L'ARCHEOLOGIA MILITARE MODERNA IN PIEMONTE

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina Roberto Sconfienza

Abstract:

Key words: italiano

Il presente contributo ha come obiettivo l’illustrazione di un settore di studi archeologici relativamente nuovi, quanto meno nel panorama italiano. L’ambito cronologico di tali ricerche costituisce la motivazione principale per cui queste pagine trovino accoglienza su «Archeologia Postmedievale»; d’altro canto la scelta della denominazione di «archeologia militare» sembra il più consono a qualificare il particolare interesse per contesti e manufatti a destinazione bellica. L’esistenza in ambiente anglosassone di una «battlefield archaeology» e di una «conflict archaeology», nonché di una loro recente teorizzazione scientifica1, conforta l’intenzione di procedere su una strada poco battuta nel nostro paese, che tuttavia prende le mosse dalla semplice constatazione che nell’ambito di ogni archeologia tradizionale, accademicamente riconosciuta, come per esempio la greca, la romana, la medievale, esiste l’opportunità di studiare manufatti, mobili e immobili, oppure interventi umani su specifici territori e siti con finalità bellica o, più in generale, militare. L’aggettivo militare qualifica nel nostro caso tutto ciò che attiene all’ambito strutturale e operativo di forze armate storicamente identificabili ed attive

in luoghi determinati, nella consapevolezza che ogni loro intervento di trasformazione ambientale o di produzione artificiale sia imprescindibilmente legato ai presupposti culturali della civiltà d’appartenenza. Se dunque una possibile definizione dell’archeologia è quella di una disciplina che, secondo una prospettiva storica, studia, data e contestualizza i documenti materiali dell’attività culturale umana2, l’archeologia militare può rappresentare un filone della disciplina che si propone specificamente di studiare e contestualizzare monumenti e documenti derivanti dall’attività di una forza armata o di alcuni suoi esponenti3. La vivace attenzione che negli ultimi anni ha coinvolto l’archeologia postmedievale ha indotto chi scrive a confrontare quelli che erano interessi di studio locale, legati all’architettura militare minore e alla fortificazione campale d’età moderna sui confini fra il regno di Sardegna e il regno di Francia, ai presupposti metodologici ed epistemologici determinati in occasione del fondamentale convegno di Sassari del 19944. In particolare ci è sembrato che, 2 Non è questa la sede per passare in rassegna l’abbondante bibliografia sugli studi e sulla storia della scienza archeologica; si rimanda pertanto a FRANCOVICH, MANACORDA 2000, pp. I-XII e a RENFREW, BAHN 2006, pp. X-XVI, 3-35. 3 La tematica che in questa occasione è affrontata in modo sommario è stata più ampiamente sviluppata in SCONFIENZA 2009, pp. 1-5, dove si tocca anche il problema del rapporto fra archeologia militare e postmedievale. 4 MILANESE 1997a; soprattutto MANNONI 1997; MILANESE 1997b, 1997c.

1 In particolare presso l’Università di Glasgow esiste il «Centre for Battlefield Archaeology», diretto dal dottor Tony Pollard, che pubblica un periodico, il «Journal of Conflict Archaeology», del quale hanno già visto la luce cinque annate, 2005-2009. Per una bibliografia sommaria sulla tematica si vedano FREEMAN, POLLARD 2000; SMITH 2000; THORPE 2003; CARMAN 2005; POLLARD, BANK 2005; SUTHERLAND 2005 con ulteriore bibliografia pregressa, SCOTT, BABITS 2009.

11 Archeologia Postmedievale 13, 2009, pp. 11-95


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se l’archeologia postmedievale stabilisce la sua ragion d’essere nella capacità di sviluppare tematiche autonome ed autonomamente individuare e rispondere a quesiti derivanti da un approccio archeologico alle fasi moderne di una stratificazione, analogamente lo studio della fortificazione campale alpina dei secoli XVII e XVIII può essere una chiave di lettura archeologica del più ampio tema storico relativo alla definizione territoriale dei confini fra la Francia e gli stati sabaudi, alla sua articolazione topografica, alla percezione geografica del tempo e alle soluzioni strategiche e tecnico-costruttive adottate per la difesa5. Prima di affrontare la presentazione di tali ricerche e delle attività svolte, sembra tuttavia utile seguire un excursus sugli studi pregressi di ambito storicomilitare inerenti il Piemonte, quale regione storica appartenente al più ampio stato sabaudo d’antico regime.

ruolo di preminenza assunto dal Piemonte durante il risorgimento. Certamente lo studio della storia, dell’arte e dell’architettura militare nel regno di Sardegna si sviluppò assai prima dell’unificazione nazionale italiana; esso aveva finalità eminentemente pratiche e d’applicazione reale sui teatri di guerra del XVIII secolo in Piemonte e nell’Italia padana, tanto da dare origine a scuole di formazione specialistica per i militari di professione, come quelle d’artiglieria e di fortificazione, ma anche alla stessa Accademia Reale di Torino8. In tale contesto non si può pertanto ignorare l’enorme bacino di fonti, opere e dati rappresentato dai fondi degli Archivi di Stato e dalla Biblioteca Reale di Torino, che nel 1952 accrebbe il suo patrimonio, già eccezionale quanto a studi di arte militare, con l’acquisto della biblioteca di Cesare Saluzzo di Monesiglio, fratello di Alessandro, autore dell’imprescindibile Histoire militaire du Piémont, cui fece seguito la Storia militare del Piemonte di Ferdinando Pinelli9. È necessario a questo punto rammentare in primis la grande stagione di studi storici della fine del XIX secolo e dell’inizio del successivo che, se da un lato annoverano opere piuttosto celebrative, dedicate alla storia dei vari corpi del Regio Esercito Italiano, tutti originari dei reggimenti sardi10, dall’altro contano alcuni lavori di notevole impegno e valore documentario, data la finalità strategica, ancora spendibile al tempo della redazione, nell’ambito delle programmazioni difensive e offensive della Triplice Alleanza. Si tratta degli studi condotti per esempio dal Buffa di Perrero, dal Dabormida o dal De Antonio sulle campagne militari alpine svoltesi durante la guerra di successione austriaca e la guerra delle Alpi, che affrontano argomenti specificamente inerenti la materia di nostro interesse11. Infine si

Dalla storia all’archeologia militare piemontese La centralità assunta dal territorio piemontese nell’ambito degli stati sabaudi, a partire dalla seconda metà del XVI secolo in conseguenza alla politica del duca Emanuele Filiberto, ormai volta verso orizzonti di respiro italiano, caratterizza tutta la storia e l’interpretazione strategica della regione durante l’ancien régime, divenendo essa il fulcro di quel paese che è stato significativamente denominato il «Brandeburgo d’Italia»6. La tradizione militare sabauda, nata come espressione di una monarchia assoluta e di una società che esplicava le sue dinamiche e promozioni nell’ambito del servizio militare, burocratico e di corte7, divenne una componente essenziale del codice genetico dello stato, sopravvissuto spesso con difficoltà nell’epoca delle guerre di Luigi XIV e della prima metà del ’700. Nel XIX secolo la tradizione militare sabauda venne individuata come unico riferimento per quella italiana, in seguito al

8 Su queste istituzioni si vedano BIANCHI 1996, 2002a, pp. 153-203, EAD. 2003, 2007b. 9 Nell’ordine SALUZZO 1818; PINELLI 1854. 10 Basti ricordare per tutti GUERRINI 1902, dedicato alla storia dei Granatieri di Sardegna, già «Regiment aux Gardes». 11 BUFFA DI PERRERO 1887, preceduto dal più vecchio GALLEANI D’AGLIANO 1840; DABORMIDA 1891; DE ANTONIO 1911. Non si devono certamente dimenticare in questo contesto i lavori di Ermanno Ferrero sulle campagne della guerra di successione spagnola in Piemonte (FERRERO 1907-1933), né quelli del Regio Imperiale Archivio di Guerra Austro-Ungarico sulle campagne del principe Eugenio, tradotti in italiano già alla fine dell’800 (Campagne-Eugenio 1889-1902). È opportuno inoltre segnalare che anche in Francia l’editoria militare, dedicata agli eventi bellici del XVII e XVIII, negli anni fra XIX e XX secolo ha prodotto opere e repertori di notevole importanza per gli studi di arte e archeologia militare in Piemonte, quali per esempio PELET-DE VAULT 1835-1862; MORIS 1886; ARVERS-DE VAULT 1892; KREBS, MORIS 1891-1895.

5 Sulla ricerca storica in merito alle frontiere dello stato sabaudo d’età moderna si rimanda al recente RAVIOLA 2007; da segnalare nel mare magnum di questi studi QUAZZA 1936; La frontiera 1987; RAFFESTIN 1987; RICUPERATI 1987; Le Alpi 1997; BIANCHI 2002b; MONGIANO 2002; BALANI 2005; BALANI 2007; RICUPERATI 2007. 6 Si veda tale appellativo e le motivazioni in ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 179-261. 7 Per approfondire si vedano BARBERIS 1988; RICUPERATI 2001; BIANCHI 2002a, 2007a.

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possono richiamare il testo di Borsarelli e Corbelli, dedicato alla figura di Carlo Emanuele III nella sua veste militare e l’utile opera di Nicola Brancaccio L’esercito del vecchio Piemonte12. In merito agli studi più recenti sulla storia militare sabauda, oltre agli importanti volumi o alle sezioni di opere più ampie redatti e curati da parte di Virgilio Ilari13, costituiscono una lettura irrinunciabile i libri di Walter Barberis, Le armi del principe, di Claudio De Consoli, Al soldo del duca, e di Paola Bianchi, Onore e mestiere, per conoscere i contesti sociali e il significato socio-politico dell’esercito nel «Vecchio Piemonte»14. L’ambiente culturale piemontese, avvezzo così fin dai secoli passati agli studi di arte e storia militare, ha ricevuto a partire dalla fine degli anni ’50 del XX secolo l’apporto delle ricerche per la salvaguardia del sistema di contromine dell’antica piazzaforte di Torino da parte di Guido Amoretti, il cui impegno costante ha permesso il recupero di tali manufatti ipogei e di parecchi settori, pressoché integri, dei sistemi facenti capo alla cittadella e alla fortificazione urbana15. Il merito di tale impegno è stato quello di aver aperto in tempi sicuramente prematuri e pur con approcci ormai superati un capitolo di vera archeologia militare in seno agli studi dedicati alla tradizione fortificatoria sabauda, così da permettere recentemente il riesame del sistema di contromina torinese, alla luce delle attuali metodologie d’indagine archeologica e archivistica, i cui risultati notevoli sono confluiti nei lavori di Paolo Bevilacqua e Fabrizio Zannoni16. Contemporaneamente alle indagini del generale Amoretti e del Museo «Pietro Micca», Augusto Cavallari Murat del Politecnico di Torino si apriva alle ricerche di architettura militare in seno a quelle della rilettura filologica del tessuto urbano della capitale sabauda, sotteso a quello torinese del XX secolo17. Fu però dagli anni ’70 del secolo scorso che prese avvio una felice stagione di studi inaugu-

rata dagli storici dell’architettura del Politecnico, prime fra tutti la compianta professoressa Vera Comoli Mandracchi e l’attivissima professoressa Micaela Viglino Davico con Claudia Bonardi e la loro équipe di giovani ricercatori. Questi studiosi fino ad oggi hanno sviluppato un’indagine capillare su tutte le piazzeforti sabaude, in funzione fra il XVI e il XIX secolo. Gli studi, condotti a livello archivistico, storico-cartografico e ricognitivo sul terreno, hanno portato a numerosissime pubblicazioni, di grande utilità per le ricerche d’archeologia militare, la cui rassegna completa è individuabile nella bibliografia generale di Fortezze «alla moderna» e ingegneri militari del ducato sabaudo, dedicata allo status quaestionis sulla storia dell’architettura militare e degli ingegneri nell’ambito dello stato sabaudo fino al 171318. Gli studi di storia dell’architettura militare hanno determinato, così come in Francia, un filone d’interesse per l’identificazione e la rassegna degli ingegneri militari che operarono negli stati sabaudi durante l’età moderna. Pertanto i recentissimi volumi, Gli ingegneri militari attivi nelle terre dei Savoia e nel Piemonte orientale e Architetti e ingegneri militari in Piemonte fra ’500 e ’700, dedicati alla storia individuale e alla formazione degli ingegneri sabaudi19, segnano oggi l’ultima tappa di un percorso iniziato nel XIX secolo dal Promis, con il suo libro Gl’ingegneri militari che operarono o scrissero in Piemonte20, e ampiamente sviluppato negli studi di Carlo Brayda, Laura Coli e Dario Sesia, che condussero all’importante rassegna di Ingegneri e architetti del Sei e Settecento in Piemonte, edito nel 196321.

18 VIGLINO DAVICO 2005a. Completa l’opera citata un recente Atlante castellano della provincia di Torino (VIGLINO DAVICO et al. 2007), il cui prevalente interesse è rivolto alle opere difensive medievali, ma la cui utilità è altrettanto fondamentale per conoscere l’assetto delle preesistenze territoriali rispetto ai momenti d’intervento difensivo moderno, nonché le stesse fasi più recenti di opere medievali rimunite o integrate fra XVI e XVIII secolo. Esistono anche opere monografiche sulle singole piazzeforti sabaude, alcune con intento più divulgativo, come GARIGLIO, MINOLA 1994, 1995, 1997; GARIGLIO 1999b, 2000, 2001; CORINO 2001, altre con impostazione decisamente più scientifica ed esauriente, quali CORINO 1999; OGLIARO 1999; VIGLINO DAVICO 2001; BARRERA 2002; PETITTI 2003; Chivasso e Castagneto 2007. 19 Ingegneri militari 2007; VIGLINO DAVICO et al. 2008. 20 PROMIS 1871. 21 BRAYDA, COLI, SESIA 1963. È opportuno ricordare che anche in BARBERIS 1988 e BIANCHI 2002a passim si possono reperire notizie sulla storia e sulle carriere degli ingegneri sabaudi, così come in FARA 1989, 1993 e ILARI, PAOLETTI, CROCIANI 2000.

12 Nell’ordine BORSARELLI, CORBELLI 1935; BRANCACCIO 1922-23, 1923-25. 13 ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, 1997; ILARI, PAOLETTI, CROCIANI 2000; ILARI, CROCIANI, PAOLETTI 2000; ILARI, CROCIANI, ALES 2008. 14 Nell’ordine BARBERIS 1988; DE CONSOLI 1999; BIANCHI 2002a. 15 AMORETTI 1978, 2000; AMORETTI, MENIETTI 2000. 16 BEVILACQUA, PETITTI, ZANNONI 2006; BEVILACQUA, ZANNONI 2006, 2007. 17 CAVALLARI MURAT 1968, in particolare il capitolo Architettura militare e forma urbana, in Vol. I, Tomo I, pp. 877-905.

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Parallelamente ai filoni di ricerca testé segnalati, chi si occupi di archeologia militare d’età moderna in Piemonte deve anche prendere in considerazione l’orizzonte degli studi di cartografia antica, particolarmente sviluppati da Paola Sereno dell’Università di Torino e dai suoi collaboratori. La documentazione cartografica storica costituisce infatti un imprescindibile punto di riferimento per gli studi archeologico-militari e in ambito piemontese è possibile far conto su Rappresentare uno Stato. Carte e cartografi degli Stati Sabaudi, la cui ampia trattazione si sofferma anche sul significato della carta geografica nello stato assoluto, la sua produzione e la formazione dei cartografi militari22. Complementari a questo volume, ma di notevole interesse per gli studi affrontati in questa sede, sono Il teatro delle terre. Cartografia sabauda fra Alpi e pianura, catalogo di una mostra organizzata nel 2006 dall’Archivio di Stato di Torino23, e il lavoro di Paola Pressenda sulla cartografia e le memorie corografiche dedicate alla frontiera alpina del regno di Francia24, che ci permette di richiamare ora i Principes de la guerre de montagne, l’imprescindibile opera del primo ingegnere topografo di Luigi XV, Pierre de Bourcet25. Completano il quadro delle pubblicazioni di cartografia storica utili per l’archeologia militare alpina i due recenti e grandi volumi di Laura e Giorgio Aliprandi, Le grandi Alpi nella cartografia26, accanto al sussidio geografico essenziale che è l’Atlante orografico delle Alpi di Sergio Marazzi27. Prima di prendere in considerazione ricerche e studi che con minore o maggiore respiro abbiano compreso in sé esperienze di archeologia militare d’ambito piemontese, è opportuno segnalare due

opere che, pur non essendo specificamente di natura archeologica, costituiscono attualmente un punto di riferimento ineliminabile per lo sviluppo di un’indagine finalizzata alla ricostruzione dei contesti militari sabaudi d’età moderna e quindi essenziali per l’archeologo versato nella materia. Il primo testo corrisponde a Le armi da fuoco del Vecchio Piemonte di Francesco Sterrantino, pubblicato postumo dall’Accademia di San Marciano a cura meticolosa di Giorgio Dondi28. Si tratta di un altissimo esempio di studio contestualizzato in un ambiente storico e dedicato a manufatti di destinazione bellica, quali sono tutte le componenti dell’armamento portatile dell’esercito del duca di Savoia e poi del re di Sardegna. I due volumi di testo e tavole non solo permettono all’archeologo, che fortunatissimo reperisca nei contesti territoriali indagati resti di armi da fuoco, di classificare i reperti riconducendoli ai modelli pubblicati, ma istruiscono esaurientemente tanto sulle procedure di fabbricazione quanto sull’evoluzione dell’armamento portatile, proponendo simultaneamente una prospettiva diacronica e una tipologica in base all’impiego nelle diverse specialità d’arma dell’esercito sabaudo. L’altra opera consiste nella pubblicazione integrale e commentata del testo e delle illustrazioni del Compendio della grand’arte d’Artiglieria, redatto entro il 1732 da Giovanni Battista d’Embser, tenente colonnello dell’artiglieria del re di Sardegna. Il manoscritto del d’Embser, conservato presso la Biblioteca Reale di Torino, ha così visto la luce in stampa, dopo 275 anni, grazie alla cura di Giorgio Dondi, che ha inoltre dotato l’edizione di un commento parallelo al testo antico, premurandosi di tradurre in italiano moderno tutta la nomenclatura delle «robbe d’Artiglieria», dai cannoni e le loro componenti agli strumenti più minuti d’officina. È superfluo far notare la grande rilevanza storica di un’opera simile, che tentò a suo tempo di uniformare il lessico tecnico dell’artiglieria per la redazione degli inventari dell’arsenale sabaudo, legando in corrispondenza biunivoca un solo sostantivo ad un oggetto reale; ma è quanto mai importante segnalare il valore del lavoro di Giorgio Dondi nell’aver reso fruibile e agevolmente consultabile un repertorio irrinunciabile per qualunque studioso che abbia a che fare con documenti della seconda metà del XVII o del XVIII secolo d’ambito piemontese

22 Carte e cartografi 2002. Accanto a quest’opera esistono le pubblicazioni di notevole valore prodotte dal Musée des Plans-Relief di Parigi, che contengono anche contributi dedicati alle raccolte cartografiche e agli atlanti militari sabaudi, ma che in generale permettono di ampliare ulteriormente la conoscenza della materia; ricordiamo BOUSQUET, BRESSOLIER 1999 e Atlas-Militaires 2003 23 Il teatro delle terre 2006. 24 PRESSENDA 2002. Riguardo agli studi sulle memorie corografiche prodotte in ambito sabaudo possiamo ricordare CORINO 1997; GASCA QUEIRAZZA 2000 e SCONFIENZA 2005a, tuttavia gran parte di questi argomenti sono ancora inediti e si può attualmente far riferimento alle memorie della seconda metà del XVIII secolo di Benedetto Maurizio duca di Chiablese, di Alessandro Vittorio Papacino d’Antoni e di Benedetto Spirito Nicolis di Robilant, conservate alla Biblioteca Reale e all’Archivio di Stato di Torino. 25 DE BOURCET 1775, 1801. 26 ALIPRANDI 2005, 2007. 27 MARAZZI 2005.

28 STERRANTINO 2002. Esiste anche LUPO 2007, una publicazione più divulgativa, ma utile comunque per le armi bianche dell’esercito sabaudo d’antico regime.

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e inerenti l’artiglieria o le fortificazioni29. È infine opportuno ricordare a proposito di tali argomenti il bel volume Col ferro col fuoco, catalogo di una mostra di materiali d’artiglieria, tenutasi a Torino, presso il mastio della cittadella nel 199530. L’interesse in Piemonte per gli studi di storia e arte militare ha determinato la presenza frequente di articoli dedicati alla materia in alcuni periodici noti, quali il «Bollettino della Società Piemontese d’Archeologia e Belle Arti», il «Bollettino storico-bibliografico subalpino», «Studi Piemontesi», «Armi Antiche. Bollettino dell’Accademia di San Marciano di Torino», ma anche il ben più giovane «Annales Sabaudiae. Quaderni dell’Associazione per la Valorizzazione della Storia e Tradizione del Vecchio Piemonte» e l’antico e prestigioso «Mémoires et documents» della Société Savoisienne d’Histoire et d’Archéologie»31. Le medesime ragioni di attenzione per la materia hanno favorito inoltre la fioritura nei decenni passati di un ricco gruppo di opere divulgative, soprattutto dedicate all’illustrazione di piazzeforti e luoghi di eventi bellici o alle vicende storiche stesse, il cui pregio è quello di fornire generalmente cronologie e quadri sintetici sulla base di una buona bibliografia di riferimento32. In seno a questo genere di produzioni storicomilitari sono tuttavia comparse opere di maggior peso, che hanno abbandonato il semplice intento

divulgativo e forniscono la ricostruzione completa di un evento o di un aspetto storico-militare di un’epoca, secondo un approccio onnicomprensivo rivolto contemporaneamente all’indagine storica e documentaria, a quella territoriale e difensiva, allo studio dei manufatti e delle armi, delle uniformi e della composizione dei reparti militari. La prima pubblicazione che ha inaugurato questo approccio, di notevole interesse per chi si occupi di archeologia militare, poiché persegue le medesime finalità di ricostruzione storica contestuale, è La Guerra della Lega di Augusta fino alla battaglia di Orbassano, curata e in gran parte redatta da Francesco Sterrantino, in seno al periodico «Armi Antiche»33. Esiste poi Le truppe leggere nella guerra della alpi, in cui compaiono studi su episodi della guerra fra la Francia rivoluzionaria e il Regno di Sardegna (1792-1796), sullo sviluppo degli eventi nei luoghi storici, sui corpi militari e sulle fortificazioni campali della seconda metà del XVIII secolo34; seguono infine Cronache di un assedio, di Davide Bosso, relativo all’investimento di Chivasso del 170535, e 1706. Le Aquile e i Gigli, dedicato all’assedio di Torino con la migliore documentazione grafica ricostruttiva dell’evento ossidionale e della battaglia del 7 settembre 170636. In questo gruppo di pubblicazioni trovano posto anche opere analoghe, nelle quali tuttavia la materia e la conservazione dei contesti ha permesso di dare un peso maggiore, se non determinante, all’aspetto dell’indagine archeologica nella sua applicazione territoriale e di riconoscimento del paesaggio antico. Si tratta in primis del volume curato nel 1997 dal Centro Studi e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte, intitolato I trinceramenti dell’Assietta, nel quale lo studio documentario e in situ dei manufatti è decisamente preponderante rispetto all’attenzione per il famoso evento bellico del 174737. Altra opera di pregio, caratterizzata dal serrato intreccio dell’indagine storica con la disamina dell’ambiente e delle consistenze archeologiche riconoscibili in superficie, è Bandiere nel fango, dedicata all’assedio di Verrua del 1704-1705, seguita a ruota dall’al-

29 D’EMBSER 1732. In particolare nel Compendio sono presenti anche dei capitoli dedicati ai materiali da fortificazione, la cui nomenclatura antica, associata all’immagine, è utilissima per lo studio dei documenti d’archivio che riprendono tali vocaboli, spesso traduzioni in italiano o francese del termine in dialetto piemontese; unico infine in questo genere di lessici dell’arte edilizia è PARENTI 2001. 30 Col ferro col fuoco 1995. I contributi del volume, accanto al ricchissimo catalogo, affrontano per la prima volta lo studio dell’artiglieria piemontese secondo un criterio che coniuga la prospettiva storica a quella tecnico-materiale. 31 Ricordiamo inoltre due importanti volumi, Piémont 1994 e SORREL 1998, curati rispettivamente dall’Accademia di San Marciano e dalla Société Savoisienne d’Histoire et d’Archéologie. 32 Ricordiamo per esempio fra le più note pubblicazioni VIRIGLIO 1930; TRABUCCO 1978; BOCCA et al. 1993; AMORETTI 1996; MINOLA 1996, 1998; GALANDRA, BARATTO 1999; GARIGLIO 1999a; RUGGIERO 1999; MINOLA 2001a; BOCCA GHIGLIONE; SALAMON 2002; FEDOTOVA 2005; GALVANO 2005; GARIGLIO 2005; BOCCA 2006; CELI 2006; FIORENTIN 2006; L’alba di un regno 2006; MINOLA 2006a; NASI 2006; Memorie-Assedio 2007; MINOLA 2007. Di impegno maggiore a livello storico-documentario e sempre utili per gli studi di nostro interesse, tanto da meritare la segnalazione a parte, sono CAPACCIO, DURANTE 1993, dedicato agli scenari bellici settecenteschi delle Alpi Marittime, e il recentissimo LO FASO 2009, consacrato alla guerra del 1792-1796 fra il regno di Sardegna e la Francia rivoluzionaria.

STERRANTINO 1992a. Truppe Leggere 2007. 35 BOSSO 2005. 36 Sull’assedio di Torino del 1706, in occasione del tricentenario nel 2006, la letteratura in materia ha avuto un aumento esponenziale; oltre al libro citato si rimanda a quelli segnalati supra nella nota 32 e si rammentano ancora Ascesa verso il Regno 2007 e Armata Reale di Francia 2008. 37 Assietta 1997. 33 34

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trettanto pregevole Chivasso & Castagneto. Venti secoli di storia, dove compaiono i risultati delle ricognizioni e degli studi ricostruttivi sulle opere campali di Chivasso e Castagneto Po, risalenti agli eventi bellici del 170538. Proseguendo su questa linea emerge un gruppo di pochi studi, che potremmo definire effettivamente d’archeologia militare e che hanno quasi tutti per contesto i teatri alpini, grazie evidentemente alla ridotta frequentazione dei siti e al loro mancato reimpiego. Ricordiamo innanzitutto i pregevoli lavori di ricognizione e studio del forte di Mirabocco e del campo trincerato francese di Laz Arâ, sulle montagne fra la val Germanasca e quella di Pramollo in provincia di Torino, svolti entrambi da Giorgio Ponzio39, a seguire gli articoli di Mauro Minola comparsi sul periodico «Segusium», dedicati alle fortificazioni campali della val Sangone e del Parco dell’Orsiera40, e il recente volume di Ettore Peyronel, Radici di pietra, compilato in seguito a ricognizioni territoriali e ricerche archivistiche e bibliografiche relative alle fortificazioni permanenti e campali meno note delle valli del Chisone e limitrofe41. Rimanendo nel comprensorio fra Susa e Pinerolo, un utile sussidio per la ricerca in situ e per la topografia attuale è il testo Le strade militari dell’Assietta, di Marco Boglione42. Più a sud delle vallate appena menzionate, nella provincia di Cuneo, si trovano la valle Varaita e quanto resta delle sue fortificazioni campali del XVIII secolo, oggetto di studio da parte di chi scrive e del volume Pietralunga 1744. Archeologia di una battaglia e delle sue fortificazioni, edito nel 200943. Spostandoci invece verso la Valle d’Aosta è opportuno richiamare l’attenzione su un articolo di Robert Saluard, dedicato al campo del Principe Tommaso, presso La Thuile, e sui contributi per l’archeologia militare del Piccolo San Bernardo, comparsi sugli atti del convegno Alpis Graia, tenutosi ad Aosta nel marzo del 200644 e la successiva pubblicazione Le système de défense du Col du Petit-Saint-Bernard entre XVIIème et Xème siècle45; sempre in merito alle fortificazioni

campali del Piccolo San Bernardo si rammentano tre contributi dello scrivente sui periodici «Annales Sabaudiae» e «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti»46. Restano infine da segnalare le indagini condotte per lo studio della grande cisterna a doppia rampa elicoidale della cittadella di Torino47, un intervento sulle prospettive di ricerca archeologica per la fase settecentesca del forte di Exilles48 e i risultati di una recentissima ricerca di georeferenziazione delle opere d’assedio e difesa urbana e collinare di Torino sulla cartografia tecnica regionale, conseguenti all’incrocio dei dati bibliografici con le rare emergenze ancora visibili nel tessuto urbano49. L’incontro felice fra gli interessi culturali del contesto piemontese, la storia territoriale ed evenemenziale della regione, le ricerche di arte ed architettura militare, l’assunzione di dignità riconosciuta dell’archeologia postmedievale in ambito scientifico e presso gli organi di tutela costituiscono pertanto le ragioni che hanno determinato un’inedita sensibilità da parte degli archeologi per i rinvenimenti di antica destinazione bellica o militare, risalenti all’età moderna. In particolare i funzionari della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, fin dagli anni ’80 del secolo scorso, hanno dimostrato notevole interesse per questo genere di manufatti, curandone la tutela, talvolta lo studio, e la segnalazione in modo analogo a qualunque altro genere di bene culturale emergente da scavi archeologici. In seguito alla ricognizione sull’edito dei «Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte» emergono infatti i risultati degli scavi relativi a parecchi contesti in cui sono emersi resti di fortificazione delle piazzeforti sabaude, datati fra il XVI e il XVIII secolo, e quindi comprendenti testimonianze di opere e di siti che nel corso di tre secoli variarono il loro significato strategico in seno alle trasformazioni territoriali dello stato sabaudo e dei suoi programmi difensivi. Seguono poi i numerosi casi di riplasmazione o decastellamento degli edifici medievali castrensi, sparsi nel territorio piemontese e generalmente interessati da eventi bellici nel XVI e nella prima metà del XVII secolo. Infine trovano

Nell’ordine CERINO BADONE, LUCINI, CAMPAGNOLO 2004; Chivasso e Castagneto 2007. 39 PONZIO 2000, 2003. 40 MINOLA 2000, 2001b, 2006b. 41 PEYRONEL 2007. 42 BOGLIONE 2006. 43 SCONFIENZA 2009. 44 SALUARD 2002, DUFOUR, VANNI DESIDERI 2003-2004, 2006; PALUMBO 2006. 45 DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006. 38

SCONFIENZA 2004, 2005b, 2008-2009. CASTIGLIA 2000; ZANNONI 2000; quanto resta del monumento è stato reso visitabile dalla primavera del 2009. 48 PETITTI, ZANNONI 2003. 49 ANIBALDI RANCO 2007; MAZZOGLIO, ANIBALDI RANCO 2007, di cui si auspica l’edizione definitiva, trattandosi dell’unico studio completo in materia dopo quelli di Pietro Magni d’inizio ’900 (MAGNI 1910, 1911, 1913). 46 47

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posto alcune testimonianze di interventi moderni su fortificazioni di centri abitati o ricetti, anch’esse databili in gran parte entro il XVII secolo50.

sabaudo d’antico regime è caratterizzata da uno sforzo militare indirizzato a far fronte costantemente all’aggressione di potenze molto maggiori, rispetto a quello che era un organismo politico di media grandezza nel contesto europeo, costretto a tenere in pianta stabile un esercito numeroso e per metà circa d’arruolamento mercenario58. Aggravava la condizione la possibilità che aveva un nemico, proveniente da est o da ovest, di attaccare gli stati del re di Sardegna, concentrando tutto il proprio sforzo su un unico punto di pressione e costringendo i Piemontesi a frammentare preventivamente le forze su ampi fronti. Questo genere di contesti tattico-strategici rendeva reali le condizioni necessarie per il ricorso alla fortificazione campale in virtù della sua funzione di integrazione del numero ridotto di uomini a difesa di un preciso settore limitaneo minacciato59. Il confine occidentale degli stati sabaudi aveva una specifica caratterizzazione in ragione della sua natura geofisica. Dal lago di Ginevra fino al colle di Tenda e all’appennino Ligure, il Rodano, il Guiers e le grandi Alpi segnavano da nord a sud i limiti dello stato. L’arco alpino compreso dal Gran San Bernardo, che immetteva nel Vallese, al Moncenisio era integralmente compreso all’interno degli stati sabaudi, incastonandosi fra il ducato d’Aosta, il ducato di Savoia e il principato di Piemonte. Fra queste montagne si aprivano i due valichi interni principali, il Piccolo San Bernardo fra la valle d’Aosta e la Tarentaise, il Moncenisio fra il Piemonte e la Maurienne60.

Il confine alpino e il sistema difensivo sabaudo Nel 1690, durante la guerra della lega d’Augusta gli stati sabaudi subirono la prima invasione da parte delle armate di Luigi XIV; battaglie e assedi si svolsero tutti in Piemonte, tranne che quello di Montmélian in Savoia51. Stessa situazione si ripeté durante la guerra di successione spagnola nei terribili anni compresi fra il 1703 e il 1706, quando, tranne la capitale e le provincie del Piemonte sud-occidentale, tutto lo stato «di qua e di là dai monti» fu occupato dai Gallispani52. Fra il 1690 e il 1748, anno della pace di Aquisgrana e della conclusione della guerra di successione austriaca, le forze sabaude presero l’iniziativa offensiva nel 1692 con l’invasione del Delfinato53, nel periodo dal 1707 al 1711 alla conquista delle valli della Dora Riparia e del Chisone, puntando verso il Monginevro54, durante la guerra di successione polacca, quando Carlo Emanuele III alleato della Francia operò nel 1734 e 1735 in Lombardia contro l’Austria55, nell’estate del 1742 per contrastare l’intervento spagnolo nella pianura padana emiliana e infine nell’inverno del 1746-1747 in occasione dell’offensiva austro-sarda in Provenza alla fine della guerra di successione austriaca56. Praticamente su circa sessant’anni di guerra se ne può isolare una decina, le cui campagne assunsero carattere offensivo a oriente o a occidente dei confini dello stato; i restanti cinquant’anni furono interamente consacrati all’attività difensiva sul suolo nazionale, in Savoia e soprattutto in Piemonte57. Bastano questi pochi dati per comprendere che la storia dello stato

nel conflitto derivante dall’invasione spagnola dell’isola e che nel 1742 la campagna padana fu interrota per accorrere in soccorso della Savoia, occupata dagli Spagnoli con il tacito consenso della Francia (SYMCOX 1989, pp. 229-243; RUSSO 1994, Tomo II, pp. 437-443; ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 432-439; IDD. 1997, pp. 105-107, 109-111). 58 BARBERIS 1988, pp. 64-135; ALES 1989, pp. 7-16; STERRANTINO 1992b; ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 212-215, 228-234; IDD. 1997, pp. 87-97; BIANCHI 2002a, pp. 78-107. Nel 1747 l’armata del re di Sardegna contava 55428 soldati in servizio, un numero eccezionale per lo stato sabaudo di allora; su cinquantasette battaglioni di fanteria quattordici erano d’ordinanza nazionale, per un totale di 11100 uomini, e ben ventinove di ordinanza straniera, con 20300 effettivi (ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, p. 87); in materia si veda inoltre CERINO BADONE 2007a. 59 In merito al tema dello studio teorico della fortificazione campale fra XVII e XVIII secolo e alla trattatistica si indicano in questa sede le opere di maggior portata per i contesti di nostro interesse, ovvero DE VAUBAN 1705; DE CLAIRAC 1749; CUGNOT 1769; PAPACINO D’ANTONI 1782; DE CORMONTAIGNE 1809; alcune occasioni di disamina della materia sono presenti in SCONFIENZA 1996, 2003, 2007, 2010. 60 Sul confine occidentale degli stati sabaudi: SIMONCINI 1987, pp. 122-127; VIGLINO DAVICO 1987; ID. 1989, pp. 9-125; ID. 1992; CUNEO 1997; FASOLI 1997, 2003; BALANI 2005, 2006, 2007; RICUPERATI 2007, passim.

La sintesi della ricognizione bibliografica sui «Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte» è presentata nell’Appendice 2, alla conclusione del contributo. 51 SYMCOX 1989, pp. 135-152; STERRANTINO 1992a; PAOLETTI 2001, pp. 97-130. 52 ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 319-376; SIGNORELLI 2003. 53 SYMCOX 1989, pp. 142-143; STERRANTINO 1992a, p. 33; PAOLETTI 2001, pp. 111-115. 54 SYMCOX 1989, pp. 207-208; ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 206-208, 381-382, 390-397, 401-403; MINOLA 1998, pp. 83-91; GARIGLIO 1999a, pp. 64-88. 55 ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 15-25, 27-41; SANTANGELO, RE 2003, pp. 4-25. 56 ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 77-105, 224-228; CAPACCIO, DURANTE 1993, pp. 39-50, 99-138. 57 Si tenga conto inoltre che l’occupazione sabauda della Sicilia, fra il 1713 e il 1719, trascorse sostanzialmente tutta 50

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Le vicende storico-militari dello stato sabaudo fra il 1690 e il 1748 dimostrano chiaramente che la Savoia, dominio al di là dei monti, era assai difficile da difendere, pur essendo la culla della dinastia regnante, e i tentativi di salvaguardarne il territorio erano comunque destinati al fallimento. Durante gli anni di guerra suddetti, ad esclusione della successione polacca, il ducato, così come la contea di Nizza, fu sempre vittima d’invasione francese o spagnola61. La linea di confine fra la Savoia e la Francia dal lago di Ginevra, lungo l’alto corso del Rodano e del torrente Guiers, al massiccio della Chartreuse e Pontcharra era estremamente vulnerabile e sguarnito, sia dalla parte del Lionese sia dal Gresivaudan. Unico baluardo del ducato, nella «combe» formata dalla confluenza dell’Arc e dell’Isére, era la fortezza di Montmélian a guardia dei «chemin» di Maurienne e Tarentaise, che collegavano Chambery a Torino62. All’inizio del 1706 la fortezza di Montmélian fu demolita, in seguito alla conquista francese del dicembre 1705, per ordine di Luigi XIV, eliminando definitivamente l’avamposto sabaudo, che sia nel 1691 sia nel 1705 rappresentò l’unico fulcro di resistenza al di là dei monti. Nel 1713, alla fine della guerra di successione spagnola, la pace di Utrecht stabilì l’estensione del confine occidentale dello stato sabaudo fino allo spartiacque alpino principale, rettificando l’annessione delle alte valli di Maira, Varaita, Pragelato e Susa e consegnando alla Francia la valle di Barcelonnette a sud del Queyras63. Dal punto di vista strategico, la precarietà della Savoia impose al governo di Torino il prolungamento della linea difensiva rispetto alla Francia dal Moncenisio fino al Gran San Bernardo, sebbene l’arco alpino fra i due valichi non fosse un confine di stato, ma una separazione orografica fra un dominio sabaudo e l’altro. Le Alpi occidentali si trasformarono così in un baluardo naturale, sia lungo la porzione savoiarda sia lungo il confine delfinale, perimetrando di fatto a nord e a ovest il Piemonte, divenuto ormai definitivamente il cuore politico e militare del regno.

Fin dalla riorganizzazione dello stato, attuata dal duca Emanuele Filiberto nella seconda metà del XVI secolo, il sistema difensivo del confine alpino occidentale era stato strutturato su piazzeforti di media e bassa valle64. In seguito all’eliminazione della pericolosa enclave francese di Pinerolo nel 1696 e grazie a numerosi interventi di ristrutturazione, alcune piazzeforti vennero a costituire nel XVIII secolo i nodi di un poderoso cordone fortificato per fronteggiare il regno di Francia. A partire da nord vanno ricordati il forte di Bard65 in val d’Aosta, primo baluardo dopo il Grande e il Piccolo San Bernardo, e Ivrea66 allo sbocco della Dora Baltea nella pianura canavesana; scendendo verso sud si trovano nella valle della Dora Riparia il forte di Exilles67 e Susa68, a guardia dei valichi del Moncenisio e del Monginevro, transitabili dalla grande artiglieria, e la fortezza di Fenestrelle69 a sbarramento dell’alta valle di Pragelato, poderosa e capace di colmare in autonomia l’assenza di una piazza pedemontana, quale fu Pinerolo70. Ancora più a sud nella media valle Stura, che a monte comunica con la Francia tramite il colle di Larche o della Maddalena, sorgeva il forte di Demonte71 e al fondo della stessa valle, nell’alta pianura del Piemonte sud-occidentale, si trovava la piazzaforte di Cuneo72. Dirigendoci infine verso le Alpi marittime rimanevano le piazze di Mondovì e Ceva73, 64 Per l’età filibertiana BONARDI 1987; BONARDI TOMESANI 2005a con bibliografia pregressa. 65 GARIGLIO 1997, pp. 19-38; SEREN ROSSO 2000, pp. 301-321; VIGLINO DAVICO 2005b, pp. 483-484. 66 SIGNORELLI 1998; VIGLINO DAVICO 1998; SCONFIENZA 2000, pp. 414, 417 con bibliografia precedente; LOGGIAQUACCIA 2001; GIGLIO TOS 2002 pp. 71-92; VIGLINO DAVICO 2005b, p. 483. 67 GARIGLIO 1997, pp. 61-89; BARRERA 2000; GARIGLIO 2000; BARRERA 2002; PETITTI 2003; VIGANÒ 2003, p. 47 con bibliografia precedente; LONGHI 2005b, pp. 584-585. 68 GARIGLIO 1997, pp. 91-107; CORINO 1999, 2000; VIGANÒ 2003, p. 47 con bibliografia precedente; TONINI 2004; LONGHI 2005b, pp. 580-583 69 CONTINO 1993; GARIGLIO 1997, pp. 133-154; BONNARDEL, BOSSUTO, USSEGLIO 1999; GARIGLIO 1999b; VIGANÒ 2003, p. 47 con bibliografia precedente. 70 Sulla piazza di Pinerolo e il suo disarmo nel 1696 si vedano GARIGLIO 1997, pp. 109-131; LONGHI 2005a, p. 564 con bibliografia pregressa. 71 VIGLINO DAVICO 1989; GARIGLIO 1997, pp. 187-213; VIGANÒ 2003, p. 47 con bibliografia precedente; LUSSO 2005, pp. 555-556. 72 CASALEGNO 1975; COMOLI MANDRACCI 1975; GARIGLIO 1997, pp. 155-185; BIANCHI, MERLOTTI 2002, pp. 319-351; BONARDI TOMESANI 2005b, pp. 470-471. 73 PELAZZA 1968; BRUNO 1998; PEIRANO 2005, pp. 537-541.

61 Per le successive occupazioni della Savoia: ILARI, BOERI, PAOLETTI 1996, pp. 326-328, 332; ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 105-107, 109-111; PACHOUD 1998. Destino analogo toccò al ducato all’inizio della guerra delle Alpi, quando fin dal settembre del 1792 le armate della Francia rivoluzionaria ne occuparono l’intero territorio (ILARI, BOERI, PAOLETTI 2000, pp. 29-30). 62 SCONFIENZA 1996, p. 107 con bibliografia precedente; GARIGLIO 1997, pp. 39-59; PORRET 1998; BERTHIER, BORNECQUE 2001, pp. 164-185. 63 Sulle negoziazioni, gli accordi e le conseguenze della pace di Utrecht per la Francia e la Savoia si veda BALANI 2007, pp. 59-70.

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fig. 1 – A: Carta schematica dello stato sabaudo nel 1713, all’indomani della pace di Utrecht, con la raffigurazione della rete radiale delle piazzeforti del confine occidentale, facente capo alla capitale Torino (elab.d.a. da VIGLINO DAVICO 2005a); B: I principali valichi delle Alpi occidentali transitabili con le salmerie e la grande artiglieria durante la bella stagione (elab.d.a. da VIGLINO DAVICO 2005a): (1) colle del Piccolo San Bernardo; (2) colle del Moncenisio; (3) colle del Monginevro; (4) colle dell’Agnello; (5) colle della Maddalena o di Larche; (6) colle di Tenda.

che governavano i cammini per la contea di Nizza e il colle di Tenda, oltre al quale si ergeva il forte di Saorgio nella valle della Roja74 (fig. 1, A, B). Appare chiaro che il sistema difensivo occidentale del ridotto piemontese funzionava mettendo in relazione, lungo i corsi di alcuni affluenti del Po, una fortezza di media valle con una piazzaforte pedemontana, in genere corrispondente ad una città, capoluogo di provincia75. I principali solchi vallivi, che conducevano ai passi alpini, attraverso i quali poteva passare l’artiglieria da campagna e d’assedio, erano così saldamente presidiati da una doppia linea di opere permanenti e le piazze pedemontane si collegavano a raggiera con la capitale, Torino, al

limite fra la pianura alta e quella alluvionale del Po nel Piemonte orientale76. La natura geomorfologica del territorio alpino tuttavia non agevolava l’interazione fra le piazzeforti; quelle pedemontane, fortificate cronologicamente per prime e destinate innanzitutto allo sbarramento, dalla seconda metà del XVII secolo divennero basi di retrofronte e passarono la loro funzione alle fortezze di media valle, determinando così l’avanzamento della linea difensiva, senza tuttavia poter controllare i percorsi di penetrazione o aggiramento lungo le dorsali d’alta quota, ortogonali allo spartiacque principale. Le poderose murature e le artiglierie delle piazze 75 In merito alla convergenza delle funzioni militari ed amministrative per le città piazzeforti piemontesi si vedano FASOLI 2003, pp. 23-24 e RICUPERATI 2007, pp. 41-42.

GARIGLIO-MINOLA 1995, pp. 85-92; PEIRANO 2005, p. 542. 74

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permanenti di bassa e media valle continuavano a costituire un deterrente fondamentale per un invasore che ne volesse tentare l’assedio, ma d’altro canto garantivano anche la protezione per le basi logistiche e strategiche dei contingenti sabaudi impegnati in alta valle nel tentativo di contrastare l’invasione77. È proprio in questi contesti storici e territoriali che entra in gioco la fortificazione campale temporanea o semiparnente con tutta la sua portata tattico-strategica; durante le vicende belliche del XVIII secolo, a partite già dalle campagne alpine della guerra di successione spagnola78, vennero diffusamente realizzati trinceramenti in pietra a secco e terra per attestarsi su posizioni strategicamente importanti in grado di dominare i percorsi d’accesso e d’aggiramento delle piazzeforti permanenti79.

poi quanto fu prodotto con integrazioni e ristrutturazioni nei decenni successivi e soprattutto in occasione della guerra delle Alpi contro la neonata repubblica francese, l’idea di poter censire tutte le località interessate da questo fenomeno non è certo concretizzabile con il lavoro di un singolo studioso e nel giro di pochi anni, in ragione del fatto che il terreno alpino offre un’eccezionale pluralità di percorsi alternativi a quelli principali, suscettibili di un possibile intervento difensivo, non sempre registrato nella documentazione archivistica e individuabile solo per ricognizione. Vero è che dal Piccolo San Bernardo al colle di Tenda, sicuramente in corrispondenza delle vallate principali per il transito fra il Piemonte e la Francia, la presenza dei complessi campali trincerati aveva di fatto creato una terza linea difensiva, la più avanzata rispetto alle piazze di media e bassa valle, poco arretrata rispetto allo spartiacque principale e spesso lungo le dorsali fra una valle e l’altra. La topografia dei siti di questa linea di avanfronte illustra con chiarezza lo sfruttamento delle risorse geomorfologiche integrate dalla fortificazione campale, per assicurare alle forze sabaude il vantaggio strategico e tattico delle posizioni e per colmare l’inferiorità numerica. I complessi di opere campali sabaude sulle Alpi occidentali, meglio noti almeno a livello bibliografico, sono quelli del Piccolo San Bernardo e del campo del Principe Tommaso in valle d’Aosta, quelli delle dorsali spartiacque fra le valli di Susa e dell’Arc, a dominio di Exilles e Chiomonte, e di quella fra le valli del Chisone e di Susa, dall’Assietta al colle delle Finestre; seguono i complessi della valle Varaita nel Saluzzese e della valle Stura80. Non va infine dimenticata l’intensa attività di fortificazione campale svolta in prevalenza durante le campagne della successione d’Austria nella contea di Nizza, lungo la linea fra Breil e Dolceacqua, sulle alture di Montalban e nella valle del Nervia81. Si tratta di opere realizzate a taglio dei valichi o in posizioni strategicamente favorevoli in prossimità dello spartiacque alpino principale. Gli schemi in pianta rispondevano a tipologie della fortificazione campale teorizzata nei trattati; comparivano talvolta le frecce regolari, o «redan», più frequentemente

La fortificazione campale alpina e la scuola piemontese Quando nel 1748 si chiuse la guerra di successione d’Austria, sulle montagne del confine occidentale sabaudo la quantità di siti stategici fortificati con opere semipermanenti era altissima. Considerando 76 Non sembra questa la sede per discutere la genesi e la natura del doppio cordone di fortezze, che risulta ripetuto anche sul confine orientale degli stati sabaudi nella fascia longitudinale compresa fra la Sesia e il Ticino; si rimanda quindi a SCONFIENZA 2003 per tali argomenti e ai contributi di VIGLINO DAVICO 2005a e di RAVIOLA 2007, con bibliografia pregressa, per il confine orientale sabaudo. Rammentiamo tuttavia che la difesa limitanea tramite due ranghi di piazzeforti interagenti fra loro fu programmata e realizzata dal famoso marchese di Vauban, per i confini settentrionale e orientale del regno di Francia a partire dagli anni settanta del XVII secolo, e venne denominata tradizionalmente «pré carré»; trattano la materia più di recente nell’ambito della sterminata bibliografia vaubaniana VIROL 2003, pp. 93-130; BARROS, SALAT, SARMANT 2006, pp. 75-107; VIROL 2007, pp. 14-23. 77 Le vicende storico-militari della prima metà del XVIII secolo, in particolare quelle della guerra di successione austriaca, illustrano chiaramente quanto detto, allorché in diverse occasioni dei contingenti francesi e spagnoli penetrarono oltre il confine sabaudo attraverso i valichi alpini, per occupare le dorsali fra le valli principali e tentare l’isolamento di alcune fortezze, compierne l’assedio e tentare di scendere nella pianura piemontese. Così avvenne nelle valli di Varaita e di Bellino nel 1743, ancora nelle stesse valli e in quella di Stura nel 1744 (ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 120-125; GARIGLIO 1999a, pp. 91-108; GARELLIS 2001, pp. 119-147; MINOLA 2006a, pp. 39-56; SCONFIENZA 2009, pp. 7-25) e lungo la dorsale fra le valli del Chisone e di Susa nel 1745 e nel 1747 (Assietta 1997 con bibliografia precedente; ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 238-244; MINOLA 1998, pp. 101113; GARIGLIO 1999a, pp. 132-158; ID. 2000, pp. 214-244; AMORETTI 2003; MINOLA 2006a, pp. 57-76, 91-148). 78 Supra nota 54.

79 Per ampliare il quadro presentato e le implicazioni strategiche e politiche dell’argomento si vedano SCONFIENZA 2003 e CERINO BADONE 2007b. 80 Per i primi quattro si veda infra nel presente contributo ai paragrafi specifici, per la valle Stura in particolare VIGLINO DAVICO 1987, pp. 72-77 e SCONFIENZA 1996, pp. 121-122.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 2 – A: Raffigurazioni dal Traité de l’Attaque des Places del marchese di Vauban per i tracciati in pianta degli schemi elementari di fortificazione campale (fine XVII-XVIII secolo), costituiti da tratti rettilinei di trinceramento intervallati da «frecce» o «redan» di forma triangolare; in basso, adattamento ideale alla natura del suolo delle linee trincerate, o «lignes», con schema a redan e schema a cremagliera (da N. FAUCHERRE, P. PROST, Le triomphe de la méthode, Evreux 1992); B: Raffigurazioni dal Traité de l’Attaque des Places del marchese di Vauban per le sezioni, o «profils» dei trinceramenti campali di circonvallazione, ovvero per la difesa dell’armata d’assedio da tergo verso l’aperta campagna (da N. FAUCHERRE, P. PROST, op. cit.).

le linee irregolari a salienti e rientranti che adeguavano il percorso del trinceramento alla natura orografica del sito. Erano frequenti in punti di particolare rilevanza difensiva o alle testate estreme dei trinceramenti le ridotte, chiuse alla gola, di varia forma, quadrangolari, tenagliate o a stella82 (fig. 2, A, B). La tecnica costruttiva alternava di sito in sito o anche nello stesso, a seconda delle caratteristiche pedologiche, l’opera in pietra a secco o l’elevato in terra battuta con superficie ricoperta da «teppe» erbose. Il profilo degli elevati seguiva anch’esso l’istruzione della fortificazione campale moderna, che prevedeva in successione schematica dalla campagna verso l’interno del trinceramento l’elevato

dello spalto, il fossato a sezione trapezoidale capovolta, il corpo del trinceramento, realizzato con il materiale cavato dal fossato, a sezione di trapezio irregolare con il limite del parapetto superiore allineato al defilamento dello spalto, e la banchina di tiro a sezione quadragolare, solidale al corpo del trinceramento dalla parte interna. Nel caso più particolare, ma assai diffuso in montagna, dei trinceramenti in pietre a secco il profilo dell’elevato si semplificava, rispetto allo schema illustrato, in una sezione trapezoidale irregolare, che aveva i lati obliqui costituiti da filari di scaglie di pezzatura uniforme, regolarizzati in facciavista, e un nucleo, solidale ed elevato contestualmente alle facciaviste, in materiale lapideo eterogeneo, derivante dalla sbozzatura delle scaglie esterne, dai tagli in roccia per l’allettamento della struttura o da cave aperte nelle vicinanze (fig. 3, A, B). Le caratteristiche orogeografiche e strategiche delle Alpi occidentali, in particolare sui versanti

81 In merito ai trinceramenti realizzati nel comprensorio di Villefranche, sui monti Gros, Vinaigrier, Leuze, Bastide e Dréte, fino a La Turbie e Semboula, sono significativi i contributi GEIST 1999-2000 e 2000-2001. Per un inquadramento più generale si veda CAPACCIO, DURANTE 1993 e più sinteticamente SCONFIENZA 2005a, pp. 102-107.

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anni ottanta del XVIII secolo Alessandro Vittorio Papacino d’Antoni, direttore delle Regie Scuole d’Artiglieria e Fortificazione, giunse a sintetizzare l’intera esperienza nella nozione di trinceramento come prodotto di «Tattica» e «Architettura Militare»84. La convergenza di questi saperi teorici e pratici si verificò a causa di specifiche necessità belliche e soprattutto scaturì in precisi siti alpini di rilevanza strategica, dove l’azione tattica di un contingente difensivo necessitava di una fortificazione d’appoggio, capace di valorizzare i presupposti geofisici della posizione. Ciò coinvolgeva anche la percezione del territorio montano che avevano gli ingegneri di quel tempo, in prossimità del confine con la Francia, e che si configurava in ultima analisi come un’area di manovra difensiva, compresa fra lo spartiacque alpino principale e le fortezze di media valle. Tale area poteva essere occupata e sfruttata con una successione scalare di capisaldi trincerati lungo le dorsali e le valli, che chiudevano i percorsi e imponevano agli invasori quelli voluti dalla strategia difensiva. In questa prospettiva la fortificazione campale non costituiva un vincolo tattico a priori, al contrario aveva una potenzialità dinamica nella sua natura temporanea, al punto da poter plasmare le valli e le dorsali in corridoi di guerra fra il confine e lo sbocco nella pianura piemontese. Tutto ciò permetteva di contendere a lungo il terreno e, anche in caso di ripiegamento, l’avanzata nemica doveva procedere a rilento, in un’epoca in cui la fine della bella stagione impediva sulle Alpi i collegamenti fra le due nazioni e quindi anche i rifornimenti ad un invasore che si fosse trovato a svernare sul suolo sabaudo, senza l’appoggio di un ampio territorio occupato. Il modello di fortificazione descritto fu applicato fino agli anni della guerra del 1792 fra il regno di

fig. 3 – A: Raffigurazioni dal Traité de la Défense des Places del marchese di Vauban del profilo in assonometria di un trinceramento campale in terra e legname (fine XVII-XVIII secolo; da M. VIROL [a cura di], Les Oisivetés de Monsieur de Vauban, Seyssel 2007); B: Sezione di trinceramento in pietre a secco nella valle di Nevache presso Briançon da una carta francese successiva al 1747 (da Assietta 1997).

valdostano e piemontese, sono stati i presupposti peculiari della scuola di fortificazione sabauda, che nell’ambito specifico dei sistemi di opere campali non rinunciò mai all’impiego del trinceramento continuo. L’edificazione delle ridotte era sempre subordinata al controllo di siti strategicamente importanti e dominanti; non si poteva tuttavia prescindere dalla presenza fra una ridotta e l’altra di un elemento connettivo, realizzabile unicamente con trinceramenti continui, adeguati alla natura del sito e i cui tratti fossero in relazione di reciproca copertura. La duttilità del trinceramento continuo permetteva infine che tale manufatto si estendesse praticamente ovunque e che rispondesse all’esigenza principale di tagliare o dominare gli itinerari di aggiramento dei capisaldi principali, difesi dalle ridotte, portando la linea di fuoco fin sui margini dei pendii più ardui e disagevoli alla scalata83. Questo modello di sistema campale, integrato fra ridotte e trinceramento continuo, si definì gradualmente nel tempo, temperando l’osservazione e l’esperienza pratica delle guerre di successione con le riflessioni teoriche che gli ingegneri del re di Sardegna maturarono anche dopo il 1748. Negli

83 Va detto, a conferma della peculiarità piemontese, che nel XVIII secolo non sempre il trinceramento campale prevedeva l’opera continua, ma spesso si preferiva, quanto meno in pianura, l’impiego dei sistemi a ridotte staccate, che, secondo gli strateghi del tempo potevano meglio frazionare il fronte d’attacco nemico; casi esemplari e celebri sono quelli delle battaglie di Poltava, fra Russi e Svedesi nel 1709, e di Fontenoy, fra Inglesi e Francesi nel 1745, o ancor più le teorizzazioni della scuola d’ingegneria militare prussiana di Federico II. Sul tema DUFFY 1985, pp. 134-147 e in sintesi SCONFIENZA 2007, pp. 165-168. Relativamente all’identificazione e alle caratteristiche di una scuola d’architettura militare piemontese si vedano FARA 1989, pp. 117-148 passim, 232, 233, 238; FARA 1993, pp. 95-103; BIANCHI 2002a, pp. 153-186; SCONFIENZA 2007, pp. 178-194; VIGLINO DAVICO et al. 2008 sotto le voci Antonio e Ignazio Bertola e a seguire Audé, Bagetti, Belgrano, Birago di Borgaro, Boasso, Bozzolino, De Vincenti, de Wuillencourt, Durieu, Gallo, Garove, Guibert, Nicolis di Robilant, Papacino d’Antoni, Pinto di Barri, Quaglia, Rana.

82 Si vedano la trattatistica di supra nota 59, SCONFIENZA 1996 e 2007.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

Sardegna e la repubblica francese, in particolare sulle Alpi Marittime e nella contea di Nizza, come per esempio sul massiccio dell’Authion85. È questa l’epoca in cui vennero alla luce i limiti delle scelte strategiche per la difesa del confine occidentale, ma anche quelli della ripetizione sistematica lungo tutto il confine alpino dell’interazione fra fortificazione campale e permanente. Innanzitutto i complessi campali trincerati, pur essendo il prodotto di soluzioni tattiche e strategiche più dinamiche e di un’arte fortificatoria più immediata che quella delle opere permanenti, erano comunque passibili d’aggiramento come le grandi piazzeforti, a meno di fortificare amplissime aree di dorsale, non presidiabili comunque da un numero adeguato di uomini86. In secondo luogo già prima del 1750 Pierre de Bourcet, il più esperto topografo militare francese in materia alpina, individuava il limite strategico del sistema difensivo sabaudo occidentale, sostenendo che non solo il frazionamento delle forze del re di Sardegna lungo il confine era causa di un suo indebolimento, ma anche la minaccia da parte francese di concentrare tutte le forze d’invasione in un solo punto determinava la peggior ipoteca sulla tenuta della difesa sabauda87. Era infatti impossibile per l’armata del re di Sardegna controllare effica-

cemente ogni colle d’accesso in Piemonte o in val d’Aosta, mentre la difesa dei meno numerosi valichi percorribili dall’artiglieria frazionava troppo la stessa armata. In tale contesto inoltre la fortificazione campale assumeva un carattere troppo statico di semipermanenza, a fronte del fatto che l’eccessiva frammentazione di forze rischiava di vanificare la funzione integrativa del numero ridotto di difensori, propria del trinceramento. Sebbene la riflessione teorica sulla difesa del confine alpino dopo il 1748 abbia preso in esame questa problematica e si siano studiate le opportunità di una scelta fra la difesa in profondità o quella a cordone88, la decisione in favore di quest’ultima e la conseguente suddivisione dell’esercito sabaudo in più corpi d’armata lungo il sistema di fortezze e opere campali determinarono la sconfitta del regno di Sardegna alla fine della guerra della Alpi, vanificando quel grande sforzo di resistenza fra il 1792 e il 1796, tanto ammirevole quanto fallimentare89.

Studio e metodi d’indagine per la fortificazione campale alpina Una caratteristica delle ricerche d’archeologia militare, aventi come oggetto i sistemi di fortificazione campale appena illustrati, è certamente la pluralità di dati e la varietà della loro origine. Si tratta di una situazione che richiama opportunamente il problema del «rumore documentario», individuato come specificità metodologica in seno all’archeologia postmedievale90. È una situazione di studio infatti che vede convergere due principali generi di fonti: quelle archeologiche, reperite nei siti interessati dall’intervento di fortificazione antica, e quelle archivistiche manoscritte; si aggiungono inoltre le fonti tradizionali di supporto all’indagine archeologica territoriale, come la fotografia aerea e le cartografie regionali, e quelle complementari alle archivistiche, ovvero la cartografia storica e i testi coevi editi. La maggior difficoltà, ma anche l’aspetto interdisciplinare più rilevante della ricerca, sta nel proporre un’interpretazione reciproca coe-

84 PAPACINO D’ANTONI 1782, p. 191. Le riflessioni di maggior significato si trovano nella Parte Terza del Sesto Libro dell’Dell’Architettura Militare per le Regie Scuole Teoriche d’Artiglieria e Fortificazione (ID. 1782), intitolata Regole e Indirizzi per ideare le Fortificazioni Campali, per attuarle e per difenderle, ma anche in ID. 1780, paragrafo Dei fortini e dei ridotti. Sul Papacino d’Antoni, figura importante nell’ambiente militare e culturale del Piemonte settecentesco, si vedano PATRIA 1972; BIANCHI 1996; ILARI, PAOLETTI, CROCIANI 2000, pp. 41-43, 84-85; BIANCHI 2002a, pp. 116-117, 163; VIGLINO DAVICO et al. 2008, pp. 361-365. 85 Nel giugno del 1793 sulle alture del massiccio dell’Authion, fortificate a dominio della valle Roja, si svolse l’ultima vittoriosa battaglia alpina combattuta da un’armata sabauda d’antico regime; si vedano MERLA 1988, pp. 163-174; GARIGLIO, MINOLA 1995, pp. 215-223; GARIGLIO 1999a, pp. 232-253; ILARI, CROCIANI, PAOLETTI 2000, pp. 107-119; SCONFIENZA 2007, pp. 194-200; MINOLA 2007, pp. 27-46. 86 Citiamo a riprova di quanto detto le vicende storiche dell’inefficace difesa sabauda a Pietralunga in val Varaita nel 1744, quando le posizioni piemontesi di monte Passet furono prese alle spalle dagli Svizzeri del reggimento Travers-Grisons. Per contro il successo delle truppe sabaude del Bricherasio alla famosa battaglia dell’Assietta, il 19 luglio 1747, è motivato non soltanto alla strenua difesa della tenaglia e dei trinceramenti del fronte principale, ma anche e soprattutto al fallimento degli attacchi della colonna francese del de Villemur al Gran Serin, posizione di retrofronte rispetto alla testa dell’Assietta, ma nodale nell’economia difensiva del sistema (MINOLA 2006a, pp. 91-137; SCONFIENZA 2009, pp. 7-25, entrambi con bibliografia pregressa). 87 DE BOURCET s.d., p. 272. Per il de Bourcet si veda BLANCHARD 1981, pp. 100-101.

88 Testimoniano questa situazione sia i progetti del duca Ferdinando di Brunswick, venuto in visita in Piemonte nel 1766, sia i Projets de defensive del Papacino d’Antoni (SCONFIENZA 2005a). 89 Si vedano in materia le considerazioni critiche di ILARI, CROCIANI, PAOLETTI 2000, pp. 37-42. 90 Si veda in particolare MORENO 1997, p. 90; toccano inoltre l’argomento contestualmente al tema della pluridisciplinarità dell’archeologia postmedievale MANNONI 1997, pp. 24-25; MILANESE 1997b, pp. 14-15; ID. 1997c, p. 86.

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rente dei dati di natura archeologica e archivistica, nel tentativo di proporre una corretta ricostruzione topografica e materiale dei manufatti studiati, ma anche di poterne comprendere la reale destinazione e interpretazione al momento d’uso.

territorio93, che è l’impiego della storiografia come metro di valutazione a priori per scegliere cosa osservare e cosa indagare. La ricca bibliografia attuale, segnalata all’inizio del contributo, che tratta sia con impostazione scientifica sia con intento divulgativo le vicende belliche dello stato sabaudo in età moderna o la storia delle trasformazioni dei confini e delle loro fortificazioni, offre senza dubbio un valido punto di partenza per l’individuazione dei principali siti alpini interessati da interventi difensivi campali, soprattutto in occasione di eventi bellici specifici. L’attenzione dell’archeologo, per quanto ben indirizzata a livello bibliografico, si dirige tuttavia al dato materiale, che è soltanto reperibile sul terreno, e pertanto il genere di approccio scelto per queste ricerche è stato quello della ricognizione94. Sebbene sia condiviso il principio per cui l’incontro fra il sito e lo studioso debba essere mediato da un procedimento di ricognizione sistematica in un comprensorio ampio e prestabilito e che al contrario non si possa scendere sul terreno alla ricerca di «ciò che si vuole trovare», la natura dei manufatti indagati, quali i trinceramenti alpini in opera a secco o terra battuta, ci ha permesso di ricondurre gli stessi alla tipologia dei «siti particolari», che vengono presi in considerazione perché già noti o per la loro evidente consistenza strutturale; essi necessitano di metodi specifici d’indagine, nonché di un preciso posizionamento geografico ed esaurienti documentazioni grafiche e fotografiche. D’altro canto anche la nozione di «tracce lineari» sembra confacente ai manufatti indagati, che talvolta segnano ancor oggi le dorsali alpine prive di vegetazione ad alto fusto, tanto da permettere non solo l’individuazione dei resti sul terreno, ma di cogliere interi sviluppi a salienti e rientranti tramite la fotografia aerea95. In base a tali premesse nei comprensori delle fortificazioni campali indagate finora da chi scrive,

Le fonti archeologiche L’approccio di carattere archeologico allo studio delle fortificazioni in oggetto determina la loro collocazione in seno a quelli che sono definiti «manufatti territoriali», riconosciuti a tutti gli effetti in qualità di fonti storiche. Nell’ambito della tassonomia dei manufatti territoriali, individuata nella recentissima letteratura specialistica91, la fortificazione campale d’età moderna, in generale e non solo quella alpina, può costituire una nuova classe tipologica nella categoria funzionale delle «infrastrutture». Essa infatti non comprende edifici come possono essere i castelli, le fortezze o le cittadelle, ma dei medesimi condivide la finalità difensiva. D’altro canto lo sviluppo lineare attraverso il territorio è analogo alle infrastrutture idrauliche e di viabilità, che tuttavia non hanno una prima attinenza con la destinazione militare; le ridotte non risultano riconducibili alla tipologia degli «edifici», essendo funzionalmente e spesso strutturalmente coerenti con i trinceramenti continui del sistema d’appartenenza. Va infine precisato, a livello preliminare, che le fortificazioni campali del XVIII secolo sono in rapporto di discontinuità con l’attuale paesaggio alpino, perché la loro specifica funzione è venuta meno. È esistito dunque a suo tempo un rapporto di continuità con il paesaggio storico coevo alle opere ed è questo il motivo per cui in molti contesti si svilupparono fasi successive di fortificazione, come per esempio al Piccolo san Bernardo o all’Assietta; certamente la dismissione a causa dell’esaurimento della finalità militare e della funzionalità del sistema difensivo alpino sabaudo ha segnato l’origine della discontinuità e dei processi frequenti di rinaturalizzazione dei resti dei trinceramenti, soprattutto di quelli in terra92. A fondamento della ricerca sembra corretto porre uno strumento ritenuto necessario anche nella bibliografia specialistica in materia di approccio al

93 CAMBI, TERRENATO 2004, pp. 161-162; TOSCO 2009, pp. 17-20. 94 Tale condizione di ricerca ha indotto inevitabilmente alla riflessione in merito all’oggetto di studio e al confronto con i fondamenti della ricognizione archeologica, tentando di costruire d’altro canto un impianto teorico per gli studi intrapresi, del quale si sentiva l’ormai improrogabile necessità; si rinvia pertanto alla bibliografia utilizzata come supporto, valida per tutto il contenuto di questo paragrafo: BARKER 1981, pp. 4454; FRANCOVICH, MANACORDA 2000, pp. 3-4, 122-133, 159162, 250-257, 279-280; CAMBI, TERRENATO 2004, passim e in particolare pp. 87-107, 122-144, 161-167; RENFREW, BAHN 2006, pp. 62-95; MANACORDA 2007, pp. 7-47; TOSCO 2009, passim e in particolare pp. 1-96, 138-164, 234-267. 95 Si prenda come esempio magistrale il sistema trincerato del colle della Bicocca fra le valli di Varaita e Maira oppure quello del Piccolo San Bernardo (infra ai paragrafi relativi).

TOSCO 2009, pp. 78-83. Si veda per esempio il destino di totale cancellazione delle tracce dei trinceramenti edificati in terra e legname nel bosco de La Levée e di Vallanta in valle Varaita (infra al paragrafo relativo). 91 92

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corrispondenti al colle del Piccolo San Bernardo e alla val Veny, alle alte valli della Varaita di Bellino e di Chianale e ai colli delle Finestre e Fattières, si è attuata una «ricognizione autoptica non sistematica». Il metodo, adatto all’analisi di settori specifici del paesaggio, a quelle zone «marginali» nelle quali rientrano perfettamente le dorsali e i versanti alpini, è opportunamente messo in relazione allo studio dei siti particolari e soprattutto permette di variare l’intensità dell’intervento. Nei casi citati, ad esclusione dell’ultimo, l’indagine ha preso avvio dallo studio della bibliografia e della cartografia inerenti le località prescelte; sono poi state condotte più visite ripetute nel tempo ai siti fortificati, durante la bella stagione, anche in seguito alle prime ricerche d’archivio, e in ogni occasione si è svolta una campagna di fotografie che venivano a completarsi l’una con l’altra e permettevano di approfodire particolari costruttivi, scelte topografiche, visioni d’insieme. Infine il complesso delle risultanze veniva collocato sulla cartografia regionale e integrato con le immagini da fotografia aerea, già recuperate nelle fasi preliminari dell’intervento96. A proposito dell’impiego della cartografia moderna come supporto per queste ricerche va detto che ci si è generalmente riferiti alle carte dell’Istituto Geografico Militare (IGM) in scala 1:2500097; tali strumenti risultano inoltre assai utili in ragione della loro redazione ormai storica, fra il 1861 e il 1902, soprattutto per il rilevamento di situazioni e tracce oggi non meglio riconoscibili o per la trasmissione di antichi toponimi, come nel caso della riflessione sulla corretta collocazione topografica della ridotta di monte Passet in valle Varaita98. Sebbene siano state decisamente utili nelle ricognizioni sul terreno le Carte dei sentieri e dei rifugi dell’Istituto Geografico Centrale (scala 1: 50000), lo strumento migliore al quale oggi riferirsi è la cartografia tecnica regionale, CTR Raster e Rete Geodetica, che è accessibile sul web nel sito www.sistemapiemonte.it99 e presso i siti delle provicie piemontesi100.

I dati reperiti durante le ricognizioni consistono in vedute generali, prese da punti dominanti, immagini che documentano ampie parti dei complessi campali e particolari di ogni singolo tratto dei trinceramenti o delle ridotte; nell’ambito dei particolari vanno collocati anche i primi piani delle facciaviste dei muri a secco o dei resti meglio percepibili degli elevati in terra o dei fossati e di qualche traccia delle linee di palizzata. Documentazione imprescincibile è poi il rilevamento delle misure, altezza e spessore dei muri in più punti dello sviluppo del trinceramento, ampiezza delle strade coperte, retrostanti le fortificazioni, e delle tracce di fossati. Talvolta è risultato utile, come nel caso della ridotta di monte Passet, in valle Varaita, disegnare uno schizzo in scala, utilizzando le misure individuate sul terreno, per sostituire un vero e proprio rilievo archeologico delle consistenze in assenza di strumentazione adeguata, ma anche in seno ad una ricognizione per la quale non si era scelto di intensificare fino a quel punto il livello d’indagine101. Di grande utilità è stata infine la redazione di un quaderno d’appunti in situ, analogo al giornale di scavo o al diario del ricognitore, nel quale, accanto ai dati delle misurazioni e descrittivi delle strutture, si sono annotate le successive impressioni e letture interpretative momentanee per opere e contesti, riesumate al momento dell’elaborazione e del confronto con le informazioni emergenti dalle fonti d’archivio. La riflessione sulla ricognizione non sistematica alle fortificazioni campali alpine ha inoltre permesso di maturare una prospettiva interpretativa dei comprensori difensivi e delle singole opere, che a nostro avviso dà allo studio di questi manufatti una degna collocazione nell’ambito delle discipline geneali che rinviano al CTR Raster; Asti, Pianificazione Territoriale, Cartografia: http://www.provincia.asti.it/tema. php?Id_argomento=48vsotto=88; si tratta tuttavia di carte informative sommarie con rimando più preciso al CTR Raster della Regione Piemonte; Biella, Sistema Informatico Territoriale e Cartografia: http://www.cartografia.provincia.cuneo. it/on-line/. Repertorio/consultazione/articolo3000133.html; Cuneo, Sistema Informatico Territoriale, Cartografia on line: http://www.provincia.cuneo.it/gis; Novara, Sistema Infomatico Ambientale: http://www.provincia.novara.it/Ambiente/SIA/serviziaccesso. php, che rinvia al CTR Raster di sistemapiemonte.it; Torino, GITAC, Cartografia Raster on line: http://www.provincia.torino.it/gitac/cartografia_raster/ index, presso il quale si accede a link di cartografia tecnica e di cartografia storica; Verbania, Cartografia PAEP: http:// www.provincia.verbania.it/pag.php?id=733&op=P; Vercelli, Sistema Informativo Territoriale Ambientale: http://www. provincia.vercelli.it/organiz/pianter/Sita/sita3.htm. 101 Infra nota 197.

96 Si precisa che le vedute aeree sono state generalmente recuperate dal web, grazie a siti come Google Earth o maps.live.it. 97 Si rinvia al bel sito dell’Istituto Geografico Militare di Firenze http://www.igmi.org/ e in particolare alla pagina http://www.igmi.org/prodotti/toponimi.php 98 Infra al paragrafo relativo. 99 Si veda http://www.sistemapiemonte.it/territorio/ctr/index.shtml o anche direttamente alla pagina del CTR Raster: http://www.webgis.csi.it/Ctrig/main.asp. 100 Per le provincie i riferimenti sono: Alessandria, Sistema Informatico Territoriale (SIT), Cartografia su http:// www.provincia.alessandria.it con indicazioni ed esempi

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archeologiche e potrebbe proporsi come esempio per gli studi dedicati a oggetti analoghi di epoche e siti diversi, rispetto all’età moderna e all’ambiente alpino. Innanzitutto, recuperando quanto detto sopra riguardo al rapporto con la storiografia è fuor di dubbio che lo studio della fortificazione campale alpina opera nell’ambito di un «contesto tematico», che è quello del confine occidentale degli stati sabaudi, e concorre allo sviluppo del tema storiografico relativo alla difesa di quel contesto. Diversamente l’indagine sarebbe fine a se stessa e la ricognizione nulla, se non una scampagnata erudita, mentre nelle pagine precedenti si è tentato, per quanto sinteticamente, di fornire gli estremi storici, topografici e storico-architettonici del contesto tematico del confine, nel quale le opere campali e la loro conoscenza assumono un ruolo assolutamente preciso e caratteristico. In secondo luogo emerge il rapporto fra queste ricerche d’archeologia militare e l’archeologia ambientale. Se infatti quest’ultima studia la sovrapposizione dei successivi paesaggi in un determinato territorio, intendendo per paesaggio la riplasmazione della superficie di un comprensorio geografico in estensione a seconda delle formazioni politiche, sociali, economiche e culturali dell’uomo, l’indagine «monografica» sulle fortificazioni campali si rivolge ad uno specifico gruppo di opere antropiche che in un certo periodo, sovrapponendosi al substrato naturale del territorio in esame, hanno modificato i paesaggi dell’arco alpino occidentale e sono entrate a far parte del patrimonio genetico dei medesimi. È chiaro pertanto che l’interesse di studio dell’archeologia militare in questo caso è il legame con il tema storiografico della difesa del confine piuttosto che la ricostruzione del paesaggio alpino, ma la sua interferenza con un orizzonte proprio dell’archeologia dei paesaggi contribuisce alla stabilità della sua fondazione epistemologica in seno alle discipline archeologiche. Proseguendo sulla strada intrapresa emerge un’ulteriore nozione appartenente all’archeologia ambientale, che è quella degli «ecofatti», intesi come tracce di risorse e potenzialità di un comprensorio geografico in base alle sue caratteristiche ambientali. Uno fra gli esempi più evidenti è quello della presenza di giacimenti minerari, che hanno la capacità di attrarre l’interesse dell’uomo per ragioni soprattutto di natura economico-produttiva. Provando tuttavia a spostare questa prospettiva di lettura sulle fortificazioni campali, ci si accorge che, in vista di una finalità difensiva e non già economica, come invece avviene prevalentemente,

è qualificabile con la dignità di ecofatto ogni posizione strategica e dominante, su cui cade la scelta per impiantare le opere, in quanto essa rappresenta il legame più stretto fra la risorsa geomorfologica ambientale e la natura e finalità della fortificazione campale. Tale legame è quello ricercato, colto e valorizzato dall’ingegnere che ha progettato il sistema difensivo, secondo la sua formazione culturale e la sua capacità di percepire l’ambiente nel quale ha operato, in base ai presupposti storici del suo tempo. In linea teorica si può inoltre considerare un ecofatto lo stesso trinceramento dal momento in cui fu portato a termine, in quanto manufatto prodotto con i materiali, pietra, terra e legname, ricavati dallo stesso sito di costruzione e caratteristici di quel terreno e di quelli limitrofi; d’altro canto l’opera campale costituisce una componente reale e oggettiva di quello specifico paesaggio, venuta ad essere da un certo momento in poi, tanto da poter essere identificata come «permanenza immobile» ed eventualmente rappresentare una preesistenza per fasi successive di ristrutturazione o integrazione. Attualmente le fortificazioni campali alpine, poiché sono in una situazione di discontinuità ambientale, come s’è detto precedentemente, essendo tecnicamene definibili «permanenze», appartengono alla categoria delle «residuali», sia «dirette», quando per esempio le opere a secco conservano ancora evidenti i caratteri originali, pur danneggiati dal tempo, sia «indirette», come nel caso delle variazioni superficiali lasciate dalle strutture in terra, molto consumate o riconoscibili soltanto dalle depressioni dei fossati naturalmente ricolmati. È chiaro che la prospettiva ambientale ci permette di indagare i sistemi di fortificazione campale, muovendo dai contesti maggiori, nei quali si mira alla comprensione del problema storico difensivo su ampia scala lungo tutto il confine alpino, per passare a situazioni territorialmente più limitate, in cui si indaga il singolo sistema, in corrispondenza di uno specifico tratto di frontiera, e si colgono i particolari ecofatti delle sue posizioni strategiche. Infine lo studio dei tratti di trinceramento, delle ridotte, e delle loro relazioni topografiche e strutturali segna, in corrispondenza di siti specifici, l’incontro del manufatto architettonico, che l’archeologia moderna individua nell’unità stratigrafica, con l’unità topografica rappresentante l’azione umana che ha modificato il paesaggio in ragione delle finalità difensive. Da queste considerazioni deriva in ultima analisi la possibilità di applicare alla ricognizione non sistematica delle fortificazioni campali diversi gradi 26


Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

d’intensità d’indagine. S’è fatto cenno precedentemente a questo argomento e si rende noto fin d’ora che lo studio condotto nelle estati del 2007 e 2008 ai trinceramenti dei colli delle Finestre e Fattières ha segnato un momento di prova per l’applicabilità del metodo dialettico fra una prospettiva estensiva ed una intensiva nell’ambito di queste ricerche102. Certamente lo studio estensivo coinvolge per l’ennesima volta la tematica storica della difesa di confine ed ha come limiti i singoli contesti tematici territoriali, in cui furono realizzati i diversi sistemi trincerati. Ognuno di questi richiede poi ancora una prospettiva di studio estensivo per comprendere il funzionamento sincronico delle sue componenti e i principi dell’invenzione architettonico-militare che vi è sottesa, come nel caso degli studi sulle fortificazioni del Piccolo San Bernardo e della valle Varaita. Quando si passa poi allo studio in situ dei singoli manufatti, si entra nell’ordine delle indagini intensive e si prospetta la scelta di individuare porzioni limitate del sistema campale per le quali abbia valore approfondire la ricerca nei detagli, fino alla ripulitura e al rilievo delle emergenze, così come è avvenuto per la ridotta sommitale dei trinceramenti delle Fattières.

caso al sito dell’SBN nazionale, curato dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane, e a quello di Librinlinea per le biblioteche piemontesi, accanto all’utilissimo http://books. google.it, dal quale è spesso possibile scaricare interi testi a stampa d’età moderna digitalizzati. Una preziosa risorsa, sia per il reperimento di testi antichi sia per la cartografia storica, è in primis la Biblioteca Digitale Italiana103. Si devono poi prendere in considerazione i siti delle biblioteche nazionali straniere e in particolare per gli studi qui presentati, data la contiguità territoriale attuale e storica, la Bibliothéque Nationale de France (BNF), che, oltre al ricchissimo patrimonio librario, dispone di una sezione digitalizzata, denominata Gallica; in questo servizio non si reperiscono soltanto le fonti a stampa, analogamente a books.google, del quale per altro esiste la versione francese (.fr), ma è anche possibile accedere ad una preziosissima collezione cartografica storica, scaricabile e riproducibile. Tornando in Italia esistono alcuni enti di cultura, privati e pubblici, di interesse particolare per gli studi qui presentati. Innanzitutto ricordiamo le pubblicazioni dell’Istituto Italiano dei Castelli, con le iniziative della sezione Piemonte e Valle d’Aosta104, e poi l’Istituto Storico di Cultura dell’Arma del Genio di Roma (ISCAG), fondato nel 1934, attualmente sede del Museo Storico di Architettura Militare e dotato di archivio iconografico e biblioteca. Sempre nella capitale esistono e vanno tenute presenti la Biblioteca Militare Centrale, facente capo allo Stato Maggiore dell’Esercito, e la Società Italiana di Storia Militare (SISM)105, mentre presso l’Università di Siena opera attualmente il Centro Interuniversitario di Studi e Ricerche Storico-Militari106. Se ci si avvicina al territorio piemontese, deve essere immediatamente segnalata la creazione recente di un ricchissimo fondo militare presso la Biblioteca Civica «Farinone Centa» di Varallo Sesia, in

Le fonti bibliotecarie e archivistiche Il gruppo di fonti complementari a quelle archeologiche, e d’importanza fondamentale per lo studio della fortificazione campale alpina, è quello costituito dai documenti storici d’archivio e dai patrimoni bibliotecari. È infatti noto che le biblioteche nazionali e comunali italiane ed europee conservano ricchi corpora di edizioni e manoscritti antichi, una parte dei quali, opportunamente catalogata, tratta materie di carattere militare, storico-architettonico e strategico. In questa sede ci si occuperà ovviamente delle fonti e degli enti di conservazione inerenti gli studi sull’arte militare di ambiente sabaudo, pur proponendo un approccio generale, possibilmente estendibile ad altre realtà territoriali che quanto meno condividano con la nostra gli orizzonti cronologici e la destinazione d’uso. Va detto in primo luogo che la ricerca storico-bibliografica, già posta a fondamento dell’indagine sul terreno, è oggi assai agevolata dagli strumenti forniti on line dagli stessi enti di conservazione o da quelli amministrativi; basta pensare nel nostro 102

103 Sito internet: http://www.bibliotecadigitaleitaliana. it/genera.jsp. 104 Opere monografiche e periodiche reperibili presso il sito dell’Istituto, http://www.castit.it/, con sede centrale a Roma, a Castel Sant’Angelo. 105 Sito internet: http://www.bibliomil.com/sism/statuto. html. 106 Il centro fu fondato a Pisa nel 1983 e formalizzato nel 1986 per consorziare le Università di Torino, Pavia e Padova; fu accresciuto dal 1992 con l’arrivo delle Università di Pavia, Milano-Cattolica, Siena, Milano-Statale, Modena, BolognaRavenna, Roma-Tre, Roma-Sapienza e Udine. La direzione attuale è affidata al professor Nicola Labanca; sito internet: http://cisrsm.isti.cnr.it/.

Si veda infra al paragrafo relativo.

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provincia di Vercelli, per iniziativa e impegno del professor Virgilio Ilari. Segue poi il nutrito elenco di biblioteche torinesi, che meglio possono fornire strumenti di ricerca e studio in ambito storico-militare. Prima di ogni altra segnalazione è opportuno ricordare l’esistenza di una fornitissima Biblioteca Militare di Presidio, presso il palazzo dell’antico arsenale sabaudo, recentemente riordinata e fruibile, annessa alla Scuola d’Applicazione d’Arma dell’Esercito. Di agevole consultazione e fornite della maggior parte delle risorse bibliografiche utili sono naturalmente la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e la Biblioteca Civica Centrale, che coordina inoltre i patrimoni delle biblioteche di circoscrizione; entrambi gli enti posseggono fondi di manoscrittti e libri antichi a stampa, nei quali è possibile reperire anche materiali utili ai nostri studi107. Accanto a queste appena ricordate è di proficua frequentazione la Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte «Giuseppe Grasso», appartenente all’amministrazione della Provincia di Torino e dotata di un eccellente sistema di catalogazione, in cui non solo compaiono manoscritti e testi antichi, ma anche i titoli analitici degli articoli presenti nei periodici conservati. Specializzate maggiormente anche in materia di fortificazioni e architetture difensive sono le biblioteche del Politecnico di Torino, quali la Centrale di Architettura e quella di Storia ed Analisi dell’Architettura e degli Insediamenti, interna al Dipartimento Casa-Città108, mentre specialistica è la biblioteca del Centro Studi e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte, promosso dalla Regione e costituito nel maggio del 1995109. Riguardo alla Biblioteca Reale di Torino s’è fatto cenno all’inizio del contributo110, tuttavia è opportuno ricordare che, trattandosi della maggior

concentrazione del patrimonio bibliotecario appartenuto alla Casa di Savoia, i suoi fondi contengono abbondanti materiali di interesse storico-militare, architettonico o territoriale. Per quanto concerne gli studi qui presentati si segnalano i fondi dei «Disegni e Carte», quelli dei manoscritti catalogati come «Storia patria», «Militari», «Storia d’Italia», «Miscellanea patria», «Casa Savoia», e il già citato fondo «Saluzzo», raccolta appartenuta al duca di Genova e costituita da numerose opere a stampa, manoscritti, atlanti e carte geografiche. A margine di quanto detto finora è opportuno ricordare che anche le ricerche di archeologia postemedievale possono avvalersi in Piemonte di due utili strumenti bibliografici che sono il Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati del Re di Sardegna, compilato dall’abate Goffredo Casalis negli anni ’30 del XIX secolo, e i numerosi volumi della Raccolta per ordine di materie e leggi, detta comunemente Amato-Duboin111. Se i fondi della Biblioteca Reale offrono allo studioso un’abbondante serie di documenti scritti e cartografici utilissimi per la ricostruzione di eventi, opere e attività umane relative alla fortificazione pemanente e campale in ambiente sabaudo, gli Archivi di Stato di Torino aggiungono ai fondi di tale natura anche quelli di carattere amministrativo, in grado di fornire ulteriori, ma talvolta uniche, informazioni su materiali, fasi costruttive e componenti in elevato delle opere di nostro interesse112. La peculiarità dell’Archivio di Torino è quello di riflettere ancor oggi l’organizzazione delle antiche Segreterie di Stato, cui facevano riferimento i vari uffici dell’amministrazione pubblica del regno, le aziende generali e l’esercito stesso; inoltre, sebbe111 Titolo per esteso: F. AMATO, C. DUBOIN, Raccolta per ordine di Materie delle Leggi cioè Editti, Patenti, Manifesti, Ecc. emanate negli stati di terraferma sino all’8 dicembre 1798 dai Sovrani della Real Casa di Savoia dai loro Ministri, Magistrati, Ecc., compilata dagli Avvocati Felice Amato e Camillo Duboin proseguita dall’Avvocato Alessandro Muzio colla direzione dell’intendente Giacinto Cottin, 28 tomi in 30 volumi, Torino 1818-1868. Va infine tenuto presente per la consultazione dei manoscritti antichi anche il famoso Du Cange, ovvero il Glossarium ad sciptores infimae et mediae latinitatis, redatto da Charles de Fresne signore di Cange nel XVII secolo e poi integrato nel XVIII, di cui esiste una comoda pubblicazione sul web a cura dell’Università di Mannheim: http://www. uni-mannheim.de/mateo/camenaref/ducange.html. 112 Sull’Archivio di Stato di Torino si devono segnalare tre opere più datate per le tematiche che possono interessare le ricerche di ambito storico-militare, ovvero BIANCHI 1876; BOSI 1892; BURAGGI 1937; seguono infine più recentemente BERTINI CASADIO, MASSABÒ RICCI 1982; CARASSI 1989; MASSABÒ RICCI 1989; MASSABÒ RICCI, GATTULLO 1994; MASSABÒ RICCI, GATTULLO 1995.

107 Nel 1904 purtroppo la Biblioteca Nazionale fu vittima di un incendio che colpì disastrosamente i fondi dei manoscritti; attualmente, pur consapevoli del naufragio, possiamo far riferimento al prezioso Deposito Manoscritti e Rari, che conserva quanto si salvò dalle fiamme. 108 Il polo bibliotecario del Politecnico fa capo al servizio del BIBLI – Centro Interdipartimentale Sistema Bibliotecario; esistono anche sedi distaccate di biblioteche centrali d’Architettura e Ingegneria a Mondovì e Vercelli. Sito internet alla pagina: http://www.biblio.polito.it/it/documentazione/ biblpoli.html. 109 Sito internet: http://www.architetturamilitarepiemonte.it/. 110 Sito Internet: http://www.bibliotecareale.beniculturali. it/. Sulla Biblioteca Reale di Torino si vedano in generale GIACOBELLO BERNARD 1990; GIACOBELLO BERNARD, GRISERI 1999; GIACOBELLO BERNARD 2000.

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ne il patrimonio documentario accumulato con ordine fino alla fine del XVIII secolo abbia subito sottrazioni da parte di Napoleone, degli Austriaci durante l’occupazione del 1799 e infine nel 1945 con la consegna degli archivi di Nizza e Savoia alla Francia, l’archivio dell’antica capitale risulta essere comunque uno fra i più ricchi ed emozionanti da esplorare. Attualmente esistono due sedi, quella dell’Archivio di Corte, contenente fondi che erano a diretto contatto del sovrano, e quella delle Sezioni Riunite, in cui sono conservati tutti i fondi di natura più precisamente amministrativa e contabile113. In merito allo studio delle fortificazioni campali alpine sono disponibili numerosi fondi, fra i cui documenti è necessario operare delle ricerche mirate, che non sempre sono agevolate dagli inventari o dalle didascalie. Innanzitutto presso l’Archivio di Corte va considerato il gruppo di fonti raccolte sotto la voce «Biblioteca antica», contenente opere a stampa e manoscritti; seguono le «Materie politiche per rapporto all’estero», le «Materie politiche per rapporto all’interno», in cui è rilevante il gruppo denominato «Storia della Real Casa», poi ancora «Paesi», «Paesi in genere» e infine le «Materie militari». In seno a queste ultime fra le numerose categorie le più frequentate ed utili per le nostre ricerche sono quelle titolate «Imprese militari», «Intendenza generale d’Artiglieria» e «Intendenza generale delle Fabbriche e Fortificazioni». Infine ancora presso l’Archivio di Corte ha sede l’importante raccolta cartografica del fondo «Carte topografiche e disegni»; si tratta di una ricchissima collezione di carte topografiche, in particolare quelle delle categorie «Carte del Genovesato», «Carte topografiche per A e B», «Carte topografiche segrete», «Carte topografiche serie III», «Carte topografiche serie IV», «Carte topografiche serie V», «Disegni Monferrato confini», «Ufficio Topografico Stato Maggiore», che illustrano numerose piazzeforti, territori non solo sabaudi, e campi di battaglia di tutta Europa114. In particolare si tratta di carte con destinazione specificamente militare o in buona parte legate alla definizione dei confini e della topografia delle

regioni frontaliere; le carte appartenti alla categoria dei progetti sono frequenti, ma riguardano sempre la fortificazione permanente, mentre nel caso di quella campale è più frequente trovare documenti grafici redatti dopo l’edificazione dei complessi trincerati per fornire una visione finale d’insieme del loro sviluppo territoriale. È probabile che gli ingegneri militari mettessero così «in bella» i disegni che necessariamente dovevano produrre in fase progettuale e operativa, ma il ritrovamento dei quali è rara ventura. Passando alle Sezioni Riunite e al materiale amministrativo è possibile individuare alcune categorie che contengono documenti di particolare attinenza alle fortificazioni campali. Il fondo più importante è senza dubbio quello dell’«Azienda generale di Fabbriche e Fortificazioni», che contiene i «Contratti fortificazioni» e i «Contratti fortificazioni in partibus», alcuni dei quali sono specificamente inerenti i complessi campali alpini principali, accanto al mare magnum di quelli relativi alle grandi piazzeforti; i testi contrattuali, le cosiddette «sottomissioni», elencano in primo luogo i toponimi antichi e i nomi degli impresari ingaggiati, talvolta le istruzioni redatte dagli ingegneri militari, seguono poi generalmente i materiali impiegati, soprattutto il legname, le misure lineari e di volume in trabucchi delle opere, dei terrapieni, dei fossati, la costruzione di batterie, ridotte e baracconi d’alloggio per le truppe, la fornitura dei fascinoni e dei gabbioni a completamento dei parapetti, così da permetterci una ricostruzione, anche soltanto ipotetica, dell’aspetto finale delle fortificazioni nella fase di vita e al momento di un possibile impiego. Corollarie alla categoria dei contratti sono quelle dei «Partiti fortificazioni», «Paralleli dei prezzi dei contratti», «Approvazione contratti» e «Recapiti fortificazioni» che permettono di seguire tutto l’iter burocratico dei lavori dalla pubblicazione delle gare d’appalto, i «tiletti», fino all’approvazione da parte del Consiglio delle Finanze; queste categorie forniscono una puntuale registrazione dei costi particolareggiati e globali per gli interventi costruttivi, aprendo un orizzonte di ricerche storico-finanziarie parallelo a quello più specificamente archeologico, la cui importanza è comunque rilevante per capire l’entità economica del programma difensivo campale. Sempre al fondo delle Fabbriche e Fortificazioni appartengono altre categorie utili a ricostruire iniziative d’intervento, fasi di lavoro ed esigenze locali, impieghi di personale civile e militare, ordinario e specializzato, in aggiunta a quanto già forniscono i contratti, e si tratta delle «Memorie alle segrete-

113 Si segnala che gli inventari dell’Archivio di Stato di Torino sono consultabili anche on line all’indirizzo del sito: http://www.archiviodistatotorino.it/home.htm. 114 Accanto a questi fondi va ricordata la raccolta, appartenente ai manoscritti della Biblioteca antica, intitolata «Architettura militare, disegni di piazze e fortificazioni, parte su pergamena», o più notoriamente «Architettura Militare», con carte e mappe del XVI e XVII secolo.

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rie», «Memorie diverse scritture», «Memorie sulle fortificazioni delle diverse piazze», «Lettere dalle divisioni», «Calcoli ed istruzioni per i lavori da farsi nei castelli e forti di Sua Maestà», «Relazioni a Sua Maestà». Chiude la serie delle categorie dell’Azienda quella del «Libro Mastro Fortificazioni», nella quale anno per anno sono raccolti i grandi registri su cui erano annotate tutte le spese delle fortificazioni, divise per piazzeforti, in sequenza diacronica e analitica; riguardo alle opere campali sono fondamentali le voci delle «spese di campagna» e «residuo», che permettono il riscontro con i contratti e il reperimento di molti nominativi appartenenti ad individui coinvolti nei lavori difensivi. Un fondo utile è anche quello dell’«Azienda Generale d’Artiglieria», in particolare la categoria delle «Carte antiche d’Artiglieria», ma di maggior peso senza dubbio è quello della «Regia Segreteria di Guerra», che con le categorie delle «Lettere di Sua Maestà all’Intendente generale delle Fortificazioni e Fabbriche militari», «Lettere della Regia Segreteria di Guerra ai Governatori e Comandanti di città e piazze» e quelle delle «Patenti e commissioni» permette in genere di integrare le informazioni dell’Azienda di Fabbriche e Fortificazioni con la documentazione dell’organo governativo con cui essa era in principale corrispondenza. Uscendo dall’amministrazione delle Segreterie esistono poi dei grandi fondi legati alla registrazione degli atti notarili e della contabilità di stato; in primo luogo è importante il fondo dell’Insinuazione, «Uffici di Insinuazione», che raccoglie tutti gli atti notarili rogati dal 1610 con cadenza mensile, compresi quelli stipulati fra ingegneri, architetti e amministrazione pubblica, riguardanti le fortificazioni. Per quanto concerne la contabilità ci si addentra nel grande archivio della «Camera dei Conti», detto anche «Camerale Piemonte», essendoci in parallelo un «Camerale Savoia». Il Camerale possiede un fondo specifico dedicato alle Fabbriche e Fortificazioni, diviso in Articoli, che vanno dal n. 178 al n. 207 e contengono inventari, conti, bilanci, contratti, controlli generali, detti «Controroli», a partire dal XVII secolo fino alla fine del XVIII; si tratta di una documentazione importantissima, che procedeva in parallelo a quella delle Segreterie, ma che conserva gli unici documenti di lavori fatti in ambito fortificatorio e difensivo prima del 1733, anno di autonomizzazione dell’Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni da quella d’Artiglieria, istituita nel 1711. Infine sono da segnalare anche alle Sezioni Riunite i documenti iconografici dei fondi «Camerale Piemonte» e «Ministero della

Guerra», soprattutto la categoria «Tipi Guerra e Marina (Sezione IV)». Alcuni archivi stranieri chiudono il quadro degli enti principali per la conservazione dei documenti storici che possono completare l’approfondimenrto degli studi qui presentati. Rammentiamo fra i principali il Kriegsarchiv e la Bibliothek dell’Österreichisches Staatsarchiv di Vienna; per l’archivio in particolare vanno segnalati i fondi dei «Feldacten, che raccolgono la documentazione delle campagne militari dell’armata imperiale fino al 1918, e la ricchissima collezione di mappe e carte115. Segue l’Archivo General de Simancas nella provincia di Valladolid, dotato di biblioteca, che contiene le sezioni della monarchia spagnola asburgica e borbonica e di quest’ultima i fondi della Secretaría del Despacho de Guerra con documenti in prevalenza del XVIII secolo116. Rappresentano infine un punto di riferimento importante e sempre di auspicabile consultazione gli Archives de la Défense francesi e in particolare quelli dell’Armée de Terre, ovvero «Armée de Terre. Ministère de la Défense et Organismes de Défense Interministériel et Interarmées», cui fa capo il Service Historique de la Défense (SHD) con sede al castello di Vincennes presso Parigi117. I fondi di precipuo interesse sono quelli di «Ancien Régime», che copre un periodo fra il XVI secolo e il 1792, «Révolution» (1791-1804) e gli «Archives Techniques du Génie», accanto ai quali va rammentata la Bibliothèque du Service Historique de la Défense, sempre a Vincennes, comprendente la Bibliothèque Du Dépôt De La Guerre, la Bibliothèque de l’Artillerie e la Bibliothèque Du Génie118. 115 Si veda il sito alla pagina http://www.austria.gv.at/ site/5002/default.aspx. 116 Sito internet: http://www.mcu.es/archivos/MC/AGS/ index.html. 117 Fino al 2005 gli archivi dell’Armée de terre facevano capo al Service Historique de l’Armée de Terre (SHAT). Per gli Archives de la Défense si veda il sito http://www.servicehistorique.sga.defense.gouv.fr/, per la sede di Vincennes la pagina http://www.servicehistorique.sga.defense.gouv. fr/Vincennes.html. 118 L’importanza degli archivi francesi richiederebbe certamente un approfondimento maggiore e un impegno di ricerca in loco su più fondi, così come si procede in genere per gli archivi di Torino; si rimanda pertanto alla Guide des archives et de la bibliothèque du service historique de l’armée de terre, sous la dir. de Jean-Claude Devos et Marie-Anne Corvisier de Villèle, 2e édition revue et augmentée sous la direction de Thierry Sarmant et Samuel Gibiat, Vincennes 2001. Da non dimenticare infine gli archivi delle regioni francesi confinanti con il Piemonte, ovvero gli Archives Départementales des Alpes de Haute Provence, Archives Dèpartementales des Hautes Alpes, Archives Départementales de la Savoie, Archives Dèpartementales de l’Isére, tutti presenti sul web.

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In chiusura alla rassegna delle fonti bibliotecarie e archivistiche è opportuno fare alcune considerazioni. Innanzitutto la gran parte dei documenti che viene normalmente consultata per gli studi qui presentati appartiene piuttosto che al gruppo degli atti giuridici formali e solenni a quello degli atti interlocutori o preparatori di una determinata azione amministrativa, attuata da organismi dello stato sabaudo, quali potevano essere le Segreterie, le Aziende, lo Stato Maggiore dell’Esercito, l’Ufficio Topografico. In virtù del fatto che attualmente ogni testimonianza scritta acquisita dagli archivi di stato o dai fondi manoscritti delle biblioteche viene considerata «documento», rientrano ovviamente nella tipologia tutte le testimonanze descrittive di avvenimenti, memorie storiche, corografiche e odeporiche119. Questi ultimi gruppi, che nel nostro caso sono costituiti dalla gran quantità di documenti reperibili presso la Biblioteca Reale di Torino e l’Archivio di Corte, ci permettono di riflettere sul problema dell’oggettività delle fonti scritte120. Effettivamente le memorie delle campagne militari, del singolo episodio bellico o delle visite ai teatri d’operazione e ai complessi fortificati risentono molto del filtro soggettivo determinato dall’emotività o dall’interesse professionale del redattore, che ci offre una sua visione di eventi e manufatti, mettendo in evidenza ciò che in un determinato contesto d’azione l’ha maggiormente colpito. È chiaro che la descrizione delle fortificazioni campali piemontesi di monte Passet in valle Varaita, prodotta da un anonimo capitano del reggimento francese di Poitou in una lettera del giorno successivo allo scontro del 1744, risente non solo del coinvolgimento emotivo e dello stato d’animo seguente il fatto d’arme, ma mette in evidenza quelle caratteristiche delle opere che dall’esterno e nella concitazione della battaglia erano maggiormente visibili e ostacolavano l’attacco francese, come per esempio le palizzate o le cannoniere lungo la prima linea di difesa121. In altri casi le descrizioni

hanno un tenore del tutto diverso e addirittura più «scientifico», quando appartengano a memorie di viaggi svolti a coronamento di studi teorici e per compiere delle ricognizioni alle difese del confine alpino, come per esempio le relazioni di Benedetto Maurizio duca di Chiablese122. Le memorie corografiche e odeporiche appartengono d’altro canto al genere moderno della Statistica, la cui finalità era legata alla conoscenza precisa del territorio e alla sua ricaduta strategica, dunque perseguivano il più possibile l’obiettività, come dimostrano le già citate opere di Pierre de Bourcet o il dizionario di Goffedo Casalis. Le fonti amministrative sono precisamente ritenute «fonti primarie» e riportano informazioni tanto più oggettive quanto più l’amministrazione dello stato è articolata e specializzata. S’è fatto cenno precedentemente alla messe di dati recuperabili da questo genere di documentazioni, dalle caratteristiche strutturali e costruttive delle fortificazioni ai dati toponomastici e prosopografici. Ciò che esse non possono in genere fornire sono le visioni d’insieme o dare gli spunti per tentare di ricostruire la percezione di territori ed opere così come le vivevano i contemporanei, a differenza di quanto possono fare le fonti iconografiche, a patto di compiere lo sforzo di decodificare le convenzioni figurative e i codici soggettivi di rappresentazione scelti dagli autori. Un esempio di questa situazione è certamente il famoso quadro di Giacinto La Pegne, raffigurante la battaglia dell’Assietta, che propone in una veduta prospettica del campo trincerato la sintesi completa dell’avvenimeto, ma su un improbabile supporto orografico123 (fig. 7, B). Dal punto di vista scelto dal pittore è assai difficile in realtà scorgere i profondi precipizzi raffigurati al centro del campo e il pendio sulla destra, lungo il quale sta attaccando la terza colonna francese del marchese di Villemur; tuttavia il La Pegne ha scelto la convenzione di un impianto iconografico piramidale, a scapito della fedele riproduzione del terreno, che ponesse in primo piano il punto d’origine dei due attacchi frontali francesi, al centro l’attacco principale e in alto la cima del Gran Serin con l’attacco della terza colonna. Il racconto simultaneo delle azioni e la celebrazione della vittoria hanno avuto ragione sull’obiettività geografica, che è comunque rievocata, ma produce l’immagine di una montagna

119 Per gli ordinamenti degli archivi e lo studio dei documenti conservati si indicano sommariamente GERMANISALTERINI 1983; ZANNI ROSIELLO 1996 e il recentissimo CARUCCI, GUERCIO 2008. Esiste inoltre il periodico «Rassegna degli Archivi di Stato», edito a cura della Direzione Generale degli Archivi e rivista ufficiale dell’amministrazione, che raccoglie contributi dedicati a temi di storia, conservazione, lettura e legislazione dei documenti antichi; nell’ambito infine dei «Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato» si segnala DURANTI 1997, relativo alla gestione dei documenti. 120 Sul tema e in generale sulle fonti scritte TOSCO 2009, pp. 32-64. 121 SCONFIENZA 2009, pp. 76-80, 104, 115-117.

122 Ricordiamo per esempio le visite ai trinceramenti dell’Assietta e dei colli delle Finestre e Fattières nel 1766 (infra nota 216). 123 Infra al paragrafo relativo.

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impervia e svettante, là dove il contesto è di dorsale e di passo. In compenso, anche se forse tale era la percezione emotiva del pittore, le diverse componenti, osservate singolarmente, offrono parecchie informazioni puntuali sulle fortificazioni, sulle loro proporzioni e sull’impiego, tanto che la veduta prospettica del campo trincerato è confrontabile con la cartografia coeva. È infatti la produzione cartografica che rispetto a quella vedutistica supporta le nostre ricerche in misura maggiore, ma anche più puntualmente. Fra XVII e XVIII secolo la cartografia militare raggiunse uno sviluppo di massima precisione, sebbene si trati comunque di opere fortemente soggettive, dettate dalla formazione dell’autore e dalle esigenze della sua committenza. Il valore di tali documenti sta pertanto in questi caratteri legati al contesto di provenienza del cartografo, poiché il paesaggio antico è riprodotto così com’era percepito, restituendo nel contempo le visioni topografiche d’insieme e le relazioni spaziali fra i siti interessati dalle fortificazioni. Un esempio chiaro è costituito da una fra le numerosissime carte conservate all’Archivio di Corte di Torino, che raffigura l’intera dorsale fra la valle di Susa e la valle del Chisone, circa alla metà del XVIII secolo, completa di tutte le opere campali realizzate nel corso dei cinquant’anni precedenti fra il colle delle Finestre e quello dell’Assietta124 (fig. 26, A). Analogamente a molte rappresentazioni del tempo si coglie lo sforzo di integrare una veduta zenitale delle fortificazioni con quella a volo d’uccello del paeaggio, restituito secondo una convenzione naturalistica e non ancora certamente con le curve di livello; la preoccupazione è dupplice: da un lato devono essere ben evidenziate le caratteristiche geomorfologiche del territorio alpino, dall’altra è necessario che siano rilevate con precisione le opere campali, rappresentate convenzionalmente con linee rosse e sovrapposte al contesto naturalistico senza condividerne il realismo figurativo (fig. 9, A). Il tema delle convenzioni è importante anche per i documenti necessari allo studio della fortificazione campale, per il fatto che compaiono quelle di carattere ideografico, come le «casette» singole, che indicano la presenza di baracconi per il ricovero dei soldati, forse non più visibili sul terreno, ma quanto meno da individuare, quelle compendiarie, come i gruppi di case per segnalare paesi o borgate e la loro posizione rispetto ai sistemi campali, e quelle dette topografiche, che in forma bidimensionale e 124

in rosso rappresentano lo sviluppo dei complessi trincerati, come nel caso della carta succitata. In particolare la precisione e la cura dedicata alla rappresentazione, pur minuta in taluni casi, delle componenti morfologiche delle opere campali può essere di grande aiuto per la fase di indagine sul terreno e ancora una volta vale la pena di richiamare la carta dei trinceramenti fra le valli di Susa e Chisone per cogliere la precisione della stessa, mettendo a confronto il rilievo dei trinceramenti delle Fattières fatto nel XVIII secolo con quello realizzato durante la nostra campagna d’indagine nell’estate del 2007 (fig. 26, B, C).

I trinceramenti dell’Assietta La presentazione degli studi finora condotti riguardo alle fortificazioni campali alpine d’età moderna può prendere l’avvio dalle ricerche svolte nel 1996 e 1997 sui trinceramenti dell’Assietta. Il colle e la testa dell’Assietta (2472 e 2566 m s.l.m.) sono due siti collocati circa al centro della dorsale che divide le valli della Dora Riparia e del Chisone e che si sviluppa dal colle delle Finestre a quello di Sestrière (fig. 4). L’attenzione rivolta in primo luogo a queste località e alle loro fortificazioni è motivata dalle vicende storico-militari ad essa legate. Una cospicua tradizione agiografica ha celebrato l’eroica resistenza delle truppe sabaude agli attacchi francesi, condotti dal generale Armand Fouquet de Belle Isle il 19 luglio 1747, contro i trinceramenti realizzati a difesa delle posizioni dell’Assietta, tanto che quella data da festa nazionale del vecchio Regno di Sardegna è divenuta attualmente quella ufficiale della Regione Piemonte125. Nel 1997, in occasione del duecentocinquantenario della battaglia, il Centro Studi e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte ha promosso una serie di ricerche confluite nel volume I trinceramenti dell’Assietta, il primo libro interamente dedicato ad un complesso di fortificazioni campali d’età moderna sulle montagne piemontesi126. Oltre ad una presentazione degli eventi bellici sono stati pubblicati uno studio sulla cartografia storica delle località e soprattutto il rilievo generale dei trinceramenti, realizzato nel125 Sull’avvenimento e la sua contestualizzazione rinviamo a PATRIA 1973; Assietta 1997; MINOLA 2006a e alle loro bibliografie complete. Per la collocazione orogeografica del colle e della testa dell’Assietta si veda MARAZZI 2005, p. 88 (SOIUSA, SZ. 4 – Alpi Cozie, STS. 4.II, A n. 3). 126 Assietta 1997.

Infra nota 213.

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fig. 4 – Carta della dorsale spartiacque fra la valle della Dora Riparia o di Susa e la valle del Chisone o di Pragelato; sono indicati da est ad ovest i principali punti orografici dal colle delle Finestre al colle Blegier, fra cui la testa e il colle dell’Assietta, il monte Pintas e il colle delle Fattières (da PATRIA 1973).

l’estate del 1996, con schedatura sommaria dei siti fortificati e descrizione generale. Corollario a questi lavori è il contributo redatto sulla ricostruzione dell’aspetto della ridotta della testa dell’Assietta nel 1747, basandosi sull’intreccio dei dati provenienti dall’indagine sul terreno, dalla documentazione d’archivio e dal rilievo archeologico.

inviando un contingente di trentadue battaglioni di fanteria e cinque squadroni di dragoni mentre la maggioranza delle forze austro-piemontesi era impegnata nella riviera del ponente ligure. Fin dal maggio 1747 a Torino si era a conoscenza di un possibile attacco nelle valli di Susa e Chisone, tanto che l’amministrazione si era opportunamente attivata per rinforzare le difese della dorsale fra le due valli e scongiurare la conquista francese del colle delle Finestre, chiave strategica del sistema difensivo del settore di confine fra le fortezze di Fenestrelle, Susa ed Exilles. Nel mese di giugno il re Carlo Emanuele III approvò il progetto difensivo del governatore di Susa, marchese Balbiano, che prevedeva di fortificare con opere campali le posizioni intorno alla cima del Gran Serin, per governare in quota la dorsale fra i colli di Vallon Cros e Côte Plane, chiudendo il cammino che porta al colle delle Finestre e conseguentemente i possibili itinerari d’invasione lungo le due valli sottostanti. Negli stessi giorni l’ingegnere capitano Giuseppe

Il campo trincerato Il caso dei trinceramenti dell’Assietta è esemplare delle modalità e tempi d’impiego delle opere campali da parte delle forze sabaude in occasione di un pericolo d’invasione imminente lungo il confine con la Francia, ma rappresenta anche il prodotto maturo di esperienze precedenti, fra le quali vanno annoverate quelle del Piccolo san Bernardo e della valle Varaita, di cui si parlerà in seguito. Durante il penultimo anno della guerra di successione austriaca i Francesi tentarono nel mese di luglio un’ultima offensiva in territorio sabaudo, oltre il Monginevro, 33


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ffig. 5 – Riproduzione schematica del rilievo del campo trincerato dell’Assietta, realizzato nel 1996 per il Centro Studi e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte (elab.d.a. da Assietta 1997): (1) Opera avanzata occidentale con due frecce; (2) Ridotta occidentale a tenaglia, detta «Butta dei Granatieri»; (3) Tratto a doppio trinceramento di collegamento fra l’avancorpo occidentale e la testa dell’Assietta; (4) Opere della testa dell’Assietta: 4A, Prima Ridotta dell’Assietta; 4B, Ridotta a Stella; 4C, Ridotta Romboidale; (5) Ridotta detta «dei Valdesi» alla testata del trinceramento orientale; (6) Trinceramenti di collegamento fra la testa dell’Assietta e l’estremo nordoccidentale del campo; (7) Seconda Ridotta dell’Assietta; (8) Piano del colle dell’Assietta; (9) Trinceramenti presso il colle dell’Assietta; (10) Prima Ridotta del Grammé e trinceramenti del fronte settentrionale del Grammé; (11) Seconda Ridotta del Grammé; (12) Trinceramenti del fronte settentrionale; (13) Punta del Gran Serin, sito della ridotta principale del campo distrutta dalla batteria ottocentesca; (14) Trinceramenti ad est del Gran Serin.

Vedani svolse le ricognizioni nei siti segnalati e il 29 giugno iniziò a tracciare sul terreno lo sviluppo dei trinceramenti, la cui costruzione fu affidata all’impresario Carlo Gastaldo. Gli operai, affiancati dagli uomini dei reparti militari già presenti in quota, lavorarono di buona lena fino alla metà di luglio, quando l’impianto generale del campo trincerato era concluso, appena in tempo per sostenere l’attacco del giorno 19127. Facendo riferimento all’immagine del rilievo, realizzato nel 1996 e pubblicato nel volume suddetto128, è possibile cogliere in una visione d’insieme lo sviluppo globale del campo trincerato, che era compreso fra la testa dell’Assietta e il Gran Serin (fig. 5). Appare evidente innanzitutto lo sviluppo dominante del trinceramento continuo, che seguendo un percorso di cresta era raddoppiato nella porzione occidentale avanzata. Stava senza dubbio a fondamento dell’invenzione planimetrica il principio dell’adeguamento alla natura del suolo, che 127 128

portava la difesa sui margini delle eminenze fortificate e modificava in percorsi irregolari, a salienti e rientranti, gli schemi campali canonici costituiti dalla successione di frecce, o redan, a tratti rettilinei intermedi per distanze costanti129. I capisaldi strategici del settore erano fortificati con ridotte, ovvero strutture edificate in opera a secco, dotate di impianto planimetrico più complesso e raccordate al doppio sviluppo dei trinceramenti continui. La grande novità della planimetria, rispetto ai sistemi campali degli anni precedenti, sviluppati a sbarramento trasversale dal fondovalle alle alture circostanti, stava soprattutto nell’avanzamento verso occidente del fronte d’attacco principale e 129 Si veda lo sviluppo dell’argomento in SCONFIENZA 1996, pp. 94-102; in merito al tema dell’adeguamento della fortificazione alla natura del sito va ricordato che si tratta di un caposaldo dell’arcitettura militare d’età moderna e per esempio in Vauban costituisce una norma irrinunciabile (BLANCHARD 1996, pp. 387-396; VIROL 2003, pp. 49-61); in ambito piemontese è un principio chiaramente affermato dal Papacino d’Antoni nei manuali per le Regie Scuole d’Artiglieria e Genio, in particolare per la fortificazione campale (SCONFIENZA 2007, pp. 178-190).

Si veda in sintesi MINOLA 2006a, pp. 77-90. MASSA 1997, pp. 108-109.

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redan, salienti verso sud e verso nord, coerenti con lo sviluppo dei trinceramenti continui, e da due tagliate come fronti occidentale e orientale, all’interno dell’area chiusa dai muri paralleli (fig. 6, A). Proseguendo lungo la cresta il doppio percorso dei trinceramenti curvava verso nord-est fino a raggiungere un ampliamento naturale, sul quale fu realizzata l’opera denominata Prima Ridotta dell’Assietta, il cui fronte occidentale corrispondeva ad un tratto rientrante del trinceramento continuo ovest e si affacciava sul vallone di Rio Bacon; i fronti sud, est e nord della ridotta erano costituiti da tre redan allacciati alle reni e conferivano all’opera una forma stellare; questo genere di tracciato, a salienti e rientranti concentrici, corrisponde a quello detto «tenagliato» e utilizzato fra XVII e XVIII secolo in Europa occidentale soprattutto per le opere campali, ma in Germania anche per la fortificazione permanente e in alternativa al fronte bastionato130. La ridotta costituiva il centro del sistema difensivo occidentale del campo trincerato e sorgeva all’interno del doppio sviluppo di trinceramenti continui, che in corrispondenza del saliente orientale della stessa opera si spingevano verso est fino a raggiungere un’eminenza estrema sul bordo del versante occidentale del vallone dell’Assietta, fortificata con un’altra ridotta di forma stellare, detta appunto Ridotta a Stella, con al centro una motta artificiale per migliorare il dominio del terreno circostante e attuare il fuoco ficcante. La comunicazione fra le due ridotte era ulteriormente munita a metà strada da due salienti paralleli a redan, verso sud e verso nord, che i rilevatori del 1996 hanno voluto identificare con una terza ridotta, denominata nell’occasione Romboidale (fig. 6, B). Dal saliente meridionale della Ridotta a Stella si diramava verso sud un trinceramento a linea spezzata lungo il margine orientale di una cresta parallela a quella della fortificazione principale e precipite sul versante ovest del vallone dell’Assietta e sulla val Chisone; il trinceramento, sempre in opera a secco, proseguiva fino all’estremità occidentale della cresta, che, terminando circa in corrispondenza del punto medio del corridoio trincerato principale, era stata fortificata con una ridotta, detta dei Valdesi, oggi poco percepibile e documentata nella cartografia storica. I trinceramenti continui che racchiudevano la Prima Ridotta dell’Assietta, superato l’avancorpo orientale

fig. 6 – A: Veduta aerea dell’avancoprpo occidentale del campo trincerato dell’Assietta (elab.d.a.): (1) Opere avanzate occidentali e trinceramento di raccordo; (2) Ridotta occidentale estrema, la «Butta dei Granatieri»; al centro è ben visibile il sito del monumento commemorativo della battaglia; (3) Ridotta a forma quadrangolare lungo il doppio trinceramento di raccordo fra la ridotta occidentale e la Prima dell’Assietta; (4) Sito della ridotta detta «dei Valdesi»; B: Veduta aerea della testa dell’Assietta (elab.d.a.): (1) Complesso fortificato della Prima Ridotta dell’Assietta; (2) Comunicazione fra la Prima Ridotta dell’Assietta e la Ridotta a Stella, con i due redan simmetrici detti «Ridotta Romboidale»; (3) Ridotta a Stella; (4) Trinceramenti estremi orientali di collegamento fra la Ridotta a Stella e la Ridotta dei Valdesi; (5) Sito degli accampamenti del 1747 per le truppe sabaude ed imperiali; (6) Tracce dei trinceramenti sudorientali a chiusura del fronte meridionale del campo trincerato.

nel complessivo sviluppo longitudinale dell’intero complesso lungo la dorsale, così da imporre al nemico attaccante un inevitabile frazionamento delle forze su porzioni di terreno assolutamente sfavorevoli o per la ripida pendenza del versante da attaccare o per l’angustia della cresta da percorrere prima di giungere a contatto. La posizione più ad ovest, da cui traevano origine gli stessi trinceramenti continui, corrispondeva a quella della tenaglia impegnata durante la battaglia del 19 luglio 1747, di cui si riferirà oltre. Dalla gola dell’opera i trinceramenti procedevano lungo la cresta più alta dell’ampia dorsale e si raccordavano ad una seconda ridotta, detta attualmente del reggimento di Forgasch, costituita da due fronti parallele a

130 Si veda in particolare lo studio delle invenzioni architettoniche di Georg Rimpler in DUFFY 1985, pp. 13-17 e FARA 1989, pp. 188-190.

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L’orografia del settore centrale del campo è ancor oggi caratterizzata dalla depressione della dorsale corrispondente al valico del colle dell’Assietta, il cui percorso risulta chiuso fra il versante discendente dalla cresta fortificata appena descritta e quello ampio ascendente in progressione verso la cima del Gran Serin. Sul versante occidentale della depressione i ricercatori del 1996 hanno individuato le evidenti tracce di un quartiere d’attendamento delle truppe austro-piemontesi, mandate a presidio del colle, e verosimilmente databile al 1747; segnando gli assi rettilinei di disimpegno, discendenti lungo il pendio, si attestavano successivi assi perpendicolari e paralleli fra loro, così da definire una maglia ortogonale drenante, i cui quadrilateri erano ancora suddivisi per fasce parallele fra loro e alle isoipse, destinate ai filari delle singole tende, con piano di calpestio in bolla ricavato in negativo nel pendio. Il tratto di trinceramenti continui che collegava il colle dell’Assietta con la Seconda Ridotta omonima era, come i precedenti, strutturato su segmenti a salienti e rientranti, oggi conservati peggio dei precedenti a causa della natura franosa di tutto il margine settentrionale della cresta a dominio della valle di Susa. Le tracce delle fortificazioni del colle sono più labili rispetto ai settori in quota, tuttavia il rilievo del 1996 individua un segmento di trinceramento parallelo al percorso del valico armato con un redan centrale, mentre la cartografia storica suggerisce l’esistenza di uno sviluppo di trinceramenti continui più a sud del tratto appena citato, a partire dall’ultimo sperone a dominio del vallone dell’Assietta, che, dopo aver tagliato il cammino ascendente dalla valle del Chisone, si sviluppava salendo lungo il margine meridionale della cresta in direzione del Gran Serin. Di queste opere i ricercatori del 1996 non hanno scorto le tracce, se non il tratto terminale a segmenti successivi di salienti e rientranti in prossimità della cima del Gran Serin, mentre più preciso è stato il rilevamento delle strutture appartenenti alla fortificazione del margine settentrionale della medesima cresta, provando che anche il settore orientale del sistema difensivo era stato pensato come un corridoio di trinceramenti continui, adeguati all’orografia della dorsale, analogamente a quanto già di per sé suggeriva la cartografia storica. La cresta della porzione orientale del campo, limitata a sud dai valloni dell’Assietta e dei Morti e a nord dal versante del bosco di Salbertrand, prende il nome di altopiano del Grammé, da cui traggono la denominazione due ridotte a fronti tenagliati irregolari, che muniscono lo sviluppo

fig. 7 – A: Veduta aerea del settore centrale del campo trincerato dell’Assietta (elab.d.a.): (1) Trinceramenti di raccordo fra la testa dell’Assietta ed il limite nordoccidentale del campo; (2) Seconda Ridotta dell’Assietta; (3) Trinceramenti di collegamento fra la Seconda Ridotta dell’Assietta e le difese del colle; (4) Grande redan in terra a difesa del passaggio del colle dell’Assietta; (5) Sito degli accampamenti del 1747 per le truppe sabaude ed imperiali; (6) Tracce dei trinceramenti sudorientali a chiusura del fronte meridionale del campo trincerato; B: Dipinto della battaglia dell’Assietta, 19 luglio 1747, opera di Giacinto La Pegne (da Assietta 1997).

della Ridotta a Stella, iniziavano a convergere verso nord, sempre seguendo uno sviluppo a salienti e rientranti adeguato all’orografia della cresta. Giunte al punto di convergenza, le due linee si riducevano ad una sola, tracciata lungo il margine della cresta a dominio del vallone di Rio Bacon, e il trinceramento relativo presentava una maggior regolarizzazione corrispondente alla successione di due redan salienti verso ovest intercalati da tratti subrettilinei. Dopo un’ultima rientranza e un saliente molto ottuso, il trinceramento andava a raccordarsi al limite estremo settentrionale del settore ovest del campo, fortificato da una grande ridotta, detta Seconda dell’Assietta e composta da segmenti di trinceramento a secco, salienti e rientranti in obbedienza alla natura del margine dirupato e precipite verso il bosco di Salbertrand (fig. 7, A). 36


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del trinceramento continuo settentrionale, costituito da salienti e rientranti secondo l’orografia del suolo. La Prima Ridotta del Grammé domina ancora il terreno del colle dell’Assietta, mentre la Seconda governa la difesa dell’intero sviluppo del trinceramento settentrionale e all’estremità orientale di quest’ultimo, poco prima della cima del Gran Serin, è stata ancora individuata una ridotta di forma pentagonale irregolare. È da notare che l’invenzione planimetrica del settore orientale del campo trincerato differisce rispetto a quella del settore occidentale nel fatto che le ridotte non si trovano all’interno del corridoio racchiuso fra i due tracciati di trinceramenti paralleli, ma sono allacciate lungo lo sviluppo di quello settentrionale, sempre in ragione all’adeguamento all’orografia. Infatti, se la dorsale spartiacque in corrispondenza del settore occidentale si amplia parecchio e la fortificazione doveva essere collocata sulla cresta più eminente, ad est l’altopiano del Grammé corrisponde esso stesso alla cresta di dorsale e il margine sud strapiomba verso i ripidi pendii dei valloni dell’Assietta e dei Morti, tanto da non necessitare di numerosi punti forti per concentrare dei nuclei difensivi; tale necessità era invece presente lungo il margine nord, il cui accesso era decisamente più agevole dai pendii erbosi del versante della val di Susa, ed era quindi fondata la scelta di realizzare le tre ridotte in successione, così come le si è appena descritte. L’estremità orientale del campo terminava con l’ampia ridotta del Gran Serin, di aspetto irregolare allungato e con fronti tenagliati ad angoli salienti e rientranti in corrispondenza delle variazioni del margine della vetta del monte. L’aspetto dell’opera settecentesca è recuperabile sommariamente dalla sola cartografia storica, essendo stata edificata nello stesso sito, fra il 1884 e il 1887, la batteria del Gran Serin, le cui strutture hanno totalmene sconvolto le preesistenze moderne131.

archeologici a causa delle condizioni attuali del sito. La rilevanza storico-nazionale attribuita all’evento verificatosi nel 1747 determinò l’elevazione nel 1882 di un monumento commemorativo, in forma d’obelisco, ad opera delle sezioni del CAI di Torino, Susa e Pinerolo, sotto i fausti auspici della neonata Triplice Alleanza, che vedeva l’Italia di Umberto I schierata in campo opposto alla Francia, accanto all’Austria e alla Germania. Ben lungi dal voler dare giudizi sulle scelte politiche del passato, non possiamo però tacere gli effetti del pernicioso intervento celebrativo che proprio sul culmine della testa dell’Assietta determinò un drastico livellamento artificiale, per fondare il monumento e creare lo spazio delle occasioni celebrative, con conseguente distruzione della pressoché totale consistenza dei resti delle strutture fortificate e il seppellimento di quelle esistenti a quote poco inferiori. D’altro canto nel 1997 la programmazione degli interventi non aveva preso in considerazione l’eventualità di intensificare la ricerca presso la ridotta con saggi di scavo, che tentassero di recuperare le strutture obliterate e i loro rapporti cronologici, a causa dei costi e in ragione del fatto che l’approccio archeologico a questa materia era allora assolutamente inedito e privo di esperienze in ambito piemontese. Sta di fatto che gli unici agganci con l’effettivo stato del terreno erano costituiti dall’esperienza autoptica di alcune ricognizioni condotte presso il sito della ridotta nell’estate e autunno del 1996 e nella primavera del 1997, in assenza di neve, e dalla parte dedicata all’opera fortificata nel rilievo archeologico generale del campo trincerato. In situ ancora attualmente sono conservati i trinceramenti che allacciavano la gola della ridotta alla comunicazione di cresta con la Prima Ridotta dell’Assietta, l’elevazione parzialmente artificiale del culmine della testa, denominato nel XVIII secolo «butte» e italianizzato in «butta», la dispersione del materiale lapideo che copre la superficie pressoché totale della butta, tratti di muratura a secco a sud-ovest della stessa butta e davanti alla medesima i resti consistenti di un fossato foderato in pietra a secco con sviluppo ad angolo ottuso rientrante. Poco oltre il fossato emerge la rasatura di una struttura a secco con saliente rivolto ad ovest in corrispondenza del rientrante del fossato, mentre sul margine precipite verso il vallone di Rio Bacon si erge ben visibile l’intero fronte settentrionale con il suo sviluppo a rientrante, dalla gola della ridotta fino al limite occidentale dell’opera, dove si collega una linea spezzata di trinceramenti avanzante verso ovest fino al limite della gobba inferiore, fortificata con un

La ridotta della testa dell’Assietta In seno alle ricerche del 1997 lo studio finalizzato alla ricostruzione della ridotta occidentale estrema del complesso campale dell’Assietta è risultato decisamente arduo e soprattutto povero di dati 131 Sulle opere ottocentesche del Gran Serin si vedano GARIGLIO 1999b, pp. 242-244 e MINOLA 2006a, pp. 176-180. Per la cartografia storica recante numerosissime immagini del campo trincerato del XVIII secolo si veda VIGLINO DAVICO, MASSA, BRUNO 1997.

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fig. 8 – A: Rilievo archeologico delle consistenze attuali della ridotta estrema occidentale del campo dell’Assietta ed isolamento dell’area verosimilmente appartenente alla fase iniziale del 1747 (da Assietta 1997); B: Particolare della Carte Topographique en mesure des Retranchemens de La Siete, Chereun, Vallons des Morts, Grand Lac, La Vallette, et de la Ruine & c., utilizzata per le misurazioni di confronto con i dati reperiti sul terreno, raffigurante la ridotta estrema occidentale dei trinceramenti dell’Assietta (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, 35, Assietta, 1; da Assietta 1997).

fig. 9 – A: Carta intitolata Plan des retranchements du col de l’Assiette et de la sommité du Gran Chareun appellee par corruption le Grand Seran e utilizzata come confronto per la ricostruzione della ridotta estrema occidentale del campo dell’Assietta (Biblioteca Reale di Torino, Assietta Dis. III, 38; da Assietta 1997); B: Particolare del quadro di Giacinto La Pegne, raffigurante l’episodio principale della battaglia dell’Assietta con la morte del generale francese de Belle Isle davanti alla tenaglia inferiore della «Butta dei Granatieri», dietro alla quale si scorge l’elevato del ridotto superiore e il secondo ordine di tiro (da Assietta 1997).

trinceramento a tenaglia di due redan in direzione sud, coerente a quello precedente. La situazione delle consistenze della ridotta è stata la ragione principale dell’inevitabile lavoro di interazione fra i dati archeologici e le fonti archivistiche e iconografiche; il risultato di questa operazione si è concretizzato innanzitutto nell’estrapolazione della possibile pianta della ridotta, risalente alla sua prima fase di vita del 1747, dal rilievo generale delle emergenze realizzato nel 1996132. La pianta di questa fase iniziale è stata ricavata confrontando e integrando le misure colte sul terreno in ricognizione con quelle della cartografia storica, tratte in particolare da una carta dell’Archivio di Corte

di Torino, che in sede di ricerca è stata giudicata maggiormente affidabile e precisa accanto ad una seconda della Biblioteca Reale133 (figg. 8, B; 9, A). La sovrapposizione del disegno ottenuto sul rilievo del 1996 ha seguito un procedimento empirico di «filtraggio cartografico»134, cercando di individuare le coincidenze fra le consistenze emergenti dal terreno e le presupposte linee perimetrali della fase più antica della ridotta, grazie alla stabilità dell’aggancio al rilievo dei trinceramenti alla gola dell’opera. 133 Si tratta della Carte Topographique en mesure des Retranchemens de La Siete, Chereun, Vallons des Morts, Grand Lac, La Vallette, et de la Ruine & c. (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, 35, Assietta, 1) e del Plan des retranchements du col de l’Assiette et de la sommité du Gran Chareun appellee par corruption le Grand Seran (Biblioteca Reale di Torino, Assietta Dis. III, 38). 134 In merito alla natura e alla liceità del procedimento si veda TOSCO 2009, p. 71.

132 Lo studio ricostruttivo della «Butta dei Granatieri», con appendice documentaria, e lo sviluppo completo della ricerca, di cui si rende rapidamente conto in questa sede, è stato svolto dallo scrivente e da Fabrizio Zannoni ed è pubblicato in AMORETTI, SCONFIENZA, ZANNONI 1997.

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L’aggancio occidentale, invece, assai più sfuggente è risultato comunque verosimile (fig. 8, A), poiché il punto rientrante della tenaglia andava a collocarsi presso un angolo delle strutture più interne del fossato, che secondo la documentazione archivistica era assente al momento della battaglia del 19 luglio e determinava così un limite allo spazio di possibile estensione della prima fase dell’opera. La definizione dello schema in pianta della ridotta costituiva l’esigenza primaria per procedere poi alla ricostruzione dell’elevato e dell’aspetto finale dell’opera nella sua prima fase di vita. Osservando la pianta ricostruita e le carte storiche, si nota che la struttura aveva una forma allargata rispetto a quella del corridoio fortificato, agganciato alla sua gola, per poter foderare la butta naturale che segna la specificità orografica della testa dell’Assietta. Il fronte d’attacco corrispondeva ad un’opera a tenaglia, ovvero un rientrante ottuso, costituito da due segmenti di trinceramento, che alle estremità opposte si allacciavano ai fianchi nord e sud, determinando due corni; la tenaglia fu una scelta specifica per l’adattamento della fortificazione all’orografia della butta, secondo una pratica della fortificazione campale d’età moderna, sia prescritta dalla manualistica sia documentata nella casistica reale135. La restituzione dell’elevato dell’opera ha dovuto contare prevalentemente sull’apporto della documentazione archivistica, in particolare sulle fonti narrative che trattano il resoconto dell’evento bellico del 1747136 e quelle descrittive integrate nella cartografia storica137. A tal proposito il caso della butta dell’Assietta è particolarmente significativo, perché la ricostruzione ha potuto far affidamento su un documento iconografico guida, corrispondente al dipinto di Giacinto La Pegne, pittore fiammingo operante presso la corte di Carlo Emanuele III alla metà del XVIII secolo, che, pur proponendo una visione geografica rielaborata, come s’è detto pre-

cedentemente in questo stesso contributo, dedicò molta cura alla raffigurazione dell’episodio centrale della battaglia, ovvero la morte del generale Belle Isle davanti alla ridotta della testa dell’Assietta138 (fig. 9, B). Necessariamente la raffigurazione in elevato dell’opera è protagonista del dipinto con la figura dello sfortunato militare e si può chiaramente apprezzare il fronte d’attacco a tenaglia, alto verosimilmente intorno ai due metri, allacciato ai corni con i trinceramenti laterali della ridotta. Grazie al dipinto è documentata inoltre con chiarezza la presenza di un ridotto interno, anch’esso con fronte a tenaglia e realizzato a tagliata della parte sommitale della butta in muratura a secco; questa è la parte della ridotta che fu letteralmente cancellata dai lavori per l’elevazione del monumento commemorativo e la cui esistenza può soltanto essere provata effettivamente dalla raffigurazione pittorica. La ridotta della testa dell’Assietta, in ragione quindi della sua posizione avanzata alla chiave del sistema difensivo del settore occidentale del campo, era un’opera complessa, pensata per attuare un fuoco su due livelli e permettere il tiro ficcante dalla tenaglia alta sugli assalitori che si fossero spinti fin sotto i trinceramenti della tenaglia bassa. Le ricerche condotte per la ricostruzione della prima fase di vita della ridotta, i cui risultati si sono inoltre concretizzati nella realizzazione di un plastico ricostruttivo voluto dal Centro Studi, hanno permesso di identificare le successive fasi di vita dell’opera, dando una collocazione cronologica e contestuale alle poche tracce delle strutture emergenti ancora in situ139. In primo luogo i lavori iniziati nell’estate del 1747 furono completati dopo la battaglia del 19 luglio con la riparazione dei danni causati durante lo scontro e con la realizzazione delle palizzate antistanti i trinceramenti e il fronte ovest della ridotta occidentale. In quelle settimane verosimilmente i parapetti delle fortificazioni rimasero guarniti sulla sommità da fascinoni accoppiati e culminati da un terzo per la protezione dei soldati in fase di combattimento, mentre si completavano le barriere d’accesso al campo e i baracconi. Altri lavori furono iniziati e completati sul terreno ad ovest, antistante la testa dell’Assietta; sorse infatti un trinceramento in pietre a secco composto

135 Il tema e i confronti sono trattati in SCONFIENZA 1996, pp. 96-98, 102-109. 136 Le più significative sono: Relation de la bataille de l’Assiette gagnée par les Troupes de S. M. (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, mazzo 8 d’addizione, n. 14), Relation de la defense des retranchements du Col de l’Assiette par les troupes Piemontaises et Autriachienes faite par le Comte de Priocca (Biblioteca Reale di Torino, Manoscritti Saluzzo 230), Memoires sur la campagne de l’année 1747 (Biblioteca Reale di Torino, Manoscritti Militari 2); i brani estratti dalle relazioni citate, dedicati alla ridotta della butta, sono reperibili in AMORETTI, SCONFIENZA, ZANNONI 1997, pp. 223, 227. 137 Si vedano le schede che riportano i testi integrali in VIGLINO DAVICO, MASSA, BRUNO 1997, pp. 140-161.

138 Il dipinto si trova nel palazzo reale di Torino, al secondo piano, seconda anticamera. Per l’analisi del dipinto AMORETTI, SCONFIENZA, ZANNONI 1997, pp. 201-202; sul La Pegne e l’iconografia della battaglia SIGNORELLI 1994. 139 Lo sviluppo completo di questa parte della ricerca si trova in AMORETTI, SCONFIENZA, ZANNONI 1997, pp. 208-213.

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da due frecce successive, corrispondente ai resti ancor oggi apprezzabili sul margine della gobba inferiore ad un centinaio di metri dal rilievo della butta. In cima ad un’altura opposta a sud alla testa dell’Assietta, sul culmine di una cresta parallela a quella fortificata, dove il 19 luglio furono piazzati i cannoni leggeri francesi da montagna, venne realizzata una ridotta a pianta tenagliata, per controllare la porzione di dorsale non battuta dalle fortificazioni principali a causa della distanza. Infine lungo la comuncazione fra la ridotta della testa e la Prima dell’Assietta fu completata una serie di tagliate, ovvero dei trincermenti a tenaglia trasversali allo spazio mediano fra le due linee di trinceramenti, per garantire successive posizioni di ripiegamento in caso di caduta della ridotta estrema occidentale. Combinando i dati della ricognizione sul terreno e quelli derivanti dalle carte storiche è stata poi isolata una seconda fase di interventi che può essere plausibilmente collocata negli anni’60 del XVIII secolo140. In questa occasione la ridotta della testa dell’Assietta, invariata nella sua strutturazione originaria a due tenaglie sovrapposte, venne dotata di un fossato, probabilmente non ancora foderato, antistante la ridotta inferiore e riferibile a quanto ancor oggi si scorge sul terreno a pochi metri ad ovest della butta. Il fossato era poi fronteggiato da un cammino coperto ad angolo saliente, in corrispondenza del suo rientrante centrale, e da una banchina di tiro che correva lungo il cammino coperto, i cui resti sono attualmente visibili. Fra lo spalto del cammino coperto e la stessa banchina di tiro, stando alla testimonianza di una delle due carte antiche più significative, era stata elevata una palizzata che ripiegava a nord e sud lungo i margini del fossato e i lati della ridotta, così da chiudere le opere esterne in una foderatura unitaria, secondo un modello che ricorda quello della fortificazione permanente (fig. 8, B). La terza ed ultima fase degli interventi di ristrutturazione ed integrazione corrisponde al 1793, il primo anno di impegno bellico diretto del regno di Sardegna contro la Francia repubblicana e costellato di casi analoghi presso altri complessi campali alpini, come si darà conto in seguito. I lavori, progettati e diretti dal capitano ingegnere Andrea Gola, autore

di una carta topografica di fondamentale riferimento141, interessarono tutto il sistema difensivo dalla testa dell’Assietta al Gran Serin; per quanto concerne la ridotta della testa, contestualmete alla conservazione delle strutture del 1747, riattate e rinforzate con una foderatura completa della butta sommitale solidale alla tenaglia alta, si nota immediatamente l’ampliamento dell’area fortificata tramite l’aggiunta di un trinceramento lungo il fronte meridionale, che, partendo dalla gola della ridotta più antica, procedeva verso ovest aprendosi in un primo redan con saliente puntato a sud e sviluppava un secondo spigolo a sud-ovest, poco prima di collegarsi con la preesistente linea occidentale del cammino coperto con palizzata. È verosimile che la foderatura in muratura a secco del fossato, oggi visibile in situ, sia da ricondurre a questa fase, così come il trinceramento che prolungava ad ovest il fronte settentrionale della ridotta, sul margine del pendio del Gran Bosco di Salbertrand, conservato tale e quale dal 1747 a causa della natura del sito. Il trinceramento orientato verso ovest andava quindi a raccordarsi con le due frecce avanzate, aggiunte già alla fine di luglio del 1747. Il Gola ci informa, tramite la didascalia della sua carta, che l’opera della testa dell’Assietta prese il nome di ridotta Santa Barbara e che la ridotta antistante sulla cresta a sud delle fortificazioni principali, anch’essa ristrutturata, fu denominata Batteria. Le due opere vennero infine collegate da una linea di trinceramento a cavalli di frisia con un rientrante centrale, nel quale fu edificata in legname una piccola ridotta semicircolare, detta «tamburnata», in modo da chiudere con uno sbarramento leggero l’area di dorsale compresa fra i due capisaldi estremi della difesa occidentale.

Il sistema difensivo del Piccolo San Bernardo Il cammino principale che permetteva il collegamento fra il ducato d’Aosta e la Tarentaise, distretto centro-orientale del ducato di Savoia, passava attraverso il colle del Piccolo San Bernardo. La «grande route» si snodava in un percorso ascendente e discendente 141 Andrea Gola, Carta topografica dei colli e dei monti all’Assietta per tutto il Gran Serano, rilevatasi in misura da me sottoscritto nel mese di settembre 1793, 1793 (Torino, Collezione privata Gilibert); presso la Biblioteca della Scuola d’Applicazione d’Arma di Torino esiste una copia della stessa carta redatta nel 1882 in scala 1:10000, intitolata Carta delle posizioni Assietta, Exilles e Fenestrelle col tracciato delle opere in muro a secco tra testa del Mottas e monte Gran Pelä quali furono riattate e ampliate nei mesi di luglio, agosto e settembre dell’anno 1793.

Va detto a questo proposito che nel 1997 il precipuo interesse per la ricostruzione della fase del 1747 non ha indotto ad approfondire meglio la ricerca nella documentazione d’archivio della seconda metà del secolo e ancor oggi, in seno agli studi svolti sulle fortificazioni dell’Assietta, manca la pubblicazione di un’indagine a tappetto del materiale archivistico fino agli anni della guerra delle Alpi, attività che dovrebbe essere svolta e che ci si auspica possa essere intrapresa. 140

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 10 – A: Veduta aerea generale del comprensorio alpino a sud del Monte Bianco fra La Thuile e Bourg Saint Maurice, comprendente il vallone del Piccolo San Bernardo e la val Veny (elab.d.a.); B: Carta moderna del vallone del Piccolo San Bernardo, fra i comuni di La Thuile e Séez, comprendente tutti i siti fortificati a difesa del valico durante il XVIII secolo (elab.d.a. da Comunità montana Valdigne Mont Blanc, Valdigne Mont Blanc. Le Sentiers. I sentieri dell’Alta Valle d’Aosta e tutte le indicazioni per scoprirli, 2001).

a tornanti fra i villaggi di La Thuile in Val d’Aosta e Bourg Saint Maurice in Savoia, tagliando in senso longitudinale il grande pianoro del colle, analogamente alla strada attuale e a quella d’età romana142 (fig. 10, A, B). Lo studio delle fortificazioni campali del Piccolo San Bernardo coglie concretamente il problema della difesa delle terre sabaude ad est delle

Alpi, corrispondenti ad occidente con la Savoia, la regione che, come s’è detto a livello introduttivo, risultava assai difficile da difendere e vittima fatale delle invasioni francesi dal 1690. È calzante rammentare in proposito che già al 1691 risale la prima significativa relazione sul programma difensivo del ducato d’Aosta, che prevedeva la realizzazione di una serie di opere campali a difesa del Piccolo San Bernardo, scalate lungo la grande route fino a La Thuile143. Corrispondente a questa fase iniziale

142 Il quadro più recente sull’archeologia del Piccolo San Bernardo corrisponde agli atti del convegno di Aosta, tenutosi nel marzo del 2006, Alpis Graia 2006, a conclusione del progetto INTERREG III A ALCOTRA 2000-2006. Per la collocazione orogeografica del Piccolo San Bernardo e della val Veny si veda MARAZZI 2005, p. 112 (SOIUSA, SZ. 7 – Alpi Graie, STS. 7.III, B nn. 3, 4).

143 Recit des passages de la Vallée d’Aoste depuis la citté et la Villeneuve en haut, 1691 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 2, n. 16).

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ROBERTO SCOFIENZA

di interventi difensivi è la traccia, ancor oggi visibile sul terreno, di un trinceramento in terra a difesa di un’eminenza nella porzione centro-occidentale del pianoro del San Bernardo a sud-ovest dei resti della statio romana144.

impedisce di provare con sufficiente sicurezza la realizzazione di opere campali ad ampio respiro durante gli anni della guerra della Lega d’Augusta e in quelli della successione di Spagna, sebbene altre testimonianze documentarie inducano a presupporre che ci sia stato comunque un intervento per sbarrare l’accesso al colle, abbozzato fin dall’autunno del 1703, ma interrotto a causa delle abbondanti nevicate. Nel maggio del 1704, in seguito alle ricognizioni del barone di Saint Remy e del cavaliere de Lucey, volute dal duca Vittorio Amedeo II per mettere in difesa il valico, l’ingegnere piemontese cavaliere di Castellalfero era presente al Piccolo San Bernardo, evidentemente per dare avvio ai lavori e seguirne lo sviluppo, ma già nel giugno dello stesso anno i Francesi del duca di La Feuillade erano padroni del colle. Per quanto il tempo limitatissimo a disposizione dei soldati del Saint Remy non sembri sufficiente alla realizzazione dell’intero sistema di trinceramenti studiato nelle ricognizioni, è possibile spiegare in questo contesto, sul terreno del versante orientale del vallone del Reclus, poco più a sud dell’edificio dell’Ospizio, il rilevamento di una lunga traccia in negativo, priva di vegetazione spontanea, marginata da frammenti lapidei e ortogonale alle isoipse, che inizia dal Ruisseau de Bellecombe e viene interrotta dal parcheggio moderno della Baraque des Douaniers, lungo la strada asfaltata poco sopra il Reclus, dove verosimilmente essa andava a concludersi (fig. 12, B). È credibile che quello fosse lo sviluppo delle opere campali del 1704, che prive di fondazione profonda, ma semplicemente allettate sul terreno vennero abbattute dai Francesi e poi completamente spogliate nel 1743, quando fu attuato il primo grande intervento costruttivo. La possibile porzione di fortificazione a sbarramento del Reclus fu quindi obliterata dall’installazione successiva di un redan centrale a guardia della grande route. Il quadro difensivo del 1704 si completa con la più che credibile opportunità di reimpiego e riattivazione delle fortificazioni realizzate nel 1691 sul pianoro, in retrofronte rispetto alla linea dell’ospizio e vittime anch’esse delle demolizioni francesi. Infine va attribuito a questa fase l’impianto di una ridotta a perimetro quadrilatero, con il fronte settentrionale a tenaglia, detta «Fort de la Motte», su un’eminenza lungo il versante destro del vallone del Reclus, a dominio della grande route e decisamente avanzata rispetto alla linea fortificata dell’Ospizio. L’opera, oggi assai consunta, era realizzata in terra e i suoi parapetti foderavano una motta naturale che permetteva il controllo strategico di un itinerario d’accesso al fianco destro del sistema difensivo prin-

Le difese del Piccolo San Bernardo nel XVIII secolo La ricerca storico-archeologica alle fortificazioni del Piccolo San Bernardo è stata svolta compiendo una serie di ricognizioni nei mesi estivi del 2003 e 2004 con altri interventi successivi di verifica e ampliamento anche alla val Veny nell’estate del 2007. I risultati delle indagini sono stati presentati e pubblicati presso la Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti di Torino, mentre venivano offerti al pubblico i pregevoli esiti delle ricerche territoriali del progetto INTERREG Alpis Graia, dedicate all’archeologia del Piccolo San Bernardo ed estese anche alle fortificazioni moderne e contemporanee145. In questa sede si procederà alla presentazione sintetica delle evidenze attuali e delle fasi cronologiche così come sono state ricostruite da chi scrive, in base agli studi svolti e al confronto proficuo con gli studi paralleli. L’assenza ad oggi di una documentazione amministrativa precisamente riferibile ad interventi costruttivi presso il Piccolo San Bernardo, sia a Torino nei fondi camerali e delle Fabbriche e Fortificazioni sia ad Aosta nei registri del Conseil de Commis146, 144 DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 49-50 e pp. 18-20 per lo studio documentario. A tali apprestamenti è possibile tuttavia ricondurre verosimilmente una raffigurazione a perimetro pentagonale di colore bruno, e non rosso secondo la convenzione, su una carta dell’Archivio di Corte di Torino, redatta nella seconda metà del XVIII secolo e più attenta a riprodurre le fortificazioni successive a queste prime testimonianze (Giovanni Giuseppe Avico, Antoine Durieu, Domenico Carelli, Giovanni Battista Sottis, Carta topografica in misura del Ducato d’Aosta divisa in quattro parti [Aosta IV/I e IV/II], sec. XVIII; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Aosta n. 4). 145 Indichiamo pertanto la bibliografia derivante dalle due ricerche, premettendo che in essa è indicata tutta la produzione scritta precedentemente sul tema trattato: SCONFIENZA 2004, 2005b; DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006; SCONFIENZA 2008-2009. 146 Tacciono infatti le registrazioni della Camera dei Conti a Torino, per i «Controroli» del 1692, 1693, 1703 e 1704 (SCONFIENZA 2005b, pp. 239-240 note 10, 14), ma anche quelle dei pagamenti emessi nel 1708 del Conseil de Commis d’Aosta per gli interventi di fortificazione nel territorio di La Thuile, fra i quali non compare mai la menzione del Piccolo San Bernardo (DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 23-24 nota 67).

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 11 – A: Carta schematica con rilievo delle attuali consistenze reperibili sul terreno dei «Retranchements Sardes» presso il colle del Piccolo San Bernardo (da DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006); B: Veduta aerea del settore occidentale dei «Retranchements Sardes» al Piccolo San Bernardo (elab.d.a.): (1) Grande redan centrale alla destra del torrente Reclus; (2) Trinceramento ascendente lungo le falesie in direzione del Lac sans Fond; (3) Ridotta/baraccone rettangolare estrema occidentale della linea campale a sbarramento del valico; la prima delle tre ridotte volute da Carlo Emanuele III nel 1743; (4) Tratto di trinceramento alla sinistra del grande redan centrale, in corrispondenza degli attraversamenti del Reclus e dell’antica «grande route»; (5) Sito della Baraque des Douaniers; C: Veduta aerea del settore orientale dei «Retranchements Sardes» al Piccolo San Bernardo (elab.d.a.): (1) Trinceramento a doppio ordine di tiro, ascendente alla sinistra delle opere di fondo valle; (2) Trinceramenti a linea spezzata di salienti e rientranti con sviluppo verso sud-ovest a foderatura della dorsale fra il Reclus e il Ruisseau de Bellecombe; (3) Ridotta/baraccone rettangolare estrema orientale della linea campale a sbarramento del valico; la seconda delle tre ridotte volute da Carlo Emanuele III nel 1743; (4) Lunga traccia sul terreno riconducibile alla spogliazione dei primi trinceramenti realizzati nel 1704 a sbarramento del valico; (5) Sito di Le Pontet, presso il quale sorgo i resti della terza ridotta quadrangolare voluta da Carlo Emanuele III nel 1743.

cipale, segnalato fin dal XVII secolo; all’interno del perimetro fortificato, presso il fronte meridionale si notano ancora i resti di un baraccone quadrangolare di ridotte dimensioni, per lo stazionamento della guardia avanzata147. È opportuno a questo punto illustrare lo sviluppo e le caratteristiche costruttive dei trinceramenti in esame, che tradizionalmente prendono il nome di «Retranchements Sardes» (figg. 11, A, B; 12, A). I resti di queste opere, oggi ancora apprezzabili, si trovano già oltre confine, nel territorio del comune di Séez, là dove il pianoro del San Bernardo esita nel

vallone del Reclus, discendente verso le praterie di Bourg Saint Maurice. Appena a valle dei due primi tornanti della strada moderna sono ben visibili sul fondo del valone i resti cospicui di un grande redan, con saliente puntato verso sud. L’opera terrapienata e con zoccolatura in pietra a secco, presenta ancora sulla fronte la depressione del fossato, tracce dello spalto e della linea d’impianto della palizzata, e si allaccia alle reni con due tratti simmetrici di trinceramento rettilineo, che ascendono ad ovest e ad est i due versanti del vallone. La porzione ad ovest si apre in un secondo redan irregolare, semilunato, poco distante dal primo lungo le falde del pendio; da lì il trinceramento, parte in opera a secco parte in terra, si sviluppa adattandosi alla natura

147 DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 56-57; SCONFIENZA 2008-2009.

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fig. 12 – A: Veduta panoramica dei «Retranchements Sardes» al Piccolo San Bernardo (foto-elab.d.a.): (1) Ridotta/ baraccone rettangolare estrema orientale della linea campale a sbarramento del valico; la seconda delle tre ridotte volute da Carlo Emanuele III nel 1743; (2) Ridotta/baraccone rettangolare estrema occidentale della linea campale a sbarramento del valico; la prima delle tre ridotte volute da Carlo Emanuele III nel 1743; (3) Trinceramenti continui a sbarramento del vallone del Reclus con il grande redan centrale e il successivo alla sua destra; (4) Lunga traccia sul terreno riconducibile alla spogliazione dei primi trinceramenti realizzati nel 1704 a sbarramento del valico; (5) Edificio dell’antico Ospizio di San Bernardo; B: Colle del Piccolo San Bernardo, veduta generale della parte settentrionale del settore orientale dei «Retranchements Sardes» (foto-elab.d.a.): (1) Sito della Baraque des Douaniers; (2) Traccia sul terreno riconducibile alla spogliazione dei primi trinceramenti realizzati nel 1704 a sbarramento del valico; (3) Trinceramento a doppio ordine di tiro, ascendente alla sinistra delle opere di fondo valle; (4) Tratto iniziale dei trinceramenti a foderatura della dorsale fra il Reclus e il Ruisseau de Bellecombe.

orografica di una linea di falesie, che sale verso il Lac sans Fond, fino ad una piccola ridotta di pianta rettangolare in pietre a secco (fig. 13, A). La porzione orientale del trinceramento presenta nel vallone due punti critici, ovvero gli attraversamenti della linea difensiva da parte del Reclus e del tracciato settecentesco della grande route poco più ad est. Questi settori non conservano più chiaramente le tracce delle soluzioni costruttive, ma è chiaro che l’apertura dei varchi fu associata all’impianto del grande redan centrale con le sue strutture difensive esterne. Il trinceramento, proseguendo verso est, sale lungo il pendio del versante alla sinistra del Reclus e, dopo la parte obliterata dal parcheggio moderno, presenta l’ultimo tratto ascendente con due muri a secco

paralleli, corrispondenti ad un doppio ordine di tiro per rinforzare ancora sulla sinistra il delicato settore dei varchi più a valle. Dall’estremità orientale del tratto doppio, solidale ad esso, parte un lungo trinceramento sempre in opera a secco che, seguendo uno sviluppo a linea spezzata e parallelo alle isoipse, si conforma alla natura del pendio con tratti salienti e rientranti in copertura reciproca. Questa lunga struttura, la cui linea di fuoco, almeno per il primo tratto, era ortogonale a quella dei trinceramenti inferiori del vallone, fodera la dorsale che separa il Reclus dal Ruisseau de Bellecombe e crea un avancorpo difensivo; esso nel XVIII secolo governava tutto il tratto d’accesso della grande route, a partire da Pont de la Marquise fino al varco presso il grande redan. 44


Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 13 – A: Colle del Piccolo San Bernardo, vallone del Reclus, settore centrale dei «Retranchements Sardes» con il grande redan del 1743 alla destra del torrente (foto-elab.d.a.): (1) Vertice saliente del redan con struttura in pietre a secco sulla facciavista e corpo di fabbrica in terra; (2) Tracce della banchina di tiro in prossimità dell’angolo rientrante di raccordo fra il redan e il trinceramento rettilineo alla sua sinistra; (3) Depressione del fossato antistante il trinceramento, parzialmente ricolmata nel corso del tempo; (4) Resti evidenti dello spalto in terra riportata, antistante il fossato dei trinceramenti; (5) Facciavista in muratura a secco con zoccolatura inferiore al piede dello spiccato, estesa lungo tutto il trinceramento e rifatta nel 1793; (6) Trinceramento rettilineo di raccordo fra il grande redan centrale e il redan semilunato del settore occidentale ascendente verso il Lac sans Fond; (7) Punto di passaggio del Reclus attraverso il trinceramento rettilineo alla destra del grande redan; (8) Punto di passaggio della «grande route» attraverso il trinceramento rettilineo alla destra del redan centrale; B: Sito di Le Pontet, vallone del Reclus, in avanfronte rispetto al settore centrale dei «Retranchements Sardes» (foto-elab.d.a.): (1) Resti della ridotta quadrangolare in terra, corrispondente alla terza voluta da Carlo Emanuele III nel 1743; (2) Tracce della sede del baraccone retrostante la ridotta; (3) Corso del torrente Reclus; (4) Tratto della «grande route» alla sinistra della ridotta quadrangolare.

Dall’avancorpo è stato possibile osservare sulla destra del Reclus, al fondo del vallone, dove il terreno si apre maggiormente prima di Le Pontet, alcune opere isolate, ricavate dalla sagomatura di gobbe naturali, che si coprivano reciprocamente e infilavano la grande route all’opposto dei trinceramenti; la più avanzata corrisponde ad una ridotta quadrangolare con parapetti scarpati in terra battuta e resti di un baraccone alla gola (fig. 13, B). L’estremità meridionale dell’avancorpo alla sinistra del Reclus si conforma ad angolo retto e l’andamento piega verso est sempre parallelamente alle isoipse per volgersi decisamente a nord, dopo un centinaio di metri, e seguire uno sviluppo rampante, ortogonale alle isoipse fino al pianoro antistante il Ruisseau de Bellecombe. In questo punto, alla gola di un ampio

redan con vertice puntato a est, si trovano i resti di una seconda ridotta rettangolare, in opera a secco, analoga a quella terminale del settore occidentale. La zona del pianoro è un altro settore di difficile comprensione, privo di evidenze concrete, ma che nel XVIII secolo doveva essere occupata dalla porzione di trinceramento interrotto al rene sinistro del redan suddetto e riemergente ancora per un tratto rampante lungo il pendio che domina da est il pianoro. La linea termina infine sulla cima di questo pendio dopo uno sviluppo finale a rientrante e saliente148. 148 Le descrizioni più particolareggiate di queste opere si trovano in SCONFIENZA 2004, pp. 54-55, ID. 2005b, pp. 233239, 247-255; DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 47-57, 64-73; SCONFIENZA 2008-2009.

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La situazione appena descritta corrisponde, secondo la nostra interpretazione, all’assetto generale assunto dal sistema difensivo a partire dal 1743, in ragione di una serie di prove documentarie, la cui rassegna e disamina è stata sviluppata in altra sede149, ma che in questa occasione può essere riassunta con il richiamo di alcuni punti chiave. Si contano innanzitutto testimonianze d’archivio, successive al 1748, nelle quali viene chiarito che i principali posti difensivi a sud del monte Bianco, fra cui il Piccolo San Bernardo, furono fortificati sistematicamente durante la campagna del 1743150 (fig. 14, A). Seguono poi i dati della cartografia storica e in particolare quelli di due carte dell’Archivio di Corte di Torino, collocabili fra gli anni quaranta e ottanta del XVIII secolo, in cui schematicamente sono raffigurati i trinceramenti a salienti e rientranti, a sbarramento del valico, con le due ridotte all’estremità est e ovest, rilevate in ricognizione151. Infine, a fronte di un’analoga attribuzione dell’intero sistema trincerato al pieno XVIII secolo, prima della guerra delle Alpi, da parte della letteratura specialistica di ambito francese152, ci portano nella medesima direzione i documenti amministrativi del 1743, redatti per la realizzazione dei trinceramenti153. In seguito alla ritirata delle truppe di Carlo Emanuele III dalla

Savoia, occupata dagli Spagnoli, nel gennaio del 1743 l’ingegnere luogotenente Michele Antonio Rombò svolse le ricognizioni nel comprensorio delle montagne di La Thuile e del Piccolo San Bernardo, stilando una relazione in materia154, che venne tenuta come riferimento dal primo ingegnere conte Bertola e dai suoi ufficiali per programmare la difesa del ducato d’Aosta. Nel mese di marzo la Regia Segreteria di Guerra incaricò l’Azienda di Fabbriche e Fortificazioni affinché venissero indette le gare d’appalto e individuati gli impresari, che avrebbero realizzato i trinceramenti. Durante lo stesso mese Domenico Tirola firmò il contratto per l’impiego delle maestranze, Stefano Barucchi quello per la fornitura delle parti in metallo degli utensili da terra, muro e legno, Giuseppe Filiberto Boggetto la «sottomissione» per gli utensili in legno e le immanicature di quelli metallici. Il legname per le strutture difensive e le palizzate fu reperito sulle montagne limitrofe a partire dalla fine di maggio, quando i lavori presero l’avvio. La stessa relazione del luogotenente Rombò precisa che «S. M. ordinò tre ridotte col suo baraccone, qual trincieramento al picciolo S. t Bernardo», aprendo un problema d’identificazione, che, dopo riflessioni e ripensamenti sulla base del confronto fra i dati materiali e quelli d’archivio155, ci ha indotti ad identificare con due di queste opere le strutture a perimetro rettangolare in pietre a secco, edificate alle estremità occidentale e orientale del sistema trincerato a sbarramento del Reclus (figg. 11, A, B, C; 12, A). Le caratteristiche delle medesime sintetizzano contemporaneamente le funzioni di ridotto fortificato e di riparo per le guardie; le opere sono pertanto poste in relazione di contiguità rispetto ai trinceramenti continui, mantenendo la loro autonomia strutturale. La terza ridotta può essere verosimilmente identificata con l’opera quadrilatera in terra individuata a guardia della grande route presso Le Pontet, alla confluenza del torrente Teppié nel Reclus; essa rappresentava la fortificazione più avanzata del sistema, rispetto alle due precedenti collocate in relazione ai trince-

149 SCONFIENZA 2008-2009 e prima ancora ID. 2005b, pp. 239-247. 150 Descrizione delle Alpi, e Valli che costeggiano il Piemonte, principiando dal Gran S. Bernardo sino al Tanarello, divisa in numero di venti scritti de’quali nell’Indice esistente in principio, s.d., p. 13 (post 1743; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese militari, Mazzo 13, n. 1); Spirito Benedetto Giovanni Battista Nicolis di Robilant, Memoria del Cav.e di Robilant presentata al Congresso delle LL. EE. Li Sig.ri Generali tenuto avanti il Sig.r Ma rchese di Cravanzana P.o Segretaro di Guerra cioè li 28 febb.o, Memoria 28 febbraio 1793, Torino 1793; Progetto di diffesa del Ducato di Aosta nel caso che li francesi dalla Savoja tentassero di penetrare nel medemo per rendersi nell’interno de’ stati di S. M. e dirigersi verso la Lombardia, Memoria marzo 1793, Torino 1793 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Memorie sulle fortificazioni delle diverse piazze, 1791-1795, pp. 172, 205-206). 151 Carta topografica del Ducato d’Aosta con parte delle provincie di Morienna, Tarantasia e Faucigny, s.d. (post 1743; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Aosta n. 3), in cui le fortificazioni del Piccolo San Bernardo sono segnalate dalla didascalia «Retranchemens du 1742»; Giuseppe Riccio, Carta del Ducato d’Aosta colle posizioni militari, s.d. (post 1789; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Aosta A 13 NERO). 152 KREBS, MORIS 1891-1895, p. 96. 153 L’elenco e lo studio completo di questo materiale si trova in SCONFIENZA 2005b, pp. 240-247.

154 Michele Antonio Rombò, Relazione fattasi d’ordine di S. M. de’ movimenti delle armate in Savoja e della situazione del monte S. Bernardo, come pure delle Montagne attigue Valli, Strade, Sentieri, loro situazione, e natura d’esse nel Ducato d’Aosta. Col Regolamento da osservarsi per difendere quel Ducato e le Istruzioni date ai rispettivi Comandanti, 1743 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese militari, Mazzo 13, n. 6; altra copia in francese del 1745 in idem Imprese militari, Mazzo 6 d’addizione, n. 6). 155 SCONFIENZA 2005b, pp. 248-255; ID. 2008-2009.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 14 – A: Il sistema difensivo del Piccolo San Bernardo nel XVIII secolo, con la prima linea del valico e la seconda a monte di La Thuile, dalla Carta del Ducato d’Aosta colle posizioni militari di Giuseppe Riccio (elab.d.a.; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Aosta A 13 NERO); B: Carta schematica con rilievo delle attuali consistenze reperibili sul terreno dei «Retranchements du Prince Thomas» in località Thèraz a monte di La Thuile (da DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006).

ramenti continui, ed era coperta a sud-ovest, lungo il versante occidentale del vallone, dal Fort de la Motte, che è verosimile ritenere attivo anche nel 1743 (fig. 13, B). Alla fase della successione d’Austria vanno ancora attribuiti gli interventi d’integrazione voluti dall’amministrazione centrale nell’estate dello stesso anno con l’edificazione di tre baracconi, uno presso l’ospizio di San Bernardo, attualmente identificato con la «Caserne», distrutta durante il secondo conflitto mondiale e percepibile oggi soltanto più in fondazione, un altro nel sito di Colonne sul pianoro del valico e l’ultimo, nel sito delle «Eaux Rousses». Va infine ricordato che appartengono a questo periodo alcuni fronti di cava, da cui furono estratti i materiali per le fortificazioni156.

Per la seconda metà del XVIII secolo la documentazione d’archivio tace fino agli anni ’90, ad esclusione di alcune carte dell’Azienda di Fabbriche e Fortificazioni dedicate alla vendita all’asta del materiale da costruzione dei baracconi, edificati nel 1743 presso i trinceramenti, e alcune riflessioni sul riattamento delle opere del colle in seno agli studi di strategia difensiva del Papacino d’Antoni, svolti intorno al 1770157. I testi dedicati allo studio della strategia difensiva del ducato d’Aosta si moltiplicano nel biennio 1792-1793, corrispondente all’ultima fase cronologica di vita dei Retranchements Sardes e delle fortificazioni limitrofe. L’imminenza e lo scoppio della guerra con la Francia rivoluzionaria indussero l’amministrazione sabauda a ripristinare le opere del 1743, procedendo con l’aggiunta di alcune

156 Studiati con maestria e dovizia di particolari in DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 65-69.

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SCONFIENZA 2005b, pp. 256-258.


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fig. 15 – A: Veduta aerea della «Redoute Ruinée» (elab.d.a.): (1) Piano del Col de la Traversette; (2) Fronte settentrionale della ridotta ottocentesca che ripercorre l’andamento di quello della ridotta del 1793, di cui si colgono i due salienti est e nord; (3) Piazza alta della ridotta ottocentesca, corrispondente a quella interna della ridotta del 1793 e dove resta la traccia rettangolare del baraccone antico; (4) Piazza bassa della ridotta ottocentesca limitata a nord dai casermaggi, appoggiati all’antico fronte meridionale della ridotta del 1793; (5) Strada coperta con trinceramenti in pietre a secco del 1793 per l’accesso alla ridotta dal versante della Savoia; B: Col de la Traversette, veduta della «Redoute Ruinée» da est (foto-elab. d.a.): (1) Redan orientale ristrutturato nel XIX secolo e corrispondente al fronte est della ridotta del 1793; (2) Redan settentrionale ristrutturato nel XIX secolo e appartenente al fronte nord della ridotta del 1793; (3) Piazza alta della ridotta ottocentesca, corrispondente a quella interna della ridotta del 1793; (4) Fronte meridionale della piazza alta della ridotta ottocentesca, corrispondente a quello sud della ridotta del 1793; (5) Piazza bassa della ridotta ottocentesca con i casermaggi, appoggiati all’antico fronte meridionale della ridotta del 1793; (6) Piano del Col de la Traversette; (7) Avancorpo della «Redoute Ruinée» aggiunto fra XIX e XX secolo.

integrazioni in settori di particolare rilevanza strategica158. Fin dalla fine del 1792 furono attuate riparazioni parziali ai trinceramenti e ai baracconi spogliati nei decenni precedenti, ma nell’estate del 1793 venne ingaggiata l’impresa del biellese Gian Battista Rosazza per completare i lavori di massimo potenziamento del sistema difensivo. Fu innanzitutto scavato il fossato, segnalato in ricognizione, antistante i trinceramenti del grande redan nel vallone del Reclus e vennero realizzati lo spalto e la controscarpa in muratura a secco; l’apertura del fossato determinò inoltre la necessità di aggiungere

uno zoccolo di rinforzo in pietre a secco al piede dello spiccato dei trinceramenti, anch’esso chiaramente percepibile sul terreno attuale. In questa occasione fu inoltre prolungato il fossato verso est lungo il tratto di trinceramento rampante ed ebbe così compimento il doppio ordine di tiro osservato sul terreno. Il Rosazza curò infine in questo settore le ristrutturazioni finali ai baracconi dell’Ospizio e delle Eaux Rousses. Contestualmente furono realizzate due importanti ridotte al Col de la Traversette, alle falde del monte Valaisan e a sudest dei Retranchements Sardes, per controllare il versante orientale del vallone del Reclus in simmetria al Fort de la Motte e sbarrare un percorso di aggiramento sulla sinistra dei trinceramenti continui, che portava agevolmente nel vallone del Ruisseau de Bellecombe; il settore era collegato alle

158 L’esame della documentazione d’archivio e delle consistenze sul terreno per quest’ultima fase è sviluppato in SCONFIENZA 2005b, pp. 258-262; DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 26-35, 69-73; SCONFIENZA 2008-2009.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 16 – A: Veduta aerea della «Redoute Sarde» (elab.d.a.): (1) Baraccone rettangolare alla gola della «Redoute Sarde», protetto da un tratto della dorsale rocciosa sagomato a parallelepipedo e interposto fra il ricovero e la ridotta; (2) «Redoute Sarde» del 1793 a forma di freccia su due ordini di tiro; (3) Trinceramento inferiore scavato lungo il pendio della dorsale che conduce alla ridotta e al monte Valaisan; (4) Piazzola inferiore semilunata del 1793 per una postazione d’artiglieria rivolta verso la Savoia; (5) Cammino dal Col de la Traversette alla «Redoute Sarde», a tornanti con carreggiata sostenuta da murature a secco; (6) Piano del Col de la Traversette; B: Col de la Traversette, veduta della «Redoute Sarde» del 1793 da ovest (foto-elab.d.a.): (1) Piazza bassa del primo ordine di tiro; (2) Muro a secco, presso il vertice saliente, di contenimento per la piazza alta del secondo ordine di tiro; (3) Muro a secco, presso il vertice saliente, di contenimento per la piazza bassa del primo ordine di tiro (4) Vetta del monte Valaisan.

difese del colle tramite una strada, detta «Chemin des canons», con carreggiata delimitata da opere a secco e forse ricalcante un itinerario più antico della fase del 1743. Le due ridotte del Col de la Traversette sono note con i nomi di «Redoute Sarde» e «Redoute Ruinée», ma mentre la prima in rovina è ancora rilevabile secondo l’aspetto del XVIII secolo, la seconda è stata completamente obliterata da una fortificazione francese, attiva fra il 1890 e il 1945. La Redoute Sarde corrisponde ad una grande freccia in opera a secco, strutturata su due ordini di tiro e chiusa alla gola dalla parte culminante dell’eminenza su cui fu realizzata (fig. 16, A, B); dietro questa sorgono i resti cospicui di un lungo baraccone, per il ricovero della guardia. A qualche metro più in basso, rispetto al saliente della ridotta esiste una trincea

tagliata in negativo lungo il pendio per avanzare una linea di tiro ficcante verso il terreno antistante del colle. Poco a valle dell’opera, lungo il versante discendente dalla parte della Savoia, si vedono ancora le strutture in pietre a secco di due batterie d’artiglieria, di forma semilunata, puntate verso la Combe des Moulins e i possibili accessi al colle dall’insediamento savoiardo di La Rosière. Nelle strutture recenti della Redoute Ruinèe si possono ancora individuare tracce dell’opera sabauda (fig. 15, A, B); in particolare il fronte nord, precipite dalla parte del vallone del Ruisseau de Bellecombe, presenta alcune tracce della muratura antica e in generale il percorso della struttura, riattata nel XIX secolo. Il saliente orientale corrisponde ancora al perimetro della ridotta originaria e il fronte meridionale, ricostruito alla fine dell’800, 49


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che attualmente risulta coperto dalle caserme più recenti, segue il percorso delle strutture settecentesche per il contenimento verso sud della piazza interna della ridotta, che sorgeva sul culmine di un’eminenza simmetrica a quella della Redoute Sarde. Presso il saliente orientale si coglie ancora una depressione rettangolare, interna al perimetro della piazza alta della ridotta ottocentesca, corrispondente forse alla traccia in negativo dell’antico baraccone dell’opera settecentesca. Le due ridotte chiudevano così simmetricamente il passaggio del Col de la Traversette, a cavallo della dorsale inferiore al monte Valaisan, segnato da un cammino che saliva in cima dalla Savoia lungo un tratto fortificato con trinceramento in pietre a secco; la fortificazione dell’ultimo tratto del cammino permetteva di schierare un primo ordine di difesa, poco al di sotto delle due ridotte, per contrastare l’avanzata dal fondovalle savoiardo. Completano il quadro dei potenziamenti finali del sistema difensivo gli interventi al Dou de la Motte159. Alla ridotta più antica, che sorgeva sulla parte sommitale della motta, furono aggiunti alcuni apprestamenti ulteriori sul fronte meridionale più esposto, quali una trincea scavata in negativo lungo il pendio inferiore al fronte, chiusa alle estremità da due muri di spalla in pietre a secco, che impedissero l’infilata da nord-ovest, una piccola piazzola circa alla stessa quota della trincea, ma poco più ad est, destinata forse a un piccolo pezzo d’artiglieria, e un trinceramento in opera a secco sul pianoro immediatamente sottostante il pendio meridionale della prima trincea, così da creare una difesa scalata su quote a metà circa del possibile percorso d’accesso alla destra dei Retranchements Sardes, lungo il versante occidentale del vallone del Reclus.

con la Tarentaise, mentre il Col des Chavannes segna la comunicazione con la valle di La Thuile e Pont Serrand, dove passava la grande route del Piccolo San Bernardo. L’occupazione del Col de La Seigne e della val Veny permetteva dunque ad un invasore proveniente dalla Savoia di scendere nella valle di Courmayeur, ai piedi del monte Bianco, tagliando fuori il Piccolo San Bernardo e le sue fortificazioni; i difensori sarebbero stati costretti a ripiegare almeno fino a Morgex, evacuando il San Bernardo e La Thuile, e i contingenti maggiori d’invasione avrebbero potuto far transitare senza difficoltà dal colle principale l’artiglieria pesante. Da questa situazione strategica deriva l’importanza della val Veny e di fortificare, come spesso accade, un comprensorio secondario per assicurare la tenuta di quello principale (fig. 10, A). La vocazione difensiva della val Veny fu già evidente durante la guerra di successione spagnola, quando, secondo la documentazione archivistica più recente, furono realizzati dei trinceramenti nel sito di Combal, dove il vallone della Lex Blanche, apertosi nel lago di Combal, esita nella Doire de val Veny e l’argine più antico del ghiacciaio di Miage crea un baluardo naturale a sbarramento della valle160 (fig. 17, A, B). Il complesso fortificato di Combal si sviluppa a partire da un terrazzo a dominio dell’emissario del lago, su cui un primo grande baraccone in muratura a secco segna la testata inferiore dei trinceramenti (fig. 18, A, B). Questi ultimi, anch’essi in opera a secco, seguono in direzione sud il margine del terrazzo con una linea spezzata, quasi a cremagliera, per aprirsi in un grande redan che segna il cambio di direzione verso ovest. A partire dal rene occidentale del redan inizia il primo tratto rampante lungo l’argine glaciale, armato con un secondo redan al centro circa dello sviluppo. Là dove la pendenza della dorsale dell’argine si incrementa e così pure l’ampiezza dello stesso, il trinceramento si biforca e un ramo avanza più a sud inoltrandosi nel bosco di conifere alla stessa quota della biforcazione, mentre l’altro ascende la dorsale dell’argine fino in cima, dove quest’ultima torna in piano. Il tratto superiore del trinceramento è realizzato in terra, con foderatura interna in pietre a secco, sfruttando la risorsa

I trinceramenti della val Veny La val Veny è divisa dalla valle di La Thuile e dal Piccolo San Bernardo da una dorsale che si sviluppa dal colle dell’Arp a quello delle Chavannes; la sua testata si stringe nel vallone della Lex Blanche che si chiude al Col de la Seigne, in diretto collegamento 159 L’unica menzione cartografica dell’opera finora reperita corrisponde ad un «Fort de la Motte» su Jacques Audé, Plan topographique du Petit St. Bernard levé par les Ingenieurs Bourcet et l’Assistant Audé au mois de Juillet 1797, 20 agosto 1797 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Ufficio Topografico Stato Maggiore, Confini con la Francia, Mazzo 2, Piccolo San Bernardo, 1.2 INV. 287).

160 Lo studio di queste fortificazioni, delle loro fasi e della documentazione storica è in corso di stampa in SCONFIENZA 2008-2009, contributo al quale si rinvia per i riscontri puntuali e l’approfondimento dell’argomento qui trattato. Per la collocazione orogeografica dei siti si veda MARAZZI 2005, p. 114 (SOIUSA, SZ. 7 – Alpi Graie, STS. 7.V, B n. 2.c).

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fig. 17 – A: Veduta aerea del sito di Combal in val Veny (elab.d.a.): (1) Percorso dei trinceramenti del 1743 e 1793 dal margine inferiore dell’argine glaciale di Combal a circa metà altezza; si scorgono l’articolazione a redan del primo tratto inferiore e lo sviluppo rettilineo ascendente con un redan centrale; (2) Tratto superiore dei trinceramenti lungo l’argine glaciale; (3) Tratto inferiore a sud-ovest dell’argine glaciale, chiuso nel bosco di conifere; (4) Grande spazio semilunato in piano nel letto antico di un ramo del ghiacciaio, adibito ad accampamento e protetto dall’epaulement semicircolare; (5) Lago glaciale presso il limite inferiore del ghiacciaio di Miage; (6) Ghiacciaio di Miage; (7) Antico letto del lago di Combal, contenuto nel 1743 e nel 1793 dalla diga realizzata in legname presso la strettoia antistante il margine inferiore curvo dell’argine glaciale; B: Il sistema difensivo della val Veny dal Col de la Seigne fino a Courmayeur, con i trinceramenti e il lago di Combal, poco a valle del ghiacciaio di Miage, assai più esteso nel XVIII secolo rispetto ad oggi, dalla Carta del Ducato d’Aosta colle posizioni militari di Giuseppe Riccio (elab.d.a.; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Aosta A 13 NERO).

pedologica del sito, ed è possibile cogliere ancora buona parte del corpo della fortificazione, seppur dilavata, e la sua strada coperta con la presenza inoltre di due piazzole semilunate all’interno del trinceramento, identificabili con postazioni d’ar-

tiglieria. La fronte esterna di questo trinceramento è poco apprezzabile, essendo invasa dal bosco di conifere, attraverso il quale corre a quota inferiore l’altro ramo dell’opera difensiva. Esso continua invece a mantenere la struttura a secco e, dopo aver 51


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fig. 18 – A: Val Veny, fortificazioni di Combal, tratto di raccordo lungo l’argine glaciale fra il primo sviluppo a trinceramento singolo con quello superiore a due linee divergenti (foto-elab.d.a.): (1) Tratto finale del trinceramento singolo ascendente in opera a secco; (2) Tratto iniziale del trinceramento in opera a secco del terrazzo meridionale, invaso dal bosco di conifere e avanzato rispetto al settore superiore dell’argine glaciale; (3) Tratto iniziale del trinceramento in terra ricavato dal margine sud dell’argine glaciale e realizzato a protezione del settore superiore; (4) Strada coperta lungo il trinceramento in terra del settore superiore; (5) Cresta sommitale dell’argine glaciale; B: Val Veny, settore superiore dei trinceramenti di Combal (foto-elab.d.a.): (1) Grande spazio semilunato in piano nel letto antico di un ramo del ghiacciaio di Miage, adibito ad accampamento; (2) Epaulement semiricolare a protezione dello spazio d’accampamento, ricavato artificialmente e per accumulo dal margine sud del letto glaciale; (3) Percorso d’accesso al letto glaciale lungo il suo margine sud e al di sotto della linea fortificata; (4) Linea di cresta superiore dell’argine glaciale di Combal con trinceramento in terra, rivestito all’interno da mutrature in opera a secco; (5) Spazio semicircolare aperto lungo il trinceramento in terra dell’argine glaciale per una postazione d’artiglieria.

raggiunto una radura, che si apre in piano ai piedi dell’ultimo tratto del trinceramento superiore, segue un andamento a linea spezzata che fodera a sud la radura stessa. Presso il margine orientale del pianoro, nella sua parte più angusta, sorgono i resti di un lungo baraccone, coperto a sud da un «epaulement», ovvero un rialzo artificile in terra a protezione della struttura, mentre alle falde del salto di quota, che separa la radura dalla dorsale più alta trincerata, è ben visibile un taglio fino alla roccia di base compresa, che fa da fossato alla fortificazione superiore. Infine, tornando alla quota delle fortificazioni superiori, si apprezza da esse, all’interno dell’area contenuta dall’argine glaciale e corrispondente al letto di un antico ramo del ghiacciaio, un ampio settore semilunato e spianato artificialmente, che costituiva probabilmente il sito

di un accampamento, protetto ai piedi dell’argine glaciale da un altro epaulement, d’origine naturale e regolarizzato dalla mano dell’uomo (fig. 18, B). È ancora una volta l’ingegnere Rombò ad informarci di una prima strutturazione difensiva dell’argine di Combal all’inizio del XVIII secolo nella sua relazione del 1743, là dove illustra l’incremento degli interventi difensivi nel mese di luglio e ricorda anche quelli nelle valli di Rhême e Grisanche161. Sempre dallo stesso testo si evince che in val Veny, come al Piccolo San Bernardo, il primo intervento organico di difesa concepito per l’intero comprensorio dall’amministrazione 161 Alle pp. 7 e 8 della Relazione fattasi d’ordine di S. M. (supra nota 154); per le fortificazioni nelle altre valli si veda sempre SCONFIENZA 2008-2009.

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centrale sabauda risale al 1743, quando contestualmente al rifacimento dei trinceramenti fu anche costruita una diga in tronchi di larice per sbarrare la Doire all’altezza dell’argine di Combal. Veniva così ampliata l’estensione del lago omonimo fino alle falde delle montagne circostanti e si chiudeva il cammino della Lex Blanche, secondo un sistema già impiegato l’anno prima in valle Varaita al colle Longet162. I trinceramenti di Combal nel 1743, corrispondevano grosso modo a quelli rilevati durante la ricognizione del 2007, senza tuttavia i due baracconi in opera a secco descritti e l’avancorpo meridionale a difesa della radura sottostante alla linea principale, elevata lungo la dorsale dell’argine glaciale. Molto probabilmente l’impianto del 1743, i cui lavori rientrano nel computo di quelli affidati agli impresari Tirola, Barucchi e Boggetto sotto la titolatura delle montagne di «La Blanche», consisteva nella messa in difesa essenziale dell’argine di Combal, facendo le riparazioni a quanto rimaneva delle opere più antiche e portando il trinceramento fino all’esaurimento dell’argine glaciale alle falde del monte Tseuc, a sud del ghiacciaio di Miage. Appartengono ancora alla fase del 1743 le realizzazioni difensive al Col de Chavannes e al Mont Fortin, sulla dorsale a sinistra di Combal, e una seconda linea di trinceramenti in retrofronte nella «pianura di Venil», verosimilmente nell’attuale Plan Veny, dove in assenza di un intervento di ricognizione parrebbero offrire qualche labile traccia le vedute aeree163. L’ultima fase di interventi difensivi in val Veny corrisponde di nuovo al 1793. In quell’anno il Nicolis di Robilant sottolineava l’importanza strategica della valle e rammentava le opere realizzate cinquant’anni prima durante la guerra di successione austriaca164. I lavori furono svolti dall’impresa del Rosazza, attiva contemporaneamente al San Bernardo, e coinvolsero ancora una volta i siti della val Grisanche, delle Chavannes, per l’edificazione di un baraccone in legno e il riattamento dei trinceramenti, dell’Arp Vieille alla sinistra della Doire de val Veny, con un altro baraccone leggero, e dell’argine di Combal. Qui abbiamo notizia della ricostruzione della diga a sbarramento della Doire, già elevata nel 1743, e della ristrutturazione

dei trinceramenti coevi. Quanto oggi si vede sul terreno corrisponde in gran parte all’assetto di quest’ultima fase, fermo restando che l’impianto della linea trincerata principale risale alla successione d’Austria; tuttavia sono databili al 1793 l’uniformità della tessitura a secco dei trinceramenti, almeno in facciavista, i due baracconi ancor oggi visibili, il superiore dei quali corrisponde alla stessa tipologia impiegata alla Redoute Sarde del Col de la Traversette, le due piazzole d’artiglieria, tagliate nel trinceramento superiore di Combal, l’intera sistemazione difensiva del pianoro inferiore del secondo baraccone, compreso il fossato in roccia presso il salto di quota, e la regolarizzazione dell’area d’accampamento sul fondo del letto glaciale con il suo epaulement.

Il campo del principe Tommaso Sebbene lo studio di chi scrive non sia stato esteso alle fortificazioni che sorgono a nord-est di La Thuile, si è deciso di darne in questa sede una breve descrizione e inquadramento cronologico, desiderando completare l’intero quadro difensivo dell’alta Valle d’Aosta nel XVII e XVIII secolo. La linea principale avanzata fra il Piccolo San Bernardo e la val Veny era supportata in retrofronte da una seconda linea di fortificazioni campali poste a sbarramento del cammino che collega, attraverso il colle di San Carlo, la comba di La Thuile con Morgex e la valle della Dora Baltea; era un itinerario strategicamente essenziale, ancor più di quello della val Veny, poiché il suo controllo da parte dei contingenti d’invasione avrebbe costretto le forze sabaude all’evacuazione di tutta l’alta Valle d’Aosta fino al capoluogo e conseguentemente fino alla stretta del forte di Bard165. Il nucleo originario delle difese a nord di La Thuile è ricondotto al 1628 in località Mont du Parc, poco sopra la borgata Thovex, dove fu realizzata una prima linea di trinceramenti a sbarramento della via del colle di San Carlo, secondo gli ordini del duca Carlo Emanuele I di Savoia, durante la guerra di successione al ducato di Mantova. Nel 1630 il principe Tommaso di Carignano, figlio di Carlo Emanuele I e governatore della Savoia, per far 165 Per questa parte si rimanda allo studio storico e archeologico delle fortificazioni condotto con completezza ed esauriente bibliografia in DUFOUR, PALUMBO, VANNI DESIDERI 2006, pp. 15-37 passim, 49, 58-64, 73-79. Riguardo alla collocazione del colle di San Carlo e del suo comprensorio si fa riferimento al gruppo del Rutor (MARAZZI 2005, p. 112, SOIUSA, SZ. 7 – Alpi Graie, STS. 7.III, B n. 3).

Infra al paragrafo relativo. 163 Molto ricca e illuminante è la cartografia storica, in parte coincidente con quella relativa al Piccolo San Bernardo, per la cui disamina si rinvia ancora a SCONFIENZA 2008-2009. 164 Si veda la relazione del personaggio citata supra alla nota 150. 162

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fronte all’avanzata francese, dopo l’abbandono della Tarentaise, attestò la difesa del ducato d’Aosta al Mont du Parc, dove ampliò i primi lavori con opere a redan e fossato. Più a monte, in località Théraz, il principe fece realizzare il complesso principale, noto ancor oggi con il nome di «Retranchements du Prince Thomas». Si tratta di una linea fortificata con andamento spezzato e munita di opere sporgenti ad ogni raccordo di segmento, corrispondenti a due redan, partendo da est, due bastioni pentagonali a fianchi rettilinei, un altro redan e, dopo un tratto a rientrante, un avancorpo sporgente a tenaglia centrale, cui fa seguito un trinceramento scalare che discende un tratto del pendio nord-occidentale al limite del campo, a dominio della borgata La Balme (fig. 14, B). L’intero fronte era munito di fossato, tagliato in roccia e foderato in opera a secco, così come le facciaviste delle opere sporgenti e delle cortine. L’elevato del trinceramento era costituito da un terrapieno, spiccante dalla prima foderatura in pietre e culminato da un parapetto in muratura a secco con banchina di tiro. La strada per il colle attraversava il dispositivo presso il rene destro del secondo redan orientale ed era governata, poco più a valle, da un ampio rivellino in terra, raccordato all’opera principale con due epaulement paralleli fra loro e alla via. Nel XVII secolo erano le opere di Mont di Parc e di Thèraz a costituire la difesa principale del Piccolo San Bernardo, dominando il percorso della grande route dal versante opposto a quello di Pont Serrand, lungo il quale essa discendeva fino a La Thuile. Il paese venne fortificato fin dai tempi del principe Tommaso con opere leggere e altre minori in relazione a quelle del Mont du Parc; nuovo impulso all’attività costruttiva fu dato nel 1690 e soprattutto furono attuatte delle importanti ristrutturazioni ai trinceramenti del principe Tommaso. A questo proposito, siccome la documentazione d’archivio testimonia interventi anche nel 1704, 1743 e 1793, è fuor di dubbio che quanto ancor oggi si può apprezzare sul terreno sia il risultato finale di circa un secolo di ristrutturazioni, tuttavia, pur in assenza di dati archeologici certi, è assai probabile che i lavori del 1690 e quelli di sessant’anni prima abbiano dato al complesso l’assetto planimetrico definitivo166.

Durante la successione di Spagna, più significativamente forse che la presenza di posizioni difensive avanzate al San Bernardo è da notare che si iniziò a percepire l’importanza dei passi minori per garantire la sicurezza di quelli principali; infatti contestualmente alla messa in difesa dell’argine di Combal in val Veny fu fortificato il colle della Croce, che domina da est quello di San Carlo e permette di doppiarne le difese. Il passo fu sbarrato con un trinceramento a linea spezzata, in muratura di pietre a secco, alle cui estremità sorgevano due ridotte a pianta irregolare, l’una a forma di grande freccia l’altra con opera pentagonale interna. Sempre a questa fase appartiene il primo impianto della ridotta di Foillex, una grande tenaglia in opera a secco con fuciliere aperte nella muratura, situata in località Plan Praz lungo il versante occidentale della montagna del colle della Croce a sud-est di Thèraz, in una posizione che governava ad oriente il cammino del colle di San Carlo simmetricamente al Mont di Parc. Mentre venivano attuati i lavori d’integrazione alle trincee di Thèraz, fu aggiunto infine alle spalle dei due redan orientali il baraccone di Saint Maurice, una grande infrastruttura insediativa per le truppe con pianta ad U e fuciliere strombate nella muratura a secco. Per il 1743 sono documentati interventi di ristrutturazione ai Retranchements du Prince Thomas nella relazione dell’ingegnere Rombò167, ma è la fase finale della guerra delle Alpi, che anche in corrispondenza della seconda linea difensiva registra importanti interventi. Le opere di Thèraz furono nuovamente armate, venne integrato il baraccone di Saint Maurice con nuovi apprestamenti ed edificato ex novo il baraccone di Saint Charles, presso il colle omonimo. Le murature della ridotta di Plan Praz furono risistemate e fu aggiunto un baraccone alla gola dell’opera, con cinque ambienti, che ne chiudesse il perimetro, e poco più a valle della ridotta, sempre in località Foillex, fu realizzata una nuova linea di trinceramenti. Analogamente si intervenne al Mont du Parc, ristrutturandone gli nord, in Francia, Fiandra e paesi renani, fra gli ultimi decenni del ’600 e i primi del ’700, come per esempio la «ligne» fra Ypres e il fiume Lys, realizzata da Vauban (VIROL 2003, pp. 62, 99), e la «ligne de Brabant» (RORIVE 1998, p. 224). Per approfondire queste tematiche di confronto si veda SCONFIENZA 2010. Sulla fortificazione dell’abitato di La Thuile con opere campali nel 1690 e 1691 dà notizie la memoria Recit des passages, segnalata supra alla nota 143. 167 «… riffare quelli antichi trinceramenti del prencipe Tommaso alla Tuille …», p. 7 della Relazione fattasi d’ordine di S. M. (supra nota 154).

166 A parte l’esistenza nella manualistica, riconducibile alla prima metà del XVIII secolo e alle esperienze del XVII, di vere e proprie «lignes bastionées» (SCONFIENZA 1996, p. 95), l’associazione di opere sporgenti a forma di bastione con i redan lungo una linea campale è assai frequente nelle realizzazioni del

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antichi trinceramenti e aggiungendone di nuovi a Thovex, presso la chiesa di Notre Dame du Carmel. Infine il complesso delle ridotte del colle della Croce fu interessato da rifacimenti importanti di muratura, secondo un tipo di opera a secco che ricorre anche a Plan Praz, Mont du Parc, Thèraz e alle ridotte del Col de la Traversette.

vergenti su Casteldelfino e distinte dai corsi della Varaita di Bellino a sud e di quella di Chianale a nord, entrò a far parte degli stati sabaudi, ma fino all’imminenza della guerra di successione austriaca non si attuarono lavori per la messa in difesa del comprensorio del colle dell’Agnello, alla testata della Varaita di Chianale. Le opere realizzate a partire dal 1742 avevano natura temporanea o semipermanente e furono distrutte nel 1744 in seguito all’occupazione francese, ma ancora nel 1770 il Papacino d’Antoni, elaborando i progetti difensivi per il confine alpino del regno di Sardegna, lamentava l’assenza in valle Varaita di una fortezza permanente a governo di questa importante via d’ingresso nel cuore dello stato170. Lo studio delle fortificazioni campali della valle Varaita ha seguito le stesse modalità di quello svolto al Piccolo San Bernardo e le ricognizioni sono state condotte in tre fasi successive. Una visita iniziale ai siti interessati dall’edificazione di opere campali è stata svolta nell’agosto del 2004; nel luglio del 2005 si è attuata la ricognizione per esteso in tutte le località che la ricerca d’archivio, documentaria e cartografica, aveva isolato per maggior importanza alla luce inoltre delle osservazioni autoptiche preliminari; alla fine di luglio 2006 è stata la volta di un terzo sopralluogo, mirato ai siti di maggior significato storico e strategico lungo la dorsale del monte Pietralunga, fra la Varaita di Chianale e quella di Bellino, a monte Cavallo e a monte Passet. I risultati dello studio interpretativo dei dati archeologici e della contestuale ricerca documentaria sono stati presentati preliminarmente in occasione di un convegno dedicato alla storia della campagna militare gallispana in Piemonte del 1744, svoltosi a Torino nel novembre del 2005; un primo resoconto scritto, incentrato sulla fase più importante della fortificazione campale in val Varaita, ovvero quella del 1744, è poi stato elaborato nel volume Pietralunga 1744, edito dai BAR International nel 2009, mentre lo sviluppo completo dello studio, che comprende anche le fasi del 1742 e del 1743, nonché la rassegna definitiva dei dati reperiti in ricognizione e di gran parte delle immagini fotografiche prodotte per l’occasione, è

Le fortificazioni campali della valle Varaita Il sistema difensivo del confine sabaudo occidentale a sud del Monviso faceva perno sulla piazzaforte di Cuneo, in corrispondenza della quale, lungo la valle Stura, sorgevano il forte di Demonte e una serie di opere campali articolate intorno alle cosiddette «Barricate», un trinceramento posto a sbarramento del fondovalle fin dal XVII secolo nei pressi di Pont Bernard, in corrispondenza di una strettoia di rocce precipiti con analoga denominazione. Intorno al 1710, oltre al rifacimento delle Barricate, si iniziarono i lavori per fortificare le alture che dominavano la strettoia e sorsero nei decenni successivi le ridotte della Lobbiera e della Montagnetta, i trinceramenti della Scaletta, della Gardetta e del Preit168. Tali attività costruttive erano motivate dalla necessità di difendere il cammino discendente dal colle della Maddalena, o di Larche, attraverso il quale era agevole il transito dei grandi convogli e dell’artiglieria per invadere il Piemonte dalla valle dell’Ubayette, tanto che furono necessariamente trascurate tutte le altre valli delle Alpi Cozie che si aprono a raggiera fra Cuneo e Saluzzo. Mentre però la valle del Po è chiusa dal massiccio del Monviso e comunica con il Delfinato tramite impervi colli d’alta quota, così come la testata della valle di Maira con l’alta valle dell’Ubayette, la valle Varaita, chiusa fra le due precedenti, è collegata al Queyras dal colle dell’Agnello, più difficile da percorrere rispetto a quello di Larche, al Monginevro o al Piccolo San Bernardo, ma comunque transitabile con i cannoni, come dimostrarono gli Spagnoli nell’autunno del 1743 (fig. 19A). L’ingresso in Piemonte attraverso la valle Varaita fu tentato da parte francese per la prima volta nel 1628, quando già il duca Carlo Emanuele I aveva fatto approntare delle difese campali presso Sampeyre, dove allora era stabilito il confine con il regno di Francia169. Dopo la pace di Utrecht nel 1713 l’alta valle, divisa in due diramazioni con168 169

170 Si veda Alessandro Vittorio Papacino d’Antoni, Projet de difensive pour nos frontieres depuis le Mont Genevre jusqu’au Col de l’Argentiere, 1770, pp. 9 fronte – 9 retro (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 10 d’addizione). Per la collocazione orogeografica dei siti in esame si veda MARAZZI 2005, pp. 84-85 (SOIUSA, SZ. 4 – Alpi Cozie, STS. 4.I, A nn. 3, 4, C nn. 7, 8, 9).

Supra nota 80. SCONFIENZA 2009, p. 132 nota 3.

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in corso di pubblicazione con gli atti del convegno suddetto171. La serie di ricognizioni svolte ha permesso di individuare in prevalenza le tracce ancora visibili, e talvolata assai labili, dei lavori svolti nel 1744, corrispondenti alla terza fase d’intervento programmato dall’amministrazione sabauda in difesa della valle Varaita; tuttavia lo studio parallelo della documentazione storica d’archivio offre la possibilità di ricostruire le due fasi precedenti, la seconda delle quali, corrispondente al 1743, è segnata dalla presenza di fortificazioni campali leggere costruite negli stessi siti della fase successiva. L’entità delle opere più recenti ha obliterato la consistenza di quelle precedenti e dunque sarà possibile riferire in sintesi soltanto quanto sappiamo dalle fonti d’archivio, che ribadiscono una volta di più la loro importanza accanto alla ricerca archeologica.

realizzando nel 1743 un sistema di opere campali ben più impegnativo che semplici interventi di demolizione, in ragione dell’importanza e della facile transitabilità del valico; tuttavia altre valli, come quella della Varaita, furono effettivamente difese in forma preliminare secondo le istruzioni suddette173. I lavori in valle Varaita, svolti nel mese di agosto, furono affidati al capitano ingegnere Arduzzi e la loro consistenza è illustrata nella relazione finale di visita, scritta dal capitano d’artiglieria Felice De Vincenti e corredata di uno schizzo riassuntivo174. Accanto a questa fonte va ricordata l’importante raccolta di memorie storiche sulla valle Varaita e sulla cosiddetta guerra del 1742, redatte dal contemporaneo don Bernard Tholosan, parroco di Chianale e testimone oculare durante gli anni di nostro interesse175. Furono dunque tagliati con fossati i cammini dei colli di Soustra e di Vallanta sulle dorsali alla sinistra della Varaita di Chianale, al di sopra della borgata Castello. All’estremità nordoccidentale del massiccio di punte che divide le due Varaite dalla valle dell’Ubaye, nel comprensorio del colle Longet si praticò l’allagamento del cammino diretto a Maurin, collegando tramite piccoli canali alcuni laghetti del pianoro sottostante il passo sul versante piemontese e chiudendo l’emisario del bacino maggiore, verosimilmente l’attuale Lago Blu (2533 m s.l.m.) con una diga in muratura a secco e foderatura esterna in zolle di terra erbosa. Sempre nella stessa zona fu aperto un fossato a sbarramento di un itinerario alternativo, così da bloccare un possibile contingente d’invasione davanti al lago artificiale. Seguendo poi la dorsale che collega il colle Longet a quello dell’Agnello, presso il colle di Saint Veran fu tagliato in due punti differenti il

Gli interventi del 1742 Il regno di Sardegna prese parte alla guerra di successione austriaca dal 1742, operando in pianura padana accanto alle forze imperiali contro gli Spagnoli. L’impegno militare in Emilia non fece tuttavia trascurare la preoccupazione di approntare un programma difensivo per il confine occidentale dello stato, specialmente in presenza di un’armata spagnola in Provenza. Il conte Bertola, primo ingegnere di Carlo Emanuele III, elaborò nella primavera del 1742 il piano «per la diffesa delle frontiere», che individuava quali punti nevralgici le grandi piazzeforti pedemontane e le fortezze di media valle, là dove esse sorgevano, ma in generale riteneva essenziale la salvaguardia dei passi alpini che conducono in Piemonte, impegnando nella difesa le milizie locali e intervenendo con lavori di interdizione, come sbarramenti, fossati o tagli di carreggiate, lungo i cammini in prossimità dei valichi172. S’è visto precedentemente che tale prospettiva difensiva fu attuata al Piccolo San Bernardo,

173 Per l’esame approfondito della documentazione manoscritta e cartografica del 1742 e del 1743 accanto alla localizzazione topografica attuale di tutti gli interventi si veda al più presto SCONFIENZA s.d., in corso di pubblicazione. 174 Felice De Vincenti, Relazione delli Travaglj fatti, e disposizioni datesi con il S. r Command.te Cumiana per impedire il passaggio all’Inimico nella valle di Varaid, Casteldelfino, 27 agosto 1742 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 12, fasc. 7); Felice De Vincenti (?), Memoire des dispositions faites pour la garde de Cols, et passaigesde France qui vienent desboucher dans la Vallee de Varaite faite le 27.me aoust 1742 a la Chenal, Chianale, 27 agosto 1742 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 2 d’addizione, fasc. 18). Per la rappresentazione grafica si veda SCONFIENZA 2009, p. 97, Carta 1. 175 Bernard Tholosan, Memorie storiche sui fatti d’arme occorsi nella valle di Vraita nella guerra del 1742. Bernard Tholosan curé de Pont fecit 1777, 1777, in GARELLIS 2001, pp. 165-227.

171 Si vedano quindi BARBERIS 2009; SCONFIENZA 2009, BARBERIS s.d., SCONFIENZA s.d., dove sono inoltre raccolte le bibliografie pregresse sulle vicende storiche e territoriali del contesto studiato. Le ricognizioni e lo studio sul terreno sono state svolte dallo scrivente in collaborazione con Valentina Barberis. 172 Ignazio Bertola, Memoria formata dal Commend.re Bertola sopra le disposizioni, e providenze da darsi per la diffesa delle frontiere, 15 marzo 1742; Ignazio Bertola, Seguito delle Memorie sù lo Stato presentaneo delle cose per la diffesa del Piemonte formato dal Commendatore Bertola in Parma, Parma, 9 maggio 1742 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 12, fasc. 7).

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 19 – A: Carta moderna della valle Varaita a monte di Casteldelfino con i corsi delle due Varaite di Chianale e di Bellino (da Carta dei sentieri e dei rifugi, n. 6, Monviso, Istituto Geografico Centrale); B: Veduta aerea generale della valle Varaita di Chianale fra Casteldelfino e la borgata Genzana (elab.d.a.): (1) Borgata del Villareto; (2) Sito detto «La Vignasse», al raccordo fra le linee difensive del bosco de La Levée e di Vallanta, occupato da una batteria nel 1743 e dal forte San Carlo nel 1744; (3) Vallone di Vallanta; (4) Borgata e rocco di Castello e diga moderna a sbarramento del torrente Variata; (5) Area alle falde del versante nord della dorsale di Pietralunga, occupato dal forte Bertola nel 1744; (6) Lago artificiale moderno, creato dalla diga di Castello, che ha sommerso le antiche borgate di «Château de Pont» e Chiesa; (7) Cima di monte Passet, sito della ridotta del 1744; (8) Cima di monte Cavallo, sito del primo posto di guardia avanzata del 1744; (9) Cima della Battagliola, sito del secondo posto di guardia con ridotta del 1744; (10) Passo o colletto della Battagliola; (11) Massiccio roccioso del monte Pietralunga; (12) Passo del Buondormir; (13) Massicco roccioso del monte Ferra.

cammino che discendeva a Chianale. Analogamente si procedette poco a valle del colle dell’Agnello nel «posto detto del Crappone» e furono accampati 500 miliziani valdesi alle grange del Pategun, altrettanti a Sellette, e 1000 a Chianale. A proposito di quest’ultima notizia, sebbene le fonti non chiariscano quali fossero le modalità di sistemazione del campo né tanto meno le strutture, esiste la possibilità di spiegare con la presenza di tale insediamento temporaneo di miliziani un’area territoriale individuata nella ricognizione del 2004 appena fuori dall’abitato moderno di Chianale, lungo la strada moderna che conduce al colle del-

l’Agnello. Sulla destra della Varaita, in prossimità di un’ansa del torrente, nelle praterie appena a valle dell’imbocco del vallone dell’Antolina e del colle Longet, si è individuata un’area subrettangolare che risulta delimitata da margini in terra rilevati rispetto al piano di campagna, probabilmente corrispondenti a quanto resta dei trinceramenti marginali dell’area adibita ad accampamento (fig. 25, B). In particolare il terrapieno nord è ancora ben visibile e netto è il salto di quota rispetto al piano esterno, così come il saliente che lo raccorda al lato ovest, a sua volta facilmente percepibile e segnato nello sviluppo centrale dalla traccia di un 57


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piccolo fossato con spalto; il lato est è meno conservato, ma la fotografia aerea permette di seguirne lo sviluppo per alcuni metri lungo il corso della Varaita fino all’angolo con il lato sud, che ancora grazie alle vedute dall’alto potrebbe essere ricostruito con andamento a linea spezzata e saliente centrale. In prosecuzione del lato ovest, verso sud si scorgono ancora anomalie sulla superficie dei campi, la cui identificazione con una linea difensiva a salienti e rientranti pare allo stato attuale una suggestione interessante, piuttosto che un dato certo. La fase di fortificazione del 1742 è completata dalla testimonianza delle fonti in merito ad un trinceramento realizzato presso le falde del rocco della borgata Castello, Château de Pont o Ponte nel XVIII secolo, per creare una linea di ripiegamento alle guardie avanzate di Chianale e sui colli. L’opera era di natura leggera, costituita in gran parte da fascinoni e zolle di terra, e, secondo la rappresentazione grafica della relazione del De Vincenti, aveva un perimetro ad angolo saliente rivolto verso Chianale. Essa fu obliterata dagli interventi successivi del 1743 e 1744, ma è necessario chiarire fin d’ora che l’antica borgata di Château e quella denominata Chiesa, poco più a monte, furono ricoperte dalle acque dell’invaso della diga, realizzata negli anni ’50 del secolo scorso sul margine del terrazzo roccioso che separa con un notevole salto di quota il corso più alto della Varaita di Chianale dalla zona di Casteldelfino e dalla confluenza con la Varaita di Bellino. Conseguentemente tutte le possibili tracce delle opere difensive, che si susseguirono nel corso dei tre anni a difesa della borgata e del suo rocco a dominio della balza, non sono più attualmente individuabili.

La fase del 1743

essere attribuita al marchese o a qualche ufficiale del suo seguito176, ma la fonte più importante per la ricostruzione degli interventi difensivi e degli eventi bellici del 1743 è rappresentata dai diari del colonnello de Monfort, appartenente allo stato maggiore del marchese d’Aix177. Quanto alla cartografia storica la serie di documenti è assai abbondante e illuminante per ricostruire la sistemazione delle opere campali; si rimanda pertanto l’elencazione e la disamina di questo materiale ad altra sede178, ma per il 1743 è utile segnalare che esiste anche un piano riassuntivo delle difese nelle valli cuneesi e della generale situazione strategica, conservato presso l’Archivio di Corte di Torino179. Entro il 18 luglio gli ufficiali sabaudi inviati in val Varaita portarono a termine le ricognizioni preventive e alla fine del mese salirono a Casteldelfino sedici battaglioni di fanteria, divisi in tre brigate, «Gardes», «Savoye» e «Tarantaise», mentre presso la borgata Castello veniva ripristinato il trinceramento del rocco, realizzato l’anno precedente; al Villareto, borgo poco più a valle di Castello sulla sinistra della Varaita, fu impiantata una prima batteria e si insediò il comando dello stato maggiore. Alla fine del mese d’agosto i luoghi furono raggiunti dal primo ingegnere di Sua Maestà, conte Ignazio Bertola, per progettare le difese e la loro articolazione sul terreno, prendendo come assunto di partenza la necessità di sbararre la strada ad un possibile invasore, proveniente dal colle dell’Agnello, presso la strettoia di Castello, senza dimenticare la viglianza nella valle di Bellino e sui colli che la collegano con quella di Maira. Fu inoltre presa la decisione di distribuire le truppe delle tre brigate nelle località individuate per attestare la difesa ed ivi far costruire dai soldati stessi, aiutati dai valligiani, le fortificazioni campali, che

Durante l’anno succesivo ai primi interventi il governo sabaudo dimostrò maggiore attenzione per la valle Varaita (fig. 19, B). Nell’estate del 1743 infatti le trattative diplomatiche rinsaldarono l’alleanza fra Torino e Vienna, mentre l’occupazione spagnola della Savoia fin dall’autunno del 1742, con il tacito consenso francese, lasciava presagire future azioni gallispane sul confine alpino. Come s’è già detto il colle dell’Agnello costituiva un varco vulnerabile nel sistema difensivo occidentale del regno e fu quindi incaricato di elaborare una strategia difensiva per la valle Varaita il gran mastro d’artiglieria Vittorio Amedeo de Seyssel marchese di Aix. La situazione ereditata dal 1742 è descritta in un’anonima relazione di visita, che potrebbe

176 Relation de la visite, et des Remarques faites dans la Vallée de Varaita en commençant par le Col de l’Agnel, s.d. (Biblioteca Reale di Torino, Manoscritti Militari 73, n. 2). 177 Guillaume de Budé signore di Monfort, Relation Journaliere de ce qui s’est passé a L’armée Campée dans la Vallée de Chateau Dauphin sous les ordres de S. E. Monsieur le Marquis D’Aix, Torino, 1743 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 4 d’addizione, fasc. 3). 178 SCONFIENZA 2009, pp. 97-98, 101-102. 179 Carta topografica d’una parte delle Ualli di Stura, Grana, Macra, Blino, Uarajta, e Po unitamente alli Trinceramenti stati fatti in esse Ualli come pure gli attacchi stati fatti in detta Ualle di Uarajta dalle Truppe gallispane contro le Truppe di S. M. nelli Giorni 6, 7 e 8 del Mese di Ottobre 1743, s.d. (post ottobre 1743; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, Stura 13 A V ROSSO).

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

dovevano essere prevalentemente realizzate con il legname reperito nei boschi a loro tergo. Per questa ragione la documentazione curiale torinese conserva soltanto due contratti del 10 e 11 settembre 1743, firmati rispettivamente dagli impresari Tardi e Isolino, finalizzati alla fornitura di utensili da terra e da legno e di ceste per il movimento del materiale lapideo e terroso, ma non per l’impiego di maestranze artigianali180. Lo stretto e lungo vallone che si apre alla sinistra della Varaita di Chianale, presso il salto di quota alla borgata Castello, è denominato di Vallanta e conduce fino alle falde orientali del Monviso e più a nord ai passi della Losetta e di Soustra; nel 1743 il versante orientale di questo vallone venne fortificato con trinceramenti in legname, a redan intervallati da tratti rettilinei181, fino all’altezza delle Grange Soulieres, dove furono anche costruiti dei baracconi per il ricovero della guardia. Alle opere fu destinata la brigata delle Guardie e il materiale venne tratto dal bosco de La Levèe, che ancor oggi si estende dal vallone di Vallanta fino praticamente a Casteldelfino coprendo il versante settentrionale della valle. In prossimità di Castello, dove la pendenza del versante si modera, i trinceramenti di Vallanta terminavano e si raccordavano con quelli che dirigendosi verso est raggiungevano la borgata di Villareto, percorrendo il versante settentrionale della valle sulla sinistra della Varaita fra il margine inferiore del bosco de La Levée e i dirupi a precipizio sul torrente. Questa linea di fortificazioni, sempre verosimilmente in legname, era difesa dalla brigata di Savoia e faceva capo ad una seconda batteria, prevista dal Bertola, alla congiunzione con i trinceramenti di Vallanta a dominio di Castello. L’abitato di Castello fu interessato da altri interventi, oltre la ristrutturazione delle difese leggere

del 1742; i soldati della brigata Savoia chiusero con palizzate tutti gli imbocchi delle strade dell’insediamento che davano verso l’esterno e aprirono delle feritoie lungo i muri perimetrali delle abitazioi marginali. Probabilmente il paese fu circondato da un leggero trinceramento in legname con andamento a salienti e rientranti e foderato da fascinoni, così come illustra una carta del tempo182. Sul rocco di Castello a tergo del trinceramento del 1742 venne infine realizzato un baraccone per il ricovero del presidio. Lo sbarramento di Castello fu completato con la sistemazione dell’ultima brigata, di Tarantasia, costituente l’ala sinistra dello schieramento sabaudo, sulla dorsale che divide le due Varaite. Quest’ultima corre dai primi contrafforti ad ovest di Casteldelfino fino al monte Ferra ed è dominata dal grande bastione roccioso del monte Pietralunga, raccordato al Ferra dal passo di Buodormir, ultimo valico che permette il collegamento ad ovest fra Chianale e Bellino. Alle pendici orientali di Pietralunga si estende la sella del passo della Battagliola cui fanno seguito, sempre in direzione est, le punte della Battagliola, di monte Cavallo e del monte Passet. Da queste posizioni era possibile controllare entrambe le diramazioni dell’alta valle, sebbene, come sarà poi chiaro in conseguenza agli eventi del 1744, esse fossero troppo distanti e difficili da collegare al centro del sistema difensivo, articolato fra Castello e Villareto. Le memorie del Monfort sono meno circostanziate per questo settore, non essendo egli presente fisicamente in loco, ma suppliscono i diari del generale Guibert183, comandante della brigata di Tarantasia, che riguardo alle difese realizzate nel tratto di dorsale ad est di Pietralunga fornisce varie notizie. L’ufficiale rammenta innanzitutto di aver fatto accampare in quota le sue truppe e di aver richiesto il trasporto a dorso di mulo dal fondovalle del legname necessario per realizzare i trinceramenti, che la cartografia storica colloca lungo la cresta di dorsale, secondo una linea intervallata da redan a distanze piuttosto regolari, rivolti verso la valle di Castello184. Venne presidiato e probabilmente fortificato il passo di

180 Sottomissione di Gio Nicola Tardij per prov.e e condotto di diversi utiglij nella città di Saluzzo da servire per trinceram. i ed altre opere, Torino, 10 settembre 1743, e Sottomissione di Gio Ant.o Isolino per provisione di ceste per trinceram.i ed altre opere da farsi ne Contorni di Casteldelfino, Torino, 11 settembre 1743 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Contratti fortficazioni, 1743, pp. 517-519, 521-522). 181 Si veda in particolare la raffigurazione su Daniele Minutoli, Piano in Misura del’Accampamento delle truppe di S. M. a Castel del Ponte nella valle di Varajta con l’attacco quivi delle Truppe Gallispane seguito nell’anno 1743, s.d. (post luglio 1744; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Storia della Real Casa, Storie Particolari, Carlo Emanuele III, Disegni e Piani de’ Campamenti, Ordini di Battaglia, trincieramenti, e Tabelle per l’Istoria Militare nelle Campagne di S. M. il Re Carlo Emanuele III degli anni 1742 ad 1748, Mazzo 24, categ.a 1).

Supra nota 181. Alexandre Guibert de Syssac, Estat et Journalier de ce qui s’est passé dans la vallée de Belin et au Camp de Pierrelonge depuis le 14.e Aoust 1743 jusques au 18.e Octobre dite Année, Torino, 22 novembre 1743 (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Materie Militari, Imprese Militari, Mazzo 3 d’addizione, fasc. 3). 184 Supra nota 181. 182 183

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Buondormir e si praticarono lungo il versante sud occidentale, alla destra della Varaita di Chianale, diffusi «abatis», ossia tagli di alberi i cui tronchi abbattutti l’uno sull’altro rendevano impraticabile l’avanzata verso i trinceramenti. Fu infine fortificata una posizione non meglio precisata a metà pendio del versante fra la dorsale occupata dalle truppe del Guibert e la posizione di Castello. Il dispositivo difensivo fu completato con alcuni trinceramenti alla destra della Varaita di Chianale oltre la balza di Castello, presso il bosco del Sapé, di fronte alla posizione di Villareto; di non trascurabile importanza è rammentare infine che fu inviata una guardia al colle della Bicocca, dove transitava il cammino di collegamento fra la valle di Bellino e quella di Maira, e che fu aperta una strada fra questo stesso colle e quello di Sampeyre, più ad est lungo la stessa dorsale, per garantire il controllo rapido dei due valichi più importanti di quel comprensorio. All’inizio d’ottobre del 1743 gli Spagnoli del marchese di Las Minas tentarono effettivamente un attacco alla linea difensiva piemontese, dopo aver valicato il colle dell’Agnello con l’artiglieria. Il contingente d’invasione comprendeva anche truppe francesi e, in seguito all’occupazione di Chianale, le azioni furono condotte contro i tre nuclei fondamentali del dispositivo difensivo, sia lungo i trinceramenti di Vallanta sia frontalmente su Castello sia in direzione della dorsale ad est di Pietralunga. La difesa sabauda tenne tuttavia il tempo necessario per indurre i Gallispani al ripiegamento, entro il 10 ottobre, a causa del peggioramento della stagione e della prima neve, ma l’impressione generale fu evidentemente che la valle Varaita continuava ad essere un punto debole della frontiera alpina, tanto che le opere campali, per quanto leggere, non furono disarmate185.

fin dal mese di gennaio, di stilare i capitolati per i lavori destinati alla valle Varaita, in seno all’attività di progettazione di nuove fortificazioni sotto la direzione dello stesso conte Bertola186. Il testo dei capitolati è particolarmente significativo per le titolature che elencano i siti nei quali si stabilirono gli interventi, ovvero «Valle di Varaita al bosco della leuata», «Castel del Ponte», «Alla sinistra salendo di Castel di Ponte», «Al Col Bon Dormir», «Nella Valle di Blino», «Al Col dela Bicoca», «Al Col d’Elua di Brianzole», «Al Melard»187 (fig. 19, B). Il 10 e l’11 marzo furono stipulati a Torino due contratti con gli impresari Giovanni Francesco Dlevi, Cesare Filippis e Carlo Andrea Righino per la fornitura dei legnami, della «ferramenta» e della manodopera, per la costruzione di tutte le opere difensive elencate negli stessi documenti secondo l’ordine e le titolature dei capitolati degli ingegneri. I lavori iniziarono già durante il mese di marzo e proseguirono fino alla primavera inoltrata; la prima attività fu l’esteso taglio di alberi nei boschi di Vallanta e de La Levée, così da integrare il legname fornito dagli impresari secondo i contratti, ma causando gravi danni economici alle comunità locali188. I siti facenti capo alla titolatura «Valle di Varaita al bosco della leuata» corrispondono a quelli trincerati l’anno precedente nel vallone di Vallanta e lungo il margine inferiore del bosco de La Levée fino al Villareto; essi costituivano la destra del sistema difensivo sabaudo (fig. 20, A). La ricognizione archeologica lungo il vallone di Vallanta ha costretto a constatare che il rimboscimento delle aree destinate alla fortificazione ha cancellato nel corso di due secoli e mezzo le tracce dei terrapieni delle opere; le documentazioni grafica e amministrativa ci permettono di ricostruire un trinceramento continuo a frecce distanziate, analogo a quello leggero realizzato nel 1743 dalla brigata Guardie, che fu dotato di fossato e difeso alla testata alta, presso le Grange Soulieres, da due ridotte staccate nelle

Il sistema difensivo del 1744 Gli eventi del 1743 indussero i vertici militari sabaudi e l’amministrazione centrale a provvedere fin dai primi mesi del 1744 alla pianificazione di un programma di messa in difesa stabile dell’alta valle Varaita. Mentre si sviluppavano le riflessioni sulle migliori disposizioni da prendere per la futura campagna primaverile, estendendo lo sguardo a tutto il confine a sud del Monviso, gli ingegneri militari capitani Arduzzi e Guibert furono incaricati,

186 Sul tema, con l’esame dei documenti storici relativi, si veda SCONFIENZA 2009, pp. 56-58. 187 Tale ordine è poi rispettato e ripetuto in tutti i testi della documentazione amministrativa, in primis i contratti; si veda il capitolato in Capitano Ingegnere Arduzzi, Calcolo per li trauaglij che si potrebbero fare per impedire il passaggio al nemico nelle valli di Varaita, Blino, e Mayra, Torino, 27 gennaio 1744, e Capitano Ingegnere Arduzzi, Calcolo per prouisione, fattura, e condotta dell’intrascritti boscami alli posti che uerranno indicati, Torino, 27 gennaio 1744 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Regi Biglietti, 1731-1744, pp. 360 fronte – 362 fronte, 362 fronte – 364 retro). 188 SCONFIENZA 2009, pp. 58-61.

185 Sull’attacco del 1743 si veda ILARI, BOERI, PAOLETTI 1997, pp. 122-125.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 20 – A: Valle Varaita di Chianale, veduta generale della zona della borgata Castello e del vallone di Vallanta (fotoelab.d.a.); B: Valle Varaita di Chianale, versante a monte della borgata Castello e all’imbocco del vallone di Vallanta con la probabile identificazione del sito del forte San Carlo del 1744 (foto-elab.d.a.).

vicinanze delle rocce degli Apiols. La testata a valle dei trinceramenti si raccordava al corpo di fabbrica di un’opera più impegnativa, il forte San Carlo, del quale oggi non resta più nulla, se non l’ipotetica localizzazione presso la variazione di pendenza della costa montana all’incontro del vallone con il bosco de La Levée, un sito che nei manoscritti coevi è definito «La Vignasse» (fig. 20, B). Le fonti storiche e curiali documentano una fortificazione a fronti tenagliati, in legno e terra con fossato, cannoniere e vari livelli di tiro, posta a difesa di Castello e del raccordo fra i trinceramenti di Vallanta con quelli de La Levée; presso la variazione di pendenza è possibile tuttavia ipotizzare che il terreno abbia

tale assetto a causa del dilavamento dei terrapieni e dell’intero corpo di piazza. Per quanto concerne infine i trinceramenti di collegamento fra il forte e la posizione di Villareto, ovvero quelli de La Levée, la miglior documetazione è quella cartografica, ma sul terreno esiste ancora la traccia evidente della prima freccia a valle del forte San Carlo e della strada statale moderna, che dava inizio allo sviluppo dell’opera fra il margine inferiore del bosco e il margine sinistro della forra della Varaita189. 189 Per il rendiconto della ricognizione e l’esame incrociato con la documentazione manoscritta e cartografica si rimanda a BARBERIS 2009, pp. 28-31 e SCONFIENZA 2009, pp. 64-69.

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fig. 21 – A: Valle Varaita di Chianale, versante sinistro poco a valle del sito del forte San Carlo con l’identificazione e l’integrazione grafica del primo redan appartenente alla linea trincerata del bosco de La Levée in direzione della borgata del Villareto (foto-elab.d.a.); B: Valle Varaita di Chianale, area alle falde del versante nord della dorsale di Pietralunga, occupata nel 1744 dal forte Bertola, dai baracconi per il ricovero delle truppe e dall’avvio della linea trincerata a redan che saliva fino al monte Passet (foto-elab.d.a.).

Presso «Castel del Ponte», vale a dire alla borgata Castello, furono svolti i primi lavori del 1744, per trasformare in opera semipermanente di terra e legname la fortificazione leggera del 1743, dotando il trinceramento a salienti e rientranti, che ne derivò, di palizzata, fossato e cannoniere. Attualmente, come detto in precedenza, il sito è allagato dal bacino della diga, tuttavia si coglie ancora perfettamente lo scarpamento obliquo del rocco, realizzato nel 1744 a colpi di mina, per evitare i colpi di rimbalzo e la rovina di materiale lapideo sulle linee difensive inferiori, qualora il sito fosse stato sottoposto a bombardamento d’artiglieria, come accadde durante la campagna precedente.

Sulla cima del rocco, presso il suo limite settentrionale, si sono indivaduate tracce di muratura a secco, non facilmente attribuibili a quest’epoca o forse ad una frequentazione medievale; sta di fatto che tale posizione permetteva il controllo a 360° del dispositivo difensivo centrale a sbarramento della Varaita190. La titolatura «Alla sinistra salendo di Castel di Ponte» riassume una serie numerosa di siti specifici, che si localizzano sulla destra della Varaita di Chianale, a partire dalle falde del versante meridionale della valle, lungo il medesimo e lungo la dorsale 190

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BARBERIS 2009, p. 33; SCONFIENZA 2009, pp. 62-64.


Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

superiore fra il monte Passet e il massiccio di Pietralunga. Si tratta delle opere che fortificavano la sinistra del sistema difensivo sabaudo; la prima di esse era il forte Bertola, i cui resti sono oggi completamente perduti a causa dell’allagamento del pianoro che si estendeva a sud di Castello, lungo la riva destra della Varaita fino alle prime falde del versante meridionale della valle. L’opera, come il San Carlo, era in terra e legname con fronti tenagliate, fossato, cannoniere e governava la sinistra delle fortificazioni di Castello. Al forte si raccordavano i trinceramenti ascendenti alla dorsale ad est di Pietralunga, di cui resta documentazione nella cartografia storica e che dovevano arrivare fino alle Rocce di Roucchiaus; attualmente è possibile scorgere alle falde del versante montano, oltre la diga moderna sulla destra del lago artificiale, un cammino di mezza costa il cui margine a valle è segnato da una serie di sporgenze distanziate, che corrispondono ai resti dei terrapieni dei primi redan di questa linea di trinceramenti ascendenti (fig. 21, B). I salienti delle opere puntavano verso l’area a valle, dove verosimilmente sorgeva il forte Bertola, facendo dunque presupporre che il corpo di piazza del forte si trovasse ad una quota inferiore rispetto alla linea trincerata, presso il corso della Varaita, come si deduce infatti dalle fonti storiche. Alle spalle della strada coperta da questi trinceramenti la ricognizione ha permesso di individuare nel bosco dei primi contrafforti del versante meridionale alcune aree rettangolari in piano, sfalsate di quota e raccordate da sentieri; esse erano contenute da terrazzamenti in opera a secco e corrispondono con ogni probabilità alle fondazioni di alcuni baracconi per il ricovero delle truppe, realizzati contestualemte alle fortificazioni191. Le opere fortificate della dorsale che divide le due Varaite rappresentano non solo il punto nodale del sistema difensivo antico, ma anche quello della ricerca condotta attualmente, in ragione delle problematiche di esatta localizzazione ed identificazione delle opere. Partendo innanzitutto dal settore ad est del bastione roccioso di Pietralunga si incontra il passo della Battagliola, che venne fortificato nel 1744 e costituiva la prima posizione avanzata lungo la cresta. Il controllo del colle era attuato da una ridotta posta sulla cima della Battagliola, corredata di baraccone, che fu rimaneggiata all’inizio del XX secolo per realizzare una postazione d’artiglieria da montagna, analoga ad una seconda 191

69-73.

inferiore aperta a poca distanza dal passo. La ricognizione ha documentato entrambe le postazioni e resti di muratura a secco presso la più alta, ma gli interventi recenti hanno compromesso ampiamente l’assetto del XVIII secolo192. Proseguendo in direzione est la punta successiva, quella di monte Cavallo, corrisponde al sito che la bibliografia storica identificava con quello in cui si svolse lo scontro decisivo dell’attacco francese in valle Varaita nel 1744 e che segnò la sconfitta delle forze piemontesi, costrette ad evacuare il comprensorio dei valichi fino a Sampeyre193 (fig. 22, A). La ricognizione archeologica tuttavia non ha individuato in questo luogo né l’assetto orografico documentato dalle carte antiche né le tracce sul terreno della ridotta, descritta dalle fonti e da una carta specifica dell’Archivio di Corte di Torino194 (fig. 23, A). Si sono invece individuate, poco sotto la cresta sommitale della dorsale, le evidenze di tagli nel pendio, che isolano un’area rettangolare allungata in piano, attribuibile forse al secondo baraccone di guardia, collocato dalle fonti coeve un po’ più ad est della Battagliola; non va esclusa tuttavia l’attribuzione di queste tracce ad interventi per gli attendamenti del 1743, ordinati sempre nelle stesse località dal generale Guibert, tenendo conto che ad una quota inferiore, presso un pianoro alle falde della cresta sommitale, la ricognizione ha evidenziato i resti di una fondazione in pietre a secco attribuibile ancora una volta ad un baraccone, contestuale ad una trincea aperta nel vicino pendio195. Le caratteristiche della ridotta protagonista della battaglia del 19 luglio 1744, deducibili dalle carte antiche e dalle fonti storiche e curiali, sono invece emerse presso la cima di monte Passet, l’ultima della dorsale di Pietralunga a poco più di mille metri da monte Cavallo e al centro di un contesto orografico ricorrente tanto nella cartografia storica quanto in 192 BARBERIS 2009, pp. 37-39; SCONFIENZA 2009, pp. 80-81, 84. 193 Detta bibliografia è elencata in SCONFIENZA 2009, p. 9 nota 2. 194 Pianta del Ridotto costrutto l’Anno 1744 sopra monte Cavallo volgarmente detto Pietra Longa, s.d. (post luglio 1744; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, monte Cavallo 16 A IV ROSSO; SCONFIENZA 2009, p. 77 fig. 82). 195 L’area di questo pianoro non consentiva una chiara lettura delle azioni umane, che devono essersi comunque susseguite nel corso dei secoli, e appariva comunque rimaneggiata, forse durante la seconda guerra mondiale o anche prima, contemporaneamente ai lavori delle batterie della Battagliola; per una descrizione più precisa si rimanda a BARBERIS 2009, pp. 39-41 e per la parte documetaria a SCONFIENZA 2009, pp. 80-81, 84-85.

BARBERIS 2009, pp. 33-36; SCONFIENZA 2009, pp.

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fig. 22 – A: Veduta aerea del tratto della dorsale di Pietralunga fra i monti Passet e Cavallo (elab.d.a.): (1) Cima di monte Passet, sito della ridotta attaccata dai Francesi il 19 luglio 1744; (2) Dorsale delle Rocce di Roucchiaus, discendente verso il forte Bertola e trincerata nel 1744; (3) Praterie della Costa dei Balz; (4) Dorsale della Gujetta, trincerata nel 1744 e discendente alla borgata Ribiera di Bellino; (5) Tratto sommitale della dorsale a est di Pietralunga fra la cima di monte Passet e quella di monte Cavallo; (6) Cima di monte Cavallo; (7) Pianoro inferiore alla cima di monte Cavallo con tracce delle fondazioni di un baraccone e di una trincea a ridosso del pendio; B: Raffigurazione della ridotta di monte Passet (al n. 7), del baraccone di monte Cavallo (al n. 6) e della Battagliola (al n. 5) nella carta antica intitolata Attaque des retranchements établis dans la vallée de la Varaita près de Casteldelfino, Haute Italie, par l’armée des deux Couronnes les 18 et 19 juillet 174, dell’ingegnere militare francese François Joseph Louis Roy de Vacquières (elab. d.a. da SCONFIENZA 2009).

quella moderna e nella fotografia aerea196 (figg. 22, A, B; 23, A). L’opera presentava una fronte occidentale tenagliata, i cui resti si sono puntualmente riscontrati sul terreno, e il lato meridionale a linea spezzata di salienti e rientranti che foderavano l’area sommitale del monte e che sono stati anch’essi individuati in situ (figg. 23, A, B, C; 24, A, B); l’elevato era probabimelte in legname fondato su un corpo di

fabbrica in terra, davanti al quale si apriva un fossato marginato dalla palizzata. Il lato settentrionale coincideva con la linea di cresta della dorsale e la gola era aperta sul margine precipite orientale della punta; infine a nord il raccordo del monte con la dorsale che discende alle Rocce di Rochiaus lasciava posto ad un baraccone leggero197. Le motivazioni specifiche per supportare l’attribuzione dei resti rin-

196 Si confronti supra nota 194 con BARBERIS 2009, p. 47 fig. 48 e anche con una raffigurazione della fortificazione realizzata dall’ingegnere francese che vide personalmente le opere e la loro localizzazione essendo assegnato alla colonna che attaccò la valle Varaita: François Joseph Louis Roy de Vacquières, Attaque des retranchements établis dans la vallée de la Varaita près de Casteldelfino, Haute Italie, par l’armée des deux Couronnes les 18 et 19 juillet 1744, s.d. (1745), conservata presso il Château de Vincennes, Service historique de la défense, Armée de terre, Vincennes, LIC 283 (A433).

197 I risultati dello studio sul terreno della ridotta e dell’esame comparato delle fonti è sviluppato in BARBERIS 2009, pp. 41-49 e SCONFIENZA 2009, pp. 73-80, 82-87, in cui è anche pubblicato un disegno schematico (fig. 23, B) derivante dalla collocazione sulla rappresentazione orografica di monte Passet, tratta dalla carta IGM, del perimetro della ridotta ottenuto combinando le misure prese sul terreno con quelle fornite dalla cartografia storica in trabucchi, trasformati in metri, secondo un procedimento simile al filtraggio cartografico usato per la ridotta della testa dell’Assietta (supra al paragrafo specifico e alla nota 134).

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 23 – A: Carta antica raffigurante la ridotta di monte Passet, intitolata Pianta del Ridotto costrutto l’Anno 1744 sopra monte Cavallo volgarmente detto Pietra Longa (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche segrete, monte Cavallo 16 A IV ROSSO; da SCONFIENZA 2009); B: Disegno della ridotta di monte Passet, ottenuto per filtraggio cartografico e confronto con le misure reperite sul terreno; le lettere ai vertici dei segmenti di trinceramento corrispondono a quelle della carta antica riprodotta nella figura 23, A (elab.d.a.); C: Valle Varaita, cima di monte Passet, integrazione grafica della tenaglia occidentale della ridotta del 1744, corrispondente al tratto segnato A-B sulla carta antica della fig. A, vista da ovest (foto-elab.d.a.).

venuti su monte Passet alla ridotta detta «di monte Cavallo» sono stati sviluppati in maniera approfondita nella pubblicazione dedicata alla materia198, tuttavia è importante rammentare che si tratta di 198

un caso di sfalsamento toponomastico, possibile e frequente in seno alla storia dei territori, che ha tuttavia cancellato la memoria esatta dei luoghi e dei manufatti, lasciandoli però fortunatamente intatti, anche se messi a dura prova dalle condizioni climatiche d’altura. Più importante sembra invece notare che la ridotta di monte Passet costi-

SCONFIENZA 2009, pp. 17-19, 82-84.

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fig. 24 – A: Valle Varaita, cima di monte Passet, consistenze rimanenti del corpo di fabbrica in terra della tenaglia occidentale della ridotta del 1744 (foto-elab.d.a.): (1) Terrapieno del corpo di fabbrica principale; (2) Rientrante centrale della tenaglia; (3) Corno sinistro della tenaglia, corrispondente al vertice B sulla carta antica della figura 23, A; (4) Resto della consistenza dello spalto in terra riportata, antistante il fossato della tenaglia; (5) Parte centrale della depressione antistante la tenaglia, corrispondente all’antico fossato; B: Valle Varaita, cima di monte Passet, integrazione grafica della tenaglia occidentale della ridotta del 1744, corrispondente al tratto segnato A-B sulla carta antica della fig. 23, A, vista da est (foto-elab.d.a.).

tuiva il fulcro di tutto il sistema difensivo dell’alta valle Varaita, il quale corrispondeva ad una linea a cordone, sviluppata dal vallone di Vallanta fino al colle della Bicocca, e costituiva uno sbarramento trasversale dei bacini fluviali. La sistemazione della ridotta sul monte Passet consentiva il controllo a vista dell’intero comprensorio ed essa rappresentava la chiave di volta del sistema, trovandosi a dominio delle due Varaite e coordinando la linea avanzata di opere lungo la dorsale di Pietralunga, ortogonale a quella principale di sbarramento199. Sotto questa luce emerge il valore dell’indagine archeologica per stabilire la corretta attribuzione dell’opera al sito di 199

monte Passet, così da cogliere il vero punto nodale del sistema difensivo ideato dal Bertola e dai suoi ingegneri. Certamente la notevole estensione del sistema non consentiva comunicazioni agevoli e la sola concezione a sbarramento si rivelò in definitiva controproducente, ma è fuor di dubbio che, accanto all’esempio del Piccolo San Bernardo, ci troviamo storicamente di fronte alla prima forma di disposizione territoriale delle linee trincerate, applicata a grandi comprensori e preliminare alle esperienze degli anni di guerra successivi, che condussero all’invenzione del sistema campale dell’Assietta. La linea avanzata di fortificazioni ad ovest di monte Passet comprendeva i già citati posti di monte

SCONFIENZA 2009, pp. 133-134.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

fig. 25 – A: Veduta aerea della dorsale fra la valle Varaita e la valle Maira in corrispondenza del colle della Bicocca, ad est del monte Pelvo d’Elva (elab. d.a.): (1) Area sommitale del versante dalla parte della val Maira, racchiusa dai trinceramenti del campo sabaudo del 1744; (2) Trinceramenti del limite occidentale del campo con fronte a tenaglia in corrispondenza della dorsale; (3) Fronte meridionale del campo trincerato segnato da una linea a salienti e rientranti, con un evidente redan centrale; (4) Piccola ridotta sommitale a forma di freccia occidentale; (5) Piccola ridotta sommitale a forma di freccia orientale; (6) Colle della Bicocca; B: Veduta aerea dell’area a nord-ovest di Chianale presso la SP 251 (elab. d.a.): (1) Area quadrangolare presunta d’accampamento delle milizie valdesi e delle truppe sabaude negli anni 1742 e 1793; (2) Fronte nord in terra dell’area d’accampamento con redan presso il limite nord-ovest; (3) Fronte sud in terra dell’area d’accampamento, con possibile andamento a salienti e rientranti; (4) Fronte est in terra dell’area d’accampamento a scarpamento sul letto della Varaita; (5) Fronte ovest in terra dell’area d’accampamento, con resti di fossato e spalto; (6) Possibile linea di trinceramenti in terra, originata dal vertice fra i fronti ovest e sud dell’accampamento e con andamento a linea spezzata di salienti e rientranti.

Cavallo, con il suo baraccone, e della ridotta della Battagliola, ma anche, oltre il massiccio di Pietralunga, i trinceramenti «Al Col Bon Dormir», che furono risistemati nel 1744, essendo già stati probabilmente impiantati nel 1743200 (fig. 19, B). I trinceramenti «Nella Valle di Blino», erano quelli che sviluppavano il sistema difensivo a sbarramento della Varaita di Bellino ed avevano il loro centro presso la borgata fortificata di Ribiera. Una linea trincerata a salienti e rientranti, di cui si scorgono ancora alcune tracce nelle praterie fra la Gujetta e la Costa dei Balz lungo il versante sinistro della valle di Bellino, scendeva dalla ridotta di monte 200

Passet fino a Ribiera; questo insediamento era difeso da una fortificazione analoga a quella di Castello, con fossato, palizzata e corpo di fabbrica dei trinceramenti in terra. Da lì un’analoga linea a salienti e rientranti saliva fino al colle della Bicocca sulla dorsale spartiacque con la val Maira201. «Al Col dela Bicoca» la ricognizione archeologica e la fotografia aerea hanno restituito gran parte dell’ampio sviluppo del campo trincerato, che si ampliava dalla cresta sommitale della dorsale lungo il versante sud, dalla parte della val Maira (fig. 25, A); da quel lato infatti la maggior dolcezza del pendio e l’ampiezza delle praterie sommitali pote-

SCONFIENZA 2009, pp. 81-82.

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SCONFIENZA 2009, pp. 87-88.


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vano agevolare un nemico che volesse attaccare le fortificazioni poste a guardia del colle, situato su una sella poco più ad ovest in direzione del Pelvo d’Elva. La fronte occidentale del campo era costituita da una linea a salienti e rientranti con una tenaglia collocata a cavallo della cresta di dorsale; lo sviluppo del fronte sud, oggi segnato ancora dal semplice taglio del pendio e da pochi resti della strada coperta e della consistenza dei terrapieni, seguiva l’abituale andamento a linea spezzata per guadagnare a circa 600-700 m dal fronte occidentale il rilievo più alto in quel punto della dorsale, dove furono realizzate due piccole ridotte a redan in pietre a secco. L’opera viva dei trinceramenti era anche in questo sito realizzata con terra e, stando all’osservazione autoptica, esistevano la palizzata e un fossato almeno sulla fronte occidentale; furono infine predisposti i baracconi per il ricovero delle truppe202. Le fortificazioni minori che i contratti registrano «Al Col d’Elua di Brianzole» e «Al Melard» sono di difficile attribuzione, fermo restando che la ricognizione non è stata estesa alla valle di Maira; sembra piuttosto di maggior importanza rilevare infine la realizzazione di una strada, sempre nella primavera del 1744, che conduceva dalla dorsale fra i colli della Bicocca e di Sampeyre al fondo del vallone d’Elva sulla sinistra del torrente Maira, in modo da rendere agevoli gli spostamenti di truppe fra una valle e l’altra secondo le necessità o le contingenze strategiche203.

accanto ad una nutrita serie di memorie206, che rendono conto della realizzazione di opere fortificate e baracconi per il ricovero delle truppe nel 1793, l’anno di particolare attività costruttiva, come s’è già visto sia all’Assietta sia al Piccolo San Bernardo, per tentare di mettere in difesa bene o male tutti i comprensori alpini attacabili dai Francesi. I documenti testimoniano innanzitutto che nella valle della Varaita di Chianale furono realizzati dei trinceramenti dinuovo a Castello, alla Vignassa e alla borgata del Tronchetto; si trattava di opere leggere, il cui corpo di fabbrica era soltanto realizzato in fascinoni, o salsiccioni, fissati a terra con picchetti, strutturati in elevato per filari orizzontali e culminati da fascine di dimensioni minori. Probabilmente seguivano sviluppi a salienti e rientranti ed è credibile che fossero fondati sui resti delle opere del 1744, i cui ingombri, sebbene esse fossero state incendiate per ordine del conte di Lautrec dopo l’occupazione dell’alta valle in quello stesso anno, erano ancora verosimilmente percepibili dopo appena mezzo secolo. I lavori del 1793 furono attuati con approssimazione e la realizzazione dei fascinoni in rami di pino e larice determinò la rovina dei trinceramenti nell’inverno, tanto che nel 1794 si dovette provvedere a rifarli. Nel giugno del 1796, dopo l’armistizio di Cherasco, le fortificazioni furono smembrate e i fascinoni venduti a privati. Quanto ai baracconi le fonti danno notizia dell’edificazione di ventisette esemplari di varie dimensioni, sette a Chianale, sedici alla Vignassa presso Castello, quattro nella valle di Bellino; è inoltre segnalata la presenza

La fase della guerra delle Alpi

Fortificazioni in partibus, 1793, pp. 78 fronte – 79 retro, 81 fronte – 85 retro); Sottomissione con cauzione passata da Angelo Tua presta provvista di quattro Baracconi da formarsi nella Valle di Bellino, Saluzzo, 4 giugno 1793 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Contratti Fortificazioni in partibus, 1793-1797, pp. 73 fronte – 74 retro); Transazione seguita con l’Impr.ro Chiafredo Pejracchia, anche a nome di suo fratello Giacomo in dipendenza dell’impresa assonta della provis.e di Fascine, Salsiccioni, e Picchetti per le opere di Fortif.ne fattesi a Castel Pont situato nella valle di Casteldelfino, Torino, 14 dicembre 1793 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Contratti Fortificazioni, 1793, pp. 272 fronte – 279 fronte). 206 Si tratta delle memorie del 5 giugno 1793, 9 giugno 1793, 13 giugno 1793, 21 giugno 1793, 11 agosto 1793, 19 settembre 1793, 29 novembre 1793, 29 dicembre 1793, 18 gennaio 1794, 27 marzo 1794, 22 aprile 1794, 25 aprile 1794, 13 giugno 1796 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Memorie alle Segreterie, 1793-1794 e 1795-1798); contestuali sono inoltre le lettere di risposta della Regia Segreteria di Guerra dell’8 giugno 1793, 12 giugno 1793, 3 dicembre 1793, 20 gennaio 1794, 24 aprile 1794 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Regia Segreteria di Guerra, Lettere di S. M. all’Intedente Generale delle Fortificazioni e Fabbriche Militari, 8 marzo 1793 in 9 maggio 1794).

Lo sviluppo ulteriore della ricerca d’archivio ha fornito recentemente dati inediti sulla difesa della valle Varaita programmata negli anni ’90 del XVIII secolo e nuovi spunti interpretativi per i risultati delle ricerche in loco204. Nei fondi delle Fabbriche e Fortificazioni si conservano infatti alcuni contratti205, 202 BARBERIS 2009, pp. 49-53; SCONFIENZA 2009, pp. 88-89. 203 SCONFIENZA 2009, pp. 90-92. 204 Si offre in questa sede una notizia preliminare con l’intenzione di pubblicare al più presto uno studio meglio approfondito sull’argomento. 205 Atto di sottomissione con cauzione di Chiaffredo, e Giacomo Pejrachia impresari delle fascine, Salsiccioni, e pichetti da provvedersi a castel di Ponte per il Servizio militare, Sampeyre, 28 maggio 1793; Sottomissione con cauzione di Francesco Grandis a favore delle regie Finanze per l’Impresa di 23 baracconi a servizio militare pel prezzo di lire sedicimille, Saluzzo, 29 maggio 1793 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Azienda Generale di Fabbriche e Fortificazioni, Contratti

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

di un baraccone al colle dell’Agnello e di un secondo al passo del Crapone, che furono inspiegabilmente vittime di incendi alla fine dell’estate del 1793. Fu infine costruito un baraccone a monte Cavallo. Tali notizie inducono a rimeditare alcuni dati reperiti nelle ricognizioni degli anni passati, poiché i sedici baracconi di Castello, pur essendo indicato come sito la Vignassa, che si trova all’imbocco del vallone di Vallanta, sulla sinistra della Varaita, potrebbero comprendere anche quelli individuati nella zona alle spalle del vecchio forte Bertola, lungo le falde del versante alla destra della Varaita; in tal modo un numero tanto elevato di strutture parrebbe infatti meglio distribuito, tenendo conto inoltre che i contratti e i capitolati del 1744 non segnalano una rilevante quantità di baracconi nei pressi del forte Bertola e dei trinceramenti ascendenti a monte Passet. È pertanto anche ipotizzabile che i trinceramenti di fascinoni potessero aver riattato e resa ancora utilizzabile la inea di redan con la sua strada coperta, poco a valle della concentrazione di baracconi, che è stata attribuita alla fase del 1744 quale primo tratto dei trinceramenti ascendenti il versante meridionale della valle. Resta infine la notizia dei sette baracconi a Chianale, alcuni dei quali potrebbero avere attinenza con l’area interpretata come campo fortificato ad ovest dell’insediamento (fig. 25, B). È impossibile attualmente dire, in assenza di documentazione archivistica e basandosi soltanto sulle evidenze emergenti, se quell’area presumibilmente fortificata abbia avuto una frequentazione risalente al 1742, come sembrerebbe tuttavia plausibile, e poi una rioccupazione nel 1793, oppure sia soltanto un sito del 1793; certo è che l’attività agricola recente ha cancellato ogni possibile traccia di baracconi, ma è altrettanto chiaro che comunque si tratta di un luogo in cui è evidente l’azione umana sul suolo con forti analogie alle opere militari d’età moderna. La notizia della realizzazione di un baraccone a monte Cavallo permette infine di rimeditare sull’attribuzione dei resti individuati sul pianoro alle falde della cresta in corrispondenza del monte; tali evidenze potrebbero riferirsi a questa costruzione più recente e il baraccone del 1744 sarebbe effettivamente da collocare presso il piano tagliato artificialmente nel pendio sotto la punta del Cavallo. D’altro canto, in ragione delle variazioni toponomastiche antiche, se nel 1793 il nome di monte Cavallo fosse ancora stato attribuito all’attuale monte Passet, è anche possibile che ci sia stata un’ulteriore fequentazione del sito in cui fu costruita la ridotta protagonista della battaglia del 1744.

I trinceramenti dei colli delle Finestre e Fattières L’ultimo caso di cui si rende conto costituisce un esempio di maggior intensificazione della ricerca ed è ancora attualmente in corso di studio. In questa sede si coglie l’occasione per fornire una notizia preliminare sulle indagini svolte, il cui sviluppo sta oggi interessando il materiale archivistico, manoscritto e cartografico. I siti indagati fanno capo al comprensorio del colle delle Finestre (2176 m s.l.m.), una piccola sella che si estende fra i monti Pintas e Français Peloux e segna il confine fra due grandi settori orografici delle Alpi Cozie settentrionali, a ovest la dorsale spartiacque fra le valli di Susa e Chisone, a est il massiccio dell’Orsiera e la valle del Sangone (fig. 4). Dal colle delle Finestre e dal monte Pintas trae dunque origine quella lunga catena di cime e passi che si spinge fino al monte Fraiteve, a dominio del colle del Sestrière, e che comprende anche i rilievi dell’Assietta e del Gran Serin. Il colle delle Finestre costituisce l’ultimo dei passi, all’estremità orientale della dorsale, che permetta il collegamento diretto fra i fondovalle del Chisone e della Dora Riparia, e l’unico dopo il Sestrière transitabile piuttosto agevolmente ad una quota entro i 2000 m. L’importanza strategica di questo passo è evidente non solo per quanto appena rilevato, ma anche per il fatto che la strada lungo il versante della Dora scende direttamente sulla piazzaforte di Susa, mentre dalla parte del Chisone essa raggiunge il cammino che conduce a Pinerolo nei i territori di Balboutet e Usseaux, che si trovano ancora in alta valle, a monte della piazza di Fenestrelle e poco distanti dal Sestrière, in ragione dello sviluppo asimmetrico dei due bacini fluviali e della presenza rilevante a oriente del massiccio dell’Orsiera. Prima del 1713 inoltre il colle delle Finestre segnava un passaggio attraverso il confine di stato fra il ducato di Savoia a nord, in val di Susa, e il regno di Francia a sud, in val Chisone, determinando così fino alla seconda metà del XVIII secolo una linea di confine fra due settori dello stato sabaudo culturalmente distinti e stridenti, quali le terre basso-valsusine, fedeli da sempre alla Casa di Savoia, e le cosiddette «vallées cedées», ancora nostalgicamente legate alla corona di Francia. È dunque in ragione di questo significato strategico-territoriale e più concretamente per contingenze belliche che il colle delle Finestre fu al centro di diverse attività costruttive a partire dal XVII secolo. Chiude il quadro geografico del comprensorio la presenza del colle delle Fattières (2530 m s.l.m.) poco più ad ovest della cima del monte Pintas (2543 m s.l.m.), che domina dall’alto il passo delle Finestre. 69


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fig. 26 – A: Particolare raffigurante il complesso difensivo campale dei colli delle Finestre e Fattières dalla Carte topographique en mesure d’una partie des Vallées D’Oulx et Pragelas, avec les Retranchemens de L’Assiette, les Campemens et mouvemens des François et les postes qu’ils attaquerent le 19 Juillet 1747 (elab.d.a.; Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Pragelato 1); B: Il campo trincerato delle Fattières, particolare dalla carta antica della figura 26, A (elab.d.a.); C: Rilievo archeologico attuale del campo delle Fattères, confrontato al rilievo antico della fig. B.

Il colle corrisponde ad una breve e stretta cresta sommitale, fra il Pintas e un impervio bastione roccioso della dorsale principale; esso consente il passaggio fra una valle e l’altra, escludendo il cammino delle Finestre ed eludendo la guardia del passo. Si tratta di una posizione ad alta rilevanza strategica, poiché il suo controllo compromette la tenuta difensiva del colle inferiore e ne impone l’evacuazione. La storia dunque dei due passi è una vicenda comune e la fortificazione dell’uno ad un certo punto non ha più potuto ignorare quella dell’altro, tanto che nel XVIII secolo la menzione più comune nei documeti è «Finestre e Fattières» e la registrazione degli interventi costruttivi non distingueva più fra i due siti207. Le indagini alle fortificazioni campali dei colli delle Finestre e Fattières sono state svolte a più riprese, come nei casi di studio già illustrati. L’importanza

dei siti e le consistenze dei resti archeologici erano comunemente note grazie ad escursioni turistiche e ad una nutrita bibliografia208; nel 2007 tuttavia si è presa l’iniziativa per condurre una ricerca più approfondita, che potesse costituire un tentativo di sistematizzazione delle attività da svolgersi per sviluppare un’archeologia delle fortificazioni campali moderne, accanto alla istruttiva esperienza degli studiosi del progetto Alpis Graia per il Piccolo San Bernardo e il pionieristico intervento all’Assietta del 1996209. È necessario premettere che la situazione delle fortificazioni settecentesche del colle delle Finestre 208 Bibliografia che in questa sede elenchiamo per titoli principali (infra nota 214) e che indichiamo fin d’ora come riferimento fondamentale in questa fase di studio, che si sta ampliando alla ricerca d’archivio. 209 Gli interventi sono stati attuati da chi scrive e da un gruppo di studenti universitari e archeologi profesionisti, facenti capo al Gruppo Archeologico Subalpino, diretto da Francesco Rubat Borel; ha preso parte all’attività anche il disegnatore archeologo Carlo Gabaccia, autore del rilievo generale del campo delle Fattières.

207 Per la collocazione orogeografica dei luoghi indagati si veda MARAZZI 2005, p. 88 (SOIUSA, SZ. 4 – Alpi Cozie, STS. 4.II, A n. 3).

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fig. 27 – Valle del Chisone, monte Pintas, rilievo archeologico del campo trincerato delle Fattières, realizzato durante la prima campagna di studio nel luglio del 2007.

è stata decisamente compromessa dall’edificazione nel 1891 di un forte in muratura e ipogeo, che ha determinato la sagomatura del grande rocco al centro dell’area racchiusa anticamente dalla ridotta e lo spianamento dell’area stessa, per la sistemazione delle batterie, con la conseguente spinta a valle dei detriti e la rovina dei trinceramenti perimetrali. Lo studio di tali opere può quindi essere svolto prevalentemente con l’ausilio della documentazione archivistica e cartografica, come si renderà conto più avanti. Nel giugno del 2007 si è pertanto attuata una ricognizione preliminare fino al colle delle Fattières, per programmare un intervento in questo sito, che conserva quasi integralmente, a differenza del colle inferiore, il recinto trincerato e le opere

interne. La prima tranche di attività ha avuto luogo fra il 14 e il 15 luglio e ha prodotto la schedatura generale di tutti i tratti di trinceramento emergenti210, alcuni rilievi di particolari della muratura a secco dei trinceramenti, una campagna fotografica a tappeto, contestuale all’attività di schedatura, una ricognizione generale nelle aree circostanti la cima del monte Pintas. L’attività del 2007 si è conclusa il 26 luglio con il rilievo generale archeologico a stazione totale del campo delle Fattières (fig. 27). 210 In tale occasione è stata elaborata dallo scrivente una scheda sperimentale per la raccolta dei dati sulle strutture trincerate, la cui illutrazione è riviata alla fine del contributo nell’Appendice 1.

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Nel 2008 si è svolta la seconda campagna di studi, dal 4 al 6 agosto, per intensificare l’indagine presso la ridotta superiore, che insiste sulla cima del monte Pintas e costituisce il cuore strategico del campo delle Fattières; l’intervento di ripulitura superficiale, in assenza di scavo, che avrebbe potuto per altro compromettere la stabilità dei muri a secco, rasati a livello del suolo, ha permesso di ricostruire la complessità del perimetro della ridotta, recuperare indizzi significativi sui procedimenti di demolizione dell’opera e svolgere una campagna di fotografie particolareggiate al settore superiore del campo trincerato211.

in muratura a secco, così come la controscarpa del fossato scavato davanti alla stessa. Il lato meridionale del settore ovest corrisponde ad un lungo trinceramento in terra, che conserva ancora l’ingombro della banchina di tiro e chiude l’area dal raccordo con il settore centrale fino al primo redan avanzato. Il settore centrale è il più complesso, quanto a strutture presenti e a sviluppo per quote. La compartimentazione domina anche in questa parte del campo, infatti la strada d’accesso alla sommità del monte, che trae origine dal lato sud del complesso, dove giunge il cammino coperto ascendente dal colle delle Finestre, corrisponde ad un trinceramento nord-sud in terra a linea spezzata, la cui funzione di contenimento del percorso è associata a quella di divisione principale rispetto al settore ovest. L’area sommitale del settore centrale è stata regolarizzata in piano e contenuta a nord dalla prosecuzione del trinceramento occidentale, che si configura come terrazzamento e si sviluppava anche lungo il limite est, ma attualmente è perso nelle macerie di un crollo lungo il pendio inferiore. I resti della ridotta sommitale seguono un perimetro rettangolare con l’aggiunta di un redan sul lato sud (fig. 32, A); quasi alla gola del redan si sono distinte le fondazioni di un’opera interna alla ridotta, sempre a perimetro rettangolare, corrispondente forse ad un baraccone (fig. 32, B). Il settore è ancor oggi in corso di studio, in attesa che i dati rilevati sul terreno trovino riscontri o spiegazioni ulteriori nella documentazione archivistica; certo è che le demolizioni successive al 1796, determinarono la completa rasatura delle strutture, l’asportazione del materiale lapideo più utile, come i cantonali della ridotta e del baraccone, e lo sconvolgimento del fronte occidentale al raccordo con il redan per creare uno scivolo su cui far transitare il materiale asportato. Il settore centrale è collegato all’angolo sud-orientale del campo tramite un altro cammino, contenuto da un trinceramento in terra a saliente e rientrante, che raggiunge un piccolo avancorpo nel quale fu edificato un baraccone rettangolare in opera a secco, per il ricovero del presidio in vista del colle delle Finestre. Da segnalare infine che a poca distanza dalla ridotta sommitale, a sud-est del redan, si scorgono i resti di due edifici in pietra a secco di piccole dimensioni e di forma quadrangolare, interpretati in fase di ricognizione come depositi distinti di polveri e munizioni da bocca. Il settore settentrionale del complesso, come s’è già detto, ha l’aspetto di un lungo avancorpo, il cui

I trinceramenti delle Fattières Il complesso fortificato delle Fattières è costituito da tre principali settori: quello ovest, destinato alla guardia specifica del colle e quindi prominente per una novantina di metri circa verso la sella fra il Pintas e il bastione roccioso occidentale; quello nord, corrispondente ad una sorta di avancorpo trincerato che scende lungo il pendio del monte per un centinaio di metri e governa la parte terminale del cammino ascendente alle Fattières dalla val di Susa; quello centrale sulla sommità del monte Pintas, fortificato con una ridotta e raccordato al limite meridionale del campo, che si chiude sui pendii a dominio del colle delle Finestre. Il complesso presenta infine un fronte orientale, sviluppato lungo il margine precipite del monte, inattaccabile e sporgente sul vallone dell’Arneirone, dove passa la strada che sale da Susa alle Finestre (figg. 27; 28, B; 29, A). Il settore occidentale (fig. 29, B) assume in pianta una forma trapezoidale con successive compartimentazioni interne, che distinguono un primo cammino coperto in terra armato da un grande redan, il cui saliente è puntato direttamente sulla cresta del colle delle Fattières. Questa prima difesa esterna si amplia a nord con un lungo trinceramento in terra, orientato est-ovest e raccordato ad un’opera analoga, ma a quota superiore, che costituisce il limite settentrionale della seconda linea fortificata interna del settore ovest. Quest’ultima è costituita da un’opera a doppia tenaglia, detta anche tecnicamente «bonnetto», il cui corpo di fabbrica è ricavato dalla dorsale centrale (fig. 30, A); la fronte dell’opera presentava una facciavista 211 Le condizioni atmosferiche estremamente variabili in alta quota hanno costretto all’abbandono dei lavori prima di poter completare un rilievo limitato alla ridotta superiore.

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fig. 28 – A: Veduta aerea delle fortificazioni del colle delle Finestre (elab.d.a.): (1) Colle delle Finestre e area di parcheggio moderna, che ha obliterato le opere antiche a difesa dell’attraversamento del passo; (2) Zona del bonnetto estremo orientale della ridotta delle Finestre; (3) Resti del fronte settentrionale della ridotta delle Fiestre con andamento a salienti successivi; (4) Area di versante con labili tracce della porzione orientale del fronte sud in terra della ridotta delle Finestre; (5) Porzione occidentale del fronte sud della ridotta delle Finestre con labili tracce del trinceramento in terra e opera a secco; (6) Trinceramento rettilineo di comunicazione fra la ridotta delle Finestre e la fontana dei Cacciatori; (7) Labili tracce del fronte occidentale della ridotta delle Finestre; (8) Comunicazione a trinceramenti paralleli su rientrante fra la ridotta delle Finestre e il primo tratto di strada coperta ascendente al monte Pintas; (9) Rocco sommitale interno all’area dell’antica ridotta e trasformato in forte con batterie d’artiglieria nel 1891; (10) Strada coperta ascendente al monte Pintas, interrotta dal tornate della strada militare del XX secolo alla congiunzione con i trinceramenti paralleli su rientrante della ridotta delle Finestre; B: Veduta aerea delle fortificazioni campali delle Fattières (elab.d.a.): (1) Colle delle Fattières; (2) Settore occidentale con redan estremo ovest in terra e apertura d’accesso al campo alla sinistra del redan; (3) Bonnetto centrale in terra del settore occidentale, su cui è stato fondato un moderno ripetitore della RAI; (4) Trinceramento inferiore in terra del fronte nord del settore occidentale, parallelo al trinceramento superiore in continuità strutturale con il corno destro del bonnetto; (5) Settore di raccordo dei due trinceramenti paralleli del fronte nord del settore occidentale e sviluppo dello stesso in opera a secco con redan centrale in direzione dell’avancorpo nord; (6) Settore settentrionale in forma d’avancorpo a trinceramenti paralleli in pietre a secco; (7) Fronte nord del settore settentrionale costituito da un bonnetto, preceduto da una tenaglia in opera a secco, per costituire un complesso a doppio ordine di tiro; (8) Baraccone del settore settentrionale in muratura di pietre e a secco; (9) Sviluppo del fronte orientale del campo in forma di strada coperta con trinceramento in terra e andamento a salienti e rientranti; (10) Area interna del settore orientale del campo, sottostante la ridotta sommitale e dedicato agli attendamenti; (11) Baraccone sud-orientale al raccordo fra i fronti meridionale e orientale del campo; (12) Fronte meridionale del campo costituito da un lungo trinceramento continuo in terra; a circa un terzo dello sviluppo da est del trinceramento si coglie il raccordo con la strada coperta proveniente dalla ridotta delle Finestre; (13) Strada coperta a salienti e rientranti in terra, che separa il settore occidentale da quello centrale del campo e mette in comunicazione l’arrivo della strada coperta dal colle delle Finestre con la ridotta sommitale del monte Pintas; (14) Ridotta sommitale del campo corrispondente alla cima del monte Pintas.

fronte occidentale è raccordato alle testate orientali dei due trinceramenti nord del settore ovest tramite un segmento di fortificazione in opera a secco, dotato nel centro di un redan, il cui saliente crollato

punta a settentrione verso i pendii della val di Susa. All’estremità orientale di questo tratto si raccorda un trinceramento sempre in opera a secco con uno sviluppo a salienti, che rammenta i percosi a cre73


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fig. 29 – A: Valle del Chisone, colle delle Finestre e monte Pintas (foto-elab.d.a.): (1) Tracce del fronte meridionale della ridotta delle Finestre; (2) Rocco sommitale dell’area dell’antica ridotta delle Finestre, riplasmato in occasione dell’impianto del forte del 1891; (3) Sviluppo in ripido pendio della strada coperta fra la ridotta delle Finestre e il campo delle Fattières con trinceramento in terra a salienti e rientranti e grande redan nella porzione superiore; (4) Primo terrazzo del monte Pintas, che si affaccia verso il colle delle Finestre e su cui fu realizzato il baraccone di sud-est; (5) Dorsale del colle delle Fattières e linea segnata dal fronte meridionale del campo trincerato; B: Valle del Chisone, monte Pintas e campo trincerato delle Fattières (foto-elab.d.a.): (1) Colle delle Fattières; (2) Settore occidentale del campo con redan estremo ovest; (3) Apertura d’accesso al campo alla sinistra del redan occidentale; (4) Trinceramento inferiore in terra del fronte nord del settore occidentale, parallelo al trinceramento superiore in continuità strutturale con il corno destro del bonnetto; (5) Bonnetto centrale in terra del settore occidentale, su cui è stato fondato un moderno ripetitore della RAI; (6) Strada coperta a salienti e rientranti in terra, che separa il settore occidentale da quello centrale del campo e mette in comunicazione l’arrivo della strada coperta dal colle delle Finestre con la ridotta sommitale del monte Pintas; (7) Cima del monte Pintas con ridotta sommitale del campo trincerato; (8) Settore occidentale del trinceramento in terra appartenente al fronte meridionale del campo trincerato; (9) Tratto terminale della strada coperta ascendente dalla ridotta delle Finestre.

magliera segnalati nella manualistica212 (figg. 30, B; 31, A); va detto comunque che in quest’area parte del trinceramento è stata ricostruita, tentando di cogliere sul terreno le sole tracce delle fondazioni, essendosi perso definitivamente il corpo di fabbrica a causa del dilavamento lungo il pendio del monte, particolarmente arido e aperto alle intemperie. La parte più a nord del fronte occidentale, sempre in muratura a secco, segue uno sviluppo quasi rettilineo con un saliente in prossimità del raccordo con il fronte settentrionale. Quest’ultimo, ampio circa venticinque metri, chiude il corridoio dell’avancorpo con un’opera a bonnetto, sopravanzata ad una

quota inferiore da una tenaglia, in modo da creare un doppio ordine di tiro che batteva la dorsale antistante e ascendente dalle praterie a monte del Pian Gelassa verso la cima del Pintas (fig. 31, B). La muratura in pietre a secco caratterizza anche questa parte del complesso fortificato, così come il primo tratto di trinceramenti rettilinei che definiscono ad est l’avancorpo e delimitano l’area dal precipizio sul vallone dell’Arneirone. A pochi metri di distanza dal corno orientale del bonnetto si ergono i resti di un baraccone in opera a secco solidale al trinceramento est, suddiviso in tre ambienti e dotato presumibilmente di un piano superiore a quello terreno. Dal baraccone, a salire in direzione sud verso il settore centrale, si sviluppa un lungo trinceramento in terra, che segna il limite orientale del complesso e segue il margine del pendio con linea spezzata, aprendosi

212 Per esempio nei memoriali di Cormontaigne (SCONFIENZA 1996, p. 95) o nel trattato del Clairac (DE CLAIRAC 1749, pp. 112-115).

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fig. 30 – A: Valle del Chisone, monte Pintas, settore occidentale del campo delle Fattières con in primo piano il bonnetto centrale, su cui si fonda il ripetitore RAI; sullo sfondo la cima del monte Pintas con la ridotta sommitale (foto.d.a.); B: Valle del Chisone, monte Pintas, raccordo fra i settori occidentale e settentrionale del campo delle Fattières con trinceramenti in opera a secco; sullo sfondo la cima del monte Pintas con la ridotta sommitale (foto.d.a.).

in un grande redan circa a metà del suo sviluppo; il fronte orientale infine, dopo un secondo redan di dimensioni modeste, puntato verso il vallone dell’Arneirone, si raccorda al piccolo avancorpo di sud-est, in cui è collocato il primo baraccone. L’ampia area racchiusa fra il settore centrale e l’avancorpo nord è parte in pendio parte in piano, appena ad est sotto la ridotta principale; l’intera zona era apprestata per l’accampamento delle truppe e, sia nel settore piano sia lungo le quote successive che digradano verso l’avancorpo nord, sono state rilevate numerose sedi di tende, forse attribuibili al 1747, quando il campo fu presidiato da un intero battaglione del reggimento di Monfort (fig. 27; 28, B). Il confronto fra il rilievo archeologico delle fortificazioni delle Fattières con una carta antica conservata all’Archivio di Corte di Torino, su cui

è raffigurato l’intero sistema campale a difesa dei due colli213, determina la felice constatazione della pressoché completa sovrapponibilità delle due 213 Carte topographique en mesure d’una partie des Vallées D’Oulx et Pragelas, avec les Retranchemens de L’Assiette, les Campemens et mouvemens des François et les postes qu’ils attaquerent le 19 Juillet 1747, s.d. (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Pragelato 1). Quanto alla cartografia storica relativa ai due colli in esame bisogna ancora ricordare il Plan des Vallées d’Exilles et Pragelas, s.d. (Archivio di Stato di Torino, Sezione di Corte, Carte topografiche e disegni, Carte topografiche per A e B, Pragelato 2), quattro esemplari conservati in Biblioteca Reale (PEYROT 1986, pp. 115-116 tavola 101, 118 fig. 106, 123 fig. 12; CORINO, GASTALDO 1993, p. 140) e le carte conservate presso gli archivi francesi di Vincennes, dedicate ai confini fra i regni di Francia e Sardegna e segnalate in PRESSENDA 2002, pp. 83 Scheda I, 98 Scheda V, 110 Scheda VI, 103 Scheda VIII, 108 Scheda IX, 115 Scheda XI, 137 Scheda XVI.

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fig. 31 – A: Valle del Chisone, monte Pintas, raccordo fra i settori occidentale e settentrionale del campo delle Fattières visto da sudest; sullo sfondo si colgono lo sviluppo in pendio dell’avancorpo settentrionale fino al bonnetto terminale e i resti del baraccone in opera a secco del settore nord (foto.d.a.); B: Valle del Chisone, monte Pintas, settore settentrionale del campo delle Fattières con in primo piano il saliente del bonnetto e l’area antistante contenuta dalla tenaglia terminale in opera a secco (foto.d.a.).

fig. 32 – A: Valle del Chisone, cima del monte Pintas, saliente centrale dell’opera a freccia che costituisce il fronte meridionale della ridotta sommitale del campo trincerato delle Fattères (foto.d.a.); B: Valle del Chisone, cima del monte Pintas, ridotta sommitale del campo trincerato delle Fattères con resti in fondazione del baraccone interno (foto.d.a.).

metri dalla tenaglia estrema del fronte nord, fino a coprire interamente il primo pianoro sottostante la fortificazione, ha permesso di cogliere alcune anomalie sulla superficie del suolo, che devono ancora essere valutate e probabilmente ancora una volta osservate in situ, per comprendere se siano artificiali e possibili imposte di difese leggere avanzate o più semplicemente variazioni naturali causate dai disgeli e dalla deizione delle acque. Risalendo lungo lo stesso versante, poco più ad ovest del sentiero moderno per il colle e a vista delle fortificazioni nord, sono state individuate le cave da cui fu estratto il materiale lapideo per la costruzione dei trinceramenti in muratura a secco nei settori centrale e settentrionale. Uno di questi fronti di cava conserva ancora la traccia dei grandi scalpelli che venivano conficcati in rango nella roccia per separarne le facciaviste in scaglie. Infine l’esame del terreno ad ovest del colle delle Fattières, alle falde del bastione roccioso, ha restituito il contesto di una piccola ridotta di guardia, che domina

raffigurazioni, fatte salve le differenze tecniche e la maggior sinteticità del disegno antico (fig. 26, A, B, C). Il documento iconografico illustra il sistema di controllo del cammino delle Fattières che, salendo dalla val di Susa, entrava all’interno del campo presso la tenaglia estrema del fronte nord e, fiancheggiandone verosimilmente i trinceramenti occidentali fin sotto il settore della ridotta sommitale, volgeva ad ovest e passava attraverso i due trinceramenti a quote sfalsate lungo il fronte nord del settore occidentale, per sbucare nell’area compresa fra il bonnetto ovest e la gola del redan avanzato; il percorso usciva infine dal campo per discendere nella valle del Chisone attraverso un varco ancora conservato oggi nel tratto finale del trinceramento sud del settore occidentale, presso il raccordo con il redan avanzato. La ricognizione condotta nel 2007 lungo il versante della val di Susa nei limiti di circa duecento 76


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la strada d’accesso a tornanti, ascendente dalla val Chisone, e prende d’infilata la cresta del colle in simmetria con il redan avanzato occidentale del complesso principale, secondo una logica analoga a quella delle ridotte del 1793, edificate al Col de La Traversette nel comprensorio del Piccolo San Bernardo. La ridotta sembra strutturata con una fronte a tenaglia in terra e una piazza retrostante, limitata a nord e a sud da bordi realizzati con tecnica analoga, mentre il limite ovest era definito dai contrafforti stessi del bastione roccioso; non è dato sapere se i lati della ridotta fossero poi completati con muri in opera a secco, dei quali però non si è rinvenuta neanche la traccia della demolizione, o piuttosto con gabbioni o fascinoni rincalzati da berme in terra.

il rilievo realizzato nel 2007 permette di considerare attendibile anche la contestuale raffigurazione della ridotta del colle delle Finestre. La carta illustra innanzitutto i trinceramenti di raccordo fra la ridotta e il cammino coperto ascendente al Pintas. Lo sviluppo del muro parallelo orientale, che dovrebbe raggiungere il margine nord del rocco, è appena percepibile sul terreno e si perde nella pietraia del vallonetto, sebbene poco più in basso si notino fra la vegetazione spontanea altri allineamenti di pietre a secco, che potrebbero costituire lo sviluppo del trinceramento verso est. Il muro occidentale diverge parecchio ed è appena segnato da poche scaglie lapidee allineate sul terreno, ma non si percepisce più l’angolo rientrante che esso formava con il muro del fronte occidentale della ridotta, ancora percepibile in fondazione nella porzione meridionale. Sul disegno antico all’estremità sud di tale muro, presso l’angolo sud-ovest della ridotta è rappresentato il cammino rettilineo a trinceramenti paralleli, che raggiungeva la sorgente detta «dei Cacciatori»; questa struttura è ancora fortunatamente visibile, essendo eccentrica alla fortificazione e quindi risparmiata dagli sconvolgimenti ottocenteschi, tanto da conservare ancora la fondazione di un terzo muro al centro del corridoio fra i due trinceramenti, che serviva probabilmente da schermo più alto per il transito, sia se l’attacco fosse giunto da ovest sia da est. Il fronte meridionale della ridotta si articolava in un primo settore occidentale difeso da un redan centrale, il cui ingombro è ancora percepibile sul terreno, ma risulta assai più modesto che nella rappresentazione grafica; i trinceramenti conservano ancora parte del corpo di fabbrica in terra e della foderatura in opera a secco e risultano edificati a ridosso del pendio, che separa la fortificazione dall’area spianata superiore, lasciando spazio ad un’angusta strada coperta. Si tratta probabilmente di quanto resta del primo ordine di tiro, essendo raffigurata sulla carta antica un’opera complessa con una tenaglia ad ovest, arretrata rispetto al fronte sud della ridotta. Questa parte più interna della fortificazione è stata completamente distrutta dal forte ottocentesco, ma nella realtà si trovava ad una quota superiore, verosimilmente presso l’area spianata davanti al rocco sommitale. Testimonia questa articolazione per quote un tratto di muro rampante, in prosecuzione di quelli che conducevano alla sorgente, affiancato da un’altra struttura parallela e distrutta, che aveva probabilmente nel centro un redan con saliente puntato ad est; si trattava forse del cammino di raccordo fra i due livelli

La ridotta del colle delle Finestre Il campo delle Fattières era collegato alla ridotta del colle delle Finestre da una strada coperta, protetta da trinceramenti in terra a est e a ovest, i cui resti sono ancora perfettamente visibili oggi, specie di primo mattino con la luce radente del sole (fig. 29, A). Il fronte est si sviluppa lungo il margine precipite di questo ripidissimo pendio, presentando comunque una regolarizzazione a salienti e rientranti, mentre il trinceramento occidentale, che chiudeva il fronte sul versante accessibile della val Chisone, segue una linea abbastanza rettilinea e si apre in due redan successivi e distanziati, dopo di che la direzione varia inclinandosi un po’ più verso sud-est, dove la cresta si restringe, per poi riprendere un andamento praticamente rettilinea, inframezzato da altri due redan. Nei pressi del secondo tornante della strada militare, realizzata nel 1889 per collegare il colle delle Finestre all’Assietta, il trinceramento di raccordo è interrotto, ma ricompare sotto la massicciata di terrazzamento del tornante; si tratta di due muri in opera a secco paralleli, che sviluppano due rientranti simmetrici e proteggono uno stretto cammino direttamente collegato alla ridotta delle Finestre. Il raccordo doveva trovarsi nel vallonetto che divide le falde del pendio ascendente al monte Pintas dall’acrocoro roccioso, su cui furono elevati prima la ridotta e poi il forte ottocentesco. Come s’è detto precedentemente l’individuazione sul terreno dei resti della ridotta delle Finestre è decisamente arduo, tuttavia si possono integrare le carenze con la lettura della carta storica già citata (figg. 26, A; 28, A); la concordanza della rappresentazione del complesso delle Fattières con 77


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della ridotta, raffigurato anche nel disegno antico con un piccolo rettangolo rosso in concomitanza al collegamento per la sorgente. Il settore occidentale del fronte meridionale della ridotta termina sulla carta antica presso un angolo retto saliente, dal quale si sviluppa un breve tratto di trinceramento rettilineo nord-sud che tramite un altro angolo retto, ora però rientrante, dà origine allo sviluppo del settore centrale del fronte sud, corrispondente ad un esteso rientrante ottuso. Sul terreno è possibile collocare il primo angolo retto saliente presso uno sperone roccioso a piombo sul pendio, mentre di difficile percezione sono le tracce del grande rientrante, così come quelle del settore finale orientale del fronte sud. È probabile che questi trinceramenti fossero in terra, foderati con muratura a secco, le cui componenti furono verosimilmente reimpiegate nella costruzione del forte ottocentesco. Sta di fatto che la variazione del pendio percepibile ancora in corrispondenza del rientrante ottuso svanisce completamente nel tratto finale della bassa cresta ad est del forte, tagliata dalla strada moderna del colle delle Finestre. La carta antica restituisce l’aspetto di questa parte orientale della ridotta, distrutta dalla viabilità più recente e da spiazzi per aree di parcheggio; il fronte sud, dopo il rientrante ottuso, proseguiva con due segmenti sfalsati e raccordati ad angolo retto per terminare presso il collegamento con lo stretto fronte orientale, costituito da una specie di bonnetto a redan centrale, analogo alla terminazione del lungo avancorpo nord o alla difesa avanzata ovest delle Fattières. Il fronte nord della ridotta seguiva un andamento a linea spezzata, che si apriva più avanti in due redan successivi con saliente puntato verso la val di Susa, a guardia dell’accesso al passo. La distruzione di tutto questo settore ha cancellato per sempre l’aspetto assunto dal colle delle Finestre presso il transito dell’antico cammino e il punto specifico in cui la carreggiata attraversava i trinceramenti nord e sud alla gola del bonnetto terminale orientale.

Si ha notizia della presenza di un presidio sabaudo al colle delle Finestre, ricoverato in una ridotta, fin dal 1690, per stabilire la guardia al passo che alla fine del XVII secolo segnava ancora il confine fra il ducato di Savoia e la Francia. Tale fortificazione, probabilmente in opera leggera, fu conquistata dai Francesi nel novembre 1690, quando il maresciallo Catinat diede avvio alle operazioni per l’assedio di Susa, muovendo i suoi contingenti da Fenestrelle. Durante la guerra della lega d’Augusta il controllo del colle fu tenuto continuativamente dalle truppe francesi e nell’estate 1692 iniziarono le corvée a carico della comunità di Pragelato, nell’alta val Chisone, per la costruzione di una ridotta stabile al colle delle Finestre, affidata ad un ingenere militare non meglio noto. L’opera doveva essere realizzata in terra e legname e probabilmente sbarrava il passo presso l’attuale attraversamento della strada moderna, estendendosi verso le falde occidentali, ripide e impraticabili, del Français Peloux e lungo la piccola dorsale su cui fu poi edificato il forte italiano ottocentesco. La guardia era affidata alla milizia locale di Pragelato. Durante i primi anni della guerra di successione spagnola il colle delle Finestre, sempre sotto controllo francese, non fu interessato da avvenimenti bellici, ma durante il 1707, dopo la disfatta dell’Armée d’Italie davanti a Torino nell’anno precedente, la ridotta del 1692 fu ristrutturata e riarmata; alla fine del mese di giugno venne stabilita una guardia permanente, sempre costituita dalla milizia pragelatese sotto il comando del capitano Daniel André Bourcet, padre di Pierre il futuro topografo di Luigi XV, mentre l’esercito austro-piemontese muoveva verso le montagne per la riconquista della piazza di Susa, che si arrese il 3 ottobre. Il 1708 fu l’anno in cui il duca di Savoia Vittorio Amedeo II si impadronì delle valli di Susa e Chisone, rispettivamente fino ad Exilles e Fenestrelle. Mentre si

sporadica, si trovano in BARAZZETTI 1973, pp. 138, 144, 151, 161; MENSA 1976, pp. 87, 93-94, 121, 123, 127-128, 134, 174-175, 177-178, 182-183, 299-300; PATRIA 1983, pp. 71, 75, 79; CONTINO 1993, pp. 88-101; CORINO, GASTALDO 1993, pp. 140-143; GARIGLIO, MINOLA 1994, p. 120; MINOLA 1996, pp. 18-20; AMORETTI, SCONFIENZA, ZANNONI 1997, pp. 214-215, 221; GARIGLIO 1997, pp. 72, 78, 140; MINOLA 1998, pp. 28, 68-69, 88, 104; MINOLA, RONCO 1998, pp. 40-41, 43; BONNARDEL, BOSSUTO, USSEGLIO 1999, pp. 36, 41-42; GARIGLIO 1999a, pp. 70, 77, 136; ID. 1999b, pp. 16, 144, 240; ID. 2000, pp. 77, 201, 208, 237-238; BOGLIONE 2003, pp. 66-69, 73; BOGLIONE 2006, pp. 11-18, 21, 37-38, 41-51; MINOLA 2006a, pp. 12, 17, 21-24, 26-27, 29-33, 67, 78, 89, 149, 153-154, 165-167, 170, 171; REVIGLIO 2006, pp. 65, 75, 80; PEYRONEL 2007, pp. 128-136.

Periodizzazione del sistema difensivo La cronologia delle opere appena descritte è deducibile sommariamente dalla bibliografia pregressa in attesa di una definizione più precisa delle diverse fasi costruttive, derivante dallo studio contestuale dei dati archeologici con quelli d’archivio214. 214 Le informazioni presentate di seguito nel testo, basate inoltre su documentazioni d’archivio e pubblicate in maniera

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

svolgeva l’assedio del forte di Exilles, il 9 agosto un contingente sabaudo guidato dal marchese d’Andorno attaccò il colle delle Finestre, passando lungo la dorsale che corre dall’Assietta al monte Pintas e prendendo dunque di sorpresa dall’alto, attraverso il colle delle Fattières, il presidio del Bourcet. I Piemontesi appresero fin da quell’azione fortunata la rilevanza strategica del colle delle Fattières, di fatto determinante per la difesa dell’intero settore di collegamento fra le piazze di Susa e Fenestrelle. Per assediare infatti quest’ultimo caposaldo francese in val Chisone, Vittorio Amedeo II, dopo la resa di Exilles l’11 agosto, passò il giorno 14 il colle delle Finestre, ormai presidiato da un battaglione austriaco del reggimento Kriechbaum, ma privo di fortificazione, in seguito alla distruzione della ridotta del 1692 ad opera delle mine predisposte dal Bourcet prima dell’evacuazione. Il 15 agosto il comandante francese sulle Alpi, il duca di Villars, tentò la riconquista del colle delle Finestre ripercorrendo l’itinerario del d’Andorno dal Grand Puy di Pragelato, ma fu arrestato a metà strada presso il colle delle Vallette, fortificato nel frattempo e presidiato dai prussiani del generale Brown. L’anno 1709 segna la nascita del primo impianto fortificato piemontese al colle delle Finestre, di cui oggi si colgono ancora le tracce. Fu probabilmente Antonio Bertola, il padre adottivo del conte Ignazio già nominato in precedenza, che progettò l’invenzione essenziale del complesso; le rovine della ridotta francese del 1692 furono verosimilmente comprese nella nuova costruzione, che doveva essere realizzata in terra e legname, tratto dai boschi di Fraisse e di Soucheres Basses, nelle pertinenze di Pragelato. L’opera, circondata da una palizzata, era completata con gabbioni e fascinoni ordinati di corvée alla comunità pragelatese, questa volta dai nuovi venuti Piemontesi; entro la bella stagione fu portato a termine anche il collegamento con il monte Pintas, dove, sebbene non ci siano notizie certe, è verosimile che fosse attestata una guardia, data l’importanza strategica della posizione, e che sia stato impiantato un primo nucleo fortificato. Infine, fra la fine d’agosto e il mese di settembre, venne ralizzato il trinceramento di collegamento della ridotta delle Finestre con la sottostante fontana dei Cacciatori. Nell’autunno le nuove opere campali dovevano già essere operative, infatti il 2 novembre 1709 il governatore sabaudo di Fenestrelle, a causa dello stato di guerra con la Francia, vietò il transito dal colle di Sestrière per scendere nell’alta valle di Susa, a Cesana e ad Oulx sulla strada del Monginevro, e impose come unica via

il cammino del colle delle Finestre, adeguatamente presidiato. Si deduce lo svolgimento di lavori d’integrazione alle fortificazioni dei due colli nel 1711, quando ancora una volta i Pragelatesi fornirono per corvée fascinoni e picchetti ai soldati piemontesi, in vista di un nuovo tentativo d’attacco al colle delle Finestre da parte dei Francesi del duca di Berwick, che tuttavia desistette. Nel 1712 fu impiantato definitivamente il complesso delle Fattières, probabilmente già nell’estensione rilevata attualmente sul campo, e l’anno successivo l’amministrazione sabauda stabilì una spesa annua di 600 lire per la manutenzione delle opere. Negli anni che separano le due guerre di successione, spagnola e austriaca, a parte la notizia di una programmazione di rinnovamento generale delle fortificazioni nel 1715, rimasta incompiuta, da parte di Antonio Bertola, le fonti bibliografiche segnalano più anni di interventi costruttivi o ricostruttivi215, tuttavia dagli anni quaranta del XVIII secolo il complesso difensivo dei colli delle Finestre e Fattières assunse l’aspetto definitivo, quale compare nella cartografia storica coeva e quale è stato indagato acheologicamente nelle campagne del 2007 e 2008. Si ha notizia che nell’autunno del 1745, in seguito ad ulteriori lavori di risistemazione, il colle fu transitato e presidiato dalle truppe piemontesi del generale De Rossi in occasione delle operazioni per isolare i Francesi del conte di Lautrec, impegnati nell’assedio del forte di Exilles. Nel 1746 invece l’entità dei lavori di ristrutturazione ad entrambi i colli parrebbe di maggior portata, in seguito all’incarico di supervisione affidato all’ingegnere militare in forza alla piazza di Fenestrelle, capitano Marciot; tale situazione risponde già al clima di fiducia che gli alti comandi militari piemontesi e l’amministrazione centrale stavano manifestando in favore della fortificazione campale durante gli anni centrali della guerra di successione austriaca e, nel caso specifico, all’interpretazione del complesso fortificato delle Finestre e Fattières non più solo come nodo strategico viario essenziale, ma anche come caposaldo di retrofronte dell’intero sistema difensivo della dorsale fra il Chisone e la Dora Riparia, dal monte Pintas all’Assietta. Nel 1747 infatti, mentre il capitano Vedani curava la costruzione del campo trincerato dell’Assietta, fu realizzata una strada di cresta per collegare le fortificazioni del Gran Serin con le Fattières e quindi al colle delle Finestre; nell’estate di quell’anno e durante la battaglia del 19 luglio il complesso difensivo ora 215

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In particolare PEYRONEL 2007, pp. 133, 135.


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in esame fu presidiato da un battaglione del reggimento di Monfort, mentre uno del reggimento di Savoia teneva il campo presso Balboutet, pronto a salire ai colli delle Finestre e Fattières in caso di necessità, e un altro battaglione del reggimento Sicilia guardava le posizioni fortificate del Vallon Creux e del colle delle Vallette, a metà strada fra le Fattières e il Gran Serin. Durante la seconda metà del XVIII secolo, accanto a successivi lavori di manutenzione, vanno rammentate le relazioni di visita, pubblicate in parte o integralmente nella bibliografia nota216, ad opera di alcuni viaggiatori, interessati alla materia militare, quali il francese d’Argenson de Paulmy nel 1752, il duca di Chiablese nel 1766 e il Nicolis di Robilant nel 1788, che segnala la notevole estensione del complesso difensivo e le conseguenti difficoltà di conservazione delle opere e di copertura totale dei fronti. È infine nel biennio 1793-1794 che le fortificazioni dei colli delle Finestre e Fattières vivono la loro ultima stagione d’impiego effettivo, durante la guerra delle Alpi, quando le truppe sabaude furono costrette ad evacuare il campo dell’Assietta ed attestarsi sulla linea Susa-Fenestrelle. Il colle delle Finestre tornava a rivestire la sua antica funzione di passo obbligato e d’avanfronte, come alla fine del XVII secolo e durante la successione di Spagna; di conseguenza le fortificazioni studiate furono dinuovo armate e riattate ancora nel 1795217. Dopo il 1796 le fortificazioni dei due colli, come quelle dell’Assietta, subirono il comune destino della demolizione, non così radicale tuttavia da non lasciare più tracce, ma fu nel 1799, durante la campagna in Italia settentrionale del generale russo Suvorov, che ancora una volta la strategia difensiva del colle delle Finestre dimostrò la necessità assoluta del controllo delle Fattières, allorché gli Austro-Russi, impadronitisi del passo superiore, piombarono sul presidio francese del colle inferiore e, come il marchese d’Andorno novant’anni prima, ne furono subito padroni.

pagine precedenti è emerso il legame necessario a livello metodologico e pratico fra l’archeologia delle fortificazioni campali alpine e l’archeologia ambientale. Esiste tuttavia la possibilità di estendere l’orizzonte andando a confrontare gli oggetti e i risultati del nostro studio con quelli delle ricerche storico-territoriali, che accanto agli archeologi sviluppano i geografi e gli storici dell’architettura218. È accertato che la fortificazione «alla moderna» in tutta Europa ha determinato la nascita di paesaggi ben diversi rispetto a quelli formatisi in rapporto all’avvio dell’incastellamento fra X e XI secolo e durante tutto il medio evo. Le fortezze, collocate in posizioni strategiche, e le piazzeforti, coincidenti con i centri urbani fondamentali per l’estensione capillare del potere centrale dei sovrani d’età moderna in tutte le regioni dei loro stati, incidevano soltanto sul territorio limitrofo immediato. Assai spesso le città-piazzeforti assommavano la funzione difensiva a quella di «poli» di concentrazione amministrativa ed economica, in quanto sede dei poteri rappresenativi di quello centrale, divenendo così veri e proprii «centri locali» al vertice della gerarchia organizzativa del territorio. Si è detto inoltre, nel paragrafo dedicato al sistema difensivo sabaudo, che tali città, capoluoghi di provincia, erano i gangli di una rete radiale facente capo a Torino e sviluppata a 360° lungo le aree pedemontane dell’arco alpino occidentale e verso est lungo il confine con la Lombardia. La distribuzione del sistema difensivo, a partire dalle città-piazzeforti sul confine alpino, si ampliava fino a comprendere le fortezze di media valle e i sistemi campali in prossimità dello spartiacque principale. Da un punto di vista geografico siamo certamente in presenza di un sistema organizzativo territoriale, che tuttavia non coincide, se non per i centri locali delle piazze pedemontane, con quello di pianificazione agraria e produttiva delle diverse regioni dello stato. Si tratta in breve di una coesistenza distinta per sovrapposizione fra quest’ultimo sistema e quello territoriale difensivo, che ci autorizza ad identificare nelle fortezze di media valle dei «poli primari» con esclusiva funzione militare, protettiva e logistica, e nei complessi di fortificazioni campali, avanzati verso il confine con la Francia, delle «sistemazioni territoriali», anch’esse unicamente finalizzate all’attività bellica. La viabilità, ultima componente

Dall’archeologia militare al paesaggio storico Al termine della rassegna relativa agli studi finora svolti è opportuno tentare un inquadramento più ampio delle riceche di archeologia militare. Nelle 216 BARAZZETTI 1973, p. 161; CORINO 1997, pp. 62-65; MINOLA 2006a, pp. 154-156; PEYRONEL 2007, pp. 133-134, 135-136. 217 Supra nota 216.

218 In merito agli argomenti trattati in quest’ultimo paragrafo si rimanda fin d’ora a TOSCO 2009, pp. 138-164, 234-267, dove sono reperibili in più luoghi i riferimenti agli studi geografici e storico-ambientali.

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essenziale di un sistema territoriale, risulta essere quella che nel corso della storia più antica segnò i principali itinerari attraverso le Alpi occidentali e che rimase valido anche in età moderna, sebbene essa fosse integrata da numerosi percorsi e valichi secondari, che dovevano rientrare nelle considerazioni strategico-difensive in quanto possibili vie d’aggiramento dei principali capisaldi fortificati. Va notato a margine che le fortezze di media valle, a partire già dal XVI secolo potevano essere poli di «permanenza indiretta», in quanto ristrutturazioni alla moderna di centri fortificati medievali, come i forti di Bard, Exilles e Montmélian, o dei centri creati ex novo quali per esempio i forti di Demonte e Fenestrelle. Sicuramente però in entrambe i casi la fortificazione si imponeva in maniera perentoria sul paesaggio alpino preesistente, così come avvenne con le sistemazioni territoriali delle opere campali nel XVIII secolo. Qualunque sistemazione territoriale per definizione scaturisce da un progetto di sfruttamento delle risorse e delle potenzialità ambientali; ritroviamo a questo punto una componente essenziale della genesi delle opere campali, che è l’ecofatto della posizione strategica e dominante, sfruttato in vista della funzionalità difensiva. Ma c’è di più; se è lecito leggere il sistema difensivo sabaudo come un qualunque sistema territoriale, i complessi di trinceramenti hanno caratteristiche analoghe agli «insediamenti intercalari», poiché come questi ultimi nell’habitat agrario si articolano secondo caratteri di stabilità o stagionalità e vivono di espansioni e contrazioni o ancora di sviluppi temporanei in base allo sfruttamento delle risorse, testimoniando sempre una tendenza alla dinamica insediativa, così i trinceramenti alpini potevano essere ristrutturati negli stessi siti, ampliati o spostati in ragione di vari livelli di semipermanenza, a seconda dei presupposti storici o del miglior sfruttamento dell’ecofatto strategico, in obbedienza a quel principio di dinamicità tattica di cui si è fatto cenno a proposito dei caratteri peculiari della fortificazione campale sabauda. Di particolare interesse è poi osservare nell’habitat alpino del XVIII secolo, là dove sia possibile, la relazione fra i complessi campali e i nuclei insediativi civili219. In base a quanto detto finora è evidente che il rapporto è squilibrato a favore dei primi, che, pur

essendo alle estremità periferiche del sistema difensivo, erano comunque sempre l’espressione della volontà del potere centrale e la concretizzazione sul terreno del programma tattico-strategico dello stato. Tuttavia si colgono diverse forme di relazione, che si muovono fra l’integrazione del villaggio nel complesso campale e la sua completa esclusione. Un caso di integrazione è rappresentato dai villaggi di Château de Pont (attuale borgata Castello) e di Ribiera, rispettivamente nelle valli della Varaita di Chianale e della Varaita di Bellino, i quali costituirono decisamente due nodi del sistema difensivo campale di quelle montagne, realizzato nel 1744, in prossimità del transito dei trinceramenti in fondovalle ad interdizione dei torrenti. Nello stesso contesto territoriale troviamo un caso di esclusione per ragioni strategiche, ovvero il villaggio di Chanal (Chianale), la cui collocazione alle falde della via per il colle dell’Agnello era troppo avanzata rispetto alla linea trincerata di sbarramento più a valle, che comprendeva invece gli altri due villaggi sopra citati. Altri casi di esclusione, questa volta per l’avanzamento del sistema di opere campali rispetto al villaggio, sono quelli di La Thuile e Courmayeur in Valle d’Aosta, che assunserò però la funzione di centri organizzativi di retrofronte per i trinceramenti del Piccolo San Bernardo e per quelli di Combal in val Veny. Nel caso specifico di La Thuile, il villaggio in verità si trovava anche in posizione di avanfronte rispetto alle fortificazioni del campo del Principe Tommaso a dimostrazione evidente che il sistema territoriale difensivo si imponeva su quello insediativo, ignorandone le esigenze, ma addirittura anche la salvaguardia. Se infatti in valle Varaita Chianale era programmaticamente lasciato all’occupazione nemica, il villaggio di La Thuile, così come avvenne nel 1794, trovandosi fra la prima linea di difesa del Piccolo San Bernardo e la seconda del Principe Tommaso, da base di retrofronte, una volta evacuato dalle truppe sabaude, diveniva parte integrante di terreno conteso e possibile campo di battaglia. La suggestione di considerare i complessi campali come sistemazioni territoriali può spingersi oltre, notando che la funzione difensiva determinava, per tempi quanto si voglia limitati, l’insediamento di soldati ed animali nei siti trincerati. Provando ad applicare le distinzioni tipologiche che in letteratura si reperiscono per i nuclei insediativi220, sembra possibile anche per gli oggetti del nostro

219 Sull’insediamento storico nelle Alpi occidentali e le caratteistiche paesaggistiche si vedano GUICHONNET 1987, pp. 9-104 e POZZO FIGLIOMENI 2008, completo della principale bibliografia pregressa.

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TOSCO 2009, p. 159.


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guardia del soprastante colle della Croce. Sempre a questo genere di sistemi, anche se in contesto topografico diverso e più angusto, appartiene quello dei colli delle Finestre e delle Fattières, essendo sostanzialmente il primo una fortificazione di passo e il secondo di vetta, pur stando a difesa di un valico. Lo sviluppo settentrionale dei trinceramenti delle Fattières, discendente per alcuni metri lungo il pendio verso la valle di Susa, e il trinceramento di collegamento con la ridotta del colle delle Finestre appartengono alla categoria delle opere di versante alto. Un esempio di fortificazioni di versante medio combinate ad un assetto di fondovalle su terrazzo fluviale, determinato addirittura da un antico argine glaciale, è quello dei trinceramenti della val Veny a copertura del fianco destro del complesso del Piccolo San Bernardo, di minor impegno, ma perfettamente integrati nella natura orografica del sito. Un ultimo caso noto di opere di fondovalle combinato a situazioni di versante medio e alto è quello delle Barricate di valle Stura, in provincia di Cuneo, mentre dovevano essere fortificazioni di vetta le limitrofe ridotte della Lobbiera e della Montagnetta e trinceramenti di versante quelli della Scaletta, della Gardetta e del Preit221. Esempi infine di trinceramenti a quote molto alte, sia di vetta sia di passo, sono quelli dei colli del Besso, Orsiera, Malanotte, Sabbione e Roussa, lungo l’antica linea di confine, precedente il 1713, fra il ducato di Savoia e il regno di Francia, che correva sulle prime vette a dominio della val Sangone e dello sbocco di quella di Susa in vista di Torino222. Una questione di necessaria riflessione è ancora l’eventuale indirizzo che la ricerca sulle fortificazioni campali alpine può assumere in relazione al tema dell’impatto ambientale, determinato dalle medesime sul paesaggio storico in cui furono edificate. Questo orizzonte di ricerca non è stato percorso negli studi presentati precedentemente, tuttavia sembra opportuno esaminarne le potenzialità almeno in termini generali e come suggestione per studi futuri. È un dato di fatto che anche nel caso delle nostre fortificazioni campali l’uomo è intervenuto come «agente geomorfologico», producendo forme artificiali sul territorio, che non avevano destinazione economica o produttiva come le sistemazioni agrarie, ma che analogamente agli interventi civili si sviluppavano lungo ampie porzioni areali ed erano frutto di «scelte locazionali»

studio individuare almeno tre categorie in base alla collocazione territoriale, che non va mai dimenticato esser determinata dall’ecofatto strategico. Si identificano dunque fortificazioni campali «di sommità montana», e nella fattispecie «di vetta», «di crinale» e «di passo», seguono quelle «di versante montano», «alto» e «medio», e infine «di fondovalle montano», «alluvionale» o «di terrazzo fluviale». L’attribuzione alle categorie citate non può essere rigida e soprattutto esse compaiono simultaneamente nell’ambito di un unico complesso, essendo quest’ultimo in genere una sistemazione territoriale lineare che attraversa più situazioni geomorfologiche. Il caso che ancora una volta richiama questa coesistenza tipologica è quello delle fortificazioni campali della valle Varaita che, senza soluzione di continuità, presentavano trinceramenti di versante medio lungo il vallone di Vallanta fino al forte San Carlo, un’opera di fondovalle su terrazzo fluviale, quale il forte di Château de Pont, il forte Bertola di fondovalle alluvionale, di nuovo trinceramenti di versante medio e alto fra il forte Bertola e il monte Passet, la cui ridotta era un insediamento di vetta, e fra quest’ultimo e la borgata Ribiera, trincerata in un fondovalle alluvionale a cavallo della Varaita di Bellino; i trinceramenti ascendenti da Ribiera al colle della Bicocca tornavano ad essere di versante medio e alto, mentre il campo della Bicocca può essere ricondotto al tipo di crinale, con le due ridotte dominanti di vetta. Situazione diversa da quella descritta caratterizza il campo trincerato dell’Assietta, attribuibile al tipo di crinale; esso era interamente sviluppato sulla dorsale delle montagne fra la valle del Chisone e quella di Susa, dalla testa dell’Assietta attraverso il piano e il colle omonimi, fino alla cima del Gran Serin, fortificata con una grande ridotta di vetta, e oltre fin quasi al colle delle Vallette. Un esempio classico di fortificazione campale di passo è il complesso del Piccolo San Bernardo, i cui trinceramenti continui si estendevano a sbarramento del vallone del Reclus d’accesso al pianoro del valico, ed avevano gli sviluppi estremi lungo le falde delle alture circostanti, già definibili di versante medio. Tuttavia lo stesso complesso presentava a protezione dei trinceramenti di passo le due ridotte del monte Valaisan, entrambe di crinale, e quella del Dou de la Motte attribuibile alla tipologia di versante medio. Caratteri analoghi aveva il sistema di fortificazioni del Principe Tommaso con i trinceramenti in località Mont du Parc e Thèraz del tipo di passo, a taglio della via per il colle di San Carlo, fino alla ridotta di Plan Praz, mentre erano opere di crinale e di vetta i trinceramenti e le ridotte a

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Supra nota 80. MINOLA 2006a, pp. 28-29 e supra nota 40.


Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

precise223. I trinceramenti infatti, ben diversamente rispetto ad un castello feudale o ad una fortezza moderna, non si limitavano ad un sito singolo, ma, essendo sistemi coesi di fortificazioni territoriali, si estendevano secondo un ampio sviluppo lineare; tranne poi i casi delle opere isolate a guardia di posizioni strategiche particolari, anche le ridotte singole, come s’è detto in precedenza, erano parte di sistemi di trinceramenti continui o, se staccate, una a guardia dell’altra per coprire un intero settore territoriale. La scelta locazionale era indotta dalla funzione difensiva che si esprimeva specificamente nei siti interessati dall’intervento costruttivo e che a sua volta rispondeva ad un ordine superiore di motivazioni politiche e istituzionali, legate alla definizione dei confini e alla individuazione delle porzioni di paesaggio alpino da difendere. Tutto ciò dà sostanza all’assunto di base, già prima evocato, ovvero che queste fortificazioni nacquero per imposizione del governo sabaudo centrale, non per necessità periferiche legate alle comunità alpine insediate nei luoghi d’importanza strategica. Ne deriva in generale che la gestione dell’impatto ambientale fu prevalentemente di natura aggressiva, se non altro per il fatto che il disboscamento e il dissodamento seguivano progettualità e modalità interne alle esigenze tecnico-costruttive delle opere e tattico-militari del loro impiego. Non va infatti dimenticato che qualunque fortificazione «alla moderna» prevedeva il «guasto» delle preesistenze che insistevano sul terreno antistante il fronte di tiro delle opere224; questo fatto ha determinato in tutta Europa la riplasmazione degli assetti territoriali periurbani, precedenti l’elevazione delle mura bastionate, o delle aree agricole immediatamente prossime ad una fortezza ed è una realtà alla quale non si sottraevano nemmeno le fortificazioni campali. Nel caso particolare di queste ultime era anzi essenziale che il terreno antistante il fronte d’attacco fosse completamente ripulito e disboscato, non solo per agevolare il fuoco d’artiglieria e soprattutto di fucileria dei difensori, ma anche per non lasciare alcun riparo alla truppa attaccante. Se dunque nelle pianure del Brabante e delle Fiandre le fortificazioni campali, realizzate dai Francesi fra il 1702 e il 1711 a sbarramento dei Paesi Bassi spagnoli di nuova acquisizione borbonica, si svi-

luppavano lungo ampie pianure a coltivo solcate da canali, che venivano integrati nel sistema difensivo stesso225, sulle Alpi l’impatto poteva essere assai più invasivo. Nel primo caso la linea fortificata dissodava e modificava il paesaggio agrario di fronte e a tergo di sé, con indubbio onere sui villaggi locali e sulle loro terre, ma nel secondo caso si verificavano disboscamenti di ettari di versante montano con danni inestimabili per le comunità alpine. È questo il caso delle corvées per la produzione di fascinoni e legname per le ridotte dei colli delle Finestre e Fattières, imposte dai Piemontesi, dopo la conquista dell’alta valle di Pragelato negli anni fra il 1709 e il 1711, alle popolazioni che ancora erano suddite di Luigi XIV e che presto sarebbero passate allo stato sabaudo. Di tali situazioni danno notizia le fonti documentarie e una di esse, il diario di don Bernard Tholosan, curato di Chianale, ci informa di quello che fu probabilmente il più gravoso di questi episodi d’impatto ambientale, ovvero il grande disboscamento della valle Varaita fra Casteldelfino e Chianale, messo in atto fra i mesi di marzo e giugno del 1744 per la realizzazione del sistema fortificato sabaudo e per le spianate antistanti i fronti d’attacco. Secondo il prelato fu abbattuta una quantità enorme di alberi, «plus de cinquante mille», con danno gravissimo in ragione degli anni necessari per ricostituire il patrimonio boschivo, una delle voci principali dell’economia alpina del tempo, in aggiunta all’onere non indifferente dello stazionamento e sostentamento delle truppe sabaude226. Le considerazioni fino ad ora sviluppate conducono infine ad una tematica conclusiva, ma vitale in merito alle finalità ultime di questi studi. Si tratta del problema della tutela e valorizzazione dei manufatti difensivi campali che ha ragion d’essere in conseguenza alla ormai dimostrata loro valenza storico-culturale e alla loro piena appartenenza alle componenti ancora visibili di quelli che gli storici del territorio chiamano «paesaggi residuali», protetti dalla più recente legislazione dei beni culturali e paesaggistici227. La prospettiva corretta può essere quella di prendere in considerazione le fortificazioni campali alpine del XVIII secolo in 225 Riguardo alle «lignes» del nord, realizzate durante la guerra di successione spagnola, si vedano DUFFY 1985, pp. 33-44; RORIVE 1998, pp. 220-225; OSTWALD 2007, pp. 96106, 120-122. Per l’assetto territoriale e il paesaggio storico di quelle regioni esiste il recente volume CLAIN 2007. 226 GARELLIS 2001, pp. 199-200; supra nota 188. 227 TOSCO 2009, pp. 6-16, 23-29.

223 Sul tema dell’impatto antropico nel paesaggio TOSCO 2009, pp. 138-145. 224 Sul tema del «guasto» è ancora significativo il contributo LAMBERINI 1988 sugli atti del convegno di architettura militare di Firenze nel 1986.

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ROBERTO SCOFIENZA

seno alla valutazione d’impatto ambientale (VIA), che considera come parametri di riferimento i «valori paesaggistici» di un territorio e la «vulnerabilità» delle sue componenti. Questo secondo ordine di criteri è quello che si addice al caso della fortificazione campale, la quale, pur godendo fortunatamente di un certo isolamento rispetto all’azione umana, data la sua localizzazione in genere poco accessibile e inadatta a frequentazioni stabili, soffre tuttavia le ingiurie del tempo, storico ed atmosferico, per gli stessi motivi che l’hanno bene o male conservata fino ad oggi e per le sue specifiche caratteristiche tecnico-costruttive. Le opere in muratura a secco, prive di manutenzione ormai da almeno due secoli, sono collassate o sono destinate al crollo, mentre quelle in terra sono vittima di un progressivo spianamento, che certamente non cancella la traccia superficiale della fortificazione, ma ne compromette o annulla definitivamente la consistenza. Attualmente l’unico sito sottoposto a tutela, essendo compreso nel Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand, è quello dei trinceramenti dell’Assietta, la cui fama nell’ambito della storia regionale piemontese ha infine fruttato tale privilegio228. Tuttavia il problema maggiore si pone per la totalità degli altri siti dell’arco alpino, noti e non ancora, ma abbandonati comunque al loro destino. In questa fase iniziale di ricerche e salvaguardia di tali siti è fondamentale conoscere, anche soltanto per macroconsistenze, le principali localizzazioni ed averne un primo panorama censito. A tal proposito in chiusura del presente contributo è di buon auspicio segnalare due fatti positivi. Innanzitutto una sempre più attenta sensibilità a queste tematiche, di cui s’è già dato conto all’inizio, va consolidandosi presso gli organi di tutela, quali le Soprintendenze ai beni archeologici, architettonici e pesaggistici del Piemonte; in secondo luogo il Centro e Ricerche Storiche sull’Architettura Militare del Piemonte ha dato avvio ad un progetto di censimento delle fortificazioni minori, campali o semipermanenti, di tutto l’arco alpino occidentale, i cui risultati saranno accessibili al pubblico in un prossimo futuro229.

Appendice 1 Preliminarmente all’intervento sul campo attuato al colle delle Fattières è stato necessario riflettere su uno strumento di rilevamento dei dati adeguato all’intensificazione dell’indagine che si era posta in programma. L’esperienza derivante dagli studi precedenti poneva in luce che la ricognizione autoptica non sistematica, anche nel nostro caso, non aveva come obiettivo una copertura totale dell’area territoriale in esame o di porzioni di essa, ma l’esame specifico e mirato delle emergenze comunque già note. Certamente la ricognizione svolta nelle pertinenze della cima del monte Pintas e delle sue fortificazioni ha assunto un aspetto e uno sviluppo più simili a quelli della ricognizione tradizionale, per cogliere possibili altre tracce di trasformazioni o manipolazioni del suolo da collegare alla presenza della fortificazione, come le cave per l’estrazione del materiale lapideo da costruzione o le postazioni secondarie. Isolato quindi l’obiettivo dello studio in situ lo strumento di schedatura più idoneo è sembrato il modello base della scheda US di unità stratigrafica, anche in ragione della familiarità con cui essa è nota e utilizzata dagli archeologi e soprattutto per il fatto che corrisponde ad un modello ufficiale e comune, stabilito dall’Istituto Centrale per il Catalogo. Tuttavia la natura specifica dei manufatti indagati, ovvero strutture parzialmente conservate in elevato, in muratura di scaglie lapidee a secco o in terra compattata e sagomata, rivestita con zolle d’erba, poteva da un lato indurre alla scelta dell’utilizzo della scheda USM di unità stratigrafica muraria, dall’altro dirigere l’attenzione sulla natura architettonica del manufatto. Un ultimo fattore non trascurabile e di notevole importanza per gli interventi d’indagine in montagna a quote superiori ai 2000 m è il tempo a disposizione del ricercatore e la conseguente necessità di sintesi dello strumento di schedatura. Si è pertanto optato per l’utilizzo dell’USM soltanto nei casi di particolare interesse, come le strutture perimetrali della ridotta superiore del monte Pintas o quelle dei baracconi in pietra, mentre per i trinceramenti ordinari si è estratta dalla scheda A di architettura una serie di voci, inserite nello schema della scheda US fra la «Descrizione generale» e le sequenze «fisica» e «stratigrafica», corrispondenti a voci quali «Pianta», «Fondazioni», «Strutture verticali», «Piani e Pavimenti», «Conservazione» e riunite sotto la titolatura di «Descrizione analitica». L’applicazione pratica è stata agevole e contenuta nei tempi, impiegando una squadra di tre archeologi, operante in parallelo a quella che svolgeva la campagna fotografica generale, in

228 Si veda VIGLINO DAVICO 1997, pp. 55-57, in cui è posto il problema della tutela e salvaguardia di queste opere e in generale per la prima volta in merito ad opere campali alpine. 229 Il progetto, intitolato L’antemurale delle fortezze sabaude: le fortificazioni alpine di alta quota, è coordinato dalla professoressa Micaela Viglino Davico e collaborano Fabrizio Zannoni, Paolo Motta, Silvia Bertelli, Piero ed Eugenio Garoglio.

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

modo che le problematiche di restituzione descrittiva dei manufatti fossero colte contestualmente a quelle rappresentative e possibilmente risolte insieme. In via sperimentale teorica è stato infine elaborato uno schema di schedatura dei complessi campali, così da sintetizzare i dati analitici facenti capo a fortificazioni che hanno una genesi progettuale fortemente sistematica. La struttura è stata tratta dalla scheda MA-CA, di monumento o complesso archeologico, e l’applicazione è programmata in seno allo studio in corso attualmente sui trin-

ceramenti dei colli delle Finestre e Fattières; in questa sede viene proposta la versione rielaborata per sommi capi, suscettibile di variazioni in corso d’uso e grazie a possibili suggerimenti da parte di un’utenza ben più esperta dello scrivente230. 230 Si rammenta infine che una riflessione più attenta sul problema della schedatura e catalogazione dei manufatti campali è in corso d’opera, contestualmente alle ricerche per i trinceramenti delle Finestre e Fattières, confrontando le esigenze specifiche con gli utili volumi CASIELLO, PICONE, ROMEO1997 e D’ANDRIA 1997.

Scheda di rilevamento per i singoli trinceramenti Schema della struttura dei dati Estratto dalla Normativa: US e A Versione: 3.00 Località Piante Naturale Artificiale Misure

Anno Sezioni

Zona Fotografie

Consistenza

Colore

Saggio/Area Definizione

Settore

Ambiente

Positiva/Negativa

US n.

Componenti (organiche, inorganiche, artificiali)

Conservazione Descrizione generale

Pianta Riferimento all’opera Quote Schema Forma Dati iconografici Sequenza fisica Si lega a Si appoggia a Copre Taglia Riempie

Fondazioni Terreno all’appoggio Ubicazione Tipo Tecnica costruttiva Materiali

Descrizione analitica Strutture verticali Ubicazione Tipo di struttura Tecnica costruttiva Facciavista Materiali

Piani e Pavimenti Ubicazione

Stato di conser-vazione Tecnica Indicazioni speci-fiche

Materiali

Sequenze Sequenza stratigrafica Uguale a Gli si appoggia Coperto da Tagliato da Riempito da

Anteriore a Posteriore a Osservazioni Materiali

Interpretazione-Periodo

Datazione Elementi datanti

Datazione

Affidabilità stratigrafica Responsabili-scheda

Direzione

Scheda di rilevamento per i complessi campali Schema della struttura dei dati Estratto dalla Normativa: MA-CA Versione: 3.00 CODICI Tipo scheda Livello ricerca Codice regione Ente schedatore Ente competente

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Conservazione Riferimento all’opera


ROBERTO SCOFIENZA OGGETTO Definizione Categoria di appartenenza Funzione Denominazione/dedicazione Denominazione storica LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICO-AMMINISTRATIVA Stato Regione Provincia Comune/i Località LOCALIZZAZIONE CATASTALE Comune Foglio/Data Particelle Proprietari Particelle/altri elem. confine LOCALIZZAZIONE STORICA Localizzazione territoriale Toponomastica storica Viabilità storica Localizzazione catastale storica GEOREFERENZIAZIONE TRAMITE PUNTO Descrizione del punto Coordinata X Coordinata Y Caratteristiche del punto Quota s.l.m. Quota min. dell’area/punto Quota max. dell’area/punto Base di riferimento MODALITÀ DI REPERIMENTO Ricognizioni Dati di scavo Altre indagini CRONOLOGIA Cronologia generica Cronologia specifica NOTIZIE STORICHE Notizia Cronologia, estremo remoto Cronologia, estremo recente DEFINIZIONE CULTURALE Autore Ambito culturale Committenza FASI PREESISTENTI Preesistenze Riusi DATI TECNICI – MISURE CONSERVAZIONE Stato di conservazione Indicazioni specifiche DATI ANALITICI Descrizione generale Fondazioni Elevati Spazi aperti Notizie storico-critiche UTILIZZAZIONI Uso attuale Uso storico

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Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina FONTI E DOCUMENTI DI RIFERIMENTO Documentazione fotografica Genere Tipo Autore Data Ente proprietario Collocazione Note Formato Documentazione grafica Genere Tipo Note Scala Ente proprietario Collocazione Autore Data Fonti e documenti Tipo Autore Denominazione Data Foglio/carta Nome dell’Archivio Posizione Bibliografia COMPILAZIONE Data Nome e cognome Referente scientifico Funzionario responsabile

montesi che comprendano evidenze a destinazione militare, editi nei «Quaderni della Soprintendenza Acheologica del Piemonte», secondo la divisione tematica illustrata nella prima parte del contributo.

Appendice 2 Si presenta in conclusione la raccolta dei dati relativi ad indagini archeologiche postmedievali in siti piePiazzeforti Sabaude Quaderno Autore

Argomento

pp.

Torino, Palazzo Madama, livelli di frequentazione moderna del fossato con basso edificio del 1609 e prima copia di pilastri del ponte dormiente presso la controscarpa Torino, Palazzo Carignano, terrapieno della mezzaluna delle mura urbane, a sud della prima porta di Po, realizzata nel 1639 e obliterata dalla fondazione del palazzo nel 1679 Torino, via Avogadro, via Valfré, corso G. Ferraris, resti di edifici di servizio della cittadella e del bastione di Madama

231 ss.

Torino, piazza Emanuele Filiberto, resti delle fortificazioni urbane del XVI e XVII secolo

358 ss.

Torino, piazza Vittorio Veneto, resti della porta di Po di Guarino Guarini Torino, Giardini Reali Superiori, indagine archeologica fra la manica della Biblioteca Reale, fondata sulle mura romane, e le fortificazioni d’Età Moderna Torino, piazza Castello, fondazioni della galleria di Carlo Emanuele I sulle mura romane, antistante le mura moderne Torino, bastione di San Maurizio, impianto settecentesco del giardino reale Torino, Giardini Reali Inferiori di corso San Maurizio, resti del rivellino e della controguardia antistante, fra i bastioni di San Maurizio e di San Lorenzo (XVII secolo) Torino, corso Matteotti, resti dello spalto antistante il bastione di Santa Barbara della fortificazione urbana (1619 ca.) Torino, corso Regina Margherita, piazza della Repubblica, resti del bastione di San Solutore, della mezzaluna della porta di Palazzo e dei pilastri del ponte dormiente di detta porta

189 ss.

Piazzaforte di Torino 8, 1988

L. Pejrani, G. A. Massa

10, 1991

F. Filippi

10, 1991

15, 1998

L. Pejrani, M. Brondino, M. Subrizio F. Filippi, L. Pejrani, P. Levati L. Re

16, 1999

L. Pejrani, M. Subbrizio

18, 2001 18, 2001

L. Brecciaroli, L. Peirani, L. Maffeis F. Zannoni, F. Fontana

18, 2001

P. Petitti, F. Zannoni

18, 2001

F. Zannoni

19, 2002

L. Pejrani, M. Subbrizio

13, 1995

87

31 ss. 221 ss.

246 ss. 98 ss. 100 ss. 102 ss. 104 ss. 46 ss.


ROBERTO SCOFIENZA Quaderno Autore 20, 2004

L. Pejrani, M. Subbrizio

20, 2004

L. Pejrani, R. Martinasso, M. Subbrizio

21, 2006

L. Pejrani

21, 2006

L. Pejrani

Argomento Torino, Giardini Reali Superiori, indagine archeologica ad est della della Biblioteca Reale e del tratto di fortificazione moderna, realizzato dopo il 1584 e in funzione fino al 1674. Prosegue QuadAPiem 16, 1999, pp. 246 ss. Torino, via Verdi, resti del bastione di Sant’Antonio, appartenente alla fortificazione urbana (XVIIXVIII secolo) Torino, piazza San Carlo, resti del bastione angolare di Santa Margherita (1542-1632) e del ponte della prima porta Nuova (1620-1643) Torino, piazza Vittorio Veneto, sepoltura comune di quattro militari del reggimento imperiale Daun, caduti durante l’assedio del 1706

pp.

Vercelli, via Bazzi, largo d’Azzo, corso Garibaldi, tratti della cinta fortificata del XVI secolo, distrutti durante l’assedio del 1704 Vercelli, corso Palestro presso il Liceo Avogadro, resti del bastione di Santa Chiara (XVI-XVIII secolo) Vercelli, via Calatafimi, corso Magenta, resti di un ponte attivo fra il XV e l’inizio del XVII secolo esterno alle fortificazioni urbane Vercelli, piazza Cugnolio, resti del sistema difensivo della porta del Servo (XIII-XVII secolo)

292 ss.

Chivasso (To), via Cosola, via Siccardi, resti del bastione di Santa Chiara (XVI secolo) Chivasso (To), via Cosola, via Regis, resti del fronte settentrionale delle fortificazioni urbane (XV-XVI secolo) Chivasso (To), via Caduti per la Libertà, resti del fronte sud delle fortificazioni urbane ad est della piattaforma del castello (XV-XVI secolo) Chivasso (To), via Cosola, via Regis, resti del fronte nord delle fortificazioni urbane, corpo di guardia del bastione di San Bernardino (XVI secolo) Chivasso (To), via Caduti per la Libertà, via del Castello, resti del fronte sud delle fortificazioni urbane con torre inglobata nelle mura rinascimentali (XV-XVI secolo) Chivasso (To), via Caduti per la Libertà, via del Castello, resti del fronte sud delle fortificazioni urbane con torre inglobata nelle mura rinascimentali (XV-XVI secolo). Prosegue QuadAPiem 19, 2002, pp. 175 ss.

254 ss.

Ivrea (To), corso Umberto I, tratto del fronte orientale delle mura urbane presso il bastion Verde (XVI-XVII secolo)

129 ss.

Susa (To), zona della Brunetta, resti di due postazioni campali d’artiglieria sullo sperone roccioso fra la SS 25 e la strada provinciale per Venaus e la Novalesa (assedi del 1690, 1692, 1704, 1707 ?), prospezioni e sondaggi sulle rovine della fortezza

234 ss.

Alba (Cn), piazza Monsignor Grassi, tratto delle fortificazioni urbane del XVII secolo e della porta Cherasca

244 ss.

229 ss. 233 ss. 132 ss. 287 ss.

Piazzaforte di Vercelli 3, 1984

L. Brecciaroli, G. Pantò

11, 1993

G. Pantò

13, 1995

G. Pantò

19, 2002

G. Pantò

315 ss. 381 ss. 174 ss.

Piazzaforte di Chivasso 15, 1998

G. Pantò

18, 2001

G. Pantò, F. Zannoni

19, 2002

G. Pantò, F. Zannoni

19, 2002

G. Pantò, F. Zannoni

19, 2002

G. Pantò, F. Zannoni

20, 2004

G. Pantò

127 ss. 171 ss. 174 ss. 175 ss. 218 ss.

Piazzaforte di Ivrea 18, 2001

L. Pejrani, L. Boni, M. Subbrizio

Piazzaforte di Susa 8, 1988

L. Fozzati, M. Cima, M. Corino

Piazzaforte di Alba 14, 1996

E. Micheletto, M. Cavaletto

Fasi moderne di castelli 3, 1984 4, 1985 5, 1986 10, 1991 10, 1991 10, 1991 11, 1993 12, 1994 12, 1994 13, 1995 18, 2001 19, 2002 23, 2008

M. Cortelazzo M. Cima

Novara, Castello, strutture e livelli di frequentazione dall’età sforzesca al XVI secolo San Martino Canavese (To), Castello, livelli di frequentazione dal Medio Evo al XVI secolo Terzo (Al), Torre, livelli di frequentazione e strutture dalla fine del XIV secolo alla distruzione A. Crosetto austriaca nel 1691 Castello d’Annone (At), collina del Castello, livelli di frequentazione e strutture dalla seconda metà A. Crosetto del X secolo alla distruzione spagnola del 1644 E. Micheletto, N. Cerrato Avigliana (To), Castello, livelli di frequentazione e strutture fra l’XI e il XVII secolo G. Pantò, M. Cardosa Sandigliano (Bi), Castello di Torrione, livelli di frequentazione e strutture fra la metà del XII e il XV secolo Ponzone (Al), Castello, fasi del XVII e XVIII secolo del castello distrutto dalle truppe spagnole nel A. Crosetto 1646; deposito di munizionamento per schioppi e mitraglia d’artiglieria Montechiaro d’Acqui (Al), Castello, La Torre, fasi finali d’insediamento con lavori di fortificazione A. Crosetto della prima metà del XVII secolo A. Crosetto Settimo Torinese (To), Castello, fasi finali dell’edificio tardo medievale G. Pantò Moncalieri (To), Castello, scavo della torre ovest e scarico d’Età Moderna L. Pejrani, N. Cerrato Bardonecchia (To), Tour d’Amont, fasi del XVI e XVII secolo del castello consortile Verrone (Bi), Castello, fasi di ristrutturazione della metà del XVII secolo in seguito ai guasti delle G. Pantò truppe spagnole A. Crosetto Acqui Terme (Al), Castello “dei Paleologi”, fasi postmedievali

268 ss. 37 ss. 217 ss. 113 ss. 211 ss. 248 ss. 218 ss. 269 ss. 343 ss. 374 ss. 113 ss. 117 ss. 343 ss.

Fasi moderne di borghi e ricetti fortificati 10, 1991

G. Pantò

11, 1993

F. Bougard

11, 1993

A. Crosetto

16, 1999

A. Crosetto

Candelo (Bi), Ricetto, strutture della porta-torre datata al periodo 1496-1509 e interventi del XVII secolo nel fossato con documentazione fino all’obliterazione dell’i-nizio del XIX secolo Frugarolo (Al), La Torre, Fasi finali del XVII e XVIII secolo dell’abitato fortificato medievale Settimo Torinese (To), resti di fortificazione quattrocentesca del ricetto e di ponte d’accesso d’Età Moderna San Damiano d’Asti (At), piazza Camisola, resti della porta urbica meridionale, datata fra il 1275 e il XVII secolo

88

249 ss. 216 ss. 296 ss. 203 ss.


Archeologia militare d’età moderna in Piemonte. Lo studio della fortificazione campale alpina

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