno all'inizio di una guerra futura, queste o perazioni mino ri tenderanno a far devia re e ad ostacolare le ope razio ni maggio ri ed a privare della loro precisione que lle linee di azione che un tempo porta vano così chiaramente al risultato per mezzo della battaglia. In mancanza d i u na s ufficiente massa d i esperienze sare bbe ozioso continuare, particolarmente perché l'attacco con siluri , come que llo con brul o tli , dipende più di ogni a ltro , per avere s uccesso, dal valore e dall'abi lità degli ufficiali e degli uomini. Per quanto riguarda il silu ro come tipica arma mo bile della difesa costiera, si tratta di una diversa questione. Ciò che si è detto si riferisce solo alle sue possibilità nei rigu ardi dell'acqu isizione de l dominio del mare e non all'esercizio o al disputare l'esercizio de l dominio. Questo è un proble ma ch e riguarda la difesa contro l'i nvasione e ad esso o ra ci rivolgiamo. - 202 -


CAPITOLO IV METODI PER ESERCITARE IL DOMINIO DEL MARE 1 DIFESA CONTRO L'INVASTOl\TE

ei metodi per esercitare il dominio del mare includiamo tutte le operazion i non direttamente interessate all'acquisizione del dominio o alla prevenzio ne de ll'acquisizione ciel dominio stesso da parte del nemico. Ci impegnamo ad esercitare il dominio del mare quando conduciamo operazioni che non sono dirette contro la flotta da battaglia nemica , ma riguardano l'uso delle comunicazioni marittime per i nostri propri scopi o per interferire con il loro uso da parte del nemico. Tali operazioni, sebbene logicamente d'importanza secondaria, h anno sempre inte ressato la maggior parte della guerra navale . La guerra nava le non inizja né finisce con la distruzione della flotta da battaglia nemica, nemmeno con l'infrangere la fo rza dei suo i incrociatori. Oltre tutto q uesto vi è anche il compito dì impedire al nemico d i trasferire il s uo esercito per mare, di proteggere le nostre stesse spedizioni oltremare e la necessità di ostacolare il commercio avversario e di proteggere il nostro. In tutte queste o perazioni siamo interessati all'esercizio del dominio del mare. Usiamo il mare, o interferiamo coh l'uso che il nemico può farne, ma non tentiamo di assicurarcene l'uso e di impedire al nemico di assicurarselo. Le d ue categorie d i operazioni differiscono rad icalmente per concetto e scopo e strategicamente si trovano su due piani completamente d iversi.

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Logicamente, è ovvio che le operazioni per esercitare il domini o del mare dovrebbero segu ire quelle per assicurarselo; cioè a dire, dal momento che l'acquisizione d el dominio è il vero obie ttivo della g tterra navale e poiché quel dominio può esse re ottenu to perman entemente con la distruzione della forza navale nemka, ne segue - 203 -


che, rigorosamente parlando, non si dovrebbe consentire a nessun altro obiettivo di interferire con la concencra:done ciel nostro sforzo al fine supremo di ottenere il dominio per mezzo della distruzione del nemico. La guerra, tuttavia, non è condotta con la logica, e l'ordine di precedenza che la logica presc rive non sempre può essere segui to in pratica. Abbiamo visto come, date le particolari condizioni della guerra navale, si intromettano necessità estranee che rendono inevitabile che le operazioni per esercitare il dominio debbano accompagnare oltre che seguire le ope razioni per assicurarselo. Essendo la guerra, così com'è, un complesso insieme di fattori navali, militari, politici, finanziari e morali, la sua realtà può raramente offrire a uno Stato Maggiore nava le un foglio di cana bianca s ul quale si possano risolvere i p1:ob lemi strategici con rigorosi sillogismi. Il fattore navale non può mai ignorare gli altri fattori; fin dall'inizio, uno o più di essi richiederà sempre qualche azione nell'esercizio del dominio del mare che non potrà attendere il proprio turno ne lla sequenza logica. In tutti i casi più comuni entrambe le categorie di operazioni dovranno essere attuate, in maggior o minor grado, fin dall'inizio. Di qui l'importanza di comprendere la diversità fra le due generiche forme di attività navale. Ne ll 'urgenza e tensione che si hanno in guerra è faci le confonderle: afferrandone bene la differenza possiamo almeno capire ciò che stiamo facendo. Possiamo giudicare quanto una data operazione, che pu ò essere stata richiesta, sacrifichi la sicu rezza dell'esercizio del dominio , fino a che punto un tale sacriJicio sia giustificato e fino a che punto un fine possa essere utilizzato per servire all 'altro. Si possono evitare molti errori se si tiene ben presence la diversità fra le due forme di cu .i abbiamo parlato. Il rischio che accettiamo può essere gra nde, ma saremo in grado di soppesarlo accuratamente in funzione del valore ciel fine e di accectarlo consapevolmente per uno scopo ben preciso. Soprattutto, ciò consentirà allo Stato Maggiore di definire chiaramente per ciascun comandante di sq uadra qua le debba essere il suo obiettivo primario e quale sia l'obiettivo e lo scopo dell'operazione affidatagli. È soprattutto in questa ultima considerazione e parLicolarmente nella determinazione dell'obiettivo, che si lrova il principale va Iore pratico della dislinz.ione. Tutto ciò diventerà chiaro nel momento in cui cominceremo a considerare la difesa contro un'invasione che, naturalmente, ha il primo posto fra le operazioni per l'esercizio d e l contro ll o. Fra tutte le opinioni correnti, nessuna confonde di più, per una giusta valutazione - 204 -


strategica, di quel la che afferma che l'obie ttivo prima rio della nostra flo tta sia sempre la flotta nemica. Naturalmente ciò è vero per 1a flotta da battaglia e per le unità che l'accompagnano, almeno fino a quando il nemico abbia una flotta da battaglia "in being". Cioè, è vero per tutte le operazioni per assicurarsi il controllo, ma no n per le operazioni per esercitare il controllo. Nel caso che dobbiamo ora considerare - la d ifesa contro u n'invasione - l'obiettivo delle operazioni particolari è, ed è sempre stato, l'ese rcito nemico. Su questo postulato fondamentale sono sempre stati basati l nostri piani per resistere all'invasione, dal tempo dell 'Invencihle Armada al 1805. Nella tradizione della vecchia Marina il concetto era perfettamente radicato . Le istruzioni agli ammiragli insistono costantemen te sul fatto che i trasporti erano "l'obiettivo p rincipale". L'intera disposizio11e della flotta d urante il blocco di Hawke nel 1759 era basata sul non perdere mai d i vista i trasporti ne l golfo di Morbihan e quando Hawke cercò di estendere le sue operazioni contro la. squadra di Rochefort, Anson gli ricordò chiaramente che "il principale oggetto della nostra attenzione, in questo momento", era prima di tutto "l'interruzione dell 'imbarco delle truppe nemiche a Morbihan" e, in secondo luogo, "impedire alle navi da guerra cli uscire da Brest'. Similmente il Commodoro Warren nel 1796, quando aveva la guardia con tinu a con le frega.te davanti a Brest, d iede ordini ai suoi comandanti che in caso di incontro con i trasporti nemici sotto scorta essi dovevano "catturarli o distruggerli nel modo più rapido possibile prima di attaccare le navi da guerra, ma mantenere una situazione tale che consenta di attaccarle se ordinato". Gli ordini cli Lord Keith, quando teneva sotto osservazione le forze sottili d i Napoleone, erano dello stesso tenore. "Dirigete la vostra attenzione principale", d icevano, "alla distruzione cli navi, vascelli e imbarcazioni che abbiano a bordo uomini, cavalli e artigUerie (preferendoli alle unità dalle quali sono protetti) e nella più stretta osservanza di questo importante co1npito dimenticatevi interamente della possibilità di un inutile biasimo per aver evitato il contatto con navi da guen-a, perché la prevenzione dello sbarco è obiettivo della massima importanza al quale ogni altra considerazione deve essere posposta ".Cl)

(1) Admiralty Segretary's Jn-letters, 537, 8 agosto J.803.

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Nella tattica, quindi, l'idea era la stessa che nella strategia. L'esercito era il principale obiettivo attorno a l quale ruotavano tutte le disposizioni. Nella Marina francese la forza e la saggezza della pratica britannica fu compresa, almen o dagli uomini migliori. Quando nel 1805 Napoleone consultò Ganteaume circa la possibilità che la flottiglia di trasporti effettuasse il passaggio della Manica evadendo l'intercettazione , l'ammiraglio gli disse che era impossibile dal momento che nessu na condizione meteorologica avrebbe potuto allentare la presa britannica. "Nelle guerre passate", disse, "la vigilanza inglese è stata miracolosa".

A questa regola non vi furono eccezioni, nemmeno quando le circostanze rendevano difficile distinguere fra la flotta nemica e l'eserciro come qbiettivi. Questa s ituazione poteva presentarsi in due modi: primo, q uando era pianificato che l'esercito d'invasione prendesse il mare con la flotta da battaglia, come nel caso dell 'invasione napoleonica dell 'Egitto; secondo, quando, sebbene il piano fosse che i due dovevano operare lungo linee separate, il nostro sistema di difesa costringeva la flotta a dirigersi sulla linea di passaggio dell'esercito in modo da liberarla , come avvenne nel caso clell'Armada e del tentativo francese d el 1744. In quest'ultimo caso l'esercito d'invasione, il cui obiettivo era ignoto , era a Dunkirk e una flotta francese stava r isalendo la Manica per coprirgli il passaggio. Sir John Norris, in comando della Home Fleet, era nei Downs. Sebbene il suo nome s ia ora quasi d imenticato, egli fu uno dei grandi fondatori della nostra tradizione navale e uno stratega di prim'ordine. Informando il governo del suo piano d'operazioni egli d isse che intendeva procedere con l'intera squadra al largo cli Dunkirk per impedire ai trasporti dì prendere il mare. "Ma" , disse, "se

~fortunatamente riuscissero a uscire, a sorpassarci di notte e dirigere a nord, intendo distaccare una forza superiore. per raggiungerli e distruggerli e col resto detta mia squadra dar battagli'a alla flotta francese ora nella Manfca o tenerla sotto osservazione e coprire le nostre coste a seconda di quanto consigliato dalle circostanze; ovvero inseguirò i trasporti di truppe con tutte le mie forze". ln questo caso non c'era stato il tempo di organizzare , nel modo consueto, una particolare squadra o flottiglia per b locca re la linea di passaggio e si dovette usare la flotta da battaglia p er quello scopo. Stando così Le cose, Norris non intendeva lasciare che la presenza del la flotta da battaglia nemica lo attirasse lontano ta nto da perdere contatto con l'esercito - 206 -


invasore e si attenne così risolutamente a questo principio che intendeva , se i trasporti fossero usciti in mare, dirigere la sua offensiva contro di essi e allo stesso tempo contenere semplicemente la flotta da battaglia nemica con una sorveglianza difensiva. Nel caso dell'Egitto non c'era assolutamente alcuna distinzione tra i due obiettivi. La spedizione di Napoleone salpò in un 'unica massa. Ma nel condurre la sua flotta Nelson conservò l'idea essenzial e . Egli la suddivise in tre "sottosquadre ", una di sei navi e le a1tre due di quattro navi ciascuna. "Due di queste 'sottoquadre' ", dice Berry, il suo Comandante cli Bandiera, "dovevano attaccare le navi da battaglia, mentre la terza doveva inseguire, affondare e distruggere il m.aggior numero di trasporti possibile"; cioè il su o intendimento era, per rendere inoffensivo l'esercito di Napoleone, di usare non più di dieci, e possibilmente solo otto delle sue navi eia battaglia contro le undici del nemico. Si possono fornire molti altri esempi dell 'insistenza brita11nica nel fare dell'esercito nemico, e non della sua flotta, t'obiettivo p1-incipale in caso d'invasione. Nella vecchia tradizione nulla era più fermamente stabilito . Naturalmente, il suo valore era più rilevante quando l'esercito e la flotta nemici cercava110 di agire su linee d'operazione separate; cioè quando l'esercito prendeva la vera linea offensiva e la flotta la linea di copertura o preventiva e q uando, in conseguenza, per .la nostra flotta non c'era possibilità cli confusione fra i due obiettivi. Questo è stato il caso più frequente e il motivo per cui lo è stato è abbastanza semplice. Lo possiamo chiarire subilo poiché serve ad enunciare jl principio generale sul quale è stato basato il nostro tradizionale sistema difensivo . Un'invasione della Gran Bretagna deve sempre essere tentata attraverso u n mare non domi11ato. Può darsi che la nostra fl otta sia predomi nante o p uò darsi che non lo sia, ma il dominio del mare dovrà semp re essere disputato. Se abbiamo ottenuto un dominio completo, nessuna invasione pu ò essere effettuata né sarà tentata. Se l'abbiamo completamente perso, l'invasi.o ne non sarà necessaria perché, a prescindere dalla minaccia d' invasione, dovremo fa re la pace alle migliori condizioni possibili. Ora, s·e il mare non è dominato eia nessuno, ci sono ovviamence due modi nei quali un'invasione p uò essere tentata: primo, il nemico può cercare di far passare di forza, attraverso le nostre difese navali, i trasporti e la flotta in un'unica massa. Questa fu - 207 -


1.a prima idea con la quale l'invasione di Filippo II fu originalmente pianificata dal suo famoso ammiraglio Santa-Cruz. Tuttavia, una scienza militare matura fu in grado di convincerlo della debolezza del p iano. Una massa di trasporti e di navi da guerra è il più ingombrante e vulnerabile strumento di guerra mai visto. Più la difesa navale del paese minacciato è debole, più pregherà devotamente perché l'invasore usi questo espediente. Quando il contatto con la flotta nemica è certo, e particolarmente nei mari ristretti, com'era in questo caso, una tale linea d 'azione darà al difensore tutte le possibilità che può desiderare ed è impensabile che l'invasore abbia successo, sempre ammesso di essere risolutamente determinati a fare dell'esercito e dei s uoi trasporti il nostro principale obiettivo e di evitare di essere indotti a romperci la resta con tro la sua scorta. Tuttavia, quando il contatto non è certo, l'invasione attraverso ctn mare non dominato può avere successo evitando la flotta da battaglia del difensore, come fu ne l caso dell 'invasio ne napoleonica del l'Egitto. Ma quell'operazione appartiene ad una categoria completamente diversa da quella che stiamo considerando. Nessuno dei fattori sui quali è basato il tradizionale sistema difensivo britannico era presente. Fu un'operazione attraverso u.n mare aperto contro un obiettivo distante ed indeterminato che non aveva nessuna difesa navale propria, mentre nel nostro caso i fattori determinanti sono una difesa navale permanente, un obiettivo approssimativamente determinato e un mare ristretto nel quale è impossibile l'evasione da parte di una qualsiasi forza che abbia la consistenza di una forza d'invasione. ln effetti l'impresa di Napoleone non fu altro che l'evasione di un blocco aperto che non aveva alcuna difesa navale d ietro di sé. L'importanza vitale di questi particolari apparirà a mano a mano che procederemo e che noteremo le caratteristiche che hanno contrassegnato ogni tentativo d'invadere l'Ingh ilterra. Da questi tentativi escludiamo ovviamente le varie incursio ni in Irlanda le q~1ali, non avendo la consistenza di un'invasione, ricadono in un'altra classe della quale tratteremo in seguito. Poiché l'espediente di effettuare un'invasione di forza per mezzo di una poderosa scorta di navi da battaglia è sempre stato rigettato come operazione impossibile, l'invasore non ha mai avuto altra possibilità all'infuori di quella cli scegliere , per il suo esercito, una linea d'avvicinamento separata e di operare con la sua flotta in modo eia impedire al nemico di controllare quella linea. Questo, in breve , - 208 -


è il problema dell'invasione attraverso un mare non dominato. Nonostante un 'ininterrotta ·serie di fallimenti, segnata a volte da disastri navali, strateghi terrestri, dal Parma a Napoleone, si sono ostinatamente aggrappati alla convinzione che ci sia una solu zione diversa da una battaglia navale completamente decisiva . Hanno tentato, volta dopo volta, ogni espediente concepibile. Hanno provato con la semplice evasione di sorpresa e con !'.evasione per diversione o dispersione della nostra difesa navale. Hanno provato ricercando il controllo loca le con un successo navale loca le p reparato con la sorpresa o tentando di attirare la nostra fl otta lontano dalle acque metropolitane abbastanza per dar loro la temporanea superiorità locale. Ma la conclusione è sempre stata la stessa. Per quanto provassero, alla fine si trovavano d i fronte ad una di due alternative: dovevano o sconfiggere in battaglia la nostra flotta di copertura o avvicinare la loro flotta da battag lia ai trasporti, e così realizzare proprio quella situazione che intendevano evitare. La verità è che tutti i tentativi cli invadere l'Inghilterra senza avere il dom inio del mare si muovevano in u n circolo vizioso, la cui uscita non è mai stata trovata. Non importa quanto ingegnoso e complesso fosse il piano del nemico, la decisa convinzione che l'esercito nemico sia il principale obiettivo navale ha sempre messo in moto un. processo d i degradazione che ha reso impraticabile l'impresa. Le sue tappe sono d istinte e ricorrenti e possono essere espresse, quasi fossero in u n diagramma, come segue. Avendo deciso di scegliere due linee d 'operazione, l'esercito invasore è raccolto in un pu nto il più vicino possibile alla costa da invadere; cioè, laddove il mare eia attraversare è più stretto e il passaggio dell'esercito è esposto alla reazione per il più breve tempo possibile. La flotta di copertura ope rerà da un pu nto distante quanto conviene, così da attirare il nemico il più lontano possibile dalla linea d i passaggio dell 'esercito. Il difensore risponde bloccando i porti di partenza dell'esercito con una t1ottiglia d i vascelli leggeri capaci di affrontare i trasporti, ovvero stabilendo sulle coste minacciate una difesa mobile che i trasporti non possano superare senza essere assistiti; o, più probabilmente, attuerà e ntrambi gli espedienti. Il primo errore del piano d'invasione diventa in questo modo evidente. Più stretto è il mare, più è fac ile controllarlo. Evitare sempl icemente il nemico diventa impossibile e si rende necessario dare ai trasport i una sufficiente fo rza armata con una scorta cli navi da guerra, o comunque - 209 -


proteggerli contro gli attacchi della flottiglia. Il difensore rinforza subito la sua flotr iglia di unità sottili con incrociatori e navi di medio tonnellaggio e l'invasore deve fare in modo cli rompere la barriera con una squadra da battaglia. Si crea in tal modo Ltna posizione così debole e incomoda che l'intero schema comincia a crollare, ammesso che il difensore si sia ostinatamente attenuto alla strategia che abbiamo sempre usato. La nostra flotta da battaglia s i è sempre rifiutata di ricercare quella dell' invasore. Ha sempre preso una posizione, fra la flotta dell'invasore e la base d'invasione bloccata, che copriva sia il blocco sia la flottiglia di difesa costiera. Per consentire ad una squadr a da battaglia d i rompere la nostra presa e cl i rinfo rzare la scorta ai trasporti dell 'esercito, l'invasore doveva o forzare la posizione dicopertura con una battaglia o disturbarla così efficacemente da consentire alla squadra di rinfo rzo di evirarla. Tuttavia, poiché ex hypotesì egli cerca d i invadere senza assicurarsi il dominio del mare con una battaglia, egli cercherà prima d i rinforzare la sua scorta ai trasporti evitando il contatto. E subito deve affrontare nuove difficoltà. Il rinforzo presuppone la divisione della sua flotta e questo è un espediente così cattivo e cli tale turbamento per il morale ch e nessun invasore l'ha mai rischiaro. E per quesrn ragione: p er rendere possibile alla squadra distaccata d i evitare il contatto , l'invasore deve portar sotto il resto della sua flotta e attirare l'attenzione della flotta nemica e così, a meno che non abbia una grande superiorità - e per ipotesi non l'ha - egli corre il rischio che le d ue parti della s ua fl otta vengano sconf itte separatamente. Talvolta questo metodo è stato raccomandato dai Governi, ma così alte sono state le proteste sia del la flotta sia dell'esercito, che il metodo è sempre stato lasciaro cadere e l'invasore si è trovato alla fine cli un circolo v izioso. Incapace di rinforzare s uffi cientemente la scorta ai s uo i trasporti senza d ividere la f1otta da battaglia, egli è costretto a scortare l'esercito con l'intera sua forza o ad abbandonare il tentativo fino a quando il dom inio d el 11).are sia stato assicurato con la battaglia. Così il s istema britannico non ha ma i fallito nel portare il tentativo avversario ad un punto morto e si osserverà che il sistema è basato su l considerare come obiettivo principa] e l'esercir.o invasore. Manteniamo l'obiettivo sotto controllo anzitutto con una flottiglia bloccante e una difesa rinforzata da un ità maggiori a seconda delle circostanze e, in secondo luogo , con la copertura della flotta da battaglia . È s ull 'azione cl i controllo della flottiglia che l'intero sis tema è - 210 -


costruito. È la minaccia locale a q uel controllo che determina le necessità cli rinforzo della flottiglia ed è la sicurezza cl i q uel controllo che determ ina la posizione e l'azione del la flotta da battaglia . Alcuni esempi tipici serviranno a dimostrare come il sistema funzionò in pratica io t:1.1 tte le diverse circostanze. TI primo tenta tivo scientifico di agire secondo due linee di operazione, disti nto dai rozzi me todi di massa del Medio Evo, fu l'impresa spagnola del 1588. Sebbene ci si attendesse l'appoggio interno dei cattolici scontenti, esso fu pianificato con1e una vera in vasione , cioè come un'operazione continua per una conquista permanente. Parma , il Comandante in Capo terrestre, stabilì che la flotta spagnola avrebbe dovuto non solo proteggere il passaggio delle truppe e appoggiare lo sbarco. ma anche "mantenere aperte le comunicazioni per il flusso di provvigioni e di 1nunizioni ". Nel consigliare le d ue linee d 'operazione, l'intenzione o riginale del Parma era di trasferire l'esercito di sorpresa. Come sempre, ruttavia, si dimostrò impossibile tener segreto il piano e ben p rima di essere pronto egli si trovò strettamente bloccato da una flottiglia o landese appoggiata da una squadra inglese. I nvero il controllo inglese sull 'esercito nemico fu così stretto che per un certo periodo fu esagerato. Il grosso della flotta jnglese, al comando di Howarcl, fu tenuto sul la linea d i passaggio dell'esercito nemico, mentre solo Drake fu inviato verso ovest. Fu solo per l'insistenza di quel grande marinaio che venne perfezionato quello schieramento, che doveva d ivenrare tradizionale, e l'intera flotta, eccettuata la squadra di sostegno alla flottiglia bloccante, fu riunita per coprire la posiz io ne da ovest. Fu così stabilita que lla che sarebbe diventata la situazione normale e vi poteva essere un solo risultato. La sorp resa e ra fuori discussione. Panna non si poteva muovere fino a q uand o il blocco non fosse stato rotto né, di fronte alla flo tta di copertura , la flotta s pagnola poteva sperare d i rom perlo con u n'incursione inaspettata . No n si sarebbero più realizzate le vaghe speran ze che gli spagnoli avevano cu llato, cl i tenere la flotta inglese lontano dalla linea d ì passaggio dell'esercito minacciando un 'incursione nella zona occidentale del paese o b loccandola in uno d ei porti occidentali. Un tale esped ien te non avrebbe liberato il Parma e il Duca cli Meclina-Siclonia ricevette l'ordine di procede re direttamente per Dun ki rk , se possibile senza combattere, e ivi rompere il blocco e assicurare il passaggio. - 211 -


Nella men te del Re c'era l'idea che il Medina-Sidonia sarebbe stato in grado di rompere il blocco senza combattere, ma il Parma e ogni sperimentato marinaio spagnolo sapevano che la flotta inglese avrebbe dovu to essere completamente sconfitta prima che i trasporti potessero avventu rarsi fuori dal porto . Una tale battaglia era invero inevita bile e lo schieramento inglese assicurava che gli spagnoli avrebbero dovuto combatterla con tutti gli svantaggi inerenti al p iano delle due linee d'operazione. Gli inglesi si sarebbero assicurati un contatto certo a una distanza tale d alla linea di passaggio dell'esercito quale sarebbe stata consentita da prolungati attacch i in acque non familiari al nemico e vicine alle fo nti dì sostegno e rifornimento ingles i. Non sarebbe stata necessaria alcuna battaglia all'ultimo sangue, fino a quando gli spagnoli erano ammassati come una mandria nelle limitate e strette acque che il passaggio dell'esercito richiedeva e dove le due parti della fl otta britannica si sarebbero ri unite per la lotta finale. G1i spagnoli dovevano arrivarvi scoraggiati da azion i non decisive e col terrore cli mari sconosciuti e difficilissimi. Tutto questo no n e ra una questione fortu ita, era ine rente alle condizioni strategiche e geografiche. Lo schieramento inglese ne aveva approfittato. Il risultato fu che non solo l'esercito spagnolo non fu in grado d i muoversi, ma anche che i vantaggi inglesi nella battaglia finale furono così grandi che fu solo un fortunato cambio di vento che salvò l 'Armada dall 'essere gettata sui bassifondi olandesi ed essere completamente distrutta . In questo caso, naturalmente , vi fu abbastanza tempo per prendere le disposizioni nec_essarie. Sarà quindi b ene far seguire questo esempio da uno nel quale la sorpresa riuscì aù essere tanto vicina alla perfezione q uanto è possibile concepire e quando i preparativi per la d ifesa dovettero essere improvvisa ti su] momento. Il caso in questione è il tentativo francese nel 1744. In quell 'anno tutto era a favore dell'invasore : l'Inghilterra era minata dalla sedizione gìacobita; la Scozia era irrequieta e minacciosa; la Marina era decaduta in una condizione che è unive rsalmente considerata la peggiore per morale, organizzazione e comando; il governo era nelle mani dell a nota " DrunkenAdministration ". Per tre an ni avevamo fatto gue rra alla Spagna senza successo e, s ul continente, avevamo dato appoggio a Maria Teresa contro la Francia, col risultato che la nostra difesa metropolitana era stata ri dotta al s uo livell o più basso. La Ma rina aveva allo ra 183 navi - circa lo stesso 11umero di quelle di - 212 -


Francia e Spagn a un ite - ma a ca usa de ll e necessità della g Lterra nel Mediterraneo e delle basi transatlantiche, solo quarantatré, incluse diciotto navi di linea, erano dispon ibili nelle acque cli casa. Anche consid erando tu tte le navi in crociera "a distanza di chiamata", come si diceva allora, il Governo aveva a disposizion e appena un quarto della flotta per fronteggiare la crisi. Per quanto riguarda le forze terrestri la situazione e ra d i poco migliore. Ben p iù cli metà dell 'Esercito era a ll'estero con il Re che, nella sua veste di Elettore clell'Hannover, assisteva la Regina-Imperatrice . Tu ttavia, non c'era stato d i guerra fra la Francia e l'Ingh il terra. Nell'estate il Re vinse la battaglia di Dettingen; nel l'autunno seguì un'alleanza formale con Maria Teresa; la Francia rispose con una alleanza segreta con la Spagna e, pe r prevenire un'ulterio re azione b ritannica su l continente, decise di effettuare u n colpo su Londra in concomiLanza con un 'insurrezione giacobita. Doveva essere un "fulm ine a ciel seren o", prima della dich iarazione di guerra e a metà dell'inverno, quando le migliori navi della Home Fleet e rano a secco. L'operazione fu pianificata su due linee, l'esercito doveva partire da Dunkirk, la flotta di copertura da Bresr. La sorpresa fu pianificata in modo ammirevole . Il porto cli Dunkirk era stato smantellato in seguito al trattato di Utrecht del 1713 e, sebbene i frances i lo stessero segretamente ricostruendo da qualche tempo, non era ancora in grado di r icevere una flotta cli trasp o rti. Nonostante gli avvertimenti cli Si r John Norris, il p iù anziano degli ammiragli britan nici, l'assembramento nell e vicinanze cl i Dunkirk d i truppe dell 'Esercito francese delle Fiandre venne giu dicato come un movimento verso i quartieri invernali. Affinché n on sorgessero sospetti i francesi dislocarono segretamente i trasporti necessari in altri porti sotto fa lsi contratti d 'affitto. l trasporti avrebbero dovu to riunirsi a Dunkirk solo all'u ltimo momen to . Con eguale maestria fu ce1ato lo scop o della mobilitazione navale a Bresr. Con false informazioni abilmente passate alle nostre spie e con lo sfoggio cl i rifornimenti per un lu ngo viaggio, il Governo britannico fu indotto a credere che la flotta principale intendesse congiungersi con gli sp agn oli in Mediterraneo mentre un distaccamento, che avrebbe dovuto scortare i traspo1ti, fu apparentemente eq uipaggiato per u na scorreria nelle Indie Occidentali. Per quanto riguarda l'inganno, i prep arativi furono perfetti. Eppure contenevano in se stessi l'ingrediente fatale . L'Esercito avrebbe dovuto sbarcare a T Ub ury, sul Tamigi; ma per quanto com pleto fosse il segreto, il Ma resciallo cli Saxe, che era in comando, non poteva affron tare il - 213 -


passaggio sen:La scorta . Sul fiume c'erano sempre Lroppe navi corsare e mercantili armati oltre ad incrociatori che si muovevano su e giù col compito di proteggere il traffico mercanrile. Perranro, la divisione che supponevamo fosse d iretta alle Indie Occidenta li , avrebbe dovuto essere distaccata dalla flotta d i Bresl dopo l'entrata nella Manica e procedere per raggiungere i trasporti a Dunkirk mcnrre il Marchese de Roquefeuille, con la flotta principale, avrebbe tenuto a bada, con la battagl ia o col blocco, quell e navi brita nniche che avrebbero potuto essere pronte a Portsmouth. li successo non poteva apparire più semplice e sicuro; il Governo britannico sembrava dormire. Il colpo era previsto per la prima settimana di gennaio e fu solo a metà dicembre che gli inglesi cominciarono a vigilare regolarmente Brcsr con incrociatori. In seguito a i rapporti di questi incrociarori furono prese misure per preparare una squadra di eguali dimensione che potesse prendere il mare ai primi dell'anno n uovo. ln quel momento, circa ven ti navi di linea erano pronte o quasi al Norc, a Portsmourh e a Plymouth e fu ordinato un reclutamento per armarle. Per vari motivi i francesi dovettero allora posporre il loro tentativo e fu solo il 6 febbra io che Roq uefeui lle fu visto lasciare Brest con diciannove navi di linea. La notizia raggiu nse Londra il 12 e il giorno successivo fu ordinato a Norris di alzare la sua insegna a Spithead. Le sue istruzioni furono .. di prendere le misure pitì ejficaci per prevenire qualsiasi incursione contro il Regno". m Fu solo la notizia che il giovane Pretendente aveva lasciato Roma rer la Franc ia che portò a questa precauzione; il Governo non aveva ancora alcun sospetto di ciò che si stava macchinando a Dunkirk e fu solamente il 20 febbra io che un contrabba ndiere cli Dove r recò la notizia che g li aprì finalmente gli occhi .

Uno o due giorni dopo. i trasporti francesi furono visti dirigere per Dunkirk e fu rono scambiati per la flotta di Bresl e, di conseguenza, fu ro no dati o rd ini a Norris d i seguirli. lnvano egli protestò per l'interferenza; egli sapeva che i francesi erano ancora a occidente rispetto a lui, ma gli ordini furono confermati e quindi dovene eseguirli. Trasportato dalla marea s u per la Manica con vent i contrari da est, raggiunse i Downs e si congiunse con la d ivisione di Nore il 28. La

(2) Q uesto è un esempio chiarissimo del tipo di ordi ni che devono essere c.l:i Li a u n Comandante in Capo (NdT).

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storia cita spesso questo movimento errato come una felice opportunità che salvò il paese dall'invasione , ma non fu così. Saxe aveva deciso di non affrontare senza scorta le navi d el Tamigi. Se l'avesse fatto queste erano ampiamente in grado di d istruggerlo. In verità la mossa che il Governo impose a Norris rovinò la campagna e gli impecl:ì cli distruggere la flotta di Brest nello stesso momento in cui fermava l'invasione. Roquefeuille aveva appena ricevuto i suo i ord ini finali al largo di Capo Start. Egli fu incaricato dì indurre all'azione, con tutti i mezzi possibili, la principa le flotta britannica o almeno d i preven ire ulteriori concentrazioni; allo stesso tempo doveva a nche d istaccare a Dunkirk u na divisione speciale di quattro navi di linea, al comando dell'ammiraglio Barraille, per scortare i trasporti. In effetti, fu inevitabile o rdinare la suddivisione della flotta, a causa del nostro controllo sui trasporti dell'esercito. Entrambi gli ammiragli, come al solito, cominciarono ad essere turbati e, come nel caso di Medina-Sidonia, d ecisero di restare insieme fino a quando avessero raggiunto l'Isola di Wighc e di rimanervi fino a quando avessero potuto emrare in contatto con Saxe e coi piloti pe r lo stretto di Dover. Essi erano assaliti da q uell'ansia che sembra inseparabile da questa fo rma di operazio ni. Roquefeuille spiegò al suo Governo che era impossibile dire qual i navi il nemico aveva trasferito ai Downs e che Barraille, quando fosse a rrivato a l largo d i Dunkirk , avrebbe ben potuto trovarsi in inferiorità. Finì il messaggio nel modo normale, raccomandando che la flotta muovesse tutta insieme verso la linea di passaggio dell'esercito. Tuttavia, arrivato al largo d i Portsmouth, un a ricognizione eseguita nella foschia lo indusse a ritenere che l'intera flotta d i Norris fosse ancora in quel porto e, pertanto, distaccò B·arraille il quale raggi.unse tranquillamente Dunkirk. Non sapendo che Norrìs era nei Downs, Saxe cominciò immediatamente ad imbarcare le truppe, ma il te mpo cattivo ritardò l'operazione di tre giorni e così salvò d al.la distruzione la spediz ione esposta com'e ra, nella rada aperta, all'attacco che Norris era sul punto cli lanciare con la sua flottiglia cli brulotti e di navi esplosive. Anche la squadra di Bresr riuscì a sfuggire solo per u n soffio. Avendo Saxe e il suo Stato Maggiore ricevuto notizia dello spostamento cli Norris nei Downs, erano stati presi da quel mal di mare che sembra sempre affliggere un esercito che attende cli affronta re i pericoli di una traversata in un mare non dom inato. Anche loro volevano che - 215 -


l'intera flotta li scortasse e ordini erano stati inviati a Roquefeuille affinché facesse ciò che lui stesso aveva suggerito. Ignorando completamente la presenza di Norris nei Downs con un gruppo di navi di linea più potente del suo, Roquefeuille avanzò con le quindici navi che aveva ancora ai suoi ordini, per avvicinarsi a Barraille. Norris fu informato del suo avvicinamento e fu in quel momento che scrisse quella mirabile valutazione della situazione che abbiamo già citato.

"Così come la vedo io", disse Norris, "data la grande importanza per il bene di Sua Maestà di prevenire lo sbarco di queste truppe in qualsiasi parte del nostro Paese, ho ...preso la decisione di ancorare fuori dei banchi di sabbia di Dunkirk, dove saremo nella posizione migliore per bloccarle". In altre parole, egli decise di mantenere la presa sull'esercito nemico senza preoccuparsi della flotta e, poiché non conosceva l'obiettivo di Saxe, intendeva farlo con il blocco stretto. "Ma se ", continuava, "essi dovessero sfortunatamente uscire, sorpassarmi durante la notte e dirigere verso nord (cioè verso la Scozia), intendo distaccare una forza superiore per tentare di raggiungerli e distruggerli e col resto della mia squadra combattere la flotta francese attualmente nella Manica o tenerla d'occhio e coprire le nostre coste a seconda delle circostanze, ovvero seguire lo sbarco (cioè segufre i trasporti) con tutta la mia forza ". Ciò significa che avrebbe minacc iato offensivamente l'esercito del nemico e difensivamente la sua flotta; il s uo piano fu interamente approvato dal Re. Per quanto riguarda quale dei due piani avrebbe adottato, c'è da supporre che la s ua scelta sarebbe dipesa dalla forza del nemico, perché gli era stato riferito che la squadra d i Rochefort si era riunita a Roquefeuille. 11 dubbio fu presto risolto; l'indoman i ebbe notizia che Roquefe uille era a Dungeness con solo quindici navi di linea. In un attimo Norris afferrò tuni i vantaggi della posizione interna che gli erano stati offerti dalla necessità di Roquefeuille di avvicinarsi all'esercito. Con ammi revole intuito vide che c 'era il tempo'di scagliare l'intera sua forza contro la flotta d el nemico senza perdere il controllo della linea di passaggio dell'esercito. Il movimento fu esegu ito immediatamente e nel momento in cui furono avvistati i francesi fu dato il segnale dì "Caccia generale" . Roq uefeuille fu a un pelo dall'essere sorpreso nel suo ancoraggio quando una ca lma di vento fermò l'attacco. Alla calma seguì un'altra furiosa tempesta nella quale i francesi sfuggirono in un disastroso sauve qui peut e la flotta di tra sporti fu distrutta. La conclusione final e fu non solo il fal.limento - 216 -


dell'invasione, ma anche che ci assicurammo il dominio delle acque di casa per il resto della guerra. Come si è visto, l'intero tentativo, pur con ogni elemento a prop rio favore, ha mostrato il normale processo di degradazione. Nonostante il p iano così ben progettato, 1e insite difficoltà , q uando si giunse all 'esecuzione, avevano come al solito costretto il nemico ad u na rozza concentrazione della flotta da battaglia con i suoi trasporti e noi , da parte nostra, fummo in grado di prevenirla avendo tutti i vantaggi a nostro· favore, con il semplice esped iente della massa central e su lla ormai nota e certa linea di passaggio del1'esercito nemico. Nel progetto successivo, quello del 1759, un piano n uovo e mo lto intel ligente fu escogitato per evitare l'ostacolo. La prima idea del Maresciallo Belleisle, come quella di Napoleone, fu di raccogliere l'esercito ad Ambleteuse e Bou logne e di evitare l'assembramento dei trasporti facendo attraversare lo stretto furtivamente, in barconj dal fondo piatto. Ma questa idea venne abbandonata, prima che si cominciasse a metterla in pratica, per qualcosa di molto più ingegnoso. Si rinunciò a ll'ingannevole vantaggio di una traversata breve e l'esercito avrebbe dovuto partire da tre punti notevolmente separati, tu tti in acqu e più aperte: un 'incursione diversiva eia Dun kirk e altre due fo rmidabili forze da Le Havre e Morbihan nel sud della Bre tag na. Pe r assicurarsi un controllo s ufficiente , alla flotta d i Brest si sarebbero unite anche qLtelle del Mediterraneo e delle Indie Occidentali. Il nuovo elemento, come si vede, era che la nostra flotta di copertma - cioè la Squad ra Occidentale al largo di Brest - avrebbe dovuto assicurare due blocchi, un o per ogni lato. Per quanto difficile sembrasse la situazione, essa fu risolta secondo le vecchie linee. Le due d ivision i dell'Esercito francese a Dunkirk e Morbihan furono bloccate da squadre cli incrociatori in grado di seguirle in mare aperto se per caso fossero sfuggite al blocco, mentre la terza divisione a Le Havre, che come trasporti non aveva altro che barcon i dal fondo piatto, fu bloccata eia una flottiglia opportu namente sostenuta. La sua situazione era senza speranza. Non poteva muovere senza cbe una squadra la liberasse e nessuna fortunata condizione meteorologica poteva assolutamente co nsentire ad una squadra cli arrivare da Brest. Hawke, che teneva il blocco principale, poteva essere spinto al largo dal vento , ma poteva difficilmen te mancare di costringere all'azione qualsiasi squadra che tentasse di entrare nella Mani ca. Diverso era - 217 -


il caso per la forza a Morbiha n. Ogni volta che Hawke era spinto lontano dal vento, una squad ra poteva raggiungere Morbihan da Brest e rompere il blocco degli incrociatori. In effetti il Governo francese ordinò ad una parte della fl otta cli effettua re il tentativo. Tuttavia, Con1:1ans, che e ra in comando, dichiarò che l<t sua forza , a causa del fallimento della prevista concentrazione , era troppo debole per essere divisa. Boscawen aveva sorpreso e barruto, al largo di Lagos, la squadra del Mediterraneo<= sebbene la sq uadra delle Indie Occidentali fosse arriva ta, si dimostrò, come nel grande p iano di concentrazione di Napoleone, inadatta per u lteriori operazioni. Si era ripresentata la vecchia situazione, imposta dal vecch io metodo cli difesa e alla fine non c'era altro da fa re per Conflans che portare l'intera sua flotta verso i trasporti a Morbi han. Hawke gli fu subito addosso e la disastrosa giornata d i Quiberon ne fu il risultato. Solo la divis io ne d i Dunkirk si disimpegnò, ma le sue ridotte d im ensio ni , che le pem1isero cli evadere il controllo, le imped ivano anche d i fare qualche danno. La sua scorta , dopo aver sbarcato u n piccolo numero d i soldati in Irlanda , fu interamente d istrutta e così , d i nuovo, il tentativo dei francesi di invadere attraverso un mare non dominato non produsse altro effetto che la perdita della loro flotta. Il progetto del 1779 rimarcò con ancora maggior fo rza questi principi perché dimos trò che essi funzionavano anc he quando la nostra Home Fleet era di molto inferiore a quella del nemico. In questo caso l'idea dell 'invasore era di formare due forze di spedizione a Cherbourg e Le Havre e, con la copertura dì una schiacciante combinazione dell e flotte spagnola e francese, riunirle in mare e occupare Portsmouth e l'Isola di Wight. Fu all 'inizio dell'estate che avemmo sentore ciel piano e due squadre cli incrociatori e naviglio minore furo no immediatamente forma te ai Downs e nelle Isole della Manica per osservare le coste francesi e prevenire la concentrazione dei trasporti. La Spagna non aveva ancora d ichiarato guerra , ma si sospettava che l'avrebbe fatto presto e alla flotta principale, al comando del veterano Sir Charles Hard y che era stato il secondo in coman do di Norris nel 1744, fu dato ordine di dirigersi al largo cli Brest per impedire a qualsiasi squadra spagnola che si fosse presentata, di entrare in quel porto. T uttavia , i francesi ci prevennero , prende ndo il mare prima ch e Hardy potesse giungere su l posto e riunendosi agli spagnoli al largo di Finisterre. La flotta riunita contava circa cinqu anta navi di linea, quasi il doppio della nostra. L'esercito d 'invasione, con - 218 -


Du mouriez come Capo di Stato Maggiore, con tava qualcosa come 50 000 uomi ni, u na forza che non eravamo in condizioni cli affrontare a terra. Tutto, quindi, era a favore del successo dell'impresa eppure, almeno nella Marina, prevaleva un sentimento di fiducia che non ci sareb be stata alcuna invasio ne. Le menti dell a difensiva navale furono Lord Barham (allora Sir Charles ìviiddleton) all'Ammiragliato e Kernpenfelt, Capo d i Stato Magg iore della flotta , ed è alla loro corrispondenza del tempo che siamo debitori per le valutazioni strategiche più preziose in nostro possesso. L'idea dei fra ncesi era d i entrare nella Manica con la loro forza schiacciante e, men tre d istruggevano o tenevano a bada Hardy, distaccare una squadra sufficientemente forte per spezzare il blocco degli incrociatori e scortare le truppe per la traversata. Kempenfelt era fiducioso che ciò non potesse essere fatto; era sicuro che la pesante ed ingombrante massa nemica potesse essere resa impotente dalla sua fl otta , a paragone più omogenea e mobile sebbene infe riore , fino a q uando fosse rimasta in mare e verso ponente. È già stata riportata la valutazione, che egli scrisse in q uel momento, dell e potenzialità di u na flotta agile e leggera (parte m cap. m, NdT). Quando fu assolutamente ch iaro che la situazione volgeva al peggio e fu riferito che il nemico si trovava al largo dell'entrata nell a Manica, Kempenfelt scrisse a Middleton u n'altra valutazione . L'u nico suo dubbio era se la sua fl otta avesse o meno la necessaria coesione e mobilità . "Sembra che non abbiamo considerato a sufficienza" , disse, "l'indubbio fatto che la forza comparata di due flotte dipende molto dalle loro capacità veliche. La }lotta più veloce ha il vantaggio maggiore perché può decidere se ingaggiare o meno il nemico e avere cosi' la possibilità di scegliere l'opportunità più favorevole per l'attacco. Penso di poter azzardare in sicurezza l'opinione che venticinque navi di linea ramate <3) sarebbero sufficienti per tormentare e molestare questa grande e ingombrante 'Armada ', così da impedirle di realizzare alcunché, stando sempre alle sue costole pronte ad afferrare ogni opportunità di una separazione diforze, a causa della notte, di una tempesta o della nebbia, per piombare su quelle che si separan o, per tagliar fuori i convogli di vettovagliamenti diretti alla flotta e, se il nemico tentasse

(3) Navi la cui ope ra viva era rico perta cl i rame sì da proteggerne la carena e renderle più veloci (NdT) .

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un 'invasione, obbligare l'intera sua flotta a scortare i con[)ogti e anche in questo caso gli sarebbe impossibile proteggerli completamente contro una.flotta cosl attiva e mobile". Abbiamo qui, dalla penna di uno dei maggiori strateghi., la vera chiave della soluzione: cioè la faco ltà d i costringere il nemico a scortare i trasporti con il grosso della su a flotta. Naturalmente Hardy, grazie a ll'esperienza del 1744, lo sapev a benissimo e agì di conseguenza. Questo caso è ancor più si ngolare pe1·ché la difesa contro la minaccia cli invas ione non rappresentava l'intero problema da risolvere. Esso era complicato, inoltre, da[l'ordine di impedire una possibile incu rsione contro l'Irlanda e d i coprire l'arrivo dei grandi convogli. In risposta Hardy annunciò, il 1° agosto , la sua intenzione di prendere posizione da diec.i a venti leghe per 0.S.0. dalle Scilly, "che ritengo ", disse, "sia La posizione più appropriata per la sicurezza dei convogli attesi dalle Indie Occidentali e Orientali e pe1· ìncontra1·e le .flotte nerniche nel caso tentino di entrare nella Manica". Sottolineò le ultime parole ind icando, evidentemente, la sua convinzione che non si sarebbero azzardate a farlo fino a quando egli poteva tenere la sua flotta a ponente e invitta . Questo, almeno, fece fino a quando, un mese dopo, trovò n ecessario rientrare per rifornirs i; egli quindi, sempre evitando il nemico, corse non a P lymouth, bensì d irettamente a St. Helen. La mossa è stata sempre considerata una ritirata indegna e , al l'epoca , causò molto malcontento nella fl otta. Si deve tuttavia osservare che la sua condotta fu strettamente conforme al principio che fa dell'esercito invasore l'obiettivo pr.incìpale. Se la flotta cli Hardy non era più in grado di tenere il mare sen za rifornirsi, allora il posto g iusto per rifornirla era sulla linea di passaggio delJ'invasore. Fino a quando egli rimaneva lì, l'invas ione non poteva avvenire senza che fosse prima sconfitto. È vero che gli alleati fu rono allora liberi cli riun irsi ai loro trasporti, ma la possibilità di una La!e mossa non dava all'ammiragl io alcuna p reoccupazione perché gli avrebb~ offerto la possibilità d i fa re al nemico lo stesso servizio che fu fatto .agli spagnoli nel 1588. "Farò tutto il possibile ", d isse, "per attirarli nella Manica". È il vecchio principio; alla fin dei conti, a condizione che sì sia in grado d i costringere la fl otta cli copertura a scortare i trasporti, l'i nvasione diventa, specialmente in acque ristrette, un'operazione bellica dai rischi intoJlerabilì. E così fu . Il 14 agosto il Conte d'Orvilliers, Comandante in Capo alleato, era giunto al Lizarcl e per qu indici giorni s i era sforzato cli - 220 -


indurre Hardy ad una battaglia decisiva . Fino a quando non l'avesse fatto non osava né entrare con la sua flotta nella Manica né distaccare una squadra per rompere il blocco degli incrociatori alle basi d'Lnvasione. I suoi vani sforzi esaurirono l'autonomia della sua flotta, che la lontana concentrazione a Finisterre aveva già seriamente minato, e fu costretto a rientrare impotente a Brest senza aver realizzato alc unché. Gli alleati non furono in grado di prendere cli nuovo il mare in quella campagna, ma anche se fossero stati in grado cli farlo, Hardy e Kempenfelt avrebbero potuto giocare indefinitamente la loro partita difensiva e, all'avvicinarsi dell'inverno, con sempre crescenti possibilità di sferrare un colpo mortale. Non ci fu mai una vera possibilità cli successo sebbene s ia vero che Dumouriez pensasse il contrario. Egli credeva che l'impresa si sarebbe potuta attuare se il g rosso della flotta ~1vesse effettuato una diversione contro l'Irlanda e sotto la copertura di un coupe de main conlro l'Isola di Wighl , "per il quale ", disse, "sei o otto navi di linea sarebbero state si~flìcienti". Ma è inconcepibile che vecchie volpi come Hardy e Kempenfelt si sa rebbero fatte così facilmente ingannare da lasciare la loro presa sulla linea di passaggio dell'esercito. Se una tale divisione fosse stata distaccata dalla flotta alleata su per la Manica, essi, secondo la tradizione, l'avrebbero certamente seguita o con una forza superiore o con l'inLera loro squadra. I ben noti progetti della Grande Guerra< 4) segu irono lo stesso incl irizzo. Sotto la dire zio ne cli Nap9leone percorsero 1'intera gamma cli tutti gli schem i che in precedenza avevano semp re sollevato illusorie &peranze. Cominciando fin dall'iniz io con l'idea di far passare furtivamente l'esercito su barconi dal fondo piatto, Napoleone incontrò l'usuale difesa di flottiglia. Fu la volta, quindi, della sua unica idea o riginale, quella di armare la sua flottiglia di trasporti fino al punto di darle la potenza sufficiente per forzare da sola il passaggio. Rispondemmo rinforzand o Ja nostra flottiglia. Convinto dalle prove che il suo schema era divenuto im praticab ile, o rientò i suoi pensieri verso una rottura del blocco con l'improvvisa incursione di una squadra veloce proven iente da lontano. A questo scopo furono studiati vari plausibili schemi, ma uno dopo l'altro i piani gli si sciogli evano tra

l4) Allude ovviamente alla guerra contro Napoleone (NdD.

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le mani fino a q uando fu costretto ad affrontare l'inevitabile necessità di far congiungere con i suoi traspo1ti una forza da battaglia schiaccian te. L'esperienza cli du e secoli non gli aveva insegnato nuHa. Egli credeva che, con una concentrazione più distante di quanto non fosse mai sta to tentato prima, avrebbe p otuto rompere la fata le presa nemica. L'unico risultato fu quello di esa urire così severamente la prop ria flotta che essa non poté mai giungere a portata delle reali d iffi coltà del suo compito, un compito che ogni ammiraglio al suo servizio sapeva essere oltre le possibilità della Marina Imperiale. Napoleone non si avvicinò nemmeno alla soluz ion e del problema che si e ra proposto: l'invasione attraverso un mare non dominato. Con l' ininterrona vigilanza della nostra flottiglia, coperta da un 'automatica concen trazione di squadre da battaglia al largo d i Ognissanti, il s uo esercito n on avrebbe ma i potulo partire, a meno che la s ua flotta n on avesse inflitto alla nostra flotta cli copertura una sconfitta tale da d argli il dominio del mare e, con il contro llo assoluto del mare iJ passaggio di un esercito non p resenta alcuna difficoltà. Non abbiamo alcun esempio del funz ionamento di questi principi nelle condizioni moderne. L'acquisizione del libero movimento deve necessariamente modificare la loro ap plicaz ione e da quando è stata inventata la propulsio ne a vapore vi sono state solo du e i_1was ioni attraverso un mare non dominato - quella della Crimea nel 1854 e quella della Manciuria nel 1904 - e nessuno d ei due casi rientra nel nostro argomento perché in nessuno dei du e casi ci fu un tentativo di difesa navale. Tuttavia non sussiste alcun motivo per credere che una tale difesa, applicata nel vecchio modo, sarebbe stata meno effi cace di un tempo. La flottiglia era alla base di tutto e da quando è stato in ventato il silu ro la potenza d ella flottiglia è grandemente aume ntata. Il s uo effetto materiale e morale contro i trasporti d eve certamente essere più grande che mai , mentre è più limitata la capacità delle squadre di rompere il blocco di flottiglia . Àn che le mine sono quasi interamente a favore della difesa, a tal punto, invero , da rendere quasi impossibile un rapido coup de main con tro qua lsiasi porro importante . Nella totale mancanza di esperienza è a queste considerazioni teorich e che dobbiamo rivolgerci. Da l punto di vis ta teorico, il su ccesso del n ostro vecchio sistema di difes a dipendeva da quattro relazioni. In primo l uogo la relazione fra la rapidità con cui u na forza d'invasione può essere mobilitata - 222 -


e imbarcata e la rapidità con cui può essere riferita la conseguente attività nei porti e nelle places d 'annes del nemico; in altre parole , le possibilità di sorpresa e di evasione delle difese sono proporzionali al rapporto fra la velocità della preparazione e la velocità dell 'intelligence. Secondo: la relazione fra la velocità dei convogli e la velocità degli incrociatori e della flottiglia di difesa; cioè la nostra capacità di prendere contatto con un convoglio, dopo che ha preso il mare e prima che la spedizione possa essere sbarcata, è proporzionale al rapporto fra la velocità dei nostri incrociatori e d ella nostra flottiglia e la velocità del convoglio stesso. Terzo: la relazione fra la potenza di fuoco dei moderni incrociatori e delle unità sottili contro un convoglio non scortato, o debolmente scortato, e la corrispondente potenza al tempo della vela. Qua1to: la relazione fra la velocità dei convogli e quella delle squadre da battaglia, che è importante quando i trasporti nemici siano fortemente scortati. Da questa relazione dipende la possibilità per le squadre da battaglia che coprono la nostra difesa mobile, di assicmarsi una posizione interna dal.La quale essere in grado d i attaccare o la squadra da battaglia nemica, se si muove, o il convoglio prima che possa completare il passaggio ed effettuare lo sbarco. I Jecenri sviluppi sembrano aver modificato tutte queste relazioni in favore della difesa. Nel primo rapporto, quello fra la velocità di mobilitazione e que lla cli intelligence, è ovviamente vero. Per quanto la mobilitazione di truppe possa essere ancora tanto rapida quanto quella delle fl o tte , l'intelligence ha superato entrambe. Questo vale sia per l'acqu isizione che per la trasmissione cli info rmazioni. I preparativi di invasione oltremare non sono ma i stati facili da nascondere a ca usa del disturbo che causava no sul normale flusso marittimo . Furono prese precauzioni elaborate per prevenire fughe di notizie tramite il commercio, ma non ebbero mai completamente successo. Eppure un tempo, nelle condizioni di relativa rozzezza con le quali era organizzato il traffico marittimo internazionale, l'occultamento era relativamente facile, almeno per un certo tempo. Ma la sempre crescente sensibilità ciel commercio mondiale, quando i movimenti ciel mercato vengono registrati d i ora in ora anziché ogni settimana, ha au mentato enormeme nte le difficoltà. E, a parte la rapidità con la - 223 -


quale le informazioni possono essere raccolte per mezzo d i questo segnale d'allarme e per l' intima comu nione fra le Borse, vi è l'ancora più importante fatto che con la radio la velocità della trasmjssione dell' intelligencenavale è au mentata molto di più della velocità delle navi in mare. Lo stesso dicasi per la differenza fra le velocità degli incrociatori e del convogli o, dalla quale tanto dipende la possibilità di evasione. Al tempo delle fregate a vela il Tapporto sembra non fosse superi ore al sette a cinque. Ora, nel caso di grandi convogl i, sarebbe p robabilmente il doppio. Si è già dello abbastanza della potenza cli fuoco della floltigl ia cli unità sottili , che aumenta ogni anno. Con l'avvenco del siluro e del sommergibile questa potenza è probabilmente aumentata di d ieci volte. In minor grado, ciò è vero anche per gli incrociatori. Un tempo . la capacità materiale cli un incrociatore di danneggiare un convoglio disperso era, in paragone, bassa a causa del suo relativamente basso vantaggio di velocità e della limitata gittata e potere distrutrivo dei suoi cannoni. Ora, con una più alta velocità e u na maggiore gittata e potenza dei cannon i, la ca pacità degli incrociatori cli fare a pezzi un convogli o rende quasi certo il suo pratico annientamento una volta che sia staro scoperto e , pertanco, costi tuisce u n deLerre nte psicologico di gran lunga superiore a quello d 'una volta, nei confronti c[j chi affidasse il successo dell'impresa solo allo sfuggire le forze avve rsarie. L'aumentato rapporto fra la velociLà delle squadre da battaglia e i g rossi convogli è egualmente indiscutib ile e non meno importante , perché la fac ili tà di trovare posizioni interne che esso implica, è alla radice del vecchio sis tema. Fino a q uando la nostra fl otta cla battaglia si trova in una posizione da lla qua le può coprire la nostra flottiglia bloccante e colpire il convoglio nemico in trans ito, essa costri nge la fl o tta da battag lia nemica a sefrare sul convogli o e ciò , come fece notare Kempenfelt, è p raticamente fata le per il successo dell'invasione . Quindi, da qualsiasi punLO di vista si osservino le future r oss ibilità di successo di un'invasione attraverso un mare non dominato , semb rerebbe no n solo che il. vecchio sistema sia ancora va lido, ma che tutti i recenti sv iluppi che riguardano il problema concorrano ad aumentare i risultati che la nostra Marina era solita aspettarsi con tanta fiducia e che mai ha mancato di assicurarsi. - 224 -


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ATTACCO E DIFESA DEL TRAFFICO MARTn'IMO

L'idea base dell'attacco e della difesa de l traffico mariLLimo può essere riassunta nel vecchio adagio: "Gli avvoltoi si radunano dove ci sono te carcasse". Le aree più fertili hanno sempre attirato g li attacchi più violenti e, pertanto, hanno sempre ri chiesto la difesa piC-1 forte; fra le aree fertili e quelle non fertili era possibile tracciare 1.1na Linea che, per scopi strategici, era definita e costante. Le aree fertili erano i terminali di partenza e d i destinazione, laddove il traffico tende a raccogliersi e, in secondo l-uogo, i p unti focali dove, a causa della conformazione della terra, il traffico tende a convergere. Le aree non fertili erano le grand i rotte che passavano attraverso i p u11li focali e un ivano le aree terminali. In conseg uenza l'anacco al traffico tende ad assumere una delle due seguenti forme: può rivolgersi ai termi11ali o può essere oceanico. L'attacco ai termina li è il più proficuo, ma richiede maggio r forza e risch io; quello oceanico è il più incerto, ma implica minor forza e rischio. Queste considerazfoni ci conducono direttamente al paradosso che sta all a base dell 'ininterrotro fa llimento dei nostri nemici nell'esercitare su d i noi una pressione decisiva con operazioni contro il nostro traffico mercantile. Cioè che laddove l'attacco è p iù temuto, la difesa è più facile. Un piano di guerra che abbia come obiettivo primario la d istru zione del commercio implica che la parte che lo adotta sia inferiore in mare . Se avesse la superiorità, il suo obiettivo sarebbe di trasformare quella superiorità in un dominio del mare effettivo tram ite la battaglia o il blocco. Pertanto, eccetto i rari casi nei quali le forze opposte sono eguali, dobbiamo presumere che il bell igerante che fa della distruzione del commercio il suo obiettivo primario debba anche affrontare una flotta supe riore. O ra, è vero che b difficoltà dl d ife ndere il commercio risiede principalmente nella vastità del mare interessato, ma , d 'altro lato, le aree nelle quali il traffi co tende a rnccogliersi, le sole in cu i è seriamente vulnerabile, sono poche e ristrette e possono essere facil mente occu pate se si è superiori per forze. Al di fuo ri di quelle aree un'occupazione efficace è in1possibile, ma lo è anche un attacco efficace. Da tutto q uesto deriva il dato fo ndamentale della guerra al traffico co mmerciale: la facilità cli attacco significa faci lità di difesa. - 225 -


A fianco di questo p rincipi? fondamentale dobbiamo porne un altro che non è meno importante. Data la genera le natura comune delle comunicazioni marittime, l'attacco e la difesa del traffico commerciale sono così intimamente legati che un'operazione è quasi indistinguibi le dall'altra. Entrambi i concetti sono soddisfatti con l'occupazio ne delle comun.i cazioni comuni. La forma più forte d i attacco è l'occupazione dei terminali del nemico e l'attuazione cli un blocco commerciale dei relativi porti. Ma, poiché questa operazione di solito richied e il blocco cli u n vicino porto militare , di regola costituisce anche uno schieramento difensivo per il nostro stesso traffico, anche quando l'area terminale nemica non si sovrappone ad una delle nostre . NelJ 'occupazione di aree focali i d ue concetti sono ancor più inseparab ili poiché la maggior parte , se non tutte queste aree, si trovano su lin ee di comunicazione che sono comun i. Pertanto, sarà sufficiente trattare l'aspetto generale dell'argomento dal pu nto d i vista della d ifesa. Fu in relazione alla differenza fra aeree fertili e non fertili che venne sviluppato il nostro vecchio sistema di difesa d el traffico marittimo. In linea di massima quel sistema prevedeva di tenere con forza i terminali e, in casi importanti, anche i punti foca.li. Per mezzo di squadre da battaglia appoggiate da un buon numero cli incrociatori, si costituivano aree d ifese, o "zone" secondo il vecchio termine, e il traffico veniva considerato sicuro una volta che vi entrava. Di regola, le rotte commerciali intermedie erano lasciate indifese. Così i nostri terminali nazionali erano tenuti da due squad re da battaglia, la Squadra Occidentale all'ingresso della Manica e la Squadra del Mare del Nord , od Orientale, con il suo q ua rti er generale normalmente nei Downs . A queste fu aggiunta una squadra di incrociatorì in Irlanda, con base a Cork, che a volte era alle dipendenze della Squadra Occidentale e a volte era indipendente. L'area della Squadra Occidentale, durante le guerre con la Francia, si estendeva, come abbiamo visto, sull'intero Golfo d i Biscaglia , con la doppia funzione , per quanto riguardava il commercio, di prevenire l'usci ta dai porti nemici di squadre corsare e cl i agire offensivamente contro iJ traffico atlantico nem ico. L'area della Squadra ciel Mare del Nord si estendeva dall'emrata del Baltico alle acque a nord della Scozia . La sua funzio ne principale, durante le grandi coalizioni navali con tro di noi, era quella di controllare le operazioni delle squadre olandes i o di preven ire l'intru sione dal nord di quelle fra ncesi contro il nostro traffico dal Baltico. Così - 226 -


come la Squadra Occidentale, anch'essa inviava divisioni, normalmente dislocate a Yarmouth e Leith, per la protezione del nostro traffico costiero da navi da corsa e rari incrociatori che agivano dai porti dell'area difesa. Similmente , fra i Downs e la Squadra Occidentale vi erano, di solito, u na o p iù piccole squadre, prevalentemente di incrociatori, generalmente collocate fra Le Havre e le Isole della Manica, che avevano la stessa funz ione riguardo ai porti normanni e bretoni del nord. A comple tare il sistema vi erano pattugliamenti d i flottiglie di unità sottili alle dipendenze dei Comandanti dei porti, che facevano del loro meglio per controllare le rotte del traffico costiero e locale, che allora aveva un'importanza che col tempo si è persa. Nelle acque nazionali il sistema, ovviamente, è variato col varia re dei tempi, ma sempre secondo queste linee generali . La difesa navale era completata dalla d ifesa dei porti di rifugio, i principalì dei quali si trovavano s ulle coste d 'Irlanda per la protezione del traffico oceanico, ma altri in gran numero erano disponibili, all'interno delle aree difese, contro Le operazioni dei corsari. Le rovine delle postazioni di batterie lungo tulte le coste britanniche testimoniano ancor oggi q uanto comple ta fosse l'organizzazione. Un sistema sim..ilare regnava nelle aree coloniali, ma qui la difesa navale era affidata normalmente a squadre di incrociatori rinforzate da una o due navi di linea, con lo scopo principale di mostrare la bandiera. In queste aree erano d islocate squadre da battaglia solo quando il nemico minacciava operazioni con forze similari. La difesa di secondaria importanza o ìnterna contro navi corsare locali era, di massima, locale; cioè la gran parte delle unità della flottiglia era costituita da sloops costruiti o affittati in loco, essendo essi meglio adatti per quel tipo di servizio. I punti focali non erano allora così munerosi come lo sono diventati da quando sì è svìluppato il traffico con l'estremo o riente. Il più importante, lo stretto di Gibilterra, veniva trattato come un'area d ifesa. Dal punto di vista della difesa del commercio era affidato alla squadra del Mediterraneo. Tenendo d 'occhio Tolone, que lla squadra copriva non solo lo stretto, ma anche i punti foca li all'interno di quel mare. Anch'essa aveva le sue d ivisionì distaccate, talvolta fino a quattro, una nelle vicinanze di Livorno, una in Adriatico , una terza a Malta e la quarta a Gibilterra. Neì casi di guerra con la Spagna quest'ultima divisione era molto fo1te, per poter rendere sicure le aree foca li contro le navi d i stanza a Cartagena ed a Cadìce. In effetti, in un'occasione, - 227 -


nel 1804-1805 come abbiamo visto, fu costituita per un breve periodo u n'area indipendente con una squadra speciale. In ogn i caso l'area di Gibilterra aveva la sua flottiglia cli guardia interna, sotto la direzione cle ll 'arruniraglio comandante il port o. per la di fesa contro i corsari e i pi.rati locali. Si può osservare come la Leoda generale per la difesa cl i questi terminali e aree foca li fosse quella cli tenere in forze quelle acque rese più fertili dalla convergenza ciel traffico e che q uincli si prestavano bene alle operazioni cl i squadre corsare. Nonostante l'elaborato sistema difens ivo, tali squadre potevano effettuare, e talvolta ef~ertuarono , incursioni cl i sorpresa o fu rtive riuscendo così a sfidare sia le scorte ai convogli sia gli incrociatori cli pattuglia. Tuttavia, come ha dimostrato l'esperienza, il sistema della difesa dei terminali da parte di squadre eia battaglia rendeva impossibile a tal i squadre corsare cli rimanere in zona abbastanza a lungo per causare qualche seria interruzione al traffico o proc urare danni gravi. Il sistema poteva essere demolito solo da una flotta regolare d i forza superiore. In altre parole la d ifesa poLeva cadere solo quando i nostri mezzi di contro1lo locale fossero stati distrulti in battaglia. Q uesto per quanto riguarda le aree d ifese. Per quanto invece riguarda le grand i rotte che le cong iungevano, si è detto che venivano lasciate indifese. Con ciò si intende dire che la sicurezza delle navi che le percorrevano non era assicu rata da pa ttugliamenti, bensì da scorte. Fu adottato il sistema dei. convogli e la teoria d i quel sistema è che i bastimenti, qltando percorrono le grandi rotte marittime, sono di norma soggetti solo ad attacchi sporad ici e, d i conseguenza, vengono riuniti in flotte e dotati cli una scorta sufficieme a respingere quel tipo di attacco . Tn teoria è sufficiente u na scorta di incrociatori, ma in pratica si trovò conveniente ed economico assegnare in parte il compito a navi di linea che uscivano per congiungeFS i a squadre dislocate nei lontani terminal i o che ritornavano dagli stessi per riparazioni o altre ragjoni; in altre parole. il sistema delle navi che si rilevavano all'estero fu fatto funzionare insieme al sistema supplemen ta re di scorta . Quando tali navi non erano d isponibili ed i convogli erano di gran valore, o q uando si sapeva che vi erano in mare navi di linea nemiche, unità similari erano distaccate in modo specifico per il compito di scorta all'andata ed al ritorno , ma questo uso delle unità da battaglia era eccezionale. - 228 -


Questo modo di considerare le grandi rotte marittime è il corollario delJ' idea delle aree difese . Come quelle a ree erano fenili e vernsimilmente idonee ad attrarre squadre corsare, così le grandi rotte non lo era no e nessu n nemico poteva permettersi di destinarvi delle squadre. Tuttavia, è ovvio che il sistema avesse iJ st10 lato debole perché il solo fatto che un convoglio fosse su una delle grandi rotte tendeva ad attirare una squadra nem ica e la relativa immunità cli quella rotta e ra persa. Il pericolo fu in gran parre ovviato dal fatto che i porti nemici dai quali poteva uscire una squadra navale erano tutti all' interno delle a ree difese ed erano control lati dalle nostre stesse squadre. Eppure, la g uardia non p oteva essere resa impenetrabile. C'era sempre la possibilità che una squadra riuscisse a sfuggiJe e se sfuggiva verso una rotta di traffico critica, doveva essere inseguita. Pertanto ci furono momenti nei quali il sistema dei convogli d istmbò seriamente i nostri schieramenti come, per esempio, ne ll a crisi della campagna di Trafalgar quando, per un breve periodo, la nostra catena d i aree d ifese fu rotta dall'evasione della squadra di Tolone. Quell'evasione alla fine ci costrinse ad effettuare una stretta concentrazione sull a Squadra Occidentale, ma , a parte tutte le altre considerazion i, si ritenne impossibile mantenere quella massa per più di dLLe giorni a causa del fatto che si stavano avvicinando i grandi convogli delle Indie Occidentali e Orientali e il ritorno di Villeneuve dalla Martinica al Ferro! li esponeva ad attacchi di squadra. Tn effetti era impossibile capire se non ci avesse indotti a riun ire quella massa proprio a questo scopo. L'obiezione strategica più seria al sistema dei convogli risiede proprio nella necessità cli dover adottare soluzioni di questo tipo. Si pensò di minimizzare il per icolo assegnando ai convogli una rotta segreta, quando c'era il timore di interferenze da p arte cli squadre nemiche . Ciò fu fatto nel caso appena citato, ma la p recauzione non sembrava diminuire affatto l'ansietà. Può darsi che fosse perché in quei giorni nei quali le comuni cazioni erano lente non ci poteva essere alcuna certezza, come c'è invece o ra, che le indicazioni per la rotta segreta fossero state ricevute. Gli sviluppi moderni ed i cambiamenti nei bastimenti e nel materiale nava le hanno invero così profond amente modificato il complesso delle condizioni della protezione del commercio ma rittimo che non vi è nessun'altra parte della strategia nella q uale la deduzione storica sia più difficile e p iù soggetta a errori. Pe r evitare il più possibile questi e rrori è essenziale tenere in mente questi sviluppi a ogn i - 229 -


passo. l più imponanci sono Lre: primo, l'abolizione d ei corsari privati; secondo, il ridotto raggio d'azione di tutte la navi da guerra; terzo, l'avvento della telegrafia senza fili. Ve ne sono altri dei quali dovremo discutere al momemo giusto, ma questi tre vanno direttamente alla radice de ll'intero problema. Per quanto sia difficile ottenere statistiche esatte sulla distruzione del commercio durante le passate guerre, una cosa sembra certa: il grosso delle catLUre di navi mercantili , che assommava a centinaia e a volte a migliaia cli unità, fu dovuto a ll'azione dei corsari privati. Sembra anche certo che, a giudicare almeno dai numeri, la maggior parre del danno fu prodotto da piccoli corsari privati che operavano vicino a lle lo ro basi, sia nazio nali sia coloniali , contro il traffico costiero e locale. Le lagnanze dei mercanti, per quanto noto, si riferiscono principalmente a questo tipo dì danno nelle Indie Occidentali e nelle acque di casa mentre sono relativamente rari i rapporti di importanti catture effettuate da corsari privati in allo mare. Il danno effeuivo fatto da sciami di piccoli bastimenti può non essere stato grande, ma i suoi effetti morali furono molto seri. Anche per il Governo più forte era impossibile ignorarli e la conseguenza fu un d isturbo cronico deg li schieramenti strategici a più vasto raggio. Mentre questi schieramenti erano adeguati a controllare le operazioni dei grossi corsari privaci, che agiva no nello stesso modo degli incrociat0ri corsari , i corsari più piccoli avevano mano libera di agire tra le maglie della rete proteLtiva e potevano essere contraslati solo riempendo gli spazi con sciami di piccoli incrociatori, a serio detrimento degli schieramenti a più vasta scala. Anche così, la prossimità dei porri nemici rendeva talmente fa cile la fuga che l'opera di repressione risu ltava molto inefficace. Il caso in questione è, in effetti, molto simile alla guerra di popolo. Gli ordinari mezzi della strategia fallirono tanto completamente q uanto i metodi di Napoleone contro i guerriglieri in Spagna .o quanto i nostri in Sud Africa, così a lungo inadeguati. Sembrerebbe quindi che, con l'abolizione della guerra di corsa privata, sia stata e liminata la parte più inquietante del problema. Naturalmente è ince rto fino a che punto sarà osservata, ne lla pratica, la Dichiarazione cli Parigi. Perfin o le parti contraenti potrebbero eludere, in maggior o minor misura, le sue restrizioni armando navi mercantili come navi da guerra regolari. Ma è inverosimil e chetali metodi siano esLes i oltre i più grossi basti menti privati. Q ualsiasi tentativo di far rivivere in questo modo i vecchi metodi picareschi - 230 -


pu ò solo portare al virtuale ripudio di u na legge internazionale riconosciuta, il che comporterebbe la relativa p LLnizione. Inoltre, almeno per le acque nazionali, non esistono più le cond izion i che favorivano questa guerra picaresca. Nell e guerre passate il grosso del nostro traffi co giungeva al Tamigi e da q ui la maggior parte veniva distribuita con piccoli bastimenti costieri. Era contro questo traffico costiero che i corsari privati piccoli e con b1·eve autonomia trovavano le loro oppo rtunità e le più ricche messi . Ma ora, da q uando sono stati istituiti altri grandi centri di smistamento e il grosso della d istribuzione a vviene lungo linee di comunicazione interne, la Manica non è più l'unica arteria e il vecchio fas ti d ioso distu rbo pt1 ò essere evitato senza una fa tale disorganizzazione d el nostro sistema commercia le. Esiste q uindi la probabilità che in futuro l'intero problema diventi più semplice e che il compito della protezione d el comme rcio entri nell 'ambito del processo strategico generale più di quanto non lo sia mai stato prima, con il risultato di scoprire che il cambiamento sarà sostanzialmente in favore della difesa e sfavorevole all'offesa. Non meno importante è la riduzione del raggio d'azione delle nav i. Ai vecchi tempi Lll1a nave poteva essere approvvigionata per una crociera d i sei mesi e, fi no a q uando poteva occasionalmen te rifornirsi di alimenti e di acqua, poteva liberamente percorrere i mari al di fuori delle aree d ifese per l'intero periodo e con inalterata vitalità. Per tali o perazioni oceaniche il suo movimento era praticamente senza restrizioni. Poteva fuggire per due o tre giorni da un nemico superiore di forze o dar caccia per lo stesso tempo senza perdere energia e poteva aspettare indefinitamente in un certo punto, o cambiare la sua zona a seconda del pericolo o della speranza di bottino. Fino a q uando aveva u omini per armare le sue p red e , la sua capacità d i fa r danni era quasi illimitata. Turto questo è ora mutato . Oggigiorno le capacità di crociera di una nave sono molto limita te; essa è confinata a brevi incursioni all'interno d i un'area strategicamente d ifesa ovvero, se è destinata ad op erazioni oceaniche, è costretta ad andare così lontano per trovare acque indifese che il suo combustibile le permetterà solo po chi giorni d i effettiva crociera . Un pa io d i cacce ad alta velocità durnnte quel periodo possono costringerla a tornare immediatamente in porto , a me n.o della preca ria possibìlità di rifornirsi cl i carbone da una delle sue pred e . Inoltre , si deve considerare il fa tto che armare leprede riduce necessa ria mente la ca pacità della 1?,ave di sviluppare velocità, che dipende molto dalla quantità del personale di macchina. Tutto - 231 -


questo tenderà a mettere a repentaglio la sua possibilità cli rientrare attraverso le aree difese o vicino alle stesse. L'unico modo per sfuggire a q uesta difficoltà è cli affondare la nave catturata, ma questo, naturalmente, crea inconvenienti non meno pesanti dell'altro. Nessuna nazione affronterà il biasimo generale affondando una p reda con tutto l'equipaggio e il trasferimento dello stesso s ulJa nave corsara richiede tempo, specialmente con mare mosso, e la presenza di un cerro numero di questi prigionieri su un incrociatore diventa presto una limitazione seria alle sue capacità belliche. Inoltre, nel caso cli grandi navi, la distru zione non è una cosa semplice. Nelle circostanze più favorevoli richiede un tempo considerevole e così non solo diminuisce l'autonomia dell'incrociatore, ma diminuiscono anche le sue possibilità d 'evasione. Da queste e da considerazioni simili risulta ovvio che le possibilità di operazioni sulle grandi rotte del traffico sono molto meno ampie di quanto non lo fossero prima; parlare di incrociatori che "infestano" quelle rotte è pura esagerazione. Nelle condizioni attuali è tanto poco fattibile quanto lo sarebbe mantenere un blocco permanente delle isole britanniche. Esso richiederebbe un flusso di navi in numero tale che nessun paese, escluso il nostro, può proporsi di possedere e tale eia non poter essere mantenu to senza essersi prima assicurata una decisa supremazia navale. Pertanto la diminuzione del raggio d'azione, sebbene non au menti la capacità di difesa, diminuisce sensibilmente quella di attacco con operazioni oceaniche. Per quanto riguarda il grande aumento delle capacità difensive dobbiamo considerare gli straordinari svi luppi dei mezzi cli comunicazione a distanza. Nelle condizioni d i un tempo era possibile per una nave corsara rimanere per giorni in una zona feni le ed effettuare un certo numero di catture prima che la sua presenza fosse nota. Ma ora, da quando la maggior parte dei grossi mercantili sono stati dotati di telegrafo senza fili, il corsaro non può attaccarne urto senza il timore cli richiamare su di sé un avversario. Inoltre, una volta che il corsaro sia localizzato, ogni nave a distanza di contatto radio può esse1·e informata della s ua presenza e quindi evitarlo. Il corsaro deve continuamente cambiare cli posizione, riducendo così ulteriormente le sue capacità d i permanenza in mare. Nell'insieme, quindi, sembrerebbe che per quanto riguarda l'influenza della tecnica moderna SL1l problema, essa renda certamente le operazioni oceaniche molto più difficili e incerte cli quanto non lo fossero un tempo . Le capacità di attacco sulle - 232 -

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grandi rotte sono state ridotte e i mezzi d'evasione sono aumentati rnlmente che la difesa del traffico fra le aree tcm1inali richiede di essere completamente riconsiderata. Sembra che sia interessata l'incera base su lla quale era fondato il vecchio sistema. Q ue lla base era il sistema elci con\'ogli e ora diventa dubbio se la maggior sicurezza consentita dai convogli sia sufficiente a bilanciare gli svantaggi economici e la tendenza a causare inconvenienti strategici. Oltre alle considerazioni già citate ve ne sono altre u-e, ciascuna de lle quali favorisce la sicurezza dei nostri traffici, consentendo cli avere una p iù amp ia scelta di rotte. La prima è che i bastimenli a vapore non sono costretti a percorrere particolari rotte per sfrunare i venti favorevoli . La seconda è che i progressi nell'arte della navigazione non re nd ono più necessario effeLLuare, durante il transito, atterraggi su coste ben note.< '» La terza è che l'aumento numerico dei nostri grandi porri di distribuzione ha suddiviso il vecchio flusso principale del traffico nella Man ica in un certo numero e.li nussi minori che coprono un'a rea molto più vasca e richiedono una maggiore distribuzione cli forze per un·offesa efficace. Risulterà ovvio che l'effetto combinato cli q uesLe considerazioni è quello di a umentare ancora di pili le possibilità per un bastimento isolato e.li evitare i corsari nemici e di diminuire il rischio della rinuncia alla scona. Le nu ove d ifficoltà pratiche che incontrano le operaz ioni sporadiche sulle grandi rotte non sono gli unici argomenti che min imi zzano il valore dei convogli. Dobbiamo anche ricordare che mentre il numero di bast imenti me rcantili che percorrono l'ocea no è enormemente aumentato dal 1815, è difficile, anche se l'abolizione e.lei corsari privati si dimostrasse un fallimento. che il numero cli incrocia tori d isponibili per attac:chi oceanici possa eccedere . o anche solo eguagliare. quello dei tempi della ve la. Anche questa considerazione, quindi. de, e essere messa sulla bilancia contro i convogli poiché è certo che la quantità e.li serio danno operativo che un nemico può fare al nostro Lraffico con operazioni ocean iche è determinata principalmente dal rapporto fra la forza dei suoi incrociawri e il volume cli que l traffico. Tuttavia, questo aspetto del problema è parte cl i un prob lema p ili vasto che conce rne la relazione fra il volume de l

(5) Si riferisc<: al ricono:;dmento d i punri coslieri cospicui per comrollare la corret-

tezza della navigazione (NdR>.

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nostro traffico e le difficoltà della sua difesa e dovrà essere considerata più avanti. Rimane da considerare la maglia finale del vecchio sistema di difesa . L'affermazione che le grandi rotte e rano lasc iate indifese sembrerà in contrasto con la prevalente impressione derivante dal fatto che le fregate sono menziona te per essere continuamente "in crociera". Ne deriva la supposizione che esse, in effetti, pattugliassero le grandi rotte. Ma non è così, né esse vagavano per ìl mare a piacere; esse costituivano una prec isa e necessaria parte de l sistema. Sebbene quel sistema fosse fondato sulla distinzione fra i terminali difesi e le rotte indifese, che era una reale distinzione strategica, era impossibile tracciare una vera linea fra l'inizio di una sfera e la fine dell 'altra. Al di fuori delle aree regolarmente difese vi era una regione che, al convergere delle rotte, era relativamente fertile. In questa regione g li incrociatori e i maggiori corsari privaci nemici trovavano l'equilibrio fra rischio e profitto. Quivi, anche i convogli, come entravano in zona, correvano i maggiori pericoli per il timore che le loro scone p0tessero essere sopraffatte dalle squadre corsare. Pertanto era regola, quando si attendeva l'arrivo dei convogli, di far uscire dalle aree difese gruppi di potenti incrociatori e perfino divisioni di navi da battaglia, per incontrarli e rinforzare le loro scorte. I convogli in partenza avevano le scorte egualmente rinforzare fino a quando erano fuori dalla zona pericolosa. Il sistema era regolarmente usato sia ne lle aree nazi onali sia in quelle coloniali . In nessun senso esso costituiva un pattugliamento delle rotte. Era , in pratica e concettualme nte, un sistema di avamposti c he , nei momenti di particolare rischio, diventava un'estensione delle aree difese combinata con un rinforzo delle scorte del co nvog li o. Punti focali d i minor importanza, come Capo Finisterre e St.Vincent, erano similmente tenuti da uno o due potenti incrociatori e, se necessario, da una squadra. Come è stato già spiegato, date le condizioni particolari ciel mare e la natura comune de lle comunicazio ni marittime, queste dis posizioni erano adottate sia per l'attacco sia per la difesa e le aree fertili, per la cui difesa il coma ndante di una fregata veniva inviato "in crociera", potevano sempre elargii ricche ricompense. La sua missione difensiva comportava le migliori opportunità d 'attacco. Con il sistema in pieno sviluppo esistevano anche le linee di pattugliamento, ma non per le grandi rotte. Esse era no stabilite per - 234 -


congiungere aree difese adiacenti e come organ izzazione più scienrjfjca degli avamposti di incrociatori. Nel 1805 l'area d i Gibi lterra e quell a nazionale erano così collegate da una linea di pattugliamento che correva da Capo St.Vincent a Capo Clear passando attraverso l'area focale di Finisterre, con un braccio che si estendeva al centro strategico al largo di Ognissanti. Il nuovo sistema fu introdotto quando avevam o ragione dì aspet1:arci che le flotte francese e spagnola si ded icassero interamente ad operazioni cli piccole squadre corsare contro il nostro traffico e le nostre colonie. Erano pertanto necessari speciali provvedimenti per localizzare quelle squadre che avessero eluso il blocco segolare e per assicurarsi che sarebbero state adeguatamente inseguite. Le nuove linee erano, in effetti, principalmente pattugliamenti informativi, sebbene fossero anche considerate come l'unico mezzo per proteggere efficacemente la rotta commerciale meridionale laddove era fiancheggiata. dai porti frances i e spagnoli. (6) Si osserverà che l'intero sistema, sebbene non fosse in conflitto con l'obiettivo p rincipale d i indurre le flotte nemiche all'azione, comportava un dispendio di forze e preoccupazioni ig note nella guerra terrestre. Un gran numero di incrociatori doveva essere impiegato in compiti diversi da quello di ricognizione per le squadra da battaglia, mentre l'arrivo e la partenza dei convogli produceva periodiche variazion i nella generale d istrìbuzione delle fo rze. Per quanto imbara<zanti fossero, nell e gue1Te passate, questi impegni in difesa del commercio, sembra prevalga l'impressione che saranno ancora più seri i n futuro . Si fa notare, e la cosa è abbastanza plausibile, che non sol<) il nostro traffico è molto maggiore e più ricco di quanto no n fosse nel passato, ma anche che, a causa d i certi ben noti cambiamenti economici, esso rappresenta una questione di vita o di morte per la nazione, molto più ora che non nei giorni in cu i i prodotti alimentari e le materie prime non costituivano il grosso delle nostre importazioni. In considei·azione d i queste nuove condizioni

(6) Si deve aggiungere che Cornwallis non considerava nuovo quesco sistema, eccetto per la sua csrensior~e - che era stata suggerita da Nelson - da Capo Finisterre a capo St.Yincent. Accus ando ricevuta dell'ordine scrisse da Ogn issanti: ''Le di-

rettive ...sono quasi le ste sse che sono sempre state date. Posso solo cercare di indovinare percbé mi sia stato spedito quest'ordine" Admiralty, /n -letters, 129, 28 settembre 1805.

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si sostiene che siamo ora più vu lnerabili nel nostro traffico cli quanto non lo fossimo un tempo e che, in conseguenza, dobbiamo dedicare relativamente più attenzione e forze alla sua difesa. Se ciò fosse vero, è ovvio che una g ue rra contro una forte coalizione navale presenterebbe le più formidabili difficoltà, maggiori, invero, di quelle che abbiamo mai sperimentato; perché con i nuovi sviluppi la richiesta di incrociatori per la flona è molto maggiore che nel passato e la possibilità di dedicare incrociatori a lla difesa del traffico è, in relazione, molto minore. 1 on si può negare che a prima vi5ta la conclusione sembri corretta, ma analizzandola si scoprirà che include dt1c presupposti, entrambi molto discutibili. Il primo è che la vulnerabili tà di una Potenza marittima a causa del suo traffico maritLimo sia proporzionale al volume di quel traffico. La seconda, che la difficoltà di difendere il traffico in mare sia anch'essa proporzionale al suo volume: cioè, magg iore è la quantità d i traffico, maggiore deve essere la forza destinata alla sua protezione. Questa idea, invero, è sostenuta fino al punto che siamo frequencememe invitati a fissare il livello della nostra forza navale paragonandola al la propor:lione eh<.: esiste fra la fon:a navale cli altre Potenze e il loro traffico marittim o.

Si spera che !"abbozzo che abbiamo fauo precedentemente del nostro sistema tradizionale di difesa del traffico possa contribui re a sollevare dubbi sull'acceLLa re, senza la più accurata considerazione, entrambe queste supposizioni. ella storia cli quel sistema non vi è alcuna indicazione che lo stesso fosse influenzato dal volume del traffico che era clestinaro a proteggere. Né a lcuno è riuscito a d imostrare che la pressione che un nemico può esercitare su di noi agendo sul nostro commercio aumenti davvero col volume del nostro traffico marittimo. In effetti, le indicazioni maggiori sono all'opposto: più grande era il volume ciel nostro traffico, minore era l'efficacia dell'azione che un nemico poteva esercitare su ll o stesso, anche quando dedicava tutte le sue energie navali a quello scopo. 10n si e5agera dicendo che in tutti i casi nei quali il nemico sceglieva questa via il suo traffico si riduceva in nu lla mentre il nostro aumentava continuamenle. Si può obiettare che ciò avveniva perché gli unici periodi nei quali egli dedicava i suoi sforzi principali alla distruzione del nostro traffico erano quando avevamo prevalso sulla su~1 Marina e, non essendo più in grado e.li disputare il dominio del mare, non poteva - 236 -


fa r altro che interferire con l'esercizio dello stesso. Ma sarà sempre così, sia che abbiamo prevalso sulla sua marina o meno. Se il nemico cerca d i ignorare le nostre flotte da battaglia e si dedica ad operazioni contro il traffico, allora non può disputare il dom inio del mare; qualsiasi sia la sua forza, dovrà lasciarlo a noi. Non p uò fare entrambe le cose sistematicamente e, a meno che non attacchi il nostro traffico in modo sistematico con operazioni strategiche prolungate, non può sperare di ottenere alcun risultato reale. Ora, se p rendiamo le due supposizioni e le verifichiamo applicando i p rincipi elementari, entrambe appariranno teoricamente false. Esaminiamo per prima la relazione fra la vul nerabilità e i] volume del traffico . Poiché lo scopo della guerra è di sottomettere il nemico alla nostra volontà, l'unico modo nel quale possiamo attenderci che la guerra al commercio serva al nostro fi ne è quello di infliggere al nemico un danno tale da costringerlo a preferire, alla comin uazione della lotta, la pace alle nostre condizioni. La pressione sui suoi traffici deve essere insopporLabile , non semplicemente no iosa; deve rovinare seriamente le sue finanze o minacciare seriamente cli strangolare la s ua vita nazionale e le sue attìvità. Se il suo traffico totale è d i cento milioni e noi riusciamo a distruggerne cinque, non ne risentirà più d i quan to non ne risenta per le ordinarie flmtuazio ni abituali in tempo di pace. Tuttavia, se possiamo distruggerne per cinquanta milioni , l'equilibrio del suo commercio subirà un rovescio e il risul tato della guerra ne sarà fortemente influenzato. In altre parole , per avere effetto su 1 risu ltato finale il risu.ltato contro il traffico deve essere in percentua le, ovvero deve essere un danno relativo . La misura della vu lnerabilità d i una nazione per colpa del suo traffico è la percentuale della d istruzione che un nemico può arrecare. Ora, è vero che l'ammontare del danno che un belligerante può infliggere con una data forza al commercio nern.i co varia, entro certi limiti, col volume d i quel commercio, perché, maggiore sarà quel volume, più fertili saranno le aree indifese. Ma , per q uanto ferlili possano essere tali aree, la potenza distruttiva cli un incrociatore è sempre stata limitata e dovrebbe esserlo ancora cli più in futuro. Era I imitala dal fa tto che era fisicamente impossibile avere a che fa re con più cli un dato nu mero d i prede in un dato tempo e, per i motivi già indicati , questo limite ha sofferto u na riduzione molto acce ntuata. Quando il volume ciel commercio supera q uesto limite di capacità, per una forza data, non avrà effetto sul risultato. Osservando quanto quella capacità satà - 237 -


bassa in futuro e quanto enorme sia il volume del nostro traffico, il limite della potenza di distruzione, a lmeno contro di noi , e ammesso che abbiamo un sistema di difesa ben organizzato, dovrà essere relativamente basso. Si deve, in effetti, ammeltere che sarà una cifra percentua le ben nei limiti di ciò che abbiamo facilme nte sopportato in passato. Pertanto, vi sono ragioni per credere che, ben lungi dalla verità della supposizione in questione, l 'effettiva vulnerabilità del traffico marittimo sia non direttamente , ma inversamente proporzionale al suo volume. In altre parole , maggiore è il volume più diffici le è ca usare un'efficace percentuale di danno. Similmente, si noterà che lo sforzo per la difesa del traffico era proporzionale non al volume di tale traffico, bensì al numero e all'esposizione ai pericoli dei suoi terminali e punti focali. Qualsiasi fosse il volume del traffico, il numero di terminali e punti focali rimaneva lo stesso e la quantità di forze richiesta per la loro difesa variava solo rispetto alla forza che poteva prontamente essere messa in moto contro di loro . Variava, cioè, con la distribuzione delle basi del nemico e con l'ammontare della sua forza navale. Così, nella guerra del 1812 contro gli Stati Uniti, le aree delle Indie Occidentali e Nord Americane erano molto più esposte cli quanto non lo fossero state mentre eravamo in guerra con la sola Francia, quando quest'ultima non aveva disponibili come basi i porti americani. Nel 1812, quelle aree d ivennero vulnerabil i non solo alla tlotta degli Stati Uniti, ma anche, in più alto grado, a q uella della Francia e, di conseguenza, le forze che fu necessario destinare alla difesa del traffico nel Nord Atlantico erano sproporzionate rispetto alla forza del nuovo belligerante. La nostra forza di protezione dovette essere aumentata enormemente mentre il volume del nostro traffico rimase esattamente lo stesso. Questa relazione fra la difesa del commercio e i terminali e le aree focali è di grande importanza, perché è nell'a._umento cli tali aree nell'Estremo Oriente che risiede l'unico radicale cambiamento nel problema. Naturalmente, i mari delle Indie Orientali furono sempre considerati, entro certi limiti, come un'area difesa, ma il problema era semplificato dalla parziale sopravvivenza , in quelle region i, del vecchio metodo di difesa . Fino a circa la fine del diciassettesimo secolo ci si aspettava che il traffico oceanico si difendesse eia solo, almeno al d i fuori delle aree nazionali, e il mantenimento dell 'arma mento da parte dei mercantili per le Indie Orientali rappresentava la sopravvivenza di quella pratica. Oltre l'importante area focale cli ~

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S. Elena , essi facevano affidamento principalmente sulla loro stessa capacità di resistenza o su quelle scorte che avrebbero potuto essere fornite dalle navi che si rilevavano nelle basi delle 1ndie Orientali. Ma di regola le scorte vere e proprie dei convogli in panenza non anelavano oltre $.Elena, da dove ritornavano con i bastimenti dìreLLi in patria, che si riunivano ìn quel luogo provenendo dall 'India, dalla Cina e dalle zone dì caccia alla balena dei Mari del Sud. L'idea alla base del sistema era quella dì fornire la scorta per q uella parte del viaggio che era esposta agli attacchi dalle basi coloniali francesi e spagnole sulle coste africane e nelle isole adiacenti. Per ovvie ragioni in futuro questo sistema dovrà essere rivisto. L'espansione del le grandi Potenze europee ha cambiato le condizioni per le quali esso era sufficieme e, in una guerra contro una qualsiasi di esse, ìl sistema della difesa cleì terminali e delle aree focali rìchieclerebbe una grande estensione verso est, assorbendo così un'apprezzabile pane della nostre forze e implicando un relativameme debole prolungamento della nostra catena di concentramenti. Abbiamo, quindi, evidenzia to un punto nel quale è aumentata la difficoltà della d ifesa del traffico. Ma ve ne è un altro. Sebbene le basi nemiche minori all'interno dell'area difesa abbiano perso gran parte delle loro possibilità di minacciare il traffico. esse hanno acquisito, come basi di torped iniere, il potere cli disturbare la difesa stessa. Fino a qua_ndo esistono tali basi , dotate cli una potente flottiglia di unità sottili, è ovvio che i provvedimenti efferrivi per la difesa non possono essere semplici come un tempo; dovranno es.sere auuati altri e più complessi preparativi. Tuttavia, il principio delle aree difese sembra rimanere incrollabile e, se deve funzionare con la sua vecchia efficacia, i mezzi e le disposizioni per rendere sicure quelle aree dovranno essere adattati alle nuove possibilità tattiche. Per quanto è poss ibile intravedere, le vecchie co ndizioni strateg iche restano inalterate eccerto per il fatto che il materiale moderno produce conseguenze che rendono la situazione più favorevole alla difesa che all'attacco. Se desiderassimo formulare i principi sui quali si basa qL1esta conclusione li potremmo u·ovare in due regole generali: primo, che la vulnerabilità del traffico è inversamente proporzionale al suo volume e, secondo, che facilità cl 'aLtacco significa faci lità cli difesa. Quest'ullima regola, che è sempre stata vera, riceve un'enfasi particolare dagli

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sviluppi tecnologici moderni. Facilità d'attacco significa potere di esercitare il controllo. Per esercitare il controllo abbiamo bisogno non solo di quantità di mezzi, ma anche di velocità e di autonomia , qualità che si possono ottenere solo in d ue modi : a costo d i ridurre corazze e armamenti o a costo di aumentare le dimension i delle navi. Aumentando le dimensioni perdiamo s ubito in quantità; sacrificando armamento e corazza cerchiamo di mantenere la quantità per favori re l'attacco, ma allo stesso tempo facilitiamo la difesa . Bastimenti dotati d i limitata potenza bel lica non possono sperare di operare nelle aree fertili senza il sostegno necessario per sopraffare la difesa. Ogni potente unità distaccata per fornire un tale sostegno lascia libera una corrispondente unità avversaria e, una volta iniziato, il processo non si ferma più. Per essere efficaci le unità di sostegno devono diventare squadre e prima o poi la Potenza inferiore , che cerca di usare la distruzione ciel commercio al posto dello scontro fra squadre , si troverà ad affron tare una guerra di squadre, sempre ammesso che la Potenza superiore adotti un sistema cli difesa ragionevolmente corretto. È sempre stato così e , per quanto sia possibile penetrare la foschia che vela il futuro, sembrerebbe che, con una maggiore mobilità e migliori mezzi d i comunicazione, lo stadio dello scontro fra squadre sarà raggiunto ben prima che un'adeguata percentuale di risu ltati possa essere ottenuta dall'azione sporadica dei distruttori del commercio. Così 'come è sempre stata inefficace nel passato, fino a quando non veniva stabilito un domin io del mare generalizzato, un cale tipo d i guerra ha prospettive futu re , a giudicare dai vecchi ed affermati principi, meno promettenti ch e mai. Infine, nel considerare il problema della protezione del traffico ed in particolare per stabilire esattamente la reale necessità di forza e la distribuzione che essa richiede, vi è da renere p resente una limitazione p redominan te: non esisLe alcun mezzo immaginabile con il quale sia possibile dare al traffico una protezio nè assoluta . Non si può fare una frittata senza rompere le uova; non si pùò fare 1a guerra senza perdere navi. Mirare ad un livello di forza navale o ad una distribuzione strategica che possano rendere assolutamente invulnerabile il nostro traffico significa marciare verso la rovina economica. Vu ol dire paralizzare le nostre possibilità cli sostenere 1a guerra fino alla concl usione vittoriosa e ricercare una posizione di dispotismo navale che; anche se fosse ottenibile, ci renderebbe 11emici tutti. Saremmo minacciati eia tu tti questi mali e il nostro obiettivo - 240 -


sarebl~e ancora molto lonlano. Nel 1870 la seconda Potenza navale mond iale fu in guerra contro un nemico che non poteva essere considera co affatto una Polenza navale, tuttavia essa s ubì la cattu ra di nav i. Ma i, nei giorni del nostro più completo dom inio dei mari. il nostro traffico fu invulnerabile, né lo potrà essere mai. Perseguire l'invulnerabilità è ricadere ne ll'errore strategico di cercare d i essere superiori ovunq ue, è mettere in g ioco il consegu imento dell 'essenziale per paura di rischiare ciò che essenziale non è, è basare i nostri piani sul presupp osto che la guerra possa essere condotta senza perdite, cioè. in breve, qualcosa che non s i è mai visto né maì si vedrà. Tali sogni cli pace devono essere rigorosamente ripudiati. Il liYello della nostra forza deve essere commisurato al la nostra forza economica; una linea che da un lato ci permetterà cli alimentare le nostre riso rse fi n an:darie per il giorno maledello e. dall'altro, quando quel giorno verrà, negherà al nemico la possibilità di soffocare il nostro vigore finanziario semplicemente arrestando il flusso ciel nostro commercio.

3 ATTACCO , DlFESA E SOSTEGNO DELLE SPEDIZ IONI MTLTTAlU

L'auacco e la difesa delle spedizioni oltremare sono. in larga misura, regolate dai principi dell'attacco e de lla difesa del commercio. Tn enLrambi i casi è una questione di controllo delle comunicazioni e, in linea generale. si può affermare che se le si controlla per uno dei due scopi le si controlla anche per l'alrro. Tum1via, per le spcdi ;doni interfo rze la libertà di tra nsito non è l'unico fat to re eia considerare. I compici della flotta non terminano con la protezione delle truppe durante il transito, come nel caso dei convogli, a meno che, come nel caso dei convogl i appu nto, la destinazio ne non s ia in un paese am ico. :-,.Jel caso normale di destinazione in un territorio ostile, ove c'è da att~ndersi una resistenza fin dall 'inizio delle operazioni, la floua è incaricata cl i ulteriori compili dalle caratte ristiche molto esigenti. Questi compiti possono essere descriLLi generalmente come compici di soscegno ed è l'inclusione di quesci compiti che distingue maggiormen te i preparativi nava li per le operazioni interforze da quell i per la protczione del traffico. Eccelto che per queste considerazioni , non vi dovrebbe essere alcuna differenza nel merodo di difesa. In encrambi i cas i la forza richiesta sarebbe commisurata ai pericoli di interferenze durante il transito. Tuttavia, in pra tica quel livello non è sufficiente per le operazioni interforze perché, per quanto piccoli siano -

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i rischi, le misure difensive devono essere sufficientemente estese da includere i preparativi per il sostegno delle forze terrestri.

Prima di trattare di q uesto argomento, che rapprese nta l'aspetto più complesso dell'intera questione, sarà bene liberarsi dell'altro argomento: l'attacco. Dal punto di vista strategico i suoi principi non differiscono affatto da q uelli formu lati per la resistenza attiva all' invasione. Sia che la spedizione che ci minaccia sia piccola sia che abbia la forza di un 'invasione, la regola ca rdinale è sempre stata che i trasponi; e non le scone, debbano essere l'obiellivo principale della flotta. Le scorte, secondo la vecchia praLica, devono essere allontanate o contenute, ma mai essere trattate come un obieuivo primario a meno che sia l'allontanamento sia il contenimento non si dimostrino impraticabili. Non è necessario ripetere le parole dei vecchi maestri, nelle quali questo principio è sancito. Raramente Lroviamo una regola di strategia nava le formulata in precisi termini tecnici, ma q uesta è un 'eccezione. "/ trasporti del 11emico devono essere il vostro obiettivo principale', divenne una frase comune a tutte le vecchie istruzioni taLtiche di squadra. Né questa regola si applicava solo ai casi nei quali i trasporti erano proLetti da una semplice scorta. Essa restava valida anche nei casi eccezionali, quando la spedizione militare era accompagnata o protetta da ll 'intera forza da battag lia che il nemico aveva a disposizione. Abbiamo visto come, nel 1744, Norris fosse pronto a seguire i trasporti frances i con l'intera sua forza se necessario e come, nel 1798, Nelson abbia organizzato la sua Ootta in modo tal e da contenere, piuttosto che distruggere, la squadra da battaglia nemica, così da poter preparare un poderoso attacco contro i trasporti. Si possono concepire eccezioni a questa come a tutte le regole strategiche. Possono esistere condizioni nelle quali, se la flotta da battaglia nemica accompagna i trasporti, va lga la pena, p er i nostri ulteriori obiettivi, rischiare che i trasporti fuggano pur di affe rrare l'opportunità di distruggére la flotta nemica. Ma anche in questo caso la distinzione è poco ptù che accademica, perché la nostra migliore possibilità d i assicurarci un decisivo vantaggio tattico contro la flotta del nemico sarà normalmente quella di costringerlo a conformarsi ai nostri movimenti, minaccia ndo un attacco ai suoi trasporti. È ben noto che la particolare debolezza di una flotta incaricata di proteggere i Lrasporti nasce proprio dalla presenza degli stessi. - 242 -


Vi è tu ttavia u na condizione che d iffe renzia rad icalmente le spedi zioni relativamente piccole dalle grandi invasioni: la possibilità di evasione. La nostra esperienza ha dimostrato, in modo indiscutibile, che la sola Marina non può garantire la difesa contro tali spedizioni. Non può assicurare cli impedirne la partenza o di attaccarle durante la navigazione, specialmente quando il mare aperto d ia loro libertà di scelta della rotta, come nel caso della spedizio ne francese contro l'Irlanda. È per questo motivo che, sebbene una Marina adeguata si sia semp re dimostrata sufficiente a prevenire un'invasione, per la difesa contro spedizioni minori essa deve essere integrata da u n Esercito territoriale. Al fine d i perfezionare la nostra difesa o, in altre parole, il nostro potere d'offesa, un tale Esercito deve essere sufficiente per assicurare che tutte le spedizioni, abbastanza piccole da sfuggire al controllo della flotta, non producano danni sensibili al loro sbarco. Se per quantità, addestramento, organizzazione e dislocazione questo Esercito è adeguato allo scopo, il nemico non potrà sperare di influ ire s ul risultato della guerra eccetto che portando le sue spedizioni a livello cli forza d 'invasione e trovandosi quindi coinvolto in un problema che, nel caso cli un ma.re non-dominato, nessuno ha ancora risolto. Tuttavia, anche per le spedizion i inferiori ad una forza d'invasione, la Ma rina considererà l'Esercito solo come una seconda linea difensiva e la sua strategia dovrà tener conto, nel caso di evasione, della cooperazione con q uesta seconda linea . Per mezzo di una opportuna dislocazione deJle flottiglie costiere fa rà in modo cli prendere contatto con la spedizio ne avversaria no n appena sia stata smascherata la sua destinazione . Ins isterà al massimo s u l principio d i fare dell'Esercito nemico il suo obiettivo, dandogli'la p iù poderosa ed energica caccia possib ile. E con l'avvento della radio e l'aumentata velocità degli incrociatori, u na tale cacc ia è ora più formidabile che mai. Oggigiorno nessuna spedizione, per quanto successo abbia la sua evasione, può dirsi sicura da in terferenze navali durante le operazioni di sbarco. Ancor meno può essere garantita da interferenze nava li nella sua retroguard ia o ai suoi fianchi, mentre cerca di stabilire il suo fronte contro l'Esercito territoriale . Può cerca re d i r id ur.re il n umero dei trasp orti usando quelli di grosso tonnellaggio e assicurarsi una maggiore velocità, ma ciò, mentre aumenta la sua possibilità di evasione, prolungherà il periodo critico dello sbarco. Se cercherà, u sand o trasporti più piccoli , d i rendere p iù rapido lo sbarco , ciò diminuirà le sue possib ilità cli evasione per la ridotta velocità e per l'ampiezza della zona - 243 -


di mare che occuperà durante il transito. In effetti tutti i più recenti progressi che a umen tano le possibilità della difesa in caso d i invasione attraverso un mare "non-dom inato", facilitano ancl1e un tempestivo contatto con una spedizione che tenti di opera re in modo elusivo. Non si deve dimenticare, dal momento che il problema è connesso, che i corrispondenti progressi a terra non sono meno favorevoli all 'Esercito in difensiva . Tali sembrano essere i principi generali che governano i tentativi del nemico di agire con operazioni combinate nelle nostre acque laddove, per presupposto, abbiamo suffi_cienti fo rze navali da negargli un controllo locale perma nente. Possiamo ora trattare il problema più ampio e complesso della condotta di questo tipo di spedizioni quando le condizion i navali siano invertite. Ricorderemo che per "condotta" intendiamo non solo la loro difesa, ma anche il loro sostegno e per questo motivo, l'inizio della nostra ricerca considererà, come indicato precedentemente, la differenza fra le operazioni combinate e i convogli. Un convoglio consiste di d ue elementi : una flotta d i mercantili e una scorta . Una spedizione combinata, invece, non consiste solo d i forze teJTestri e di una squadra navale; si craua di un organismo allo stesso tempo più complesso e più omogeneo. La sua formazione è quadruplice. Vi sono, p ri ma dj tutlo, le forze terrestri; poi, i trasporti e le unità da sbarco cioè la flottiglia di imbarcazio ni a fondo p iatto e d i battelli a vapore per rimorchi arle - che possono esse re imbarcate s ui trasporti o accompagnarli; terzo, la "Squadra responsabile dei trasporti'', come è stata chiamata, che include la scorta vera e propria e Le u nità leggere cl i sostegno per le operazion i sottocosta e, infine, la "Squadra di copertura". Tale, almeno, è la costituzione logica di una spedizione combinata . Ma questo o rga nismo è talmente unitario che, in pratica, questi vari elementi possono raramente essere tenuti nettamente distin·ti. Essi possono essere frammischiati nel modo più intricato. Invero, ognu no di essi dovrà sempre, più o meno, scaricare alcun e delle sue funzioni sugli altri. Per esempio: non solo potrà essere difficile distinguere la squadra di copertura dalle forze di scorta ed appoggio, ma la prima forn irà spesso anche la maggior parte delle unità leggere da sbarco e perfino una porzione della forze da sbarco. Simil mente la scon a può anche essere utilizzata per il trasporto e fornire in parte non solo la fo rza d 'appoggio, ma anche le unità leggere da sbarco. La quadruplice costituzione d i una spedizione combinata è pertanto, - 24-4 -


in ampia mis ura, purame nte teorica. Tuttavia la s ua de rini zione n on è utile solo per chia rire le varie funzioni che devono essere svolte dalla florra. In seguito vedremo che essa ha un pratico valore strategico. Da un punto di vista navale è la squadra cli copertura che rich iede le prime considerazio ni a causa del rilievo da assegnare non solo alla differenza rra la condotta di spedizioni combinate e quella di convogli commerciali, ma anche a l fatto che tali spedizioni sono effettivame nte composte da una forza combinata e non semp liceme nte un esercito terrestre scorta to da una flotla. Nel nostro sistema di protez ione del commercio non c·era posto per la squadra cli cope rtura. La fl o tla eia battaglia, come abbia mo visto, era impiegata per mantenere determinate aree renr1inali e non aveva alcun collegamento organico con i corn·ogli. I convogli non avevano altra protezione all'infuori delle loro sco1te e de i rinforzi che li ragg iungevano al loro avvicinarsi alle aree te rminali. Tuttavia, quando un convoglio di trasporti che faceva parte cli una spedizione combinata era diretto contro il territorio del nemico e avrebbe dovuto superare la sua res istenza con vere operazioni interforze, allora veniva sempre assegnata u na sq uadra da battaglia di cope rtu ra. Nel caso cl i obiettivi mollo lontani poteva darsi il caso che la squadra di copertura non fosse assegnata fino a quando !"intera spedizione non si fosse riuniLa nel teatro d'operazioni; durante il transito verso quel teatro i trasporli potevano esse re protetti solo da lle scorte a l commercio. Ma una volta che le operazioni iniziavano, partendo dalla zona di concentrazione, una squadra cli copertura era sempre a portata cli mano. So lo quando la d estinazione d e ll e truppe era in un pae.se am ico e la rotta cli trasferimento era ben protetta dai nostri blocchi pennanenti, si poteva rinunciare completamente alla squadra di copertura. Così, per esempio, le nostre varie spedizio ni d i soccorso al Porroga llo furo no o rganizzate esa ttamente co me convogli commerciali ; ma in casi come la spedizione di Wolfe nel Quebec o di Amherst a Louisburg o, invero, in tutte quelle che furono continuamente scagliate contro le Indie Occidentali, una squadra eia battaglia fu semp re assegnata come parte integrale nel tea tro cl'opcrazioni. Le nostre d isposizioni nella Guerra di Crimea chiariscono questo punto in modo inequivocabile. Prima di tutto le truppe furono mandate a sbarcare a Gallipoli, in territo rio amico, e agirono in quel te rrit0rio come un esercito d'osserva:done . Non fu una vera sped izione interforze e· ai trasporti non - 245 -


fu data alcuna squadra di copertura. Il loro transito fu sufficientemente protetto dalle nostre flotte della Manica e del Mediterraneo, che controllavano le uscite dal Baltico e dal Mar Nero. Ma appena il piano di guerra originale si dimostrò inefficace e vennero decise operazioni offensive combinate contro Sebast0poli, la flotta del Mediterraneo perse il suo carattere indipendente e, da allora in poi, la sua funzione principale fu quella di fornire una sq\Jaclra di copertura a contatto con le truppe. Osservando quanto importanti siano i compiti di appoggio di questa forza, può sembrare che il termine "Squadra di copertura" sia inadeguato per definirla, ma viene usato per due morivi. Tn primo luogo è quello adottato ufficialmente dalla nostra Marina nell'occasione menzionata, che è stata la nostra ultima grande spedizione intcrforze. Nel preparare l'incursione in Crimea, Sir Edmund Lyons, quale Capo di Stato Maggiore di Sir James Dundas e responsabile delle operazioni combinate, o rganizzò la flotta in una "Squadra cli copertura" e una "Squadra responsabile dei convogli". Nel secondo caso, la definizione serve ad enfatizzare la sua funzione principale e primaria. Perché, per quanto imporlante sia non dimentica re i suoi compiti di soslegno, quesli non possono trascurare il fatto che la funzione fondamenta le è quella di prevenire interferenze sulle effettive operazioni interforze: cioè lo sbarco, il sostegno e i rifornimenti alle truppe. Così nel 1705, quando Shovel e Peterborough operavano contro Barcellona, Shovel copriva l'assedio anfibio controllando la squadra francese a Tolone. Peterborough richiese l'assistenza dei marines a terra per eseguire un coup de main e Shove l acconsentì al loro sbarco all'esp li cita condizione che nel momento in cui i suoi incrociatori avessero segnalato la partenza da Tolone della squadra francese, i marines avrebbero dovuto essere reimbarcati sulla flotta qualsiasi fossero slate le condizioni delle operazioni terrestri. E Peterborough fu d'accordo. Si osserverà che il principio in questione è esattamente quello implicito nel termine di Lyon di "Squadra di copertura". Citare un qualsiasi avvenimento della guerra di Crimea che non contempli un tale sostegno di carattere tradizionale, sarebbe un esempio poco convincente. Col nostro solito modo di ragionare, abbiamo nutrito la leggenda che, per quanto riguardava l'organizzazione e il lavoro di stato maggiore, quella guerra non sia stata altro che una raccolta cl i esempi di dete rrenza. In verità, come operazione interforze, il suo movimento iniziale, sia per concezione sia per organizzazione, - 246 -


fu probabilmente il più audace, brillante e di miglior successo che abbiamo mai eseguito. Pianificato per una spedizione che doveva assistere un alleato su l suo stesso territorio, gli fu improvvisamente richiesto, senza alcuna preparazione preventiva, di mutarsi in un movimento per una operazione combinata, del genere più difficile, contro il territorio di 1.m nemico già allertato. l 'operazione implica va uno sbarco verso la fine dell'anno su una costa aperta e ventosa a distanza d 'intervento di una fortezza navale con una guarnigione di truppe di cons istenza ignota e una flotta, invitta , non molto inferiore alla nostra pe1· potenza bellica. Fu un'operazione paragonabile all'occupazione di Louisburg e allo sbarco giapponese a Liao-tung, ma le condizioni erano molto più difficili. Entrambe queste ultime due operazioni erano state provate alcuni ann i prima ed. erano state preparate a lungo con tutte le informazioni del caso. In Crimea t1.1tto era nel bu io più fitto; perfino la propulsione a vapore era un elemento non sperimentato e ogni cosa dovette essere improvvisata. T francesi dovettero praticamente smobilitare la loro flotta per fornire i trasporti e l'im presa apparve così azzardata che tentarono cli impedirla usando ogni possibile scusa di carattere militare. In effetti, oltre a tutte le altre difficoltà, dovemmo trascinarci dietro un alleato riluttante. Tuttavia fu fatto e, per quanto riguarda almeno La parte navale, i metodi che hanno avuto successo segnano il culmine d i tu tto ciò cbe abbiamo imparato in tre secoli di ricca esperienza. la prima di queste lezioni era cbe per operazioni in mari non dominati, o imperfettamente dominati, vi era la necessità di una squadra dj copertura con compiti diversi da quelli della squadra incaricata d i proteggere i trasporti. La sua funz ione principale era quella di assicurare il controllo locale necessario sia per il transito dei trasporti sia per le operazioni effettive. Tuttavia , di regola, il transito era assicurato dalle nos tre normali squadre di blocco e, in generale, la squadra di copertura si riuniva solo nel teatro d'operazione. Pertanto, quando il teatro d'operazione era all' interno dell'area terminale difesa, come avveniva per le nostre incursioni sulle coste settentrionali e atlantiche d ella Francia, la squadra che difendeva l'area terminale era normalmente sufficiente a proteggere le operazioni. Essa diventava così, automaticamente, la squadra di copertura e continuava il blocco oppure, come nel caso dell'attacco a Se.Ma lo nel 1758, prendeva posizione fra la squad ra nemica e la linea d'operazione della spedizione. Tuttavia, se il teatro d'operazione non era all'interno - 247 -


dell 'area terminale o si trovava in un'area distante, debolmente contro llata, alla sped izione veniva assegnata una propria squach·a dicopertura nella quale la squadra locale ,e ra più o meno interamente inserita . In definitiva, si faceva tutto quanto e ra necessario per assicurarsi il contro llo loca le sebbene, come si è visto e come dovremmo considerare più a fondo, questa necessità non sempre e ra lo standard sul quale veniva calcolata la forza della squadra cl i copertura. Una volta determinata 1a forza della squadra di copertu ra, il problema successivo era la posizione, ovve ro la "zona ", che avrebbe dovuto occupare. Come per molti altri problem i strategici si tratta cli una "opz ione di difficoltà". Nella misu ra in cui una squadra è destinata al sostegno - sostegno agli uomini, ai bastimenti, ai cannoni - sarebbe desiderabi le dislocarla il più vicino possibile all'obiettivo, ma, come squadra di copertura, col compito di prevenfre l'intrusione di forze nemiche, d ovrebbe stare il più lo ntano possibile in modo da poterle ingaggiare appena tentano di interferire. Esiste inoltre l'assoluta necessità che la sua posizione sia tale da assicurare con certezza un contatto favorevole col nemico, qualora questi tenti di interferire . Normalmente un a tale certezza può essere ass icurata solo quando si sia vicini alla base navale nemica o vicini alla nostra stessa forza da sbarco. Qualora l'obiettivo sia la base navale locale del nemico, i d ue punLi, ovviamente, tendono ad essere strategicamente identici e la posizio ne d ell a squadra di copertura diventa più un problema tattico che strategico. Ma resta valid o il principio vitale della indipendenza d ella squadra di copertura e pe r quanto grande sia la necessità del sostegno, essa non deve mai essere tanto impegnata con la forza da sbarco da impedirle di distaccarsi, come unità esclusivamente navale, in tempo per svolgere la sua funzion e navale . In a ltre parole deve sem·pre essere in grado di agire nello stesso modo nel q ua.le agisce u n esercito di campagna cli copertura a un assedio. QL1alora l'obiettivo della spedizione non sia la base nava le nemica, la scelta della posizione per la squad ra di copertura dipenderà principalmente clall·entità del sostegno che l'esercito potrebbe tichiedere . Se quest' ultimo non può agire di sorpresa e, in conseguenza, ci si deve aspettare una seria resistenza a terra, ovvero se le difese costiere sono D·oppo forti per essere sopraffatte dalla squad ra dei trasporti, allora si dovrà scegliere una posizione vicin a al.l'esercito, sebbene nelle condizioni attuali dev'essere ancora dimostrato fino a che punto navi in mare possano eseguire la delicata operazione d i appoggiare col - 248 -


fuoco delle artiglierie l'attacco della fanteria, eccetto che colpendo d 'infilata le posizioni del nemico . Lo stesso tipo d i scelta sarà indicata qualora si richieda un forte sostegno agli uomini e a ll e imbarcazioni, ovvero quando la squadra dei trasporti e quella ausiliaria non sono in gra do di forni re un numero s ufficiente di barche a fondo piatto e di rimorchiatori a vapore . Oppure ancora, quando il luogo di sbarco sia tale eia richiedere , oltre allo sbarco effettivo. anche operazioni anfibie e sia qu indi necessaria l'assistenza d i un gran numero di i'mbarcazioni e di marinai, in cooperazione con l'eserc ito, per fornire quella mobilità tattica anfibia che altrimenti mancherebbe. Casi s im ili si ebbero a Quebec, nel 1759, quando Saunders portò 1a sua squadra di copertura su per il San Lorenzo, sebbene le sue fu nzioni cli copertura avessero potuto essere svolte molto megl io da u na posizione lontana diverse centinaia di miglia dall 'obietlivo; e ancora nel 1800, ad Al essandria, dove Lord Keith corse il massimo dei rischi nelle sue funzion i d i copertura, ai fini di rifornire per vie d 'acqua imerne l'esercito del generale Abercromby e dargli così la mobilità che richiedeva. D'altra parte, se la squadra dei trasporti è in grado di fornire [utro il sostegno necessari.o, la squad ra di copertura prenderà posizione il p iù vicino possibile alla base navale nemica e vi opererà secondo le consuete leggi d el blocco. Se non si richiede altro che prevenire interferenze, la su a vigilanza assumerà la forma del blocco stretto. Tuttavia, se sussiste lo scopo u lteriore di sfruttare la spedizione al fine d i costringere il nemico a prendere il mare, allo ra si adotte rà la fo rma ciel blocco aperto come, per esempio , nel caso già citato cli Anson, quando coprì la sped izione contro St.Malo n on con il blocco . stretto d i Brest, bensì p rendendo posizione a levante dell'Isola di Batz. Q uesti vecchi principi sono stati evidenziati con immumta va lid ità cimante le operazioni g iappo nesi contro la ManciLiria e la Penisola del Kuantung. Nell 'incu rs ione a sorpresa contro Seul e a Takusan il comp ito d i sostegno fu in teramente lasciato alla squadra dei trasporti, mentre l'ammiraglio Togo prese una lontan a posizione di copertura davanti a Port Artlm r. I due elementi d ella flotta furono tenuti separati per tutto il tempo . Ma nelle operazioni per isolare e quindi assed iare Po1t Arthm i due elementi furono così strettamente uniù eia sembrare spesso indistinguibili. Tuttavia, fino a q uan do la vicinanza della zona di sbarco all 'obiettivo lo consentiva , i due elementi della Dotta agirono in modo indipendente. Per l'effettivo sbarco della Seconda Armata furono usate le imba rcazion i della squadra di copertura, ma

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la stessa rimase sempre una vera unità navale e non fu mai organicamente confusa con la squadra dei trasporti. Per tutto il tempo le sue operazioni furono condotte, per quanto concesso dalle condizioni attuali, secondo le linee ciel blocco stretto. La sua funzione principale fu quella di prevenire interferenze senza preoccuparsi, per quanto siamo in grado di giudicare, d i qualsiasi scopo secondario inteso ad indurre i1 nemico ad un'azione decisiva. Tuttavia, nel corso dell'operazione vi fu un nuovo elemento che tendeva a confondere la precisione dei vecch i metodi: inutile dire che si tratta va del siluro e della mina. La loro pressione sviante fu cu riosa e interessante. Nelle nostre operazioni contro Sebastopoli, alle quali iJ caso di Port Arthur è più direttamente paragonabile, le vecchie regole erano ancora valide. Secondo il principio tradizionale, che risaliva all'attacco di Drake a Santo Domingo nel 1585, si sceglieva LLna zona di sbarco che costituisse la via cli mezzo fra le possibilità d i un coup de main e l'immunità dal contrasto; in altre parole la zona di sbarco veniva scelta nel punto favorevo le più vicino all'obiettivo e che fosse allo stesso tempo indifeso da batterie e non raggiungibile dal principale esercito nemico. In Crimea il Comandante in Capo, ammiraglio Dundas, nell 'impiegare la squadra di copertura le assegnò la sua duplice funzione. Dopo aver spiegato la composizione della sq uadra dei trasporti, egli afferma: "It resto delle mie.forze ... agiranno come squadra di coper-

tura e, quando possibile, daranno assistenza alto sbarco generale". Con in mente questi çlue obiettivi prese posizione abbastanza vicino al luogo cli. sbarco, in modo da appoggiare con i suoi cannoni l'esercito se questi avesse incontrato opposizione, tuttavia sempre in vista dei suoi incrociatori che si trovavano davanti a Sebastopoli e ad. tma distanza tale che al primo segno d i movimenti russi avrebbe avuto il tempo per portarsi di fronte al porto e ingaggiarli prima che potessero raggiungere il mare aperto. In a ltre parole p rese una posizione tanto vicina all'esercito quanto era compatib ile col compito di prevenire interferenze, ovvero, si potrebbe dire, la sua posizione era tanto vicina alla base nemica quanto era compatibile con il compito di appoggiare lo sbarco. In effetti, da entrambi i punti di vista, la posizione era la stessa e la sua scelta non presentava alcuna difficoltà , principalmente per il facto che per la prima volta il vapore semplificava i fattor i di tempo e distanza. - 250 -


Guerra cli Crimea. Bombardamento di Balaclava. (Opera di Eduardo de Ma1tino 1856).


L'Ammiraglio Heihacbiro Togo (1847-1934).


Nel caso dei giapponesi. l'a pplicazione cU questi princip i non fu altreLtanto semplice. Nello scegliere il più vicino e indifeso punto di sbarco, non si dovettero considerare solo le batterie o l'esercito di Port Arth.ur, o le truppe dislocate nella penisola cli Liao-rung, ma piuttosto, come d'ora in poi sarà sempre il caso, la difesa dalle mine e dai siluri. La zona scelta fu la più vicina baia praticabile che risultava non minata. Non era esattamente al cli fuori del raggio della difesa mobile, ma risu ltava essere coperta da isole che consentivano l'installazione di difese fisse, soddisfacendo così tutte le condizioni richieste. Tuttavia, poiché tali difese avJebbero potuto essere aggirate dalla flocta russa, si rese necessaria una squadra di copertura e la difficoltà di trovarle la giusta posizione fu complicata dal fatto che l'obiettivo delle operazioni combinate non era semplicemente Port Arthur in quanto tale, bensì anche la squadra che vi era dislocata. Fu quindi necessario non solo teoeJe a distanza quella squadra, ma anche impedirle di sfuggire . E questo significava un blocco stsetto. Ma per un blocco stretto è necessaria una posizione che sia all'esterno del raggio d'azione de·gli attacchi notturni di torpediniere . Il punto più vicino dove trovare una tale posizione era dietro le d ifese che coprivano la zona di sbarco. In conseguenza, nonostante ciò che indicavano le condizioni strategiche, la squadra di copertura fu più o meno continuamente spinta verso l'esercito e la sua forza di sostegno, anche quando non era più richiesto l'appoggio della squadra da battaglia. In quelle condi.zioni non si ebbero conseguenze negative , perché le linee delle difese fisse giapponesi erano così vicine alla base nemica che, minando l'entrata del porto, l'ammiraglio Togo si assicmò che l'uscita in mare del nemico sarebbe stata abbastanza lenta da permettergli la presa cli contatto, partendo da l suo ancoraggio difeso, prima che i russi potessero guadagnare il largo. Sapere cosa accadrebbe nel caso in cui non ci si possa assicurare una tale posizione è un'altra questione. Il luogo di sbarco e la base logistica dell'esercito devono essere protecti contro attacchi con siluri e il principio della concentrazione degli sforzi suggerirebbe che i mezzi cli difesa non dovrebbero essere diminuiti con l'assegnare alla squadra di copenura un an coraggio difeso altrove. Sembrerebbe così che, a meno che le condizioni geografiche non consentano alla squadra di copertura cli usare una d elle sue basi nazionali, la tendenza dei recenti sviluppi sarà quella di attirarla verso l'esercito e pertanto confonderne i compiti con quelli della squ ad ra dei trasporti. Da qu i l'accresciuta importanza di mantenere ben chiara la diJferenza di funzioni delle due squadre. - 251 -


Per dare rili evo al principio della squadra di copertura si possono confrontare questi due casi con l'episodio di Lissa, al termine della guerra italo-austriaca del 1866. In quel caso tale principio fu interamente trascurato , con risultati disastrosi. L'ammiraglio austriaco Tegethoff, con una flotta inferiore , aveva agito in base ad ordin i superiori per tutto il tempo sulla difensjva ed era ancora a Pola in attesa di un'occasione per un contrattacco. Persano, con la superiore flotta italiana, era ad Ancona da dove praticamente do minava l'Adriatico. In luglio gli italiani, a causa dell'insuccesso dell'Esercito, dovevano affrontare la prospettiva di essere costretti a fare la pace a condizioni sfavorevoli. Per migliorare la situazione, a Persano fu ordinato di occupare l'isola austriaca di Lissa. Senza alcun tentativo di organizzare la sua flotta secondo l'ortodosso metodo britannico, egli procedette a condurre l'operazione con l'intera sua forza . Praticamente essa venne totalmente coinvolta nell'operazione anfibia e, appena Persano fu così impegnato, Tegethoff prese il mare e lo sorprese. Persano non fu in grado d i sganciare una forza sufficiente in tempo per parare l'attacco e , non avendo alcuna squadra compatta idonea all 'azione navale indipendente, fu decisamente sconfitto da un nemico infedore. Secondo la pratica britannica si trattava chiaramente di un caso nel quale, ammesso che l'operazione dovesse essere intrapresa, si sarebbe dovuta designare una squadra di copertura indipendente o per tenere Tegethoff chiuso in Pola o per indurlo tempestivamente all'azione a seconda di quale era da considerarsi ]'obiettivo primario: l' isola o la flotta austriaca. Il motivo per il quale ciò non fu fatto p L1ò darsi lo si debba al fatto che a Persano non fu assegnata una vera e propria forza da sbarco e sembra che egli abbia giudicato che gli occorreva l'intera forza della sua flotta per conquistare con successo il suo obiettivo. Se così fosse, si tratterebbe di un'ulteriore dimostrazione della regola secondo cui, qualsiasi sia il sostegno che le operazioni di sbarco richiedono alla flotta , non deve mai essere fornito, in un mare controllato in modo imperfetto, fino a] punto da'impedire la possibilità di lasciare alla squadra d i copertura la sua libertà di azione navale ind ipendente. Sarà sempre una questione delicata determinare fino a che punto possano essere condotte le funzioni di sostegno della flotta. Sembrerà e retico suggerire che la sua forza debba essere influ e nzata dalle necessità che l'Esercito ha degli uomini della flotta o delle sue imbarcazioni; il che implica anche gli uomini delle stesse. Si dirà che - 252 -


una squadra da battaglia deve affrontare la squadra da battaglia nemica e i suoi uomini devono combattere contro quelle navi; il buon senso rifugge dall'idea che la forza di una squadra navale sia regolata da qualsiasi altro standard. Teoricamente nulla sembra più vero, ma è un'idea da tempo di pace e di studio; l'atmosfera della guerra genera un modo cli vedere le cose più ampio e pratico. Gl i uomini che hanno fatto le guerre del passato sapevano che quando una squadra era assegnata a spedizioni interforze diventava qualcosa di diverso da un semplice complesso navale. Essi sapevano, inoltre, che un Esercito che agisce oltremare contro un territorio ostile è un organismo incompleto, incapace di sferrare i suoi colpi nel modo più efficace, senza l'assistenza degli uomini della flotta. Era allora compito della parte navale delle forze non solo d i difendere quella parte dell'organizzazione destinata all'attacco, ma anche di integrare le sue deficienze e fornirg li la forza per colpire. Da solo e senza aiuti l'Esercito non è in grado d i sbarcare a terra, non può rifornirsi, non può assicurarsi la ritirata né si può avvalere del massimo dei vantaggi di una forza anfibia: la possibilità di cambiare rapidamente la base o la linea d'operazioni. Queste sono le cose che la flotta deve fare per l'esercito, e le deve fare con i suoi uomini .m L'autorevolezza cli q uesta concezione è notevole. Nel 1800, per esempio, il Generale Maitland, che era a capo di una spedizione contro Be1leisle, fu invitato a definire quale avrebbe dovuto essere la forza navale necessaria. Egli trovò difficile definirla con precisione. "Tuttavia, in generale" , scrisse "tre o quattro navi di linea e quattro o cinque.fregate mi semb·,;a dovrebbero essere adeguate al compito proposto. Le fregate per il blocco'' (intendendo, ovviamente, il blocco all'obiettivo per impedire che rinforzi potessero raggiungerlo dal continente, il che è sempre stata una delle funzion i di sostegno della squadra assegnata ai trasporti) . "Le navi di Unea " prosegue "perfornirci gli uomini necessari per le operazioni terrestri ". In questo caso la copertura era assicurata dalle nostre squadre permanenti di blocco e ciò che Maitland intendeva dire era che le navi da battaglia che

(7) I giapponesi nell'ultima guerra te ntarono cUsvolgere questo compito con un ben organizzato "Stato Maggiore per lo Sbarco'', ma, eccetLo che in perfette cond izioni meteorologiche e geografiche, non sembra che abbia svolto un buon lavoro. In ql1asi rn tti i casi fu richiesta l'assistenza della Marina.

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richiedeva dovevano essere aggiunte alla squad ra dei trasporti non come scorte, bensì come supporto. St. Vincent, che era allora il Primo Lord, non solo approvò la richiesta, ma gli diede, per le operazioni di sbarco, una nave di linea in più di quelle richieste. A quel tempo il nostro do minio generale de l ma re era comple tamente acq uisito e avevamo forze navali in abbondanza per esercitarlo. Sarà bene paragonare questo esempio con un caso nel quale le ci rcostan ze e rano diverse. Nel 1795, quando si stava preparando la spedizione per le Indie Occidentali al comando dell 'Ammiraglio Christian e del Generale Abercromby. l'ammiraglio, in concerto con Jervis, compilò un memorandum sulla forza navale necessaria. CS) La fo rza che richiese era considerevole. Sia lui e sia Jervis, giud icarono entrambi che la scorta e la copertura locale dovessero essere molto forti perché era impossibile contare sul blocco completo sia di Brest che di Tolone. Ma questo non era l'u nico motivo. Il piano d'operazioni p reved eva tre sbarchi sepa rati ed ogn u no avrebbe richiesto almeno due navi di linea, forse Lre, "no11 solo per protezione, ma anche come mezzi per armare le imbarcazioni da sbarco, sbarcare i cannoni ed eseguire tutti gli altri compiti collegati" . Christian richiese inoltre le fregate necessarie e tre o quattro b rigantini "per coprire (cioè per sostenere, NdA) le operazioni dei basi imenti pii't picco/i (cioè la flottig lia da sbarco che operava sottocosLa, NdA) ". L"attacco principale avrebbe richiesto almeno q uattro navi d i linea e sette frega te, con un adeguato numero di brigantini e golette. Nel complesso egli considerò che le navi di linea (le fregate sarebbero state .. impiegate in altro modo") avrebbero doVLllO fornire plotoni da sbarco fino ad un massimo di duemila uomini "per armare le barche a.fondo piatto, sbarcare e muovere i cannoni, l'acqua, le provvigioni" e q uesto sarebbe stato il loro compito giornaliero. La forza terrestre che questi plotoni da sbarco avrebbero dovuto servire ammontava a circa 18 000 uomini. Si deve dire che Lord Barham, che al tempo era Primo Lord del Mare, ma ancora come Sir Charles Middleron, obiettò che le richieste

(8) Sir Hugh Cloberry Christian era un ufficiale altamente qualificato, con notevole esperienza bellica. Era stato, appena prima della promozione ad ammiraglio nel 1795, Sottocapo di S.M. d i Howc. Morì a soli 51 anni q uando era Comandante in Capo a Città del Capo.

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erano eccessive, in particolare quel1 a d i una forte scorra, perché considerava che il trasferimento avrebbe potu to essere salvaguardato con una vigilanza particolare da parte delle squadre d i blocco. Sembra che abbia ignorato la necessità di grossi plotoni da sbarco. Tuttavia, il suo giudizio non è del tutto con vincente anche perché egli aveva assunto fin dall'inizio un atteggiamen to contrario a ll'intera spedizione. Egli considerava radicalmente errata la politica che ne era all'origine ed era naturalmente a nsioso d i limitare la forza che doveva esserle assegnata. La sua opposizione era basata su quegli ampi ed illuminanti principi che erano caratteristi ci della sua strategia . Credeva che, visto l'atteggiamento minaccioso della Spagna, l'ind ir izzo giusto fosse quello cli amministrare con cura la Marina in modo da portarla al livello del "Two-Power Standard " per l'imminente conflitto e tenerla concentrata per una decisiva azione navale appena la Spagna si fosse fatta avanti. In breve, egli condannava risolutamente una politica che comportava una seria distrazione di forze navali per un obiettivo secondario, prima che fosse statO assicurato u n effettivo dominio del mare . In effetti, furono proprio i preparativi per que$ta spedizione che lo costrinsero a dare le dimissioni prima che gli stessi fossero completati. Si deve tuttavia osservare che le obiezioni al p iano non erano, in realtà, dovute ai principi che erano alla base della sua organizzazione, bensì al fatto che non avevamo fo rze sufficienti per fornirgl i un adeguato sostegno navale senza pregiud icare la nostra ben più importante situazione marittima complessiva. C9) È ovv io che le consi derazioni precedenti, oltre alle conseguenze strategiche citate, ne avranno anche un'altra di importanza p rimaria, in quanto devono influenzare la scelta cl.ella zona d i sbarco. L' interesse dell 'esercito sarà sempre q uello di sceglierla il p iù vicino possibile all'obiettivo compatibilmente con uno sbarco non con trastato. L'ideale era a distanza di una marc ia notturna, ma ciò poteva essere raramente ottenuto eccetto che nei casi d i spedizioni molto piccole d1e potevano essere sbarcate rapidamente al tramonto e avanzare nell'oscu rità. Nelle spedizioni più grandj , l'intenzione era cli effettuare

(9) Per le stesse ragioni, praticamence tuui gli studiosi di cose militari banno condannato la decisione di cond urre q uesta disastrosa spedizione in quanto prevedeva una dispersione delle nostre magre fo rze proprio nel momento in cui s i richiedeva la loro concentrazione ne i mari europei.

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lo sbarco abbastanza lontano da ll'ob iettivo, in modo da impedire che la guarnigione locale o 1e forze nemiche sul posto potessero opporre resistenza prima che fosse formata la testa di ponte. Per Ja Marina la tendenza sarà generalmente verso l'opposto perché normalmente, quanto più lontano dalle forze nemiche essa può sbarcare l'Esercito, tanto più avrà la certezza di poterlo proteggere contro interferenze navali. L'ideale sarà un luogo abbastanza lontano da essere fuori del raggio d'attacco delle torpedfoierc e che consenta alla squadra di copertura ed a quella· dei trasporti di operare con efficace ind ipendenza strategica. Per ridurre queste divergenze e raggiungere un minimo di efficienza è necessario avere un qualche tipo di Stato Maggiore Interforze e, per assicu rarsi che il suo lavoro sia armon ico, non è meno desiderabile chiarire, per quanto possibile, i pdncipi ed i metodi secondo i quali dovrebbe agire. ei casi migliori e più recenti è stata prassi per lo Staro Maggiore dell'Esercito di presentare i limi ti dell a linea di costa entro i quali lo sba rco avrebbe dovuto avvenire affinché l'operazione raggiungesse l'effetto desiderato , e di indicare quindi i punti di sbarco riconosciuti come praticabili nell'ordine in cui Ji preferiva. Spetterà allora allo Stato Maggiore Navale di dire quanto sia pronto ad agire in stretta armonia col punto d i vista del l'Esercito. La sua decisione dipenderà dalle difficoltà della protezione e dalle peculiarità del luogo di sbarco dal punto di vista meteorologico, delle corre nti, della spiaggia e così via, o ltre che, ma in m isura secondaria, da considerazioni su l grado di appoggio Lattico di fuoco e di attacchi simulati che conformazione della costa permetterà. Se lo Stato Maggiore Navale non intende concordare con il punto o i punti maggiormente d esid erati d ai coJl eghi dell 'Esercito, sì crea u n problema di squil ibrio dei rischi che deve essere risolto dal più alto Stato Maggiore Congiunto. Sarà compito dello caro Maggiore .Navale evidenziare chiaramente e francamente tutti i rischi marittimi che la pro posta dell'Esercito impli ca e, se possibile, suggerire un'alternativa per Ja quale si possano diminuire i rischi di interferenze navali senza scaricare un eccessivo peso sull'Esercito. Confrontando questi rischj con quelli specifici dell'Esercito, lo Stato Maggiore Generale può decidere quale linea debba essere seguita e ciascuna forza annata farà allora del suo meglio per ridurre le difficoltà che deve affrontare. La decisione dello Stato Maggiore Generale di appoggiare maggiormente il punto di vista navale o quello militare dipenderà da dove è probabile si sia esposti al perico lo più grande, se dal mare o sulla terra. - 256 -


Laddove la situazione navale è abbastanza ben conosciuta, la linea d 'operazioni può essere in questo modo fissata con molta precisione. Ma se, come avviene di solito, la probabile linea d 'azione navale nemica non può essere indovinata con sufficiente approssimazione allora, presumendo che vi possa essere u na seria possibilità di interferenza navale, la scelta finale all'interno dei limiti dell'area d eve essere lasciata all'ammiraglio. La regola è stata quella di dargli istruzioni che definivano l'ordine d ei valori da assegnare ai vari p unti di sbarco preferiti dall 'Esercito, e incaricarlo di scegUere quello che, nelle circostanze del momento, egli considerasse entro ragionevoli limiti di rischio. Allo stesso modo, se il pericolo di interferenze navali è limitato e la situazione· a terra non perfettamente conosciuta, la scelta fina le sarà lasciata al generale, limitata solo dalle possibilità pratiche della zona di sbarco che sceglie. Nel periodo migliore delle nostre g uerre d 'un tempo non c'è quasi mai stata alcuna difficoltà a che le cose si svolgessero in modo armonico secondo queste linee. Dopo il p rimo inglorioso fallime nto a Rochefort, nel 1757, si instaurò la pratica che, quando c'era una libertà d 'azione di questo tipo, i due comandanti in capo eseguissero insieme, sulla stessa imbarcazione, una ricognizione della costa e risolvessero amichevolmente sul posto il problema. Da allora in poi le nostre operazioni combinate furono sempre organizzate secondo q uesto criterio. Fin dai tempi d i Pitt il vecchio non è mai stata nostra abitudine porre a capo di una spedizione combinata un comandante navale o uno dell'Esercito e consentire a lui solo di decidere su entrambe le esigenze navali e terrestri . Si giunse a considerare trascurabile il pericolo di u n possibile antagonismo fra i due comandanti in capo a fronte del pericolo che uno solo dei due potesse commettere errori dovuti alla mancanza cli familiarità con limiti della forza armata cui non apparteneva. Il sistema ha sempre funz ionato bene anche quando sorsero p roblemi, p roblemi che riguardavano essenzialmente u no Stato Maggiore Congiunto superiore. le eccezioni, invero, sono molto poche. Un buon esempio di come possa essere risolto questo tipo di difficoltà, quando esiste lo spirito per risolverlo, è dato dalla Crimea. Le difficoltà navali, come abbiamo già visto, erano talmente formidabili, quasi da far considerare l'intero tentativo come pazzesco. Quando si arrivò al momento di eseguire l'operazione, si tenne u n consiglio di guerra nel - 257 -


quale e rano rappresentati gli Stati Maggio ri alleali di entrambe le fo rze armate. Talmente grandi erano le differenze di opinione fra i generaLi francesi e i generali briLannici e così imperfetta la conoscenza del te rreno che non si poté indicare con precisione alcuna zona di s barco. Tutto ciò che gli ammiragli sapevano era che lo sba rco avrebbe dovuto avere luogo su una costa aperta, che non erano stati in grado di esplorare. dove le condizioni meteorologiche potevano in ogni momento interrompere le comu nicazion i con la spiaggia e dove erano soggetti ad essere attaccati da una fo rza navale che, fino a quando le loro navi non si fossero liberate de ll e u·uppe, non sarebbe stata a loro inferiore. Gli ammiragli esposero rune queste osservazioni al Consiglio Generale. Lord Raglan disse allora che l'Esercito comprendeva perfettamente il risch io e che era disposto a correrlo. Dopo di che gli ammiragli alleati risposero che erano pronti a procedere ed a fare del loro meglio per portare a terra !"esercito ed a sostenerlo , qualsiasi fosse il punto scello pe r lo sba rco. Ci rimane una forma di sostegno che non è ancora stata considerata, cioè movimenti diversivi o finte eseguite dalla Doua per attirare l'a ttenzione del nemico lo ntano dalla zona di sbarco. Questa sarà ovviamente una delle funzioni de lla squadra eia baltaglia cli copertu ra o dei suo i incrociatori o del le sue flottiglie. L'espediente compare nell'attacco di Drake a Santo Domingo nel 1585, un attacco che può essere considerato come il nostro primo precedente nei tempi moderni e che rappresenta l'esempio sul qu ale si sono modell ate rune le successive operazioni di questo tipo, quando le circostanze lo consentivano. In quel caso, mentre Drake sbarcava le truppe alla clisranza cli una marcia notturna dall'obiettivo, il g rosso de ll a flotta si p resentò dinnanzi a ll 'obiettivo stesso , Santo Domingo, e tenne la città in allarme tutta la notte. All'alba eseguì un 'azione dimostrativa simulando di vole r effettuare uno sbarco diretto sotto la copertura dei ca nnoni d e.Ila flotta. Il risultato fu che la guarnigione uscì per contrastare la minaccia e fu sorpresa s ul fianco dalla vera forza da sbarco. Se passiamo da questo semplice caso a quello più complesso reg istrato ne i nostri annali, troviamo c he Sa unde rs fece la stessa cosa a Quebec. Durante i prepara tivi per lo sbarco notturno di Wolfe, egli fece finta cli prepararsi per un bombardamento delle linee di Montcalm nella città bassa e , al mattino, con le imbarcazioni della flotta, fece finta di ~barcare i suoi marines. Con questo espedienle Lenne Montcalm lontano dal punto di sbarco cl i Wo lfe fino a quando la testa cli po nte - 258 -


non fu assicurata. Simili azioni dimostrative erano state eseguite a monte della città e il risu ltato finale fu che Wolfe fu in grado dì penetrare il centro della posizione francese senza incontrare resistenza. Questo tipo d i attività appartiene naturalmente più al campo della tattica che a quello della strategia, ma l'espediente è stato impiegato stracegicamente con identici risultati. La segretezza e la mobilità di una forza anfibia sono così grandi che è estremamente difficile per il nemico distinguere l'attacco vero da uno simulato. Perfino all'ultimo momento, quando lo sbarco è effettivamente in corso, per il difensore è in1possibile stabi lire che tutte le truppe nemiche stanno sbarcando in quel particolare punto, o se, allo stesso tempo , un'azione diversiva è in atto altrove. A Quebec, fu solo quando si trovò faccia a faccia con Wolfe che Montcal m comprese di avere a che fare con l'intera forza britannica. Dal punto di vista strategico possiamo essere ancor meno certi se un particolare sbarco rappresenta l'avanguardia cli una più ampia forza anfibia oppu re un'operazione diversiva intesa a mascherare uno sbarco altrove. Q uesta difficoltà aumenta quando, nel caso di grand i operazioni, l'esercito invasore arriva ad ondate, come avvenne per la Seconda Armata giapponese. [n questo caso il finto attacco navale fu usato strategicamen te con evidenti, notevoli effetti. I russi temevano sempre che i giapponesi potessero attaccare a Newchuang , all'ingresso del golfo di Pe-chi-li, e per questo motivo al generale Stakelberg, che aveva il comando delle truppe nella penisola , non fu concesso di concentrarle per un'azione efficace nel sud della stessa, dove i gia pponesi avevano scelto la Loro zona di sbarco. L'ammiraglio Togo, nonostante i pesanti impegni della s ua flotta per assicurare ed effettu are lo sbarco delle truppe, d istaccò una squadra cli incrociatori per u n'azione dimostrativa nel golfo. Non si conoscono con certezza le esatte conseguenze sullo Stato Maggiore russo d i questa finta; tutto ciò che sappiamo è che a Stakelberg fu impedito così a lungo di concentrare le sue forze che non fu in grado di colpire l'esercito giapponese prima che lo stesso si organizzasse su l campo e fosse a sua volta in grado di assestargli u n vigoroso contrattacco. Questa possibili tà d i disturbare il nemico con "finte" è dov uta ovviamente alle particolari caratteristiche delle operazioni combinate, al la facilità con cu i può esse.re occultata o modificata la loro linea d 'operazione e non sembrano sussistere motivi per credere che in futuro le cose saranno diverse dal passato. Naturalmente, buone linee ferroviarie nel teatro d 'invasione diminuiranno l'effetto delle azioni diversive - 259 -


ma, d 'altro ca nto, sono aumenlali anche ì mezzi per attuarle. Per esempio i dragamine sono un nuovo strumento che la g ue rra russo-giapponese ha dimostrato essere in grado di ottenere notevoli risultati a un costo limitato per la flotta. Se una flottiglia di queste unilà si presenta davanti ad una quals iasi zona di una costa minacciata di sbarco ed effettua un'azione dimostrativa di dragaggio, sarà quasi impossibile ignorarla. Nell 'insieme qu indi, presumendo d i seguire i vecchi metodi, si può d ire che, con una ragionevole preponderanza navale, le possibilità di condurre questo tipo di operazioni in un mare "non dominato·· non sono attualmente minori di quanto si siano dimostrate fino ad ora. La rapidità e la precisio ne de lla propulsio ne a va po re rende fo rse qu ella possibilità ancora maggiore. In ogni caso sarebbe difficile trovare nel passato un'equivalente delJa brillante manovra su Seul con la quale i giapponesi iniziarono la guerra nel 1904. È vero che, all'ultimo momento, per ragion i politiche, i russi decisero di consentire l'occ upazio ne senza opposizione, ma questo era ignoro ai giapponesi ed i loro preparativi furono fatti nel presupposto che il nemico avrebbe usato i formidabili mezzi a sua disposizione per impedire l'operazione. Il rischi o fu accettato, abilmenre calcolato, e furono presi gli adeguati provvedimenti secondo gli stessi principi della tradizione britannica. Ma, d 'altra parte, nulla dimostra che quando il nemico ha un effettivo dominio del mare i pericoli di imprese di questo genere siano diminuiti. Contro un nemico che contro lla in forz e le rotte d i rransito, i ben sperimentati metodi di copertura e protezione di spedizioni oltremare non avranno maggior successo oggigiorno di quanto ne ebbero un tempo. Fino a quando quel controllo non sarà spezzato da un'azione puramente naval e, le o perazioni combinate rimarranno o ltre il limite dei risch i accettabili in guerra.

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INDICE: DELLE ILLUSTRAZIOLVI DEI NOMI DEI TOPONIMI ANALITICO


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INDICE D ELLE ILLUSTRAZIONI

- Karl von Clausewitz

14

- Alfred Thayer Mahan

15

- Napoleone

28

- Sbarco a Malta

29

- Battaglia d i Solebay (1 11)

40

- Battaglia d i Solebay (211)

41

- Battaglia di Trafalgar

64

- La fine del Redontable

65

- Enrico VIII

102

- Anson

)03

- Nelson

108

- Nelson è ferito

109

- d e Gui ch en

112

- Duquesne

113

- De Ruyter

124

- Battaglia dei Quattro giorni

125

- Ville neuve

128

- La Campagna navale del 1805

129

- 263 -


- Lord Howe

136

- Oliver Cromwell

137

~

Drake

154

- L'Invencible Armacla

155

- Tromp

156

- Ingaggio tra due unità

157

- Battaglia del "Glorioso Primo Giugno"

160

- Battaglia de La Hogue

161

- Battaglia di Abukir (l'l)

162

- Battaglia cli Abukir (2 11)

163

- Hawke

170

- Rodney

171

- Tourville

188

- Batta.glia di Beachy Head

189

- Guerra di Crimea

250

- Togo .

251

'

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INDICE DEI NOMI

ABERCROMBY, Gen. Sir Ralph, 249, 254· Alessandro, 30 Amherst, Gen. Lord, 245 Anson , Amm. Lord, 104-105, 110-111 , 117-118, 160, 168, 205, 249 BACON, Sir Francis, 58 Barham, Amm. Sir Charles Middleton, Lord , 110, 130 -131 , 137, 147, 162-163, 175, 182, 219, 254 Barraille (o Barrailh), Amm ., 215 -216 Barrington, Amm. O n. Samuel , 133-134 Belleisle, Maresciallo di, 217, 253 Berry , C.V. , Sir Eduard, 207 Blake, Co l. Robert, Generale di Mare, 157-158 Blucher, 29 Boscawen, An1m. On. Eduard, 169, 218 Bruix, Amm., 129 Byng, Amm. Sir George, 148 CAEMMERER, Gen. von, 72 -73 Calder, Amm. Sir Robert, 148, 163 Carkett, C.V. Robert, 14 Carlo II, d 'Inghiltena , 160 Carlo, Arciduca d 'Austria, 28, 54, 64 Carlo Edoardo, Principe, 214 - 265 -


Chateaurénault, Amm. Conte di, 188-189 Christian, Amm. Sir Hugh, 254 Clausewitz, Gen. Karl von, 15, 29-30, 32-33, 43-48, 51, 53-58, 60, 69, 71 -73, 75, 79-80 Colpoys, 173 Conflans, Amm. Conte di, 170, 218 Cornwallis, Amm. Sir William, 131 , 147, 162-163, 174-176, 235 Cotton, Arnrn. Sir Charles, 162 Craig, spedizione di, (1805), 65, 160 Cromwell, 28, 142-143, 148, 158 DAVOUST, 29 Deane, Col. Richard , Generale d i Mare, 158 Decrès, Amrn., 129 De Ruyter, 125-126 Drake, Sir Francis, 41, 144-145, 154-156, 199, 211 , 249, 258 Dumouriez, Gen., 219, 221 Dundas , Amm. Sir James, 246, 250 Duquesne, A.mm. Abraham, 113 ENRICO Vill, 102, 104 FERDINANDO, Principe di Brunswick, 62 Fed erico il G rande, 28, 40 , 47, 55, 62, 64-65 , 75, 142 Filippo Il, di Spagna, 208 GANTEAUME, Amm. Conte di, 170, 174, 177, 206 Garclner, Amm. Lord, 174 Giorgio n, 213, 216 Gneisena u, 29 Goltz , Gen. von der, 71 , 91 Guglielmo III, 86, 188, 192, 197 Gu ichen, Amm. Conte d i, 133, 195 Guisa, J 44

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HARDY, Amm. Sir Charles, 218-221 Hawke, Arnm. Sir Edward, 97, 168-170, 173, 205, 217 -218 Howard di Effingharn , Arnm. Lord, 154-156, 211 Howe, Amm. Conte, 132, 134 -136, 169-173, 179, 181-182 JERVIS, Arnm. Sir John, 195, 254 ]omini, Gen. Barone di, 33, 43 -44, 47-48, 51, 53, 56, 59, 71-72, 78, 80 l<AMIMURA, Amm., 153 K.eith , Amm. Lord, 205, 249 Kempenfelt, Arnm. Richard , 126, 133-136, 170 -173, 181, 194-196, 198, 219, 221 , 224 Kllligr~w, Amm. Henry, 188 -192, 196 K..raft zu Hohenlohe - lngelfingen, Principe, 71 LANGARA, Amm. Don Juan de, 135 Ligonier, Gen. Lord, 66 Lyons , Amrn. Sir Edmund , 246 MACK., Gen., 28 Mahan, Amm. , 152 Maitland, Gen. , 253 Maria Teresa, 212 -213 Marlborough, John , Duca di, 63 Med ina-Sidonia, Duca di, 211 -212, 215 Melville, Lord, Primo Lord dell'Ammiragliato , 175-176 Midclleton, vedi Barham, Moltke, Gen. von, 32, 51, 55, 70 Monk, George, Duca di Albemarle, Generale di Mare, 125-126, 143, 158 Montecuccoli, Principe, 30 Montcalm, Gen. , Marchese di, 258 -259 - 267 -


Il

111

I

NAPOLEO E, 26-30, 32, 48, 51-54, 65-66, 72, 75, 91, 129, 131-132, 142, 160-161, 163, 170, 186, 205-209, 217-218, 221 -222, 230 Nelson, Amrn. Lo rd , 108-109, 111 , 116-117, 126, 128-130, 146-148, 160, 162-166, 174-175, 181-183, 191 , 195-196, 198, 207, 242 Ney Ma r, 33 Norris, Amm. Sir John , 206, 213-216, 218, 242 Nottingham, Daniel Finch, Conte di, 190-1 91 ORDE, Amm. Sir John , 196 OrviJliers, Amm. Conte di, 220 PARMA, Principe Alessa ndro Farnese, Duca di, 154-155, 209, 211-212 Patton, C.V. Ph ilip , 168 Persa no, Amm., 252 Peterborough , 246 Pitt, William Conte di Chatham , 62-63, 79, 160, 257 Pitt, William il giovane, 182 RAGLAN, Gen. Lord , 258 Rodney, Amm. Sir George, 14, 132, 172 Roqu efeuille, Amm. Marchese cli, 214-216 Ross, Amm. Sir John , 134-135 Rupe rt, Principe, 125 -126, 143 Russe ll, Amm. Edwarcl, 197 SANTA CRUZ, Amm., Marchese di, 208 Sr. Vincent, Amm. Sir John Jervis, Conte, 172-174, 254 Sampson, Amm. , 152 Sandwich, Amm. Co nte di, 113 Saunders, Amm. Sir Charles, 249, 258 Saxe, Marescia llo, 213 , 215 -216 Sharnorst, 29 - 268 -


Shovel, Amm . Sir Cloudesley, 188-189, 196, 246 Stakelberg, Gen. , 259 Strachan, Amm. Sir Richard, 116 -11 7 TEGETHOFF, Amm. , 40, 252 Togo, Amm., 78, 153, 177, 181, 249, 251, 259 To rrington, Amm. Lord , 189-193, 196, 198 Tourville, Amm . Conte di, 188-189, 191, 193, 196-197 Tromp , Arnm. Martin H. , 157 VILLENEUVE, Amm ., 129 -131, 160, 162-163, 167, 174, 181, 196, 229

WALLMODEN, 29 Warren, Commodoro Sir John B., 205 Wellington, Duca di, 39, 56, 60 , 63 , 78, 97 Wolfe , Gen. , 66, 176, 245 , 258 -259

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'


INDICE DEI TOPONIMI

ABUKIR, 161

Africa, 183, 230 Alessandria, 249 Alsazia-Lorena, come obiettivo limitato, 51, 53, 55 Ambleteuse, 217 America , 94 , 169 Amiens , 174 Ancona, 252 Anversa , 66 Asia, 56 Atlantico, oceano, 128,152, 169, 171 Austerlitz , campagna di, 28, 54 Austria, 54, 65 Avana, 57, 152 BARCELLONA, l'assed io di , 246 -247 Batz, isola di, 160, 249 Beachy Head, barraglia di , 192 Belgio, come obiettivo limitato, 50, 53, 55 Belleisle , spedizione a, 253 Biscaglia, baia di, come area cl i concentrazione, 128 -129, 226 Boulogne, 217 Brest, 129, 133-135, 147, 160, 168 -169, 171 -174, 177, 182, 188, 205, 213-215, 217-218, 221 , 249,254 Buona Speranza, Capo cl i, 98 - 271 -


CADICE, 65, 128, 131, 134-135, 160, 166, 188, 199, 227 Canada, come obiettivo limitato, 55 -57, 76, 185 -186 Canale, isole del, 129, 218, 227 Cartagena, d i Spagna, 227 Chatham, attacco o landese su , 159, 189, 199 Cherbourg, 218 Cienfuegos, 152 Cina, 239 Clear, Capo, 235 Copenhagen, spedizione cli, 65 Corea, 38, 57, 75 , 77 -79 Cork, 97, 131, 226 Crimea, 57, 61 , 76, 222 , 246-247 , 250, 257 Cuba, 96, 153 DALNY, 200

Dardanelli, 128 Dardanelli, fa llimento inglese ai, 65 Dieppe, 175 Dogger, Banchi di, 143 Dover, Stretto di, 132, 193, 214-215 Downs, i, 66 , 125 , 128- 129, 133 -134, 158, 175, 189, 206, 214 -216, 218, 226 -227 Dungeness, 175, 216 Dunkirk, 173, 197, 206, 2-11, 213 -218 EGITTO, 206 -208

Elliott, Isola di, come posizione di difesa, 40, 251 FERROL, 128-129, 229

Fiandre, 213 - 272 -

'


Finisterre, 94, 98, 128 -129, 218, 221 , 234 -235 Flessinga, 175 Francia, 38, 46, 50 -51, 67, 86, 94, 98, 110, 118, 132, 137, 144, 172 -174, 186, 188, 197-198, 212-214, 226, 238 , 247 GALLIPOLI, 216

Germania, 29 , 48, 72 Giamaica, 130, 132, 135, 182 Giappone, 38, 74 , 76 -78 Gibi lterra, 38, 98 , 128-129, 133-134, 136, 171, 188, 227-228, 235 Gran Bretagna, 169, 195, 207 G unfleet, 189 -192 HANOVER, 62, 213 INGHILTERRA, 29, 57-58, 74, 175, 177, 197, 208-299, 213-214

Irlanda, 136, 144, 172-173, 177, 188, 190, 192, 197, 208, 218 , 220, 226 -227, 243 Islanda, 136 1talia, 29, 54, 183 JENA, 79 KUANTUNG, penisola del, 249 LA CORUNA, 156

Land's End, 135 Le Havre, 217-218, 227 Leone, Golfo del, 181 Leith, base di, 227 Liao-tung, penisola di, 40, 70, 247, 251 Liao -yang, 77, 79 L~bona, 65, 76 , 156 Lissa, 40, 160, 252 - 273 -


Livorno, area di , 227 Lizard, 97, 136, 220 Londra , 213-214 Lo uisburg, 245, 247

MALTA, 128, 227 Manciuria, 75, 77, 222, 249 Manica, 41, 94, 125, 128, 132, 1:34-136, 144, 155, 160, 162, 168-169, 182, 189-190, 193-196, 206, 214, 216, 217-221, 227, 231, 233 Marti nica, 229 Medway, 41, 154, 19 1 Messico, Golfo del , 96 Minorca, 38, 133 Morbihan , 205, 217-218 NEW-CIIUANG, 259 Nore , 193, J 96, 214 OG ISSANTI, isola e.li, 128-131, 133 - 134, 136, 162, 170, 195-197, 222, 235 Olanda , 63, 75, 113, 116, 118, 125, 137, 143, 145, 172 Oriente. Estremo, 74, 78 Ostenda, J 57

PALERMO, azione cli, 113 Pa rigi, dichiarazio ne di, 89, 230 Pe-chi-li, golfo de l, 70, 259 Penisola Iberica, 60-61, 66-67. 94, 97 Plymouth , 154, 156, 169, 189, 193, 214, 220 Pola, 252 Pon Arthur, 75, 77-79, 153. 177, 180, 199-201, 249-251 Portogallo, 63, 76, 172, 245 Portorico, 152 - 274 -


Portsmouth, 97, 125, 173, 189, 196, 214-215, 218 Prussia, 50, 62 QUEBEC, 245, 249 , 258-259 ROCHEFORT, 128-129, 162, 205 , 216, 257 Roma, 214 Russia , 29, 38, 48, 75 , 77-78 SAN LORENZO, 249

Santiago (Cuba), 152 Santo Domingo, 250, 258 Sardegna , 128 Scilly, 41, 135 -136, 220 Scozia, 144, 190, 212, 216, 226 Sebastopoli, 75, 246, 250 Sedan, 79 Seul, 75-76, 79,249,260 Sheerness, 159 Sicilia, 63, 182 Singapore, 98 Slesia , 47, 55 Skelligs , 136 Sole Bay, 41, 113 Spagna, 29, 38, 110, 132, 137, 152, 154-155, 172, 212 -213, 218, 227, 230 , 255 Spitbead, 1.25, 133, 135-1.36, 1. 70, 214 Start, Capo, 21.5 Stati Uniti , 238 SL Elena, 170, 239 St. Helen Road, 189, 220 Se. James, 159 - 275 -


St. Malo, 160, 247 St. Vincent, capo d i, 94, 128, 162, 234 -235 Suez, 98 TAKUSAN, 249

Tamigi, 125 -126, 189, 191, 213, 215, 231 Texel, 128, 133 -134, 136, 173 Tilbu1y, 213 Tokio, 153 Tolone, 66, 125, 128, 164, 174, 182-183, 188-189, 227, 229, 246, 254 Torbay, 16.8 -171, 182 Torres Vedras, 39, 78 Trafalgar, 65 , 111, 175, 229 Trieste, 128 Tsushima, 77 UTRECHT, trattato çli, 213 VIENNA, 54

Vladivostock, 75 WALCHEREN, 65

Wight, isola di, 125, 189, 2iS, 218, 221 YALU, 79

Yarmouth, 160, 227

'

- 276 -


INDICE ANALITICO AMMIRAGLI, duplicazione degli, 167-168 Area difesa, 226 -228 di sbarco, selezione della, 256 -257 fertile, 225 -228, 232, 234, 237, 240 focale, 94 , 98, 225 -228, 234 , 238 terminale, 94, 127-129, 225 -226, 233 , 238, 247 -248 Armada, spagnola o Jnvencihle (1588) , 40, 144-145, 155, 199, 205, 206,212 Articoli di guerra, origine degli, 158 BANDIERA, mostrare la, 227 Basi, 180, 237 -239 Battaglia, del "Glorioso Primo Giugno", 160, 172 del Nilo, o di Abukir, 161 di Beachy Head, 192 di Boyne, 197 di Dettingen, 213 di Dungeness, 157 di Lagos, 218 di La Hogue, 161 di Mukden, 78 di Quiberon, 97, J.61, 170, 218 di Sole Bay, 41, 113 di Trafalgar, 65 - 277 -


d i Tsushima , 77 dottrina della, 147-148, 158-159, 203-205 in attacco, e difesa del commercio, 226-229, 235 navi d a, funzion i delle, 105 -110 squadre da, come o rganismo impe rfetto, 108-1'10, 114-115, 117 Blocco, 95, 131, 147, 157, 177 come difensiva, 41 ·come d o minio del mare, 163, 166 come offensiva, 178 commerciale, 164, 166, 226 etica del, 164-166 insicurezza del, 111, 170, 178, 23 5 metodi per il , 171 nava le, 163-164, obiettivo ulteriore del, 165 stretto e aperto, 164, 166, 171, 175-177, 181-182, 216, 249 tattico e strategico, 90 teoria del, 163 - 164, 178-183 Brigantino, 102 "CAMPAGNE AU LARGE ", J97

Capitali , come obienivo, 28, 51, 54 Classificazio ne della navi, teoria della, 101 e segg. Comand anti del porto, 227-228 Commercio, accresciute difficolLà dell a difesa del, 231 -233, 236, 239 -240 attacco e difesa del, 94. 143, 145, l 50, 176, 226, 239, 241 a utod ifesa del, 238 -239 come obie ttivo, 143, 157, J 59, 225 costiero, difesa del, 227 difesa del, in Adriatico, 227 difesa ciel, nel Ba ltico, 134 -135, 226-227 difesa ciel, in re laz ione al volume cli traffico, 234 -238 - 278 -


distruzione del, 88, 90, 93, 225 ne lla guerra del 1812, 238 operazioni contro il , 90, 134, 159 prevenzione del, 88, 143 principi del, 225-228, 233, 235-238, 240-241 protez ione d el, 103, 105, 123, 130, 145, 231 rapporto tra vulnerabilità e volume del, 233, 236 -237 , 239 rotra del, 128,226,228, 232-234, 236 rotta segreta del , 229 teoria d ella vulnerabilità del, 236-237 Comunicazioni, controllo delle, 107, 146, 149, 182 linee di c. commerciali, 164 marittime, 87-88, 90, 93, 95 , 109,112,203,226 militari ed interne, 87-89, 91 -93 teoria delle, 93-94, 110, 225 -226, 234 Concentrazione delle forze, 119, 126, 173 casi di, 124-126, 128-131, 172-173, 189,197, 217-218, 220-222, 255 condizioni per, 128-153, 176 limitazion i, 122-124 nelle s pedizioni interforze, 245 principi della, 120-122, 141 reazioni a lla , J 27-128 scopi della, 122 -123 strategica, 121 Conquista del territorio , 67, 72, 88 Contrattacco, 40 minore , 199-202 principio del, 36, 70, 187-188 Convogli, attacco ai, 134, 188-190, 195, 197, 223, 228-229, 235 diminuita importanza dei, 131, 135, 157, 182, 196-197 principio del sistema dei, 228-229, 232-234, 238-239 , 244-245 sistema dei, 228, 233

- 279 -


Corsari, abolizione dei, 230 difesa contro i, 114, 227 - 228 effetti dei, sulle difese del traffico , 230 -233 privati, 89-91, 230 DECISIONE, operazioni per una, 149 e seg. Dichiarazione di Parigi, 89, 230 Difensiva, come complemento dell'offensiva, 37, 70 in mare, 86, 98, 185 -186 strategica, 86, 93 teoria della, 36, 38-42, 197 terrestre, 187 uso austriaco delta, 252 uso francese della, 98-99, 185-186, 197-198 uso inglese della, 86, 133-134, 188-196, 217-221 Di lemma di Nelson, 108

Disposai Force, 60 Divisione delle forze, casi di, 116-119, 137 Dominio del mare, 86, 93, 95, 98-99, 127, 151, 159, 185 assoluto, 190, 196, 240 conquista del , 87, 131, 146, 197, 202 definizione del, 86-87 disputa del, 149 mancanza del, 177 manchevolezze relative al, 85-87, 97 mantenimento ed esercizio del, 149, 175, 185, 202 -204 teoria del, 85-99 vari stad i del, 95 -97 ESERCITO, come primo obiettivo deI!a flotta, 205 -210, 220, 243 territoriale, 243 uso deil'e. per obiettivi navali , 243 - 280 -


FINTE, nelle operazioni anfibie, 257-259 "Fleet in being ", origine d el termine; (vedi anche Massime), 188 -190 Flotta, casi di suddivisione della, 172-173 composizione della, 102, 117 da battaglia, 108-110, 114-115, 117, 147, 226 -229, 235 logoramento della, 166, 222 mobilità del la , 96 , 187, 194

Flottiglia, 104 accresciuto potere della, 115, 177, 222, 224, blocco con la, 210-212, 217, 224 funzioni e composizione della, 102-105, 113-114, 254 nella difesa costiera, 114, 209 -211, 221, 239, 243-244 nella difesa del commercio, 227 Forti, per la difesa del commercio, 227 Forza economica, principio della, 240-241 Fregata, 102 -103, 112 Fulmine a ciel sereno, "Bolt from the blue", 213 GALEAZZE, 102

Galere, classificazione delle, 102 Guerra, arte della, 17, 26 assoluta , 30, 44, 46-49, 118 condotta della, 16, 18, 28 di aggressione, 92 di corsa , 89-90 difensiva (lower rnad) e offensiva (higher road), 36-37, 42, 69, 73 di intervento , 61, 67 di popolo, 230 di rivoluzione, 26 economica, 95 limitata, e illimitata, 43-46, 50-58, 61-63, 67, 69, 71, 75 , 80, 151 marittima, 58, 93 - 281 -


navale, 81, 182 navale, contrastata da terra, 141- 146, 186 -187 obiettivo politico della, 32, 44-45 per contingente, 59 e segg. piani di, 15, 19, 25, 46-50 principi del la , 98, 129 reale, 30 -31 successo in, 18 teoria della, 16, 19, 23, 25, 31 , 51 , 102, 105, 147, 149 terrestre contrastata dalla guerra navale, 141 -146, 186-188 la Grande Guerra (è quella contro Napoleone), 63, 128-129, 172-174 la g. anglo-americana (1812), 110, 238 la g. anglo -olandese, 41, 103, 116, 118, 124-126, 143, 156-159, 199 la g. anglo-spagnola, (1588), vedi Armada la g. civile inglese, 143 la g. dei Sette Anni, 51, 55, 57, 62, 64, 104, 160, 168-169, 174, 185 la g. di Crimea, 75 , 77, 222 la g. di indipendenza americana, 86, 110, 169, 171, 186,194, 198, 238 la g. di successione austriaca, 47, 103, 212-216 la g. di s uccessione s pagnola, 37, 246-247 la g. franco -tedesca (1870), 67 , 74 la g. fra nco-russa (1812), 48, 51 la g. ispano- americana, 57, 96, 151 la g. italo-austriaca (1866) , 160, 252 -253 la g. peninsulare, 56, 60, 63, 65 -67 la g. russo-giapponese, 41, 45 , 51, 74 , 78, 96, 151, 153, 177, 180, 222, 246, 249-252, 259 -260 Guerriglia, 187 HOME FLEET, 137-138, 186, 189, 206, 213, 218

INCROCIKfORI, blocco con, 218 -221, 253 come avamposti d i un'area difesa, 234-235 d iminu ito raggio d 'azione degli, 231 , 241 funzioni di battaglia, 116-117 - 282 -


caratteristiche dei moderni, 223 -224 corsari , 230 teoria degli , 106-113, 114 -117 lndianman, 97

Indie Occidentali , 94, 128, 162, 168 -169, 174, 186, 195, 197, 213 , 217-218, 230, 238 , 245 , 254 Influenza, 134-135 Iniziativa, 69 -70 lntelligence, 200, 222 -224, 235

con i contrabbandieri, 214 Invasione, del mare, 196, 208 defin izione di, 210-211 difesa contro le, 114, 132, 144 -145, 154 -156, 162, 175 -177, 188 190, 196 -197, 203 -224 principi inglesi sulla , 207, 210, 222 -224 Istruzioni per il combattimento , 158 LEGA DI ASBURGO (Guglielmo III), 86, 188 -191 MARE, Adriatico, 227, 252 Baltico, 41, 76,134, 153, 226. Caraibico, 132 del Nord, 66, 118, ] 28, 132-136, 160, 173, 175, 182, 197 del Sud, 239 Mediterraneo, 37, 89, 102, 111, 116, 128-131, 160, 174, 182, 192, 195-196, 213, 217-218 Nero , 246 controllo del , 24, 64, 96, 108 dominio del, 57-58, 65, 76, 87 importanza del fattore, 56, 63 influenza del , sulle campagne terrestri, 62-63, 69, 73 - 283 -


negazione del, 180 non controllato, 207, 218 non dominato, 85, 207 -208, 215, 222, 247, 260 ristretto, 156, 209 -210, 243 uso del, 203 Massa centrale , 126,217 Massime, pericolo delle, 106

"Attack is best defence", 39 "Concentrazione genera concentrazione", 127

"Conquest of water territory", 86 "Enemy 's coast ourfrontier', 86, 114, 146, 178 "Eyes of thejleef', 101, 106, 110, 113 "Fleet in being", 149 -150, 185, 188, 190 "Gli avvoltoi si radunano dove ci sono le carcasse", 225 "Il dominio del mare dipende dall e navi da battaglia", 106 "The sea is al! one", 96

"Seeking out tbe enemy's fleef' , 95, 142, 144, 149, 151-157, 159, 161 , 163, 171 , 178 "Se l' Inghilterra perdesse il dominio del mare ~arebbe finita", 85, Mine, 40, 179, 222, 249 Minamento offensivo, 149, 180 '

NAVE,

blocco (bock ship), 180 bomba, 102, 215 da battaglia, fu nzioni della, 105-110 incendiaria (brulotto), 102, 113, 199, 202, 215 intermedia, 104, 112 -113, 117 la grande, 103 - 284 -


Nemico, distruzione del, 71, 204 OBIETTIVO,

illimitato, 62-63 isolamento dello, 57-58, 81, 204 limitato, 50-57, 63 , 80 Alsazia-Lorena, 51, 53 Avana, 57 Belgio (1830), 50-51, 55 Canada, 55, 56-57, 76,185 Corea , 38, 57, 75 Cuba , 57, 96, 152-153 Sassonia, 55, 92 Seul, 75 -77, 79,249,260 Sicilia, 63 Slesia, 47, 55 Spagna, 60, 63

come obiettivo limitato

primario, 108, 205, 225 principale, 28, 71, 142 territoriale, 45, 54, 60, 62, 80 ulteriore , 71 , 142, 149, 178, 187, 191 OFFENSIVA,

arresto della, 114, 178 -179, 18~ teoria d ella, 38 OPER.ì\.ZIONI,

anfibie, 64-65 , 249, 252-255 costiere, 60 combinate, 59, 152 -153, 173, 260 di contrattaccò, 62, 199 -202 difensive, 185 -198 cli isolamento , 61 - 285 -


interforze, 241 , 246 negative , 198 o ltremare, 56, 241 PASSAGGIO, linee cli, 110-111 Pattugliamento, con gli incrociatori, 146-148, 233 -235 con la flottiglia, 222 Personale della flotta, doveri a terra del, 248 -249, 252-255 Pinnaccia, 103 Posizione interna , 153, 167, 181-182, 210, 216, 218, 220 Posizione navale, 98 Prede, affondamento cli, 232 Preponderanza in mare, 98 Pressione economica, principio delJa, 94-95 Proprietà privata in mare, cattura di, 87-93 RIVOLUZIONE, la R. francese e la sua influen za sulla g uerra, 26-27, 31, 45

SCHERMI, di incrociatori, 113 accresciuta necessità di, 114 Scorta, ai convogli, vedi convogli, ai mercantili, 228 ai trasporti , 213-215, 217-218,

'

Siluro, aspetti strategici, 117, 198 -202, 222, 239 Soldati - Ammiragli, salutare influenza dei, 118, 125, 136, 148, 158 Sommergibili, 179 -1 80, 201 -202 - ZS.6-


Sorpresa , accresciuta difficoltà della , 222-224 come ottenerla, 66 vantaggi della, 39, 126, 179 Spedizione, attacco di, 241 combinate, 131-132 condotta di , 66, 241-260 difesa dalla, 243 funzione delle unità n avali nella , 241 e seg. protezione di, 203 uso strategico ed effetti di, 159-161 Spiagge da sbarco, scelta delle, 250 -251, 256-259 Squadra, "Avanzata"o "Leggera", 116 -117 del Baltico, 76, 181, 246 della Manica, 172, 246 del Mare del Nord, 226 del Mediterraneo, 227, 246 di copertura, 244 -251, 256 di osservazione, 116-117, 194 incrociatori, 226 occidentale, 128-129, 171-172, 217-218, 226, 229 responsabile dei trasporti, 244 -251 , 256 Strategia, 23 continentale, 43 d ifensiva, 70 navale e marittima, 19, 23, 43, 81 offens iva, 70 p rincipale e operativa (major and minor) , 71 studio teorico della, 17-18 - 287 -


TESTA DI PONTE, 256, 258 Trasmìssioni, senza filo, 230 infl uenze delle , 230 nella difesa del traffico, 232 Trasporci, come obiettivo principale, 205, 242 divisione, 244 , 249 grandi o piccoli, 243-244 Two-Power Standard, 255 VAPORE, influenza strategica del , 222 , 250, 260 Velocità, Kempenfelt sulla, 19{ 219

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