IV. 1944: LA LINEA DELL’ARNO
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successivo furono fatti filmati e fotografie volti a documentare lo stato del monumento e l’esperimento condotto dalla ditta Conforti per appendere la tela impermeabile e proteggere gli affreschi dalle intemperie. La tettoia provvisoria sarebbe stata eseguita da un Gruppo di Fanteria italiano che lavorava con la V Armata. Undici ingegneri alleati, il magg. Bailey e i capitani Hoare, Anderly e Foster visitarono Cattedrale e Camposanto. Keller, Farnesi e gli ufficiali si arrampicarono sul tetto della Cattedrale per programmarne il restauro. Dapprima si pensò di utilizzare lastre di lamiera ondulata per coprire i fori causati dall’artiglieria, ma poi fu deciso di impiegare lastre di piombo per rendere il lavoro definitivo. Lo stesso gruppo si occupò della protezione provvisoria del Camposanto con una tettoia in legno e un piano impermeabile di tele catramate, sottolineando che l’intervento degli ingegneri della V Armata era volto a scongiurare ulteriori danni causati dalle intemperie, «non a ripristinare il Camposanto nel suo primitivo aspetto»49, e che eventuali danni causati durante i lavori di restauro sarebbero ricaduti sotto la esclusiva responsabilità degli italiani e di Sanpaolesi in particolare. La linea di demarcazione fra protezione e restauro fu ulteriormente sottolineata nella relazione del 26 settembre. L’11 settembre visitarono il Camposanto Cesare Brandi, il restauratoerrata corrige: John re Cesare Benini e il noto archeologo inglese James Ward-Perkins, maggiore della MFAA. Brandi prese appunti e fece schizzi dei danni; arrivarono quindi i restauratori Carlo Bini e Alfredo Cassini e gli 84 uomini del Genio Civile che predisposero il loro accampamento. Il 13 settembre era giunto anche Frederick Hartt, responsabile della MFAA per la Toscana: «Soltanto gli storici militari saranno in grado di dirci perché il glorioso gruppo di monumenti in Piazza dei Miracoli doveva diventare obiettivo per l’artiglieria»50. Come ricordava Hartt, la città deserta, con gli immensi crateri delle bombe, sembrava un paesaggio lunare.
8. Sgombero macerie Nessuna casa a Pisa aveva vetri alle finestre. Nelle sue memorie, Hartt riportava che il 20% degli edifici era stato raso al suolo, un altro 30% era stato parzialmente distrutto, e i tetti delle case erano completamente crollati o crivellati dalle esplosioni. Non era ancora possibile accedere a vaste zone della città, minate e pericolose, o separate dalla parte abitata dal corso dell’Arno, sprovvisto