ALLA BASE DEL SUCCESSO

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In copertina: la ricostruzione, da me presentata insieme alla mia comunicazione The first air-war doctrine of Italian Royal Air Force: 1929,al 67° congresso annuale della Society of Military History – Quantico (Virginia), U.S. Marines Corp University, il 28 aprile 2000, delle zone raggiungibili nel 1929 in caso di guerra dalle aeronautiche italiana, in rosso, francese, in blu e jugoslava in giallo, secondo il discorso “del compasso” di Balbo, qui menzionato a pagina 56.

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Indice Introduzione…………………………………………………………………………………… p. 4 Capitolo I Il problema aeronautico nel 1929……………………………………………………………...p. 8 Capitolo II Caduto l’Italia, dimesso Nobile, addio ai dirigibili……………………………………………p. 14 Capitolo III Le risorse umane della Regia Aeronautica e i provvedimenti relativi al personale………...p. 24 Capitolo IV La crociera del Mediterraneo Orientale e i contrasti tra Balbo e De Pinedo……………… p. 34 Capitolo V Le risorse materiali della Regia Aeronautica nel 1929……………………………………….p. 40 Capitolo VI Le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea: la prima dottrina italiana della guerra aerea……………………………………………………………………………….p. 52 Capitolo VII L’identificazione del nemico e l’ipotesi di guerra: Est, Ovest o tutt’e due?...........................p. 73 Capitolo VIII Addio De Pinedo………………………………………………………………………..……….p. 88 Capitolo IX L’inizio di Valle………………………………………………………………………………...p. 94 Appendici………………………………………………………………………………………p. 102 Indice dei nomi e delle ditte…………………………………………………………………...p. 113 Indice degli aerei, dei dirigibili e delle navi………………………………………………….p. 115 Indice dei luoghi e dei trattati………………………………………………………………...p. 116 Indice dei reparti e degli enti militari………………………………………………………..p. 118 Bibliografia…………………………………………………………………………………….p. 120 Note bibliografiche…………………………………………………………………………….p. 124

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Introduzione

Ci sono film e romanzi in cui qualcuno, per caso, trova un antico documento, che si ignorava o si credeva perduto e si mette alla ricerca di quel che il documento gli indica, magari con avventure incredibili e con esiti scontati, che nella realtà non si verificano mai. E’ quanto mi accadde molti anni fa, quando ritrovai un documento, smarrito da tempo, di cui si sapeva che era esistito, ma che si credeva perso per sempre. Non ne sono seguite avventure incredibili, ma un esito inatteso si, pure se, a ben vedere, sarebbe stato da aspettarselo: il silenzio. Come spesso accade, la storia del ritrovamento fu un esempio di caso, occhio e fortuna e iniziò in un luogo che poco aveva a che vedere coll’oggetto del ritrovamento stesso e per motivi completamente diversi. Nel 1997 l’Ufficio Storico dell’Esercito si ricordò d’avere in magazzino da decenni un testo, in parte manoscritto e in parte dattiloscritto, sulla vita d’Eugenio di Savoia. Poiché i militari avevano in mente di pubblicarlo, mi diedero l’incarico di leggere il testo originale e giudicare se ne valesse la pena o non convenisse rimetterlo in archivio. Pubblicarlo era possibile, ma con fatica. Per integrare quanto avevo sotto gli occhi, alla fine mi sarebbe stato necessario scrivere 41 capitoli su 60. Ma, alla prima occhiata su quella congerie di carte nell’ufficio del capo sezione Archivio dell’Ufficio Storico, mi saltò agli occhi uno stemma su carta intestata: l’aquila coronata della Regia Aeronautica, azzurrina, ma di un tipo che non conoscevo e che dal disegno sembrava molto vecchio, sicuramente degli Anni ‘20. Fu proprio la curiosità di capire che fosse quell’aquila a farmi chiedere di prelevare i faldoni del manoscritto per esaminarli a casa e stendere uno studio di fattibilità. A casa il testo originario del libro mi apparve subito molto incompleto, ma ancora lunghissimo e non facile da leggere, perché l’autore, il defunto generale dell’Esercito Natale Pentimalli, non solo aveva uno stile poco scorrevole, ma, per non sprecare carta, aveva scritto il suo libro sul retro di fogli già adoperati, corredandolo di innumerevoli note, varianti, correzioni, rimandi e ripensamenti, segnati su foglietti volanti e striscioline di carta appuntate con spilli o incollate sui fogli già scritti. Aveva usato di tutto, dai biglietti d’auguri, ai rapporti d’esercitazione del Regio Esercito degli Anni ’30, alle partecipazioni di comunione o di battesimo. Doveva aver svuotato tutti i cestini di casa per anni e anni. Quanto alle carte collo stemma della Regia Aeronautica, non mi riusciva di capire che fossero. Sul loro recto – io dovevo occuparmi del testo manoscritto sul verso – si leggevano brani di rapporti tecnici aeronautici, frammenti di comunicazioni di servizio e frasi, spesso non più di una o due, appartenenti a testi burocratici ma difficilissime da comprendere, isolate com’erano dal loro contesto originario. Ero incuriosito. Per saperne di più avrei dovuto scollare le strisce colle correzioni per vedere cosa c’era scritto dietro, sulla parte incollata, ma non potevo farlo, né potei per un anno intero, perché prima dovevo finire il testo sul Principe Eugenio. Non si trattava di precedenze, ma dell’impossibilità di fare i due lavori insieme. Infatti Pentimalli aveva adoperato quei fogli, o le loro parti, senza alcun ordine. Scritte sul retro le correzioni, li aveva tagliati a strisce, per non sprecare tutto il foglio, ovviamente, e poi le strisce le aveva incollate sugli altri fogli; col testo originario a faccia in giù! Ovvio, se no la correzione come si sarebbe vista? Era evidente che, per ricostruire i testi originali, dovevo scollare le strisce, cioè smontare i singoli fogli componenti i resti del manoscritto di Pentimalli su Eugenio di Savoia, per cui dovetti aspettare fino a quando finii la parte per cui mi servivano i misteriosi fogli. Poi li smontai. Era il periodo di Natale del 1998. Passai dieci giorni di ferie a sciogliere la vecchia colla naturale adoperata da Pentimalli circa cinquant’anni prima. Non potevo tenere i fogli troppo a lungo nell’acqua tiepida e dovevo staccare le strisce con estrema attenzione e tutte le precauzioni possibili. Poi le mettevo ad asciugare per tutta la casa, forte della mia esperienza di collezionista di francobolli. Il viavai fra il bagno e le stanze era continuo. Fogli e foglietti galleggiavano nel 4


lavandino e nella vasca da bagno. Appena uno poteva essere scollato senza danno, lo ripescavo e ne mettevo a mollo un altro. Ben presto lo spazio cominciò a mancare. Prima si ricoprì di foglietti umidi il divano del salotto; e la loro quantità mi indusse a metterci sotto degli asciugamani. Poi toccò alle due poltrone, poi le altre due, poi si riempì il tavolo da pranzo, debitamente ricoperto di mollettone. Non ne sono certo, è passato tanto tempo, ma mi pare d’aver invaso anche altre due camere: meno male che vivevo da solo. Quando furono asciutti, radunai tutti i pezzi di carta sul tavolo da pranzo (quel giorno mangiai in piedi) e passai una giornata intera a capire come ricomporli. I testi erano stati così massacrati dai tagli, che era impossibile ricostruirli in poco tempo. L’unica era dividerli secondo il tipo di dattiloscrittura, l’inchiostro – blu o nero – e, talvolta il tipo di carta. Faticai parecchio a distinguere fra due dattiloscritti fatti da macchine molto simili, lavorai per un bel po’ e alla fine avevo una ventina di mucchietti di fogli, distinti appunto secondo le caratteristiche di dattiloscrittura. Cominciai dal primo. Come ricomporrete le frasi? Studiai i margini di ogni striscia. Decisi che se avevano qualche irregolarità sotto e sopra erano evidentemente state tagliate dal corpo d’un foglio, Se invece avevano un margine perfettamente dritto, dovevano essere la striscia superiore o inferiore d’un foglio e, ogni volta che trovavo una di queste, la mettevo da parte. Quando ebbi fatto i mucchietti delle strisce coi margini superiori o inferiori dritti, mi toccò il passo seguente: cercare fra tutti gli altri foglietti quello un cui margine coincidesse perfettamente col margine tagliato d’un foglietto iniziale, superiore o inferiore. Se poi anche il testo avesse coinciso, sarei stato a posto. Già; ma in certi casi il testo non coincideva e me ne sarei accorto presto. Cominciai a rimettere insieme i pezzi stando attento ai segni dei tagli fatti dalle forbici cinquanta o sessant’anni prima, alle tracce lasciate sul bordo superiore d’un foglio dalle piccolissime estremità inferiori delle lettere della riga superiore, alle divisioni in sillabe… fu un lavoraccio che durò sei giorni. Quando ebbi finito provai a vedere che avevo davanti e… non sapevo cos’era. O meglio, lo sapevo, perché i titoli erano chiarissimi e i contenuti pure, ma, da settecentista mai occupatosi a fondo d’Aeronautica, non capivo che importanza potessero esattamente avere le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea e l’Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali. Lasciai lì e passai agli altri mucchietti; e furono proprio quelli a farmi venire i primi sospetti e a cominciare a sbrogliare la matassa; perché mi trovai davanti il Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle; oggetto: passaggio di consegne della carica di Sottocapo di Stato Maggiore della R. Aeronautica. Chi fosse stato Valle lo sapevo benissimo, ma non ricordavo chi l’aveva preceduto; mi pareva De Pinedo, ma non ero sicuro. Poi guardai le carte più appariscenti. C’erano foglietti stemmati della Regia Aeronautica, coll’aquila ma ancora senza i fasci; dunque di prima del ’25? C’era un dattiloscritto in inchiostro azzurro, in cui si parlava di un volo intorno al mondo con un idrovolante….. Questo mi diceva molto: l’unico Italiano, anzi, l’unico al mondo a fare una cosa del genere, per quanto potevo ricordarmi era stato Francesco De Pinedo. Possibile mai…? Le altre carte erano molto frammentarie e non permettevano di capire granché. L’unica quasi completa era una serie di fogli numerati che risultava essere il testo d’una conferenza sull’aviazione tenuta a Roma; da chi, però, non c’era scritto. La scorsi. Vi si parlava in prima persona di un volo intorno al mondo, e questo mi fece pensare di nuovo che dovesse trattarsi di De Pinedo. Quando poi lessi di come l’oratore si fosse rifornito d’olio di ricino da un farmacista, avesse fatto riparare il suo idrovolante da un orologiaio e fosse stato nominato “gran maiale onorario” dagli indigeni della Nuova Guinea, non ebbi dubbi: erano cose che ricordavo; e sapevo, senza dubbio alcuno, a chi fossero capitate: a De Pinedo: l’autore di quella conferenza era stato lui. Controllai allora – e mi ci volle mezza mattina di ricerche in casa, perché internet era agli albori e non serviva a niente e i libri d’un settecentista non sono esattamente predisposti per chiarire le questioni aeronautiche, anche se qualcosa di aeronautico a casa l’avevo; controllai, dicevo, e seppi che Valle aveva rilevato De Pinedo nella carica di Sottocapo di Stato Maggiore nell’agosto 1929. 5


Restava da capire come alcune carte di De Pinedo – il dattiloscritto azzurrino sul raid in idrovolante aveva delle correzioni autografe a penna, per cui almeno quello era appartenuto a lui – fossero finite in mano a Pentimalli e, attraverso la cantina di sua figlia e poi i magazzini dell’Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, in casa mia, per di più colla vita del Principe Eugenio scritta sul retro. Una partecipazione di una prima comunione mi svelò l’arcano: Pentimalli aveva sposato la sorella di De Pinedo. Ne dedussi che le carte di quest’ultimo, che invece era restato scapolo, dovevano essere rimaste a casa sua e, dopo la sua morte in America, evidentemente erano state portate a casa della sorella, dove poi, senza rendersi conto del loro valore, il cognato le aveva adoperate per scriverci il suo Il Principe Eugenio di Savoia (una vis), spezzettandole talmente che ero arrivato a rimettere insieme fino a cinque diverse strisce per ricostruire una sola pagina originale. Riguardai tutto con calma: avevo porzioni delle bozze di stampa dei due libri di De Pinedo a proposito dei suoi viaggi, con moltissime correzioni autografe che solo l’autore poteva aver fatto. C’era la conferenza di cui ho già parlato, qualche foglietto di calcoli di rotta tracciati a matita, brani di un rapporto tecnico sulle prove con un Dornier Wal; il già ricordato progetto, praticamente completo, di quello che sarebbe stato il viaggio in Giappone e Australia; un prospetto, accuratamente spezzettato da Pentimalli, contenente l’elenco, tappa per tappa, dei rifornimenti destinati all’idrovolante di De Pinedo nel corso del medesimo viaggio, un foglietto isolato contenente qualcosa a proposito della situazione della linea di volo ed evidentemente indirizzato a qualcuno molto importante e i tre fascicoli, più o meno rimontati, del Promemoria Valle, delle Direttive per l’impiego delle unità dell’Armata Aerea e dell’Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia. Queste, come ho detto, non le avevo mai sentite nominare. Le lessi, cominciando dal Promemoria perché mi sembrava meno noioso e pensavo che m’avrebbe dato un quadro d’insieme. Eccome se me lo diede1 Alla seconda pagina mi balzò incontro la spiegazione di cosa fossero gli altri due documenti; e me la dava De Pinedo stesso, dopo quasi settant’anni, scrivendo “E’ stato anzitutto compilato e diramato un documento fondamentale “DIRETTIVE PER L’IMPIEGO COORDINATO DELLE UNITA’ DELL’ARMATA AEREA” e dando spiegazioni chiare e semplici anche sull’altra pubblicazione. Ora, caso aveva voluto che tempo prima mi fosse capitato di sentire qualcuno, e non mi ricordavo chi, sostenere che l’Italia non aveva mai avuto una teoria ufficiale d’impiego per la guerra aerea. La cosa mi era rimasta in mente perché m’era parsa strana. Sapevo di Douhet, avevo sentito nominare Mecozzi e le sue polemiche, conoscevo la nostra propensione nazionale e militare alle librette… come era possibile che non avessimo avuto una teoria ufficiale d’impiego? E adesso mi trovavo tra le mani questa qui; mai sentita, almeno da me: che era?. Decisi di controllare se era nota. Cercai in giro un libro su De Pinedo e non lo trovai. Guardai sulle fotocopie degli interventi del convegno internazionale tenuto dall’Aeronautica per il centenario della nascita di Balbo al quale ero stato, ma non le avevo tutte e gli atti non erano ancora usciti. Allora, visto che invece di libri su Balbo ce n’erano, comprai quello del generale Pelliccia Il maresciallo dell’aria Italo Balbo, saltellai da una pagina all’altra cercando i fatti del 1929 e improvvisamente lessi: “Della “Direttiva per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea” non v’è traccia negli archivi ” Non v’è traccia negli archivi! Ed era là, sul mio tavolo da pranzo, un po’ malconcia, mancante di parte di pagina 4, delle pagine 12, 13 e 14, di parte della 21, di quasi tutta la 22 , di tutta la 23 e, speriamo, di nient’altro, ma, beninteso, con pezzi della vita del Principe Eugenio sul retro. L’unica copia esistente, quella appartenuta a De Pinedo, dopo settant’anni era di nuovo più o meno disponibile. Credo sia stato uno dei maggiori colpi di fortuna che gli annali delle ricerche di storia militare italiana possono annoverare; e, grazie a Dio, è toccato a me. Che ne è stato poi? Fotocopiai diligentemente tutto, ordinai per bene i documenti originali in una cartellina e li resi all’Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, avvertendolo di cosa avevo trovato. Mi ringraziarono, misero tutto in archivio e non so se qualcuno ci abbia mai rimesso le mani, ma direi proprio di no, non negli ultimi vent’anni. Quanto a me, passai un bel po’ di tempo a cercare di capire cos’era quella roba e, man mano che procedevo nelle letture, mi si apriva davanti un quadro sempre più complesso che, secondo me, indicava il 1929 come l’anno d’una svolta 6


epocale nella vita della Regia Aeronautica. Mi misi all’opera e alla fine, nel 2000, ne venne fuori questo libro. Nel 2002 lo sottoposi all’Ufficio Storico dell’Aeronautica. ma la Sezione Editoriale d’allora obiettò che non si poteva, perché non c’erano riscontri archivistici, specie con le carte dell’Aeronautica, e perché non v’era prova che le Direttive fossero state realmente approvate. Io non insistei nemmeno un po’ – ognuno è padrone a casa propria – e il libro rimase nei cassetti della sezione editoriale, dove credo ancora giaccia. Negli anni seguenti ne pubblicai alcuni pezzi,I ma il libro tutto intero no. Aspettavo sempre un’occasione di farlo uscire. Riesaminato nel 2015, fu considerato interessante ma non in linea colle esigenze dell’Aeronautica, perché riguardava un solo anno. Sarebbe stato meglio, mi si disse, unirlo all’altro libro da me proposto, quello sul periodo 1911-1925, riempire il vuoto dal 1925 al 1929 e fare un solo volume. Ringraziai, diedi le mie fotocopie all’Ufficio Storico dell’Aeronautica e misi via il testo: di rimettermi al lavoro per anni solo per coprire il periodo 1925-1929 non avevo alcuna voglia e, per di più, la scoperta delle Direttive si sarebbe stemperata fino forse a passare inosservata, annegata in un mare di pagine. Ecco, c’era stato il ritrovamento inaspettato di qualcosa di ignorato o dimenticato, c’era stato il lavoro di ricostruzione e, infine, c’era l’esito inaspettato: il silenzio. Lo stesso silenzio che aveva gravato su quella storia mi ricadeva addosso soffocando ogni prospettiva. Sembrava quasi che, come nessuno ne aveva voluto far sapere nulla negli Anni ’20, anche adesso al principio del secolo XXI, morti tutti i protagonisti, i vivi fossero altrettanto decisi a mantenere tutto nell’oblio più totale. Ma io, ora, a più di vent’anni dal ritrovamento, mi sono stancato d’aspettare, mi sono stancato del silenzio e pubblico.

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Capitolo I Il problema aeronautico nel 1929. Gli anni tra il 1919 ed il 1928 avevano visto in Italia e nel mondo grosse discussioni teoriche e sperimentazioni di ogni genere per capire quanto e come potessero essere impiegati gli aeroplani. La trasvolata di Alcok e Brown da Terranova alle Isole Britanniche nel 1919 aveva dimostrato la possibilità per l’aeroplano di superare l’Oceano Atlantico, lasciando però in sospeso parecchie questioni: esistevano macchine capaci di superare distanze maggiori? Ammesso che già ve ne fossero, valeva la pena d’impiegarle? E, se non ce n’erano, era il caso di costruirle? Se si, con quali specifiche? Quanto sarebbero costate? Che resa avrebbero avuto in termini economici? Insomma, conveniva puntare sullo sviluppo commerciale dell’Aviazione o no? Alla prima domanda risposero per primi gli Americani col giro del mondo: si poteva fare; ma a costi molto alti: “Per dichiarazione dello stesso Governo Americano, è costato oltre 5.000.000 di lire1 per soli rifornimenti di olio, benzina ecc. e per le indennità al personale. A questa somma si dovrebbero aggiungere le somme spese per mobilitare le navi, il costo del materiale di ricambio distribuito in tutto il mondo, il costo delle esperienze e degli altri studi preliminari. Forse la spesa totale non è lontana dai 100 milioni di lire, ma anche con soli 5 milioni di lire si ha già un costo, per spese vive e direttamente sostenute, di oltre 115 lire2 per Km.”II La questione era stata accuratamente studiata in Italia da Francesco De Pinedo, il quale non aveva tardato a identificare i punti deboli dell’impresa americana. Basandosi sulle esperienze italiane dei voli di Ferrarin e Del Prete da Roma a Tokio e su quello di Locatelli, De Pinedo presentò un suo progetto di volo partendo da Roma verso ovest, per tornarci via Melbourne e Tokio, facendo presente che se l’impresa di Locatelli era costata oltre 1 milione e mezzo di lire per 5.000 chilometri – pari a 300 lire al chilometro – quella proposta da lui non superava le 700.000, abbattendo le spese a 13 lire3 al chilometro; e si teneva largo. L’idea era stata approvata; e il 25 aprile 1925 l’idrovolante Siai 16 ter, ribattezzato Gennariello aveva decollato per il suo lungo viaggio di 55.000 chilometri. All’arrivo a Roma, il 7 novembre successivo, dopo 370 ore di volo, De Pinedo aveva dimostrato non solo quali fossero le capacità tecniche degli aeroplani – e in particolare, come si era proposto, degli idrovolanti – ma soprattutto la possibilità di ridurre i costi di percorrenza, rendendo conveniente l’impiego del mezzo aereo a prezzi molto inferiori a quelli correnti, visto che, ad esempio, le sovvenzioni pagate dallo Stato italiano alle compagnie civili per l’esercizio di linee aeree toccavano – e in qualche caso superavano – le 20 lire al chilometro. Successivamente De Pinedo aveva progettato un viaggio di 120.000 chilometri; ma avrebbe avuto bisogno di un apparecchio con 3.500 chilometri d’autonomia. Non ce n’erano; e nel 1927 si accontentò di un volo nelle due Americhe, sempre in idrovolante - stavolta un S. 55 – perché “L’idrovolante non ha bisogno di una preventiva preparazione di campi di atterraggio; non teme gli ammaraggi improvvisi… può compiere le sue tappe appoggiandosi ai porti capolinea delle lunghe vie marittime di comunicazione, ove trovansi o e facile inviare i rifornimenti.”III E sotto il profilo commerciale, affermava De Pinedo:

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Pari a circa 10 miliardi di lire italiane 1998, o circa 5.200.000 euro 1999, o a 10.400.000 euro 2007. Pari a circa 230.000 lire 1998 o circa 120 euro 1999, o a 240 euro 2007. 3 Rispettivamente pari a 600.000 e 26.000 lire 1998, o circa 312 e 13,5 euro 1999, o a 27 euro 2007. 2

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“…io credo di aver tracciato quelli che sono e che possono essere in avvenire i più importanti itinerari dal punto di vista del traffico aereo mondiale. Il primo… è quello che riguarda le comunicazioni dell’Europa con l’Australia; il secondo quello delle comunicazioni dell’Australia con l’Estremo Oriente, Cina e Giappone; il terzo le comunicazioni tra l’Estremo Oriente e l’Europa; il quarto tra l’Europa e il Sud America”IV Restava il problema del carico: quanto poteva portare un aereo? Poco, rispondeva lui, “perché il progresso delle macchine non è ancora tale da assicurare una buona autonomia con un conveniente carico utile trasportabile.”V Qui si entrava in urto coi sostenitori del “più leggero dell’aria”, cioè del dirigibile. La disputa era di vecchia data e vedeva i dirigibili apparentemente in vantaggio. Erano un po’ più lenti – la velocità di crociera si aggirava intorno agli 80 chilometri orari – ma avevano capacità di carico, e quindi anche d’autonomia, molto superiori a quelle degli aeroplani: da 5 a 6.000 chilometri senza difficoltà, secondo i tipi. L’impresa del Norge lo dimostrava: il dirigibile poteva andare dove voleva; ma – si rispondeva – il suo involucro era delicato e il suo ingombro tale che, a parità di superficie, un hangar per aerei ospitava molti più mezzi di uno per dirigibili, elevandosi meno dal suolo e dunque costando meno. Il disastro dell’Italia il 25 maggio 1928, risolse la questione una volta per tutte. L’impresa era stata autorizzata da Mussolini e Balbo senza entusiasmo; ora le conclusioni della commissione d’inchiesta apposero il loro “Requiescat in pace” sulla pietra tombale del dirigibilismo italiano. E l’incendio dell’Hindenburg nel 1937 avrebbe definitivamente chiuso l’era dei dirigibili nel mondo. Dunque l’aeroplano era la scelta del futuro. Ma, stabilito questo, si ponevano parecchi importanti interrogativi, specialmente di ordine militare. Andavano identificati i più probabili nemici, individuata la loro capacità operativa aerea e bisognava trovare il modo per reagire, o per attaccarli prima che si muovessero. Sarebbero stati sufficienti il numero e la qualità degli aeroplani italiani? La risposta in quel momento era decisamente negativa per molte ragioni. Lo sviluppo delle forze aeree durante la guerra mondiale aveva posto il problema del loro assetto e impiego. In tutto il mondo erano state inquadrate tanto nella Marina quanto nell’Esercito, ma più o meno dappertutto ci si era domandati se non fosse il caso di renderle autonome. In Inghilterra si era proceduto in questo senso già il 1° aprile del 1918. In Italia il dibattito era stato acceso e l’Aeronautica nell’aprile del 1920 era diventata un’Arma dell’Esercito; ma alla fine avevano prevalso le tesi ispirate alle teorie del generale Giulio Douhet e si era deciso di tramutarla nella terza forza armata. Col Regio Decreto n.° 62 del 24 gennaio 1923 era stato costituito il Commissariato d’Aeronautica, preposto al problema aereo in tutti i suoi risvolti, civili e militari. Alle sue dipendenze era stata messa la Regia Aeronautica, nata ufficialmente col Regio Decreto n.° 645 del 28 marzo 1923, strutturata su un Comando Generale, da cui dipendeva il Reparto di Volo preposto all’impiego dei mezzi – dirigibili ed aeroplani – e tre Direzioni Superiori – del Genio e delle Costruzioni Aeronautiche, del Traffico e dell’Istruzione, dei servizi Amministrativi e del Personale – destinate a sollevare il Comando Generale dalle incombenze tecniche ed amministrative. In seguito al riordinamento stabilito col Regio Decreto 627 del 4 maggio 1925 e restato in vigore fino al 1931, la Regia Aeronautica venne ripartita in Armata Aerea, in due aviazioni ausiliarie – Aeronautica per il Regio Esercito e Aeronautica per la Regia Marina – e in un’Aeronautica Coloniale. L’Armata Aerea comprese il personale navigante – allora e fino al 1931 definito “combattente” – inquadrato nella cosiddetta Arma Aeronautica, e quello dalle mansioni tecnico-logistiche, ripartito fra i Corpi del Genio Aeronautico,4 del Commissariato Aeronautico5 e del Servizio Sanitario Aeronautico, costituito l’8 ottobre 1925. La difesa aerea terrestre – la contraerea – rimase competenza del Ministero della Guerra; e gli Aerostieri furono concentrati nel Genio Militare. Invece i dirigibili dell’Esercito e della Marina, 4 5

Era stato costituito col Decreto Commissariale del 13 luglio 1923. Costituito col Decreto Commissariale del 12 ottobre 1923. 10


come pure tutti gli aeroplani e gli idrovolanti, in Italia e nelle colonie passarono alla Regia Aeronautica, venendo ripartiti in altrettante Specialità.6 L’autonomia delle forze aeree era cosa estremamente moderna ed avanzata; ma in Italia la situazione non era buona. Come disse Mussolini il 2 aprile 1925 a proposito delle riforma militare: “Constato come Pecori Giraldi abbia riconosciuto quella che è la pura verità: che io ho trovato l’aviazione per terra, letteralmente per terra, e l’ho portata ad un grado che aumenta veramente l’efficienza bellica della Nazione. I Dati relativi all’Aviazione sono i seguenti:… l’Italia ha 80 squadriglie con 882 apparecchi escluse le riserve e i consumi. Oggi l’Italia ha 1786 apparecchi. Aggiungendovi quelli che sono presso le ditte in costruzione e riparazione si ha un totale oggi, 2 aprile 1925, di 2166 apparecchi che possono prendere quasi immediatamente il volo. Ma ciò costa. Io, Commissario dell’aeronautica, ho chiesto al ministro delle finanze 702 milioni per il 1925-26. Il ministro delle finanze mi ha detto “è impossibile” e allora ho ridotto questa cifra a 450 milioni, che spero di portare con un’aggiunta straordinaria ad una cifra più elevata.”VI Non lo fece, o almeno non nella misura che ci si poteva attendere. “Una dimostrazione eloquente di come il regime non favorì l’Aeronautica può aversi dalla ripartizione delle spese militari, che nel settennio 1926-33 mantennero sempre la proporzione 4:2:1 tra Esercito, Marina ed Aeronautica. Nell’esercizio 1933-34, l’ultimo firmato da Balbo, la percentuale dell’Aeronautica era anzi dello 0,14% inferiore a quella del 1926-27. Alla luce delle ricorrenti polemiche è anche interessante notare come negli stessi anni gli stanziamenti della Marina crescessero del 4,25% e quelli dell’Esercito, pur continuando ad assorbire oltre il 55% delle spese militari, scendessero del 4,7%.”VII E’ vero che le costruzioni navali francesi del periodo spingevano il governo italiano a costo di spese e sforzi terribili a mantenere la parità colla Francia ottenuta col Trattato di Washington; ma è pure vero che la Regia Aeronautica era in quegli anni l’Arma propagandisticamente di maggior successo e un incremento dei fondi le avrebbe giovato molto. Invece era seguito un periodo alquanto oscuro. Il Capo di Stato Maggiore, Bonzani, era completamente in balia delle ditte produttrici di materiale aeronautico – memorabile la volta in cui il senatore Agnelli riuscì ad elevare il prezzo di mille motori a 50.000 lire l’uno dalle 40.000 pattuite in precedenza – l’organizzazione era rudimentale, il materiale scadente e la resa in termini militari assai bassa. Nel 1926 Mussolini aveva proceduto a un cambio dei vertici. Il 1° gennaio aveva nominato il generale e asso della Grande Guerra Pier Ruggero Piccio capo di Stato Maggiore7 e il 6 novembre, avrebbe elevato alla carica di sottosegretario all’Aeronautica il quadrumviro Italo Balbo, in quel momento comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

6 Si ebbero quindi Stormi Aeroplani, Stormi Idrovolanti, Gruppi Dirigibili, Gruppi e Squadriglie Aeroplani ed Idrovolanti. La ripartizione successiva fu secondo le modalità d’impiego degli apparecchi: ricognizione tattica e strategica, caccia leggera e pesante, bombardamento ecc., mentre sotto il profilo organico e di livello di comando si strutturò la Forza Armata in sezioni (equivalenti al livello di comando dei plotoni) squadriglie (compagnie), gruppi (battaglioni) , stormi (reggimenti), Brigate aeree, Divisioni aeree e Corpi d’Armata aerei. 7 Nato nel 1880 a Roma, Piccio aveva conquistato 24 vittorie nella Prima Guerra Mondiale – terzo degli assi italiani dopo Baracca e Scaroni – terminandola col grado di colonnello, una medaglia d’oro e due d’argento al valor militare. Nominato addetto aeronautico a Parigi nel ’21, aiutante di campo onorario del Re nel marzo del ’23, sette mesi dopo, in ottobre, era stato nominato Comandante Generale della Regia Aeronautica. Presentate le proprie dimissioni il 1° marzo del 1925, era tornato a Parigi come addetto aeronautico col grado di generale di brigata aerea, venendo promosso alla divisione aerea il 1° luglio.

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Giovane – aveva appena trent’anni – reduce di guerra, pluridecorato, fascista convinto e “ras”, cioè padrone politico, di Ferrara, Balbo si mise subito all’opera. Secondo una sua citatissima frase, la Regia Aeronautica doveva essere resa prima sportiva, poi disciplinata e infine militare, intendendo dire con questo che prima bisognava forgiare una mentalità elastica, ardita e imbevuta d’un forte spirito di corpo e di gruppo, poi si doveva disciplinare militarmente le forze per poterle sfruttare al meglio e infine, plasmati gli animi e organizzata la forza armata, si poteva passare a renderla militarmente efficiente e temibile. Piccio restò capo di Stato Maggiore fino al 6 febbraio del 1927, quando si dimise e passò le consegne al generale Armando Armani, il quale, in seguito ad un incidente di volo, il 14 ottobre del 1928 venne sostituito nell’espletamento delle sue mansioni dal generale di brigata aerea Francesco De Pinedo, uno dei più noti piloti del mondo. Nominato sottocapo di Stato Maggiore, colle mansioni della carica superiore ed avendo da Balbo la promessa di diventare Capo in seguito all’organizzazione della Crociera del Mediterraneo Orientale, da effettuarsi nella primavera del ’29, De Pinedo si mise seriamente al lavoro, come era suo solito. Esaminò a fondo le condizioni della Forza Armata e le riassunse nelle “Considerazioni sulla situazione del materiale di volo” del 1928. La Regia Aeronautica doveva assolvere quattro compiti diversi e cioè: caccia, bombardamento, ricognizione e servizio di Marina, visto che tanto gli apparecchi basati a terra, quanto gli idrovolanti imbarcati sugli incrociatori e sulle corazzate erano sotto la responsabilità diretta di personale dell’Aeronautica imbarcato con loro. Stimando la linea addetta a questi compiti del 25–30% inferiore al necessario, De Pinedo concludeva domandando ulteriori fondi per una spesa immediata di 783 milioni: 630 sarebbero serviti al rinnovo di tutta la linea di volo; 153 – per il solo 1928, ed altrettanti per ogni anno seguente – a rimpiazzare le perdite. Se il piano da lui tratteggiato fosse stato respinto, o differito, ci si sarebbe trovati a dover sborsare dai 70 ai 170 milioni in più per rinnovare la linea; e comunque la decisione non era rimandabile oltre il 1932. Dietro De Pinedo stava lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica, un cui studio del 1927VIII aveva dichiarato necessario entro il 1930 l’incremento della linea dalle 70 squadriglie effettive e 16 squadriglie quadro esistenti alle 170 previste in caso di mobilitazione. Le cifre erano sostanzialmente le stesse: 1 miliardo e circa 400 milioni nel 1927-28, 1 miliardo e circa 740 milioni nell’esercizio seguente e oltre 2 miliardi in quello finale del 1929-30. Poi le esigenze sarebbero state fronteggiabili con una media di un miliardo e circa 268 milioni all’anno. Erano somme quasi doppie rispetto agli stanziamenti della Guerra per l’Aeronautica e proprio per questo Balbo cercò di rimediare aggirando l’ostacolo. Differì il differibile, cercò di ottimizzare le spese e prese un provvedimento che gli sarebbe stato rinfacciato a lungo e da più persone, De Pinedo in testa: costituì le squadriglie per gli Aeroclub8 da impiegare per istruire il personale navigante e specializzato della riserva. In due anni, fra l’autunno del ’29 e il ’31, sarebbero state organizzate 17 squadriglie da turismo con 120 aerei, sui quali si sarebbero allenati un migliaio di piloti in congedo, più esattamente 934 su 1.184, con un costo orario di volo pari a un decimo di quello degli aerei militari. Prima di Balbo, al tempo di Bonzani, la Regia non aveva volato bene. Erano stati alti il numero degli incidenti mortali e il costo delle ore di volo, crescente il quantitativo di quelle di pilotaggio. Nel 1924 un’ora di volo era costata 6.638 lire e 60 centesimi, salendo nel ’26 a 8.968 e 29 centesimi, mentre il monte ore volate era cresciuto di circa 10.000, da 60.103 a 70.136, come gli incidenti, passati da 60 a 71, cioè aumentando in assoluto ma rimanendo stabili in percentuale. Inoltre l’Aeronautica era stata penalizzata dalla ristrettezza di vedute dello stesso Bonzani, il quale non riteneva prioritaria l’offensiva contro i centri politici ed economici dell’eventuale nemico, limitando alla non meglio definita guerra aerea offensiva e difensiva i compiti delle 78 squadriglie dell’Armata Aerea. E tali compiti erano subordinati al preventivo espletamento di altre mansioni di pace o di guerra affidate dai comandi, mentre le 75 squadriglie per l’Esercito, le 35 per la Marina e 8

D.M. del 28 settembre 1929. 12


le 12 per il Regio Corpo Truppe Coloniali svolgevano quasi esclusivamente missioni di sostegno alla forza armata presso cui erano distaccate. Balbo invece non poteva “neppure per un momento immaginare possibile… che il più forte esercito e la più forte armata navale possano, senza aviazione, riparare o impedire l’offesa d’una armata aerea d’entità sufficiente.”IX Insomma: l’Aeronautica non doveva aspettare il nemico, ma cercarlo e distruggerlo e bisognava “predisporre la realizzazione di una potenza bellica aerea di tale efficienza, che possa, in pace, influire sopra l’andamento dei nostri rapporti politici con le nazioni contro le quali ci potremmo trovare eventualmente in conflitto d’interesse.”X Era l’applicazione all’Aeronautica degli stessi principi su cui da secoli si fondava l’attività navale ed era pure l’affermazione dell’Aeronautica come Arma a tutti gli effetti, alla quale si doveva quindi fornire una dottrina d’impiego propria. Infine bisognava cominciare a preparare con appositi corsi i giovani piloti e, mediante lo studio del fenomeno della guerra aerea sotto il profilo dottrinale e tecnico, i comandanti di reparto. Balbo l’aveva sostenuto già nel marzo del 1927 ed aveva organizzato l’Accademia Aeronautica e previsto la Scuola di Guerra Aerea. Era finito il tempo del dilettantismo in cui un generale del Regio Esercito e privo di brevetto come Bonzani aveva avuto il comando dell’Aeronautica. Adesso bisognava prepararsi seriamente e si presentavano parecchi quesiti. Occorreva identificare il nemico più probabile, stabilire la condotta per vincerlo, controllare le risorse disponibili in rapporto alle sue, verificare la compatibilità di quelle esistenti coi risultati che da raggiungere e, se fossero risultate inadeguate, cercare il modo di aumentarle. Un primo segno tangibile della nuova impostazione della Regia Aeronautica fu la fine delle trasvolate in volo isolato a favore delle crociere di massa. Fino a quel momento i piloti italiani avevano ottenuto risultati notevolissimi. Ferrarin col volo Roma-Tokio; Locatelli con la trasvolata delle Ande, De Pinedo coi suoi due raid intercontinentali, il primo col motorista Campanelli, l’altro con Del Prete e il motorista Zacchetti; de Bernardis col trionfo nella coppa Schneider; ancora Ferrarin e Del Prete col primato di durata e Nobile col Norge sul Polo avevano colto successi di risonanza mondiale, ma che da Balbo erano considerati come appartenenti a un tempo già passato. L’evoluzione delle tecnologie costruttive degli aerei e degli apparati di bordo era tale che quanto era valido in un certo periodo risultava superato entro tre, due, a volte un solo anno. Secondo Balbo era venuto il momento di razionalizzare le risorse per produrre dei risultati di portata e risonanza maggiore: dunque basta coi dirigibili, ingombranti e privi di futuro; e basta colle trasvolate di un solo apparecchio. Si doveva passare a verificare le possibilità di crociera di massa e, nell’ottica di gruppo che si doveva necessariamente acquisire, occorreva far capire alle stelle di prima grandezza della Regia Aeronautica che, di fronte alla gerarchia ed ai regolamenti, erano ufficiali come tutti gli altri: o si adeguavano ed eseguivano gli ordini senza discutere, o peggio per loro. Si doveva passare all’Aeronautica disciplinata. La prima crociera, non proprio perfetta ma comunque molto ben riuscita, fu quella del Mediterraneo Occidentale, guidata ufficialmente da Balbo, ma effettivamente da De Pinedo, nel maggio-giugno del 1928; la seconda, ottima, sarebbe stata nel giugno dell’anno dopo, nel Mediterraneo Orientale. Entrambe dovevano preparare – così diceva Balbo – i piloti militari all’esperienza del volo in massa; ma la seconda avrebbe avuto come risvolto una certa tensione tra Balbo e De Pinedo, tensione che alla fine, nel mese d’agosto di quel medesimo anno, sarebbe sfociata in un aperto scontro tra i due, terminando colla vittoria di Balbo e del suo sistema. Però al momento, all’inizio dell’anno, il problema principale da risolvere era un altro: che fare di Nobile e dei dirigibili?

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Capitolo II Caduto l’Italia, dimesso Nobile, addio ai dirigibili. Ho già accennato al disastro dell’Italia sul Polo, ma la questione merita qualcosa più d’un semplice accenno. Come tutti sanno, intorno alle 11 del mattino del 25 maggio 1928, il dirigibile semirigido Italia, comandato dal generale del Genio Aeronautico Umberto Nobile si schiantò sulla banchisa mentre tornava dal Polo Nord. La cabina dell’aeronave restò sul pack, mentre l’involucro, con parte dell’equipaggio, si risollevò, prese una rotta per 110° a est e scomparve. Non se ne sarebbe avuta mai più traccia all’infuori d’un’immensa colonna di fumo nero, vista in lontananza dai sopravvissuti caduti con la cabina. Dopo giorni di ansie, stabilito un contatto radio e scattate le ricerche, mentre mezzi e uomini di sei nazioni li cercavano, i superstiti della spedizione staccarono verso la terraferma una pattuglia di tre uomini: i capitani di corvetta Zappi e Mariano e il meteorologo svedese Malmgren. Il resto del gruppo rimase nella Tenda Rossa, cioè nella tenda d’emergenza del dirigibile, che era stata colorata con dell’anilina per renderla visibile agli eventuali soccorritori. Morto Malmgren, Mariano e Zappi erano stati salvati dal rompighiaccio sovietico Krassin; intanto il gruppo della Tenda Rossa, comprendente Nobile, era stato raggiunto e rifornito dagli aerei. Nobile era andato via per primo sull’apparecchio svedese del tenente Lundborg, gli altri erano stati raccolti pochi giorni dopo dal Krassin. Dopo il salvataggio, la commozione aveva ceduto il passo ad altri sentimenti, primo fra tutti il dubbio: cosa era successo esattamente all’Italia? Il suo era stato un incidente impossibile da evitare o dovuto a una serie d’errori? Nobile aveva delle responsabilità o no? Esistevano responsabilità di terzi e, se si, quali e di che peso? Erano domande normali dopo qualsiasi incidente navale o aereo, ma queste richiedevano risposte tanto più urgenti in quanto l’eco dell’avvenimento era stata enorme. Alle ricerche avevano partecipato aerei, navi e uomini di parecchie nazioni e alcuni di loro erano morti. Amundsen era il più celebre dei soccorritori scomparsi, ma non l’unico e, tra la fama sua, quella di Nobile e la risonanza della catastrofe, l’opinione pubblica mondiale era stata impressionatissima da tutta la vicenda. Per di più ai tanti lutti verificatisi si era aggiunta una ridda di sospetti sulla morte di Finn Malmgren, che alcuni ritenevano addirittura ucciso e mangiato da Mariano a Zappi durante la loro marcia sui ghiacci. Infine erano cominciate delle polemiche tra Nobile e la Marina, nella persona del comandante della Regia Nave Città di Milano, alla Baia del Re come nave appoggio alla spedizione. Occorreva chiarire la questione; e c’erano delle altre ragioni, non meno pressanti. Nel dicembre del 1960 il commendator Vocino, l’unico ancora in vita fra i membri della Commissione, accettò di rilasciare un’intervista e raccontò che “Quell’inchiesta non fu fatta per Nobile. Si può dire che il “caso Nobile” emerse nel corso dell’inchiesta stessa, ordinata soprattutto per accertare il comportamento di due altri esploratori polari. Mariano e Zappi.”XI Esisteva – spiegò Vocino – una legge norvegese per cui erano sottoposti a procedimento penale tutti i membri di quelle spedizioni di cui al ritorno dall’Artico mancassero uno o più membri; e Mariano e Zappi sarebbero dovuti comparire davanti a un tribunale norvegese. Ma Mussolini intervenne, disse che era inammissibile che degli ufficiali italiani apparissero davanti a giudici stranieri e si impegnò a condurre una severa inchiesta in Italia. Per questo: “In conseguenza della perdita dell’aeronave Italia facente parte del naviglio aereo dello Stato, e della morte e scomparsa di alcuni componenti del suo equipaggio, è stata nominata nell’autunno del 1928, per ordine di S.E. Benito Mussolini, Capo del Governo, una Commissione d’indagini sulla spedizione polare con l’incarico di “ricercare ed esaminare le cause determinanti la perdita dell’aeronave, tutti i fatti 15


inerenti alla perdita stessa ed alle sue conseguenze, e lo svolgimento dell’opera di salvataggio”. La Commissione è stata così costituita: Presidente: Cav. di Gr. Cr. Umberto Cagni – Ammiraglio di Armata R.N. – Senatore del Regno – Ministro di Stato. Membro: Gr. Uff. Francesco Pujia – Presidente di Sezione di Corte di Cassazione – Senatore del Regno. “ Gr. Uff. Francesco de Pinedo – Generale di Brigata Aerea – Sottocapo di Stato Maggiore della R. Aeronautica con funzioni di Capo di Stato Maggiore. “ Comm. Nicola Vacchelli – Generale di Brigata – Deputato al Parlamento. “ Comm. Salvatore Denti Amari di Pirajno – Ammiraglio di Divisione. “ Gr. Uff. Pietro Achille Cavalli Molinelli – Tenente Generale Medico della R. Marina R.N. Segretario: Comm. Dott. Michele Vocino – Direttore Capo Divisione del Ministero della Marina. Essa ha iniziato i suoi lavori il 12 novembre 1928 e li ha chiusi il 27 febbraio 1929, presentando le sue conclusioni a S.E. il Capo del Governo… ”XII La Commissione era evidentemente stata composta in modo da renderne il giudizio inattaccabile. Il presidente, l’ammiraglio Cagni, oltre ad essere superiore in grado a Nobile, era, insieme al Duca degli Abruzzi, l’Italiano più competente in materia di esplorazioni artiche. Nel 1900 si era spinto a piedi verso il Polo fino a 86° e 30’ nord, era stato presidente della Società Internazionale degli esploratori polari ed era noto per essere competente, severo, tutto d’un pezzo, uno che non chiedeva mai agli altri di fare ciò che prima non aveva fatto lui stesso. L’ammiraglio Denti Amari di Pirajno era stato dirigibilista, il generale Cavalli Molinelli era l’unico medico militare italiano mai stato al Polo – insieme a Cagni e al Duca degli Abruzzi – e, infine, il generale Vacchelli rappresentava la Reale Società Geografica, mentre l’obbiettività della Commissione nei confronti della Regia Aeronautica era garantita dalla presenza di De Pinedo e dimostrata dal contenuto della relazione. Divisa in tre parti – tecnica, sulle cause della perdita del dirigibile; testimoniale, sulla condotta dei superstiti e, infine, d’esame dell’organizzazione e svolgimento dei soccorsi – era corredata da quattro volumi contenenti le copie di tutti gli interrogatori – a loro tempo stenografati – degli oltre sessanta testimoni italiani e stranieri e di tutti i documenti da essi giudicati rilevanti. Ma, come disse poi Vocino, man mano che i lavori procedevano, la posizione di Zappi a Mariano risultò chiara, mentre su quella di Nobile “molte ombre cominciavano a presentarsi.”XIII La Commissione cercò di fare il possibile e lo interrogò – unico fra tutti – due volte, per primo e poi per ultimo, ma questo non migliorò la sua posizione, anzi; e la relazione, poi stampata dalla “Rivista Marittima”, lo diceva chiaramente. Nobile si scagliò contro di essa con tutte le sue forze e, quando, nel 1960, seppe che la “Rivista Marittima” si accingeva a ristamparla, intervenne presso l’allora ministro della Difesa, Andreotti, e nel 1965 ottenne il ritiro delle copie ristampate. Successivamente, nel suo La tenda rossa, avrebbe ancora confutato l’operato della Commissione, sia riportando quanto avrebbe pubblicato nel 1966 il generale Valle, secondo il quale essa non aveva la competenza necessaria quanto alla navigazione sui dirigibili, né poteva disporre di dati concreti,XIV sia asserendo che Vocino, quattro mesi dopo la conclusione dei lavori, aveva affermato che non si poteva decidere altrimenti, visto che Balbo nella sua deposizione aveva definito Nobile un ambizioso e un sovversivo, sia, infine, cercando di demolire la relazione tecnica, definendola cervellotica ed opera di uno che da anni non saliva su un dirigibile. Ora, delle tre parti della relazione, quella fondamentale era la prima, che in appendice aveva la perizia tecnica, affidata al miglior esperto italiano del settore dirigibilistico, il generale del Genio Aeronautico Gaetano Arturo 16


Crocco. E fu proprio Crocco a demolire pezzo per pezzo l’operato di Nobile, evidenziandone impietosamente tutti gli errori e dimostrandone l’intera responsabilità. Nobile obiettò poi che, a causa dei rapporti non sempre cordiali intercorsi fra loro,9 Crocco avrebbe dovuto rifiutare l’incarico, giustificandosi coll’ammettere di non essere salito su un dirigibile da vent’anni e che, comunque, dopo la guerra “parlandomi della sua “perizia”, egli mi dichiarò candidamente: “Ma che vuoi! Mi fu detto dal presidente della Commissione: “Si legga questi verbali degli interrogatori dei vari membri dell’equipaggio e ci porti le sue conclusioni!”. Ora spesso in quei verbali mancavano dati precisi. Fui perciò costretto a lavorare di fantasia.”XV Va notata una cosa: Crocco non disse a Nobile che gli fosse stato imposto di farlo apparire colpevole a tutti i costi e, se Nobile riportò esattamente le sue parole, ammise solo d’aver dovuto lavorare di fantasia, ma – sorge spontanea la domanda – che altro avrebbe potuto fare se non immaginare quanto poteva essere successo, sulla base dei dati che aveva? Vale la pena di vedere come lo fece, più che altro per avere un quadro di quanto accadde nell’inchiesta. Studiatosi a fondo tutte le deposizioni, il 6 febbraio 1929 presentò le sue conclusioni. Gli incidenti erano stati due – disse – e il primo aveva determinato il secondo, il quale, però, non avrebbe avuto esito fatale senza la stanchezza dell’equipaggio e alcuni errori commessi a bordo. La Commissione aveva già rilevato alcune pecche. L’equipaggio comprendeva persone impreparate o fisicamente non all’altezza della situazione: l’ingegner Troiani ci vedeva poco, come il professor Behounek, che era pure troppo grasso; Malmgren soffriva di cuore, il motorista Ciocca “non aveva mai volato e non aveva fatto altro che lo chaffeur dello stabilimento di Costruzioni Aeronautiche, nell’automobile addetta al Generale Nobile.”XVI Non era stato nominato un comandante in seconda perché “quando il generale Nobile si era rivolto al ministero della Marina per avere degli ufficiali gli era stato domandato se desiderasse avere un ufficiale in seconda; e il Generale Nobile aveva risposto di no, che non aveva bisogno di un ufficiale in seconda…”XVII Poi: “Se al timone di direzione gli ufficiali di Marina, che vi erano normalmente adibiti, si potevano dire bene a posto, non poteva dirsi altrettanto per quelli destinati al timone di quota, Troiani e Cecioni, perché nessuno dei due possedeva il brevetto di pilota; ed è così delicata la manovra di quota che, sopra tutto nei momenti difficili, solamente un espertissimo pilota può servirsene con successo. Numericamente i motoristi, uno per motore quanti erano, risultavano insufficienti, poiché in ogni dirigibile, per voli di durata superiore alle 12 ore, ne occorrono due per motore per gli indispensabili turni. Pur convenendo sulla necessità di dover portare solamente 16 persone a bordo, quante erano sull’ “Italia” nell’ultimo volo… le osservazioni varie da farsi da bordo del dirigibile potevano benissimo essere affidate agli ufficiali che accompagnavano il Comandante. Ma ciò non fu fatto perché il Generale Nobile, per dare un’apparenza scientifica alla spedizione, volle portare con sé vari scienziati, diminuendo il personale tecnico.”XVIII In più alcune persone non avevano un incarico esattamente specificato e 9

Nobile scrisse ne La tenda rossa, cit, pag. 277: “Conoscevo Crocco fin dal 1911. Nei diciotto anni fin allora trascorsi i nostri rapporti non sempre erano stati cordiali, a causa dei dissensi sorti tra noi in varie occasioni. Uno dei più seri accadde verso la fine della prima guerra mondiale quando Eugenio Chiesa, allora alto commissario per l’Aeronautica, mi chiamò a far parte di una commissione che doveva esaminare una bomba aerea ideata da Crocco e Guidoni (veniva chiamata telebomba) di cui si voleva ordinare all’industria privata una grossa fornitura. Poiché il congegno non era stato ancora seriamente sperimentato, d’accordo con Chiesa, mi opposi, e della fornitura, almeno per il momento, non si parlò più”. Nobile qui cadde in un piccolo errore, perché Chiesa, repubblicano, entrato in Parlamento nel 1904 e rimastoci fino al 1926, fu Commissario generale per l’Aeronautica dal 1917, perché l’Alto Commissariato per l’Aeronautica fu istituito solo da Mussolini col Regio Decreto n. 62 del 24 gennaio 1923. 17


“Non esisteva il “giornale di bordo” che, come il “giornale di chiesuola” sulle navi è regolamentare ed obbligatorio: documento importantissimo, che il Comandante è obbligato a firmare, poiché rappresenta, in qualsiasi avvenimento o incidente, la prova ufficiale giuridicamente rilevante. V’era sul dirigibile invece solamente un brogliaccio scritto a lapis, con pochissime delle notizie che debbono essere annotate sul giornale di bordo. Su questo brogliaccio avrebbe dovuto essere riportato per cura del Comandante, come suo obbligo, almeno un rapporto dettagliato della catastrofe; ma nemmeno ciò il Comandante ha fatto;”XIX però Nobile obiettava che non era vero e che il giornale lui l’aveva. Come se non bastasse, sottolineava Crocco, l’equipaggio era sempre al limite delle forze. “Il dirigibile, come risulta concordemente dagli interrogatori, è sempre partito dalla Baia del Re con gli uomini già stanchi, poiché tutti erano sempre trattenuti in hangar l’intera notte precedente al volo: gli ufficiali ad attendere il momento della partenza, gli altri adibiti agli estenuanti e lunghi lavori per preparare l’aeronave al volo. Né poi a bordo, durante il volo, v’era, come s’è detto, modo di alternare ciascuno alle sue mansioni, essendo tanto ridotti di numero da avere non solamente un unico motorista per ogni motore, ma, nell’ultimo volo, anche un solo radiotelegrafista.”XX In realtà anche questa era prassi corrente nei voli polari di Nobile e nessuno ci aveva mai trovato nulla da ridire. Così era stato fatto sul Norge, così era stato fatto nei due voli artici dell’Italia nei giorni precedenti e, al ritorno dal Polo, al momento del primo incidente, tutti erano svegli da oltre due giorni. Cecioni, dopo aver tenuto il timone di quota per 52 ore di fila, l’aveva lasciato a Troiani e si stava riposando sul trave quando si verificò il primo incidente, che in seguito Zappi e Mariano attribuirono a un colpo di sonno proprio di Troiani. “Dalla concorde deposizione degli interrogati” scrisse poi Crocco nella sua perizia tecnica, “risulta che gli incidenti di navigazione, durante il ritorno dal viaggio al polo, furono due e distinti. Il primo verificatosi verso le ore 9,25, il secondo verso le ore 10,30. Poiché il primo di questi incidenti, che apparentemente non ha connessione col secondo, appare viceversa legato ad esso da relazioni che indicheremo e ne chiarisce abbastanza le cause, occorre prendere le mosse da quel momento.”XXI Il primo incidente – l’incastagnamento del fixator del comando del timone di quota – venne riparato fermando i motori ed ovviando alla conseguente perdita di quota per mancanza di spinta, alleggerendo il dirigibile lanciando zavorra. Nobile non controllò quanta ne veniva gettata: fu più del necessario e l’Italia, troppo alleggerito, salì a 1.000 metri, restandoci da dieci a venti minuti per rilevare la posizione del sole e stabilire la propria. Per arrestare la salita Nobile ovviamente aveva dovuto far espellere gas dall’involucro: “non dice di aver tirato gas per fermarsi a quella quota; ma lo dice Zappi….lo dice Viglieri…lo dice Cecioni e lo dice Mariano” notò Crocco. Durante i minuti passati sopra le nuvole, “il gas si sovrariscaldò per l’effetto – sia pure tenue – del sole; cosicchè ridiscendendo sotto le nubi e per effetto della temperatura il dirigibile non poteva più essere leggero; ma doveva essere equilibrato e piuttosto appesantito. Né risulta che sia stata gettata altra zavorra.”XXII L’uscita del gas era stata ottenuta, come sempre nei dirigibili semirigidi, aprendo la presa d’aria – o valvolone – di prua. Da là entrava l’aria che veniva distribuita nell’interno dell’involucro per tenerlo in forma, ma bisognava stare attenti, perché a causa della maggior taratura delle valvole di sfogo dell’idrogeno rispetto a quelle dell’aria, troppa pressione nei compartimenti dell’aria poteva provocare un’eccessiva perdita di gas. E, dedusse Crocco – ed ecco forse il lavoro di “fantasia” – 18


proprio questo era accaduto. Il dirigibile, che in quota e al calore del sole aveva l’involucro in forma grazie al gas dilatato, aveva perso forma quando, sceso al disotto delle nubi, il gas si era raffreddato e contratto; era allora stata fatta entrare l’aria da prua ma, a causa della variazione di pressione nei compartimenti interni, si erano aperte le valvole d’uscita del gas e il dirigibile, appesantito dalla diminuzione di gas, aveva cominciato ad abbassarsi a poppa. Nessuno aveva pensato a chiudere il valvolone, mentre invece era stata aumentata la velocità per compensare dinamicamente la perdita di quota. Aumentando la velocità era aumentata la quantità d’aria che entrava nell’involucro dal valvolone e, di conseguenza, erano aumentati il quantitativo d’idrogeno rilasciato dalle valvole e l’appesantimento del dirigibile. Un pressione indicata dai manometri in 15 o 16 millimetri era – diceva Crocco – naturale, a 30 era pericolosa, ma Nobile nella sua deposizione aveva parlato di 50 o 60 “il che corrisponde precisamente alla sovrapressione massima che può avere navigando a 100 Km./ora dalla presa di prua”XXIII “…e non è neanco necessario giungere alle alte cifre di 50 o 60 mm. citate dal Gen. Nobile: basta anche meno della metà di questa pressione nelle camere d’aria, perché si aprano da sé stesse le valvole d’idrogeno e s’inizii l’appesantimento graduale del dirigibile. Aumentando l’andatura dei motori senza correggere l’apertura del valvolone la pressione sale di più e le perdite possono aumentare di molto, sia per il maggior gettito di ciascuna valvola, sia per l’apertura di altre valvole”XXIV Vista la situazione, Nobile disse a Cecioni di gettare la catena d’ancoraggio. Cecioni lasciò il timone di quota a Zappi, il quale per prenderlo lasciò quello di direzione a Malmgren ma, “il timone di direzione rimase per un istante abbandonato.”XXV Tanto bastò, secondo Crocco, per determinare definitivamente la catastrofe: fino a quel momento col vento in prua, il dirigibile, col timone libero, per un attimo non fu più esattamente controvento. Preso di fianco, benché di poco, dal vento, piegò di lato sempre di più e cominciò a girare su una curva di 300 metri di raggio, ruotando nel frattempo su se stesso di 180° gradi, per cui finì per trovarsi col vento in poppa. A quel punto, sommatasi la sua velocità a quella del vento – somma stimata da Crocco a oltre 100 chilometri orari – e bloccato dalla catena, che intanto aveva fatto presa sul ghiaccio, cominciò a scendere. Lo spegnimento dei motori ridusse la velocità di caduta di poco e, in un minuto scarso, l’Italia si schiantò sulla banchisa a circa 90 all’ora lasciandovi la cabina. Alleggerito e liberato, l’involucro si rialzò e scomparve all’orizzonte trascinando con sé alla morte sei membri dell’equipaggio, mentre per altri nove10 cominciava l’odissea sul ghiaccio. Anche questo in definitiva, secondo la perizia, si doveva all’imprevidenza di Nobile, che non aveva distribuito chiaramente i compiti ai membri dell’equipaggio. Notò infatti Crocco che nelle deposizioni: “Nessuno accenna mai alla manovra del valvolone… Ma il comando del valvolone è elemento di troppa importanza nel nostro tipo di dirigibile, perché esso possa essere negletto nella condotta di esso. Chi manovrava il valvolone? Non è precisato. Forse il timoniere di quota, forse il Comandante, forse tutti. Qualcuno doveva manovrarlo.”XXVI E, visto il ruolo determinante di quel meccanismo nella catastrofe, non avergli prestato la dovuta attenzione non era cosa da poco, specie da parte di un progettista di dirigibili come Nobile. Questi avrebbe poi protestato definendo “cervellotica” la ricostruzione di Crocco, asserendo che aveva 10

L’involucro portò via il sottotenente motorista Arduino, i motoristi Caratto, Alessandrini e Ciocca, il giornalista Lago e il fisico professor Pontremoli; sul pack caddero il motorista Pomella, morto nell’impatto, il generale Nobile, i capitani di corvetta Mariano e Zappi, il tenente di vascello Viglieri, l’ingegner Troiani, il fisico cecoslovacco Behounek, il meteorologo svedese Malmgren, il radiotelegrafista Biagi e il capotecnico Cecioni. 19


plagiato Cecioni, convocandolo nel suo ufficio di direttore del Genio Aeronautico nel gennaio 1929 e parlando con lui a quattr’occhi per un’ora. Infine Nobile aveva aggiunto – lo ripeto – che, dopo la guerra, Crocco stesso gli avrebbe candidamente confessato: “Ma che vuoi! Mi fu detto dal presidente della Commissione: “si legga questi verbali degli interrogatori dei vari membri dell’equipaggio e ci porti le sue conclusioni!” Ora spesso in quei verbali mancavano dati precisi. Fui perciò costretto a lavorare di fantasia.”XXVII Nobile commentava queste parole con un sintomatico “[sic!]”; ma a ben vedere Crocco non gli aveva detto nulla di male e, del resto, nella relazione più o meno apertamente l’aveva confessato: aveva messo insieme i dati e cercato di immaginare cosa poteva essere successo. Ne era venuta fuori una ricostruzione plausibile; e lo stesso Nobile, pur così attento a controbattere molti punti della Relazione, sulla ricostruzione di Crocco sorvolava, si limitava a dire che era cervellotica, asseriva che affidare a un ingegnere un incarico del genere era lo stesso che chiedergli le cause di un naufragio e sosteneva che nessuno avrebbe mai potuto spiegare perché era successa la catastrofe; ma, viene spontaneo chiedersi: a chi se non ad un ingegnere si sarebbe dovuta domandare la ragione tecnica del malfunzionamento di una macchina? Giustizia vuole che si dica che, trentasei anni dopo la catastrofe, nel 1964, l’ingegner Troiani fece finalmente sentire la sua voce e si schierò nettamente contro la perizia di Crocco, o meglio: sottolineò alcune imprecisioni in cui questi era incorso, come quelle – non da poco – inerenti le valvole di scarico poste nell’involucro e altri elementi, tra i quali il fatto che il valvolone non era a tenuta stagna, ma consentiva sempre l’ingresso dell’aria, il che contribuiva a rendere più sicuro il dirigibile, spazzando via il gas dalla parte immediatamente al di sopra della navicella.11 Troiani nel suo libro – La coda di Minosse – parlò coll’autorevolezza del progettista, quale lui era parzialmente stato per l’Italia, convenne con Crocco che il dirigibile si era fortemente appoppato dopo essere tornato sotto le nuvole e che ciò era accaduto presumibilmente per la mancata fuoruscita dell’aria, ma dissentì sui motivi, senza però fornire un’ipotesi plausibile. L’unica cosa che seppe dire fu che secondo lui il dirigibile era caduto perché l’eccessivo appoppamento gli aveva fatto mancare il sostentamento dinamico. A posteriori possiamo dire che questo nei fatti non contrastava in maniera sostanziale con quanto aveva scritto Crocco. Restava da capire perché l’aria, entrando nell’involucro, si fosse ammassata a poppa senza poterne uscire, specie visto che, come scrisse poi Troiani, poteva farlo attraverso 17 valvole, una al primo dei dieci compartimenti in cui era diviso l’involucro e due in ciascuno dei seguenti otto, mentre il decimo, a poppa, non ne aveva. Aggiunse infine che: “le valvole di uscita NON sboccavano “per mezzo di tre grossi tubi di stoffa all’aria libera” (i collettori di uscita erano stati soppressi per guadagnare peso), vi sboccavano per mezzo di 17 maniche, approssimativamente tronco-coniche (una per valvola), attraverso fori di non grande diametro (circa 25 centimetri) aperti nella gualdrappa.”XXVIII Poco oltre scrisse che, a dispetto di quanto affermato da Crocco che l’aveva ritenuto altamente improbabile, i coni “si sarebbero potuti ostruire benissimo, anche senza formazioni di ghiaccio, ripiegandosi su se stessi sotto l’azione della spinta dell’aria interna. Non occorreva che si fossero ostruiti tutti, sarebbe bastato che se ne fosse ostruita una parte di quelli del gruppo di poppa…” e che lui stesso prima dell’ultimo volo aveva avuto la tentazione di accorciarli, perché col lavoro e col tempo si erano allungati.XXIX 11

Troiani fece pure presente che Ciocca era un bravissimo meccanico e, avesse volato o no, aveva sempre fatto funzionare benissimo il motore che gli era stato assegnato, quanto a lui stesso, la sua vista non era ottima, ma la stessa Regia Aeronautica l’avrebbe giudicata sufficiente alla visita militare fattagli nel 1940 per il richiamo in guerra. 20


Tutto questo però alla Commissione non venne obiettato nel 1928, per cui, per l’insieme dei fatti esposti e per aver abbandonato per primo il luogo del disastro sull’aereo di Lundborg, sorvolando sul fatto che Lundborg l’aveva in pratica messo con le spalle al muro, Nobile venne liquidato senza misericordia da un giudizio lapidario: “Per le considerazioni sopra esposte, la Commissione, a conclusione delle indagini fatte, ritiene concordemente che v’è una precisa responsabilità del Comandante per errata manovra; responsabilità specifica aggravata dalla responsabilità generica nella composizione e nell’impiego dell’equipaggio. In tutta la condotta della spedizione fino alla sua catastrofe, ed anche dopo, il Generale Nobile ha dimostrato di avere limitate qualità tecniche di pilota e negativa capacità di comando.”XXX A questo venne aggiunto, in calce al secondo paragrafo della seconda parte, quella relativa alla condotta dei superstiti, che l’essere partito per primo sull’aereo di Lundborg era un “…atto del Generale Nobile, contrario alle tradizioni ed alle leggi dell’onore militare” che non trovava “nessuna giustificazione plausibile e solo può essere spiegato, non giustificato, per le condizioni di depressione fisica e morale in cui egli si trovava, condizioni che non gli hanno permesso di valutare nel suo giusto valore e nelle sue conseguenze il suo passo… ”XXXI Molteplici le conseguenze. Il 28 febbraio 1929, raccontò poi Vocino, Cagni e lui portarono la relazione della Commissione a Mussolini, che disse che l’avrebbe guardata. “Dopo soltanto 24 ore il Capo del Governo dava incarico al suo addetto aeronautico d’andare da Nobile per invitarlo a dimettersi se non voleva essere radiato. La posizione del comandante dell’Italia infatti emergeva talmente compromessa dall’inchiesta da rendere indispensabile quel provvedimento.”XXXII Nobile si dimise, ma presto ci si avvide che le dimissioni erano servite più a lui che alla Regia Aeronautica, perché gli permettevano di parlare senza incorrere in sanzioni disciplinari. Le sue polemiche cominciarono immediatamente, contro la Marina, contro l’Aeronautica, contro tutti. Già nel 1930 Mondadori pubblicò il suo Con l’Italia al Polo Nord, prima pietra dell’edificio librario da lui eretto e destinato a crescere negli anni per giustificare il suo operato. Da allora i testi e le tesi si susseguirono senza posa e alla fine si venne a creare un’immagine dei fatti alquanto diversa dalla ricostruzione di Crocco. La fatalità – non l’errore – aveva schiantato l’Italia sul pack; e il disastro era stato sfruttato dagli ambienti della Marina, dell’Aeronautica e del Partito ostili a Nobile per i motivi più vari: dall’essere passato da civile direttamente al grado di tenente colonnello dell’Aeronautica, alle antiche simpatie socialiste, non dimenticando l’essere un sostenitore dei dirigibili contro le tesi aeroplanistiche di Balbo. E’ difficile dire se e quanto ci fosse di vero in queste affermazioni di Nobile, ma certi fatti di pochi anni prima lasciano quantomeno perplessi. Quello dell’Italia non era il primo incidente dirigibilistico che gli fosse stato imputato ed è interessante spendere qualche parola sul precedente, perché forse può aiutare a mettere meglio a fuoco fatti e persone. Nel 1924 Nobile era da tempo direttore dello Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Ciampino e Valle, allora tenente colonnello, comandava il Gruppo Dirigibili, basato nel medesimo aeroporto. I loro rapporti non erano ottimi, per tanti motivi, ma precipitarono nell’aprile di quell’anno. Era in visita a Ciampino il generale Guidoni, accompagnato da un ufficiale giapponese e Nobile ordinò al comandante collaudatore di far uscire dall’hangar il dirigibile N. 1 – che poi sarebbe stato il Norge – per portare in volo i due ospiti, accompagnati da lui. Guidoni venne avvertito che soffiava un vento a 40 all’ora, per cui era sconsigliabile far uscire il dirigibile; ma Nobile confermò l’ordine 21


d’uscita. Andò come si temeva: appena all’aperto e prima che vi salissero gli ufficiali, l’aeronave fu investita dal vento e volò via, trascinandosi due avieri e un operaio rimasti attaccati ai cavi d’ormeggio. Tutti e tre precipitarono da settanta metri d’altezza, morendo sul colpo. La situazione fu salvata dal capo motorista, a bordo con nove specialisti, il quale riuscì ad avviare i motori e, pur non essendo un pilota di dirigibili, ricondusse il N. 1 sul terreno d’atterraggio. Valle intervenne da terra, facendo afferrare i cavi d’ormeggio ai suoi avieri e riuscì a riportare l’aeronave nell’hangar. Il bilancio dell’avventura era grave: tre morti e dodici feriti, di cui tre in cattive condizioni, tutto per imprudenza. In qualità di comandante dell’aeroscalo, Valle fece un dettagliato rapporto al Comando Generale dell’Aeronautica; non vi fu esito, ma peggiorarono i rapporti fra lui e Nobile, al punto che questi vietò, senza sua autorizzazione scritta, l’ingresso allo Stabilimento a tutti, compreso Valle, che pure era il comandante di Ciampino. Valle s’arrabbiò e si mise a rapporto per via gerarchica; fu ascoltato e gli fu detto di mettere tutto per iscritto; poi fu aperta un’inchiesta, non sul fatto, ma sulla veridicità del secondo rapporto di Valle. Il risultato fu del tutto inaspettato: Nobile ne uscì senza danni e con tante scuse; Valle fu punito con un mese di fortezza – non scontato – e un rimprovero solenne perché “con deplorevole leggerezza denunciava a carico di un suo pari grado molteplici addebiti di cui alcuni assai gravi, senza aver preventivamente acquisito alcuna prova concreta della fondatezza della denuncia stessa come sarebbe stato suo dovere morale e disciplinare.”XXXIII Dopo un accurato esame dei documenti dell’epoca, nella sua biografia di Valle il generale Pelliccia ritenne che: “vi fu una benevola disposizione degli inquirenti verso Nobile e che essi tendevano principalmente ad escludere suoi rapporti politici coi socialisti e a sollevarlo da ogni responsabilità nell’incidente del dirigibile N. 1. Il generale Bonzani, da parte sua, non poteva rischiare, consentendo un’inchiesta pubblica, di sollevare un vespaio nelle condizioni politiche critiche in cui si trovava il governo12 (con le inevitabili rivendicazioni dei familiari delle vittime e con la reazione degli oppositori politici).”XXXIV Per di più in quel periodo Bonzani era sotto attacco da parte della stampa e non gli conveniva fornire altri spunti ai suoi detrattori. Infine, quando l’inchiesta si avviò a conclusione, era prossima la spedizione polare del Norge e non si poteva sminuire l’immagine di Nobile, destinato a comandarla insieme ad Amundsen. Ma quattro anni dopo, a fine inverno del 1929, cioè dopo la fine dei lavori della Commissione d’inchiesta sul disastro dell’Italia, Valle presentò un reclamo contro i provvedimenti disciplinari inflittigli allora. Balbo incaricò De Pinedo di indagare e il 15 maggio Valle fu riabilitato. A proposito di quella vecchia vicenda con Nobile, Balbo infatti gli comunicò: “che V.S. ha rappresentato al suo diretto superiore, con opportuno sentimento del dovere, nell’interesse del servizio e della disciplina, uno stato di fatto esistente…. Che l’inchiesta venne condotta a termine di un periodo nel quale fervevano i preparativi della spedizione polare ed in cui la figura di Nobile già veniva esaltata dalla stampa, per la qual cosa i giudizi e le testimonianze non potevano non risentirne l’influsso. Accetto integralmente le risultanze, riconosco che gli addebiti mossi a V.S. sono palesemente in contrasto con la consistenza dei fatti, e dispongo, pertanto, che la punizione di rimprovero solenne e di un mese di arresti in fortezza venga annullata e cancellata dalle carte personali di V.S. F.to Balbo”XXXV 12

Era il periodo dell’affare Matteotti 22


Questo significava implicitamente dichiarare Nobile colpevole anche dell’incidente del 1924 e non c’è da stupirsi se poi i rapporti fra Nobile e i vertici della Regia Aeronautica divennero tanto tesi da indurlo ad emigrare. Per di più Nobile nelle sue memorie, pubblicate nel 1966 sotto il titolo La tenda rossa – memorie di fuoco e di ghiaccio, stranamente, pur riportando molti incidenti della sua carriera, non fece il minimo accenno a quello di Ciampino; eppure non era stato cosa da poco. Trasferitosi nel 1932 nell’URSS e tornato nel ’36 in Italia, trovate tutte le porte chiuse – stavolta a causa di Valle, ora sottosegretario, e di Mussolini – Nobile passò in America. Nel ’41 per non essere internato si trasferì in Spagna e, finalmente, caduto il Fascismo, rientrò in Italia. L’8 marzo 1945 un decreto luogotenenziale lo reintegrò nel grado e nei ruoli del Genio Aeronautico. Poco dopo uscì il suo libro Posso dire la verità e riprese l’opera d’autoriabilitazione, che sarebbe durata fino alla morte, e a contrastare la quale stava solo la poco diffusa e ormai dimenticata Relazione della Commissione d’indagini, ordinata da Mussolini nel gennaio 1930 più per mettere fine alle calunnie contro Zappi e Mariano sulla fine di Malmgren che per altri motivi. Questo per quanto riguarda la persona di Nobile. Più rapida e definitiva la sorte del mezzo. Infatti, come ho già detto, il disastro dell’Italia segnò la fine dell’impiego militare dei dirigibili. Dopo la Grande Guerra l’ordinamento Bonomi li aveva accentrati tutti all’Arma Aeronautica, costituendo un Gruppo Dirigibili, su un comando di gruppo, un deposito e due compagnie di dirigibilisti. Ogni aeronave era comandata da un capitano e due o più di esse formavano appunto il Gruppo Dirigibili, che alla nascita della Regia Aeronautica si era evoluto nello Stormo Dirigibili, al comando d’un colonnello dell’Arma Aeronautica considerato comandante di corpo. Ancora nel 1928 i dirigibili venivano considerati validi per il bombardamento e la ricognizione, specie di notte e all’inizio d’un conflitto. Veniva ipotizzato un loro impiego sul mare, anche in funzione antisommergibile e antisbarco, e in colonia, in azioni antiribelli, per le quali non si prevedevano difficoltà o limitazioni d’impiego, data l’ovvia assenza di reazione aerea. Tali teorizzazioni erano però l’anticamera della giubilazione. Infatti, se nel discorso del 1927 Balbo aveva riconosciuto il prestigio dato alla Regia Aeronautica dalle imprese dei dirigibili, facendo esplicita menzione del volo di Nobile col Norge sul Polo l’anno precedente, aveva osservato pure che quelli erano mezzi costosi. Non si potevano adoperare per il trasporto aereo nazionale, aveva aggiunto, ma solo per fini militari. Però, poiché sarebbero stati impiegati in Mediterraneo, non era necessario dotarsi di dirigibili di grande cubatura, perché la ricognizione mediterranea era per forza a corto raggio e per essa, secondo tutti gli esperti, erano più adatte le cubature medie e piccole, verso le quali dunque ci si doveva orientare. Guarda caso era una linea coincidente col pensiero di Valle, il quale, prima dell’incidente di Ciampino, aveva suggerito a Bonzani di bloccare il progetto di costruzione d’un dirigibile da 50.000 metri cubi, impiegando le risorse finanziarie così liberate nell’addestramento degli equipaggi al bombardamento con bombe da 500 e 800 chili e nella cooperazione coi mezzi antisommergibili della Marina. L’intervento di Balbo nel 1927 aveva portato a un ridimensionamento della Specialità, foriero della sua scomparsa; però, finché essa fosse risultata di qualche utilità, difficilmente la si sarebbe potuta eliminare. Ma la catastrofe polare mise fine a ogni possibile sviluppo. Lo Stabilimento Costruzioni Aeronautiche di Ciampino, che Nobile aveva diretto e da cui erano usciti il Norge, l’Italia e tante altre aeronavi, fu chiuso e smantellato e già nell’estate del 1929 nella Regia Aeronautica non si parlava più di dirigibili. Era finita un’epoca gloriosa, stava per cominciarne un’altra.

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Capitolo III Le risorse umane della Regia Aeronautica e i provvedimenti relativi al personale Tra i problemi della Regia Aeronautica quelli relativi al personale non erano i minori. Alcuni erano dovuti alla frammentazione dell’apparato aeronautico fra le tre Forze Armate e quattro diversi ministeri; altri alle difficoltà di mantenere addestrati i piloti e alla formazione e all’aggiornamento dei quadri, in particolare degli ufficiali, con tutte le immaginabili implicazioni. Balbo e De Pinedo li affrontarono in modo razionale ed è difficile dire a chi dei due si possano interamente attribuire alcune delle scelte operate in quel periodo. Intanto i numeri: quanti erano gli aviatori? Poco più di 19.000, cioè 1.64313 ufficiali14, 3.014 sottufficiali15 e circa 14.300 graduati e militari di truppa.16 Un primo problema venne affrontato e sostanzialmente risolto piuttosto in fretta. Lo spezzettamento dei mezzi aerei e delle competenze fra Aeronautica, Marina, Esercito e Ministero delle Colonie era una delle condizioni contrarie a qualsiasi dottrina di guerra aerea. Se per quanto riguardava le tre forze armate la questione poteva essere risolta con un atto interno da parte dei rispettivi Ministeri militari, non era così a proposito dell’Aviazione Coloniale, che era divisa secondo la Colonia in cui operava e nel suo insieme dipendeva dal Ministero delle Colonie. Ma anche in quell’ambito qualcosa si stava muovendo. Le Colonie dovevano essere riorganizzate ed era venuto il momento di provvedere meglio alla loro difesa. Per questo era utile che le Aeronautica Regia e Coloniale si unissero. Nel corso del 1929 “In seguito a trattative verbali intervenute fra i Sottosegretari delle Colonie e dell’Aeronautica l’Ufficio di S.M. è stato incaricato di compilare lo studio di massima relativo alla gestione diretta da parte del Ministero dell’Aeronautica delle Aviazioni Coloniali. Tale studio doveva avere in un primo tempo carattere essenzialmente finanziario ed è stato compiuto determinando così la somma che approssimativamente occorrerebbe detrarre dal bilancio delle Colonie per portarla in aumento a quello dell’Aviazione onde raggiungere lo scopo voluto.”XXXVI 13 Nel dettaglio, compresi quelli di complemento e quelli della Marina e dell’Esercito, che fino al 1931 potevano essere comandati temporaneamente presso la Regia Aeronautica, gli ufficiali erano: 1Generale di Squadra Aerea, 5 di Divisione Aerea, 9 di Brigata Aerea; 2 maggiori generali (corrispondenti agli ufficiali generali che dal 1999 sono denominati brigadieri generali) del Genio Aeronautico e 1 generale di Commissariato (l’unico dell’Aeronautica, di livello pari ai colleghi del Genio); 51 colonnelli (40 naviganti, 9 del Genio e 2 del Commissariato); 250 fra tenenti colonnelli e maggiori (146 del “ruolo combattente”, come allora si chiamava il “ruolo navigante” e che noi da adesso per comodità di comprensione chiameremo “naviganti”, 37 della “categoria aeroporti”, dal 1931 denominata “ruolo servizi” e che da adesso chiameremo “servizi”, 41 del Genio e 26 del Commissariato), 726 capitani (369 naviganti, 213 dei servizi, 76 del Genio, 35 commissari, 7 d’Amministrazione e 26 specializzati, questi ultimi tutti provenienti dai sottufficiali non “combattenti”, cioè non appartenenti al ruolo naviganti , di cui 18 erano dell’Arma Aeronautica e 8 del Genio), 737 ufficiali subalterni (423 naviganti, 86 dei servizi, 20 del Genio, 62 di Commissariato, 25 d’Amministrazione e 121 specializzati: 95 dell’Arma Aeronautica e 26 del Genio). Gli ufficiali medici, non compresi nel totale degli ufficiali riportato nel testo, ma che contribuiscono a formare quello della forza complessiva dell’Aeronautica, erano circa 170, appartenevano al Regio Esercito ed alla Regia Marina e venivano comandati temporaneamente, secondo le necessità, dunque con forti oscillazioni numeriche anche nel corso dello stesso anno. 14 Arma Aeronautica: 993 naviganti, 197 del ruolo servizi e 113 del ruolo specializzati; Corpo del Genio Aeronautico: 148 del ruolo ingegneri e 34 specializzati; Corpo del Commissariato Aeronautico: 126 commissari e 32 d’Amministrazione, questi ultimi di grado non superiore a capitano e provenienti tutti dai sottufficiali. 15 670 naviganti, 1.949 specialisti e 395 del Genio. 16 Per la truppa i dati – tratti dal Programma ministeriale 1929 e dai calcoli fatti da Giorgio Rochat nell’appendice V del suo “Italo Balbo aviatore e ministro dell’aeronautica 1926-1933” – sono di 648 uomini del Genio Aeronautico e 13.297 nel ruolo specialisti dell’Arma Aeronautica, mentre mancano per quello combattente (navigante); ma poiché l’ordinamento del 1925 prevedeva 1.016 di questi ultimi e il bilancio del 1929 – che di solito prevedeva un quadro organico maggiore dell’esistente – ne stabiliva 450, 14.300 dovrebbe essere una stima più che attendibile.

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In agosto però Balbo non aveva ancora richiesto lo studio ultimato, forse anche perché nel frattempo “il Ministero delle Colonie ha inviato per l’approvazione uno schema di R. Decreto relativo all’ordinamento dell’Aviazione Coloniale”XXXVII e non conveniva correre troppo. In merito a questo schema legislativo, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica aveva fatto e presentato le proprie osservazioni a Balbo, il quale le aveva girate al Ministero delle Colonie ed era in attesa della risposta. La cosa sarebbe andata avanti nel quadro della riorganizzazione militare delle Colonie e, di lì a dieci mesi, il 4 giugno 1930, il ministro della Guerra eccellenza Gazzera avrebbe comunicato al Duce che il Ministero degli Esteri riteneva sufficiente il Regio Corpo Truppe Coloniali a proteggere le Colonie, però, concludeva, a ogni buon conto lui aveva personalmente “…disposto perché sia messo subito allo studio l’invio di rinforzi in Eritrea per l’eventualità di complicazioni in Etiopia che conducano ad un conflitto localizzato fra questo stato e l’Eritrea-Somalia”XXXVIII facendo intravedere la necessità d’un potenziamento a scadenza medio-breve del dispositivo militare, e quindi anche aeronautico, delle Colonie. Venendo all’ambito del Ministero della Guerra e prescindendo dai problemi di coordinamento operativo fra le tre Forze Armate, una delle questioni di maggior rilevanza, indotta dalle squadriglie a disposizione dell’Esercito e della Marina, era quella degli ufficiali osservatori. Scriveva a fine agosto De Pinedo: “Dev’essere riunita a giorni una commissione, presieduta dal Capo del Reparto Operazioni,17 per definire alcune modifiche all’ordinamento relativo agli Ufficiali Osservatori del R. Esercito”XXXIX E proseguiva: “Nel Gennaio 1927 sono stati fissati tra LL. EE. il Sottosegretario di Stato ed i Capi di Stato Maggiore della R. Marina e della R. Aeronautica alcuni punti, che importerebbero modifiche alla preparazione degli osservatori della R. Marina; l’Ufficio di Stato Maggiore della R. Marina ha recentemente avanzato proposte concrete per l’applicazione delle suddette decisioni; ricevute in data 24 Agosto le considerazioni della Direzione Generale del Personale Militare e delle Scuole in merito a tale argomento, occorre ora definire la questione con la R. Marina in maniera sufficientemente sollecita da permettere l’applicazione per il prossimo corso osservatori.”XL Fra le altre cose, dopo dure discussioni e difficili trattative che avevano preso buona parte dell’anno precedente, proprio nel 1929 Balbo impostò il nuovo ordinamento della Regia Aeronautica,18 che sarebbe poi entrato in vigore nel 1931 con la legge n. 98 del 6 gennaio. Il suo presupposto era quello di completare l’unificazione di tutte le forze aeree nella Regia Aeronautica. Ciò avrebbe impedito la dispersione delle stesse, consentito un loro migliore impiego e, incidentalmente, di fatto privato la Marina di navi portaerei per i 52 anni successivi. Infine vennero gettate le fondamenta – è proprio il caso di dirlo – della più concreta manifestazione della riorganizzazione e dell’accentramento delle forze aeree quando, il 1° agosto 1929, fu posta la prima pietra di quello che sarebbe stato il Ministero dell’Aeronautica. Era un’esigenza sentita da tempo, perché i vari uffici del Ministero erano sparsi in dodici diversi appartamenti ai quattro angoli di Roma. Occorrevano moltissimi fattorini e staffette per trasmettere 17

Era il colonnello AA Ernesto Coop. I cambiamenti maggiormente evidenti sarebbero consistiti nell’eliminazione dei comandi di ufficiali dell’Esercito e della Marina presso l’Aeronautica, nel cambio di alcune denominazioni (i combattenti sarebbero divenuti naviganti; la categoria aeroporti sarebbe divenuta ruolo servizi, gli specializzati del Genio avrebbero costituito il ruolo assistenti tecnici), nell’introduzione degli ufficiali medici della Regia Aeronautica e nell’incremento del personale, che nel 1931, a fronte dei circa 19.000 uomini del 1929 ne avrebbe previsti circa 25.500, cioè 3.241 ufficiali - 1.755 naviganti, 538 dei servizi, 140 specializzati, 240 del Genio Aeronautico, 60 assistenti tecnici, 180 medici, 185 commissari e 143 d’amministrazione - 4.019 sottufficiali – 3.908 naviganti e 110 del Genio - e oltre 18.000 tra graduati e avieri. 18

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le carte da una parte all’altra, i costi erano alti - i soli affitti gravavano sull’erario un milione l’anno - i tempi burocratici assai lunghi e la segretezza relativa. Balbo spiegò in Parlamento i vantaggi che sarebbero derivati dall’accentramento, ebbe carta bianca e l’assegnazione d’un terreno, nelle vicinanze del Macao, l’antico Castro Pretorio, una zona di caserme alla periferia orientale di Roma, tra la stazione Termini e il cimitero del Verano. L’aarea sembrava ideale, ma il terreno era friabile e inadatto a sopportare la costruzione progettata. Balbo non desisté dall’idea e i progettisti rimediarono realizzando un monolito enorme – lungo 142 metri, alto 32 e largo 85 – basato su una platea di calcestruzzo e cemento armato a 24 metri di profondità nel terreno, dalla quale fecero sorgere i giganteschi pilastri di cemento armato destinati a reggere la struttura dei tre piani sotterranei e dei cinque sopraelevati dell’edificio. Costruito a gran velocità ed inaugurato il 28 ottobre del 1931, il Ministero avrebbe avuto ampi uffici, separati da grandi vetrate, ascensori, posta pneumatica, mensa, centrali elettrica e termica, centralino telefonico, telegrafo, telescrivente, laboratorio fotomeccanico, tipografia biblioteca, sala riunioni e sala cinematografica, divenendo il cuore dell’Aeronautica e restando immutato fino agli anni ’80, quando nel comprensorio sarebbero stati costruiti i nuovi edifici in vetro e cemento fra il Ministero e la vecchia sede della Scuola di Guerra Aerea. La razionalizzazione e l’omogeneizzazione delle forze disponibili desiderata da Balbo non poteva tralasciare i congedati, qualunque fosse la loro provenienza, perché di tutto bisogna sapersi avvalere in caso di mobilitazione. Tenendosi in armonia col Ministero della Guerra e basandosi sulle direttive dello Stato Maggiore Generale, la Regia Aeronautica preparò o impostò parecchi documenti relativi alla mobilitazione. Cominciando dalla redazione dell’“Istruzione sui trasporti di mobilitazione e di radunata nella R. Aeronautica” con un’appendice riservatissima, preparò le bozze delle “Tabelle delle dotazioni di mobilitazione”, l’“Indice speciale dell’organizzazione territoriale aeronautica a mobilitazione compiuta e del personale occorrente” e ricompilò le “Formazioni di guerra”,19 le “Tabelle graduali numeriche sul servizio autoveicoli”, la “Memoria sulla mobilitazione della R. Aeronautica”, la Parte Seconda – “Servizi” – del “Regolamento di servizio in guerra”, l’“Indice speciale dell’organizzazione territoriale aeronautica a mobilitazione compiuta e del personale occorrente”, interessandosi maggiormente ai riservisti colla ricompilazione dell’“Istruzione sulla mobilitazione dei quadri e degli impiegati civili assimilati agli ufficiali”,20 dell’“Indice di Mobilitazione” e dell’“Istruzione complementare per la mobilitazione dei sottufficiali e della truppa della R. Aeronautica”,21 affidando agli enti competenti, distretti e comandi che fossero, la sistemazione degli appartenenti alle varie categorie. Qui, nell’ambito dei riservisti, veniva a innestarsi il problema principale: quello dei piloti, un materiale umano insostituibile e mai sufficiente. La situazione non era del tutto confortante. Se si poteva contare su una certa base culturale da parte degli ufficiali, per la cui nomina era necessario il diploma di scuola media superiore, tecnica o liceo che fosse, il panorama non era altrettanto buono per i sottufficiali, per i quali bastava allora la licenza elementare. Tale titolo poteva andare bene per la maggior parte delle Armi e dei Corpi dell’Esercito e della Marina, ma certo non per i settori più specializzati della Regia Aeronautica. Non c’era quindi da stupirsi se, riferendo i risultati del corso allievi sottufficiali piloti a ferma speciale di 18 mesi tenutosi nel 1928, la scuola di volo dell’Aeroporto del Littorio a Roma affermava: “per quanto le istruzioni teoriche siano accuratamente impartite, non si nota negli allievi quel profitto che sarebbe desiderabile; ciò principalmente è dovuto al deficiente livello d’istruzione di ciascun allievo.”XLI Occorreva alzare il livello e bisognava fornire qualche incentivo non tanto per attrarre, ma almeno per non scoraggiare i migliori. Scriveva in merito De Pinedo: 19

Meglio note come Pubblicazione N.° 255 RR. Pubblicazione A. 254 R. 21 Pubblicazione N.° 252 R, Edizione 1927. 20

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“Ho proposto di migliorare il trattamento previsto attualmente dalle disposizioni di legge per i sottufficiali naviganti e per quelli che si rendono inabili al volo per menomate condizioni psicofisiologiche. Si tratterebbe di mettere i sottufficiali piloti in condizione di potere (a simiglianza di quanto avviene attualmente per gli specializzati) aspirare alla nomina ad Ufficiale limitando la loro carriera al grado di Capitano,”XLII cioè dando a tutti i naviganti un incentivo a non preferire, all’atto dell’arruolamento, la carriera a terra in vista di maggiori sbocchi. A questo faceva riscontro un correttivo immediato, basilare e generale: “Contemporaneamente però occorrerebbe abolire i corsi di integrazione per sottufficiali che si fanno attualmente presso la R. Accademia Aeronautica limitando l’ammissione a tale Istituto unicamente a quei sottufficiali che fossero in possesso del titolo di studio previsto per gli allievi dei corsi regolari.”XLIII In tal modo si sarebbe avuta l’omogeneizzazione culturale del corpo ufficiali che in quel momento ancora non era ultimata, rendendo più facile – e quindi più completa – l’istruzione, migliorando la qualità degli allievi e, in prospettiva, dei piloti. E da tutto questo si deduce abbastanza bene che nel 1929 la Regia Aeronautica soffrisse della mancanza non tanto di piloti, quanto di piloti preparati. In quel periodo, come abbiamo detto, Balbo avrebbe trovato una soluzione costituendo le Squadriglie per gli Aeroclub e ponendo le fondamenta della Riserva Aeronautica. E in questo senso si erano già avuti alcuni efficaci provvedimenti d’inquadramento generale: “Sono stati forniti tutti i dati necessari affinché la forza in congedo dei naviganti e degli specializzati sia disponibile quanto più prontamente è possibile all’atto della mobilitazione favorendo l’istruzione del personale di Truppa e Sottufficiali a ferma breve e degli Ufficiali di complemento, intensificando i richiami per istruzione”XLIV e “…sono stati prospettati criteri tendenti a disciplinare convenientemente lo stato degli Ufficiali in congedo della R. Aeronautica tenuto conto delle speciali caratteristiche degli Ufficiali stessi. 22°) Si è proposto che l’avanzamento degli Ufficiali naviganti in congedo sia subordinato principalmente all’allenamento che gli Ufficiali stessi sono tenuti a compiere prevedendo inoltre l’esclusione dai ruoli della R. Aeronautica di quelli che tale allenamento non compissero”XLV il che andava esattamente nella direzione voluta e preparava il terreno alle adesioni agli Aeroclub. Né ci si limitava a questo perché, sempre in vista delle esigenze future della Riserva Aeronautica, De Pinedo, quando gli era stato sottoposto per l’approvazione un paio di bandi di concorso, uno per allievi sottufficiali piloti non di carriera e uno per allievi ufficiali di complemento, li aveva fermati. Spiegò poi in agosto che: “Poiché la questione dei nuovi reclutamenti di tale personale si riconnette strettamente all’altra della costituzione della riserva aeronautica, ho dato disposizione affinché le Divisioni competenti studino il problema a fondo tenendo stretto conto delle limitate disponibilità di bilancio e presentino al più presto le loro conclusioni. Ho motivo di ritenere che tale studio sarà ultimato tra poco.”XLVI E non a caso, circa un mese dopo, il 28 settembre 1929, venne pubblicato il Decreto Ministeriale che istituiva gli Aeroclub. Per questi ultimi, che dovevano formare le “squadriglie di allenamento” nei maggiori capoluoghi di provincia, era stato previsto l’acquisto di 500 aerei da turismo. 28


L’iniziativa avrebbe consentito di evitare i richiami in servizio dei piloti per un mese ogni anno, alleviando il ministero da una spesa non indifferente e mantenendo il personale in allenamento. Inoltre Balbo – e lo disse ufficialmente – voleva facilitare l’acquisto di apparecchi da turismo da parte degli ufficiali in servizio, facendoli aver loro con una rateizzazione di metà del prezzo in quattro quote annuali e mettendo il resto a carico del Ministero. “Come l’ufficiale dell’Esercito ha il cosiddetto “cavallo di agevolezza”, così il pilota potrà possedere “l’apparecchio di agevolezza””XLVII aveva concluso. Incidentalmente questo veniva a coincidere coll’attenzione con cui Balbo, fra le altre sue mansioni, seguiva gli sviluppi civili22 dell’Aeronautica, per il cui progresso aveva nominato una commissione militare destinata a unificare il programma e gli apparecchi d’addestramento delle sette scuole civili di volo allora operanti, le quali adoperavano 30 diversi tipi d’aereo. Sul piano generale venne curata di più la formazione degli ufficiali in servizio permanente effettivo a partire dal principio della carriera. Infatti proprio al 1929 risalgono la decisione d’elevare il periodo di formazione a quattro anni “con un alleggerimento del carico anno di ore di lezione ed uno sviluppo maggiore delle materie più importanti,..” come l’impostazione prevalentemente scientifica dei corsi dell’Accademia Aeronautica “…dando alle materie del biennio fisicomatematico una trattazione corrispondente a quella fatta nelle RR. Università. Tale nuovo ordinamento dovrebbe entrare in vigore da quest’anno.”XLVIII concludeva in agosto De Pinedo. Anche questo provvedimento era dovuto in gran parte a Balbo. Deciso a ottenere il miglior compromesso possibile fra istruzione pratica e teorica, aveva incaricato il generale Costanzi23 di studiare la questione, ricevendone un corposo memoriale in cui si sosteneva fra l’altro l’inutilità dello studio di tutte le materie del biennio d’ingegneria per dei futuri piloti. Insoddisfatto da tali argomenti, per riesaminare la cosa Balbo aveva nominato una commissione composta da sedici fra generali e colonnelli. In base alle conclusioni di essa alla fine venne adottata la soluzione a cui accennava De Pinedo nel suo promemoria per Valle, integrando il più possibile le attività di volo e di studio e riservando l’approfondimento dei problemi militari alla Scuola di Guerra Aerea, il cui palazzo sarebbe stato ultimato nel 1935 dietro quello del Ministero. Sempre per migliorare la formazione ricevuta dagli allievi in Accademia, proprio nel 1929 – il 5 novembre – sarebbe stata spostata a Capodichino la Scuola Radioelettricisti, come distaccamento della Scuola Specialisti di Capua. Per quanto riguardava l’aggiornamento dei quadri, “La Direzione Generale del Personale Militare e delle Scuole ha proposto l’istituzione di un corso di cultura teorico-pratica per i T. Colonnelli, obbligatorio per conseguire la promozione a Colonnello” asseriva De Pinedo; e aggiungeva: “Ho espresso il mio parere in merito facendo presente che tale corso dovrebbe avere carattere essenzialmente applicativo, senza esami né iniziali né finali. Viceversa ho proposto l’istituzione degli esami per il conseguimento della promozione a Colonnello.”XLIX Questo significava che tutti i Tenenti Colonnelli sarebbero stati obbligati ad aggiornarsi, specialmente dal punto di vista pratico, ma che solo i migliori, in seguito e con un atto separato, sarebbero stati promossi, mentre invece, col sistema proposto dalla Direzione Generale del Personale Militare, si sarebbe aggiornata solo una piccola parte degli ufficiali superiori, quella 22

Si doveva a Balbo se nel 1929 le sovvenzioni governative alle linee aeree erano raddoppiate rispetto al 1927, passando da 35 a 68 milioni di lire, cioè dal 5 al 10% dello stanziamento annuale destinato all’Aeronautica. Del resto fu lui ad accordarsi cogli Inglesi per arrivare, in marzo, all’inaugurazione linea aerea Genova-Roma-Alessandria d’Egitto. 23 Uno dei migliori tecnici aeronautici del suo periodo, Giulio Costanzi era laureato in ingegneria ed aveva compiuto fin dagli anni ’10 importantissime ricerche aero ed idrodinamiche, contribuendo a gettare le basi della moderna aerodinamica e pubblicando poi, nel 1937, “Elementi di aerodinamica e dinamica del volo”, che fu il primo testo scritto in materia. Già vice di Guidoni, docente all’Accademia, nel 1928 divenne consigliere di Stato e consulente tecnico di Balbo. 29


composta da chi fosse riuscito a passare l’esame d’ammissione al corso, lasciando la massa tecnicamente indietro. Era però soltanto un primo passo. Sarebbero serviti altri quattro anni per arrivare a ipotizzare i tre corsi “superiore”, necessario ai capitani per la promozione a maggiore, “di cultura professionale”, per la promozione a tenente colonnello e “alti studi”, per passare da colonnello a generale. Per il momento l’Aeronautica si accontentava – e non era poco – di organizzare meglio gli esami d’avanzamento esistenti, proponendo “di far compiere gli esami di avanzamento nei mesi di ottobre-novembre, riunire le commissioni di avanzamento nel mese di Gennaio, addivenire alle promozioni relative all’esercizio finanziario antro il mese di febbraio, e compiere subito dopo in blocco tutti i movimenti prevedibili per il corso dell’anno, in modo da assicurare continuità e stabilità di personale presso gli enti e reparti nel periodo da Marzo ad Ottobre, nel quale dall’inizio della effettiva attività addestrativa si passa alle grandi esercitazioni estive ed alla maggiore attività di tutti gli organi.”L Nel quadro di quest’ampia riorganizzazione, anzi, di questa prima vera organizzazione restava da risolvere il problema degli assi e dei grandi trasvolatori, primo fra tutti proprio De Pinedo, e della loro renitenza a rientrare o a stare nei ranghi come tutti gli altri. Qui si aprì il problema maggiore e fu risolto da Balbo nel modo deciso e drastico che gli era consono: De Pinedo fu esautorato. Ancora oggi non sappiamo esattamente tutti i motivi che furono alla base dello scontro. Entrambi i protagonisti morirono molto prima che qualcuno trovasse il coraggio di domandarglielo e, se le carte di Balbo si son salvate, non così avvenne per quelle di De Pinedo, per cui tutto quel che si può fare è riportare a grandi linee quanto hanno scritto gli studiosi che se ne sono occupati. Generalmente l’origine degli screzi verificatisi nell’estate del ’29 fra De Pinedo e Balbo e terminati colle dimissioni del primo alla fine d’agosto, viene fatta risalire al discorso tenuto il 29 maggio da Balbo alla Camera: il suo terzo da sottosegretario sullo stato della Regia Aeronautica. In esso compì un excursus sulle condizioni della Forza Armata, stupendo un po’ tutti quando affermò che “L’aviazione non è un campo nel quale ci si possa sviluppare illimitatamente.”LI Si soffermò su una questione importante come quella del trasporto aereo civile asserendo che in quel periodo tutte le linee aeree mondiali erano in passivo, per cui sarebbe stata necessaria molta prudenza nell’istituire un’aviazione commerciale intesa come servizio pubblico; ma la parte che fece più scalpore, quella fondamentale, che da sola avrebbe fatto poi ribattezzare il suo come “il discorso sulle primedonne” venne quando disse di voler instillare nella Regia Aeronautica “uno spirito militare” che, pur tenendo conto del “sano individualismo proprio di ogni volatore”, avrebbe dato a ogni pilota un senso del dovere che andava al di là delle imprese individuali. Il campionismo e il divismo aeronautici erano finiti – avvertì – ora erano necessarie esperienze più interessanti ed importanti per la vita della Nazione e per i fini di pace e di guerra dell’Aeronautica. Non si doveva più badare ai voli ispirati a criteri sportivi, al miraggio del primato individuale destinato a dare notorietà solo a pochi fortunati, lasciando gli altri nell’ombra o, peggio, avvilendoli coll’instillare in loro un’impressione gratuita e inesatta d’inferiorità. L’Italia doveva dimostrare che la sua riserva di uomini intrepidi e coraggiosi era inesauribile. In più – disse Balbo – il campionismo solleticava la vanità personale e portava come logica conseguenza un certa indisciplina all’indomani di un grande raid di successo. Vari campioni si potevano, si dovevano, considerare militarmente persi dopo il buon esito d’un’impresa che aveva scatenato la curiosità del mondo. Da questo derivava un’ulteriore ingiustizia: tutto il merito veniva attribuito a una sola persona, al trasvolatore e lasciava nell’ombra quanti avevano contribuito al suo successo. La questione dei voli individuali non erano nuovissima, perché era già stata accennata l’anno precedente, quando Balbo aveva sottolineato alla Camera che si dovevano creare obbiettivi nuovi abbandonando i raids individuali per le crociere collettive. Ma adesso c’era stato un passaggio 30


estremamente chiaro in cui aveva detto che era: “…difficile sottoporre alla normale disciplina di una Forza Armata come l’Aeronautica i grandi campioni che hanno raggiunto successi personali di eccezione, se non sono dotati di qualità morali veramente superiori.”LII Era un discorso d’ordine generale o si riferiva a qualcuno? – ci si chiese – E, se si riferiva a qualcuno, a chi? In quel momento gli assi maggiori – De Bernardis, Ferrarin, del Prete, Maddalena, Locatelli – erano tutti tranquilli, mentre Nobile era stato distrutto dalla commissione d’inchiesta per il disastro dell’Italia. In questo quadro, l’unico personaggio di grande rilievo che restava in primissimo piano nell’Aeronautica era De Pinedo; e tutti ritennero rivolte a lui le parole di Balbo. D’altra parte a leggerle in trasparenza non solo risultava così; ma si spiegava pure il ripetuto rifiuto di Balbo di dare a De Pinedo l’autorizzazione ad un volo intorno al mondo e si poteva intendere come non sarebbe stata concessa nemmeno in futuro, contravvenendo ad un ben preciso accordo fra i due. Dopo il volo delle due Americhe – o dei quattro continenti – del 1928, De Pinedo aveva infatti chiesto a Balbo l’autorizzazione a compierne un altro intorno al mondo, adoperando i fondi raccolti nel ’27 dal giornale di New York “Il Progresso Italo-Americano”. Gli era stata rifiutato – per ben due volte – e nel novembre del 1928 gli era stato dato l’incarico di sottocapo di Stato Maggiore, anziché quello di capo a cui mirava, col compito di preparare la crociera del Mediterraneo Orientale e la promessa di promuoverlo capo di Stato Maggiore se avesse avuto successo e – pare – di consentirgli il desiderato volo. Il discorso segnò l’inizio delle ostilità fra i due, ma non si capisce perché Balbo le abbia aperte in modo tanto gratuito. L’unica spiegazione è che all’origine di tutti gli urti che seguirono ci sia stato un fatto ben preciso. Secondo il generale Pelliccia a dare la stura a tutti i contrasti sarebbe stato un avvenimento piccolo ma significativo, che gli fu raccontato molti anni dopo dal generale Briganti, allora ufficiale superiore e aiutante di volo di Balbo. Disse Briganti che un giorno, mentre pranzava al ristorante “La bella Napoli” con altri ufficiali, tra cui il nipote di Balbo, Lino, e Stefano Cagna,24 il maggiore Bonomi, aiutante di volo di De Pinedo disse scherzando: “Quando passeremo anche a noi dall’altra parte vi faremo rigare dritto…” (Si riferiva all’ingresso del Viminale riservato a ministri e sottosegretari). La frase fu riferita a Balbo che, nonostante Briganti gli avesse spiegato che Bonomi era un buontempone e che la sua era stata una battuta innocente, chiese a De Pinedo di trasferire il maggiore ad altro incarico per dare un esempio ai pettegoli. L’amico e dipendente non ritenne di dover aderire alla richiesta. Forse perché non voleva che si desse un diverso significato alla battuta di spirito del proprio aiutante di volo, o forse perché voleva dimostrare la propria indipendenza e autonomia dal Sottosegretario, secondo un costume tradizionale dei militari. Balbo, naturalmente, vi rimase male senza però darlo a vedere.”LIII Sapendo quanto Balbo tenesse alla disciplina, viene da pensare che il rifiuto di trasferire Bonomi, anche se chiesto, a quanto si capisce, in via informale e amichevole, non gli dovette dare una buona impressione del senso della disciplina di De Pinedo. Questo piccolo fatto da solo potrebbe essere stato all’origine delle parole pronunciate poi alla Camera? Improbabile, ma assume ben altra valenza alla luce di un altro fatto, più serio, che potrebbe essere stato, quello si, la causa di tutto. Lo sappiamo da Briganti stesso che, parlando della Crociera del Mediterraneo Orientale, scrisse nelle sue memorie:

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Quando nel 1923 era un giovane aspirante di Marina, Cagna optò per l’Aeronautica dopo un volo di prova con Briganti all’idroscalo della Spezia, allora comandato dal capitano di corvetta Ernesto Coop. Nel 1928, al rientro dalle operazioni di salvataggio di Nobile, prese il posto di Briganti come aiutante di volo di Balbo, perché Briganti doveva passare a comandare Vigna di Valle per poter essere promosso tenente colonnello a scelta. 31


“Durante la preparazione e lo svolgimento di questa Crociera si acuì il dissidio tra Balbo e il Generale De Pinedo. Per quanto ho potuto sapere, all’origine di tale contrasto vi fu un pettegolezzo di un ufficiale dell’Aeronautica che era stato inviato a Ginevra quale membro di una commissione militare in una assemblea della Società delle Nazioni. Era addetto militare a Berna il colonnello Pentimalli,25 cognato di De Pinedo. Parlando con i membri italiani, Pentimalli mise in grande evidenza i meriti del congiunto, esprimendo la certezza che presto De Pinedo sarebbe succeduto a Balbo come capo dell’Aeronautica, e fece qualche critica a quest’ultimo. Il nostro ufficiale, che era in una certa dimestichezza con Balbo, glielo riferì e, forse, raccontò l’episodio con un pizzico di malignità. Balbo era un uomo politico, e come tale, sensibilissimo ai giudizi espressi su di lui. Era peraltro un ammiratore di De Pinedo e più di una volta l’avevo sentito dire: “De Pinedo è destinato ad essere il mio successore. io sono un uomo politico e da un giorno all’altro posso essere chiamato ad un altro incarico. Al mio posto deve venire un generale dell’Aeronautica.”LIV Fermiamoci un momento e facciamo alcune considerazioni. Quando Pelliccia gli chiese informazioni mentre stendeva il suo libro su Balbo, uscito nel 1985, Briganti non gli raccontò questa storia, ma la tirò fuori nelle sue memorie, la cui prima edizione uscì nel 1988, seguita da una seconda nove anni dopo. Dimenticanza? Sia pure. Timore che potesse essere riportata male? Mettiamoci anche questo. Però nelle sue memorie apparentemente fece un errore che, da parte di uno come lui, che era stato aiutante di Balbo e sempre vicino alle più alte gerarchie, raggiungendo poi i vertici della Forza Armata dopo la guerra, non è comprensibile. Scrisse, come abbiamo appena visto: “Parlando con i membri italiani, Pentimalli mise in grande evidenza i meriti del congiunto, esprimendo la certezza che presto De Pinedo sarebbe succeduto a Balbo come capo dell’Aeronautica, e fece qualche critica a quest’ultimo”. Ora, Balbo non era il capo di Stato Maggiore, ma il sottosegretario. Tanto Pentimalli nel 1929 quanto Briganti, sia allora sia quando ripubblicò le sue memorie nel 1994, lo sapevano benissimo e sapevano cosa significasse: quella di sottosegretario era un nomina politica che nulla aveva a che fare con la normale progressione di una carriera militare, per cui dichiararsi certo – come aveva fatto Pentimalli – che presto De Pinedo sarebbe succeduto a Balbo, significava: “De Pinedo diventerà presto il sottosegretario all’Aeronautica al posto di Balbo”. Ma come poteva saperlo Pentimalli se Balbo stesso non aveva nulla in vista né sapeva d’alcun imminente “cambio della guardia”, come il Regime chiamava i rimpasti governativi? Cosa dové pensare Balbo? Si chiese che c’era sotto? Forse De Pinedo stava cercando di prendere il suo posto? Questo probabilmente fu il suo dubbio. In altre parole: il cognato di De Pinedo aveva o no espresso la speranza – e forse adombrato la possibilità – che Balbo perdesse il posto di sottosegretario a favore di De Pinedo? Si, era evidente; ma come poteva averlo saputo? Solo se gliel’aveva detto il cognato, cioè De Pinedo stesso. Su questo Briganti ha fatto molta attenzione, ma, per quanto abbia cercato di smorzare i toni per nascondere una vecchia polemica e una storia non bella, l’onestà che l’ha sempre contraddistinto gli ha fatto scrivere una frase rivelatrice: De Pinedo poteva succedere a Balbo solo come sottosegretario, perché quello Balbo era, non come capo di Stato Maggiore; perciò la frase di Pentimalli poteva essere interpretata – e probabilmente lo fu da Balbo – come il segnale di una cospirazione in atto per farlo fuori. Di per sé poteva essere anche solo una non opportuna uscita di Pentimalli. Ma c’era pure quella di Bonomi. Quel suo “Quando passeremo anche a noi dall’altra parte vi faremo rigare dritto…”, poteva essere uno scherzo, ma, messo insieme alle parole di Pentimalli, diventava – o poteva diventare per uno già preoccupato e in guardia – un secondo 25

Natale Pentimalli, ufficiale d’artiglieria, colto, poliglotta, fratello del più noto Riccardo, era un noto autore di teoria militare e, in particolare, nel 1922 aveva pubblicato nel suo libro La Nazione organizzata, una sua teoria per cui l’Aeronautica –da lui preconizzata Forza Armata indipendente – in guerra doveva essere impiegata risolutivamente come vettore di gas asfissianti. 32


indizio, un preavviso. Bonomi aveva parlato di quando avrebbero usato – lui e De Pinedo, ovviamente – l’ingresso riservato al sottosegretario, Pentimalli s’era detto certo d’una prossima successione di De Pinedo a Balbo e, alla luce di questa uscita di Pentimalli e dei suoi possibili reconditi significati, Balbo certamente cominciò a prepararsi; e lo dimostrano i fatti. E’ sicuramente vero, come scrisse poi il generale Briganti, che fosse: “…peraltro, un ammiratore di De Pinedo e più di una volta l’avevo sentito dire: “De Pinedo è destinato ad essere il mio successore. Io sono un uomo politico e da un giorno all’altro posso essere chiamato ad un altro incarico. Al mio posto deve venire un generale dell’Arma.””LV ma, un conto era esprimere un’intenzione che significava più o meno: “quando deciderò d’andarmene e sarò destinato da un‘altra parte, spero che sarà De Pinedo a prendere il mio posto” e un altro conto, tutto un altro conto, venire a sapere qualcosa che poteva significare che il suo sottocapo di Stato Maggiore gli stava facendo le scarpe. La reazione di Balbo fu quella di qualsiasi uomo politico: non poteva caricare a testa bassa sulla base di un discorso fatto da Tizio e riportato da Caio, perché bastava che Tizio smentisse d’averlo mai fatto e Caio sarebbe finito in un mare di guai, trascinandoci magari anche Balbo che, come minimo, avrebbe fatto la figura del credulone. No, occorreva trovare dell’altro. E iniziò a vedere cosa aveva in mano contro De Pinedo. Scrive infatti Briganti: “La pulce messagli nell’orecchio dall’ufficiale lo indusse ad osservare più da vicino l’attività di De Pinedo. Constatò che questi, in virtù della sua posizione di uomo celebre, frequentava assiduamente il bel mondo, assentandosi spesso da Roma.”LVI Ora, con tutto il rispetto per il generale Briganti, è difficile credere che Balbo non sapesse già cosa faceva De Pinedo. La Roma d’allora era piccola, aveva meno d’un milione d’abitanti e, specie da un certo livello in su e specie nell’ambito militare e del Partito, tutti sapevano tutto di tutti. Ciò che uno come De Pinedo faceva era riportato dai giornali e, quanto alle assenze da Roma, è difficile, per non dire impossibile, che il sottosegretario di un dicastero militare fosse ignaro di dov’era il suo sottocapo di Stato Maggiore e del perché; al limite poteva saperlo il giorno dopo, due giorni dopo, ma certo lo sapeva. Per cui è difficile credere che solo dopo questo “pettegolezzo” Balbo aprisse gli occhi e scoprisse cosa faceva De Pinedo. Caso mai è probabile che solo allora cominciasse a temere che tutte quelle relazioni e quella fama fossero altrettanti fili di una tela che alla fine l’avrebbe avvolto ed eliminato dal sottosegretariato. Difficile esserne sicuri, né si sa se ci sia stato dell’altro. Quel che è certo – e il discorso di Balbo lo dimostra ad usura – è che a partire da poco prima del decollo della crociera nel Mediterraneo Orientale, i rapporti fra i due, fino allora ottimi, si deteriorarono. Già insoddisfatto per la promozione a metà avuta in novembre, De Pinedo si sentì personalmente colpito dal contenuto del discorso. Dal canto suo Balbo probabilmente cominciava a vedere in lui anche un potenziale rivale, troppo noto in Italia e nel mondo, troppo vicino alla Monarchia e quindi troppo ben sostenuto per poter essere ignorato una volta Capo di Stato Maggiore; forse un pericoloso alter ego che poteva diventare ego e basta… non lo sappiamo; né, tutto sommato, ci interessa veramente. Quello che ci interessa è che dopo un bimestre costellato da crescenti urti per questioni spesso futili, la crisi scoppiò durante la Crociera del Mediterraneo Orientale.

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Capitolo IV La crociera del Mediterraneo Orientale e i contrasti tra Balbo e De Pinedo La Crociera del Mediterraneo Orientale fu un grosso successo della Regia Aeronautica. De Pinedo e Balbo l’avevano organizzata molto bene. L’itinerario, dopo qualche esitazione, fu stabilito attraverso i Dardanelli e il Mar Nero fino in Unione Sovietica: una scelta interessante per moltissimi motivi, sia politici che industriali. Secondo Balbo fu fatta per caso. Erano a Roma, per testimoniare davanti alla commissione di inchiesta sulla tragedia dell’Italia, il professor Samoilovich, che col rompighiaccio Krassin aveva salvato i compagni di Nobile, e Ciuknowski, il pilota che li aveva avvistati. “Una sera” scrisse poi Balbo “l’ambasciatore dei Soviet a Roma Kurski, ci invitò ad un ricevimento in onore degli aviatori russi… Mi pare che non si andasse più in là di un solo rappresentante diplomatico straniero. L’Ambasciatore di Francia, credo, e noi tre Sottosegretari di Stato militari, Sirianni, Gazzera ed io… Da un argomento all’altro, tirato in ballo il progresso aeronautico dei due paesi, lancio un’idea: se gli idrovolanti della prossima Crociera italiana sorvolassero il cielo di Odessa? Silin, addetto aeronautico russo coglie la palla al balzo. E’ un po’ avventata ma gli piace. Ciuknowski aderisce con la sua schietta semplicità, Samoilovich si liscia i baffoni con compiacenza e ammicca benevolo dietro le enormi lenti… Infine Kurski promette tutto il suo interessamento. Egli ne avrebbe scritto al suo governo mentre io ne avrei parlato a Mussolini… Decido di parlarne al Duce. Gli riferisco il colloquio… le accoglienze, le probabilità, le speranze. Il Duce trova la cosa normale…. Così incominciarono le trattative.”LVII Indicato come “Crociera d’istruzione di Reparto da Bombardamento Marittimo”, il volo venne preparato minuziosamente. Furono controllate le possibilità ricettive e logistiche di tutti gli scali in cui potessero fermarsi gli idrovolanti e le circa 200 persone che avrebbero volato su di essi e, arrivato il beneplacito ufficiale sovietico, si fissò l’itinerario sulle tappe Taranto-Atene-IstanbulVarna-Odessa-Costanza-Istanbul-Atene-Taranto. Teoricamente erano 4.700 chilometri: 1.700 più della Crociera del Mediterraneo Occidentale, ma alla fine, al rientro a Orbetello ne sarebbero stati percorsi 5.300. In ogni base straniera vennero dislocati almeno un ufficiale pilota e tre sottufficiali – un motorista, un montatore e un pilota – con una scorta di gavitelli, ancore d’ormeggio e catene di collegamento per gli ancoraggi degli idrovolanti. Venne pure costituito un centro meteorologico con due unità – a Taranto e Atene – e una direzione sul Regio Cacciatorpediniere Palestro, sul quale era imbarcato il professor Filippo Eredia, capo del “Servizio Presagi”, come si chiamava allora il servizio meteorologico della Regia Aeronautica Gli idrovolanti erano 35, forniti da varie squadriglie e riuniti in uno Stormo di formazione. In volo, precedevano un S. 55 e due S. 59 per il comando dello stormo, poi venivano cinque squadriglie26 di cinque apparecchi l’una e chiudeva la formazione un reparto speciale per il trasporto dei passeggeri – ospiti militari e civili e giornalisti italiani ed esteri27 – formato dagli S. 55 del reparto di volo della

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Erano la 192ª dell’87° Gruppo, la 190ª e 191ª dell’86° e la 170ª e 171ª del 91°. I giornalisti erano undici. Tra gli ospiti figuravano ufficiali italiani e stranieri tra cui il Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Marina ammiraglio Romeo Bernotti e il Console Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Attilio Teruzzi. Degli stranieri però solo gli Americani furono ammessi in Turchia e nessuno in Unione Sovietica, per cui dovettero tornare indietro con un idrovolante appositamente noleggiato da Atene o, gli Americani, in treno dalla Bulgaria. 27

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III Zona Aerea Territoriale. Tra gli idrovolanti spiccava il primo esemplare del Cant 22 R.28 battezzato San Sergio. Un’altra novità era la presenza, a bordo di tutti gli apparecchi capisquadriglia, di radio ricetrasmittenti messe a disposizione dalla Regia Marina con una coppia di radiotelegrafisti. Ogni aereo aveva una dotazione d’emergenza,29 imbarcava due piloti, due motoristi e, se si trattava d’un aereo comando-gruppo, anche un terzo motorista, un montatore e un marconista. L’appoggio lungo la rotta venne fornito dalla Marina col Riboty, su cui erano stati stivati i ricambi più ingombranti, comprese ali e derive, e oltre al Palestro, coi cacciatorpediniere Curtatone, Montanara e Calatafimi. Inaspettatamente, cinque giorni prima della partenza, Balbo diede il comando dello Stormo non a De Pinedo, che pure partecipava insieme a lui alla crociera, ma al colonnello Aldo Pellegrini,30 capo di gabinetto del ministro dell’Aeronautica. Questo fu il primo colpo a De Pinedo, il cui malumore venne momentaneamente tacitato dalla spiegazione che, essendo generale, non poteva essere di fatto degradato venendo messo a comandare un semplice Stormo. I decolli cominciarono a Taranto alle 4 e 50 del mattino del 5 giugno 1929 e i 650 chilometri della prima tappa furono coperti in cinque ore, ammarando ad Eleusi dopo un passaggio su Atene. L’arrivo in formazione su Atene fu spettacolare e venne curato particolarmente, in onore del nuovo presidente del consiglio, Conduriotis, che giurava proprio al momento dell’arrivo. L’impressione fu tale da far dire quella stessa sera all’ambasciatore del Re, Arlotta, che nel vedere lo stormo sorvolare Atene aveva sentito la presenza della Patria più che se fossero state in porto delle navi da guerra nazionali. La tappa successiva fu Istanbul, raggiunta da tutti i velivoli, scortati da caccia turchi attraverso lo Stretto e fino alla baia di Buyukderei. Qui si affacciò il problema del volo seguente. L’attraversamento del Bosforo era stato permesso a soli ventun aerei, perché la Commissione Internazionale degli Stretti voleva far rispettare la regola, stabilita nel ’23, per cui non potevano passare più aerei di quanti ne allineasse la più dotata aviazione rivierasca del Mar Nero. Poiché in quel momento i più forti – i Sovietici – ne avevano solo 21, solo 21 potevano passare direttamente dal Mar di Marmara al Mar Nero. Il resto dello Stormo dové seguire una rotta interna, diretta verso est, su Izmit, passando sulla penisola asiatica e, traversato il Mar Nero, si ricongiunse agli altri aerei a Varna, in Bulgaria. L’8 giugno gli idrovolanti italiani lasciarono Varna e dopo alcune ore ammararono nel lago Hadgibeisky, a una decina di chilometri da Odessa. Gli equipaggi ebbero un’ottima accoglienza. Un arco di trionfo li salutò colla scritta “Il saluto ai piloti italiani”. A terra Balbo s’irrigidì sull’attenti al suono dell’Internazionale – e poi non mancò di far presente che non gli era del tutto nuova come musica – passò in rassegna il picchetto d’onore, salutò militarmente la bandiera sovietica e poi gridò: “Sdarovo!” – Salve – per salutare i presenti. Gli rispose un urlo enorme: “Sdarovo!” da parte dei presenti, la banda attaccò la Marcia Reale e cominciò la parte meno protocollare della visita. Anche se le autorità non avevano detto nulla alla popolazione e si ostinarono a tener segreta sia la crociera, sia la permanenza degli Italiani, la gente, incuriosita dalla requisizione temporanea di tutte le automobili locali e dai cortei di esse su e giù per la città, lo seppe lo stesso e si affollò davanti agli alberghi in cui erano alloggiati gli equipaggi. Gli Italiani restarono a Odessa un giorno e mezzo e i Sovietici fecero del loro meglio per trattarli bene, giungendo fino a far cuocere del pane bianco appositamente per loro. Balbo ebbe a disposizione un ufficiale russo che parlava francese; a De Pinedo venne fatto provare un 28

Tre motori – centrale Isotta Fraschini 510 Asso, laterali Isotta Fraschini Semi Asso da 200 e 250 cavalli - due uomini di equipaggio e dieci passeggeri, sigla civile I-AACK. 29 Il materiale comprendeva tra le altre cose su ogni aereo: un battello pneumatico, una scorta di razzi da segnalazione, una di viveri d’emergenza, materiale di pronto soccorso, parti di ricambio di piccole dimensioni, attrezzatura per interventi tecnici d’emergenza, cavi da rimorchio e tre ancore: due da 30 chili e una galleggiante. 30 Il colonnello Aldo Pellegrini veniva anche lui dalla Regia Marina ed era divenuto pilota prima di De Pinedo; infatti nel 1917, da tenente di vascello, comandava la squadriglia idrovolanti della Marina basata a Grado 36


apparecchio sovietico; quelli italiani furono esaminati attentamente a terra e in volo e fu poi ordinato l’acquisto di 30 di essi. Nell’insieme la visita fu un successo. L’industria italiana fu soddisfatta sia dalla commessa, sia dalla seguente richiesta di produrre l’S. 55 su licenza in Russia. La stampa internazionale sventolò in lungo e in largo una foto in cui Balbo salutava militarmente la bandiera rossa e mandò in bestia i comunisti e gli antifascisti di mezzo mondo, in particolare i fuorusciti italiani. La mattina del 10 giugno lo Stormo decollò verso occidente. Volando lungo la costa ucraina, raggiunse il Danubio e Costanza, in Romania, ammarando nel lago Sudghiol, a qualche chilometro dalla città. Un forte temporale nella notte danneggiò gli alettoni di tre aerei e obbligò a posticipare la partenza verso Istanbul. Poi, ripercorsa al contrario la via dell’andata, il 18 giugno gli idrovolanti ammararono a Taranto. La crociera era conclusa. La stessa mattina Balbo ridecollò con un biposto terrestre, atterrò a Roma-Centocelle alle quattro del pomeriggio e, dopo essersi messo in ordine, alle nove di sera si presentò a Montecitorio, accolto da un’ovazione dell’intera Camera. Il 19 lo Stormo decollò da Taranto, passò su Roma esibendosi lungo il Tevere e ammarò a Orbetello, dove fu passato in rassegna da Mussolini, che, soddisfatto, definì la Crociera un “esempio splendido di preparazione tecnica e di perfetta disciplina di volo.”LVIII L’indomani Vittorio Emanuele III passò in rivista lo schieramento di aerei ed equipaggi solcando la laguna su un motoscafo. La Crociera era finita; era andata bene e il futuro appariva promettente. Tutto sarebbe finito per il meglio se non ci fosse stato uno strascico, pesante e, a ben vedere, prevedibile: arrivò lo scontro fra De Pinedo e Balbo. Ferito dal discorso sui divi dell’Aeronautica, irritato dal conferimento del comando a Pellegrini, secondo Pelliccia De Pinedo era andato in cerca di urti e di prove di forza con Balbo, magari indirettamente, attraverso contrasti con Pellegrini. Pellegrini aveva detto di rimandare una partenza? De Pinedo aveva insistito nel partire; e in seguito aveva avuto discussioni con Balbo sulla disposizione dei posti a tavola nei pranzi d’onore, sull’impeccabilità dell’uniforme, su tutto. Sarò stato proprio così? A leggere le memorie di Briganti qualche dubbio viene. “Balbo affidò il comando della Crociera di Odessa al colonnello Aldo Pellegrini, suo capo di gabinetto, ma tuttavia non dispensò De Pinedo dal dirigerla. Temeva che la sua assenza provocasse un insuccesso clamoroso.”LIX Questa prima ammissione di Briganti è degna di nota. Balbo mise formalmente al comando un suo uomo, ma obbligò De Pinedo a partecipare – in subordine, di fatto – perché non si sentiva di fare a meno di lui e delle sue capacità. Andiamo avanti a leggere Briganti: “De Pinedo obbedì: comandò la Crociera con Pellegrini al suo fianco ma, mentre tutti gli ordini venivano da lui, i giornalisti del seguito parlavano sempre del Comandante Pellegrini.”LX Chiaro – e non va dimenticato – che con un simile trattamento la posizione di De Pinedo apparisse debole ai rappresentanti delle altre Forze Armate e del Partito, cioè all’ammiraglio Bernotti, al generale Rovere dell’Esercito, al console generale Teruzzi, all’onorevole Polverelli. Prosegue Briganti: “un operatore dell’Istituto Luce, imbarcato nel mio apparecchio, che ad Odessa aveva indossato una giacca da sottufficiale per poter scendere dall’aereo (i Russi riconoscevano solo i militari), fu la causa di uno scontro fra De Pinedo e Balbo. infatti l’operatore “Luce”, redarguito dal colonnello Coppola31 per la sua tenuta (pantaloni chiari e senza berretto), non chiarì la situazione e tenne un contegno poco disciplinato. Punito dal colonnello Coppola, che lo riteneva un sottufficiale, ricorse a Balbo che lo difese. De Pinedo, non conoscendo la particolare situazione e volendo sostenere i principi della disciplina, insistette per la punizione. Il battibecco che ne nacque, ed al 31 Il colonnello Vincenzo Coppola veniva dalla Marina e, nella tarda primavera del 1917, da sottotenente di vascello, era stato destinato come allievo pilota alla scuola di volo di Taranto insieme all’allora tenente di vascello de Pinedo.

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quale fui presente senza riuscire a chiarire l’equivoco, inacerbì le relazioni fra i due capi provocando la rottura completa.”LXI A parte il fatto che c’è da restare senza parole davanti a una storia del genere, per cui un civile è tanto sciocco da non dichiararsi subito tale davanti al colonnello che lo punisce e il sottosegretario, invece di spiegare in tre parole di che si tratta, insiste nel sostenerlo senza dirne il perché, va notato che il generale Briganti, con molta discrezione, non aggiunse una sola parola su tutto lo scontro che di lì a pochissimo si verificò fra Balbo e De Pinedo e del quale doveva saperne più di molti altri. Va a lode della sua discrezione, ma a discapito della storia e non si può fare a meno di pensare che la sua versione sia incompleta. De Pinedo ne uscì furibondo; e non gli si poteva dare troppo torto. Avrebbe poi scritto in proposito a Mussolini: “Nella crociera del Mediterraneo orientale, da me personalmente organizzata e diretta, è stata deliberamente messa in tacere ogni opera mia, attribuendone altrui il merito, e tacendo quasi perfino la mia presenza; ora io non ho alcuna ragione di far più di quanto mi spetti, o di non dare ad altri il merito di quanto altri abbia fatto; ma non posso non sentirmi personalmente offeso o diminuito se di quanto ho fatto appunto io, e non per mio desiderio ma per ordine superiore, il merito mi debba essere tolto. Durante la crociera stessa molte volte non mi è stata data la precedenza che mi spettava, posponendomi perfino talvolta all’ammiraglio Bernotti e una volta anche all’onorevole Polverelli. Durante la crociera, ad Odessa, sua eccellenza Balbo mi ha pubblicamente trattato in un modo offensivo, per una questione militare nella quale avevo tenuto il contegno più moderato ed equilibrato possibile.”LXII Alla fine, per di più, riferendosi alla Crociera nel suo insieme, De Pinedo se n’era uscito coll’affermazione “che a lui quelle esibizioni non erano mai piaciute e che si confondeva quello che avrebbe dovuto essere il ruolo della terza forza armata, impegnata in costose crociere, mentre si sarebbe dovuto lavorare sodo per preparare gli equipaggi al combattimento e non alle imprese sportive.”LXIII Era un aperta critica a Balbo e, tra un urto e una discussione, alla fine De Pinedo era arrivato a dichiarargli pure che una volta rientrati poteva considerarlo dimesso, perché secondo lui quelli avvenuti erano fatti che “mi dimostrano che non godo più della benevolenza di Sua Eccellenza Balbo; e se finora ho potuto illudermi di poter reggere il mio incarico avendo o riconquistando tale benevolenza, ora debbo concludere che ciò non è possibile.”LXIV In realtà le dimissioni non vennero presentate prima di altri due mesi. Si vedrà nel penultimo capitolo cosa accadde in quel periodo. Ora basterà dire che, per quanto si capisce dagli scritti pervenutici, al rientro in Italia seguì un’intricata lotta di corridoio, che sfociò, il 12 agosto 1929, in una lettera, tanto educata e urgente quanto provocatoria, con cui Balbo chiedeva conto a De Pinedo della somma di 30.000 dollari, raccolta dagli Italiani d’America nel 1927 per finanziare eventuali altre spedizioni aeree, ed asseriva d’aver bisogno d’una rapida risposta perché doveva riferire al Duce. Poiché la storia era vecchia e la documentazione relativa era già negli Archivi della Regia Aeronautica, De Pinedo s’infuriò, considerò la lettera un affronto e il 22 agosto rispose direttamente a Mussolini – visto che a lui Balbo aveva detto di dover rendere conto – con un ampio memoriale, poi offrì le sue dimissioni

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Messo davanti alla scelta fra il Signore delle Distanze e il Ras di Ferrara, per ovvi motivi politici il Duce scelse il Ras; e De Pinedo venne mandato a fare l’addetto aeronautico in Argentina. La fine dell’agosto 1929 è quindi il periodo critico per eccellenza della Regia Aeronautica. In pochissimi giorni, fra il 22, data della risposta di De Pinedo, e la sua sostituzione con Valle il 25, venne ultimato l’annullamento dell’autonomia degli assi del volo italiani e fu portato sul tavolo della massima autorità competente – il Presidente del Consiglio, che era pure il Ministro della Guerra, dell’Aeronautica e della Marina – un quadro tanto critico, completo e allarmante dello stato della Regia Aeronautica da farlo considerare come il fondo da cui ci si doveva assolutamente rialzare. Da quei giorni, da quei fatti e da quei memoriali nacque la Regia Aeronautica delle crociere atlantiche, dei primati e delle vittoriose guerre d’Etiopia e di Spagna.

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Capitolo V Le risorse materiali della Regia Aeronautica nel 1929 Quando Balbo venne nominato sottosegretario, la linea di volo della Regia Aeronautica non era certo al meglio. In assenza d’un chiaro orientamento strategico e tattico, era restata in sospeso l’identificazione degli obbiettivi militari da raggiungere, il che significava che era impossibile determinare le specifiche dei mezzi aerei. Di conseguenza non erano stati emanati i requisiti per apparecchi nuovi o di nuova concezione; ed ora bisognava rimediare. Nel 1925 contro i dichiarati 2.166 apparecchi italiani, inclusi quelli di riserva e in costruzione, la Francia ne schierava circa 4.000. Nel 1929 la Regia Aeronautica aveva i propri velivoli prevalentemente in Italia. Nell’Egeo c’era poco; in Libia quanto necessario a sostenere le operazioni di riconquista e polizia coloniale, in Eritrea quasi nulla, in Somalia fino al 1935 solo una squadriglia d’aeroplani; infine, nei minimi possedimenti italiani in Cina era distaccato un aereo con nove uomini. Il più chiaro quadro pervenutoci della situazione è quello fornito dal Promemoria per Mussolini e dal Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle, riservatissimo personale, preparati da De Pinedo l’uno il 22 agosto 1929 e al momento del passaggio delle consegne a Valle, l’altro due giorni dopo. I due documenti sono piuttosto diversi, specie nel contenuto, forse perché il primo era destinato a un profano, al quale De Pinedo riteneva di dover spiegare tutto, magari caricando i toni, mentre il secondo era rivolto a un collega che dell’Aeronautica, pur se proveniente dal Demanio Aeronautico, sapeva praticamente ogni cosa e a cui bastava fornire la situazione aggiornata. A noi serve un quadro completo e possiamo averlo solo integrando i dati dei due documenti, perché in quello a Mussolini32 De Pinedo sottolineò in particolare le carenze tecniche dei vari tipi d’aereo, dando la situazione alla data del 1° luglio ed indicando sempre il fabbisogno ma non sempre la forza effettivamente disponibile. A Valle invece fornì senza dubbio la situazione più aggiornata; e quella io seguirò qui. La linea di volo era allora articolata su 97 squadriglie di nove specialità e cioè: 26 da caccia terrestre, sei da caccia marittima, dieci da bombardamento diurno, altrettante da bombardamento notturno e da bombardamento marittimo, 20 da ricognizione terrestre, 12 da ricognizione marittima vicina, una da ricognizione marittima lontana e due di “Aerei imbarcati” per un totale non di 2.166 aeroplani, e, beninteso, neanche più di “882 escluse le riserve e i consumi” come in passato, ma di 1.002, cioé: 424 caccia – 344 terrestri e 80 marittimi – 232 bombardieri – 100 diurni, 66 notturni e altrettanti marittimi – 326 ricognitori – 200 terrestri, 120 marittimi vicini e 6 lontani – e 20 aerei imbarcatiLXV dei quali però 939 ai reparti33 e il resto alle scuole. Ora, nelle Considerazioni sulla situazione del materiale di volo, redatte in base ai dati del 1° luglio, De Pinedo aveva indicato a Mussolini una forza di 1.080 aerei ai reparti e 462 ordinati o in costruzione, per un totale di 1.542. Però sempre secondo De Pinedo, il fabbisogno ammontava a 1.74634 aerei, perciò si era ben lontani dalla sufficienza. Riferiva De Pinedo a Mussolini: “Con grande sforzo si può riuscire a mettere insieme, per una crociera, uno stormo di idrovolanti, o per un’esercitazione d’armata aerea, una quindicina di squadriglie e 32

Questo promemoria è riportato integralmente in appendice; l’altro qui nel testo. Come fece presente il generale Valle alla riunione dei Capi di Stato Maggiore il 23 ottobre dell’anno seguente, quando poté presentare una linea di volo di 1.364 velivoli disponibili, articolati in 91 squadriglie, sempre escludendo quelli delle scuole. 34 Secondo il promemoria “Considerazioni sulla situazione del materiale di volo”, del 18 agosto 1929, il fabbisogno era: Caccia terrestre 535; Caccia marittima 120; Bombardamento diurno 161; notturno 118; marittimo e ricognizione lontana 111; Ricognizione terrestre 445; marittima e aerei imbarcati 256. 33

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aumentare il buon nome dell’Aeronautica; ma l’efficienza bellica dell’Aeronautica è ben diversa cosa…. ”LXVI E, a dimostrazione di quanto affermava, aggiungeva la disamina della linea di volo specialità per specialità, tipo d’aereo per tipo d’aereo, valutandone spietatamente le caratteristiche e concludendo: “… mentre occorrerebbe una disponibilità di apparecchi da caccia efficienti per la guerra in numero di 535 terrestri e 120 idrovolanti, da rinnovarsi continuamente con ordinativi annui di 135 terrestri e 30 idro, si potrà contare di avere efficienti per la prossima primavera, considerando già effettuate le consegne delle commesse in corso, solo su circa 250 Cr 20 terrestri, 18 o 20 Cr 20 idro, 20 o 22 M 41…in confronto di un fabbisogno di 161 apparecchi da bombardamento diurno, 118 da bombardamento notturno e 103 da bombardamento marittimo, da rinnovarsi con sostituzione annua complessiva di 96 apparecchi, si può prevedere per la prossima primavera una esistenza di 120 br. 2, 100 Ca. 73 o Ca. 74, 80 apparecchi S. 55; i primi esigono alcune modifiche miglioratrici delle condizioni di impiego e di difesa e potranno avere presumibilmente vita di ancora due anni; i secondi esigono vari lavori di miglioramento, ma anche dopo questi, dato il loro valore militare quasi nullo, dovranno essere considerati soprattutto come apparecchi da addestramento; i terzi, malgrado le loro qualità militari non grandi, potranno presumibilmente essere utilizzati, per particolari compiti operativi e sul mare, fino a consumazione.”LXVII La ricognizione terrestre stava altrettanto male perché: “….In confronto di un fabbisogno di 445 apparecchi, da rinnovarsi con sostituzione annua di 110 apparecchi, si può prevedere per la primavera 1930 una esistenza di circa 130 A. 300/6, 200 Ro. 1, 50 A. 120”LXVIII Infine, a proposito dell’aeronautica ausiliaria per la Regia Marina: “…in confronto di 218 apparecchi da ricognizione vicina, 8 da ricognizione lontana, 32 per l’imbarco sulle navi, da rinnovarsi con sostituzione annua rispettiva di 55, 2, 8 apparecchi, si può considerare un’esistenza di 21 S. 59, 123 S. 59 bis, 6 S. 55 e 35 apparecchi ad ali pieghevoli per l’imbarco sulle navi.”LXIX Questo avrebbe dato un totale di 1.153 (o 1.157 volendo considerare la prospettiva migliore per i caccia) apparecchi utilizzabili nella primavera del 1930, cioè circa 300 meno di quanti sarebbero stati presenti in futuro, ma comunque circa 150 più di quanti se ne dichiaravano a Valle il 25 agosto. Il problema vero era però che erano militarmente inutili. Senza entrare nei particolari35 qui basterà dire che le reali prestazioni di velocità massima e di crociera, quota massima di volo, autonomia e carico offensivo erano tutte, per tutti gli apparecchi di tutti i tipi, inferiori a quanto dichiarato dai costruttori in misura variabile dal 10 al 50%; e raggiungere una quota inferiore a quella teoricamente prevista, portando un carico bellico minore di quanto stabilito, non indica una buona affidabilità del vettore. Gli aerei risentivano anche d’una concezione antiquata, che ne limitava a priori le prestazioni e rendeva necessari nuovi studi. De Pinedo sottolineava che: “Nel momento presente la R. Aeronautica dispone di tipi di apparecchi dei quali buona parte può considerarsi antiquata e di rendimento bellico molto scarso”LXX e ancora: “E’ necessario richiamare l’attenzione sul fatto che la R. Aeronautica attualmente si trova in condizioni molto critiche nei riguardi dell’efficienza guerresca. Tutti gli apparecchi da bombardamento notturno sono di scarsissimo valore militare; scarsissimo è il numero degli apparecchi di tutte le specialità, si che per quasi tutte le squadriglie la dotazione di apparecchi è molto minore a quella che dovrebbe essere; mancano del 35

Particolari che possono essere visti nelle citate “Considerazioni” integralmente riportate in appendice. 42


tutto le riserve di apparecchi necessarie anche solo per una settimana di guerra; difettano le riserve di materiali di ogni genere necessarie; scarsissime sono le scorte di mobilitazione; insufficienti sono tutte le sistemazioni che debbono essere preparate per la guerra. Tale situazione non può essere sanata se non si provvede al più presto ad una forte assegnazione di fondi, che permetta di completare gli impianti di ogni genere necessari, di mettere i reparti in condizioni di buona efficienza, di predisporre le scorte di mobilitazione. Ottenuta la disponibilità dei fondi necessari, un assetto soddisfacente delle forze aeree non potrà essere ottenuto immediatamente, ma potrà essere raggiunto solo dopo un certo periodo di tempo. Si deve tener presente ancora come, mettendo in condizioni di buona efficienza i reparti ora esistenti, il complesso delle forze aeree risulterebbe ancora insufficiente ai bisogni più modesti che si presenteranno in guerra. E’ quindi necessario non solo metter in efficienza le forze ora esistenti, ma aumentarle in modo che esse possano assolvere i doveri che loro competeranno in guerra.”LXXI “Senonché la situazione suddetta, già difficile dal punto di vista del numero, risulta poi addirittura preoccupante se viene considerata dal punto di vista qualitativo. Infatti gli apparecchi che è possibile ottenere attualmente dall’industria nazionale hanno qualità militari nettamente scadenti. Si richiama l’attenzione, ad esempio, sul fatto che l’apparecchio Cr. 20 solo a stento raggiunge la quota di m. 6000; è evidente che tale apparecchio alla quota di m. 5000 già non possiede più quelle doti di esuberanza che sono necessarie per un efficace impiego nella caccia; a quota 5000 il Cr. 20 difficilmente potrà attaccare con probabilità di successo un apparecchio da bombardamento ben armato, e risulterà in condizioni di inferiorità notevolissima rispetto ai più recenti apparecchi da caccia francesi, che hanno dato prove di velocità e di salita impressionanti; ed ancora, poiché sono già in servizio in Francia apparecchi da bombardamento con quota di tangenza verso i 7000 metri, risulterebbe possibile a questi agire contro la nostra penisola senza dover temere alcun disturbo da parte della nostra caccia.”LXXII “Intanto non ci sono ancora i tipi di apparecchi necessari per l’immediato futuro, perché le migliori energie intellettuali e industriali della tecnica aeronautica sono state impegnate nei preparativi per la coppa Schneider; e, mentre, l’Aeronautica militare non ha i fondi e gli apparecchi necessari, sono stati ordinati 500 apparecchi da turismo, che graveranno duramente sul nostro insufficiente bilancio non solo per la spesa di acquisto ma per le spese di mantenimento; sono ordinati in Germania due giganteschi Do X, che costeranno complessivamente oltre 20 milioni, e non si prevede quale utilizzazione bellica potranno avere; e mentre si moltiplicano le linee aeree quasi tutti gli apparecchi utilizzati da queste sono stranieri, Dornier, Fokker, Junkers, mentre non esistono ancora in Italia i tipi da sostituire a quelli esteri. L’industria è lungi dall’esser pronta per la mobilitazione. Le installazioni belliche degli apparecchi militari sono deficientissime. All’estero invece la preparazione militare è seria ed effettiva. Gli ultimi apparecchi da bombardamento francesi sono capaci di volare normalmente ad un quota di metri 6000,36 dove i nostri caccia non potrebbero raggiungerli: i francesi hanno, per la caccia, fatto entrare in servizio recentemente due nuovi tipi di notevole valore, e tuttavia ne hanno subito messo in esperimento altri numerosi tipi, di cui alcuni hanno 36

Va notato che negli stessi anni la Royal Air Force britannica, individuando nell’Aeronautica francese la più probabile, anzi l’unica possibile avversaria, valutava correttamente che in caso d’attacco contro l’Inghilterra, le forze dell’Armée de l’Air avrebbero traversato la Manica mantenendo una quota minima di 5.000 metri, una massima di 6.900 e una velocità compresa fra i 170 e i 270 chilometri orari. 43


manifestato caratteristiche impressionanti (il Morane 222 è salito a 7000 metri in 12 minuti, il Dewoitine 27 ha sviluppato velocità di 310 km/h) mentre noi non ne abbiamo nessuno.”LXXIII Per di più gli aerei italiani non solo erano pochi, inefficienti e tecnicamente arretrati, ma pure privi delle dotazioni necessarie. Infatti aggiungeva De Pinedo: “E’ stato provocato lo studio da parte della Direzione Superiore delle Esperienze di nuovi traguardi di puntamento”LXXIV perché “I traguardi esistenti mod. Jozza e mod. E modificato sono da considerarsi come materiale di ripiego da utilizzarsi per l’addestramento in pace e per gli apparecchi da ricognizione terrestre e marittima in guerra. Pertanto occorre approvvigionare i traguardi mod. Goerz, Nistri, ecc. occorrenti per gli apparecchi da bombardamento diurno, notturno e marittimo”LXXV I traguardi necessari ai bombardieri erano in totale 262. Calcolando un prudente 15% di riserva, si preventivava di comprarne 300 a 13.000 lire l’uno, per una spesa di 3.900.000 lire. Insomma, rispetto a quanto Mussolini aveva dichiarato tre anni prima, la forza era ridimensionata sia nel numero che nelle dotazioni. Lo si poteva notare, oltre che da questi aspetti tecnici, controllando nel Promemoria Valle l’“Allegato 4”, riguardante il munizionamento e diviso in cinque sezioni: munizioni di caduta (esplosivo e bombe); gas; sostanze incendiarie; munizioni di lancio; “Artifizi e segnalazioni.” Delle necessarie 3.163 tonnellate di tritolo, dichiarate tutte esistenti, ne erano effettivamente in dotazione solo tre quarti, perché se 2.342,44 erano già approvvigionate e 190,6 risultavano pronte alla consegna, ben 630, cioè il 19,9%, un quinto della dotazione totale, erano da consegnare entro il 31 dicembre 1932. Non andava meglio quanto alle bombe, anche se si prevedeva di ripianare la maggior parte delle carenze entro la fine del 1929. Di bombe esistevano allora diciassette tipi: dieci di bombe esplosive, quattro a gas, uno di incendiarie e ancora due di esplosive residuati di guerra. Le prime e le ultime erano classificate in base al peso, le seconde dalla sostanza contenuta, le terze erano definite “incendiarie” e basta. Le bombe esplosive dei due tipi più pesanti – da 800 e da 500 chilogrammi – erano poche. A fronte delle previste 400 da 800 chili ce n’erano 130; peggio andava per le altre: su 1.500 bombe da 500 previste, ne esistevano solo 122. Era poco, ma già qualcosa, almeno rispetto alle bombe esplosive medie e leggere, che in pratica non esistevano. Infatti invece delle 2.700 bombe da 250 chili previste, ce n’erano cariche solo 95; delle 22.000 da 100 chili, delle 7.200 da 70 e delle 20.000 da 15 non ce n’era nemmeno una carica e, se le consegne di quelle da 15 chili in agosto almeno erano “in corso”, per tutte le altre si parlava vagamente di “Consegne entro l’anno 1929.” Per le bombe esplosive più leggere la situazione era quasi uguale: quelle da 12 chili dovevano essere 33.500, ma solo 4.200 erano cariche; e su 107.000 bombe da 2 chili, ne esistevano cariche poco più del 56%, cioè 60.000. Le mancanti, 29.300 da 12 chili e 47.000 da 2, sarebbero state consegnate “entro il 1929.” Completavano il quadro 5.000 bombe da 104 chili e 16.000 da 31, residuate di guerra che sarebbero state rigenerate e caricate anch’esse nell’arco dell’anno. Altrettanto grave la situazione delle bombe a gas. Le sostanze che si prevedeva d’impiegare erano il fosgene, l’iprite, la cloropicrina37 e le arsine.38 Delle prime due esistevano 200 tonnellate – 100 e 37

Oggi totalmente dimenticata dai più, la cloropicrina, meglio nota come nitrocloroformio (Klop per i Tedeschi e Aquinite per i Francesi), era un aggressivo chimico lacrimogeno scoperto in Inghilterra nel 1848, ma usato in guerra per la prima volta nel 1916 proprio dagli Italiani. Era un liquido incolore, oleoso, trasparente, molto rifrangente e dall’odore pungentissimo. Vaporizzato, attaccava le mucose nasali e gli occhi, provocando una forte lacrimazione ed una congiuntivite tanto acuta da divenire anche purulenta e sanguinolenta. Aveva proprietà tossiche rilevanti, grandi qualità narcotiche e, se inspirato, provocava estese emorragie tracheali sottocutanee, edema polmonare acuto, congestione del 44


100 – pari per entrambe ad esattamente un terzo della dotazione prevista; delle altre non c’era nulla, nonostante si prevedesse d’avere 100 tonnellate di cloropicrina e 10 di arsine. Comunque, anche avendoli, non si sarebbero potuti impiegare gli aggressivi chimici, perché mancavano del tutto le 64.000 bombe in cui lanciarli e cioè: 12.000 bombe per il fosgene, 30.000 per l’iprite, 10.000 per la cloropicrina e 12.000 per le arsine. Questa carenza poteva sembrare un progressivo disarmo chimico, ma non era così. Si stavano continuando ad usare, anche se assai sporadicamente, bombe a gas in Libia e la continuazione dell’uso degli aggressivi chimici si sarebbe vista entro sei anni in Etiopia e sarebbe continuata ancora, sempre in Etiopia, almeno fino al 1938; e questo accadeva perché l’ipotesi di guerra chimica era concretamente considerata nei piani italiani. Infatti nell’Ipotesi Ovest, prima parte del citato studio Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali, preparato dallo SMRA proprio nel 1929, al punto 14°, parlando dell’eventuale guerra contro la Francia si diceva che “considerando la scarsa estensione di territorio francese soggetta alla nostra azione, e la grande estensione e sensibilità del territorio nazionale soggetta all’azione francese, converrebbe evitare la guerra chimica, che risulterebbe pericolosa più per noi che per il nemico, e interessar anche la politica estera ad agire sui neutrali in modo da render la Francia riluttante ad adottare tale forma di guerra. Nello stesso tempo, per ogni evenienza, occorre esser pronti a sostenere anche questa guerra, ed a condurla, se costretti, in ritorsione, con la maggior possibile violenza.”LXXVI Questo spiegava tanto le altissime spese – circa 95 milioni39 – in programma per dotarsi di materiale da difesa chimica, quanto l’acquisto – previsto e parzialmente in corso – di aggressivi chimici. D’altra parte la nota esplicativa accanto alla voce “Gas” nell’allegato 4 era piuttosto chiara. Riferendosi alle quantità “Tonn. 100” dell’allegato, diceva: “Le Tonn.100 sono in corso di approvvig. nell’anno 1929”LXXVII il che permetteva di scoprire che le 100 tonnellate di fosgene e di iprite dichiarate in dotazione erano in realtà in via d’approvvigionamento, così come si stavano acquistando le 100 di cloropicrina previste. Le munizioni di lancio poi erano un vero disastro: ufficialmente mancavano tutte, poiché “Delle cartucce esistenti non si è tenuto conto perché esse non danno affidamento essendo residuate di guerra. Servono per l’addestramento dei reparti.”LXXVIII Ne discendeva la necessità di comperare otto milioni di cartucce perforanti, un milione d’incendiarie e un altro milione di traccianti, che in teoria andavano ripartite nella dotazione rispettiva di 1.000, 100 e 100 per arma.40 Dato che però fegato e vomito. Avendo un elevato punto di ebollizione, si disperdeva o volatilizzava con difficoltà, per cui era considerato fra gli aggressivi chimici più persistenti ed efficaci. 38 Il testo originale dice “anine”, ma poiché questa sostanza non esiste e poiché si tratta di un dattiloscritto che proprio per i gas presenta degli errori di battitura dovuti all’incapacità del dattilografo di leggere correttamente alcuni termini meno noti, per cui ad esempio, la cloropicrina era divenuta “cloropicnina”, evidentemente si trattava di arsine. Questi erano composti arsenicali di vario genere (cloruro di difenilarsina, cianuro di difenilarsina, diclorofenilarsina, difenilcloroarsina, dicloroetilarsina, dibromoetilarsina, diclorometilarsina dibromometilarsina) che anche in piccola concentrazione provocavano irritazione al naso e alla bocca, forte starnutazione, salivazione e lacrimazione abbondanti, nausea e depressione fisica generale. In forte concentrazione davano irritazioni della pelle, nausea, vomito e gravi lesioni agli organi respiratori. Per questo tipo d’effetti bastava un’esposizione di non più di cinque minuti in un’atmosfera in cui l’aggressivo chimico fosse presente nella proporzione di una parte in 100 milioni di parti d’aria (una parte corrispondeva a 0,000118 milligrammi per litro) 39 Il quadro completo è fornito dall’Allegato 9 al Promemoria Valle ed è riportato qui come Appendice 3 40 I conti però non tornano. Lo Specchio “a” – Mitragliatrici – del citato promemoria per il generale Valle, includendo tutto, cioè mitragliatrici per aerei, per squadriglie di mobilitazione inclusi gli aerei civili, per l’Aviazione coloniale e per la difesa a terra, riporta un fabbisogno di 3.900 mitragliatrici fisse e 4.700 mobili, pari a 8.600 mitragliatrici, che a 1.000 perforanti, 100 traccianti e 100 incendiari l’una darebbero i rispettivi totali di 8.600.000, 860.000 e 860.000 colpi. Non si può pensare che il conto fosse stato fatto in base alle dotazioni esistenti, perché ammontavano a 4.820 armi tra fisse e mobili, il che avrebbe dato 4.820.000 perforanti, pari a poco più della metà del fabbisogno stabilito nell’allegato e ad ancora meno per gli altri. L’unica possibilità è che, trattandosi di dotazioni di facile consumo, fosse stata scelta una via 45


non si specificava a quante ore di azione in guerra dovesse bastare quella dotazione, se ne può dedurre che fosse evidentemente quella del tempo di pace, utile si e no per un impiego bellico di primo tempo e nulla più. Infine si era deciso di sostituire il fosforo ma non si era ancora stabilito ufficialmente con che, per cui, nell’attesa, mancavano completamente le sostanze incendiarie, per le quali e per le relative bombe però erano stati stanziati 10 milioni di lire, così come mancavano i 100.000 “artifizi” e le 150.000 cartucce da segnalazione, anche se per entrambi si osservava che: “Non rappresentano il completo fabbisogno perché materiale facilmente deteriorabile”LXXIX In totale la spesa per il munizionamento di tutti i tipi ammontava a 48.943.600 lire, “Cifra superiore a quella preventivata nella memoria sulla preparazione della guerra perché è stato contemplato il munizionamento a completo comprendendovi anche le bombe a gas, le cartucce e gli artifizi. Differisce dal preventivo previsto nell’ultima situazione delle scorte di mobilitazione (luglio 1928) perché parte degli approvvigionamenti delle bombe sono stati fatti con i fondi stanziati nel bilancio ordinario 1928-1929.”LXXX Poco meno – 45.360.000 lire – si prevedeva di spendere per comprare le 3.780 mitragliatrici – 1.720 fisse e 2.060 mobili – necessarie a completare il fabbisogno, valutato in 3.700 fisse e 3.000 mobili per gli aerei41 della Regia Aeronautica, 90 e 110 per quelli delle squadriglie di mobilitazione che inquadravano gli apparecchi civili,42 110 e 390 per l’Aviazione coloniale e 1.200, tutte mobili e tutte mancanti, per le difese a terra.LXXXI Un altro segno che le dotazioni ipotizzate si riferivano, come era logico in quel momento, al fabbisogno di pace riguardo al materiale di facile consumo, lo si aveva a proposito dei carburanti e dei lubrificanti. Nell’arco di tre mesi si prevedeva d’adoperare 15.000 tonnellate di benzina e 15.500 di lubrificanti, cioè 7.500 di olio di ricino al 5%, 3.000 di olio minerale al 3%, 2.000 di petrolio all’1,5% e 3.000 di grasso giallo allo 0,5%. Spiegava De Pinedo: “il suddetto quantitativo è stato calcolato sulla base dei seguenti dati: Potenza motrice 1000 HP per il Bombard. diurno, nott., maritt. e R.M.L.43 “ “ 500 “ “ la Ricogniz. terr. e la Ricogniz. maritt. vicina “ “ 450 “ “ “ caccia terrestre e marittima. Consumo orario: 225 gr. per cavallo ora. Numero di ore mensili di volo per apparecchio: 25 ore.

di mezzo tra l’esistente ed il previsto, calcolando di acquisire abbastanza colpi da garantire la dotazione minima di sicurezza anche alle armi via via comperate. 41 In quel momento, secondo il citato “Specchio a) Mitragliatrici” se ne avevano 2.074 montate sugli apparecchi e il resto di riserva; mancavano del tutto quelle per la difesa a terra. Le armi sugli aerei erano: 1.048 fisse sugli aerei da caccia, che ne avevano due ciascuno; 100 fisse e 562 mobili su quelli da bombardamento (100 e 100 sui bombardieri diurni, che ne avevano una e una a testa, 198 mobili su quelli notturni che ne montavano tre e le restanti 264 su quelli marittimi, che ne portavano quattro), 200 fisse e 200 mobili sui ricognitori terrestri – ne avevano tutti una di entrambi i tipi – 120 mobili sui 120 ricognitori marittimi vicini, quattro pure mobili su ognuno dei sei ricognitori marittimi lontani e una mobile su tutti e 20 gli aerei imbarcati. A queste si prevedevano d’aggiungere una riserva armi al 50%, cioè pari a 1.148 mitragliatrici fisse e 926 mobili, e la dotazione delle scuole, comprendente le 62 armi fisse e 76 mobili della Scuola d’Osservazione aerea, le 116 fisse di quella Caccia e le 132 mobili di quella da Bombardamento. Il totale preciso sarebbe stato allora di 6.608 armi, cioè 3.622 mitragliatrici fisse e 2.986 mobili, che per comodità veniva arrotondato a 6.700, elevando le prime a 3.700 e le seconde a 3.000 e stabilendo per tutte un prezzo orientativo di 12.000 lire l’una. 42 Il che non impedì che quando nel 1940 vennero formate le squadriglie da trasporto e da soccorso aereo col materiale di volo delle linee aeree civili quegli apparecchi fossero tutti privi di armi e tali restassero per tutta la durata del conflitto. 43 Ricognizione Marittima Lontana 46


Sono state pure considerate le Scuole di Specialità che hanno apparecchi della stessa potenza motrice, basandosi su 25 ore di volo mensili per apparecchio. Per le Scuole di pilotaggio è stato contemplato un numero complessivo di 220 apparecchi di potenza motrice media di 200 HP, basandosi su 40 ore di volo mensili per apparecchio. E’ stato considerato pure il fabbisogno per collaudo di apparecchi nuovi e riparati (250 B., 350 C., 400 R.44), per un numero di 8 ore di volo per apparecchio.”LXXXII L’esborso annuale avrebbe superato i 216 milioni di lire, visto che per ogni trimestre si prevedeva una spesa di 54 milioni, di cui 46 e mezzo in benzina, al costo di 3.100 lire la tonnellata, e 7.650.000 in lubrificanti, considerando i prezzi dell’olio di ricino – 750 tonnellate a 7.500 lire l’una – di quello minerale – 450 a 3.000 l’una – del petrolio – 225 a 2.000 lire l’una e delle 75 tonnellate di grasso giallo, ognuna delle quali costava 3.000 lire. Le cose andavano un po’ meglio per i mezzi terrestri e navali, ma non tanto. Erano state “compilate le nuove Tabelle Graduali numeriche sul servizio autoveicoli ed imbarcazioni della R. Aeronautica studiandole nell’intento di raggiungere con la minima spesa un’organizzazione che assicuri il perfetto funzionamento del servizio autoveicoli in pace, all’atto della mobilitazione, e in guerra.”LXXXIII La Regia Aeronautica divideva i propri mezzi terrestri e navali in 30 tipi diversi,45 dall’“Autovetturetta” alla bicicletta, comprendendone di particolari come l’autolaboratorio fotografico, l’autofaro, l’autopompa, il motoscafo d’alto mare e la motobarca da sette metri. Di alcuni ce n’era in quantità superiore anche alle dotazioni di mobilitazione e al previsto ulteriore incremento del 10%, altri erano grossomodo alla pari, altri ancora mancavano del tutto e, com’era da aspettarsi, tra questi c’erano alcuni dei mezzi di maggior rilevanza tecnica. Così se, per esempio, esistevano 10 autovetture più di quanto stabilito – 130 anziché 120 – c’erano solo 15 furgoni rimorchio invece dei 120 desiderati, 12 autostazioni radiotelegrafiche sulle 31 ritenute necessarie e un solo autolaboratorio fotografico al posto dei 15 previsti e mancavano tutte le 45 autofficine richieste, tutte le 25 autobotti per benzina, le 80 autopompe, gli 11 autodemarreur per idrovolanti, le 230 motociclette, i 65 laboratori fotografici motorizzati e i nove motoscafi d’alto mare ritenuti necessari per un adeguato supporto all’attività di volo. Né, in caso di emergenza, si poteva pensare di requisirli, perché, avvertiva De Pinedo chiudendo il prospetto: “Nel quantitativo di automezzi da approvvigionare non è considerato il numero di quelli da requisire, perché non utilizzabili agli effetti della mobilitazione. Servono invece per rimpiazzare i consumi successivi alla mobilitazione.”LXXXIV In realtà la mancanza dei mezzi era dovuta non a inadempienze dello Stato Maggiore o del Ministero, ma al fatto che solo da poco si era deciso o, addirittura, pensato, di dotarsene. Lo stesso De Pinedo lo diceva scrivendo che: “Per dare alle squadriglie i mezzi necessari per il trasporto dei materiali, sono in via di definizione alcuni tipi di autoveicoli speciali che necessitano allo scopo (furgone rimorchio, autotrattore, laboratori fotografici carreggiati, autofficine ecc.)”LXXXV Con attenzione era stata poi considerata la situazione dei materiali di squadriglia e di altro genere: “Per quanto riguarda le dotazioni dei materiali di squadriglia sono stati raccolti tutti i dati statistici sui consumi, forniti dalla Direzione Generale dei Servizi del materiale e degli Aeroporti, affinché le dotazioni inizialmente stabilite a titolo sperimentale 44 45

Le iniziali stanno rispettivamente per Bombardieri, Caccia e Ricognitori Si veda il quadro completo nell’Appendice 2. 47


possano essere rivedute e si possa quindi passare all’attuazione pratica di quanto nei fascicoli di dotazione è stabilito.”LXXXVI Entrando nel dettaglio, De Pinedo sottolineava a Valle “Nell’Aprile u.s. ho disposto che apposita Commissione iniziasse e proseguisse una revisione completa dei programmi relativi al materiale e al servizio R.T. Detta Commissione ha concretato il programma sperimentale da seguire per gli apparati R.T. di bordo, e, ottenuta in proposito l’approvazione della R. Marina e del R. Esercito per quanto riguardava le aviazioni ausiliarie è in corso la esecuzione; la Commissione ha poi riveduto il programma di sviluppo degli impianti R.T. a terra, e dovrebbe riunirsi ancora per determinare le caratteristiche degli impianti a terra”LXXXVII Nel complesso il valore del fabbisogno degli apparecchi radiotelegrafici di bordo della Regia Aeronautica sarebbe stato stabilito in 17.589.000 lire. A tale proposito vale la pena di notare che in quel periodo all’estero non si era molto più avanti, anzi. Ad esempio, nonostante in Gran Bretagna si fosse iniziato a valutare l’opportunità d’installare radio sugli aerei fin dai primi Anni ’20, soltanto dopo le esercitazioni aeree tenute fra il 1930 e il 1933 si sarebbe concluso che tutti i caccia dovevano averne. Ma in quel momento, nel 1929, la situazione era ancora sostanzialmente la stessa di quattro anni prima, quando a sir Hugh Trenchard, che gli domandava cosa avrebbe fatto con una radio in caso di guerra, un comandante di squadriglia aveva risposto: “la butterei subito fuori dal mio aereo, signore.”LXXXVIII L’elenco delle dotazioni degli altri materiali della Regia Aeronautica era più o meno dettagliato a seconda dell’importanza del materiale stesso e nel suo insieme non dava un bel panorama. I ganci per portabombe, ad esempio, erano un altro punto dolente. I 232 bombardieri delle tre specialità avrebbero dovuto averne in totale tra dotazioni e scorte 2.300 grossi e 8.000 piccoli. Ma non ce n’erano abbastanza, anche considerando che i dati andavano disaggregati, perché quello dei ganci grossi riguardava un insieme composto da 828 pezzi di fabbisogno linea, cioè da montare sugli aerei, da altrettanti di fabbisogno apparecchi di riserva e da 654 da tenere nei magazzini avanzati; mentre i ganci piccoli si dividevano nello stesso modo in tre gruppi di 3.312, 3.312 e 1.376. Ebbene, dell’uno e dell’altro tipo ce n’erano così pochi da non soddisfare nemmeno il fabbisogno linea, cioè l’equipaggiamento degli aerei. Esistevano infatti solo 300 ganci grossi e 1.000 piccoli. Considerando che quelli necessari ad armare i 100 bombardieri diurni erano 300 ganci grossi – e ci si sarebbe stati – e 1.200 piccoli, e che i 132 bombardieri notturni e marittimi richiedevano 528 ganci grossi e 2.112 piccoli, veniva da chiedersi: come si potevano impiegare i bombardieri se non si potevano sistemarvi i portabombe? Aggiungendo a queste la spesa di 10 milioni di lire per gli impianti elettrici degli apparecchi, poco meno di 7 milioni per fotomitragliatrici, macchine fotografiche planimetriche di vario tipo e prospettiche, poco meno di 2 milioni e 600.000 lire di attrezzi e utensili per il materiale vario di squadriglia, 397 milioni e 900.000 necessari al demanio46 per la manutenzione e costruzione di scuole, aeroporti di vario genere, caserme e magazzini e, infine, la spesa per il materiale sanitario specifico per la difesa dalle aggressioni chimiche, per il quale erano stanziati 94 milioni e mezzo, lasciando solo 300.000 lire alle dotazioni di pronto soccorso, le cifre raggiungevano livelli altissimi e collimavano con quelle esposte nel citato studio del 1927 dello SMRA. Le previsioni per il futuro? Nere! Prescindendo dalla situazione del materiale di squadriglia e limitandosi a quella degli aerei, De Pinedo scriveva: “I criteri dell’Ufficio di Stato Maggiore nei riguardi del miglioramento qualitativo del materiale risultano nel documento “CONSIDERAZIONI SUL PROGRAMMA 46

Il dettaglio della ripartizione di spesa è riportato nell’Appendice 4. 48


SPERIMENTALE DELLA R. AERONAUTICA”, rimesso al Gabinetto di S.E. il Ministro con foglio N°. 10264 del 16 febbraio 1929, nonché in alcune lettere susseguenti.”LXXXIX e soffermandosi un po’ di più su qualche dettaglio, annunciava che “E’ stato provocato lo studio da parte della Direzione Generale delle Costruzioni di importanti modifiche dell’apparecchio Ca. 73, studio inteso a migliorare la capacità dell’apparecchio ad eseguire il bombardamento; applicando tali modifiche ad un certo numero di apparecchi, si potrà così ottenere un materiale meglio atto dell’attuale all’addestramento ed interessante dal punto di vista sperimentale per le sistemazioni d’impiego che sarà opportuno attuare sugli apparecchi futuri.”XC Se relativamente alla Ricognizione De Pinedo si accontentava di commentare seccamente: “Non esistono apparecchi sperimentali”,XCI se per la Caccia sprecava qualche parola in più per dire che: “Non vi sono apparecchi da caccia sperimentali, né risulta ve ne siano in progetto o in costruzione”,XCII per l’Aeronautica ausiliaria per la Marina faceva intravedere qualche minima speranza annunciando: “Si è in attesa di iniziare le prove di collaudo di due tipi sperimentali di idrovolanti da imbarcare sulle navi: M. 40 e P. 6 ter.”XCIII e per le tre specialità da bombardamento poteva dilungarsi spiegando che: “Nell’autunno 1926 sono stati commissionati alla ditta Caproni due apparecchi, l’uno biplano in legno con 4 motori 500 HP raffreddati ad acqua, l’altro biplano a struttura metallica con 6 motori da 1000 HP raffreddati ad acqua; il primo sembra abbia già dato cattive prove; il secondo, anche se soddisferà alle condizioni contrattuali, non sembrerebbe da riprodurre, per deficienza di qualità militari, di velocità, quota, difesa, considerando anche l’enorme mole e l’altissimo costo. Al principio del 1927 è stato bandito un concorso per un apparecchio da bombardamento plurimotore a struttura metallica capace di portare un carico di bombe di 2000 kg. Con un’autonomia di 3000 km. Capacità di salire alla quota di m. 5000 in non più di 60’. Partecipano al concorso le ditte Caproni, Fiat, Breda, ciascuna delle quali presenterà in proposito un monoplano con tre motori raffreddati ad acqua, e potenza complessiva rispettivamente di 3000 HP, 1650 HP, 1650 HP. Esaminando le condizioni del concorso, sembra che la salita richiesta non sia del tutto soddisfacente mentre la autonomia eccede i bisogni relativi alle guerre che più da vicino possono interessarci. Esaminando i disegni degli apparecchi, nei riguardi della postazione delle armi, in nessuno dei tre risulterebbe realizzata una capacità di difesa corrispondente alla grandezza, alla vulnerabilità, al costo dell’apparecchio. Si impone il problema di rendere utilizzabili ai fini della guerra quello tra gli apparecchi suddetti che alle prove risulterà il migliore. In particolare occorrerebbe studiare delle buone postazioni di armi ed esaminare se, riducendo le richieste per il carico e l’autonomia, si possano ottenere migliori qualità difensive e di salita.”XCIV Nel complesso però la situazione era pessima “ab ovo”, specie riguardo alla caccia, perché: “In questo stato di cose, fatto grave è quello che non esiste allo studio o in preparazione un apparecchio da caccia più moderno del Cr. 20. Ora è noto che un apparecchio nuovo, per necessità relative allo studio del progetto, alla realizzazione del primo esemplare, alle prove di questo, alla eliminazione dei primi difetti, alla costruzione della prima serie, non può entrare in servizio prima che siano passati circa tre anni dalla impostazione del suo studio; ne consegue che ancora per almeno 3 o 4 anni la nostra aeronautica non potrebbe fare assegnamento su apparecchi diversi dal Cr. 20 49


che già oggi ha scarso valore guerresco, mentre invece le aeronautiche vicine migliorano con continuità ininterrotta il loro materiale. Circostanze analoghe si verificano anche per le altre specialità; di apparecchi sperimentali in preparazione che meritino effettiva attenzione non vi sono che i tipi di grande autonomia, i quali tuttavia, per il loro costo, potranno essere approvvigionati solo in piccolo numero, mentre, per le loro caratteristiche, dovranno probabilmente essere impiegati prevalentemente di notte.”XCV Effettivamente dal punto di vista sperimentale il 1929 vide relativamente poco, almeno per quanto riguardava i risultati concreti, mentre prototipi e studi si sprecarono. Fu provato il motore Fiat A 22 R, che sviluppava una potenza di 200 cavalli superiore all’Asso 500 adoperato fino a quel momento. In settembre si ebbe il volo di collaudo del Breda CC 20, un enorme trimotore da bombardamento nato da un progetto di Costanzi del 1928 che, con qualche modifica suggerita da Balbo a proposito dell’autonomia, era stato realizzato dalla Breda colla consulenza del colonnello Crocco. I commenti ufficiali seguiti al collaudo furono largamente positivi; ma l’aereo non avrebbe mai raggiunto la produzione in serie.47 Andò meglio al Breda 15. Nato proprio nel 1929, in concorso col Caproni Ca 100 e col Fiat As 1, era un monoplano biposto in legno e metallo ad ala alta e cabina chiusa, mosso da un motore da 85 cavalli, grazie al quale toccava i 140 chilometri orari a una quota di tangenza di 4.000 metri. Dimostrò subito buone doti di volo e facilità di pilotaggio, riscosse un meritato successo presso scuole ed Aeroclub sia in Italia sia all’estero e diede vita sia alla versione migliorata Breda 15 S, vincitrice del primo Giro Aereo d’Italia nel 1930, sia, ancora in fase di prototipo, al Breda 19, il primo celebre aereo delle squadriglie acrobatiche italiane. Quest’ultimo era allora in valutazione – il prototipo aveva fatto il primo volo nel 1928 – e nel 1930 sarebbe entrato in linea, equipaggiando il 1° e il 4° Stormo e venendo usato pure come addestratore. Non andava altrettanto bene alla Piaggio, che era riuscita a mettere in produzione l’idrovolante P. 6 ter, ma realizzandone solo 15 esemplari, e aveva visto fallire l’idrocorsa P. 7, preparato per la Coppa Schneider. Quest’ultimo era un apparecchio rivoluzionario: non aveva scarponi bensì una fusoliera galleggiante con due sottili pinne laterali per sostenerlo in fase di flottaggio, Era il concetto da cui sarebbero poi derivati gli aliscafi, ma proprio per questo il P. 7 risultò incapace di sollevarsi dall’acqua. Un altro buco nell’acqua – o meglio “sull’acqua”, dato il caso – sarebbe stato il piccolo idroricognitore P. 8, studiato per l’imbarco sui sommergibili. Un po’ meglio procedeva la Macchi. Proprio nel 1929 fece entrare in servizio nella Regia Aeronautica il suo idrocaccia biplano monoposto M. 41 bis e presentò al concorso ministeriale di quell’anno un velivolo da turismo e scuola, l’M. 70, un bicomando di costruzione mista ad alta autonomia e bassa velocità minima. La sezione aeronautica del Cantiere Navale Triestino – nota con la sigla Cant – in quel periodo, dopo l’entrata in produzione dell’idrovolante trimotore Cant 22, si limitò, a migliorarne le prestazioni colla successiva versione 22 R. 1, il cui primo esemplare siglato R era stato il S. Sergio della Crociera nel Mediterraneo Orientale. Mise inoltre allo studio l’idrocaccia monomotore Cant 25, che sarebbe entrato in linea nella Regia Aeronautica solo nella versione migliorata denominata Cant 25 M del 1931, e procedé allo studio e alla realizzazione dei suoi unici tre aerei terrestri: il trimotore da trasporto Cant 23, l’aereo leggero per turismo e scuola Cant 26, prodotto in pochissimi esemplari, e il monomotore Cant 36 per l’addestramento basico. Più attiva era la Caproni. Stava completando il prototipo del bombardiere Ca 90 – il gigantesco esamotore citato da De Pinedo, a cui si lavorava dal 1928 e che avrebbe volato per la prima volta nell’ottobre del 1930 – e impostando la produzione di due aerei d’interesse militare. Uno era il 47

Questo però non gli impedì d’essere immesso nella linea di voldella Regia Aeronautica. Fu infatti assegnato alla 62ª Squadriglia da Bombardamento Terrestre, detta anche “da Bombardamento Pesante” che aveva quattro prototipi, cioè, oltre al CC 20 – monoplano metallico ad ala bassa mosso da tre motori Isotta Fraschini Asso 500, con 42 metri d’apertura alare – il Caproni 90, il Caproni 95 e il trimotore Fiat BRG 50


bombardiere Ca 101, la “Caprona” della guerra d’Etiopia, un trimotore robusto ma dalle modeste prestazioni e dallo scarso carico offensivo, il cui primo volo risaliva al 1928 e che si cominciò a costruire nel 1930. L’altro era il Ca 100, detto “Caproncino”, un biplano leggero, biposto, da turismo e, soprattutto, da addestramento, che fu usato moltissimo sia nelle scuole della Regia che negli Aeroclub e che era derivato dall’acquisto della licenza dell’inglese De Havilland Moth,. Nel complesso quello delle costruzioni aeronautiche italiane del 1929 era un panorama di grande fervore, ma di scarso effetto e di nessuna rilevanza militare immediata. Resta da chiedersi per quale motivo si fosse tanto indietro e perché, dopo quasi tre anni di permanenza, Balbo, che pure aveva agito con energia per rimettere in efficienza la Regia Aeronautica, non avesse ancora fatto nulla in quel settore. La risposta è semplice: aveva in mente un programma decennale con una scadenza ben precisa, stabilita da Mussolini: doveva essere pronto per il 1938, perché il Duce prevedeva per allora la guerra. Scrisse il generale Costanzi nelle sue memorie che: “nel settembre del 1928 Balbo gli confidò che il capo del governo gli aveva detto, “nel modo più reciso”, che nel 1938 ci sarebbe stata una guerra e gli aveva ordinato di preparare l’Aeronautica per quell’epoca. In relazione a tale preparazione Balbo riteneva un errore iniziare subito la costruzione di nuovi aerei, perché essi sarebbero diventati antiquati in breve tempo.”XCVI Sempre secondo Costanzi, Balbo riteneva opportuno fare crociere in Europa e poi in America perché: “serviranno a molte cose: gli specializzati impareranno a mettere a punto le macchine, i piloti impareranno a navigare, cosa che ora non sanno fare, io imparerò a maneggiare le masse dei velivoli sui lunghi percorsi. Faremo poi nel ’33 le grandi manovre aeree che ci daranno le norme per le costruzioni da fare, che ci perfezioneranno nell’impiego di masse sempre maggiori di velivoli, e ci insegneranno a far funzionare i servizi nella guerra di movimento. In base all’esperienza fatta, nel ’34 potremo iniziare le costruzioni su basi concrete.”XCVII Costanzi scrisse d’aver obbiettato che occorrevano almeno quattro anni per far entrare in linea dei nuovi velivoli per via del tempo normalmente necessario dal momento dell’emissione delle specifiche e quello dell’avvio della costruzione in serie. Le operazioni relative alla progettazione e alla produzione erano lunghe e, inoltre, non bisognava dimenticarsi degli esplosivi, dei carburanti, dei lubrificanti e dei materiali di largo consumo necessari a una guerra. Era evidente, aveva concluso Costanzi, che occorreva cominciare presto, ma – si può aggiungere – poiché prima occorreva pure inquadrare bene il personale, è chiaro che, a dispetto di quanto avrebbe potuto poi scrivere De Pinedo, difficilmente si sarebbe potuto incominciare prima del 1929.

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Capitolo VI Le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea: la prima dottrina italiana della guerra aerea. Stabilite, o almeno identificate e inquadrate le magre forze disponibili, si doveva decidere come impiegarle. Circa un anno dopo la sua nomina, Balbo aveva cominciato a cambiare l’ordinamento dell’Aeronautica per accentrarle tutti i compiti della guerra aerea difensiva e offensiva, deciso a riappropriarsi dei reparti da caccia e da bombardamento a disposizione del Regio Esercito e della Regia Marina. Così nel 1927 era stata sondata la disponibilità delle altre due Forze Armate e si era avuta una prima risposta positiva, pur se interlocutoria. Dopo durissime discussioni il 26 dicembre la Regia Marina aveva consentito, anzi, aveva ceduto in pieno. E nel giugno seguente anche il Regio Esercito aveva rinunciato a provvedere in proprio alla difesa aerea ed alla cosiddetta “polizia nel cielo delle operazioni”, cioè alla copertura aerea dei reparti operanti, a condizione che però le 40 squadriglie da ricognizione fossero mantenute a pieni organici e che la Regia Aeronautica non si defilasse dal sostegno alle operazioni terrestri. Di fronte a tale risultato era divenuto necessario stabilire le teorie d’impiego della Forza Armata. Se Balbo aveva considerato molto criticamente le scelte di Bonzani e l’ordinamento del 1925, in base al quale la Regia Aeronautica rivestiva la parte di semplice aiutante delle altre due Forze Armate, ora doveva cambiare tutto. Per questo già nel 1928 aveva ordinato al Capo di Stato Maggiore Armani di radunare i quattro generali, cioè i comandanti le tre Zone Aeree Territoriali48 e il Direttore Generale del Personale Militare e delle Scuole, per definire le caratteristiche della guerra aerea futura e degli aerei di nuovo tipo di cui dotarsi. L’esito fu deludente. Come Balbo sottolineò poi per lettera ad Armani, “La discussione si è svolta ammettendo implicitamente il presupposto di un tipo di una guerra aerea ipotetica e generica, evidentemente ispirato al passato, applicabile a qualsiasi potenza, senza alcun riferimento alla specialissima situazione dell’Italia di fronte ai probabili avversari. Avrei trovato invece razionale che si fosse esaminata questa situazione, che si fossero definiti e localizzati gli obbiettivi concreti da raggiungere nelle varie ipotesi di guerra con questa o con quella potenza, che questa definizione di obbiettivi, originata da ben chiari piani di azione aerea, avesse portato ad una determinazione dei mezzi conseguentemente necessari, dai quali, alla loro volta, sarebbero poi scaturite le caratteristiche degli apparecchi e delle armi, in armonica relazione colle possibilità tecniche prevedibili, con i mezzi finanziari disponibili e colle necessità di mobilitazione militare e industriale.”XCVIII Insomma, si era aspettato un contributo concreto; non lo ebbe e decise di far da sé. A dire il vero, delle direttive d’impiego esistevano già, tanto per il supporto,49 quanto per la difesa aerea50 e, soprattutto, per l’uso della caccia. Fin dal 1922 era stato stabilito che:

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L’Arma Aeronautica era divisa operativamente in tre Zone Aeree Territoriali: la I a Milano e allora al comando del generale Francesco Vece, la II a Bologna sotto il generale Vincenzo Lombard e la III a Roma agli ordini del generale Ercole Cappuzzo; il Direttore Generale del Personale Militare e delle Scuole, veste, quest’ultima, in cui veniva chiamato a partecipare alla riunione, era il generale Pietro Oppizzi. 49 Felice PORRO, Impiego dell’aviazione in servizio d’artiglieria, Roma, Ministero della Guerra – Comando Superiore d’Aeronautica, Stabilimento poligrafico per l’amministrazione della guerra, 1922, pag. 5. Il futuro Generale di Squadra Aerea Porro era all’epoca capitano in servizio all’Ufficio Addestramento del Comando Superiore d’Aeronautica. 50 Ministero della Guerra – Comando Superiore d’Aeronautica, Difesa aerea, Roma, Stabilimento poligrafico per l’amministrazione della guerra, 1922 53


“…il primo e più importante mezzo da contrapporsi all’aviazione nemica è dato dall’aviazione nazionale, il cui còmpito è duplice: a) direttamente offensivo, in quanto col bombardamento portato sugli obiettivi avversari mira ad annullare o ridurre fortemente l’efficienza di questi, specialmente nei suoi mezzi aviatorî; b) offensivo-difensivo, in quanto colla lotta diretta contro gli aerei avversari si propone di ostacolare loro il volo sul cielo nostro, ed in particolare di raggiungere quegli obiettivi che più ci sono sensibili. Il primo compito è svolto dall’aviazione come arma a sé, ed è, si può dire, indipendente dal concetto di difesa aerea localizzata, per quanto se ne possa grandemente avvantaggiare. Il secondo còmpito è svolto invece in diretto concorso cogli altri mezzi di difesa aerea, coi quali perciò l’aviazione deve essere in stretto collegamento.”XCIX E ancora: “Il territorio nazionale, come abbiamo più sopra accennato, sarà anch’esso oggetto dell’azione dell’aviazione nemica. E’ evidente che se si volesse difendere tutto il territorio dello Stato da offese aeree salvaguardandone, nella misura di quanto è praticamente possibile, ogni suo punto di notevole importanza politica, morale e militare, i mezzi a ciò necessari sarebbero immensi e irraggiungibili. Il più valido concorso alla difesa aerea dello Stato sarà sempre dato dall’azione offensiva sul territorio avversario, che potrà esplicare la nostra aviazione e dal grado di dominio su quella avversaria, che essa potrà nel più breve tempo raggiungere. Le alte quote di navigazione, l’attenuazione del rumore dei motori, l’esecuzione notturna delle azioni – per raggiungere gli obiettivi – la realizzazione della telebomba, sono tutti mezzi che renderanno sempre più difficile l’attuazione della difesa di località, in quanto la sorpresa sarà la caratteristica essenziale delle azioni, ed i mezzi per sventarla saranno sempre più difficili da realizzare.”C Nel 1922 – che poi era appena sette anni prima – era tutto molto interessante e molto bello, ma l’aviazione italiana non poteva applicare nulla di tutto ciò, perché era in condizioni di crescente inefficienza. Nel 1929 la situazione era assai diversa e si trattava di decidere cosa fare e come farlo. Le teorie più note e dal maggior numero di seguaci erano allora quelle di Douhet e di Mecozzi. Entrambe sono state oggetto di studi profondi quanto numerosi e hanno dato origine a dispute accese, entrambe sono state provate nei cieli e di entrambe si sa tutto quel che c’è da sapere. Qui, senza entrare troppo nel dettaglio, basterà dire, molto rozzamente, che le teorie di Douhet erano dottrine strategiche la cui validità sarebbe stata dimostrata solo quando fossero comparsi i mezzi tecnicamente idonei a farlo, come avvenne nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Le idee di Mecozzi erano invece più che altro degli accorgimenti tattici e si limitavano a fornire un incerto sostegno alle truppe terrestri mediante l’attacco a volo rasente,51 richiedendo quindi la presenza di

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Oggi del tutto dimenticata, la specialità d’attacco rasente, ideata dal generale Amedeo Mecozzi, allora capitano e capo del Reparto Stampa e Propaganda dello SMRA, fu la precorritrice degli attuali caccia bombardieri. Così la descriveva a pagina 4 del suo libro I Falchi del deserto, pubblicato da Longanesi nel 1971, Sergio Flaccomio, che da capitano, nel 1942-43, aveva comandato i Fiat CR 42 della 389ª Squadriglia del 50° Stormo d’assalto in Africa Settentrionale: “Oggi si può parlare di caccia bombardieri poiché il mezzo meccanico, le attrezzature e gli armamenti si sono evoluti. Ma allora si citavano apparecchi d’assalto, reparti d’assalto, piloti d’assalto e questa denominazione era il giusto attributo, il doveroso riconoscimento ad una tecnica di combattimento, una tattica di volo ed una specialità d’impiego che meritava la definizione. I piloti d’assalto, eredi della caccia (e venivano quasi tutti di qui), portavano nella tecnica del bombardamento la superiorità aggressiva e rettilinea della caccia; lanciavano le bombe in picchiata puntando il bersaglio con il collimatore delle mitragliatrici senza bisogno di cronometri e traguardi e mirando con l’aeroplano in candela, proseguivano la picchiata fino a pochi metri da terra mitragliando e continuando a mitragliare in volo radente tutto ciò che volevano colpire e danneggiare. 54


caccia d’attacco, allora ipotizzati solo da lui, e dando relativamente poca importanza alle altre specialità aeronautiche, prima fra tutte quella da bombardamento strategico, che invece Douhet riteneva, e non a torto, fondamentale. Douhet e Mecozzi erano considerati tra i più importanti teorici a livello mondiale. Entrambi appartenevano alla Regia Aeronautica e sarebbe stata da attendersi l’adozione ufficiale delle idee dell’uno o dell’altro da parte della Forza Armata. Non fu così. La Regia le valutò, assorbì quanto le parve opportuno e, operando una specie di fusione, ponderata dalle caratteristiche tecniche dei mezzi dell’epoca, seguì quanto Balbo aveva deciso: esaminò la situazione dell’Italia, quella dei probabili nemici, le rispettive risorse ed emise il suo verdetto. La prima dottrina ufficiale italiana della guerra aerea venne redatta al principio del 1929 e in agosto De Pinedo la richiamò esplicitamente già al punto terzo del suo Promemoria per il generale Valle: “Risultando superati e inadeguati i regolamenti provvisori esistenti per l’impiego delle varie specialità, ho fatto iniziare in proposito un rifacimento completo. E’ stato anzitutto compilato e diramato un documento fondamentale “DIRETTIVE PER L’IMPIEGO COORDINATO DELLE UNITA’ DELL’ARMATA AEREA.”CI Avrebbe scritto quasi sessant’anni dopo il generale Pelliccia che le Direttive, presumibilmente preparate dal Reparto Operazioni dello SMRA comandato dal colonnello Coop,52 costituirono “il documento di riferimento dei piani degli altri due Stati Maggiori negli anni successivi; la “Direttiva” fu il primo tentativo di definire i concetti di impiego in guerra dei velivoli ed anche il loro coordinamento con le forze di terra e di mare.”CII In realtà però nessuno l’aveva vista dopo il 1929 e questa era solo un deduzione. Infatti ammetteva poco oltre Pelliccia: “Della “Direttiva per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea” non v’è traccia negli archivi, ma su di essa vi è un appunto non datato del Reparto Operazioni III ufficio dello Stato Maggiore della Marina. Nell’appunto si osserva che la direttiva dell’Aeronautica contiene “una dottrina di guerra che conferma l’indipendenza fondamentale della condotta della guerra aerea, nella quale la cooperazione con le forze di superficie è soltanto considerata in linea subordinata.””CIII Ma poiché la “Direttiva” in questione io l’ho ritrovata quasi integra nel 1998, insieme a una piccola ma importante porzione delle carte di De Pinedo, qui ne posso illustrare e commentare con un certa ampiezza il contenuto. All’origine di tale documento sta la riunione che il 18 luglio 1927 il Capo di Stato Maggiore Generale, maresciallo Pietro Badoglio, tenne nel suo ufficio insieme al Duce e, per la Regia Aeronautica, al Capo di Stato Maggiore, generale Armani. “La guerra può essere lontana o forse non lontana” disse Mussolini in quell’occasione “ma certamente ci sarà”CIV e invitò i generali a studiare le misure di pre-mobilitazione, i tempi e i modi della mobilitazione, la radunata, la ripartizione delle forze fra i due fronti terrestri orientale e occidentale ed i piani offensivi. Insieme ai verbali della riunione furono diffuse le Direttive per la copertura, intendendo con quel termine le operazioni aventi per Le loro bombe non erano grosse né potenti.” E più avanti, a pagina 19, per far capire quanto fosse considerato flessibile l’impiego della caccia d’assalto, scriveva ancora: “…noi della caccia d’assalto eravamo tutto fare, come le serve, e la scorta al convoglio (navale) era fra i servizi uno dei più fastidiosi e ingrati.” 52 Il colonnello Ernesto Coop veniva dalla Marina e nel 1923 da capitano di corvetta aveva comandato l’idroscalo della Spezia, al Muggiano. 55


“scopo di proteggere la nostra mobilitazione e la successiva radunata da offese nemiche intese a disturbarle o comunque ritardarle, di impedire all’avversario d’impadronirsi di sorpresa di punti particolarmente importanti del nostro territorio in prossimità della frontiera terrestre e marittima, di creare (occorrendo con piccole azioni offensive locali) le migliori condizioni di partenza all’attacco delle forze che si stanno raccogliendo nella zona di radunata e nelle basi navali ed aeree”CV Si doveva attaccare subito, in modo da “paralizzare le forze aeree dell’avversario, prevenendolo nelle offese con attacchi tempestivi e violenti alle loro basi principali” e riuscire - “a deprimere il morale della nazione avversaria, bombardando dal cielo centri popolosi di primaria importanza, anche molto addentrati nel suo territorio; - a portare lo scompiglio nei centri di mobilitazione compresi entro il raggio d’azione delle basi aeree e marittime; - a interrompere, con ogni mezzo, le vie di comunicazione mediante le quali dovranno i richiamati affluire ai centri suddetti..; - a menomare l’efficienza della flotta navale avversaria bombardandola nelle sue basi con gli aerei, o cercando di sorprenderla con attacchi del naviglio silurante. ”CVI La difesa doveva essere manovrata e, nella prima fase, la copertura andava basata principalmente sull’Aeronautica, poi sulla Marina, predisponendo adeguate contromisure per impedire l’incursione delle forze aeree avversarie, stroncandole al momento stesso in cui stavano per partire dalle proprie basi “ossia a prevenire l’avversario, bombardando i suoi campi quando ancora sta in essi raccolta, e pronta a decollare, la sua flotta aerea ”CVII adoperando offensive di massa per raggiungere il successo iniziale. Questo poi doveva essere mantenuto mediante attacchi contro i nodi ferroviari e portuali e i punti vitali delle linee in zona di radunata, non escludendo “azioni su più ampio raggio miranti a paralizzare in altro modo la radunata nemica, a portare la distruzione nel cuore del paese avversario e a stroncare, con più vasti effetti materiali e morali, la sua volontà di resistenza”CVIII Si trattava dei concetti Douhettiani, adottati ufficialmente e su larga scala; ma come poteva applicarli la Regia Aeronautica nelle disastrose condizioni in cui era nell’estate del 1927? Per di più, se anche si fosse rimediato alla carenza di materiale d’armamento, sarebbe rimasto un problema del tutto irrisolvibile, che da solo annullava completamente quanto era stato stabilito dalle Direttive per la copertura: la scarsa autonomia e la conseguente irrilevanza strategica degli apparecchi della Regia Aeronautica. Proprio Balbo l’aveva sottolineato il 27 marzo di quell’anno dicendo alla Camera: “Ponete una punta di compasso ad Aosta o a Trieste, a Roma o a Siracusa o a Brindisi, tracciate dei semicerchi con un raggio di trecento o quattrocento chilometri53 e non riuscirete a comprendere in questo raggio d’azione di velivolo bombardatore nessun veramente importante centro demografico o industriale delle nazioni che ci circondano. Fate invece la stessa cosa, ponendo la punta del vostro compasso a Nizza o ad Ajaccio, a Lubiana, a Biserta o a Cattaro e potrete constatare che quasi l’intera superficie del

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Si considerava allora che un aereo potesse coprire in volo un massimo di 1.000 chilometri tra andata e ritorno; calcolando il tempo tattico di permanenza sull’obbiettivo e un minimo margine di sicurezza per fronteggiare consumi maggiorati dalle avverse condizioni atmosferiche, 400 chilometri era il massimo raggio utile della media degli apparecchi del tempo. 56


nostro territorio è esposta all’offensiva aerea di un velivolo che possa percorrere 350 chilometri di andata e altrettanti di ritorno”CIX Era evidente che le Direttive per la Copertura contenevano delle belle enunciazioni, ma che la Regia Aeronautica non poteva metterle in atto, ragion per cui bisognava escogitare qualcos’altro. A dire il vero all’inizio Balbo non era sembrato molto propenso ad adottare una teoria d’impiego prestabilita. Lo aveva esplicitamente detto il 23 marzo del 1928, affermando che: “L’Aeronautica non ha ancora una vera e propria dottrina di guerra fissata in canoni rigidi e immutabili; essa si arricchisce di tutte le esperienze tecniche e tattiche che sono in corso continuo di perfezionamento, e progredisce col progresso vertiginoso degli studi che sono in fervido sviluppo in tutto il mondo.”CX Ma tale atteggiamento non poteva essere mantenuto a lungo. Quanto gli aveva detto Mussolini e lui aveva poi riferito a Costanzi a proposito della guerra nel 1938 era un preciso ordine; il fallimentare esito della riunione dei generali dell’Aeronautica obbligava a prendere delle decisioni e, infine, le riunioni della Commissione Suprema di Difesa si susseguivano e, più o meno implicitamente, ogni volta veniva sul tavolo la questione di quali compiti avrebbe svolto la Regia Aeronautica in guerra. Quando il 13 febbraio del 1929 la Commissione Suprema di Difesa arrivò ad esaminare la difesa contraerea, De Pinedo, da tre mesi succeduto ad Armani nella carica di Sottocapo di Stato Maggiore, prese posizione e affermò che il problema andava risolto in modo indiretto “costituendo cioè una forte Armata Aerea, che all’apertura delle ostilità colpisca quella nemica nei suoi campi e nei suoi centri di produzione, mettendola così nell’impossibilità d’ogni ulteriore offesa.”CXI Sappiamo dagli studi del generale Pelliccia che Balbo era presente e non ebbe nulla da obiettare. Per non sconfessare De Pinedo, suppone Pelliccia. Ma possiamo aggiungere anche un altro motivo per spiegare il suo silenzio: sapeva benissimo che senza la sua approvazione nessuna teoria d’impiego poteva essere adottata dalla Regia Aeronautica, quindi De Pinedo poteva parlare liberamente, ma sarebbe stato lui ad avere l’ultima parola. Con queste premesse venne preparata la tanto attesa dottrina ufficiale d’impiego della Regia Aeronautica e il 29 maggio 1929, anno VII dell’Era Fascista, dopo un lavoro di alcuni mesi, poté essere scritta la frase “Sono approvate le presenti “Direttive per l’impiego coordinato delle Unità dell’Armata Aerea”, sulla prima pagina delle medesime. Si trattava di un insieme di prescrizioni strategiche e tattiche di carattere non transitorio. Lo capiamo dal fatto, più volte implicitamente accennato nel testo, che si erano voluti identificare dei principi strategici e tattici oggettivamente validi, astratti dalle caratteristiche tecniche degli apparecchi. Era stato un problema d’impostazione non indifferente da risolvere, ma reso necessario dalla rapidità dell’innovazione tecnologica e dalla vetustà della linea di volo italiana, che attendeva il completamento delle ultime sperimentazioni per dotarsi di aerei del tutto nuovi. Dunque non era opportuno entrare troppo nel dettaglio ancorando le prescrizioni operative alle caratteristiche di aerei che, come si avvertiva in un altro documento: “…nella massima parte non saranno più riprodotti.”CXII Per questo, e tenendosi in linea coll’elasticità di pensiero e d’azione che ha sempre caratterizzato l’Aeronautica, fin dall’inizio del documento si faceva rilevare che: “Le direttive per l’impiego coordinato delle Unità dell’Armata Aerea contenute nel presente documento costituiscono una guida di massima suscettibile di un elastico adattamento alle diverse circostanze possibili in guerra ed alla evoluzione prossimamente prevedibile dei mezzi aerei. Sulla base di queste direttive, per ogni particolare caso operativo, compete ai Comandi delle Unità aeree operanti, in relazione alla entità delle forze ed alle loro possibilità tecniche e militari, determinare il concetto d’azione, e condurre conseguentemente le operazioni secondo le particolari e contingenti circostanze.”CXIII 57


Si lasciava così ampia libertà d’azione ai comandi operativi, senza vincolarli in partenza a schemi che in guerra potevano riuscire inutili o dannosi. Infatti ci si tenne quanto più possibile sulle generali e prescindendo così bene dalle caratteristiche tecniche dell’epoca che, a leggere le Direttive, l’unica cosa che un profano capisce, e col senno di poi, è che riguardano aerei dall’autonomia ridotta e privi di sistemi radar. Non abbiamo più i primi due punti, ma dal contenuto del 3° e dall’insieme del documento possiamo farcene un’idea di massima e concludere che delineassero come fine della guerra aerea quello di condurre delle operazioni di offesa del territorio nemico e di difesa di quello nazionale, mediante l’uso delle forze d’attacco rasente, da caccia e da bombardamento. Poi si entrava nel dettaglio: “3°) - Nei riguardi di quanto è detto nel comma a) del precedente N° I, si nota che le azioni di offesa dall’aria sul territorio nemico possono tendere: a) – a colpire la potenza aerea del nemico, con offese rivolte alle basi aeree, ai reparti di volo, ai centri di produzione e raccolta del materiale aeronautico, ai centri di preparazione del personale relativo; b) – a distruggere i fattori di resistenza delle altre forze armate, con offese rivolte ai centri di produzione delle industrie di guerra, ai magazzini e depositi, alle linee di comunicazione terrestri e marittime; c) – a contribuire direttamente, con azioni coordinate, al successo delle operazioni del R. Esercito e della R. Marina; d) – a spezzare la volontà di resistenza della nazione nemica, con azioni intese a disorganizzare i suoi servizi e indebolire la sua forza morale, a mezzo di offese portate sui punti moralmente e politicamente più sensibili, e sugli elementi del traffico terrestre e marittimo. Allo sviluppo di tali operazioni si oppone la reazione aerea del nemico; quanto minore sarà questa, tanto più agevoli e di miglior rendimento saranno le operazioni predette, che risultano quindi in qualche modo subordinate alla diminuzione della potenza aerea del nemico. In conseguenza, le azioni di cui al comma a) hanno teoricamente diritto di precedenza sulle altre, in quanto risultano intese non solo a guadagnare per il territorio nazionale ragionevoli condizioni di sicurezza, ma anche a permettere agevole sviluppo a tutte le altre operazioni offensive; nell’applicazione, però, potranno esservi temperamenti e varianti che risulteranno in seguito. Risulta chiaro intanto che le azioni intese ad assolvere i compiti distinti nei commi a) e b) del N° I (cioè, a quanto si deduce, le operazioni offensive condotte dalle forze da caccia e da bombardamento) debbono essere strettamente compenetrate fra loro, sviluppandosi attraverso il contrasto delle opposte forze aeree.”CXIV Dopo questa lunga premessa di stampo Douhettiano, ma improntata più alla difensiva che all’offensiva a causa, come si vedrà più oltre, della scarsa autonomia degli apparecchi, si veniva alla teorizzazione operativa per specialità, cominciando dalla caccia: “4°) – Alle forze da caccia è affidato il compito precipuo di assicurare a mezzo del combattimento aereo la supremazia aerea sul territorio Nazionale, e di estenderla nei limiti del possibile sul territorio nemico.”

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Qui il testo pervenutoci ha un’altra lacuna54 di alcune righe, ma, dall’esame del documento nel suo insieme, possiamo dedurre agevolmente che si prevedeva di collocare forti unità da caccia in posizioni strategiche tali da consentire l’immediata, pesante ed efficace interdizione dell’offesa aerea avversaria, la totale copertura dello spazio aereo nazionale e l’esecuzione di azioni offensive sul territorio nemico con o senza le forze da bombardamento. Relativamente alle forze da caccia “…l’impiego difensivo si concreta nelle partenze immediate su allarme, per aggredire le forze aeree nemiche nel corso delle loro operazioni, e, in particolari circostanze, in servizi di crociera di protezione sulle proprie linee; l’impiego offensivo oltre le linee del nemico si concreta in incursioni le quali, in circostanze particolarmente favorevoli, possono essere spinte sin quasi ai limiti pratici del raggio d’azione degli apparecchi, con missione di provocare il nemico al contrattacco per combatterlo in volo, e anche di attaccarlo al suolo col mitragliamento e col bombardamento leggero. Si deve tener sempre presente che le azioni difensive possono fornire una sicurezza soltanto relativa, che la miglior difesa risiede nel vittorioso sviluppo di operazioni offensive sul territorio nemico, ma che queste ultime d’altra parte implicano un maggior rischio per i velivoli, in quanto tutti i velivoli che sul territorio nemico fossero comunque impossibilitati a proseguire il volo risulterebbero definitivamente perduti, con i loro equipaggi. 5° ) – Le forze da bombardamento possono agire di notte e di giorno. Nell’impiego notturno esse operano prevalentemente con apparecchi isolati inviati all’attacco degli obbiettivi in successione più o meno serrata, fondando la loro protezione sulla oscurità, e sulla minore efficacia, in questa, della caccia avversaria. Nell’impiego diurno le forze da bombardamento agiscono invece per reparti, ricercando la sicurezza nella compattezza delle formazioni e nel mutuo appoggio delle armi dei vari velivoli.”CXV Qui riaffiorava l’esperienza maturata dai piloti dei Caproni che nella Prima Guerra Mondiale avevano superato le Alpi e l’Adriatico di notte e di giorno per andare a bombardare gli Austriaci. La concessione che si faceva alla modernità consisteva nell’ipotizzare un concomitante intervento dei caccia con funzioni di copertura. “La opportunità di assicurare il raggiungimento degli obbiettivi malgrado la reazione della caccia avversaria determina la opportunità di impiegare contemporaneamente contro questa ultima le forze da caccia nazionali, in conseguenza, nell’impiego diurno, le operazioni delle forze da bombardamento e di quelle da caccia debbono essere strettamente coordinate tra loro. In relazione a quanto precede, è evidente che, nelle operazioni diurne, quanto maggiore sarà la capacità di reazione della caccia avversaria, e quanto minore sarà la capacità delle forze da bombardamento a sostenere o eludere tale reazione, tanto più dovrà essere curata la coordinazione delle operazioni della caccia e del bombardamento, e potrà risultare conveniente limitarne la profondità sul territorio nemico; le azioni notturne, invece, potranno essere estese più liberamente ai limiti imposti dalla autonomia degli apparecchi e dalle ore di oscurità disponibili. In conseguenza, a parità di altre circostanze, è opportuno battere col bombardamento diurno gli obbiettivi più vicini e col bombardamento notturno i più lontani.

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E’ limitato alle seguenti righe: “ Lo schieramento di esse obbedisce ai seguenti criteri: a) dislocazione di grosse unità da caccia in modo tale da …. b) Per i reparti di cui alla lettera a) l’impiego difensivo si concreta nelle partenze immediate, ecc.” 59


E’ ancora evidente che le operazioni diurne avranno, sugli obbiettivi, carattere di notevole intensità, concentrata in breve intervallo di tempo, mentre le azioni notturne risulteranno più diluite nel tempo, ma con carattere di maggior continuità. Nell’impiego notturno le limitazioni dipendenti da sfavorevoli condizioni meteorologiche sono in generale maggiori che nell’impiego diurno; la possibilità di azione notturna risulta quindi soggetta alle condizioni meteorologiche più di quanto non avvenga per le azioni diurne. Si deve ancora tenere presente che nella notte l’orientamento è spesso più difficile che nel giorno, e la punteria può essere facilmente meno precisa. Ora, per le azioni da bombardamento, per l’alto costo e la grande potenza del colpo singolo, per la discontinuità dell’azione e il rischio che essa importa, è necessario tanto di giorno quanto di notte che gli obbiettivi siano tali che il colpo preciso possa determinare in essi un danno di demolizione materiale effettivamente rilevante. A parità di circostanze, è evidentemente necessario che al bombardamento notturno siano assegnati obbiettivi di più facile reperibilità e di maggiori dimensioni che non al bombardamento diurno.”CXVI A questo punto, in un’ottica di sana economia si passava all’adozione parziale delle teorie di Mecozzi affermando: “6°) – Contro obbiettivi di piccole dimensioni e di scarsa resistenza materiale, e contro obiettivi animati, l’impiego delle forze da bombardamento non risulta opportuno, ed è invece più opportuno l’attacco a bassissima quota eseguito con mitragliatrici, o con piccole bombe, o con altri agenti, da appositi reparti di attacco rasente;…”CXVII Si trattava però di un’adozione limitata a un caso ben preciso – quello di obbiettivi piccoli o animati – che trovava la sua giustificazione nel minor costo finanziario che la maggior aderenza all’obbiettivo d’un simile tipo d’attacco poteva garantire: i bombardieri, lanciando da un’alta quota, non potevano colpire il bersaglio con altrettanta efficacia dei caccia o degli aerei d’assalto in picchiata e a volo rasente. E poi, “…a questi” proseguivano le Direttive “potrà essere eventualmente assegnato anche il compito di stendere cortine di nebbia. Per tali operazioni, in mancanza di reparti appositamente costituiti, o in aggiunta ad essi, si potranno impiegare reparti da caccia, o veloci reparti da ricognizione; data la condizione delicata in cui tali reparti a bassa quota vengono a trovarsi nei riguardi della caccia avversaria, per tali imprese sarà normalmente opportuno provvedere una adeguata protezione di forze da caccia.”CXVIII Implicitamente con questa frase si negava qualsiasi validità assoluta alle teorie di Mecozzi. L’attacco rasente poteva essere valido nelle condizioni particolari di obbiettivi piccoli, o animati, così difficili da colpire da risultare antieconomici se battuti dai bombardieri, ma occorreva comunque tener conto di tutti i pericolosi limiti che l’attacco rasente presentava. Su di essi, e sul servizio scorta da parte dei caccia, si dilungava il seguente punto “7°) – Gli apparecchi da caccia , per loro natura, non sono adatti ad un servizio di scorta serrata a protezione delle formazioni da bombardamento o da attacco rasente, poiché in tal modo essi, vincolati nella loro mobilità, risulterebbero in condizioni sfavorevoli nei riguardi della caccia avversaria.

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Per il buon rendimento delle proprie forze, occorre che i reparti da caccia, quando utilizzati in servizi di protezione, siano impiegati in questi con modalità che permettano ad essi di sfruttare a pieno la loro capacità nettamente offensiva e la loro alta mobilità. Qualora sia reputato necessario che le formazioni da bombardamento o da attacco rasente siano accompagnate lungo tutto il loro percorso da reparti da caccia di protezione, sarà tuttavia necessario che questi ultimi possano, rispetto ai primi, aver manovra relativamente elastica e libera; incontrando forze avversarie da caccia, i reparti Nazionali da caccia dovranno poterle attaccare, pur se in tal modo dovranno tutti o in parte abbandonare temporaneamente le formazioni che accompagnano, poiché solo nella libertà di manovra la loro capacità combattiva trova la sua efficacia. In tali condizioni, anche quando le forze da caccia siano in posizione di protezione, sarà possibile ad un nemico risoluto sferrare qualche attacco di sorpresa contro le formazioni protette; le forze da caccia di protezione potranno bensì prontamente intervenire a ristabilire la situazione, ma le formazioni da bombardamento o da attacco rasente dovranno comunque sostenere il primo urto con le loro sole forze. Quando poi la caccia di protezione si fosse impegnata tutta in combattimento contro forze nemiche, le formazioni protette non potranno contare che sulle proprie forze per la propria sicurezza contro altri attacchi. E’ perciò necessario che le formazioni da bombardamento o da attacco rasente curino al massimo grado nelle azioni diurne la compattezza, nella quale gli apparecchi possono recarsi mutuo appoggio, tenendo presente che ogni sbandato sarà in grave rischio; alle formazioni di attacco rasente che fossero composte da monoposti, in caso di attacco nemico e di assenza delle forze di protezione potrà essere necessario liberarsi del carico da getto per sostenere nelle migliori condizioni possibili il combattimento aereo ”CXIX La validità di queste disposizioni sarebbe durata a lungo, tant’è vero che ancora nel 1942 gli assaltatori in Africa Settentrionale avrebbero operato sostanzialmente come previsto dalle Direttive.55 Da questo enunciato specifico si passava ad uno di carattere più generale e marcatamente strategico, a proposito della ricerca del dominio dell’aria mediante l’impiego della caccia, inteso evidentemente come primo passo per consentire senza contrasto l’opera dei bombardieri, poi ad un altro – il 9° - strettamente tattico: “8°) – Dalle considerazioni contenute nel numero precedente, risulta evidente come l’impiego della caccia da protezione potrà essere tanto più redditizio quanto più i reparti relativi saranno liberi di agire. Sempre che possibile, risulta quindi opportuno impiegare le forze da caccia non tanto in servizio di protezione vicina, quanto in incursioni coordinate con quelle di forze di altra specie, intese a controbattere le forze da caccia avversarie lungo il percorso delle forze Nazionali, o ad impegnare la caccia avversaria nel cielo dei suoi stessi campi, o addirittura ad attaccarla al suolo in questi. 9°) – Un momento critico nelle operazioni offensive sul territorio nemico è quello in cui le forze da bombardamento o da attacco rasente debbono agire sul loro preciso obbiettivo. In tale momento la natura dell’obbiettivo o la reazione delle artiglierie controaerei del nemico potranno costringere le formazioni attaccanti a diluirsi, o scindersi in successive pattuglie; gli apparecchi da bombardamento potranno essere 55 Si veda in proposito il citato libro dell’allora capitano Sergio FLACCOMIO, I Falchi del deserto, Milano, Longanesi, 1971.

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costretti ad attaccare il bersaglio successivamente; su tutti gli apparecchi gli equipaggi risulteranno intenti prevalentemente ai compiti di offesa verso il suolo. In tale momento critico, sempre che sarà possibile, e quando l’obbiettivo sia nel raggio d’azione utile della caccia Nazionale, sarà bene assicurare sull’obbiettivo la presenza di reparti da caccia di protezione. Nella preparazioni di operazioni di bombardamento deve essere fatto attento calcolo dei rischi derivanti dall’azione delle artiglierie controaerei del nemico; quando opportuno e conveniente, si potrà prevedere anche l’impiego tempestivo di reparti da attacco rasente per la neutralizzazione della difesa controaerei ed eventualmente per stendere cortine di nebbia a protezione delle forze da bombardamento, ma l’adozione di tali provvedimenti dovrà essere limitata ai casi nei quali effettivamente la difesa locale fosse molto forte. 10°) – Da tutto quanto precede risulta chiaramente che le operazioni diurne hanno carattere di grande complessità, con probabilità tanto maggiori di buoni risultati quanto meglio sarà stata realizzata la coordinazione delle azioni delle varie forze. E’ evidente che l’importanza che in tali azioni assumono i fattori fondamentali “sorpresa”, “massa”, “tempo.” Condizione favorevole per la loro esecuzione risiede nel fatto che esse possono essere accuratamente organizzate in precedenza, purché compiuto in seguito ad iniziativa propria; condizione necessaria è quella di approfittare della condizione precedente per guadagnare la supremazia aerea nella regione e nel momento dell’azione, concentrando sulla regione stessa al momento giusto la quantità conveniente di forze. Di massima reparti da caccia dovranno, nella regione interessata, impegnare la caccia nemica fin sui suoi campi; nella regione così dominata, reparti da attacco rasente procederanno a bassa quota, alcuni per attaccare le basi della caccia avversaria e quegli altri obbiettivi che fossero opportuni, altri per neutralizzare le difese contro aerei dei principali obbiettivi del bombardamento; nello stesso tempo le forze da bombardamento, accompagnate eventualmente da altri reparti da caccia in servizio di protezione elastica, dirigeranno verso i loro obbiettivi. Sugli obbiettivi, poi, la massima tempestività dovrà essere realizzata nell’arrivo dei tre diversi scaglioni, quello di attacco rasente a bassa quota, inteso a neutralizzare le difese, quello di bombardamento, alla quota opportuna per l’azione distruttiva, quello di protezione, ad alta quota. E’ evidente la convenienza che può esservi di impiegare grande quantità di forze da caccia; quando le forze da caccia siano rilevanti, è evidentemente opportuno approfittare della supremazia che esse potranno mantenere sul nemico per impiegare contemporaneamente grande quantità di forze da bombardamento.”CXX Con una spruzzata di Mecozzi in avanguardia, si ritorna a Douhet o, più in generale, al vecchio e da tutti riconosciuto valido principio militare dell’agire sempre in massa: prima l’attacco rasente per preparare il terreno da battere, poi, col largo appoggio della caccia e protetti da un apposito scaglione in alta quota, i bombardieri per colpire gli obbiettivi. Sembra un grande spiegamento di mezzi; ma in realtà, a leggere fino in fondo, si nota che le cose non stanno esattamente così e che è soltanto un’apparenza: infatti dopo questa lunga esposizione del metodo d’attacco diurno, le Direttive fanno presente che bisognerà calcolare al millesimo le risorse da impiegare per vincere e adoperare esattamente quelle e solo quelle. “D’altra parte ogni obbiettivo dovrà essere battuto da forze non superiori a quelle sufficienti ad ottenere su di esso risultati decisivi; in conseguenza, quando le forze da bombardamento impiegate siano rilevanti, sarà opportuno distribuirne l’azione su più 62


obbiettivi situati nella zona dominata dalla caccia, in modo che su ciascuno di questi agiscano le forze necessarie e sufficienti.”CXXI Arriviamo così al limite delle Direttive, che dimostra come siano state studiate solo a tavolino e mai collaudate sul terreno prima d’essere emanate. L’esperienza della Grande Guerra aveva dimostrato, e quella delle guerre successive avrebbe confermato, che non si può mai essere certi a priori del risultato d’un bombardamento; né lo si può essere dopo, almeno finché la ricognizione aerea non abbia permesso di verificarlo. I fattori d’incertezza sono moltissimi: la presenza, quantità ed efficienza della contraerea, della caccia e del servizio d’avvistamento che le allerti sono i principali; ma ve ne sono altri, come la facilità con cui l’avversario può privare di qualsiasi importanza il bersaglio, ad esempio, se si tratta di un deposito, svuotandolo segretamente. Queste variabili, sommandosi, fanno sì che il pianificatore dell’operazione aerea possa prevedere d’avere un certo risultato, ma che poi l’abbia davvero è un altro paio di maniche. Se, infine, a tutto questo sommiamo le condizioni meteorologiche, l’influsso determinante che esercitavano alla fine degli anni ’20 sulla riuscita o meno dei voli e le ridotte capacità di previsione che si avevano allora, non si può fare a meno di ritenere le Direttive alquanto ottimistiche nel decidere che si dovessero impegnare sull’obbiettivo “forze non superiori a quelle sufficienti ad ottenere su di esso risultati decisivi.” Questo comunque non era lo stile unico d’operazione. Si dava spazio anche ad azioni su scala minore, infatti “Quanto precede non esclude però che azioni diurne di minor portata ed importanza possano essere compiute, approfittando anche, eventualmente di favorevoli condizioni meteorologiche.”CXXII E si concludeva raccomandando che “in tutte queste operazioni l’azione della caccia nella zona dev’essere mantenuta fin quando le forze da bombardamento o da assalto saranno rientrate nelle nostre linee; potrà quindi essere necessario impiegare la caccia in due o più ondate successive”CXXIII Enunciata la teoria d’impiego, si veniva a delle disposizioni di carattere più generale, che però abbiamo solo in parte. Dice il punto “11°) – Sono state così delineate le azioni difensive, le azioni offensive notturne, e le azioni offensive diurne eseguite con grandi o con piccole forze. Le operazioni dei diversi tipi dovranno essere eseguite in stretta coordinazione tra loro, dosate ed alternate su vari obbiettivi nel tempo e nello spazio in modo che massimo risulti il rendimento del loro complesso. Con azioni slegate le offese recate al nemico, pur se gravi singolarmente, potrebbero risolversi nel complesso in risultati di semplice molestia generale; con azioni ben coordinate, che si completino ed integrino a vicenda, si possono ottenere risultati ben altrimenti decisivi. Ora la grandezza degli effetti di distruzione dipende naturalmente dalla intensità delle azioni offensive diurne e notturne di ogni genere; è evidente il grandissimo vantaggio di cui verrebbe a godere quella nazione che avendo l’iniziativa della guerra potesse piombare con le sue forze aeree addosso ad un nemico non ancora preparato prima ancora della dichiarazione di guerra; in ogni modo sarà sempre necessario, all’inizio della guerra, impegnare risolutamente nell’offensiva tutte le proprie forze, per tentar di guadagnar fin dall’inizio una netta superiorità sul nemico in ogni campo. Senonché l’offensiva risoluta, specialmente nelle azioni diurne, implica logorio grande e perdite forti, che non debbono…. ” Da qui purtroppo mancano tre cartelle, contenenti il resto del punto 11° e gran parte del 12°, per un totale di circa 90 righe. 63


Esaminando il contesto e cercando, per quanto possibile, un raffronto con quanto scritto nell’applicazione pratica delle Direttive, cioè nella coeva e già richiamata Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali si può supporre che il resto del punto 11° e la parte mancante del 12° indicassero come prioritario il mantenimento d’un atteggiamento strategico difensivo, motivandolo con varie ragioni. In primo luogo doveva determinarlo l’incapacità strategica della Regia Aeronautica – ricordiamo l’esperimento di Balbo col compasso – in secondo luogo la mancanza di riserve sufficienti a sostenere un prolungato sforzo offensivo, con logorio dei materiali e perdite maggiori che in atteggiamento difensivo, in terzo luogo l’incapacità dell’industria italiana di ricostituire le riserve e, implicitamente, di consentire un allargamento dello sforzo offensivo. Per questi motivi, a quanto sembra di capire, le forze aeree italiane andavano suddivise in scacchieri, ma in modo da potersi sostenere a vicenda. Tali scacchieri avrebbero dovuto provvedere alla copertura aerea identificando le rotte di più probabile penetrazione nemica contro i fronti terrestri, concentrando lungo di esse ingenti forze da caccia e determinando così la creazione di “Zone di intenso contrasto aereo” fondamentali “…ai fini della guerra. In conseguenza tali zone risultano fra le più delicate ed importanti che occorra difendere in guerra. In esse occorrerà cercare di impedire o almeno contrastare l’attività aerea del nemico, o fornire alla aviazione ausiliaria per il R. Esercito condizioni di relativa sicurezza che ne rendano possibile l’azione. Così, sulle fronti, l’urto delle forze terrestri, l’intensità delle azioni relative, l’interesse che queste presentano per gli opposti popoli, vengono….”; ma cosa venissero ad essere non lo sappiamo. Per quanto riguardava l’attacco, deduciamo che non si ritenesse possibile stabilire regole rigide e si lasciava al Comando dell’Armata Aerea la libertà di valutare e sfruttare le occasioni che di volta in volta si fossero presentate per infliggere al nemico il maggior danno possibile. Ci si limitava comunque e sempre a una condotta che, al massimo, si potrebbe definire di difesa attiva, certo non di offesa, poiché si prevedeva di sfruttare le occasioni favorevoli offerte dal nemico, non di crearne con un’azione decisa e di massa . “In conseguenza di quanto precede” riprendono le Direttive verso la metà del punto 12° “in corrispondenza delle fronti, è normalmente necessaria la dislocazione di una buona quantità di forze da caccia; la azione di queste risulterà preziosa anche quando operazioni aeree offensive, contro obbiettivi di qualunque specie, dovessero svolgersi sorvolando le fronti. Però nella distribuzione delle forze da caccia fra i diversi scacchieri interessanti la guerra aerea, sarà necessario tener presente che anche zone diverse da quelle delle fronti possono aver importanza grandissima per la guerra aerea, e che ad ogni scacchiere debbono essere assegnate quelle forze che, nella disponibilità totale dei mezzi, risulteranno proporzionate all’importanza dello scacchiere stesso. Ora la caccia deve eseguire, con giuste alternative, azioni di carattere difensivo ed azioni di carattere offensivo; queste ultime debbono essere coordinate strettamente con quelle delle altre forze aeree, e coordinate ancora con le prime. Le forze da caccia debbono quindi dipendere direttamente ed unicamente dai Comandi dell’Armata Aerea responsabili dell’armonico sviluppo delle operazioni offensive e difensive. Nello stesso tempo, sempre che possibile, è opportuno che nel contrasto aereo sulle fronti le azioni locali della caccia si sviluppino in modo da sfruttare tutte le informazioni sulla attività aerea locale del nemico, che potranno essere fornite dalle forze schierate del R. Esercito, e si sviluppino altresì in modo da agevolare quanto più possibile le operazioni dei reparti dell’aviazione ausiliaria del R. Esercito. I Comandi delle forze da caccia dislocate in corrispondenza delle fronti terrestri debbono quindi 64


tenersi in stretto contatto con i Comandi dell’Aeronautica ausiliaria per il R. Esercito, per attuare nei limiti del possibile la coordinazione suddetta. E’ evidente però che, nelle fasi in cui le forze aeree saranno impiegate in intense operazioni offensive, scarsa disponibilità di forze da caccia rimarrà per la polizia aerea sulle fronti; e per quanto sia bene, potendo, lasciare sempre qualche reparto a disposizione per azioni locali, tuttavia l’aviazione ausiliaria per il R. Esercito non potrà, in tali fasi, fare assegnamento, per la sua difesa, che sulle proprie forze. 13°) – Per le forze da bombardamento non si può prevedere una dislocazione stabile; esse dovranno invece, a seconda delle circostanze del momento, prontamente spostarsi dall’uno all’altro scacchiere di operazione, per gravare con tutto il loro peso di volta in volta dove più opportuno. Delle forze da caccia, alcuni reparti potranno rimaner normalmente nei diversi scacchieri, ma la maggior parte dovrà necessariamente spostarsi in relazione agli spostamenti delle forze da bombardamento, per assicurare a queste la necessaria cooperazione. E’ stato già detto come per la scelta e la successione degli obbiettivi delle azioni offensive non si possano stabilire regole tassative; spetta al Comando dell’Armata Aerea sfruttare le circostanze del momento e le occasioni che il nemico potesse offrire, per raggiungere lo scopo fondamentale di arrecare al nemico il danno più grande e più decisivo possibile. Perché ogni occasione sia sfruttata, i Comandi del R. Esercito segnaleranno con continuità al Comando dell'Armata Aerea gli obbiettivi contingenti che sulle retrovie del nemico presentassero per essi particolare interesse, perché il Comando dell’Armata Aerea possa inquadrarli nelle operazioni delle forze dipendenti.”CXXIV A questo punto, terminata la rassegna delle operazioni sopra la terra, si passava a quelle sul mare, facendo presente che, tutto sommato, per l’Aeronautica cambiava poco. “14°) – La guerra aerea, svolgendosi tra gli opposti territori, prescinde dalla particolare natura delle zone di separazione esistenti fra i territori stessi; essa così si sviluppa non solo attraverso le fronti degli eserciti; ma anche attraverso i mari e sul mare. Ovunque i territori avversi si fronteggino attraverso zone di mare tali che i velivoli possano superarle ai fini delle operazioni, dovrà essere prevista una dislocazione di forze aeree in relazione all’importanza degli obbiettivi esistenti sul territorio opposto ed alla gravità della minaccia che per il territorio nazionale potrebbe essere costituita dalle forze aeree del nemico dislocate sul territorio opposto. Ancora, forze aeree potranno essere dislocate in particolari zone costiere per agire a difesa del traffico marittimo nazionale o ad offesa delle comunicazioni marittime del nemico. Le operazioni attraverso il mare o sul mare sono caratterizzate dai seguenti fattori particolari: a) – il mare, per se stesso, favorisce la sorpresa in quanto su di esso non è possibile disporre stabilmente e normalmente, come sulla terra, una rete di avvistamento e di segnalazione dei movimenti dei velivoli; b) – mentre sulla terra le operazioni possono frequentemente svolgersi sul territorio avverso per profondità limitate esigendo dai velivoli voli relativamente brevi, sul mare le operazioni esigono più frequentemente voli di lunga durata;

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c) - sul mare, gli obbiettivi concreti sono occasionali, e non fissi, e radi rispetto alla grande estensione della superficie acquea; d) – sul mare, la probabilità di incontro con forze aeree del nemico è generalmente scarsa. A parte quanto precede, le operazioni attraverso il mare non presentano differenze sostanziali rispetto a quelle considerate nei numeri precedenti; sugli obbiettivi navali e sul territorio avverso oltre il mare, le possibilità generiche di contrasto delle opposte forze aeree risultano simili a quelle considerate nei numeri precedenti, ed in conseguenza sugli stessi criteri debbono essere impostate la coordinazione e la condotta delle operazioni delle varie forze aeree. La distribuzione delle forze aeree di ogni specie nei vari scacchieri interessanti la guerra oltremarina e la guerra relativa al traffico, risulterà variabile, nelle varie fasi della guerra, a seconda dell’importanza che di volta in volta ciascuno scacchiere verrà ad assumere. Le forze aeree dislocate in tali scacchieri risulteranno poi utilissime per un pronto intervento, in caso che il nemico tentasse operazioni di offesa alle coste o di sbarco; esse potranno ancora, nelle zone di loro azione, fornir utile appoggio alle operazioni dell’aviazione ausiliaria della R. Marina ed i Comandi dell’Aeronautica ausiliaria per la Marina si terranno in contatto con i Comandi Aeronautica interessati in merito, perché questi possano curare la coordinazione delle azioni, inquadrar nelle proprie operazioni gli obbiettivi di interesse della R. Marina e, all’occorrenza, intervenire prontamente alle azioni navali che improvvisamente avvenissero nel raggio d’azione degli apparecchi. 15°) – In casi speciali, il Comando dell’Armata Aerea potrà, su richiesta dei Comandi di Gruppo di Armata, o d’Armata, o della R. Marina, distaccare reparti organici per particolari operazioni da eseguirsi secondo direttive concordate con i Comandi predetti. L’impiego dovrà essere regolato dai Comandi dei reparti distaccati, tenendo sempre presente che i colpi che si possono vibrare dall’aeroplano sono limitati nel numero, discontinui nel tempo, di altissimo costo, e debbono quindi essere utilizzati per ottenere risultati pratici e concreti; i reparti da bombardamento debbono essere impiegati prevalentemente contro opere fisse e contro bersagli estesi e vulnerabili, fuori del tiro delle artiglierie; i reparti di attacco rasente debbono essere impiegati contro obbiettivi effettivamente vulnerabili, tenendo conto del grave rischio che essi affrontano, e della difficoltà di loro ricostituzione. Analogamente, in casi speciali, il Comando dell’Armata Aerea potrà richiedere ai Comandi del R. Esercito e della R. Marina di distaccare forze da essi dipendenti per particolari operazioni da eseguirsi secondo direttive concordate in proposito.”CXXV Nel complesso si delineava abbastanza bene la formula dell’attacco da parte di bombardieri in quota contro le formazioni navali – erano i “bersagli estesi e vulnerabili”, sul mare non ce ne potevano essere altri, contro i quali i bombardieri dovevano agire tenendosi “fuori del tiro delle artiglierie”, cioè, evidentemente, ad alta quota – ed era riportata chiaramente l’esigenza di destinare i reparti d’attacco rasente contro navi, o bersagli terrestri, d’una certa importanza quando si diceva che dovevano “essere impiegati contro obbiettivi effettivamente vulnerabili, tenendo conto del grave rischio che essi affrontano, e della difficoltà di loro ricostituzione”; ma non si parlava mai, in nessun punto ed esplicitamente, dell’uso dell’aviazione in funzione decisamente antinavale; eppure non era una questione nuova né indiscussa, visto che Mitchell aveva compiuto i primi esperimenti di bombardamento aereo contro navi pesanti già nel 1921 e davanti agli addetti militari e navali esteri. 66


Ciò che può colpire chi conosce l’andamento delle operazioni aeronavali della Seconda Guerra Mondiale è l’assoluta mancanza di disposizioni esplicitamente inerenti agli attacchi contro le navi per mezzo di siluri; ma anche questo non è un caso: è la conseguenza della situazione tecnica di allora. E’ vero che l’S. 55, l’idrovolante con cui De Pinedo, Maddalena e Balbo stesso avrebbero colto i più grandi e conosciuti successi aviatorii, era nato da una specifica ministeriale del 1923 per un idrosilurante d’alto mare e che, al momento dell’emanazione delle Direttive, nel maggio del ’29, non solo era ancora brillantemente in servizio, ma alla scuola di Orbetello erano già stati svolti con successo gli esperimenti di lancio, col siluro appeso in posizione centrale fra i due scafi dell’aereo. Era però anche vero che nella Prima Guerra Mondiale, alle cui esperienze Balbo si rifaceva spesso, gli aerosiluranti di tutti i belligeranti avevano affondato solo una decina di navi – nessuna grande – e che in seguito il progresso di quel tipo d’aerei sarebbe stato bloccato da inconvenienti tecnici risolti solamente a metà degli anni ’30, per cui, in quel momento, non era prevedibile uno sviluppo della specialità tale da rendere necessario dedicare ad essa ed al suo peculiare “modus operandi” una parte delle Direttive. Quanto era stato scritto bastava, poi si sarebbe visto. Del resto non era stato esplicitamente detto fin dalle prime pagine che le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea costituivano “una guida di massima suscettibile di un elastico adattamento alle diverse circostanze possibili in guerra ed alla evoluzione prossimamente prevedibile dei mezzi aerei”? Veniva infine trattato il tema della raccolta delle informazioni, che era qualcosa dal senso più ampio di quello della semplice parola “ricognizione.” “16°) – Per la raccolta degli elementi necessari per la buona preparazione delle operazioni offensive, e per la raccolta delle informazioni relative ai risultati di queste, potranno essere eseguite, a seconda del bisogno, ricognizioni particolari di varia specie, con apparecchi isolati, o con apparecchi speciali, approfittando oppur no delle variabili condizioni meteorologiche. Ma qualunque reparto esegua una incursione deve, sul territorio nemico, cercare, nei limiti concessigli dalla sua missione, di raccogliere la maggior quantità di quegli elementi che potrebbero essere utili al Comando dell’Armata Aerea per valutare le particolari istantanee condizioni del nemico e preparare le operazioni successive. Così un reparto da bombardamento il quale si rechi, di giorno o di notte, sul territorio nemico, spesso per una profondità rilevante, deve fornire al ritorno una larga messe di osservazioni su tutto quello che avrà potuto vedere; ed i reparti da caccia, nelle loro incursioni più o meno profonde sul territorio nemico, debbono sfruttare la possibilità che loro si offre di raccogliere utilissime informazioni.”CXXVI Terminato l’insieme delle direttive inerenti al modo di combattere delle varie specialità, si passava alle regole da seguire per la dislocazione delle unità aeree. “17°) – Nelle regioni in cui, per particolari circostanze geografiche, risulti possibile al nemico lo sviluppo di intense azioni aeree, i reparti aerei dovranno, di massima, dislocarsi non già negli aeroporti di pace, troppo vulnerabili, ma in campi eventuali; questi, costituiti da terreni tali da poter essere rapidamente adattati alla partenza ed all’atterraggio dei velivoli, serviti da opportune strade di accesso, dovranno essere previsti in modo da permettere al Comando dell’Armata Aerea di manovrare tra di essi i suoi reparti. Tra i campi eventuali, gli aeroporti di pace potranno essere utilizzati, se le operazioni lo permetteranno, alla stregua dei primi. Normalmente, in un campo, in guerra, non deve essere dislocato più di un gruppo; questo deve disporsi in modo da celare quanto più possibile la propria presenza, disponendo gli apparecchi ai margini del campo, disseminati, pronti al volo, ricoperti 67


con tendoni mimetici, ed occultando opportunamente nelle vicinanze i servizi ed i ricoveri. Contro gli attacchi a bassa quota la difesa diretta del campo è affidata a reparti di mitragliatrici situati in opportune posizioni; alla difesa dei campi particolarmente importanti saranno assegnati opportuni reparti di artiglieria controaerei. Le norme suddette valgono anche per le basi degli idrovolanti, con le differenze relative alla differente struttura degli apparecchi.”CXXVII Praticamente non c’è altro, o meglio: c’era; ma nella versione sopravvissuta delle Direttive restano esattamente la riga iniziale, una intermedia e quella finale del punto 18°, le prime quattro del 19° e altre cinque, forse anch’esse appartenenti al punto 19°. Rispettivamente sono: “Nelle condizioni che risultano da quanto precede”, “questa deve essere completa, pronta, e in essa debbono essere” e “Comando della Difesa Controaerei Territoriale” dalle quali si può capire soltanto che il punto 18° si riferiva alle disposizioni difensive dei campi, i quali dovevano presumibilmente essere in grado di fornire una difesa completa e pronta sotto il coordinamento del Comando della Difesa Contraerei Territoriale, ma certo non possiamo ricostruire tutto il contenuto. Delle altre righe, le prime quattro, sempre relative allo schieramento dei reparti di volo, recitano testualmente: “19°) – Per una determinata ipotesi di guerra possono esser previsti solo lo schieramento iniziale delle proprie forze e le operazioni iniziali di queste. Iniziata la guerra, le operazioni aeree, sulla base di…”CXXVIII Possiamo supporre che le Direttive dicessero che, sulla base dell’andamento delle operazioni, sarebbe stata di volta in volta decisa la ridislocazione dei reparti, in modo da poter proseguire le operazioni aeree concentrando nei luoghi più adatti la maggior disponibilità di mezzi, sempre rispettando i principi di decentramento e sicurezza degli aeroporti – o idroporti – precedentemente illustrati, però anche questa resta un’ipotesi. Le ultime cinque righe dicono: “…essere sostenute saran ---- loro rendimento. In conseguenza, se, iniziata l’offensiva aerea, i danni si dimostrassero superiori ai risultati, occorrerà prontamente modificare la propria condotta, limitarsi, di giorno, prevalentemente ad azioni difensive, e sviluppare l’offesa prevalentemente di notte, a me-”CXXIX Dal contesto appare evidente la raccomandazione di comparare attentamente e costantemente il rapporto fra costi e benefici dell’offensiva, limitandosi alla difesa di giorno e concentrando gli attacchi di notte, a meno che…e qui rientriamo nel campo delle ipotesi. A meno che? Forse a meno che certi obbiettivi non potessero essere battuti altro che di giorno per difficoltà di identificazione? A meno che di notte i risultati non fossero minimi o nulli? Non lo sappiamo; resta tutto a livello di ipotesi, così come resta ipotetico il contenuto e numero degli altri punti che completavano le Direttive. Probabilmente non sapremo mai cosa fosse stato prescritto ancora; ma un’analisi comparata cogli altri documenti del periodo induce a pensare che non debba mancare molto, perché nessuno, a partire dalle “Considerazioni sul programma sperimentale della R. Aeronautica”, passando per le “Considerazioni sulla situazione del materiale di volo” e terminando coll’ Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali, oltrepassa i 22 punti. Certo, qui mancano ancora parecchie cose; ad esempio sono del tutto assenti le considerazioni logistiche: non si parla della dislocazione dei magazzini, dell’afflusso delle riserve, delle scorte da tenere a disposizione dei reparti e della loro consistenza; e sarebbe stato strano che non ne fosse stata fatta alcuna menzione, per cui possiamo ritenere che sia proprio quello il contenuto della parte mancante; ma io non sono in grado di ipotizzare nulla in merito. Un’altra questione che non appare, ma che alla luce di quanto si legge in altri documenti, soprattutto nell’Ipotesi di guerra sulla Fronte Ovest… molto probabilmente doveva almeno essere accennata nelle Direttive, è quella dei bombardamenti, o, più in generale, delle operazioni con aggressivi chimici.

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L’Ipotesi prendeva in considerazione quest’eventualità contro la Francia al punto 14° e contro la Jugoslavia al punto 16° e, anche se concludeva che fosse meglio astenersi dall’incominciare la guerra chimica, non tralasciava di avvertire che “.. per ogni evenienza, occorre esser pronti a sostenere anche questa guerra, ed a condurla, se costretti, in ritorsione, con la maggior possibile violenza ”CXXX Come ho detto, non sappiamo se le Direttive contenessero altro dopo il punto 19°; ma, tutto sommato, quello che ci è fortunosamente pervenuto può bastare. Esaminando nell’insieme il loro contenuto, con le cautele rese necessarie dalle grosse lacune del testo, emerge come esse rispecchino gli orientamenti di Balbo, notoriamente tesi a un compromesso fra le teorie di Douhet e di Mecozzi. Che trovasse del buono in entrambe lo sappiamo da varie fonti, tutte particolarmente attendibili. Da un’altra fonte, pure molto affidabile sia per la sua estraneità all’ambiente italiano sia per la sua indubbia competenza tecnica abbiamo un’indiretta conferma della paternità, o almeno dell’imprimatur di Balbo delle Direttive. In seguito a una visita in Italia, osservò infatti il generale Mitchell, padre del bombardamento strategico americano, che Balbo dava agli aerei un carattere prettamente difensivo; e dalla lettura delle Direttive ci accorgiamo di come esse siano improntate fondamentalmente alla difensiva. Non ci si può ingannare. La maggior parte del documento esprime il fine primario di mantenere il controllo dello spazio aereo nazionale, non quello di conquistare lo spazio aereo nemico, sul quale non si considera di fare altro che delle grosse incursioni, e rende abbastanza evidente l’idea che le operazioni offensive fossero non la base, ma il corollario dell’attività bellica della Regia Aeronautica. Il mare era visto come la zona incontrollabile da cui venivano gli attacchi nemici o su cui si perdevano irrimediabilmente gli aerei danneggiati, non come la zona incontrollata attraverso la quale arrivare di sorpresa sull’avversario per colpirlo e distruggerlo. La dislocazione dei reparti aerei andava fatta in base a quella del nemico, non in base agli obbiettivi strategici che si riteneva di dover perseguire. Le operazioni della caccia dovevano essere bilanciate attentamente – tante offensive e tante difensive – e non erano improntate all’attacco deciso e immediato, quanto piuttosto allo stroncamento dell’offesa avversaria ed all’accompagnamento delle puntate dei bombardieri nazionali. Insomma: era un atteggiamento nettamente difensivo. Non si trattava, comunque, di una visione pessimista tipicamente italiana. In quegli anni l’Armée de l’Air francese era costretta dalle sue dottrine operative ad essere solo un’ausiliaria dell’esercito e della marina, mentre la Royal Air Force britannica, dopo fortissime discussioni avvenute fra il 1923 e il 1924, aveva assunto un atteggiamento tanto marcatamente difensivo da far scrivere a uno dei suoi più alti ufficiali che in caso di conflitto: “Nelle prime settimane noi saremo più impegnati ad impedire al nemico di vincere la guerra che a vincerla noi stessi.”CXXXI Questo aveva portato, per quanto riguardava gli Inglesi, ad un notevole sviluppo della linea caccia a scapito delle forze da bombardamento e a migliorare per quanto possibile il sistema di avvistamento e di contraerea basato a terra. In Italia la situazione invece si evolveva in modo differente. L’abbiamo visto dall’esposizione delle Direttive, ma ce ne accorgiamo anche meglio mettendo in relazione i dati di forza. Dividendo l’Armata Aerea in marittima e terrestre, per la prima in ordine di grandezza abbiamo 126 ricognitori, 80 caccia, pari al 63% dei ricognitori, e 66 bombardieri, pari al 52% dei ricognitori e all’82,5% dei caccia. Per gli apparecchi terrestri abbiamo innanzitutto 344 caccia, poi 200 ricognitori, pari al 58% dei caccia e infine 166 bombardieri, pari al 48% dei caccia e all’83% dei ricognitori. Se lavoriamo sui numeri, ci accorgiamo che esiste una proporzione ben definita – ha uno scarto massimo del 3% - fra le tre componenti – caccia, bombardamento e ricognizione – tanto terrestri quanto marittime, che è di 5-3-2½. Ma, fermo restando che 2½ è sempre il bombardamento, per le forze di terra 5 è la caccia e 3 la ricognizione, mentre per quelle di mare è l’inverso: 5 è la ricognizione e 3 la caccia. Questo ci porta a concludere che il bombardamento, dunque l’azione offensiva, fosse in assoluto la meno considerata fra le operazioni richieste all’Arma Aerea e che esse, nella mentalità dello 69


SMRA, dovessero avere un’impostazione diversa sul mare e sulla terra, comunque in un’ottica sempre difensiva e certamente ancora abbastanza ausiliaria delle altre due forze armate. La priorità numerica assegnata alla caccia terrestre ci conferma quanto si legge brevemente nelle Direttive, che cioè sopra la terra, a causa della presenza degli stabilimenti industriali e delle vie di comunicazione, si considerava più importante impedire, o limitare, le incursioni aeree nemiche, confidando in un efficace contenimento delle truppe terrestri avversarie da parte del Regio Esercito, al quale pertanto andavano fornite – seconda attività aerea in ordine d’importanza – informazioni sull’avversario, che poteva infine – terza e ultima attività aerea - essere colpito dai bombardieri. Invece sul mare la maggior percentuale d’apparecchi destinata alla ricognizione ci porta a pensare che si ritenesse risolutiva l’azione delle navi, alle quali l’Aeronautica doveva innanzitutto fornire la maggior quantità possibile d’informazioni, poi un sostegno operativo contrastando l’offensiva avversaria mediante la caccia e, infine, un concorso offensivo coi bombardieri. Comunque, che la Regia Marina si ritenesse, o fosse ritenuta, più capace dell’Esercito di sbrigarsela da sé in caso di guerra lo deduciamo ancora una volta dai numeri, che ci danno un’Aeronautica marittima molto inferiore rispetto a quella terrestre. Per la caccia, anche a voler inserire in essa gli aerei imbarcati, abbiamo una proporzione di 3,4 a 1 fra terrestre e marittima, proporzione che nel bombardamento scende a 2,5 a 1 e, per la ricognizione, si attesta infine a 1,5 a 1, con un rapporto medio di 2,4 a 1 a favore delle specialità terrestri. Questo può significare solo una cosa: si riteneva l’apporto dell’Aeronautica molto meno necessario sul mare che sulla terra. E poiché la maggior parte dei centri di produzione era nell’entroterra, la maggiore importanza assegnata alle specialità aeree “terrestri” è un’ulteriore dimostrazione dell’impostazione d’un atteggiamento difensivo da parte della Regia Aeronautica: bisognava impedire al nemico di colpire i nodi industriali e di comunicazione. Resta da chiedersi come mai un simile atteggiamento sia emerso in persone come Balbo e De Pinedo che, almeno fino a quel momento, avevano dato prova d’iniziativa, di ardimento, di capacità di rischiare in primissima persona. L’unica risposta valida è che si siano regolati in base al materiale che avevano: non c’erano abbastanza aerei e, soprattutto, i pochi disponibili non erano capaci di colpire strategicamente l’avversario, chiunque fosse. Dunque era meglio attestarsi sulla difensiva, attiva ma sempre difensiva, piuttosto che andare incontro a una sconfitta sicura buttando tutte le forze aeree in scontri difficili da sostenere, strategicamente non risolutivi e il cui esito sarebbe consistito soltanto nell’indebolimento del dispositivo nazionale senza nessuna contropartita. In altre parole, al di là delle teorie e dei piani astratti e tutto sommato in linea colle tendenze operative francesi e inglesi del periodo, Balbo, perché sicuramente a lui si deve quantomeno l’imprimatur, se non un diretto intervento sul testo,56 aveva preparato una teoria d’impiego adatta ai limiti dell’Italia e del materiale della Regia Aeronautica. Del resto che lo fosse era stato detto implicitamente nei primi due paragrafi, affermando che se e quando il materiale fosse migliorato, si sarebbe provveduto ad adeguare alle nuove possibilità anche le teorie d’impiego. Infine è curioso un fatto. Negli anni 1927-1929, si ebbe in Italia un dibattito tutto sommato vivace a proposito del modo di impiegare l’Aeronautica, ma nessuno degli autori dell’epoca fece mai menzione – o almeno menzione esplicita – dell’esistenza d’una teoria ufficiale. Un silenzio totale calò su di essa, tanto che in seguito nemmeno Ferruccio Botti e Mario Cermelli vi accennarono, nel loro esaustivo testo sulla teoria della guerra aerea in Italia fra il 1884 e il 1939. Anzi, a un certo punto, ne negarono l’esistenza. Riportano Botti e Cermelli come Balbo, nel suo discorso del 1928, parlando dei fondi necessari a provvedere l’Italia di forze aeree teoricamente sufficienti, per le quali sarebbero occorsi tre miliardi di lire, concludesse che occorreva “lasciare da parte le teorie, le quali hanno valore negativo quando urtano contro realtà di fatto.” E commentano: 56 Stando al generale Briganti, i testi delle “Direttive” e dell’ “Ipotesi” dovrebbero essere stati compilati dal Reparto Operazioni dello SMRA, sotto la responsabilità del colonnello Coop

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“Questa chiara presa di posizione ufficiale di Balbo – in piena polemica tra Aviazione e Marina – è importante ed emblematica, perché in essa si ritrovano molti dei motivi conduttori della politica aeronautica degli anni trenta, come la mancanza di una vera e propria dottrina della guerra aerea (nel senso compiuto del termine).”CXXXII Si potrebbe pensare che, implicitamente, i due autori non abbiano considerato le Direttive una dottrina in senso compiuto, ma non è così, perché poco oltre, parlando del discorso di Balbo tenuto nel 1929, affermano: “non si trovano per quest’anno accenni alla teoria della guerra aerea: evidentemente gli orientamenti del 1929 rimanevano quelli del 1928. Anche nel discorso del 14 marzo 1930 non si accenna a dottrine o principi di strategia aerea.”CXXXIII E concludono citando l’affermazione di Balbo del 29 aprile 1931 alla Camera, secondo cui “manca una dottrina della guerra aerea, perché mancano i dati sperimentali per formularla.”CXXXIV Ma Balbo con questo non intendeva, non poteva dire che non c’era alcuna dottrina ufficiale. Voleva solo rilevare come fosse necessario sperimentare sul terreno quanto si era teorizzato fino allora. E ne abbiamo la prova dal tema delle manovre aeree del 1931: ricalcava alla perfezione due dei tre casi del documento Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali, emanato nel maggio del 1929, che ipotizzava il da farsi in caso di guerra contro Francia e Jugoslavia e che era l’applicazione del contenuto delle Direttive a uno specifico caso. Questa non menzione, anzi questa negazione dell’esistenza d’una teoria aerea ufficiale italiana è tanto più strana se si pensa che il libro di Botti e Cermelli, uscito nel 1989, seguiva di quattro anni la pubblicazione di quello, a loro noto e da loro citato, del generale Pelliccia sui primordi dell’Aeronautica Italiana, in cui invece si parlava esplicitamente dell’esistenza delle Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea.57 Ma se Botti e Cermelli scrivevano sessant’anni dopo l’emanazione di esse e quindi potevano essere giustificati se le ignoravano, o non ne parlavano, trattandosi d’un documento scomparso, non si capisce come mai ciò accadesse addirittura nell’estate del 1929. Poiché Botti e Cermelli hanno ampiamente riassunto il dibattito teorico di quegli anni, non è il caso di rifarlo qui e basterà fornire solo qualche dato strettamente relativo all’argomento. I teorici più importanti, dopo Douhet e Mecozzi, furono all’epoca il colonnello Coop e l’ingegner Attal. Il primo riteneva che l’intervento dell’Aeronautica fosse quello risolutore della guerra del futuro se strettamente limitate al teatro europeo. In caso contrario i conflitti sarebbero stati profondamente influenzati ma non risolti dall’impiego delle forze aeree. La cosa interessante è però – e si ricordi come, secondo il generale Briganti, che lo conosceva bene e da anni, proprio a Coop si dovesse la redazione delle Direttive – che intanto Coop non riteneva opportuno prevedere troppi particolari, ma solo le linee principali d’impiego; poi che, fino alla conclusione della guerra, le forze aeree nazionali dovevano porsi come obbiettivo primario il contrasto di quelle avversarie. Solo se e quando avessero raggiunto il dominio dell’aria avrebbero potuto spostare la propria attenzione sul territorio nemico ed i suoi centri vitali. Questo scrisse Coop sulla rivista Aeronautica nel 1928; e non si può fare a meno di notare come questa sia la linea che ispira il testo delle Direttive, così come non si può dimenticare che ogni articolo inviato alla Rivista Aeronautica doveva prima passare per il tavolo di Balbo, per cui è legittimo supporre che Balbo abbia affidato a Coop la compilazione delle Direttive poiché ne conosceva le idee e le trovava di suo gradimento. Ma se Coop scriveva nel 1928 – e quindi poteva al massimo anticipare il contenuto delle Direttive – è sorprendente notare come nell’aprile e luglio del 1929 l’ingegner Salvatore Attal le ricalcasse in pieno senza mai citarle, affermando che la Regia Aeronautica doveva in primo luogo garantirsi il dominio del cielo nazionale, respingendo gli attacchi nemici ed effettuando azioni offensive solo quando fossero risultate possibili e convenienti.

57 G. PELLICCIA, Il periodo epico dell’Aeronautica 1923-1933, Roma, Veant, 1985, ripubblicato nel 1998 a Roma da SMA-Ufficio Storico col titolo Il maresciallo dell’aria Italo Balbo.

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Né Attal, né Coop, né Dohuet, né Mecozzi, né gli altri autori che si occuparono di guerra aerea in quegli anni e in particolare nel 1929 fecero mai menzione delle Direttive; il silenzio sembrò avvolgerle fin da allora e gravò su di esse per novant’anni. È difficile dire se ciò sia accaduto perché gli autori, per evitare lo scontro diretto colle posizioni ufficiali, non le citavano per essere più liberi di esprimere le proprie opinioni o se, invece, le Direttive erano tanto segrete – come del resto era logico, trattandosi d’un documento operativo fondamentale – che solo per caso questo o quell’autore esprimeva concetti analoghi. Questa mancanza di pubblicità pone anche un altro e rilevante problema. Fino a oggi si è ritenuto più o meno esplicitamente che la Regia Aeronautica abbia affrontato la Guerra di Spagna e la Guerra Mondiale senza una teoria d’impiego, basandosi sull’esperienza pratica, condendola con la conoscenza del pensiero di Dohuet da parte dei comandanti, applicando le teorie di Mecozzi e, in sostanza, andando allo sbaraglio senza un’impostazione operativa consistente. Oggi sappiamo che non fu così, che una teoria esisteva, che venne sviluppata in un’ipotesi concreta di guerra e che, a quanto risulta, non fu mai abrogata né sostituita, al massimo modificata. Resta allora da vedere quanto essa abbia determinato le scelte successive della Regia Aeronautica. Ad esempio: la parte di scarso rilievo che veniva lasciata al bombardamento quanto influì sulla mancanza di bombardieri quadrimotori a lungo raggio con cui l’Italia affrontò la Seconda Guerra Mondiale? L’atteggiamento non offensivo, tenuto al principio del medesimo conflitto per ordine di Mussolini, fu o non fu influenzato dalla concezione difensiva manifestata nelle Direttive nonostante fossero trascorsi undici anni? L’inefficienza della difesa contraerea italiana in che proporzione fu determinata dalle idee contenute nelle Direttive? E quanto fu dovuto ad esse del modo di condurre le azioni di guerra dal 1940 in poi? Ma nel 1929 queste erano cose ancora “in mente Dei”. In quel momento era più urgente ben altro: deciso in linea di massima il modo di combattere, bisognava identificare il nemico e applicare contro di lui quanto stabilito dalle Direttive; bisognava studiare il caso concreto e studiarlo bene.

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Capitolo VII L’identificazione del nemico e l’ipotesi di guerra: Est, Ovest o tutt’e due? Chi era il nemico più probabile? Nel 1929 l’Italia non aveva contenziosi rilevanti con nessuna nazione europea od extraeuropea; ma aveva da tempo individuato in Francia e Jugoslavia i due più probabili avversari. A distanza di qualche anno dalla fine del conflitto mondiale, lo Stato Maggiore Generale aveva preso in considerazione la situazione politica europea ed era giunto alla conclusione che la Francia costituisse un pericolo. I segnali in questo senso non mancavano. Alla fine della Grande Guerra i Francesi si erano affrettati a cercare di riempire il vuoto politico lasciato nell’Europa Centroorientale dallo scomparso impero austro-ungarico, in diretta concorrenza cogli Italiani. Li avevano estromessi dalla Cecoslovacchia a proprio vantaggio, ottenendo inizialmente addirittura il comando dell’appena costituito esercito cecoslovacco, sei mesi prima formalmente promesso dai Cechi all’Italia perché in gran parte i suo soldati erano stati addestrati ed equipaggiati proprio in Italia dal 1917 in poi e, successivamente, avevano stabilito rapporti privilegiati colla Polonia e l’Ungheria. Il problema maggiore si era però avuto quando la Francia aveva appoggiato la neonata Jugoslavia nelle rivendicazioni su Fiume. Erano i mesi delle trattative di pace e l’attrito italo-francese a Versailles era stato forte. L’Italia era stata privata della possibilità di ottenere qualcosa in Medio Oriente e si era limitata ad avere rettifiche di confine in Africa. Era né più né meno quanto ai diplomatici del Re era stato promesso a Londra durante le trattative d’alleanza nel 1915; ma comunque l’atteggiamento francese a Versailles era stato molto ostile e l’Italia non l’aveva mandato giù. “Fiume? c’est la lune!” aveva risposto Clemeceau agli Italiani che premevano per avere la città; e l’opposizione francese aveva causato i “Vespri fiumani” e uno scontro a fuoco tra soldati annamiti della Francia e marinai italiani, in cui i primi avevano avuto la peggio. La questione di Fiume nel 1919 aveva scavato un solco profondo fra Roma, Parigi e Belgrado; e alla fine la Francia era stata tacitata solo dalla stipulazione del Trattato di Rapallo, con cui Giolitti aveva ottenuto l’assenso jugoslavo alla nascita dello Stato Libero di Fiume. La città era stata poi annessa all’Italia nel 1924 senza proteste da parte jugoslava e la questione era stata chiusa. Ma Belgrado era sempre considerata un pericolo, per quanto ridotto, e lo dimostrava il sollievo con cui Vittorio Emanuele III aveva accolto la notizia del raggiungimento degli accordi, che chiudevano il contenzioso italo-jugoslavo. Per lo Stato Maggiore Generale la Jugoslavia restava quindi un’entità pericolosa. Quanto a Parigi, il problema era irrisolvibile. Da quattrocentocinquant’anni la politica francese consisteva nell’ampliamento verso sud ai danni dell’Italia; e da trecento, non potendo fare di più, tendeva a mantenere la Penisola frammentata o almeno debole. D’altra parte i territori francesi minacciavano quasi ovunque quelli italiani. A parte il confine alpino, la Francia incombeva sull’Italia insulare dalla Tunisia e su quella peninsulare dalla Corsica. Fin dal 1895 la Marine Nationale aveva ipotizzato azioni anfibie contro la costa tirrenica, da Ventimiglia a Civitavecchia, per distruggervi le installazioni portuali, tagliare la ferrovia litoranea ed effettuare una spedizione verso l’interno coll’obbiettivo di devastare le acciaierie e le fabbriche d’armi di Terni, cuore delle produzioni pesanti delle forze armate italiane. Adesso, colla disponibilità dell’arma aerea e alla luce sia delle teorie di Douhet, sia dei risultati dei bombardieri nella Guerra Mondiale, il rischio cambiava aspetto e per di più aumentava. La Sicilia, la Sardegna e parte dell’Italia Meridionale erano a portata delle basi aeronautiche francesi in Tunisia; lo stesso la Libia; e non era facile neutralizzarle: da terra per la presenza della linea fortificata del Mareth; dal mare a causa della potente squadra francese basata a Mers-el-Kebir. Il Dodecanneso – italiano – era di fronte alla costa mediorientale del mandato francese di Siria e del Libano; l’Eritrea confinava colla base francese di Gibuti, in cui venivano mantenuti fino a 10.000 75


uomini di guarnigione con tutti gli annessi; il piccolo presidio in Cina era tagliato fuori da qualsiasi aiuto e comunque l’avrebbero raggiunto prima le squadre francesi del Tonchino che un eventuale e improbabile rinforzo dall’Italia. Insomma: di tutti i territori italiani solo la Somalia non era direttamente minacciata dalle forze francesi; non era consolante. In linea di principio lo Stato Maggiore Generale riteneva più probabile il caso di guerra contro la Francia, ma non sapeva se la Jugoslavia ne avrebbe approfittato per attaccare l’Istria e il Friuli. Era lo stesso dubbio esistente in caso d’un conflitto italo-jugoslavo: la Francia avrebbe colto l’occasione per aggredire l’Italia alle spalle o no? Così venne considerata una terna di ipotesi: guerra contro la Francia, contro la Jugoslavia, contro entrambe; e sulla base di questa ipotesi lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica venne chiamato a lavorare. Nell’inverno del 1928-29, presumibilmente subito dopo la stesura delle Direttive, preparò il documento Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali, trasmesso al capo di Gabinetto del Ministro il 31 maggio 1929. Anche di questo documento è sopravvissuta una sola copia integra. Ce n’è un’altra, vista dal generale Pelliccia, nella busta 1725 della documentazione di base dell’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina, ma si tratta della versione modificata nel 1933 in seguito ai contatti fra Marina ed Aeronautica. Della versione originale esistono una copia – l’unica intatta come testo, ma priva degli specchi allegati – nell’Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito,CXXXV firmata in calce da De Pinedo e l’esemplare appartenuto a De Pinedo stesso. Quest’ultimo ha qualche parte degli allegati e per il resto s’è salvato fortunosamente, insieme al testo delle Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea. Mancano dunque anche qui delle pagine – 8, 11, 16, parte della 18 e gran parte della 22 – ma la copia data all’Esercito permette di riempire tutte le lacune. Le modalità operative prendevano in considerazione l’opportunità di manovrare di conserva colle forze di terra e di mare e a tal fine lo SMRA aveva adoperato lo studio, condensato nelle Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea. A costo di apparire scontato, il testo cominciava affermando: “I° - Il carattere delle operazioni aeree dipende strettamente dalla grandezza delle forze a disposizione, dalle qualità tecniche dei velivoli che le compongono, dal rapporto delle grandezze e delle qualità suddette a quelle corrispondenti del nemico. Per nessuna altra forza armata la potenza bellica è soggetta ad oscillazioni così forti come quelle che subiscono le forze aeree in conseguenza del progresso tecnico del materiale; la entrata in servizio di un apparecchio da caccia superiore a quelli del nemico basta a mettere questi ultimi in condizioni di gravissima inferiorità; la entrata in servizio di un tipo d’apparecchio da bombardamento di grandissima velocità può bastare a concedere grandissima libertà d’impiego del bombardamento sul territorio nemico per qualunque profondità, mentre la comparsa nel campo nemico di un apparecchio nemico di un apparecchio da caccia più efficiente può rendere molto precaria ogni possibilità di azione del bombardamento diurno.”CXXXVI Seguiva l’amara constatazione, che sarebbe poi stata ripetuta di lì a tre mesi a Mussolini che “Nel momento presente la R. Aeronautica dispone di tipi di apparecchi dei quali buona parte può considerarsi antiquata e di rendimento bellico molto scarso; tuttavia, se una guerra dovesse esser comunque sostenuta in un tempo abbastanza prossimo, solo su tali apparecchi si potrebbe fare assegnamento. Poiché è evidentemente opportuno tenersi in ogni momento preparati quanto meglio possibile alla azione, risulta evidentemente necessario studiare ed approntare i piani di operazioni relativi all’impiego immediato delle forze attualmente esistenti. = D’altra parte i tipi di apparecchi ora in servizio nella massima parte non saranno più riprodotti, mentre sono allo studio o in costruzione altri tipi più perfezionati. Si può 76


ritenere che in un periodo di tre o quattro anni i tipi ora in servizio saranno sostituiti da quelli che ora sono in preparazione; le possibilità d’impiego ne risulterebbero notevolmente cambiate; senonché difficile è prevedere quale sarà il rendimento che nella pratica si avrà dei nuovi tipi, mentre la misura delle possibilità d’azione risulterà subordinata anche al progresso che sarà realizzato nel campo nemico. In tali condizioni si ritiene opportuno impostare lo studio della guerra aerea sulle possibilità concesse dai mezzi ora in servizio, per poi mantenerlo aggiornato in relazione alla evoluzione che sarà realizzata nelle forze aeree nostre e del nemico.”CXXXVII Che i velivoli fossero antiquati veniva ripetuto in continuazione: “2° E’ necessario richiamare l’attenzione sul fatto che la R. Aeronautica attualmente si trova in condizioni molto critiche nei riguardi dell’efficienza guerresca. Tutti gli apparecchi da bombardamento notturno sono di scarsissimo valore militare; scarsissimo è il numero degli apparecchi di tutte le specialità, si che per quasi tutte le squadriglie la dotazione di apparecchi è molto minore a quella che dovrebbe essere; mancano del tutto le riserve di apparecchi necessarie anche solo per una settimana di guerra; difettano le riserve di materiali di ogni genere necessarie; scarsissime sono le scorte di mobilitazione; insufficienti sono tutte le sistemazioni che debbono essere preparate per la guerra. Tale situazione non può essere sanata se non si provvede al più presto ad una forte assegnazione di fondi, che permetta di completare gli impianti di ogni genere necessari, di mettere i reparti in condizioni di buona efficienza, di predisporre le scorte di mobilitazione. Ottenuta la disponibilità dei fondi necessari, un assetto soddisfacente delle forze aeree non potrà essere ottenuto immediatamente, ma potrà essere raggiunto solo dopo un certo periodo di tempo. Si deve tener presente ancora come, mettendo in condizioni di buona efficienza i reparti ora esistenti, il complesso delle forze aeree risulterebbe ancora insufficiente ai bisogni più modesti che si presenteranno in guerra. E’ quindi necessario non solo metter in efficienza le forze ora esistenti, ma aumentarle in modo che esse possano assolvere i doveri che loro competeranno in guerra. Nello studio che segue si ritiene necessario far calcolo soltanto dei reparti attualmente esistenti, supponendo però che essi siano già perfettamente efficienti. ”CXXXVIII Dopo questa sconsolante premessa, si avvertiva il lettore che il lavoro era stato compilato molto seriamente in base ai dati più aggiornati sulle aeronautiche delle più probabili nemiche e si procedeva ad un’esposizione tanto chiara da non richiedere alcun tipo di commento nonostante gli anni trascorsi da allora: “3°) – Nello specchio allegato n° 5 è riportata la forza attuale dell’aeronautica francese e dell’aeronautica jugoslava,58 con l’indicazione dei tipi d’apparecchi fondamentali e delle caratteristiche militari relative, secondo i dati risultanti dal Servizio Informazioni. Elementi corrispondenti sono riportati per l’Aeronautica Italiana, quali risulterebbero se i reparti ora esistenti fossero al completo di materiale.

58 Il primo è sopravvissuto quasi per intero ed è riportato in Appendice 5; insieme alle pochissime righe rimaste del secondo.

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4°) – Nel documento “DIRETTIVE PER L’IMPIEGO COORDINATO DELLE UNITA’ DELL’ARMATA AEREA” sono delineati i criteri secondo i quali le operazioni della guerra aerea possono essere condotte. La dottrina francese, quale risulta dai regolamenti compilati negli ultimi anni dal Ministero della Guerra – Direzione dell’Aeronautica –, prevede un impiego delle forze aeree strettamente ausiliario dell’Esercito e della Marina, modellato sui metodi impiegati alla fine della grande guerra. In particolare è previsto per la caccia un impiego abbastanza intenso a cavallo delle fronti, esteso sol di poco sul territorio nemico, e sviluppantesi soprattutto in ausilio delle forze da ricognizione ed in difesa dei servizi dell’esercito; è previsto che il bombardamento diurno non debba normalmente spingersi oltre pochi chilometri dalle fronti; è previsto che l’impiego dell’aviazione debba avvenire con criteri di grande economia, onde conservar la disponibilità delle forze per poterle gettare risolutamente contro l’esercito nemico nel momento della battaglia. Tali norme risentono fortemente dell’influenza delle circostanze nelle quali la passata guerra si è svolta per la Francia, sulle pianure dello Champagne e delle Fiandre; in una guerra sulla catena Alpina, le condizioni d'impiego delle armi aeree risulterebbero notevolmente diverse, mentre importanti operazioni potrebbero essere sviluppate aggirando sul mare il massiccio Alpino o assumendo come basi i campi della Corsica e della Tunisia. D’altra parte sembra che i mezzi aerei offrano possibilità di azioni ben superiori a quelle previste dalla dottrina francese, specialmente contro il nostro territorio; correnti vivaci di pensiero in proposito esistono anche in Francia; qualunque sia la dottrina ora codificata, si deve ritener possibile che all’atto della guerra i responsabili dell’impiego delle forze aeree francesi possano, rendendosi conto delle possibilità offerte dalle forze a disposizione, impostar le operazioni in maniera nettamente diversa da quella prevista dai regolamenti. In conseguenza si ritiene necessario considerar anche per le forze francesi un impiego corrispondente ai criteri delineati nelle “NORME PER L’IMPIEGO COORDINATO DELLE UNITA’ DELL’ARMATA AEREA” compilate da questo Ufficio. Una dottrina jugoslava non esiste; si può ritenere che la Jugoslavia nell’impiego delle sue forze aeree seguirà strettamente i consigli dello Stato Maggiore Francese, limitandosi però necessariamente ad azioni strettamente ausiliarie, in relazione alla scarsezza delle forze. Le forze aeree francesi debbono essere ritenute perfettamente efficienti per la guerra, ben addestrate, con personale ottimo, tanto dal punto di vista tecnico quanto dal punto di vista morale e dello spirito aggressivo. Le forze aeree jugoslave risultano dotate di un materiale relativamente scadente, mentre il personale, pur essendo ben dotato di qualità aggressive, sembra piuttosto scadente nella abilità e preparazione tecnica nonché nella preparazione e all’impiego guerresco. 5°) – Nei numeri che seguono si esamineranno anzitutto le circostanze relative ad una guerra tra la Francia e l’Italia, indi quelle relative ad una guerra tra la Jugoslavia e l’Italia, ed infine quelle relative all’ipotesi complessa di una guerra dell’Italia contro la Francia e la Jugoslavia riunite. IPOTESI OVEST 6°) – Sulla carta allegata n° 1, sono riportati, centri Torino, Pisa, Trapani, Oristano, gli archi di cerchio sul territorio francese di raggio 450 (azione di BR 2) 325 (azione dei Ca. 73) 250 (azione dei CR 20). 78


Sulla carta allegata n° 2 sono riportati, centri Gap, Ghisonaccia, Tunisi, gli archi di cerchio sul territorio italiano di raggio 450 (azione dei Breguet 19 e Farman 60) e 250 (azione della caccia).59 I centri dei suddetti cerchi rappresentano non precise basi, ma baricentri di possibili zone di campi di guerra; non sono stati riportati cerchi relativi ad altri tipi di apparecchi, quali gli S.55, gli AC 3 italiani, ed altri tipi in servizio nell’aviazione francese, in quanto quelli scelti bastano a dare un’idea generica della situazione relativa. 7°) – Si nota come forze francesi aventi base tra i contrafforti del sistema alpino o verso la valle del Rodano, possano estendere la loro azione di bombardamento fin verso Venezia, Bologna e Firenze, potendo contare su un concorso della caccia fin verso Milano, Genova; lo sviluppo delle loro azioni è però subordinato alle condizioni meteorologiche sulla catena alpina, e solo in periodi eccezionali ed in stagioni favorevoli può aver carattere di continuità, anche in tali periodi l’impiego del Farman da bombardamento notturno, per necessità di quota, sembra dubbio, e potrà forse avvenire solo con notevole limitazione del raggio d’azione. Forze francesi aventi base in Tunisia possono estendere sulla Sicilia e sulla Sardegna azione continua, con ogni tipo d’apparecchio da bombardamento. Forze francesi aventi base in Corsica possono estendere sul Piemonte, sul Veneto, sull’Emilia, su tutta l’Italia centrale, e sulla Campania fin oltre Napoli, azione continua, con ogni tipo d’apparecchio da bombardamento. Forze italiane aventi base nel Piemonte possono estendere la loro azione sulla Francia Sud-Orientale; obbiettivi buoni, ma relativamente lontani e pericolosi, sono Lione, Marsiglia, Tolone, e la Valle del Rodano; il concorso della caccia è possibile solo fino alla Valle del Rodano; lo sviluppo delle azioni è subordinato alle condizioni meteorologiche sulla catena alpina, solo in periodi eccezionali ed in stagioni favorevoli può avere carattere di continuità; le forze agenti, oltrepassato il confine, debbono superare una profonda ed estesa regione alpina; a causa della forte quota necessaria sembra da escludersi l’impiego del Ca. 73. Le forze italiane aventi base in Toscana possono estendere la loro azione sulla Provenza fin verso Marsiglia e Tolone, e sulla regione alpina. Forze Italiane aventi base in Sardegna ed in Sicilia possono incrociare le loro azioni sulla Tunisia. 8°) La maggior minaccia alla Penisola viene dalla Corsica. Questa viceversa risulta nel raggio d’azione delle basi aeree padane, toscane, sarde; su di essa le zone utilizzabili come basi aeree sono limitate e agevolmente reperibili e controllabili; si impone una precisa azione aerea che tenda a far sgombrare l’isola dalle forze aeree nemiche e renderne inutilizzabili le basi. Senonché il nemico potrà sempre valersi dell’isola non come base permanente, ma come punto di tappa e rifornimento carburante per reparti aventi base sulla costa provenzale; sarebbe quindi opportuno impostare lo studio di una azione complessa delle tre forze armate che fin dall’inizio delle operazioni, avvalendosi della supremazia aerea ottenibile con opportuna concentrazione delle forze, tendesse ad assicurare all’Italia il possesso materiale dell’isola; con questo non solo si otterrebbe sicurezza dall’offesa aerea nell’Italia centrale, ma anche, nell’Italia settentrionale, l’offesa aerea risulterebbe ridotta a quella che subordinatamente alle condizioni meteorologiche riuscisse a superare la barriera alpina e la reazione locale, mentre risulterebbe assicurato alla Marina il libero uso del Mar Tirreno. 59

Nessuna delle due carte ci è pervenuta. 79


9°) La Francia, col volger degli anni, fa un assegnamento sempre maggiore per le guerre metropolitane, sul grande esercito coloniale di cui può disporre; in contrapposto, si precisa, per le nostre forze, la necessità di ritardare l’afflusso delle forze coloniali sul continente europeo, contrastandone il passaggio attraverso il Mediterraneo, per costringerle nei limiti del possibile a seguire le più lunghe rotte dell’Atlantico. D’altra parte , nell’eventualità che la guerra possa avere una durata rilevante, enorme importanza viene ad assumere per la resistenza del Paese la sicurezza del traffico marittimo. Il Comando dell’Armata Aerea terrà conto, nell’apprezzamento della situazione generale e dei mezzi disponibili in relazione all’andamento della guerra, della possibilità e dell’opportunità di concorrere con colpi decisi all’attacco del traffico marittimo avversario ed alla difesa del traffico marittimo Nazionale. La dislocazione delle forze aeree nelle Isole Italiane ed eventualmente nel Dodecanneso e nelle Colonie, dovrà ubbidire pertanto anche al criterio della possibilità di azioni relative a quanto sopra è detto. 10°) – La condotta delle operazioni può allora esser impostata sul seguente schema: a) – forze da caccia terrestri, dislocate in Piemonte, in Toscana, nella Sardegna settentrionale; b) – forze da bombardamento diurne, dislocate sulla pianura padana; c) – forze idrocaccia, da bombardamento notturno, da idrobombardamento, dislocate in Toscana, in Sardegna, in Sicilia, ed eventualmente nel Dodecanneso o in Cirenaica. Le forze di cui al comma c), dovranno manovrare tra le loro basi in modo anzitutto da assicurare sempre la supremazia aerea sulla Corsica e poi da svolgere e operazioni contro la Provenza e la Tunisia; ad esse competerà anche concorrere alla guerra relativa al traffico, e intervenire nelle importanti operazioni navali che potessero avvenire entro il loro raggio d’azione. Le forze di cui al comma b), dovranno manovrare fra le basi nella pianura padana, e da questa agire, quando il tempo lo permetta, oltre le Alpi contro il territorio francese e concorrere eventualmente alle operazioni contro la Corsica. Quando le operazioni relative alla Corsica lo esigessero, e specialmente se le condizioni atmosferiche sulle Alpi fossero cattive, si deve prevedere che parte delle loro forze da caccia del Piemonte possano trasferirsi temporaneamente nelle basi toscane. Evidentemente la concentrazione delle forze contro la Corsica dovrà essere massima se si deciderà di tentar la conquista dell’isola. A conquista eseguita, la Corsica risulterebbe ottima base aerea per l’attacco della Provenza; attaccate e demolite le industrie nella Valle del Rodano, tutta l’opera dell’aviazione dovrà essere data a facilitare l’avanzata dell’esercito lungo la Cornice. 11°) – In conseguenza di quanto precede si determinano quattro scacchieri principali di operazioni, che possono essere contradistinti dal nome delle regioni in cui si trovano per ciascuno le basi delle forze Nazionali: a) – scacchiere delle Alpi; b) – scacchiere della Toscana, c) – scacchiere della Sardegna; d) – scacchiere della Sicilia. Nello scacchiere delle Alpi compito principale delle forze aeree sarà lo sviluppo delle operazioni sulle Alpi ed oltre queste, compito secondario il concorso alle operazione 80


sulla Corsica; le basi relative saranno sulla pianura padana; su questa dovrà trovarsi anche il Comando. Nello scacchiere della Toscana compito principale delle forze aeree sarà lo sviluppo delle operazioni contro la Corsica, compito secondario lo sviluppo di operazioni sulla Provenza e sull’Alto Tirreno; le basi relative saranno in Toscana e nel Lazio; la sede del Comando sembra opportuno sia fissata in Toscana. Nello scacchiere della Sardegna compito principale delle forze aeree sarà lo sviluppo delle operazioni contro la Corsica, compito secondario lo sviluppo di azioni nel Mediterraneo Occidentale contro la Tunisia, contro la Provenza; le basi relative e il comando saranno in Sardegna. Nello scacchiere della Sicilia compito principale delle forze aeree sarà lo sviluppo delle operazioni contro la Tunisia, compito secondario, legato al precedente, lo sviluppo di operazioni nel Mediterraneo Centrale; le basi relative e il comando saranno in Sicilia. I Comandi del secondo, terzo e quarto scacchiere, nello sviluppo delle operazioni loro proprie, dovranno curare il collegamento con le autorità marittime per il concorso che queste eventualmente potranno arrecare alle operazioni stesse (incursioni navali coordinate con quelle aeree, unità navali di soccorso alle unità aeree, ecc. ecc.); e dovranno, possibilmente, inquadrare tra le loro operazioni anche quelle eventuali di utilità della R. Marina.” 12°) – Le forze destinate ad operare nei vari scacchieri varieranno a seconda delle mutevoli circostanze della guerra. Il Comando dell’Armata Aerea provvederà ad ordinare, quando opportuno, i trasferimenti relativi, a dare in ogni momento le direttive circa le operazioni da compiersi, nonché a curare la coordinazione delle operazioni fra i vari scacchieri. 13° ) – Nelle varie zone del territorio nazionale che dovranno essere utilizzate come basi per le forze aeree, i servizi ed i campi dovranno essere organizzati in modo da permettere la manovra delle forze suddette fra i vari scacchieri, ed assicurare ad esse la possibilità di agire prontamente malgrado gli eventuali trasferimenti. 14°) – Si deve deplorare la impossibilità in cui attualmente si trovano le forze aeree nazionali, di sicuramente raggiungere Parigi per attaccarvi le fonti della potenza aerea nemica. Si spera diminuire entro qualche anno questa deficienza; ma fin quando essa sussisterà, considerando la scarsa estensione di territorio francese soggetta alla nostra azione, e la grande estensione e sensibilità del territorio nazionale soggetta all’azione francese, converrebbe evitare la guerra chimica, che risulterebbe pericolosa più per noi che per il nemico, e interessar anche la politica estera ad agire sui neutrali in modo da render la Francia riluttante ad adottare tale forma di guerra. Nello stesso tempo, per ogni evenienza, occorre esser pronti a sostenere anche questa guerra, ed a condurla, se costretti, in ritorsione, con la maggior possibile violenza. IPOTESI EST 15°) – Sulla carta allegata n° 3, sono riportati, centri Pordenone, Jesi, Brindisi, gli archi di cerchio sul territorio jugoslavo di raggio 450 (azione di BR 2) 325 (azione dei Ca. 73) 250 (azione dei CR 20).

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Sulla carta allegata n° 4 sono riportati, centri Zagabria e Mostar, gli archi di cerchio sul territorio italiano di raggio 450 (azione dei Breguet 19 e Farman 60) e 250 (azione della caccia).60 I centri dei suddetti cerchi rappresentano non già precise basi, ma probabili baricentri di zone di campi di manovra delle due aviazioni. 16°) – Si nota come parte della Lombardia, il Piemonte, la Liguria, risultino fuori del normale raggio d’azione delle forze nemiche, così che difficilmente il nemico potrebbe offendere le fonti della nostra potenza aerea. Si nota altresì come Belgrado, gli stabilimenti aeronautici circostanti, la base aerea di Novi Sad, risultino fuori del normale raggio d’azione delle nostre forze. La potenza aerea jugoslava non è molto rilevante; le sue fonti risiedono non nel paese, ma nelle Nazioni estere eventuali fornitrici; buona e vicina fonte, la Cecoslovacchia, altre fonti, la Germania, e la Francia, condizionatamente ai trasporti di materiale attraverso la Germania o attraverso la Grecia per Salonicco; così l’esaurimento della potenza aerea jugoslava viene a dipendere soprattutto dalle azioni diplomatiche che riuscissero ad impedire il rifornimento di materiale guerresco dall’estero. Azioni aeree concomitanti potrebbero essere quelle intese a troncare, previa azione diplomatica, le comunicazioni ferroviarie ed ordinarie tra la Jugoslavia ed i paesi che potessero rifornirla di materiale di guerra. In ogni caso difficilmente la Jugoslavia potrebbe contrapporre al nostro schieramento aeronautico o mantenere contro di esso uno schieramento aeronautico che non fosse notevolmente inferiore, non solo per materiale, quanto per qualità di personale, in relazione al basso livello medio culturale della popolazione; un pericolo a tale riguardo potrebbe essere costituito dall’eventuale arruolamento sotto la bandiera jugoslava di aviatori neutrali ostili all’Italia. Limitazione ai rifornimenti esteri in materiale e personale può essere costituita dal bisogno di armarsi cui ogni nazione obbedirebbe in caso di guerra jugoslavo-italiana, in quanto un conflitto limitato in atto presenta sempre la possibilità di un allargamento che obblighi i neutrali all’intervento diretto. La mancanza di grandi centri demografici e di potente organizzazione industriale renderebbe la Jugoslavia poco sensibile all’attacco aereo; per i dissidi interni la distruzione eventuale di centri croati non toccherebbe i serbi, e viceversa. Certo converrà arrecar poco o nessun danno a quelle popolazioni che, poco legate al regime S.H.S.61 sono suscettibili di staccarsene; tali le popolazioni mussulmane della Bosnia e della Erzegovina, le popolazioni bulgare della Macedonia, e forse le montenegrine; solo nell’imminenza della guerra si potrà, secondo le decisioni del governo, determinare se converrà meglio attaccare in blocco i serbi, i croati, gli sloveni, si da ripartire il danno fra le tre razze, o concentrar le offese maggiormente contro l’una o l’altra razza per determinarne il collasso particolare. La guerra chimica sembra da evitarsi, onde non offrire appiglio a reazione ed intervento dei neutri; occorre tuttavia esser pronti a svilupparla con pronta energia, se venga iniziata dal nemico. 17°) – Le regioni dalle quali converrebbe sviluppare le nostre azioni aeree contro la Jugoslavia sono il Veneto, con basi sviluppate quanto più possibile verso l’Istria ed in questa, e la Puglia. Di incalcolabile importanza potrebbe essere l’entrata in guerra al nostro fianco dell’Albania, che, rispetto alla Jugoslavia, risulta in una situazione molto vicina a 60 61

Nemmeno queste carte sembrano essersi salvate. Serbo Croato Sloveno. 82


quella della Corsica francese nei rispetti dell’Italia; sarebbe allora opportuno prendere l’Albania come base di operazioni non solo per le forze dislocate in Puglia, ma anche, almeno temporaneamente, per parte delle forze del Veneto. Di capitale importanza sarebbe la eventuale occupazione da parte della Marina delle Isole Dalmate, e soprattutto la eventuale occupazione da parte dell’esercito del retroterra caratino; in quest’ultimo sarebbe possibile trasportare la base di importati forze aeree, che potrebbero estendere agevolmente la loro azione sulle valli della Drava e della Sava, e su quasi tutto il territorio Jugoslavo, incluso Belgrado 18°) – La condotta delle operazioni sembra allora potersi impostare sul seguente schema: a) – concentrazione della maggior parte delle forze terrestri da caccia e da bombardamento diurno e notturno nelle Venezie; b) – concentrazione di un raggruppamento di forze terrestri da caccia e da bombardamento nelle Puglie; c) – ripartizione delle forze idro-caccia ed idro-bombardamento fra la Venezia e la Puglia. Ricapitolando: le forze aeree italiane andavano divise in due aliquote. Una si sarebbe occupata della Jugoslavia partendo da basi sulla costa dell’Adriatico centro-settentrionale; l’altra dalla costa centro-meridionale, preparandosi ad un eventuale rischieramento in Albania se questa fosse entrata in guerra a fianco dell’Italia L’ipotesi non era tanto infondata quanto potrebbe sembrare, perché non solo col trattato di Amicizia di Tirana del 1926 l’Albania era rimasta indipendente dall’Italia solo di nome, ma mirava ad annettersi le zone dominate dalla Jugoslavia ed abitate da Albanesi, cioè il Cossovo e il Montenegro. Era quindi plausibile prendere in considerazione l’apertura d’un fronte jugoslavoalbanese, lo sbarco di forze italiane in Albania e il loro impiego contro Montenegro, Cossovo e Macedonia. In questo caso l’aliquota centro-meridionale dell’Armata Aerea italiana si sarebbe dovuta rischierare sull’altra sponda dell’Adriatico per operare con maggiore efficacia. Sarebbe stata un’ottima soluzione per alleggerire la prevedibile pressione jugoslava contro Zara e il suo territorio e, in linea di massima, è quello che poi sarebbe successo nel 1941, quando gli Italiani, muovendo dall’Istria, da Zara e dall’Albania, avrebbero occupato la Dalmazia. L’impegno particolare del presidio di Zara si delineava meglio nel seguito, che diceva: “Le forze di cui al comma c) dovranno manovrare tra le loro basi in modo da assicurare la supremazia aerea sulla Dalmazia, ed appoggiare le operazioni che la Marina potrà svolgere a conquista delle isole Dalmate e che l’Esercito potrà sviluppare sul retroterra zaratino La costituzione ed entità delle forze di cui al comma b) dovrà variare a seconda che l’intervento dell’Albania risulti probabile o no; se tale intervento si verificasse le forze stesse dovrebbero subito trasferirsi in Albania, ed esser rinforzate per la conseguente aumentata possibilità di azione. In caso di occupazione territoriale sulla costa Dalmata, buona parte delle forze di cui al comma a) e parte delle forze di cui al comma b), dovrebbero trasferirsi nella zona occupata, per estender da questa le loro azioni su tutta la Jugoslavia. 19°) – In conseguenza di quanto precede si determinano tre scacchieri iniziali di operazioni: a)

– scacchiere del Veneto;

b)

– scacchiere dell’Adriatico;

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c)

– scacchiere delle Puglie.

Nel primo le forze aeree avranno come compito principale quello dello sviluppo dell’offesa aero-terrestre sulla Slovenia e sulla Croazia. Nel secondo le forze aeree avranno come compito principale lo sviluppo delle operazioni sul territorio Dalmato ed il concorso alle operazioni di occupazione della Marina e dell’Esercito su questa. Nel terzo le forze aeree avranno come compito principale quello dello sviluppo delle azioni offensive sulla Bosnia, e sulla Erzegovina; si trasferiranno in Albania se possibile E’ facile capire che l’obiettivo era la supremazia aerea sul Canale d’Otranto e il Montenegro, in modo da coadiuvare la Regia Marina nella protezione del traffico nazionale, nell’interdizione di quello nemico e negli sbarchi di truppe sulla sponda opposta, agendo offensivamente contro l’Aeronautica jugoslava. L’obiettivo strategico era la conquista di terreno in Dalmazia per situarvi delle basi da cui sviluppare la successiva offensiva contro il retroterra. Si diceva infatti a conclusione del paragrafo: “Se le occupazioni della costa Dalmata lo permetteranno, buona parte delle forze dello scacchiere Veneto potranno trasferirsi sulle basi che potranno essere create in Dalmazia. Le forze destinate ad operare nei vari scacchieri varieranno a seconda delle mutevoli circostanze della guerra. Il Comando dell’Armata Aerea provvederà ad ordinare, quando opportuno, i trasferimenti relativi, a dare in ogni momento le direttive circa le operazioni da compiersi, nonché a curare la coordinazione delle operazioni fra i vari scacchieri. Nelle varie zone del territorio nazionale che dovranno essere utilizzate come basi per le forze aeree, i servizi ed i campi dovranno essere organizzati in modo da permettere la manovra delle forze suddette fra i vari scacchieri, e da assicurare ad esse la possibilità di agire prontamente malgrado gli eventuali trasferimenti.

IPOTESI DI GUERRA EST-OVEST 20°) – Le condizioni generali risultano dalla sovrapposizione delle condizioni separatamente considerate nello studio dell’ipotesi ovest e dell’ipotesi est. Quasi tutta la penisola può risultar esposta all’offesa aerea nemica, in quanto le forze partenti dalla Francia potrebbero agir fin sul Veneto atterrando poi in Jugoslavia, e viceversa le forze jugoslave potrebbero agire fin sul Piemonte, sulla Toscana, sul Lazio, atterrando poi in Francia o in Corsica. Qualora l’Italia dovesse trovarsi a sostenere da sola questa doppia guerra, la sua situazione risulterebbe particolarmente difficile. L’Esercito e la Marina dovrebbero probabilmente tener contegno prevalentemente difensivo e molto difficilmente potrebbero trovarsi in condizioni di sviluppare azioni decisive; l’Italia dovrebbe quindi sostenere una guerra difensiva, cercando di non farsi logorare, ma intanto risulterebbe in condizioni particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell’offesa aerea avversaria, si che difficilmente si potrebbe impedire a questa di determinare sul nostro territorio una situazione molto pericolosa nei riguardi dell’alimentazione della resistenza alle fronti.

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In tali condizioni le forze aeree dovrebbero moltiplicarsi per far fronte ai bisogni delle due fronti, concentrando le loro azioni di volta in volta contro l’uno o l’altro avversario a seconda delle convenienze; ma con ciò esse sarebbero soggette a gravissimo logorio, mentre appunto in tale guerra, col pericolo più che mai incombente di un inaridimento delle fonti di produzione del materiale, occorrerebbe realizzar nel consumo una strettissima economia che esigerebbe grande limitazione dell’impiego. In linea generale si può ritenere che solo con una buona preponderanza di forze aeree sul complesso dei due avversari sarebbe possibile evitare la sconfitta; mentre qualora le forze aeree disponibili fossero effettivamente molto più potenti di quelle del complesso avversario, si potrebbe pensare di compensar la difensiva sulle fronti e sul mare con i risultati che si potrebbero ottenere da una intensa e vittoriosa offensiva nell’aria. Comunque lo studio di tale guerra viene impostato sul concetto di manovrar le forze disponibili fra gli scacchieri di operazione più importanti verso l’uno e verso l’altro nemico, in modo da tentar di fronteggiarne i bisogni più urgenti, limitando invece le azioni dovunque ciò sarà possibile. La barriera alpina, a ponente, con l’ostacolo naturale da essa formato, e con l’aggravante delle condizioni meteorologiche che su di essa sono spesso difficili, costituisce un relativo impedimento per le operazioni aeree francesi dalla Savoia e dal Delfinato; occorrerà, tuttavia, che adeguate forze nazionali siano pronte a sostener su di essa il contrasto aereo, tanto più in quanto fortunate operazioni aeree del nemico alle spalle delle forze terrestri, nelle difficili condizioni in cui in tale doppia guerra si verrebbe a trovare l’Esercito, potrebbero determinare il crollo della nostra fronte occidentale e l’irruzione degli eserciti nemici nella Valle Padana. Necessità vitale sarebbe sempre quella di assicurarsi la supremazia aerea sulla Corsica, della quale, in questa guerra difensiva, sarebbe più che mai conveniente l’occupazione, se possibile, per la sicurezza dell’Italia Centrale. La necessità di provvedere alla difesa del traffico marittimo Nazionale, ed alla offesa al traffico marittimo nemico risulterebbe più che mai grande; ma tuttavia l’Armata Aerea, nella molteplicità dei compiti, e nella scarsezza delle forze disponibili, potrà dare alle operazioni relative soltanto uno sviluppo limitato. Ben poche forze potrebbero essere distaccate in Sardegna per agire nel Mediterraneo Occidentale. Anche nello scacchiere della Sicilia le operazioni dovrebbero esser possibilmente limitate, senonchè, risultando particolarmente temibili i tentativi che i francesi potessero fare per l’occupazione della Sicilia o della Sardegna, o per qualche sbarco in Toscana, una certa aliquota di forze aeree dovrebbe dalla Sicilia mantener il controllo sulla Tunisia, esser pronta ad intervenir al più presto contro i tentativi di sbarco nelle zone suddette, a concorrere alla difesa del traffico marittimo nazionale nel Mediterraneo Orientale. Le Operazioni nello scacchiere delle Puglie dovrebbero essere ridotte al minimo, lasciando possibilmente alla sola Aviazione Ausiliaria della Marina il compito del controllo del Canale di Otranto per la difesa del traffico marittimo Nazionale. Le operazioni nello scacchiere dell’Adriatico dovrebbero esser limitate a quelle che insieme con la R. Marina potrà eseguire l’Aeronautica ausiliaria per la R. Marina. Importanza variabile potrà avere lo scacchiere del Veneto; se su di esso agiranno soltanto le forze aeree jugoslave, si potrà pensare di dare a queste un buon colpo all’inizio della guerra, per poi dedicar la gran maggioranza delle forze al nemico di ponente; se invece avverrà che forze aeree francesi si trasferiscano comunque in Jugoslavia, considerando che sul fronte Giulio l’altezza delle montagne è molto minore che sul fronte occidentale, e le condizioni meteorologiche generali sono più favorevoli 85


allo sviluppo delle operazioni aeree, e considerando che le forze aeree francesi in Jugoslavia verrebbero a trovarsi comunque lontane dalle loro basi naturali, potrebbe risultar conveniente dar maggiore sviluppo al contrasto aereo sulla fronte orientale per abbatter su questa le forze aeree francesi. Tutto quanto precede i riferisce ad azioni sostanzialmente difensive. Per le azioni offensive, le circostanze risulterebbero diverse a seconda delle possibilità tecniche dei velivoli. In linea generale si può rilevare come la nazione jugoslava risulti scarsamente sensibile alle offese aeree, mentre la nazione francese, con la sua complessa organizzazione sociale ed industriale, presenta caratteri di vulnerabilità molto maggiori. Sul territorio jugoslavo le offese dovrebbero rivolgersi principalmente contro le linee di comunicazione, ma potrebbero considerarsi effettivamente redditizie solo qualora l’esercito potesse prontamente sfruttarle in maniera decisiva fino a costringer la Jugoslavia alla resa in poco tempo. Poiché tale possibilità sembra molto dubbia, risulterebbe più conveniente mantenersi, sulla frontiera orientale, in generale, sul contegno difensivo, per rivolger la maggior parte delle proprie offese contro il nemico più forte e più temibile.” La genericità non ci permette di sapere esattamente come si dovessero svolgere le operazioni aeree in questo caso, né è possibile fidarsi della versione del 1933. I cambiamenti dei rapporti di forza, i miglioramenti delle prestazioni degli aerei italiani – entrava allora in linea il CR 32, giudicato il miglior caccia del mondo fra le due guerre mondiali – l’incremento delle forze navali italiane e i mutamenti di quelle aeronavali ipoteticamente nemiche rendono impossibile il confronto, pure con documenti meno vecchi anche di soli quattro anni. Da questa versione del 1929 ricaviamo che l’Armata Aerea dovesse dividersi in tre scacchieri e che alla Caccia terrestre spettasse operare subito contro Jugoslavia e Francia, per limitare l’attività delle loro aeronautiche e, possibilmente, eliminare in fretta dal gioco quella jugoslava per poi concentrarsi contro la francese. Questo richiedeva una concentrazione delle forze da caccia nell’Italia centro-settentrionale ed una notevole elasticità d’intervento. Occorreva spostare rapidamente le forze, manovrando per linee interne, dall’est all’ovest, secondo le necessità e, a voler dedurre qualcosa sia del seguito del testo, sia dallo sviluppo delle manovre aeree del 1931, probabilmente la caccia si sarebbe dovuta attestare col grosso in Veneto oltre che in Piemonte. Proseguiva poi il documento parlando dei caccia, dei bombardieri e dell’aviazione per la Marina prevedendo: “21°) – Le operazioni potrebbero essere impostate sul seguente schema: a) – schieramento di forze da caccia nel Piemonte, nella Venezia Giulia e sulla costa Toscana; b) – manovra delle forze da bombardamento terrestre fra il Piemonte, la Venezia Giulia e la Toscana, prendendo come base centrale la pianura emiliana; c) – suddivisione delle forze idro-caccia ed idro-bombardamento fra la Sicilia, la regione Toscana-Lazio, la Sardegna, la bassa Puglia. Le forze destinate ad operare nei vari scacchieri varieranno a seconda delle mutevoli circostanze della guerra. Il Comando dell’Armata Aerea provvederà ad ordinare, quando opportuno, i trasferimenti relativi, a dare in ogni momento le direttive circa le operazioni da compiersi, nonché a curare la coordinazione delle operazioni fra i vari scacchieri.CXXXIX

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21°)62 – E’ in corso la determinazione degli obbiettivi permanenti esistenti in Francia, in Corsica, in Tunisia, in Jugoslavia. E’ stato iniziato lo studio della rete dei campi di guerra necessaria nelle varie zone del territorio nazionale per la manovra delle forze aeree, nonché lo studio dei servizi occorrenti per la manovra stessa. E’ stato iniziato lo studio della radunata delle forze aeree per l’ipotesi considerata, che sarà definito in maniera sufficientemente elastica da permettere il giusto adattamento alle circostanze che potranno esistere nel momento in cui la guerra dovesse aver inizio. Si fa ancora presente come nell’ipotesi considerata la questione più preoccupante sia quella della vulnerabilità del territorio nazionale alle offese aeree del nemico, mentre solo in un adeguato e potente sviluppo delle forze aeree nazionali si potrebbe vedere la possibilità di sostener comunque vittoriosamente la guerra.”CXL E’ difficile dire quanto una simile linea operativa rispondesse alla realtà dei fatti e se fosse realizzabile e pagante, per cui non è facile esprimere dei giudizi in merito. Non sappiamo con precisione come venne accolta dal Regio Esercito, ma conosciamo l’opinione della Regia Marina; ed era negativa. Dopo aver esaminato il documento, il III Ufficio del Reparto Operazioni dello Stato Maggiore della Regia Marina concludeva che quella dell’Aeronautica era: “ una dottrina di guerra che conferma l’indipendenza fondamentale della condotta della guerra aerea, nella quale la cooperazione con le forze di superficie è soltanto considerata in linea subordinata ” ed esprimeva ampie riserve sulla sua validità, perché dal documento nel suo complesso: “….deriva che la potenza aerea offensiva (bombardamento e caccia), mentre è attualmente insufficiente a risolvere situazioni veramente importanti, o almeno a mantenere costante una prevalenza ottenuta, non contribuisce ad assicurare risultati di operazioni che tendono a scopi concreti. Né bisogna confondere il successo incerto del bombardamento di una città con quello reale e sensitivo dell’occupazione di una posizione sulla fronte terrestre o dell’affondamento di una unità navale…La dottrina non sperimentata conduce a dei compromessi dove l’azione impossibile, che è un errore operativo, si confonde con l’azione male effettuata, che è una responsabilità disciplinare e penale e l’arte di una guerra particolare, ancora non ben conosciuta, non può allontanarsi dai principi e dalle tradizioni che informano quello della guerra generale ”CXLI Per di più, affermava in un suo promemoria il sottocapo di Stato Maggiore il 17 luglio, l’unica cosa che si capiva dalla lettura di quei documenti era che l’Aeronautica avrebbe agito da sola e che forse, se fossero rientrati nei suoi piani, avrebbe anche potuto colpire obbiettivi d’interesse navale. Questo significava pretendere che l’Esercito e la Marina adeguassero le loro operazioni a quanto stabilito dall’Aeronautica, cioè, in sostanza, significava delegare al Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica la condotta della guerra. Perciò, concludeva il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, bisognava far rilevare al Capo di Stato Maggiore Generale come fosse essenziale il concorso aereo pronto e sicuro alla guerra marittima, come il predetto concorso non potesse né dovesse essere eventuale e che, per questo, andavano chiarite bene le direttive d’impiego delle forze da bombardamento marittimo. In altre parole la Marina diceva: adesso come adesso, l’Aeronautica pretende tutto, ci serve a poco e da sola non serve a nulla.

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Dovrebbe essere 22, ma, per un evidente refuso, nell’originale, trovato dal professor John Gooch, firmato in calce all’ultima pagina da De Pinedo e conservato nell’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, è stato ripetuto il numero 21. 87


Del tutto diversa invece la valutazione del Re. Parlandone coll’asso della Grande Guerra, e allora colonnello, Silvio Scaroni, in quel momento suo aiutante di campo, nell’aprile del 1934 Vittorio Emanuele III avrebbe detto: “Lo schieramento per voi è soprattutto una questione di preventiva preparazione delle basi: là dove c’è benzina, bombe, eccetera voi potete andare a rifornirvi assai rapidamente; potete cambiare fronte con più rapidità. Lo schieramento secondo l’ “Ipotesi est-ovest”, così come mi dice lei, pare anche a me che sia il migliore…. Credo anch’io che quella sia la soluzione migliore nelle attuali circostanze.”CXLII Sarebbe stato un sostanziale accordo e sostegno del sovrano non solo all’Ipotesi, cioè al documento specificamente operativo, ma anche alle Direttive, che ne erano la base teorica. Si sarebbe trattato dunque di un avallo, ufficioso, ma di grande valore, perché veniva da parte del comandante supremo di tutte le forze di terra, di mare e dell’aria, checché ne potesse pensare la Marina.

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Capitolo VIII Addio De Pinedo L’opposizione della Marina potrebbe aver giocato a ulteriore sfavore di De Pinedo nello scontro con Balbo, inducendo quest’ultimo a sbarazzarsi di lui adoperandolo come capro espiatorio per calmare le acque. E’ un’ipotesi, beninteso, e nulla più, ma, a parte il fatto che nessuno ha obiettato nulla la prima volta che ne ho parlato, nel 2001, su “Rivista Italiana Difesa”,63 i tempi corrisponderebbero64 e proprio questa faccenda potrebbe essere stata determinante. A questo punto bisogna però cercare di capire quello che accadde, perché ogni avvenimento ebbe un suo peso nella dura lotta che si era accesa fra Balbo e De Pinedo. Può darsi che all’inizio Balbo non volesse sbarazzarsi di De Pinedo, ma solo inquadrarlo, passarlo dall’Aeronautica sportiva a quella disciplinata. Era bravo, andavano d’accordo e, se De Pinedo si fosse adeguato, il suo esempio sarebbe stato d’incalcolabile importanza. Il guaio fu da un lato che De Pinedo non si adeguò, non volle adeguarsi e, anzi, a quanto si capisce leggendo ciò che lui stesso scrisse in agosto a Mussolini, a un certo punto ingaggiò con Balbo una vera e propria lotta di potere; dall’altro che evidentemente Balbo, dopo che gli erano state riportate le parole di Pentimalli sulla successione di De Pinedo, aveva deciso di sbarazzarsene . Il primo colpo all’armonia tra loro due, dopo le già riferite parole del colonnello Pentimalli e del maggiore Bonomi, sembrerebbe essere stato il discorso di fine maggio di Balbo alla Camera, coi suoi ammonimenti a proposito della fine dell’era del campionismo. Il secondo fu certamente la serie degli sgarbi che inflisse a De Pinedo durante la Crociera nel Mediterraneo Orientale, ai quali l’altro rispose con altrettanto astio, restituendo colpo su colpo e riservandosi di servirsi dell’accaduto una volta tornati in Italia. Dopo il rientro, infatti – e lo sappiamo dal promemoria che scrisse a Mussolini il 22 agosto – De Pinedo sostenne che “molti degli atti compiuti a mio danno erano stati pubblici, il mio prestigio, nella mia carica risultava diminuito; ne avevo avuto subito prova, nel contegno di alcuni direttori generali, e in una serie di atti poco amichevoli compiuti dall’Ufficio di Stato Maggiore della Marina.”CXLIII Ora, attenzione ai tempi. In quel momento – era la fine di giugno – la Marina aveva già messo in programma un’importante esercitazione di sbarco insieme all’Esercito; e De Pinedo, che voleva parteciparvi coll’Aeronautica, le aveva inoltrato una copia sia delle Direttive sia dell’Ipotesi, scatenando la reazione negativa che sappiamo. Dunque probabilmente la “serie di atti poco amichevoli compiuti dall’Ufficio di Stato Maggiore della Marina” era diretta contro De Pinedo non a causa del suo decadente prestigio, ma per colpa del contenuto delle Direttive che, vale la pena di ricordarlo, in pratica, se accettate dalle altre Forze Armate, avrebbero demandato la condotta della guerra alla Regia Aeronautica, subordinandole l’attività operativa dell’Esercito e della Marina. Il promemoria della Marina è del 17 luglio. Eventuali discussioni in merito non potevano cominciare prima di qualche giorno e devono aver creato non pochi fastidi a Balbo. Infatti le Direttive erano, come ho detto, se non farina del suo sacco, quantomeno farina da lui ufficialmente approvata e il cui contenuto ricadeva quindi sotto la sua responsabilità. Smentirle, modificarle o ritirarle equivaleva a un’ammissione d’incapacità che un Sottosegretario non poteva fare senza dare poi le dimissioni, di conseguenza non potevano essere né smentite, né ritirate, né modificate. In questo pasticcio di discussioni e attriti colle altre Forze Armate, a quanto si può dedurre dal solito promemoria per il Duce, Balbo si vide arrivare De Pinedo a dargli implicitamente la colpa della situazione. Secondo lui le cose andavano male perché la Marina, nella persona del suo Sottocapo di 63

PAOLETTI, Ciro, “Balbo, Mussolini e le dimissioni di De Pinedo dell’agosto 1929”, su “Rivista Italiana Difesa” anno XX, n. 4, aprile 2001. 64 Mentre invece il generale Pelliccia, nel suo citato Il maresciallo dell’aria Italo Balbo, a pag. 211 forza un po’ i fatti, perché, pur fornendo le date, indica la trasmissione dei documenti e la stesura di questo promemoria della Marina come uno dei probabili motivi della mancata assegnazione a De Pinedo del comando della Crociera del Mediterraneo Orientale, che invece in quel momento era terminata da circa un mese. 90


Stato Maggiore ammiraglio Bernotti, aveva constatato “de visu” durante la Crociera del Mediterraneo Orientale quanto debole fosse la posizione personale del Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica. Per questo, nelle discussioni verificatesi in seguito tra le due Forze Armate, la Marina aveva assunto un atteggiamento non collaborativo, anzi, decisamente ostile. Esisteva una sola via d’uscita: poiché negli attriti di quel genere il livello gerarchico degli intervenuti giocava molto nel raggiungimento delle soluzioni, De Pinedo – e lo scrisse in seguito – concluse il proprio discorso a Balbo “prospettandogli la pura questione di prestigio, e chiedendogli che mi mettesse nella posizione giusta, con la nomina a Capo di Stato Maggiore.”CXLIV Può darsi benissimo che Bernotti, vistesi arrivare le pericolosissime Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea e le altrettanto pericolose Ipotesi, si fosse ricordato di quanto De Pinedo aveva dovuto ingoiare e avesse pensato di sfruttarne l’indebolita posizione per cercare di salvare la Marina dalla sottomissione all’Aeronautica. E’ però certo che era un po’ superficiale e pretestuoso da parte di De Pinedo attribuire l’atteggiamento ostile della Marina solo agli sgarbi vistigli infliggere durante la Crociera. Balbo parò il colpo con eleganza e rimandò “sine die” la questione della promozione a Capo di Stato Maggiore, attribuendola alla volontà di Mussolini. Anche questo ce lo dice De Pinedo, scrivendo nel suo promemoria al Duce che: “Sua Eccellenza Balbo mi ha risposto che la mora dipendeva dalla volontà di Vostra Eccellenza… ” Ma ancora più importante è quanto ricorda subito dopo: “…e così esposi all’Eccellenza Vostra la opportunità della mia nomina, astenendomi dall’entrare in merito al dissidio avvenuto con Sua Eccellenza il Sottosegretario di Stato. Speravo che fosse apprezzata questa mia delicatezza; speravo così determinare una situazione tale da potermi riguadagnare la benevolenza di Sua Eccellenza Balbo, e poter così proseguire nell’opera iniziata.”CXLV In realtà la mossa non aveva nulla di delicato: anzi, era d’una pesantezza unica. Fingendo che fino a quel momento non fosse successo nulla fra lui e Balbo e che i loro rapporti fossero ancora ottimi, sperando magari che Mussolini fosse all’oscuro di tutto e dichiarando di non essere mosso altro che dal desiderio di sostenere alla pari il confronto cogli altri capi di Stato Maggiore per poter lavorare bene, De Pinedo ammetteva d’essersi rivolto direttamente a Mussolini per ottenere la promozione, scavalcando il proprio superiore politico-amministrativo. Ammetteva, cioè, d’aver compiuto un atto gravido di pesanti conseguenze, perché, se avesse avuto successo, avrebbe significato un’implicita sconfessione di Balbo e la creazione d’un contatto diretto e personale tra il Ministro – Mussolini – e il Capo di Stato Maggiore – De Pinedo – svuotando di qualsiasi autorità e contenuto la figura del Sottosegretario. In altre parole: se il Duce avesse concesso a De Pinedo la nomina, automaticamente avrebbe fatto di lui il proprio uomo nell’Aeronautica e risolto a suo favore lo scontro con Balbo. In quel modo De Pinedo non avrebbe, come scrisse poi a Mussolini, determinato “una situazione tale da potermi riguadagnare la benevolenza di Sua Eccellenza Balbo, e poter così proseguire nell’opera iniziata” ma l’annullamento politico di Balbo; certo che poi avrebbe potuto “proseguire nell’opera iniziata” nel modo da lui ritenuto più opportuno: non avrebbe avuto più alcun oppositore! E’ notevole il fatto che tutta questa storia sia stata condotta dai suoi protagonisti con un’implicita, tacita e completa conoscenza delle rispettive posizioni e motivazioni e che ognuno abbia agito fingendo di credere alla buona fede altrui, senza mai accennare al vero oggetto del contendere. Sapevano muoversi molto bene e senza compromettersi. Lo si tocca con mano quando si scopre che la domanda di De Pinedo non ebbe esito esplicitamente negativo, ma fu lasciata cadere, cosa che deduciamo sia dalla mancanza di cenni in merito da parte di De Pinedo nella stesura del Promemoria, sia dal fatto che, se gli fosse stato risposto chiaramente di no, certamente non sarebbe tornato all’attacco dopo così poco tempo, offrendo, cioè minacciando, le proprie dimissioni.

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L’appello diretto di De Pinedo a Mussolini certamente non fu un bello scherzo per Balbo, che sicuramente s’irritò moltissimo. Aveva uno spiccato senso della gerarchia e il fatto d’essere stato scavalcato, oltre a urtarlo, gli provava ancora una volta come De Pinedo ritenesse di potersi sottrarre alle regole della comune disciplina. Era un campione, faceva parte dell’Aeronautica sportiva e dimostrava di non poter stare in quella disciplinata. Il suo rivolgersi al Duce scavalcando il Sottosegretario lo rendeva evidente. E c’era un altro rischio. Dati i contatti di De Pinedo colla Corte e la Casa Reale, il suo prossimo appello poteva essere rivolto addirittura al Re, comandante supremo delle Forze Armate e Capo dello Stato, il quale teoricamente aveva tutto il potere di conferirgli la nomina di Capo di Stato Maggiore di propria iniziativa. Se l’avesse fatto, in implicito contrasto con Mussolini, che razza di crisi istituzionale ne sarebbe saltata fuori? Ma anche se il Re non l’avesse fatto, dopo un appello rivoltogli da De Pinedo che sarebbe successo? Come minimo la questione si sarebbe allargata. Non si sarebbe potuta evitare la nascita in alto loco almeno d’una corrente d’opinione favorevole a De Pinedo e lo scontro avrebbe avuto dimensioni incalcolabili e conseguenze imprevedibili. Insomma, De Pinedo era incontrollabile e perciò doveva essere eliminato. Ma come avrebbero reagito le Forze Armate? Lo spirito di corpo non avrebbe prevalso sui contrasti teorico-operativi per fare fronte comune a favore dell’ufficiale regio De Pinedo contro l’arrivista politico Balbo? Era un ostacolo serio, che però si poteva aggirare. Sia chiaro che qui siamo nel campo delle pure ipotesi, senza un minimo appoggio documentale, però, se Balbo avesse parlato in via riservata e informale cogli altri Sottosegretari, attribuendo a De Pinedo la paternità delle Direttive e la colpa di tutti gli attriti che avevano generato ed avesse promesso di modificarle in un futuro vagamente definito, dando come immediato pegno di buona volontà da parte dell’Aeronautica l’allontanamento di De Pinedo stesso, avrebbe, in un solo colpo, vinto il contrasto personale, calmato le burrascose acque dei rapporti interforze ed evitato di far apparire l’eliminazione del suo avversario come una questione politica, nella quale era paventabile una presa di posizione delle Regie Forze Armate a favore del famosissimo ufficiale monarchico contro il sottosegretario fascista. Come ho detto, è solo un’ipotesi, ma, dato il contesto, abbastanza plausibile. E ancor più plausibile diventa se la si prende come concausa – insieme alla necessaria segretezza che doveva coprirle – del silenzio caduto sulle Direttive. Si spiegherebbe allora perché Botti e Cermelli siano incorsi nell’errore di dedurre dai discorsi di Balbo l’inesistenza d’una dottrina aerea ufficiale, che invece, come sappiamo, c’era e non venne mai abolita. Balbo poteva benissimo lasciare in vigore le Direttive, bastava che nessuno, a partire da lui, facesse più cenno alla loro esistenza. In questo modo si evitavano altri urti fra Aeronautica e Marina e, con calma, la prima poteva venire incontro ad alcune esigenze minori della seconda per dare prova di buona volontà. Lo fece, infatti, nel 1933, quando accettò la parziale modifica dell’Ipotesi e ottenne due risultati con una sola mossa: visto che l’entrata in linea di nuovi aerei implicava comunque la necessità di modificare alcune parti dell’Ipotesi, se ne poteva approfittare per fare la bella figura di consentire alle richieste della Marina. Ma, va ribadito, queste sono tutte illazioni. E’ invece un fatto che nel 1929 De Pinedo avesse una rilevanza tale da non poter essere tolto di mezzo d’autorità senza creare un pandemonio. Perciò restava solo una strada: bisognava irritarlo e indurlo ad andarsene, adoperando spunti che non fossero neanche lontanamente connessi a temi politici o militari. Se e quando De Pinedo le avesse presentate, le sue dimissioni, sarebbero state accettate e la situazione sarebbe stata risolta. Vale la pena di ripeterlo: è un’ipotesi, basata su un minimo appoggio documentale, però i tempi e i fatti inducono a prenderla per buona. Non si spiegherebbe altrimenti perché Balbo sia ricorso ad una vecchia e inesistente questione di denaro per smuovere le acque. Evidentemente era l’unica carta a sua disposizione che non fosse nemmeno lontanamente ricollegabile ad argomenti politici o di servizio e al che tempo stesso consentisse di irritare De Pinedo. Apparentemente si chiedevano notizie di quei 30.000 dollari raccolti dagli Italiani d’America. In realtà si suggeriva, molto 92


copertamente, che quei soldi, o una parte di essi, chissà dove erano finiti – magari li aveva tenuti De Pinedo? – ma lo si faceva in modo così implicito, che mai nessuno avrebbe potuto accusare Balbo d’aver adombrato alcunché di disonorevole nei confronti del Signore delle Distanze. E se anche qualcuno avesse avanzato un simile dubbio, il tenore della lettera del 12 agosto era tale da permettere a Balbo di smentirlo a testa alta e fugare qualunque sospetto sulla propria buona fede. Come sappiamo, di buona fede De Pinedo non ne vide affatto e il 22 agosto reagì scrivendo direttamente a Mussolini. Riferendosi specificamente alla recente lettera di Balbo, affermava: “…Il fatto che ho riferito e di cui ho mostrato i documenti a Vostra Eccellenza mi ferisce profondamente; non posso non ricollegarlo con tutta una serie di altri fatti avvenuti negli ultimi tempi, i quali mi dimostrano che non godo più della benevolenza di Sua Eccellenza Balbo; e se finora ho potuto illudermi di poter reggere il mio incarico avendo o riconquistando tale benevolenza, ora debbo concludere che ciò non è possibile.”CXLVI Raccontando brevemente a Mussolini quel che aveva dovuto sopportare negli ultimi mesi, in particolare durante la Crociera nel Mediterraneo orientale, De Pinedo diceva fra l’altro: “Tutti questi fatti hanno un carattere nettamente personale; come tali potrebbero essere trascurati, quando si hanno davanti gravi responsabilità quali quelle che accompagnano l’incarico che ho l’onore di sostenere…”CXLVII e batteva sul tasto dell’armonia e della cooperazione necessarie al buon andamento del servizio, ribadendo le finalità disinteressate del suo tentativo di essere promosso, affermando: “…speravo così determinare una situazione tale da potermi riguadagnare la benevolenza di Sua Eccellenza Balbo, e poter così proseguire nell’opera iniziata L’ultimo fatto avvenuto mi toglie ogni speranza; senza un trattamento amichevole di Sua Eccellenza Balbo, senza l’accettazione e l’applicazione da parte sua dei risultati dei miei lavori, la mia opera risulterebbe vana; senza il suo riconoscimento dei limiti delle reciproche competenze, il mio lavoro sarebbe impossibile; e nella spiacevole situazione reciproca che si è ora determinata, mi sarebbe anche impossibile lavorare con serenità di spirito.”CXLVIII Il promemoria però non era tanto un’offerta di dimissioni quanto un ulteriore attacco a Balbo, l’ultimo, il più diretto, il più pericoloso, come si vedeva scorrendo la parte seguente. Scriveva infatti De Pinedo: “Debbo però dire a Vostra Eccellenza che quando nel novembre ultimo scorso ho assunto l’incarico di Sottocapo di Stato Maggiore con le funzione di Capo di Stato Maggiore, ho trovato l’Aeronautica in condizioni di gravità dal punto di vista della efficienza bellica, tali che non possono esser sanate in breve tempo… ”CXLIX Se la situazione era tanto grave, veniva spontaneo domandarsi perché De Pinedo avesse taciuto fino a quel momento. Lui stesso metteva le mani avanti asserendo di non aver parlato: “…a Vostra Eccellenza prima di ora, nella speranza di riuscire con la mia opera ad ottenere un graduale miglioramento”CL e che adesso lo faceva perché, essendo tramontata tale speranza, ne sentiva il dovere. E la colpa? Di chi era la colpa? Del Ministro, cioè di Mussolini? Certamente no! Era così scontata la sua innocenza che nemmeno si accennava a tale possibilità; anzi: poco oltre la si scartava implicitamente.

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Allora dei militari? Dei precedenti Capi di Stato Maggiore? Nemmeno! De Pinedo scartava recisamente anche tale ipotesi affermando: “Né si può gettare la colpa di tale stato di fatto a chi prima di me reggeva l’incarico di Capo di Stato Maggiore; la previsione del numero di apparecchi necessario, delle sostituzioni necessarie per vetustà, e tutto quanto…è di stretta competenza degli organi tecnici ed esecutivi del Ministero.”CLI E qui cominciava la requisitoria: “La causa di ciò è precisa. L’Aeronautica Militare è un organismo militare di natura squisitamente tecnica; per essere efficiente essa deve essere governata da un pensiero militare, profondamente competente nel campo dell’impiego e della tecnica, profondamente coerente e meditato, che sappia con azione costante, perseverante, lungimirante, prevedere, mantenere il presente, preparare l’avvenire, per perseguire con opera seria e oscura il risultato lontano di realizzare una forza effettiva pronta e solida senza clamore. Occorre che chi direttamente amministri e governi tale organismo si renda conto della sua complessità, poiché esso non può essere governato sulla base del colpo di mano o dell’improvvisazione.”CLII Era un’argomentazione “a contrario”. Dal momento che l’Aeronautica era in pessime condizioni – e i dati dei promemoria allegati stavano a dimostrarlo – e che per governarla bene occorrevano certe caratteristiche, era evidente che chi in quel momento la “amministrava e governava” cioè non il ministro Mussolini, ma il sottosegretario, Balbo, quelle caratteristiche non le aveva. Non aveva pensiero militare, non era competente, non lavorava con costanza, non aveva lungimiranza, governava improvvisando. A fugare qualsiasi dubbio, De Pinedo aggiungeva nei confronti di Balbo un atto d’accusa tanto vibrante e duro, da colpire implicitamente anche Mussolini. “E come per formare un generale occorrono molti anni di servizio, con l’esperienza dei successivi incarichi, dai minori ai maggiori, sotto quella disciplina militare, che si fonda sull’effettiva competenza personale, e si sviluppa attraverso il rispetto delle competenze delle gerarchie ascendenti e discendenti, così è necessario che coloro che dirigono, temprati a tale scuola, perseguano anzitutto la salda efficienza delle forze aeree, sacrificando anche, se occorre, la propria personalità.”CLIII Balbo non era all’altezza, diceva abbastanza esplicitamente De Pinedo, perché non aveva fatto la strada di tutti: era saltato direttamente dal grado di capitano di complemento, rivestito in guerra negli Alpini, a quello di generale di Squadra Aerea di complemento, creato apposta per lui, ed era Sottosegretario dell’Aeronautica senza aver maturato la necessaria, multiforme e variegata esperienza tecnica. A dispetto dell’unica vaga affermazione in contrario, era ovvio – ma non era detto, né De Pinedo l’avrebbe mai ammesso – che se la colpa del dissesto aeronautico si doveva al Sottosegretario, una certa responsabilità ricadeva pure su chi l’aveva messo a quel posto tre anni prima. Ed era altrettanto implicito che chi allora aveva sbagliato, adesso poteva rimediare appoggiando il tecnico competente, il generale con molti anni di servizio – De Pinedo – contro l’incompetente presenzialista Balbo. Non fu così, né poteva esserlo; e il 29 agosto 1929, accettate le dimissioni di De Pinedo e sentita la designazione da parte di Balbo, Mussolini nominò il generale Giuseppe Valle nuovo Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica. 94


Valle era l’antitesi di De Pinedo. Anonimo l’uno, brillante l’altro, erano diversissimi pure come formazione. Il trentanovenne De Pinedo aveva cominciato la carriera come ufficiale di Marina. Appassionatosi all’aviazione, in piena guerra, nel 1917, in soli 45 giorni aveva preso il brevetto, partecipando poi a numerose operazioni e guadagnandosi tre medaglie d’argento, una di bronzo e una croce di guerra. Imbarcato per breve tempo sullo yacht reale, era ben conosciuto a Corte già prima dei suoi epici voli. Passato in Aeronautica col grado di tenente colonnello, aveva presto lasciato gli uffici per compiere le trasvolate che l’avevano reso famoso. Valle era tutto diverso. Nato nel 1886, aveva iniziato come ufficiale dell’Esercito65 e, nel 1910, da tenente del Genio aerostieri, aveva conseguito il brevetto di pilota, non d’aerei, ma di palloni, maturando un certa esperienza pure come dirigibilista. Per la sua attività di bombardiere, specie col dirigibile P 4, aveva terminato la Grande Guerra coll’Ordine Militare di Savoia, due medaglie d’argento al valor militare e la promozione a maggiore per merito di guerra. Passato in Aeronautica come tenente colonnello nel ’23, Valle al principio del ’26 aveva avuto il comando dell’Accademia Aeronautica, col gravoso incarico di spostarla da Livorno a Caserta. La sua costanza e tenacia erano tali che, a dispetto di tutti i suoi impegni di servizio, era riuscito a trovare il tempo per brevettarsi pilota d’aereo, prima terrestre, nel 1926, poi d’idrovolanti e a laurearsi in ingegneria nel 1927. Nel ’28 era stato nominato generale di Brigata Aerea e poi, in ottobre, preposto al Demanio Aeronautico. Era un uomo d’apparato, serio, onesto, tenace, competente e inquadrato; era quello che Balbo voleva: l’incarnazione dell’Aeronautica disciplinata, messa al posto dell’Aeronautica sportiva rappresentata da De Pinedo. La sua nomina fu un altro schiaffo a De Pinedo per un motivo di non poco rilievo: mentre lui, ben più brillante, era restato solo Sottocapo di Stato Maggiore, Valle fu nominato Capo. Per chiarire in modo concreto e a tutti l’orientamento e la situazione della forza Armata, Balbo più nettamente di così non poteva agire.

65 Fu anche un notevole sportivo e, nel gennaio 1900, tra i fondatori e i primi giocatori della prima squadra di calcio di Roma: la Lazio, di cui nel 1932 fu nominato presidente onorario.

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Capitolo IX L’inizio di Valle Risolto il problema dell’Aeronautica sportiva col pieno appoggio di Mussolini, Balbo si dedicò al secondo passo della sua opera, cominciando dalle questioni già sul tavolo, tra cui quasi sicuramente la sopravvivenza de facto delle norme da lui volute: l’Ipotesi in tutta la sua evidenza e, per forza di cose, benché nel più completo silenzio, pure le Direttive, che dell’Ipotesi erano il fondamento. C’erano in quel momento tre questioni vecchie e una un po’ più recente. L’ultima era quella della situazione del materiale di volo, che sarebbe stata progressivamente risolta coll’emanazione di nuove specifiche. Le altre invece riguardavano la prima applicazione pratica delle Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea, la partecipazione alla coppa Schneider e, soprattutto, la prosecuzione delle Crociere spostandole in Atlantico. Aveva scritto De Pinedo passando le consegne a Valle: “Dal 25 u.s. sono impegnate sulla costa tosco-laziale N.° 22 Squadriglie dell’Armata Aerea, per un’importante esercitazione di Armata Aerea che dovrà svolgersi nei giorni dal 30 agosto al 2 settembre sulla zona di Piombino in maniera autonoma ma collegata rispetto ad una esercitazione di sbarco compiuta nella stessa zona dalla R. Marina. Dette forze costituiscono una Brigata Aerea al comando del Colonnello AA Manni cav. Giuseppe;66 il Comando della Brigata è collegato lateralmente con il Sig. Ammiraglio Fiorese, comandante il partito della difesa nella esercitazione marittima. Detta brigata dipende direttamente ed unicamente da un supposto Comando di Armata Aerea, rappresentato per l’esercitazione da una costituita Direzione della Esercitazione Aerea 1929, retta personalmente dal Sottocapo di Stato Maggiore, e collegata lateralmente con la Direzione Superiore della esercitazione marittima, retta da S.E. l’Ammiraglio di Squadra Ugo Conz. La suddetta esercitazione deve ritenersi notevolmente importante non solo per sé stessa, ma anche molto perché la sua organizzazione è il risultato di una lunga serie di difficili trattative diplomatiche che sono sboccate in un indiretto ma completo riconoscimento della indipendenza di azione dell’Armata Aerea. La impostazione di tale esercitazione discende direttamente dai concetti esposti nei documenti “DIRETTIVE PER L’IMPIEGO COORDINATO DELLE UNITA’ DELL’ARMATA AEREA” E “IPOTESI OVEST, IPOTESI EST, IPOTESI DOPPIA, CONSIDERAZIONI GENERALI.” ”CLIV Si trattava della seconda esercitazione dell’anno. La prima era stata fatta coi quadri fra marzo e aprile e aveva ipotizzato una guerra contro la Francia, cioè, in sostanza, l’Ipotesi Ovest. Anzi, non è azzardato supporre che fosse servita proprio a collaudare in via teorica l’Ipotesi Ovest. L’assunto era stato quello di uno scoppio delle ostilità dopo un breve periodo di crescente tensione. A seguire, la caccia e i bombardieri avevano fatto ripetute incursioni diurne e notturne prima sulle basi aeree nemiche e poi sugli snodi stradali e ferroviari nella zona compresa fra Lione, la valle del Rodano e la frontiera alpina, agendo senza alcuna cooperazione coi reparti di terra e di mare. Avrebbe commentato poi, oltre ottant’anni dopo, il generale Basilio Di Martino: “I vertici della forza armata erano comunque consapevoli che i reparti da bombardamento, male equipaggiati e sotto organico, ben difficilmente avrebbero potuto sviluppare i compiti loro affidati con la necessaria continuità, mentre l’area di Parigi, di vitale importanza in termini politici ed industriali, rimaneva al di fuori della loro portata.”CLV 66

Era il Capo del II Reparto “Ordinamento e Mobilitazione” dello SMRA. 97


Dunque a fine agosto si svolse sulla costa tirrenica l’esercitazione che la Marina aveva preparato per studiare tempi, appoggio e accorgimenti necessari allo sbarco di truppe, quadrupedi e materiali su una spiaggia aperta, visto che le nozioni in merito erano sorpassate. La cosa interessava anche l’Esercito e si era deciso di dar vita a un’esercitazione combinata con 38 navi, tre sommergibili, i reparti da sbarco della Regia Marina e un reggimento di fanteria. Lo Stato Maggiore della Regia Aeronautica aveva chiesto di partecipare, ma si era scontrato colla forte opposizione che sappiamo da parte della Marina. Questa infatti dopo la diffusione dell’Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, non vedeva alcuna utilità nella cooperazione coll’Aeronautica, perché, come era stato sottolineato dal già citato appunto del III Ufficio del Reparto Operazioni dello Stato Maggiore della Regia Marina, quella dell’Aeronautica era: “una dottrina di guerra che conferma l’indipendenza fondamentale della condotta della guerra aerea, nella quale la cooperazione con le forze di superficie è soltanto considerata in linea subordinata.”CLVI La questione era stata richiamata al momento delle “difficili trattative diplomatiche” tra Regia Aeronautica e Regia Marina subito prima dell’esercitazione. Quando De Pinedo si era fatto avanti per partecipare, il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, il 17 luglio aveva stilato il duro promemoria che conosciamo, affermando che le teorie operative dell’Aeronautica contenevano “…soltanto un insieme di elucubrazioni, tali che dopo averle lette si capisce positivamente una cosa sola: che l’Armata Aerea agirà per suo conto e che eventualmente potrà inquadrare nelle proprie operazioni obbiettivi di interesse della R. Marina.”CLVII Per questo le trattative erano state lunghe e difficili. Del resto De Pinedo teneva molto a compiere quell’esercitazione – abbiamo visto che aveva assunto personalmente la Direzione della correlata Esercitazione Aerea 1929 – non solo per provare nella pratica quanto era stato esposto in teoria, ma anche perché nel precedente anno 1928 erano state soppresse le manovre dell’Aeronautica per la troppo bassa efficienza dei reparti, limitandosi a un’esercitazione coi quadri. Ora la Regia Aeronautica stava ripartendo e voleva farlo in grande stile. Aveva l’occasione di verificare sul terreno le proprie possibilità di contrastare uno sbarco dal mare e per questo organizzò la Brigata Aerea Speciale67 – B.A.S. – forte di 157 apparecchi, la quale doveva mantenere il controllo aereo sul territorio supposto in possesso del nemico, di fronte alla Toscana, per impedire o almeno contrastare lo sbarco. Ma la Marina si oppose a qualsiasi cambiamento dei lineamenti d’esercitazione e alla fine si raggiunse un compromesso: la B.A.S. avrebbe adoperato l’esercitazione della Marina come sfondo della propria e in pratica sarebbe entrata in azione in modo coordinato solo a sbarco effettuato. L’esercitazione cominciò come previsto il 25 agosto e si concluse il 28. Nel complesso la Regia Aeronautica ne fu soddisfatta. C’erano state parecchie limitazioni topografiche, operative e temporali, che non avevano consentito di provare la rapidità e l’efficacia d’intervento nelle varie fasi d’imbarco, traversata, sbarco, sviluppo e consolidamento della testa di sbarco, però l’esercitazione aveva permesso di stabilire che “la somma degli effetti non solo probabili, effettivi, era sicuramente tale da ostacolare molto seriamente la riuscita dello sbarco”,CLVIII che inoltre uno sbarco “non si può concepire senza un concreto appoggio di una forte massa offensiva di aviazione”CLIX e, infine, che il partito della difesa poteva essere sconfitto solo “se l’azione dell’Armata Aerea attaccante venisse portata con decisione e massa sufficienti contro le basi d’aviazione della difesa: anche in questo caso” si concludeva “si presenta un aspetto del principio generale d’impiego dell’Armata Aerea indipendente che fa dell’Aviazione avversaria il suo primo principale obbiettivo.”CLX

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Era composta dal XVII e XXVI Gruppo Bombardamento Notturno su due squadriglie di Ca. 74, il primo, e di Ca 73, il secondo; dal XCI Gruppo Bombardamento Marittimo su due squadriglie di S 55 e dai Gruppi Caccia Terrestre XXIII e LXXXVI, su quattro squadriglie di Cr. 20, VII – due squadriglia Ac 3 e due M. 7 ter – e LXXX, su due squadriglie di M7 ter, più la 192ª Squadriglia, su S 55, una sezione radiotelegrafica su Ro. 1 e una sezione di tre aerei con compiti speciali (arbitro di campo, osservatore d’esercitazione ecc.) 98


Analoga, ma più pacata ed articolata, grazie ai decenni trascorsi, la valutazione del generale Di Martino: “I principi della massa e della sorpresa, ed in parte quello della continuità dell’azione, per ciò che potevano consentire i mezzi disponibili, trovarono applicazione in tre momenti successivi: nell’attacco alla base di Portoferraio, mirato a disorganizzare il convoglio prima che prendesse il mare, nel bombardamento notturno del convoglio in navigazione, ed infine nell’intervento concentrato in poco più di sette minuti di oltre un centinaio di bombardieri e caccia sulla testa di ponte, in un’azione di attacco al suolo che al bombardamento ed al mitragliamento affiancò il rilascio di gas tossici. Se in merito all’efficacia degli attacchi portati alle unità in navigazione vi furono non poche perplessità, sen’altro positivo fu il giudizio sugli altri due momenti del’esercitazione. Nel bombardamento delle navi in porto si ritenne infatti che, facendo convergere sull’obiettivo le squadriglie da direzioni diverse per disperdere la reazione contraerei, fosse stata concentrata nel tempo e nello spazio una forte capacità di offesa, ed ugualmente efficace fu valutato l’intervento sulle truppe ammassate e allo scoperto sulle spiagge, con un’annotazione particolare per l’impiego degli aggressivi chimici, da solo sufficiente ad arginare la penetrazione all’interno.”CLXI Insomma, a giudizio della Regia Aeronautica, di fatto le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea uscivano dall’esercitazione pienamente convalidate. Ma che lo fossero state e che quindi risultassero una dimostrazione della validità dell’Arma Aerea anche agli occhi delle supreme autorità della Nazione, lo si sarebbe saputo solo molti anni dopo, quando, nel suo diario relativo al periodo trascorso a fianco del Re come colonnello aiutante di campo, il generale Scaroni riportò che, nell’aprile del 1934, Vittorio Emanuele gli aveva detto: “Vede, io se dovessi dire il mio pensiero liberamente, così parlando come si può parlare tra noi, distribuirei il bilancio delle Forze Armate 3 parti all’Esercito, 2 all’Aeronautica e 1 alla Marina…. La Marina può fare poco oggi; uno sbarco qui,68 per esempio, è praticamente impossibile, se c’è un’aviazione efficiente. Ho visto quelle esercitazioni di sbarco a Piombino; ci vuole un’ora per mettere a terra un corpo di sbarco anche modesto, e in quel tempo gli aeroplani hanno tempo di affondare le navi. Dicono che si possano fare degli scafi che resistono alle bombe di aeroplani. Io non ci credo. Una bomba di 500800 chili affonda qualsiasi nave. E non si può pensare di sostituire quell’unità durante la guerra, perché ci vogliono almeno 18 mesi a ricostruirla. E’ una follia fare una nave o due tipi Dunkerque; preferirei spendere quei soldi in aeroplani per voi o darli all’Esercito. Il traffico può essere protetto meglio con un’aviazione efficiente. Vorrei vedere io una decina di navi di 10.000 tonnellate sotto il bombardamento di un centinaio di aeroplani….”CLXII Ma nell’estate del ’29 questo parere del Re non era noto, né lo sarebbe stato negli ambienti delle alte sfere della Regia Aeronautica fino al 1934; mentre il pubblico lo avrebbe appreso soltanto nel 1954, all’uscita del diario di Scaroni. Dunque per il momento le valutazioni restavano interne, anche se largamente positive. Lo stesso Valle, a cui spettò trarre le conclusioni dell’esercitazione, rilevò come essa avesse dimostrato che le operazioni di sbarco non avevano nessuna probabilità di successo se la difesa disponeva di un’aeronautica efficiente, capace di concentrare rapidamente le proprie forze a protezione delle località minacciate. Confermò poi quanto era stato già delineato nelle Direttive, a proposito degli aeroporti, facendo un passo in più. Asserì infatti che servisse un gran numero d’aeroporti segreti – e 68

Essendo la conversazione avvenuta sulla spiaggia di San Rossore, il Re si riferiva alla costa toscana settentrionale. 99


questo le Direttive non l’avevano mai detto – i quali andavano forniti di tutto il necessario a ricevere con un minimo preavviso un reparto di volo al completo, cioè di ricoveri mascherati, depositi interrati per carburante, lubrificanti e munizionamento, e terminò giudicando necessario dare ai servizi la massima elasticità e rapidità, in modo da renderli del tutto adatti alla rapidità d’impiego dell’Aeronautica. Questo prefigurava il passo successivo, che sarebbe stato compiuto due anni dopo, nell’agosto del 1931, con le Grandi Manovre dell’Armata Aerea. Esse, oltre a completare il collaudo delle Direttive e a raccogliere elementi di giudizio sull’impiego delle Grandi Unità, sul materiale, sull’ordinamento e sulla logistica, avrebbero rappresentato la prova sul terreno dell’Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia. Avrebbero detto infatti i lineamenti d’esercitazione: “Le forze armate nazionali sono da pochi giorni in guerra contro una potenza orientale. L’Armata Aerea nazionale, completato il suo schieramento sui campi della frontiera orientale, è pronta a partecipare ad un’operazione offensiva in grande stile che il Comando supremo intende effettuare verso Est. Senonchè, alle ore 0 del giorno X, una potenza occidentale, dichiarata guerra, inizia le ostilità su tutta la linea di confine.”CLXIII Come si vede, si partiva dall’Ipotesi Est e la si evolveva nell’Ipotesi doppia. Dunque ecco un altro fatto accaduto dopo l’abbandono di De Pinedo e forse un’ulteriore conseguenza delle sue dimissioni: senza alcuna opposizione da parte della Marina, almeno che si sappia, fra il 1929 e il 1931 l’Aeronautica, mantenendo l’Ipotesi, di fatto mantenne in vigore le Direttive, da cui l’Ipotesi dipendeva, che stabilivano la sottomissione della strategia navale a quella aerea. In quello stesso 1931 la legge numero 98 del 6 gennaio avrebbe sancito definitivamente l’esclusiva dell’Aeronautica su tutti i mezzi aerei69 e la Marina si sarebbe ritrovata senza aviazione propria e a cooperare con una Forza Armata la cui teoria d’impiego c’era, ma non c’era, per cui non si poteva contestare; era applicata, ma non lo si diceva; funzionava sulla terra – come si vide in Spagna – ma non sul mare, come risultò in Mediterraneo, all’ombra d’una legge che dava all’Aeronautica la possibilità di decidere se, quali e quanti aerei andassero imbarcati sulle navi. Un piccolo pasticcio da cui ne sarebbero scaturiti di più grandi. Tornando al 1929 ed alle questioni ancora aperte in autunno, dopo la vittoria italiana della Coppa Challenge Internazionale del turismo, conquistata da otto AS 1 coprendo in volo 6.280 chilometri fra il 2 e il 4 agosto, la competizione più propagandata e in assoluto la più attesa era l’edizione della Coppa70 Schneider, la gara che, istituita nel 1912 come incoraggiamento allo sviluppo tecnico degli idrovolanti, era ben presto sfociata in una sfrenata corsa alla vittoria, ingoiando risorse enormi. L’edizione del 1929 si svolse il 7 settembre a Calshot, in Inghilterra, tra Portsmouth e l’isola di Wight e non andò molto bene per la Regia Aeronautica. Quell’anno l’Italia aveva speso 14.650.000 lire per partecipare e vide finire fuori gara per motivi e inconvenienti di vario genere tutti e quattro i prototipi preparati per l’occasione. Guadagnò solo un dignitoso secondo posto col maresciallo Tommaso Dal Molin su un Macchi M 52 R, mosso da un motore Fiat AS 3 da 1.000 cavalli. Era un aereo non nuovo, preparato all’ultimo momento dopo la distruzione dell’ultimo prototipo disponibile e inferiore all’idro inglese, vincitore per 926 cavalli di potenza e a 720 chilometri orari di velocità massima. Dati i costi crescenti e i risultati calanti – il primo e il terzo posto dell’edizione del 1926 erano costati all’Italia solo 3.860.000 lire, l’edizione del ’27 a Venezia era stata costosa quanto disastrosa 69

Legge 6 gennaio 1931, n. 98, Nuovo ordinamento per la regia aeronautica, su “Gazzetta ufficiale del regno”, n. 39, del 17 febbraio 1931, articoli 1 e, specificamente per la Marina - “Aviazione per la regia marina” – 9. 70 Non si è mai capito perché in Italia e Francia il trofeo venisse chiamato coppa, dal momento che non ne aveva – e non ne ha, visto che è ancora custodito allo Science Museum di Kensington – la forma. Si tratta infatti di un gruppo in bronzo e argento che, a quanto si capisce con molto sforzo, simboleggia l’idrovolante. E’ formato da un genio alato sceso a baciare un’ondina, semi immersa sulla cresta d’un’onda; intorno alla base metallica stanno otto granchi di varie dimensioni, rivolti verso il gruppo e posati, come il tutto, su un basamento di marmo variegato grigio. 100


per i colori italiani e ora si prevedevano aumenti stratosferici per quella del 193171 – si manifestò una certa renitenza a proseguire, specie perché pure gli Inglesi sembravano propensi ad abbandonare la competizione. Balbo però non ne aveva affatto l’intenzione e sostenne la partecipazione italiana colle unghie e coi denti. Affermò che le dichiarazioni di disinteresse degli Inglesi erano dei trucchi dovuti alla loro certezza di non avere speranze di vincere in futuro e che l’Italia doveva perseverare. Pochissimi giorni dopo lo svolgimento della gara in Inghilterra, Mussolini fece un rimpasto del Governo e il 12 settembre lasciò la poltrona di ministro dell’Aeronautica a Balbo. Valle divenne sottosegretario e molti videro in questo, a così breve distanza dalle dimissioni, un nuovo schiaffo inferto a De Pinedo, che Balbo aveva trattato male ancora una volta col Trofeo Harmon. L’International League of Aviators l’aveva offerto a Balbo in riconoscimento delle sue attività aeronautiche, ma lui l’aveva rifiutato cortesemente affermando che il suo contributo alla Crociera nel Mediterraneo Orientale era stato più da organizzatore che da pilota. Aveva accettato solo una medaglia d’onore, aveva detto che il Trofeo poteva essere dato a qualcuno più meritevole di lui e, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, aveva indicato non De Pinedo, ma Pellegrini. L’importanza delle gare e delle crociere consisteva però non nel successo propagandistico, ma nella possibilità di provare i materiali e le nuove soluzioni costruttive. Non a caso i primi motori in linea italiani vennero sperimentati proprio sugli idrocorsa. E’ vero che furono adottati assai tardi, tant’è che negli anni seguenti la maggior parte degli aerei italiani continuò ad avere motori stellari e così rimase fino pressappoco al 1942, quando entrarono in linea il Macchi MC 202 e il Reggiane RE 2001, ma è difficile – e qui sarebbe fuorviante – stabilirne il perché. Anche per questo la preparazione delle Crociere era un lavoro continuo. Mentre si ultimavano i preparativi di una, già si organizzava la seguente, difatti scrisse Balbo che: “Al ritorno dalla crociera del Levante, ripresi a lavorare per il piano di trasvolata atlantica. Ero deciso ormai a portarlo a fondo.”CLXIV Formato a Orbetello il 93° Gruppo da Bombardamento Marittimo, che sarebbe stato costituito ufficialmente il 1° gennaio 1930 al comando del tenente colonnello Umberto Maddalena, per preparare la Crociera dell’Atlantico Meridionale con equipaggi provenienti dai più vari reparti della Regia Aeronautica, Balbo si preoccupò anche dei materiali di volo e diede un nuovo impulso all’innovazione. Stabilito che l’aereo migliore da adoperare era l’idrovolante S. 55, restava il problema dell’autonomia. Poteva essere aumentata ampliando i serbatoi – ma questo significava aumentare il peso dell’aereo, specie al decollo72 e rendeva necessario un potenziamento dei motori, con un incremento del consumo, per cui quello che si guadagnava in termini di carico, veniva speso in consumo orario maggiorato. La soluzione poteva consistere nel modificare il motore mediante un riduttore e nel cambiare i materiali di cui era fatto l’aereo. Per il motore Balbo, prima ancora della partenza della Crociera del Mediterraneo Orientale, aveva chiamato il progettista dell’S. 55, l’ingegner Alessandro Marchetti. “Gli dissi che entro l’anno 1929 avrebbe dovuto modificarci gli S. 55, studiando soprattutto la possibilità di applicare un motore della stessa potenza, ma col riduttore. Proprio in quei mesi due ditte italiane, la Fiat e l’Isotta, stavano per portare a compimento la realizzazione di un motore che avrebbe potuto sollevare, sul 55, almeno 1000 chili in più. Pregai Marchetti di prenderne accurata conoscenza dal punto di vista 71

Dopo il 1927 le gare erano divenute biennali e riguardavano solo Inglesi e Italiani che, su dieci competizioni svolte tra il 1913 e il 1927, se ne erano aggiudicate tre a testa – 1914, 1922 e 1927 gli Inglesi; 1920, 1921 e 1926 gli Italiani – lasciando agli Americani le vittorie del 1923 e del 1925 e alla Francia solo quella del 1913. 72 L’S 55 adoperava benzina raffinata ad alto numero di ottani e mista a benzolo, ogni litro della quale pesava 750 grammi. Completamente pieni, i 14 serbatoi dell’idrovolante racchiudevano 4.065 chilogrammi, cioè 5420 litri. 101


del mio progetto. Otto mesi dopo l’ing. Marchetti doveva rifarsi dello scacco subito a Calshot in occasione dell’ultima Coppa Schneider: uscire insomma da una recente sconfitta del suo apparecchio da corsa. Mise così nella nuova impresa un impegno ravvivato da un nobile puntiglio.”CLXV Quanto al secondo aspetto – i materiali – la questione era un po’ più complicata. In Germania era già stata sperimentata e avviata la produzione di aerei metallici. Balbo ordinò alla Direzione Generale delle Costruzioni di chiedere alle ditte italiane se erano in grado di realizzare una versione metallica dell’S. 55, in modo da ridurne il peso complessivo, aumentandone di conseguenza – a parità di potenza dei motori – il carico di carburante e l’autonomia. Ma quasi tutte le ditte interpellate e, quel che era peggio, lo stesso Marchetti, risposero di non poterlo fare. L’unica risposta affermativa si ebbe dalla Piaggio, il cui progettista, il notissimo Giuseppe Gabrielli, era un sostenitore delle strutture metalliche in duralluminio. Il Ministero commissionò allora alla Piaggio sei idrovolanti sperimentali e chiese alla SIAI di consegnare i disegni dell’S. 55. Marchetti si oppose: erano suoi e lui ne era il proprietario, alla Piaggio non li avrebbe dati. Si uscì dalla questione con una prova di buona volontà e di grande gentilezza da parte di Marchetti: “La ditta SIAI non consegna i disegni alla ditta Piaggio” scrisse a Gabrielli mandandoglieli “ma al tecnico Gabrielli. Bada bene, i disegni li mando a te e chi te li dà non è la SIAI ma è Alessandro Marchetti.”CLXVI Così i problemi tecnici furono risolti in modo più che soddisfacente e, nell’autunno del 1930, per il nuovo S. 55 A. (Atlantico) “il consumo previsto per la crociera era di circa 190 chilogrammi per ogni ora di volo, con i motori a 1800 giri, alla velocità media di 165 chilometri all’ora. Ogni apparecchio avrebbe dovuto quindi consumare chilogrammi 1,160 di benzina al chilometro. Questi risultati, verso la fine di novembre, si potevano ormai ritenere acquisiti da una esperienza perfetta.”CLXVII Siamo ormai alla fine dell’anno e forse possiamo adoperare quest’ultima frase di Balbo per giudicare nell’insieme il 1929 della Regia Aeronautica: fu davvero un anno in cui, verso la fine di novembre, i risultati delle precedenti attività si potevano ritenere acquisiti da una esperienza se non perfetta, in via di divenire tale. Nell’arco di dodici mesi la Regia Aeronautica aveva cambiato aspetto. Aveva riorganizzato il personale attivo e di riserva e censito le proprie risorse per poterle impiegare al meglio. Si era data una dottrina d’impiego, si era risollevata dall’inefficienza del periodo precedente, aveva cominciato ad ammodernarsi, aveva colto alcuni grandi successi e si apprestava a coglierne di maggiori. Più autonoma grazie all’elevazione di Balbo al Ministero, aveva abbandonato, insieme a De Pinedo, l’assetto pionieristico per divenire, con Valle, una Forza Armata come le altre. Quella che nel dicembre del 1928 era ancora la cenerentola delle Forze Armate, nel maggio del ’29 aveva preso tanta coscienza della propria importanza da rivendicare la suprema condotta delle operazioni militari. L’apparato che nel 1928 non era stato in grado di compiere nemmeno una piccola esercitazione, era stato riorganizzato così bene che nell’agosto del ’29 si era dimostrato pari a quello delle altre due Forze Armate in quantità, e forse in grado di superarle nella qualità. Con tutte le sue luci e le sue ombre, il 1929 fu dunque un anno significativo per la Regia Aeronautica, un anno di svolta e di profondi cambiamenti, fu l’inizio di una nuova era. Con esso si apriva il periodo delle trasvolate atlantiche di squadra, dei primati maggiori e delle vittorie militari. Con esso la Regia Aeronautica cominciava i suoi dieci anni più belli.

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APPENDICI Appendice 1 Considerazioni sulla situazione del materiale di volo Promemoria del 18 agosto 1929 a firma del Sottocapo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica Generale di Divisione Aerea AA Francesco De Pinedo, rimesso dall’Ufficio di Stato Maggiore della Regia Aeronautica al Gabinetto di S.E. il Ministro con foglio N.° 11718 del 20 agosto 1929. Originale in Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce, carte riservate, 1929, fascicolo De Pinedo. Si considera la situazione attuale delle forze da caccia. Il fabbisogno effettivo è il seguente: Caccia terrestre Numero delle squadriglie Organico apparecchi per squadriglia Apparecchi per le squadriglie Apparecchi per i comandi Apparecchi per enti vari (Libro giallo 1928-29) Apparecchi di riserva Totale apparecchi

Caccia marittima 26 12 312 28 70 125 535

6 12 72 8 10 30 120

Gli apparecchi di riserva di cui sopra rappresentano, non una riserva di mobilitazione, ma solo quella esuberanza di apparecchi che è normalmente necessaria per poter colmare i vuoti che nei reparti si determinano per temporanee inefficienze e per invio di apparecchi alla riparazione. Tali riserve vengono così nella pratica ad essere costituite prevalentemente da apparecchi in riparazione che, quando pronti, stazionano nei magazzini solo un tempo relativamente breve, per essere poi nuovamente distribuiti a colmare nei reparti i nuovi vuoti. L’entità di queste riserve è stata approssimativamente computata nella misura del 30% degli apparecchi in linea. Oltre a ciò, supposta completa la linea, considerando un consumo annuo del 25%, occorre ogni anno un rifornimento di 135 apparecchi da caccia terrestre e 30 apparecchi da caccia marittima. In confronto a tale fabbisogno, si prospetta ora la esistenza al 1° luglio 1929, considerando in questa anche gli apparecchi efficienti solo per i voli sul campo, riparabili, ed in riparazione presso ditte. Esistono 128 apparecchi Ac. 3; monoplani, a struttura metallica, con motore raffreddato ad aria; le caratteristiche teoriche ad essi attribuite sono le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Ac.3 247 225 2h50’ 8200 Tali caratteristiche in pratica si sono dimostrate notevolmente inferiori; ma non si hanno in proposito elementi definitivi e recenti. Dopo i gravi incidenti verificatisi con tali apparecchi, per i quali furono sospesi i voli, per 50 di essi furono ordinati lavori di irrobustimento; ma, fatte eseguire, dopo i lavori, le prove relative alla robustezza ed al centraggio, la direzione generale delle costruzioni e degli approvvigionamenti ha informato che tali apparecchi presentano sempre inconvenienti di centraggio, per i quali il loro impiego deve essere limitato. Praticamente quindi, degli apparecchi Ac. 3, quelli non irrobustiti debbono considerarsi fuori servizio, quelli irrobustiti debbono considerarsi di nessun valor militare. Esistono 128 apparecchi Cr. 1; biplani, costruiti in legno, con motore raffreddato ad acqua; le caratteristiche teoriche ad essi attribuite sono le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Cr. 1 272 230 2h35’ 7450 Le caratteristiche pratiche sono notevolmente inferiori; non vi sono però in proposito elementi precisi. Tali apparecchi presentano per natura l’inconveniente di vibrazioni così violente da render precaria la sincronizzazione delle armi; già in servizio da tempo, non possono avere vita superiore ad un anno ancora. Esistono 109 apparecchi Cr. 20 e ne sono in costruzione o ordinati altri 162; biplani, a struttura metallica, con motori raffreddati ad acqua; le caratteristiche teoriche ad essi attribuite sono le seguenti: 104


Tipo Cr. 20

Velocità max 276

Velocità crociera 230

Autonomia vel. max 2h50’

Quota max 8050

Accertamenti, eseguiti allo scopo di determinare le caratteristiche pratiche di tali apparecchi hanno dato i seguenti risultati medi: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Cr. 20 250 200 2h50’ 6000 Questa diminuzione di caratteristiche, per un apparecchio così recente, è grave; tale apparecchio, se raggiunge a fatica i 6000 m., alla quota di 5000 m non può avere sufficiente maneggevolezza per la caccia; inoltre a tal quota non sarebbe più capace di attaccare con probabilità di successo un buon apparecchio da bombardamento del nemico, mentre sarebbe vittima sicura dei moderni apparecchi da caccia francesi. Non vi sono apparecchi da caccia sperimentali, né risulta ve ne siano in progetto o in costruzione. Esistono pochi idrocaccia M. 7 ter di nessun valore militare; sono in costruzione 22 idrocaccia Cr. 20, trasformazione idro dell’apparecchio Cr. 20 terrestre, che avrà le seguenti caratteristiche teoriche: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Cr. 20 idro 250 220 2h30’ 5000 Dati i risultati del Cr. 20 terrestre, dalla sua trasformazione idro si devono attendere risultati ancora inferiori. Sono in corso di costruzione 23 apparecchi M. 41, che dovranno avere le seguenti caratteristiche teoriche: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max M. 41 255 230 3h 6100 Si è in attesa del nuovo tipo di idrocaccia sperimentale S. 58 ter. Così, mentre occorrerebbe una disponibilità di apparecchi da caccia efficienti per la guerra in numero di 535 terrestri e 120 idrovolanti, da rinnovarsi continuamente con ordinativi annui di 135 terrestri e 30 idro, si potrà contare di avere efficienti per la prossima primavera, considerando già effettuate le consegne delle commesse in corso, solo su circa 250 Cr 20 terrestri, 18 o 20 Cr 20 idro, 20 o 22 M 41 2) – Si considera la situazione attuale delle forze da bombardamento. Il fabbisogno attuale sarebbe il seguente: Numero delle squadriglie Organico apparecchi per squadriglia Apparecchi per le squadriglie Apparecchi per i comandi Apparecchi per enti vari (Libro giallo 1928-29) Apparecchi di riserva Totale apparecchi

Bombardamento Diurno Notturno 10 10 9 6 90 60 16 8 15 20 40 30 161 118

Marittimo 10 6 60 8 5 30 103

Supposta completa la linea, considerando un consumo annuo del 25%, occorrerebbe ogni anno un rifornimento di 40 apparecchi da bombardamento diurno, 30 da bombardamento notturno, 26 da bombardamento marittimo. In confronto a tale fabbisogno si prospetta ora l’esistenza al 1° luglio 1929, considerando in questa anche gli apparecchi efficienti solo per voli sul campo, riparabili, o in riparazione presso ditte. Esistevano 159 apparecchi Br. 1; biplani costruiti in legno, con motore raffreddato ad acqua; con il motore originale Fiat a. 14 non avevano sicurezza di funzionamento e quindi nessun valore militare. Realizzato il motore Fiat A. 23, è in corso la trasformazione di 130 Br. 1 in Br.2 . Le caratteristiche teoriche di questi sono le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe Br. 2 248 210 5h30’ 6500 500 Accertamenti eseguiti allo scopo di determinare le caratteristiche pratiche di tali apparecchi hanno dato i seguenti risultati medi: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe Br. 2 240 200 5h30’ 5700 500 Tali apparecchi, di cui 36 già in servizio, non possono aver vita superiore ai due anni. Dispongono di una velocità che oggi può essere considerata ragguardevole, ma sono sensibilmente deficienti nei riguardi delle sistemazioni e della difesa.

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Esistono 111 apparecchi Ca. 73 e Ca. 74; biplani, costruiti in legno, con due motori raffreddati ad acqua, le cui caratteristiche teoriche sono le seguenti: Tipo Ca 73 Ca 74

Velocità max 181

Velocità crociera 140

Autonomia vel. max 6h

Quota max 3600

Carico bombe 1000

Accertamenti eseguiti allo scopo di determinare le caratteristiche pratiche di tali apparecchi hanno dato i seguenti risultati medi: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe Ca 73 150 120 5h30’ 3000 400 Ca 74 Su questi apparecchi la difesa può considerarsi nulla, le sistemazioni relative al bombardamento sono molto deficienti: sono state concretate delle migliorie in proposito, che, pur comportando una forte spesa, saranno attuate sui migliori esemplari in servizio; ma anche con tali modifiche, questi apparecchi, date le scadentissime qualità militari nei riguardi della velocità, della difesa, della capacità di quota, del carico militare, dovrebbero essere considerati di nessun valore militare; si fa presente come il loro impiego in guerra sulla catena alpina occidentale debba essere ritenuto problematico se non impossibile. Esistono 44 apparecchi S. 55, e ne sono in costruzione o ordinati altri 43, di cui 4 destinati all’aeronautica ausiliaria per la Regia Marina; monoplani in legno, con due motori raffreddati ad acqua, hanno le seguenti caratteristiche teoriche: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe S.55 195 160 6h 2750 800 Accertamenti eseguiti allo scopo di determinare le caratteristiche pratiche medie dell’apparecchio hanno dato i seguenti risultati: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe S.55 165 135 6h 2500 500 Su questi apparecchi la difesa è in condizioni migliori che non nei tipi precedentemente indicati; la velocità, la capacità di carico, la capacità di quota, sono però certamente molto piccole; occorrono lavori di miglioramento alle sistemazioni; data la scarsa capacità di quota, questi apparecchi non possono essere impiegati in profondità su territorio nemico e debbono essere utilizzati solo in operazioni sul mare o in operazioni che, passando attraverso il mare, si sviluppino per profondità moderata oltre la costa nemica, e quindi solo per particolari disegni operativi. Così, in confronto di un fabbisogno di 161 apparecchi da bombardamento diurno, 118 da bombardamento notturno e 103 da bombardamento marittimo, da rinnovarsi con sostituzione annua complessiva di 96 apparecchi, si può prevedere per la prossima primavera una esistenza di 120 br. 2, 100 Ca. 73 o Ca. 74, 80 apparecchi S. 55; i primi esigono alcune modifiche miglioratrici delle condizioni di impiego e di difesa e potranno avere presumibilmente vita di ancora due anni; i secondi esigono vari lavori di miglioramento, ma anche dopo questi, dato il loro valore militare quasi nullo, dovranno essere considerati soprattutto come apparecchi da addestramento; i terzi, malgrado le loro qualità militari non grandi, potranno presumibilmente essere utilizzati, per particolari compiti operativi e sul mare, fino a consumazione. Si considera ora la situazione nei riguardi degli apparecchi sperimentali. Nell’autunno 1926 sono stati commissionati alla ditta Caproni due apparecchi, l’uno biplano in legno con 4 motori 500 HP raffreddati ad acqua, l’altro biplano a struttura metallica con 6 motori da 1000 HP raffreddati ad acqua; il primo sembra abbia già dato cattive prove; il secondo, anche se soddisferà alle condizioni contrattuali, non sembrerebbe da riprodurre, per deficienza di qualità militari, di velocità, quota, difesa, considerando anche l’enorme mole e l’altissimo costo. Al principio del 1927 è stato bandito un concorso per un apparecchio da bombardamento plurimotore a struttura metallica capace di portare un carico di bombe di 2000 kg. Con un’autonomia di 3000 km. Capacità di salire alla quota di m. 5000 in on più di 60’. Partecipano al concorso le ditte Caproni, Fiat, Breda, ciascuna delle quali presenterà in proposito un monoplano con tre motori raffreddati ad acqua, e potenza complessiva rispettivamente di 3000 HP, 1650 HP, 1650 HP. Esaminando le condizioni del concorso, sembra che la salita richiesta non sia del tutto soddisfacente mentre la autonomia eccede i bisogni relativi alle guerre che più da vicino possono interessarci. Esaminando i disegni degli apparecchi, nei riguardi della postazione delle armi, in nessuno dei tre risulterebbe realizzata una capacità di difesa corrispondente alla grandezza, alla vulnerabilità, al costo dell’apparecchio. Si impone il problema di rendere utilizzabili ai fini della guerra quello tra gli apparecchi suddetti che alle prove risulterà il migliore. In particolare occorrerebbe studiare delle buone postazioni di armi ed esaminare se, riducendo le richieste per il carico e l’autonomia, si possano ottenere migliori qualità difensive e di salita. 106


3) - Si considera la situazione attuale delle forze da ricognizione terrestre. Il fabbisogno attuale sarebbe il seguente: Numero delle squadriglie Organico apparecchi per squadriglia Apparecchi per le squadriglie Apparecchi per i comandi Apparecchi per enti vari (Libro giallo 1928-29) Apparecchi di riserva Totale apparecchi

20 9 180 30 130 105 445

Supposta completa la linea, considerando un consumo annuo del 25%, occorrerebbe ogni anno un rifornimento di 110 apparecchi. In confronto di tale fabbisogno si prospetta ora la esistenza al 1° luglio 1929, considerando in questa anche gli apparecchi assegnati ad enti vari, efficienti solo per i voli sul campo, riparabili o in riparazione presso ditte. Esistevano numerosi apparecchi A.300/4, biplani, in legno, con il motore Fiat A.12 bis, raffreddato ad acqua; non avevano più alcuna sicurezza di funzionamento; per 150 di essi è in corso la trasformazione in A.330/6, sostituendo il motore A.12 bis col motore A. 20; le caratteristiche teoriche dell’A.300/6 sono le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max A. 300/6 190 150 3h50’ 5000 Tali apparecchi, già vecchi, non possono vivere oltre a lungo; deficientissimi nei riguardi della velocità e della difesa, hanno scarsissimo valore militare. Esistono 49 Ro. 1 e ne sono in costruzione o in ordinazione altri 170; biplani, a struttura metallica, con motore raffreddato ad aria, hanno le seguenti caratteristiche teoriche: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe Ro. 1 222 170 5h 6900 200 Eseguiti gli accertamenti nella pratica del servizio le caratteristiche medie di tali apparecchi sono risultate minori, e precisamente le seguenti: Tipo Velocità ma Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe Ro. 1 200 165 5h 5400 100 Sono apparecchi dotati di buone qualità di volo. Esistono 28 apparecchi A. 120 e ve ne sono in costruzione o in ordinazione altri 31; monoplani, a struttura metallica con motore raffreddato ad acqua, hanno le seguenti caratteristiche teoriche: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe A 120 242 200 5h 6800 50 Eseguiti gli accertamenti nella pratica del servizio le caratteristiche medie di tali apparecchi sono risultate minori, e precisamente le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe A 120 225 180 5h 4500 50 Questi apparecchi hanno velocità più forte dei precedenti, ma qualità di salita minori. Così, in confronto di un fabbisogno di 445 apparecchi, da rinnovarsi con sostituzione annua di 110 apparecchi, si può prevedere per la primavera 1930 una esistenza di circa 130 A. 300/6, 200 Ro. 1, 50 A. 120. Occorre prevedere una sostituzione rapida degli A. 300/6 ed in un secondo tempo la sostituzione dei Ro. 1 e degli A. 120 con apparecchi di migliori qualità militari. Non esistono apparecchi sperimentali. 4) – Si considera la situazione delle forze dell’aeronautica ausiliaria per la Regia Marina. Il fabbisogno attuale sarebbe il seguente: Ricogniz. Ricogniz. vicina lontana Numero squadriglie 12 Organico apparecchi per squadriglia 9 Apparecchi per le squadriglie 108 Apparecchi per i comandi 20 Apparecchi per enti vari (Libro giallo 1928-29) 40 Apparecchi di riserva 50

Apparecchi imbarcati 1 6 6 2

24 8 107


Totale apparecchi

218

8

32

Supposta completa la linea, considerando un consumo annuo del 25%, occorrerebbe ogni anno un rifornimento rispettivamente di 55, 2, 8 apparecchi. In confronto di tale fabbisogno si prospetta ora la esistenza al 1° luglio 1929, considerando in questa anche gli apparecchi efficienti solo peri voli sul campo, riparabili o in riparazione presso ditte. Esistono 21 S. 59 e 123 S. 59 bis; biplani in legno, con motore raffreddato ad acqua. Le caratteristiche teoriche dell’S. 59 bis sono: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe S.59 bis 210 160 5h 4200 200 Eseguiti gli accertamenti nella pratica del servizio le caratteristiche medie di tali apparecchi sono risultate le seguenti: Tipo Velocità max Velocità crociera Autonomia vel. max Quota max Carico bombe S.59 bis 190 155 5h 3800 200 Armati solo di torretta anteriore, questi apparecchi mancano del tutto di difesa posteriore ; in conseguenza possono essere impiegati con sufficiente disinvoltura sul mare, quando siano scarse le possibilità d’incontro con apparecchi nemici, ma debbono essere impiegati con molta cautela se debbano volare sulle coste nemiche o comunque in condizioni in cui l’incontro di cacciatori nemici dovesse essere ritenuto probabile. Esistono 4 apparecchi S. 55 per la ricognizione lontana e 4 sono in ordinazione. Per l’imbarco sulle Regie Navi esistono 11 M. 18 ad ali pieghevoli e 7 in ordinazione e 15 apparecchi M. 7 ter, idrocaccia, ad ali pieghevoli; le caratteristiche di questi apparecchi sono scadentissime in tutti i sensi; gli apparecchi stessi possono considerarsi utili al solo scopo dell’addestramento, in attesa che siano realizzati apparecchi migliori. Si è in attesa di iniziare le prove di collaudo di due tipi sperimentali di idrovolanti da imbarcare sulle navi: M. 40 e P. 6 ter. Così, in confronto di 218 apparecchi da ricognizione vicina, 8 da ricognizione lontana, 32 per l’imbarco sulle navi, da rinnovarsi con sostituzione annua rispettiva di 55, 2, 8 apparecchi, si può considerare un’esistenza di 21 S. 59, 123 S. 59 bis, 6 S. 55 e 35 apparecchi ad ali pieghevoli per l’imbarco sulle navi. 5) – La situazione esposta nei numeri precedenti risulta poco buona dal punto di vista economico; è noto del resto come la deficienza di apparecchi abbia costretto ad una temporanea e forte riduzione di organico dei reparti, mentre all’infuori di questi l’attività di volo del personale destinato ad altri enti si svolge attraverso grandissime difficoltà. Per sanare entro un certo tempo la situazione numerica, potrebbe bastare una rilevante ordinazione generale di apparecchi nuovi. Se si tiene conto che la vita di un apparecchio difficilmente supera i 4 anni, si rileva che anche se la linea fosse completa, bisognerebbe prevederne il rinnovamento completo nel periodo di 4 anni, preventivando quindi per ogni anno una spesa corrispondente al quarto della linea; e malgrado l’attuale deficienza attuale, si potrebbe seguire lo stesso procedimento, giungendo così alla fine del quarto anno ad una efficienza numerica quasi completa. Prendendo come base il costo attuale degli apparecchi delle varie specialità e non considerando le spese relative a motori di riserva ed a parti di ricambio, il valore complessivo degli apparecchi necessari risulterebbe quello indicato nel seguente prospetto: Specialità Fabbisogno Costo medio Costo apparecchi unitario complessivo Caccia terrestre 535 240.000 128.000.000 Caccia marittima 120 260.000 31.200.000 Bombardamento diurno 161 300.000 38.300.000 Bombardamento notturno 118 550.000 64.900.000 Bomb. marittimo e ricognizione marittima lontana 111 640.000 71.040.000 Ricognizione terrestre 445 270.000 120.150.000 Ricognizione marittima aerei imbarcati 256 250.000 64.000.000 Totale 517.590.000 Aggiungendo alla somma suddetta il 25% per motori e parti di ricambio, la spesa di rinnovamento totale in un periodo di 4 anni, sulla base di costi unitari uguali a quelli attuali, si aggirerebbe sui 650.000.000; le spese di rinnovamento annuo, in fase di regime, si aggirerebbero sui 163.000.000. 6) – Senonché la situazione suddetta, già difficile dal punto di vista del numero, risulta poi addirittura preoccupante se viene considerata dal punto di vista qualitativo. Infatti gli apparecchi che è possibile ottenere attualmente dall’industria nazionale hanno qualità militari nettamente scadenti. Si richiama l’attenzione, ad esempio, sul fatto che l’apparecchi Cr. 20 solo a stento raggiunge la quota di m. 6000; è evidente che tale apparecchio alla quota di m. 5000 già non possiede più quelle doti di esuberanza che sono 108


necessarie per u efficace impiego nella caccia; a quota 5000 il Cr. 20 difficilmente potrà attaccare con probabilità di successo u apparecchio da bombardamento ben armato, e risulterà in condizioni di inferiorità notevolissima rispetto ai più recenti apparecchi da caccia francesi, che hanno dato prove di velocità e di salita impressionanti; ed ancora, poiché sono già in servizio in Francia apparecchi da bombardamento con quota di tangenza verso i 7000 metri, risulterebbe possibile a questi agire contro la nostra penisola senza dover temere alcun disturbo da parte della nostra caccia. In questo stato di cose, fatto grave è quello che non esiste allo studio o in preparazione un apparecchio da caccia più moderno del Cr. 20. Ora è noto che un apparecchio nuovo, per necessità relative allo studio del progetto, alla realizzazione del primo esemplare, alle prove di questo, alla eliminazione dei primi difetti, alla costruzione della prima serie, non può entrare in servizio prima che siano passati circa tre anni dalla impostazione del suo studio; ne consegue che ancora per almeno 3 o 4 anni la nostra aeronautica non potrebbe fare assegnamento su apparecchi diversi dal Cr. 20 che già oggi ha scarso valore guerresco, mentre invece le aeronautiche vicine migliorano con continuità ininterrotta il loro materiale. Circostanze analoghe si verificano anche per le altre specialità; di apparecchi sperimentali in preparazione che meritino effettiva attenzione non vi sono che i tipi di grande autonomia, i quali tuttavia, per il loro costo, potranno essere approvvigionati solo in piccolo numero, mentre, per le loro caratteristiche, dovranno probabilmente essere impiegati prevalentemente di notte. Si precisa quindi per tutte le specialità l’assoluta necessità di iniziare e condurre a termine con la massima urgenza la realizzazione di tipi sperimentali studiati strettamente in relazione ai bisogni dell’impiego; per tali bisogni si fa riferimento a quanto è contenuto nel documento di quest’ufficio “Considerazioni sul programma sperimentale della Regia Aeronautica”, compilato nel febbraio ultimo scorso. Fino a quando prototipi veramente soddisfacenti non saranno stati realizzati, l’efficienza bellica effettiva nella nostra aeronautica si troverà necessariamente ad attraversare una grave crisi. 7) - Date le scadenti qualità degli apparecchi di cui è possibile l’immediata ordinazione, può risultare dubbi la convenienza di sanare immediatamente la situazione numerica spendendo forti somme per un materiale di scarso valore. Certo, per rimettere in completa efficienza la nostra aeronautica, sarebbe conveniente attendere che fossero stati realizzati dall’industria nazionale prototipi soddisfacenti per le varie specialità, rassegnandosi intanto, con gli apparecchi che ora si possono avere o costruire, soltanto a mantenere i reparti in condizione di buon addestramento. In tal caso, la crisi di scarsa efficienza verrebbe a durare da 3 a 4 anni, avendosi per ogni anno la spesa di rinnovamento di materiale di poco inferiore a quella indicata alla fine del n. 5; l’efficienza completa potrebbe poi essere ottenuta dopo il quarto o il quinto anno con una spesa notevolmente forte di almeno 700 o 800 milioni, tanto per la necessità di un rapido rinnovamento di tutta la linea, quanto perché il costo unitario degli apparecchi più moderni risulterebbe superiore a quello degli apparecchi attuali. Senonchè come detto, per 3 o 4 anni l’efficienza bellica della nostra aeronautica risulterebbe molto scarsa; per adottare tale linea di condotta occorrerebbe quindi che le condizioni generali della politica permettessero fondatamente di escludere per il suddetto periodo ogni eventualità di guerra. Qualora invece le condizioni della politica generale dovessero fra ritenere necessario tener pronto alla guerra il paese in ogni momento, risulterebbe necessario ricorrere a provvedimenti di eccezione, di cui gli estremi consisterebbero nel rapido rifornimento all’estero di un buon numero dei migliori apparecchi da caccia e da bombardamento che si potessero trovare, facendo intanto procedere contemporaneamente con la massima rapidità l’approntamento di altri apparecchi nazionali che potessero poi sostituire i primi; anche in questo caso, una sufficiente efficienza delle nostre forze non potrebbe essere ottenuta però prima di uno o due anni dall’inizio dell’opera. La decisione circa la linea di condotta da seguire in merito spetta evidentemente alle somme autorità responsabili della politica nazionale. 8) – quando sarà considerata la necessità di raggiungere effettivamente una buona efficienza guerresca delle forze aeree, in dipendenza della scelta dei prototipi dovranno essere affrontati i problemi della preparazione dell’industria nazionale alla produzione di guerra in serie, e quelli della costituzione delle riserve necessarie a mantenere in guerra la forza di linea fin quando ai consumi non potrà sopperire la produzione intensificata.

109


APPENDICE 2 Allegato al “Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle ALLEGATO 8. AUTOMEZZI =============== TIPO DELL’AUTOVEICOLO OD IMBARCAZIONE

FABBISOGNO TerDi Totale ritomobiriale litazio -ne

Autovetturetta Autovettura Autobus leggeri Autobus pesanti Autocarri leggeri Autocarri pesanti Autotrattori Furgoni rimorchio Carri rimorchio Autostazioni R.T. Autolaborat. fotograf. Autofficine Autofari Autoambulanze Autovelivoli Autobotti per benz. Autobotti per acqua Autopompe Autodemarreur Motociclette Motocarrozzette Laboratori fot. mot. Motoscafi alto mare Motoscafi Motobarche Motobarche m. 7 Lance Battelli m. 4,50 Battelli m. 3,83 Biciclette

54 54 64 22 124 127 20 74 28 51 27 33 16 71 9 23 24 21 34 40 285

69 54 111 175 323 108 117 31 14 40 12 37 10 23 71 56 10 208 58 45 7 41 381

123 108 175 22 299 450 20 108 191 31 14 40 40 88 37 23 104 72 10 208 71 58 9 68 24 4 21 75 40 666

Aumento del 10% circa

Totale

Esistenza

Da approvvigionare

12 12 20 3 31 50 12 19 4 1 5 5 12 3 2 11 8 1 22 9 7 7 2 2 7 5 69

135 120 195 25 330 500 120 210 25 15 45 45 100 40 25 105 80 11 230 80 65 9 75 26 4 23 82 45 735

95 130 86 29 170 14 15 62 12 4 54 7 27 47 42 33 4 35 50 21 300

40 109 330 330 6 105 148 23 15 45 41 46 33 25 88 80 11 230 33 65 9 33 32 24 435

Prezzo unitario

IMPORTO

14.000 560.000 23.000 48.000 5.232.000 39.000 12.870.000 49.000 16.170.000 100.000 600.000 28.000 2.940.000 13.000 1.924.000 200.000 4.600.000 230.000 3.450.000 120.000 5.400.000 100.000 4.100.000 56.000 2.576.000 160.000 5.280.000 72.000 1.800.000 65.000 5.720.000 126.000 10.080.000 16.000 176.000 7.000 1.610.000 9.000 297.000 20.000 1.300.000 200.000 1.800.000 54.000 1.782.000 3.000 96.000 2.000 48.000 500 217.500 TOTALE L. 90.628.500 ==========

N.B. – Nel quantitativo di automezzi da approvvigionare non è considerato il numero di quelli da requisire, perché non utilizzabili agli effetti della mobilitazione. Servono per rimpiazzare i consumi successivi alla mobilitazione.

110


APPENDICE 3 Allegato al “Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle ALLEGATO 9. MATERIALE SANITARIO E PER DIFESA CHIMICA =========================================== MATERIALE CHIMICO Ricoveri aeroporti e magazzini

n.°

70 a L.

30.000

L.

2.100.000

Attrezzamenti posti di soccorso

70

“ “

10.000

700.000

Autoprotettori (2 per ogni campo e magazzino 1 per ogni comando mobilitato fino ai comandi di Gruppo, 1 per ogni magazzino avanzato o equivalente)

240

“ “

1.000

240.000

Autobotti complete di materiale disinfettante, distribuite come sopra

240

“ “

100.000

24.000.000

Armadietti conservazione maschere (1 per ogni campo e magazzino, 1 per squadriglia o comandi e servizi mobilitati

250

“ “

500

125.000

Armadio per disinfezione maschere (distribuiti come sopra)

250

“ “

500

125.000

Sacchi antipiritici per viveri (2 serie, ognuna distribuiti come sopra

250

“ “

2.400

600.000

Indumenti antipiritici (2 maschera e 2 combinazioni per ogni uomo

n.° 60.000

“ “

1.000

60.000.000

Indumenti antipiritici per personale di volo (2 per ogni pilota)

“ “

1.100

6.600.000

6.000

MATERIALE SANITARIO Cofano pronto soccorso

n.° 250

“ “

750

187.500

Pacchetti pronto soccorso

n.° 5.000

“ “

25

125.000

----------------------TOTALE L.

94.802.500

111


APPENDICE 4 Allegato al “Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle ALLEGATO 10. D E M A N I O ======================

1°) -

Lavori ad aeroporti sede di reparti di impiego………………………………………………..

L.

128.900.000

2°) -

Scuole, aeroporti sperimentali, aeroporti disarmati da conservare…………………………..

24.000.000

3°) -

Campi di mobilitazione……………………………………………………………………….

50.000.000

4°) -

Campi di rotte aeree ed aeroporti civili……………………………………………………….

50.000.000

5°) -

Stazioni R.T. - R.G…………………………………………………………………………..

8.000.000

6°) -

Magazzini principali e succursali per materiali d’aeronautica………………………………..

106.000.000

7°) -

Magazzini di Commissariato………………………………………………………………….

5.000.000

8°) -

Accasermamenti e varie………………………………………………………………………

26.000.000

----------------------------TOTALE L. 397.900.000 ================

112


Appendice 5 Allegato N° 5 al documento “Ipotesi Ovest, Ipotesi Est, Ipotesi doppia, considerazioni generali” (N.B.: il documento è stato riportato con la massima fedeltà grafica, cambiando solo il tipo di caratteri) = ALLEGATO N° 5 = = F

R

A

N

C

I

A =

SITUAZIONE REPARTI ARMATA AEREA

Specialità

N° di squadr.

N° di apparec.

Tipo Velocità medio max. apparec. Breguet 200 19-B 2 Amiot 220 S.E.C.M.

B.D. Combatt.

48

720

e Bomb B.N.

12

B.M.

120

6

C.T.

72

31

C.M.

310

1

TOTALI I

98

Bleriot 127 Farman G. 60 Farman 63 Latham H.B. 3 Cams 33 Devoitine 27 Wibault 70 CL Gourdon 32 - CL Willier C. 22 C.A.M.S 31

12

I

1234

Velocità croc.

AUTO NOMIA Ore Km

Raggio azione

Quota max

Quota utile

Carico NOTE esplosivo

170

5,30

1230

450

6200

5000

300

+

180

3,20

730

300 (°)

5500

5000

400

(°) 700 km. a vel. croc

221 a 2000 m. 140

200

5-

1100

400

8100

5000

250

120

7-

1000

400

4600

4600

900

170

140

4?

680

225

4600

4600

1000

165

135

4-

660

200

4500

4500

600

198 310

165 270

42,40

800 800

325 300

4500 9250

4500

550

2,30

580

200

8000

234 a 4000 m 270

240

2,30

675

225

9500

212

185

3-

635

200

7000

200

165

3,30

700

250

7000

(+)

(+)

I

SITUAZIONE REPARTI DELL’AVIAZIONE DA RICOGNIZIONE PER L’ESERCITO E LA MARINA R.T.

42

R.M.

7

TOTALI I

49

-

336

Breguet 19 A.2 Potez 25 A. 2 Levy Riche Cams 37 Levasseur P. L 4

84 I

420

225

200

5,30

1235

550

6500

(+)

221

190

3,30

770

330

7400

(+)

208

180

4-

832

360

5500

190 175

170 150

5-

871

375

4500 5000

I

Totale generale delle squadriglie e degli apparecchi dell’A.A. e della aviazione per l’Esercito e la Marina: SQUADRIGLIE N° 147 – APPARECCHI N° 1654. Esistono inoltre N° 30 squadriglie coloniali con un totale di 240 apparecchi. Riserva di apparecchi di tipo vario, che risulterebbe esistente, N° 4000 apparecchi.

113


(La parte dell’Allegato 5 relativa alla Jugoslavia è ridotta ai tre lacerti, che si riportano qui sotto)

= ALLEGATO N° 5 = = J U G O S L A V I A= ^^^^^^^ Gli apparecchi in servizio nell’aviazione S.H.S. sono (manca; sotto segue il secondo lacerto)

La situazione numerica dell’aviazione S.H.S. è la seguente : Apparecchi da Bombardamento e Ricognizione N° 250 “

Apparecchi da caccia tipo Dew. C.I.

in ordinazione

N° 200

.

N° 94

(Caratteristiche: Vel. Max 250 Km/ora) Quota max. 8000 m. (manca il resto; sotto segue il terzo lacerto)

…Autonomia 3 ore) Apparecchi da caccia in costruzione (tipo D. 27) Idrovolanti delle varie specialità

N° 50 N° 100

114


INDICI INDICE DEI NOMI E DELLE DITTE NB: trattandosi d’un’edizione telematica, non ci sono i numeri di pagina ma il solo elenco, perché,.per trovare il nome voluto è sufficiente scriverlo nella funzione “cerca”, identificata anche da una lente d’ingrandimento Agnelli, Giovanni, senatore e industriale italiano Alcok, John, trasvolatore britannico Alessandrini, Renato, motorista capo operaio Amundsen, Roald Engelbert, esploratore polare norvegese Arduino, Ettore, sottotenente AA Arlotta, Mario, ambasciatore italiano ad Atene Armani, Armando, generale DA, capo di SMRA Attal, Salvatore, ingegnere e teorico della guerra aerea Badoglio, Pietro, maresciallo d’Italia, capo di SMG Balbo, Italo, generale (cpl) SA e sottosegretario all’Aeronautica Balbo, Lino, maggiore AA Baracca, Francesco, MOVM, maggiore Regio Esercito e asso della Grande Guerra Behounek, Frantisek, professore di fisica Bernotti, Romeo, ammiraglio di squadra e sottocapo SMRM Biagi, Giuseppe, 2° capo Rt Regia Marina Bitossi, Tenente Colonnello AA Bonomi, Ruggero, maggiore AA Bonzani, Alberto, generale di divisione del Regio Esercito e sottosegretario all’Aeronautica Botti, Ferruccio, colonnello dell’Esercito Italiano e storico militare Breda Aeronautica Briganti, Alberto, maggiore AA e aiutante di volo di Italo Balbo, poi sottocapo di SMA Brown, Arthur Witten, trasvolatore britannico Cagna, Stefano, capitano AA Cagni Umberto, ammiraglio d’armata, senatore, ministro ed esploratore polare Campanelli, Ernesto, sottufficiale motorista AA Cant - Cantieri Aero Navali del Tirreno Cappuzzo, Ercole, generale BA comandante la II ZAT Caproni Caratti, Attilio, maresciallo AA Cavalli Molinelli, Pietro Achille, Tenente Generale Medico della R. Marina. Cecioni, Natale, capotecnico Cella, Gian Riccardo, industriale italiano Cermelli, Mario, storico militare Challenge, Coppa internazionale del Turismo Ciocca, Calisto, motorista Ciuknowski, B. G., pilota sovietico Clemenceau, Georges, presidente del consiglio dei ministri francese Conduriotis, Pavlos, ammiraglio e presidente del consiglio dei ministri greco Conz, Angelo Ugo, ammiraglio di squadra Coop, Ernesto, colonnello AA e teorico di strategia aerea Costanzi, Giulio, generale GA, Crocco, Gaetano Arturo, generale GA Dal Molin, Tommaso, maresciallo AA De Bernardis, Mario, capitano AA De Pinedo, marchese Francesco, trasvolatore, generale DA e sottocapo SMRA Del Prete,Carlo, colonnello AA e trasvolatore Denti Amari Salvatore, nobile dei duchi di Pirajno, ammiraglio di divisione. Dornier Douhet, Giulio, generale del Regio Esercito e teorico di strategia aerea Eredia, Filippo, capo servizio meteorologico Regia Aeronautica Ferrarin, Arturo, colonnello AA e trasvolatore Fiat Fiorese, Raffaele, ammiraglio di squadra Flaccomio, Sergio, capitano AA Fokker 115


Gabrielli, Giuseppe, ingegnere e progettista aeronautico Gazzera, Pietro, generale d’armata, sottosegretario alla Guerra e capo di SMRE Giolitti, Giovanni, presidente del consiglio dei ministri italiano Guidoni, Alessandro, generale AA Harmon, trofeo International Ligue of Aviators Isotta Fraschini Junkers Kurski, Dimitri Ivanovic, ambasciatore sovietico in Italia Lago, Ugo, giornalista Locatelli, Antonio, generale AA, MOVM e trasvolatore Lombard, Vincenzo, generale BA comandante la II ZAT Lundborg, Einar, tenente pilota svedese Macchi Maddalena, Umberto, tenente colonnello AA e trasvolatore Malmgren, Finn, professore di meteorologia Manni, Giuseppe, colonnello AA, capo II Reparto SMRA Marchetti, Alessandro, ingegnere e progettista aeronautico Mariano, Adalberto, capitano di corvetta Mazzotti, Filippo, industriale Mecozzi, Amedeo, T.Col. AA e teorico di tattica aerea Mitchell, William, generale americano, teorico di strategia aerea Mondadori, casa editrice. Mussolini, Benito, dittatore italiano Nobile, Umberto, generale GA ed esploratore polare Oppizzi, Pietro, generale BA, direttore generale del Personale Militare e delle Scuole della Regia Aeronautica Pecori Giraldi, conte Guglielmo, OMS, generale d’armata e senatore del Regno Pellegrini Aldo, colonnello AA, capo di gabinetto Ministero Aeronautica Pelliccia, Antonio, generale SA e storico militare, Pentimalli, Natale, generale Regio Esercito Piaggio, società industriale Piaggio, industriale italiano Piccio, Pier Ruggero, MOVM, asso della Grande Guerra , generale DA, Capo di SMRA Polverelli, Gaetano, giornalista, deputato e poi capo ufficio stampa presidenza del consiglio Pomella, Vincenzo, capo operaio motorista Pontremoli, Aldo, professore di fisica Pujia, Francesco, presidente di Sezione di Corte di Cassazione e Senatore del Regno. Rochat, Giorgio, storico militare Romagna-Manoja, Giuseppe, capitano di vascello Samoilovich, Rudolf Lazarevic, geografo sovietico Savoia-Carignano-Soissons, Eugenio, principe di, generale Scaroni, Silvio, MOVM, asso della Grande Guerra e generale DA Schneider, coppa Siai Silin, Grigorii, addetto aeronautico URSS a Roma Sirianni, Giuseppe, ammiraglio di squadra, MOVM e Sottosegretario alla Marina Stabilimento Costruzioni Aeronautiche, Steel, John, generale britannico, Tedeschini Lalli, Gennaro, OMS, colonnello AA, poi generale SA Teruzzi, Attilio, console generale MVSN Troiani, Felice, ingegnere aeronautico Vacchelli, Nicola, Generale di Brigata Regio Esercito Valle, Giuseppe, OMS, generale BA, poi Capo di SMRA Vece, Francesco, generale BA comandante la I ZAT Viglieri, Alfredo, tenente di vascello Vittorio Emanuele III, re d’Italia Vocino, Michele, Direttore Capo Divisione del Ministero della Marina. Zacchetti, Vitale, sottufficiale motorista AA Zappi, Filippo, capitano di corvetta

116


INDICE DEGLI AEREI, DEI DIRIGIBILI E DELLE NAVI Breda Br 2 Breda 15 Breda 15 S Breda 19 Breda CC 20 Breguet 19 Cant 22 R San Sergio Cant 23 Cant 25 Cant 25 M Cant 26 Cant 36 Caproni Ca 100, “Caproncino” Caproni Ca 101, “Caprona” Caproni Ca 73 Caproni Ca 74 Caproni Ca 90 Caproni Ca 95 Caproni Cr 20 idro Caproni Cr 20 terrestre De Havilland Moth Dewoitine 27 Dornier X Farman 60 Fiat A 120 Fiat A 300/6 Fiat Ac 3 Fiat As 1 Fiat BRG Fiat CR 42 Macchi M 40 Macchi M 41

Macchi M 41 bis Macchi M 52 R Macchi M 7 ter Macchi M 70 Macchi MC 202 Morane 222 Piaggio P 6 ter Piaggio P 7 Piaggio P 8 Reggiane Re 2001 Romeo Ro 1 Siai Marchetti 16 ter Siai Marchetti 16 ter, Gennariello Siai Marchetti S 55 A, Siai Marchetti S 55, Siai Marchetti S 59 Siai Marchetti S 59 Siai Marchetti S 59 bis Dirigibile rigido Hindenburg Dirigibile semirigido Italia Dirigibile semirigido Norge Dirigibile semirigido P 4 Regia Nave Calatafimi Regia Nave Città di Milano Regia Nave Curtatone Regia Nave Montanara Regia Nave Palestro Regia Nave Riboty Nave rompighiaccio sovietica Krassin

117


INDICE DEI LUOGHI E DEI TRATTATI Adriatico Africa Settentrionale Ajaccio Albania Alpi America meridionale Aosta Argentina Atene Atlantico, oceano Australia Belgrado Biserta Bologna Bosforo Bosnia Brindisi Britanniche Isole Bulgaria Buyukderei Calshot Campania Caserta Cattaro Cecoslovacchia Champagne Cina Cirenaica Civitavecchia Cornice Corsica Costanza Dalmazia Danubio Dardanelli Delfinato Dodecanneso Egeo Eleusi Emilia Romagna Eritrea Erzegovina Etiopia Europa Ferrara Fiandre Firenze Fiume Francia Friuli - Venezia Giulia Gap Genova Germania Ghisonaccia Giappone Gibuti Grecia Hadgibeisky, lago Inghilterra Istanbul

Istria Italia Izmit Jesi Jugoslavia Kensington Lazio Libano Libia Liguria Lione Livorno Lombardia Londra Lubiana Macedonia Mar di Marmara Mar Nero Mareth Marsiglia Mediterraneo Melbourne Mers-el-Kebir Milano Mostar Napoli New York Nizza Novi Sad Nuova Guinea Odessa Orbetello Oristano Otranto, Canale di Parigi Piemonte Piombino Pisa Polonia Pordenone Portsmouth Provenza Puglia Rapallo, trattato di Rodano, valle del Roma Roma, aeroporto del Littorio Roma, aeroporto di Centocelle Roma, Ministero dell’Aeronautica Roma, Montecitorio Roma, Scuola di Guerra Aerea Roma, via Gaeta, ambasciata sovietica Romania Salonicco Sardegna Savoia Sicilia Siracusa Siria Somalia 118


Spagna Sudghiol, lago Taranto Terni Terranova Tevere Tokio Tolone Tonchino Torino Toscana Trapani Trieste Tunisi Tunisia Turchia Ungheria Unione Sovietica Valle Padana Varna Veneto Venezia Ventimiglia Versailles Vigna di Valle Washington, trattato di Wight, isola di Zagabria

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INDICE DEI REPARTI E DEGLI ENTI MILITARI

Ministero della Guerra • Commissione Suprema di Difesa • Stato Maggiore Generale Regio Esercito • • •

Genio Militare Regio Corpo Truppe Coloniali Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico

Regia Marina • •

Stato Maggiore Regia Marina Stato Maggiore Regia Marina, Ufficio Operazioni

Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Regia Aeronautica • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Accademia Aeronautica Aeronautica ausiliaria per il Regio Esercito Aeronautica ausiliaria per la Regia Marina Armata Aerea Aviazione Coloniale Commissariato d’Aeronautica Commissariato d’Aeronautica, Comando Generale Commissariato d’Aeronautica, Direzione Superiore dei Servizi Amministrativi e del Personale Commissariato d’Aeronautica, Direzione Superiore del Genio e delle Costruzioni Aeronautiche Commissariato d’Aeronautica, Direzione Superiore del Traffico e dell’Istruzione Commissariato d’Aeronautica, Reparto di Volo Corpo del Commissariato Aeronautico Corpo del Genio Aeronautico Demanio Aeronautico Museo Storico dell’Aeronautica Militare Regia Aeronautica, Direzione Generale del Personale Militare e delle Scuole Regia Aeronautica, Direzione Superiore delle Esperienze Riserva Aeronautica Scuola di Guerra Aerea Servizio Sanitario Aeronautico Stato Maggiore Regia Aeronautica, Reparto Operazioni Stato Maggiore Regia Aeronautica, Reparto Ordinamento e Mobilitazione I Zona Aerea Territoriale II Zona Aerea Territoriale III Zona Aerea Territoriale Brigata Aerea Speciale Stormo, 1° Caccia Terrestre Stormo, 4° Caccia Terrestre Stormo, 50° d’Assalto Gruppo, VII Caccia Terrestre Gruppo, XXIII Caccia Terrestre Gruppo, LXXX Caccia Terrestre Gruppo, LXXXVI Caccia Terrestre Gruppo, LXXXVI Bombardamento Marittimo 120


• • • • • • • • • • • •

Gruppo, LXXXVII Bombardamento Marittimo Gruppo, XCI Bombardamento Marittimo Gruppo, XCIII Bombardamento Marittimo Gruppo, XVII Bombardamento Notturno Gruppo, XXVI Bombardamento Notturno Squadriglia, 170ª, XCI Gr. B.M. Squadriglia, 171ª, XCI Gr. B.M. Squadriglia, 190ª, LXXXVI Gr. B.M. Squadriglia, 191ª, LXXXVI Gr. B.M. Squadriglia, 192ª, LXXXVII Gr. B.M. Squadriglia, 389ª, 50° St. A. Squadriglie per gli Aeroclub

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NOTE BIBLIOGRAFICHE

I

PAOLETTI, Ciro, “The first air-war doctrine of Italian Royal Air Force: 1929,” comunicazione presentata al 67° congresso della Society of Military History – Quantico (Virginia), the U.S. Marines Corp University, 28 aprile 2000; PAOLETTI, Ciro, “Balbo, Mussolini e le dimissioni di De Pinedo dell’agosto 1929”, su “Rivista Italiana Difesa” anno XIX, n. 4, aprile 2001; PAOLETTI, Ciro, “Le risorse materiali della Regia Aeronautica nel 1929”, su “Rivista Italiana Difesa”, anno XXIII, n. 4, aprile 2005; PAOLETTI, Ciro, “La Marina e le Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea: una storia del 1929”, su “Rivista Marittima”, anno CXLVI, n. 8/9 agosto/settembre 2013; II De PINEDO, Francesco, Progetto per un raid aereo Roma Melbourne Tokio Roma, pag. 2. La copia cui si fa riferimento è quella conservata nell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito (d’ora in poi AUSSME) che dovrebbe essere l’ultima brutta copia prima del testo definitivo. Lo si deduce perché è già dattiloscritta su carta intestata della Regia Aeronautica, ma presenta alcune correzioni autografe a penna di De Pinedo III Ibidem. IV De PINEDO, Francesco, Conferenza sull’aviazione, tenuta a Roma su invito del Fascio dell’Urbe nel 1928, testo in AUSSME, fondo cit., pagg. 9 e 10. V Idem, pag. 10. VI MUSSOLINI, Benito, La riforma militare, discorso pronunciato al Senato del Regno il 2 aprile 1925. In B. MUSSOLINI, Discorsi, a cura di B. Giuliano, Bologna, Zanichelli, 1939, pag. 67. VII ALEGY, Gregory “Sette anni di politica aeronautica” in Atti del Convegno su Balbo Aviatore, Roma, 1997, parte 2, par. “la questione dei bilanci.” VIII Cfr. Alegy, in op. cit. IX Rip. in Alegy, op. cit. X Ibidem. XI “Questi furono gli errori del generale”, intervista a Michele Vocino, su “Telesera”, del 12 dicembre 1960. XII Ministero della Marina, Commissione d’indagini per la spedizione polare dell’aeronave “Italia” – Relazione, Roma, Rivista marittima, 1930, (d’ora in poi “Relazione”) pagg. 7-8. XIII Intervista a Michele Vocino, cit. XIV VALLE, Giuseppe, articolo sul “Giornale d’Italia” del 15 e del 16 aprile 1966, rip. in NOBILE, Umberto, La tenda rossa, Milano, Mondadori, 1969, pag. 266. XV NOBILE, Umberto, La tenda rossa, Verona, Mondadori, 1969, pag. 278. XVI Testimonianza del capo tecnico Cecioni, rip. in “Relazione”, cit., pag. 13. XVII Testimonianza del Capitano di Corvetta Mariano, rip. in “Relazione”, pag. 14. XVIII “Relazione”, pag. 15. XIX Ibidem. XX Idem, pag. 18. XXI CROCCO, Gaetano Arturo, Perizia tecnica, rip. in “Relazione”, pag. 25. XXII Idem, pag. 28. XXIII Idem, pag. 30. XXIV Idem, pag. 31. XXV Idem, pag. 36. XXVI Idem, pag. 31. XXVII Rip. in NOBILE, op. cit., pag. 278. XXVIII TROIANI, Felice, La coda di Minosse, cit., pag. 750. XXIX TROIANI, ibidem. XXX “Relazione”, pag. 24. XXXI Idem, parte seconda, paragrafo secondo “Il salvataggio del Generale Nobile”, pag. 73. XXXII “Questi furono gli errori del generale”, intervista a Michele Vocino, su “Telesera”, del 12 dicembre 1960. XXXIII Il sottosegretario per l’Aeronautica generale Bonzani al Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica generale Piccio, paragrafo B, rip. in PELLICCIA, Antonio. Giuseppe Valle: una difficile eredità, Roma, SMA Ufficio Storico, 1999, pag. 49. XXXIV PELLICCIA, Giuseppe Valle, cit., pagg. 49-50. XXXV Rip. in PELLICCIA, Giuseppe Valle, cit., pagg. 50-51. XXXVI DE PINEDO, Francesco, Promemoria per il Sig. Generale Giuseppe Valle, riservatissimo personale. Oggetto: passaggio di consegne della carica di Sottocapo di Stato Maggiore della R. Aeronautica, (da ora in poi: Promemoria Valle), pag. 6, punto 15° XXXVII Idem, punto 16° XXXVIII S.E. il ministro della Guerra generale Gazzera al Capo del Governo, oggetto: Predisposizione per l’eventuale costituzione di grandi unità O.M., del 4 giugno 1930, in Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Presidenza Consiglio dei Ministri, 1928-30, Fasc. 1, sottofasc 2-2, prot. 8717. 126


XXXIX

“Promemoria Valle”, pag. 4, punto 7°. Idem, punto 8°. XLI Rip. in Alegy, op. cit., pag. 157. XLII “Promemoria Valle”, pag. 8, punto 23° XLIII Ibidem. XLIV Idem, pag. 10, punto 29°. XLV Idem, pag. 8, punti 21° e 22°. XLVI Idem, pag. 9, punto 25°. XLVII Balbo alla Camera, rip. in PELLICCIA, Giuseppe Valle, cit., pag. 215. XLVIII “Promemoria Valle”, pag. 14, punto 48°. XLIX Idem, pagg. 7-8, punto 20°. L Idem, pag. 14, punto 49°. LI BALBO, Italo, Sette anni di politica aeronautica (1927-1933), Milano, Mondadori, 1936, pag. 180. LII Rip. in PELLICCIA, Il maresciallo dell’aria Italo Balbo (d’ora in poi, PELLICCIA, Balbo), II ed., Roma, Ufficio Storico dell’Aeronautica, 1998, pag. 213. LIII PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 206. LIV BRIGANTI, Alberto, Oltre le nubi il sereno, Roma, Nuovo Studio Tecna, 1994, pag. 108. LV Ibidem. LVI BRIGANTI, op. cit., pagg. 108-109. LVII BALBO, Italo, Da Roma a Odessa, Milano, Treves, 1929, pag. 24. LVIII Rip. in FALESSI, Cesare, Balbo aviatore, Cles, Mondadori, 1983, pag. 77. LIX BRIGANTI, op. cit., pag. 109.. LX Ibidem. LXI Ivi. LXII DE PINEDO, Francesco, Promemoria personale per il Duce (d’ora in poi “Promemoria Mussolini”), allegato alla lettera del 22 agosto 1929, rip. in ROCHAT, Giorgio, Italo Balbo aviatore e ministro dell’Aeronautica 1926-1933, Ferrara, Bovolenta, 1979, appendice A, pag. 189. LXIII FALESSI, op. cit., pag. 75. LXIV “Promemoria Mussolini”, rip. in Rochat, op. cit., pag. 190. LXV “Promemoria Valle”, allegati 1, “Apparecchi, motori e parti di ricambio”, e senza numero, probabilmente 3, “Materiale vario di squadriglia” LXVI “Promemoria Mussolini”, cit, pag. 191. LXVI Idem, pag. 190. LXVII DE PINEDO, Francesco, Considerazioni sulla situazione del materiale di volo, del 18 agosto 1929 (d’ora in poi “Considerazioni”), punto 1, conclusione e punto 2, conclusione. LXVIII “Considerazioni”, punto 3, conclusioni. LXIX Idem, punto 4, . LXX Direttive per l’impiego coordinato delle unità dell’Armata Aerea, (d’ora in poi “Direttive”) pag. 1, punto I°. LXXI Ipotesi di guerra sulla fronte ovest, ipotesi di guerra sulla fronte est, ipotesi di guerra sulle due fronti – considerazioni generali (d’ora in poi “Ipotesi”), dattiloscritto, Roma, SMRA, s.d., ma maggio 1929, pagg. 2-3, punto 3°. LXXII “Considerazioni”, punto 6. LXXIII “Promemoria Mussolini”, in Rochat, op. cit., pagg. 192-193. LXXIV “Promemoria Valle, pag. 4, punto 6°. LXXV Idem, “Specchio b) Traguardi”, nota di chiusura. LXXVI “Ipotesi”, punto 14°, pag. 13. LXXVII “Promemoria Valle”, allegato 4, munizionamento, pag. 1, voce “Gas” LXXVIII Idem, allegato 4, munizionamento, pag. 2, voce “Munizioni di lancio” LXXIX Ibidem, voce “Artifizi e segnalazioni” LXXX Ibidem, pag. 2, nota al totale delle voci “importo”. LXXXI Idem, Specchio “a”, Mitragliatrici, pag. 2, “a) Preventivo di spesa” LXXXII Idem, allegato 5, “Carburanti e lubrificanti” LXXXIII Idem, pag. 12, punto 40°. LXXXIV Idem, allegato 8, “Automezzi”, che include pure le imbarcazioni. LXXXV Idem, pag. 12, punto 37°. LXXXVI Ibidem. LXXXVII Idem, pag. 3, punto 5°. LXXXVIII Rip. in FERRIS, John, “Fighter Defence before Fighter Command”, in “The Journal of Military History”, vol. 63, No. 4, oct. 1999, pag. 861. LXXXIX “Promemoria Valle”, pag. 1, punto 1°. XC Idem, pag. 4, punto 6°. XL

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XCI

“Considerazioni”, punto 3. Idem, punto 1. XCIII Idem, punto 4. XCIV Idem, punto 2 XCV Idem, punto 6, conclusioni. XCVI PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 197. XCVII Balbo, rip. in COSTANZI, Giulio, Memorie, rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 197. XCVIII BALBO, Italo, A S.E. il Capo del Governo, Ministro dell’Aeronautica. Copia della Riservatissima personale inviata a S.E. il Capo di Stato Maggiore della R. Aeronautica in seguito alle deliberazioni prese dalla commissione dei generali A.A. nei riguardi della determinazione delle caratteristiche degli apparecchi e delle bombe, in Archivio Balbo, rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 199 XCIX Difesa aerea, cit., pag. 9. C Ministero della Guerra – Comando Superiore d’Aeronautica, Difesa aerea, Roma, Stabilimento poligrafico per l’amministrazione della guerra, 1922, pag. 13. CI “Promemoria Valle”, pag. 2, punto 3°. CII PELLICCIA, Balbo,cit., pag. 207 CIII Idem, pag. 210. CIV Mussolini, rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 201 CV “Direttive per la copertura”, rip. in PELLICCIA, Balbo, pag. 203. CVI Idem, pagg. 203-204. CVII Idem, pag. 204. CVIII Idem, pag. 205. CIX BALBO, Sette anni, cit., pag. 16. CX Idem, pag. 108. CXI De Pinedo, rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 205. CXII Ipotesi, punto 1°, pag. 1. CXIII “Direttive”, premessa.. CXIV Idem, pag. 2, punto 3°. CXV Idem, pag. 4, punti 4° e 5°. CXVI Idem, pag. 5-6, punto 5°. CXVII Idem, pag. 6, punto 6°. CXVIII Ibidem. CXIX Idem, pag. 7, punto 7° CXX Idem, pagg. 8-10, punti 8°-10°. CXXI Idem, pag. 10. CXXII Ibidem. CXXIII Idem, pag. 11. CXXIV Idem, punti 12°-13°, pagg. 15- 17 CXXV Idem, punti 14°-15°, pagg. 17- 19. CXXVI Idem, punto 16°, pagg. 19-20. CXXVII Idem, punto 17°, pagg. 20-21. CXXVIII Idem, punto 19°, pag. 21. CXXIX Idem, punto non identificabile, lacerto non collocabile. CXXX Ipotesi, pag. 13, punto 14°. CXXXI Il Sottocapo dello Stato Maggiore Aereo (Deputy Chief Air Staff) John Steel, rip. in FERRIS, op. cit., pag..853. CXXXII BOTTI, Ferruccio –CERMELLI, Mario, La teoria della guerra aerea in Italia dalle origini alla Seconda Guerra Mondiale (1884-1939), Roma, SMA Ufficio Storico, 1989, pag. 547. CXXXIII Ibidem. CXXXIV Idem, pag. 548. CXXXV USSME, fondo H 6, 3, Piani Operativi, 1929, trovato dal professor John Gooch, che qui ringrazio. CXXXVI Ipotesi, pag. 1, punto 1° CXXXVII Idem, pag. 2, punto I°. CXXXVIII “Ipotesi”, pagg. 2-3, punto 3° CXXXIX Idem, pagg. 3-24, punti 3°-21°. CXL Idem, pagg. 3-24, punti 3°-21°. CXLI PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 210. CXLII SCARONI, Silvio, Con Vittorio Emanuele III, Milano, Mondadori, 1954, pag. 102. CXLIII DE PINEDO, Francesco, “Promemoria Mussolini”, in ROCHAT, op. cit., pag. 189. CXLIV Idem, pag. 190. CXLV Ibidem. CXLVI Idem, pag. 189. XCII

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CXLVII

Ibidem. Idem, pag. 190. CXLIX Idem, pag. 189. CL Idem, pag. 190. CLI Idem, pag. 191. CLII Idem, pag. 192. CLIII Ibidem. CLIV “Promemoria Valle”, pag. 15, punto 50°. CLV DI MARTINO, Basilio, “Le grandi manovre della Regia Aeronautica 1926-1934”, su “Storia militare”, anno XIX, n. 215, agosto 2011, pag. 26 CLVI PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 210. CLVII Promemoria del Sottocapo di SM della R. Marina, in AUSMM, Raccolta di base, busta 1725. CLVIII Rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 300. CLIX Ibidem CLX Ibidem. CLXI Ibidem. CLXII SCARONI, op. cit., pag. 105-6. CLXIII Rip. in PELLICCIA, Balbo, cit., pag. 302. CLXIV Balbo, rip. in FALESSI, op. cit., pag. 85. CLXV Idem, pag. 82 CLXVI Rip. in PELLICCIA, Balbo, pag. 221. CLXVII Balbo, rip. in FALESSI, op. cit., pag. 107. CXLVIII

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